Per formazione si intende il processo posto concretamente in atto affinché la persona, acquisendo saperi, competenze e stili di vita, possa prendere consapevolezza di sé e dare forma compiuta alla sua presenza nel mondo, per perfezionarla lungo tutto il corso della sua vita in riferimento al lavoro svolto, alla vita civica, al perseguimento dei propri interessi. Nella prima stagione in cui si è manifestata, la “questione della formazione” ha alimentato per diversi decenni un confronto piuttosto accesso sia a livello accademico sia tra le figure impegnate concretamente nel progettare, gestire e valutare attività formative. Gli esponenti della concezione scientifica della formazione muovevano da una critica nei confronti del termine così com’era proposto dalle teorie pedagogiche tradizionali in quanto era considerato troppo generico, impregnato di teorie spiritualiste superate, appesantito da un intento moralistico, fondato su una prospettiva scuola-centrica e quindi riferito esclusivamente al bambino e al fanciullo, infine poco rigoroso dal punto di vista metodologico. Essi proponevano una concezione razionale e neutrale del fare formazione centrata sulla nozione di , sulla varietà degli ambiti della sua applicazione, ma con preferenza per la figura dell’adulto (da cui ha tratto origine il grande filone della formazione permanente), sulla padronanza da parte del formatore delle quattro fasi che costituiscono il processo formativo (lettura e , , , ), con dispositivi rigorosi di formalizzazione e controllo sia dei processi di apprendimento sia del dispositivo formativo inteso come insieme di fattori cognitivi, umani, organizzativi, strumentali, finanziari che l’organismo formativo mette in campo nel perseguimento dei propri scopi. Di conseguenza, la gran parte del campo dell’azione formativa era rappresentato dalle organizzazioni di in risposta alle esigenze di aggiornamento e di riqualificazione conseguenti ai continui cambiamenti tecnologici ed organizzativi, al fine di dotare i propri collaboratori di specifiche e della capacità di adattamento ai diversi contesti in cui si trasformava l’organizzazione nel continuo sforzo di adattamento all’ambiente di riferimento. Le attività erano svolte dalla nuova dei formatori, mentre la pedagogia veniva esclusa da questa scena, preferendo ricorrere alle teorie psicologiche dell’apprendimento ed a quelle sociologiche dell’organizzazione e della gestione delle risorse umane. Successivamente a questo stagione basata sull’opposizione tra i due termini, si è entrati in una seconda fase, motivata dalla necessità di correggere alcuni effetti problematici dell’approccio formativo “scientifico”, soprattutto quelli connessi all’adozione del concetto di forma come conformazione dell’individuo alle esigenze provenienti dal contesto sociale, un «[…] involucro esteriore da sovrapporre come un calco alla materia originaria» che non tiene conto dei dinamismi interiori delle persone (Mariani 2017, 26-27). Il nuovo approccio si regge sul concetto di Bildung, un termine tedesco il cui significato può essere reso con i termini “creare” e “comporre”, in questa nuova accezione, con la quale si è voluto correggere il precedente limite funzionalistico, la formazione è intesa come atto del dare forma non nel modo dell’adattamento ad un imperativo esterno, bensì in quello della costruzione di un’opera dotata di un orizzonte di senso compiuto, così come accade al musicista ed al pittore. In questa nuova concezione, la formazione non è più posta come alternativa all’educazione, ma entra in uno stretto dialogo con essa, specie quando si afferma che il suo scopo consiste nel realizzare pienamente il senso peculiare del soggetto. In tal modo, essa non è più identificabile con l’addestramento, anche perché l’aggettivo “professionale” con cui spesso si accompagna non concepisce più il lavoro come una mera pratica in cui l’individuo, reso flessibile, muta la propria forma in base alle mutevoli esigenze della produzione, bensì come un’ di svelamento di sé, di attualizzazione delle proprie potenzialità in competenze e di inserimento significativo nel reale, in accordo con le scuole di pensiero che concepiscono il lavoro come espressione dell’io entro la storia, lungo un cammino tendente al suo compimento operoso. Questo dibattito si è svolto in concomitanza ad uno sviluppo straordinario delle offerte formative sia nell’ambito aziendale e del lavoro sia in quello del volontariato e della vita civica sia infine a quello rivolto ai singoli individui, soprattutto in risposta alle esigenze di apprendimento delle tecnologie informatiche che stavano invadendo la vita di ciascuno, ma pure ai bisogni connessi alla salute, all’ecologia, al bricolage, all’equilibrio psichico e spirituale. L’ampliamento dell’offerta formativa si è accompagnata ad una incorporazione di qualsiasi forma culturale fosse ritenuta utile a fornire ai partecipanti l’evocazione di uno dei tanti desideri dell’io inquieto del nostro tempo: il “successo” (si veda la quantità di corsi del tipo “Sviluppare una mente vincente”, “Vendere di più online” “Diventare freelancer in 30 giorni, e guadagnare bene”), il benessere fisico (alimentazione, attività fisica, posturologia…), (“l’equilibrio psichico -“Stress e benessere mentale”), la ricerca spirituale (“Mindfulness Meditation”, “Camminate dello stupore”, “Mente, corpo e anima”), in aggiunta alle culture dell’economia, del lavoro e dell’organizzazione che costituiscono il core della formazione rivolta agli adulti. Non c’è campo della vita in cui non si svolga un’attività di formazione; questo ha generato una sorta di bazar fatto di corsi, incontri ed esperienze aventi come intento la trasformazione del sistema delle competenze e dei criteri di comportamento delle persone. Ovviamente, non sono i corsi che producono il bisogno, ma semmai è vero il contrario; non è estraneo a questa enorme ed imprevista espansione formativa la condizione di isolamento che vive l’individuo del nostro tempo, ed il conseguente impulso di modellare se stesso al fine di ottenere risultati significativi, così ed ottenere la considerazione e il riconoscimento degli altri; ma è anche forte il bisogno di appartenenza ad una comunità, dette anche tribù della modernità, in cui condividere il medesimo modo di vita, sottraendosi così dallo stordimento e dalla nullificazione provocati dal caos assordante di opinioni e di comportamenti. Queste aggregazioni sono spesso basate su un credo di carattere identitario, che richiede ai suoi adepti una costante formazione così da accrescere la convinzione circa la verità di quanto viene sostenuto. Non potevano mancare, in questo vastissimo mercato, corsi che possiamo definire meta-formativi, che forniscono ai singoli individui criteri e suggerimenti per scegliere i programmi formativi più adatti alla propria personale condizione. È però decisamente improba una selezione basata sugli assunti teorici e sul rigore metodologico, in quanto gran parte dell’offerta formativa è legata alla biografia di personaggi dotati di ascendete ed affabulazione, oltre che al movente commerciale. Di fronte alla proliferazione di corsi, è necessario che ogni singolo cittadino possieda una sia pur basilare conoscenza delle metodologie formative, sapendo distinguere, anche a grandi linee, le tre correnti principali: behavioriste, cognitiviste e costruttiviste. Queste non si presentano, se non in pochi casi, allo stato puro in quanto nei contesti formativi vengono spesso utilizzate “in tutte le direzioni”, ma è possibile rilevarne le tracce nei differenti metodi, spesso classificati nel modo seguente: per progetto: è un metodo che tende a tradurre il cambiamento atteso degli individui in un dispositivo di natura tecnica e culturale scandito nelle quattro fasi di vita del progetto: concezione/avvio, pianificazione, esecuzione/implementazione e chiusura. Ciò permette di tenere sotto controllo gli avanzamenti del percorso, di effettuare interventi correttivi quando necessari, di svolgere una verifica di efficacia ed efficienza; per obiettivi: questo metodo è stato introdotto da Benjamin Bloom nella veste della “pedagogia della padronanza”, un approccio che intendeva superare la pratica dei programmi composti da una sequenza di argomenti, elaborati in anticipo ed applicati mediante un numero dato di unità didattiche; secondo l’Autore, invece, il sapere deve essere scomposto in base a gerarchie di propedeuticità dove il passaggio al modulo successivo deve essere compiuto quando i singoli discenti hanno appreso e padroneggiato efficacemente quello precedente. Da qui l’importanza delle tecniche di insegnamento e di rilevazione della padronanza, ed inoltre dell’osservazione e del feedback. Il Mastery Learning, il metodo ancora maggiormente diffuso nella scuola primaria italiana, è ispirato all’opera di questo Autore; individualizzati: questi nascono dalla critica dell’“insegnamento standard” e della concezione unidimensionale e gerarchica dell’intelligenza umana. Lo sviluppo delle ricerche sulla personalità e all’accesso al sapere ha portato progressivamente a scoprire la complessità dell’atto dell’apprendimento e la diversità con cui gli individui si pongono dentro questo processo. Allo stesso tempo, la comparsa della cultura dell’io autocentrato ha posto sotto gli occhi di educatori e formatori il fenomeno dell’incremento di eterogeneità nei gruppi classe, tanto da motivare la ricerca di soluzioni differenti da quelle basate su una formazione uniforme. Per questo motivo, la didattica differenziata è uno dei campi più prolifici dal punto di vista metodologico, poiché è sempre alla ricerca di pratiche didattiche, modalità di lavoro, costruzione di contesti ed elaborazione di supporti che sappiano meglio rispettare la singolarità di ciascuno, facendo sì che sia esso stesso soggetto del proprio . Nell’ultimo mezzo secolo sono emerse, specie da parte della psicologia cognitiva, alcune pratiche con l’intento di introdurre nei processi formativi reali un’effettiva attenzione all’allievo come soggetto di un impulso interiore orientato alla conoscenza, e non solo come destinatario delle intenzioni e degli sforzi altrui: la prima è associata alla nozione di rappresentazione: essa tiene conto del fatto che ogni persona è dotata di una immaginazione di base e di una dotazione concettuale in base alle quali elabora la propria conoscenza; i formatori sono tenuti a cogliere questa rappresentazione allo scopo di sviluppare un percorso significativo ed efficace; la seconda viene denominata awareness o consapevolezza, una capacità che «[…] serve per mantenerci costantemente aggiornati su noi stessi. È un processo continuo, accessibile in qualsiasi momento, e non un’illuminazione esclusiva o sporadica che – come l’insight – può essere raggiunta soltanto in momenti o in condizioni particolari» (Polster e Polster 1986, p. 205); la terza è connessa al formativo, uno strumento con il quale si persegue un’intesa iniziale con gli allievi del corso, che indica la situazione, i bisogni, e quindi il modo in cui si svilupperanno le loro relazioni con i formatori, entro la classe e con il sapere oggetto del corso. Il contratto impegna tutti i soggetti a conservare i ruoli così come decritti, e legittima ogni partecipante a richiedere il loro rispetto; la quarta viene associata al conflitto: è cresciuta nel corso del tempo la consapevolezza che la normalità della vita sociale non è data dall’equilibrio, ma che ogni ambito è connotato da tensioni entro cui si manifestano dei conflitti di varia natura: relazionali, connessi alle affermazioni veritative, intellettuali, politici... Questi non sono più considerati come incidenti che disturbano la naturale quiete dell’organizzazione, ma come una risorsa formativa preziosa se gestiti in modo aperto e con spirito costruttivo da tutti i partecipanti. Ciò spiega il motivo per cui la capacità di stare nei conflitti è una voce riscontrabile in molti programmi di formazione. Bibliografia: Arduini S., Scuola. Occorre tornare alla “Bildung” e alla “paideia”, Il Sussidiario, 29 agosto, 2019. Bloom B.S., Taxonomy of educational objectives, New York, McKay, 1956. Guarguaglini A. - Cini S. - Corti F. P. - Lambruschini L., Gestire gruppi in formazione. Teorie e strumenti, Erickson, Trento, 1998. Guasti L., Modelli di insegnamento, De Agostini, Novara, 1998. Lipari D., Dentro la formazione. Etnografia, pratiche, apprendimento, Guerini Next, Milano, 2017. Margiotta U., Teorie della formazione. Nuovi orizzonti della pedagogia, Carocci, Roma, 2015. Mariani A.M. (cur.), L’agire scolastico. Pedagogia della scuola per insegnanti e futuri docenti, La Scuola, Brescia, 2017. Knowles M., Quando l’adulto impara. Pedagogia e andragogia, FrancoAngeli, Milano, 2002. Perriault J., L’Accès au Savoir en ligne, Odil Jacob, Paris, 2002. Polster E. – M Polster, Terapia della Gestalt integrata. Profili di teoria e pratica, Giuffrè, Milano, 1986. Spinelli A. (cur.), La formazione nel volontariato tra realtà e possibilità, FrancoAngeli, Milano, 2016.

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