Il termine ‘didattica’ ha origine dalla parola greca διδάσκω (didaskein), che indica l’azione di insegnare e di mostrare, derivante a sua volta dalla radice indoeuropea dak- che significa ricevo, approvo, raccolgo. Il termine fa riferimento, dunque, a tutto ciò che può essere ricondotto sia all’insegnamento, sia all’: da didaskein, infatti, derivano anche i termini latini doceo, insegno, e disco, imparo. La didattica nasce, quale sapere autonomo, nel XVII secolo con la pubblicazione dell’opera Didactica Magna di Comenio, nella quale l’autore fornisce una definizione di didattica quale docendi artificium, arte dell’insegnamento: Comenio elabora una proposta di un percorso educativo fondato su precise scansioni temporali, idonei strumenti metodologici, adeguati contenuti, un percorso in cui la scuola emerge come istituzione privilegiata per la trasmissione delle e la formazione delle nuove generazioni. Durante l’Illuminismo si assiste a un profondo rinnovamento della didattica ad opera di Rousseau (1712-1778) che sostiene la necessità di rispettare lo sviluppo biologico dell’essere umano: l’educatore/insegnante deve intervenire sull’ambiente per offrire stimoli idonei allo sviluppo spontaneo e naturale della persona a seconda dell’età. Il pensiero rousseauiano è ripreso da Pestalozzi (1746-1827) che propone interventi didattici secondo obiettivi individualizzati che tengano conto dello sviluppo naturale dell’essere umano. Il suo metodo viene ulteriormente formalizzato da Herbart (1776-1841), sottolineando la gradualità dell’apprendimento e l’importanza non solo dell’istruzione, ma anche del governo (il controllo per il mantenimento dell’ordine) e della disciplina (l’adeguamento dei propri comportamenti). Per trovare una definizione di didattica possiamo riprendere quella di Comenio e connotarla ulteriormente come “scienza e arte dell’insegnamento”, evidenziando che didattica e insegnamento non sono sinonimi poiché la prima si riferisce alle conoscenze relative all’insegnare, la seconda all’atto di insegnare. La didattica è una disciplina che, in tempi recenti, è stata soggetta a diversi mutamenti sul piano dei significati e delle procedure operative. È possibile delineare quelle che sono oggi considerate le fasi “storiche” della didattica in Italia: la visione positivista, affermatasi nella seconda metà dell’Ottocento, vedeva la didattica quale protagonista del come traduzione tecnica, strutturata e prescrittiva, di come insegnare (ed è un fiorire di guide, manuali, eserciziari); la visione idealista, in Italia rappresentata dalla Riforma Gentile, nella prima metà del Novecento, negava l’importanza della didattica, identificando la formazione dell’insegnante con la sua preparazione umana e culturale. Queste due visioni opposte influenzano tuttora il dibattito sui temi dell’ nel nostro Paese, soprattutto nel linguaggio comune: ancora oggi la formazione iniziale degli insegnanti, soprattutto nella scuola secondaria e all’università, così come la formazione dei formatori nei centri di , spesso non prevede percorsi di didattica, poiché si attribuisce maggiore importanza ai contenuti e alla possibilità di fare direttamente sul campo oppure di affidarsi a “ricettari” che esemplifichino come insegnare. Diversamente, nel contesto internazionale la formazione degli insegnanti comprende sia aspetti di didattica generale, sia di didattica disciplinare, sia dell’apporto di altre discipline pedagogiche, oltre che dei saperi disciplinari. In ambito internazionale, sempre nella prima metà del Novecento, la riflessione si sposta ancora di più sul soggetto che apprende grazie al movimento pedagogico dell’educazione attiva o progressiva: Dewey (1859-1952) ne è il principale rappresentante e sostiene che l’apprendimento deve partire da esperienze concrete e attive dei discenti, non da modalità passive e trasmissive di conoscenza. L’autore promuove una didattica induttiva che dall’osservazione di fenomeni, fatti, eventi o esperienze particolari risale a principi o leggi generali, focalizzandosi sul processo di apprendimento e facilitandolo (attraverso stimoli, occasioni di confronto, etc.). Molto importante risulta essere anche il learning by doing, l’imparare facendo che tuttora, con la didattica laboratoriale, è una delle metodologie didattiche attive più utilizzate in quanto consente ai discenti di verificare le conoscenze e le competenze disciplinari acquisite grazie all’operatività e al dialogo. Le teorie di Dewey furono riprese e approfondite da diversi autori (in Italia da Montessori) e applicate anche alla didattica degli adulti (da Kolb, Knowls e Jarvis, per citarne solo alcuni) e risultano ancora oggi valide. Negli ultimi 60 anni, inoltre, il sapere didattico ha subito profonde trasformazioni, a partire dall’estensione del suo campo, contraddistinto inizialmente dal solo insegnamento scolastico e ampliato al campo dell’educazione non formale (scoutismo, ambiente religioso, ambiente sportivo, educazione ambientale, ecc.), per arrivare alla specificazione dell’oggetto della didattica a seconda del sapere e delle discipline trasmesse (le didattiche disciplinari) e alla moltiplicazione di metodologie didattiche. È in questo contesto che la didattica è una vera scienza dell’educazione, che non prescrive e non modellizza in maniera dogmatica, ma propone una riflessione continua su strategie, metodologie, strumenti, intrecciandosi con le altre scienze dell’educazione. La didattica tradizionale aveva fondato le sue radici nel rapporto tra teoria e azione, un rapporto di tipo gerarchico che relegava l’insegnante al ruolo di ‘esecutore’; oggi, la relazione tra teoria e azione assume una forma circolare, ricorsiva. Tutte le situazioni didattiche richiedono risposte differenti; per questo è necessario conoscere le molteplici metodologie didattiche e gli strumenti per poter scegliere quelli più opportuni ed efficaci in base al contesto, ai soggetti in situazione di apprendimento, agli obiettivi, ai tempi. In questo senso, la didattica è ricerca e l’insegnante/educatore/formatore è un ricercatore: la didattica ha il compito di fornire strumenti di comprensione al docente che diventa produttore di un sapere autonomo a partire dalla riflessione sulla propria esperienza. Non esistono modelli didattici universalmente validi, ogni situazione didattica è differente ed è necessario che sia messa in relazione con il contesto in cui si attua. Ugualmente la didattica non implica una teoria che precede o acquisisce più importanza della pratica: teoria e pratica dialogano tra loro nell’azione di insegnamento-apprendimento, azione che è intenzionalmente formativa e che si fonda sulla relazione, sull’interazione tra chi apprende (dal bambino all’anziano) e gli oggetti di apprendimento (conoscenze, aspetti affettivi e sociali). La didattica “trasforma in azione la riflessione sui processi educativi e culturali per ritornare a essa in un circolo in cui l’una continuamente rinvia all’altra” (Cerri, 2007, p.19). La didattica e i suoi sviluppi Date queste premesse, risulta evidente che, chi si occupa di educazione in contesti formali (scuola, centri di formazione professionale e università) e non formali (associazionismo, volontariato, ambito lavorativo, etc.) debba essere esperto di didattica: la scienza e l’arte di insegnare implicano non solo una solida conoscenza dei contenuti, ma anche di come facilitare e motivare l’apprendimento di tali contenuti, tenendo conto delle variabili che intervengono nel processo educativo e delle conoscenze pregresse dei discenti. La didattica generale si occupa dei processi di apprendimento-insegnamento in relazione alle diverse fasce di età (dall’infanzia all’età adulta) ricercando metodologie, strategie e modelli valutativi adeguati nei diversi contesti e attraverso i cambiamenti sociali, storici e culturali. La didattica, quindi, non è una scienza statica, ma proprio perché entra in relazione con un mondo in cambiamento e con le sfide che la società ci pone è in continuo divenire. La ricerca connessa alla didattica diventa così strumento per la gestione del cambiamento e per promuovere una didattica innovativa come rielaborazione continua della propria azione didattica orientata al miglioramento. I docenti, i formatori, gli educatori, pertanto, sono invitati alla di un’azione didattica innovativa dal punto di vista metodologico-disciplinare e, in tal senso, la ricerca si rivela un elemento utile al miglioramento e potenziamento dell’offerta formativa, all’ottimizzazione dell’insegnamento e, soprattutto, a pratiche riflessive. Fare ricerca non significa soffermarsi sullo studio e sulla definizione di prassi teoriche, quanto riflettere e porsi domande, osservare e interpretare la propria azione didattica, per poi agire sul contesto. Diventa necessario, dunque, pianificare, formulare ipotesi progettuali, scegliere i metodi e gli strumenti di , agire, raccogliere ed elaborare i dati rilevati alla fine di tale indagine esplorativa e, una volta realizzato quanto prefissato, condividere il proprio risultato con i colleghi, anch’essi coinvolti nel processo di ricerca-azione. Il docente riflessivo, secondo gli studi di Schön, è un professionista che necessariamente deve adottare pratiche riflessive per poter governare la complessità, riuscendo a far emergere i dubbi, le difficoltà, gli imprevisti dell’azione didattica. La riflessività è una condizione necessaria affinché l’esperienza produca apprendimento: «Il dialogo costante tra contesto e attori richiede una razionalità riflessiva capace di “dare senso” al cambiamento, di riconoscerlo, di interpretarlo e di produrre apprendimento. [...] Ciò che emerge è la centralità del rapporto tra riflessione e azione di cambiamento, in quanto aspetti complementari di un unico processo» (Castoldi, 2010, pp. 25-26). A ricerca e riflessione va aggiunta la documentazione, che aiuta a tenere traccia del lavoro dell’insegnante/educatore e del gruppo insegnanti/educatori, dei progressi di ogni discente e dell’intero gruppo, dei cambiamenti, ma anche delle difficoltà. La documentazione diventa così uno strumento che stimola il confronto, favorisce l’interscambio, la condivisione di esperienze tra le diverse comunità educative (scolastiche e non), aiuta a superare l’autoreferenzialità tipica di ogni istituzione, promuovendo piuttosto lo sviluppo di modalità cooperative e metodologie di lavoro comuni, finalizzate a una vera e produttiva crescita della società. La documentazione non deve essere solo una pratica che va ad aggiungersi ad altre che già fanno parte del bagaglio del docente, ma può risultare un investimento, uno strumento che permette di avere come ritorno informazioni e stimoli che facilitano il compito, il lavoro di tutte le professionalità coinvolte. In quest’ottica, dunque, la documentazione può e dovrebbe essere considerata una risorsa per avviare, sviluppare e realizzare attività didattiche nelle organizzazioni; un “valore aggiunto” se essa viene considerata secondo la molteplice prospettiva del discente, del docente, dell’istituto e del sistema. La documentazione diventa risorsa quando riesce a coniugare tutte queste dimensioni e realizzare così un progetto; quando riesce a porre le premesse per la circolarità, aiutando a monitorare costantemente i percorsi proposti, stimolando la riflessione sulle esperienze fatte ed eventualmente dando un giudizio critico sull’efficacia delle proposte. La documentazione serve inoltre per accompagnare il lavoro del docente al fine di farne emergere gli aspetti di originalità e di unicità delle proprie attività. Proprio su questo diventa indispensabile confrontarsi tra colleghi, trovare sollecitazioni, scambiarsi opinioni, riflettere insieme per promuovere una costante autoformazione. Questo proprio perché il sapere che si produce dall’interrogazione sul senso del proprio agire non si esaurisce una volta terminata un’attività, un’esperienza, un percorso o un progetto, ma piuttosto diventa molla per il cambiamento. Accanto ai temi della ricerca, della riflessione e della documentazione, possiamo aggiungere le tre dimensioni che caratterizzano la didattica generale: quella metodologica, relazionale ed organizzativa. La dimensione metodologica rappresenta la mediazione messa in campo dal docente tra il sapere, il contenuto culturale e il soggetto in situazione di apprendimento, ovvero quell’insieme di metodologie didattiche che dovrebbero integrarsi a vicenda e che dovrebbero sempre essere pertinenti al contesto e agli obiettivi dell’azione didattica. Le metodologie didattiche vengono classificate in base al controllo richiesto al docente e al discente, al grado di strutturazione del materiale fornito dal docente, alle interazioni previste (docente-discente, discente-discente, discente-sistema). Ad esempio, la lezione tradizionale è una metodologia di tipo ricettivo-trasmissivo controllata e strutturata dal docente e con interazione scarsa o assente; l’ è una metodologia di tipo comportamentale controllata e strutturata dal docente con un’interazione continua docente/discente, e il formatore ha quindi un ruolo di coaching nel fornire feedback all’allievo che si appresta al lavoro dopo aver osservato il docente e nel ridurre progressivamente il sostegno all’allievo; il cooperative learning è una metodologia di tipo collaborativo con un ampio controllo da parte del discente, una strutturazione variabile e una forte interazione tra discenti. La dimensione relazionale rappresenta la strutturazione della educativa tra docente e discente, la dinamica relazionale che si instaura nell’azione didattica che comprende il comportamento verbale e non verbale, la gestione della relazione, il clima di classe/gruppo, la valorizzazione dell’apporto dei singoli e del gruppo, lo stile di conduzione dell’insegnamento, i linguaggi utilizzati, l’ascolto attivo, l’empatia. La dimensione organizzativa, infine, rappresenta il setting formativo entro cui si svolge l’azione didattica, sia rispetto alla strutturazione dello spazio fisico, sia alla gestione del tempo e delle regole (che possono variare in base alle attività e agli ambienti di apprendimento), sia agli attori coinvolti nel processo formativo (docente/formatore, docenti/formatori, discenti, insegnante di sostegno, educatore, personale esterno, …). Il setting deve essere isomorfo al processo didattico, cioè non solo è necessario che vi sia una reciproca corrispondenza e compatibilità tra le caratteristiche del processo didattico e gli strumenti offerti dall’ambiente in cui si inserisce, ma che l’ambiente sia esso stesso un “suggeritore” di azioni didattiche. Nel modo in cui esso è progettato, arredato e allestito veicola determinati significati rispetto alle relazioni fra gli attori che ospita (tra discenti, e tra discenti e docente) e riguardo al modello di insegnamento/apprendimento attuato. Queste tre dimensioni sono interconnesse e interdipendenti: l’azione didattica, infatti, deve essere necessariamente caratterizzata da un approccio sistemico e la scelta di una determinata metodologia didattica presuppone adeguate scelte in ambito organizzativo e relazionale. Ciò che è importante è che il docente sia consapevole delle variabili che entrano in gioco nell’azione didattica e progetti i propri interventi formativi tenendo conto di questa complessità e delle relazioni tra le diverse variabili. Quanto esposto finora rappresenta l’ambito degli studi sulla didattica generale: questa scienza si articola in differenti settori rispetto agli oggetti di studio. Possiamo individuare tre macroaree di riferimento: didattica disciplinare, relativa al modo di insegnare le diverse discipline (didattica della matematica, didattica dell’italiano, didattica della lingua inglese, etc.); didattica speciale, che si rivolge a soggetti in situazione di svantaggio socioculturale, di , di , di devianza, di marginalità affinché questi diventino autonomi nel pensiero e nell'azione; didattiche specifiche, relative ad alcune aree, destinatari, ambiti con una propria specificità (didattica universitaria, didattica extrascolastica, didattica L2, didattica museale, etc.). Il campo delle didattiche disciplinari è molto vario e mette alla prova il quadro teorico della didattica generale traducendolo in azioni di insegnamento- per una specifica disciplina: è pur vero che nel contesto italiano, ancora una volta, non hanno potuto contare su un assetto istituzionale della ricerca riconosciuto e definito, al punto che la ricerca accademica non si occupa delle didattiche disciplinari a tutti i livelli dell’istruzione. Quello che, invece, accade, ed è comunque un fenomeno rilevante nell’ambito della didattica, è che le didattiche disciplinari si sviluppano anche come sapere emergente dalle pratiche sociali di riferimento della comunità degli insegnanti e in relazione allo sviluppo di nuove discipline nei curricoli, alla legittimazione di modelli di insegnamento, ai cambiamenti legati alla formazione iniziale e continua degli insegnanti, fornendo nuove occasioni di crescita e di definizione del campo di studi e ricerca delle didattiche disciplinari. Va anche sottolineato che, soprattutto in ambito scolastico, assume sempre più importanza l'idea di una didattica che superi la parcellizzazione del sapere disciplinare a favore di un approccio pluri o interdisciplinare ovvero delle interconnessioni tra i saperi stessi: in questo contesto, ad esempio, assume rilevanza una didattica modulare, molto utilizzata nell’ambito della , che progetti l’intervento didattico in maniera flessibile e strutturata, attraverso moduli che facciano emergere l'impianto strutturale della disciplina e la sua struttura reticolare, quindi connessa alle altre discipline, e che consenta una certificazione di conoscenze, abilità e competenze maggiormente condivisibile all’interno del curricolo. Allo stesso modo, la didattica integrata propone percorsi che integrano area umanistica e area scientifica promuovendo competenze trasversali di . Anche in questo caso si tratta di percorsi formativi scolastici che superano la didattica disciplinare a favore di un potenziamento del pensiero critico e delle pratiche comunicative, argomentative e deliberative attraverso l’introduzione di una didattica per problemi e per competenze. La didattica speciale nasce nell’ambito della pedagogia speciale per rispondere ai bisogni educativi dei soggetti più fragili, partendo dall’idea promossa da Itard (1775-1838), al tempo rivoluzionaria, che tutti i soggetti fossero educabili. La didattica speciale studia le metodologie specifiche, le tecniche peculiari che consentono di rispondere ai bisogni di tutti e di promuovere, facilitare e motivare l’apprendimento di tutti. In questi ultimi anni, inoltre, si preferisce parlare di didattica inclusiva sia in contesti formali, sia non formali come prospettiva non riservata più ai soli specialisti di pedagogia speciali, ma a tutti gli insegnanti, educatori, formatori. La prospettiva inclusiva, infatti, è pensata per andar oltre la didattica e la programmazione tradizionale, per lasciare ad ogni discente la possibilità di inserirsi in maniera attiva e di esprimere sé stesso. Nei contesti educativi diventa necessario includere tutti e tutte, non solo chi presenta difficoltà specifiche, e sempre più queste contesti sono complessi e ricchi di diversità. Promuovere l’ non significa porre attenzione sulle fragilità del singolo, ma modificare i contesti educativi affinché questi diventino accessibili per tutti. La didattica inclusiva intende promuovere un cambiamento sistemico con lo scopo di rimuovere tutte le barriere che escludono e/o discriminano. Il campo delle didattiche specifiche, infine, mette in relazione la didattica generale con ambienti di apprendimento specifici, riuscendo quindi a coniugare le istanze della didattica generale con gli obiettivi, le peculiarità, il target, gli spazi e I tempi di tali ambienti. Negli ultimi anni il tema dell’innovazione ha accompagnato lo studio e la ricerca in tutti gli ambiti della didattica, intesa non tanto (o non solo) come utilizzo di strumenti nuovi (ad esempio quelli digitali) ma soprattutto come pratiche didattiche. Tra queste possiamo inserire quella della flipped classroom o classe capovolta, una modalità didattica in cui le tradizionali sequenze di lavoro vengono ribaltate. Lo studio, attraverso video e materiali preparati dal docente, viene svolto a casa, mentre il tempo insieme e in presenza è dedicato ad approfondimento ed esercizi svolti sotto la guida del docente stesso. La didattica a distanza Merita un ulteriore approfondimento il tema dell’e-learning, inteso non più e non solo come formazione a distanza, ma come apprendimento che si avvale delle tecnologie secondo modalità e strategie differenti. L’e-learning ha attraversato diverse fasi, seguendo le evoluzioni tecnologiche e i cambiamenti sociali. Dalla formazione per corrispondenza ai personal computer, fino all’avvento del web 2.0 e alla diffusione del mobile learning e dei social network: oggi potenzialmente l’apprendimento è liquido e diffuso, la separazione tra reale e virtuale, tra digitale e analogico non ha più senso e la didattica raccoglie le sfide della dove le competenze digitali rientrano tra le competenze chiave di cittadinanza, quelle che ogni cittadino dovrebbe possedere nell’ottica del life long learning, l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita. La recente pandemia da covid-19 ha consentito di rilanciare il dibattito sull’uso delle tecnologie in ambito educativo: pur se in una situazione di emergenza, durante la quale siamo stati tutti costretti ad adattarci a modalità di insegnamento e apprendimento diverse da quelle consuete, in tutti gli ambiti e a tutte le età, la didattica a distanza - DAD è stata la modalità formativa prevalente, se non esclusiva, durante il lockdown, mentre la didattica digitale integrata – DDI ha accompagnato il periodo successivo in cui per il rischio contagi e i numerosi casi di positività il Ministero dell’Istruzione ha emanato le Linee guida per la didattica digitale integrata contenenti le indicazioni perché ogni scuola, nel rispetto dell’autonomia scolastica, si dotasse di un piano per individuare criteri per riprogettare le attività didattiche in caso di nuove chiusure totali o relative ad alcune classi o gruppi di alunni, integrando la didattica in presenza e a distanza, tramite piattaforme digitali. La didattica digitale integrata ha previsto un equilibrio coerente nella di momenti di formazione sincrona e momenti di formazione asincrona. In questo modo, alunni assenti per periodi prolungati di quarantena oppure l’intera classe, che per motivi sanitari era impossibilitata a frequentare la scuola in presenza, poteva continuare il normale svolgimento delle attività didattiche, anche se con modalità differenti. Quelle più utilizzate sono state forme alternate presenza-distanza sincrone (tutti i discenti seguono la lezione in contemporanea in diretta streaming, una parte in presenza e una a distanza); forme alternate presenza-distanza asincrone con una parte di classe in presenza a seguire le lezioni e una parte impegnata in attività complementari asincrone; forme in modalità mista con l’intera classe alcuni giorni in presenza e altri a distanza; forme totalmente a distanza, con tutta la classe a casa. In questo contesto, per gli studenti con disabilità è stata privilegiata la didattica in presenza. Nonostante le difficoltà e le resistenze di tanti insegnanti, è indubbio che la DDI rimane una modalità che potrebbe essere impiegata anche al di là di emergenze sanitarie, ad esempio con studenti ospedalizzati o costretti a periodi di immobilità in casa, o ancora in contesti isolati. Bibliografia Bonaiuti G. – Calvani A. - Ranieri M., Fondamenti di didattica. Teoria e prassi dei sistemi formativi, Roma, Carocci, 2016. Castoldi M., Didattica generale, Milano, Mondadori Università, 2010. Cerri R. (a cura di), L’evento didattico. Dinamiche e processi, Roma, Carocci, 2007. Lucisano P. - Salerno A. - Sposetti P. (a cura di), Didattica e conoscenza. Riflessioni e proposte sull’apprendere e l’insegnare, Roma, Carocci, 2013. Nigris E. - Teruggi L.A. - Zuccoli F. (a cura di), Didattica generale, Milano-Torino, Pearson, 2016. Schön D.A., Il professionista riflessivo, Bari, Dedalo, 1993.

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