La parola valutazione deriva dal latino valeo, valére che significa avere valore. Nel suo significato etimologico, dunque, il termine valutazione è connesso all'idea di riconoscere a qualcuno il suo valore, tenerlo in considerazione. L’etimologia della parola stride decisamente con l’accezione diffusa negli ambienti scolastici e non solo, dove invece per valutazione si intende solitamente l’effettuazione di una misurazione delle conoscenze e delle abilità della persona, per collocarla entro una graduatoria su scala decimale. L’attribuzione di un voto viene così connessa ad un giudizio, una sorta di etichetta debordante in quanto non classifica solo la preparazione, ma anche l’intelligenza del soggetto, del quale infatti si usa dire, nel gergo valutativo, che “è da cinque, è da sette…”. Si tratta di una “teoria ingenua” di cui parla Bruner, intendendo con ciò un concetto che si fonda su una costellazione di asserzioni assunte in modo acritico, riferite all’intelligenza umana, alle modalità di apprendimento ed alla loro rilevazione. A partire dalla seconda metà del secolo scorso, è emersa una scuola di pensiero composta da pedagogisti che hanno sfidato il modo usuale di intendere la valutazione, e che si sono mossi nella prospettiva della “valutazione autentica”, con l’intento di realizzare un approccio più valido ed affidabile, oltre che maggiormente in grado di mettere in luce la molteplicità dell’intelligenza di cui sono dotate le persone. L’approccio della valutazione autentica segna un vero cambio del paradigma che trova le sue radici nella diversa concezione del modo in cui rilevare gli apprendimenti delle persone. La visione ordinaria di matrice psicologico comportamentista poneva l’accento sul profitto scolastico dello studente, ricavato dal confronto dei risultati ottenuti dagli studenti con i risultati attesi concepiti come obiettivi; il grado di apprendimento era definito come maggiore o minore vicinanza a questi ultimi. La metodologia adottata consisteva nel produrre prove standardizzate che potessero fornire una garanzia di obiettività in quanto non influenzate né dal contesto né dagli insegnanti. Ma questo modo di procedere presentava due gravi limiti: il primo consiste nel limitare il focus della valutazione a ciò che l’allievo sa, inteso come riproduzione di un sapere precedentemente introiettato, e non sulla capacità di utilizzo, costruzione e sviluppo del proprio sapere; il secondo si riferisce ad una deformazione dell’insegnamento, che finisce per concentrarsi eccessivamente sulla capacità di superare le prove piuttosto che sulla reale padronanza del sapere, un effetto chiamato teaching to the test. La valutazione autentica si riferisce ad una concezione più ampia dell’apprendimento visto come capacità di pensiero critico, di soluzione dei problemi, di riflessione, di fronteggiamento di situazioni impreviste, di cooperazione in gruppo, di accrescimento continuo del proprio sapere. Ciò viene perseguito privilegiando quei compiti – detti “esperti” – che consentono di cogliere il tipo di lavoro che le persone mettono in atto nel mondo reale per giungere ad un esito positivo, piuttosto che chiedere loro di rispondere a quesiti standardizzati così che possano essere facilmente misurati. Essendo centrata prevalentemente su un apparato di prove complesse, che richiedono nei valutatori una continua e sistematica osservazione di prodotti, processi e linguaggi, la valutazione autentica richiede un lavoro molto più impegnativo rispetto all’approccio classico, e quindi un tipo di impostazione didattica che la maggioranza degli insegnanti non possiede e che non può essere facilmente acquisita tramite corsi di formazione. Inoltre, le esperienze di applicazione della valutazione autentica hanno mostrato che in diversi casi essa, privilegiando le performance operative, non attribuisce il giusto valore alla padronanza dei saperi fondanti ed alla capacità degli studenti nello sviluppo di un pensiero di natura complessa. Dal punto di vista della finalità, esistono due modalità di valutazione: quella con scopo selettivo (high stakes) e quella con scopo formativo (light o supportivi).

  • I modelli selettivi mirano a individuare nei candidati un gruppo di fattori di conoscenza ed abilità che corrispondono ai prerequisiti sanciti da apposite norme, la cui padronanza accertata consente l’acquisizione di un titolo di studio oppure di un’abilitazione. Tre sono le loro caratteristiche: in primo luogo essi si concentrano su aspetti specifici e circoscritti del candidato, come ad esempio il titolo di studio, le esperienze e le conoscenze dei candidati per un posto di lavoro pubblico; secondariamente, la prova si svolge in un preciso e limitato momento, in un contesto asettico; infine, lo strumento di verifica è costituito da prove standard prevalentemente nella forma dei test. Quindi, essi non considerano la persona nella sua globalità e neppure il cammino di formazione nella sua interezza, ma si focalizzano solo sugli esiti di tali prove visti come gli unici momenti definibili propriamente valutazione, dove gli insegnanti “cambiano la giacca” del docente in quella del funzionario ministeriale. Nei contesti educativi questo modello è stato a lungo adottato nelle prove d’esame; soltanto negli ultimi anni è sorta in Italia la necessità di realizzare prove basate su compiti di realtà in modo da mettere a fuoco la padronanza dell’intero spettro del sapere, composto da conoscenze, capacità di processo e competenze trasversali. Generalmente, alla valutazione del percorso degli studi è stato anche attribuito un “peso” a valere sul punteggio finale, anche se non mancano casi in cui l’intero punteggio deriva dalla sola prova conclusiva.   
  • I modelli formativi che vengono detti “supportivi” mirano a fornire agli allievi ed ai loro insegnanti evidenze che consentono di comprendere il punto in cui si trovano, le risorse (conoscenze, abilità, competenze e qualità personali) che mostrano di possedere, offrendo inoltre suggerimenti per delineare i successivi passi di miglioramento. Essi, a tale scopo, utilizzano un ampio ventaglio di strumenti di valutazione (test, esercizi, interrogazioni e colloqui, compiti di realtà, prove esperte…) così da porre a fuoco l’insieme delle manifestazioni di conoscenze e competenze padroneggiate dall’allievo, entro una prospettiva unitaria e longitudinale. Questo stesso corredo di metodologie è anche utile nel fornire agli insegnanti ed ai responsabili dell’organismo formativo elementi utili ad una valutazione dell’efficacia e della significatività della strategia e degli approcci formativi adottati, ed a reperire indicazioni per il loro miglioramento. La natura formativa di questi modelli emerge dal loro orientamento alla finalità primaria dell’organismo, ovvero la promozione degli apprendimenti e della crescita personale di ciascun allievo. Mentre i modelli selettivi operano come un costrutto neutro rispetto al senso, ai valori ed agli scopi dell’azione formativa, questa seconda categoria di modelli risulta pienamente implicata nell’azione stessa, divenendo una prospettiva che si snoda lungo tutto il ciclo di vita dell’azione formativa composto da progettazione, insegnamento/apprendimento, verifica e miglioramento. La valutazione, così intesa, non è quindi un’attività che si colloca in particolari momenti del percorso formativo, ma costituisce un’attenzione stabile e costante che si svolge nel contesto vivo delle attività, specie di quelle che presentano i caratteri della sfida e della sollecitazione dell’intero ventaglio delle capacità intellettive della persona, come nel caso dei compiti di realtà.

Sul piano teorico, si distinguono invece due approcci valutativi.

  • Secondo la matrice funzionalistica la valutazione rappresenta la fase terminale di ogni unità didattica e soprattutto di un intero percorso formativo organizzato in base ad un progetto rigoroso preliminare, strutturato a ritroso e finalizzato a definire gli obiettivi che si intendono raggiungere sotto forma di comportamenti attesi; ciò porta all’elaborazione di un piano formativo che preveda la programmazione puntuale degli obiettivi e dei contenuti connessi. In questo modo, enfatizzando i risultati di tipo quantitativo (output), si giunge ad una standardizzazione della didattica mirata a far acquisire agli alunni le abilità necessarie alla prestazione finale, secondo un approccio “scientifico” ovvero distaccato, impersonale ed equanime, non influenzato dai fattori soggettivi degli insegnanti come l’intuizione e l’improvvisazione. Si tratta quindi di un approccio meccanicistico in quanto concepisce il cammino della conoscenza come un puzzle composto da tasselli omologhi organizzati nel modo della progressione temporale prima/dopo. 
  • Secondo la matrice teorica fenomenologica la valutazione consiste nella capacità diagnostica e riflessiva degli allievi e degli insegnanti che ne accompagna tutto il percorso formativo, allo scopo di accertare il valore sociale e educativo dell’azione stessa. In questo modo, gli elementi che emergono dal reale percorso di apprendimento, sia i successi sia gli aspetti problematici, diventano i mezzi principali per sollecitare nell’allievo un continuo miglioramento e per perfezionare la stessa offerta formativa. Ciò richiede un pieno coinvolgimento del docente tramite tutte le sue facoltà empatiche ed intuitive, ed un approccio induttivo che eviti il mero trasferimento di teorie e concetti predeterminati privilegiando la co-costruzione del sapere da parte del soggetto. Tale visione è fondata sulla capacità dell’alunno di conferire senso alla realtà, in quanto soggetto che esprime bisogni e potenzialità che interagiscono con l’ambiente e lo sollecitano all’apertura ed alla consapevolezza. In tal modo, la pratica educativa diventa un’arte e non può essere assimilata ad un processo meccanico. Si tratta di un approccio formativo esistenziale che concepisce gli standard come traguardi di riferimento ma senza assumerli come elementi di una progettazione sistematica, per privilegiare invece il cammino di autoconsapevolezza del singolo discente, mai uguale a nessun altro (approccio idiografico), tanto da generare la problematica della interpretazione univoca dei risultati conseguiti in quanto difficilmente paragonabili con un modello selettivo.

La concezione formativa della valutazione, mentre si schiera esplicitamente nel campo degli approcci light o supportivi, non sposa un particolare approccio teorico, ma assume selettivamente aspetti che appartengono alle due scuole presentate. Essa recepisce dai metodi funzionalistici l’importanza di definire gli obiettivi-traguardo in termini di comportamenti attesi, da rilevare al termine dei percorsi formativi in riferimento a standard di risultato concepiti come vincoli obiettivi; allo stesso tempo, recepisce dai metodi fenomenologici l’attenzione costante al cammino personale dell’alunno, di modo che la valutazione possa fornire agli insegnanti ed agli stessi allievi elementi per comprendere il processo di apprendimento. Essa è caratterizzata quindi dai seguenti fattori e criteri:

  • valutazione intesa come “attribuzione di valore” alle capacità degli alunni, quindi un’attività che precede, accompagna e completa i percorsi curricolari, avente come oggetto il processo formativo ed i risultati di apprendimento;
  • riferimento ad un dispositivo composto da obiettivi e traguardi formativi declinati nel curricolo “essenziale” orientato ad una proposta di vita buona, ancorato a temi-valore, nel quale emergono i fondamenti del sapere, i processi (“universali”) e le disposizioni personali;
  • concezione delle competenze degli alunni come padronanza delle risorse (conoscenze e processi) e delle disposizioni personali, adeguatamente orchestrate al fine di portare a conclusione positiva i compiti assunti, risolvendo i problemi via via incontrati;
  • cura della documentazione dello sviluppo dell’identità personale, e quindi dell’autoconsapevolezza dello studente, sollecitato ad esprimere un’autovalutazione di quanto realizzato in relazione alle acquisizioni di conoscenze, abilità e competenze;
  • sguardo longitudinale lungo tutto il percorso curricolare dell’alunno, con un metodo capace di trovare l’equilibrio tra osservazione, misurazione e giudizio;
  • il giudizio finale è integrato con la descrizione dei processi formativi e del livello globale di sviluppo degli apprendimenti, oltre che dalla spiegazione che l’insegnante fornisce nel colloquio-dialogo con gli allievi e le loro famiglie;
  • il comportamento (condotta) fa riferimento allo sviluppo del secondo gruppo delle competenze di cittadinanza: competenza personale, sociale e capacità di imparare a imparare; competenza in materia di cittadinanza; competenza imprenditoriale; competenza in materia di consapevolezza ed espressione culturali.

La valutazione formativa è confidente e corale, attenta a rilevare tutte le evidenze che segnalano la messa in moto dei dinamismi della crescita della persona, focalizzata sul riconoscimento del valore dell’allievo e sul suo progressivo miglioramento come persona, cittadino e lavoratore. Nel processo di valutazione, oltre al metodo di cui abbiamo già trattato, occorre porre adeguata attenzione agli obiettivi ed alle evidenze.    

  • Gli obiettivi indicano il riferimento centrale del processo di valutazione, visti non come enunciati, bensì come traduzione dei benefici conseguiti ad un’efficace implicazione del singolo allievo nel compito dello studio. Ma nel definirli correttamente occorre distinguerli dalle risorse ovvero le conoscenze e le abilità che l’allievo utilizza nell’azione formativa. Mentre nell’approccio dell’istruzione il vero obiettivo della didattica risulta essere l’argomento specifico trattato dall’insegnante, di cui nel momento valutativo si aspetta la fedele ripetizione da parte dello studente, nell’approccio formativo l’obiettivo indica piuttosto la capacità di mobilitazione da parte dell’allievo di queste stesse risorse, nel vivo della sua strategia di soluzione dei problemi. Il focus dell’obiettivo consiste nella capacità del soggetto di mettere in gioco saperi, abilità e qualità personali nel vivo di un’azione reale, complessa e in parte non nota, al fine di generare un apprendimento che a sua volta suscita una maturazione della sua personalità. Ciò in forza della natura del sapere: epistemico, storico e formativo. Vi è una tendenza a ridurre il sapere esperto, quello agito nel mondo reale, nel sapere scolastico, che porta a definire come obiettivo lo strumento piuttosto che la sua mobilitazione a partire da un compito-sfida facendone sorgere un reale arricchimento culturale della persona. Ad esempio, l’unità formativa dedicata al Feudalesimo si pone come obiettivo la comprensione viva da parte dell’allievo dello stesso in quanto sistema di rapporti personali e di strutture politiche che mirano al governo dei territori, sulla base di regole che risultano ancorate al concetto di delega, all’importanza dell’onore come valore ed alla fedeltà ai patti. Pertanto, all’allievo sarà richiesto di a) esporre il significato di Feudalesimo collocandolo nel suo contesto storico e caratterizzato da istituzioni, regole e modi di vita peculiari; b) metterne in luce la struttura politica, giuridica e sociale ed i valori sottostanti; c) svolgere una riflessione personale confrontando tale struttura e tali valori con il contesto attuale; d) esprimere un pare personale ed indicare quale beneficio ha ricavato da questo studio.
  • L’esempio precedente aiuta a cogliere il significato di evidenze, intese come gli oggetti e le dinamiche su cui concentrare lo sguardo valutativo al fine di cogliere le manifestazioni dirette ed esplicite, ma anche indirette ed implicite, dei guadagni in termini di apprendimenti e di crescita personale di cui l’allievo si è potuto avvalere. Nella valutazione formativa vanno considerate tre categorie di evidenze: i nuclei del sapere, le capacità di processo e le qualità personali. I nuclei del sapere sono i concetti più significativi su cui si regge il curricolo, che consentono agli allievi di accedere ad una cultura viva, dinamica, ricca di luce, fuoco e benefici. Le capacità di processo sono le padronanze che alimentano l’agire dell’allievo nella risposta ai compiti-sfida e comprendono: cooperazione, soluzione di problemi, ordine, metodo di studio, gestione del tempo e dello spazio, riflessione e comunicazione. Le qualità personali (o soft skill) riguardano le virtù che rivelano i valori su cui l’allievo orienta il proprio agire: nel caso del Feudalesimo esse comprendono il senso dell’onore, la conoscenza di sé, l’amore per il territorio e la dedizione alla comunità, l’apertura al mondo e la comunione con il creato. La valutazione formativa predilige evidenze che emergono dal vivo dell’azione, piuttosto che quelle provocate da operazioni a se stanti come le interrogazioni ed i test. Ciò richiede l’adozione, in sede di progettazione del modulo formativo, di una strategia orientata a formare in ogni allievo un’autentica padronanza di saperi, capacità e qualità personali. Richiamandoci sempre al caso del Feudalesimo, questa strategia deve saper ovviare alla criticità costituita dalla difficile comprensione da parte dei giovani d’oggi dei tre principi indicati: delega, onore, fedeltà ai patti. Occorre evitare che le evidenze si limitino a quelle che alimentano la mera ripetizione di un discorso “astratto”; da qui l’idea di puntare sulla identificazione di tali principi nel cavaliere, proposto come figura emblematica di quest’epoca storica, e di ingaggiare gli allievi entro un compito significativo, espresso mediante la seguente consegna: ““Io, sul mio onore, mi impegno a….”, concordando con ciascuno di loro un impegno da rispettare nel corso dell’anno formativo: in questo modo si sviluppano al tempo stesso la funzione di delega, il concetto di onore e il rispetto fedele di un impegno preso. Avremo quindi tre tipi di evidenze: 1) i nuclei del sapere, rappresentati dai concetti di diritto, socialità e politica-polis, espressi a loro volta nel duplice modo: diretto, tramite un linguaggio appropriato e corretto, e indiretto reso evidente dal paragone tra il Feudalesimo ed il nostro tempo; 2) le capacità di processo focalizzate in questo caso sul metodo di studio, la riflessione e la comunicazione; 3) le qualità personali tra cui emerge la conoscenza di sé e senso dell’onore, assieme alla dedizione alla comunità.

Quanto sinora trattato converge nel segnalare la criticità, nella valutazione formativa, dei quattro seguenti fattori:

  • saper individuare i veri obiettivi verso cui si orienta l’azione formativa, attività che chiede di svolgere una vigilanza circa la tendenza, molto presente nell’attività didattica, a confonderli con le risorse che si intendono trasferire agli allievi nella forma dell’istruzione e dell’addestramento. Non si tratta solo di garantire il requisito della concretezza, ciò che nei manuali viene reso con l’espressione “obiettivi concreti e misurabili”, ma di perseguire anche quello della consistenza reale dell’atto valutativo, definita nel rapporto che intercorre fra i diversi fattori in gioco, per evitare di attribuire alla persona una padronanza quando invece essa ci ha fornito solo una semplice ripetizione linguistica o pratica di un insegnamento;
  • saper definire le prove che consentono di giungere ad un giudizio valido ed affidabile, variando la loro tipologia ed il loro numero, ma allo stesso tempo limitandosi a quelle che si ritengono significative ed indispensabili, senza cadere nella bulimia valutativa;
  • saper porre in luce le evidenze essenziali, quelle che si riferiscono, in modo diretto o indiretto, alla padronanza viva dei tre fattori in gioco, con particolare riferimento ai processi messo in atto dall’allievo ed alle qualità personali che rappresentano l’ordine etico del suo agire, sapendo scegliere ciò che è davvero rilevante, evitando l’errore della ridondanza e della ovvietà;
  • saper tradurre quanto rilevato in un linguaggio adeguato che può anche comprendere dei voti numerici, purché accompagnati da un’esplicazione che chiarisca alla persona, ed ai genitori, il reale valore di quanto ha acquisito e indichi il prossimo passo di miglioramento.

La valutazione formativa prevede un posto decisivo, e quindi non opzionale, all’autovalutazione e quindi allo strumento del Portfolio personale dell’allievo, inteso come strumento della sua riflessione e comunicazione e fonte primaria dei suoi progressi. Il portfolio è il documento chiave di un’autentica valutazione in cui ogni allievo, tramite una presa in carico del proprio cammino formativo ben documentata, narrativa e riflessiva, possa capire, e far capire a tutti, chi è, da dove viene e dove vuole andare. Il Portfolio viene da lui arricchito documentando le esperienze più significative via via svolte e per mezzo dell’esplicitazione del valore dei benefici acquisiti. Offre quindi una chiara lettura della sua vita formativa, compresa quella svolta all’esterno della struttura formativa, purché pertinente con il curricolo e rilevata in modo appropriato[1], ed offre sia le evidenze che ne attestano la preparazione professionale sia la descrizione delle capacità e maturazioni che sente di aver acquisito e delle decisioni che sono scaturite da questa esperienza di crescita. Il Portfolio è strettamente legato al valore della riflessività la cui acquisizione da parte degli allievi richiede la capacità di combattere la frenesia della nostra cultura che spinge a dissociare cuore e mente, enfatizzando la performance e distogliendo le persone dal sentire autentico, motivo per cui essi rischiano di vivere il trascorrere del tempo nella scuola come un continuo passaggio da un’ora all’altra senza avere il tempo di assaporare il gusto e di godere della saggezza di quanto apprendono. Il portfolio diventa strumento di riflessione e di riconquista del proprio operato. Per una maggior consapevolezza del risultato ottenuto, nelle scuole dovrebbero essere creati momenti e spazi dedicati a questa importante fase. Un mindset corretto aiuterà i giovani a comprendere il cambiamento e a gestire nel modo migliore le emozioni senza esserne travolti. A sostegno di una scrittura personale significativa del portfolio saranno opportune attività di “riflessione su di sé” riscoperte come strumento di introspezione, autoconoscenza e self-improovement, da sempre appartenuto anche alla nostra cultura occidentale ma dimenticato o sconosciuto, e che oggi risulta indispensabile “quanto l’aria che respiriamo”. È bene intercalare il cammino della classe con momenti di debriefing, riflessione e confronto sul punto del cammino in cui ci si trova, per dare modo agli studenti di assaporare le conquiste, comprendere le sconfitte e rielaborare le proprie strategie.


Bibliografia

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Castoldi M. – V.N. Scalcione, Competenze di cittadinanza e valutazione del contesto educativo. Metodologie e tecniche didattiche generali, Anicia, Roma, 2020.
Comoglio M., La valutazione autentica. “Orientamenti Pedagogici”, 49(1), pp. 93-112, 2002.
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Giovannini F. – M. Santanicchia, Formare competenze chiave nella IeFP. Fondamenti e sperimentazione di un dispositivo di valutazione formativa, INAPP, Roma, 2021.
Spaemann R., Persone. Sulla differenza tra “Qualcosa” e “Qualcuno”, Laterza, Bari, 2016.
Ocse, The Future of Education and Skills 2030, OECD, Paris, 2018.
Wiggins G.P., Assessing Student Performance: Exploring the Purpose and Limits of Testing, Jossey-Bass Publishers, San Francisco, 1993.


Autore
Dario Eugenio Nicoli Docente di Sociologia economica, del lavoro e dell’organizzazione presso la facoltà di Scienze della formazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia.

 


[1] In alcuni casi, è utile che l’insegnante, d’intesa con il coordinatore della classe, entri in contatto con figure di adulti che concorrono alla formazione dell’allievo all’esterno dell’organismo formativo, come il tutor di un organismo in cui si svolgono attività PCTO, l’insegnante di musica o di danza, l’istruttore sportivo, il coordinatore del gruppo di animatori delle attività estive rivolte vai ragazzi.


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