OCSE definisce l’abilità come la “capacità di utilizzare le proprie conoscenze in modo relativamente agevole per l’esecuzione di compiti semplici”. Questo termine indica il patrimonio di intelligenza applicata che consente al soggetto di svolgere attività pratiche (l’utilizzo del metro), corporee (effettuare un salto) ed anche mentali (svolgere un calcolo). Sulla natura delle abilità esistono differenti scuole di pensiero: da un lato vi sono gli approcci comportamentisti, come le teorie dei tratti della personalità, che si fondano sul presupposto che gli individui siano predisposti fin dalla nascita, quindi per natura, a comportamenti stabili indipendentemente dai contesti in cui operano; a questi si contrappongono gli approcci psicosociali secondo i quali le abilità sono dotazioni che l’individuo acquisisce e perfeziona a seguito delle interazioni vissute nei vari contesti – familiari, scolastici, lavorativi, associativi - in cui si forma la sua personalità.

1. Nella letteratura si nota spesso una sovrapposizione tra i termini abilità, capacità, attitudine, conoscenze e competenze, spesso usati come sinonimi. Ciò crea una discordanza di fondo che spesso si rileva anche nelle singole definizioni. Possiamo però riscontrare due accezioni prevalenti a seconda dei termini con cui la parola abilità viene associata: da un lato vi è chi la collega alla conoscenza intendendola come la proiezione pratica di quest’ultima (es.: l’applicazione di una regola matematica al fine di risolvere un’equazione), dall’altro chi la considera un ingrediente della competenza (es.: l’affilatura di un utensile di taglio nella realizzazione al tornio di un complessivo meccanico). La prima concezione, di tipo cognitivo formale, individua il momento dell’abilità nell’ esercizio che si svolge prevalentemente entro un’ambiente scolastico; la seconda la concepisce come una risorsa che appare quando il soggetto la mobilita entro una strategia a più dimensioni, in un contesto reale come il lavoro, una palestra, un’associazione di volontariato, e nel corso di un’azione compiuta.

2. Le abilità sono raggruppate in una struttura gerarchica, che prevede al vertice l’abilità generale, corrispondente all’intelligenza generale, seguita dai fattori di gruppo (verbale, numerica, spaziale, ecc.) e dalle abilità specifiche. A sua volta, l’abilità generale viene suddivisa in due categorie: a) cristallizzata, quando rappresenta il risultato dell’interazione con l’ambiente formativo, e quindi sviluppata mediante percorsi di apprendimento formali, strutturati e fondati su sequenze prestabilite di algoritmi; b) fluida, che si forma solitamente negli ambienti informali e non formali dove prevale il processo euristico e lungo itinerari complessi in quanto imprevedibili. Con il prevalere nelle scienze umane del paradigma olistico, si nota la tendenza a valorizzare tutte le abilità che la persona è in grado di mettere in gioco, siano esse il prodotto di attività formali, informali o non formali. Nella recente letteratura, si manifesta un interesse particolare per le abilità mentali e cognitive. L’abilità in senso cognitivo non è un semplice fare, ma implica anche il perché e la causa delle azioni che si effettuano. In questo secondo ambito si colloca Giuseppe Bertagna, il quale aggiunge alla abilità la qualità della consapevolezza; egli afferma che: «[…] è abile colui che non solo produce qualcosa o risolve problemi, ma colui che conosce anche le ragioni di questo “fare”». Ciò comporta conseguenze importanti rispetto al processo di apprendimento. Infatti, le abilità mentali, appartenenti all’abilità generale, sono influenzate fortemente dal contesto familiare, e sono predittive della riuscita scolastica e professionale dell’individuo che le possiede. Esiste quindi una stretta relazione tra il tipo di intelligenza, il livello di istruzione e la professione di riferimento; tale relazione comporta fenomeni di differenziazione e di selezione negli ambienti di apprendimento formali: scolastici, formativi, accademici. Nello stesso modo, le abilità sociali indicano il patrimonio di relazionalità e di comunicatività di cui è dotato l’individuo; si tratta di un’espressione simile a quanto nella sociologia viene inteso con l’espressione “capitale sociale”, ovvero la dotazione di conoscenze e abilità spendibili nel mercato del lavoro, ma anche la rete di relazioni personali di cui il soggetto dispone e che ne accresce la riconoscibilità.

3. Diversi autori insistono sulla differenza sostanziale tra l’apprendimento formale, specie scolastico, e quello naturale che si svolge negli ambienti di lavoro, ponendo quindi l’accento sulla natura duale della stessa nozione di abilità Lauren Resnick individua quattro differenze connesse ai vari processi cognitivi che si sviluppano in queste due situazioni: l’apprendimento a scuola è caratterizzato da una cognizione in prevalenza posseduta dal singolo individuo, mentre nel contesto esterno alla scuola viene messa in atto una cognizione condivisa tra i diversi componenti dei gruppi che operano; nel primo caso si riscontra un’attività mentale “pura”, mentre nel secondo prevale la manipolazione degli strumenti. A scuola prevale il ragionamento simbolico, mentre al di fuori di essa emerge il ragionamento contestualizzato; infine, nel primo caso il contenuto dell’apprendimento è costituito in gran parte dai principi generali, mentre nel secondo i contenuti dominanti sono dati dalle competenze specifiche richieste dalla situazione. Occorre riconoscere lo sforzo della scuola nell’adozione nel curricolo di situazioni di apprendimento simili a quelli realmente agiti, spesso costituiti da progetti e compiti autentici, ma rimane pur sempre uno iato tra le due realtà che comporta, nel momento del passaggio dagli studi al lavoro, la necessità di una formazione di ingresso orientata a convertire il sapere didattico, e con esso le abilità formali, in un sapere esperto.

4. Le modalità adottate dalle scuole per l’apprendimento delle abilità si pongono tra la formula dell’esercitazione e quella del laboratorio reale. L'esercitazione può avere due finalità:

  • indica la conferma nella pratica di una legge teorica, come il calcolo di una superficie, la ricerca di elementi in un testo, la stesura di una mappa cognitiva;
  • mira all’acquisizione di un'abilità, come la copiatura di un disegno, la coltivazione di un fagiolo, la realizzazione di un cartellone.

L'esercitazione presenta un costrutto limitato: si può dire che essa è "chiusa" poiché si pone sempre entro uno spazio contenuto e tende a mantenere separata la teoria dalla prassi. Di conseguenza, la realtà non è fonte di nuova conoscenza, ma rappresenta solo lo “spazio” nel quale si svolge un'attività didattica. Il laboratorio reale è una situazione di apprendimento dove si svolge un'azione compiuta, nella quale l'allievo è chiamato a operare una sintesi feconda tra sapere canonico, sapere insito nella realtà, tradizione e novità connessa alla propria personalità. Possiamo avere:

  • un laboratorio disciplinare dove si impara "a rovescio" oppure si realizza un prodotto sintetico di ciò che si è appreso entro un percorso di studio consistente;
  • un laboratorio multidisciplinare, anche simulato, svolto su un ambito tematico significativo sul piano del sapere e rilevante sul piano sociale;
  • un laboratorio esterno alla scuola nella forma di un‘attività didattica, di un evento pubblico come un torneo, un concorso;
  • un laboratorio esterno nella forma di un compito su commessa entro un contesto organizzativo reale, dotato di proprie regole, come nell'alternanza e nei PCTO.

5. È particolarmente rilevante la metodologia di formazione delle autonomie di base per bambini con autismo, comprendenti l’igiene personale (lavare le mani, lavare i denti, fare la doccia), il controllo sfinterico (andare in bagno), l’abbigliamento (vestirsi e svestirsi) e l’alimentazione (impugnare correttamente le posate, tagliare il cibo). Il punto di origine di questa formazione è costituito dalla carenza, presso i bambini con autismo, dei prerequisiti motori (abilità grosso-motorie, fino-motorie, di coordinazione), attentivi (orientamento agli stimoli) e cognitivi (discriminazione e associazione oggetti). Il metodo adottato prevede di partire dalle situazioni ordinarie della vita quotidiana, iniziando da quelle di base fino a quelle legate ai compiti domestici abituali come preparare la merenda, apparecchiare la tavola, portare fuori la spazzatura. È una formazione in contesti reali, dove l’apprendimento avviene tramite il processo di concatenamento di sequenze di piccole abilità ricavate dalla scomposizione del compito, in modo da apprendere di routine di comportamenti semplici. Secondo questo metodo, il bambino è visto in stretta relazione con le altre figure presenti nella scena familiare, specie gli adulti che beneficiano degli effetti positivi degli apprendimenti dei primi: nel vederli più autonomi e meno frustrati dalle difficoltà, anche gli adulti divengono più sereni potendo sperimentare uno stile di vita quotidiana meno carico della preoccupazione di indirizzare costantemente i bambini e più orgogliosi delle loro conquiste.


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Autore
Dario Eugenio Nicoli
  Docente di Sociologia economica, del lavoro e dell’organizzazione presso la facoltà di Scienze della formazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia.


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