Per qualità personali si intendono le “disposizioni interne stabili” (Pellerey 2017) che si manifestano come stile con cui la persona si pone nei confronti della realtà e degli altri, dei compiti che è tenuta ad assolvere sapendosi destreggiare tra routine e fronteggiamento di situazioni sfidanti e impreviste. Ma specialmente come modo di gestione delle crisi che incontra nel suo cammino. Si parla di qualità stabili, in quanto non sono l’esito di un mero adattamento al mondo esterno, ma risiedono nel nucleo interno della persona come qualità unitarie, di cui normalmente il soggetto è consapevole tanto da associarle a delle buone ragioni che ne chiariscono il valore. La grande rilevanza assunta dalle qualità personali, specie nella formula delle , rivela la comparsa di un fenomeno tipico delle epoche liminali, ovvero la perdita di convinzione interiore della norma e dei ruoli formali, associata alla diffusione di un modo minimale di esercizio del ruolo connotato da scarso investimento soggettivo. Siamo in un tempo di anomia, non intesa nel significato di assenza assoluta di regola, bensì di una particolare fragilità dell’identità personale e del legame sociale causata dall’instabilità dell’ordinamento e dei modi di vita, che provoca nelle persone un senso di minaccia ed uno stato di incertezza, due fattori che rendono l’individuo particolarmente vulnerabile. Di fronte a questo profondo mutamento dell’habitus sociale, le istituzioni – dell’, del , della vita civica – reagiscono con la domanda di interventi riparativi che spiovono quasi sempre sullo strumento della con intenti che rivelano in prevalenza un’idea meccanicistica (come aggiungere alle competenze di base e professionali anche quelle soft) o strumentale (dotare i lavoratori di requisiti che le ricerche hanno dimostrato essere rilevanti per il successo economico). L’insuccesso di queste risposte poco meditate ha imposto una riflessione potenzialmente molto feconda sul senso dell’agire umano, sul nesso tra individuo e organizzazione, sulle ragioni del malessere e sulle caratteristiche dei contesti in cui le persone possono sentirsi accolte e protette, e svolgere serenamente il proprio compito. Per comprendere a cosa ci si riferisce con l’espressione qualità personali, occorre procedere per esclusione, in modo da afferrare meglio la consistenza di questa entità chiamata stile, un’espressione che può risultare vagamente sospetta per chi si muove entro i confini del razionalismo formale, abituato a considerare solo fenomeni che possano essere quantificabili ed a concepire il mondo umano come una composizione di varie sfere di vita autonome, in ognuna delle quali i soggetto persegue valori molteplici e distinti. Esistono infatti molteplici classificazioni dai diversi nomi (soft skill, , non cognitive , life skill…), la cui varietà pone la necessità di delimitare innanzitutto il campo proprio delle qualità personali, escludendo i quattro riduzionismi più frequenti: a) porre l’accento su una parte (es.: “intelligenza emotiva”) piuttosto che sul tutto dell’intelligenza umana; b) identificarle come una funzione (“capacità comunicative”) e non con ciò che muove il soggetto a mobilitare le proprie funzioni; c) assimilarle ad un comportamento (“cordialità”) piuttosto che al carattere; d) ridurle ad una capacità strumentale che porta il soggetto a produrre una performance positiva (“risoluzioni dei problemi”) piuttosto che sui dinamismi della volontà e del giudizio. Un importante aiuto nella ricerca della natura delle qualità personali ci viene da Peterson e Seligman (2004) i quali propongono sei punti di forza della persona, intesi come requisiti guida nell’educazione del carattere proprio di persone capaci di soddisfazione intrinseca e quindi di felicità: Saggezza e conoscenza, Coraggio, Umanità ed amore, Giustizia, Temperanza, Trascendenza (o spiritualità). Essi parlano esplicitamente di virtù, così come Gardner (2001) che, nel definire quelle rilevanti nel secolo che stiamo vivendo, giunge ad indicarne tre: Verità, Bellezza, Bontà. La nozione di virtù ci aiuta a fare un passo in avanti, ma allo stesso tempo ci chiede di non assumere termini che sconfinano in valori troppo generali, preferendo quelli che offrono un legame con “situazioni significative e reali” del vivere, in cui è possibile cogliere il possesso di tali qualità da parte del soggetto agente. Per trovare una via d’uscita dagli effetti dell’attuale bulimia classificatoria che confonde e disorienta, risulta maggiormente d’aiuto ricorrere alle competenze di cittadinanza europea, definite “trasversali” in riferimento al loro non essere riducibili ad un campo disciplinare e neppure interdisciplinare: personale, sociale e capacità di imparare a imparare; competenza in materia di ; competenza imprenditoriale; competenza in materia di consapevolezza ed espressione culturali. Si tratta di una classificazione condivisa a livello europeo e quindi assunta entro gli ordinamenti nazionali, strutturata in modo ordinato e sufficientemente uniforme. Ma è anche una classificazione che si riferisce a qualità incorporate non contesto reale: queste competenze, infatti, sono riferite ad un soggetto impegnato entro un’azione il cui esito positivo riveste valore per gli altri e per sé, mosso a ciò da una spinta interiore che lo conduce ad agire in vista di uno scopo buono, generata da un sistema di valori e buone ragioni che ne orienta l’esistenza. Le relazioni tra le virtù sottese a tale concezione delle competenze trasversali (apertura al mondo e all’altro, dedizione al mondo comune, passione e impegno nel “lavoro ben fatto”, fortezza e perseveranza, solidarietà) ed i compiti concreti in cui il soggetto è ingaggiato, indicano i fattori ed i legami che consentono di far emergere le qualità personali dei soggetti coinvolti entro un contesto di formazione, di lavoro o di vita civica. Nel considerare il modo in cui si formano tali qualità personali, occorre evitare di cadere nella trappola dell’opposizione tra innatisti e costruttivisti. Nel la persona assorbe una disposizione di fondo rispetto al reale ed a sé, ma ciò non avviene in modo univoco: le differenze di personalità tra i fratelli mostrano come ogni persona, assieme al suo nome, riceve un’impronta unica, che traduce secondo i tratti del proprio carattere. Quindi la stessa disposizione di fondo assunta alla famiglia viene interpretata da ciascuno dei figli secondo una propria modalità che riflette la peculiarità del suo mondo interiore. Su questa impronta di base intervengono le esperienze a cui la persona prende parte nel corso della vita, tramite relazioni significative con altri con cui condivide pratiche di varia natura (scolastiche, associative, professionali, legate ai propri interessi…); ciò avviene soprattutto secondo la dinamica dell’ sociale che opera sull’io in forza dell’osservazione ed all’interiorizzazione dei comportamenti di figure significative, in quanto ciascuno è attratto da coloro che possiedono caratteristiche e qualità corrispondenti alle proprie attese circa il tono del suo porsi nel mondo; in tal senso si può dire che l’apprendimento sociale sollecita una migliore comprensione di sé e rende più chiaro l’identificazione del compito maggiormente espressivo della propria peculiarità. È questo il modo naturale in cui la persona acquisisce le qualità personali degli altri io significativi, venendone arricchita per simpatia piuttosto che per apprendimento o modellamento. Ma questo processo di interiorizzazione trasformativa della personalità avviene anche per effetto dello spirito del tempo, che nell’epoca che stiamo vivendo prede forma dalla “cultura dell’io”, un modo unilaterale e problematico di concepire il rapporto tra lil soggetto ed il mondo esterno che ha indebolito l’etica del dovere nei vari contesti, familiare, formativo, lavorativo, sostituita da una eccessiva considerazione dei propri stati d’animo e del proprio star bene psichico. L’effetto sulle qualità personali di questo clima culturale è indubbio; probabilmente non accentua il narcisismo, un tipo di disposizione nel mondo che necessita di un carico importante di autostima, una “merce” oggi decisamente rara; piuttosto, l’epoca che viviamo, caratterizzata dalla mancanza di punti di riferimento per il vivere sociale e personale a causa dell’accelerazione della continua decostruzione del mondo della tradizione, funziona come un freno all’apertura del soggetto verso l’esterno, poiché a causa del vuoto di riferimenti morali stabili le esigenze dell’anima non trovano soddisfazione. Infatti, il continuo cambio dello scenario in cui si svolge il “gioco sociale” è un fattore distruttivo perché rende incerti i rapporti con gli altri, impone un continuo riposizionamento dell’io con il pericolo di modificare ciò che essi “pensano di me”. Essendo tutti noi esseri sociali, ed insieme incapaci con le nostre sole forze di venire a capo dell’enigma del nostro io, ci affidiamo agli altri per poterci orientare nell’esistenza, ma se le relazioni diventano instabili e provvisorie e se gli altri cambiano i segnali nei nostri confronti, allora io perdo la mia identità. Quindi, si potrebbe dire che la cura dell’equilibrio del proprio io e la premura che dedichiamo a difendere ciò che siamo dai cambiamenti delle relazioni e delle opinioni, rappresentano qualità personali della postmodernità. E lo è anche, sul versante positivo, la ricerca di autenticità della mia esistenza, ingaggiandomi entro ruoli in cui possa essere più me stesso, protetto dal caos esteriore come pure dalla fragilità interiore. Cura dell’io e ricerca di ruoli improntati alla pienezza, sono due qualità personali che assumono un’importanza speciale nei periodi di grandi e continui cambiamenti e non vanno confuse con la “passioni debilitanti” che per Alexis de Tocqueville corrispondevano al desiderio di arricchirsi ad ogni costo, alla passione degli affari, all’avidità di guadagno, alla ricerca del benessere e dei godimenti materiali, contrapponendole alle antiche passioni nobili quali lo spirito di indipendenza, l’amore delle cose grandi, la fede in se stessi e in una causa (Tocqueville 2011, pp. 30-31). Bibliografia Ajello A.M., Non cognitive skills: anche ad essere si impara (se si insegna), Scuola7, n. 279, 10 aprile, 2022; https://bit.ly/45fcv0D (ultimo accesso dicembre 2024). Chiosso G. - Poggi A.M. - Vittadini G. (cur.), Viaggio nelle character skills. Persone, relazioni, valori, Il Mulino, Bologna, 2021. Gardner H., Verità, bellezza, bontà, Educare alle virtù nel ventunesimo secolo, Feltrinelli, Milano, 2021. Giovannini F. – M. Santanicchia, Formare competenze chiave nella IEFP. fondamenti e sperimentazione di un dispositivo di valutazione formativa, INAPP, Roma, 2021. Heckman J. – T. Kautz, Formazione e valutazione del capitale umano. L’importanza dei “character skills” nell’apprendimento scolastico, Il Mulino, Bologna, 2016. Pellerey M., Soft skill e orientamento professionale, CNOS-FAP, Roma, 2017. Perrenoud P., Quando la scuola ritiene di preparare alla vita, Anicia, Roma, 2016. Peterson C. - M.E.P. Seligman, Character strengths and virtues: A classification and handbook, Washington, APA, 2004. Ricoeur P., Sé come un altro, Jaca Book, Milano, 2016. Tocqueville A., La democrazia in America, Rizzoli, Milano, 2011.
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