L'accoglienza nei percorsi formativo-orientativi. Un approccio metodologico e proposte di strumenti

Autore: 
CIOFS/FP Piemonte
Categoria pubblicazione: 
Progetti
Anno: 
2003
Numero pagine: 
180
PON Ob. 1, IT 161, PO 001 - Avviso 5/01 fasc. 10 PON Ob. 3, IT 053, PO 007 - Avviso 1/01 fasc. 52 CIOFS/FP Centro Italiano Opere Femminili Salesiane Formazione Professionale MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI UNIONE EUROPEA Regioni coinvolte Centro Nord: Abruzzo, Emilia Romagna, Liguria, Piemonte, Veneto, Toscana Ob. 1: Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna, Sicilia. Partner nazionali CE.TRANS Centro per le Transizioni al Lavoro e nel Lavoro, UPS Università Pontificia Salesiana, COSPES Centro di Orientamento Scolastico Professionale e Sociale, CNOS-FAP Centro Nazionale Opere Salesiane Formazione e Aggiornamento Professionale, OESSE Officina Sociale, SCF Scuola Centrale Formazione. Associazioni Regionali CIOFS-FP CIOFS-FP Abruzzo, CIOFS-FP Emilia Romagna, CIOFS-FP Liguria, CIOFS-FP Piemonte, CIOFS-FP Veneto, CIOFS-FP Toscana, CIOFS-FP Basilicata, CIOFS-FP Calabria, CIOFS-FP Campania, CIOFS-FP Puglia, CIOFS-FP Sardegna, CIOFS-FP Sicilia. Coordinamento editoriale: Tiziana Martino La presente pubblicazione è stata curata dal CIOFS-FP Piemonte. L’Associazione CIOFS-FP Piemonte è presente sul territorio regionale con 11 sedi operative, una sede di coordinamento ed un Centro di Bilancio di competenze. Nella progettazione e sviluppo delle sue attività, l’Associazione ha sempre prestato particolare attenzione alla realtà dell’orientamento, riconoscendo in esso un elemento essenziale per la promozione dei suoi utenti. La presenza di Sportelli orientativi presso ciascuna delle proprie sedi e l’Accreditamento da parte degli organismi competenti dei servizi offerti evidenziano infatti il valore attribuito dall’Ente all’orientamento. Stampa: Ottobre 2003 Torino Progetto Il Progetto ORION ha rappresentato un’occasione di confronto tra diverse realtà territo- riali che si occupano di orientamento attraverso lo sviluppo e l’ampliamento del model- lo PIOPP (Percorso di Inserimento Orientativo Professionale Personalizzato) elaborato e spe- rimentato dal CIOFS - FP (1997-1999) e riconosciuto come buona pratica dal Ministero del Lavoro a livello multiregionale (Calabria, Emilia Romagna, Piemonte). Risultati del Progetto Livello organizzativo • Trasferimento della pratica di “successo” in un contesto locale attraverso un processo lear- ning by doing promuovendo una comprensione allargata dei problemi e della necessità dell’orientamento. • Potenziamento delle competenze delle équipe di orientamento, nel contesto delle As- sociazioni CIOFS-FP, relativamente alla progettazione orientativa, all’utilizzo e l’inter- pretazione degli strumenti. • Attivazione di reti di attori locali per la progettazione e la realizzazione di percorsi orientativi personalizzati. • Diffusione e differenziazione delle competenze in campo orientativo, nel contesto territo- riale d’intesa con i servizi per l’impiego e con il coinvolgimento degli organismi impegna- ti nell’orientamento, nella formazione e nell’inserimento scolastico e professionale. • Stesura di un primo progetto di rete locale per l’orientamento nel rispetto delle specifi- cità di ciascun organismo partecipante. Network In tutte le regioni coinvolte le équipe ed i rappresentanti della rete hanno lavorato per l’ac- quisizione e la diffusione della buona pratica attraverso la pianificazione e realizzazione di project work locali tarati sui diversi contesti territoriali in riferimento a target specifici. Produzione/diffusione Revisione di alcuni strumenti di orientamento già sperimentati. Creazione di nuovi strumenti rivolti sia a giovani che ad adulti. Il sito La realizzazione del sito come portale interattivo per il dibattito e lo sviluppo della buo- na pratica, ha costituito uno strumento di lavoro insostituibile consentendo agilità di scam- bio e di confronto. Il sito http://www.progetto-orion.it/ resterà attivo dopo la conclusione del progetto. Valore aggiunto La realizzazione del progetto OrION ha consentito un ampliamento della pratica spostando il modello anche su target diversi: giovani in obbligo formativo, giovani post obbligo for- mativo, adulti. Ulteriore valore è dato dal metodo adottato per la diffusione: sono state, infatti, poste in es- sere procedure di collaborazione, interazione e integrazione sia a livello nazionale che a livello locale tra le diverse organizzazioni coinvolte. L’équipe che a livello nazionale ha curato il trasferimento della pratica ha favorito un proficuo dibattito e scambio tra le diverse reti locali che hanno partecipato alla sperimentazione. Gli stage ed i seminari realizzati a livello multiregionale, hanno permesso un confronto su me- todologie, strumenti, strutture organizzative, stimolando applicazioni a livello locale. 5 Introduzione .......................................................................................................... 9 STRUMENTI PER ATTIVITÀ DI ACCOGLIENZA NEI PERCORSI DI «DIRITTO E DOVERE ALL’ISTRUZIONE» Primo anno Parte prima: Ente e strumenti 1. Presentazione dell’Ente – struttura ospitante Guida per l’operatore ....................................................................................... 17 Guida per l’utente............................................................................................. 19 2. Presentazione del percorso Guida per l’operatore ....................................................................................... 20 Guida per l’utente............................................................................................. 22 3. Presentazione del regolamento Guida per l’operatore ....................................................................................... 24 Guida per l’utente............................................................................................. 26 4. Scheda di sintesi Guida per l’operatore ....................................................................................... 30 Guida per l’utente............................................................................................. 32 5. Presentazione dell’agenda di automonitoraggio Guida per l’operatore ....................................................................................... 37 Guida per l’utente............................................................................................. 39 6. Presentazione del libretto personale Guida per l’operatore ....................................................................................... 40 Guida per l’utente............................................................................................. 42 Parte seconda: la classe, un gruppo? 1. Presentazione del gruppo classe – «Ci presentiamo» Guida per l’operatore ....................................................................................... 45 Guida per l’utente............................................................................................. 47 INDICE 6 2. Presentazione delle caratteristiche di gruppo – «Il nostro cammino di gruppo» Guida per l’operatore ....................................................................................... 51 Guida per l’utente............................................................................................. 54 Parte terza: mi conosco 1. Immagine di sé a. Specchio delle mie brame Guida per l’operatore .................................................................................. 61 Guida per l’utente ....................................................................................... 63 b. Qual è la causa? Guida per l’operatore .................................................................................. 66 Guida per l’utente ....................................................................................... 68 c. Chi è come me? Guida per l’operatore .................................................................................. 71 Guida per l’utente ....................................................................................... 73 d. Come sembro a chi mi vede per la prima volta? Guida per l’operatore .................................................................................. 75 Guida per l’utente ....................................................................................... 77 e. Concetto di sé Guida per l’operatore .................................................................................. 81 Guida per l’utente ....................................................................................... 83 f. Il mosaico della mia vita Guida per l’operatore .................................................................................. 87 Guida per l’utente ....................................................................................... 89 g. Ritorno dal futuro Guida per l’operatore .................................................................................. 91 Guida per l’utente ....................................................................................... 93 2. L’esperienza scolastica – formativa pregressa: «Io e la scuola» Guida per l’operatore ....................................................................................... 96 Guida per l’utente............................................................................................. 99 3. Attitudini e interessi: il «Questionario sui Valori Professionali» Guida per l’operatore ....................................................................................... 105 Guida per l’utente............................................................................................. 107 4. Stili cognitivi Guida per l’operatore ....................................................................................... 108 Guida per l’utente............................................................................................. 110 5. Stili d’azione: «Regole di comunicazione» Guida per l’operatore ....................................................................................... 111 Guida per l’utente............................................................................................. 113 Secondo anno 1. Scheda sulle competenze acquisite Guida per l’operatore ....................................................................................... 119 Guida per l’utente............................................................................................. 121 7 2. Il caso aiuta a conoscerci Guida per l’operatore ....................................................................................... 125 Guida per l’utente............................................................................................. 128 3. Tira il dado Guida per l’operatore ....................................................................................... 130 Guida per l’utente............................................................................................. 133 STRUMENTI PER ATTIVITÀ DI ACCOGLIENZA NEI PERCORSI DI SPECIALIZZAZIONE Parte prima: Ente e strumenti 1. Presentazione dell’Ente e struttura ospitante Guida per l’operatore ....................................................................................... 139 Guida per l’utente............................................................................................. 141 2. Analisi delle aspettative Guida per l’operatore ....................................................................................... 142 Guida per l’utente............................................................................................. 144 3. Presentazione del percorso Guida per l’operatore ....................................................................................... 146 Guida per l’utente............................................................................................. 148 4. Esplorazione del profilo professionale Guida per l’operatore ....................................................................................... 150 Guida per l’utente............................................................................................. 153 5. Presentazione del regolamento Guida per l’operatore ....................................................................................... 162 Guida per l’utente............................................................................................. 164 Parte seconda: dimensione personale 1. Il poster Guida per l’operatore ....................................................................................... 167 Guida per l’utente............................................................................................. 170 2. Facciamo a palle di neve Guida per l’operatore ....................................................................................... 172 Guida per l’utente............................................................................................. 174 3. Tira il dado Guida per l’operatore ....................................................................................... 176 Guida per l’utente............................................................................................. 179 9 La presente pubblicazione nasce dall’esperienza maturata dal CIOFS-FP Pie- monte nell’ambito di diversificate attività di orientamento e di specifiche iniziative progettuali. Tra queste il progetto Or.I.O.N., un’iniziativa promossa nel biennio 2002-2003 dalla sede nazionale dell’Associazione, che ha visto la collaborazione delle Associazioni CIOFS-FP regionali e di alcuni loro partner locali. Nello specifico questa pubblicazione comprende materiali raccolti e/o prodotti dai formatori che si occupano di orientamento e coordinamento nelle azioni forma- tive. Tali materiali sono proposti per la gestione del modulo di accoglienza che, coe- rentemente con la mission del CIOFS-FP Piemonte e quindi in linea con la prospettiva formativa e orientativa salesiana, rappresenta un’attività molto si- gnificativa e dotata di molteplice valenza. In particolare il modulo di accoglienza rappresenta: • uno strumento attraverso il quale consentire agli utenti di sentirsi parte at- tiva e integrante di un ambiente che accoglie; modalità concrete per rea- lizzare ciò sono, ad esempio, la presentazione dell’Ente, del centro, del per- corso formativo, degli strumenti in uso, delle modalità di valutazione e si- mili; parallelamente, l’ascolto degli allievi e la richiesta di esplicitare ciò che si aspettano e i loro timori possono rappresentare attività idonee at- traverso le quali perseguire le finalità indicate sopra; • un’opportunità per promuovere la reciproca presa in carico di obiettivi definiti e/o concordati (a tale fine la stipula del patto formativo costituisce uno strumento particolarmente utile) e, quindi, un’occasione di motiva- zione / rimotivazione allo sviluppo del percorso; • un momento di conoscenza reciproca, di condivisione, di consolida- mento di rapporti interpersonali e di amicizia; • un supporto significativo per la costituzione di gruppi di lavoro solidali e cooperativi; • un momento di orientamento e progettazione a partire dall’analisi delle proprie risorse e preferenze; • un’opportunità per i docenti per conoscere gli allievi e le allieve con cui do- vranno lavorare, per raccogliere indicazioni in riferimento alle loro carat- INTRODUZIONE 10 teristiche, risorse e competenze di base, in funzione della personalizza- zione del processo formativo. Nella gestione del modulo di accoglienza riteniamo sia indispensabile prestare particolare attenzione a specifici elementi metodologici che sono, innanzi tutto, la capacità del docente che accoglie di “mettersi in gioco” in prima persona, ren- dendosi disponibile ad una reciproca condivisione. In secondo luogo, se il monte ore disponibile lo consente, il docente può preve- dere dei momenti di integrazione e collaborazione con i propri colleghi sia per al- largare l’attività di socializzazione, sia per trasmettere la percezione che i valo- ri e i messaggi comunicati nell’ambito dell’attività di accoglienza sono ele- menti condivisi dall’intero organo collegiale di corso. In riferimento alle attività di socializzazione e approfondimento della cono- scenza di sé, si segnala un altro elemento metodologico particolarmente signifi- cativo che riguarda la necessità di evitare atteggiamenti che possono essere vis- suti da alcuni come invasivi, di rispettare e tutelare il diritto alla privacy, aspet- to particolarmente sentito soprattutto da utenti adulti. Un ultimo elemento che si desidera evidenziare è che nel presentare la mission dell’Ente e nel realizzare le differenti attività, deve essere chiara la nostra iden- tità, ma anche altrettanto tutelata la libertà dell’allievo di aderire a proposte non strettamente formative. Qui di seguito vengono presentati gli strumenti per lo sviluppo del modulo di ac- coglienza nelle azioni formative per giovani inseriti in percorsi di “diritto e do- vere all’istruzione” e per utenti che frequentano percorsi di specializzazione per ultradiciottenni e adulti. Per quanto riguarda questi ultimi gli strumenti qui pre- sentati possono essere sviluppati nell’arco di 5-10 ore. Invece, in riferimento ai percorsi per l’assolvimento del “diritto e dovere all’i- struzione”, la proposta si articola in un primo e secondo anno, che prevede ri- spettivamente 40 e 5 ore di attività. Nella prima annualità l’accoglienza, oltre a quanto contenuto nella presente pubblicazione, comprende lo sviluppo di un’at- tività di posizionamento finalizzata al recupero e/o potenziamento delle compe- tenze di base. Tuttavia la documentazione di tale attività non è inserita in questo testo, in quanto specifica del profilo atteso al termine di ciascun percorso for- mativo. La presente pubblicazione contiene differenti tipologie di strumenti (questiona- ri strutturati, schede di approfondimento, esercitazioni ecc.). Ogni strumento è preceduto da una guida per l’operatore contenente le indicazioni necessarie per garantire un uso corretto ed efficace dello strumento stesso. Parallelamente è di- sponibile una guida per l’utente, più sintetica e semplice rispetto alla preceden- te, che ha come obiettivo quello di favorire la massima consapevolezza ed au- 11 tonomia da parte dell’utente nella realizzazione del suo percorso formativo e di orientamento. A conclusione della presente il CIOFS-FP Piemonte, mettendo a disposizione questi strumenti, auspica un utilizzo allargato degli stessi e, parallelamente, in- vita gli operatori del settore ad un lavoro continuo di revisione del materiale di- sponibile e di elaborazione di nuove proposte operative in un’ottica di promozione umana e professionale dei propri utenti. STRUMENTI PER ATTIVITÀ DI ACCOGLIENZA NEI PERCORSI DI “DIRITTO E DOVERE ALL’ISTRUZIONE” Primo anno formativo Parte prima ENTE E STRUMENTI 17 Guida per l’operatore Fase / area Accoglienza. Titolo Presentazione dell’Ente e della struttura ospitante. Fonte e reperibilità C.I.O.F.S. - F.P. Piemonte. Tipologia Scheda descrittiva. Obiettivi Far conoscere l’Ente e il Centro di Formazione (la mission, l’organizzazione, la storia, l’offerta dei servizi, ecc.). Destinatari Giovani in età 14-18 anni. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Denominazione e origini. Struttura organizzativa e presenza sul territorio. Mission. Offerta formativa e attività/servizi presenti. Metodologie didattiche (simulimpresa, atelier pedagogico, cooperative lear- ning, FAD, ecc.). Materiali disponibili Volantini, manuale qualità, Internet. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 60 minuti circa nelle prime ore di avvio attività. 18 Istruzioni - - - Correzione - - - Output restituzione - - - Competenze dell’operatore Conoscere la struttura e l’articolazione del corso. Condizioni organizzative / supporti Aula attrezzata con lavagna luminosa e P.C. collegato a videoproiettore. Criteri di valutazione / autovalutazione - - - Responsabilità Coordinatore / tutor corso. Archiviazione - - - Eventuali suggerimenti / altro - - - 19 Guida per l’utente Titolo Presentazione struttura ospitante. Obiettivi Conoscere l’Ente e la mission. Conoscere le attività del Centro di Formazione Professionale (realtà nazionale, regionale e locale). Conoscere gli ambienti della struttura ospitante. Favorire il senso di appartenenza. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro - - - Materiali disponibili Volantino Ente / Centro. Sito nazionale www.ciofs-fp.org Sito regionale www.ciofsfp.org Modalità di somministrazione /di utilizzo Tempi - - - Istruzioni - - - Correzione - - - Output restituzione - - - Criteri di valutazione / autovalutazione - - - 20 Guida per l’operatore Fase / area Accoglienza. Titolo Presentazione generale del profilo professionale atteso e del percorso. Fonte e reperibilità C.I.O.F.S. - F.P. Piemonte. Tipologia Scheda descrittiva corso. Regolamento. Obiettivi Presentare l’articolazione del corso (formazione in aula – stage – prova finale) in termini di ore, fasi, contenuti, operatori coinvolti, strumenti e metodologie. Destinatari Giovani in età 14-18 anni. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Profilo professionale. Calendario corso (Orario - inizio/fine corso – formazione in aula – stage – pro- va finale - interruzioni). Fasi – Unità Formative - Formatori – Tempi e metodologie. Regolamento. Contratto formativo. Materiali disponibili Scheda Collegamenti (progetto di massima). Progetto di dettaglio. Volantini. 21 Regolamento. Contratto formativo. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 2 ore a seguito della presentazione struttura ospitante. Istruzioni - - - Correzione - - - Output restituzione - - - Competenze dell’operatore - - - Condizioni organizzative / supporti Aula attrezzata con lavagna luminosa e P.C. collegato a videoproiettore. Criteri di valutazione / autovalutazione - - - Responsabilità Coordinatore / tutor corso. Coordinatore / tutor corso e Responsabile di centro (per contratto formativo). Archiviazione Originali «contratto formativo» conservati nel dossier personale dell’utente. Eventuali suggerimenti / altro - - - 22 Guida per l’utente Titolo Presentazione generale del profilo professionale atteso e del percorso. Obiettivi Approfondire la conoscenza del percorso formativo in tutti i suoi aspetti: • Profilo professionale. • Calendario corso (Orario - inizio/fine corso – formazione in aula – stage – pro- va finale - interruzioni). • Fasi – Unità Formative - Formatori – Tempi e metodologie. • Regolamento. • Contratto formativo. Presa di coscienza e condivisione della scelta. Assunzione di responsabilità. Materiali disponibili Calendario corso e Scheda presentazione corso Regolamento Contratto formativo Modalità di somministrazione /di utilizzo Tempi - - - Istruzioni - - - Correzione - - - Output restituzione - - - Criteri di valutazione / autovalutazione - - - 23 Dati sede operativa LOGO SCHEDSCHEDA DESCRITTIVA DESCRITTIVA PERCORSOA PERCORSO denominazione cordenominazione corsoso codice corcodice corsoso orore totali core totali corso e anno fso e anno forormamatitivvoo PROFILO ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ SBOCCHI OCCUPAZIONALI ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ CERTIFICAZIONE ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ARTICOLAZIONE CORSO Fase 1 Fase 2 Stage Prova finale TOTALE ORE FASE UNITÀ FORMATIVA ORE FORMATORE METODOLOGIE 24 Guida per l’operatore Fase / area Accoglienza. Titolo Presentazione del regolamento. Fonte e reperibilità Regolamento interno C.I.O.F.S. - F.P. Piemonte. Tipologia Attività finalizzata alla presentazione e condivisione del regolamento. Obiettivi Trasmettere i valori professionali e le norme che regolano l’attività del Centro. Far prendere coscienza dell’importanza dello stesso. Destinatari Giovani in età 14-18 anni. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Significato del termine “regolamento”. Finalità del regolamento. Osservanza del regolamento. Presa visione del documento interno al Centro. Provvedimenti da applicare, ove possibile, nel caso di mancato rispetto dello stes- so. Materiali disponibili Regolamento. Scheda “Significato del regolamento”. Scheda “Finalità del regolamento”. Scheda “Osservanza del regolamento”. 25 Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 2 ore, dopo la presentazione del corso. Istruzioni - - - Correzione - - - Output restituzione - - - Criteri di valutazione / autovalutazione - - - Condizioni organizzative / supporti Aula attrezzata con lavagna luminosa, PC, videoproiettore, cartelloni, pennarelli colorati, post – it, vocabolario, puzzle di lettere, immagini tratte da giornali e ri- viste. Responsabilità Coordinatore / tutor corso. Archiviazione - - - Eventuali suggerimenti / altro - - - 26 Guida per l’utente Titolo Presentazione del regolamento Obiettivi Conoscere e condividere i valori professionali e le norme del regolamento del Centro. Prendere coscienza dello stesso. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro - - - Materiali disponibili Aula attrezzata con lavagna luminosa PC collegato a un videoproiettore Cartelloni e Post – it Pennarelli colorati Vocabolario Puzzle di lettere e immagini tratte da giornali e riviste Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi - - - Istruzioni - - - Correzione - - - Output restituzione - - - Criteri di valutazione / autovalutazione - - - 27 SCHEDA 1 Significato del regolamento Prima fase: si dichiara agli/le allievi/e che dovranno indovinare l’argomento di discussione. Vengono distribuite le lettere dell’alfabeto provenienti dalla carta stampata la cui composizione dovrà formare solo ed esclusivamente la parola REGOLAMEN- TO (puzzle). Il lavoro verrà realizzato in piccoli gruppi. Tempi: 5 minuti. Seconda fase: ogni allievo/a dovrà scrivere su di un post–it la propria definizione del termine “Regolamento”. Tutte le definizioni verranno raccolte dal coordinatore/tutor corso e a turno cia- scun allievo/a ne estrarrà una e la leggerà. Successivamente verranno esposte alla lavagna/cartellone e raggruppate quelle di significato comune. Il coordinatore/tutor corso leggerà la/le definizioni del termine “Regolamento” presenti sul vocabolario. Tempi: 30 minuti. Terza fase: realizzazione di un cartellone avente come titolo la parola composta nel puzzle, con la definizione del vocabolario e le diverse definizioni raccolte tra i/le ragazzi/e. Tempi: 25 minuti. 28 SCHEDA 2 Finalità del regolamento Invitare il gruppo ad individuare varie situazioni dove esiste il “Regolamento”e cosa prevede, anche nel caso in cui questo non sia formalizzato. Tempi: 20 mi- nuti. In famiglia In ambito lavorativo Sulla strada Nello sport In ambito scolastico/formativo 29 SCHEDA 3 Osservanza del regolamento Dopo aver compilato la scheda “Finalità del regolamento” si prende in consi- derazione l’ambito lavorativo e/o l’ambito scolastico/formativo: si creano due “fa- zioni”, l’una con il compito di evidenziare i “vantaggi” derivanti dal rispetto del regolamento, l’altra gli “svantaggi”. In ogni gruppo devono essere presenti almeno le seguenti figure: il moderatore, il portavoce, il segretario. Dopo un primo momento di riflessione nel singolo gruppo (max 10 min.), si devono verbalizzare le osservazioni emerse. Segue quin- di il momento di confronto con l’altro gruppo. Tempi: 20 minuti. Consegna, lettura e condivisione del “Regolamento” del Centro di Formazione. 30 Guida per l’operatore Fase / area Accoglienza. Titolo Scheda di sintesi. Fonte / reperibilità C.I.O.F.S. - F.P. Piemonte. Tipologia Attività individuale. Obiettivi Sintetizzare e valutare l’attività prevista dalle varie unità dell’accoglienza. Destinatari Giovani in età 14-18 anni. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Stimolare nel soggetto la capacità di analizzare le esperienze vissute. Enucleare i punti chiave dell’attività in una scheda sintetica arricchita da even- tuali osservazioni personali. Materiali disponibili La scheda di sintesi. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 10 minuti al termine di ogni singola attività del modulo accoglienza. Istruzioni Evidenziare per ogni attività tre elementi che sintetizzano i concetti chiave op- pure indicare uno o due elementi significativi. Completare il lavoro con riflessioni personali sulla attività svolta. 31 Correzione - - - Output restituzione - - - Competenze dell’operatore Formatore orientatore Condizioni organizzative / supporti - - - Criteri di valutazione / autovalutazione - - - Responsabilità Formatore orientatore. Archiviazione Il singolo allievo inserisce la scheda di sintesi nella agenda di automonitoraggio. Eventuali suggerimenti / altro - - - 32 Guida per l’utente Titolo Scheda di sintesi. Obiettivi Avrai a disposizione una scheda di sintesi nella quale indicare i concetti chiave risultanti dalle singole attività proposte e le tue riflessioni personali. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Competenze trasversali. Competenze orientative. Materiali disponibili Schede cartacee per la raccolta dei dati. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 10 minuti al termine di ogni singola attività del modulo accoglienza. Istruzioni Compilare individualmente le schede. Correzione - - - Output restituzione Criteri di valutazione / autovalutazione - - - 33 CI O FS - FP PI EM O N TE A .F . _ _ _ _ _ _ / _ _ _ _ _ _ S in te si p er so na le di io … (c og no m e e no m e) _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ co rs o _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ di co c he … … … … … S TR U M E N TO … qu es to è im po rt an te ! Q ui p os so s cr ive re le m ie o ss er va zi on i p er so na li Pr es en ta zi on e st ru tt ur a Pr es en ta zi on e de l r eg ol am en to Pr es en ta zi on e de l c or so 1° __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ _ 2° __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ _ 3 ° __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ _ 1° __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ _ 2° __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ _ 3 ° __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ _ 1° __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ _ 2° __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ _ 3 ° __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ _ 34 Pr es en ta zi on e de ll’ A ge nd a di A ut om on it or ag gi o Pr es en ta zi on e de l Li br et to P er so na le Ci p re se nt ia m o Il no st ro c am m in o di g ru pp o 1° __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ _ 2° __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ _ 3 ° __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ _ 1° __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ _ 2° __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ _ 3 ° __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ _ La p ar ol a pi ù im po rt an te è __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ S pe ro c he __ __ __ __ __ __ __ __ __ S pe ro p ro pr io c he n on _ __ __ __ 3 pa ro le p er d efi ni rm i ( sc el te t ra qu el le u sa te ): 1° __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ _ 2° __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ _ 3 ° __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ _ S pe cc hi o de lle m ie b ra m e 35 Q ua l è la c au sa Ch i è c om e m e? Co m e se m br o a ch i m i v ed e pe r la p ri m a vo lt a No rm al m en te q ue llo c he m i c ap it a è do vu to a _ __ __ __ __ __ _ In di ca i n om i d i t re c om pa gn i c he t i so m ig lia no d i p iù 1° __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ _ 2° __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ _ 3 ° __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ _ Un a ca ra tt er is ti ca p os it iva __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ _ Un a ca ra tt er is ti ca d a m ig lio ra re __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ _ Il c on ce tt o di m e è po si ti vo p er __ __ % Da m ig lio ra re p er _ __ _ % La t es se ra p iù im po rt an te è __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ _ Co nc et to d i s é Il m os ai co d el la m ia v it a 36 S ti li co gn it iv i R eg ol e di c om un ic az io ne Il m io c om po rt am en to è : __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ _ La m ia m od al it à di p en si er o è: __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ _ Le t re re go le p rin ci pa li s on o: 1° __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ _ 2° __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ _ 3 ° __ __ __ _– __ __ __ __ __ __ __ __ _ Il c ol or e de l m io fu tu ro è __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ _ In q ue st o an no fo rm at ivo la m ia a rm a vin ce nt e è __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ _ R it or no d al f ut ur o Io e la s cu ol a Q ue st io na ri o Va lo ri P ro fe ss io na li I t re v al or i p ro fe ss io na li ch e vo - gl io m et te re in e vid en za s on o: 1° __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ _ 2° __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ _ 3 ° __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ _ Fi rm a de ll’u te nt e: _ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ Vi st o: l’ or ie nt at or e __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ _ 37 Guida per l’operatore Fase / area Accoglienza. Titolo Presentazione agenda di automonitoraggio. Fonte e reperibilità Produzione C.I.O.F.S. - F.P. Piemonte. Tipologia Dossier di raccolta di materiali di lavoro personali. Obiettivi Favorire l’autonomia nella gestione del proprio iter formativo nell’ottica del- l’apprendimento continuo. Rinforzare la consapevolezza delle proprie risorse. Raccogliere e documentare conoscenze e capacità acquisite nei vari contesti. Destinatari Giovani in età 14-18 anni. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Competenze orientative. Conoscenze e competenze formative. Materiali informativi. Esperienze lavorative e stage. Progettualità. Materiali disponibili Schede cartacee per la raccolta dei dati. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 1 ora di presentazione. Utilizzo trasversale ai diversi moduli durante tutto il corso. 38 Istruzioni (per la presentazione) Consegnare l’Agenda ad ogni utente e personalizzarla riportando su di essa il pro- prio nome e creando una propria copertina. Esplicitare l’obiettivo generale fa- cendo riferimento all’introduzione generale dell’Agenda. Quindi illustrare le di- verse sezioni che compongono l’Agenda presentandone gli obiettivi. Correzione - - - Output restituzione - - - Competenze dell’operatore Conoscenza della struttura e degli obiettivi dell’Agenda di automonitoraggio. Capacità di gestione del gruppo aula. Capacità di motivazione all’utilizzo e all’aggiornamento continuo dell’Agenda di automonitoraggio. Condizioni organizzative / supporti - - - Criteri di valutazione / autovalutazione - - - Responsabilità Formatore orientatore. Archiviazione L’Agenda appartiene all’utente che ne definisce luogo e modalità di archiviazione. Eventuali suggerimenti / Altro - - - 39 Guida per l’utente Titolo Presentazione agenda di automonitoraggio. Obiettivi Avrai a disposizione una sorta di agenda nella quale indicare le mete e i princi- pali obiettivi che intendi perseguire e ti accompagnerà nel tuo percorso di crescita personale e formativo. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Competenze orientative. Conoscenze e competenze formative. Materiali informativi. Esperienze lavorative e stage. Materiali disponibili Schede cartacee per la raccolta dei dati. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 1 ora. Istruzioni Compilare individualmente le schede. Correzione - - - Output restituzione - - - Criteri di valutazione / autovalutazione - - - 40 Guida per l’operatore Fase / area Accoglienza. Titolo Libretto Personale. Fonte e reperibilità Produzione C.I.O.F.S. - F.P. Piemonte. Tipologia Raccolta di schede per iter valutativo. Obiettivi Valutare le competenze dell’utente dal posizionamento iniziale al consegui- mento della qualifica. Destinatari Giovani in età 14-18 anni. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Valutazione dell’esperienza formativa. Materiali disponibili Libretto personale. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi Presentazione: 1 ora. Utilizzo: durante il percorso formativo. Istruzioni Il libretto personale viene compilato con i risultati delle valutazioni delle com- 41 petenze durante tutto l’iter formativo e sottoscritto dal Responsabile del Centro, dall’utente e dai genitori. Correzione - - - Output restituzione Colloquio individualizzato tra utente, famiglia e collegio formatori. Competenze dell’operatore Restituire i risultati trascritti sul libretto mediante colloquio individualizzato con l’utente e la famiglia. Condizioni organizzative / supporti - - - Criteri di valutazione / autovalutazione I livelli di acquisizione sono determinati sul libretto personale. Responsabilità Coordinatore di corso – Responsabile del Centro. Archiviazione Consegnare originale all’utente. Conservare copia in archivio (previa autorizzazione scritta da parte dell’utente). Eventuali suggerimenti / altro - - - 42 Guida per l’utente Titolo Libretto Personale. Obiettivi Prendere atto delle tue competenze, dal posizionamento iniziale al conseguimento della qualifica. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Valutazione dell’esperienza formativa. Materiali disponibili Libretto personale. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi Presentazione: 1 ora. Utilizzo: durante il percorso formativo. Istruzioni Riflessione sui dati trascritti sul libretto personale. Correzione - - - Output restituzione Colloquio individualizzato tra utente, famiglia e collegio formatori. Criteri di valutazione / autovalutazione I livelli di acquisizione sono determinati sul libretto personale. Parte seconda LA CLASSE, UN GRUPPO? 45 Guida per l’operatore Fase / area Accoglienza. Titolo Ci presentiamo. Fonte e reperibilità Revisione della versione proposta nel Quaderno P.I.O.P.P. Tipologia Scheda di lavoro. Obiettivi Prima socializzazione e conoscenza reciproca. Allenarsi a prestare attenzione a sé, alle proprie emozioni e a quelle degli altri. Destinatari Giovani in età 14-18 anni. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Competenze trasversali: capacità di ascolto. Materiali disponibili Scheda 1. Scheda 2. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 2 ore. Istruzioni Formare coppie di persone che non si conoscano. Ogni persona si descrive al compagno per 5 minuti ciascuno: il compagno che ascolta compila la scheda re- 46 lativa all’altro (scheda 1). Quindi ogni allievo presenta il compagno alla classe. A presentazioni concluse ognuno compilerà in forma anonima la scheda 2. Al ter- mine il formatore raccoglie le schede e le legge a voce alta mantenendo l’ano- nimato e successivamente le elimina. Correzione --- Output restituzione Confronto collettivo su stati d’animo comuni. Competenze dell’operatore Gestire i tempi, coordinare gli interventi, mirare al raggiungimento degli obiet- tivi mantenendo una posizione non giudicante e valorizzando l’intervento di ognuno. Condizioni organizzative / supporti Prevedere l’intervento nella prima giornata integrandolo con modalità diverse di presentazione affinché non si verifichino ripetizioni nell’arco delle prime giornate. Criteri di valutazione / autovalutazione - - - Responsabilità Tutor – coordinatore / orientatore. Archiviazione - - - Eventuali suggerimenti / altro Trovare un punto di collegamento con le attività successive. 47 Guida per l’utente Titolo Ci presentiamo. Obiettivi Prima socializzazione e conoscenza reciproca. Allenarsi a prestare attenzione a sé, alle proprie emozioni e a quelle degli altri. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Competenze trasversali: capacità di ascolto. Materiali disponibili Scheda 1. Scheda 2. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 2 ore. Istruzioni Formare coppie di persone che non si conoscano. Ogni persona si descrive al compagno per 5 minuti ciascuno: il compagno che ascolta compila la scheda re- lativa all’altro (scheda 1). Quindi ogni allievo presenta il compagno alla classe. A presentazioni concluse ognuno compilerà in forma anonima la scheda 2. Al ter- mine il formatore raccoglie le schede e le legge a voce alta mantenendo l’ano- nimato e successivamente le elimina. Correzione - - - Output restituzione Confronto collettivo su stati d’animo comuni. Criteri di valutazione / autovalutazione - - - 48 CI PRESENTIAMO SCHEDA 1 1. Perché sono qui oggi 2. Cosa spero che succeda qui 3. Cosa spero non accada mai qui 49 4. Cosa mi piace 5. Cosa non mi piace 50 CI PRESENTIAMO SCHEDA 2 1. Come mi sono sentito dovendo parlare di me 2. Cosa ho provato sentendo parlare di me 51 Guida per l’operatore Fase / area Accoglienza. Titolo Il nostro cammino di gruppo. Fonte e reperibilità C.I.O.F.S. - F.P. Piemonte. Tipologia Schede di lavoro. Obiettivi Individuare obiettivi da condividere con la classe per farli diventare un proget- to del gruppo. Destinatari Giovani in età 14-18 anni. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Le dinamiche di gruppo. Competenze trasversali: capacità di analisi e di comprensione delle proprie aspirazioni rispetto alle relazioni interpersonali, delle proprie risorse e aree di svi- luppo in tale ambito. Materiali disponibili Scheda 1. Scheda 2. Scheda 3. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 2 ore. 52 Istruzioni Consegna della scheda 1 e compilazione individuale. Primo momento di confronto di gruppo e realizzazione del progetto su cartello- ne sottoscritto da ognuno con la modalità preferita. Compilazione individuale della scheda 2. Verifica individuale e di gruppo al termine del percorso formativo con la sche- da 3. Durante i confronti di gruppo il formatore può sintetizzare alla lavagna i risultati emersi. Correzione --- Output restituzione Strumento di confronto e di fronteggiamento di problemi relazionali che posso- no emergere durante il cammino formativo. Competenze dell’operatore Gestire i tempi, coordinare gli interventi, favorire la socializzazione mantenen- do una posizione non giudicante, valorizzare l’intervento di ognuno cercando di far percepire a tutti l’accettazione delle proprie proposte. Condizioni organizzative / supporti È un lavoro da programmare al termine di precedenti attività di conoscenza di sé e dell’altro. Criteri di valutazione / autovalutazione L’autovalutazione risulta possibile attraverso la lettura dalla scheda numero 3. Responsabilità Tutor – coordinatore / orientatore. Archiviazione Agenda di automonitoraggio. Eventuali suggerimenti / altro Per la realizzazione della scheda numero 3 si propone di non dare suggerimen- ti in un primo momento. Dai risultati che emergono dalla scheda numero 3 na- 53 sceranno considerazioni largamente condivise (esempio: un sentiero contorto può simboleggiare la difficoltà del cammino di gruppo). Si consiglia, tuttavia, di la- sciare al singolo l’interpretazione del proprio disegno per evitare generalizzazioni che conducono a decodificazioni errate. 54 Guida per l’utente Titolo Il nostro cammino di gruppo. Obiettivi Individuare obiettivi da condividere con la classe per farli diventare un proget- to del gruppo. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Le dinamiche di gruppo. Competenze trasversali: capacità di analisi e di comprensione delle proprie aspirazioni rispetto alle relazioni interpersonali, delle proprie risorse e aree di svi- luppo in tale ambito. Materiali disponibili Scheda 1. Scheda 2. Scheda 3. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 2 ore. Istruzioni Compilare individualmente la scheda 1. Quindi realizzare un primo momento di confronto in gruppo ed elaborare il progetto di gruppo su un cartellone sottoscritto da ognuno con la modalità preferita. Compilare individualmente la scheda 2. Al termine del percorso formativo verificare il progetto con la scheda 3, indivi- duale e in gruppo. Durante i confronti di gruppo il formatore può sintetizzare al- la lavagna i risultati emersi. Correzione - - - 55 Output restituzione Strumento di confronto e di fronteggiamento di problemi relazionali che posso- no emergere durante il cammino formativo. Criteri di valutazione / autovalutazione L’autovalutazione risulta possibile attraverso la lettura dalla scheda numero 3. 56 IL NOSTRO CAMMINO DI GRUPPO Scheda 1 Scelgo cinque obiettivi tra i seguenti, quelli che ritengo siano per me più im- portanti per un cammino di crescita con il mio gruppo classe. A. Capacità di accettazione: fare in modo che nessuno si senta escluso. B. Capacità di leadership: consigliare e guidare il gruppo. C. Capacità di cooperare: mettere a disposizione degli altri le proprie risorse. D. Indipendenza: capacità di esprimere il proprio pensiero senza sentirsi con- dizionato da quello degli altri. E. Apertura agli altri: valorizzare gli aspetti positivi delle persone evitando di sottolineare soltanto quelli negativi. F. Capacità di ascolto: mettersi nei panni di chi parla per capirne il messaggio. G. Dominanza: capacità di imporsi e dirigere gli altri. H. Capacità di gestire i conflitti: cercare il dialogo che favorisca il confronto an- ziché lo scontro prestando attenzione anche al tono di voce. I. Sicurezza: capacità di esprimersi e di scegliere liberamente. J. Propositività: capacità di coinvolgersi reciprocamente proponendo soluzio- ni assumendo un atteggiamento attivo. K. Ottimismo: capacità di pensare in modo positivo e di incoraggiarsi a vicen- da nel desiderare e raggiungere gli obiettivi. L. Capacità di critica positiva: individuare errori propri e di altri fornendo so- luzioni che aiutino a crescere evitando un atteggiamento di condanna. M.Autoironia: capacità di riconoscere e accettare provocazioni sdrammatiz- zando. N. Riservatezza: rispettare gli altri evitando di divulgare le confidenze rice- vute. O. Controllo dell’impulsività: assumere comportamenti che, pur lasciando spazio all’espressione di un disagio/difficoltà, rispettino sempre la sensibilità degli altri. 57 IL NOSTRO CAMMINO DI GRUPPO Scheda 2 Questi sono gli obiettivi che il nostro gruppo vuole raggiungere –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– ––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– 58 Rappresento graficamente il cammino di gruppo percorso: – il sentiero – il punto raggiunto fino ad oggi – le difficoltà incontrate – le soluzioni adottate – …………………………………………………………………………………………………. IL NOSTRO CAMMINO DI GRUPPO Scheda 3 Parte terza MI CONOSCO 61 Guida per l’operatore Fase / area Accoglienza. Titolo Specchio delle mie brame. Fonte e reperibilità C.I.O.F.S. - F.P. Piemonte. Tipologia Scheda di lavoro. Obiettivi Conoscenza di sé. Destinatari Giovani in età 14-18 anni. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Competenze trasversali: riflessione sulle proprie caratteristiche personali. Materiali disponibili Scheda 1. Scheda 2 «Suggerimenti». Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 1 ora. Istruzioni Consegnare la scheda 1 con la raffigurazione di uno specchio contenente, al suo interno, lo spazio per la composizione di un acrostico e la scheda 2 per i sugge- rimenti. 62 Nelle caselle iniziali di ogni riga dovrà essere scritto, in verticale, il proprio no- me. Ogni lettera del nome considerata orizzontalmente, diventerà l’iniziale di una nuova parola. Le nuove parole da formare devono essere aggettivi che, in qual- che misura, possono contribuire a riflettere “l’immagine” di chi scrive (di qui la simbologia dello specchio). Attraverso l’acrostico l’allievo viene stimolato a fornire alcuni elementi costitutivi del proprio concetto di sé. È possibile accordarsi sull’eliminazione di alcune pa- role le cui iniziali siano particolarmente difficili (ad esempio H, J, W, Z). Se nel nome compaiono, invece, due o più lettere uguali (ad esempio le due “a” del nome Maria) i soggetti dovranno tentare di trovare due aggettivi diversi. Il for- matore deve sottolineare l’utilità di concentrarsi non solo sulla soluzione del com- pito, quanto piuttosto sulla scelta degli aggettivi individuati ai fini dell’autode- scrizione. Correzione - - - Output restituzione Confronto collettivo sulle scelte effettuate. Competenze dell’operatore Gestire i tempi e stimolare gli allievi nella scelta degli aggettivi che meglio de- scrivono le loro caratteristiche personali. Condizioni organizzative / supporti - - - Criteri di valutazione / autovalutazione - - - Responsabilità Tutor – coordinatore / orientatore. Archiviazione Dossier personale dell’allievo. Eventuali suggerimenti / altro Trovare un punto di aggancio alle attività successive. 63 Guida per l’utente Titolo Specchio delle mie brame. Obiettivi Questa attività ti offre l’opportunità di riflettere sulle tue caratteristiche personali. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Immagine di sé. Materiali disponibili Scheda 1. Scheda 2 “Suggerimenti”. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 1 ora. Istruzioni Nelle caselle iniziali di ogni riga della scheda N. 1 scrivi in verticale il tuo nome. Ogni lettera del nome considerata orizzontalmente, diventerà l’iniziale di una nuo- va parola. Le nuove parole da formare devono essere aggettivi che si riferiscono alla im- magine che hai di te. Se nel tuo nome compaiono due o più lettere uguali (ad esempio le due “a” del nome Maria) dovrai impegnarti a trovare due aggettivi diversi. Correzione - - - Output restituzione Confronto e arricchimento reciproco sulla visione del futuro. Elementi di valutazione / autovalutazione Compilazione della relativa sezione all’interno della scheda di sintesi. 64 SPECCHIO DELLE MIE BRAME - Scheda 1 MARIA Mangiona Ansiosa Ribelle Intelligente Abile Specchio delle mie brame Specchio delle mie brame 65 Abile Accondiscendente Affascinante Affettuoso Affidabile Agile Allegro Ambizioso Amichevole Ansioso Astuto Atipico Attento Attivo Attraente Battagliero Bello Bistrattato Bonaccione Bravo Buono Capace di adattarsi Capace di ascoltare Capace di concentrarsi Capace di dedizione Capace di perdono Carino Colto Comprensivo Confuso Controllato Cooperativo/Collaborativo Cordiale Cortese Creativo Deciso Delicato Delizioso Desto Di buon carattere Di larghe vedute Dinamico Disciplinato Divertente Educato Efficiente Elegante Energico Entusiasta Equilibrato Espressivo Estremo Estroso Fallito Fantasioso Fidato Fiducioso Flessibile Geloso Generoso Gentile Ginnico Goloso Impegnato Incoraggiante Indipendente Informato Intelligente Intraprendente Intuitivo Lavoratore Leale Lento Lesto Logico Loquace Lungimirante Obbiettivo Odioso Operativo Ordinato Organizzato Originale Ottimista Ozioso Pacifico Paziente Pedante Perfetto Perfido Perseverante Pestifero Piacevole Preciso Produttivo Professionale Prudente Quadrato Qualificato Querulo Quotato Rapido Rassicurante Razionale Realista Resistente Responsabile Restio Retto Riflessivo Rubacuori Sapiente Schietto Sciocco Sedentario Semplice Sensibile Serio Servizievole Sicuro di sé Simpatico Socievole Spontaneo Temerario Tenace Tenero Testardo Tiepido Tollerante Ubbidiente Ultimo Umano Umile Unico Untuoso Veloce Vero Vigoroso Vivace Volenteroso Zotico Zuzzurellone SUGGERIMENTI - Scheda 2 66 Guida per l’operatore Fase / area Accoglienza. Titolo Qual è la causa? Fonte e reperibilità C.I.O.F.S. - F.P. Piemonte. Tipologia Scheda di lavoro. Obiettivi Riconoscere lo stile di attribuzione causale relativo a situazioni diverse. Destinatari Giovani in età 14-18 anni. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Competenze trasversali: identificare le cause interne (senso di responsabilità) od esterne (situazioni al di fuori del proprio controllo) rispetto agli eventi della pro- pria vita. Materiali disponibili Scheda. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 30 minuti. Istruzioni Consegnare la scheda “Qual è la causa”. Ogni allievo esamina le situazioni presentate. Per ciascuna alternativa proposta l’allievo indica se la causa è inter- 67 na od esterna. Il formatore quindi guida il confronto e la discussione sul senso di responsabilità. Correzione - - - Output restituzione Confronto collettivo sulle scelte effettuate. Competenze dell’operatore Gestire i tempi e stimolare gli allievi alla riflessione sull’attribuzione delle cau- se interne ed esterne per cui le persone sono portate ad affinare le proprie com- petenze e capacità per ottenere sempre maggiori rendimenti. Condizioni organizzative / supporti - - - Criteri di valutazione / autovalutazione Ogni allievo valuta la propria attribuzione causale. Responsabilità Tutor – coordinatore / orientatore. Archiviazione Dossier personale dell’allievo. Eventuali suggerimenti / altro Trovare un punto di collegamento alle attività successive. 68 Guida per l’utente Titolo Qual è la causa? Obiettivi Questa attività ti offre l’opportunità di riflettere sull’attribuzione causale relati- vamente a situazioni di vario genere. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Immagine di sé. Materiali disponibili Scheda. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 30 minuti. Istruzioni Leggi la scheda ed esamina ogni situazione. Per ogni alternativa proposta indi- ca se la causa è interna (senso di responsabilità) od esterna (situazione al di fuo- ri del tuo controllo). Correzione Il formatore guida la correzione indicando per ogni situazione la causa corretta. Output restituzione Ogni allievo/a verifica le proprie risposte e determina il proprio stile di attribu- zione causale. In questo modo cercherà di migliorare il proprio senso di re- sponsabilità. Criteri di valutazione / autovalutazione - - - 69 1 . Andrea ritiene che piacere agli altri dipende: a. dal modo in cui ci si comporta n n b. dall’umore degli altri n n c. dalla propria simpatia n n QUAL È LA CAUSA Causa interna Causa esterna 2 . Si lvia è convinta che le decisioni dei suoi genitori siano: a. insindacabili n n b. facilmente modificabili con il suo intervento n n c. variabili a seconda del loro umore n n 3 . Luca dice che quando vuole una cosa: a. fa affidamento unicamente sulle sue forze n n b. attende un aiuto dagli amici n n c. la ottiene perché è molto fortunato n n 4 . Laura dice di far fatica a comprendere le lezioni perché: a. non riesce mai a concentrarsi a sufficienza n n b. gli insegnanti non sono chiari n n c. le materie sono troppo difficili n n 5. Paolo dice di aver ricevuto i complimenti dai genitori perché: a. si è impegnato molto n n b. i suoi genitori erano di buon umore n n c. non ha messo al corrente i genitori di alcuni brutti voti n n 6 . Flavia ricorda sempre poco di quanto legge: a. perché ciò che legge le interessa poco n n b. perché trova i brani che legge molto difficili n n c. perché il metodo di studio che ha adottato è inadatto n n 7. Lucia dice che il suo motorino si è guastato perché: a. non gli ha mai fatto la manutenzione n n b. era inevitabile che succedesse: era un ferro vecchio n n c. ha preso una brutta buca per la strada n n 8. Enrico dice che i genitori gli impediscono di andare in disco teca perché: a. non è mai puntuale alla sera n n b. sono tipi troppo apprensivi n n c. non gradiscono le compagnie che frequenta n n A Causa interna 1. B Causa esterna C Causa esterna SOLUZIONI A Causa esterna 2. B Causa interna C Causa esterna A Causa interna 3. B Causa esterna C Causa interna A Causa interna 4. B Causa esterna C Causa esterna A Causa interna 5. B Causa esterna C Causa interna A Causa interna 6. B Causa esterna C Causa interna A Causa interna 7. B Causa esterna C Corrette entrambe A Causa interna 8. B Causa esterna C Causa esterna 70 71 Guida per l’operatore Fase / area Accoglienza. Titolo Chi è come me? Fonte e reperibilità C.I.O.F.S. - F.P. Piemonte. Tipologia Scheda di lavoro. Obiettivi Scoprire somiglianze e affinità. Destinatari Giovani in età 14-18 anni. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Competenze trasversali. Materiali disponibili Scheda. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 30 minuti. Istruzioni Consegnare ad ogni allievo la scheda di osservazione da compilare sulla colon- na “IO”. Al termine invitare i ragazzi a girare per cercare la propria “anima ge- 72 mella”. Iniziare dalla prima informazione e procedere con tutte le altre sino al- la fine. Se non si scoprisse la propria “anima gemella”, trovare almeno il com- pagno più affine. Correzione - - - Output restituzione - - - Competenze dell’operatore Gestire i tempi e stimolare gli allievi nella ricerca “dell’anima gemella”. Condizioni organizzative / supporti - - - Criteri di valutazione / autovalutazione - - - Responsabilità Tutor – coordinatore / orientatore. Archiviazione Dossier personale dell’allievo. Eventuali suggerimenti / altro Trovare un punto di collegamento con le attività successive. 73 Guida per l’utente Titolo Chi è come me? Obiettivi Questa attività ti offre la possibilità di trovare all’interno del gruppo classe del- le somiglianze e delle affinità. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Immagine di sé. Materiali disponibili Scheda. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 30 minuti. Istruzioni Sulla scheda che ti viene consegnata indica nella colonna “IO” le tue preferen- ze. Cerca tra i tuoi compagni chi ha espresso le stesse preferenze. Compila le al- tre colonne della scheda indicando il nome dei compagni che più ti somigliano. Correzione - - - Output restituzione Discussione e confronto. Criteri di valutazione / autovalutazione Compilazione della relativa sezione all’interno della scheda di sintesi. 74 CHI È COME ME? La macchina preferita IO Il programma televisivo che più mi è piaciuto quest’anno La materia che più mi fa soffrire a scuola Chi proprio non sopporto La cosa più bella che ho fatto La mia passione è per... Quello che mi preoccupa maggiormente ora è... In che cosa dovrei migliorarmi Il mio cantante preferito Mi piacciono quelli che si impegnano nello studio Mi piacciono quelli che non sono timidi Invidio chi riesce sempre a cavarsela 75 Guida per l’operatore Fase / area Accoglienza. Titolo Come sembro a chi mi vede per la prima volta? Fonte e reperibilità C.I.O.F.S. - F.P. Piemonte. Tipologia Scheda di lavoro. Obiettivi Favorire la descrizione di sé. Destinatari Giovani in età 14-18 anni. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Competenze trasversali. Materiali disponibili Scheda. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 1 ora. Istruzioni L’allievo deve sedersi accanto ad una persona sconosciuta e compilare la sche- da “Elenco delle caratteristiche tendenziali”. Per ogni coppia di caratteristiche 76 l’allievo deve segnare con una “X” la posizione che pensa corrisponda all’im- pressione da lui suscitata nel compagno/a evitando di porre domande. La posizione scelta sulla scala indica quanto una caratteristica è più presente del- l’altra. Ad esempio: accogliente nnnnnnn dolce L’allievo/a ritiene che la compagna è: “Più dolce che non accogliente”. Tale scel- ta indica solo che l’impressione personale nei suoi riguardi è che lei sia più dol- ce di quanto possa essere accogliente. Completata la prima fase di compilazio- ne della scheda, i membri di ciascuna coppia si scambiano le reciproche “im- pressioni” e discutono di quanto rilevato. Correzione - - - Output restituzione - - - Competenze dell’operatore Gestire i tempi Condizioni organizzative / supporti - - - Criteri di valutazione / autovalutazione - - - Responsabilità Tutor – coordinatore/ orientatore. Archiviazione Dossier personale dell’allievo. Eventuali suggerimenti / altro Trovare un punto di collegamento con le attività successive. 5 77 Guida per l’utente Titolo Come sembro a chi mi vede per la prima volta? Obiettivi Favorire la descrizione di sé. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Immagine di sé. Materiali disponibili Scheda. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 1 ora. Istruzioni Siediti accanto ad una persona sconosciuta e compila la scheda “Elenco delle ca- ratteristiche tendenziali”. Per ogni coppia di caratteristiche segna con una “X” la posizione che pensi corrisponda all’impressione da te suscitata nel compagno/a evitando di porre domande. La posizione scelta sulla scala indica quanto una ca- ratteristica è più presente dell’altra. Ad esempio: accogliente nnnnnnn dolce tu ritieni che la compagna/o è più dolce che non accogliente. Tale scelta indica solo che l’impressione che tu hai nei suoi riguardi è che lei sia più dolce di quan- to possa essere accogliente. Completata la prima fase di compilazione della scheda, scambia con il tuo compagno le “impressioni” che hai rilevato. Correzione - - - Output restituzione Discussione. 5 78 Criteri di valutazione / autovalutazione Compilazione della relativa sezione all’interno della scheda di sintesi. 79 accogliente n n n n n n n dolce saggio n n n n n n n risoluto acuto n n n n n n n docile liberale n n n n n n n adattabile libero n n n n n n n dotato affidabile n n n n n n n logico entusiasta n n n n n n n eccentrico allegro n n n n n n n educato molto amato n n n n n n n effervescente realista n n n n n n n scientifico desiderato n n n n n n n efficiente maturo n n n n n n n secchione amichevole n n n n n n n inafferrabile esigente n n n n n n n emotivo mitico n n n n n n n semplice modesto n n n n n n n sensibile estroverso n n n n n n n sentimentale felice n n n n n n n serio naturale n n n n n n n sereno fiducioso n n n n n n n buono arguto n n n n n n n freddo nervoso n n n n n n n sicuro astuto n n n n n n n geloso attento n n n n n n n sincero socievole n n n n n n n generoso geniale n n n n n n n normale soddisfatto n n n n n n n giovanile attivo n n n n n n n gentile obiettivo n n n n n n n sognatore brillante n n n n n n n solitario CCCCoooommmmeeee ssss eeeemmmmbbbb rrrr oooo aaaa cccc hhhh iiii mmmmiiii vvvv eeeeddddeeee pppp eeee rrrr llll aaaa pppp rrrr iiiimmmmaaaa vvvv oooo llll tttt aaaa???? Elenco di caratteristiche tendenzialiElenco di caratteristiche tendenziali 80 orgoglioso n n n n n n n gioviale organizzato n n n n n n n spericolato capace n n n n n n n spiritoso caldo n n n n n n n stabile originale n n n n n n n spontaneo calmo n n n n n n n idealista caparbio n n n n n n n impressionabile ostinato n n n n n n n incontrollato passivo n n n n n n n super impegnato comunicativo n n n n n n n incorruttibile complesso n n n n n n n indefinibile paziente n n n n n n n silenzioso complimentoso n n n n n n n indipendente perfezionista n n n n n n n tenace conformista n n n n n n n indulgente piacevole n n n n n n n tendenzioso controllato n n n n n n n inflessibile convincente n n n n n n n innovativo coraggioso n n n n n n n tranquillo cortese n n n n n n n indecifrabile pragmatico n n n n n n n molto emotivo preciso n n n n n n n fiducioso creativo n n n n n n n ingenuo puntuale n n n n n n n protettivo critico n n n n n n n istintivo degno di fiducia n n n n n n n molto sensibile ragionevole n n n n n n n vulnerabile desiderabile n n n n n n n timoroso razionale n n n n n n n insicuro realistico n n n n n n n determinato difficile n n n n n n n umile dignitoso n n n n n n n insincero religioso n n n n n n n visionario insoddisfatto n n n n n n n responsabile intelligente n n n n n n n volenteroso vivace n n n n n n n riflessivo disciplinato n n n n n n n intuitivo divertente n n n n n n n riservato 81 Guida per l’operatore Fase / area Accoglienza. Titolo Concetto di sé. Fonte e reperibilità C.I.O.F.S. - F.P. Piemonte. Tipologia Scheda di lavoro. Obiettivi Raggiungere una chiara e consapevole coscienza della propria identità personale. Destinatari Giovani in età 14-18 anni. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Competenze trasversali Materiali disponibili Scheda Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 1 ora Istruzioni Consegnare ad ogni allievo/a la scheda n. 1 “ valutazione del concetto di sé”. L’al- lievo/a deve assegnare un punteggio da 0 a 3 agli aggettivi elencati. 82 Il punteggio viene assegnato in base al seguente criterio: 3 quasi sempre 2 abbastanza spesso 1 di tanto in tanto 0 quasi mai Consegnare la scheda n. 2 “Valutazione positiva” e compilarla secondo le indi- cazioni. Consegnare la scheda n. 3 “Valutazione negativa” e compilarla secondo le indi- cazioni. Correzione - - - Output restituzione Confronto e discussione. Competenze dell’operatore Gestire i tempi. Condizioni organizzative / supporti - - - Criteri di valutazione / autovalutazione - - - Responsabilità Tutor – coordinatore/ orientatore. Archiviazione Dossier personale dell’allievo. Eventuali suggerimenti / altro Trovare un punto di collegamento con le attività successive. 83 Guida per l’utente Titolo Concetto di sé. Obiettivi Favorire la descrizione di sé. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Immagine di sé. Materiali disponibili Scheda. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 1 ora. Istruzioni Leggi con attenzione tutti gli aggettivi della scheda n. 1 e assegna un punteggio da 0 a 3 a tali aggettivi. Il punteggio viene assegnato in base al seguente criterio: 3 quasi sempre 2 abbastanza spesso 1 di tanto in tanto 0 quasi mai Compila la scheda n. 2 “Valutazione positiva” e poi la n. 3 “Valutazione negati- va”. Correzione - - - Output restituzione Discussione Criteri di valutazione / autovalutazione Compilazione della relativa sezione all’interno della scheda di sintesi. 84 SCHEDA N. 1 “VALUTAZIONE DEL CONCETTO DI SÉ” Accorto Acuto Adattabile Affidabile Aggressivo Allegro Ambizioso Amichevole Ansioso Astioso Arrendevole Arrogante Avveduto Audace Autoritario Avventato Avventuroso Appassionato Brusco Burbero Calmo Capriccioso Chiuso Combattivo Comprensivo Conformista Controllato Cortese Concreto Cordiale Coscienzioso Creativo Credulone Critico Curioso Depresso Determinato Dipendente Disciplinato Disponibile Efficace Efficiente Energico Entusiasta Esigente Esitante Estroverso Esuberante Fantasioso Felice Fidato Fiducioso Forte Freddo Giudizioso Impacciato Impaziente Imprevedibile Impulsivo Idealista Indifferente Indipendente Insicuro Intelligente Introverso Invadente Invidioso Irascibile Irresponsabile Leale Libero Litigioso Modesto Nervoso Organizzato Orgoglioso Paziente Perfezionista Permaloso Pignolo Preciso Premuroso Preoccupato Responsabile Ribelle Riflessivo Riservato Rispettoso Sarcastico Scherzoso Scrupoloso Sereno Serio Sicuro Socievole Soddisfatto Spiritoso Spontaneo Testardo Timido Timoroso Trascurato 85 SCHEDA N. 2 “VALUTAZIONE POSITIVA” • Elenca qui sotto gli aggettivi che ti caratterizzano quasi sempre (punteggio 3) • Il tuo concetto di sé consiste soprattutto in questi attributi. Rifletti come que- sta immagine influisca sui tuoi comportamenti. Esprimi in sintesi le tue riflessioni. ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ • Quali di questi caratteri ti converrebbe correggere? ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ • Che cosa potresti fare per correggerti? Stabilisci degli obiettivi. ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ 86 SCHEDA N. 3 “VALUTAZIONE NEGATIVA” • Elenca qui sotto gli aggettivi che ti caratterizzano quasi sempre (punteggio 0) • Il tuo concetto di sé esclude questi attributi. Rifletti come possa influire la lo- ro assenza sui tuoi comportamenti. ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ • Quali di queste qualità ti converrebbe acquisire? ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ • Che cosa potresti fare per acquisirle? Stabilisci degli obiettivi. ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ 87 Guida per l’operatore Fase / area Accoglienza. Titolo Il mosaico della mia vita. Fonte e reperibilità Produzione C.I.O.F.S. - F.P. Piemonte. Tipologia Scheda di lavoro. Obiettivi Comprendere il presente attraverso la riflessione sulle esperienze personali, scolastico/formative passate. Destinatari Giovani in età 14-18 anni. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Immagine di sé. Materiali disponibili Scheda 1. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 2 ore Istruzioni Consegnare ai ragazzi la scheda e farla compilare individualmente. Al termine 88 della compilazione si preparano dei biglietti con il nome di ogni ragazzo. L’o- rientatore estrae un nome alla volta e ogni ragazzo può leggere, a scelta, un pez- zo che preferisce del proprio mosaico. Correzione - - - Output restituzione Condivisione con il gruppo classe di alcuni elementi del mosaico personale e scel- ta successiva di una tessera del mosaico, la più significativa, da inserire nella sche- da di sintesi. Competenze dell’operatore Gestire i tempi, favorire l’introspezione, coordinare gli interventi, mirare al raggiungimento degli obiettivi valorizzando l’intervento di ognuno. Condizioni organizzative / supporti Sistemazione delle postazioni a “ferro di cavallo” per favorire la comunicazio- ne e la condivisione. Criteri di valutazione / autovalutazione - - - Responsabilità Tutor – coordinatore / orientatore. Archiviazione Agenda di automonitoraggio (foglio di sintesi). Eventuali suggerimenti / altro Riportare sulle schede di sintesi progettuale i dati richiesti. 89 Guida per l’utente Titolo Il mosaico della mia vita. Obiettivi Questa attività ti offre l’opportunità di ripensare ad alcuni episodi del tuo passato e di condividere la tua esperienza con i colleghi di corso. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Ricostruzione della tua esperienza scolastica e formativa passata. Materiali disponibili Scheda 1. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 1 ora e mezza. Istruzioni Completa il mosaico con gli episodi personali e formativi che vuoi mettere in evi- denza. Scegli tra quelli scritti l’aspetto che per te è particolarmente significativo. Correzione - - - Output restituzione Confronto e arricchimento reciproco sulle esperienze passate. Elementi di valutazione / autovalutazione Compilazione della relativa sezione all’interno della scheda di sintesi. 90 Compila il tuo mosaico Il miglior insegnante Il mio più grande desiderio La materia che preferisco Il film che mi ha più colpito Il successo o la conquista maggiore La cosa che so fare meglio L’avventura o il viaggio più entusiasmante La musica che preferisco La persona più importante La mia professione ideale La materia che non mi piace Il ricordo più bello della scuola 91 Guida per l’operatore Fase / area Accoglienza. Titolo Ritorno dal futuro. Fonte e reperibilità Produzione C.I.O.F.S. - F.P. Piemonte. Tipologia Scheda di lavoro e pista di riflessione per il lavoro di gruppo. Obiettivi Focalizzare l’immagine di sé in funzione di una progettazione futura. Destinatari Giovani in età 14-18 anni. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Immagine di sé. Materiali disponibili Scheda 1. Scheda 2. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 2 ore. Istruzioni Ogni persona elabora sotto forma di lettera la propria visione del futuro fra 3 an- 92 ni (aspetti personali, formativi e professionali). Si formano dei gruppi di tre per- sone che elaborano una sintesi guidata, restituendola successivamente al gruppo classe sotto forma di grafico, oppure di testo o altro mezzo scelto liberamente (fo- glio di sintesi). Correzione - - - Output restituzione Confronto collettivo su stati d’animo comuni, preconcetti, valori... Competenze dell’operatore Gestire i tempi, favorire l’introspezione, coordinare gli interventi, mirare al raggiungimento degli obiettivi valorizzando l’intervento di ognuno. Condizioni organizzative / supporti Per la prima parte è necessario predisporre un ambiente tranquillo che favorisca l’introspezione. Per la seconda ambienti adatti ai gruppi di lavoro. Criteri di valutazione / autovalutazione - - - Responsabilità Tutor – coordinatore/ orientatore. Archiviazione Agenda di automonitoraggio (foglio di sintesi). Eventuali suggerimenti / altro Riportare sulle schede di sintesi progettuale i dati richiesti. 93 Guida per l’utente Titolo Ritorno dal futuro. Obiettivi Questa attività ti offre l’opportunità di immaginare il tuo futuro “prossimo” e di condividere la tua esperienza con i colleghi di corso. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Immagine di sé. Materiali disponibili Scheda 1. Scheda 2. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 2 ore. Istruzioni Elabora sotto forma di lettera la visione del tuo futuro fra 3 anni (aspetti perso- nali, formativi e professionali). Formate dei gruppi di tre persone (secondo le indicazioni del formatore) ed elaborate una sintesi, utilizzando la tecnica che preferite. Correzione - - - Output restituzione Confronto e arricchimento reciproco sulla visione del futuro. Elementi di valutazione / Autovalutazione Compilazione della relativa sezione all’interno della scheda di sintesi. 94 Scheda 1 RITORNO DAL FUTURO La macchina del tempo ti ha fatto fare un salto nel futuro di 3 anni. Dove ti tro- vi? Cosa vedi? Come ti senti? Chi ti è vicino? Stai lavorando o studi ancora? E che lavoro fai o che scuola stai frequentando? Scrivi una lettera per raccontare questa tua esperienza. 95 Scheda 2 TRACCIA PER IL LAVORO DI GRUPPO Anche i tuoi compagni sono stati trasportati nel futuro e anche loro ci hanno scrit- to una lettera. Questo ti rende molto felice perché puoi condividere con altri que- sta esperienza. Prima di spedire le lettere avete trovato il tempo di leggervele a vicenda e ave- te scoperto che: â Molti di voi hanno visto che il loro futuro sarà q rosa perché ……………...………………………………………………….. q nero perché …………………....…………………………………………….. q grigio perché …………………....…………………………………………… â Quali elementi del vostro passato (sensazioni, esperienze, caratteristiche personali, comportamenti…) sono presenti anche nel vostro futuro? â Quali esperienze del vostro passato si sono rivelate utili per costruire un fu- turo proficuo? q Tutte q Molte q Alcune q Poche q Nessuna Rappresentate quanto emerso a livello di gruppo con il mezzo che preferite: un grafico, un testo sufficientemente esauriente, un disegno,... Scegliete un portavoce che esprimerà il parere del gruppo. Gruppo composto da: ................................................................................................................................. ................................................................................................................................. ................................................................................................................................. Il portavoce designato dal gruppo è ..................................................................... Che esporrà il nostro parere usando il seguente mezzo .................................... Guida per l’operatore Fase / area Accoglienza. Titolo Io e la scuola. Fonte e reperibilità C.I.O.F.S. - F.P. Piemonte. Tipologia Scheda di lavoro. Obiettivi Abituarsi a considerare/analizzare il proprio vissuto legato a successi ed insuc- cessi scolastici, riconoscendo cause interne ed esterne. Motivare alla riprogettazione e al desiderio di successo sulla base della com- prensione dei propri punti di forza e di debolezza. Destinatari Giovani in età 14-18 anni. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Esperienza scolastica pregressa. Competenze trasversali: capacità di analisi e di comprensione dei fattori di suc- cesso e insuccesso. Materiali disponibili Scheda 1. Scheda 2. Scheda 3. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 3 ore. 96 Istruzioni Consegna della scheda 1 e compilazione individuale. Primo momento di confronto di gruppo. Consegna della scheda 2 e compilazione individuale. Secondo momento di confronto di gruppo. Consegna della scheda 3 e compilazione individuale. Terzo momento di confronto di gruppo. Durante i confronti di gruppo il formatore può sintetizzare alla lavagna i risultati emersi. Correzione - - - Output restituzione Confronto collettivo su cause interne ed esterne di successo e insuccesso e mo- dalità di fronteggiamento. Competenze dell’operatore Gestire i tempi, coordinare gli interventi, mirare al raggiungimento degli obiet- tivi mantenendo una posizione non giudicante e valorizzando l’intervento di ognuno. Condizioni organizzative / supporti Prevedere la gestione dell’intervento da parte dello stesso formatore anche in mo- menti distinti. Criteri di valutazione / autovalutazione Non conoscendo il contesto al quale la scheda di lavoro si riferisce, il formato- re non può fare una valutazione in questo primo momento. L’autovalutazione risulta dalla scheda numero 3, punto di partenza per il con- fronto e l’elaborazione del proprio progetto. Responsabilità Tutor – coordinatore orientatore. Archiviazione Agenda di automonitoraggio. 97 98 Eventuali suggerimenti / altro Trovare un punto di aggancio alle attività successive. Porre attenzione nel valutare il peso delle cause interne ed esterne considerando che l’allievo/a potrebbe tendere a non attribuirsi la responsabilità o a colpevo- lizzarsi eccessivamente. 99 Guida per l’utente Titolo Io e la scuola. Obiettivi Abituarsi a considerare/analizzare il proprio vissuto legato a successi ed insuc- cessi scolastici, riconoscendo cause interne ed esterne. Motivarsi alla riprogettazione e al desiderio di successo sulla base della com- prensione dei propri punti di forza e di debolezza. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Esperienza scolastica pregressa. Competenze trasversali: capacità di analisi e di comprensione dei fattori di suc- cesso e insuccesso. Materiali disponibili Scheda 1. Scheda 2. Scheda 3. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 3 ore. Istruzioni Consegna della scheda 1 e compilazione individuale. Primo momento di confronto di gruppo. Consegna della scheda 2 e compilazione individuale. Secondo momento di confronto di gruppo. Consegna della scheda 3 e compilazione individuale. Terzo momento di confronto di gruppo. Durante i confronti di gruppo si possono sintetizzare alla lavagna i risultati emersi. Correzione - - - 100 Output restituzione Confronto collettivo su cause interne ed esterne di successo e insuccesso e mo- dalità di fronteggiamento. Criteri di valutazione / autovalutazione Non conoscendo il contesto al quale la scheda di lavoro si riferisce, il formato- re non può fare una valutazione in questo primo momento. L’autovalutazione risulta dalla scheda numero 3, punto di partenza per il con- fronto e l’elaborazione del proprio progetto. 101 IO E LA SCUOLA Scheda 1 IL MIO PRIMO GIORNO DI SCUOLA ALLE MEDIE – il primo impatto con i compagni nuovi (con quale tipo di persona mi senti- vo in sintonia e perché, con quale tipo di persona invece mi sentivo a disagio e perché) ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ – il primo impatto con gli insegnanti e con l’ambiente scolastico ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ – cosa mi aspettavo di bello ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ – cosa temevo che succedesse ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ 102 IO E LA SCUOLA Scheda 2 COSA È SUCCESSO... – In quali materie ho avuto risultati positivi Per ogni materia scegli tra le seguenti possibili cause e riportale all’interno del- la tabella: Mi piaceva l’insegnante Ho prestato attenzione in classe Mi piaceva la materia Ho dedicato tempo allo studio a casa Per competizione con altri/e compagni/e Perché il livello di capacità richiesto era basso L’insegnante mi ha appassionato/a alla materia Perché ho buone capacità Perché si è instaurato un clima positivo con il gruppo classe L’insegnante forniva spiegazioni chiare Altro ……………………………………………………………………………. MATERIA CAUSA 103 – In quali materie ho avuto risultati negativi MATERIA CAUSA Per ogni materia scegli tra le seguenti possibili cause e riportale all’interno del- la tabella: Non mi piaceva l’insegnante Non ho prestato attenzione in classe Non mi piaceva la materia Ho dedicato poco tempo allo studio a casa Perché il livello di capacità richiesto era troppo alto Perché non ho le capacità Perché mi mancano i contenuti di base della materia Perché non mi sentivo accettato dal gruppo classe L’insegnante forniva spiegazioni poco chiare Perché ho seguito lo stile negativo della classe Altro …………………………………………………………………………… 104 IO E LA SCUOLA Scheda 3 COSA SUCCEDERÀ – Tra le cause indicate (sia per i successi che per gli insuccessi), quali di- pendono da me? ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ – Per le cause di successo e insuccesso che non dipendono da me, quanto il mio comportamento ha contribuito a determinare il risultato? ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ – Cosa posso fare perché quest’anno formativo risulti vincente? Nella relazione con il gruppo classe: ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ Nella relazione con i formatori: ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ Nel raggiungimento di valutazioni positive: ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ 105 Guida per l’operatore Fase / area Accoglienza. Titolo Questionario valori professionali. Fonte e reperibilità Produzione C.I.O.F.S. - F.P. (a cura di K. Polacek). Tipologia Questionario. Obiettivi Riflettere sui propri valori professionali. Destinatari Giovani in età 14-18 anni. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Vengono analizzate le seguenti aree: autorealizzazione, ambizione, convenzio- nalità, requisiti, dati, cose, persone. Materiali disponibili Questionario e guida. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 1 ora e mezza. Istruzioni Compilare individualmente il questionario e riflettere sui risultati emersi. 106 Correzione - - - Output restituzione Riflessione individuale e collettiva sui risultati emersi. Competenze dell’operatore Gestire i tempi, favorire l’introspezione. Gestire il laboratorio informatico (nel caso di gestione informatizzata dello strumento – sito C.I.O.F.S. - F.P. Nazionale). Condizioni organizzative / supporti Ambiente tranquillo che favorisca l’introspezione. Laboratorio informatico (nel caso di gestione informatizzata dello strumento – sito C.I.O.F.S. - F.P. Nazionale). Criteri di valutazione / autovalutazione - - - Responsabilità Formatore orientatore. Archiviazione Agenda di automonitoraggio (foglio di sintesi). Eventuali suggerimenti / altro - - - 107 Guida per l’utente Titolo Questionario valori professionali. Obiettivi Riflettere sui propri valori professionali. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Valutare le proprie tipologie di valori professionali considerando i seguenti fat- tori: autorealizzazione, ambizione, convenzionalità, requisiti, dati, cose, per- sone. Materiali disponibili Questionario e guida. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi Un’ora e mezza. Istruzioni Compilare individualmente il questionario e riflettere sui risultati emersi. Correzione - - - Output restituzione Riflessione individuale e collettiva sui risultati emersi. Criteri di valutazione / autovalutazione - - - 108 Guida per l’operatore Fase / area Accoglienza. Titolo Stili cognitivi. Fonte e reperibilità Mancinelli M.R., (1999), L’orientamento in pratica. Guida metodologica per in- segnanti di scuola superiore, orientatori, psicologi. Milano, Alpha Test. Per la consultazione dello strumento si rimanda alla seguente pubblicazione: C.I.O.F.S. - F.P. Piemonte (2003). Le competenze orientative. Un approccio metodologico e proposte di strumenti. Torino, S.G.S. Tipologia Questionari. Obiettivi Riconoscere le modalità individuali di apprendimento e comportamento rispet- to a specifici compiti e di elaborazione dell’informazione. Destinatari Giovani in età 14-18 anni. Ultradiciottenni e adulti. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Stile di apprendimento ed esecuzione di specifici compiti (esecutivo, creativo, va- lutativo). Modalità di elaborazione delle informazioni in funzione del fronteggiamento di specifiche situazioni. Materiali disponibili Due questionari con domande e possibili risposte, griglia per l’attribuzione dei punteggi e indicazioni per la lettura dei profili. 109 Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 2 ore. Istruzioni Invitare l’utente a leggere gli item e a scegliere, tra le alternative disponibili, una risposta sintonica con le sue modalità di funzionamento. Correzione Attribuire un punteggio ad ogni item come da griglia allegata, sommarli e con- frontare i risultati con la scheda contenente le indicazioni per la lettura dei ri- sultati. Output restituzione Riflessione individuale a partire dalla scheda contenente le indicazioni per la let- tura dei risultati. Confronto tra l’immagine di sé e i risultati emersi. Condivisione in gruppo dei risultati. Analisi dei punti di forza e delle criticità di ogni singola modalità. Competenze dell’operatore Conoscenza dello strumento e delle modalità di correzione e restituzione. Capacità di stimolare la riflessione individuale. Capacità di favorire l’interazione tra gli allievi. Capacità di analisi, lettura critica e trasposizione dei risultati. Condizioni organizzative / supporti Aula con possibilità di disporre le postazioni a ferro di cavallo. Criteri di valutazione / autovalutazione Per la valutazione dei risultati si fa riferimento alla scheda contenente le indi- cazioni per la lettura dei risultati. Responsabilità Orientatore. 110 Guida per l’utente Titolo Stili cognitivi. Obiettivi Riconoscere il modo con cui ciascuno di noi impara, pensa e sceglie le azioni da compiere. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Modo di apprendere e di eseguire specifici compiti. Modo di riflettere per scegliere. Materiali disponibili Due questionari con le domande e le possibili risposte, griglia per calcolare i pun- teggi e capirne il significato. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 2 ore. Istruzioni Leggi le domande e scegli, tra le alternative disponibili, la risposta che ti rap- presenta maggiormente. Correzione Attribuisci un punteggio ad ogni risposta data come da griglia allegata, somma- li e confronta i risultati con la scheda contenente le indicazioni per la lettura dei risultati. Output restituzione Rifletti individualmente a partire dalla scheda contenente le indicazioni per la let- tura dei risultati. Confronta il modo in cui ti vedi con i risultati emersi. Condividi in gruppo i risultati e rifletti sugli aspetti positivi e negativi di essi. Criteri di valutazione/autovalutazione Per la valutazione dei risultati fai riferimento alla scheda contenente le indicazioni per la lettura dei risultati. 111 Guida per l’operatore Fase / area Accoglienza. Titolo Regole di comunicazione. Fonte e reperibilità Comoglio M. (1999), Educare insegnando, Roma, LAS. Tipologia Scheda di lavoro: Cooperative Learning. Obiettivi Conoscere e condividere le principali regole di comunicazione. Destinatari Giovani in età 14-18 anni. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Competenze trasversali: capacità relazionali. Materiali disponibili Le regole di comunicazione. Scheda di lavoro di gruppo. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 2 ore. Istruzioni Ogni allievo, individualmente, legge le regole di comunicazione e le mette in or- dine di importanza. 112 Formare gruppi di massimo 4 persone all’interno dei quali avverrà il confronto sui risultati dei singoli componenti. Aggiungere tre nuove regole di comunicazione condivise dal gruppo. Riordinare tutte le regole, incluse quelle nuove, secondo un ordine di importan- za condiviso da tutto il gruppo. Condivisione con tutto il gruppo classe. Correzione - - - Output restituzione Confronto collettivo. Competenze dell’operatore Gestire i tempi, coordinare gli interventi, mirare al raggiungimento degli obiet- tivi valorizzando l’intervento di ognuno. Condizioni organizzative / supporti Può essere consigliata la presenza di due formatori per coordinare meglio il la- voro dei vari gruppi promuovendo l’intervento di ogni persona. Criteri di valutazione / autovalutazione - - - Responsabilità Tutor – coordinatore / orientatore. Archiviazione Agenda di automonitoraggio. Eventuali suggerimenti / altro Da proporre in preparazione all’attività “Il nostro cammino di gruppo”. 113 Guida per l’utente Titolo Regole di comunicazione. Obiettivi Conoscere e condividere le principali regole di comunicazione. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Competenze trasversali: capacità relazionali. Materiali disponibili Le regole di comunicazione e Schede di lavoro di gruppo. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 2 ore. Istruzioni Ogni allievo, individualmente, legge le regole di comunicazione e le mette in or- dine di importanza. Formare gruppi di massimo 4 persone all’interno dei quali avverrà il confronto sui risultati dei singoli componenti. Aggiungere tre nuove regole di comunicazione condivise dal gruppo. Riordinare tutte le regole, incluse quelle nuove, secondo un ordine di importan- za condiviso da tutto il gruppo. Condivisione con tutto il gruppo classe. Correzione - - - Output restituzione Confronto collettivo. Criteri di valutazione / autovalutazione - - - 114 REGOLE DI COMUNICAZIONE Scheda 1 1. Presta attenzione al tuo stato d’animo. È meglio chiarirsi direttamente con le persone coinvolte piuttosto che parlarne “alle loro spalle”. Se sei d’accordo con un componente del tuo gruppo, o se, tra te e lui, esisto- no delle divergenze d’opinione, devi dirglielo chiaramente, altrimenti egli può sentirsi non considerato. La stessa cosa succede a te. 2. È meglio chiarirsi direttamente con le persone coinvolte piuttosto che parlarne alle loro spalle. Se tra te e un componente del tuo gruppo esistono delle di- vergenze di opinione, devi dirglielo chiaramente, altrimenti lui può sentirsi non considerato. La stessa cosa può succedere a te. 3. Fai attenzione agli ordini indiretti, come: “si dovrebbe”, “ciascuno dovrebbe”, ecc. Con queste affermazioni scarichi le tue responsabilità sugli altri e la situazione non va avanti. Cerca invece di fare delle affermazioni con l’io, per esempio: “Dovrei prestare più attenzione alle spiegazioni dell’insegnante” oppure “Dovrei intervenire più spesso nei confronti del gruppo”... 4. Non cercare di imporre in modo sleale il tuo punto di vista agli altri. Frasi come: “Non credi che...”, “Sicuramente vuoi anche tu che...”, “Tutti san- no che...” sono tentativi non dichiarati di far entrare il tuo punto di vista nel sistema dei valori di un altro. 5. Fai attenzione alle frasi “che uccidono”. Esempi: “Questo non lo credi neanche tu”, “Ti ha dato di volta il cervello?”, “Ma chi te l’ha detto?”, “Questo non va proprio”, ecc. Il tuo interlocutore non protesterà subito, anche se si sente ferito, ma prima o poi restituirà il colpo, oppure finirà col mettersi in disparte e non collaborerà più con il gruppo perché si sente ferito e arrabbiato. 6. La franchezza e la sincerità non bastano. Il lavoro di gruppo diventa difficile quando non uniamo alla franchezza e al- la sincerità la considerazione e il rispetto per gli altri. 7. Mettersi in posizione d’ascolto. Mettersi nei panni dell’altro per capire cosa ci vuole comunicare, anziché preoccuparsi di come controbattere. 115 REGOLE DI COMUNICAZIONE Scheda 2 Le regole che vogliamo aggiungere sono... Riordiniamo tutte le regole, incluse quelle nuove, secondo l’ordine di importanza da noi condiviso 1. __________________________________________________________________ 2. __________________________________________________________________ 3. __________________________________________________________________ 4. __________________________________________________________________ 5. __________________________________________________________________ 6. __________________________________________________________________ 7. __________________________________________________________________ 8. __________________________________________________________________ 9. __________________________________________________________________ 10. __________________________________________________________________ 116 REGOLE DI COMUNICAZIONE Scheda 3 Quali regole abbiamo utilizzato nella nostra conversazione? ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ Quali invece abbiamo dimenticato? ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ Siamo riusciti a metterci d’accordo facilmente? ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ Siamo soddisfatti del risultato raggiunto? ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ Tutti i gruppi sono arrivati allo stesso risultato? ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ STRUMENTI PER L’ATTIVITÀ DI ACCOGLIENZA NEI PERCORSI DI “DIRITTO E DOVERE ALL’ISTRUZIONE” Secondo anno formativo 119 Guida per l’operatore Fase / area Accoglienza. Titolo Scheda sulle competenze acquisite. Fonte / reperibilità C.I.O.F.S. - F.P. Piemonte. Tipologia Scheda di lavoro individuale. Obiettivi Riflettere sulle competenze acquisite nel primo periodo formativo. Destinatari Giovani in età 14-18 anni. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Riprendere consapevolezza delle competenze acquisite durante lo svolgimento del primo anno formativo identificandone i punti di forza e di debolezza con un abbinamento alla metodologia didattica più efficace in relazione al contesto. Materiali disponibili Scheda di lavoro. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 45 minuti per la compilazione della scheda. 15 minuti per la restituzione partecipata dei risultati. 120 Istruzioni Somministrare la scheda agli allievi invitandoli a ponderare le risposte compi- lando la scheda in ogni sua parte. Correzione - - - Output restituzione Al termine dell’attività fare una riflessione con gli allievi al fine di consolidare le competenze già acquisite e di pianificare lo sviluppo di quelle non raggiunte, o raggiunte in maniera parziale. Competenze dell’operatore Tutor-coordinatore. Condizioni organizzative / supporti - - - Criteri di valutazione / autovalutazione Favorire una discussione in merito al grado di consapevolezza delle competen- ze raggiunte dagli allievi. Testare il grado di efficacia didattica percepita dagli allievi per quanto riguarda l’utilità nel metodo di studio delle metodologie didattico-innovative adottate nel corso della prima annualità. Responsabilità Tutor-coordinatore. Archiviazione Dossier personale dell’utente. Eventuali suggerimenti / altro - - - 121 Guida per l’utente Titolo Scheda sulle competenze acquisite. Obiettivi Riflettere sulle competenze acquisite nel primo periodo formativo. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Identificare i punti di forza e di debolezza rispetto alle competenze acquisite al termine del primo anno. Dare un’autovalutazione rispetto alle competenze apprese. Riflettere sulle metodologie utilizzate. Materiali disponibili Scheda di lavoro. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 45 minuti per la compilazione della scheda. 15 minuti per la restituzione partecipata dei risultati. Istruzioni Compilare la scheda di lavoro seguendo le istruzioni del formatore. Correzione - - - Output restituzione Discutere al termine dell’attività partendo dalle risposte riportate sulla scheda di lavoro. Criteri di valutazione / autovalutazione Servirsi della legenda, posta al fondo della scheda, per scrivere i gradi di auto- valutazione di ognuno. 122 C om pe te nz e I m ie i p un ti di fo rz a I m ie i p un ti Au to v a lu ta zi on e ** La m et od ol og ia c he di d eb ol ez za pi ù m i h a ai ut at o * Co no sc er e gl i e le - m en ti di b as e de lla co m u n ic az io ne o ra le e sc rit ta D ia lo ga re in li ng ua in gl es e e pr o du rre se m pl ic i t es ti sc rit ti Co no sc er e le d iv er se tip ol og ie d i o rg an iz za zi on e Co m pr en de re il si ste m a ec o n o m ic o In di v id ua re i di rit ti e i d ov er i d el c itt ad in o Ri fle tti su lle se gu en ti co m pe te nz e ac qu isi te d ur an te la p rim a a nn u al ità e po i c om pl eta la ta be lla 123 C om pe te nz e I m ie i p un ti di fo rz a I m ie i p un ti Au to v a lu ta zi on e ** La m et od ol og ia c he di d eb ol ez za pi ù m i h a ai ut at o * Co no sc er e al cu ni el em en ti di d iri tto de l l av o ro A pp lic ar e n o zi on i di b as e di a rit m et ic a e ge o m et ria p ia na R ic on os ce re e an al iz za re s em pl ic i fe n o m en i fi sic i O pe ra re in u n’ ot tic a di si cu re zz a ed ig ie ne U til iz za re in m an ie ra ef fic ac e il PC 124 C om pe te nz e I m ie i p un ti di fo rz a I m ie i p un ti Au to v a lu ta zi on e ** La m et od ol og ia c he di d eb ol ez za pi ù m i h a ai ut at o * Ef fe ttu ar e se m pl ic i o pe ra zi on i d i m ag az zi no Co no sc er e le te cn ic he di v en di ta A pp lic ar e le n or m at iv e am m in ist ra tiv e e co n ta bi li re la tiv e ai pa ga m en ti e ris co ss io ni Le ge n da : * A .P . : A te lie r P ed ag o gi co C. L. :C oo pe ra tiv e Le ar n in g L. P. : Le ar n in g Po in t L. S. : La bo ra to rio d i S im u la zi on e * * sc eg li tra u n a de lle se gu en ti vo ci : N :o bi et tiv o n o n r ag gi un to P. : o bi et tiv o p ar zi al m en te ra gg iu nt o R :o bi et tiv o r ag gi un to 125 Guida per l’operatore Fase / area Accoglienza. Titolo Il caso aiuta a conoscerci. Fonte / reperibilità Comoglio M., (1999). Educare insegnando. Roma, LAS. Tipologia Attività di gruppo. Obiettivi Facilitare la conoscenza reciproca non solo per merito di situazioni formali ma anche per il verificarsi di circostanze casuali, come ad esempio la creazione di gruppi eterogenei per l’apprendimento o l’approfondimento di contenuti disci- plinari. Destinatari Giovani in età 14-18 anni. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Riprendere ed implementare le risorse sociali del gruppo classe creando un cli- ma cooperativo in vista della ripresa delle attività didattiche del nuovo anno for- mativo e dell’applicazione del cooperative learning in ambiti disciplinari diffe- renti. Materiali disponibili Mazzo di carte. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 15 minuti per chiarire le istruzioni. 126 30 minuti per attività di gioco. 15 minuti per la socializzazione dei risultati. Istruzioni Distribuire un mazzo di carte tra gli studenti, assegnandone una pro capite. Scegliere 4 carte per ogni tipo di valore (4 assi, 4 carte da due, 4 re, …). Invita- re gli allievi a formare coppie secondo il numero ed il colore delle carte, cioè si trovino insieme i due che hanno l’asso di cuori e di quadri, i due che hanno l’as- so di picche e di fiori, ecc… Se il numero totale dei componenti non è un mul- tiplo di quattro, e vi è un avanzo di due, a questi si distribuiscano due carte del- lo stesso colore. Se il numero è dispari, si formi un trio costituito da membri in possesso di carte dello stesso colore ma di numero inferiore rispetto alla carta in possesso di colui che risultava spaiato. Formatesi le coppie, i partner si scambi- no alcune informazioni, a partire da una traccia proposta dal formatore/orienta- tore quale ad esempio: – “Che cosa faresti se vincessi un milione di euro al Totocalcio?”. – “Se potessi scegliere un’altra città dove abitare, quale sceglieresti e per- ché?”. – “Se non fossi quello che sei, chi vorresti essere?”. – “Qual è il tipo di persona di cui hai fiducia?”. Dopo lo scambio di informazioni, muoversi per la classe. Al segnale: “Mescolare le carte!”, fermarsi e scambiare la propria carta con il compagno più vicino, fa- cendo attenzione che non l’abbia con lo stesso numero. Formare nuovamente del- le coppie in cui scambiare informazioni seguendo la modalità precedentemente descritta, domandandosi ad esempio: – “Qual è la cosa che mi piace di più?”. – “Quale mi piace di meno?”. – “Che cosa sognerei di fare o di diventare?”. – “Fra dieci anni mi immagino così: …” – “Qual è per me la cosa più difficile?”. A questo punto, formare gruppi di quattro costituiti dalle due coppie di assi, due coppie di re, due coppie di sette,… All’interno di ciascun gruppo, ci si scambi- no le informazioni fornite nelle coppie del primo turno. Correzione - - - Output restituzione - - - Competenze dell’operatore Formatore orientatore con competenze di mediatore/facilitatore. 127 Condizioni organizzative / supporti Liberare l’aula dai banchi e sedie al fine di favorire l’interazione comunicativa. Criteri di valutazione / autovalutazione Favorire al termine dell’attività una discussione in merito al grado di socializ- zazione e coinvolgimento raggiunto e all’interazione tra i diversi partecipanti. Redigere un verbale di sintesi in merito all’attività svolta. Responsabilità Formatore orientatore. Archiviazione Formatore orientatore. Eventuali suggerimenti / altro - - - 128 Guida per l’utente Titolo Il caso aiuta a conoscerci. Obiettivi Favorire e sviluppare i rapporti interpersonali all’inizio dell’anno formativo at- traverso la formazione di gruppi casuali. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Promuovere il rispetto e la fiducia verso i compagni instaurando un clima di col- laborazione. Materiali disponibili Mazzo di carte. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 15 minuti per chiarire le istruzioni. 30 minuti per attività di gioco. 15 minuti per confrontarsi sull’attività svolta. Istruzioni Ogni studente prenda una carta secondo le modalità illustrate dal formatore orientatore. Formare coppie secondo il numero ed il colore delle carte (ad esem- pio si trovino insieme i due che hanno l’asso di cuori e di quadri, i due che han- no l’asso di picche e di fiori, ecc…). Formate le coppie, i componenti risponda- no alle domande proposte dal formatore orientatore. Dopo aver risposto a coppie alle domande, al segnale “Mescolare le carte!”, scam- biare la propria carta con il compagno più vicino, facendo attenzione che non l’abbia con lo stesso numero. Formare nuovamente delle coppie in cui rispondere ad altre domande secondo le indicazioni del formatore orientatore. A questo punto, formare gruppi di quattro costituiti dalle due coppie di assi, due coppie di re, due coppie di sette, ecc. All’interno di ciascun gruppo, ci si scam- bino le informazioni fornite nelle coppie del primo turno. Correzione - - - 129 Output restituzione - - - Criteri di valutazione / autovalutazione Alla fine del gioco esprimere verbalmente un giudizio sull’esperienza e se que- sta ha favorito la socializzazione e l’integrazione tra gli allievi. 130 Guida per l’operatore Fase / area Accoglienza. Titolo Tira il dado. Fonte / reperibilità Comoglio M., (1999). Educare insegnando. Roma, LAS. Tipologia Attività di gruppo. Obiettivi Sviluppare un’attività che favorisca la socializzazione con eventuali nuovi mem- bri del gruppo e la ripresa delle attività formative. Destinatari Giovani in età 14-18 anni. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Riprendere ed implementare le risorse sociali del gruppo classe creando un cli- ma cooperativo. Favorire l’inserimento di eventuali nuovi allievi attraverso la conoscenza reciproca al fine di monitorare possibili conflittualità latenti. Materiali disponibili Dado di cartoncino (cm 10 di lato) e pennarelli. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 15 minuti per formulare argomenti. 30 minuti per attività di gioco. 131 Istruzioni Formare 2 gruppi: un gruppo avrà il compito di formulare un argomento ri- guardante le abilità e le competenze necessarie nel mondo del lavoro rispetto al profilo professionale atteso (es: competenze professionali, tecnico-specifiche, tra- sversali); l’altro gruppo avrà il compito di formulare un argomento riguardante i valori scegliendo quello che ritengono più importante (es: amicizia, famiglia, amore, lavoro, pace, ecc). Ogni gruppo ha a disposizione una faccia del dado su cui scrivere l’argomento discusso/proposto al suo interno; sulle altre facce verranno riportate le seguen- ti domande, scegliendo tra quelle proposte: – “Quale potrebbe essere il tuo gruppo di lavoro ideale?”. – “Cosa hai fatto durante le vacanze estive?”. – “Quale esperienza formativa ripeteresti?”. – “Rispetto allo scorso anno, in cosa sei cambiato?”. – “Quali sono le tue aspettative per l’anno formativo appena iniziato?”. Terminata la fase a gruppi incomincia la fase di gioco. Ogni membro (della classe) lancia il dado ed il lanciatore di turno risponde al- la domanda/argomento che compare sulla faccia superiore. Il lanciatore al qua- le si presentasse una domanda a cui ha già risposto, sarà obbligato a rigettare il dado. Si pone termine al gioco quando tutti i partecipanti avranno risposto a tutte e sei le domande. Correzione - - - Output restituzione - - - Competenze dell’operatore Formatore orientatore con competenze di mediatore/facilitatore. Condizioni organizzative / supporti Liberare l’aula dai banchi e successivamente disporre le sedie in cerchio al fine di favorire l’interazione comunicativa. Criteri di valutazione / autovalutazione Favorire al termine dell’attività una discussione in merito al grado di socializ- 132 zazione raggiunto e all’interazione tra i diversi partecipanti sia per l’attività di gruppo che per l’attività ludica. Redigere un verbale di sintesi in merito all’attività svolta. Responsabilità Formatore orientatore. Archiviazione Formatore orientatore. Eventuali suggerimenti / altro - - - 133 Guida per l’utente Titolo Tira il dado. Obiettivi Favorire e sviluppare i rapporti interpersonali all’inizio dell’anno formativo specialmente con i tuoi eventuali nuovi compagni. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Promuovere il rispetto e la fiducia verso i compagni instaurando un clima di col- laborazione. Materiali disponibili Dado di cartoncino (cm 10 di lato) e pennarelli. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 15 minuti per formulare argomenti. 30 minuti per attività di gioco. Istruzioni Secondo le indicazioni del formatore orientatore formare 2 gruppi. Gruppo 1: formulare un argomento di discussione e scriverlo su una faccia del dado. Gruppo 2: formulare un argomento di discussione e scriverlo su una faccia del dado. Terminare il lavoro in gruppo e riunire la classe. Ogni singolo allievo a turno lancerà il dado e risponderà alla domanda/argomento che compare sulla faccia superiore. Il lanciatore al quale si presentasse una do- manda a cui ha già risposto, sarà obbligato a rigettare il dado. Si pone termine al gioco quando tutti i partecipanti avranno risposto a tutte e quat- tro le domande ed ai due argomenti. Esempi argomenti: ambito lavorativo (competenze professionali, tecnico-speci- fiche, trasversali), valori (amicizia, famiglia, amore, lavoro, pace, ecc.). Correzione - - - 134 Output restituzione - - - Criteri di valutazione / autovalutazione Alla fine del gioco esprimere verbalmente un giudizio sull’esperienza e se que- sta ha favorito la socializzazione e l’integrazione tra gli allievi. STRUMENTI PER ATTIVITÀ DI ACCOGLIENZA NEI PERCORSI DI SPECIALIZZAZIONE Parte prima ENTE E STRUMENTI 139 Guida per l’operatore Fase / area Accoglienza. Titolo Presentazione Ente e struttura ospitante. Fonte e reperibilità C.I.O.F.S. - F.P. Piemonte. Tipologia Scheda descrittiva. Obiettivi Far conoscere l’Ente e il Centro di Formazione (la mission, l’organizzazione, la storia, l’offerta dei servizi, ecc.). Destinatari Giovani ultradiciottenni e adulti. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Denominazione e origini. Struttura organizzativa e presenza sul territorio. Mission. Offerta formativa e attività/servizi presenti. Metodologie didattiche (simulimpresa, atelier pedagogico, cooperative lear- ning, FAD, ecc.). Materiali disponibili Volantini, manuale qualità, Internet. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 60 minuti circa nelle prime ore di avvio attività. 140 Istruzioni - - - Correzione - - - Output restituzione - - - Competenze dell’operatore Conoscere la struttura e l’articolazione del corso. Condizioni organizzative / supporti Aula attrezzata con lavagna luminosa e P.C. collegato a videoproiettore. Criteri di valutazione / autovalutazione - - - Responsabilità Coordinatore / tutor corso. Archiviazione - - - Eventuali suggerimenti / altro - - - 141 Guida per l’utente Titolo Presentazione struttura ospitante. Obiettivi Conoscere l’Ente e la mission. Conoscere le attività del Centro di Formazione Professionale (realtà nazionale, regionale e locale). Conoscere gli ambienti della struttura ospitante. Favorire il senso di appartenenza. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro - - - Materiali disponibili Volantino Ente/Centro. Sito nazionale www.ciofs-fp.org. Sito regionale www.ciofsfp.org. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi - - - Istruzioni - - - Correzione - - - Output restituzione - - - Criteri di valutazione / autovalutazione - - - 142 Guida per l’operatore Fase / area Accoglienza. Titolo Analisi delle aspettative. Fonte e reperibilità C.I.O.F.S. - F.P. Piemonte. Tipologia Scheda strutturata di analisi delle aspettative formativo/professionali. Obiettivi Conoscere la motivazione e il grado di consapevolezza del percorso e del profi- lo professionale atteso. Destinatari Giovani ultradiciottenni e adulti. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro “Alcuni dati personali”. Motivazione alla scelta. Aspettative rispetto al corso. Livello di conoscenza della figura professionale, del contesto di riferimento (altre figure con cui si relaziona), sbocchi professionali. Materiali disponibili Scheda. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 30 minuti prima della presentazione del corso. 143 Istruzioni - - - Correzione - - - Output restituzione - - - Condizioni organizzative / supporti Aula. Criteri di valutazione / autovalutazione Confronto con la scheda descrittiva del corso che verrà presentata successiva- mente. Responsabilità Coordinatore / tutor corso. Archiviazione Dossier personale. Eventuali suggerimenti / altro - - - 144 Guida per l’utente Titolo Analisi delle aspettative. Obiettivi Esprimere le proprie aspettative riguardo il corso. Confrontare il profilo professionale “immaginato/rappresentato” e il profilo professionale di riferimento. Valutare la propria disponibilità a investire nella scelta. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Aspettative personali e il grado di conoscenze possedute/immaginate della figura professionale di riferimento. Materiali disponibili Scheda per l’analisi delle aspettative formative/professionali. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi - - - Istruzioni - - - Correzione - - - Output restituzione - - - Criteri di valutazione / autovalutazione - - - 145 ANANALISI DELLE ALISI DELLE ASPETTASPETTAATIVE TIVE denominazione cordenominazione corsoso codice corcodice corsoso orore totali core totali corso e anno fso e anno forormamatitivvoo LOGO Dati sede operativa COGNOME ___________________________________ ETÀ ___________ NOME _______________________________________ ETÀ ___________ TITOLO STUDIO _____________________________ ETÀ ___________ PER QUALE RAGIONE INTENDO FREQUENTARE QUESTO CORSO? ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ COSA MI ASPETTO DA QUESTO CORSO? ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ SONO CONSAPEVOLE DELLE COMPETENZE/RISORSE RICHIESTE PER RICOPRIRE IL RUOLO DI QUESTA FIGURA PROFESSIONALE? ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ 146 Guida per l’operatore Fase / area Accoglienza. Titolo Presentazione generale del profilo professionale atteso e del percorso. Fonte e reperibilità C.I.O.F.S. - F.P. Piemonte. Tipologia Scheda descrittiva corso. Regolamento. Obiettivi Presentare l’articolazione del corso (formazione in aula – stage – prova finale) in termini di ore, fasi, contenuti, operatori coinvolti, strumenti e metodologie. Destinatari Giovani ultradiciottenni e adulti. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Profilo professionale Calendario corso (Orario - inizio/fine corso – formazione in aula – stage – pro- va finale - interruzioni). Fasi – Unità Formative – Formatori – Tempi e metodologie. Regolamento. Contratto formativo. Materiali disponibili Scheda Collegamenti (progetto di massima). Progetto di dettaglio. Volantini. Regolamento. Contratto formativo. 147 Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 2 ore a seguito della presentazione struttura ospitante e della scheda aspettative formativo/professionali. Istruzioni - - - Correzione - - - Output restituzione - - - Competenze dell’operatore - - - Condizioni organizzative / supporti Aula attrezzata con lavagna luminosa e P.C. collegato a videoproiettore. Criteri di valutazione / autovalutazione - - - Responsabilità Coordinatore / tutor corso Coordinatore / tutor corso e Responsabile di centro (per contratto formativo). Archiviazione Gli originali del “contratto formativo” devono essere conservati nel dossier per- sonale dell’utente. 148 Guida per l’utente Titolo Presentazione generale del profilo professionale atteso e del corso. Obiettivi Approfondire la conoscenza del percorso formativo in tutti i suoi aspetti: • Profilo professionale • Calendario corso (Orario – inizio/fine corso – formazione in aula – stage – prova finale – interruzioni) • Fasi – Unità Formative – Formatori – Tempi e metodologie • Regolamento • Contratto formativo Presa di coscienza e condivisione della scelta. Assunzione di responsabilità. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Profilo professionale atteso in uscita dal percorso e motivazione. Materiali disponibili Calendario corso e scheda presentazione corso Regolamento Contratto formativo Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi - - - Istruzioni - - - Correzione - - - Output restituzione - - - 149 Dati sede operativa LOGO SCHEDSCHEDA DESCRITTIVA DESCRITTIVA PERCORSOA PERCORSO denominazione cordenominazione corsoso codice corcodice corsoso orore totali core totali corso e anno fso e anno forormamatitivvoo PROFILO ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ SBOCCHI OCCUPAZIONALI ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ CERTIFICAZIONE ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ARTICOLAZIONE CORSO Fase 1 Fase 2 Stage Prova finale TOTALE ORE FASE UNITÀ FORMATIVA ORE FORMATORE METODOLOGIE 150 Guida per l’operatore Fase/Area Accoglienza. Titolo Esplorazione del profilo professionale. Fonte e reperibilità C.I.O.F.S. - F.P. Piemonte. Tipologia Schede di lavoro. Obiettivi Conoscere il profilo professionale di riferimento. Autovalutare le competenze in entrata (posizionamento). Collegare il profilo professionale al percorso formativo. Destinatari Giovani ultradiciottenni e adulti. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Il profilo professionale di riferimento e le competenze/risorse ad esso correlate. Materiali disponibili Scheda di descrizione del profilo professionale (specifiche del corso). Elenco di siti per la ricerca informativa. Articoli di giornale relativi alla professione. Schede di lavoro. Modalità di somministrazione / utilizzo Tempi Fase I: 30 minuti. 151 Fase II: 60 minuti. Fase III: 15 minuti. Fase IV: 45 minuti. Istruzioni Per facilitare la conduzione del lavoro, sarebbe utile predisporre una breve di- spensa per ciascuno degli allievi all’interno della quale si riportano i materiali e le relative consegne nell’ordine di svolgimento stabilito (si veda l’esempio al- legato allo strumento). Correzione Il materiale non richiede una correzione, ma è lasciato al conduttore il compito di coordinare le varie fasi dell’attività alternando i momenti di lavoro individuale a quelli di confronto in gruppo. Output restituzione Schede di lavoro compilate dall’utente. Competenze dell’operatore Conoscenza dell’articolazione del corso. Conoscenza dell’ambito e dei profili professionali di riferimento. Capacità di gestione delle dinamiche di gruppo. Condizioni organizzative / supporti Per facilitare la comunicazione è preferibile utilizzare un’aula con tavoli dispo- sti a semicerchio. Criteri di valutazione / autovalutazione Il lavoro prevede momenti di autovalutazione basati su esperienze e vissuti per- sonali e momenti di confronto in gruppo. Responsabilità Coordinatore-tutor/orientatore. Archiviazione Agenda di automonitoraggio. 152 Eventuali suggerimenti / altro Il modulo può essere sviluppato tenendo presente i possibili collegamenti con mo- duli riguardanti il diagnosticare, relazionarsi, affrontare, l’inserimento e le tec- niche di ricerca attiva del lavoro. 153 Guida per l’utente Titolo Esplorazione del profilo professionale. Obiettivi Conoscere il profilo professionale di riferimento. Autovalutare le competenze in entrata (posizionamento). Collegare il profilo professionale al percorso formativo. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Il profilo professionale di riferimento e le competenze/risorse ad esso correlate. Materiali disponibili Scheda di descrizione del profilo professionale. Elenco di siti per la ricerca informativa. Articoli di giornale relativi alla professione. Schede di lavoro. Modalità di somministrazione / utilizzo Tempi Fase I: 30 minuti. Fase II: 60 minuti. Fase III: 15 minuti. Fase IV: 45 minuti. Istruzione Svolgere le fasi nell’ordine stabilito dal conduttore. Correzione Il materiale non richiede una correzione, ma intende offrire spunti di riflessione sia per i momenti di lavoro individuale, sia per il confronto in gruppo. Output restituzione Schede di lavoro compilate dall’utente. 154 Criteri di valutazione / autovalutazione Il lavoro prevede momenti di autovalutazione basati su esperienze e vissuti per- sonali e momenti di confronto in gruppo. 155 I Fase Conoscenza del profilo professionale di riferimento Allegati 1. Scheda relativa alla descrizione del profilo professionale (ROME, jobline.it, Mestieri in mostra, repertorio professioni ISFOL, CD ROM Porte aperte 2002...). 2. Elenco di siti per l’esplorazione personale per la ricerca informativa. 3. Articoli di giornali relativi alla professione. 156 II Fase Descrizione del profilo professionale Dopo aver esaminato le schede relative alla professione individuate ed inserite nella tabella sottostante, prova a definire quali sono le competenze tecniche e ri- sorse personali che secondo te si devono sviluppare per raggiungere un’adeguata professionalità. Scheda di analisi personale COMPETENZE TECNICHE RISORSE PERSONALI 157 Dopo la riflessione individuale, condividi con il gruppo la tua analisi e compila la descrizione della professione scaturita dalla discussione. Scheda di analisi del gruppo COMPETENZE TECNICHE RISORSE PERSONALI 158 Ora che avete definito in gruppo quali sono le caratteristiche della professione, provate a individuare gli eventuali vincoli e vantaggi connessi a questa attività. VINCOLI VANTAGGI 159 III Fase Autovalutazione delle competenze in entrata Quali, tra le competenze che avete individuato nella discussione di gruppo, ritieni di possedere e quali ti piacerebbe sviluppare durante il percorso formativo? Legenda 1 = non ancora acquisita 2 = parzialmente acquisita 3 = acquisita J = da sviluppare nel percorso formativo Legenda 1 = non ancora acquisita 2 = parzialmente acquisita 3 = acquisita J = da sviluppare nel percorso formativo RISORSE PERSONALI 1 2 3 J 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. COMPETENZE TECNICHE 1 2 3 J 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 160 IV Fase: presentazione del percorso formativo Allegati Scheda di presentazione del percorso formativo (estrapolata da SINFOD) In quale modulo o materia del percorso formativo pensate che vengano svilup- pate/perfezionate le competenze e le risorse che avete precedentemente indivi- duato? Indicate il nome del modulo nei cerchi e le competenze/risorse nello spa- zio centrale. Cercate ora di unire con una freccia la competenza/risorsa con il /i moduli cor- rispondenti. Riflettete personalmente e provate a discuterne insieme. COMPETENZE/RISORSE ––––––––––––––––––––––––––– ––––––––––––––––––––––––––– ––––––––––––––––––––––––––– –––––––––––––––––––––––––– ––––––––––––––––––––––––––– ––––––––––––––––––––––––––– ––––––––––––––––––––––––––– –––––––––––––––––––––––––– 161 ELENCO SITI PER LA RICERCA DELLE PROFESSIONI www.agenzialavoro.tn.it/ http://147.162.100.187/stage/rimedia/sito/sportello/repertorio www.isfol.it/orientaonline/consulta www.jobcard.it www.mestieri.it Per un elenco più completo si rimanda alla seguente pubblicazione: C.I.O.F.S. - F.P. Piemonte (2003), Le competenze orientative. Un approccio metodologico a proposte di strumenti. Torino, S.G.S., pag. 230-235. 162 Guida per l’operatore Fase / area Accoglienza. Titolo Presentazione del regolamento. Fonte e reperibilità Regolamento interno C.I.O.F.S. - F.P. Piemonte. Per accedere ai materiali da utilizzare si rimanda alla sezione “Diritto e dovere all’istruzione” – parte prima, contenuta nella presente pubblicazione. Tipologia Attività finalizzata alla presentazione e condivisione del regolamento. Obiettivi Trasmettere i valori professionali e le norme che regolano l’attività del Centro. Far prendere coscienza dell’importanza dello stesso. Destinatari Giovani ultradiciottenni e adulti. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Significato del termine “regolamento”. Finalità del regolamento. Osservanza del regolamento. Presa visione del documento interno al Centro. Provvedimenti da applicare, ove possibile, nel caso di mancato rispetto dello stesso. Materiali disponibili Regolamento. Scheda “Significato del regolamento”. 163 Scheda “Finalità del regolamento”. Scheda “Osservanza del regolamento”. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 2 ore, dopo la presentazione del corso. Istruzioni - - - Correzione - - - Output restituzione - - - Criteri di valutazione / autovalutazione - - - Condizioni organizzative / supporti Aula attrezzata con lavagna luminosa, PC, videoproiettore, cartelloni, pennarelli colorati, post- it, vocabolario, puzzle di lettere, immagini tratte da giornali e ri- viste. Responsabilità Coordinatore / tutor corso. Archiviazione - - - Eventuali suggerimenti / altro - - - 164 Guida per l’utente Titolo Presentazione del regolamento. Obiettivi Conoscere e condividere i valori professionali e le norme del regolamento del Centro e prendere coscienza dello stesso. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro - - - Materiali disponibili Aula attrezzata con lavagna luminosa. PC collegato a un videoproiettore. Cartelloni e Post – it. Pennarelli colorati. Vocabolario. Puzzle di lettere e immagini tratte da giornali e riviste. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi - - - Istruzioni - - - Correzione - - - Output restituzione - - - Criteri di valutazione / autovalutazione - - - Parte seconda DIMENSIONE PERSONALE 167 Guida per l’operatore Fase / area Accoglienza. Titolo Il poster. Fonte e reperibilità Jelfs M., (1997), Tecniche di animazione. Roma, Elledici. Tipologia Attività di gruppo. Obiettivi Presentarsi reciprocamente facendo in modo che le informazioni siano visua- lizzate e a disposizione di tutti. Stimolare la formulazione di domande, associazioni e riflessioni. Destinatari Giovani ultradiciottenni e adulti. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Favorire l’implementazione delle informazioni atte a sviluppare canali relazio- nali su basi reali. Materiali disponibili Un cartellone (cm 50 x 40 circa) ad allievo. Pastelli, matite, pennarelli. Riviste e quotidiani. Forbici e colla. PC con collegamento ad Internet. Modalità di somministrazione /di utilizzo Tempi Sviluppare l’attività in due momenti successivi: dai 30 ai 45 minuti per la realiz- zazione del cartellone e 1 ora circa per la socializzazione dei risultati ottenuti. 168 Istruzioni Ciascun allievo, in modo anonimo, compone sul proprio cartellone un poster che, attraverso immagini o parole, risponda alle seguenti indicazioni: – “Ritaglia da 1 a 3 immagini o, in alternativa, individua delle parole che de- scrivano aspetti della tua storia formativa e/o professionale”. – “Individua 5 immagini o aggettivi che ti descrivano”. – “Tra questi, quale reputi più importante? Utilizza una strategia grafica per evidenziarlo”. – “Quale tra le tue caratteristiche ti aspetti sia una risorsa utilizzabile in vi- sta del tuo futuro profilo professionale?”. Correzione - - - Output restituzione Al termine dell’attività, tutti i cartelloni vengono raccolti e, a turno, gli allievi so- no invitati ad esprimere un’ipotesi sulla personalità dell’autore del poster preso in esame. Dopo aver dato la possibilità a tutti i componenti del gruppo classe di esprimersi, l’autore dell’elaborato si rivelerà e avrà la possibilità di confermare, implementare o smentire le ipotesi fatte dalla classe. Competenze dell’operatore Capacità di mediare e condurre un gruppo. Capacità di favorire la costruzione di corrette strategie comunicative di gruppo. Condizioni organizzative / supporti Gli allievi non sono vincolati allo “stare seduti”, ma anzi hanno la possibilità di muoversi all’interno della classe per ricercare lo strumento o il supporto che mag- giormente permette loro di rispondere ai quesiti posti. Il supporto informatico è da considerarsi utile ed utilizzabile in corsi in cui la figura professionale è di ti- po più tecnico-organizzativo e per i quali gli allievi hanno già delle abilità ac- quisite. Criteri di valutazione / autovalutazione Grado di coinvolgimento, interesse e partecipazione dell’allievo. Responsabilità Orientatore. 169 Archiviazione Dopo un confronto sul percorso fatto, il poster verrà riconsegnato all’utente. Eventuali suggerimenti / altro Gli spunti di riflessione per la costruzione del poster possono essere modificati nella forma ma non nel contenuto, al fine di mantenere valido l’obiettivo cono- scitivo prefissato. 170 Guida per l’utente Titolo Il poster. Obiettivi Presentarsi, condividendo con il gruppo classe frammenti di vita personale e pro- fessionale, stimolando la capacità di applicare la creatività al reale. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Favorire la condivisione di informazioni utili alla socializzazione. Materiali disponibili Un cartellone (cm 50 x 40 circa) ad allievo. Pastelli, matite, pennarelli. Riviste e quotidiani. Forbici e colla. PC con collegamento ad Internet. Modalità di somministrazione / utilizzo Tempi L’attività si sviluppa in due momenti successivi: dai 30 ai 45 minuti per la rea- lizzazione del cartellone e 1 ora circa per la socializzazione dei risultati ottenuti. Istruzioni Ciascun allievo, in modo anonimo, deve comporre sul proprio cartellone un poster che, attraverso immagini o parole, risponda alle seguenti indicazioni: – “Ritaglia da 1 a 3 immagini o, in alternativa, individua delle parole che de- scrivano aspetti della tua storia formativa e/o professionale”. – “Individua 5 immagini o aggettivi che ti descrivano”. – “Tra questi, quale reputi più importante? Utilizza una strategia grafica per evidenziarlo.” – “Quale tra le tue caratteristiche ti aspetti sia una risorsa utilizzabile in vi- sta del tuo futuro profilo professionale?”. Correzione - - - 171 Output restituzione Al termine dell’attività, tutti i cartelloni vengono raccolti e, a turno, gli allievi so- no invitati ad esprimere un’ipotesi sulla personalità dell’ “autore” del poster pre- so in esame. Dopo aver dato la possibilità a tutti i componenti del gruppo clas- se di esprimersi, l’autore dell’elaborato si rivelerà e avrà la possibilità di con- fermare, arricchire o smentire le ipotesi fatte dalla classe. Criteri di valutazione / autovalutazione Grado di coinvolgimento, interesse e partecipazione dell’allievo. 172 Guida per l’operatore Fase / area Accoglienza. Titolo Facciamo a palle di neve. Fonte e reperibilità Comoglio M. (1999), Educare insegnando. Apprendere ad applicare il Coope- rative Learning. Roma, LAS. Tipologia Attività di gruppo. Obiettivi Favorire la socializzazione nei primi giorni di corso, avendo la possibilità di espri- mersi in modo indiretto. Destinatari Giovani ultradiciottenni e adulti. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Approfondimento della conoscenza, attraverso il gioco – divertimento come modalità indiretta di espressione. Materiali disponibili Un foglio formato A4 e una penna ad allievo. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi Sviluppare l’attività in due momenti successivi: dai 5 ai 10 minuti per la realiz- zazione della “palla di neve” e 30 minuti circa per la socializzazione. Istruzioni Liberare l’aula dai tavoli per permettere di disporre le sedie a cerchio. Dopo aver 173 così strutturato la classe, ciascun allievo, deve scrivere sul foglio il proprio no- me (se si vuole che i ragazzi si conoscano reciprocamente) e qualcosa che lo ri- guardi (qualcosa che gli piace, un bel ricordo, un fatto accaduto, un sogno nel cas- setto, etc...). In seguito deve accartocciare il foglio e al via, tenendo gli occhi chiu- si, gettare la palla di carta al centro dell’aula. Ognuno ne raccolga una, l’apra, leg- ga ciò che vi è scritto e cerchi di individuare il compagno a cui appartiene. Do- po averlo individuato, spieghi da quali indizi sia risalito a lui. Il compagno si ri- velerà e avrà la possibilità di confermare, implementare o smentire l’ipotesi. Si consideri evidente che se si verificasse l’ipotesi per cui un allievo sorteggias- se il proprio foglio dovrà nuovamente ripetere l’azione, dopo aver riposizionato il suo. Correzione - - - Output restituzione Al termine dell’attività, ogni allievo avrà avuto la possibilità di conoscere alcu- ni aspetti personali dei suoi compagni. Competenze dell’operatore Capacità di condurre un gruppo ancora sconosciuto. Promuovere il concetto di interdipendenza positiva. Condizioni organizzative / supporti - - - Criteri di valutazione / autovalutazione Grado di coinvolgimento, interesse e partecipazione dell’allievo. Responsabilità Orientatore. Archiviazione Dossier personale dell’utente. Eventuali suggerimenti / altro Le informazioni richieste all’allievo possono variare in relazione alla tipologia del corso in coerenza con l’obiettivo conoscitivo prefissato. 174 Guida per l’utente Titolo Facciamo a palle di neve. Obiettivi Favorire la socializzazione nei primi giorni di corso. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Approfondire ed arricchire la conoscenza dei propri compagni di corso. Materiali disponibili Un foglio formato A4 e una penna ad allievo. Modalità di somministrazione / utilizzo Tempi L’attività si sviluppa in due momenti successivi: dai 5 ai 10 minuti per la rea- lizzazione della “palla di neve”, 30 minuti circa per la socializzazione. Istruzioni Ciascun allievo, deve scrivere su un foglio il proprio nome e qualcosa che lo ri- guarda (qualcosa che gli piace, un bel ricordo, un fatto accaduto, un sogno nel cassetto, etc). In seguito deve accartocciare il foglio e al via, tenendo gli occhi chiusi, gettare la palla di carta al centro dell’aula. Ognuno ne raccolga una, l’a- pra, legga ciò che vi è scritto e cerchi di individuare il compagno a cui appartiene. Dopo averlo individuato, spiegare da quali indizi sia risalito a lui. Il compagno si rivelerà e avrà la possibilità di confermare, arricchire o smentire l’ipotesi. Si consideri evidente che se si verificasse l’ipotesi per cui un allievo sorteggias- se il proprio foglio dovrà nuovamente ripetere l’azione, dopo aver riposizionato il suo. Correzione - - - Output restituzione Al termine dell’attività, ogni allievo avrà avuto la possibilità di conoscere alcu- ni aspetti personali dei suoi compagni. 175 Criteri di valutazione / autovalutazione Grado di coinvolgimento, interesse e partecipazione dell’allievo. 176 Guida per l’operatore Fase / area Accoglienza. Titolo Tira il dado. Fonte / reperibilità Comoglio M. (1999). Educare insegnando. Roma, LAS. Tipologia Attività di gruppo. Obiettivi Sviluppare un’attività che favorisca la socializzazione con eventuali nuovi mem- bri del gruppo e la ripresa delle attività formative. Destinatari Giovani ultradiciottenni e adulti. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Riprendere ed implementare le risorse sociali del gruppo classe creando un cli- ma cooperativo. Favorire l’inserimento di eventuali nuovi allievi attraverso la conoscenza reciproca al fine di monitorare possibili conflittualità latenti. Materiali disponibili Dado di cartoncino (cm 10 di lato) e pennarelli. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 15 minuti per formulare argomenti. 30 minuti per attività di gioco. 177 Istruzioni Formare 2 gruppi: un gruppo avrà il compito di formulare un argomento ri- guardante le abilità e le competenze necessarie nel mondo del lavoro rispetto al profilo professionale atteso (es: competenze professionali, tecnico-specifiche, tra- sversali); l’altro gruppo avrà il compito di formulare un argomento riguardante i valori scegliendo quello che ritengono più importante (es: amicizia, famiglia, amore, lavoro, pace, etc.). Ogni gruppo ha a disposizione una faccia del dado su cui scrivere l’argomento discusso/proposto al suo interno; sulle altre facce verranno riportate le seguen- ti domande, scegliendo tra quelle proposte: – “Quale potrebbe essere il tuo gruppo di lavoro ideale?”. – “Cosa hai fatto durante le vacanze estive?”. – “Quale esperienza formativa ripeteresti?”. – “Rispetto allo scorso anno, in cosa sei cambiato?”. – “Quali sono le tue aspettative per l’anno formativo appena iniziato?”. Terminata la fase a gruppi incomincia la fase di gioco. Ogni membro (della classe) lancia il dado ed il lanciatore di turno risponde al- la domanda/argomento che compare sulla faccia superiore. Il lanciatore al qua- le si presentasse una domanda a cui ha già risposto, sarà obbligato a rigettare il dado. Si pone termine al gioco quando tutti i partecipanti avranno risposto a tutte e sei le domande. Correzione - - - Output restituzione - - - Competenze dell’operatore Formatore orientatore con competenze di mediatore/facilitatore. Condizioni organizzative / supporti Liberare l’aula dai banchi e successivamente disporre le sedie in cerchio al fine di favorire l’interazione comunicativa. Criteri di valutazione /autovalutazione Favorire al termine dell’attività una discussione in merito al grado di socializ- 178 zazione raggiunto e all’interazione tra i diversi partecipanti sia per l’attività di gruppo che per l’attività ludica. Redigere un verbale di sintesi in merito all’attività svolta. Responsabilità Formatore orientatore Archiviazione Formatore orientatore. Eventuali suggerimenti / altro - - - 179 Guida per l’utente Titolo Tira il dado. Obiettivi Favorire e sviluppare i rapporti interpersonali all’inizio dell’anno formativo specialmente con i tuoi eventuali nuovi compagni. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Promuovere il rispetto e la fiducia verso i compagni instaurando un clima di col- laborazione. Materiali disponibili Dado di cartoncino (cm 10 di lato) e pennarelli. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 15 minuti per formulare argomenti. 30 minuti per attività di gioco. Istruzioni Secondo le indicazioni del formatore-orientatore formare 2 gruppi. Gruppo 1: formulare un argomento di discussione e scriverlo su una faccia del dado. Gruppo 2: formulare un argomento di discussione e scriverlo su una faccia del dado. Terminare il lavoro in gruppo e riunire la classe. Ogni singolo allievo a turno lancerà il dado e risponderà alla domanda/argomento che compare sulla faccia superiore. Il lanciatore al quale si presentasse una do- manda a cui ha già risposto, sarà obbligato a rigettare il dado. Si pone termine al gioco quando tutti i partecipanti avranno risposto a tutte e quat- tro le domande ed ai due argomenti. Esempi argomenti: ambito lavorativo (competenze professionali, tecnico-speci- fiche, trasversali), valori (amicizia, famiglia, amore, lavoro, pace, etc.). Correzione - - - 180 Output restituzione - - - Criteri di valutazione /autovalutazione Alla fine del gioco esprimere verbalmente un giudizio sull’esperienza e se que- sta ha favorito la socializzazione e l’integrazione tra gli allievi.

Le competenze orientative. Un approccio metodologico e proposte di strumenti

Autore: 
CIOFS/FP Piemonte
Categoria pubblicazione: 
Progetti
Anno: 
2003
Numero pagine: 
238
PON Ob. 1, IT 161, PO 001 - Avviso 5/01 fasc. 10 PON Ob. 3, IT 053, PO 007 - Avviso 1/01 fasc. 52 CIOFS/FP Centro Italiano Opere Femminili Salesiane Formazione Professionale MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI UNIONE EUROPEA Regioni coinvolte Centro Nord: Abruzzo, Emilia Romagna, Liguria, Piemonte, Veneto, Toscana Ob. 1: Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna, Sicilia. Partner nazionali CE.TRANS Centro per le Transizioni al Lavoro e nel Lavoro, UPS Università Pontificia Salesiana, COSPES Centro di Orientamento Scolastico Professionale e Sociale, CNOS-FAP Centro Nazionale Opere Salesiane Formazione e Aggiornamento Professionale, OESSE Officina Sociale, SCF Scuola Centrale Formazione. Associazioni Regionali CIOFS-FP CIOFS-FP Abruzzo, CIOFS-FP Emilia Romagna, CIOFS-FP Liguria, CIOFS-FP Piemonte, CIOFS-FP Veneto, CIOFS-FP Toscana, CIOFS-FP Basilicata, CIOFS-FP Calabria, CIOFS-FP Campania, CIOFS-FP Puglia, CIOFS-FP Sardegna, CIOFS-FP Sicilia. Coordinamento editoriale: Chiara Ortali La presente pubblicazione è stata curata dal CIOFS-FP Piemonte. L’Associazione CIOFS-FP Piemonte è presente sul territorio regionale con 11 sedi operative, una sede di coordinamento ed un Centro di Bilancio di competenza. Nella progettazione e sviluppo delle sue attività, l’Associazione ha sempre prestato particolare attenzione alla realtà dell’orientamento, riconoscendo in esso un elemento essenziale per la promozione dei suoi utenti. La presenza di Sportelli orientativi presso ciascuna delle proprie sedi e l’Accreditamento da parte degli organismi competenti dei servizi offerti evidenziano infatti il valore attribuito dall’Ente all’orientamento. Stampa: Ottobre 2003 Torino Progetto Il Progetto ORION ha rappresentato un’occasione di confronto tra diverse realtà territo- riali che si occupano di orientamento attraverso lo sviluppo e l’ampliamento del model- lo PIOPP (Percorso di Inserimento Orientativo Professionale Personalizzato) elaborato e spe- rimentato dal CIOFS - FP (1997-1999) e riconosciuto come buona pratica dal Ministero del Lavoro a livello multiregionale (Calabria, Emilia Romagna, Piemonte). Risultati del Progetto Livello organizzativo • Trasferimento della pratica di “successo” in un contesto locale attraverso un processo lear- ning by doing promuovendo una comprensione allargata dei problemi e della necessità dell’orientamento. • Potenziamento delle competenze delle équipe di orientamento, nel contesto delle As- sociazioni CIOFS-FP, relativamente alla progettazione orientativa, all’utilizzo e l’inter- pretazione degli strumenti. • Attivazione di reti di attori locali per la progettazione e la realizzazione di percorsi orientativi personalizzati. • Diffusione e differenziazione delle competenze in campo orientativo, nel contesto territo- riale d’intesa con i servizi per l’impiego e con il coinvolgimento degli organismi impegna- ti nell’orientamento, nella formazione e nell’inserimento scolastico e professionale. • Stesura di un primo progetto di rete locale per l’orientamento nel rispetto delle specifi- cità di ciascun organismo partecipante. Network In tutte le regioni coinvolte le équipe ed i rappresentanti della rete hanno lavorato per l’ac- quisizione e la diffusione della buona pratica attraverso la pianificazione e realizzazione di project work locali tarati sui diversi contesti territoriali in riferimento a target specifici. Produzione/diffusione Revisione di alcuni strumenti di orientamento già sperimentati. Creazione di nuovi strumenti rivolti sia a giovani che ad adulti. Il sito La realizzazione del sito come portale interattivo per il dibattito e lo sviluppo della buo- na pratica, ha costituito uno strumento di lavoro insostituibile consentendo agilità di scam- bio e di confronto. Il sito http://www.progetto-orion.it/ resterà attivo dopo la conclusione del progetto. Valore aggiunto La realizzazione del progetto OrION ha consentito un ampliamento della pratica spostando il modello anche su target diversi: giovani in obbligo formativo, giovani post obbligo for- mativo, adulti. Ulteriore valore è dato dal metodo adottato per la diffusione: sono state, infatti, poste in es- sere procedure di collaborazione, interazione e integrazione sia a livello nazionale che a livello locale tra le diverse organizzazioni coinvolte. L’équipe che a livello nazionale ha curato il trasferimento della pratica ha favorito un proficuo dibattito e scambio tra le diverse reti locali che hanno partecipato alla sperimentazione. Gli stage ed i seminari realizzati a livello multiregionale, hanno permesso un confronto su me- todologie, strumenti, strutture organizzative, stimolando applicazioni a livello locale. 4 5 INTRODUZIONE ............................................................................................... 9 ESSERE CONSAPEVOLI DELLE PROPRIE RISORSE PERSONALI IL TEST DEI 10 FATTORI .................................................................................. 15 Guida per l’operatore ............................................................................................ 23 Guida per l’utente ................................................................................................. 25 LE MIE PARTICOLARITÀ ................................................................................. 26 Guida per l’operatore ............................................................................................ 28 Guida per l’utente ................................................................................................. 30 RICONOSCERE I PROPRI INTERESSI VERSO SPECIFICHE AREE PROFESSIONALI PRIA 2000 ............................................................................................................ 33 Guida per l’operatore ............................................................................................ 47 Guida per l’utente ................................................................................................. 51 IL MIO LAVORO FUTURO ................................................................................. 53 Guida per l’operatore............................................................................................. 89 Guida per l’utente .................................................................................................. 92 RICONOSCERE I PROPRI VALORI PROFESSIONALI COSA CERCHI NEL LAVORO?.......................................................................... 97 Guida per l’operatore ............................................................................................ 99 Guida per l’utente ................................................................................................. 102 I MIEI VALORI PROFESSIONALI ..................................................................... 104 Guida per l’operatore ............................................................................................ 112 Guida per l’utente ................................................................................................. 115 POSSEDERE UN’ADEGUATA RAPPRESENTAZIONE DEL FUTURO TRA DIECI ANNI… ............................................................................................ 119 Guida per l’operatore ............................................................................................ 121 Guida per l’utente ................................................................................................. 123 INDICE 6 UNA LAMPADA PER IL TUO FUTURO .......................................................... 124 Guida per l’operatore ............................................................................................ 129 Guida per l’utente ................................................................................................. 131 AVERE UN BUON LIVELLO DI EMPOWERMENT LA PIRAMIDE DELLE QUALITÀ .................................................................... 135 Guida per l’operatore ............................................................................................ 138 Guida per l’utente ................................................................................................. 140 MI GUARDO E VEDO… .................................................................................... 141 Guida per l’operatore ............................................................................................ 143 Guida per l’utente ................................................................................................. 145 POSSEDERE UN ADEGUATO STILE DI COPING STILI COGNITIVI ............................................................................................... 149 Guida per l’operatore ............................................................................................ 158 Guida per l’utente ................................................................................................. 159 PROBLEM SOLVING – TEORIA ED ESERCITAZIONE ................................. 162 Guida per l’operatore ............................................................................................ 168 Guida per l’utente ................................................................................................. 170 POSSEDERE EFFICACI ABILITÀ DECISIONALI SCEGLI LA TUA STRADA ................................................................................ 173 Guida per l’operatore ............................................................................................ 174 Guida per l’utente ................................................................................................. 176 CAPACITÀ DECISIONALI ................................................................................. 177 Guida per l’operatore ............................................................................................ 180 Guida per l’utente ................................................................................................. 182 ESSERE IN GRADO DI RICERCARE INFORMAZIONI SCHEDA RACCOLTA DATI Percorso scolastico - formativo ............................ 185 Guida per l’operatore ............................................................................................ 187 Guida per l’utente ................................................................................................. 189 SCHEDA RACCOLTA DATI Profilo / area professionale ................................... 191 Guida per l’operatore ............................................................................................ 193 Guida per l’utente ................................................................................................. 195 ESSERE IN GRADO DI COSTRUIRE UN ADEGUATO PROGETTO FORMATIVO E LAVORATIVO LE COMPETENZE PER IL PROGETTO ........................................................... 199 Guida per l’operatore ............................................................................................ 201 Guida per l’utente ................................................................................................. 204 7 PROGETTA E “COSTRUISCI” ........................................................................... 206 Guida per l’operatore ............................................................................................ 207 Guida per l’utente ................................................................................................. 208 CONOSCERE E PADRONEGGIARE STRATEGIE D’INSERIMENTO RICERCA ATTIVA DEL LAVORO ..................................................................... 215 Guida per l’operatore ............................................................................................ 226 Guida per l’utente ................................................................................................. 229 SITOGRAFIA ....................................................................................................... 230 Guida per l’operatore ............................................................................................ 236 Guida per l’utente ................................................................................................. 238 9 La presente pubblicazione nasce dall’esperienza maturata dal CIOFS-FP Pie- monte nell’ambito di diversificate attività di orientamento e di specifiche iniziative progettuali. Tra queste il progetto Or.I.O.N., un’iniziativa promossa nel biennio 2002-2003 dalla sede nazionale dell’Associazione, che ha visto la collaborazione delle Associazioni CIOFS-FP regionali e di alcuni loro partner locali. La rifles- sione teorica sviluppata e l’esperienza condotta hanno avuto numerosi risultati si- gnificativi tra cui la raccolta e/o produzione di specifici materiali utili per lo svi- luppo di attività di orientamento. Di qui il desiderio di ordinare e pubblicare ta- li materiali al fine di favorirne un utilizzo il più possibile corretto e allargato. I materiali raccolti e/o prodotti fanno riferimento al concetto di competenze orientative proposto dalla Prof.ssa Maria Luisa Pombeni dell’Università di Bo- logna e su cui si è ampiamente lavorato già nell’ambito di precedenti inziative progettuali (Progetto Youthstart P.R.I.M.E. e progetto Multiregionale P.I.O.P.P.). Le competenze orientative vengono qui intese come capacità, atteggiamenti e pre- ferenze individuali che il soggetto mette in atto per fronteggiare i momenti di scel- ta e/o cambiamento e che, pertanto, rivestono un ruolo determinante in funzio- ne dello sviluppo della persona e della definizione e ridefinizione del proprio pro- getto. Le competenze individuate sono dieci e per ognuna di esse la presente pub- blicazione propone due strumenti di lavoro che permettono di diagnosticare e/o potenziare le competenze di riferimento. Nel dettaglio le competenze orientative possono essere così elencate e descritte: Essere consapevoli delle proprie risorse personali Gli strumenti proposti in riferimento a questa prima competenza hanno come obiettivo quello di favorire l’approfondimento della conoscenza di sé e l’auto- valutazione delle proprie risorse e/o aree di sviluppo. Riconoscere i propri interessi verso specifiche aree professionali Le esercitazioni si prefiggono di evidenziare le preferenze verso determinate aree di studio e di lavoro. Tale aspetto è particolarmente importante in quanto più al- INTRODUZIONE 10 to è il livello di interesse per un’area e maggiore sarà l’attivazione della perso- na nel perseguimento degli obiettivi ad essa collegati. Riconoscere i propri valori professionali Attraverso le schede proposte in riferimento a questa competenza si cerca di ren- dere consapevole la persona dei valori per lei più rilevanti in funzione della co- struzione del proprio progetto formativo professionale. In particolare, si fa rife- rimento ai valori professionali: essi rappresentano caratteristiche o condizioni di lavoro che rispondono ad aspirazioni professionali dell’individuo. Possedere un’adeguata rappresentazione del futuro Si esplorano le rappresentazioni mentali, le idee che gli utenti hanno dei processi formativi e lavorativi. Le rappresentazioni mentali corrispondono a dei sistemi di lettura della realtà che il soggetto utilizza per pensare, agire, scoprire e orga- nizzare la realtà. Fungono pertanto da motore e da guida delle scelte e del com- portamento. In un percorso orientativo diventa importante chiarire e allargare i contenuti delle rappresentazioni di ciascuno. Avere un buon livello di empowerment Gli strumenti proposti permettono di lavorare su quanto una persona sente di po- ter incidere sulle situazioni. Possedere un adeguato stile di coping Le schede presentate mirano a diagnosticare e/o rinforzare in termini di effica- cia l’atteggiamento dell’individuo rispetto ad un evento critico in generale. Possedere efficaci abilità decisionali Quello delle abilità decisionali è un costrutto affine allo stile di coping. Esso in- dica come la persona fronteggia, nello specifico, un problema di scelta. Essere in grado di ricercare informazioni Questa competenza riguarda la capacità di “muoversi” sul territorio e/o sulla re- te nei processi di ricerca, selezione e gestione dell’informazione, anche utiliz- zando adeguati strumenti a supporto di tale capacità. Essere in grado di costruire un adeguato progetto formativo e lavorativo L’elaborazione e la realizzazione di un concreto progetto di crescita personale e 11 professionale rappresentano il punto di arrivo ideale di ogni percorso orientati- vo e formativo. Per giungere a tale obiettivo l’individuo deve superare diverse dif- ficoltà, non ultima quella di imparare ad integrare in modo realistico le proprie aspirazioni con le capacità personali e le opportunità fornitegli dall’ambiente so- ciale di cui è parte integrante. Le schede proposte in riferimento a questa com- petenza orientativa mirano pertanto a sostenere l’individuo nello sviluppo dei pro- cessi descritti sopra. Conoscere e padroneggiare strategie di inserimento Questa competenza riguarda nello specifico il fronteggiamento di situazioni di scelta e transizione afferenti il mondo del lavoro. Le schede inserite in questa se- zione offrono infatti preziosi ausili per la ricerca di un’occupazione (cfr. come ela- borare il proprio curriculum vitae, come sostenere un colloquio di lavoro). Gli strumenti presentati e organizzati secondo lo schema delle competenze orientative sono il frutto di un lavoro congiunto (che ha visto la collaborazione di numerosi partner locali del CIOFS-FP Piemonte) di raccolta o rielaborazione di materiali precedentemente esistenti e provenienti da fonti differenti (a ri- guardo si veda la voce “fonte e reperibilità” della guida per l’operatore) o frut- to di un lavoro di produzione interna. La presente pubblicazione contiene differenti tipologie di strumenti (questiona- ri strutturati, schede di approfondimento, esercitazioni ecc.) utilizzabili in attività di orientamento, generalmente di formazione orientativa, e destinati ad utenti di- versificati. Per questo ogni strumento riporta una guida per l’operatore conte- nente le indicazioni necessarie per garantire un uso corretto ed efficace dello stru- mento stesso. Parallelamente è disponibile una guida per l’utente, più sintetica e semplice rispetto alla precedente, che ha come obiettivo quello di favorire la massima consapevolezza ed autonomia possibile da parte dell’utente nella rea- lizzazione del suo percorso di orientamento. L’utilizzo di ciascuno strumento con- sente comunque un margine di flessibilità da considerare in funzione delle spe- cifiche caratteristiche dell’utente o degli obiettivi e caratteristiche dell’attività pro- posta. Nella speranza che la presente pubblicazione rappresenti un supporto efficace e aggiornato allo sviluppo delle attività di orientamento e quindi alla promozione umana e professionale dei nostri utenti... Si ringraziano per la preziosa collaborazione alle attività del progetto OrION i se- guenti partner locali: CFPP Casa di Carità, Consorzio per la Formazione, l’In- novazione e la Qualità, CSEA, Immaginazione e Lavoro, Città di Torino Circo- scrizione V – Servizi Socio Assistenziali, Provincia di Torino – Ufficio Orien- tamento, Provincia di Torino – Centri per l’Impiego di Torino e Chivasso, IPSS “A. Monti” di Torino, ITCS “P. Sraffa” di Orbassano. ESSERE CONSAPEVOLI DELLE PROPRIE RISORSE PERSONALI 15 IL TEST DEI 10 FATTORI I dieci fattori (o tratti) di personalità evidenziati da questo test sono i seguenti: CORDIALITÀ INTRAPRENDENZA MATURITÀ REALISMO ASSERTIVITÀ MANIPOLAZIONE SOCIALITÀ SICUREZZA PERSEVERANZA CONTROLLO È importante che tu compili il questionario con un atteggiamento mentale di spon- taneità e tranquillità. Prenditi mezz’ora di tempo (anche se potresti finire di compilarlo prima) in cui sei certo di non essere disturbato, non riflettere troppo sulle domande, ma cerca di rispondere d’impulso, pensando che non esistono ri- sposte giuste o sbagliate, ma che sei alla ricerca di te stesso e delle tue caratte- ristiche di base. Le domande sono sessanta, puoi rispondere con un SÌ o un NO, nei casi di in- certezza puoi segnare la risposta TALVOLTA. Dopo aver risposto a tutte (ripe- tiamo “tutte”) le domande, segui le istruzioni che trovi di volta in volta. Accanto ad ogni risposta trovi il valore numerico corrispondente. Nell’ultima co- lonna, sono indicate le lettere che si riferiscono ai 10 tratti di personalità. Per ogni lettera devi sommare il punteggio ottenuto. 16 DOMANDA SÌ NO TALVOLTA CODICE TRATTO 1. Mi definiscono una persona di cuore 2 0 1 A 2. Mi infastidisce la perdita di tempo quando non è necessaria 2 0 1 B 3. Le altre persone mi innervosiscono facilmente 2 0 1 C 4. Vado volentieri a feste, ricevimenti e altri “bagni di folla” 2 0 1 D 5. Ritengo che sia necessario eseguire accuratamente qualunque lavoro 2 0 1 E 6. Tendo ad arrossire se mi si osserva con insistenza 0 2 1 F 7. Mi commuovo facilmente 2 0 1 G 8. Attribuisco un secondo significato alle parole altrui 2 0 1 H 9. Riesco a lasciarmi andare alle emozioni 2 0 1 I 10. Sono molto esigente con me stesso e con gli altri 2 0 1 L 11. Mi piacerebbe un lavoro a contatto con le persone e i loro problemi 2 0 1 A 12. Ho la tendenza a essere ipercritico nei confronti degli altri 0 2 1 B 13. Mi piacciono le cose fatte a modo mio 2 0 1 C 14. Non sto volentieri nei luoghi affollati 0 2 1 D 15. Preferisco le persone geniali anche se incostanti 0 2 1 E 16. Quando so di avere ragione non temo di reclamare 2 0 1 F 17. Preferisco i fatti alle parole 0 2 1 G 18. Penso di avere un sesto senso sulle altre persone 2 0 1 H 19. Mi sento minacciato dal successo degli altri 0 2 1 I 20. È meglio affidarsi alla fortuna che al risparmio 0 2 1 L 21. Alle feste preferisco restare in disparte con un amico 0 2 1 A 22. Tendo ad avere un sonno disturbato 0 2 1 B 17 23. Le persone d’autorità (il capo, il poliziotto...) mi mettono soggezione 0 2 1 C 24. Mi piace coinvolgere gli altri in eventi o cose del genere 2 0 1 D 25. Ho uno spiccato senso del dovere 2 0 1 E 26. Stringo amicizia con facilità 2 0 1 F 27. Amo la natura e la sua contemplazione 2 0 1 G 28. Mi fido degli altri 0 2 1 H 29. Sono in grado di ammettere sia i miei successi che i miei insuccessi 2 0 1 I 30. Il rigore è la chiave del successo 2 0 1 L 31. Nelle situazioni di gruppo odio primeggiare o intrattenere gli altri 0 2 1 A 32. Nei momenti di necessità si può contare su di me 2 0 1 B 33. Mi piace influenzare le altre persone 2 0 1 C 34. Mi sveglio di umore nero 0 2 1 D 35. Meglio un uovo oggi che una gallina domani 0 2 1 E 36. Mi imbarazza parlare in pubblico 0 2 1 F 37. Amo sognare a occhi aperti 2 0 1 G 38. Mi considero una persona spontanea 0 2 1 H 39. In certe situazioni non riesco ad agire come vorrei 0 2 1 I 40. Tendo a fuggire dalle situazioni difficili 0 2 1 L 41. Ho la tendenza a parlare agli altri dei miei sentimenti e delle mie emozioni 2 0 1 A 42. Anche l’abito fa il monaco 2 0 1 B 43. Taccio anche se qualcosa non va 0 2 1 C 44. Spesso non vedo l’ora di andare a dormire 0 2 1 D 45. Quando ho tempo preferisco riposarmi anche se avrei molte cose da fare 0 2 1 E 46. Faccio fatica a sostenere un colloquio se mi guardano negli occhi 0 2 1 F 18 47. Prediligo gli oggetti pratici 0 2 1 G 48. Quello che dico spesso ha un secondo fine 2 0 1 H 49. Ho bisogno di incoraggiamenti dagli altri 0 2 1 I 50. Ho raggiunto i miei traguardi grazie al mio impegno 2 0 1 L 51. Mi concentro meglio e rendo di più quando lavoro o studio da solo 0 2 0 A 52. Tendo ad incolpare gli altri nelle situazioni critiche 0 2 1 B 53. Riesco a mentire se lo ritengo utile 0 2 1 C 54. Amo vivere il presente, senza indugiare sul passato 2 0 1 D 55. Se intraprendo qualcosa lo porto sempre a termine 2 0 1 E 56. Sorrido con facilità 2 0 1 F 57. Non disperdo energie in cose superflue 0 2 1 G 58. Mi ingannano facilmente 0 2 1 H 59. Ho la tendenza a essere tranquillo 2 0 1 I 60. Mi impegno soltanto il minimo indispensabile 0 2 1 L Per ciascun tratto puoi ora calcolare il punteggio, sommando i punti assegnati a ogni domanda (di cui ti indichiamo il numero) relativa a quel tratto. A = 1 11 21 31 41 51 = Totale B = 2 12 22 32 42 52 = Totale C = 3 13 23 33 43 53 = Totale D = 4 14 24 34 44 54 = Totale E = 5 15 25 35 45 55 = Totale F = 6 16 26 36 45 56 = Totale G = 7 17 27 37 47 57 = Totale H = 8 18 28 38 48 58 = Totale I = 9 19 29 39 49 59 = Totale L = 10 20 30 40 50 60 = Totale Ora riporta i punteggi ottenuti nella seconda colonna della seguente tabella. Tieni conto che se hai ottenuto un punteggio di 6 o 7 questo è il valore medio di ciascun tratto. 19 CODICE TRATTO PUNTI TRATTO CODIFICANUMERICA DA 8 A 12 CODIFICA NUMERICA DA 1 A 5 A CORDIALITÀ introverso estroverso B MATURITÀ in crescita maturo C ASSERTIVITÀ mite aggressivo D SOCIALITÀ riservato espansivo E PERSEVERANZA incostante scrupoloso F INTRAPRENDENZA timido audace G REALISMO realista sognatore H MANIPOLAZIONE fiducioso sospettoso I SICUREZZA insicuro sicuro L CONTROLLO indolente controllato A CORDIALITÀ Introverso (1-5) Estroverso (8-12) Ogni tratto di personalità è come una linea retta continua che unisce due poli tra loro opposti. Per esempio il tratto (F) “Intraprendenza” è costituito dai poli “Timidezza” e “Audacia”. Il punteggio nella media (6 o 7) indica che hai un giu- sto equilibrio tra audacia e riservatezza. Ciò significa che non è un tratto che ti contraddistingue in modo particolare e che gli altri potrebbero definirti in alcu- ni casi in un modo e in altri nel modo opposto. Invece se hai un punteggio che va da 1 a 5 hai la tendenza più o meno spiccata a essere timido, oppure se hai un punteggio maggiore di 7, ti caratterizza il tratto opposto, l’intraprendenza. In base ai punteggi ottenuti, leggi l’interpretazione dei poli relativi ai singoli trat- ti. Inoltre, troverai nelle spiegazioni alcune possibili associazioni di diversi trat- ti che, se sono verificate nel tuo profilo, ti daranno ulteriori elementi di lettura. INTROVERSO - Sei piuttosto distaccato, solitario e poco portato al confronto di gruppo. Le persone non ti incuriosiscono e con loro tendi ad essere severo e a vol- te critico. Sei rigoroso e contemporaneamente rigido. Se associato a “Timidez- za” (vedi tratto F) sei fragile e tendi ad avere atteggiamenti di difesa, devi ma- turare una maggiore intraprendenza e fiducia negli altri. Se invece è associato ad “Audacia” (tratto F) e ad “Aggressività” (tratto C), hai difficoltà a relazionarti con gli altri se non sei tu a dominare il gioco. ESTROVERSO - Sei aperto, socievole, affettuoso. L’universo delle persone ti in- curiosisce e ti interessa. Sei portato a lavorare in gruppo e a socializzare. Se as- sociato a “Espansivo” (tratto D) e “Maturo” (B) sei molto coinvolgente e cari- smatico, un leader naturale. Se associato a “Incostante” (tratto E) e “Indolente” 20 IN CRESCITA - È normale essere in questo tratto fino ai 25 anni di età, poiché solo con l’esperienza di vita si raggiunge un reale equilibrio. Tuttavia ci sono per- sone che sono immature anche oltre i 25 anni. Ciò corrisponde a un’insoddisfa- zione generale che si proietta su di sé con problemi anche fisici, oltre che psi- cologici. Questo stato provoca una tendenza all’egocentrismo e un’attenzione esa- sperata al proprio stato di benessere. Se associato a “Indolenza” (tratto L) e ad “Incostanza” (E) significa che hai bisogno degli altri, sei tendenzialmente in- soddisfatto e hai difficoltà a gestirti nella vita e progettare il tuo futuro. MATURO - Sei tranquillo, con un discreto self control. Gli altri vedono in te un punto di riferimento, anche per la tua forza e concretezza, specie se associate a “Realismo” (tratto G). Sei capace di provare e suscitare entusiasmo e di motivare gli altri. Non ti fai ingannare dalle apparenze. Sei stabile e capace di considera- re le cose della vita nel lungo periodo. B MATURITÀ In crescita (1-5) Maturo (8-12) MITE - Sei molto dipendente dagli altri. Non vuoi prendere decisioni in auto- nomia e ti fai influenzare facilmente. Preferisci sottometterti piuttosto che di- scutere. Se associato a “Timido” (F), “Insicuro” (I) e/o “Fiducioso” (H) rischi di non farti rispettare e che le persone approfittino di te. AGGRESSIVO - Sei convinto di sbagliare poche volte e non esiti a farlo nota- re agli altri. Sei forte, autonomo e deciso, ma rischi di inimicarti le altre perso- ne, soprattutto per il tuo modo di fare. Infatti, non esiti a essere eccessivamente severo, autoritario e ostinato (specialmente se associato a “Sicuro”, tratto I). C ASSERTIVITÀ Mite (1-5) Aggressivo (8-12) D SOCIALITÀ Riservato (1-5) Espansivo (8-12) RISERVATO - Hai la tendenza a essere introverso, parli poco e preferisci pensare prima di agire. Tendi a essere cerebrale (specie se associato a “Sognatore”, trat- to G) e ciò ti rende una persona impegnata e impegnativa. Corri il rischio di es- sere depresso e/o spesso di malumore, con attacchi di misantropia specie se as- sociato a “Sospettoso” (H). ESPANSIVO - Sei entusiasta, buon comunicatore e coinvolgente. Hai una buo- na dose di loquacità e ti piace raccontare di te agli altri. Sei dotato di prontezza e vivacità, anche intellettuale. Se associato a “Fiducioso” (H) dimostri spontaneità e apertura totale verso il prossimo. (tratto L), il pericolo è di non portare a termine le cose e di disperdere energie in situazioni che non lo richiederebbero. 2121 INCOSTANTE - Questo polo è tipico di tutti i giovani, come l’immaturità, an- che se esistono le eccezioni. Sei svogliato, indeciso e inquieto. Non tolleri le re- gole e ti stufi presto di ciò che intraprendi. Tendi a non progettare e sei facilmente influenzabile. Lo scontento rischia di accompagnarti quotidianamente. Se asso- ciato a “Indolente” (L), “In crescita” (B), “Insicuro” (I) e/o “Mite” (C), rischi di non riuscire a interpretare in prima persona la tua vita. SCRUPOLOSO - Sei responsabile, preciso, previdente e molto organizzato. Sei pronto a giudicare con severità gli altri, quando noti che secondo te sba- gliano. Contemporaneamente sei sollecito nei loro confronti (specialmente se associato a “Estroverso” – tratto A, o “Espansivo” – tratto D), ma preferisci le persone che ti assomigliano. Sei piuttosto rigido, specialmente dal punto di vi- sta etico. E PERSEVERANZA Incostante (1-5) Scrupoloso (8-12) F INTRAPRENDENZA Timido (1-5) Audace (8-12) G REALISMO Realista (1-5) Sognatore (8-12) TIMIDO - Se sei anche “In crescita” (B) potresti essere in un momento di tran- sizione e di cambiamento. Sei chiuso, introverso, arrossisci facilmente e temi sem- pre il giudizio degli altri che ritieni superiori a te (specialmente se sei anche “Mi- te” – tratto C). Sei poco pronto nell’agire e nel parlare (soprattutto se associato a “Riservato” – tratto D e/o “Insicuro” – tratto I). Non ami i rapporti assidui con gli altri e preferisci studiare e/o lavorare da solo piuttosto che in gruppo. AUDACE - Prendi facilmente l’iniziativa nell’azione. Pensi di avere sempre la parola giusta per ogni momento. Sei socievole, riesci a gestire facilmente le tue emozioni (specialmente se “Maturo” – tratto B). In compagnia, la tua intra- prendenza è amata se controllata (associato a “Controllato” – tratto L), vicever- sa è ritenuta invadente (specialmente se associato ad “Aggressivo” – tratto C) o dispersiva (specialmente se associato a “In crescita” - tratto B o a “Indolenza” – tratto L). REALISTA - Sei molto pratico e dotato di buon senso. Preferisci le cose concrete della vita e sei pronto ad assaporarle senza indugi. Badi sempre agli obiettivi rea- lizzabili e realistici. Nei discorsi vai subito al sodo. Corri il rischio di apparire troppo disincantato. SOGNATORE - Preferisci “pensare la vita” piuttosto che viverla, tra rimpianto del passato e timore del futuro. Hai una spiccata immaginazione e sei molto sen- sibile. Sei un inguaribile romantico e hai poco senso pratico. Corri il rischio di 22 crearti elevate aspettative che poi sono deluse. Se associato a “Sospettoso” (H) rischi di essere troppo critico. H MANIPOLAZIONE Fiducioso (1-5) Sospettoso (8-12) I SICUREZZA Insicuro (1-5) Sicuro (8-12) L CONTROLLO Indolente (1-5) Controllato (8-12) FIDUCIOSO - Non pensi male del prossimo, non soffri di manie di persecuzione, sei flessibile ed empatico. Hai fiducia nel genere umano e ti comporti lealmen- te verso di esso. Non hai secondi fini nelle tue azioni, quindi sei spontaneo. Dif- ficilmente sei invidioso e/o geloso. Rischi di essere troppo ingenuo. SOSPETTOSO - Non ti fidi degli altri e per questo ti comporti in modo mani- polatorio. Ti affidi ai pregiudizi e difficilmente cambi opinione (specialmente se “Controllato” – tratto L). La gelosia e l’invidia non ti permettono di vivere se- renamente i rapporti, fino all’eccesso della mania di persecuzione. Un sospetto- so moderato, invece, potrebbe essere definito una persona accorta. INSICURO - Sei instabile, malinconico e cambi spesso umore, tendi a essere an- sioso e non hai fiducia in te stesso. Rischi di vedere il male anche dove non c’è, di soffrire di complessi di inferiorità (specialmente se “Mite” – tratto C, e “Ti- mido” – tratto F). Fatichi a metterti in discussione, a riconoscere i tuoi errori e le tue risorse, manchi di obiettività verso te stesso e ti colpevolizzi facilmente. SICURO - Sei abbastanza tranquillo e ti fidi di te stesso, conosci i tuoi limiti e i tuoi punti di forza, di conseguenza corri un basso rischio di andare incontro a fal- limenti. Sai che riuscirai a cavartela quasi sempre, grazie alla tua ricchezza di ri- sorse e alla capacità di risolvere i problemi. INDOLENTE - Sei poco volitivo e fermo di carattere, tendi a essere “menefre- ghista” e disinteressato. Rischi di apparire poco stabile e inaffidabile (special- mente se associato a “Incostante” – tratto E). Sei poco costruttivo e tendi a essere fatalista, ti sforzi il minimo indispensabile per ottenere il minimo dei risultati. Po- che cose riescono a motivarti e sei spesso insoddisfatto. Tendi ad avere poca ener- gia. CONTROLLATO - Sei esigente e molto volitivo, sei dotato di equilibrio emotivo. Gestisci benissimo le tue relazioni sociali, ami i particolari, sei rigoroso e testardo. Ti impegni costantemente per raggiungere gli obiettivi che ti sei prefissato. Ri- schi di apparire eccessivamente rigido e poco spontaneo, specialmente se asso- ciato a “Introverso” (A) e/o “Riservato” (D). Se associato a “Scrupoloso” (E) ri- schi di essere eccessivamente testardo. 23 Guida per l’operatore Competenza orientativa Essere consapevoli delle proprie risorse personali. Titolo Il test dei 10 fattori. Fonte e reperibilità Degl’Innocenti E., Meinardi G., Peccenini R., Russo R., Cecilia E., Toni P. (2001), Scuola e lavoro. Progetto orientamento. Ed. Paravia, Torino. Tipologia Questionario. Obiettivi Riflettere sulle proprie caratteristiche di personalità rispetto a specifiche situazioni. Destinatari Giovani in età 14-18 anni e ultradiciottenni. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Competenze trasversali: capacità di riflettere sulle proprie caratteristiche perso- nali, in particolare su dieci tratti di personalità (cordialità - intraprendenza, ma- turità - realismo, assertività - manipolazione, socialità - sicurezza, perseveranza - controllo). Materiali disponibili Questionario composto da 60 item a risposta chiusa, griglia per l’attribuzione dei punteggi e indicazioni per la lettura dei profili. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 1 ora. 24 Istruzioni Invitare l’utente a leggere ogni item e a scegliere la risposta che più riflette le sue caratteristiche, evitando il più possibile di rispondere “talvolta”. Correzione Sommare i punteggi delle risposte indicate nell’apposita griglia per ciascun tratto, confrontare in seguito i risultati ottenuti con i profili. Output restituzione Riflessione personale rispetto alle proprie caratteristiche partendo dai profili ottenuti dal test. Confronto tra l’immagine di sé e i risultati. Condivisione in grup- po dei risultati. Competenze dell’operatore Conoscenza dello strumento e delle modalità di correzione e restituzione Capacità di stimolare la riflessione individuale Capacità di favorire l’interazione tra gli allievi Capacità di analizzare i punti di forza e le aree di sviluppo degli allievi Condizioni organizzative / supporti È preferibile organizzare quest’attività in seguito ad un percorso di conoscenza di se stessi dove l’utente ha già avuto modo di riflettere sulle sue caratteristiche. Criteri di valutazione / autovalutazione Per la valutazione dei risultati si fa riferimento alla scheda contenente le indi- cazioni per la lettura dei profili. Responsabilità Orientatore. Archiviazione Dossier personale dell’utente. Eventuali suggerimenti / altro - - - 25 Guida per l’utente Titolo Il test dei 10 fattori. Obiettivi Conoscere meglio le proprie caratteristiche di personalità. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Modo di reagire in situazioni specifiche. Materiali disponibili Questionario con 60 domande e le possibili risposte, griglia per calcolare i pun- teggi e capirne il significato. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 1 ora. Istruzioni Leggi le domande e scegli, tra le alternative disponibili, la risposta che ti rap- presenta maggiormente. Correzione Attribuisci il punteggio indicato a fianco di ogni risposta, somma le risposte co- me indicato nella griglia e confronta i risultati con la scheda contenente i profili. Output restituzione Rifletti individualmente a partire dai tratti che sono emersi. Confronta il modo in cui ti vedi con i risultati. Condividi in gruppo i risultati e rifletti sugli aspetti positivi e negativi di essi. Criteri di valutazione/autovalutazione Per la valutazione dei risultati fai riferimento alla scheda contenente le indicazioni per la lettura dei risultati. 26 LE MIE PARTICOLARITÀ NOME ______________________________________________________________________ UN SOPRANNOME CON IL QUALE LE PERSONE MI CHIAMANO ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ UN SIMBOLO O UN OGGETTO CHE PER ME ABBIA UN SIGNIFICATO PARTICOLARE ______________________________________________________________________ IL MIO CIBO PREFERITO. DA CHI VIENE CUCINATO? ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ IL MIO COLORE PREFERITO E PERCHÉ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ LA CANZONE ITALIANA O STRANIERA CHE IN QUESTO PERIODO AMO ASCOLTARE. PERCHÉ? ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ UN ANIMALE CHE MEGLIO MI RAPPRESENTI E PERCHÉ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ IL POSTO IN CUI MI PIACEREBBE VIVERE E CON CHI. PERCHÉ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ 27 UN SOGNO CHE VORREI REALIZZARE… PERCHÉ? ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ HO PAURA DI… PERCHÉ? ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ UN’ESPERIENZA EMOZIONANTE... ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ 28 Guida per l’operatore Competenza orientativa Essere consapevoli delle proprie risorse personali. Titolo Le mie particolarità. Fonte e reperibilità Produzione interna CIOFS-FP Piemonte. Tipologia Scheda di lavoro. Obiettivi Permettere all’utente di soffermarsi sulle proprie specificità e sui propri desideri. Destinatari Giovani in Età 14-18 anni e ultradiciottenni. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Competenze trasversali: consapevolezza di sé. Materiali disponibili Griglia di domande. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 1 ora (con la condivisione: un’ora e mezza). Istruzioni Rispondere singolarmente alla serie di domande proposte nella scheda di lavoro. Condividere con il gruppo classe il lavoro fatto. 29 Correzione - - - Output restituzione - - - Competenze dell’operatore Gestire i tempi, chiarire eventuali dubbi rispetto alle domande proposte, mirare al raggiungimento degli obiettivi mantenendo una posizione non giudicante e va- lorizzando l’intervento di ognuno. Condizioni organizzative / supporti - - - Criteri di valutazione / autovalutazione - - - Responsabilità Orientatore. Archiviazione Dossier personale dell’utente. Eventuali suggerimenti / altro Mettere in evidenza l’obiettivo dell’attività. 30 Guida per l’utente Titolo Le mie particolarità. Obiettivi Riuscire a soffermarsi e a riflettere sulle proprie specificità e sui propri desi- deri. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Competenze trasversali: consapevolezza di sé. Materiali disponibili Scheda di lavoro. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 1 ora (con la condivisione 1 ora e mezza). Istruzioni Rispondere singolarmente con attenzione e con sincerità alle domande proposte nell’attività. Condividere con il gruppo classe il lavoro fatto. Correzione - - - Output restituzione - - - Criteri di valutazione / autovalutazione - - - RICONOSCERE I PROPRI INTERESSI VERSO SPECIFICHE AREE PROFESSIONALI 33 PRIA 2000 Questionario di PRopensione ed Interessi alle Aree universitarie Data …………………………………… Cognome e Nome …………………………………………………………………………………… Nel presente questionario vengono proposte una serie di domande relative a de- terminate situazioni. Per ciascuna di queste domande sei invitato/a a dare una ri- sposta assegnando un punteggio che esprima il tuo livello di interesse riguardo a tali situazioni. Non viene richiesto di valutare quanto tu possa essere in grado di fare e/o realizzare una certa cosa, ma solo di quantificare il piacere, il desiderio che hai di avvicinarti a determinate opportunità o mansioni. Il punteggio da assegnare varia da 0 a 3 e più precisamente: 0 corrisponde ad un interesse NULLO 1 corrisponde ad un interesse SCARSO 2 corrisponde ad un interesse ELEVATO 3 corrisponde ad interesse MASSIMO Leggi attentamente ogni domanda, ma senza riflettere troppo sui pro e i contro di ogni situazione proposta. Un esempio di domanda potrebbe essere: Quanto ti piacerebbe lavorare in un laboratorio di informatica? Nel riquadro posto accanto alla domanda inserisci il punteggio sele- zionato. Attenzione! In corrispondenza di alcune domande saranno disponibili più ri- quadri, pertanto dovrai riportare lo stesso punteggio in tutti. Ecco un esempio: Quanto ti piacerebbe essere socio del WWF? In tutti i riquadri inserisci lo stesso punteggio. Ogni domanda quindi potrà avere un solo riquadro a fianco o più di uno. 34 Indica il tuo livello di interesse ricordando quanto segue: 0: interesse nullo 1: interesse scarso 2: interesse elevato 3: interesse massimo QUANTO MI PIACEREBBE... Parziale teoria Ø 1. Studiare bioetica e tutte le conseguenze delle varie manipolazioni n 2. Conoscere a fondo la struttura dell’atomo e le reazioni tra diverse molecole n n n n n n n 3. Osservare com’è strutturato l’intestino degli erbivori n 4. Studiare fisica n n n 5. Assistere alla preparazione di un composto chimico – omeopatico n n 6. Studiare il DNA racchiuso nei cromosomi, attraverso gli elementi di genetica n n n n 7. Approfondire gli elementi di matematica legati all’informatica n 8. Analizzare struttura e funzioni del muscolo cardiaco e del sistema circolatorio n n 9. Conoscere i fondamenti dell’ecologia e le scienze della terra e del suolo n n 10. Studiare algebra e geometria n 11. Approfondire la patologia, i sintomi e le conseguenze di una malattia n n n 12. Calcolare il tempo di decomposizione e il livello di biodegradabilità di una sostanza n n n n n 13. Individuare l’origine e le cause delle principali malattie che colpiscono gli animali da cortile n 14. Conoscere i componenti di un preparato cosmetico o farmaceutico n 15. Entrare in un laboratorio di anatomia per osservare le diverse parti del corpo umano n A B C D E F G 35 Parziale teoria Ø 16. Imparare i nuovi metodi psicopedagogici e adeguarli ai problemi di handicap a scuola n 17. Approfondire la conoscenza della storia europea moderna e contemporanea n n n n 18. Riconoscere le diverse tradizioni e scuole dell’arte, della musica, dello spettacolo n 19. Fare calcoli statistici per capire l’andamento dei nostri mercati n n n 20. Imparare le infrazioni riconosciute dal codice civile e penale in ambito finanziario n n 21. Imparare la retorica, l’arte del parlare e la linguistica n n n n n 22. Riconoscere le tecniche di comunicazione di massa, televisive e giornalistiche n n n n n 23. Studiare le tecniche di insegnamento che rendono più efficace l’apprendimento scolastico n 24. Studiare le dinamiche psicologiche che spingono l’uomo a comportarsi in un certo modo n n n n n 25. Studiare le forme di giustizia e di politica dell’antica Roma per compararle a quelle attuali n n 26. Imparare i diritti e i doveri che devono essere riconosciuti e rispettati da ogni cittadino n n 27. Conoscere le teorie e gli strumenti per il sostegno psico - motorio di un bambino n n 28. Fare traduzioni dall’italiano all’inglese n 29. Sapere quale messaggio intende trasmettere un quadro, una canzone o un film n 30. Studiare i fondamenti del diritto della Comunità Europea n n n 31. Conoscere i principi del diritto commerciale n n 32. Capire come controllare determinati atteggiamenti nelle situazioni di lavoro stressanti n 33. Sapere il significato delle parole che usiamo e che ci distinguono dalle altre lingue n n 34. Approfondire un autore leggendo un testo in lingua originale n 35. Studiare l’età evolutiva dell’uomo, soffermandosi sulla psicologia infantile n n H I L M N O P Q R 36 Parziale teoria Ø 36. Calcolare il peso che deve sopportare un ponte n 37. Studiare la storia dell’architettura n n 38. Realizzare un disegno, un progetto al computer n n n 39. Risolvere problemi di fisica applicati alla costruzione di un edificio n 40. Risolvere i problemi di fisica, meccanica o di elettronica legati alla realizzazione di un macchinario n 41. Studiare la composizione fisico - chimica dei materiali utilizzati dall’edilizia n n 42. Studiare matematica ed i principi di analisi n 43. Conoscere le tecniche della conservazione di beni artistici ed ambientali n 44. Studiare la composizione chimico - fisica dei materiali utilizzati nel settore navale o aerospaziale n 45. Conoscere le tecnologie del restauro n n S T U 37 Parziale operativo Ø 46. Fare ricerca sullo sviluppo di nuovi prodotti per l’industria farmaceutica - cosmetologica n n 47. Stare in un parco nazionale, con mansioni di supervisione e monitoraggio del territorio n 48. Occuparsi della sperimentazione e della preparazione di un nuovo materiale plastico n n n n n 49. Lavorare in un laboratorio di informatica n 50. Rilevare i danni del buco dell’ozono sulla crosta terrestre n 51. Insegnare chimica e biologia n n n n n n n 52. Saper individuare le colture erbacee che infestano maggiormente i terreni seminati n n 53. Eseguire un’operazione chirurgica n n 54. Lavorare in ospedale n n 55. Analizzare la composizione di un terreno e programmare la fertilizzazione n n 56. Insegnare matematica e fisica in un Liceo Scientifico n n n 57. Esaminare al microscopio un campione di sangue n n n 58. Asportare con il bisturi la formazione di un ascesso n n 59. Lavorare in uno studio di botanica n n n 60. Monitorare le condizioni igieniche e di salute degli animali d’allevamento n 61. Aprire un’erboristeria n A B C D E F G 38 Parziale operativo Ø 62. Occuparsi della gestione economica - finanziaria di un’azienda e dei suoi contatti con l’estero n n n n 63. Proporre una campagna pubblicitaria per il rilancio di una grande azienda n n n 64. Seguire gruppi turistici stranieri alla riscoperta del nostro patrimonio artistico - culturale n n 65. Fare la recensione dell’ultimo CD di musica contemporanea o dell’ultimo libro di narrativa n n 66. Valutare l’andamento scolastico di uno studente, tenendo conto del comportamento in classe n n 67. Preparare un discorso da leggere in un comizio o in un’aula di tribunale n n n 68. Fare il critico d’arte nel settore della cinematografia n n 69. Fare l’educatore in una comunità n 70. Collaborare alla pubblicazione di un articolo di politica per il “TIME” n n n 71. Tenere corsi di formazione per insegnanti di scuola media inferiore n n 72. Lavorare in una banca n n 73. Occuparsi di devianza giovanile n n 74. Occuparsi dei problemi di marketing in un’azienda n n 75. Lavorare con i bambini che a scuola necessitano di un sostegno n n 76. Fare il commercialista n 77. Occuparsi del mondo dello spettacolo e del jet - set internazionale n n n 78. Adeguare il nostro sistema politico ed economico a quello della Comunità Europea n n 79. Agire in ambito giuridico - politico del nostro Paese, con nuove leggi e piani d’interventi n n 80. Insegnare in un Liceo Classico materie civico - umanistico o umanistico - letterarie n n n n n H I L M N O P Q R 39 Parziale operativo Ø 81. Arrestare il processo di degrado monumentale n n 82. Costruire un computer in grado di elaborare nuove informazioni n 83. Portare a nuovo splendore una costruzione fatiscente dell’800 n n 84. Lavorare al progetto di un palazzo occupandosi della parte ingegneristico - civile (fondazioni, fognature, ecc...) n 85. Fare un’analisi dei manufatti per vedere quali materiali usare nel rispetto del territorio n 86. Realizzare un oggetto d’arredamento per interni, come una poltrona, un appendiabiti, ecc... n 87. Usare i principi dell’ingegneria nella costruzione di una base navale, nucleare o aerospaziale n 88. Lavorare al progetto di un palazzo occupandosi dello spazio architettonico (le dimensioni, le proporzioni, ecc...) n 89. Progettare un elemento di meccanica per un’auto n 90. Insegnare storia dell’arte in un Liceo Artistico n n 91. Insegnare gli elementi di elettronica o di meccanica in un Liceo Tecnologico n 92. Constatare lo stato di conservazione di fontane, obelischi, sculture, ecc. ... n S T U 40 Coerenza dei comportamenti Ø 93. Saper potare una pianta n n 94. Visitare i laboratori di un’industria petrolchimica n n 95. Essere socio del WWF n n n 96. Curare un uccellino ferito n n 97. Trascorrere qualche ora alla settimana alla Croce Rossa n n n 98. Essere socio della FAO (Food and Agriculture Organization) n n n 99. Risolvere i problemi di cripto - aritmetica nella “Settimana Enigmistica” n 100. Seguire i programmi televisivi che si occupano delle nuove frontiere della medicina n n n 101. Partecipare ad una conferenza sugli sviluppi delle biotecnologie farmaceutiche n n 102. Avere un microscopio n n n n n n n 103. Leggere i foglietti illustrativi dei farmaci, soffermandosi soprattutto sulla composizione n n 104. Partecipare ad iniziative ambientali n n n n 105. Spiegare ad un compagno come risolvere i problemi di algebra e geometria n A B C D E F G 41 Coerenza dei comportamenti Ø 106. Sapere cosa sono BOT e CCT n 107. Essere al corrente della linea politica adottata e seguita nella propria città n n n 108. Giocare con un bambino piccolo n n 109. Seguire la critica cinematografica e musicale di autori passati della storia n 110. Accompagnare e seguire i ragazzi dei centri estivi n n 111. Usare sempre il dizionario quando non si conosce il significato dei termini n n 112. Comprare un libro di saggistica o di poesie n n n 113. Parlare con un ragazzo straniero gemellato con la mia città o con la mia scuola n 114. Prendere la parola nella riunioni di classe per portare avanti una proposta n n n n 115. Leggere più quotidiani per avere un termine comparativo di diverse visioni giornalistiche n n n n n 116. Aiutare un ragazzo a fare dei compiti di scuola n 117. Fare un abbonamento ad una rivista che si occupa di impresa e management n n n n 118. Fare un abbonamento ad una rivista che si occupa di musica e spettacolo n 119. Conoscere le tradizioni, usi e costumi popolari dei Paesi Europei n n n 120. Leggere un libro di Freud n n 121. Occuparsi del proprio bilancio familiare e delle spese da affrontare in casa n 122. Seguire con attenzione una sentenza di tribunale n 123. Prendere posizione e difendere le proprie idee alle riunioni di condominio n n n 124. Seguire l’andamento della borsa durante il telegiornale n 125. Seguire una conferenza sull’handicap n n 126. Conoscere il testo che vuole trasmettere una canzone inglese n n H I L M N O P Q R 42 Coerenza dei comportamenti Ø 127. Disegnare n n n 128. Comporre un puzzle tridimensionale n n 129. Conoscere il funzionamento di una macchina n 130. Visitare una galleria delle Belle Arti n n 131. Fare un abbonamento ad una rivista che si occupa di telecomunicazioni e di informatica n 132. Fare un abbonamento ad una rivista che si occupa di restauro di cose antiche n n 133. Realizzare il plastico di un modellino di aereo militare n 134. Partecipare ad una conferenza sulla storia della conservazione dei beni ambientali n 135. Visitare i centri storici delle nostre città d’arte n n S T U 43 Indicazioni per il calcolo dei punteggi Dopo aver risposto a tutte le domande proposte procedi come di seguito indica- to per l’elaborazione dei risultati: 1. Sommare i punteggi di ogni colonna e riportarne il totale al fondo di ciascu- na pagina (parziale teoria e parziale operativo) 2. Riportare i risultati ottenuti in ogni pagina nella tabella raccolta – analisi dei dati e poi sommarli. Il punteggio ottenuto indica il livello di interesse teorico e operativo (somma p.teoria + p.operativo). Il punteggio minimo cumulabile da ta- li somme va da un minimo di 0 ad un massimo di 30 con un valore intermedio che viene stabilito attorno al 18. Pertanto nell’analisi dei risultati un interesse è considerato nella media se è almeno uguale a 18. Punteggi inferiori evidenziano una preferenza scarsa o nulla rispetto ad una determinata facoltà. Punteggi su- periori indicano un interesse tanto più significativo quanto più alto è il punteg- gio. In particolare il livello di interesse teorico e operativo per una determinata facoltà può essere classificato come segue: massimo: se il punteggio ottenuto è compreso tra 25 e 30 elevato: se il punteggio ottenuto è compreso tra 18 e 24 scarso: se il punteggio ottenuto è compreso tra 10 e 17 nullo: se il punteggio ottenuto è compreso tra 0 e 9 3. Quindi riportare nell’apposito spazio nella tabella raccolta – analisi dei dati anche le somme relative all’area “Coerenza dei comportamenti”. Il livello di coerenza dei comportamenti può essere classificato come segue massimo: se il punteggio ottenuto è compreso tra 12 e 15 elevato: se il punteggio ottenuto è compreso tra 8 e 11 scarso: se il punteggio ottenuto è compreso tra 4 e 7 nullo: se il punteggio ottenuto è compreso tra 0 e 3 4. Nella tabella raccolta – analisi dei dati, in corrispondenza della riga “Confronto interesse e coerenza”, si evidenzia se c’è attinenza tra ciò che si vorrebbe studiare e diventare in futuro e quello che si fa a livello di interessi extra scolastici nel pre- sente. Il confronto può essere rappresentato graficamente riportando nell’appo- sita riga i seguenti segni: + se l’interesse e/o la coerenza sono massimi – se l’interesse e/o la coerenza sono scarsi 0 se l’interesse e/o la coerenza sono elevati Non segnare niente quando il punteggio è nullo 44 Nell’interpretazione dei punteggi tenere in considerazione che in riferimento a fa- coltà in cui sia l’interesse che la coerenza sono massimi è possibile ritenere ta- le facoltà come un ambito da tenere in considerazione in funzione della proget- tazione individuale. In riferimento a facoltà per le quali la persona manifesta sia interesse che coerenza scarsi o nulli è presumibile che tale facoltà rappresenti un ambito inadeguato rispetto alle caratteristiche e preferenze individuali. Quando l’interesse è basso, ma la coerenza è alta (o viceversa) il dato non è sufficiente- mente attendibile o comunque meriterebbe un ulteriore approfondimento in se- de di colloquio individuale. 5. Dopo aver eseguito le operazioni fin qui descritte è possibile evidenziare le fa- coltà di maggior preferenza e coerenza ad esempio colorando i riquadri ad esse riferiti nella tabella di raccolta e analisi dei dati. Oppure riportare i dati più significativi nel profilo di sintesi come nell’esempio presentato qui di seguito e dal quale si intuisce come la facoltà di maggior pre- ferenza sembra essere quella di Medicina. Medicina Nominativo facoltà di maggior preferenza Farmacia Psicologia 0.........10.........18.........24.........30 0.........10.........18.........24.........30 0.........10.........18.........24.........30 0.........10.........18.........24.........30 0.........10.........18.........24.........30 Interesse 0.....3.....7.....11.....15 Coerenza Confronto interessi coerenza 0.....3.....7.....11.....15 0.....3.....7.....11.....15 0.....3.....7.....11.....15 0.....3.....7.....11.....15 + + 0 0 0 + + + + + 45 Tabella raccolta - analisi dei dati e profilo di sintesi Data …………………………………… Cognome e Nome ……………………………….…………………………………………………… Nominativo facoltà di maggior preferenza 0.........10.........18.........24.........30 0.........10.........18.........24.........30 0.........10.........18.........24.........30 0.........10.........18.........24.........30 0.........10.........18.........24.........30 Interesse 0.....3.....7.....11.....15 Coerenza Confronto interessi coerenza 0.....3.....7.....11.....15 0.....3.....7.....11.....15 0.....3.....7.....11.....15 0.....3.....7.....11.....15 + + 0 0 0 + + + + + A B C D E F G H I L M N O P Q R S T U Parziale teoria Parziale operativo Somma p. teoria + p. operativo Coerenza comportamento Confronto interesse e coerenza (*) 46 Glossario delle macro - aree Area Scientifica e Scientifico - tecnologica A scienze matematiche, fisiche e naturali B agraria C scienze ambientali D biotecnologie Area Sanitaria E medicina F veterinaria G farmacia Area Scienze giuridico - economiche e Socio - politiche H giurisprudenza I scienze politiche L economi M scienze della comunicazione N psicologia Area Umanistica O scienze della formazione P lettere e filosofia Q D.A.M.S R lettere e lingue straniere Area Tecnico - progettuale S architettura T conservazione dei beni architettonici e ambientali U ingegneria 47 Guida per l’operatore Competenza orientativa Riconoscere i propri interessi verso specifiche aree professionali. Titolo PRIA 2000 - Questionario di Propensione ed Interessi alle Aree universitarie. Fonte e reperibilità Fondazione Centro di orientamento scolastico e professionale di Alessandria. Tipologia Questionario. Obiettivi Sostenere l’utente nell’individuazione dei propri interessi professionali, con particolare riferimento agli ambiti di studio universitario ad essi attinenti. Destinatari Giovani e adulti diplomati. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro L’area universitaria alla quale l’utente può essere maggiormente interessato (es. area sanitaria, tecnico-progettuale ecc.) e la facoltà universitaria più affine ad essa. Materiali disponibili Per la compilazione: pagina introduttiva di istruzioni, questionario da compila- re con 135 domande. Per la correzione (anche a cura dell’utente stesso): pagina di indicazioni per il cal- colo dei punteggi. Per la compilazione dei risultati: profilo generale delle macro-aree (glossario), ta- bella di raccolta - analisi dei dati e profilo di sintesi. 48 Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi Compilazione del questionario: circa 30 minuti. Rilevazione dei punteggi ed elaborazione del grafico: circa 20 minuti. Eventuale discussione in gruppo: un’ora. Eventuali colloqui individuali di restituzione: circa 30 minuti. Istruzioni Si tratta di esprimere la propensione verso una determinata area e/o facoltà at- tribuendo un punteggio a diverse proposte (i 135 item del questionario, ogni co- lonna riguarda una facoltà) che possono essere giudicate di interesse nullo, me- diocre, elevato e massimo. Il questionario si compone di più pagine e al termi- ne di ognuna di esse è previsto un riquadro finale nel quale collocare un totale par- ziale, riferito alla somma dei punteggi dati dal soggetto per quella stessa pagina. Nel questionario PRIA è la somma delle tre componenti (parziale teoria, parziale operativo e coerenza comportamenti) a fornire il quadro di una precisa scelta sco- lastica. Non si predilige una dimensione temporale piuttosto che un’altra infat- ti non ci si chiede solo cosa si vorrebbe fare un domani ma anche cosa si fa nel presente; non si predilige neppure una dimensione spaziale, chiedendosi sia cosa si vorrebbe studiare in università, sia cosa si vorrebbe fare a casa o in un con- testo di divertimento. Correzione Essendo cinque le risposte per facoltà e variando il punteggio da 0 a 3, il totale parziale di ogni colonna potrà variare da un minimo di 0 ad un massimo di 15. Nel foglio di profilo, però, non verrà riportato il punteggio parziale dei tre indi- catori ma si procederà in modo più complesso. Il totale teorico di ogni facoltà an- drà sommato al totale operativo di quella stessa facoltà formando un punteggio chiamato “livello di interesse teorico-operativo”. Il punteggio cumulabile va da un minimo di 0 ad un massimo di 30 (15 teorico + 15 operativo) con un valore intermedio che viene stabilito attorno al 18. L’interesse universitario è dato dal- la somma di questi due indicatori, mentre l’indicatore “coerenza” è utile per ve- rificare attinenza tra ciò che si vorrebbe studiare e diventare in futuro e gli inte- ressi extra-scolastici nel presente. Per questo, nel foglio di profilo, appare accanto alla colonna degli interessi una seconda colonna riferita alla “coerenza dei com- portamenti attuali” (occorre riportare sul profilo direttamente i risultati delle pa- gine di questionario relative). Output / restituzione Nella discussione dei risultati, un interesse è considerato nella norma (media) se 49 è almeno uguale a 18, mentre punteggi inferiori denotano uno scarso interesse per una certa facoltà. Nella lettura dei risultati, si potrà procedere a due diverse in- terpretazioni: commentando gli interessi e la coerenza nei comportamenti rife- riti ad ogni singola facoltà (lettura analitica) e/o individuando più in generale l’a- rea sulla quale focalizzare l’attenzione (lettura globale). Si possono far seguire colloqui individuali all’applicazione del questionario. Competenze dell’orientatore Per l’utilizzo e la conduzione dell’attività è necessario: – conoscere le caratteristiche delle diverse aree universitarie e le relative facoltà; – supportare l’individuazione di legami o eventuali incoerenze tra propensioni e interessi alle aree universitarie; – essere in grado di stimolare il confronto e la discussione nel gruppo. Condizioni organizzative / supporti È necessario disporre di banchi su cui appoggiarsi per la compilazione del que- stionario e di una lavagna che può essere utilizzata per condurre il confronto di gruppo. Criteri di valutazione / autovalutazione - - - Responsabilità Orientatore. Archiviazione Dossier personale dell’utente. Eventuali suggerimenti / altro Si tratta di ricavare l’informazione sugli interessi universitari e sull’affinità con una certa facoltà, attraverso indicatori cioè concetti suscettibili di misurazione, che possano rilevare una certa propensione verso una determinata scelta scola- stica. Gli indicatori scelti sono tre: – il concetto di interesse teorico (“Quanto ti piacerebbe studiare la storia del- l’architettura?”); 50 – il concetto di interesse operativo, cioè la capacità di rappresentarsi e imme- desimarsi in una certa figura professionale dal punto di vista pratico, del “fare” (“Quanto ti piacerebbe lavorare al progetto di un palazzo?”); – il concetto di coerenza dei comportamenti, come preferenza verso strumen- ti e argomenti tipici di un certo indirizzo universitario e in coerenza con una precisa scelta professionale (“Quanto ti piacerebbe visitare una galleria d’ar- te?”). 51 Guida per l’utente Titolo PRIA 2000 - Questionario di Propensione ed Interessi alle Aree universitarie. Obiettivi Individuare i propri interessi professionali, con particolare riferimento agli am- biti di studio universitario ad essi attinenti. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro L’area universitaria alla quale si può essere maggiormente interessati (es. area sa- nitaria, tecnico-progettuale ecc.) e la facoltà universitaria più affine ad essa. Materiali disponibili Per la compilazione: pagina introduttiva di istruzioni, questionario da compila- re con 135 domande. Per la correzione (anche autocorrezione): pagina di indicazioni per il calcolo dei punteggi. Per la compilazione dei risultati: profilo generale delle macro-aree (glossario), ta- bella di raccolta – analisi dei dati e profilo di sintesi. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi Compilazione del questionario: circa 30 minuti. Rilevazione dei punteggi ed elaborazione del grafico: circa 20 minuti. Eventuale discussione in gruppo: un’ora. Eventuali colloqui individuali di restituzione: circa 30 minuti. Istruzioni Si tratta di esprimere la propensione verso una determinata area e/o facoltà at- tribuendo un punteggio a diverse proposte (i 135 item del questionario, ogni co- lonna riguarda una facoltà) che possono essere giudicate di interesse nullo, me- diocre, elevato e massimo. Il questionario si compone di più pagine e al termi- ne di ognuna di esse è previsto un riquadro finale nel quale collocare un totale par- ziale, riferito alla somma dei punteggi dati dal soggetto per quella stessa pagina. Nel questionario PRIA è la somma delle tre componenti (parziale teoria, parziale 52 operativo e coerenza comportamenti) a fornire il quadro di una precisa scelta sco- lastica. Non si predilige una dimensione temporale piuttosto che un’altra infat- ti non ci si chiede solo cosa si vorrebbe fare un domani ma anche cosa si fa nel presente; non si predilige neppure una dimensione spaziale, chiedendosi sia cosa si vorrebbe studiare in università, sia cosa si vorrebbe fare a casa o in un con- testo di divertimento. Correzione Seguire le indicazioni per il calcolo del punteggio distribuite insieme al que- stionario. Output / restituzione Nella discussione dei risultati, un interesse è considerato nella norma (media) se è almeno uguale a 18, mentre punteggi inferiori denotano uno scarso interesse per una certa facoltà. Nella lettura dei risultati, si potrà procedere a due diverse in- terpretazioni: commentando gli interessi e la coerenza nei comportamenti rife- riti ad ogni singola facoltà (lettura analitica) e/o individuando più in generale l’a- rea sulla quale focalizzare l’attenzione (lettura globale). Criteri di valutazione / autovalutazione - - - 53 IL MIO LAVORO FUTURO (Interessi professionali 11-14 anni) QUESTIONARIO Nome ___________________________ Cognome ___________________________ Classe ___________ Scuola __________________________ Data ______________ ISTRUZIONI Qui di seguito troverai elencate una serie di professioni. In questa prima parte ti si chiede di indicare, per ciascuna di esse, quanto pensi di essere interessato/a. Segna la risposta che intendi fornire tenendo presente che: • 1 vuol dire “per niente interessato/a”; • 5 vuol dire “molto interessato/a”. I numeri compresi fra 1 e 5 (2, 3, 4) rappresentano i valori intermedi di inte- resse. Se nel rispondere al questionario dovessi incontrare qualche difficoltà, alza la ma- no e ti sarà dato tutto l’aiuto necessario. Ora puoi incominciare... buon lavoro! 1 = per niente interessato 5 = molto interessato 1. Infermiere .............................................................................. 1 2 3 4 5 2. Ragioniere............................................................................... 1 2 3 4 5 3. Bibliotecario (colui che organizza una biblioteca, che ordina e cataloga libri, ecc.) ............................................................... 1 2 3 4 5 4. Restauratore (colui che restaura opere d’arte o oggetti antichi) ..................................................................... 1 2 3 4 5 5. Insegnante di scuola media superiore ..................................... 1 2 3 4 5 6. Insegnante della scuola dell’obbligo ...................................... 1 2 3 4 5 7. Stilista (colui che crea modelli di capi d’abbigliamento) ....... 1 2 3 4 5 8. Fisioterapista (colui che aiuta le persone che si sono fatte male a riutilizzare le gambe, le braccia, ecc.)......................... 1 2 3 4 5 9. Barista ..................................................................................... 1 2 3 4 5 10. Educatore ................................................................................ 1 2 3 4 5 54 11. Insegnante di musica............................................................... 1 2 3 4 5 12. Tecnico dei suoni e delle luci.................................................. 1 2 3 4 5 13. Impiegato in una agenzia di viaggi (colui che prenota, che organizza viaggi per le persone, le accompagna, ecc.) .... 1 2 3 4 5 14. Architetto ................................................................................ 1 2 3 4 5 15. Commerciante......................................................................... 1 2 3 4 5 16. Direttore di banca ................................................................... 1 2 3 4 5 17. Direttore del personale in un’azienda o in una fabbrica ......... 1 2 3 4 5 18. Matematico ............................................................................. 1 2 3 4 5 19. Direttore di un grande magazzino........................................... 1 2 3 4 5 20. Farmacista............................................................................... 1 2 3 4 5 21. Biologo (colui che studia le caratteristiche degli esseri viventi) ................................................................. 1 2 3 4 5 22. Assicuratore (colui che fa le assicurazioni sulle macchine, sulla vita, ecc.) ........................................................................ 1 2 3 4 5 23. Disegnatore tecnico (colui che disegna pezzi meccanici, parti di macchinari, pezzi che debbono essere costruiti, ecc.) 1 2 3 4 5 24. Guardia forestale (colui che controlla i boschi, le foreste, le piante e gli animali presenti, ecc.) ...................................... 1 2 3 4 5 25. Tecnico riparatore di strumenti elettrici (colui che aggiusta televisori, radio, ecc.)............................................................. 1 2 3 4 5 26. Giardiniere .............................................................................. 1 2 3 4 5 27. Cuoco...................................................................................... 1 2 3 4 5 28. Cameriere................................................................................ 1 2 3 4 5 29. Autocarrozziere (colui che ripara le carrozzerie delle auto)... 1 2 3 4 5 30. Meccanico d’auto (colui che ripara i motori delle auto)......... 1 2 3 4 5 31. Ingegnere (colui che progetta nuovi macchinari, edifici molto grandi, ecc.) ....................................................... 1 2 3 4 5 31. Geometra (colui che progetta case, che segue il lavoro di costruzione, misura campi e terreni, ecc.) .......................... 1 2 3 4 5 33. Giudice.................................................................................... 1 2 3 4 5 34. Avvocato ................................................................................. 1 2 3 4 5 55 35. Medico .................................................................................... 1 2 3 4 5 36. Educatore di tossicodipendenti ............................................... 1 2 3 4 5 37. Operaio ................................................................................... 1 2 3 4 5 38. Idraulico.................................................................................. 1 2 3 4 5 39. Postino .................................................................................... 1 2 3 4 5 40. Camionista .............................................................................. 1 2 3 4 5 41. Giornalaio ............................................................................... 1 2 3 4 5 42. Panettiere ................................................................................ 1 2 3 4 5 43. Falegname............................................................................... 1 2 3 4 5 44. Muratore ................................................................................. 1 2 3 4 5 45. Terapista della riabilitazione (colui che insegna alle persone disabili come svolgere le attività di ogni giorno) ................... 1 2 3 4 5 46. Psicologo (colui che aiuta le persone che hanno delle difficoltà di comportamento, che si occupa della mente delle persone, ecc.) ................................................................. 1 2 3 4 5 47. Psicomotricista (colui che rieduca al movimento).................. 1 2 3 4 5 48. Pubblicitario (colui che crea la pubblicità dei prodotti) ......... 1 2 3 4 5 49. Giornalista .............................................................................. 1 2 3 4 5 50. Attore di teatro o di cinema .................................................... 1 2 3 4 5 51. Ufficiale di marina .................................................................. 1 2 3 4 5 52. Sarto........................................................................................ 1 2 3 4 5 53. Massoterapista (colui che massaggia le parti del corpo per migliorare la circolazione)................................................ 1 2 3 4 5 54. Autista..................................................................................... 1 2 3 4 5 55. Logopedista (colui che aiuta le persone a parlare meglio) ..... 1 2 3 4 5 56. Musicista................................................................................. 1 2 3 4 5 57. Assistente sociale (colui che aiuta le famiglie o le persone con difficoltà economiche o sociali) ....................................... 1 2 3 4 5 58. Ortottico (colui che migliora la capacità visiva)..................... 1 2 3 4 5 59. Dentista ................................................................................... 1 2 3 4 5 60. Agricoltore.............................................................................. 1 2 3 4 5 56 61. Centralinista............................................................................ 1 2 3 4 5 62. Archeologo (colui che studia le attività del passato, ecc.)...... 1 2 3 4 5 63. Esperto della lotta all’inquinamento....................................... 1 2 3 4 5 64. Speleologo (colui che studia le rocce, che cerca e studia le caverne, ecc.) ...................................................................... 1 2 3 4 5 65. Agronomo (colui che cerca di ottenere la miglior produzione dalla terra, che stima il valore delle piante, ecc.). 1 2 3 4 5 66. Sottoufficiale / Ufficiale della Guardia di Finanza ................. 1 2 3 4 5 67. Esperto di marketing (colui che studia come migliorare la vendita delle merci) ............................................................ 1 2 3 4 5 68. Chimico (colui che studia come sono composte le sostanze, che ne sperimenta di nuove, ecc.) ........................................... 1 2 3 4 5 69. Fisico (colui che studia le cause dei fenomeni naturali, ad esempio la luce, il suono, ecc.) .......................................... 1 2 3 4 5 70. Direttore delle vendite (colui che dirige le attività dei venditori) .......................................................................... 1 2 3 4 5 71. Insegnante di sostegno ............................................................ 1 2 3 4 5 72. Orefice .................................................................................... 1 2 3 4 5 73. Conduttore di programmi televisivi / radiofonici ................... 1 2 3 4 5 74. Tecnico di laboratorio (colui che produce medicinali, cosmetici, ecc.) ....................................................................... 1 2 3 4 5 75. Ostetrico (colui che segue la nascita dei bimbi) ..................... 1 2 3 4 5 76. Operaio specializzato.............................................................. 1 2 3 4 5 77. Bagnino................................................................................... 1 2 3 4 5 78. Programmatore di computer (colui che crea programmi per il Computer)...................................................................... 1 2 3 4 5 79. Animatore di villaggio turistico (colui che organizza attività di divertimento nei posti di vacanza) ...................................... 1 2 3 4 5 80. Pilota d’aereo .......................................................................... 1 2 3 4 5 81. Agente di cambio (colui che si interessa del cambio delle valute – dollaro, sterlina, euro, ecc.) .............................. 1 2 3 4 5 82. Parrucchiere ............................................................................ 1 2 3 4 5 83. Vetrinista (colui che prepara le vetrine di un negozio) ........... 1 2 3 4 5 57 84. Arredatore (colui che progetta l’arredamento delle case, degli uffici, ecc.) ..................................................................... 1 2 3 4 5 85. Esperto in indagini statistiche................................................. 1 2 3 4 5 86. Commesso (colui che serve i clienti in un negozio) ............... 1 2 3 4 5 87. Massaggiatore ......................................................................... 1 2 3 4 5 88. Ballerino ................................................................................. 1 2 3 4 5 89. Notaio (colui che si fa garante dei contratti e degli accordi fra persone e società) .............................................................. 1 2 3 4 5 90. Artista (scultore o pittore)....................................................... 1 2 3 4 5 91. Botanico (colui che studia le piante, che dà indicazioni su come favorire la loro crescita, ecc.) ........................................ 1 2 3 4 5 92. Zoologo (colui che studia gli animali, che dà indicazioni su come favorire la loro crescita, ecc.) ........................................ 1 2 3 4 5 93. Direttore di museo (colui che dirige ed organizza le attività di un museo) ........................................................................... 1 2 3 4 5 94. Elettricista ............................................................................... 1 2 3 4 5 95. Estetista (colui che esegue cure di bellezza)........................... 1 2 3 4 5 96. Albergatore ............................................................................. 1 2 3 4 5 97. Segretario................................................................................ 1 2 3 4 5 98. Impiegato ................................................................................ 1 2 3 4 5 99. Negoziante .............................................................................. 1 2 3 4 5 100. Perito agrario (colui che è esperto nei processi di coltivazione ed allevamento) .............................................. 1 2 3 4 5 101. Pescatore ................................................................................. 1 2 3 4 5 102. Guida turistica......................................................................... 1 2 3 4 5 103. Filosofo ................................................................................... 1 2 3 4 5 104. Perito industriale (colui che è esperto dei processi lavorativi nelle industrie) ........................................................................ 1 2 3 4 5 105. Scrittore .................................................................................. 1 2 3 4 5 106. Insegnante presso una scuola per l’infanzia ........................... 1 2 3 4 5 107. Grafico (colui che prepara l’impaginazione di una stampa, che crea immagini, ecc.) ......................................................... 1 2 3 4 5 58 108. Storico..................................................................................... 1 2 3 4 5 109. Perito informatico (colui che è esperto nell’uso del computer) .......................................................................... 1 2 3 4 5 110. Lavoratore del cuoio e delle pelli ........................................... 1 2 3 4 5 111. Perito aeronautico (colui che è esperto nella manutenzione degli aerei) .............................................................................. 1 2 3 4 5 112. Hostess / steward (colei / colui che assiste i passeggeri negli aerei, in altri mezzi di trasporto).................................... 1 2 3 4 5 113. Perito nautico (colui che è esperto nella manutenzione delle navi) ............................................................................... 1 2 3 4 5 114. Rappresentante di commercio................................................. 1 2 3 4 5 115. Commercialista (colui che è esperto nella gestione di un’azienda) ......................................................................... 1 2 3 4 5 116. Sociologo (colui che studia i problemi della società)............. 1 2 3 4 5 117. Magazziniere (colui che cura e smista le merci in un magazzino)..................................................................... 1 2 3 4 5 118. Geologo (colui che studia la crosta terrestre, i minerali, le rocce, ecc.) .......................................................................... 1 2 3 4 5 119. Astronomo (colui che studia i corpi celesti, le stelle, il sistema solare, ecc).............................................................. 1 2 3 4 5 120. Diplomatico (colui che si occupa dei rapporti politici con altri Stati) ......................................................................... 1 2 3 4 5 121. Interprete................................................................................. 1 2 3 4 5 59 ITEM PER LA CORREZIONE Interessi professionali 11-14 I ambito artistico: 4, 7, 14, 48, 50, 56, 73, 84, 88, 90, 107 II ambito sanitario: 20, 35, 58, 59 III ambito scientifico-naturale: 21, 64, 68, 91, 92, 118, 119 IV ambito tecnico-meccanico: 12, 23, 25, 29, 30, 32, 38, 51, 76, 80, 94, 104, 111, 113 V ambito tecnico-scientifico: 18, 31, 69, 74, 78, 109 VI ambito sociosanitario: 1, 8, 45, 46, 47, 53, 55, 57, 75, 87 VII ambito agroambientale: 24, 26, 60, 63, 65, 100 VIII ambito economico-commerciale: 16, 17, 19, 22, 67, 114, 115 IX ambito economico-amministrativo: 2, 66, 70, 81, 97, 98 X ambito giuridico-sociale: 33, 34, 85, 89, 116, 120 XI ambito educativo: 5, 6, 10, 11, 36, 71, 106 XII ambito umanistico-letterario: 3, 49, 62, 93, 103, 105, 108 60 Tabella di trasformazione dei punteggi gre G T G T G T G T G T G T G T G T I II III IV V VI VII VIII fattore fattore fattore fattore fattore fattore fattore fattore 5 30 1 32 1 30 7 31 1 27 1 29 1 25 1 29 6 31 2 34 2 31 8 32 2 28 2 30 2 27 2 30 7 32 3 37 3 32 9 33 3 30 3 32 3 29 3 32 8 33 4 39 4 34 10 34 4 32 4 33 4 31 4 34 9 34 5 42 5 35 11 35 5 33 5 34 5 34 5 35 10 35 6 45 6 36 12 35 6 35 6 36 6 36 6 37 11 36 7 47 7 38 13 36 7 37 7 37 7 38 7 38 12 37 8 50 8 39 14 37 8 38 8 38 8 40 8 40 13 38 9 53 9 40 15 38 9 40 9 39 9 43 9 42 14 39 10 55 10 41 16 39 10 42 10 41 10 45 10 43 15 41 11 58 11 43 17 39 11 44 11 42 11 47 11 45 16 42 12 60 12 44 18 40 12 45 12 43 12 49 12 46 17 43 13 63 13 45 19 41 13 47 13 45 13 52 13 48 18 44 14 66 14 47 20 42 14 49 14 46 14 54 14 49 19 45 15 68 15 48 21 43 15 50 15 47 15 56 15 51 20 46 16 71 16 49 22 43 16 52 16 49 16 58 16 53 21 47 17 74 17 50 23 44 17 54 17 50 17 60 17 54 22 48 18 76 18 52 24 45 18 55 18 51 18 63 18 56 23 49 19 79 19 53 25 46 19 57 19 53 19 65 19 57 24 50 20 81 20 54 26 47 20 59 20 54 20 67 20 59 25 51 21 56 27 47 21 60 21 55 21 69 21 61 26 53 22 57 28 48 22 62 22 56 22 72 22 62 27 54 23 58 29 49 23 64 23 58 23 74 23 64 28 55 24 59 30 50 24 65 24 59 24 76 24 65 29 56 25 61 31 51 25 67 25 60 25 78 25 67 30 57 26 62 32 52 26 69 26 62 26 81 26 68 31 58 27 63 33 52 27 71 27 63 27 83 27 70 32 59 28 65 34 53 28 72 28 64 28 85 28 72 33 60 29 66 35 54 29 74 29 66 29 87 29 73 34 61 30 67 36 55 30 76 30 67 30 90 30 75 35 62 31 68 37 56 31 68 31 76 36 63 32 70 38 56 32 70 32 78 37 65 33 71 39 57 33 71 33 80 38 66 34 72 40 58 34 72 34 81 39 67 35 73 41 59 35 73 35 83 40 68 42 60 36 75 41 69 43 60 37 76 42 70 44 61 38 77 43 71 45 62 39 79 44 72 46 63 40 80 45 73 47 64 41 81 46 74 48 65 42 83 47 75 49 65 43 84 48 77 50 66 44 85 49 78 51 67 45 86 61 zzi in punti T: maschi (11-12 anni) G T G T G T G T G T G T G T IX X XI XII XIII XIV XV fattore fattore fattore fattore fattore fattore fattore 1 26 1 29 1 28 1 27 1 28 1 28 1 25 2 28 2 31 2 29 2 29 2 30 2 29 2 26 3 30 3 33 3 31 3 30 3 32 3 31 3 27 4 32 4 35 4 33 4 32 4 34 4 32 4 28 5 34 5 37 5 35 5 33 5 36 5 34 5 28 6 36 6 39 6 37 6 35 6 38 6 35 6 29 7 38 7 40 7 39 7 37 7 40 7 37 7 30 8 40 8 42 8 41 8 38 8 42 8 39 8 31 9 42 9 44 9 43 9 40 9 44 9 40 9 32 10 44 10 46 10 45 10 41 10 46 10 42 10 32 11 46 11 48 11 47 11 43 11 48 11 43 11 33 12 48 12 50 12 48 12 45 12 49 12 45 12 34 13 50 13 52 13 50 13 46 13 51 13 46 13 35 14 52 14 53 14 52 14 48 14 53 14 48 14 35 15 54 15 55 15 54 15 50 15 55 15 50 15 36 16 56 16 57 16 56 16 51 16 57 16 51 16 37 17 58 17 59 17 58 17 53 17 59 17 53 17 38 18 60 18 61 18 60 18 54 18 61 18 54 18 38 19 62 19 63 19 62 19 56 19 63 19 56 19 39 20 64 20 64 20 64 20 58 20 65 20 57 20 40 21 66 21 66 21 66 21 59 21 67 21 59 21 41 22 68 22 68 22 67 22 61 22 69 22 60 22 41 23 70 23 70 23 69 23 63 23 70 23 62 23 42 24 72 24 72 24 71 24 64 24 72 24 64 24 43 25 74 25 74 25 73 25 66 25 74 25 65 25 44 26 76 26 76 26 75 26 67 26 76 26 67 26 44 27 78 27 77 27 77 27 69 27 78 27 68 27 45 28 80 28 79 28 79 28 71 28 80 28 70 28 46 29 82 29 81 29 81 29 72 29 82 29 71 29 47 30 84 30 83 30 83 30 74 30 84 30 73 30 48 31 85 31 75 31 75 31 48 32 86 32 77 32 76 32 49 33 88 33 79 33 78 33 50 34 90 34 80 34 79 34 51 35 92 35 82 35 81 35 51 36 82 36 52 37 84 37 53 38 86 38 54 38 86 38 54 40 89 40 55 41 56 42 57 43 57 44 58 45 59 62 G T G T G T G T G T G T G T G T I II III IV V VI VII VIII fattore fattore fattore fattore fattore fattore fattore fattore 50 79 52 68 46 88 51 80 53 69 47 89 52 81 54 69 48 90 53 82 55 70 49 92 54 83 56 71 50 93 55 84 57 72 58 73 59 73 60 74 61 75 62 76 63 77 64 77 65 78 66 79 67 80 68 81 69 82 70 82 63 G T G T G T G T G T G T G T IX X XI XII XIII XIV XV fattore fattore fattore fattore fattore fattore fattore 46 60 47 61 48 61 49 62 50 63 51 64 52 64 53 65 54 66 55 67 56 67 57 68 58 69 59 70 60 70 61 71 62 72 63 73 64 73 65 74 66 75 67 76 68 77 70 78 71 79 72 80 69 77 73 80 74 81 75 82 76 83 77 83 78 84 79 85 80 86 64 Tabella di trasformazione dei punteggi gre G T G T G T G T G T G T G T G T I II III IV V VI VII VIII fattore fattore fattore fattore fattore fattore fattore fattore 5 26 1 27 1 31 7 30 1 26 1 26 1 27 1 26 6 27 2 30 2 32 8 31 2 28 2 28 2 29 2 28 7 28 3 33 3 34 9 33 3 30 3 29 3 32 3 30 8 29 4 36 4 35 10 34 4 33 4 30 4 34 4 32 9 30 5 39 5 37 11 36 5 35 5 31 5 36 5 34 10 31 6 42 6 38 12 37 6 37 6 33 6 39 6 37 11 32 7 45 7 39 13 39 7 40 7 34 7 41 7 39 12 33 8 48 8 41 14 40 8 42 8 35 8 44 8 41 13 34 9 51 9 42 15 42 9 44 9 37 9 46 9 43 14 35 10 53 10 43 16 43 10 47 10 38 10 48 10 46 15 36 11 56 11 45 17 45 11 49 11 39 11 51 11 48 16 37 12 59 12 46 18 47 12 51 12 40 12 53 12 50 17 39 13 62 13 48 19 48 13 54 13 42 13 55 13 52 18 40 14 65 14 49 20 50 14 56 14 43 14 58 14 55 19 41 15 68 15 50 21 51 15 58 15 44 15 60 15 57 20 42 16 71 16 52 22 53 16 61 16 45 16 63 16 59 21 43 17 74 17 53 23 54 17 63 17 47 17 65 17 61 22 44 18 77 18 55 24 56 18 65 18 48 18 67 18 63 23 45 19 80 19 56 25 57 19 67 19 49 19 70 19 66 24 46 20 83 20 57 26 59 20 70 20 50 20 72 20 68 25 47 21 59 27 60 21 72 21 52 21 75 21 70 26 48 22 60 28 62 22 74 22 53 22 77 22 72 27 50 23 61 29 63 23 77 23 54 23 79 23 75 28 51 24 63 30 65 24 79 24 55 24 82 24 77 29 52 25 64 31 67 25 81 25 57 25 84 25 79 30 53 26 66 32 68 26 84 26 58 26 87 26 81 31 54 27 67 33 70 27 86 27 59 27 89 27 83 32 55 28 68 34 71 28 88 28 61 28 91 28 86 33 56 29 70 35 73 29 91 29 62 29 94 29 88 34 57 30 71 36 74 30 93 30 63 30 96 30 90 35 58 31 73 37 76 31 64 31 92 36 59 32 74 38 77 32 66 32 95 37 61 33 75 39 79 33 67 33 97 38 62 34 77 40 80 34 68 34 99 39 63 35 78 41 82 35 69 35 100 40 64 42 83 36 71 41 65 43 85 37 72 42 67 44 87 38 73 43 68 45 88 39 74 44 69 46 90 40 76 45 70 47 91 41 77 46 72 48 93 42 78 47 73 49 94 43 79 48 74 50 96 44 81 49 75 51 97 45 82 65 zzi in punti T: femmine (11-12 anni) G T G T G T G T G T G T G T IX X XI XII XIII XIV XV fattore fattore fattore fattore fattore fattore fattore 1 21 1 27 1 22 1 27 1 25 1 24 1 19 2 24 2 30 2 24 2 29 2 27 2 26 2 20 3 27 3 32 3 25 3 31 3 29 3 27 3 21 4 30 4 34 4 27 4 32 4 30 4 29 4 22 5 33 5 36 5 29 5 34 5 32 5 30 5 23 6 36 6 38 6 31 6 35 6 34 6 32 6 24 7 39 7 41 7 33 7 37 7 36 7 33 7 25 8 42 8 43 8 34 8 38 8 38 8 35 8 26 9 45 9 45 9 36 9 40 9 39 9 37 9 27 10 48 10 47 10 38 10 41 10 41 10 38 10 28 11 51 11 49 11 40 11 43 11 43 11 40 11 29 12 54 12 52 12 41 12 44 12 45 12 41 12 30 13 57 13 54 13 43 13 46 13 47 13 43 13 31 14 60 14 56 14 45 14 48 14 49 14 44 14 32 15 63 15 58 15 47 15 49 15 50 15 46 15 33 16 66 16 60 16 48 16 51 16 52 16 47 16 34 17 69 17 63 17 50 17 52 17 54 17 49 17 35 18 72 18 65 18 52 18 54 18 56 18 50 18 36 19 75 19 67 19 54 19 55 19 58 19 52 19 37 20 78 20 69 20 56 20 57 20 59 20 54 20 38 21 81 21 71 21 57 21 58 21 61 21 55 21 39 22 84 22 74 22 59 22 60 22 63 22 57 22 40 23 87 23 76 23 61 23 61 23 65 23 58 23 41 24 89 24 78 24 63 24 63 24 67 24 60 24 42 25 92 25 80 25 64 25 65 25 68 25 61 25 43 26 95 26 82 26 66 26 66 26 70 26 63 26 45 27 98 27 84 27 68 27 68 27 72 27 64 27 46 28 100 28 87 28 70 28 69 28 74 28 66 28 47 29 100 29 89 29 72 29 71 29 76 29 67 29 48 30 100 30 91 30 74 30 72 30 78 30 69 30 49 31 75 31 74 31 71 31 50 32 77 32 75 32 72 32 51 33 79 33 77 33 74 33 52 34 80 34 78 34 75 34 53 35 82 35 80 35 77 35 54 36 78 36 55 37 80 37 56 38 81 38 57 38 83 38 58 40 84 40 59 41 60 42 61 43 62 44 63 45 64 66 G T G T G T G T G T G T G T G T I II III IV V VI VII VIII fattore fattore fattore fattore fattore fattore fattore fattore 50 76 52 99 46 83 51 77 53 100 47 85 52 78 54 100 48 86 53 79 55 100 49 87 54 80 56 100 50 88 55 81 57 100 58 100 59 100 60 100 61 100 62 100 63 100 64 100 65 100 66 100 67 100 68 100 69 100 70 100 67 G T G T G T G T G T G T G T IX X XI XII XIII XIV XV fattore fattore fattore fattore fattore fattore fattore 46 65 47 66 48 67 49 68 50 69 51 70 52 71 53 73 54 74 55 75 56 76 57 77 58 78 59 79 60 80 61 81 62 82 63 83 64 84 65 85 66 86 67 87 68 88 69 89 70 90 71 91 72 92 73 93 74 94 75 95 76 96 77 97 78 98 79 99 80 100 68 Tabella di trasformazione dei punteggi gre G T G T G T G T G T G T G T G T I II III IV V VI VII VIII fattore fattore fattore fattore fattore fattore fattore fattore 5 28 1 31 1 29 7 26 1 25 1 24 1 27 1 25 6 29 2 34 2 30 8 27 2 27 2 26 2 29 2 27 7 30 3 37 3 32 9 28 3 29 3 27 3 31 3 29 8 31 4 39 4 33 10 29 4 31 4 29 4 33 4 31 9 32 5 42 5 35 11 30 5 33 5 31 5 35 5 33 10 33 6 45 6 36 12 31 6 35 6 32 6 37 6 34 11 35 7 48 7 37 13 32 7 37 7 34 7 39 7 36 12 36 8 50 8 39 14 32 8 39 8 35 8 41 8 38 13 38 9 53 9 40 15 33 9 41 9 37 9 43 9 40 14 39 10 56 10 42 16 34 10 43 10 38 10 45 10 41 15 40 11 58 11 43 17 35 11 44 11 40 11 47 11 43 16 41 12 61 12 45 18 36 12 46 12 41 12 49 12 45 17 43 13 64 13 46 19 37 13 48 13 43 13 51 13 47 18 44 14 67 14 48 20 38 14 50 14 45 14 53 14 49 19 45 15 69 15 49 21 39 15 52 15 46 15 55 15 50 20 46 16 72 16 51 22 40 16 54 16 48 16 57 16 52 21 48 17 75 17 52 23 41 17 56 17 49 17 59 17 54 22 49 18 78 18 54 24 42 18 58 18 51 18 61 18 56 23 50 19 80 19 55 25 43 19 60 19 52 19 63 19 57 24 51 20 83 20 57 26 44 20 62 20 54 20 65 20 59 25 53 21 58 27 45 21 64 21 55 21 67 21 61 26 54 22 60 28 46 22 66 22 57 22 69 22 63 27 55 23 61 29 47 23 68 23 59 23 71 23 65 28 56 24 63 30 47 24 70 24 60 24 73 24 66 29 58 25 64 31 48 25 71 25 62 25 75 25 68 30 59 26 66 32 49 26 73 26 63 26 77 26 70 31 60 27 67 33 50 27 75 27 65 27 79 27 72 32 61 28 69 34 51 28 77 28 66 28 81 28 73 33 62 29 70 35 52 29 79 29 68 29 83 29 75 34 64 30 72 36 53 30 81 30 69 30 85 30 77 35 65 31 73 37 54 31 71 31 79 36 66 32 75 38 55 32 73 32 81 37 67 33 76 39 56 33 74 33 82 38 69 34 78 40 57 34 76 34 84 39 70 35 79 41 58 35 77 35 86 40 71 42 59 36 79 41 72 43 60 37 80 42 74 44 61 38 82 43 75 45 61 39 83 44 76 46 62 40 85 45 77 47 63 41 87 46 79 48 64 42 88 47 80 49 65 43 90 48 81 50 66 44 91 49 82 51 67 45 93 69 zzi in punti T: maschi (12-13 anni) G T G T G T G T G T G T G T IX X XI XII XIII XIV XV fattore fattore fattore fattore fattore fattore fattore 1 26 1 30 1 26 1 26 1 26 1 26 1 24 2 28 2 32 2 28 2 27 2 29 2 27 2 24 3 30 3 34 3 30 3 29 3 31 3 29 3 25 4 32 4 36 4 32 4 31 4 33 4 31 4 26 5 34 5 38 5 34 5 33 5 35 5 32 5 27 6 37 6 39 6 36 6 35 6 37 6 34 6 28 7 39 7 41 7 38 7 36 7 39 7 36 7 28 8 41 8 43 8 40 8 38 8 41 8 37 8 29 9 43 9 45 9 43 9 40 9 43 9 39 9 30 10 45 10 47 10 45 10 42 10 45 10 40 10 31 11 48 11 49 11 47 11 44 11 47 11 42 11 32 12 50 12 51 12 49 12 45 12 49 12 44 12 32 13 52 13 53 13 51 13 47 13 50 13 45 13 33 14 54 14 55 14 53 14 49 14 52 14 47 14 34 15 56 15 57 15 55 15 51 15 54 15 49 15 35 16 59 16 58 16 57 16 53 16 56 16 50 16 36 17 61 17 60 17 60 17 54 17 58 17 52 17 36 18 63 18 62 18 62 18 56 18 60 18 54 18 37 19 65 19 64 19 64 19 58 19 62 19 55 19 38 20 67 20 66 20 66 20 60 20 64 20 57 20 39 21 69 21 68 21 68 21 62 21 66 21 58 21 39 22 72 22 70 22 70 22 63 22 68 22 60 22 40 23 74 23 72 23 72 23 65 23 70 23 62 23 41 24 76 24 74 24 75 24 67 24 72 24 63 24 42 25 78 25 76 25 77 25 69 25 74 25 65 25 43 26 80 26 77 26 79 26 70 26 76 26 67 26 43 27 83 27 79 27 81 27 72 27 77 27 68 27 44 28 85 28 81 28 83 28 74 28 79 28 70 28 45 29 87 29 83 29 85 29 76 29 81 29 71 29 46 30 89 30 85 30 87 30 78 30 83 30 73 30 47 31 89 31 79 31 75 31 47 32 92 32 81 32 76 32 48 33 94 33 83 33 78 33 49 34 96 34 85 34 80 34 50 35 98 35 87 35 81 35 51 36 83 36 51 37 84 37 52 38 86 38 53 38 88 39 54 40 89 40 55 41 55 42 56 43 57 44 58 45 59 70 G T G T G T G T G T G T G T G T I II III IV V VI VII VIII fattore fattore fattore fattore fattore fattore fattore fattore 50 84 52 68 46 94 51 85 53 69 47 96 52 86 54 70 48 97 53 87 55 71 49 99 54 89 56 72 50 100 55 90 57 73 58 74 59 75 60 75 61 76 62 77 63 78 64 79 65 80 66 81 67 82 68 83 69 84 70 85 71 G T G T G T G T G T G T G T IX X XI XII XIII XIV XV fattore fattore fattore fattore fattore fattore fattore 46 59 47 60 48 61 49 62 50 63 51 63 52 64 53 65 54 66 55 66 56 67 57 68 58 69 59 70 60 70 61 71 62 72 63 73 64 74 65 74 66 75 67 76 68 77 69 78 70 78 71 79 72 80 73 81 74 82 75 82 76 83 77 84 78 85 79 86 80 86 72 Tabella di trasformazione dei punteggi gre G T G T G T G T G T G T G T G T I II III IV V VI VII VIII fattore fattore fattore fattore fattore fattore fattore fattore 5 26 1 29 1 30 7 30 1 26 1 25 1 25 1 26 6 27 2 32 2 31 8 32 2 28 2 26 2 28 2 28 7 28 3 35 3 33 9 33 3 31 3 27 3 30 3 30 8 30 4 38 4 35 10 34 4 33 4 29 4 33 4 32 9 31 5 41 5 36 11 36 5 35 5 30 5 35 5 35 10 32 6 44 6 38 12 37 6 37 6 31 6 38 6 37 11 33 7 47 7 39 13 38 7 39 7 32 7 40 7 39 12 34 8 50 8 41 14 40 8 41 8 34 8 43 8 41 13 36 9 53 9 43 15 41 9 44 9 35 9 45 9 43 14 37 10 56 10 44 16 42 10 46 10 36 10 48 10 45 15 38 11 59 11 46 17 44 11 48 11 38 11 51 11 48 16 39 12 62 12 47 18 45 12 50 12 39 12 53 12 50 17 40 13 65 13 49 19 46 13 52 13 40 13 56 13 52 18 42 14 68 14 50 20 48 14 55 14 41 14 58 14 54 19 43 15 71 15 52 21 49 15 57 15 43 15 61 15 56 20 44 16 74 16 54 22 50 16 59 16 44 16 63 16 58 21 45 17 77 17 55 23 51 17 61 17 45 17 66 17 60 22 46 18 80 18 57 24 53 18 63 18 47 18 68 18 63 23 48 19 83 19 58 25 54 19 65 19 48 19 71 19 65 24 49 20 86 20 60 26 55 20 68 20 49 20 73 20 67 25 50 21 62 27 57 21 70 21 50 21 76 21 69 26 51 22 63 28 58 22 72 22 52 22 78 22 71 27 52 23 65 29 59 23 74 23 53 23 81 23 73 28 53 24 66 30 61 24 76 24 54 24 84 24 75 29 55 25 68 31 62 25 79 25 56 25 86 25 78 30 56 26 70 32 63 26 81 26 57 26 89 26 80 31 57 27 71 33 65 27 83 27 58 27 91 27 82 32 58 28 73 34 66 28 85 28 59 28 94 28 84 33 59 29 74 35 67 29 87 29 61 29 96 29 86 34 61 30 76 36 69 30 89 30 62 30 99 30 88 35 62 31 77 37 70 31 63 31 90 36 63 32 79 38 71 32 65 32 93 37 64 33 81 39 73 33 66 33 95 38 65 34 82 40 74 34 67 34 97 39 67 35 84 41 75 35 68 35 99 40 68 42 76 36 70 41 69 43 78 37 71 42 70 44 79 38 72 43 71 45 80 39 74 44 73 46 82 40 75 45 74 47 83 41 76 46 75 48 84 42 78 47 76 49 86 43 79 48 77 50 87 44 80 49 78 51 88 45 81 73 zzi in punti T: femmine (12-13 anni) G T G T G T G T G T G T G T IX X XI XII XIII XIV XV fattore fattore fattore fattore fattore fattore fattore 1 25 1 29 1 24 1 28 1 24 1 22 1 19 2 27 2 31 2 25 2 30 2 25 2 24 2 20 3 30 3 33 3 27 3 32 3 27 3 26 3 21 4 32 4 35 4 29 4 33 4 29 4 27 4 22 5 35 5 38 5 31 5 35 5 31 5 29 5 23 6 37 6 40 6 33 6 36 6 33 6 31 6 24 7 40 7 42 7 34 7 38 7 34 7 33 7 25 8 42 8 44 8 36 8 40 8 36 8 34 8 26 9 45 9 46 9 38 9 41 9 38 9 36 9 27 10 47 10 49 10 40 10 43 10 40 10 38 10 28 11 50 11 51 11 41 11 45 11 42 11 40 11 29 12 52 12 53 12 43 12 46 12 43 12 41 12 30 13 55 13 55 13 45 13 48 13 45 13 43 13 31 14 57 14 57 14 47 14 50 14 47 14 45 14 32 15 60 15 60 15 48 15 51 15 49 15 47 15 33 16 62 16 62 16 50 16 53 16 51 16 48 16 34 17 65 17 64 17 52 17 54 17 52 17 50 17 35 18 67 18 66 18 54 18 56 18 54 18 52 18 36 19 70 19 68 19 56 19 58 19 56 19 54 19 37 20 72 20 71 20 57 20 59 20 58 20 56 20 38 21 75 21 73 21 59 21 61 21 60 21 57 21 39 22 77 22 75 22 61 22 63 22 61 22 59 22 40 23 80 23 77 23 63 23 64 23 63 23 61 23 41 24 82 24 79 24 64 24 66 24 65 24 63 24 42 25 85 25 81 25 66 25 67 25 67 25 64 25 43 26 87 26 84 26 68 26 69 26 69 26 66 26 44 27 90 27 86 27 70 27 71 27 70 27 68 27 45 28 92 28 88 28 72 28 72 28 72 28 70 28 46 29 95 29 90 29 73 29 74 29 74 29 71 29 47 30 97 30 92 30 75 30 76 30 76 30 73 30 48 31 77 31 77 31 75 31 49 32 79 32 79 32 77 32 50 33 80 33 81 33 78 33 52 34 82 34 82 34 80 34 53 35 84 35 84 35 82 35 54 36 84 36 55 37 85 37 56 38 87 38 57 38 89 39 58 40 91 40 59 41 60 42 61 43 62 44 63 45 64 74 G T G T G T G T G T G T G T G T I II III IV V VI VII VIII fattore fattore fattore fattore fattore fattore fattore fattore 50 80 52 90 46 83 51 81 53 91 47 84 52 82 54 92 48 85 53 83 55 94 49 87 54 84 56 95 50 88 55 86 57 96 58 98 59 99 60 100 61 100 62 100 63 100 64 100 65 100 66 100 67 100 68 100 69 100 70 100 75 G T G T G T G T G T G T G T IX X XI XII XIII XIV XV fattore fattore fattore fattore fattore fattore fattore 46 65 47 66 48 67 49 68 50 69 51 70 52 71 53 73 54 74 55 75 56 76 57 77 58 78 59 79 60 80 61 81 62 82 63 83 64 84 65 85 66 86 67 87 68 88 69 89 70 90 71 91 72 92 73 93 74 94 75 95 76 96 77 97 78 98 79 99 80 100 76 Tabella di trasformazione dei punteggi gre G T G T G T G T G T G T G T G T I II III IV V VI VII VIII fattore fattore fattore fattore fattore fattore fattore fattore 5 27 1 30 1 30 7 27 1 26 1 27 1 28 1 26 6 28 2 33 2 32 8 28 2 28 2 29 2 30 2 28 7 29 3 36 3 33 9 29 3 29 3 30 3 32 3 30 8 31 4 39 4 34 10 30 4 31 4 32 4 34 4 31 9 32 5 42 5 36 11 31 5 33 5 33 5 36 5 33 10 33 6 45 6 37 12 32 6 34 6 35 6 38 6 35 11 35 7 48 7 39 13 33 7 36 7 36 7 41 7 36 12 36 8 51 8 40 14 34 8 38 8 38 8 43 8 38 13 38 9 54 9 42 15 35 9 40 9 39 9 45 9 39 14 39 10 57 10 43 16 35 10 41 10 41 10 47 10 41 15 40 11 60 11 45 17 36 11 43 11 42 11 49 11 43 16 42 12 63 12 46 18 37 12 45 12 44 12 51 12 44 17 43 13 66 13 47 19 38 13 47 13 45 13 53 13 46 18 44 14 69 14 49 20 39 14 48 14 46 14 56 14 48 19 46 15 72 15 50 21 40 15 50 15 48 15 58 15 49 20 47 16 74 16 52 22 41 16 52 16 49 16 60 16 51 21 48 17 77 17 53 23 42 17 54 17 51 17 62 17 52 22 50 18 80 18 55 24 43 18 55 18 52 18 64 18 54 23 51 19 83 19 56 25 44 19 57 19 54 19 66 19 56 24 53 20 86 20 58 26 45 20 59 20 55 20 69 20 57 25 54 21 59 27 46 21 61 21 57 21 71 21 59 26 55 22 60 28 47 22 62 22 58 22 73 22 61 27 57 23 62 29 48 23 64 23 60 23 75 23 62 28 58 24 63 30 49 24 66 24 61 24 77 24 64 29 59 25 65 31 50 25 68 25 63 25 79 25 65 30 61 26 66 32 51 26 69 26 64 26 81 26 67 31 62 27 68 33 51 27 71 27 66 27 84 27 69 32 64 28 69 34 52 28 73 28 67 28 86 28 70 33 65 29 71 35 53 29 75 29 68 29 88 29 72 34 66 30 72 36 54 30 76 30 70 30 90 30 74 35 68 31 74 37 55 31 71 31 75 36 69 32 75 38 56 32 73 32 77 37 70 33 76 39 57 33 74 33 78 38 72 34 78 40 58 34 76 34 80 39 73 35 79 41 59 35 77 35 82 40 75 42 60 36 79 41 76 43 61 37 80 42 77 44 62 38 82 43 79 45 63 39 83 44 80 46 64 40 85 45 81 47 65 41 86 46 83 48 66 42 88 47 84 49 66 43 89 48 85 50 67 44 90 49 87 51 68 45 92 77 zzi in punti T: maschi (13-14 anni) G T G T G T G T G T G T G T IX X XI XII XIII XIV XV fattore fattore fattore fattore fattore fattore fattore 1 27 1 29 1 24 1 26 1 28 1 25 1 25 2 29 2 31 2 27 2 28 2 30 2 27 2 26 3 31 3 33 3 29 3 30 3 32 3 29 3 27 4 33 4 35 4 32 4 32 4 34 4 31 4 27 5 35 5 37 5 34 5 34 5 36 5 33 5 28 6 37 6 39 6 36 6 36 6 38 6 35 6 29 7 40 7 41 7 39 7 38 7 40 7 37 7 30 8 42 8 43 8 41 8 40 8 41 8 39 8 31 9 44 9 45 9 44 9 42 9 43 9 41 9 32 10 46 10 47 10 46 10 44 10 45 10 43 10 32 11 48 11 49 11 49 11 46 11 47 11 44 11 33 12 50 12 51 12 51 12 48 12 49 12 46 12 34 13 53 13 53 13 53 13 50 13 51 13 48 13 35 14 55 14 55 14 56 14 52 14 53 14 50 14 36 15 57 15 57 15 58 15 54 15 55 15 52 15 37 16 59 16 59 16 61 16 56 16 57 16 54 16 38 17 61 17 61 17 63 17 57 17 59 17 56 17 38 18 63 18 63 18 65 18 59 18 61 18 58 18 39 19 66 19 65 19 68 19 61 19 63 19 60 19 40 20 68 20 67 20 70 20 63 20 65 20 62 20 41 21 70 21 69 21 73 21 65 21 67 21 64 21 42 22 72 22 71 22 75 22 67 22 69 22 66 22 43 23 74 23 73 23 77 23 69 23 71 23 67 23 44 24 76 24 75 24 80 24 71 24 73 24 69 24 44 25 78 25 77 25 82 25 73 25 74 25 71 25 45 26 81 26 79 26 85 26 75 26 76 26 73 26 46 27 83 27 81 27 87 27 77 27 78 27 75 27 47 28 85 28 83 28 89 28 79 28 80 28 77 28 48 29 87 29 85 29 92 29 81 29 82 29 79 29 49 30 89 30 87 30 94 30 83 30 84 30 81 30 49 31 97 31 85 31 83 31 50 32 99 32 87 32 85 32 51 33 100 33 89 33 87 33 52 34 100 34 90 34 88 34 53 35 100 35 92 35 90 35 54 36 92 36 55 37 94 37 55 38 96 38 56 38 98 38 57 40 100 40 58 41 59 42 60 43 61 44 61 45 62 78 G T G T G T G T G T G T G T G T I II III IV V VI VII VIII fattore fattore fattore fattore fattore fattore fattore fattore 50 88 52 69 46 93 51 90 53 70 47 95 52 91 54 71 48 96 53 92 55 72 49 98 54 94 56 73 50 99 55 95 57 74 58 75 59 76 60 77 61 78 62 79 63 80 64 81 65 82 66 82 67 83 68 84 69 85 70 86 79 G T G T G T G T G T G T G T IX X XI XII XIII XIV XV fattore fattore fattore fattore fattore fattore fattore 46 63 47 64 48 65 49 66 50 66 51 67 52 68 53 69 54 70 55 71 56 72 57 72 58 73 59 74 60 75 61 76 62 77 63 77 64 78 65 79 66 80 67 81 68 82 70 83 71 83 72 84 69 85 73 86 74 87 75 88 76 89 77 89 78 90 79 91 80 92 80 Tabella di trasformazione dei punteggi gre G T G T G T G T G T G T G T G T I II III IV V VI VII VIII fattore fattore fattore fattore fattore fattore fattore fattore 5 24 1 29 1 28 7 32 1 28 1 25 1 27 1 27 6 26 2 32 2 30 8 33 2 30 2 27 2 29 2 29 7 27 3 35 3 31 9 34 3 32 3 28 3 32 3 30 8 28 4 37 4 33 10 36 4 34 4 29 4 34 4 32 9 29 5 40 5 34 11 37 5 36 5 30 5 37 5 34 10 30 6 43 6 36 12 38 6 38 6 32 6 39 6 36 11 32 7 45 7 37 13 40 7 40 7 33 7 42 7 38 12 33 8 48 8 39 14 41 8 42 8 34 8 44 8 40 13 34 9 50 9 41 15 42 9 44 9 35 9 74 9 41 14 35 10 53 10 42 16 44 10 46 10 37 10 50 10 43 15 36 11 56 11 44 17 45 11 49 11 38 11 52 11 45 16 38 12 58 12 45 18 46 12 51 12 39 12 55 12 47 17 39 13 61 13 47 19 48 13 53 13 40 13 57 13 49 18 40 14 63 14 48 20 49 14 55 14 41 14 60 14 51 19 41 15 66 15 50 21 50 15 57 15 43 15 62 15 53 20 42 16 69 16 51 22 52 16 59 16 44 16 65 16 54 21 44 17 71 17 53 23 53 17 61 17 45 17 67 17 56 22 45 18 74 18 54 24 54 18 63 18 46 18 70 18 58 23 46 19 77 19 56 25 56 19 65 19 48 19 72 19 60 24 47 20 79 20 57 26 57 20 67 20 49 20 75 20 62 25 49 21 59 27 58 21 69 21 50 21 77 21 64 26 50 22 61 28 59 22 71 22 51 22 80 22 66 27 51 23 62 29 61 23 73 23 53 23 82 23 67 28 52 24 64 30 62 24 75 24 54 24 85 24 69 29 53 25 65 31 63 25 77 25 55 25 87 25 71 30 55 26 67 32 65 26 79 26 56 26 90 26 73 31 56 27 68 33 66 27 81 27 57 27 92 27 75 32 57 28 70 34 67 28 83 28 59 28 95 28 77 33 58 29 71 35 69 29 85 29 60 29 98 29 79 34 59 30 73 36 70 30 87 30 61 30 100 30 80 35 61 31 74 37 71 31 62 31 82 36 62 32 76 38 73 32 64 32 84 37 63 33 77 39 74 33 65 33 86 38 64 34 79 40 75 34 66 34 88 39 66 35 81 41 77 35 67 35 90 40 67 42 78 36 69 41 68 43 79 37 70 42 69 44 81 38 71 43 70 45 82 39 72 44 72 46 83 40 73 45 73 47 85 41 75 46 74 48 86 42 76 47 75 49 87 43 77 48 76 50 88 44 78 49 78 51 90 45 80 81 zzi in punti T: femmine (13-14 anni) G T G T G T G T G T G T G T IX X XI XII XIII XIV XV fattore fattore fattore fattore fattore fattore fattore 1 26 1 28 1 26 1 27 1 23 1 24 1 21 2 28 2 30 2 28 2 28 2 25 2 26 2 22 3 31 3 32 3 30 3 30 3 27 3 28 3 23 4 33 4 34 4 31 4 32 4 29 4 30 4 24 5 35 5 36 5 33 5 33 5 31 5 32 5 25 6 37 6 38 6 35 6 35 6 33 6 34 6 26 7 40 7 40 7 37 7 37 7 35 7 35 7 27 8 42 8 42 8 38 8 39 8 36 8 37 8 28 9 44 9 44 9 40 9 40 9 38 9 39 9 30 10 47 10 46 10 42 10 42 10 40 10 41 10 31 11 49 11 48 11 44 11 44 11 42 11 43 11 32 12 51 12 50 12 45 12 46 12 44 12 44 12 33 13 54 13 52 13 47 13 47 13 46 13 46 13 34 14 56 14 54 14 49 14 49 14 48 14 48 14 35 15 58 15 56 15 50 15 51 15 50 15 50 15 36 16 60 16 58 16 52 16 52 16 51 16 52 16 37 17 63 17 60 17 54 17 54 17 53 17 54 17 38 18 65 18 62 18 56 18 56 18 55 18 55 18 39 19 67 19 64 19 57 19 58 19 57 19 57 19 40 20 70 20 66 20 59 20 59 20 59 20 59 20 41 21 72 21 68 21 61 21 61 21 61 21 61 21 42 22 74 22 70 22 62 22 63 22 63 22 63 22 43 23 77 23 72 23 64 23 64 23 64 23 65 23 44 24 79 24 75 24 66 24 66 24 66 24 66 24 45 25 81 25 77 25 68 25 68 25 68 25 68 25 46 26 84 26 79 26 69 26 70 26 70 26 70 26 47 27 86 27 81 27 71 27 72 27 72 27 72 27 48 28 88 28 83 28 73 28 74 28 74 28 74 28 49 29 90 29 85 29 75 29 76 29 76 29 75 29 50 30 93 30 87 30 76 30 78 30 78 30 77 30 51 31 78 31 31 79 31 52 32 80 32 32 81 32 53 33 81 33 33 83 33 54 34 83 34 34 85 34 55 35 85 35 35 86 35 56 36 88 36 57 37 90 37 58 38 92 38 59 38 94 38 60 40 96 40 62 41 63 42 64 43 65 44 66 45 67 82 G T G T G T G T G T G T G T G T I II III IV V VI VII VIII fattore fattore fattore fattore fattore fattore fattore fattore 50 79 52 91 46 81 51 80 53 92 47 82 52 81 54 94 48 83 53 82 55 95 49 85 54 84 56 96 50 86 55 85 57 98 58 99 59 100 60 100 61 100 62 100 63 100 64 100 65 100 66 100 67 100 68 100 69 100 70 100 83 G T G T G T G T G T G T G T IX X XI XII XIII XIV XV fattore fattore fattore fattore fattore fattore fattore 46 68 47 69 48 70 49 71 50 72 51 73 52 74 53 75 54 76 55 77 56 78 57 79 58 80 59 81 60 82 61 83 62 84 63 85 64 86 65 87 66 88 67 89 68 90 70 91 71 92 72 94 69 95 73 96 74 97 75 98 76 99 77 100 78 100 79 100 80 100 84 Da compilarsi a cura dell’esaminatore: I ambito “Artistico” P. grezzo Punti T INTERESSI PROFESSIONALI II ambito “Sanitario” III ambito “Scientifico-naturale” IV ambito “Tecnico-meccanico” V ambito “Tecnico-scientifico” VI ambito “Sociosanitario” VII ambito “Agroambientale” VIII ambito “Economico-commerciale” IX ambito “Economico-amministrativo” X ambito “Giuridico-sociale” XI ambito “Educativo” XII ambito “Umanistico-letterario” XIII ambito “Linguistico-turistico” XIV ambito “Artigianale” XV ambito “Altro” 85 AMBITI DI INTERESSE PROFESSIONALE I. Artistico Chi desidera svolgere un lavoro in questo ambito è interessato ad espri- mere la propria creatività e la propria fantasia. Le professioni che gene- ralmente soddisfano questo tipo di interesse riguardano attività quali quelle dell’architetto, dello specialista in pubblicità, del musicista, del- l’attore, del restauratore, dell’arredatore, ecc. II. Sanitario Chi desidera svolgere un lavoro in questo ambito è interessato ai problemi della salute. Le professioni che generalmente soddisfano questo tipo di in- teresse sono quelle del medico, del farmacista, del dentista, ecc. III. Scientifico-naturale Chi desidera svolgere un lavoro in questo ambito è interessato a studia- re i fenomeni della natura e a svolgere professioni quali quelle del biologo, del chimico, dello zoologo, del botanico, del geologo, ecc. IV. Tecnico-meccanico Chi desidera svolgere un lavoro in questo ambito è interessato ad attività di costruzione o di riparazione di macchinari ed impianti, di guida e controllo dei veicoli (auto, aerei, navi). Altre attività come quella mec- canica e del disegno tecnico richiedono questo tipo di interesse. Le pro- fessioni che generalmente lo soddisfano sono quelle del perito indu- striale, del geometra, del perito nautico, dell’idraulico, del meccanico, del- l’elettricista, ecc. V. Tecnico-scientifico Chi desidera svolgere un lavoro in questo ambito è interessato a costrui- re macchinari (computer, ecc.), materiali e programmi computerizzati, ecc. Le professioni che generalmente soddisfano questo tipo di interesse so- no quelle dell’ingegnere, del matematico, del fisico, del perito informa- tico, del programmatore di computer, ecc. VI. Sociosanitario Chi desidera svolgere un lavoro in questo ambito è interessato ad attività in collaborazione con i medici, come ad esempio quella dell’infermiere, del logopedista, del fisioterapista, dello psicologo, dell’ostetrico, del- l’assistente sociale, ecc. 86 VII. Agroambientale Chi desidera svolgere un lavoro in questo ambito è interessato ad attività a contatto con la natura ed è molto attento all’ambiente. Le professioni che generalmente soddisfano questo tipo di interesse sono quelle della guar- dia forestale, dell’agricoltore, dell’agronomo, del perito agrario, ecc. VIII. Economico-commerciale Chi desidera svolgere un lavoro in questo ambito è interessato alle attività commerciali, a dirigere aziende e a controllare le vendite effettuate dal- le stesse. Le professioni che generalmente soddisfano questo tipo di in- teresse sono quelle del commercialista, dell’assicuratore, del direttore di banca, del direttore di un grande magazzino, ecc. IX. Economico-amministrativo Chi desidera svolgere un’attività in questo ambito è generalmente inte- ressato ad analizzare i guadagni e le spese di un’azienda, a stabilire i prez- zi delle merci, a controllare le tasse da pagare, a tenere in ordine i registri della contabilità, ecc. Le professioni che generalmente soddisfano questo tipo di interesse sono quelle del ragioniere, del segretario, del direttore del- le vendite, ecc. X. Giuridico-sociale Chi desidera svolgere un lavoro in questo ambito è interessato a svolge- re attività che si basano sulla conoscenza delle leggi, a risolvere conflit- ti fra le persone e fra i gruppi o a fare indagini per conoscere meglio il modo di vivere della gente. Le professioni che generalmente soddisfano questo tipo di interesse sono quelle del giudice, dell’avvocato, del di- plomatico, dell’esperto in indagini statistiche, ecc. XI. Educativo Chi desidera svolgere un lavoro in questo ambito è interessato alle attività di insegnamento ed è molto attento ai problemi dei bambini e dei giova- ni. Le professioni che generalmente soddisfano questo tipo di interesse so- no quelle dell’insegnante e dell’educatore. XII. Umanistico-letterario Chi desidera svolgere un lavoro in questo ambito è interessato allo studio della storia e della cultura o alla loro divulgazione. Le professioni che ge- neralmente soddisfano questo tipo di interesse sono quelle dello scritto- 87 re, del bibliotecario, del giornalista, del direttore di museo, del filosofo, ecc. XIII. Linguistico-turistico Chi desidera svolgere un lavoro in questo ambito è interessato alla co- noscenza e all’uso delle lingue straniere e a lavorare a contatto con altri popoli per scambi culturali, commerciali o per turismo. Le professioni che generalmente soddisfano questo tipo di interesse sono quelle dell’inter- prete, della guida turistica, dell’impiegato in un’agenzia di viaggi, del- l’albergatore, ecc. XIV. Artigianale Chi desidera svolgere una professione artigianale è interessato ad attività che richiedono un lavoro manuale non ripetitivo, a volte necessitante di creatività e originalità. Le professioni che generalmente soddisfano que- sto tipo di interesse sono quelle del sarto, del cuoco, del falegname, del parrucchiere, ecc. XV. Altro Gli studenti che ottengono un punteggio elevato in quest’ultimo rag- gruppamento sono generalmente molto interessati ad un immediato in- serimento nel mondo del lavoro, puntando su professioni che nella mag- gioranza dei casi non comportano necessariamente ulteriori percorsi educativi e formativi. 88 GRAFICO Il mio lavoro futuro Cognome e Nome ……………………………………………… Data …………………………… I II II I IV V V I V II V III IX X X I X II X II I X IV X V 10 0 90 80 70 60 50 40 30 20 10 10 89 Guida per l’operatore Competenza orientativa Riconoscere i propri interessi verso specifiche aree professionali. Titolo Il mio lavoro futuro. Fonte e reperibilità Soresi S. e Nota L. (a cura di) (2001), Optimist. Portfolio per l’orientamento da- gli 11 ai 14 anni. Introduzione e Interessi e valori. ITER, Firenze. Tipologia Questionario. Obiettivi Sostenere l’utente nell’individuazione degli interessi professionali che per lui/lei possono rappresentare elementi di scelta in ambito scolastico/formativo e lavo- rativo. Destinatari Giovani in età 11-14 anni. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro L’area di lavoro del questionario riguarda gli interessi professionali, ossia le pre- ferenze che spesso le persone tentano di soddisfare o desiderano poter esprime- re nell’ambito della propria professione o contesto lavorativo. Materiali disponibili Questionario. Griglia e tabella per la rilevazione dei punteggi. Grafico per l’elaborazione del profilo individuale. Scheda di descrizione degli ambiti di interesse professionale. 90 Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi Compilazione del questionario: massimo 10 minuti. Rilevazione dei punteggi ed elaborazione del grafico: circa 10 minuti. Discussione di gruppo: circa un’ora per gruppi formati da almeno 15 per- sone. Istruzioni Le persone che utilizzano lo strumento devono rispondere in modo individuale alle domande presentate nel questionario in base alla scala (da 1 a 5) riportata nel- lo stesso: in riferimento a ciascun item l’utente deve indicare quanto per lui/lei è interessante una determinata professione (1: per niente interessato/a; 5: molto interessato/a). Dopo aver calcolato il punteggio e individuato la/le professione/i più interessanti per il soggetto, è utile promuovere un lavoro di gruppo per approfondire le ca- ratteristiche dei differenti ambiti di interesse professionale (a tal fine è disponi- bile la scheda di descrizione), per individuare i possibili ruoli o ambiti lavorati- vi realizzabili, i percorsi formativi da intraprendere, ecc. Correzione Facendo riferimento alla scheda “Item per la correzione”, è necessario conteg- giare il punteggio dato ad ogni domanda (ossia sommare i numeri corrispondenti alla risposta scelta), suddividendo però i punteggi in base all’ambito di interesse cui fanno riferimento. La somma ottenuta per ciascuna area di interesse corri- sponde al punteggio grezzo: questo dovrà poi essere trasformato in punteggio T utilizzando la “Tabella di trasformazione dei punteggi”. I dati così ottenuti po- tranno essere rappresentati graficamente per l’elaborazione del profilo indivi- duale. La procedura per il calcolo del punteggio e l’elaborazione del grafico individuale può essere realizzata anche dall’utente purché l’orientatore gli fornisca in modo previo le relative istruzioni (possibilmente ricche di esemplificazioni) e la do- cumentazione necessaria. Output restituzione La lettura dei risultati che emergono dall’utilizzo del questionario può contribuire ad accrescere la consapevolezza relativa ai propri interessi professionali. La successiva riflessione sugli stessi può offrire inoltre preziosi contributi per la co- noscenza del mondo del lavoro e per una progettazione scolastica e lavorativa in- dividuale. 91 Competenze dell’operatore Per l’utilizzo del questionario e la realizzazione dell’attività ad esso connessa è necessario: – padroneggiare le istruzioni per la correzione del questionario; – conoscere le caratteristiche dei diversi ambiti di interesse professionale; – supportare l’individuazione di legami tra interessi professionali e ruoli o ambiti lavorativi, favorendo anche una maggiore conoscenza del mondo del lavoro; – essere in grado di stimolare il confronto e la discussione di gruppo. Condizioni organizzative / supporti Per utilizzare il questionario è sufficiente avere dei banchi su cui appoggiarsi per la compilazione e correzione del questionario. Inoltre si suggerisce di disporre di una lavagna luminosa per agevolare la comprensione delle istruzioni di corre- zione. Criteri di valutazione / autovalutazione - - - Responsabilità Orientatore. Archiviazione Dossier personale dell’utente. Eventuali suggerimenti / altro Il questionario può essere utilizzato anche con i ragazzi con più di 14 anni e con un livello cognitivo o socioculturale non particolarmente elevato. A riguardo per la correzione si rimanda alle norme destinate ai ragazzi 13-14 anni. 92 Guida per l’utente Titolo Il mio lavoro futuro. Obiettivi Individuare gli interessi professionali che a livello personale possono rappre- sentare elementi di scelta in ambito scolastico/formativo e lavorativo. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Questo strumento ha come contenuto principale gli ambiti di interesse profes- sionale, ossia le preferenze che spesso le persone tentano di soddisfare o desi- derano poter esprimere nell’ambito della propria professione o contesto lavora- tivo e che quindi indirizzano le decisioni circa il futuro lavorativo. Materiali disponibili Questionario. Griglia e tabella per la rilevazione dei punteggi. Grafico per l’elaborazione del profilo individuale. Scheda di descrizione degli ambiti di interesse professionale. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi Compilazione del questionario: massimo 10 minuti. Discussione di gruppo: circa un’ora per gruppi formati da 15 persone. Istruzioni Questo strumento comprende una serie di domande in cui viene chiesto quanto è personalmente interessante una determinata professione attinente ad un preci- so ambito lavorativo. Ad esempio: “Quanto pensi di essere interessato/a alla pro- fessione di infermiere o ragioniere ecc.?”. Ad ogni domanda dovrai rispondere in modo personale utilizzando la seguente scala: “1 - per niente interessato/a”; “5 - molto interessato/a”, i numeri compre- si tra 1 e 5 rappresentano valori intermedi di interesse. Segna le tue risposte di- rettamente sul questionario apponendo una crocetta sul numero corrispondente alla risposta da te scelta. Ti raccomandiamo di rispondere a tutte le domande. 93 Correzione Sarà probabilmente il tuo orientatore a consegnarti i risultati del questionario. Di- versamente riceverai istruzioni in ordine al calcolo del punteggio e all’elabora- zione grafica del tuo profilo. Output restituzione La lettura dei risultati che emergono dall’utilizzo del questionario può contribuire ad accrescere la consapevolezza di quelli che sono per te i principali ambiti di in- teresse professionale (es. artistico, sociosanitario, artigianale ecc.). La successiva discussione in gruppo su di essi potrà offrirti alcune informazio- ni per la conoscenza del mondo del lavoro e per elaborare il tuo progetto for- mativo e lavorativo. Criteri di valutazione / autovalutazione - - - RICONOSCERE I PROPRI VALORI PROFESSIONALI 97 COSA CERCHI NEL LAVORO? Qui di seguito vengono elencati una serie di valori che generalmente le persone tentano di perseguire o desiderano ritrovare nel proprio ambiente lavorativo o nel- l’esercizio della professione. Indica per ciascuno di essi quanto per te è impor- tante ritrovarli nel lavoro utilizzando la scala riportata sotto. Per adesso, nel for- nire le tue risposte, ti raccomandiamo di riflettere su ogni singolo valore propo- sto, senza fare riferimento ad alcun tipo di professione o ambito lavorativo. Poco Abbastanza Molto Moltissimo 11. Ambiente fisico: assenza di fattori di nocività, di fatica fisica, di rischio ecc. q q q q 12. Ambiente umano: positive relazioni con i colleghi, clima di collaborazione ecc. q q q q 13. Disponibilità di tempo libero q q q q 14. Flessibilità dell’orario q q q q 15. Sicurezza del posto di lavoro: non rischio di licenziamento, non precarietà del proprio impiego q q q q 16. Creatività: possibilità di inventare, progettare, elaborare, ecc. q q q q 17. Non ripetitività: possibilità di fare cose diverse fra di loro, non di routine q q q q 18. Indipendenza: autonomia decisionale, non subordinazione, possibilità di autogestirsi q q q q 19. Leadership: potere direttivo, possibilità di pianificare un’organizzazione q q q q 10. Livello di professionalità: che siano richieste e valorizzate conoscenze e abilità q q q q 11. Livello di guadagno: alta remunerazione q q q q 12. Prestigio sociale: alta considerazione che la società ha di tale lavoro q q q q 13. Utilità sociale: lavoro come servizio particolarmente utile alla società q q q q 14. Successo: possibilità di crescita e carriera, riconoscimenti per i risultati ottenuti q q q q Riportiamo qui di seguito alcune domande che possono guidare un eventuale approfondimento dell’argomento in oggetto. 98 3 Riconosci dei legami tra i valori che ritieni importanti per la tua vita profes- sionale? Se sì, quali? ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ 3 Riconosci delle contraddizioni tra le risposte che hai dato? Se sì, quali? ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ 3 Quali potrebbero essere gli ambienti lavorativi che contemplano i valori che hai indicato come più importanti? ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ 3 Il lavoro che stai svolgendo / desideri svolgere contempla i valori che hai in- dicato come più importanti? Se sì, spiegane il motivo. ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ 99 Guida per l’operatore Competenza orientativa Riconoscere i propri valori professionali. Titolo Cosa cerchi nel lavoro? Fonte e reperibilità Strumento riadattato dal CIOFS – FP Piemonte e tratto dal testo: D’Angelo M.G., Selvatici A. (a cura di) (1999), Il bilancio di competenze, Franco Angeli, Milano. Tipologia Questionario. Obiettivi Sostenere l’utente nell’individuazione dei valori professionali che possono rap- presentare elementi di riuscita e realizzazione professionale. Destinatari Giovani in età 15-18 anni e ultradiciottenni. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro L’area di lavoro di questo strumento riguarda i valori professionali, ossia quei si- gnificati che generalmente le persone tentano di perseguire o desiderano ritro- vare nel proprio ambiente lavorativo o nell’esercizio della professione. Materiali disponibili Schede di lavoro. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi Compilazione del questionario a risposta chiusa: massimo 10 minuti. 100 Elaborazione delle risposte alle domande aperte: massimo 30 minuti. Condivisione di gruppo: circa 1 ora per gruppi formati da 15 persone. Istruzioni In riferimento alla prima parte del questionario, quella che comprende l’elenco dei valori professionali, l’orientatore invita i destinatari ad indicare per ciascun valore quanto è importante ritrovarlo nel lavoro utilizzando la seguente scala: po- co, abbastanza, molto, moltissimo. In questa prima fase di utilizzo dello strumento è importante che l’operatore raccomandi agli utenti di riflettere su ogni singolo valore proposto, senza fare riferimento ad alcun tipo di professione o ambito la- vorativo. Il questionario comprende una seconda parte in cui sono riportate alcune do- mande aperte. Rispondere a tali domande può risultare un po’ complicato per utenti particolarmente giovani. Pertanto nel caso in cui tali domande venissero proposte a ragazzi in obbligo formativo si ritiene necessario un affiancamento di questi nell’elaborazione delle loro risposte. Lo strumento prevede una terza tappa che non è supportata da una scheda spe- cifica e che corrisponde all’attività collettiva di rielaborazione, confronto e sin- tesi di quanto emerso dal lavoro individuale. L’orientatore, ad esempio, può ri- portare le risposte dei partecipanti sulla lavagna o su un tabellone e sottolineare gli aspetti più selezionati e quelli che lo sono stati di meno, oppure fare delle con- siderazioni in ordine ai vantaggi e agli svantaggi delle differenti scelte. L’efficacia di quest’ultimo momento è strettamente collegata alla capacità del- l’orientatore di stimolare e guidare il confronto e di favorire l’approfondimento di contenuti significativi. Correzione - - - Output restituzione Dall’utilizzo dello strumento dovrebbe emergere una maggiore consapevolezza dei propri valori professionali. Questi devono essere tenuti in considerazione nel- la progettazione formativo professionale individuale e come elementi che possono favorire una maggiore conoscenza di specifici ambiti lavorativi. Competenze dell’orientatore Per l’utilizzo dello strumento e la conduzione dell’attività ad esso connesse è ne- cessario: – conoscere il significato dei diversi valori professionali; – supportare l’individuazione di legami o eventuali incoerenze tra valori pro- fessionali personali e ambiti lavorativi; – essere in grado di stimolare il confronto e la discussione nel gruppo. 101 Condizioni organizzative / supporti Per utilizzare il questionario è sufficiente disporre di banchi su cui appoggiarsi per la compilazione dello stesso e di una lavagna che può essere utilizzata per condurre il confronto di gruppo. Criteri di valutazione / autovalutazione - - - Responsabilità Orientatore. Archiviazione Dossier personale dell’utente. Eventuali suggerimenti / altro I valori possono essere anche classificati nelle tre categorie riportate qui di se- guito: – valori estrinseci (item n. 3, 4, 5, 11, 12, 14) – valori concomitanti (item n. 1, 2, 9, 13) – valori intrinseci (item n. 6, 7, 8, 10) Il riferimento a questa classificazione può favorire ulteriori approfondimenti di gruppo. 102 Guida per l’utente Titolo Cosa cerchi nel lavoro? Obiettivi Individuare i valori professionali personali che possono rappresentare elementi di riuscita e soddisfazione in un determinato lavoro o ambito professionale. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Questo strumento ha come contenuto principale i valori professionali, ossia quei significati che generalmente le persone desiderano ritrovare nel proprio am- biente lavorativo o nell’esercizio della loro professione e che possono essere fon- te di soddisfazione e di riuscita (ad esempio, la possibilità di produrre in modo creativo oppure di lavorare a contatto con le persone, ecc.). Materiali disponibili Schede di lavoro. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi Compilazione della prima parte del questionario: massimo 10 minuti. Elaborazione delle risposte alle domande presentate nella seconda parte del questionario: massimo 30 minuti. Discussione di gruppo: circa 1 ora per gruppi formati da 15 persone. Istruzioni In riferimento alla prima parte del questionario, quella che comprende l’elenco dei valori professionali, indica per ciascuno di essi quanto per te è importante ri- trovarli nel lavoro utilizzando la seguente scala: poco, abbastanza, molto, mol- tissimo. In questa prima fase è importante riflettere su ogni singolo valore pro- posto, senza fare riferimento ad alcun tipo di professione o ambito lavorativo. Il questionario comprende una seconda parte in cui sono riportate alcune do- mande alle quali dovrai rispondere solo se ti verrà richiesto dall’orientatore. La terza tappa di questa attività prevede una discussione di gruppo che verrà gui- data dai suggerimenti e dalle indicazioni dell’orientatore e durante la quale sa- 103 rai invitato/a a condividere le tue riflessioni in riferimento all’elenco di valori pro- fessionali proposti. Correzione - - - Output restituzione Dall’utilizzo dello strumento dovrebbe emergere una maggiore consapevolezza in riferimento ai valori professionali per te più importanti. Questi devono esse- re tenuti presenti per fare delle scelte adeguate in riferimento al tuo percorso sco- lastico formativo e lavorativo. Criteri di valutazione / autovalutazione - - - 104 I MIEI VALORI PROFESSIONALI (11-14 anni) QUESTIONARIO Nome ___________________________ Cognome ___________________________ Classe ___________ Scuola __________________________ Data ______________ Rispondi alle domande riportate sotto utilizzando la seguente scala: 1 = per niente importante per me 2 = poco 3 = abbastanza 4 = molto 5 = moltissimo 1. Quanto per te è importante poter svolgere in futuro un lavoro che ti consentirà di aiutare effettivamente gli altri? .................................................................................. 1 2 3 4 5 2. Quanto per te è importante poter svolgere in futuro un lavoro che ti consentirà di essere ammirato/a soprattutto per come lo svolgerai? ........................................................... 1 2 3 4 5 3. Quanto per te è importante poter svolgere in futuro un lavoro che ti consentirà di fare qualcosa che gli altri potranno ammirare? ............................................................... 1 2 3 4 5 4. Quanto per te è importante poter svolgere in futuro un lavoro che ti consentirà di fare spesso cose diverse? ....... 1 2 3 4 5 5. Quanto per te è importante poter svolgere in futuro un lavoro che ti consentirà di rendere migliore il mondo? ... 1 2 3 4 5 6. Quanto per te è importante poter svolgere in futuro un lavoro che ti consentirà di aiutare le persone più bisognose? ....................................................................... 1 2 3 4 5 7. Quanto per te è importante poter svolgere in futuro un lavoro che ti consentirà di dirigere il lavoro di altri? ........ 1 2 3 4 5 8. Quanto per te è importante poter svolgere in futuro un lavoro che ti consentirà di occuparti delle cose che conosci meglio? ............................................................... 1 2 3 4 5 9. Quanto per te è importante poter svolgere in futuro un lavoro che ti consentirà di migliorare il modo di vivere delle altre persone? ............................................................... 1 2 3 4 5 105 10. Quanto per te è importante poter svolgere in futuro un lavoro che ti consentirà di essere apprezzato/a per il tuo impegno? ................................................................ 1 2 3 4 5 11. Quanto per te è importante poter svolgere in futuro un lavoro che ti consentirà di fare ciò che saprai fare effettivamente meglio? ........................................................... 1 2 3 4 5 12. Quanto per te è importante poter svolgere in futuro un lavoro che ti consentirà di essere pagato/a bene? ............. 1 2 3 4 5 13. Quanto per te è importante poter svolgere in futuro un lavoro che ti consentirà di essere considerato/a il/la migliore nel tuo settore? ........................................................ 1 2 3 4 5 14. Quanto per te è importante poter svolgere in futuro un lavoro che ti consentirà di utilizzare effettivamente .......... le tue capacità? ....................................................................... 1 2 3 4 5 15. Quanto per te è importante poter svolgere in futuro un lavoro che ti consentirà di essere stimato/a dagli altri per ciò che farai? ................................................................... 1 2 3 4 5 16. Quanto per te è importante poter svolgere in futuro un lavoro che ti consentirà di fare qualcosa insieme ad altre persone? ................................................................... 1 2 3 4 5 17. Quanto per te è importante poter svolgere in futuro un lavoro che ti consentirà di essere creativo/a? ................... 1 2 3 4 5 18. Quanto per te è importante poter svolgere in futuro un lavoro che ti consentirà di dire agli altri che cosa fare? .. 1 2 3 4 5 19. Quanto per te è importante poter svolgere in futuro un lavoro che ti consentirà di decidere da solo/a il da farsi? . 1 2 3 4 5 20. Quanto per te è importante poter svolgere in futuro un lavoro che ti consentirà di guadagnare bene? ................... 1 2 3 4 5 21. Quanto per te è importante poter svolgere in futuro un lavoro che ti consentirà di lavorare in gruppo? ................. 1 2 3 4 5 22. Quanto per te è importante poter svolgere in futuro un lavoro che ti consentirà di inventare cose nuove? ............. 1 2 3 4 5 23. Quanto per te è importante poter svolgere in futuro un lavoro che ti consentirà di fare qualcosa di cui potrai vedere la conclusione? ........................................................... 1 2 3 4 5 24. Quanto per te è importante poter svolgere in futuro un lavoro che ti consentirà di essere ammirato/a dagli altri? . 1 2 3 4 5 106 25. Quanto per te è importante poter svolgere in futuro un lavoro che ti consentirà di organizzare il lavoro di tante persone? .................................................................... 1 2 3 4 5 26. Quanto per te è importante poter svolgere in futuro un lavoro che ti consentirà di fare cose che sono in relazione con le materie scolastiche in cui sei più bravo/a? ........................................................................... 1 2 3 4 5 27. Quanto per te è importante poter svolgere in futuro un lavoro che ti consentirà di fare qualcosa che potrà servire agli altri? ................................................................................ 1 2 3 4 5 28. Quanto per te è importante poter svolgere in futuro un lavoro che ti consentirà di stare in mezzo alla gente? ...... 1 2 3 4 5 29. Quanto per te è importante poter svolgere in futuro un lavoro che ti consentirà di ottenere uno stipendio elevato? ........................................................... 1 2 3 4 5 30. Quanto per te è importante poter svolgere in futuro un lavoro che ti consentirà di passare da una cosa ad un’altra nel corso della stessa giornata? .............................................. 1 2 3 4 5 31. Quanto per te è importante poter svolgere in futuro un lavoro che ti consentirà di essere un/a benestante? ........... 1 2 3 4 5 32. Quanto per te è importante poter svolgere in futuro un lavoro che ti consentirà di fare qualcosa che gli altri considereranno importante? ................................................... 1 2 3 4 5 33. Quanto per te è importante poter svolgere in futuro un lavoro che ti consentirà di ricoprire ruoli cui competerà di prendere decisioni importanti? .......................................... 1 2 3 4 5 34. Quanto per te è importante poter svolgere in futuro un lavoro che ti consentirà di stare a contatto con le persone? ...................................................................... 1 2 3 4 5 107 ITEM PER LA CORREZIONE I miei valori professionali Tot. P. grezzo Tot. Punteggio T I prestigio 2, 3, 10, 13, 15, 24, 32 ______________ ________________ II altruismo 1, 5, 6, 9, 27 ______________ ________________ III lavorare in gruppo 16, 21, 28, 34 ______________ ________________ IV guadagno economico e sicurezza 12, 20, 29, 31 ______________ ________________ V utilizzo delle proprie abilità 8, 11, 14, 26 ______________ ________________ VI autorità 7, 18, 19, 25, 33 ______________ ________________ VII creatività 4, 17, 22, 23, 30 ______________ ________________ 108 Tabella di trasformazione dei punteggi grezzi in punti T: maschi (11-14 anni) I miei valori professionali G T G T G T G T G T G T G T I II III IV V VI VII fattore fattore fattore fattore fattore fattore fattore 1 10 1 13 1 14 1 7 1 5 1 14 1 7 2 12 2 15 2 17 2 10 2 8 2 16 2 10 3 14 3 17 3 19 3 12 3 11 3 19 3 12 4 15 4 19 4 22 4 15 4 14 4 21 4 15 5 17 5 22 5 25 5 18 5 17 5 24 5 18 6 19 6 24 6 27 6 21 6 20 6 26 6 20 7 20 7 26 7 30 7 24 7 23 7 28 7 23 8 22 8 28 8 32 8 27 8 26 8 31 8 25 9 23 9 30 9 35 9 29 9 30 9 33 9 28 10 25 10 32 10 37 10 32 10 33 10 35 10 30 11 27 11 35 11 40 11 35 11 36 11 38 11 33 12 28 12 37 12 43 12 38 12 39 12 40 12 35 13 30 13 39 13 45 13 41 13 42 13 42 13 38 14 32 14 41 14 48 14 44 14 45 14 45 14 40 15 33 15 43 15 50 15 46 15 48 15 47 15 43 16 35 16 45 16 53 16 49 16 51 16 49 16 46 17 36 17 48 17 55 17 52 17 54 17 52 17 48 18 38 18 50 18 58 18 55 18 57 18 54 18 51 19 40 19 52 19 60 19 58 19 60 19 57 19 53 20 41 20 54 20 63 20 61 20 63 20 59 20 56 21 43 21 56 21 61 21 58 22 45 22 58 22 64 22 61 23 46 23 61 23 66 23 63 24 48 24 63 24 68 24 66 25 50 25 65 25 71 25 68 26 51 27 53 28 54 29 56 30 58 31 59 32 61 33 63 34 64 35 66 109 Tabella di trasformazione dei punteggi grezzi in punti T: femmmine (11-14 anni) I miei valori professionali G T G T G T G T G T G T G T I II III IV V VI VII fattore fattore fattore fattore fattore fattore fattore 1 11 1 11 1 5 1 14 4 1 1 19 1 7 2 13 2 13 2 8 2 16 5 5 2 21 2 9 3 15 3 15 3 11 3 19 6 9 3 23 3 12 4 16 4 17 4 14 4 21 7 13 4 25 4 15 5 18 5 19 5 17 5 24 8 16 5 28 5 17 6 20 6 21 6 20 6 27 9 20 6 30 6 20 7 21 7 24 7 23 7 29 10 24 7 32 7 22 8 23 8 26 8 26 8 32 11 28 8 35 8 25 9 24 9 28 9 29 9 34 12 32 9 37 9 28 10 26 10 30 10 32 10 37 13 36 10 39 10 30 11 28 11 32 11 35 11 39 14 40 11 42 11 33 12 29 12 34 12 38 12 42 15 44 12 44 12 35 13 31 13 37 13 41 13 45 16 48 13 46 13 38 14 33 14 39 14 44 14 47 17 51 14 49 14 41 15 34 15 41 15 47 15 50 18 55 15 51 15 43 16 36 16 43 16 50 16 52 19 59 16 53 16 46 17 38 17 45 17 53 17 55 20 63 17 56 17 49 18 39 18 47 18 56 18 57 18 58 18 51 19 41 19 50 19 59 19 60 19 60 19 54 20 43 20 52 20 62 20 63 20 62 20 56 21 44 21 54 21 65 21 59 22 46 22 56 22 67 22 62 23 48 23 58 23 69 23 64 24 49 24 61 24 72 24 67 25 51 25 63 25 74 25 69 26 53 27 54 28 56 29 58 30 59 31 61 32 63 33 64 34 66 35 68 110 GRAFICO I miei valori professionali Cognome e Nome ……………………………………………… Data …………………………… I II II I IV V V I V II 10 0 90 80 70 60 50 40 30 20 10 10 111 DESCRIZIONE DEI VALORI I miei valori professionali I. Prestigio Riguarda l’aspettativa di poter ottenere, grazie al lavoro che si svolge, uno status sociale, economico o professionale che suscita negli altri rispetto, stima ed ammirazione. II. Altruismo Riguarda la possibilità di svolgere professioni che consentono di soddi- sfare il desiderio di aiutare gli altri e di occuparsi del loro benessere, es- sere di supporto per le persone che hanno problemi di varia natura. III. Lavorare in gruppo Riguarda il desiderio di lavorare insieme ad altre persone, di sentirsi coinvolti ed accettati. IV. Guadagno economico e sicurezza Riguarda l’aspettativa di poter ottenere ricompense economiche, redditi elevati, di conseguire con il lavoro una certa ricchezza e sicurezza eco- nomica. V. Utilizzo delle proprie abilità Riguarda l’avere la possibilità, nello svolgimento di un’attività profes- sionale, di usare le proprie capacità e di svilupparle. VI. Autorità Riguarda la possibilità di influenzare gli altri nel corso dell’attività lavo- rativa, di esercitare un certo potere fornendo suggerimenti, assegnando compiti ed indicando ciò che gli altri dovrebbero fare. VII. Creatività Riguarda il poter progettare, costruire, realizzare qualcosa di originale, di unico (un oggetto, uno scritto, un dipinto o qualsiasi altro lavoro artisti- co, un’idea, una nuova metodologia o procedura). 112 Guida per l’operatore Competenza orientativa Riconoscere i propri valori professionali. Titolo I miei valori professionali. Fonte e reperibilità Soresi S. e Nota L. (a cura di) (2001), Optimist. Portfolio per l’orientamento da- gli 11 ai 14 anni. Introduzione e Interessi e valori. ITER, Firenze. Tipologia Questionario. Obiettivi Sostenere l’utente nell’individuazione dei valori professionali che per lui/lei possono rappresentare elementi di riuscita e soddisfazione professionale. Destinatari Giovani in età 11-14 anni. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro L’area di lavoro del questionario riguarda i valori professionali, ossia quegli aspet- ti del lavoro che spesso le persone tentano di perseguire o desiderano ritrovare nel- l’ambito della propria professione o contesto lavorativo. Materiali disponibili Questionario. Griglia e tabella per la rilevazione dei punteggi. Grafico per l’elaborazione del profilo individuale. Scheda di descrizione dei valori di riferimento. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi Compilazione del questionario: massimo 10 minuti. 113 Rilevazione dei punteggi ed elaborazione del grafico: circa 10 minuti. Discussione di gruppo: circa un’ora per gruppi formati da almeno 15 persone. Istruzioni Le persone che utilizzano lo strumento devono rispondere in modo individuale alle domande presentate nel questionario in base alla scala riportata nello stesso: in riferimento a ciascun item l’utente deve indicare quanto per lui/lei è importante svolgere un lavoro che ha determinate caratteristiche (1: per niente importante per me; 2: poco; 3: abbastanza; 4: molto; 5: moltissimo). Dopo aver calcolato il punteggio e individuato il/i valore/i più importanti per il soggetto, è utile promuovere un lavoro di gruppo per approfondire il significato dei diversi valori (a tal fine è disponibile la scheda “Descrizione dei valori”), per individuare i possibili ruoli o ambiti lavorativi in cui ritrovare tali valori, per ipo- tizzare correlazioni con le caratteristiche del mondo del lavoro attuale, ecc. Correzione Facendo riferimento alla scheda “Item per la correzione”, è necessario conteggiare il punteggio dato ad ogni domanda (ossia sommare i numeri corrispondenti al- la risposta scelta), suddividendo però i punteggi in base al valore cui fanno ri- ferimento. La somma ottenuta per ciascuna area di valore corrisponde al pun- teggio grezzo: questo dovrà poi essere trasformato in punteggio T utilizzando la “Tabella di trasformazione dei punteggi”. I dati così ottenuti potranno essere rap- presentati graficamente sulla griglia per l’elaborazione del profilo individuale. La procedura per il calcolo del punteggio e l’elaborazione del grafico individuale può essere realizzata anche dall’utente purché l’orientatore gli fornisca in modo previo le relative istruzioni (possibilmente ricche di esemplificazioni) e la do- cumentazione necessaria. Output restituzione La lettura dei risultati che emergono dall’utilizzo del questionario può contribuire ad accrescere la consapevolezza relativa ai propri valori professionali. La suc- cessiva riflessione sugli stessi può offrire inoltre preziosi contributi per la cono- scenza del mondo del lavoro e per una progettazione scolastica e lavorativa in- dividuale. Competenze dell’operatore Per l’utilizzo del questionario e la realizzazione dell’attività ad esso connessa è necessario: – padroneggiare le istruzioni per la correzione del questionario; – conoscere il significato dei diversi valori professionali; 114 – supportare l’individuazione di legami tra valori professionali e ruoli o ambi- ti lavorativi, favorendo anche una maggiore conoscenza del mondo del lavo- ro; – essere in grado di stimolare il confronto e la discussione di gruppo. Condizioni organizzative / supporti Per utilizzare il questionario è sufficiente avere dei banchi su cui appoggiarsi per la compilazione e correzione del questionario. Inoltre si suggerisce di disporre di una lavagna luminosa per agevolare la comprensione delle istruzioni di corre- zione. Criteri di valutazione / autovalutazione - - - Responsabilità Orientatore. Archiviazione Dossier personale dell’utente. Eventuali suggerimenti / altro Il questionario può essere utilizzato anche con ragazzi che hanno più di 14 an- ni e che possiedono un livello cognitivo o socioculturale non particolarmente ele- vato. A riguardo per la correzione si rimanda alle norme destinate ai ragazzi di età 13-14 anni. 115 Guida per l’utente Titolo I miei valori professionali. Obiettivi Individuare i valori professionali che a livello personale possono rappresentare elementi di riuscita e soddisfazione in un determinato lavoro o ambito profes- sionale. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Questo strumento ha come contenuto principale i valori professionali, ossia quegli aspetti del lavoro che spesso le persone tentano di perseguire o desidera- no ritrovare nel proprio ambiente lavorativo o nell’esercizio della loro professione e che possono essere fonte di soddisfazione e di riuscita (ad esempio la possibilità di produrre cose nuove e quindi essere creativi, oppure di lavorare a contatto con le persone). Materiali disponibili Questionario. Griglia e tabella per la rilevazione dei punteggi. Grafico per l’elaborazione del profilo individuale. Scheda di descrizione dei valori di riferimento. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi Compilazione del questionario: massimo 10 minuti. Discussione di gruppo: circa un’ora per gruppi formati da 15 persone. Istruzioni Questo strumento comprende una serie di domande in cui viene chiesto quanto è personalmente importante una determinata situazione o caratteristica lavorati- va. Ad esempio: “Quanto per te è importante poter svolgere in futuro un lavoro che ti permetta di guadagnare molti soldi?”. Ad ogni domanda dovrai rispondere in modo personale utilizzando la seguente 116 scala: “1 – per niente importante per me”; “2 – poco”; “3 – abbastanza”; “4 – molto”; “5 – moltissimo”. Segna le tue risposte direttamente sul questionario ap- ponendo una crocetta sul numero corrispondente alla risposta da te scelta. Ti raccomandiamo di rispondere a tutte le domande. Correzione Sarà probabilmente il tuo orientatore a consegnarti i risultati del questionario. Di- versamente riceverai istruzioni in ordine al calcolo del punteggio e all’elabora- zione grafica del tuo profilo. Output restituzione La lettura dei risultati che emergono dall’utilizzo del questionario può contribuire ad accrescere la consapevolezza di quelli che sono per te i valori professionali più importanti. Questi, in generale, i principali valori professionali: prestigio, al- truismo, cooperazione, guadagno economico, utilizzo delle proprie competenze, autorità e creatività. La successiva discussione in gruppo su di essi potrà offrirti alcune informazio- ni per la conoscenza del mondo del lavoro e per elaborare il tuo progetto for- mativo e lavorativo. Ad esempio se per te è importante svolgere un lavoro crea- tivo sarà opportuno scegliere degli itinerari scolastici che ti preparino ad inserirti in ambiti lavorativi che contemplano tale caratteristica. Criteri di valutazione / autovalutazione - - - POSSEDERE UN’ADEGUATA RAPPRESENTAZIONE DEL FUTURO 119 TRA DIECI ANNI... Le persone importanti per te I tuoi valori Lavoro/Istruzione Sogni da realizzare Progetti realizzati 120 Su cosa pensi di dover lavorare per realizzare realmente i progetti che ti sei pro- posto? Quali sono i tuoi punti di forza? Quali difficoltà potresti riscontrare? A cosa potrebbero essere attribuite? Cosa potresti fare per superarle? 121 Guida per l’operatore Competenza orientativa Possedere un’adeguata rappresentazione del futuro. Titolo Tra dieci anni... Fonte e reperibilità Produzione interna CIOFS-FP Piemonte Tipologia Scheda di lavoro. Obiettivi Rendere esplicita la propria immagine del futuro in quanto scenario in cui col- locare e realizzare il proprio progetto professionale. Promuovere una maggiore consapevolezza di autodeterminazione. Destinatari Giovani in età 14-18 e ultradiciottenni Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Competenze trasversali: rappresentazione del futuro. Materiali disponibili Disegno da compilare. Foglio di domande. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 1,5 ore (lavoro individuale più la condivisione in aula). 122 Istruzioni Immaginare di fare un salto temporale di dieci anni. Compilare gli spazi bianchi pensando a quali competenze si vorrebbe possede- re e a quale percorso formativo si vorrebbe aver fatto in quest’arco di tempo. Condivisione con il gruppo classe con attenta mediazione dell’orientatore. Correzione - - - Output restituzione - - - Competenze dell’operatore Gestire i tempi, chiarire eventuali dubbi rispetto all’attività, mirare al raggiun- gimento degli obiettivi mantenendo una posizione non giudicante e valorizzan- do l’intervento di ognuno. Condizioni organizzative / Supporti - - - Criteri di valutazione / autovalutazione - - - Responsabilità Orientatore. Archiviazione Dossier personale dell’utente. Eventuali suggerimenti / altro Mettere in evidenza l’obiettivo dell’attività. 123 Guida per l’utente Titolo Tra dieci anni… Obiettivi Rendere esplicita la propria immagine del futuro in quanto scenario in cui col- locare e realizzare il proprio progetto professionale. Promuovere una maggiore consapevolezza di autodeterminazione. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Competenze trasversali: rappresentazione del futuro. Materiali disponibili Disegno da compilare. Foglio di domande. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 1,5 ore (lavoro individuale più la condivisione in aula). Istruzioni Immaginare di fare un salto temporale di dieci anni. Compilare gli spazi bianchi pensando a quali competenze si vorrebbe possede- re e quale percorso formativo si vorrebbe aver fatto in quest’arco di tempo. Condivisione con il gruppo classe con attenta mediazione dell’orientatore. Correzione - - - Output restituzione - - - Criteri di valutazione / autovalutazione - - - 124 UNA LAMPADA PER IL TUO FUTURO Al Luna Park della tua città si trova un tendone nuovo rispetto agli anni scorsi. Incuriosito ti avvicini a leggere l’insegna colorata: “Una lampada per il tuo fu- turo”. Attratto dall’idea di poter avere delle informazioni in più sul tuo futuro, decidi di entrare... Davanti a te c’è un gruppo di 15 esperti, tra maghi e scienziati, in possesso di ca- pacità straordinarie. Consultare uno di questi esperti costa una fisch del Luna Park. Tu hai a disposizione cinque fisch, quindi potrai scegliere solo cinque esper- ti con i quali parlare e grazie ai quali realizzare i tuoi più grandi desideri, anche in vista della tua vita futura. Davanti ad ogni esperto si trova un cartellino su cui vi è indicato il suo nome, la sua qualifica e la sua “specialità”. Leggi attentamente tutti i cartellini e poi scegli con cura i cinque esperti di cui pensi di avere maggiormente bisogno. Attenzione: in base ad un sondaggio che stanno facendo, ti viene richiesto di scri- vere su un apposito foglio i nomi di cinque esperti a cui, invece, rinunceresti sen- za problemi. Gli esperti Prof. F. Tuttonuovo Famoso chirurgo estetico Egli è in grado di darti l’aspetto che desideri, grazie ai prodigi della sua nuova tecnica indolore. Ti assicura al 100% un fisico da indossatore o da culturista. Sarai bellissimo e tutti ti invidieran- no. Dott. A. Bellavoro Esperto in selezione e ricerca del lavoro Ti farà fare il lavoro che hai sempre sognato svolgere. Può inoltre esonerarti dal servizio militare, se lo desideri. Sceicco prof. Mathu Salem Specialista orientale in longevità fino a 200 anni Egli ti darà l’elisir di lunga vita. Rimarrai per sempre giovane e scattante a qualsiasi età. Prof. A. Genius Esperto in intelligenza superiore Con le sue tecniche potrai rapidamente sviluppare una grandis- sima intelligenza. Qualsiasi problema, anche il più difficile, sarà per te un gioco da ragazzi risolverlo. Coniugi Professori P. e F. Eros Esperti in relazioni sentimentali Grazie a loro potrai avere una vita sentimentale felice e soddi- sfacente. Il/la tuo/a compagno/a ti sarà sempre fedele e non mancherà mai di riempirti di attenzioni. Dott.ssa Liberaebella Esperta in relazioni familiari Rasserenerà tutti i tuoi rapporti con i tuoi genitori: a loro andrà sempre bene il tuo modo di pensare e di fare le cose; sarai libe- ro di fare ciò che vuoi senza paura di rimproveri. 125 Dott. Tai San Son Esperto del lontano Oriente, specializzato in vitalità e forza Ti farà godere di perfetta salute e ti fornirà di uno “scudo protettivo” contro malattie e disgrazie. Avv. L. Traffichini Specialista in questioni istituzionali Ti può garantire che non avrai mai problemi con le autorità e con la giustizia. Sarai al sicuro dal controllo degli insegnanti, del governo, della polizia, ecc. Dott. M. De Compagnonis Esperto in relazioni interpersonali Ti potrà fare avere gli amici che desideri; è inoltre, in grado di farti vincere qualsiasi forma di timidezza, sarai sempre sicuro nei rapporti con gli altri che ti stimeranno e ti vorranno bene in ogni occasione. Prof.ssa Rockfeller Specialista in economia Ti assicura ricchezza, prosperità e investimenti economici redditizi. Il tuo tenore di vita sarà altissimo. Prof. E. Carismaticu Esperto in influenza personale e potere Ti darà la capacità di influenzare gli altri per raggiungere qualsiasi po- sto di comando. Sarai ascoltato, ammirato, temuto… Dott.ssa Felicita Duran Specialista in rapporti felici Ti aiuta ad ottenere l’amore di coloro a cui tieni: in questo modo non sarai mai solo e la tua vita sarà piena d’amore. Prof.ssa Sfera De Cristallis Esperta in chiaroveggenza Ti rivelerà il tuo futuro e tu stesso imparerai l’arte della predizione. Dott. Insuperabile Esperto dell’animo umano Ti farà acquisire grande fiducia nei tuoi mezzi, avrai modo di cono- scerti meglio e di prenderti cura di te stesso. Le tue capacità ti saranno ben chiare e acquisirai sicurezza e fiducia in te stesso. Dott. C. Morale e Dott.ssa P. Coscienza Specialisti in conduzioni di vita responsabile Con il loro aiuto sarai sensibilizzato ai bisogni degli altri. Sarai in gra- do contemporaneamente di pensare a te stesso ed agli altri: con le tue azioni sarai sempre in grado di aiutare il prossimo. Scrivi, qui sotto, i nomi e la specializzazione dei cinque esperti che vorresti con- sultare. 1. 2. 3. 4. 5. 126 Nel foglio sottostante scrivi i nomi e le specializzazioni dei cinque esperti a cui rinunceresti senza problemi 1. 2. 3. 4. 5. 127 ALCUNE DOMANDE 1. Sulla base delle dieci scelte fatte, quali sono gli aspetti più importanti della tua vita in questo momento? Prova ad elencarne alcuni. 2. Per ogni aspetto indica cosa potrebbe costituire un successo o un fallimento utilizzando una scala da 1 a 5 dove 1-2 = fallimento; 4-5 = successo; 3 = così e così. Esempio ASPETTO = buone relazioni con gli altri 4-5 andare d’accordo con la maggior parte delle persone 1-2 bisticciare con qualcuno ogni giorno 3 andare d’accordo solo con i propri amici 3. Quali obiettivi concreti ti piacerebbe raggiungere rispetto a ciascuno di essi? 128 4. Se per raggiungerli potessi chiedere aiuto agli esperti che hai scelto, cosa chie- deresti? 5. Se invece dovessi contare solo sulle tue forze, quali risorse potresti mobilitare? 129 Guida per l’operatore Competenza orientativa Possedere un’adeguata rappresentazione del futuro. Titolo Una lampada per il tuo futuro. Fonte e reperibilità Vopel Klaus W. (1996), Giochi di interazione per adolescenti e giovani. Ed. El- ledici, Torino. Tipologia Scheda di lavoro. Obiettivi Aiutare il ragazzo a scoprire a quale ambito sono legate le più importanti mete della sua vita. Destinatari Giovani in età 14-18 e ultradiciottenni. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Competenze trasversali: rappresentazione del futuro. Materiali disponibili Foglio di spiegazione dell’attività e descrizione “esperti”. Foglio delle domande. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 45 minuti per lo svolgimento individuale dell’attività. 30 minuti per la condivisione con il gruppo classe. 130 Istruzioni Leggere attentamente ciò che richiede l’attività. Scegliere con cura e con costante riferimento alla propria realtà i maghi che si vorrebbero consultare. Rispondere singolarmente al questionario allegato. Condivisione con il gruppo classe. Correzione - - - Output restituzione - - - Competenze dell’operatore Gestire i tempi, chiarire eventuali dubbi rispetto alle richieste delle attività, sot- tolineare gli specifici obiettivi dell’attività mantenendo una posizione non giu- dicante e valorizzando l’intervento di ognuno. Fare da mediatore durante la condivisione. Condizioni organizzative / supporti - - - Criteri di valutazione / autovalutazione - - - Responsabilità Orientatore. Archiviazione Dossier personale dell’utente. Eventuali suggerimenti / altro Fare molta attenzione agli obiettivi dell’attività. 131 Guida per l’utente Titolo Una lampada per il tuo futuro. Obiettivi Scoprire a quale campo sono legate le più importanti mete della propria vita. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Competenze trasversali: rappresentazione del futuro. Materiali disponibili Foglio di spiegazione dell’attività e descrizione “esperti”. Foglio delle domande. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 45 minuti per lo svolgimento individuale dell’attività. 30 minuti per la condivisione con il gruppo classe. Istruzioni Leggere attentamente ciò che richiede l’attività. Scegliere con cura e con costante riferimento alla propria realtà i maghi che si vorrebbero consultare. Rispondere singolarmente al questionario allegato. Condivisione con il gruppo classe. Correzione - - - Output restituzione - - - Criteri di valutazione / autovalutazione - - - AVERE UN BUON LIVELLO DI EMPOWERMENT 135 Accurato Affermato Allegro Ascoltatore Attento Autonomo Battagliero Calmo Capace di concentrarsi Capace di mediare Carismatico Che sa esprimersi in modo corretto Colto Comprensivo Consigliere Convincente Coraggioso Corretto Coscienzioso Creativo Curioso Deciso Direttivo Entusiasta Discreto Disinvolto Disponibile Efficiente Elegante Energico Fiducioso in se stesso Estroverso Fiducioso negli altri Forte Generoso Gentile Grintoso Intraprendente Intrattenitore Metodico Obbiettivo Ordinato Organizzatore Ottimista Parsimonioso Paziente Perseverante Persuasivo Pratico Propositivo Protettivo Prudente Puntuale Qualificato Rapido Rassicurante Realista Resistente Responsabile Riconoscente Riflessivo Rigoroso Riservato Stimolatore LA PIRAMIDE DELLE QUALITÀ Elenco delle caratteristiche... 136 Scrivi da 5 a 10 caratteristiche che possiedi. Scrivi 5 caratteristiche che NON possiedi, ma che ti piacerebbe possedere. A fianco spiega brevemente come potresti fare per acquisirle. Tra le caratteristiche riportate nei due punti precedenti, scegline 6 alle quali non rinunceresti mai e spiega il perché facendo degli esempi. 137 Colloca le sei caratteristiche sopra elencate nella sottostante piramide, sapendo che al vertice della piramide devi mettere la caratteristica che reputi più impor- tante e man mano scendere fino al sesto posto. 138 Guida per l’operatore Competenza orientativa Avere un buon livello di empowerment. Titolo La piramide delle qualità. Fonte e reperibilità Produzione interna CIOFS-FP Piemonte. Tipologia Scheda di lavoro. Obiettivi Dare all’utente la possibilità di riflettere sulle qualità che possiede e su quelle che gli potrebbero servire per affrontare le sfide future. Destinatari Giovani in età 14-18 e ultradiciottenni. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Competenze trasversali: empowerment. Materiali disponibili Elenco delle caratteristiche. Scheda delle domande. La piramide. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 1 ora (compilazione individuale più condivisione con il gruppo classe). 139 Istruzioni Leggere attentamente l’elenco delle qualità. Scegliere da 5 a 10 caratteristiche che si pensa di possedere. Scegliere 5 caratteristiche che si vorrebbero possedere e spiegare come fare ad acquisirle. Tra le caratteristiche scelte nei due punti precedenti, sceglierne 6 alle quali non si rinuncerebbe mai e spiegare il perché della scelta riportando degli esempi. Collocare le 6 caratteristiche sulla piramide. Condividere con il gruppo classe. Correzione - - - Output restituzione - - - Competenze dell’operatore Gestire i tempi, chiarire eventuali dubbi rispetto alle richieste dell’attività, mirare al raggiungimento degli obiettivi mantenendo una posizione non giudicante e va- lorizzando l’intervento di ognuno. Condizioni organizzative / supporti - - - Criteri di valutazione / autovalutazione - - - Responsabilità Orientatore. Archiviazione Dossier personale dell’utente. Eventuali suggerimenti / altro - - - 140 Guida per l’utente Titolo La piramide delle qualità. Obiettivi Dare all’utente la possibilità di riflettere sulle qualità che possiede e su quelle che gli potrebbero servire per affrontare le sfide future. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Competenze trasversali: empowerment. Materiali disponibili Elenco delle caratteristiche. Scheda delle domande. La piramide. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 1 ora (compilazione individuale più condivisione con il gruppo classe). Istruzioni Leggere attentamente l’elenco delle qualità. Scegliere da 5 a 10 caratteristiche che si pensa di possedere. Scegliere 5 caratteristiche che si vorrebbero possedere e spiegare come fare ad acquisirle. Tra le caratteristiche scelte nei due punti precedenti, sceglierne 6 alle quali non si rinuncerebbe mai e spiegare il perché della scelta riportando degli esempi. Collocare le 6 caratteristiche sulla piramide. Condividere con il gruppo classe. Correzione - - - Output restituzione - - - Criteri di valutazione / autovalutazione - - - 141 MI GUARDO E VEDO… CHE COSA SO FARE BENE? ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ CHE COSA NON MI PIACE FARE? ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ CHI MI HA AIUTATO DI PIÙ NEI MOMENTI DI SCELTA? PERCHÉ? ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ QUALI MIE RISORSE POTREI UTILIZZARE PER AIUTARE QUAL- CUNO? ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ CHI VORREI AIUTARE? ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ QUAL È LA PIÙ BELLA DESCRIZIONE DI ME CHE QUALCUNO HA FATTO? ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ 142 C’È UNA QUESTIONE APERTA CHE VORREI CHIARIRE? QUALE? ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ IN QUALE POSTO MI SENTO PIÙ SICURO/A E CAPACE? PERCHÉ? ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ 143 Guida per l’operatore Competenza orientativa Avere un buon livello di empowerment. Titolo Mi guardo e vedo… Fonte e reperibilità Produzione interna CIOFS-FP Piemonte. Tipologia Scheda di lavoro. Obiettivi Conoscere meglio se stessi per creare le basi che permetteranno di dare vita ad una maggiore consapevolezza dei propri punti di forza e delle proprie risorse. Destinatari Giovani in età 14-18 anni ultradiciottenni. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Competenze trasversali: empowerment. Materiali disponibili Griglia di domande. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 1 ora (con la condivisione, un’ora e mezza). Istruzioni Rispondere singolarmente alla serie di domande proposte nella scheda di lavoro. Condividere con il gruppo classe il lavoro fatto. 144 Correzione - - - Output restituzione - - - Competenze dell’operatore Gestire i tempi, chiarire eventuali dubbi rispetto alle domande proposte, mirare al raggiungimento degli obiettivi mantenendo una posizione non giudicante e va- lorizzando l’intervento di ognuno. Condizioni organizzative / Supporti - - - Criteri di valutazione / autovalutazione - - - Responsabilità Orientatore. Archiviazione Dossier personale dell’utente. Eventuali suggerimenti / altro - - - 145 Guida per l’utente Titolo Mi guardo e vedo… Obiettivi Conoscere meglio se stessi per creare le basi che permetteranno di dare vita ad una maggiore consapevolezza dei propri punti di forza e delle proprie risorse. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Competenze trasversali: empowerment. Materiali disponibili Griglia di domande. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 1 ora (con la condivisione un’ora e mezza). Istruzioni Rispondere singolarmente alla serie di domande proposte nella scheda di lavoro. Condividere con il gruppo classe il lavoro fatto. Correzione - - - Output restituzione - - - Criteri di valutazione / autovalutazione - - - POSSEDERE UN ADEGUATO STILE DI COPING 149 STILI COGNITIVI SCHEDA N. 1 Leggi attentamente ciascuna delle seguenti affermazioni e per ognuna di esse scegli l’alternativa che, secondo te, meglio corrisponde al tuo modo di pensare e di comportarti. 1. Quando devo prendere una decisione: a) Mi baso unicamente sulle mie idee e sul mio modo di fare b) Mi piace confrontarmi con punti di vista diversi dal mio c) Chiedo quasi sempre il parere altrui 2. Quando mi trovo a risolvere un problema: a) Mi piace ragionare solo in base alle mie idee b) Mi piace seguire le regole prefissate e le istruzioni altrui c) Analizzo, valuto e confronto opinioni differenti dalle mie 3. Quando devo svolgere un compito: a) Mi piace valutare e confrontare idee in contrasto tra loro b) Mi piace seguire le istruzioni e fare ciò che devo c) Mi piace svilupparlo secondo le mie idee 4. Preferisco le situazioni di lavoro in cui: a) Posso seguire i consigli altrui b) Posso decidere da solo cosa fare e come farlo c) Posso confrontare le cose e analizzare il modo di lavorare altrui 5. Durante l’interrogazione o l’esposizione di un mio lavoro: a) Mi piace inventare il discorso al momento per vedere dove posso arrivare b) Mi piace analizzare e mettere in relazione gli eventi o i personaggi della storia c) Mi piace seguire lo schema che imposto sempre 6. Quando viene organizzata una festa: a) Sono stato io a lanciare l’idea e ad organizzarla b) Ho accolto l’iniziativa degli altri e li ho aiutati c) Ho collaborato dando consigli sull’organizzazione 150 7. Prima di iniziare a svolgere un compito preferisco: a) Pensare da solo a come lo svilupperò b) Valutare quale procedura già verificata può essere adatta c) Mettere a confronto modi diversi di affrontare la situazione 8. Mi piacciono i lavori che: a) Hanno una struttura chiara e ben definita b) Mi permettono di arrivare alla conclusione usando idee e procedimenti per- sonali c) Mi danno la possibilità di analizzare i vari aspetti della questione e le di- verse idee 9. Mi trovo maggiormente a mio agio nelle situazioni in cui: a) Posso decidere e mettere in pratica le mie proposte b) Posso giudicare i lavori e i modi di fare altrui c) Qualcun altro decide ciò che si deve fare 10. Preferisco i progetti e i lavori: a) Che hanno un obiettivo preciso b) Nei quali posso ridefinire sempre l’obiettivo a seconda delle idee che mi vengono in mente c) Nei quali posso far da giudice alle diverse proposte e obiettivi da rag- giungere 11. Quando lavoro con altri preferisco: a) Fare a modo mio b) Ricevere istruzioni dagli altri e farli rispettare c) Valutare e giudicare la qualità del compito e le idee degli altri 12. Quando mi trovo alle prese con un lavoro mi sento felice se: a) Posso fare la supervisione del lavoro degli altri b) Posso seguire uno schema di lavoro già impostato da altri c) Posso dirigere il lavoro altrui 13. Quando devo arrivare ad una decisione non sopporto: a) Ricevere consigli e istruzioni da altri b) Sottostare a schemi rigidi c) Dovermi basare unicamente sulle mie idee 151 14. Quando devo organizzare qualche festa o un’altra attività mi piace: a) Preparare io stesso il programma b) Far rispettare il programma deciso da altri c) Valutare le diverse proposte degli altri 15. Quando mi trovo a svolgere un compito insieme ad altre persone preferisco: a) Dare la mia opinione sulle proposte altrui b) Attuare e mettere in pratica le proposte e le idee degli altri c) Ideare e proporre la procedura da seguire 16. Quando a scuola bisogna organizzare una nuova attività: a) Seguo le direttive altrui b) Vorrei coordinare il lavoro degli altri c) Mi piacerebbe impostare il lavoro secondo le mie idee 17. Quando studio e memorizzo una lezione: a) Mi invento ogni volta lo schema da seguire b) Metto in relazione tutti gli elementi e li confronto tra loro c) Seguo il solito schema e ripeto ogni punto nello stesso modo 152 Modalità di attribuzione punteggi Calcola le somme dei simboli uguali e riportale nei totali sottostanti. In tal mo- do puoi evidenziare quale tipo di stile ti caratterizza maggiormente. Leggi poi il significato di ogni stile nella pagina seguente. Domanda Risposta A Risposta B Risposta C 1. l n s 2. l s n 3. n s l 4. s l n 5. l n s 6. l s n 7. l s n 8. s l n 9. l n s 10. n l n 11. l s n 12. n s l 13. l n s 14. l s n 15. n s l 16. s n l 17. l n s Totale s Totale l Totale n ................................ ................................ ................................ 153 Spiegazioni e significati Maggioranza risposte s : Stile esecutivo Indica la tendenza a rispettare le regole, a seguire le istruzioni impartite dagli altri e anche dall’insegnante, a completare tutti i compiti richiesti, a lavorare in modo metodico e costante. Inoltre denota l’inclinazione ad acquisire nuove co- noscenze seguendo uno schema di lavoro chiaro e ben organizzato. Nell’ambi- to lavorativo si manifesterà la tendenza a preferire lavori dipendenti, a seguire la politica aziendale e ad essere soddisfatti nell’attuare e mettere in pratica pro- grammi di lavoro e progetti già definiti. Maggioranza risposte l : Stile creativo Indica la tendenza a decidere autonomamente cosa fare e come farlo, a struttu- rare il lavoro secondo le proprie regole, a dare ordini e prendere decisioni im- portanti per il futuro di un’iniziativa collettiva. Mostra inoltre l’inclinazione a crearsi uno schema personale di lavoro e di organizzazione dei compiti da svol- gere. In generale prevale la tendenza ad essere creativi, ossia ad ideare e costruire cose nuove, a scrivere e ad inventare storie, a creare progetti e lavori artistici. So- litamente emerge la propensione a criticare e a mettere in discussione ciò che ac- cade. Nell’ambito lavorativo potrà prevalere la tendenza a lavorare in piena au- tonomia dagli altri, a dare ordini, a prendere da solo decisioni importanti, ad idea- re sistemi diversi di lavoro. Maggioranza risposte n : Stile valutativo Indica la tendenza a verificare e valutare regole e modalità di procedura, a lavo- rare in attività in cui è possibile stimare e analizzare le cose e le idee già esistenti, a giudicare il lavoro delle persone. A scuola può emergere la propensione a ri- flettere accuratamente su ciò che si impara, ad analizzare la trama o le tematiche di una storia, a confrontare cause, eventi e personaggi storici, a valutare detta- gliatamente la correttezza dei principi scientifici o sperimentali, a correggere il lavoro degli altri e ad analizzare la struttura e il significato di ogni lavoro effet- tuato. Nell’ambito lavorativo potrà emergere la preferenza a valutare i diversi pro- getti commerciali, a giudicare la qualità del lavoro, a confrontare le diverse proposte. Preferisco studiare teorie e concetti astratti Memorizzo un evento o una trama nella loro globalità. Preferisco valutare ed analizzare ogni particolare di un lavoro Riesco a ricordare ogni minimo evento nei suoi molteplici aspetti Quando vengo interrogato o espongo un lavoro, presento le informazioni in generale Preferisco curare i partico- lari di un lavoro in modo minuzioso Preferisco risolvere un problema valutando ogni elemento Preferisco elaborare gli aspetti generali di un tema da trattare Preferisco discutere gli argomenti generali Preferisco raccogliere informazioni precise e mirate quando svolgo una ricerca Quando parlo mi perdo nei più piccoli dettagli Amo sapere e conoscere un fatto in generale Preferisco studiare facendo riferimento ad esperimenti concreti Tendo a memorizzare fatti e particolari specifici Tengo sempre presente il quadro generale del lavoro Riesco a ricordare gli eventi in generale Spiego dettagliatamente ogni concetto Mi concentro sugli aspetti generali Preferisco affrontare l’intero problema nella sua complessità Preferisco concentrare la mia attenzione sui particolari Preferisco descrivere l’evoluzione dettagliata dei fatti Tendo a ricercare informazioni generali e astratte Non perdo mai di vista il quadro generale Preferisco conoscere tutti i dettagli di un evento 154 STILI COGNITIVI SCHEDA N. 2 Leggi attentamente ogni coppia di affermazioni e segna soltanto una casella (a destra o a sinistra del foglio) che più corrisponde al tuo modo di essere. Ass. vero = assolutamente vero Abb. vero = abbastanza vero 1. A B C D 2. A B C D 3. A B C D 4. A B C D 5. A B C D 6. A B C D 7. A B C D 8. A B C D 9. A B C D 10. A B C D 11. A B C D 12. A B C D oppure oppure oppure oppure oppure oppure oppure oppure oppure oppure oppure oppure ASS. ABB. ASS. ABB. VERO VERO VERO VERO 155 Modalità di attribuzione punteggi Calcola la somma dei punteggi uguali e relativi alle risposte che hai fornito al questionario e moltiplicala per i rispettivi punti. Successivamente somma i due punteggi che corrispondono a ciascuno stile. In tal modo puoi evidenziare qua- le tipo di stile ti caratterizza maggiormente. Leggi poi il significato di ogni stile nella pagina seguente. Domanda Risposta A Risposta B Risposta C Risposta D 1. ¤ s l n 2. ¤ s l n 3. n l s ¤ 4. n l s ¤ 5. ¤ s l n 6. n l s ¤ 7. n l s ¤ 8. ¤ s l n 9. ¤ s l n 10. n l s ¤ 11. n l s ¤ 12. ¤ s l n Numero di ¤ x 2 punti = ........................... punti Numero di s x 2 punti = ........................... punti Numero di n x 2 punti = ........................... punti Numero di l x 2 punti = ........................... punti Punteggio Totale ( ¤ + s ): ............................. punti Punteggio Totale ( n + l ): ............................. punti 156 Spiegazioni e significati Maggioranza risposte ¤ + s : Stile globale Indica la tendenza a preferire situazioni e problemi generali e soprattutto teori- ci, non strettamente concreti e dettagliati. Quelli che mostrano tale inclinazione potrebbero assumere atteggiamenti eccessivamente idealisti e irrealistici e ave- re problemi nel focalizzare il proprio interesse sugli aspetti più dettagliati e meno astratti di una questione. Maggioranza risposte n + l : Stile analitico Indica la tendenza a preferire problemi concreti, in cui è necessario ragionare sui dettagli e sulle particolarità di una questione. Quelli che mostrano in prevalen- za tale stile possono essere definiti come persone pratiche e realistiche, con i “pie- di per terra”; tendono quindi ad essere molto precisi, meticolosi e scrupolosi nel valutare ogni dettaglio. Il rischio è di concentrarsi eccessivamente sui singoli ele- menti di una situazione non riuscendo poi a considerarne l’insieme. 157 STILI COGNITIVI SCHEDA N. 3 In base a quanto hai conosciuto di te stesso e degli stili cognitivi che ti caratte- rizzano (schede 1-2), prova adesso a definire una breve immagine di te stesso, cercando di descriverti nel modo più completo possibile. –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– 158 Guida per l’operatore Competenza orientativa Possedere un adeguato stile di coping. Titolo Stili cognitivi. Fonte e reperibilità Mancinelli M.R. (1999), L’orientamento in pratica. Guida metodologica per in- segnanti di scuola superiore, orientatori, psicologi. Ed. Hoepli-Alpha Test, Mi- lano. Tipologia Questionari. Obiettivi Riconoscere le modalità individuali di apprendimento e comportamento rispet- to a specifici compiti e di elaborazione dell’informazione. Destinatari Giovani in età 14-18 e ultradiciottenni. Contenuto Stile di apprendimento ed esecuzione di specifici compiti (esecutivo, creativo, va- lutativo). Modalità di elaborazione delle informazioni in funzione del fronteggiamento di specifiche situazioni. Materiali disponibili Due questionari con domande e possibili risposte, griglia per l’attribuzione dei punteggi e indicazioni per la lettura dei profili. Una scheda finale riassun- tiva. 159 Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 2 ore. Istruzioni Invitare l’utente a leggere gli item e a scegliere, tra le alternative disponibili, una risposta sintonica con le sue modalità di funzionamento. Correzione Attribuire un punteggio ad ogni item come da griglia allegata, sommarli e con- frontare i risultati con la scheda contenente le indicazioni per la lettura dei ri- sultati. Output restituzione Riflessione individuale a partire dalla scheda contenente le indicazioni per la let- tura dei risultati. Confronto tra l’immagine di sé e i risultati emersi. Condivisione in gruppo dei risultati. Analisi dei punti di forza e delle criticità di ogni singola modalità. Competenze dell’operatore Conoscenza dello strumento e delle modalità di correzione e restituzione. Capacità di stimolare la riflessione individuale. Capacità di favorire l’interazione tra gli allievi. Capacità di analisi, lettura critica e trasposizione dei risultati. Condizioni organizzative / supporti Aula con possibilità di disporre le postazioni a ferro di cavallo. Criteri di valutazione / autovalutazione Per la valutazione dei risultati si fa riferimento alla scheda contenente le indi- cazioni per la lettura dei risultati. Responsabilità Orientatore. 160 Guida per l’utente Titolo Stili cognitivi. Obiettivi Riconoscere il modo con cui ciascuno di noi impara, pensa e sceglie le azioni da compiere. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Modo di apprendere e di eseguire specifici compiti. Modo di riflettere per scegliere. Materiali disponibili Due questionari con le domande e le possibili risposte, griglia per calcolare i pun- teggi e capirne il significato. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 2 ore. Istruzioni Leggi le domande e scegli, tra le alternative disponibili, la risposta che ti rap- presenta maggiormente. Correzione Attribuisci un punteggio ad ogni risposta data come riportato nelle tabelle (“Modalità di attribuzione dei punteggi”), calcola il totale e confrontalo con la scheda contenente le indicazioni per la lettura dei risultati (“Spiegazioni e si- gnificati”). Output restituzione Rifletti individualmente a partire dalla scheda contenente le indicazioni per la let- tura dei risultati. Confronta il modo in cui ti vedi con i risultati emersi. Condividi in gruppo i risultati e rifletti sugli aspetti positivi e negativi di essi. 161 Criteri di valutazione / autovalutazione Per la valutazione dei risultati fai riferimento alla scheda contenente le indicazioni per la lettura dei risultati. 162 PROBLEM SOLVING - TEORIA ED ESERCITAZIONE CHE COS’È UN PROBLEMA? Il problema nasce da uno stato di ansia, da una condizione di disagio, dalla per- cezione di una carenza. Tuttavia rappresenta in qualche modo l’uscita dal disagio, il momento in cui si passa da un atteggiamento passivo ad uno attivo, “si prende il toro per le corna”, si cerca di fare qualcosa. Rendersi conto che una certa situazione altro non è che un problema significa in qualche modo già uscirne, crearsi una prospettiva da cui le cose possono essere viste meglio. Nell’attività proposta si affrontano i diversi aspetti del problema, dalla sua defi- nizione alla sua dissoluzione. PROBLEM SOLVING - PROBLEM SETTING In genere quando ci si riferisce a metodi e tecniche di soluzione dei problemi si parla di “problem solving”, forse perché si preferisce mettere in evidenza il momento risolutorio che ci libera dallo stress del problema. Tuttavia, il solving viene dopo il setting ed è anche meno importante dal punto di vista gerarchico. Chi pone i problemi in genere ha un potere superiore a chi li deve risolvere. La soluzione del problema, detta per brevità “problem solving”, è un processo che ha queste componenti: Problem finding rendersi conto del disagio Problem setting definire il problema Problem analysis scomporre il problema principale in problemi secondari (WBS) Problem solving eliminare le cause e rispondere alle domande poste dal problema Decision making decidere come agire in base alle risposte ottenute Decision taking passare all’azione 163 Componenti centrali del processo di problem solving sono: • acquisizione della capacità di visione d’insieme, per cogliere i collegamenti e le interdipendenze tra le parti – componenti del fenomeno indagato; • predisposizione di un metodo di analisi, distinguendo tra aspetti e tecniche co- nosciute e non, ai fini di acquisire nuova conoscenza; • apprendimento ed impiego di nuovi modi di pensare e determinazione della metodologia di analisi; • raccolta di informazioni finalizzate alla suddetta metodologia; • sintesi delle informazioni in modo da renderle facilmente percepibili ai fini della creazione di semplici scenari di riferimento alternativi; • confronto tra scenari di soluzione, impiegando tecniche creative ed intuitive; • formulazione dello scenario di riferimento, identificando i fattori che sup- portano il cambiamento; • traduzione dello scenario in risultati aspettati ed indicatori di misurazione; • sperimentazione e valutazione dei risultati. Varie sono le tecniche e le modalità di problem solving, attualmente impiegate nelle imprese di eccellenza. Una delle più interessanti è sintetizzata nell’acronimo FARE. Creare un elenco di problemi Selezionare il problema Verificare e definire il problema Descrizione scritta del problemaFocalizzare Decidere cosa è necessario sapere Raccogliere i dati di riferimento Determinare i fattori rilevanti Valori di riferimento Elenco dei fattori criticiAnalizzare Generare soluzioni alternative Selezionare una soluzione Sviluppare un piano di attuazione Scelta della soluzione del problema Piano di attuazioneRisolvere Impegnarsi al risultato aspettato Eseguire il piano Monitorare l’impatto durante l’implementazione Impegno organizzativo Piano eseguito Valutazione dei risultati Eseguire 164 Ora scegli un problema tra questi elencati che ti sta particolarmente a cuore e pro- va a definire: – come l’affronteresti? – quali capacità/risorse ed esperienze metteresti in campo? – a chi ti rivolgeresti per avere un aiuto? Prova ora a fare un elenco dei problemi che spesso gli adolescenti di oggi devono affrontare... Si possono rilevare problemi in varie situazioni: a scuola, in famiglia, con ami- ci... Per svolgere questa attività hai bisogno di assoluta concentrazione: potrai occu- pare l’ambiente a tua disposizione nella maniera che ritieni essere più comoda per permetterti di riflettere. 1) .......................................................................................................................................................... ................................................................................................................................................................ ............................................................................................................................................................... 2) .......................................................................................................................................................... ................................................................................................................................................................ ............................................................................................................................................................... 3) .......................................................................................................................................................... ................................................................................................................................................................ ............................................................................................................................................................... 4) .......................................................................................................................................................... ................................................................................................................................................................ ............................................................................................................................................................... 5) .......................................................................................................................................................... ................................................................................................................................................................ ............................................................................................................................................................... 165 Per facilitarti il compito prova a definire le tua strategia di problem solving (come risolvere un problema) utilizzando come schema l’acronimo del verbo FARE: Verificare e definire il problemaFocalizzare Decidere cosa è necessario sapere Raccogliere i dati Determinare i fattori rilevanti Analizzare Generare soluzioni alternative Definire una soluzione Sviluppare un piano d’attuazione Risolvere Eseguire il piano Impegnarsi per ottenere il risultato atteso Eseguire 166 ................................................................................................................................................................ ................................................................................................................................................................ ............................................................................................................................................................... ................................................................................................................................................................ ............................................................................................................................................................... ................................................................................................................................................................ ............................................................................................................................................................... ................................................................................................................................................................ ................................................................................................................................................................ ............................................................................................................................................................... ................................................................................................................................................................ ............................................................................................................................................................... ................................................................................................................................................................ ............................................................................................................................................................... PROBLEM SOLVING - SCHEDA RACCOLTA DATI 1) Focalizzare Problema: ______________________________________________________________ 2) Analizzare – Quali cause? – Quali dati raccogliere? 3) Risolvere – Quali le possibili soluzioni? – Quali capacità metti in campo? – A chi ti rivolgi ? – Quale piano d’azione intendi sviluppare? 167 4) Eseguire – Come t’impegni per ottenere il risultato atteso: risolvere il problema? – Come metti in atto il piano d’azione? – Qual è il tuo stato d’animo al termine del processo di definizione delle stra- tegie per risolvere un problema? Al termine dell’attività verrà effettuato un confronto in gruppo, per analizzare i problemi emersi ed individuare eventuali strategie di soluzione comuni. ................................................................................................................................................................ ................................................................................................................................................................ ............................................................................................................................................................... ................................................................................................................................................................ ............................................................................................................................................................... ................................................................................................................................................................ ............................................................................................................................................................... 168 Guida per l’operatore Competenza orientativa Possedere un adeguato stile di coping. Titolo Problem solving. Fonte e reperibilità Produzione interna CIOFS-FP Piemonte. Tipologia Schede di lavoro. Obiettivi Avere la capacità di risolvere problemi utilizzando il problem solving. Destinatari Giovani in età 14-18 anni. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Essere in grado di risolvere problemi ricercando cause, possibili soluzioni ed in- dividuare strategie. Materiali disponibili Scheda teoria ed esercitazione. Scheda per la raccolta dati. Modalità di somministrazione / utilizzo Tempi 2 ore. Istruzioni Utilizzare spazi ampi in cui gli utenti possano muoversi per trovare la concen- trazione. 169 Correzione Il materiale non richiede una correzione, ma è lasciato al conduttore il compito di coordinare le varie fasi dell’attività alternando i momenti di lavoro individuale a quelli di confronto in gruppo. Output restituzione Schede di lavoro compilate dall’utente. Competenze dell’operatore Conoscenza delle tecniche del problem solving. Conoscenza delle tecniche di gestione del gruppo. Condizioni organizzative / supporti Ricercare musiche e canzoni che facilitino la concentrazione e predisporre at- trezzature per l’ascolto di cd o audiocassette. Per la fase della condivisione è pre- feribile utilizzare un’aula con tavoli disposti a forma semicircolare per facilita- re la comunicazione. Criteri di valutazione / autovalutazione Il lavoro prevede momenti di autovalutazione basati su esperienze e vissuti per- sonali e momenti di confronto in gruppo. Responsabilità Orientatore. Archiviazione Dossier personale dell’utente. Eventuali suggerimenti / altro - - - 170 Guida per l’utente Titolo Problem solving. Obiettivi Individuare le possibili cause dei problemi. Definire strategie per la soluzione dei problemi. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Possedere capacità di risolvere problemi utlilizzando il problem solving. Materiali disponibili Scheda teoria ed esercitazione. Scheda per la raccolta dati. Modalità di somministrazione / utilizzo Tempi 2 ore. Istruzioni Schede di lavoro. Correzione Il materiale non richiede una correzione, ma serve come spunto per un momen- to di confronto durante la discussione in gruppo. Output restituzione Schede di lavoro compilate dall’utente. Criteri di valutazione / autovalutazione Il lavoro prevede momenti di autovalutazione basati su esperienze e vissuti per- sonali e momenti di confronto di gruppo. POSSEDERE EFFICACI ABILITÀ DECISIONALI 172 173 SC EG LI L A T UA S TR A DA Co m m en ta l’ im m ag in e ch e ve di q ui so tto ,p re fe rib ilm en te c on u n co m pa gn o. D op od ic hé c om pl et a la sc he da . N el p as sa to ,t i è m ai c ap ita to d i t ro v ar ti ne lla si tu az io ne d el l’o m in o in fi gu ra ? D es cr iv i l a de ci sio ne c he h ai p re so , m o ti- va n do la . … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . … … … … … … … … … … … … … … … … La m ia st ra da lu ng a e dr it- ta è … … … . . … . . . . . . . . … … … … … … … … . . . . . . . . . . … … … … … … … … … … … . . . . . . . . . . … … … … … … . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . … D ov e m i p or ta ? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . … … … … . . . . . . . . . . … … … … … … … … … … . . . . . . . . . . … … … … … … … … … … … . . . . . . . . . . … … … … … Tr e va lid e r ag io ni p er sc e- gl ie rla . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . … … … … . . . . . . . . . . … … … … … … … … … … . . . . . . . . . . … … … … … … … … . . . . . . . . . . … … … … La m ia st ra da lu ng a e to r- tu os a … . . . . . … . . . . . . . . … … … … … … … … . . . . . . . . . . … … … … … … … … … … … . . . . . . . . . . … … … … … … . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . … D ov e pe ns o ch e m i p or ti? … … … … . . . . . . . . . . … … … … … … … … … … . . . . . . . . . . … … … … … … … … … … … . . . . . . . . . . … … … … … Tr e va lid e r ag io ni p er sc e- gl ie rla . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . … … … … . . . . . . . . . . … … … … … … … … … … . . . . . . . . . . … … … … … … … … . . . . . . . . . . … … … … 174 Guida per l’operatore Competenza orientativa Possedere efficaci abilità decisionali. Titolo Scegli la tua strada. Fonte e reperibilità Produzione interna CIOFS - FP Piemonte. Tipologia Scheda di lavoro individuale. Obiettivi Definire ed esplicitare la propria capacità di prendere decisioni. Favorire la riflessione circa le proprie motivazioni a sostegno delle scelte. Destinatari Giovani in età 14-18 anni. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Le proprie capacità di scelta. Materiali disponibili Scheda di lavoro. Modalità di somministrazione / utilizzo Tempi Un’ora circa (15 minuti per il lavoro individuale, 45 minuti per la discussione in plenaria o a piccoli gruppi). Istruzioni Si suddividono i partecipanti in coppie. La prima fase consiste nella raccolta dei 175 commenti reciproci relativi all’immagine presentata nella scheda (mediante ad es. la tecnica del brainstorming). Successivamente si invitano gli utenti a com- pilare individualmente la scheda in ogni parte. È consigliabile fare seguire que- sta attività individuale da una discussione in plenaria per far emergere gli stili de- cisionali prevalenti all’interno del gruppo e le motivazioni a sostegno delle scel- te operate da ciascuno. Correzione Il materiale non richiede una correzione, ma è lasciato al conduttore il compito di coordinare le varie fasi dell’attività alternando i momenti di lavoro individuale a quelli di confronto in gruppo. Output restituzione Scheda di lavoro compilata dall’utente. Competenze dell’operatore Conoscenza dei differenti stili decisionali. Capacità di analisi delle strategie di scelta. Conoscenza delle tecniche di conduzione di gruppi. Condizioni organizzative / supporti Per facilitare la comunicazione è preferibile utilizzare un’aula con tavoli dispo- sti a forma semicircolare. Criteri di valutazione / autovalutazione Il lavoro prevede momenti di autovalutazione basati su esperienze e vissuti per- sonali e momenti di confronto in gruppo. Responsabilità Orientatore. Archiviazione Dossier personale dell’utente. Eventuali suggerimenti / altro - - - 176 Guida per l’utente Titolo Scegli la tua strada. Obiettivi Definire ed esplicitare la propria capacità di prendere decisioni. Favorire la riflessione circa le proprie motivazioni a sostegno delle scelte. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Le proprie capacità di scelta. Materiali disponibili Scheda di lavoro individuale. Modalità di somministrazione / utilizzo Tempi Un’ora circa (15 minuti per il lavoro individuale, 45 minuti per la discussione in plenaria o a piccoli gruppi). Istruzioni Seguendo le indicazioni del tuo orientatore, confrontati inizialmente con un compagno circa il contenuto della scheda di lavoro (l’immagine dell’omino di fronte a due possibili strade da percorrere). Successivamente completa autono- mamente la scheda e quindi confrontati con il gruppo circa le modalità di deci- sione prevalenti e le motivazioni alle scelte di ciascuno. Correzione Il materiale non richiede una correzione, ma serve come spunto per un momen- to di confronto durante la discussione in gruppo. Output restituzione Scheda di lavoro compilata. Criteri di valutazione / autovalutazione Il lavoro prevede momenti di autovalutazione basati su esperienze e vissuti per- sonali e momenti di confronto di gruppo. 177 CAPACITÀ DECISIONALI Nel nostro modo di prendere una decisione intervengono diversi fattori. Per questo, è importante porsi inizialmente alcuni interrogativi: quanto eserciti, in mo- do responsabile, il potere di scelta personale o lasci che siano i condizionamen- ti esterni a guidarti? Decidi in maniera attiva o aspetti passivamente che altri pren- dano le decisioni al tuo posto? Sai scoprire tutte le informazioni che ti consen- tono di effettuare scelte consapevoli e valide? Quando si tratta di prendere una decisione come reagisci? In che modo prendi le tue decisioni? Ecco qui una situazione apparentemente semplice. Immagina di essere in compagnia di due persone. La prima ti propone un’attività. La seconda te ne suggerisce un’altra. Tutte due le persone ti chiedono di anda- re con loro. Cosa fai? Rifletti e prova a pensare concretamente alla situazione: im- magina come faresti a prendere una decisione, immagina tutti i dettagli di que- sta situazione. Quando ti sei costruita un’immagine completa della situazione scrivi nei riquadri sottostanti l’attività proposta dalle due persone e la tua rispo- sta. La prima dice: La seconda dice: Ed io dico: 178 Indica qui sotto almeno uno dei motivi che ti portano a dare questa risposta: ..................................................................................................................................................................... ..................................................................................................................................................................... ..................................................................................................................................................................... ..................................................................................................................................................................... .................................................................................................................................................................... .................................................................................................................................................................... ................................................................................................................................................................... Ecco otto esempi di modalità di decisione. Per ognuno di essi indica se, a tuo pa- rere, si tratta di una modalità autonoma (A) o dipendente (D), scrivendo la let- tera appropriata nella tabella seguente. 8. La prima soluzione che si presenta mi basta 7. So difendere le mie idee fino in fondo 6. Domani ci sarà ancora tempo 5. La mia decisione deriva da una certezza personale 4. Lascio che le cose accadano, tanto non posso farci niente 3. Altri decidono al mio posto 2. Ho sempre una soluzione da proporre 1. Verifico tutto prima di decidere A o D Perché? 179 Ora confronta le tue risposte con le modalità di decidere descritte qui di se- guito. Modalità dipendenti La modalità indifferente: succederà ciò che deve succedere, non possiamo farci niente, il gioco è fatto. Non ho niente da dire: prenderò ciò che ci sarà e farò ciò che potrò. Non mi faccio illusioni. La modalità accondiscendente: non dico ciò che penso e non faccio ciò che vo- glio, ma ho almeno la soddisfazione di accontentare i miei genitori, i miei ami- ci e le persone in genere. Non riesco a dire di no a nessuno. La modalità negligente: perché fare oggi ciò che può essere fatto domani? Non c’è fretta, deciderò più tardi. Non so il perché, ma non ho mai tempo di riflette- re sui miei problemi e di far fronte alle mie difficoltà. La modalità accidentale o impulsiva: la cosa peggiore nella vita è il dubbio. Non perdo il mio tempo a riflettere. Prendo la prima soluzione che mi si presenta; se è il caso, faccio “testa o croce”. Ho sempre l’aria di uno che sa quello che vuo- le; eppure sono indeciso. Faccio finta di decidere. Modalità autonome La modalità determinata: scelgo esclusivamente a partire dall’attaccamento al- le mie opinioni. Faccio ciò che mi piace con determinazione. Faccio anche pro- va di accanimento e di tenacia per andare fino in fondo alle mie idee. La modalità intuitiva: non affretto mai le cose. So che cosa va bene per me. Le scelte che faccio, le decisioni che prendo, mi si presentano come delle certezze personali. Qualcosa si chiarisce in me senza che io ci rifletta più di tanto. Ascol- to ciò che sento e poi agisco. La modalità dinamica: mi piace avere sempre un progetto da realizzare, un obiettivo da perseguire. Se mi propongono qualcosa, ho spesso anch’io qualche cos’altro da proporre. So che cosa siano l’iniziativa e l’ambizione. Scelgo e de- cido, ma soprattutto, ho molti obiettivi da realizzare. La modalità riflessiva: mi piace soppesare i pro e i contro. Quando devo fare una scelta, considero i miei bisogni e i miei desideri. Mi costringo ad essere realista e a valutare se ciò che voglio ha delle probabilità di successo senza provocare conseguenze spiacevoli. 180 Guida per l’operatore Competenza orientativa Possedere efficaci abilità decisionali. Titolo Capacità decisionali. Fonte e reperibilità Produzione interna CIOFS - FP Piemonte. Tipologia Scheda di lavoro individuale. Obiettivi Differenziare le modalità autonome di scelta e di decisione dalle modalità di- pendenti. Valutare in che modo si prende una decisione. Destinatari Giovani in età 14-18 anni. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Il processo di scelta e i modi personali di decidere. Materiali disponibili Scheda di lavoro. Modalità di somministrazione / utilizzo Tempi Un’ora circa (20 minuti per il lavoro individuale, 40 minuti per la discussione in plenaria o a piccoli gruppi). 181 Istruzioni Si propongono alcune domande provocatorie circa le modalità di scelta gene- ralmente messe in atto dagli allievi. Successivamente li si invita a compilare in- dividualmente la scheda in ogni parte. È consigliabile fare seguire questa attività individuale da una discussione in plenaria per far emergere le differenti modalità di decisione prevalenti all’interno del gruppo e le motivazioni a sostegno delle scelte operate da ciascuno. Correzione Il materiale non richiede una correzione, ma è lasciato al conduttore il compito di coordinare le varie fasi dell’attività alternando i momenti di lavoro individuale a quelli di confronto in gruppo. Output restituzione Scheda di lavoro compilata dall’utente. Competenze dell’operatore Conoscenza delle differenti modalità di decisione. Capacità di analisi delle strategie di scelta. Conoscenza delle tecniche di conduzione di gruppi. Condizioni organizzative / supporti Per facilitare la comunicazione è preferibile utilizzare un’aula con tavoli dispo- sti a forma semicircolare. Criteri di valutazione / autovalutazione Il lavoro prevede momenti di autovalutazione basati su esperienze e vissuti per- sonali e momenti di confronto in gruppo. Responsabilità Orientatore. Archiviazione Dossier personale dell’utente. Eventuali suggerimenti / altro - - - 182 Guida per l’utente Titolo Capacità decisionali. Obiettivi Differenziare le modalità autonome di scelta e di decisione dalle modalità di- pendenti. Valutare in che modo si prende una decisione. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Il processo di scelta e i modi personali di decidere. Materiali disponibili Scheda di lavoro individuale. Modalità di somministrazione / utilizzo Tempi Un’ora circa (20 minuti per il lavoro individuale, 40 minuti per la discussione in plenaria o a piccoli gruppi). Istruzioni Seguendo le indicazioni del tuo orientatore, completa autonomamente la scheda in ogni sua parte e quindi confrontati con il gruppo circa le modalità di decisio- ne prevalenti e le motivazioni alle scelte di ciascuno. Correzione Il materiale non richiede una correzione, ma serve come spunto per un momen- to di confronto durante la discussione in gruppo. Output restituzione Scheda di lavoro compilata. Criteri di valutazione / autovalutazione Il lavoro prevede momenti di autovalutazione basati su esperienze e vissuti per- sonali e momenti di confronto di gruppo. ESSERE IN GRADO DI RICERCARE INFORMAZIONI 185 SCHEDA RACCOLTA DATI Percorso scolastico - formativo ________________________________________ Durata ______________________________ Requisiti per l’accesso al percorso: età __________________________________ titolo di studio ________________________ altro _________________________________ • Materie principali ______________________________________________________ ________________________________________________________________________ • Conoscenze e competenze che potranno essere acquisite al termine del percorso ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ • Possibili sbocchi occupazionali __________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ • Certificazione finale rilasciata ________________________________________ • Possibilità di stage o inserimento aziendale ________________________________ • Sede del percorso ____________________________________________________ • Frequenza e orario _____________________________________________________ 186 • Eventuali costi ______________________________________________________ • Altro ________________________________________________________________ • Riferimento Sig. / Sig.ra ______________________________________________ Data di compilazione della scheda ______________________ 187 Guida per l’operatore Competenza orientativa Essere in grado di ricercare informazioni. Titolo Scheda raccolta dati – Percorso scolastico / formativo. Fonte e reperibilità Produzione interna CIOFS - FP Piemonte. Tipologia Schede di lavoro. Obiettivi Saper ricercare informazioni per definire un percorso scolastico - formativo at- traverso intervista. Destinatari Giovani in età 14-18 anni e ultradiciottenni. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Ricerca informazioni relative a percorsi scolastici e formativi di interesse, anche mediante intervista. Materiali disponibili Scheda per la raccolta dati. Modalità di somministrazione / utilizzo Tempi 10 ore. Istruzioni Per facilitare la conduzione del lavoro, dividere gli utenti in base alle comuni scel- te di percorso scolastico - formativo. Si possono acquisire informazioni consul- 188 tando documentazione specifica oppure recandosi in scuole o centri di formazione professionale per intervistare formatori, insegnanti e allievi dei percorsi di inte- resse. Si può prevedere una condivisione in gruppo delle informazioni acquisi- te, così da favorire lo scambio e il reciproco arricchimento. Correzione Il materiale non richiede una correzione, ma è lasciato al conduttore il compito di coordinare le varie fasi dell’attività alternando i momenti di lavoro individuale a quelli di confronto in gruppo. Output restituzione Schede di lavoro compilate dall’utente. Competenze dell’operatore Conoscenza dei percorsi scolastici e formativi. Predisposizione di materiali per il reperimento d’informazioni. Conoscenza e padronanza di internet. Condizioni organizzative / supporti Per facilitare la comunicazione è preferibile utilizzare un’aula con tavoli dispo- sti a forma semicircolare ed attrezzata con computer con connessione ad inter- net. Criteri di valutazione / autovalutazione Il lavoro prevede momenti di autovalutazione basati su esperienze e vissuti per- sonali e momenti di confronto in gruppo. Responsabilità Orientatore. Formatore. Archiviazione Dossier personale dell’utente. Eventuali suggerimenti / altro Il modulo può essere sviluppato tenendo presente la possibilità di confrontare i dati emersi dalla compilazione della scheda di raccolta informazioni e quelli re- lativi al profilo / area professionale di interesse. 189 Guida per l’utente Titolo Scheda raccolta dati - Percorso scolastico / formativo. Obiettivi Acquisire informazioni per definire un percorso scolastico - formativo. Collegare il percorso scolastico - formativo al profilo professionale di riferimento. Analizzare e definire le competenze / conoscenze che verranno acquisite a termine del percorso scolastico - formativo. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Ricerca informazioni relative a percorsi scolastici e formativi di interesse, anche mediante intervista. Materiali disponibili Scheda per la raccolta dati. Modalità di somministrazione / utilizzo Tempi 10 ore. Istruzioni Consultando la documentazione specifica, fornita dal tuo orientatore, potrai ac- quisire le informazioni necessarie alla definizione del tuo percorso scolastico / for- mativo. Oppure potrai recarti in scuole o centri di formazione professionale e uti- lizzare la “Scheda raccolta dati” per intervistare formatori, insegnanti e allievi nei percorsi di tuo interesse. La condivisione in gruppo delle informazioni acquisi- te consentirà, successivamente, il reciproco arricchimento. Correzione Il materiale non richiede una correzione, ma serve come spunto per un momen- to di confronto durante la discussione in gruppo. Output restituzione Schede di lavoro compilate. 190 Criteri di valutazione / autovalutazione Il lavoro prevede momenti di autovalutazione basati su esperienze e vissuti per- sonali e momenti di confronto di gruppo. 191 SCHEDA RACCOLTA DATI Profilo / area professionale ____________________________________________ • Requisiti: età _______________________________________________________ titolo di studio___________________________________________ eventuale esperienza ________________________________________ • Principali mansioni __________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ • Conoscenze teoriche e capacità operative richieste _______________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ • Caratteristiche personali richieste _____________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ • Condizioni di svolgimento della professione: orario ______________________________________________________________ ______________________________________________________________________ 192 retribuzione ________________________________________________________ ______________________________________________________________________ luoghi di lavoro _____________________________________________________ ______________________________________________________________________ possibilità di spostamenti ____________________________________________ ______________________________________________________________________ necessità di aggiornamento continuo ___________________________________ ______________________________________________________________________ tipologia di contratto prevalente _________________________________________ ______________________________________________________________________ • Andamento della domanda - offerta nel mercato del lavoro _________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ • Possibilità di carriera __________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ • Altro ______________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ • Riferimento Sig. / Sig.ra _______________________________________________ Data di compilazione della scheda _________________ 193 Guida per l’operatore Competenza orientativa Essere in grado di ricercare informazioni. Titolo Scheda raccolta dati profilo / area professionale. Fonte e reperibilità Produzione interna CIOFS-FP Piemonte. Tipologia Schede di lavoro. Obiettivi Saper ricercare informazioni per definire il proprio progetto professionale. Destinatari Giovani in età 14-18 anni e ultradiciottenni. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Essere in grado di ricercare informazioni. Materiali disponibili Scheda per la raccolta dati. Modalità di somministrazione / utilizzo Tempi 10 ore. Istruzioni Per facilitare la conduzione del lavoro, dividere gli utenti in base alle comuni scel- te di progetto professionale. Si possono acquisire informazioni consultando do- cumentazione specifica oppure recandosi in aziende o uffici per intervistare il per- 194 sonale occupato nei ruoli di interesse. Si può prevedere una condivisione in grup- po delle informazioni acquisite, così da favorire lo scambio e il reciproco arric- chimento. Correzione Il materiale non richiede una correzione, ma è lasciato al conduttore il compito di coordinare le varie fasi dell’attività alternando i momenti di lavoro individuale a quelli di confronto in gruppo. Output restituzione Schede di lavoro compilate dall’utente. Competenze dell’operatore – Conoscenza dei profili / aree professionali. – Predisposizione di materiali per il reperimento d’informazioni. – Conoscenza e padronanza di internet. Condizioni organizzative / supporti Per facilitare la comunicazione è preferibile utilizzare un’aula con tavoli dispo- sti a forma semicircolare ed attrezzata con computer con connessione ad inter- net. Criteri di valutazione / autovalutazione Il lavoro prevede momenti di autovalutazione basati su esperienze e vissuti per- sonali e momenti di confronto in gruppo. Responsabilità Orientatore. Formatore. Archiviazione Dossier personale dell’utente. Eventuali suggerimenti / altro Il modulo può essere sviluppato tenendo presente i possibili collegamenti con i dati emersi dalla compilazione della scheda di raccolta informazioni sul percorso scolastico-formativo. 195 Guida per l’utente Titolo Scheda raccolta dati profilo /area professionale. Obiettivi Acquisire informazioni per definire un progetto professionale. Collegare il percorso scolastico – formativo al profilo professionale di riferimento. Analisi e definizione delle competenze / conoscenze relative ad uno specifico pro- filo / area professionale e delle condizioni di svolgimento della professione. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Definizione del profilo / area professionale. Materiali disponibili Scheda di raccolta dati per un’intervista. Modalità di somministrazione / utilizzo Tempi 10 giorni. Istruzione Consultando la documentazione specifica, fornita dal tuo orientatore, potrai ac- quisire le informazioni relative al profilo / area professionale di interesse. Oppure potrai recarti in aziende o uffici e, utilizzando la “Scheda raccolta dati”, inter- vistare il personale occupato nel ruolo di tuo interesse. La condivisione in grup- po delle informazioni acquisite consentirà, successivamente, il reciproco arric- chimento. Utilizzare una scheda per ogni intervista. Correzione Il materiale non richiede una correzione, ma serve come spunto per un momen- to di confronto durante la discussione in gruppo. Output restituzione Schede di lavoro compilate. 196 Criteri di valutazione / autovalutazione Il lavoro prevede momenti di autovalutazione basati su esperienze e vissuti per- sonali e momenti di confronto di gruppo. ESSERE IN GRADO DI COSTRUIRE UN ADEGUATO PROGETTO FORMATIVO E LAVORATIVO 199 D at a _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ Co gn om e e N om e _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ LE C O M PE TE N ZE P ER IL P RO G ET TO A re a p ro fe ss io na le di c om pe te nz a D a re cu pe ra re in fu nz io ne p ro ge tt ua le C om pe te nz e sp ec ifi ch e . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . m m m m m m m m m m m m 200 A re a p ro fe ss io na le di c om pe te nz a D a re cu pe ra re in fu nz io ne p ro ge tt ua le C om pe te nz e sp ec ifi ch e . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . m m m m . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . m m m m . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . m m m m 201 Guida per l’operatore Competenza orientativa Essere in grado di costruire un adeguato progetto formativo e lavorativo. Titolo Le competenze per il progetto. Fonte e reperibilità Produzione interna CIOFS - FP Piemonte. Tipologia Scheda di lavoro. Obiettivi Aiutare l’utente a definire un progetto professionale realistico e fattibile perché basato su un bagaglio di competenze disponibili quanto più ampio pos- sibile. Destinatari Giovani e adulti in possesso di competenze spendibili in ambito lavorativo. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro L’area di lavoro della scheda in oggetto riguarda le competenze professionali e la loro correlazione con un possibile progetto professionale. Materiali disponibili Griglia per la descrizione delle competenze. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi Il tempo necessario per la compilazione della scheda non è definibile a priori per- ché dipende dal bagaglio di esperienze lavorative del soggetto e quindi dalle com- petenze professionali di cui dispone. 202 Istruzioni La scheda può supportare il soggetto nel lavoro di riconoscimento ed organiz- zazione delle proprie competenze. A tal fine nella prima parte della scheda l’u- tente deve fare riferimento alla propria storia lavorativa per enucleare le princi- pali aree di competenza. Queste devono essere poi descritte in modo più speci- fico e dettagliato possibile per favorire una riflessione sulla trasferibilità delle stes- se in funzione di un determinato progetto professionale. Per questo, il lavoro di analisi delle proprie competenze può essere seguito da domande quali: “Date que- ste competenze in quale contesto lavorativo potrei tentare di inserirmi?” oppure, più precisamente, “Ho sufficienti competenze per considerare fattibili i miei obiet- tivi professionali?”. Correzione - - - Output restituzione L’attività di analisi delle competenze dovrebbe confluire nella definizione di obiet- tivi professionali realizzabili perché fondati su un buon bagaglio di risorse e con uno scarto tra competenze necessarie e disponibili relativamente contenuto. Competenze dell’operatore Per supportare la compilazione di questa scheda è necessario che l’orientatore ab- bia le seguenti risorse: – possedere una discreta conoscenza delle diverse professioni; – essere in grado di reperire informazioni sulle differenti professioni; – possedere capacità di analisi e sintesi al fine di supportare il soggetto nelle stes- se, se necessario; – essere in grado di individuare correlazioni tra competenze disponibili e pos- sibili obiettivi professionali al fine di supportare il soggetto in tale attività, se necessario. Condizioni organizzative / supporti Al fine di facilitare il soggetto nell’analisi delle proprie aree di competenza può essere utile mettere a sua disposizione uno o più repertori professionali. Criteri di valutazione / autovalutazione Il soggetto che utilizza questa scheda a supporto del proprio lavoro di progetta- zione professionale dovrebbe essere in grado di riconoscere autonomamente se 203 il gap esistente tra le competenze necessarie per raggiungere l’obiettivo profes- sionale ipotizzato e il bagaglio di competenze di cui dispone al momento è suf- ficientemente contenuto. Responsabilità - - - Archiviazione Dossier personale dell’utente. Eventuali suggerimenti / altro La progettazione individuale veicolata dall’utilizzo di questa scheda può trarre beneficio da un’attività previa di analisi della propria storia di vita. Tale attività può infatti facilitare il lavoro di riconoscimento delle proprie aree di compe- tenza. 204 Guida per l’utente Titolo Le competenze per il progetto. Obiettivi La presente scheda mira a supportare la definizione di un progetto professiona- le realistico e fattibile perché basato su un bagaglio di competenze disponibili quanto più ampio possibile. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro L’area di lavoro della scheda qui in oggetto riguarda le competenze professionali e la loro correlazione con un possibile progetto professionale. Materiali disponibili Griglia per la descrizione delle competenze. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi Il tempo necessario per la compilazione della scheda non è definibile a priori per- ché dipende dal bagaglio di esperienze lavorative di ciascuno e quindi dalle com- petenze professionali di cui si dispone. Istruzioni La scheda intende accompagnarti nel lavoro di esplicitazione e organizzazione delle tue competenze e, quindi, di individuazione di un possibile progetto pro- fessionale. Questi dunque i passi da seguire: ripercorri la tua storia personale, cerca di ri- pensare soprattutto alle esperienze formative e lavorative che hai fatto e, quindi, prova ad individuare le tue principali aree di competenza. In un secondo momento prova a descrivere tali aree di competenza in modo più dettagliato. Se lo ritieni utile puoi consultare i repertori di descrizione delle professioni messi a disposizione dal tuo orientatore, nonché confrontarti con lui/lei direttamente. Infine, con una crocetta da apporre nell’apposita casella della scheda, evidenzia le competenze che possiedi e che quindi rendono più vicino il tuo attuale profi- 205 lo professionale con quello/i ipotizzato/i: quanto minore sarà lo scarto tra questi due, tanto maggiore risulterà, probabilmente, la fattibilità del tuo progetto. Correzione - - - Output restituzione L’attività di analisi delle competenze dovrebbe aiutarti a definire degli obiettivi professionali realizzabili perché fondati su un buon bagaglio di risorse con uno scarto tra competenze necessarie e disponibili relativamente contenuto. Criteri di valutazione / autovalutazione Utilizzando questa scheda a supporto del tuo lavoro di progettazione professio- nale dovresti essere in grado di riconoscere autonomamente se il gap esistente tra le competenze necessarie per raggiungere l’obiettivo professionale ipotizzato e il bagaglio di competenze di cui disponi al momento è sufficientemente contenuto. Potrai pertanto valutare come realistico quell’obiettivo professionale che, oltre ad essere sintonico con i tuoi interessi e valori, ti richiede un impegno per l’acqui- sizione di nuove competenze compatibile con le tue risorse ed i tuoi vincoli. 206 PR O G ET TA E « C O ST RU IS C I» Co m e b en sa i, pe r r iu sc ire a r ag gi un ge re u n o bi et tiv o o cc o rr e im pe gn ar si pe r f ar lo . P ro ge tta re ta pp a p er ta pp a i p as sa gg i c he do v ra i a ffr o n ta re e im pe gn ar ti fo rm al m en te p er is cr itt o ne l t uo p ro ge tto p er so n al e sa ra n n o fa tto ri ch e ti ai ut er an n o a r ea - liz za rlo . P ro v a a m et te rt i n ei p an ni d i u n ar ch ite tto e c os tru isc i i l t uo p ro ge tto p er il fu tu ro , in se re n do n ei “m at to ni ” bi an - ch i i p as sa gg i c he d ov ra i a ffr o n ta re e d in q ue lli g ri gi la c ap ac ità c he d ov ra i i m pi eg ar e pe r r ag gi un ge rlo 207 Guida per l’operatore Competenza orientativa Essere in grado di costruire un adeguato progetto formativo e lavorativo. Titolo Progetta e “costruisci”. Fonte e reperibilità Produzione interna CIOFS - FP PIEMONTE. Tipologia Scheda di lavoro. Obiettivi Evidenziare le tappe fondamentali del proprio progetto e le risorse da impiega- re per raggiungerlo efficacemente. Destinatari Giovani in età 14-18 anni. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Le tappe da affrontare per realizzare il proprio progetto. Materiali disponibili Scheda di lavoro individuale. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi Circa 15 minuti per la compilazione individuale più un tempo variabile per la di- scussione di gruppo. Istruzioni In questa scheda individuale si chiede, in maniera originale, al soggetto di im- 208 maginare le tappe fondamentali del proprio progetto, precisando le risorse da im- piegare per raggiungerlo efficacemente. Dopo la compilazione individuale, è au- spicabile un momento di confronto in gruppo per evidenziare similitudini e dif- ferenze tra i progetti. L’orientatore dovrà raccogliere le eventuali difficoltà in- contrate nella compilazione della scheda, soprattutto in riferimento alla se- quenza di tappe realistiche e concrete da prevedere. Correzione - - - Output restituzione L’attività di analisi delle capacità dovrebbe confluire nella definizione di obiet- tivi professionali realizzabili perché fondati su un buon bagaglio di risorse e con uno scarto tra capacità necessarie e disponibili relativamente contenuto. Competenze dell’operatore Per supportare la compilazione di questa scheda è necessario che l’orientatore ab- bia le seguenti risorse: – padronanza delle modalità di definizione di un realistico progetto formativo e professionale; – conoscenza delle correlazioni tra competenze disponibili e possibili obietti- vi professionali al fine di supportare il soggetto in tale attività, se necessario. Condizioni organizzative / supporti - - - Criteri di valutazione / autovalutazione Il soggetto che utilizza questa scheda a supporto del proprio lavoro di progetta- zione professionale dovrebbe essere in grado di riconoscere autonomamente se il gap esistente tra le competenze necessarie per raggiungere l’obiettivo profes- sionale ipotizzato e il bagaglio di competenze di cui dispone al momento è suf- ficientemente contenuto. Responsabilità - - - Archiviazione Dossier personale dell’utente. 209 Eventuali suggerimenti / altro La progettazione individuale veicolata dall’utilizzo di questa scheda può trarre beneficio da un’attività previa di analisi della propria storia di vita. Tale attività può infatti facilitare il lavoro di riconoscimento delle proprie aree di compe- tenza. 210 Guida per l’utente Titolo Progetta e “costruisci”. Obiettivi La presente scheda mira a evidenziare le tappe fondamentali del proprio progetto e le risorse da impiegare per raggiungerlo efficacemente. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Le tappe da affrontare per realizzare il proprio progetto. Materiali disponibili Scheda di lavoro individuale. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi Circa 15 minuti per la compilazione individuale più un tempo variabile per la di- scussione di gruppo. Istruzioni In questa scheda individuale si chiede, in maniera originale, di immaginare le tap- pe fondamentali per definire il tuo progetto, precisando le risorse da impiegare per raggiungerlo efficacemente. Dopo la compilazione individuale, il tuo orien- tatore ti proporrà un momento di confronto in gruppo per evidenziare similitu- dini e differenze tra i progetti. Potrai condividere le eventuali difficoltà incontrate nella compilazione della scheda, soprattutto in riferimento alla sequenza di tap- pe realistiche e concrete da prevedere. Correzione - - - Output restituzione L’attività di analisi delle capacità dovrebbe confluire nella definizione di obiet- tivi professionali realizzabili perché fondati su un buon bagaglio di risorse e con uno scarto tra capacità necessarie e disponibili relativamente contenuto. 211 Criteri di valutazione / autovalutazione Utilizzando questa scheda a supporto del tuo lavoro di progettazione professio- nale dovresti essere in grado di riconoscere autonomamente se il gap esistente tra le competenze necessarie per raggiungere l’obiettivo professionale ipotizzato e il bagaglio di competenze di cui disponi al momento è sufficientemente contenuto. Potrai pertanto valutare come realistico quell’obiettivo professionale che, oltre ad essere sintonico con i tuoi interessi e valori, ti richiede un impegno per l’acqui- sizione di nuove competenze compatibile con le tue risorse ed i tuoi vincoli. CONOSCERE E PADRONEGGIARE STRATEGIE DI INSERIMENTO 215 RICERCA ATTIVA DEL LAVORO Alcune semplici regole per la compilazione del curriculum vitæ Il CV è composto da due parti: una lettera d’accompagnamento ed il CV vero e proprio. La prima, se abbiamo una bella grafia, può anche essere scritta a mano (ma è sempre meno frequente, anche se qualche azienda lo preferisce per effet- tuare esami grafologici); il secondo deve essere rigorosamente scritto a macchina o – molto, molto meglio – con un personal computer. Il curriculum vitae è uno “spot” di venti secondi attraverso il quale cerchi di pro- porre un certa immagine di te: è una sorta d’autoritratto. 4 Primo elemento da tenere in considerazione è la forma: – Utilizzare fogli di carta bianca (...possibilmente pulita e non stropicciata!) – Impaginazione ordinata ed ariosa da rendere la lettura rapida ed efficace – La cura dei particolari è un elemento su cui si gioca il successo: un curri- culum pesante, con i margini piccoli, le righe avvicinate non invoglia alla let- tura! 4 Il curriculum deve essere scritto preferibilmente al computer e deve essere: – Arioso: con frasi brevi – Corretto: senza errori ortografici – Vivace: è importante vivacizzare il testo con soluzioni grafiche disponibili, ne- retti sottolineature – Diretto: evitare di utilizzare la terza persona per parlare di voi stessi – Cortese 4 Per rendere agevole e facile la consultazione delle informazioni contenute, il CV deve essere suddiviso in sezioni: 1) Informazioni personali – Nome e cognome – Indirizzo – Telefono – Fax – E-mail – Nazionalità – Data di nascita 2) Esperienze lavorative Le esperienze di lavoro vanno indicate tutte perché permettono d’identificare le 216 competenze, capacità e conoscenze da te acquisite e risultano essere gli indica- tori privilegiati che un selezionatore possiede per venirne a conoscenza. Motivo per cui è importante inserire in questa sezione anche esperienze di lavoro occasionali e stagionali. Si deve indicare chiaramente il periodo di lavoro, la durata, la mansione svolta e l’indirizzo del luogo di lavoro. 3) Istruzione e formazione In questa sezione s’inseriscono dati riguardanti il percorso di studi. Si devono riportare il nome e il tipo d’istituto di istruzione o formazione, le prin- cipali materie/abilità professionali oggetto di studio e il titolo acquisito (qualifica, diploma di scuola superiore, laurea...). 4) Capacità e competenze personali Questa sezione raccoglie informazioni relative alle proprie capacità e competenze relazionali, organizzative, tecniche e artistiche. In questa sezione si riportano tutte le capacità / competenze acquisite nel corso della vita e della carriera, ma non necessariamente riconosciute da certificati e di- plomi ufficiali. • Si devono indicare tutte le lingue che conosci precisandone il livello di pa- dronanza: scolastico, buono, ottimo. In alcuni casi può essere utile specificare anche il livello di conoscenza separa- tamente per la lingua scritta e quella parlata. • Indicare anche le conoscenze informatiche specificando sia i sistemi operati- vi (Windows98, Macintosh...) che i programmi conosciuti (l’intero pacchetto di Office o solamente Word, Excel...). Sono da indicare anche la conoscenza di specifici programmi relativi alla pro- fessione da svolgere (Cad...). • Infine, riporta le tue conoscenze e capacità relative ad aspetti della tua “pro- fessione”. È importante anche evidenziare se si è capaci di utilizzare un particolare mac- chinario. 5) Hobbies /altre capacità e competenze È possibile utilizzare un formato già impostato per fare il cv: il modello del cur- riculum europeo (presentato qui di seguito). Si può anche scaricare dal sito www.cedefop.eu.int/ Dopo essere entrati nella pagina, occorre cercare “EUROPEAN CV”, fare click per entrare in un’altra pagina e quindi cliccare sulla sigla “IT” che collega alla pa- gina dove si trova il curriculum europeo in Italiano in formato Word. 217 FORMATO EUROPEO PER IL CURRICULUM VITÆ INFORMAZIONI PERSONALI Nome Indirizzo Telefono Fax E-mail Nazionalità Data di nascita ESPERIENZA LAVORATIVA • Date (da – a) • Nome e indirizzo del datore di lavoro • Tipo di azienda o settore • Tipo di impiego • Principali mansioni e responsabilità ISTRUZIONE E FORMAZIONE • Date (da – a) • Nome e tipo di istituto di istruzione o formazione • Principali materie / abilità professionali oggetto dello studio • Qualifica conseguita • Livello nella classificazione nazionale (se pertinente) [COGNOME, Nome, e, se pertinente, altri nomi] [Numero civico, strada o piazza, codice postale, città, paese] [Giorno, mese, anno] [Iniziare con le informazioni più recenti ed elencare separata- mente ciascun impiego pertinente ricoperto.] [Iniziare con le informazioni più recenti ed elencare separata- mente ciascun corso pertinente frequentato con successo.] 218 CAPACITÀ E COMPETENZE PERSONALI Acquisite nel corso della vita e della carriera ma non necessariamente riconosciute da certificati e diplomi ufficiali. PRIMA LINGUA ALTRA LINGUA • Capacità di lettura • Capacità di scrittura • Capacità di espressione orale CAPACITÀ E COMPETENZE RELAZIONALI Vivere e lavorare con altre persone, in ambiente multiculturale, occupando posti in cui la comunicazione è importante e in situazioni in cui è essenziale lavorare in squadra (ad es. cultura e sport), ecc. CAPACITÀ E COMPETENZE ORGANIZZATIVE Ad es. coordinamento e amministrazione di persone, progetti, bilanci; sul posto di lavoro, in attività di volontariato (ad es. cultura e sport), a casa, ecc. CAPACITÀ E COMPETENZE TECNICHE Con computer, attrezzature specifiche, macchinari, ecc. CAPACITÀ E COMPETENZE ARTISTICHE Musica, scrittura, disegno ecc. ALTRE CAPACITÀ E COMPETENZE Competenze non precedentemente indicate. PATENTE O PATENTI ULTERIORI INFORMAZIONI ALLEGATI [Indicare la prima lingua] [Indicare la prima lingua] [Indicare il livello: eccellente, buono, elementare.] [Indicare il livello: eccellente, buono, elementare.] [Indicare il livello: eccellente, buono, elementare.] [Descrivere tali competenze e indicare dove sono state acquisite.] [Descrivere tali competenze e indicare dove sono state acquisite.] [Descrivere tali competenze e indicare dove sono state acquisite.] [Descrivere tali competenze e indicare dove sono state acquisite.] [Descrivere tali competenze e indicare dove sono state acquisite.] [Inserire qui ogni altra informazione pertinente, ad esempio per- sone di riferimento, referenze ecc.] [Se del caso, enumerare gli allegati al CV.] 219 Purtroppo, molti CV non vengono neppure aperti. Il nostro primo obiettivo, dunque, deve essere quello di essere almeno presi in considerazione. Vi sono al- cuni semplici accorgimenti che aumenteranno le nostre “chances”: 1. Attenzione all’indirizzo Molti c.v. non vengono letti, semplicemente, perché non ricevuti in quanto spe- diti all’indirizzo sbagliato. In caso di dubbi, conviene chiedere chiarimenti alla sede locale dell’azienda che si intende contattare. 2. Indirizzate, possibilmente, ad una persona, non ad una “entità” Immaginate un selezionatore, o la sua segretaria, che guarda perplesso la mon- tagna di buste arrivate con la posta, presumibilmente costituite in gran parte da CV. Alcune sono indirizzate semplicemente alla “Bortolotti & C. - Direzione del Personale”; altre, invece, a “dr.ssa Margherita Pizza, Responsabile Selezione e Sviluppo”, che è la precisa denominazione del responsabile in quella azienda. Se voi foste Margherita Pizza, o la sua segretaria, quali lettere aprireste per prime? E quali, se proprio non ce la fate, buttereste nel cestino? Individuare il nome del vostro interlocutore non è importante solo per superare questa prima barriera, ma anche per stabilire un contatto più personalizzato ed ef- ficace, come ben sanno coloro che vi inondano di pubblicità postale, proponen- do “proprio a voi, signora Rosa Gianbattista!” pentolame di qualità e regali a non finire (peccato che poi, come in questo caso, confondano il nome col cognome: voi non fatelo). Il selezionatore che legge una lettera indirizzata a lui personal- mente sarà inevitabilmente più attento: avrà tra l’altro sempre il dubbio che la per- sona in qualche modo lo conosca. Anche individuare l’esatto titolo della posizione (in genere, responsabile della se- lezione) è utile: innanzitutto evita che finisca sui tavoli sbagliati (mandarla di- rettamente al Direttore del Personale è inutile, a meno che abbiate un curriculum davvero prestigioso o che l’azienda sia piccola) e inoltre dà un’immagine di per- sona preparata e precisa. Ma come procurarsi nome e titolo degli interessati? Attraverso le numerose pubblicazioni che li riportano (articoli sulle pagine specializzate dei giornali, ca- reer books ecc.) o provando, semplicemente, a telefonare e a chiedere. Alcuni addirittura spediscono per raccomandata o appongono la dicitura “ri- servata personale” sulla busta: il primo accorgimento è abbastanza inutile e co- stoso, il secondo è efficace, perché la busta sarà aperta direttamente dall’inte- ressato anziché dalla segretaria e quindi guardata con più attenzione, ma è a dop- pio taglio perché, accortosi che si tratta di un semplice c.v., il selezionatore lo guarderà un po’ scocciato domandandosi “che ci sarà mai di riservato e perso- nale?”. 220 3. Indirizzate sia al “personale” che alla “linea” Come per le altre forme di contatto, cercate di aggirare il “collo di bottiglia” che crea l’intasamento di CV presso gli uffici selezione. Il modo più semplice è di mandare il vostro anche ai Direttori della funzione in cui vi piacerebbe lavora- re: se riuscite a suscitare la loro curiosità, saranno loro stessi, se non a convocarvi direttamente, a trasmettere il CV al personale, con un bigliettino di accompa- gnamento tipo “mi sembra interessante, Margherita, perché non lo incontriamo?”. Queste segnalazioni sono tenute in gran conto dai selezionatori. I Direttori di Fun- zione ricevono meno CV del personale e sono quindi meno drastici nel cestina- re: è però indispensabile personalizzare la lettera di accompagnamento, nonché avere realmente buone credenziali nel campo in cui operano. 4. Dove possibile, non usate la posta In tutte le aziende dove conoscete qualcuno, chiedete cortesemente a costui di portare o inviare con la posta interna il vostro CV. Elementari regole di cortesia fanno sì che, anche se la persona non conosce il selezionatore o non ha gran pe- so in azienda, questi curricula siano comunque almeno valutati con attenzione. Non potete aspettarvi corsie preferenziali nella valutazione, ma probabilmente avrete la precedenza rispetto alla pila di CV giacenti in precaria attesa. 5. Speditelo al momento giusto Non esiste di solito una rigida tempificazione delle assunzioni, da parte delle aziende. Tuttavia, il “grosso” delle ricerche parte nei primi mesi dell’anno, una volta ufficializzate le esigenze per l’anno in corso. Il periodo migliore per spe- dire i CV è dunque febbraio-marzo, anche se le ricerche proseguono poi per tut- to l’anno, con un leggero calo a giugno-luglio, per non assumere a cavallo del- le vacanze, ed una buona ripresa a settembre. Verso fine anno c’è spesso un se- condo rallentamento, in quanto si preferisce rinviare a gennaio le assunzioni pre- viste per novembre o dicembre. Nessuno scandalo, quindi, a ri-inviare il CV, ma- gari con la scusa di un piccolo aggiornamento, un semestre dopo la prima spe- dizione. 221 RICERCA ATTIVA DEL LAVORO La lettera di accompagnamento Oggi, il problema di “mercato” del neodiplomato / neolaureato è quello di dif- ferenziarsi dalla concorrenza, risultando più adatto ai bisogni dell’azienda rispetto ai suoi colleghi. La lettera di accompagnamento offre più spunti per raggiunge- re questo obiettivo rispetto al CV, se non altro perché offre più libertà d’azione. Vediamo il “pentalogo” della efficace lettera di accompagnamento, che deve con- cretamente rispondere alla domanda “Perché dovrei scegliere proprio te?”: 1. Evidenzia i tuoi punti forti Rispetto ai nostri colleghi, c’è probabilmente qualcosa che ci differenzia in senso positivo: dobbiamo evitare che questo qualcosa, disperso tra le altre infor- mazioni del CV, non venga valorizzato a sufficienza. Non illudiamoci che que- sto “non so che” sia costituito da un buon voto di laurea, da qualche viaggio al- l’estero o da uno spiccato interesse per questa o quella attività, caratteristiche co- muni alla maggioranza dei diplomati o laureati. Reali punti di forza possono invece essere la conoscenza di più lingue straniere, l’aver fatto una tesi su un tema o sul business di interesse aziendale, l’aver fat- to uno stage o qualche esperienza “dal vivo” nel settore di competenza, l’avere una “passione” dimostrabile con i fatti per una delle attività chiave aziendali (ri- cerca, vendita, progettazione...) e infine, anche se di minor peso, l’aver conosciuto qualche “testimonial” aziendale in qualche occasione (career days, convegni ecc.). Anche un curriculum di studi o caratteristiche personali particolarmente adatti al- l’azienda, più che brillanti in sé, dovranno qui essere sottolineati (“fin dall’ini- zio degli studi universitari ho voluto approfondire i temi finanziari...”, “credo che il mio carattere estroverso, dinamico e capace di sintonizzarsi con gli altri mi ren- da particolarmente adatto ad una qualificata attività di vendita”). Infine è questa l’occasione per segnalare da subito eventuali master o corsi ex- trauniversitari, spiegando il loro significato ed eventuali contenuti di potenziale interesse per l’azienda (vedendoli solo nel CV spesso non si capisce se sono sta- ti un riempitivo o se fanno parte di un coerente programma). 2. Esponi cosa offri, non cosa vuoi Che gliene importa al nostro selezionatore se noi “vogliamo lavorare in un am- biente dinamico e stimolante” o se “desideriamo applicare le nostre conoscenze universitarie in un’azienda moderna, innovativa e attenta alla formazione delle ri- sorse umane?” E chi non lo vorrebbe? Perché sprecare due preziose righe per di- 222 re cose ovvie? Dobbiamo invece spiegare perché noi potremmo risolvere un suo, e della sua azienda, problema. Che potrebbe essere quello di trovare qualcuno disposto a viaggiare molto (non tra Parigi e Londra, ma tra Torino e Bari) o fare con entusiasmo qualche anno nel- le vendite dopo un tirocinio nel marketing o a farsi uno stage senza alcuna ga- ranzia, perché per qualche mese le assunzioni sono bloccate o che sappia bene il tedesco, a cui piaccia l’ambiente di fabbrica o che sopporti un capo “pazzoide”... Dobbiamo quindi completare i nostri punti forti con indicazioni di disponibilità e flessibilità: anche lo specificare di essere disposti a trasferirsi, a frequentare uno stage, a cambiare mansioni o ad accettarne di apparentemente gravose, ad ap- prezzare ambienti di lavoro stressanti e senza orari è un modo di differenziarsi. L’importante è essere sinceri e non diventare patetici (“sono disposto a qualsia- si cosa...”), perché essere disponibili non vuol dire tramutarsi in aspiranti Fantozzi. 3. “T’amo, pia azienda, e mite un sentimento...” In realtà, per la maggior parte dei diplomati o laureati quasi qualsiasi azienda va bene, ma tuttavia occorre scegliere un certo numero d’aziende cui scrivere una “sobria lettera d’amore”. Questo è un esercizio spesso ipocrita, ma sempre utile. Dobbiamo cioè scegliere le aziende per le quali le nostre caratteristiche (studi, esperienze, hobbies) sembrano più adatte e (anche se ciò non ci era mai passa- to per la testa) scrivere loro “mi piaci, siamo fatti per capirci”. Attenzione: la di- chiarazione d’amore va fatta alla “vera” azienda, non alla sua immagine super- ficiale; ciò che giuriamo ci piace di lei deve essere ciò che piace ad una persona matura, non ad un adolescente con gli occhiali rosa, altrimenti otterremo l’effetto opposto. Se scriviamo ad aziende high tech dicendo che le abbiamo scelte perché i costanti investimenti in ricerca e sviluppo sembrano creare l’ambiente più motivante per un laureato con forte orientamento tecnico, il nostro selezionatore sorriderà compiaciuto; se scriviamo, invece, che siamo sin da piccoli innamorati della For- mula 1 o che ci piace girare il mondo per congressi scientifici, verremo liquida- ti con un “che pollastro”. Le aziende non amano disilludere i giovani che entra- no da loro: chi manifesta aspettative troppo elevate viene considerato un attua- le ingenuo ed un futuro depresso o, peggio, piantagrane. 4. Scegli tra nicchia e mercato generale Il problema di fondo, nella lettera di accompagnamento, è se puntare ad un bersaglio solo o se sparare nel mucchio, ovvero se offrirsi per una posizione ben determinata o per qualsiasi posizione coerente con il proprio CV. Un laureato in economia, ad esempio, può vedersi offrire posizioni nel marketing, in ammini- 223 strazione, nell’auditing, in finanza, in controllo di gestione, nell’organizzazione, nel personale, nelle vendite, in logistica e in qualcos’altro ancora. È chiaro che nel primo caso si restringe molto il terreno di caccia, ma in com- penso si può mirare molto meglio al bersaglio. Che fare, dunque, se, pur avendo qualche preferenza, si è disposti a valutare an- che altre aree di inserimento? Il suggerimento è di indicare sempre un’area pre- ferita, ma senza restringere troppo il campo: così un laureato in economia potrà ben indicare il marketing, ma dichiarandosi da subito disponibile anche ad una attività di vendita, in quanto i due settori sono sempre più vicini; oppure potrà in- dicare la finanza, o l’auditing, ma specificando di apprezzare tutta l’area ammi- nistrativa in senso lato. Un piccolo trucco, per i generalisti, per candidarsi a più opportunità senza ap- parire vaghi, è di proporsi non per determinate funzioni, ma per ruoli, quali che siano, purché inseriti nei “processi chiave” dell’ azienda, quelli cioè che ne de- terminano il successo o il fallimento. In questo modo si dà dimostrazione di sa- pere che ciò che è importante non è l’attività che si fa, ma come, perché e per chi la si deve fare. 5. Dai una immagine di te, fatti ricordare Infine, la lettera di accompagnamento deve servire per farci uscire un pochino dal- l’anonimato, dare sapore e spirito vivo al pezzo di carta che parla di noi. Il selezionatore è, in fondo, un essere umano, che ragiona coi sentimenti oltre che col cervello: se riusciamo a dargli l’impressione che una chiacchierata con noi sa- rebbe probabilmente anche piacevole, gli diamo una garanzia professionale (tra un genio antipatico ed un bravo ragazzo simpatico, il selezionatore “rischia” di meno presentando per l’assunzione il secondo) ed uno stimolo personale in più. L’importante è evitare gli orrendi luoghi comuni (“Mi piace stare a contatto con la gente...”) che, invece di personalizzarvi, vi inquadrano nell’esercito dei banaloni. Come fare? basta una frase, un rigo appena per caratterizzarsi un pochino. 224 RICERCA ATTIVA DEL LAVORO Il colloquio di selezione Che cosa fare prima del colloquio: – essere certi della data dell’ora e del luogo – accertarsi del nome della persona con cui dover parlare – cercare di capire bene dove si trova il luogo del colloquio per evitare di arri- vare in ritardo Il colloquio si basa sulla COMUNICAZIONE ed è di solito costituito da alcune fasi ben definite: – presentazione del curriculum – singole esperienze lavorative – lavoro ideale – le conoscenze/aspettative che si hanno riguardo all’azienda – il carattere del candidato e la sua capacità di autovalutazione – il tema libero In un colloquio non sono importanti solo le cose che si dicono ma ricopre gran- de importanza anche l’atteggiamento che si assume. Devi pertanto fare atten- zione ad una serie di elementi: 1) VOCE, il tono, il timbro, il volume, il ritmo 2) POSTURA, movimenti del corpo, i gesti 3) VISO, posizione degli occhi, della bocca, delle sopracciglia, lo sguardo, il sor- riso 4) CORPO, la vicinanza, la lontananza, l’uso dello spazio 5) SIMBOLI, abbigliamento, ornamenti, pettinature. L’abbigliamento deve essere curato, non trasandato, ma non si deve rinunciare ad esprimere troppo la propria personalità. Per un buon risultato del colloquio... – dimostra interesse per il lavoro che potresti svolgere, chiedi informazioni det- tagliate sulle mansioni, sulle prospettive – evidenzia il contributo che puoi apportare – vestiti in modo appropriato – cerca di avere un atteggiamento positivo – ascolta con attenzione le domande e rispondi con precisione e sintesi – valorizza le tue capacità, conoscenze ed esperienze di lavoro – dimostra di essere una persona attiva dinamica ed ottimista – assumi un atteggiamento di collaborazione – dimostra di essere calmo e sicuro di te. 225 Devi evitare assolutamente di: – arrivare tardi – monopolizzare la conversazione – portare il discorso su questioni personali – avere le idee poco chiare e dimostrare insicurezza – essere passivo o aggressivo – non essere né troppo formale né eccessivamente amichevole Per ulteriori approfondimenti è possibile consultare alcuni siti utili: 3 www.sportellostage.it (Sezione “Affrontare un colloquio”) 3 www.europalavoro.it/colloquio_selezione.asp 3 www.siamosenzalavoro.it (Sezione “Il colloquio di lavoro”) 226 Guida per l’operatore Competenza orientativa Conoscere e padroneggiare strategie di inserimento. Titolo Ricerca attiva del lavoro. Fonte e reperibilità Produzione interna CIOFS-FP Piemonte. Tipologia Breve dispensa di “Ricerca attiva del lavoro”: il curriculum vitae, la lettera d’accompagnamento, il colloquio di selezione. Obiettivi – Compilare il curriculum vitae nel formato europeo – Compilare la lettera d’accompagnamento – Preparare il colloquio di selezione. Destinatari Giovani e adulti. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Conoscere e padroneggiare le strategie per l’inserimento lavorativo. Materiali disponibili – Scheda per la compilazione del curriculum vitae e modello del CV europeo – Scheda per la compilazione della lettera d’accompagnamento – Scheda per la preparazione del colloquio di selezione Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 10 ore. 227 Istruzioni Per facilitare la conduzione del lavoro, sarebbe utile predisporre una breve di- spensa per ciascuno degli allievi all’interno della quale si riportano i materiali e le relative consegne nell’ordine di svolgimento stabilito. Correzione Il materiale non richiede una correzione, ma è lasciato al conduttore il compito di coordinare le varie fasi dell’attività alternando i momenti di lavoro individuale a quelli di confronto in gruppo. Output restituzione Schede di lavoro compilate dall’utente. Competenze dell’operatore – Conoscenza e padronanza di internet – Conoscenza e padronanza delle tecniche per la ricerca attiva del lavoro – Capacità di gestione delle dinamiche di gruppo Condizioni organizzative / supporti Per facilitare la comunicazione è preferibile utilizzare un’aula con tavoli disposti a forma semicircolare ed attrezzata con computer con connessione ad internet. Criteri di valutazione / autovalutazione Il lavoro prevede momenti di autovalutazione basati su esperienze e vissuti per- sonali e momenti di confronto in gruppo. Responsabilità Orientatore. Formatore. Archiviazione Dossier personale dell’utente. Eventuali suggerimenti / altro Il modulo può essere sviluppato tenendo presente i possibili collegamenti con mo- duli riguardanti il diagnosticare, relazionarsi, affrontare, l’inserimento e le tec- niche di ricerca attiva del lavoro. 228 Utili suggerimenti bibliografici e sitografici (per il CV europeo): – H. Anthony Medley (1992), Come sostenere un colloquio d’assunzione. FRANCOANGELI/TREND, Milano; – Michael Stevens (1992), Come presentare al meglio se stessi e le proprie idee. Corso d’autoistruzione sulle nuove tecniche di presentazione. FRAN- COANGELI/TREND, Milano; – Alda Fiordelli, Graziella Nugnes (1995), Trovare lavoro non è solo questio- ne di fortuna. Come valorizzare le proprie capacità e opportunità. FRAN- COANGELI/TREND, Milano. www.cedefop.eu.int/transparency/ www.europa.eu.int/comm/education/index_it.html www.eurescv-search.com/ 229 Guida per l’utente Titolo Ricerca attiva del lavoro. Obiettivi – Compilare il curriculum vitae nel formato europeo – Compilare la lettera d’accompagnamento – Preparare il colloquio di selezione Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Conoscere e padroneggiare le strategie per l’inserimento. Materiali disponibili – Scheda per la compilazione del curriculum vitae – Scheda per la compilazione della lettera d’accompagnamento – Scheda per la preparazione del colloquio di selezione Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 10 ore. Istruzioni Leggi con attenzione le schede con i suggerimenti per la compilazione del CV, della lettera di accompagnamento e per la preparazione al colloquio. Compila i documenti relativi e confrontati con il tuo orientatore. Correzione Il materiale non richiede una correzione. Output restituzione Schede di lavoro compilate. Criteri di valutazione / autovalutazione Il lavoro prevede momenti di autovalutazione basati su esperienze e vissuti per- sonali e momenti di confronto in gruppo. 230 SITOGRAFIA Mondo del lavoro METTERSI IN PROPRIO 3 www.opportunitalia.it 3 www.osservatoriodonna.igol.it 3 www.minindustria.it 3 www.informagiovani.it 3 www.nuovaimpresaweb.it CONCORSI PUBBLICI 3 www.comune.torino.it/concorsi 3 www.concorsi.it 3 www.simoneconcorsi.it 3 www.jobline.it RICERCA DEL LAVORO 3 www.corriere.it/lavoro 3 www.comune.torino.it/lavoro/ 3 www.unimpiego.it 3 www.jobpilot.it 3 www.jobonline.it 3 www.crealavoro.org 3 www.italialavoro.it 3 www.ilsole24ore.com 3 www.cercalavoro.it 3 www.stepstone.it 3 www.abclavoro.it 3 www.lavoro.org 3 www.talentmanager.it 3 www.jobitaly.it 3 www.bancaprofessioni.it 3 www.bancalavoro.com 3 www.jobletter.it 3 www.guidalavoro.net TECNICHE PER LA RICERCA DEL LAVORO Come compilare un curriculum, come effettuare una ricerca attiva del lavoro… 3 www.guidalavoro.net/ 231 3 www.comune.torino.it/lavoro/dossier/ricerca (sito in costruzione) 3 www.giovanielavoro.it 3 www.jobpilot.it 3 www.aiuto.net DISPOSIZIONI LEGISLATIVE PER L'INSERIMENTO 3 www.minwelfare.it 3 www.governo.it Tutte le novità e le decisioni del governo italiano 3 www.cnel.it Sito del consiglio nazionale dell’Economia e del lavoro, con la Legislazione e la normativa sul lavoro LAVORO INTERINALE 3 www.comune.torino.it/lavoro/indir.htm 3 www.europalavoro.it/interinale.asp 3 www.interinaleitalia.it 3 www.adecco.it 3 www.manpower.it TIROCINI E STAGE 3 www.sportellostage.it Informazioni sulle opportunità di stage in Italia e nel mondo 3 www.tirocini.it Sito per reperire informazioni sui tirocini formativi e di orientamento 3 www.jobpilot.it 3 www.eurocultura.it 3 www.studenti.it 3 www.programmaleonardo.net 3 www.orientativamente.net (sezione dedicata allo stage) 3 www.iiepassport.org PROFILI PROFESSIONALI 3 www.isfol.it/orientaonline (profili professionali) 3 www.mestieri.it ALBO PROFESSIONALE 3 www.consrag.it (albo professionale ragionieri) 3 www.aib.it/aib/cen/albohome (albo dei bibliotecari) 3 www.creativa.it/albo (albo degli inventori) 232 3 www.agrotecnici.it 3 www.alboinformatici.com 3 www.microimpresa.org (associazioni per i liberi professionisti) VOLONTARIATO 3 www.volontariato.it (sito in aggiornamento) 3 www.forumvolontariato.org 3 www.idealist.org (organizzazione no profit) SERVIZIO CIVILE 3 www.serviziocivile.it 3 www.sci-italia.it (servizio civile internazionale) TELELAVORO 3 www.telelavoro.rassegna.it LAVORO E STUDIO ALL’ESTERO 3 www.jobware.com 3 www.jobweb.com 3 www.jobsfed.com 3 www.careermosaic.com 3 www.esteri.it 3 www.studenti.it 3 www.centrorisorse.org Centro Risorse Europeo per l’Orientamento con notizie sullo studio ed il la- voro all’estero 3 www.europa.eu.int/jobs/eures Sito europeo con la banca dati eures delle offerte di lavoro in Europa 3 www.exp.ie (offerte di lavoro in Irlanda) 3 www.ukjobsguide.co.uk (offerte di lavoro nel Regno Unito) 3 www.jobline.it (offerte di lavoro all’estero) 3 www.eurocultura.it 3 www.aegee.org (mobilità e stages in tutto il mondo) 3 www.cordis.lu 3 www.europs.be Ufficio assistenza tecnica per le iniziative comunitarie Occupazione e Adapt 3 www.internjobs.com APPRENDISTATO 3 www.regione.Piemonte.it/formaz/apprend 233 SITOGRAFIA Scuola e formazione OPPORTUNITÀ SCOLASTICHE E FORMATIVE Post-obbligo scolastico: 3 www.comune.torino.it/lavoro/dossier/formazione 3 www.comune.torino.it/sior/ 3 www.istruzione.it 3 www.provincia.torino.it/scuola/istruzione 3 www.comune.torino.it/infogio 3 www.tuttoscuola.com 3 www.ascuola.it 3 http://portal.sophia.it 3 www.Piemonte.istruzione.it Post-diploma: 3 www.comune.torino.it/lavoro/dossier/formazione 3 www.universitaelavoro.it FORMAZIONE PROFESSIONALE 3 www.comune.torino.it/lavoro/dossier/formazione 3 www.comune.torino.it/sior/index.htm 3 vwww.regione.Piemonte.it/formaz/ 3 www.sinfod.net 3 www.enfap.it 3 www.isvor.it 3 www.regione.Piemonte.it/lavoro/agenzia 3 www.okkupati.rai.it 3 www.comune.torino.it/infogio/transalp UNIVERSITÀ 3 www.murst.it 3 www.unito.it 3 www.polito.it 3 www.corep.it 3 www.ipeistituto.it 3 www.talentmanager.it 3 www.universitaelavoro.it 234 3 www.uni-astiss.it 3 www.provincia.cuneo.it/istruzione/index.htm 3 www.novaraonline.it 3 www.learningonline.org 3 www.bachecauniversitaria.it LAVORO E STUDIO ALL’ESTERO 3 www.jobware.com 3 www.jobsfed.com 3 www.careermosaic.com 3 www.esteri.it 3 www.studenti.it 3 www.centrorisorse.org Centro Risorse Europeo per l’Orientamento con notizie sullo studio ed il la- voro all’estero 3 www.eurocultura.it 3 www.aegee.org (mobilità e stages in tutto il mondo) 3 www.cordis.lu 3 www.europs.be Ufficio assistenza tecnica per le iniziative comunitarie Occupazione e Adapt 3 www.internjobs.com METODO DI STUDIO 3 www.studiofacile.org 235 SITOGRAFIA Altri link utili ORIENTAMENTO 3 www.bdp.it Banca dati che costituisce il centro di risorse “orientamento” per l’area del- l’istruzione-educazione su incarico del Ministero dell’Istruzione 3 www.orientamento.it Sito dedicato agli operatori di orientamento italiani 3 www.aiuto.net Orientamento in rete per la ricerca di lavoro, professioni, scuola e università 3 www.comune.torino.it/cosp/ Il Cosp è il Centro di Orientamento Scolastico e Professionale della Città di Torino 3 www.fondazione-agnelli.it/arianna/ CATEGORIE PRIVILEGIATE 3 www.handimpresa.it Offerta di lavoro e altre opportunità. Specifico per i portatori di handicap. 3 www.provincia.torino.it/cid 3 www.disabili.com 3 www.superabile.it 3 www.aipd.ivylogic.it 3 www.handylex.org 3 www.immigrazione.com PARI OPPORTUNITÀ 3 www.csi.it/spdonna/donna.htm Gli sportelli donna e lavoro di Lombardia, Piemonte e Valle D’Aosta 3 www.italia.gov.it 3 www.italiadonna.it (cliccare nella sezione lavoro) 3 www.women.it/o 236 Guida per l’operatore Competenza orientativa Conoscere e padroneggiare strategie di inserimento. Titolo Sitografia. Fonte e reperibilità Internet - Produzione interna CIOFS-FP Piemonte. Tipologia Elenco di siti utili. Obiettivi – Acquisire tecniche per la ricerca attiva del lavoro – Conoscere e padroneggiare strategie d’inserimento – Ricercare informazioni relative al mondo del lavoro e /o della scuola e for- mazione. Destinatari Giovani e adulti. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Conoscere e padroneggiare le strategie per l’inserimento in ambito professionale. Materiali disponibili Elenco di siti utili divisi per tipologia di ricerca: mondo del lavoro, scuola e for- mazione, altri link utili. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 2 ore di navigazione in Internet. 237 Istruzioni Consegnare l’elenco di siti agli utenti, lasciando eventualmente loro la scelta de- gli argomenti da ricercare tramite la consultazione delle pagine web. Correzione Il materiale non richiede una correzione, ma è lasciato al conduttore il compito di coordinare le varie fasi dell’attività alternando i momenti di lavoro individuale a quelli di confronto in gruppo. Output restituzione Il materiale scaricato dal web e stampato. Competenze dell’operatore Conoscenza e padronanza delle strategie d’inserimento. Conoscenza e padronanza di internet. Condizioni organizzative / supporti Utilizzare un’aula con computer con connessione ad internet e stampante. Criteri di valutazione / autovalutazione - - - Responsabilità Coordinatore-tutor/orientatore. Archiviazione Dossier personale dell’utente. Eventuali suggerimenti / altro L’attività può essere sviluppata tenendo presente i possibili collegamenti con al- tri moduli per l’inserimento, le tecniche di ricerca attiva del lavoro e di ricerca informazioni. 238 Guida per l’utente Titolo Sitografia. Obiettivi – Acquisire tecniche per la ricerca attiva del lavoro – Conoscere e padroneggiare strategie d’inserimento – Ricercare informazioni relative al mondo del lavoro e /o della scuola e for- mazione. Contenuto / dimensione esplorata / area di lavoro Conoscere e padroneggiare le strategie per l’inserimento in ambito professionale. Materiali disponibili Elenco di siti utili divisi per tipologia di ricerca: mondo del lavoro, scuola e for- mazione, altri link utili. Modalità di somministrazione / di utilizzo Tempi 2 ore di navigazione in Internet. Istruzioni Navigando in Internet, consulta l’elenco di siti consegnati dal tuo orientatore, sof- fermandoti sugli argomenti di tuo maggiore interesse. Puoi stampare le pagine web che ritieni più utili rispetto alla tua scelta scolastico-formativa e professionale. Correzione Il materiale non richiede una correzione, ma è lasciato al conduttore il compito di coordinare le varie fasi dell’attività alternando i momenti di lavoro individuale a quelli di confronto in gruppo. Output restituzione Il materiale scaricato dal web e stampato. Criteri di valutazione / autovalutazione - - - 240

Guida per l'accompagnamento al lavoro autonomo. Una proposta di percorsi per la creazione di impresa

Autore: 
Fulvio Ghergo
Categoria pubblicazione: 
Progetti
Anno: 
2003
Numero pagine: 
255
Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo Una proposta di percorsi per la creazione d’impresa Fulvio GHERGO Tipolitografia Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma Tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - tipolito@pcn.net Giugno 2003 Percorsi formativi per la creazione d’impresa 5 SOMMARIO PRESENTAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 INTRODUZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 Parte Prima: L’IMPRENDITORIALITÀ 1. L’imprenditorialità nel nostro Paese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 2. Come nascono le imprese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 3. Imprenditorialità e lavoro autonomo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16 Parte Seconda: “QUALITÀ” DELL’IMPRENDITORE 1. La vocazione “imprenditoriale” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 2. La creatività . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 3. Potenziare la creatività . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40 Parte Terza: L’IDEAZIONE E IL BUSINESS PLAN 1. L’idea imprenditoriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57 2. Il business plan . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84 Parte Quarta: IL PROGETTO D’IMPRESA 1. Specificazione dell’idea di business . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93 2. Analisi di mercato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95 3. Piano marketing . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97 4. Piano di produzione: la messa a punto della struttura aziendale . . . . . . . . . . . . 152 5. Piano del personale: la definizione dell’organigramma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 161 6 Parte Quinta: FORMA GIURIDICA E COSTITUZIONE DI SOCIETÀ 1. Impresa, azienda o ditta? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 167 2. Tipologie d’imprese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 168 3. Quale forma giuridica scegliere? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 183 4. Quali sono le procedure amministrative per costituire una società? . . . . . . . . 189 5. Pianificazione finanziaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 195 Parte Sesta: QUANTIFICAZIONE E REPERIMENTO RISORSE FINANZIARIE 1. La pianificazione finanziaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 205 2. Il problema dei finanziamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 208 3. Le fonti di finanziamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 210 4. Sostegni all’autoimpiego nell’ambito di misure nazionali di politica del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 214 GLOSSARIO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 227 SCHEDE - ALLEGATI - LABORATORI DI VERIFICA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 247 SITOGRAFIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 249 INDICE GENERALE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 251 7 PRESENTAZIONE Una delle indicazioni qualificanti l’Accordo Stato-Regioni del 2 marzo 2000 per l’attuazione delle disposizioni in materia di obbligo di frequenza delle attività formative (art. 68 della legge 17 maggio 1999, n. 144, paragrafo 1 “Assolvimento del- l’obbligo formativo nella formazione professionale”) è stata l’introduzione di misure di accompagnamento al lavoro: “I percorsi formativi devono assicurare misure di accompagnamento finalizzate a favorire l’inserimento professionale in relazione al contesto lavorativo locale” (paragrafo 1, comma 6). Alla luce dell’Accordo, preceduto dall’approvazione della legge 144 del 1999, il CNOS-FAP e il CIOFS-FP hanno elaborato un progetto per l’obbligo formativo contenente delle linee guida di carattere generale, delle proposte di acquisizioni per l’area comune e per le competenze professionali, delle indicazioni per l’accredita- mento e la qualità del servizio, dei supporti alle misure di personalizzazione quali l’accoglienza, l’orientamento e l’accompagnamento al lavoro. Consapevoli che l’accompagnamento all’inserimento lavorativo, inteso come un processo d’acquisizione di competenze metodologiche per attivare strategie d’entrata nel mondo del lavoro come lavoratore dipendente o lavoratore autonomo, è ancora oggi una realtà più “intuita” che “compiutamente definita”, il CNOS-FAP ha chiesto al dott. Fulvio Ghergo, esperto dell’ISFOL, di progettare un percorso di accompagnamento al lavoro autonomo da mettere a disposizione sia del formatore che dell’allievo per lo svolgimento di questo difficile compito. L’accompagnamento al lavoro, insieme all’azione di tutoring per l’inserimento lavorativo, rappresentano, infatti, a livello culturale e di prassi, un’acquisizione recente. Acquisizione inoltre che non si comprende in tutta la sua portata se non si mette in relazione con il quadro evolutivo degli ultimi anni della formazione professionale, che è stata inse- rita in modo più determinato in una “integrazione sistemica” tra le politiche fina- lizate allo sviluppo delle risorse umane, vale a dire l’orientamento, la formazione e le politiche attive del lavoro. Affidiamo ai formatori incaricati il compito di sperimentare la presente ipotesi di lavoro che si configura, al momento, come un itinerario idealtipico; la sperimen- tazione del progetto permetterà di raccogliere ulteriori elaborazioni procedurali e strumenti che, debitamente organizzati, creeranno le condizioni per scrivere un MANUALE o una GUIDA OPERATIVA validata. La Sede Nazionale CNOS-FAP 9 INTRODUZIONE La formazione professionale, secondo una delle definizioni generalmente con- divise, è un percorso formale e/o informale per l’acquisizione di competenze pro- fessionali spendibili sul mercato del lavoro. Secondo questa definizione, pertanto, al termine di un percorso formativo, i soggetti erogatori del servizio, formatori, allievi, possono ritenersi soddisfatti se le competenze professionali, che rappresentano l’obiettivo del percorso stesso, sono state raggiunte, almeno ad un livello ritenuto “accettabile”, dagli allievi. Questa affermazione è parzialmente vera. Per dichiararsi soddisfatti non è sufficiente la sola acquisizione delle compe- tenze professionali; è necessario anche sapere dove spenderle e avere maturato la capacità di attivare dei percorsi per “promuoverle”. Al termine di un corso occorre, cioè, aver acquisito, accanto alle competenze proprie della figura o qualifica professionale, anche competenze di carattere metodologico per realizzare delle strategie operative che possano condurre alla vita attiva. Senza queste “ulteriori” competenze, quelle professionali rimangono un patrimonio non spendibile. Nella vita attiva ci si entra o come lavoratore dipendente o come lavoratore autonomo/piccolo imprenditore. L’una o l’altra modalità sono il frutto di scelte determinate da fattori personali e da fattori ambientali, da propensioni individuali e da sollecitazioni del contesto socio-economico, da “elementi vocazionali” e da “opportunità” che la storia e l’habitat di ciascuno possiede. Questo volume trova la sua naturale collocazione nel sistema della formazione professionale e si propone di fare acquisire ai giovani competenze per realizzare una impresa o comunque avviare un lavoro in proprio. Più in particolare è desti- nato a quegli allievi e quei formatori che sono impegnati in percorsi di “forma- zione professionale al lavoro”. Il sussidio, più in particolare, intende essere di aiuto agli allievi: – per comprendere se hanno delle “propensioni” alla imprenditorialità e al lavoro in proprio; – per verificare se sono in possesso di un’idea imprenditoriale o per solleci- tarne la nascita; – per valutarne la fattibilità. 10 Vuole, parimenti, essere di aiuto ai formatori impegnati nell’attività di tuto- raggio e di supporto agli allievi nei loro percorsi verso l’imprenditorialità. Questa duplice destinazione (formatori ed allievi) è visibile nella struttura stessa del volume. Ciascuna parte si segmenta in due aree, quella che contiene le informazioni, oggetto di esposizione e di approfondimenti da parte del formatore e quella dei laboratori didattici pensati per gli allievi. I laboratori didattici, che contengono esercitazioni e prove, a loro volta, si distinguono in tre tipologie: – LABORATORIO “A”: laboratori didattici pensati per allievi dell’obbligo formativo; – LABORATORIO “B”: laboratori didattici pensati per allievi della formazione superiore o, co- munque, di una utenza adulta; – LABORATORIO “C”: laboratori didattici pensati per gli uni e per gli altri. All’interno del laboratorio “C” si trovano più informazioni e altrettante prove di verifica. Su particolari argomenti, infine, si propongono schede di approfon- dimento. Il presente volume vuol essere a un tempo “funzionale” e “migliorabile”. È, dunque, una prima proposta organica per accompagnare didatticamente il cammino dell’allievo verso l’imprenditorialità. È, però, anche un sussidio allo stato na- scente, è una prima “traccia” di uno strumento che, anno dopo anno, potrà essere incrementato dai contributi degli sperimentatori. FULVIO GHERGO Prima Parte L’IMPRENDITORIALITÀ 1. L’imprenditorialità nel nostro Paese 2. Come nascono le imprese 3. Imprenditorialità e lavoro autonomo ◆ Scheda n. 1 Il libro verde sull’imprenditorialità in Europa ◆ Scheda n. 2 Gli incubatori e i venture capitalist ◆ Laboratorio C 1ª prova di verifica 13 1. L’imprenditorialità nel nostro Paese Anche se viviamo nella culla del posto fisso, siamo un paese di grande e vi- vace iniziativa imprenditoriale. Ogni anno, infatti, nascono in Italia più di 300.000 nuove imprese. È vero che occorre considerare anche le imprese che cessano la loro atti- vità. Ma la differenza tra imprese iscritte e quelle cancellate presenta an- nualmente un saldo positivo. Il 2000, ad esempio, si è chiuso con un attivo di 112.600 imprese. Le nuove iscri- zioni alle Camere di Commercio, infatti, sono state 366.340, a fronte di 253.740 cessazioni di attività. Un dato importante riguarda il Meridione, dove negli ultimi anni si sono registrati tassi di sviluppo decisamente superiori alla media nazionale, in particolare in Sicilia, Puglia e Campania. Oltre che a livello territoriale, lo scenario continua a cambiare anche sotto il profilo della struttura imprenditoriale. Secondo una tendenza ormai da tempo consolidata, le forme societarie sono in espansione a scapito delle ditte individuali, tradizionale punto di forza del sistema Italia. Ormai lo sviluppo delle attività imprenditoriali è visto da tutti come uno dei modi per riuscire a debellare i grandi numeri della disoccupazione. In particolare nelle Regioni del Mezzogiorno si avverte particolarmente l’esi- genza di una crescita dell’imprenditorialità capace di dare vita ad uno sviluppo autopropulsivo che valorizzi le risorse locali. Infatti il drammatico problema della disoccupazione, che ha superato il 20% (ben più alto della media nazionale), non trova un risposta nella odierna struttura occupazionale meridionale. Da più di un ventennio ormai si registra una riduzione degli occupati nel comparto agricolo, cui non corrisponde un’analoga crescita degli altri settori. L’unico settore che presenta un trend positivo è quello dei servizi, rappresentato dal “terziario pubblico”, che subisce le sorti del rigore delle politiche di spesa pubblica. L’unica possibilità ragionevole per il Mezzogiorno di allargare la base occupa- zionale è legata allo sviluppo della imprenditorialità singola o associata. Al di là di questa, che per certi aspetti è la strada maestra, esistono solo “viot- toli” rappresentati da spazi di occupabilità interstiziali o fortemente localizzati. 1 2 3 14 Qual è l’atteggiamento degli italiani rispetto agli altri europei, in tema di imprenditorialità? E degli europei rispetto agli americani? Confronta la scheda allegata che riporta i principali risultati di una ricerca realizzata dalla Commissione Europea. Per questo negli ultimi anni si sono intensificati gli interventi a sostegno della creazione d’impresa: • interventi di natura finanziaria: la materia sarà trattata in maniera più orga- nica nella parte sesta; • interventi di formazione organizzati da più soggetti: le Regioni inseriscono nei loro piani di formazione corsi dedicati all’imprenditorialità; analoga- mente le Camere di Commercio offrono corsi di preparazione alla creazione d’impresa; nelle scuole superiori sono inseriti programmi di simulazione della creazione d’impresa (cfr. il progetto IG studenti). • interventi di assistenza tecnica per supportare la nascita della nuova impren- ditorialità. Per la gestione dei finanziamenti, lo Stato opera da oltre 10 anni attraverso la IG, Società per l’imprenditorialità giovanile. La IG, che fa capo all’attuale Mini- stero dell’Economia, svolge tutte le funzioni e i compiti necessari per sostenere l’intero processo di creazione di impresa; promuove e finanzia, inoltre, anche forme di lavoro autonomo attraverso il ‘prestito d’onore’. È da menzionare, infine, l’attività dei BIC, i Business Innovation Center, che hanno la mission di promuo- vere la cultura imprenditoriale e stimolare la creazione di nuove imprese. I BIC, promossi dalla Commissione Europea - DG Politica Regionale, sono istituiti in molte Regioni con la formula della SpA. I BIC hanno, al loro interno, gli “incubatori”, delle strutture che hanno il compito di seguire l’intero iter dell’organizzazione dell’impresa, dalla ve- rifica dell’idea imprenditoriale al finanziamento del progetto. Accanto alle iniziative descritte sopra, vanno menzionate anche quelle di assi- stenza promosse dagli Enti locali. In molti comuni, ad esempio, è stato organizzato il cosiddetto “sportello unico”, un ufficio apposito al quale ci si può rivolgere per espletare tutte le pratiche burocratiche necessarie per iniziare una nuova attività, senza doversi perdere nei meandri della pubblica amministrazione. Scheda n. 1 Scheda n. 2 15 2. Come nascono le imprese? Le imprese nascono nelle modalità più diverse: si passa dall’acquisto di una impresa già operante, alla creazione di una nuova impresa – a partire da una già attiva – per “integrazione”, per “gemmazione”, per “espansione”, in franchising, all’avvio di una nuova attività imprenditoriale. 16 3. Imprenditorialità e lavoro autonomo Come si vedrà nella parte quinta, al paragrafo 1 del presente volume, il codice civile italiano non definisce l’impresa ma l’imprenditore. Questi è “chi esercita professionalmente un’attività organizzata al fine della produzione o dello scambio o di servizi”. In questa definizione, estremamente dilatata, rientra anche il lavoro autonomo che comporta “lo svolgimento di un’attività professionale in via conti- nuativa e senza vincolo di subordinazione, cioè con organizzazione dell’attività a proprio rischio”. Va precisato però che il lavoro autonomo è l’imprenditorialità, ma l’imprenditorialità non si esaurisce nel lavoro autonomo. Tenendo presente che il lavoro autonomo è la forma imprenditoriale che è ragionevolmente più attuabile, sarà trattata in maniera più approfondita. I lavoratori autonomi generalmente hanno l’obbligo di iscriversi in appositi albi professionali. L’iscrizione è normalmente subordinata, oltre che al possesso del titolo di studio richiesto per l’attività da svolgere, allo svolgimento di un pe- riodo di tirocinio presso un professionista già iscritto e al superamento di un esame di Stato. Il compenso per le prestazioni di lavoro autonomo viene determinato sulla base delle tariffe approvate dal Consiglio dell’ordine professionale presso cui il lavoratore è iscritto. È importante segnalare che quando lo svolgimento di un’attività è subordinato all’iscrizione in un albo, la mancanza di iscrizione impedisce al lavoratore auto- nomo di agire in giudizio per ottenere il pagamento del compenso pattuito. Lavoro autonomo Imprenditorialità 17 Sui compensi percepiti per le prestazioni professionali il lavoratore autonomo è tenuto a versare l’I.V.A. e la ritenuta d’acconto ai fini IRPEF. Nel caso delle professioni per le quali è richiesta l’iscrizione ad un albo, è pre- vista altresì l’iscrizione ad una Cassa di previdenza specifica che eroga prestazioni sostitutive delle forme di previdenza obbligatorie. Qualora, al contrario, non vi sia una forma di previdenza esclusiva, il professionista deve versare i contributi obbli- gatori all’INPS, gestione lavoratori autonomi. Nell’ambito del lavoro autonomo, ci sono due forme che, pur con qualche dif- ficoltà, possono essere fatte rientrare nella imprenditorialità. Lavoro autonomo occasionale Si ha lavoro autonomo occasionale quando l’attività professionale viene svolta in via non continuativa. In tal caso il lavoratore non è tenuto ad iscriversi ad alcun albo, né ad alcuna forma di previdenza. Un esempio può essere quello del lavo- ratore dipendente che occasionalmente svolge un’attività di consulenza a favore di soggetti diversi dal suo datore di lavoro. Per tali attività viene normalmente concluso un contratto commerciale, non soggetto alla disciplina del lavoro subor- dinato. Il compenso per il lavoro autonomo occasionale viene determinato libera- mente dalle parti. Sull’importo previsto non viene versata l’I.V.A., ma deve essere operata la ritenuta d’acconto ai fini IRPEF. Collaborazione coordinata e continuativa Si ha collaborazione coordinata e continuativa (1) quando un lavoratore presta la propria attività a favore di un datore di lavoro senza vincolo di subordinazione, ma in maniera prevalentemente personale e con un certo inserimento nell’organiz- zazione produttiva del datore medesimo. Classici esempi di questo tipo di lavoro autonomo sono dati dagli agenti e dai rappresentanti di commercio. La principale caratteristica della collaborazione coordinata e continuativa è data dallo svolgimento dell’attività oggetto del contratto in via esclusiva o co- munque prevalente a favore di un unico committente. Tale caratteristica mette in evidenza la vicinanza con il lavoro subordinato. I tratti distintivi rispetto al lavoro dipendente possono essere individuati nell’autonomia della gestione della propria attività, quanto all’orario e alle modalità della prestazione, nonché nella predispo- sizione dei mezzi necessari per l’attività medesima a proprio rischio. (1) Si lascia la presente informazione pur essendo in corso una generale modifica della norma- tiva sul mercato del lavoro. 18 Per via della quasi totale equiparazione al lavoro subordinato, la legge estende alla collaborazione coordinata e continuativa alcune delle norme di tutela del lavoro dipendente. Ad esempio, per tutte le controversie che riguardano i rapporti di collaborazione in esame è competente il Pretore (e non il Tribunale come nel lavoro autonomo). Altre tutele sono previste dalla contrattazione collettiva, ad esempio, in ma- teria di malattia, di maternità, di infortunio e di diritti sindacali. Il corrispettivo per la collaborazione viene determinato liberamente dalle parti. Per quanto riguarda gli agenti e i rappresentanti di commercio, normalmente il compenso viene determinato sulla base degli affari conclusi per il committente (provvigione), ma può essere anche previsto un fisso mensile. Sull’importo così determinato deve essere operata la ritenuta del 20% ai fini IRPEF. La riforma delle pensioni del 1995 ha istituito una forma di previdenza anche per i collaboratori coordinati e continuativi, prima di allora inesistente. In base alla disciplina di legge, i lavoratori che svolgono l’attività in esame sono tenuti ad iscriversi alla gestione separata istituita presso l’INPS. I contributi dovuti per coloro che non sono coperti da altre assicurazioni previdenziali obbliga- torie, sono calcolati in base al compenso percepito dal lavoratore, al quale si ap- plica attualmente la percentuale del 12%, se il lavoratore non è iscritto ad alcuna cassa di previdenza, del 10% negli altri casi. L’importo dei contributi è per 2/3 a carico del committente e per 1/3, a carico del lavoratore. 19 Scheda n. 1 IL LIBRO VERDE SULL’IMPRENDITORIALITÀ IN EUROPA La Commissione europea ha diffuso un libro verde sull’imprenditorialità, dal quale scopriamo fra l’altro che in media gli europei preferiscono lo status di lavoratore dipen- dente rispetto a quello di lavoratore autonomo. Sono in leggera controtendenza, secondo un’indagine dell’Eurobarometro, i cittadini dell’Europa meridionale, dell’Irlanda e del Regno Unito. Ma il dato medio UE, che è del 45%, è lontano da quel 67% dei cittadini USA che preferirebbe lavorare in modo indipendente. L’Europa, dunque, deve promuo- vere in modo più efficace lo spirito imprenditoriale, dal quale dipende una effettiva ridu- zione dei tassi di disoccupazione. Fra i paesi UE, l’incidenza degli imprenditori (tra i quali rientrano i lavoratori autonomi e i proprietari di imprese) varia sensibilmente: dal 6% circa in Danimarca e in Lussemburgo, al 13% in Spagna, al 15% in Portogallo per arrivare a superare il 18% in Grecia e in Italia. Negli Stati Uniti, al contrario, questo tasso è appena oltre il 10%. L’indagine dell’Eurobarometro indica che il 4,5% dei cittadini dell’UE progetta di avviare un’impresa, ne ha costituita o ne ha rilevata una negli ultimi tre anni, C’è un’o- scillazione fra oltre il 6% nel Regno Unito e in Irlanda e sotto il 2% in Francia. Il tasso degli Stati Uniti (13%) è significativamente maggiore. Rispetto agli americani, più del doppio degli europei ha abbandonato il tentativo di avviare un’impresa. “L’Europa è caratterizzata da un minore dinamismo imprenditoriale, sottolinea il libro verde. Le imprese statunitensi in media sono più piccole all’inizio rispetto a quelle europee, tuttavia, nei primi anni successivi alla fondazione, l’espansione in termini occu- pazionali dei nuovi arrivati è molto maggiore negli Stati Uniti. Gli imprenditori statuni- tensi sembrano testare il mercato iniziando su piccola scala e, in caso di successo, si espandono rapidamente, mentre in Europa molti progetti non arrivano neppure al mer- cato poiché la loro attuabilità è messa in dubbio prima di essere verificata in tale sede”. L’Eurobarometro conferma che il 46% degli europei ritiene che “non si dovrebbe avviare un’impresa se c’è il rischio che possa fallire” (negli USA i rinunciatari sono meno del 25%). Gli europei considerano la scarsità di capitali disponibili nella fase di avviamento come l’ostacolo principale (76%) alla creazione di un’impresa, assieme alla complessità delle procedure burocratico-amministrative (69%). C’è un altro punto importante, sottolineato dalla Commissione. In Europa “i rischi associati all’imprenditorialità non sono adeguatamente bilanciati dalla prospettiva di una rimunerazione. Un imprenditore che fallisce porta il marchio del fallimento. Oltre alla condanna sociale, il fallimento personale comporta pesanti conseguenze giuridiche. La li- quidazione dei crediti rimanenti può richiedere anni e gli imprenditori falliti rischiano di perdere il loro patrimonio e di subire restrizioni. Tali conseguenze sono giustificate in caso di frode o disonestà; il fallimento è però una componente intrinseca della vita eco- nomica e numerosi imprenditori falliscono in quanto non riescono ad essere competitivi sul mercato. La legislazione in tema d’insolvenza andrebbe riesaminata per ridurre gli 20 ostacoli e dare una nuova possibilità agli imprenditori onesti. Ovviamente non vanno danneggiati gli interessi dei creditori, che diventerebbero più riluttanti ad investire in piccole e nuove imprese”. Gli europei che preferirebbero avviare una nuova impresa sono più del doppio di quanti accetterebbero di rilevarne una esistente. Rilevare un’impresa tuttavia può rap- presentare un’alternativa interessante che comporta rischi inferiori. In Austria ad esempio il tasso di sopravvivenza dopo cinque anni è del 96% per le imprese rilevate, contro il 75% delle nuove imprese. Si prevede che nei prossimi dieci anni circa un terzo delle imprese dell’Unione europea cambierà proprietario a causa di pensionamenti o di altre ragioni, il che aprirà numerose possibilità di rilevare imprese esistenti. Ma come creare nuova imprenditorialità? La Commissione punta sull’istruzione e la formazione professionale, con program- mi universitari che escono dalle facoltà economiche: “Nei politecnici per esempio questo tipo di formazione può contribuire a combinare potenzialità imprenditoriali e tecnologi- che. Il legame tra educazione imprenditoriale e programmi di ricerca pubblica consente di stabilire un nesso tra eccellenza scientifica e commercializzazione dei risultati”. Un giudizio positivo è stato formulato anche sul ruolo svolto dagli incubatori d’im- presa (più di 850 attivi nel territorio dell’Unione). Ma il libro verde raccomanda partico- lare attenzione per le donne e per altri gruppi sottorappresentati. Ad esempio, le aziende gestite da imprenditori che appartengono a minoranze etniche dimostrano capacità e po- tenziale elevati, ma “questa categoria di imprenditori sembra beneficiare in misura infe- riore alla media dei servizi pubblici di sostegno alle imprese e non ha molti contatti con le organizzazioni imprenditoriali”. La Commissione Europa si è impegnata a migliorare la qualità delle norme che regolano l’attività di impresa: tra le iniziative avviate, ricordiamo l’elaborazione di re- quisiti minimi per la consultazione sui nuovi provvedimenti e un approccio sistematico alla valutazione dell’impatto delle nuove norme. Anche provvedimenti fiscali adeguati possono contribuire allo sviluppo, alla cre- scita e alla sopravvivenza delle imprese. Il libro verde riconosce che la struttura e la com- plessità del sistema tributario influenzano la capacità di espansione delle imprese e costi- tuiscono di per sé un onere amministrativo per gli imprenditori. Quanto al problema del credito, “l’Europa dovrebbe continuare a sviluppare i mer- cati dei capitali di rischio come alternativa ai prestiti bancari. Sebbene nel 2001 circa 7.000 imprese europee abbiano ottenuto finanziamenti nella fase di avviamento o di espansione da fondi di capitale di rischio, si trattava primariamente d’imprese ad alta tecnologia e in rapida crescita”. Il documento insiste infine sull’importanza dell’innovazione, della ricerca e dell’in- ternazionalizzazione. 21 Scheda n. 2 INCUBATORE E VENTURE CAPITALIST Gli incubatori prendono per mano le aziende, partendo da un’idea o poco più e le ac- compagnano, se tutto va bene, fino in borsa, alla cosiddetta Ipo (offerta pubblica iniziale). Quindi svolgono un ruolo essenziale nella nascita e nello sviluppo di nuove iniziative im- prenditoriali. Altri nomi con cui vengono definiti sono Start up accelerator (Acceleratori della partenza) o Startupper. Per lanciare l’azienda i tempi sono ristrettissimi, 12 o 18 mesi al massimo. Nei primi sei mesi viene costruita l’azienda all’interno dell’Incubatore, che mette a disposizione gli uffici operativi e le competenze che al neo-imprenditore mancano e prov- vede anche ad un finanziamento iniziale definito seed capital. In cambio all’Incubatore/Acceleratore spetta una quota, solitamente di minoranza, del capitale della nuova azienda. Quando l’azienda è pronta a decollare si ha bisogno di altri soldi e l’Incubatore aiuta a trovare i capitali da altri finanziatori come i Venture capitalist e le Banche d’affari. L’In- cubatore può diventare così il ‘garante’ della neo-azienda sul mercato dei capitali. Il ventu- re capital è nato per finanziare la fase iniziale di piccole società ad alta potenzialità di svi- luppo. I venture capitalist valutano le idee degli altri e decidono di scommetterci il denaro raccolto sul mercato. Le imprese di venture capital prediligono l’ingresso nella fase inizia- le di vita di un’azienda, anche se il finanziamento può riguardare le fasi di espansione e di sviluppo o le ristrutturazioni. Le caratteristiche ricercate nella scelta dell’impresa su cui investire si concentrano sulle qualità del manager, sulla sua professionalità ed esperienza. Il modello operativo di investimento prevede una partecipazione societaria di mino- ranza, con l’acquisto di un pacchetto azionario tra il 10% e il 40%. La scelta è, così, quel- la di lasciare il manager libero di muoversi nella gestione della sua azienda. Per la quanti- tà minima di capitale da investire non c’è un vero e proprio obbligo di legge, ma sotto il miliardo diventa poco profittevole investire per i costi dell’operazione. Le caratteristiche fondamentali del venture capitalist sono: • è un investimento di lungo termine • è ad elevato rischio e ad alto potenziale di crescita • i professionisti del venture capital conferiscono all’investimento il valore aggiunto dato dalla esperienza professionale • l’obiettivo prevalente è di realizzare un guadagno in seguito allo smobilizzo della partecipazione. I venture capitalist possono essere società, generalmente emanazione di banche, as- sicurazioni, fondi pensione o grandi imprese oppure privati con un notevole patrimonio personale (Business Angel). In Italia alcuni tra i più famosi venture capitalist sono BainLab, Pino Ventures, Cirlab, Net Partners, TL Com, Alice Ventures, We-Cube, Biz2000, InCube, Europatweb, SpeedEgg e OneTOne. 22 L A B O R A T O R I O C PRIMA PROVA DI VERIFICA 23 L A B O R A T O R I O C Risposte esatte: 1) c; 2) d; 3) franchising; 4) falso, non la Sardegna ma la Campania; 5) le società; 6) b, d; 7) falso; 8) produzione, scambio; 9) continuativa, subordinazione, rischio; 10) b, d; 11) falso; 12) continuativa; 13) vin- colo di subordinazione, del datore; 14) c, e, f; 15) falso. Seconda Parte “QUALITÀ” DELL’IMPRENDITORE 1. La vocazione “imprenditoriale” ◆ Laboratorio A ◆ Laboratorio B 2. La creatività ◆ Laboratorio A ◆ Laboratorio B 3. Potenziare la creatività ◆ Laboratorio C 27 1. La vocazione “imprenditoriale” Come si fa a sapere se si ha una vocazione imprenditoriale o no? Le motivazioni che spingono a iniziare un’avventura imprenditoriale possono essere molteplici: la voglia di un cambiamento radicale di vita, il desiderio di la- sciare alle spalle il lavoro dipendente considerato abitudinario, la decisione che si prende al termine degli studi o di un percorso di formazione professionale di vo- lere essere padroni del proprio tempo, oppure il credere fermamente in un’idea e la voglia di investire sé stessi e un po’ di soldi nel tentativo di realizzarla. Queste sono le motivazioni che, in genere, si trovano alla base della “voglia d’impresa”. Ma è possibile valutare in anticipo la capacità di riuscire nell’intento del po- tenziale neoimprenditore? Prima di tutto, quali sono tali capacità? La prima qualità che un imprenditore deve possedere è la capacità organizzativa e, più in particolare, la capacità di far fronte a problemi di programmazione e pianificazione; occorrono quindi versatilità, flessibi- lità, capacità di assunzione dei rischi e di prendere decisioni in situa- zioni di incertezza. Per condurre un’impresa occorre poi trattare l’acquisto delle materie prime, organizzare e gestire la produzione, contattare i potenziali clienti, seguire le fasi di vendita e gestire i rapporti umani interni ed esterni all’a- zienda. Bisogna avere, pertanto, attitudine alle relazioni umane, intuito nell’anticipare e nel comprendere le esigenze dei clienti, nell’interpretare i mutamenti. Chi ha dato avvio ad un’attività afferma che tale esercizio presenta alcuni vantaggi indiscutibili, come quello di una autonomia di decisione e di una maggiore gratificazione, mentre chi la rifiuta dice che lo svolgi- mento di un’attività imprenditoriale sottopone a sforzi particolari, com- porta rischi economici, provoca stress, sottrae tempo libero. Pertanto, nel momento in cui si pensa ad un’impresa, è necessario valutare, cercando di essere il più onesti possibile con sé stessi, se si hanno i requisiti e le caratteristiche di cui si parlava precedentemente e se si è in grado di sopportare i rischi e i problemi che tale scelta comporta. 28 Nelle pagine seguenti si presenta una traccia di lavoro che può aiutare a verifi- care la propria “voglia di imprenditorialità” e a prospettare un bilancio personale degli svantaggi o dei vantaggi conseguenti. Il lavoro proposto si configura come un percorso di autoanalisi e di autova- lutazione. Il laboratorio A prevede due esercitazioni – dapprima si verifica la possibilità di trovare risposte convincenti alle obiezioni più frequenti che vengono addotte contro la possibi- lità di intraprendere un’attività in proprio (Ia esercitazione: “Che cosa ti impedisce di avere una tua attività? ”); – successivamente, in relazione ad alcune propensioni e interessi, si cerca di verificare la “vocazione all’imprenditorialità” (IIª eserci- tazione: “Mi piace...”). Una precisazione importante : i risultati ottenuti in questa ed in successive esercitazioni analoghe non vanno considerati un verdetto, né un verdetto definitivo. Va tenuto presente che, soprattutto gli adolescenti, che sono in giovane età, possono cambiare scelte. Molto comunque dipende anche dal- l’idea imprenditoriale. Il laboratorio B prevede una sola esercitazione – L’esercitazione ti porta a confrontare il tuo punto di vista con quello di un amico/conoscente per rilevare in che grado possiedi alcune caratteristiche tipiche di un imprenditore. Potresti scoprire che il tuo amico ti accredita di livelli di “qualità imprenditoriali” superiori a quelli che tu ti attribuivi, o al con- trario scopri che il tuo amico non è d’accordo con una tua valuta- zione un po’ troppo ottimistica (Ia esercitazione: “Come ti giu- dichi? Come ti vedono gli altri? ”). Iª Es.ne A IIª Es.ne A Iª Es.ne B 29 L A B O R A T O R I O A PRIMA ESERCITAZIONE 30 SECONDA ESERCITAZIONE L A B O R A T O R I O A 31 L A B O R A T O R I O B PRIMA ESERCITAZIONE 32 L A B O R A T O R I O B 33 2. La creatività Nel paragrafo precedente abbiamo individuato un gran numero di qualità che un imprenditore deve possedere. Esse valgono per qualsiasi imprenditore e per tutte le imprese. Ce n’è una, non menzionata, che occorre necessariamente avere nel caso del- l’avvio di una nuova impresa, ma che è importante anche ad impresa avviata: la capacità di produrre idee innovative. È richiesta sia nell’avvio di una nuova impresa, perché l’impresa “parte” da un’idea innovativa, sia in un impresa avviata, perché se non si producono idee in- novative continuamente, o almeno, in maniera ricorrente, l’impresa rischia di finire dopo una progressiva obsolescenza. Ma come si producono delle idee innovative? Noi abbiamo due tipi di pensiero: 34 Come è una persona creativa? – essere curioso, desideroso di novità, bisognoso di sentirsi stimolato, interessato a molte cose diverse; – provenire da un ambiente familiare di gente diversa; – non essere preoccupato delle opinioni altrui, essere amante del gioco, essere sicuro di sapersela cavare; – essere fantasioso, pieno di energia, tenace, capace di andare contro- corrente, in grado di assumere rischi; – essere dotato di spirito di competizione, di capacità riflessiva, di ana- lizzare criticamente gli avvenimenti, di ricominciare dopo uno stop; – essere disposto a sperimentare nuove soluzioni, capace di reagire atti- vamente ad un problema. In linea di massima possiamo dire che ci sono persone più orientate al pen- siero divergente e altre che hanno una più spiccata tendenza al convergente. Am- bedue i tipi di pensiero hanno una componente razionale ed una emotiva. Per essere creativi bisogna saperli integrare e portarli a sintesi: 35 Il Laboratorio “A” prevede una esercitazione Queste sono le caratteristiche che fanno esprimere e favoriscono la creatività. Prova a verificare quante ne possiedi e a quale livello. I risultati ti aiuteranno a comprendere com’è la tua posizione in una scala che va dalla “quasi paura dell’innovazione” ad un atteggiamento “portato al rischio e ad avere idee creative” (IIIª esercitazione: “Io sono...”). Il Laboratorio “B” prevede due esercitazioni IIª Rispetto alle novità, ai rischi, ai cambiamenti... che “ruolo” reciti? Quello del nostalgico, del gattopardo, dell’esploratore...? Ti vengono proposte vari “atteggiamenti tipici” che ti aiutano a sco- prire quello che ti è più abituale (IIª esercitazione: “Per me le novità, i cambiamenti, i rischi... ”). IIIª Molte delle barriere che impediscono alla nostra creatività di emer- gere trovano la loro origine in atteggiamenti e comportamenti che ognuno di noi mette in atto. Tuttavia, certe volte i singoli hanno delle idee creative, ma i contesti in cui operano le deprimono o uccidono. Per- tanto guarderemo anche alle caratteristiche delle organizzazioni e delle culture, che pongono barriere e deprimono la creatività. Cerca di vedere se l’ambiente dove lavori o studi possiede alcune di queste caratteristiche e scoprirai se sei nel posto giusto per sviluppare la tua creatività, o se ti conviene entrare in altri ambienti dove la tua creati- vità potrà essere sollecitata e favorita (IIIª esercitazione: “L’innovazione nel tuo gruppo”). IIIª Es.ne A IIª Es.ne B IIIª Es.ne B 36 TERZA ESERCITAZIONE L A B O R A T O R I O A 37 SECONDA ESERCITAZIONE L A B O R A T O R I O B 38 L A B O R A T O R I O B 39 L A B O R A T O R I O B INDICAZIONI PER LA VALUTAZIONE Da 20 a 35: è un ambiente che favorisce poco la creatività; Da 36 a 50: è un ambiente che non ostacola ma non favorisce la creatività; Da 51 a 65: è un ambiente dove la creatività può manifestarsi; Da 66 a 80: è un ambiente dove la creatività viene attivamente incoraggiata. TERZA ESERCITAZIONE 40 3. Potenziare la creatività Contrariamente a quanto si può pensare... creativi non solo ci si nasce, ma anche... ci si diventa. In altri termini: la capacità creativa può essere sviluppata, accresciuta, coltivata, aumentata? Se sì, come? Ti proponiamo nel Laboratorio “C” una serie di esercitazioni. ➡ Per fare questi esercizi devi avere presente un problema da risolvere o un desiderio da realizzare. Iª esercitazione: Tecniche per potenziare la capacità immaginativa Ognuno di noi possiede un tesoro di idee, di sogni, di desideri, di in- tuizioni, che spesso rimane nascosto in un angolo oscuro della nostra mente, sconosciuto a noi stessi e agli altri. Eppure, accedere a quel patri- monio di memorie, immagini, che anche in modo inconsapevole abbiamo accumulato nelle nostre menti, è importante sia per stimolare la nostra motivazione ad essere creativi, sia per favorire processi ideativi. Per- tanto, ti proponiamo alcuni esercizi per potenziare le tue capacità di acce- dere al tuo mondo fantastico (Iª esercitazione: “Tecniche di potenzia- mento della capacità immaginativa”). Iª Es.ne A. B. 41 Si può giocare senza essere creativi, ma è assolutamente impossibile l’inverso: essere creativi senza giocare. Le persone creative amano gio- care. Nel gioco come nel dormiveglia spesso emergono aspetti della no- stra personalità che sono nascosti nella vita di tutti i giorni. Per gioco si può osare su cose che non si farebbero mai sul serio. Galileo considerava la sua invenzione, il telescopio, come un giocattolo e solo utilizzandolo ne comprese le possibili risorse. I cinesi, per esempio, inventarono il razzo per creare un gioco per i loro bambini. A. Einstein faceva diversi giochi di immaginazione. Uno ricorrente era quello di cavalcare raggi di luce. Usare la sua immaginazione in questo modo l’aiutò sicuramente nell’impostazione della teoria della relatività. Ti proponiamo un’esercitazione, il “teatro della mente”, la cui effi- cacia è stata documentata in un famoso esperimento. I ricercatori hanno diviso alcuni studenti in tre gruppi. Il primo gruppo avrebbe dovuto esercitare con regolarità per venti giorni i tiri di basket. Il secondo gruppo non avrebbe dovuto fare assolutamente nulla. Il terzo gruppo avrebbe dovuto esercitarsi solo mentalmente. Alla fine dei venti giorni vennero analizzati i risultati: il secondo gruppo non riportò alcun cambiamento, la performance del primo gruppo migliorò del 24% e la performance del terzo del 23%. Questo esperi- mento mostrò come l’esercitazione mentale fosse equipollente a quella fisica. Molti scienziati creativi hanno avuto idee dai sogni. Ad esempio, Elias Howe non riuscì per anni a perfezionare la sua macchina per cucire, perché non riusciva a capire come poter collegare il filo all’ago. Una notte ebbe un incubo: dei cannibali gli ordinarono di completare la sua invenzione entro 24 ore o l’avrebbero mangiato vivo. Egli nel sogno non vi riuscì e i cannibali si scagliarono contro di lui con delle particolari lance che avevano un forellino vicino alla punta. Dal sogno Elias Howe trasse l’idea di fabbricare gli aghi della sua macchina da cucire con dei fori sulla punta, portando a termine l’invenzione. Friedrich Kekule, grazie al sogno di un serpente che si avvolgeva a spirale, comprese, dopo anni di studio sulla struttura della molecola del benzolo, che essa aveva una forma esagonale. Fu un’importantissima scoperta per la chimica organica. Quando pensiamo e analizziamo un no- stro sogno non dobbiamo considerare le immagini solo letteralmente. Cerchiamo di dargli un significato simbolico e sarà più facile avere ri- sposte creative. I sogni sono un’importante risorsa: per loro tramite, il nostro sub- conscio comunica con il nostro livello più conscio. C. D. E. 42 IIª esercitazione: Tecniche per aiutare ad uscire dagli schemi e ridefinire i problemi a) Fuori degli schemi È molto importante compilare spesso questi esercizi per allenare i muscoli del cervello che sono utilizzati in maniera abitudinaria e stereotipa e per generare idee attraverso il pensiero laterale, un modo non ortodosso e apparentemente illogico di affrontare e risolvere i problemi. Questa esercitazione contiene, già nel titolo, un messaggio molto chiaro: per risolvere alcuni problemi non sono sufficienti i percorsi logici abituali, anzi questi possono costituire degli ostacoli. È opportuno, per- tanto, andare fuori dagli schemi soliti o addirittura affidarsi alla fantasia (IIª esercitazione: “Fuori dagli schemi ”). b) Ridefinire i problemi Le tecniche di questo tipo di esercizio si basano su due convinzioni: – il descrivere bene il problema aiuta a trovare le soluzioni migliori. Infatti il modo in cui si descrive un problema porta a considerare certe variabili su cui agire, mettere in luce altri aspetti del problema, non considerati solitamente, trovare idee su come risolverlo. – il trovare la giusta distanza emotiva e cognitiva è un bene. Se uno è troppo co- involto, troppo vicino al problema, può percepirlo in modo troppo soggettivo. Le esercitazioni proposte, (I problemi hanno molte facce, I Cappelli, Interlogo) sono state costruite su questi presupposti ed offrono dei “per- corsi formalizzati”, degli “itinerari mentali” che aiutano ad analizzare un problema da diversi angoli e ad ipotizzare possibili soluzioni. Per verificare l’efficacia delle prime due tecniche abbiamo proposto un esempio “Come diventare meno gelosa e possessiva ”, per verificare la bontà della terza abbiamo proposto un esempio aziendale: “I problemi che incontra una giovane lavoratrice con un suo collega neo-assunto ”. (IIª esercitazione: “I problemi hanno molte facce; I cappelli; In- terlogo”) IIª Es.ne IIIª Es.ne 43 PRIMA ESERCITAZIONE L A B O R A T O R I O C 44 L A B O R A T O R I O C 45 L A B O R A T O R I O C 46 L A B O R A T O R I O C SECONDA ESERCITAZIONE 47 L A B O R A T O R I O C 48 L A B O R A T O R I O C 49 L A B O R A T O R I O C 50 L A B O R A T O R I O C 51 L A B O R A T O R I O C 52 L A B O R A T O R I O C 53 L A B O R A T O R I O C Terza Parte L’IDEAZIONE E IL BUSINESS PLAN 1. L’idea imprenditoriale ◆ Laboratorio A ◆ Laboratorio B 2. Il business plan 2.1. Definizione di finalità 2.2. La struttura 2.3. La “forma” del business 57 1. L’idea imprenditoriale Per diventare imprenditori occorre avere soprattutto un’idea! Se si guardano le storie degli imprenditori si vedrà che tutto è cominciato non dai capitali o dall’avere alle spalle una famiglia importante, ma dal fatto che alla base dell’iniziativa imprenditoriale c’era un’idea! È della fine del 1998 la copertina che la prestigiosa rivista economica “For- tune” ha dedicato ad un giovane imprenditore italiano, Adrio De Carolis, il quale nel 1988 ha creato in un garage, alla periferia di Milano, un’azienda informatica che oggi occupa circa 60 persone e fattura oltre 9 milioni di dollari! L’azienda si occupa di produzioni hi-tech, dai cd-rom alle pagine web. Un altro che ha cominciato nel garage di casa è Nerio Alessandri. Il suo nome ci dice forse poco, ma quello del suo marchio, Tecnogym, molto di più. Anche Alessandro ha cominciato giovanissimo, nel 1983, a Gambettola, vi- cino a Cesena. Appassionato in meccanica fin da ragazzino, diplomato perito, quando si accorse che in palestra mancavano macchine per allenarsi ne inventò una. Cominciò con una pressa per flessioni accosciate. Oggi la sua azienda è la seconda al mondo dopo la Life Fitness e fra le prime dieci società al mondo che producono attrezzature per il fitness; la sua è l’unica non americana. In queste storie di straordinario c’è solo il successo. Resta il fatto che qualsiasi attività imprenditoriale si voglia tentare, dalla più ambiziosa a quella più modesta, dalla più innovativa alla più tradizionale, come aprire una bottega artigiana o un negozio, deve partire da un’idea. Il problema non è avere solo un’idea (voler aprire ad esempio uno studio di architettura d’interni) ma un’idea “giusta” (in un quartiere “di livello”) e “realiz- zabile”. giusta realizzabile 58 GIUSTA Avere un’idea giusta significa in ultima analisi avere delle persone disposte ad acquistare un bene o da te prodotto o venduto o un servizio da te prestato. In altri termini significa che il prodotto e il servizio della possibile impresa tendono a soddisfare bisogni ed esigenze reali. REALIZZABILE Avere un’idea realizzabile significa che è effettivamente possibile realizzarla perché ci sono le condizioni di carattere tecnico e finanziario. Verificare la bontà e la fattibilità di un’idea significa fare un business plan, cioè un piano d’impresa, ma di questo ci occuperemo tra un pò. Per ora vediamo, con le esercitazioni che seguono, se hai qualche idea che potrebbe diventare impresa, cioè un’idea per realizzare un pro- dotto o un servizio che soddisfi un bisogno di persone disposte a pagarti tale prodotto o tale servizio. Se ancora non hai un’idea ti proponiamo delle opportunità che po- trebbero ... fartela venire. Laboratorio A La prima esercitazione intende verificare... il fiuto degli affari, misu- rando la capacità di produrre idee imprenditoriali “giuste”. Il primo passo è rappresentato dalla chiara individuazione di tutte le tipologie di persone potenzialmente interessate al bene e al servizio nei ruoli di decisori, acquirenti, consumatori. Talvolta può essere la stessa persona e talvolta invece sono due o tre persone diverse. Che cosa significa questo quando si sta per spendere dei soldi per lanciare un’idea d’impresa? Su chi si dovrebbe puntare? Perché? (Iª esercitazione: “Come guadagnare un po’ di soldi”). Iª Es.ne A 59 È più produttivo trovare idee da solo o in gruppo? Il gruppo dà un valore aggiunto? Se sì, quale? La seconda esercitazione aiuta ad esplorare queste problematiche (IIª esercitazione: “Mi serve per...”). Dietro tutti i problemi, si celano occasioni per qualcuno. Una persona che ha un problema è una persona che ha un bisogno. Se c’è un numero sufficiente di persone che hanno bisogni simili, c’è un mercato potenziale. Esercitarsi a individuare questi gruppi di utenze a parti- re dalle situazioni più “quotidiane” è un’operazione da farsi... “quotidiana- mente” (IIIª esercitazione: “Trovare soluzioni con il brainstorming”). Fabbricare qualcosa? Comprare e vendere un bene? Offrire servizi? È importante parlarne in gruppo. Non però, alla rinfusa, ma seguendo un filo logico, o magari utilizzando, come guida, una griglia (IVª esercita- zione: “Fabbricare, commerciare, offrire servizi ”). Laboratorio B Allenarsi a scoprire i “problemi” che possono diventare opportunità imprenditoriali a partire dal proprio contesto di vita, addirittura da quello amicale: è questa la filosofia da cui prende le mosse questa esercitazione (Iª esercitazione: “Scopri i bisogni di chi ti sta vicino ”). Inizia da questa esercitazione un percorso in due tappe. La prima è rappresentata dalla ricerca delle fonti d’informazione e viene proposta ora; la seconda è rappresentata dalla sistematizzazione delle informazioni che verrà proposta nella quarta parte. È indispensabile far passare un’idea imprenditoriale da un iniziale stato “nebuloso” ad uno stato di maggiore “definizione”. Per operare tale passaggio occorre disporre del più gran numero di informazioni e dati. Per entrare in possesso delle informazioni occorre individuarne le “fonti” (documenti cartacei e/o informatici o persone ed uffici...). Se si ha un’idea imprenditoriale si può cominciare a cercare fonti, magari con una navigazione su internet. Se invece non è stata maturata nessuna idea, vengono proposti, in 3 allegati, elenchi o brevi descrizioni di occupazioni, attività, lavori (tradi- zionali o innovativi) che possono suggerire idee d’impresa. Se qualcuna delle attività proposte attrae o comunque merita un’attenzione si può ri- correre ad internet ... alla ricerca di “fonti di informazioni”. I dati raccolti possono essere sistematizzati in una griglia (IIª esercitazione: “Alla ri- cerca di un’idea”). IIª Es.ne A IIIª Es.ne A IVª Es.ne A IIª Es.ne B Iª Es.ne B 60 PRIMA ESERCITAZIONE L A B O R A T O R I O A 61 SECONDA ESERCITAZIONE L A B O R A T O R I O A 62 L A B O R A T O R I O A TERZA ESERCITAZIONE 63 L A B O R A T O R I O A terza esercitazione - continua 64 QUARTA ESERCITAZIONE L A B O R A T O R I O A 65 quarta esercitazione - continua L A B O R A T O R I O A 66 PRIMA ESERCITAZIONE L A B O R A T O R I O B 67 SECONDA ESERCITAZIONE L A B O R A T O R I O B 68 ALLEGATO A ELENCO DI ATTIVITÀ PROFESSIONALI RELATIVE AD ALCUNE AREE OPERATIVE L A B O R A T O R I O B 69 L A B O R A T O R I O B 70 ALLEGATO B ELENCO DI ATTIVITÀ PROFESSIONALI RELATIVE ALLA NEW ECONOMY L A B O R A T O R I O B 71 L A B O R A T O R I O B 72 L A B O R A T O R I O B 73 ALLEGATO C ELENCO DI ATTIVITÀ PROFESSIONALI IN “ESPANSIONE” 74 75 76 77 78 79 80 ALLEGATO D ESEMPI DI ORGANIZZAZIONE DELLE INFORMAZIONI RELATIVE ALLE FONTI 81 82 83 Scheda n. 3 CERCARE ON LINE Un primo modo per usare Internet è cercare on line quello che normalmente cer- cheresti andando in giro per Associazioni, biblioteche..., dal momento che buona parte del patrimonio informativo di enti, associazioni, istituzioni e vari è stato trasferito nei loro siti. È probabile che non troverai tutto, per cui qualche giro per segreterie e uffici ti toccherà, ma la ricerca su Internet fornirà comunque un’informazione più allargata, grazie alla potenza dei link che per ogni argomento potranno suggerire percorsi di ricerca che non avevi pensato. Come si cercano le informazioni in Internet? Abbiamo a disposizione strumenti che fanno per te gran parte del lavoro: sono i motori di ricerca, gli “investigatori” della rete, che in base alle nostre direttive vanno alla ricerca di pagine e documenti. La ricerca avviene per parole chiave e la bravura è riuscire a sceglierle talmente bene da circoscrivere la ricerca in modo da far comparire solo risultati significativi. L’obiettivo non è tirare fuori un gran numero di risultati, la maggior parte dei quali non vengono nemmeno letti, ma ridurre il numero delle estrazioni aumentando la loro si- gnificatività. Ci guidano in questa attività i cosiddetti operatori booleani (and, or, near, not sono i principali) che consentono di legare in modo speciale le parole chiave o fare ricerche su più di una, in modo da massimizzare i risultati utili. Istruzioni su come usarli al meglio si trovano in tutti i motori di ricerca. Altro grande aiuto che viene dai motori di ricerca sono le directory , raccolte di siti organizzati per categorie e sotto-categorie (arte, divertimenti, istruzione, aziende...), alimentate e aggiornate grazie ad un lavoro di tipo redazionale. Rispetto ai motori di ricerca dunque, il numero dei siti censito è limitato, però aumenta la percentuale dei risultati utili dal momento che si tratta di collegamenti ragionati, effettuati da chi ha già fatto per noi una ricerca. Proprio per questo, l’indicazione che se ne ricava è solo la se- gnalazione di un sito e non di singole pagine in cui trovare le specifiche informazioni richieste. Può essere il primo passo da fare quando si sa a grandi linee l’ambito in cui cercare, prendendo poi spunto dai risultati per andare avanti usando il motore di ricerca, è utile inoltre quando si indaga su aziende concorrenti in quanto facilmente ricercabili per categoria merceologica. Un accenno ai meta-motori che altro non sono che motori di ricerca che consen- tono di cercare simultaneamente con più motori di ricerca, aumentando così le proba- bilità di trovare quello che si sta cercando: alcuni esempi per tutti: www.mamma.com, www.metacrawler.com, www.metasearch.com. Altra fonte di informazioni utili sono i portali verticali, i cosiddetti “Vortali”, che si distinguono dai tradizionali portali generalisti, e quindi trasversali a più argomenti e temi, proprio perché sono specializzati per settore. La loro utilità sta nella possibilità di studiarli per ricostruire la logica di un settore, dal momento che nascono proprio per agevolare gli scambi e le interazioni che avvengono all’interno. Di solito hanno nomi rubati ai settori di riferimento per cui puoi provare a cercarli utilizzando quelli come parole chiave. 84 2. Il business plan 2.1. Definizione e finalità Si diceva in chiusura del paragrafo precedente che la verifica dell’idea im- prenditoriale è affidata al business plan, cioè al piano d’impresa. Il business plan ha la funzione di far esplicitare scelte e raccogliere e si- stematizzare informazioni, al fine di valutare se l’idea imprenditoriale, come si diceva nel paragrafo precedente, è “giusta” ed è “fattibile”. 2.2. La struttura Non esiste un modello prestabilito per la presentazione del business plan. Vi sono tuttavia dei requisiti minimi di forma e contenuto dai quali non si può prescindere. Cominciamo dagli aspetti contenutistici. Contenuto del business Il business plan è costituito da diverse parti, ognuna delle quali sviluppa pro- blematiche aziendali diverse: 1. descrizione analitica dei servizi o dei prodotti che si intende vendere: sono da approfondire i bisogni che si intende soddisfare e i potenziali utenti a cui ci si rivolge; 2. informazioni sul settore di riferimento e analisi del mercato: consiste nella raccolta di analisi che permettono di definire la dimensione e il tasso di sviluppo del mercato in cui si prevede di inserirsi (analisi dell’area geografica in IL FINANZIATORE ESTERNO che eventualmente eroga il finanziamento L’IMPRENDITORE che ha avuto l’idea CHI VALUTA 85 cui si opera con un occhio particolare alla tipologia del consumatore finale, indi- cando il comportamento d’acquisto, i bisogni, le preferenze ecc. e la definizione dei mercati di approvvigionamento, con la specifica dei principali fornitori e del loro potere contrattuale); 3. individuazione degli spazi di mercato su cui posizionarsi; 4. studio dei concorrenti: lo studio riguarda i punti di forza e di debolezza e le loro quote di mercato; inoltre riguarda la definizione dell’intensità di attrattiva di nuovi concorrenti del settore area in cui si opera; 5. definizione degli obiettivi di mercato da raggiungere e delle strategie per raggiungerli; 6. messa a punto della struttura aziendale e definizione delle risorse umane; 7. individuazione della forma giuridica dell’azienda; 8. strategia economico-finanziaria con previsioni di conto economico, stato patrimoniale, flussi di cassa e fabbisogno previsto di cassa. Il business plan è costituito perciò da un insieme di piani che sintetizzano le politiche delle diverse funzioni ed attività aziendali: La lettura del BUSINESS PLAN permette perciò di acquisire le informazioni e gli elementi necessari • per valutare la capacità della persona a realizzare il progetto d’impresa; • la validità dei servizi sul piano tecnico e commerciale; • l’adeguatezza delle strategie e dei mezzi di penetrazione sul mercato; • la fattibilità economica, finanziaria e tecnica. Il business plan è un vero condensato dell’idea imprenditoriale, una specie di impresa simulata, una proiezione che vuole prevedere che cosa accadrà quando l’impresa sarà effettivamente realizzata. 86 Preparare il business plan richiede tempo e dedizione. Non si tratta di una semplice descrizione dell’attività che si intende avviare, né di un promemoria sulle principali spese da sostenere e sui fornitori da contattare. Il business plan è un pro- getto dettagliato, che getta le fondamenta della nuova impresa e le garantisce mag- giori probabilità di sopravvivenza. La verifica della fattibilità è un percorso lungo e difficile, che si ottiene solo dopo un insieme di elaborazioni, di raccolta di dati e di informazioni; esso rappre- senta il risultato finale di un impegnativo lavoro che permette di passare dall’idea all’avvio, dal progetto alla sua realizzazione. Questo percorso viene riproposto, tappa dopo tappa, con l’elaborazione del business plan. Ed è questo il percorso che faremo nella nostra Guida. Per evidenziare tale percorso indichiamo capitoli e paragrafi dove verranno trattati gli argomenti. 87 2.3. La “forma” del business Il linguaggio Nella redazione del business plan, l’aspirante imprenditore deve scrivere in modo sintetico, ma non troppo stringato. Deve utilizzare un linguaggio tecnico, ma non specialistico. Deve fornire dettagli, ma non dati superflui. Questi consigli sono utili, ma spesso difficili da interpretare. La lunghezza Qual è la corretta definizione di «sintetico»? 10, 20, o 50 pagine? Non esiste una risposta unica. Il buon senso è il metro che deve aiutare il neo-imprenditore a preparare il progetto, tenendo presente che lo stesso può avere diversi destinatari e necessitare perciò di forme di presentazione differenziate. La copertina Ha la funzione di prima presentazione del prodotto. È la prima cosa che un va- lutatore avrà sotto gli occhi e contribuirà notevolmente a dare una prima impres- sione di quello che potrebbe essere il contenuto, soprattutto in termini di forma e capacità espositiva. Ciò che deciderà la bontà o meno dell’idea sarà la congruità, l’attendibilità, l’accuratezza dei dati e delle analisi riportate nel business plan, ma una buona presentazione aiuterà a vendere l’idea e a farne apprezzare maggior- mente i punti forti. In copertina andrà generalmente indicata la denominazione dell’imprenditore, il titolo dell’iniziativa imprenditoriale, sintetico ma comprensibile, e la data di re- dazione. È comunque opportuno riportare anche il marchio o logo dell’imprendi- tore, se già esistente, o una illustrazione attinente all’idea imprenditoriale, ed il nome degli imprenditori, se pochi, o di chi ha redatto il business plan. Fondamentale ai fini di migliorare la presentazione del prodotto, il tipo di rile- gatura del business plan, tale da renderne più gradevole l’aspetto ma senza dimen- ticare il criterio fondamentale di facile consultabilità, trasportabilità ed eventuale riproduzione di singole parti dello stesso. Indice dei contenuti Ha il duplice scopo di: – costringere a strutturare logicamente il lavoro; – facilitarne la lettura e la comprensione al valutatore. 88 È pertanto opportuno che l’indice contenga un sufficiente livello di dettaglio e contribuisca ad evidenziare e facilitare la consultazione dei punti salienti dell’idea imprenditoriale. Executive summary Il business plan deve essere preceduto da un Executive Summary , un riassunto del documento che, in una o due pagine al massimo, riassuma l’iniziativa, gli obiettivi, le strategie, i costi, i finanziamenti richiesti e l’uso che si intende fare degli stessi. Tale riassunto ha lo scopo di stimolare il proseguimento della lettura del bu- siness plan stesso evidenziando gli aspetti favorevoli del progetto e vendendone l’idea di impresa. Ricordatevi che non siete gli unici a presentare potenziali idee imprenditoriali a potenziali finanziatori. Chi si trova nella posizione di valutare la vostra idea è spesso oberato di lavoro e alle prese con decine di progetti come il vostro. Il tempo a sua disposizione è esiguo. Capirete a questo punto come la let- tura della descrizione sintetica sia l’unica occasione che avete per convincerlo a proseguire la lettura e andare ad esaminare la vostra idea in dettaglio. Una pagina è sufficiente, due potrebbero essere già troppe. Profilo professionale dei proponenti Questa parte riguarda le esperienze e le competenze di ciascun partecipante all’iniziativa. Riporterà sinteticamente le qualità personali che potrebbero risultare critiche per il buon esito del progetto. Fornirà pertanto al valutatore una idea di massima sulla preparazione profes- sionale dei partecipanti in funzione delle operazioni necessarie per l’avviamento e lo sviluppo dell’attività imprenditoriale così come delineate nel business plan. Occorrerà indicare almeno il nome, l’età, la formazione, le principali espe- rienze lavorative. Descrizione del progetto È l’esplosione del riassunto del documento che, in precedenza, in una o due pagine al massimo, si era riassunto l’iniziativa. Gli allegati In allegato vanno riportati tutti quei dati non strettamente attinenti agli aspetti strategici e operativi del business plan ma che hanno costituito la base per la valu- tazione del progetto o che danno l’opportunità di effettuare ulteriori approfondi- menti sulla validità o meno dell’idea. In allegato per esempio si possono riportare ricerche di mercato e altri dati che servano a sostenere le nostre previsioni di vendita o che evidenzino l’esistenza del 89 bisogno da soddisfare che sta alla base della iniziativa imprenditoriale (l’opportu- nità di business). Possono riportarsi ulteriori analisi di dettaglio e informazioni documentali di alcune scelte effettuate, come ad esempio la scelta di una tecnologia invece di un’altra. Altri allegati possono essere i prospetti che aiutano la valutazione dell’idea imprenditoriale come ad esempio il curriculum dell’azienda se già esistente o i curricula vitae dei neo imprenditori nel caso di uno start up. Gli scettici ritengono che la pianificazione scritta sia una perdita di tempo. Ma gli esperti dimostrano che è meglio perdere uno o più mesi, piuttosto che chiudere l’azienda, poco dopo averla avviata. Elaborare un piano scritto della propria idea d’impresa, oltre al tempo e a una piena dedizione, richiede uno sforzo intellettuale superiore alla semplice immaginazione. L’entusiasmo iniziale per la nuova idea spesso induce l’aspirante titolare d’azienda a minimizzare i dati non favorevoli al progetto, o addirittura a non considerarli. Le ricerche pratiche per compilare il bu- siness plan possono evidenziare dati prima sconosciuti all’imprenditore, con i quali dovrà confrontarsi se non vuole rischiare di fallire. In termini poi di comunica- zione, il progetto di impresa è la carta di identità dell’imprenditore. Parla di lui, della sua serietà e del suo impegno. È uno strumento importante per farsi cono- scere prima, ed eventualmente finanziare poi. E non è tutto. Il business plan non è utile soltanto in fase di avviamento, ma ha un grande ri- lievo come strumento di gestione, perché consente di non perdere mai di vista quali sono gli obiettivi dell’azienda e di controllarne l’andamento. Quarta Parte IL PROGETTO D’IMPRESA 1. Specificazione dell’idea di business 2. Analisi di mercato 3. Piano marketing 3.1. Definizione della quota di mercato 3.2. Studio della concorrenza 3.3. Definizione delle strategie di ingresso e di competizione 4. Piano di produzione: La messa a punto della struttura aziendale 5. Piano del personale: La definizione dell’organigramma 93 1. Specificazione dell’idea di business Per prima cosa bisogna avere le idee chiare sul tipo di prodotto che si intende commercializzare. Tante sono le domande da porsi: si tratta di un prodotto materiale o di un ser- vizio? Rientra nella categoria dei beni industriali, o in quella dei beni di consumo? È un bene di consumo immediato o durevole? Fa parte di un gruppo di prodotti standard e difficilmente distinguibili tra loro o appartiene alla categoria dei pro- dotti differenziabili? È un bene di recente introduzione o completamente nuovo o è già conosciuto dal mercato? È un bene di lusso o di prima necessità? Il suo con- sumo è costante o segue un andamento stagionale? Tutte queste domande con cui si specifica l’idea di business possono essere ricondotte a due interrogativi fondamentali: In sintesi per quanto riguarda il tipo di bene: 94 Per quanto riguarda gli elementi che compongono il sistema di prodotto/ser- vizio generalmente si pensa che le caratteristiche materiali del prodotto o del ser- vizio rappresentino l’elemento più importante dell’offerta aziendale. In molti casi, invece, altri elementi possono assumere un rilievo particolare diventando, a volte, persino più importanti delle caratteristiche materiali. Per quanto riguarda la gamma dei prodotti o dei servizi offerti, alcune aziende, ad esempio, impostano la loro strategia sulla capacità di risolvere il problema del cliente in tutti i suoi aspetti, altre solo su aspetti specifici; si può anche notare che il confronto con la concor- renza non avviene tanto sul prodotto o sul servizio principale quanto dai servizi collaterali o dalle modalità di pagamento. 95 2. Analisi di mercato Spesso accade che l’aspirante imprenditore si lasci prendere dall’entusiasmo per la sua idea e avvii la propria attività senza chiedersi se il suo prodotto sarà poi venduto o meno. Anche se il progetto in sé stesso è di buona qualità, è indispensabile assicu- rarsi in via preliminare che esso risponda ad effettivi bisogni del mercato, siano questi chiaramente espressi o solo latenti. Non solo: oggi sono in molti a ritenere che il grado di soddisfazione della clientela sia la misura più significativa del valore del prodotto. L’obiettivo base, dunque, che un neo imprenditore si prefigge è quello di capire se: Per sciogliere tale dilemma occorre realizzare l’analisi del mercato. Le informazioni di cui necessita il neo-imprenditore, riguardano: ➯ l’esistenza e l’ampiezza di un mercato ➯ i fattori che incidono sull’acquisto del bene/servizio ➯ i fattori che possono favorire l’acquisto ➯ i ruoli che hanno nell’acquisto gruppi e persone. In sintesi le domande che si deve porre sono: 96 A B C D * esiste una domanda? * quanto è grande il mercato? * che percentuale del mercato si ipotizza possa rivolgersi alla nuova impresa? quali sono i fattori che incidono sul processo di acquisto? quali sono i fattori che influenzano la domanda? quali sono i gruppi/persone che hanno i diversi ruoli di acquisto? • cultura • classe sociale • sensibilità all’influenza del gruppo di appartenenza • motivazioni • personalità • fattori cognitivi • evoluzione dei gusti e dei bisogni • prezzo • prezzo dei beni complementari o sostitutivi • livello di reddito della popolazione • intensità, sforzo pubblicitario e distributivo • grado di saturazione del mercato • iniziatore: colui che per primo manifesta il bisogno • influenzatore: chi condiziona la scelta del tipo di prodotto e della marca • decisore: decide cosa, quanto, dove e quando acquistare • acquirente: compie l’atto dell’acquisto • utente: utilizza il prodotto 97 3. Piano di marketing Il marketing si preoccupa a) di definire a chi vendere che cosa vendere come vendere b) di programmare azioni conseguenti 3.1. Definizione della quota di mercato Una volta stabilito che ci sono delle possibilità di mercato per il proprio pro- dotto-servizio, il neo-imprenditore deve identificare, con maggiore precisione, gli spazi di mercato in cui collocare il proprio prodotto-servizio. Il neo-imprenditore, cioè, si deve porre la domanda: Per identificare tali spazi occorre esplorare il mercato utilizzando i seguenti criteri: 98 Per l’analisi del mercato e per l’esplorazione del mercato al fine della indivi- duazione della propria quota è necessario individuare fonti di informazione, recu- perando studi già fatti e/o proponendo ricerche di mercato. Come si fa una ricerca di mercato? Per programmare una ricerca di mercato è importante: – identificare il problema a cui vogliamo dare una risposta; – definire gli obiettivi della ricerca (evidentemente direttamente collegati al primo punto); – individuare le fonti di informazione; – raccogliere le informazioni a tavolino (è indispensabile studiare il materiale già disponibile sull’argomento per evitare domande inutili e per costruire un’ipotesi di risultato); – raccogliere delle informazioni sul campo attraverso colloqui, interviste, questionari presso consumatori e altre fonti; – analizzare e rielaborare i dati in funzione degli obiettivi. 99 Quando si ipotizza una ricerca di mercato è necessario, come prima opera- zione, individuare quali sono le informazioni già disponibili e quali altre sono ne- cessarie per l’inizio dell’attività. Le possibili fonti di informazione sono: – pubblicazioni e statistiche ufficiali redatte da enti pubblici che rivelano l’andamento dell’economia, i consumi pro capite... (es. ISTAT); – giornali, riviste, pubblicazioni economiche, tra le quali quelle delle varie as- sociazioni di categoria; – ricerche di tipo sociologico sull’andamento produttivo che vengono con- dotte da società quali: NIELSEN, DATABANK, CENSIS, DOXA, FROST AND SULLIVAN; – associazioni di categoria, istituti, banche, che spesso dispongono di infor- mazioni utili sia per capire l’andamento del settore, sia per ragioni opera- tive. Alcuni enti od organizzazioni hanno propri sistemi informativi che mettono a disposizione degli associati; – utenti, fornitori, clienti possono fornire una grossa quantità di informazioni attraverso visite, telefonate, riunioni; – se il futuro imprenditore ha un’esperienza lavorativa nello stesso settore, può raccogliere dati quali resoconti di vendita, prezzi, condizioni di paga- mento, schede clienti e fornitori, assistenza vendita, fatturato per area. Il materiale raccolto durante questa fase “esplorativa” permette di capire se esistono delle problematiche per le quali è conveniente sviluppare una ricerca di mercato finalizzata. In caso positivo, sarà conveniente rivolgersi ad enti ed istituti specializzati in quanto sono in grado di scegliere il metodo e lo strumento più adatto al problema da risolvere. Il lavoro può, infatti, essere impostato diversamente a seconda degli obiettivi da raggiungere. Si possono commissionare ricerche di mercato al fine di effettuare indagini previsionali (situazione immaginata in un determinato futuro), quantitative, quali- tative (chi, cosa, quando, quanto, come, dove), motivazionali (perché), e si pos- sono usare strumenti diversi quali questionari con raccolta dati qualitativi e quanti- tativi ed interviste motivazionali. Possono essere promossi test di mercato in un’area campione che va eseguita in particolare per prodotti nuovi utilizzando pro- totipi fabbricati in piccola serie. Dalle analisi precedenti il neo-imprenditore è in grado di stabilire il mercato cui rivolgersi. 100 Tale mercato si configura secondo tre tipologie fondamentali: Indifferenziato = offrire un prodotto/servizio in modo da raggiungere il maggior numero possibile di consumatori; Differenziato = offrire un prodotto/servizio per un particolare segmento della domanda; Concentrato = of frire a più segmenti della domanda diverse versioni del prodotto/servizio. 3.2. Studio della concorrenza Il successo della propria iniziativa non dipende solo dalla bontà del prodotto che si vende o dal suo rivolgersi ad un bisogno effettivo del mercato, specifica- mente individuato. Esso è determinato anche dalla capacità di porsi in modo nuovo e creativo nel contesto delle attività già esistenti. Perciò il fatto di conoscere le imprese che si occupano di prodotti/servizi si- mili ai propri è molto utile per avere dei punti di riferimento precisi, per definire strategie d’ingresso e strategie competitive. È opportuno considerare quella che in termini tecnici viene chiamata “l’inten- sità della concorrenza”, cioè i rischi che provengono da parte dei potenziali nuovi concorrenti (ossia le imprese che sono in grado di affrontare gli oneri che com- porta l’entrata nel settore in questione). Queste saranno tanto più numerose quanto minori sono gli ostacoli strutturali che rendono difficile per un’impresa entrare nel settore (barriera all’entrata). 101 Il neo-imprenditore, cioè, si deve porre la domanda: Le operazioni, pertanto, che il neo imprenditore deve effettuare sono le seguenti: 1) Individuazione delle imprese che offrono prodotti simili ai propri e che sa- ranno con ogni probabilità i concorrenti principali all’interno del segmento di mercato prescelto; 2) Analisi dei profili di tali imprese, per esplorarne potenzialità e criticità della concorrenza; 3) Definizione dell’intensità potenziale della concorrenza. Alcune note. Per quanto riguarda la seconda operazione, i punti deboli e forti della concor- renza possono essere studiati tenendo presente alcuni fattori: 1) economia di scala la concorrenza presenta un costo unitario di produzione che diminuisce con l’au- mentare della produzione 2) immagine la concorrenza è riuscita ad ottenere l’identificazione positiva della propria marca da parte dei clienti 3) qualità degli impianti e delle attrezzature la possibilità di utilizzare impianti e macchinari più efficienti o più moderni 4) fabbisogno di capitale spese e investimenti in immobilizzazioni tecniche, in R & S, in pubblicità, in scorte, in crediti alla clientela ... 5) risorse umane maggiore specializzazione dei lavoratori dipendenti 6) vantaggi/privilegi di natura diversa possesso di brevetti e/o di un know-how esclusivo, accesso privilegiato alle ma- terie prime o ai produttori di componenti-chiave, presenza di localizzazioni parti- colarmente favorevoli ... 7) reazione dei concorrenti a seconda della frammentazione del mercato 102 Per quanto riguarda, invece, la terza operazione, relativa alla misurazione della capacità di attrarre potenziali concorrenti che ha il settore dove intende ope- rare il neo-imprenditore, è opportuno richiamare i fenomeni che devono essere te- nuti sotto controllo e le relative conseguenze: 1 2 3 4 5 6 7 FENOMENI bassi tassi di crescita della domanda elevato livello dei costi fissi grado di differenziazione dei prodotti numero e dimensioni relative dei concorrenti livello delle economie di scala importanza strategica del settore presenza o meno di barriere all’uscita EFFETTI i concorrenti si sottraggono a vicenda quote di mercato tutte le imprese tentano di saturare la propria capacità produttiva e saranno disposte a vendere anche al di sotto del costo pieno pur di coprire almeno in parte i costi fissi una debole differenziazione favorisce la guerra dei prezzi le imprese tentano comunque di arrivare al volume di produzione necessario per raggiungere il costo di livello medio unitario più basso possibile le imprese ritengono la presenza in un settore o in un particolare mercato strategicamente rilevante e quindi sono disposte ad operare anche in perdita pressioni politiche e sociali per la difesa dei posti di lavoro, presenza di impianti specializzati non altrimenti utilizzabili, interdipendenze strategiche determinano la continuazione di una attività, anche in presenza di calo della domanda ed un acceso confronto competitivo I vari laboratori sono preceduti da una verifica (IIIª prova di verifica) e una scheda su “Gli strumenti di indagine” (Scheda n. 4). 103 Il laboratorio “A” prevede tre esercitazioni Dapprima si propone una esercitazione che aiuta sommariamente ad analizzare il mercato (Ia esercitazione: “Analisi del mercato”) Successivamente, utilizzando uno schema più articolato, si propone un percorso teso a esplorare il mercato, specificare un prodotto e ad ana- lizzare consistenza, tipologia, potenzialità e criticità della concorrenza (IIa esercitazione: “Prodotto, mercato, concorrenza” ). Infine, si approfondisce lo studio della concorrenza, esplicitando per ciascuno di loro i punti di forza e di debolezza (IIIª esercitazione: “I concorrenti”). Il laboratorio “B” sei esercitazioni Dando seguito ad una precedente esercitazione “Alla ricerca di un’idea: la ricerca delle fonti di informazione (Iª tappa)”, dove erano in- dividuate e reperite le informazioni, si passa ora alla loro sistematizza- zione, secondo sequenze logiche. L’esercitazione sviluppa un percorso articolato in tre fasi: – la definizione dell’opportunità imprenditoriale, – il soggetto imprenditoriale, – il mercato dell’opportunità imprenditoriale (la domanda e l’offerta). Su questo lay-out sono stati costruiti due cospicui esempi: I servizi per l’infanzia e Bed & breakfast (Ia esercitazione: “La sistematizza- zione delle informazioni”). Abbiamo visto quali sono i fattori che influenzano il comportamento d’acquisito del consumatore: possono essere ricondotti a fattori culturali, sociali, personali, psicologici. Facendo riferimento a queste categorie è possibile raccogliere infor- mazioni finalizzate a delineare la fisionomia del cliente e le sue moti- vazioni all’acquisto. Alcune informazioni possono essere raccolte con questionari mirati ed indirizzati a gruppi specifici. Ne viene proposto uno (IIª esercitazione: “La fisionomia del cliente”). Iª Es.ne A IIª Es.ne A IIIª Es.ne A Iª Es.ne B IIª Es.ne B 104 La terza esercitazione verifica il livello di focalizzazione dell’idea imprenditoriale (IIIª esercitazione: “Il mercato”). La segmentazione del mercato è una delle operazione più strategiche per escogitare le giuste strategie operative. Qui viene proposta tale opera- zione in relazione a due criteri: (A) La capacità di spesa , che condiziona la frequenza d’acquisto e l’importo della spesa media; (B) La motiva- zione, che aiuta a chiarire gli specifici bisogni espressi dai clienti, condi- zionando i contenuti dell’offerta da proporre ad ognuno di essi (IVª eser- citazione: “Segmentazione del mercato ”). La quinta e la sesta esercitazione riguardano lo studio della concor- renza. La quinta aiuta ad analizzare la concorrenza, raggruppandole in ti- pologie, in relazione alle strategie adottate e pervenendo ad una loro quantificazione nel territorio di riferimento. La sesta, invece, aiuta a rea- lizzare una panoramica di quello che fanno i tuoi concorrenti e soprat- tutto di come lo fanno. Su eventuali bisogni non soddisfatti dai concor- renti, si può decidere di puntare (Vª e VIª esercitazione: I concorrenti). IIIª Es.ne B IVª Es.ne B Vª eVIª Es.ne B 105 Scheda n. 4 GLI STRUMENTI DI INDAGINE Le interviste Un modo per approfondire aspetti specifici potrebbe essere l’effettuare delle inter- viste ad hoc. Chi intervistare? Di solito si suggerisce di contattare esperti di settore e opinion leader, persone che, in considerazione della loro posizione, hanno un punto di vista privilegiato sul mercato che ti interessa. Non sono codificabili a priori: può trattarsi dell’amministratore di un’a- zienda, del presidente di un’associazione particolarmente rappresentativa, di un giorna- lista che si interessa del settore in oggetto, di un professore universitario, di un esperto… dipende dalla tua cerchia di conoscenze, anche indirette, e dalla tua fantasia. Non tutti so- no disponibili, ma alla fine si trova qualcuno interessato a condividere il proprio sapere per aiutare un potenziale imprenditore. Nel qual caso, per non fare figuracce e rischiare, nella piacevolezza della conversazione, di dimenticare i tuoi obiettivi, documentati un minimo sulla persona che incontrerai, prepara una scaletta delle domande che devi as- solutamente fare e per il resto lascia andare la conversazione dove la porta il tuo inter- locutore, che parlerà spontaneamente di quello che conosce meglio. I questionari Anche la somministrazione di questionari può essere una modalità valida, purché si seguano alcune regole di base: • la composizione del campione: senza pretendere di realizzare un’indagine affi- dabile come quelle che conducono gli istituti di ricerca, è importante selezionare il campione a cui somministrare i tuoi questionari in modo tale che sia almeno qualitativamente rappresentativo: teoricamente composto da almeno 30 soggetti, scelti in modo da rappresentare le diverse tipologie di utenti; • l’oggetto del questionario: definire chiaramente e circoscrivere quello che si vuole sapere può sembrare riduttivo (“tanto che ci sono, metto una domanda su tutto!”), ma in realtà rende la ricerca più precisa e attendibile; inoltre consente di contenere il numero delle domande che, se eccessivo, rischia di infastidire anche l’interlocutore più disponibile. Non esiste in assoluto un numero massimo di do- mande oltre il quale non andare, anche perché la soglia di sopportazione è stret- tamente legata al mezzo con cui il questionario viene sottoposto. A titolo orienta- tivo e considerando che si tratta di questionari “amatoriali”, diciamo mai oltre le 10 domande . È consigliabile seguire un filo logico, dare cioè un ordine mentale agli argomenti proposti, formulando le domande con un linguaggio semplice, evi- tando inoltre di rivolgere domande troppo personali e con espresso riferimento ad aspetti reddituali; • la modalità di somministrazione: un questionario può essere somministrato via e-mail, oppure telefonicamente, oppure spedito per lettera, oppure… È importan- te, in ogni caso, non forzare gli interlocutori a rilasciare l’intervista, essere estre- mamente gentili e non aggressivi, privilegiare le domande a risposta chiusa che velocizzano le risposte e creare un motivo valido per rispondere in tutti i casi in cui l’interlocutore lo compili senza l’assistenza del somministrante. 106 IIIª prova di VERIFICA Tutte le domande del questionario sono proponibili agli utenti del percorso B. Quelle con sfondo verde fanno parte del laboratorio A. 1. La idea business è: a chi vendere il mio prodotto/servizio? Vero … Falso … 2. Quali delle caratteristiche elencate non rappresentano dei componenti il sistema pro- dotto/servizio? a. L’organizzazione aziendale … b. Condizioni di trasporto … c. Livello e modalità di applicazione del prezzo … d. Ubicazione e logistica … e. Gamma dei prodotti e servizi offerti … f. Caratteristiche materiali/fisiche … g. Pubblicità e promozione … h. Risorse finanziarie necessarie … i. Servizi collaterali … 3. A cosa serve l’analisi del mercato? a. a studiare le caratteristiche dei concorrenti in modo da mettere a punto un’offerta che sia in grado di competere con la loro; … b. a capire quali sono gli elementi che caratterizzano il contesto in cui l’iniziativa si inse- rirà, così da impostarla in modo da consentirle di competere al meglio; … c. ad individuare se esiste un mercato per il servizio/prodotto che si intende realizzare. … 4. A cosa serve la segmentazione dei clienti? 1. ad analizzare in modo approfondito i propri clienti potenziali suddividendoli in gruppi caratterizzati da bisogni, abitudini e comportamenti omogenei, sulla base dei quali co- struire una specifica offerta di servizi rivolta a ciascuno di essi; … 2. a dividere i potenziali clienti dell’impresa in due macro-categorie: quelli interessanti, che hanno un buon potenziale di spesa e quelli non interessanti perché poco propensi a spendere i loro soldi; … 3. a scegliere, nell’ambito di ogni gruppo di clienti individuato, quelli con le caratteristiche più simili al modello di cliente ipotizzato dall’impresa. … 5. Che significa definire il target della propria impresa? a. scegliere un nome per la propria impresa che sia facile da ricordare per i clienti; … b. fissare i principali obiettivi che l’impresa dovrebbe raggiungere nel primo anno di attività; … c. decidere, tenendo conto delle proprie risorse e competenze e della profittabilità dei diversi segmenti, su quali categorie di clienti è conveniente concentrarsi, predispo- nendo un’offerta coerente con i loro bisogni. … 6. Quali sono le tipologie fondamentali che configurano un mercato? a. il carattere geografico, il carattere psicologico, il carattere demografico; … b. la differenziazione, l’indifferenziazione, la concentrazione; … c. l’apertura e la chiusura all’innovazione. … L A B O R A T O R I O C 107 7. Completa il testo Tra i gruppi persone che hanno i diversi ruoli di acquisto distinguiamo .................................. che è colui che per primo manifesta il bisogno, l’influenzatore, che è colui che ................................................................................................., il ……………………… che è colui che decide cosa, quanto, dove e quando acquistare, l’ ..................................................... che compie l’atto di acquisto e l’utente che ....................................................................... 8. A cosa serve lo studio della concorrenza a. per stabilire un ambito territoriale in cui l’impresa ha buone prospettive di guadagno; … b. per individuare un contesto in cui l’impresa decide di competere; … c. per individuare i concorrenti, i loro punti forti e deboli e per misurare la capacità di attrazione del settore in cui si opera da parte di nuovi concorrenti. … 9. A cosa serve un piano di marketing? a. per stimare il valore del mercato che l’impresa potrebbe conquistare vendendo i propri servizi ai segmenti di clienti che ha selezionato; … b. per valutare la massima quantità di servizi che l’impresa può erogare, tenendo conto delle proprie risorse; … c. per definire i soggetti a cui vendere, che cosa vendere, come vendere e quindi piani- ficare azioni conseguenti. … 10. Per misurare se il settore in cui si intende operare presenta particolari attrattive bi- sogna tenere presenti alcune fenomeni. Tra quelli già individuati nella colonna 1 precisa gli effetti; individua i fenomeni che non vengono menzionati in colonna 1, ma di cui vengono specificati in colonna 2 gli effetti. Risposte esatte: 1) falso; 2) a, d, g, h; 3) c; 4) a; 5) c; 6) b; 7) iniziatore, che è colui che per primo manifesta il bisogno, l’influenzatore, che è colui che condiziona la scelta del tipo di prodotto e della marca, il decisore che è colui che decide cosa, quanto dove e quando acquistare, l’acquirente, che compie l’atto di acquisto e l’utente che è colui che utilizza il prodotto; 8) c; 9) c; 10) a: i concorrenti si sottraggono a vicenda quote di mercato; b: elevato livello dei costi fissi; c: una debole differenziazione favorisce la guerra dei prezzi; d: livello delle economie di scala; e: le imprese sono disposte ad operare anche in perdita; f: presenza di barriere all’uscita. Col. 1 - FENOMENI a. bassi tassi di crescita della domanda b. c. grado di differenziazione dei prodotti d. e. importanza strategica del settore f. Col. 2 - EFFETTI tutte le imprese tentano di saturare la propria capacità produttiva e saranno disposte a vendere anche al di sotto del costo pieno pur di coprire almeno in parte i costi fissi le imprese tentano comunque di arrivare al vo- lume di produzione necessario per raggiungere il costo di livello medio unitario più basso possibile pressioni politiche e sociali per la difesa dei posti di lavoro, presenza di impianti specializzati non altrimenti utilizzabili, interdipendenze stra- tegiche che determinano la continuazione di una attività, anche in presenza di calo della domanda ed un acceso confronto competitivo L A B O R A T O R I O C 108 PRIMA ESERCITAZIONE L A B O R A T O R I O A 109 SECONDA ESERCITAZIONE L A B O R A T O R I O A 110 L A B O R A T O R I O A TERZA ESERCITAZIONE 111 L A B O R A T O R I O A 112 PRIMA ESERCITAZIONE L A B O R A T O R I O B (nb. La presente esercitazione è la prosecuzione della IIª esercitazione – 3ª parte: “Alla ricerca di un’idea: la ricerca delle fonti di informazioni” – 1ª tappa di pag. 67). LA RICERCA E LA SISTEMATIZZAZIONE DELLE INFORMAZIONI (seconda tappa) Individuate le fonti, occorre reperire le informazioni e i dati. Per compiere questa operazione in maniera produttiva occorre procedere con ordine; le informazioni, cioè, non vanno assemblate a caso, ma vanno sistematizzate secondo sequenze logiche. Per assicurare questa sistematizzazione si procede in un percorso articolato in 3 fasi 1. - La definizione dell’opportunità imprenditoriale 2. - Il soggetto imprenditoriale 3. - Il mercato dell'opportunità imprenditoriale Per percorre l’itinerario tracciato utilizzeremo delle mappe, cioè degli strumenti formalizzati, rappresentati da griglie. Fase n. 1: La definizione dell’opportunità imprenditoriale In questo primo passaggio occorre dimostrare che l’attività imprenditoriale che si intende promuovere è opportuna se non addirittura necessaria, mediante la individuazione del problema al quale l’idea imprenditoriale intende rispondere con proposte che si sono rivelate insufficienti sotto il profilo tipologico (non adeguate) o quantitativo (numericamente insufficienti) rispetto alle fasce di utenti a cui potenzialmente l’iniziativa è indirizzata e rispetto alle eventuali forme in cui può articolarsi l’idea imprenditoriale (tipologie di servizi o di beni). La griglia da utilizzare è quella sottostante: 113 L A B O R A T O R I O B Fase n. 2: Il soggetto imprenditoriale In questa seconda fase si cerca di rispondere all’interrogativo: quali caratteri- stiche deve possedere il soggetto che intende promuovere l’idea imprenditoriale? L’uso dell'espressione “soggetto imprenditoriale” non intende escludere le forme societarie; in questo caso le capacità del “soggetto imprenditoriale” andranno valutate con riferimento al patrimonio di professionalità e di qualità personali che ciascuno dei soggetti coinvolti può apportare all’iniziativa. Tali caratteristiche possono riguardare i requisiti formali (il possesso di un titolo di studio e/o professionale), le attitudini personali (capacità di relazioni e mana- geriali) e le conoscenze e capacità tecniche. Fase n. 3: Il mercato dell'opportunità imprenditoriale In questa fase si esplora il mercato in cui si collocherà l’iniziativa imprenditoriale che si intende promuovere. Esplorare il mercato significa studiarne la domanda (i vari target) e l’offerta (cioè tutti i soggetti che già forniscono lo stesso o un analogo bene e/o servizio e che si configurano quindi come concorrenti). La domanda Occorre studiare le caratteristiche e la composizione del mercato di riferi- mento e focalizzare il target al quale si intende rivolgersi. Il target (cioè i clienti) possono essere distinti (segmentati, si dice in gergo tecnico) in funzione dell’età, della condizione sociale, del livello culturale, delle motivazioni…, cioè in relazione a delle condizioni che determinano una situazione di maggiore o minore orientamento al servizio/beni che si vuole proporre. La scelta del target, naturalmente, determina scelte sia strategiche (mix dei servizi offerti, modalità di comunicazione, politica di pricing), sia sulle scelte operative (orari di apertura, localizzazione dell’attività…), in funzione, delle caratteristiche e delle esigenze del mercato di riferimento si delineeranno la connotazione ed i contenuti dell’attività. 114 L A B O R A T O R I O B L’offerta La domanda da porsi è: qual è il livello di concorrenza nel mercato? La risposta implica la possibilità di individuare la temibilità di ciascun concorrente, temibilità che varia in funzione del servizio erogato: quanto più l’offerta ha un taglio spe- cialistico e una gamma ampia, tanto più rappresenta una minaccia. La conoscenza del mercato nei due versanti della domanda e dell’offerta ci consente ora di tracciare un quadro sintetico su: Nell’allegato proponiamo due esempi di sistematizzazione delle informazioni reperite. 115 ALLEGATO E ESEMPI DI SISTEMATIZZAZIONE DELLE INFORMAZIONI (Laboratorio B) Esempio n. 1: Servizi per l’infanzia 1. - L’opportunità imprenditoriale Il problema Alcuni fenomeni: ➯ l’incremento del numero delle famiglie bi-reddituali e la crescita della percentuale di donne/mamme occupate professionalmente anche a tempo pieno ➯ la pervasività del tempo di lavoro sul tempo di non-lavoro ➯ il predominio della dimensione metropolitana sulla dimensione comunitaria (il quartiere, il cortile, i punti di ritrovo dei bambini) ➯ l’erosione del ruolo delle figure parentali più prossime al gruppo primario questi ed altri fenomeni rendono necessaria la custodia dei figli negli orari in cui impegni professionali o di altro genere non consentono ai genitori di accudirli in prima persona. I Target Il mercato di riferimento è rappresentato in generale da un vastissimo pubblico di fa- miglie con uno o più figli; nello specifico è possibile distinguere i potenziali destinatari tra: ➯ famiglie con un genitore (normalmente la madre) ➯ famiglie con genitori occupati ➯ famiglie con genitori occupati e con rete parentale ➯ genitori di bambini da 0 a 3 anni. Tipologie di aree di business Attività ricreative Tutte le attività dirette all’intrattenimento dei bambini. I servizi offerti vanno dalla semplice messa a disposizione di giochi, materiali manipolabili ed attrezzature, alla pre- senza di animatori per l’organizzazione di giochi di gruppo e attività di socializzazione, al- l’offerta di attività didattico-ricreative quali corsi musicali, di gestualità, di consapevolezza del corpo, o di manualità. Tra le attività proposte sono diffuse le ludoteche, spazi acco- glienti ed attrezzati che svolgono la funzione prioritaria di offrire ai bambini un luogo protetto e stimolante per esperienze di aggregazione e amicizia e la possibilità di conoscere e utilizzare una grande quantità di giocattoli, difficilmente a disposizione di un singolo. 116 Tali strutture prevedono la presenza di accompagnatori; i servizi offerti sono quindi preva- lentemente attività ricreative e formative per il bambino, che però non viene affidato in cu- stodia. In questa categoria rientrano inoltre l’organizzazione di feste, eventi con la parteci- pazione di animatori, musicisti, intrattenitori. Le strutture adibite a ludoteca possono quindi costituire un centro di incontro e socializzazione per bambini anche di età diversa, un ate- lier per attività manuali e creative, un centro di attività complementari a quelle scolastiche. Baby-sitting/assistenza In questa categoria l’elemento fondamentale è l’attività di custodia del bambino. Le attività di assistenza svolgono ruolo sociale per il modo in cui intercettano il problema del tempo e del lavoro dei genitori. Il servizio può essere offerto con modalità e con tempi di- versi, a domicilio o presso strutture attrezzate, in maniera continuativa o occasionalmente. I servizi domiciliari possono includere anche l’assistenza scolastica, l’organizzazione di corsi di avvicinamento alle lingue o alla musica. L’offerta, per orari e contenuti, è general- mente complementare a quella scolastica. La struttura del baby-parking presenta general- mente una maggiore flessibilità di orari rispetto ad un asilo tradizionale ed offre una serie più o meno ampia di servizi accessori di intrattenimento ed educativi per il bambino: labo- ratori di arte, musica, espressione corporea, progetti per la crescita armoniosa del bambino. Alcune strutture propongono esperienze di full immersion in lingua inglese. È possibile proporre il servizio presso centri commerciali, uffici, oppure prevedere un’offerta stagio- nale, dislocando le strutture per esempio presso stabilimenti balneari. Asili nido Si rivolgono a coloro che per motivi professionali o di altro tipo necessitano di affi- dare in custodia bambini molto piccoli, e che per scelta o per indisponibilità del servizio pubblico si affidano a strutture private. Tale tipologia di struttura offre quindi servizi sosti- tutivi a quelli degli asili nido tradizionali. Le attività svolte riguardano la cura, la nutrizione e l’intrattenimento dei bambini. È inoltre possibile individuare servizi accessori da affian- care a quelli tradizionalmente offerti: tra i servizi innovativi proposti dal mercato c’è la figura del musical nanny , figura professionale esperta in educazione musicale per la prima infanzia. Il settore educativo prescolastico è il servizio che ha i costi di gestione maggiori per la presenza di un numero di figure professionali in rapporto all’utenza, superiore a qualsiasi altro servizio. Le risposte al problema e la loro inadeguatezza L’offerta dei servizi all’infanzia appare inadeguata alle nuove esigenze delle famiglie. Infatti l’offerta pubblica nei servizi all’infanzia resta molto carente ➥ sotto il profilo quantitativo I servizi pubblici di assistenza ai bambini, soprattutto in età prescolare, sono scarsi e generalmente localizzati al centro-nord (per la fascia 0 -3 anni gli asili-nido in Italia sono appena 2000, coprono il 6% del numero dei bambini da 0 a 3 anni e soltanto il 15% dei Comuni del Centro-Nord ha attivato questo servizio). Fattori culturali ed am- bientali, ma anche difficoltà finanziarie e normative ne bloccano, in alcuni contesti territoriali, l’attuazione e lo sviluppo.La distribuzione territoriale dei servizi è conno- 117 tata da forti differenze spaziali, soprattutto tra contesto urbano e non urbano. Il mer- cato attuale non riesce a soddisfare le esigenze delle famiglie i cui genitori sono pen- dolari, professionisti, impiegati o operai occupati in aziende industriali, ove in alcuni periodi dell’anno può essere imposto il prolungamento della giornata lavorativa. ➥ sotto il profilo qualitativo I servizi attualmente offerti sono caratterizzati da alcuni tratti non positivi quali: • la rigidità dell’offerta, che è determinata su formule standardizzate e non è orientata a tenere conto della mutevolezza delle esigenze familiari; • la limitatezza dell’offerta, in termini di ore di apertura nella giornata, nella setti- mana, nell’anno. È molto diffusa la percezione che i servizi pubblici non riescano da soli a soddisfare le numerose richieste di iscrizioni presso le strutture comunali e statali, e la convinzione che, laddove il servizio esiste, i costi per le rette siano eccessivi e i servizi offerti poco flessibili. 2. Il soggetto imprenditoriale Requisiti formali previsti Le modalità di avvio di queste attività variano a seconda del tipo di servizio che si vuole offrire. Da un punto di vista amministrativo chiunque può fornire il servizio, ma gli educatori che sono a contatto con i bambini devono essere professionalmente preparati. Per gli asili nido la normativa prevede che il personale educativo sia in possesso di uno dei seguenti titoli di studio: ➯ vigilatrice d’infanzia, puericultrice o assistente d’infanzia; ➯ diploma di maturità magistrale, o di abilitazione all’insegnamento nelle scuole di grado preparatorio; ➯ diploma di dirigente di comunità; ➯ diploma di assistente per comunità infantili, operatori dei servizi sociali. La legge stabilisce inoltre che sia assicurata la presenza di un educatore ogni 7 bam- bini iscritti; all’interno dell’équipe è indispensabile la presenza del medico pediatra, dello psicologo, del pedagogista. Per i baby parking e le ludoteche l’organizzazione è più flessibile: la differenza so- stanziale tra le due strutture è che nel primo caso non è prevista la figura di un accompa- gnatore del bambino, mentre nella ludoteca il genitore o chi per lui si intrattiene con il bambino per dividere momenti di gioco. Alle diverse tipologie di servizio corrispondono diverse responsabilità degli operatori. 118 Le caratteristiche del soggetto Attitudini, conoscenze e competenze L’associazione italiana delle ludoteche organizza corsi di formazione non riconosciuti per offrire le conoscenze di base per l'apertura e la gestione di una ludoteca. I Corsi teorico-pratici trattano i seguenti temi a) Storia delle ludoteche italiane e dell'Assoludo; b) Organizzazione e gestione di una ludoteca; c) Legislazione; d) Teorie del gioco; e) Gioco ed handicap; f) Giochi e giocattoli di ieri e di oggi; g) Il laboratorio della ludoteca; h) Costruzione di giocattoli; i) Animazione ludica; j) Vissuto ludico-emozionale; k) I giochi matematici. La normativa prevede che il personale educativo sia in possesso di uno dei seguenti titoli di studio riconosciuti: vigilatrice d’infanzia, conseguito con la frequenza di un corso triennale teorico–pratico, seguito da tirocinio; puericultrice o assistente d’infanzia, la cui abilitazione si ottiene con la frequenza di un corso annuale; assistente per comunità infantili, diploma biennale che fornisce competenze specifiche nel settore dell'educazione della prima infanzia; operatore dei servizi sociali, diploma triennale; diploma di maturità magistrale, o di abilitazione all’insegnamento nelle scuole di grado preparatorio. Capacità gestionali Per l’avvio di una attività ricreativa o di assistenza per i bambini non sono previsti riconoscimenti “formali” né percorsi formativi standardizzati. Sono doti indispensabili la comunicatività, le abilità relazionali, la capacità di comprensione empatica, la flessibilità, la creatività, la precisione, la capacità di coinvolgimento e orientamento verso le nuove esigenze ed i nuovi comportamenti dei bambini. Inoltre, per offrire servizi specifici di tipo formativo (artistici, musicali, linguistici), è opportuno avere acquisito le relative competenze. In tutti i casi potrebbe essere d'aiuto aver maturato una significativa esperienza in una struttura del settore, che garantisca un livello di conoscenza minima in merito alle problematiche gestionali. Da non sottovalutare le capacità organizzative e relazionali che rappresentano un fattore determinante per il successo delle attività imprenditoriali che comportano un continuo rapporto con il pubblico. Asilo nidoAttivitàdi assistenzaAttività ricreative 119 3. Il mercato dell’opportunità imprenditoriale Famiglie con un genitore (normal- mente la madre ma non è detto...) non occupato di reddito medio-alto, con un una vita sociale piuttosto attiva, spesso genitori di figli unici Cercano spazi e tempo libero da dedicare a sé stessi e, contemporaneamente, sono attenti al bisogno di socializzare dei bambini, sono attenti alla qualità dei contenuti, meno all’estensione degli orari • è importante garantire un ambiente familiare, allegro, sereno, e operatori disponibili che rendano il più possibile stimolante e piacevole la loro permanenza. • L’offerta di servizi aggiuntivi a quelli propri della struttura, che completino la gamma delle risposte ai bisogni del cliente nell’ambito dei servizi all’infanzia, da realizzare per esempio attraverso la collaborazione con società specializzate, quali: - società di servizi che offrono ricerca e selezione di personale per trovare baby-sitter, ragazze alla pari; - società che organizzano feste di compleanno, feste a tema, piccoli spettacoli, proiezioni, eventi in luoghi messi a disposizione del cliente Famiglie con entrambi i genitori occupati Genitori impegnati professio- nalmente, che magari vivono lontano dalle città di origine e non hanno il supporto delle cosiddette famiglie allargate Richiedono flessibilità di orari; apprezzano la qualità dei servizi offerti, ma magari preferiscono i servizi aggiuntivi come lo scuola-bus, o la possibilità di essere in contatto con baby-sitter per l’assistenza a domicilio del bambino (es. durante una malattia); preferiscono affidarsi a strutture qualificate piuttosto che a “lavoratori in nero” più o meno improvvisati In funzione delle caratteristiche del target, può essere utile prevedere l’erogazione del servizio anche nelle ore serali per soddisfare le esigenze di chi lavora. Un ulteriore servizio al cliente può essere fornito dall’assistenza domiciliare SuggerimentiBisogniTarget Descrizione LA DOMANDA Distinguiamo i clienti in funzione della motivazione che li spinge alla richiesta di servizi all’infanzia: 120 Famiglie con entrambi i genitori occupati Genitori impegnati professional- mente ma “organizzati”, che si avvalgono dell’assisten- za di nonne e nonni o che si affidano a strutture parascola- stiche. Hanno bisogno di “parcheggiare” i bambini solo occasionalmente, solo in alcuni orari (per esigenze anche extralavorative, o solo per alcuni periodi, per es. nei periodi di chiusura delle scuole). In funzione delle caratteristiche del target, può essere utile prevedere l’erogazione del servizio anche nelle ore serali per soddisfare le esigenze di chi lavora. Un ulteriore servizio al cliente può essere fornito dall’assistenza domiciliare. Genitori di bambini da 0 a 3 anni L’offerta di asili nido pubblici è a domanda individuale, i posti sono limitati, esistono graduatorie lunghe e sono privilegiati i genitori lavoratori e con redditi più bassi. I genitori chiedono qualcosa in più rispetto alla struttura tradizionale del nido: certamente tengono molto alla sicurezza dei bambini ed alla professionalità degli educatori. SuggerimentiBisogniTarget Descrizione L’OFFERTA Il settore dei servizi all’infanzia è un settore in espansione; il mercato presenta un livello di concorrenza non elevato e piuttosto frammentato. La temibilità di ciascun concorrente varia in funzione del servizio offerto: quanto più l’offerta ha un taglio specialistico e un’ampia gamma, tanto più rappresenta una minaccia. 121 Ludoteche Le ludoteche svolgono la funzione prioritaria di offrire ai bambini un luogo protetto e stimolante per esperienze di aggregazione e amicizia e la possibilità di conoscere e utilizzare una grande quantità di giocattoli, difficilmente a disposizione di un singolo. I servizi offerti sono quindi prevalentemente attività ricreative e formative per il bambino. In questa categoria rientrano inoltre l'organizzazione di feste e di eventi con la partecipazione di animatori, musicisti, intrattenitori. Le strutture adibite a ludoteca possono quindi costituire un centro di incontro e socializzazione per bambini anche di età diversa, un atelier per attività manuali e creative, un centro di attività complementari a quelle scolastiche. Att. ricreative: alta Baby-sitting: bassa Asili nido: bassa Baby- parking L’offerta, per orari e contenuti, è generalmente complementare a quella scolastica. La struttura del baby-parking presenta generalmente una maggiore flessibilità di orari rispetto ad un asilo tradizionale ed offre una serie più o meno ampia di servizi accessori di intrattenimento ed educativi per il bambino: laboratori di arte, musica, espressione corporea, progetti per la crescita armoniosa del bambino. Alcune strutture propongono esperienze di full immersion in lingua inglese. Il servizio può essere offerto con modalità e per tempi diversi, a domicilio o presso strutture attrezzate, in maniera continuativa o occasionalmente. Att. ricreative: media Baby-sitting: alta Asili nido: bassa Centri musicali per bambini Strutture che avvicinano i bambini alla musica, in maniera non necessariamente tradizionale. Alcuni centri mettono a disposizione strumenti musicali che i bambini possono sperimentare sviluppando in modo naturale la propria sensibilità musicale. A questa fase può seguire il vero e proprio studio delle tecniche musicali e del canto. Possono rappresentare un divertente momento di svago per il doposcuola. Att. ricreative: alta Baby-sitting: bassa Asili nido: bassa Agenzie di servizi per bambini L’offerta di servizi può essere molto varia, dall’organizzazione di feste, eventi, gite, vacanze estive, all’assistenza scolastica, all’offerta di personale qualificato per la custodia dei bambini, al baby-sitting occasionale, all’offerto di un servizio di baby-sitter e puericultrici a disposizione per interventi a domicilio diurni, notturni, per periodi estivi fuori città o di accompagnamento dei bambini dalle loro case alle varie sedi di attività (scuole, palestre…). Tali strutture, se sono in grado di offrire figure professionali valide e una gamma di servizi ampia, costituiscono una minaccia rispetto alle strutture fisse per la maggiore flessibilità dell’offerta. Att. ricreative: media Baby-sitting: alta Asili nido: alta TemibilitàTipologie Caratteristiche 122 Palestra per bambini Offrono ai genitori l’occasione di far dedicare ai bambini parte del tempo libero all’esercizio fisico. La sedentarietà, l’obesità, la pressione alta costituiscono oggi fattori di rischio anche per i bambini. Le palestre a loro dedicate propongono corsi nei quali la componente di gioco è comunque elevata. Queste strutture rispondono all’esigenza di aiutare i bambini ad instaurare un rapporto sano con sé stessi e con il proprio corpo. Att. ricreative: media Baby-sitting: bassa Asili nido: bassa Servizi parascola- stici e di socializza- zione per bambini Sono servizi integrativi della scuola, che offrono qualcosa di più di un prolungamento del tempo da passare sui banchi. Ospitano i bambini in maniera continuativa, quotidianamente, o occasionalmente, per lo svolgimento di attività ludiche e di socializzazione. A volte sono previste forme di assistenza allo studio o corsi collettivi di avvicinamento alle lingue straniere. Att. ricreative: media Baby-sitting: bassa Asili nido: bassa Agenzia di servizi allo studio per bambini Sono strutture che offrono personale qualificato e selezionato per l’assistenza domiciliare, in particolare per offrire ai bambini il sostegno necessario nello svolgimento dei compiti scolastici assegnati. Le agenzie offrono generalmente anche insegnanti madre lingua, o semplicemente ragazze alla pari che assolvono anche ai compiti di custodia del bambino. Att. ricreative: media Baby-sitting: bassa Asili nido: bassa Asili bilingua Apprezzati dai genitori italiani ma anche da stranieri che vivono nel nostro paese per motivi personali o professionali, dispongono di personale bilingue che permette ai bambini l’avvicinamento alle lingue in modo naturale nello svolgimento delle attività quotidiane di gioco e di educazione. Att. ricreative: media Baby-sitting: bassa Asili nido: bassa TemibilitàTipologie Caratteristiche Opportunità - crescita rilevante della percentuale di donne – madri occupate, anche in attività full-time; - aumento della flessibilità richiesta nel mondo del lavoro; - declino del ruolo dei nonni, delle famiglie allargate, anche per il fatto che si è spesso occupati in città diverse da quella di origine. - aumento dell’interesse dei genitori verso la qualità e i contenuti dell’impiego del tempo dei figli; - aumento del bisogno di occasioni di svago e di attività ludiche anche nei bambini: si parla ormai anche per loro di stress da iper-attività. - crescita rilevante della percentuale di donne – madri occupate, anche in attività full-time; - aumento della flessibilità richiesta nel mondo del lavoro; - declino del ruolo dei nonni, delle famiglie allargate, anche per il fatto che si è spesso occupati in città diverse da quella di origine. Asilo nidoAssistenza Attività ricreative Minacce, opportunità e fattori critici di successo 123 Minacce - concorrenza degli operatori in nero; - servizi gratuiti offerti dalle strutture scolastiche pubbliche; - elevata concorrenza. - concorrenza elevata, seppure poco strutturata. - inasprimento delle normative, soprattutto per i vincoli sanitari dei locali e professionali degli operatori; - operatori in nero. Asilo nidoAssistenza Attività ricreative Fattori critici di successo - innovazione dell’offerta all’utenza, estendendo il calendario scolastico, l’orario di apertura giornaliera, rendendo possibili forme diverificate di fruizione dei servizi da famiglia a famiglia, da periodo a periodo; - professionalità degli operatori e aggiornamento continuo; - offerta di servizi aggiuntivi rispetto a quello primario della custodia del bambino; - accoglienza dei locali e disponibilità di strutture ed attrezzature adeguate. - professionalità e aggiornamento continuo degli operatori; - accoglienza dei locali e disponibilità di strutture ed attrezzature adeguate; - strategie di partnership per l’offerta di servizi a più ampio raggio. - flessibilità degli orari; - specializzazione; - ampia gamma di servizi da offrire. 124 Esempio n. 2: Bed & breakfast 1. - L’opportunità imprenditoriale Il problema Alcuni fenomeni quali il numero (in aumento) di arrivi turistici in Italia anche grazie ai rapporti di cambio favorevoli con la maggior parte dei paesi generatori di flussi turistici verso l’Italia, le nuove forme di turismo in crescita negli ultimi anni che puntano al con- tatto diretto con usi e costumi locali, i costi crescenti delle soluzioni alberghiere, l’asetticità e l’omologazione dell’offerta alberghiera che non soddisfa il crescente bisogno di scambio di esperienze e di dialogo fra ospite ed ospitante, rendono opportune le proposte di siste- mazioni logistico-ricettive alternative. I Target Il mercato di riferimento è rappresentato in generale da un vastissimo pubblico di estrazione sociale media, con forte rappresentanza giovanile. Tipologie di aree di business Il bed & breakfast, alla lettera “ letto e prima colazione”, è una forma di ricettività introdotta dalla cultura anglosassone; in genere si tratta di una piccola struttura ricettiva che offre il pernottamento e la prima colazione a prezzi relativamente contenuti in case private, in fattorie, ville, pensioni, piccoli alberghi familiari, o anche in college e campus universitario. Secondo le norme regionali in vigore costituiscono quindi attività ricettive a condu- zione familiare, tipo Bed&Breakfast, le strutture ricettive gestite da privati che, avvalen- dosi della loro organizzazione familiare, utilizzano parte della propria abitazione, fino ad un massimo di tre camere, fornendo alloggio e prima colazione. Il servizio dovrà essere accurato avvalendosi della normale organizzazione familiare e fornendo, esclusivamente a chi è alloggiato, cibi e bevande confezionate per la prima colazione. È sufficiente quindi disporre dei locali in proprietà o in affitto (in alcune regioni può essere utilizzata solo l’abitazione di residenza) e inviare una domanda in carta da bollo all’Azienda di Promozione Turistica competente per territorio. I requisiti minimi da rispettare riguardano: Il numero delle camere, la superficie dei locali, le regole igenico-sanitarie, la ‘messa a norma’, l’arredamento della camera da letto, la pulizia dei locali e la fornitura della biancheria, la somministrazione degli alimenti. In sintesi, si può descrivere l’attività di B&B come un semplice core business di pernottamento cui si legano svariati servizi accessori, in grado di fornire il vero valore aggiunto della formula B&B. 125 2. - Il soggetto imprenditoriale Il moderno operatore di bed & breakfast, normalmente il proprietario della casa, deve avere una filosofia ed un coinvolgimento diversi dal semplice fornitore di una stanza per dormire: accoglie i clienti al momento dell’arrivo, fornisce informazioni generali sul terri- torio, in particolare sulle attività turistiche e su ciò che interessa l’ospite; si rende disponi- bile per qualsiasi necessità e alle volte condivide proprio con l’ospite interessi e hobbies. La disponibilità e l’interesse nei confronti del cliente si legano alla discrezione e al rispetto della sua libertà. Il bed & breakfast implica un impegno e una preparazione da “piccolo imprenditore”: l’operatore di B&B è il punto di riferimento per i propri ospiti che sono spesso persone esigenti; deve offrire loro un servizio eccellente ed un’esperienza che inducano il turista a tornare. Quanto all’operatore, in allegato è possibile trovare alcuni spunti sulle caratteristiche personali, professionali ed il know how specifico. Bed & Breakfast Servizi primari • Accoglienza • Pernottamento • Prima colazione Servizi accessori • Altri past • Informazioni turistiche • Transfer da/per aeroporti e stazioni • Noleggio attrezzature (es. mountain bike e scooter, pattini, racchette da tennis, ecc.) • Babystting • Attività ricreative (es. itinerari turistici) • Assistenza animali • Garage • Sistemi di comunicazione (telefono, fax, e-mail) • Prenotazione altri B&B (attraverso l’utilizzo dei network di B&B) lungo l’itinerario del turista 126 Attitudini personali Requisiti generali • Capacità di relazione: cortesia, disponibilità, flessibilità, simpatia, discrezione, pazienza • Capacità manageriali/organizzative: puntualità, precisione, creatività, voglia di sapere e aggiornarsi • Mix di qualità personali e conoscenza specifiche del settore Conoscenze tecniche • Elementi di marketing e comunicazione • Gestione clienti (booking, check-in, servizi, check out) • Nozioni di amministrazione e contabilità • Elementi di legislazione turistica • Lingua inglese, tedesca, francese • Informatica • Formazione Bed & Breakfast Opportunità • Nuova tipologia di ricettività, in espansione in Italia • Consistenza dei flussi turistici italiani e stranieri • Consistenza di risorse naturali, artistiche e culturali in Italia • Propensione della domanda a nuove forme e esperienze turistiche e formule ricettive Minacce Fattori critici di successo • Concorrenza di forme di ricettività alternative (agriturismi) • Tipologia di servizio che esclude completamente un vasto bacino di utenza: turismo business (ad alta capacità di spesa) • Qualità del servizio (gestione e mantenimento) • Scelta dei canali di distribuzione (intermediari e network) • Scelta degli strumenti promozionali (guide e editoria) • Approfondita conoscenza del target di riferimento e dei suoi bisogni • Capacità di comprendere i cambiamenti dei trend di mercato • Professionalità e competenza • Tempestività degli interventi • Entrata in circuiti • Adozione di giuste politiche di pricing (offerte e stagionalità) Minacce, opportunità e fattori critici di successo Le caratteristiche di operatore 127 SECONDA ESERCITAZIONE L A B O R A T O R I O B 128 L A B O R A T O R I O B 129 L A B O R A T O R I O B TERZA ESERCITAZIONE 130 L A B O R A T O R I O B 131 L A B O R A T O R I O B QUARTA ESERCITAZIONE 132 L A B O R A T O R I O B 133 L A B O R A T O R I O B 134 L A B O R A T O R I O B 135 L A B O R A T O R I O B 136 L A B O R A T O R I O B QUINTA ESERCITAZIONE 137 L A B O R A T O R I O B 138 L A B O R A T O R I O B SESTA ESERCITAZIONE 139 3.3. Definizione delle strategie di ingresso e di competizione Dopo avere deciso il proprio posizionamento sul mercato, si tratta di definire gli obiettivi di mercato da raggiungere nonché le strategie di mercato per raggiungerli. Gli strumenti principali a disposizione del neo-imprenditore per articolare delle strategie efficaci sono quattro: 1. Del prodotto abbiamo già in parte detto. L’impresa può innanzitutto deci- dere se e fino a che punto differenziare l’offerta rispetto alla concorrenza. Questa scelta rende meno pressanti le dinamiche competitive e crea un gruppo di clienti stabilmente legati al proprio prodotto/servizio. Un altro fattore da non sottovalu- tare è la modalità di utilizzo: come usano i consumatori il prodotto? Il suo uso pre- visto è l’uso ottimale in relazione ai bisogni dell’acquirente o c’è un certo margine di perfezionamento? 2. La seconda leva riguarda le politiche di prezzo. Decidere a quale prezzo vendere la propria merce è spesso un problema molto più complesso di quel che può sembrare a prima vista. Tre sono i criteri per la determinazione del prezzo, facendo riferimento – al mercato, – ai costi di produzione, – alla concorrenza. 140 • Nel primo caso, ci si atterrà al valore del prodotto qual è percepito dagli ac- quirenti. I beni di lusso, ad esempio, hanno un prezzo, di frequente, non pro- porzionale ai costi di produzione. • Nel secondo caso si costruirà il prezzo a partire dal costo di produzione uni- tario, a cui si va ad aggiungere un “ricarico” percentuale fisso o “mark-up ”, in misura tale da coprire i costi generali e generare un profitto soddisfacente. • Nel terzo ed ultimo caso si seguono i prezzi medi praticati dalla concor- renza: un metodo questo spesso utilizzato dalle imprese più piccole, che non sono normalmente in grado di impostare una politica di prezzo autonoma. Le possibilità più utilizzate abitualmente come tattiche sono quelle sintetizzate qui di seguito: • prezzi-civetta (prezzi bassi e pubblicizzati di alcuni articoli per attirare la clientela anche su altri); • prezzi multipli (tre al prezzo di uno); • prezzi di prodotti complementari ; • prezzi “dispari” (leggermente al di sotto di una certa soglia); • sconto o premio differito TATTICHE DI PREZZO { 3. La terza leva è la comunicazione: per sfruttarla appieno occorrerà stabilire gli elementi riportati nella scheda seguente fare conoscere il prodotto/servizio, convincere a chiedere informazioni, convincere ad acqui- stare, convincere a divenire clienti abituali – personali – aziendali – imprenditore, venditori, commessi – impersonali – televisione, radio, giornali, riviste, poster, volantini, direct mailing, sponsorizzazioni – tecnici – consulenti, tecnici, professionisti, esperti – sociali – amici, parenti, conoscenti OBIETTIVI PUBBLICO OBIETTIVO MESSAGGIO DA UTILIZZARE CANALI 141 – canali distributivi ☞ diretti (negozi di proprietà, vendite a domi- cilio, vendite mediante macchine distributrici, vendite per corrispondenza) ☞ indiretti (con uno o più intermediari) – rete di vendita che copra il mercato a livello di: ☞ territorio ☞ segmenti o aree da coprire ☞ clienti specifici • della costituzione di eventuali depositi periferici • delle modalità di gestione delle scorte • delle gestioni degli ordini e delle spedizioni • della scelta dei mezzi di trasporto IN RELAZIONE A CHE TENGA CONTO 4. L’ultima leva, quella della distribuzione, passa attraverso una strategia 142 Scheda n. 5 I MEDIA I principali mezzi da utilizzare durante una campagna di comunicazione variano in fun- zione dei target di riferimento e delle risorse economiche disponibili . Ciascun mezzo, in- fatti, veicola un messaggio diretto ad una determinata tipologia di utenti. In particolare, nel mix di comunicazione , è opportuno distinguere tra i mezzi pubblicitari, gli strumenti pro- mozionali e le attività di marketing diretto . I MEZZI PUBBLICITARI Televisione Strumento utilizzato per veicolare il messaggio pubblicitario sotto forma di spot. La tv è un mezzo che raggiunge un elevato numero di utenti ma ha un costo contatto molto ele- vato. Nella selezione del mezzo è necessario prendere in considerazione le seguenti variabili: • tipologia di emittente televisiva: nazionale, locale, tv a pagamento (pay tv), satellitare • tipologia di programma (intrattenimento, fiction, film, educativo, cartoni animati, infor- mazione, talk show, ecc.) • fascia oraria (prima mattina sino alle ore 10.00; seconda mattina dalle ore 10.00 alle ore 12.00; meridiana dalle ore 12.00 alle ore 14.00; primo pomeriggio dalle ore 14.00 alle ore 16.00; secondo pomeriggio dalle ore 16.00 alle ore 18.00; preserale dalle ore 18.00 alle ore 20.00; prima serata(o prime time) dalle ore 20.00 alle ore 23.00; seconda serata dalle ore 23.00 alle ore 01.30) • audience: indica il numero di telespettatori ed è rilevato dall’Auditel. Radio Mezzo utilizzato per veicolare i messaggi sotto forma di spot audio. I costi sono con- tenuti ed il bacino di utenza è alquanto elevato ma – a differenza della televisione – l’uten- te ha una soglia di attenzione più bassa durante la fruizione del messaggio. Le variabili da prendere in considerazione sono le stesse del mezzo televisivo: tipologia di emittente radiofonica (nazionale o locale), tipologia di programma (musicale, informativo, ecc.), fascia oraria e audience (in questo caso lo strumento per le rilevazioni di ascolto radio- fonico è l’Audioradio). Stampa La pubblicità a mezzo stampa è caratterizzata da un’inserzione di formato variabile sulla testata giornalistica prescelta. Sulla stampa quotidiana il messaggio ha vita breve, ma raggiunge un buon numero di lettori. I costi variano in funzione della testata giornalistica (nazionale, locale, ecc.), del for- mato (pagina intera, mezza pagina, moduli, manchette, piede pagina, ecc.), della posizione che occupa il messaggio all’interno del quotidiano (1° pagina, pagine interne, ecc.) e del numero di lettori (le indagini quantitative e qualitative sul numero di lettori è condotta dal- l’associazione Audipress). Inoltre la possibilità di inserire un’inserzione a colori, invece della modalità in bianco e nero, implica una maggiorazione del prezzo. 143 Sulla stampa periodica (riviste di settore, settimanali, ecc.) le variabili da prendere in considerazione sono quelle indicate per i quotidiani. Tuttavia, il vantaggio principale dei periodici è dato dal profilo del consumatore, che risulta facilmente individuale (target speci- fici di lettori) e dalla permanenza del messaggio (che ha una durata maggiore). Affissioni La pubblicità esterna è caratterizzata dall’affissione di cartelloni, manifesti di diverso formato (6x3m, 100x140cm, 200x140cm), insegne luminose collocati in punti “strategici” del territorio (importanti nodi stradali, strade ad altà densità di traffico, stazioni ferroviarie, metropolitane, aeroporti, ecc. ), ecc. I costi variano in funzione del formato ma soprattutto della posizione e del tempo di esposizione, che rappresentano le principali variabili da valutare nella pianificazione della campagna di affissioni. Internet Il mezzo internet prevede bassi costi, possibilità di raggiungere in tempo reale un ele- vato numero di utenti, un’alta selettività (derivante dalla possibilità di conoscere il profilo del consumatore) e la personalizzazione del messaggio. Gli svantaggi, invece, sono l’eccessivo numero di siti internet e la scarsa attenzione dell’utente. Le principali modalità di pubblicità su internet: – banner: è il formato pubblicitario più frequente nella comunicazione su web. Si trat- ta di uno spazio quadrato o rettangolare contenente un messaggio pubblicitario che può essere animato o statico. Il banner è quasi sempre una “porta di passaggio”: quando l’utente clicca sul banner con il mouse, viene immediatamente portato al sito o pagina collegati. Il formato si misura in pixel: 120 x60; 234 x60; 400 x60, ecc.; – intersistials: pagine a tempo determinato che appaiono passando da una sezione all’altra di un sito o da una pagina all’altra; assomigliano a degli spot televisivi, ma occupano solo una parte dello schermo; – sponsorizzazione (“web sponsoring”): si utilizzano i formati tradizionali (banner o interstitials), situandoli in contesti del tutto specifici. Sponsorizzazione È una modalità di comunicazione che può essere definita sia pubblicitaria che promo- zionale, ed è utile per aumentare il grado di notorietà dell’azienda. Per dare visibilità al mar- chio aziendale è possibile sponsorizzare un evento, una manifestazione, una squadra sportiva. STRUMENTI PROMOZIONALI Catalogo promozionale Può essere realizzato come brochure , dépliant , in formato digitale (cd-rom) ed anche come sito internet. È uno strumento utilizzato per far conoscere l’azienda durante gli incon- tri ufficiali (presentazioni, happening), le fiere e – più in generale – è consegnato ai clienti per presentare l’azienda e i prodotti/servizi commercializzati. Nel caso del sito internet, invece, l’azienda mette a disposizione degli utenti uno strumento promozionale in modo permanente ed a basso costo (dopo la realizzazione del sito web è necessario soltanto l’aggiornamento). 144 Fiere È uno strumento molto importante per acquisire visibilità nel proprio settore e soprat- tutto per entrare in contatto con gli operatori; partecipando alle fiere (campionarie, naziona- li, regionali, ecc.) è possibile incontrare potenziali clienti ed intermediari commerciali. Eventi Creazione di un evento (conferenza, seminario, workshop) per la presentazione del- l’azienda, di un nuovo prodotto, ecc. Iniziative promozionali ad hoc Esiste un’ampia gamma di iniziative promozionali che riguardano prevalentemente il merchandising (attività da svolgere sul punto vendita con l’installazione, per esempio, di display – espositori da terra o da banco) oppure altre attività ad hoc come: couponing (buo- ni sconto), concorso a premi, sampling (campionamento a scopo promozionale), raccolta punti, carta fedeltà, ecc. Televendita Attività promozionale mediante la quale si utilizza il canale televisivo per effettuare un’offerta di vendita. ATTIVITÀ DI MARKETING DIRETTO Gli strumenti di marketing diretto consentono di contattare i clienti/consumatori finali in modo mirato e personalizzato. Le principali modalità di marketing diretto sono: Mailing – Contatto dei clienti con invio di materiale cartaceo (lettera, brochure, cd-rom, ecc.) E-mailing – Invio periodico di e-mail, newsletter, ecc. Telemarketing – Contatto del cliente mediante il telefono; per svolgere quest’attività è necessario creare una struttura ad hoc (es. call center) o avvalersi di operatori esterni, affi- dando il servizio in outsourcing. Sia per il laboratorio A che per il B le esercitazioni rifanno il percorso del paragrafo 3.3 relativo alla definizione delle strategie d’ingresso e di competizione: prodotto, prezzo, comunicazione e distribuzione. (Iª esercitazione: “Definizione delle strategie d’ingresso e di competizione”; la Iª esercitazione: “Definizione delle strategie di ingresso e di competizione”). Il percorso termina con la terza prova di verifica (Laboratorio C). Iª Es.ne A Iª Es.ne B 145 DEFINIZIONE DELLE STRATEGIE D’INGRESSO E DI COMPETIZIONE IL PRODOTTO Nome della linea Numero dei prodotti e specifiche Funzioni d’uso Caratteristiche materiali Livello qualitativo Punti di forza Servizi accessori Servizi post-vendita Packing Caratteristiche materiali: si tratta di stabilire come il prodotto dovrà essere fatto da un punto di vista fisico (quale materiale, quali forme, quali colori, …). Rientra in tale ambito anche la definizione del li- vello qualitativo del prodotto, che è misurabile confrontandolo con prodotti concorrenti. La qualità può essere merceologica: quella intrinseca al prodotto stesso, che emerge da analisi tecniche; commerciale: cioè il grado in cui il prodotto risponde alle aspettative dei clienti; percepita: quella effettivamente compresa e dunque attribuita dai consumatori al prodotto. La sua funzione d’uso consiste nello stabilire a cosa serve il prodotto/servizio. Servizi: si tratta di definire tutto ciò che si aggiunge alla prestazione di base arricchendo nel com- plesso l’offerta (assistenza, posta vendita, personalizzabilità, …), rendendola diversa e potenzialmente preferibile a quella dei concorrenti a parità di componenti materiali e di qualità merceologica. Linee: Una linea di prodotto è un insieme di prodotti strettamente correlati che mirano alla soddi- sfazione di uno stesso tipo di bisogno (es. una “linea bagno” composta da bagnoschiuma, shampoo e talco serve a soddisfare i medesimi bisogni: di pulizia, di piacere, circondandosi di un profumo gradevole, di relax…). Il Packaging : deve comunicare nome e marca del prodotto, indicare ingredienti o componenti, contenere le modalità di utilizzo (istruzioni, fogli illustrativi, …), spiegare le modalità di conserva- zione ove opportuno, far capire perché quel prodotto è diverso dagli altri, indicare i termini di garanzia e la data di scadenza ove esistente. L A B O R A T O R I O A PRIMA ESERCITAZIONE 146 147 PRODOTTI-SERVIZI PREZZI L A B O R A T O R I O B PRIMA ESERCITAZIONE DEFINIZIONE DELLE STRATEGIE D’INGRESSO E DI COMPETIZIONE 148 149 150 151 Risposte esatte: 1) vero; 2) il prezzo, la distribuzione; 3) a, d, e; 4) impersonali, tecnici, sociali; 5) (negozi di proprietà, vendite a domicilio, vendite mediante macchine distributrici, vendita per corrispondenza) (con uno o più intermediari) L A B O R A T O R I O C IVª prova di VERIFICA 4. Piano di produzione: La messa a punto della struttura aziendale Chi avvia un’impresa si trova nel corso del tempo ad affrontare tutta una serie di problemi, riguardanti la "formula organizzativa" della sua azienda. Ciò comporta la necessità di prendere delle decisioni precise, alcune anche prima dell’avvio dell’impresa, su una serie di punti chiave dell’assetto economico organizzativo della stessa. Gli aspetti più importanti su cui il neo-imprenditore si deve concentrare sono 1. sede 2. make or buy 3. immobilizzazioni tecniche 4. ricerca 5. brevetti 6. approvigionamento 7. struttura amministrativa 8. struttura produttiva Le tipologie di scelte che è chiamato a fare per ciascuna di queste variabili sono sintetizzate nel riquadro sottostante: TIPOLOGIE DI SCELTE individuazione dei criteri per una sua localizzazione, delle modalità di possesso - affitto o acquisto -, della possibilità di accedere a finanziamenti agevolati individuazione delle fasi per la produzione, per l’amministrazione, per la commercializzazione da svolgere all’interno e quelle da delegare all’esterno elenco dei macchinari, delle attrezzature, delle attrezzature d’ufficio ed arredi, dei mezzi di trasporto e loro modalità di possesso: affitto, leasing, acquisto FATTORI Sede make or buy Immobilizzazioni tecniche 152 153 per le aziende basantesi su innovazioni di tipo tecnico individuazione dei vantaggi connessi all’acquisizione di un certo segmento di mercato, alla creazione di immagine dell’azienda, all’ottenimento di un premium price per i propri prodotti, alla possibilità di concedere licenze per lo sfruttamento del brevetto ottenendo in cambio il pagamento di royalties individuazione di sistemi, di hardware e software per la tenuta della contabilità e il controllo della situazione finanziaria individuazione dei sistemi di produzione da adottare - linea montaggio, isole lavoro, grado di flessibilità quali-quantitativa, layout macchinari; collegamento delle diverse stazioni di lavoro, gestione delle scorte dei semilavorati, metodi di programmazione della produzione, sistemi di controllo qualità individuazione di opportunità, soggetti, joint venture, partecipazioni azionarie, spin-off, concessioni di licenze, accordi commerciali, produttivi, di R&S ricerca e sviluppo utilizzo brevetti industriali approvvigionamento materie prime struttura amministrativa struttura produttiva accordi con altre imprese Sia per il laboratorio A che per il B le esercitazioni rifanno il per- corso del paragrafo 4 relativo al piano di produzione: – sede – struttura organizzativa – struttura amministrativa (Iª esercitazione: “Piano di produzione” A Iª esercitazione: “Piano di produzione” B). I laboratori sono preceduti da una scheda. Iª Es.ne A Iª Es.ne B 154 Scheda n. 6 L’ORGANIZZAZIONE AZIENDALE Il raggiungimento degli obiettivi aziendali richiede il coinvolgimento e l’attivazione di più soggetti che devono lavorare in maniera integrata e coordinata. Ripartire il lavoro, ovvero definire chi fa che cosa, significa individuare le unità orga- nizzative. Il modello organizzativo esplicita: – secondo quali principi e modalità si realizza la divisione del lavoro in unità orga- nizzative; – in che modo è garantito il coordinamento dei differenti individui impegnati nella realizzazione del lavoro e, quindi, nelle differenti unità organizzative. Diverse sono le forme di organizzazione aziendale. Le due forme classiche che rap- presentano un po’ la base rispetto alla quale si sono evoluti i differenti modelli organizza- tivi sono quello funzionale e quello divisionale. Quest’ultimo, per le sue caratteristiche, è normalmente più indicato per le medie e grandi realtà imprenditoriali piuttosto che per le piccole, che solitamente impostano l’orga- nizzazione aziendale sulla capacità di specializzazione funzionale. MODELLO FUNZIONALE Le unità organizzative sono definite in funzione della specializzazione del lavoro e la struttura ricalca le fasi di input del processo di trasformazione e vendita. Un esempio di organizzazione funzionale è riportato dal grafico che segue: AMMINISTRAZIONE 155 Il principale vantaggio del modello funzionale è l’estrema specializzazione acquisita dalle risorse impegnate nelle singole unità organizzative. Ciò si traduce nel conseguimento di economie di scala e nell’abbattimento dei costi. Per contro, la struttura funzionale risulta estremamente rigida ed è foriera di incomprensioni e conflitti, sempre di natura gestionale, tra i responsabili delle differenti funzioni. Un esempio Il responsabile marketing ipotizza degli obiettivi di vendita “impegnativi” rispetto alle capacità della struttura produttiva ed entra in conflitto con il responsabile dell’area tecnico-produttiva che manifesta le sue perplessità. Il responsabile marketing non è un incompetente, ma non ha la sensibilità rispetto alle problematiche produttive; dall’altra parte il responsabile della produzione non è uno “scansafatiche”, però si rende conto dell’ulteriore fabbisogno di manodopera, di so- vraccarico degli impianti di produzione ecc. MODELLO DIVISIONALE Le unità organizzative sono definite in funzione del rapporto con l’esterno e la strut- tura ricalca gli output del processo di trasformazione e vendita. Esempi di strutture divisionali sono quelle organizzate per aree geografiche, o per mercato di sbocco, o per tipologia di prodotto servizio, come dall’esempio seguente: Un’organizzazione per tipologia di prodotto implica che ogni unità organizzativa ge- stisca in toto il processo di trasformazione e di vendita dell’output di competenza. Segue che ogni divisione deve gestire i problemi connessi all’acquisizione dei fattori produttivi, all’organizzazione dell’attività di produzione, all’organizzazione e monitoraggio dell’attività di vendita. Pertanto, il modello divisionale presenta il vantaggio di essere molto più elastico e reattivo rispetto alle esigenze e ai cambiamenti provenienti dall’am- 156 biente esterno. Tuttavia rischia di essere molto pesante dal punto di vista della duplicazione dei costi, ciò in quanto ogni unità organizzativa replica al proprio interno una struttura or- ganizzativa autonoma. Esempio Giulio e Osvaldo intendono avviare una piccola attività imprenditoriale per la produ- zione di piatti pronti, destinati ai pubblici esercizi con piatti monodose pronti al con- sumo e ai supermercati con prodotti di gastronomia (creme, salse, paté) da commer- cializzare sfusi. Giulio è un tecnologo alimentare che conosce a perfezione le fasi e le criticità del pro- cesso produttivo, Osvaldo, invece, ha maturato un’esperienza di agente di vendita per conto di un’azienda che opera nel settore alimentare. Date le dimensioni dell’iniziativa, il modello organizzativo più opportuno è un ibrido tra modello funzionale e modello divisionale. Nello specifico, si prevede: – un’unità centralizzata di produzione, presieduta da Giulio, che coordina e gestisce il processo di produzione di entrambe le linee di prodotti (piatti pronti al consumo e prodotti di gastronomia); – due unità organizzative, una per linea di prodotto, che gestiscono le problematiche commerciali e promozionali. Caio sarà responsabile della linea “gastronomia” e ge- stirà, quindi, i rapporti con il canale dei supermercati, mentre per la linea “pronti al consumo” occorrerà ricercare un “figura chiave” e nello specifico una persona che abbia maturato una significativa esperienza nell’attività commerciale verso i pub- blici esercizi. 157 PIANO DI PRODUZIONE L A B O R A T O R I O A PRIMA ESERCITAZIONE S ed e S tr ut tu ra p ro du tt iv a S tr ut tu ra am m in is tr at iv a 1. Dove è opportuno stabilire la sede? Perché 2. C’è la possibilità di accedere a finanziamenti agevolati? 3. Quali sono le fasi di lavorazione attraverso le quali vengono realizzati/erogati i diversi prodotti servizi? 1. 2. 4. Quali e quanti macchinari occorrono per ciascuna fase? fasi macchinari 1. 2. n. 5. Quali e quante sono le attrezzature e i mezzi di trasporto? Tipologia di attrezzature/mezzi di trasporto Num. 1. 2. n. 6. Quali e quanti sono gli arredi, le dotazioni tecnologiche dell’area amministrazione? Quali e quante Num. attrezzature/mezzi di trasporto 1. 2. n. 158 PIANO DI PRODUZIONE L A B O R A T O R I O B PRIMA ESERCITAZIONE 159 160 161 5. Piano del personale: La definizione dell’organigramma Definita la struttura produttiva occorre delineare le politiche del personale, cioè decidere se limitare la ditta ai soci o usare consulenti esterni o assumere personale. In quest’ultimo caso il neo imprenditore deve porsi questi problemi: 1. Di quante persone ha bisogno l’azienda? 2. Con quale professionalità? Diventa necessaria 1) un’analisi quantitativa che determini il numero di persone di cui si ha bisogno; 2) un’analisi qualitativa, per avere una visione corretta e puntuale delle responsa- bilità e dei compiti da svolgere nelle diverse posizioni aziendali e per reclutare quindi il personale adeguato. Per ogni posizione esaminata è indispensabile conoscere le professionalità, le responsabilità e i risultati attesi; se ne definisce l’inquadramento, la durata del rap- porto di lavoro, la retribuzione, gli incentivi economici, l’opportunità di crescita professionale. Si deve precisare, per uso interno, la denominazione della mansione per cui si costituisce quella posizione di lavoro, il numero di persone che devono coprire quella posizione, la descrizione delle attività da svolgere e la posizione ricoperta nell’organigramma aziendale. Decidere di quante persone si ha bisogno non è un processo facile, in quanto non si hanno dati storici a cui riferirsi. Il punto di partenza è quello della determi- 162 nazione delle ore necessarie per realizzare il volume d’affari previsto (produzione- servizi) e dei tempi medi necessari per svolgere determinate operazioni. Questi dati permettono di individuare il numero delle persone che sono necessarie in azienda e di conseguenza è possibile valutarne i costi. Per la tua attività ti occorrono collaboratori? Quanti? Prima, però, di cercare collaboratori devi verificare quello che sei in grado di fare tu e quello che proprio non sai fare (e ritieni anche difficile imparare), e che dunque è consigliabile delegare a terzi; sempre che non si tratti di una competenza così importante per la tua iniziativa da far dipendere da un’altra persona buona parte del successo della tua impresa. Occupandoti di quello che sai fare meglio, sarai sicuro di dare il maggiore apporto possibile alla tua iniziativa, e perché no, di lavorare divertendoti. Le esercitazioni dei due laboratori rappresentano una sistematizza- zione delle informazione apprese nel paragrafo 5. (Iª esercitazione: “Piano del personale” A Iª esercitazione: “Piano del personale” B). Iª Es.ne A Iª Es.ne B 163 PIANO DEL PERSONALE AREA COMMERCIALE AREA PRODUTTIVA AREA AMMINISTRATIVO ORGANIZZATIVA L A B O R A T O R I O A PRIMA ESERCITAZIONE 164 PIANO DEL PERSONALE AREA COMMERCIALE AREA PRODUTTIVA AREA AMMINISTRATIVO ORGANIZZATIVA L A B O R A T O R I O B PRIMA ESERCITAZIONE Quinta Parte FORMA GIURIDICA E COSTITUZIONE DI SOCIETÀ 1. Impresa, azienda o ditta? 2. Tipologie d'imprese 3. Quale forma giuridica scegliere? 4. Quali sono le procedure amministrative per costituire una società? 5. Pianificazione finanziaria 167 0. Premessa Quando si vuole trasformare un’idea imprenditoriale in un’impresa reale è indi- spensabile definire la forma giuridica. Questa ha grande importanza poiché le diverse soluzioni possono portare note- voli conseguenze per il futuro dell’azienda. Ma cos’è un’impresa? Che differenza c’è tra impresa ed azienda? Cos’è una ditta? 1. Impresa, azienda o ditta? Impresa, azienda, ditta sono sinonimi? Nel linguaggio comune sì, ma nel linguaggio giuridico hanno significati diversi. 168 2. Tipologie d’imprese Secondo l’ordinamento giuridico un’impresa può essere organizzata in più forme. 169 Impresa individuale Impresa familiare È opportuno studiare le diverse forme d’impresa in maniera più approfondita. 2.1. Le imprese individuali Il titolare di una ditta individuale è una unica persona fisica, illimitatamente responsabile delle obbligazioni dell’impresa con tutto il suo patrimonio personale. Gli utili dell’impresa spettano solo all’imprenditore, il quale deve provvedere da solo alle necessità finanziarie dell’impresa medesima. L’impresa familiare è pur sempre un’impresa individuale, poiché vi è un solo titolare sul quale grava la responsabilità. Sono considerati collaboratori il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado dell’imprenditore (co- niuge, figlio, nipote, pronipote, genitore, nonno, bisnonno, fra- tello e zio, genero, coniuge del nipote, coniuge del genitore, co- niuge dei fratelli); il figlio, il nipote (quando non lo sono anche dell’imprenditore), il genitore, il nonno e il fratello del coniuge dell’imprenditore, che svolgono la loro attività nell’impresa me- desima in modo continuativo e prevalente. I familiari collaboratori partecipano agli utili secondo quote pro- porzionate al lavoro effettivamente prestato; la quota spettante al titolare non può essere tuttavia inferiore al 51% del reddito di impresa. Anche in questo caso l’imprenditore deve far fronte da solo alle necessità finanziarie dell’azienda. Non è conveniente costituire un’impresa familiare: – nel caso in cui si voglia attribuire al figlio o al familiare una quota consistente degli utili anche se questi non presta effetti- vamente la propria opera nell’impresa; – dal punto di vista fiscale, dato che l’impresa familiare può essere assimilata ad una società di persone e, da questo punto di vista, è più redditizia una società di capitali. 170 2.2. Le imprese collettive La distinzione tra società di persone e di capitale è legata al prevalere dei soci o del capitale conferito. ➯ Nelle società di persone il capitale ha un’importanza relativa in quanto i soci rispondono personalmente ed illimitatamente dei debiti della società. ➯ Nelle società di capitale, invece, i soci rispondono alle obbligazioni assun- te dalla società esclusivamente con la parte del capitale da essi sottoscritta. Esistono, inoltre, società non disciplinate dal codice civile che sorgono quando due o più persone decidono di svolgere una qualsiasi attività commerciale: le cosid- dette società di fatto. In sostanza si tratta di società prive della regolare costituzione previ- sta per i tipi disciplinati dal codice civile e dell’iscrizione presso la Cancelleria commerciale del Tribunale. Ciò non offre, spesso, ade- guate garanzie all’esterno, in quanto la società non diventa una enti- tà distinta dalle singole persone fisiche che la costituiscono. La società di fatto si differenzia dall’impresa familiare poiché i soci sono com- proprietari dell’azienda. Queste società seguono a grandi linee la nor- mativa della società di persone e, in particolare, quella delle S.n.c.; la differenza è che i soci sono meno tutelati nei rapporti con i terzi e non possono acquistare in proprio immobili o beni mobili registrati. Le società di fatto sono di solito costituite per attività di modeste dimen- sioni (piccoli artigiani e commercianti). È comunque consigliabile, anche per queste modeste attività, la costituzione di regolari società disciplinate dal codice civile, perché non c’è nessuna differenza o risparmio nella tassazione di una società di fatto rispetto ad una società di persone regolarmente costituita. 2.2.A. Società di persone La società semplice è una delle forme più elementari di società e in genere è costituita da soci che svolgono attività agricola o li- bere professioni, ma non attività commerciale. Si caratterizza in quanto: 1. non ha autonomia patrimoniale e quindi ogni socio risponde delle obbligazioni sociali in via diretta, illimitatamente e so- lidalmente: – la responsabilità solidale comporta che ciascun socio possa essere perseguito per i debiti della società, anche se con- tratti da altri soci; – La responsabilità illimitata da parte dei soci comporta che i soci medesimi possano essere chiamati a pagare i debiti della società con il proprio patrimonio personale senza che vi sia obbligo per i creditori di rifarsi preventivamente sul patrimonio sociale. 2. la consistenza del patrimonio della società è scarsamente tu- telata; ad esempio il creditore particolare del socio può chie- dere in ogni momento la liquidazione della quota del suo de- bitore. Per la sua costituzione non sono richieste forme particolari. Questa forma di società in genere viene indicata con il nome di uno o più soci e con l’indicazione “s.n.c.” Ogni socio ha responsabilità illimitata e solidale in via sussidia- ria; ciò significa che gli eventuali creditori devono rifarsi sul patrimonio della società e solo ad esaurimento dello stesso pos- sono anche esigere dai singoli soci il pagamento dei debiti della società. Per tutelare la consistenza del patrimonio sociale ci sono alcuni vincoli quali: – il creditore particolare del singolo socio non può espropriargli la quota sociale; tuttavia egli è legittimato a rivalersi sugli uti- li derivanti dalla suddetta quota di partecipazione; – sottostare a delle limitazioni nella distribuzione degli utili: 171 1 Società semplice 2 Società in nome collettivo (S.n.c.) 172 • in particolari circostanze si possono ripartire somme fra so- ci solo per utili realmente conseguiti; • se si verifica una perdita del capitale sociale, non si possono dividere utili tra soci finché il capitale non è stato reintegra- to o ridotto in misura adeguata; – qualora si decidesse di ridurre il capitale sociale, si deve tene- re conto delle necessità di tutelare i creditori sociali. Il contratto di società deve essere stipulato per atto pubblico o scrittura privata autenticati e depositati presso la Cancelleria del Tribunale. Non è previsto un capitale minimo. Le modificazioni del contratto sociale devono essere apportate all’unanimità ed essere pubblicate presso la cancelleria del Tri- bunale. Poiché questa società pubblicizza la sua esistenza con la regi- strazione presso la Cancelleria del Tribunale, rende più sicuri e più certi i suoi rapporti con terzi. In questa società sono previsti due tipi di soci: – accomandanti: soci che affidano il capitale ad altri soci perché lo impieghino e poi ne rendano conto; – accomandatari: soci che ricevono il capitale in accomandita. I primi, cioè i soci accomandanti, rispondono per la quota di ca- pitale versata; i secondi, cioè i soci accomandatari, rispondono solidalmente e illimitatamente con tutto il loro patrimonio indi- viduale verso i creditori per gli obblighi sociali. Ai soci accomandatari spetta la gestione della società e ai soci accomandanti spetta solo il controllo della gestione. Quando viene costituita la società si devono indicare quali sono i soci accomandanti e quali sono i soci accomandatari. In generale, il trasferimento delle quote del socio di una società di persone richiede il consenso unanime di tutti gli altri soci. Nel caso di trasferimento da parte di soci accomandanti, è sufficien- te il consenso dei soci che rappresentano la maggioranza del capitale. La regolamentazione delle S.a.s. è incentrata sul rapporto esi- stente fra queste due categorie di soci mentre per il resto è disci- plinata dagli stessi principi delle S.n.c. 3 Società in accomandita semplice (S.a.s.) 173 4 Società per azioni (S.p.a.) 2.2.B. Società di capitali Per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio. Ciò significa che i creditori non possono pretendere dai soci il pagamento dei debiti sociali nel caso in cui il patrimonio della so- cietà sia insufficiente. Per diventare tali, i soci versano quote di- verse che sono certificate da documenti: azioni. Il numero delle quote sottoscritte dà la misura della partecipazione di ciascun socio alla società; il socio, in assemblea, vale per la quota di ca- pitale rappresentata. La legge impone alcuni obblighi a coloro che intendono dare vita ad una S.p.a.: – si deve disporre di un capitale minimo fissato in 100 mila euro, – l’atto costitutivo va redatto ad opera del notaio e poi iscritto nel registro delle imprese, previo controllo del Tribunale. Con que- sta procedura la società acquista una personalità giuridica. Le S.p.a. operano mediante i propri organi formati da persone fisiche: – l’assemblea dei soci: organo che decide ed esprime la volontà della società. Si riunisce una volta all’anno (assemblea ordi- naria) per approvare il bilancio, nominare gli amministratori e i sindaci e per prendere ogni altra decisione prevista nell’atto costitutivo; – gli amministratori: eletti dall’assemblea, sono quelli che diri- gono la società nel rispetto delle decisioni prese dall’assemblea e costituiscono il Consiglio d’amministrazione; – il collegio sindacale: eletto dall’assemblea, è l’organo di con- trollo della società. Il collegio controlla se la contabilità è te- nuta in modo regolare e se la legge e quanto previsto dall’atto costitutivo sono debitamente osservati. Questo tipo di società è particolarmente adatto per la costituzio- ne di grandi imprese. 174 Come nelle società in accomandita semplice, anche in questa for- ma di società ci sono i soci accomandanti e i soci accomandatari. • I soci accomandanti rispondono per le obbligazioni sociali li- mitatamente alle quote di capitale sottoscritto e rappresentato, in questo caso, da azioni; • i soci accomandatari invece rispondono in modo solidale e illimitato. Le norme che vengono applicate in generale per la S.p.a. valgo- no anche in questa società: è richiesto un capitale minimo di 100 mila euro per la sua costituzione; è dotata di personalità giuri- dica; la gestione e l’amministrazione spettano solamente ai soci accomandatari. Il capitale della società non è rappresentato da azioni e per la sua costituzione è sufficiente un capitale sociale di 10 mila euro. Con il decreto legislativo n° 88 del 3 marzo 1993 è ora possibile la costituzione di una S.r.l. con un unico socio. Questo tipo di so- cietà si adatta bene alle piccole e medie imprese. 5 Società in accomandita per azioni (S.a.p.a.) 6 Società a responsabilità limitata (S.r.l.) 177 2.2.C. Le Cooperative La cooperativa è una formula che ha sempre più successo, soprattutto per gli sgravi tributari che la legge prevede. Il primo requisito per dar vita ad una cooperativa è il coinvolgimento di tutti i soci nell’attività della società, allo scopo di risolvere collettivamente un bisogno individuale. Afferma infatti l’art. 2511 del codice civile: “le imprese che hanno scopo mutualistico possono costituirsi come società cooperative a responsabilità limitata o illimitata...” La co- operativa quindi, a differenza della società, ha come finalità il soddisfacimento di una esigenza di ciascun socio, che meglio può venir raggiunta con una azione comune, cioè mutualistica. Come viene assicurato il carattere “mutualistico”? Quando negli statuti delle cooperative siano contenute le seguenti clausole: – divieto di distribuzione dei dividendi superiori alla ragione dell’interesse legale ragguagliato al capitale effettivamente versato; – divieto di distribuzione delle riserve fra i soci durante la vita sociale; – devoluzione del patrimonio residuo delle cooperative in liquidazione, de- dotti il capitale versato e rivalutato ed i dividendi eventualmente maturati, al fondo mutualistico per la promozione e lo sviluppo della cooperazione (vedi art. 11 della legge 31 gennaio 1992, n. 59). In caso di fallimento o liquidazione coatta amministrativa i soci rispondono solo con la propria quota (o azione) sottoscritta. I vantaggi dei soci possono essere riferiti, ad esempio, alla sicurezza del col- locamento, alla comodità del servizio oppure all’approvvigionamento dei prodotti, all’attribuzione di una parte degli utili attraverso iniziative sociali e culturali che rientrano nei “fini mutualistici” (gite sociali, borse di studio), al risparmio di spese (cooperative di consumo) oppure all’individuazione di un percorso occupazionale non tradizionale (cooperative di produzione e lavoro). Tali vantaggi vengono corrisposti dalla cooperativa attraverso prezzi minori o retribuzioni maggiori di quelle di mercato. 178 Le società cooperative possono essere: a) a responsabilità limitata : in questo caso per le obbligazioni sociali risponde la società con il suo patrimonio. Nel caso di fal- limento o di liquidazione coatta amministrativa i soci rispondo- no solo con la propria quota (o azione) sottoscritta. b) a responsabilità illimitata : per le obbligazioni sociali rispon- de la società con il suo patrimonio e, qualora questo non sia suf- ficiente, rispondono in via sussidiaria tutti i soci solidalmente e illimitatamente. La cooperativa a responsabilità illimitata, che in passato ha avuto un grande diffusione, ora è caduta in disuso per i rischi che essa comporta. In particolare, nelle società cooperative: 1. normalmente i soci sono almeno 9. Le cooperative di consu- mo devono avere almeno 50 soci, se la cooperativa ha sede in una località con meno di 500 abitanti il limite scende a 20; 2. il valore nominale di ciascuna quota (o azione) non può essere inferiore a 25,00 euro e il valore nominale di ciascuna azione non può essere superiore 500,00 euro. Il limite massimo del- la quota e delle azioni che ciascun socio, persona fisica, può possedere è determinato in 40.000,00 euro, elevato 60.000,00 euro per i soci delle cooperative agricole e di produzione e lavoro; 3. nelle assemblee sociali ogni socio ha un voto, qualunque sia il valore della quota versata. L’atto costitutivo può attribuire ad eventuali persone giuridiche socie più voti (al massimo 5). Il diritto di voto nelle assemblee spetta a coloro che risultano iscritti da almeno 3 mesi nel libro dei soci; Società a responsabilità limitata e illimitata 4. l’atto costitutivo indica le condizioni per l’ammissione dei soci (requisiti e divieti eventuali sono inoltre stabiliti nella legge 17 febbraio 1971, n. 127, art. 2); 5. vige il divieto di espropriazione della quota ; 6. l’amministrazione spetta a più persone che siano soci o mandatari di persone giuridiche socie; 7. le quote possono essere cedute su autorizzazione. Tuttavia l’atto costitutivo può anche vietarne la cessione; 8. è facoltativa la nomina del Collegio dei Probiviri o Collegio Arbitrale, organo sociale incaricato di risolvere le controver- sie interne alla società e i cui componenti possono anche non essere soci; 9. riguardo agli obblighi di bilancio vale la normativa delle società di capitale in generale; 10. nell’atto costitutivo vengono indicate le condizioni per l’eventuale recesso dei soci; 11. la legge stabilisce che le cooperative devono sottostare a re- visione periodica per il controllo dell’andamento economico e del rispetto delle norme di legge, sia fiscali, previdenziali, che agevolative. È una forma semplificata di società cooperativa regolamentata dalla legge 7 agosto 1997 n. 266 (meglio nota come “Legge Ber- sani”) e pensata come un ulteriore strumento a sostegno del- l’economia. Può essere composta esclusivamente da persone fisiche in un nu- mero non inferiore a tre e non superiore a otto soci e la denomi- nazione sociale deve contenere l’indicazione di “piccola società cooperativa”. Se il potere di amministrazione è attribuito all’assemblea, occor- re effettuare la nomina di un presidente, il quale avrà la rappre- sentanza legale. 179 Piccola società cooperativa Alla piccola cooperativa si applicano le norme relative alle socie- tà cooperative compatibilmente con le norme sopra illustrate. Infine, quando ricorrono i requisiti previsti dalla legge (qualora venga superato il tetto massimo di otto soci), la piccola coope- rativa deve deliberare la propria trasformazione in società cooperativa, che rappresenta anche l’unica sua trasformazione possibile. I soci sono unicamente società cooperative che si propongono l’esercizio in comune di attività economiche. Presupposti per la costituzione di un tale consorzio sono: a) un numero di società cooperative legalmente costituite non inferiore a 3; b) sottoscrizione di un capitale di almeno 500,00 euro di cui sia versata almeno la metà. Le quote di partecipazione delle consorziate possono essere rappresentate da azioni il cui valore nominale non può essere inferiore a 25,00 euro, né superiore a 500,00 euro ciascuna. Esistono diversi tipi di cooperative, a seconda ➯ dello scopo (bisogni dei soci che intende soddisfare) ➯ del tipo di attività che svolgono. 180 Consorzi di Società Cooperative 181 ➯ Scopo: soddisfare un bisogno abitativo realizzando complessi edilizi (mediante la stipula di convenzioni con enti pubblici territoriali e con imprese edilizie appaltatrici) che vengono poi assegnati ai soci. Si distinguono nei gruppi “a proprietà divisa” e “a proprietà indivisa”. a) Le prime formalizzano l’assegnazione dell’abitazione ai soci e l’assegnatario ac- quisisce la piena proprietà dell’unità immobiliare mediante il pagamento di una quota del costo di realizzazione dell’intero complesso immobiliare. Dopo questi atti la cooperativa ha raggiunto il proprio scopo sociale e si scioglie, salvo che i soci decidano di mantenerla per la gestione condominiale del complesso edilizio. b) Le seconde provvedono alla messa a disposizione di alloggi ai soci, ma questi hanno solo un diritto di uso dell’appartamento loro assegnato, per il quale pa- gano un canone di uso commisurato ai costi sostenuti dalla cooperativa. La cooperativa continua ad esistere, gestisce i complessi immobiliari già costituiti, ne paga i mutui ed eventualmente procede a nuove costruzioni per i nuovi soci. Se il socio decide di non usufruire ulteriormente di un alloggio, non ha alcun diritto sul patrimonio della cooperativa. ➯ Scopo: permettere ai soci di ottenere lavoro a condizioni mi- gliori, sia in termini qualitativi che economici, rispetto a quelle esistenti sul mercato del lavoro. Svolgono attività sia nella produzione diretta dei beni che nella fornitura di servizi a terzi, persone fisiche, enti o società. I soci partecipano alla divisione degli utili, nei limiti di legge, generalmente se- condo il tempo-lavoro prestato alla società e mai proporzionalmente al capitale versato. ➯ Scopo: perseguire l’interesse generale della comunità contri- buendo alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini. Rientrano in questa categoria: ➯ le cooperative di gestione di servizi socio sanitari, culturali ed educativi; ➯ le cooperative per lo svolgimento di attività finalizzate all’inserimento lavora- tivo di persone svantaggiate; Si considerano persone svantaggiate: gli invalidi fisici, psichici e sensoriali, gli ex-degenti di istituti psichiatrici, i soggetti in trattamento psichiatrico, i tossi- codipendenti, gli alcolisti, i minori in età lavorativa in situazione di difficoltà familiare, i condannati ammessi alle misure alternative alla detenzione. 1. Cooperative edilizie 2. Cooperative di produzione e lavoro 3. Cooperative sociali 182 Le persone svantaggiate devono costituire almeno il 30% dei lavoratori della cooperativa stessa. Gli statuti delle cooperative sociali possono prevedere la presenza di soci volontari che prestino la loro attività gratuitamente. Possono, inoltre, essere ammessi come soci delle cooperative sociali persone giuri- diche pubbliche o private nei cui statuti sia previsto il finanziamento e lo sviluppo delle attività di tali cooperative. ➯ Scopo: assicurare ai soci la fornitura di beni, sia di consumo che durevoli, a prezzi più contenuti di quelli correnti di mer- cato. I soci possono essere a) consumatori finali e in tal caso la società si può strutturare con punti vendita propri. b) intermediari commerciali ; in tal caso la cooperativa assume la veste di gruppo di acquisto, negoziando con i produttori prezzi e condizioni di fornitura migliori per acquisti più consistenti e continuativi rispetto a quelli del singolo associato. Possono svolgere ➯ produzione diretta o integrativa Le cooperative, fanno acquisti collettivi di prodotti di consumo o durevoli, e li rivendono ai soci previa la sola copertura delle spese o realizzano la gestione collettiva dei fondi di proprietà dei soci. ➯ distribuzione dei prodotti dei singoli associati. Le cooperative coordinano le attività di vendita dei prodotti ottenuti dai soci median- te la sola attività commerciale. Si possono suddividere in 4 principali categorie: ca- seifici sociali, consorzi ortofrutticoli, cantine sociali, cooperative di servizi agricoli. Sono quelle che forniscono servizi ai soli soci che non è possibile far rientrare nei settori precedenti, in quanto svolgono attività diverse. ➯ Appartengono a questa categoria le cooperative che operano nel settore del credito: – Casse Rurali – Cooperative di credito – Banche popolari 4. Cooperative di consumo 5. Cooperative agricole 6. Cooperative di servizio misto e varie 7. Cooperative di credito 183 3. Quale forma giuridica scegliere? Nello scegliere l’una o l’altra tipologia d’impresa occorre tener conto di alcuni elementi: Questi elementi permettono di individuare, tra le forme giuridiche previste dal codice civile, quella che meglio si adatta all’azienda. a. Il numero dei soggetti che vi concorrono: La prima distinzione da fare è: e. il grado di responsabilità giuridica dell’imprenditore f. la tipologia di settore e attività a. il numero dei soggetti che vi concorrono b. il volume d’affari che si prevede di realizzare nel medio periodo c. gli obiettivi dell’impresa d. l’entità dei capitali da investire per iniziare l’impresa b. Il volume d’affari che si prevede di realizzare nel medio periodo: Quanto più il fatturato previsto è elevato, tanto più consistenti saranno i mezzi necessari alle società per l’esercizio della propria attività e il rischio d’impresa. Per cui, in modo molto semplicistico, un fatturato piuttosto elevato dovrebbe orientare la scelta del tipo di società verso quelle di capitali (per limitare il rischio dei soci). 184 Non è possibile stabilire un limite di fatturato oltre il quale è più conveniente la costituzione di una società di capitali e al di sotto dei quali convenga la società di persone: questo dipende da vari fattori come l’attività esercitata, il tipo di clien- tela, il mercato a bassa o alta concorrenza, ecc. In linea di massima si può dire che la società di capitali sarebbe consigliabile anche se il fatturato previsto non è molto elevato, tutte le volte che l’azienda è de- stinata a vendere in un mercato non troppo facile, dove esiste molta concorrenza e dove gli incassi dei clienti sono a lunga scadenza. Perciò, se l’attività da svolgere si presenta abbastanza rischiosa, è consiglia- bile orientarsi verso una società di capitali. c. Gli obiettivi dell’impresa Collegato al fattore precedente è quello dell’ammontare degli utili previsti. Data la difficoltà della materia ci limitiamo a fornire alcune indicazioni di massima. Tanto più è elevato il livello di utili della società, quanto più conveniente sarà adottare uno dei tipi di società di capitali. Il livello di utili della società oltre il quale sarà conveniente la costituzione di una società di capitali tenderà a ridursi quando i singoli soci abbiano già dei redditi propri piuttosto considerevoli. Il livello degli utili oltre il quale è conveniente la scelta di una società di capi- tali tenderà ad aumentare, a parità di altre condizioni, quando gli utili conseguiti verranno distribuiti quasi integralmente ai soci. d. L’Entità di capitali da investire per iniziare l ’impresa Il capitale minimo previsto per la costituzione della società può evidentemente influenzare nelle scelte del tipo di società da costituire. Per le società di persone il codice non stabilisce un limite minimo di capitale necessario per la loro costituzione e ciò perché i soci rispondono in modo illimitato per le obbligazioni sociali. Poiché le società di capitale, invece, rispondono per le obbligazioni assunte sol- tanto con il loro patrimonio, la legge prevede il versamento di un capitale minimo: Società a responsabilità limitata (Srl) € 10.000,00 Società per azioni (Spa) € 100.000,00 Società in accomandita per azioni (Sapa) € 100.000,00 I soci non sempre disporranno di tali cifre, per cui dovranno eventualmente ripiegare su una società di persone. 185 e. Il grado di responsabilità giuridica dell’imprenditore Un aspetto fondamentale che può indurre un socio a preferire un tipo di so- cietà ad un altra, è sicuramente quello della responsabilità personale dei soci. Un socio può scegliere di entrare in una società dalla quale gli derivi la re- sponsabilità illimitata, cioè come detto più volte, (risponde con tutti i suoi beni presenti e futuri ai terzi creditori) solo se può seguire da vicino l’attività e se co- nosce a fondo gli altri soci in modo da evitare spiacevoli sorprese. Quando invece un socio non può seguire da vicino la vita della società o pre- ferisce un rischio calcolato, andrà a costituire una società a responsabilità limitata (risponde ai creditori della società solo con il capitale conferito). L’attività svolta e il numero di personale assunto porta ad una serie di conse- guenze sia nella scelta del tipo di società che nella procedura necessaria per costi- tuirla. Il primo passo da fare è definire il tipo di attività che si vuole iniziare e in base a questo raccogliere le informazioni necessarie. Le pagine che seguono po- tranno servire per impostare in modo chiaro il problema. f. La tipologia di settore e di attività Artigianato Un lavoratore autonomo, per essere riconosciuto con il titolo di artigiano, deve possedere alcuni requisiti: – esercitare personalmente e professionalmente l’attività prevalente dell’azienda; – organizzare l’attività esercitata, avvalendosi eventualmente della col- laborazione del coniuge e dei parenti ed affini entro il secondo grado, e partecipino anche manualmente alla attività stessa; – dirigere personalmente gli eventuali addetti all’attività aziendale; – avere la piena responsabilità della gestione dell’impresa con tutti gli oneri e rischi relativi. Il settore artigiano raccoglie oltre 300 mestieri diversi che vanno dall’artigiano dotato di bottega (falegname, orafo, ceramista...) o di un’officina (meccanico...) a quello che possiede una fabbrica che produce in serie o che vende direttamente le proprie prestazioni dove vengono richieste (idraulico, imbianchino). 186 Un artigiano è sottoposto a vincoli rigidi per quanto riguarda – il numero dei dipendenti non può superare determinati livelli, diversi a seconda del settore e dei sistemi di lavorazione. I limiti possono essere superati nella misura massima del 20% e per un periodo non eccedente i sei mesi nello stesso anno, limitatamente ai dipendenti non apprendisti. – il numero degli apprendisti non può superare quello degli altri addetti, compresi il titolare ed i familiari collaboratori. Si deve inoltre precisare che: – se l’artigiano vende anche articoli non di produzione propria è soggetto alla disciplina del commercio; – può essere artigiana solo un’impresa individuale, una società di fatto, una S.n.c. o una cooperativa; – se i soci sono più di due, la maggioranza deve svolgere in prevalenza lavoro personale nell’azienda; se sono due, è sufficiente che lavori uno solo; – si può essere titolari di una sola impresa artigiana e ciò non preclude la pos- sibilità di essere contemporaneamente titolare d’imprese non artigiane o essere socio in altre imprese artigiane. Agricoltura Secondo l’art. 2135 del codice civile è impresa agricola quella in cui l’imprenditore esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, silvicoltura (impresa forestale), allevamento del bestiame, atti- vità connesse come ad esempio vendita bestiame allevato, produzione del vino e del formaggio. Quindi è considerato agricoltore anche chi trasforma i prodotti del fondo e, in tal caso, lo svolgimento di tale ulteriore attività rientra nell’esercizio normale del- l’agricoltura. È normale, per esempio, che il viticoltore produca e metta in vendita il vino, mentre non è normale che l’orticoltore utilizzi i propri ortaggi per l’eser- cizio di un’attività conserviera (in questo caso diviene imprenditore commerciale). Commercio Il Commercio è un’attività diretta all’acquisto di beni o servizi allo scopo di rivenderli o affittarli dietro il pagamento di un corrispettivo, dopo averli, even- tualmente ed in alcuni casi trasformati. 187 Una riforma dell’aprile del 1999 ha apportato modifiche profonde al mondo del commercio: da un lato risulta più semplice iniziare un’attività commerciale, dall’altro, chi non risulta in regola viene punito con sanzioni più pesanti. Nel riquadro sottostante elenchiamo le novità più rilevanti: A. ABOLIZIONE DELLE TABELLE MERCEOLOGICHE Al posto di una classificazione molto minuziosa è stata introdotta una distin- zione tra chi vende prodotti alimentari e chi vende prodotti non alimentari. Per poter accedere all’una o all’altra tipologia di attività occorre avere i requisiti seguenti: • requisiti morali (non essere stati dichiarati falliti, non avere riportato con- danna definitiva per delitto non colposo, ...) • requisiti professionali (aver frequentato un corso di formazione professio- nale, aver esercitato in proprio o come collaboratore per almeno 2 anni negli ultimi 5 anni, ...) B. RICLASSIFICAZIONE DELLE STRUTTURE A seconda delle dimensioni dei locali in cui viene esercitata l’attività com- merciale, i negozi si suddividono in: medie strutture e grandi strutture C. ORARI DI VENDITA Gli esercizi commerciali al dettaglio possono restare aperti al pubblico per un massimo di 13 ore, nella fascia compresa tra le 7 e le 22, previa richiesta al Comune competente 188 COMMERCIO 189 4. Quali sono le procedure amministrative per costituire una società? Le procedure per la costituzione delle società risultano complesse e per questo vi provvede il notaio; non vale perciò la pena di addentrarsi in particolari. Ci limiteremo ad una esposizione sommaria. 4.1. Società di persone L’atto più importante quando si decide di costituire una società è la stesura dell’atto costitutivo. Questo atto sarà un punto di riferimento indispensabile du- rante la vita della società. L’atto costitutivo deve contenere: – il nome, il cognome, il domicilio dei soci; – la ragione sociale (nome della società); – i nomi dei soci che hanno l’amministrazione e la rappresentanza della società; – la sede della società e le eventuali sedi secondarie; – l’oggetto sociale (l’attività che svolge la società); – i conferimenti di ciascun socio, il valore ad essi attribuito e il modo di valutazione; – le prestazioni a cui sono obbligati i soci d’opera (soci che non conferi- scono beni, ma prestazioni); – le norme che dettano i criteri di ripartizione degli utili, la quota di cia- scun socio negli utili e nelle perdite; – la durata (se prevista) della società. Nel caso di una Sas si deve indicare distintamente quali sono i soci accoman- datari e quali gli accomandanti. L’atto costitutivo deve essere depositato (a cura degli amministratori o del notaio) entro 30 giorni presso l’ufficio del registro delle imprese (cancelleria del Tribunale). L’amministrazione della società e la sua rappresentanza legale spetta ai soci, che possono tuttavia convenire delle limitazioni. 190 Cioè possono stabilire che: l’amministrazione e la rappresentanza della società spetti ad un solo socio o ad alcuni soci oppure che l’amministrazione ordinaria competa ad ogni socio disgiuntamente (uno indipendentemente dall’altro) mentre l’amministrazione straordinaria spetti congiuntamente a tutti i soci (cioè occorre il consenso di tutti i soci), oppure ancora stabilire che fino ad un determinato ammontare gli acquisti, i contratti ecc. possono essere fatti dis- giuntamente, mentre, per le somme superiori, occorra il consenso congiunto. In ogni caso, queste clausole e limitazioni, per essere opposte ai terzi (cioè per poter essere certi che gli altri ne siano a conoscenza), devono essere inserite nell’atto costitutivo o in un altro documento comunque iscritto nel registro delle imprese; in caso contrario sarà la società che dovrà provare la cono- scenza di tali patti da parte di terzi. Le modificazioni dell’atto costitutivo devono essere iscritte nel registro delle imprese presso la cancelleria del Tribunale entro 30 giorni, in caso contrario non sono opponibili ai terzi a meno che non si dimostri che questi ne erano comunque a conoscenza. Le principali formalità richieste per la costituzione delle società di persone: – deposito dell’atto costitutivo presso la cancelleria del Tribunale per l’iscri- zione nel registro delle imprese. L’atto va depositato in carta da bollo entro 30 giorni dell’avvenuta costituzione allegando la ricevuta del pagamento della tassa di concessione governativa; – deposito dell’accettazione di carica degli amministratori della società, presso la cancelleria del Tribunale per l’iscrizione nel registro delle im- prese. Deve essere redatta in carta da bollo e depositata entro 15 gg. dalla notizia di nomina; – denuncia alla Camera di Commercio, con allegata copia autenticata in carta libera, dell’atto costitutivo. La denuncia va redatta su appositi moduli, rila- sciati dalla Camera di Commercio, e presentata entro 30 gg. dalla costitu- zione della società; – deposito della firma degli amministratori alla Camera di Commercio. Le firme devono essere autenticate dal notaio o altro pubblico ufficiale. Va re- datta in carta semplice, su appositi stampati dalla Camera di Commercio, e presentata entro 30 giorni dall’avvenuta comunicazione di nomina ad am- ministratori; – comunicazione all’ufficio distrettuale delle imposte dirette competente del- l’avvenuta costituzione della società allegandovi una copia in carta libera dell’atto costitutivo entro 3 mesi dalla costituzione. Tutte le precedenti formalità sono espletate normalmente dal notaio che sti- pula l’atto costitutivo della società. Se la società possiede i requisiti necessari per 191 essere considerata una impresa artigiana, occorrerà presentare la denuncia di costi- tuzione anche all’albo delle imprese artigiane tenuto dalla Camera di Commercio, allegandovi una copia dell’atto costitutivo e una ricevuta di versamento della tassa di concessione governativa. 4.2. Società di capitali L’atto costitutivo della società di capitale deve essere fatto per atto pubblico e contenere le seguenti indicazioni: – cognome e nome, luogo e data di nascita, domicilio, cittadinanza dei soci (per Spa e Sapa il numero delle azioni sottoscritte); – denominazione, sede ed eventuali sedi secondarie della società; – oggetto sociale (l’attività svolta dalla società); – ammontare del capitale sottoscritto e di quello versato; – valore e numero delle azioni e se queste sono nominative o al portatore (per Spa e Sapa); – valore di eventuali crediti e beni conferiti in natura (conferimento di ogni socio per Srl); – le norme per il riparto degli utili; – la partecipazione agli utili eventualmente riservata ai procuratori o ai soci fondatori (per Spa e Sapa); – il numero degli amministratori e i loro poteri, con l’indicazione di coloro che hanno la rappresentanza della società; – il numero dei componenti del collegio sindacale; – la durata della società; – l’importo complessivo delle spese di costituzione a carico delle società. L’atto costitutivo della Sapa deve indicare quali sono i soci accomandatari. Per poter procedere alla costituzione delle società devono essere osservate le seguenti condizioni: – che sia sottoscritto l’intero capitale sociale (100 mila euro per Spa e Sapa e 10 mila euro per Srl); – che siano versati presso un istituto di credito almeno i 3/10 dei conferimenti in denaro (restano quindi esclusi dal deposito dei 3/10 i valori sottoscritti in diversa natura). Questi depositi verranno restituiti agli amministratori quando la società sarà regolarmente costituita e gli stessi dimostrino l’avve- nuto inserimento presso l’ufficio del registro delle imprese. 192 Nel caso in cui, trascorso un anno, la società non risulti ancora iscritta, le somme depositate saranno restituite ai sottoscrittori. Le principali formalità richieste per la costituzione delle società di capi- tale sono: – deposito presso una banca dell’importo dei 3/10 dell’ammontare del capi- tale sociale sottoscritto in denaro; – ricorso al Tribunale perché emetta decreto di omologazione dell’atto costi- tutivo della società, che deve essere redatto in carta da bollo e presentato entro 30 giorni dalla data di costituzione della società, allegandovi la quie- tanza della banca dell’avvenuto versamento dei 3/10; – deposito dell’atto costitutivo presso la cancelleria del Tribunale per l’iscri- zione nel registro delle imprese allegandovi copia autentica del decreto di omologazione e la ricevuta di versamento della tassa di concessione gover- nativa, che varia a seconda del capitale sociale e del tipo di società. Il depo- sito dell’atto costitutivo deve avvenire entro 30 giorni dall’omologazione; – deposito dell’accettazione di carica degli amministratori della società, con firma autografa per l’ iscrizione nel registro delle imprese. Il deposito deve avvenire entro 15 giorni dalla notizia della nomina presso la cancelleria del Tribunale e deve essere redatto in carta da bollo allegando la ricevuta del versamento della tassa di concessione; – deposito, presso la cancelleria del Tribunale, per l’iscrizione nel registro delle imprese, dell’accettazione di carica dei sindaci (quando esistono); – denuncia alla Camera di Commercio dell’avvenuta costituzione della so- cietà allegando copia dell’atto costitutivo. La denuncia va redatta su appo- siti modelli rilasciati dalla Camera di Commercio e presentata entro 30 giorni dalla costituzione della società; – deposito della firma degli amministratori presso la Camera di Commercio. Le firme devono essere autenticate dal notaio o altro pubblico ufficiale e presentate entro 30 gg. dall’avvenuta comunicazione di nomina; – comunicazione all’ufficio distrettuale delle imposte dirette competente del- l’avvenuta costituzione della società allegandovi una copia in carta libera dell’atto costitutivo. Parte degli atti devono essere inviati, per la pubblicazione, al BUSARL (Bollettino Ufficiale Società per Azioni e a Responsabilità Limitata). La richiesta di pubblicazione va redatta in carta libera e presentata entro un mese dalla data di iscrizione dell’atto presso la cancelleria del Tribunale. 193 4.3. Cooperative Le società cooperative, qualunque sia il tipo e l’attività sociale, debbono costi- tuirsi per atto pubblico, cioè con l’intervento di un notaio. L’atto costitutivo deve indicare: – dati anagrafici dei soci, i dati delle società se partecipano persone giuri- diche; – la denominazione, la sede della società e le eventuali sedi secondarie; – l’oggetto sociale; – se la società è a responsabilità illimitata o limitata e, in questo caso, se il capitale sociale è ripartito in azioni e l’eventuale responsabilità sussi- diaria dei soci; – la quota di capitale sottoscritta da ciascun socio, i versamenti eseguiti e, se il capitale sociale è ripartito in azioni, il valore nominale; – il valore dei crediti e dei beni conferiti in natura; – le condizioni per l’ammissione dei soci, il modo e il tempo in cui de- vono essere eseguiti i conferimenti; – le condizioni per l’eventuale recesso e per l’esclusione dei soci; – le norme secondo le quali devono essere ripartiti gli utili, la percentuale massima degli utili ripartibili e la destinazione che deve essere data agli utili residui; – le forme di convocazione dell’assemblea, le condizioni per la validità delle deliberazioni e per l’esercizio del diritto di voto; – il numero degli amministratori ed i loro poteri, indicando quali tra essi hanno la rappresentanza sociale; – il numero dei componenti del collegio sindacale; – la durata della società. Entro venti giorni dalla stipulazione, l’atto costitutivo deve essere depositato per la registrazione presso il competente ufficio del Registro. Se la cooperativa prevede di svolgere attività commerciale assoggettabile a IVA dovrà presentare apposita domanda per l’ottenimento del relativo numero. Se invece non lo prevede, presenterà domanda al competente Ufficio delle imposte dirette per il rilascio del solo numero di codice fiscale. L’atto costitutivo registrato deve essere depositato entro 30 giorni presso la cancelleria del Tribunale che verifica l’adempimento delle condizioni stabilite 194 dalla legge per la costituzione della società, compie un controllo di legittimità sullo statuto, in particolare sull’oggetto sociale, sulle condizioni di ammissione, recesso od esclusione dei soci e, se positivo, ne ordina l’iscrizione nel Registro delle società. Le deliberazioni dell’assemblea che comportino modificazioni dell’atto costi- tutivo devono essere depositate ed iscritte nel Registro delle società, con la stessa procedura prevista per la costituzione. Dopo questo adempimento l’atto costitutivo deve essere presentato, entro trenta giorni, presso il locale ufficio del Ministero del lavoro e delle politiche so- ciali per la pubblicazione sul Bollettino ufficiale delle società cooperative e loro consorzi (Busc). Completata la costituzione legale, il notaio o gli amministratori devono pre- sentare denuncia dell’avvenuta costituzione alla Camera di Commercio. F F F F F F F F F F F F F F F F F F F F F F F F F F F F F F F F F 195 5. Pianificazione Finanziaria Tutte le domande del questionario, compresa la tabella sugli obblighi per la costitu- zione di una società, fanno parte del laboratorio B. Quelle con sfondo verde fanno parte del laboratorio A. Barra la risposta esatta, o completa le affermazione o segnala eventuali errori L A B O R A T O R I O C QUINTA PROVA DI VERIFICA 196 197 198 199 200 Risposte esatte del questionario: 1) b; 2) b; 3) c; 4) familiare; 5) Ci sono due errori: risponde con il proprio patrimonio e da solo provvede alle necessità finanziarie dell’impresa; 6) terzo, secondo; 7) b; 8) falso, non può essere inferiore al 51%; 9) falso; 10) a; 11) b; 12) a; 13) c; 14) c; 15) a; 16) a: vera; b: falsa; c: vera; d: vera); 17) falso; 18) libere professioni; 19) a: vera, b: vera, c: falsa; 20) a; 21) vero; 22) falso; 23) ciascun socio può essere perseguito per i debiti della so- cietà anche se contratti da altri soci; 24) nessuno; 25) c; 26) scrittura privata autenticata da Cancelleria del Tribu- nale; 27) c; 28) c; 29) società in nome collettivo, società in accomandita semplice; società per azioni; società in accomandita per azioni, società a responsabilità limitata; 30) soci che affidano il capitale ad altri soci perché lo impieghino e poi ne rendano conto; 31) soci che ricevono il capitale in accomandita; 32) per la quota di capitale versata, con tutto il loro patrimonio individuale; 33) a; 34) 100 mila euro; 35) notaio, Tribunale, nel registro delle imprese; 36) l’assemblea dei soci; 37) collegio sindacale, dall’assemblea, sulla regolarità della contabilità e sulle osservanze legali; 38) b; 39) una volta, il bilancio, gli amministratori e i sindaci; 40) azioni; 41) d; 42) b; 43) b; 44) c; 45) falsa, vera, falsa 46) b; 47) c; 48) 3, 8; 49) 3; 50) edilizie, di produzione e lavoro, sociali, di consumo, agricole, di servizio, miste e varie, di credito; 51) soddisfare un bisogno abitativo dei soci; 52) di attività di pro- mozione umana e integrazione dei cittadini; 53) cooperative agricole, cooperative di credito,cooperative sociali, cooperative di produzione e lavoro, cooperative di consumo; 54) gli obiettivi dell’impresa, l’entità di capitali, il numero dei soggetti coinvolti, il grado di responsabilità giuridica dei soci, la tipologia del settore; 55) di capitali; 56) srl, spa. Per la correzione della tabella è sufficiente andare alla pagina riportata. 201 QUALE FORMA GIURIDICA? L A B O R A T O R I O A PRIMA ESERCITAZIONE 202 QUALE FORMA GIURIDICA? L A B O R A T O R I O B PRIMA ESERCITAZIONE Sesta Parte QUANTIFICAZIONE E REPERIMENTO RISORSE FINANZIARIE 1. La pianificazione finanziaria 1.1. Il conto economico 1.2. Lo stato patrimoniale 2. Il problema dei finanziamenti 3. Le fonti di finanziamento 3.1. Gli istituti di credito 3.2. Gli istituti di leasing 3.3. Le società di factoring 3.4. Il franchising 3.5. Le agevolazioni pubbliche 4. Sostegni all’autoimpiego nell’ambito di misure nazionali di politica del lavoro nazionali Scheda n. 7: Tutto quello che devi sapere prima di entrare in banca 205 1. La pianificazione finanziaria Fin qui si è parlato del progetto imprenditoriale in sé stesso, a prescindere dalla sua realizzabilità. Ora, invece, si tratta di vedere se l’idea è concretamente realizzabile sul piano economico-finanziario. Ovviamente maggiore sarà l’approfondimento, migliori saranno le possibilità di fare una previsione esatta. 1.1. Il conto economico Nel definire il conto economico si può partire da diversi punti: a. dalle vendite previste e da questo dato definire la dimensione della capacità produttiva (nel medio periodo), l’ammontare degli acquisti, delle spese fisse. oppure b. dalla capacità produttiva realizzabile con le risorse di macchine, processi e personale a disposizione. Il calcolo dei costi sarà fatto ipotizzando una stati- 206 cità dell’azienda oppure ipotizzando un miglioramento annuale della capacità produttiva di circa il 5% nel primo triennio dovuto al processo di apprendi- mento (learning curve). Questo secondo approccio, se da una parte semplifica notevolmente il lavoro di progettazione, dall’altra non considera, e quindi non aiuta, possibili espansioni dell’azienda.Tali motivi ci fanno preferire la prima metodologia presentata. Il percorso da realizzare è il seguente: 1. Si quantificano i ricavi previsti per i primi due o tre anni (piano marketing) e di conseguenza il volume di merci e servizi da produrre. 2. Dopo aver deciso quanto produrre e quanto tenere in magazzino è possibile stimare il volume degli acquisti necessario per le materie prime, i semila- vorati e i servizi. 3. Definito questo ammontare bisogna considerare le spese di produzione, amministrative e commerciali. Tra queste le principali voci di costo sono: canoni affitto, canoni leasing, manutenzioni e riparazioni, consulenze fi- scali e legali, studi e ricerche, spese telefoniche, cancelleria, promozione e pubblicità, trasporti, provvigioni, viaggi e spese di rappresentanza. 4. A questo punto possiamo calcolare il saldo della nostra attività. 5. Deducendo i costi sopportati dai ricavi previsti otteniamo il risultato lordo. 6. Questo lavoro non tiene conto di altre due importanti voci di costo che sono gli ammortamenti e gli oneri finanziari. Tali valori dipendono dalla struttura patrimoniale e più in particolare dal capitale investito e dalla quantità di prestiti ricevuti per iniziare l’attività. Quindi prima d’aggiun- gere queste due voci dobbiamo predisporre lo stato patrimoniale. 1.2. Lo stato patrimoniale La situazione patrimoniale comprende i fattori di proprietà dell’impresa e si compila tenendo conto di due distinte voci: attivo e passivo. All’attivo vanno considerati: – il denaro contabile disponibile effettivamente – i crediti di breve e medio periodo: cioè il valore delle merci vendute e non ancora incassate – il valore degli impianti, dei macchinari e delle attrezzature – il valore delle scorte da materie prime, semilavorati... 207 Al passivo vanno considerati: – i debiti a breve termine contratti con i fornitori – i prestiti ottenuti – gli ammortamenti effettuati (rappresentano la “perdita di valore” che subi- scono gli impianti a causa dell’uso). Dalle tabelle si può evidenziare l’esistenza di un rapporto molto stretto tra conto economico e stato patrimoniale. Le necessità finanziarie di una azienda si articolano in due classi: • investimenti fissi • capitale circolante Tra gli investimenti fissi rientrano quei costi che si devono sostenere per po- tersi dotare di una struttura produttiva necessaria per raggiungere il volume d’af- fari previsto: immobili, attrezzature, brevetti, macchinari. Questi costi non vanno confusi con i costi del conto economico e non an- dranno sottratti dai ricavi. Infatti, una volta determinati gli investimenti fissi, si può stimare la voce ammortamenti lasciata in bianco nel conto economico: questa voce non è altro che l’imputazione della parte del costo degli investimenti fissi al- l’anno considerato. Il primo fondamentale strumento di finanziamento per l’avvio dell’impresa è il capitale messo a disposizione dall’imprenditore, a cui si possono aggiungere altri capitali quali contributi pubblici, finanziamenti bancari e così via. Con ragionevole approssimazione si può determinare l’indebitamento e, appli- cando il tasso d’interesse medio previsto, stimare gli oneri finanziari. Riportando questo dato nel conto economico si determina l’utile che si pre- vede di ottenere. 208 2. Il problema dei finanziamenti Nella fase precedente siamo riusciti a “stimare” il fabbisogno finanziario che occorre per dar vita alla nuova impresa. Dove recuperare queste risorse? È opportuno avere le idee chiare sulle diverse possibilità a disposizione, perché le risorse possono provenire da diverse fonti, come sintetizzato nella figura seguente Il capitale proprio è rappresentato dalle risorse (monetarie e non) messe a disposizione dell’imprenditore. Tali risorse sono rappresentati da ➯ Capitale d’apporto ➯ Autofinanziamento ➝ utili realizzati e non percepiti (dal o dagli imprenditori) Il capitale di credito è rappresentato da debiti contratti verso terzi attraverso due fondamentali vie: ➯ Credito diretto ➝ Prestiti ➯ Credito indiretto ➝ Acquisti con pagamento differito o vendite con pagamento anticipato. • risorse monetarie • risorse non monetarie (es. il proprio lavoro, un proprio locale, la propria macchina...) { 209 Nella fase di inizio dell’attività le imprese richiedono un notevole fabbisogno finanziario, e, in genere, è sempre necessario ricorrere all’utilizzo sia di capitale proprio che di terzi: l’attenzione è utilizzarli nel giusto equilibrio (mix). Per realizzare questo giuto mix proponiamo dei consigli di carattere generale. Nel momento di avvio dell’impresa, non si possono conseguire rapporti di indebitamento elevati. Una indicazione da seguire è quella di contenere e dilazionare al massimo i fabbisogni e ciò è possibile solo se si è in grado di formulare un piano finanziario efficiente. Ciò creerebbe squilibri dovuti ai tempi lunghi del ritorno in liquido dell’inve- stimento in macchinari e attrezzature, rispetto alla scadenza ravvicinata del finan- ziamento. L’imprenditore cercherà, quindi, di dotarsi di una struttura snella e flessibile limitando (anche se vi è una pianificazione a tempi medi) gli investimenti in im- mobilizzazioni. Le scelte possibili sono molteplici: potrà affittare gli uffici, comprare macchi- nari usati o in leasing, appoggiarsi a terzi. Le stesse considerazioni si devono fare in merito al capitale circolante (fabbricazione prodotto, scorta minima, pagamenti clienti), anche se questa operazione è difficile essendo strettamente legata all’atti- vità dell’impresa. Le nuove imprese si trovano quindi ad affrontare i seguenti problemi finanziari: – un notevole fabbisogno finanziario concentrato nella fase di avvio del- l’attività (capitale fisso e circolante); – un livello molto limitato di autofinanziamento nel periodo di partenza dell’azienda; – scarse garanzie patrimoniali utili per avere più facilmente crediti. Nella ricerca dei finanziamenti le nuove imprese devono essere ben attente a non perdere di vista il principio base dell’equilibrio finanziario d’impresa, che consiglia di non utilizzare fonti a breve termine per il finanziamento degli investimenti. 210 3. Le fonti di finanziamento Questi problemi vanno affrontati conoscendo tutte le fonti esistenti per il “cre- dito diretto” e “indiretto”cioe 3.1. Gli Istituti di credito In particolare facciamo riferimento agli istituti di credito speciale che operano per il finanziamento a medio termine degli investi- menti. Ad essi è collegato il sistema parabancario, costituito da ➯ società di factoring (smobilizzo di crediti commerciali) ➯ società di leasing (finanziamenti di immobili e attrezzature sotto forma di locazione). Il problema di fondo per l’accesso al credito è legato alle caratteristiche del nostro sistema bancario, orientato al finanziamento di imprese conso- lidate sulla base di idonee garanzie. Il sistema bancario ha difficoltà a rischiare su imprese nuove, soprattutto se operanti con prodotti o su mercati nuovi e carenti di garanzie. In ogni caso, il credito bancario in quanto tale non può risolvere i problemi posti da un livello di capitalizzazione insufficiente. Non è possibile richiedere ad istituti di credito di finanziare il 70-80% del fabbisogno finanziario. Un grosso contributo per avvicinare le imprese nascenti al sistema bancario può essere fornito dagli organismi di garanzia collettiva fidi (Confidi), presenti praticamente in tutte le regioni, per il cre- dito bancario a breve termine e, in molte aree, anche per quello a medio termine. Si tratta di organismi a base associativa, costituiti sotto forma di coopera- tiva o di consorzio fra imprese dello stesso comparto produttivo. Essi dis- pongono di un patrimonio depositato a garanzia, a fronte dell’assunzione di una quota di rischio (50-70% normalmente) sui finanziamenti erogati da banche convenzionate alle imprese aderenti. Questi enti possono quindi sostituire, entro certi limiti, la carenza di garanzie collaterali disponibili presso le imprese nuove. Istituti di Credito 211 I neo-imprenditori faranno bene, soprattutto quando sono dotati di limitate risorse finanziarie iniziali, ad avviare possibilmente l’im- presa come unità artigiana. Per le imprese artigiane esiste infatti un sistema di agevolazioni dello Stato e delle singole Regioni e pro- vince, tale da creare una riserva di finanziamenti agevolati a medio termine di piccolo importo, assistiti anche da garanzie pubbliche. Questi strumenti creano un canale preferenziale e protetto di finan- ziamento orientato alle piccole imprese, valido anche per quelle di nuova costituzione. Tale caratteristica è esaltata dalla vocazione di alcuni tipi di istituti (in particolare Casse di Risparmio e Banche Popolari) al finanziamento dell’artigianato anche per piccoli im- porti e, per di più, con una considerazione più elastica del pro- blema delle garanzie rispetto ai normali parametri. 3.2. Gli istituti di leasing Le difficoltà di reperire denaro, almeno all’interno dei circuiti creditizi finanziari tradizionali, porta a considerare forme diverse di finanziamento, tra le quali assume particolare importanza il leasing. ➯ La società di leasing interviene fra l’azienda produttrice del bene oggetto del contratto e l’azienda che intende utilizzarlo, acquistando dalla prima il bene e cedendolo in locazione alla seconda. ➯ L’impresa che utilizza il bene si impegna a corrispondere alla società di leasing un determinato numero di canoni periodici per un importo superiore al costo iniziale. ➯ Al termine del contratto il bene diventa proprietà della società utilizzatrice. Questa procedura presenta il vantaggio di essere veloce, di non aver bisogno di garanzie reali e di avere limitate spese accessorie, e lo svantaggio di avere un tasso elevato di interessi e la mancanza di proprietà del bene fino al momento del riscatto. Poiché le società di leasing sono assai numerose, è bene rivolgersi per un primo contatto alle associazioni di categoria, che possono fornire un quadro completo delle società operanti nel settore e dei prodotti a dispo- sizione sul mercato. segue: Istituti di Credito Leasing 212 3.3. Le società di factoring Al di là delle forme di finanziamento bancario, per le aziende che vendono a pagamento dilazionato, può risultare conveniente il ri- corso al factoring. Una società di factoring è una organizzazione che accetta il trasferimento dei crediti verso clienti in via esclusiva e totale. Il metodo presenta notevoli vantaggi in termini organizza- tivi e finanziari in quanto permette alle aziende di avere una mag- giore disponibilità di mezzi liquidi ed allevia o elimina la necessità della gestione ed amministrazione dei crediti verso i clienti 3.4. Il franchising A chi vuole mettersi in proprio il franchising offre una strada più agevole dell’impresa tradizionale, quasi priva di incognite anche se non di rischi. Con il contratto di franching la nuova azienda è inserita in una ca- tena che offre gli stessi prodotti o gli stessi servizi, mantiene un’immagine unica e segue una strategia decisa dal franchisor (la società affiliante). Il vantaggio: le scelte e le decisioni dipendono da analisi di mer- cato che ben difficilmente il piccolo imprenditore potrebbe com- piere da solo; a questo si aggiungono un impiego finanziario nor- malmente poco oneroso e la possibilità di creare una propria im- presa senza bisogno di un’idea originale o di capacità specifiche. A beneficiare dei vantaggi non è solo il franchisee (l’affiliato), ma soprattutto il franchisor, che può espandere la propria penetrazione sul mercato, anche estero, senza necessità di ingenti capitali. Per mettere in grado l’aspirante affiliato di valutare la proposta, viene presentato il conto economico previsionale per i primi anni, lo stato patrimoniale, le proiezioni finanziarie e gli indici di redditi- vità dell’investimento. Il franchising non è però una formula magica per garantire il suc- cesso imprenditoriale, ma una interessante strategia d’impresa che permette di avviare un’attività in proprio riducendo i tempi di ap- prendimento iniziali. Il franchisee, titolare delle licenze e delle autorizzazioni neces- sarie, deve portare in dote i locali in cui svolge la propria attività. Per quanto riguarda l’investimento iniziale, la gamma delle pro- poste è molto varia: si può avviare un’attività in franchising con poche migliaia d’euro, e arrivare oltre il milione di euro, dipende Factoring Franchising 213 dal settore prescelto. Oltre al costo delle strutture, l’investimento iniziale deve coprire le spese di ristrutturazione ed allestimento dei locali, quelle di costituzione della società a cui è intestata l’attività del franchisee, spese promozionali per il lancio del locale e il costo del primo assortimento, il capitale circolante necessario per l’avvio della gestione corrente ed eventuali commissioni di ingresso. Come corrispettivo della cessione della propria formula imprendi- toriale e dell’assistenza, il franchisor chiede, infatti, il pagamento di una somma proporzionata ai costi da lui sostenuti e ai vantaggi acquisiti dall’affiliato. Può trattarsi di un diritto d’entrata, che deve essere pagato contestualmente alla stipulazione del contratto, o al momento dell’apertura del punto vendita, o in modo dilazionato. Più frequentemente, però, assume la forma di una quota fissa an- nuale o di royalties calcolate in percentuale sul fatturato, sugli ac- quisti o in funzione di altri parametri. Le spese pubblicitarie sono un costo non indifferente per l’affi- liato. Le campagne istituzionali di promozione del marchio sono generalmente a carico del franchisor, che chiede ai franchisee un contributo percentuale. Per la pubblicità locale, invece, l’affiliato è libero di sviluppare iniziative individuali, a suo carico, previa ap- provazione da parte dell’affiliante, che sorveglia il rispetto dell’u- niformità di immagine dell’intera catena. Diversi franchisor assi- stono finanziariamente il nuovo franchisee, concedendogli condi- zioni di pagamento agevolate o mettendolo in contatto con istituti di credito in grado di finanziare una parte dell’investimento. 3.5. Le agevolazioni pubbliche Un altro tipo di finanziamento è dato dalle agevolazioni pubbliche di settore o di sostegno nell’ambito di misure di politiche del la- voro (previste dalle leggi emanate soprattutto a livello nazionale e/o regionale). La prima mossa da fare pertanto è scegliere la legge adatta in rap- porto al proprio progetto. Nel paragrafo successivo si riportano le principali misure nazionali di politica del lavoro. segue: Franchising Agevolazioni pubbliche 214 4. I sostegni all’autoimpiego nell’ambito di misure nazionali di politica del lavoro Finanzia la produzione di beni in agricoltura, artigianato e industria e la fornitura di servizi alle imprese. Promuove e favorisce lo sviluppo dell’imprenditoria giovanile nel Mezzogiorno e nelle aree economicamente deboli del Centro Nord (nei Comuni dell’Obiettivo 2) Le società devono essere costituite – dalla maggioranza assoluta di giovani tra i 18 e i 29 anni – o dalla totalità di giovani tra i 18 e i 35 anni. La legge prevede due tipi di sostegni: 1. incentivi finanziari contributi a fondo perduto, contributi per le spese di gestione e mutui agevolati e servizi. Si possono ottenere finanziamenti fino ad un ammontare complessivo di investimenti ini- ziali di 250.000.000,00 €, e un rimborso sui costi di gestione dei primi 2 anni di attività. 2. servizi formazione e riqualificazione professionale destinati ai soci e/o ai dipendenti ed un servizio di assistenza tecnica (tutoraggio). Per usufruire della legge è necessario compilare una domanda, a cui vanno allegati alcuni documenti. Con la domanda si deve presentare lo studio di fattibilità del progetto, cioè, un business plan. Per maggiori informazioni si può contattare la società: L’imprenditorialità Giovanile S.p.a., Via P. Mascagni, 160 - 00199 Roma - Tel. 06.862641; Fax 06.88311438; internet: http://www.igol.it.; numero verde 167.020044. Su quasi seimila progetti presentati nel corso dei dodici anni di attività della IG, ne sono stati approvati circa 1.500, per un totale di oltre 800 nuove imprese at- tive. È interessante notare che il tasso di sopravvivenza delle nuove imprese nate con i finanziamenti l. 44 del 1986 supera l’80%. AUTOIMPRENDITORIALITÀ GIOVANILE LEGGE 44/86 E SUCCESSIVE MODIFICAZIONI (v. in particolare la L. 95/95) 215 LEGGE 236/96 IMPRENDITORIALITÀ FEMMINILE (Legge 215 /1992) Finanzia la fornitura di servizi per il turismo, la fruizione di beni culturali, la manutenzione di opere civili e industriali, l ’agricoltura, l ’innovazione tecnolo- gica e la tutela ambientale Si possono ottenere finanziamenti in conto capitale fino ad un ammontare com- plessivo di investimento iniziale di 5.000.000,00 € e un rimborso sui costi dei ge- stione dei primi 3 anni. Si colloca sulle orme della L. 44 ed è gestita anche questa tramite l’intervento della società IG. Le modalità di attuazione della norma sono quelle della L. 44/86. Finanzia le nuove attività imprenditoriali, su tutto il territorio nazionale, di società in cui la maggioranza sia detenuta da donne, senza limiti di età e di residenza. Sono ammissibili le nuove iniziative e l’acquisto di attività preesistenti nei seguenti settori: • produzione di beni in agricoltura, artigianato e industria; • fornitura di servizi in tutti i settori; • turismo; • commercio. I destinatari sono le imprese che possiedono i seguenti requisiti: • costituzione successiva al 23 marzo 1992; • gestione prevalentemente femminile (ovvero: per le ditte individuali il titolare deve essere donna; per le società di per- sone e le cooperative deve esserci una maggioranza numerica di donne non inferiore al 60%; per le società di capitale le quote di partecipazione al capitale devono essere per almeno i 2/3 di proprietà di donne e gli organi di amministrazione devono essere costituiti almeno per i 2/3 da donne • dimensione piccola massimo 50 dipendenti e non più di 5 milioni di ECU - pari a € 5.003.400,00 - di fatturato annuo, oppure non più di 2 milioni di ECU - pari a € 2.001.360,00 - di attivo in stato patrimoniale; • le società non debbono far capo a una o più imprese che non possiedano i requisiti di cui sopra. 216 Le agevolazioni comprendono incentivi finanziari così articolati: • agevolazioni finanziarie per l’investimento sotto forma di contributi a fondo perduto e finanziamento a tasso agevolato nei limiti fissati dall’Unione Eu- ropea in termini di equivalente sovvenzione. I massimali di agevolazione variano, in termini di equivalente sovvenzione, a seconda dei territori di ap- plicazione: – nei territori dell’obiettivo 1 sono compresi tra il 65 ed il 40%; – nelle altre zone sono pari al 20 o al 15%. Il contributo a fondo perduto non può comunque superare il 60% della spesa ammissibile nelle zone più svantaggiate ed il 50% nelle altre zone; inoltre, nel caso in cui sia più vantaggiosa l’applicazione della formula “de mi- nimis”, è possibile optare per quest’ultima. Il finanziamento a tasso agevolato non può essere superiore a 150 mila euro. In alternativa al contributo a fondo perduto è possibile usufruire di un cre- dito di imposta in misura ad esso equivalente; • agevolazioni finanziarie per la gestione consistenti in un contributo a fondo perduto per l’acquisto di servizi pari al 40 o al 30% del valore dei servizi ammessi alle agevolazioni, in funzione della tipologia del territorio. Il totale delle agevolazioni non può superare l’80% della spesa ammissibile. La domanda, predisposta secondo lo schema previsto dal regolamento, conte- nuto nel decreto 706/96, va spedita a: • Ministero dell’Industria, Direzione Generale della Produzione Industriale, Divisione II, Via Molise n. 2 - 00187 Roma; • Regione nella quale è ubicata l’iniziativa; • Istituto di credito abilitato (se è stato richiesto il finanziamento a tasso agevolato). Alla domanda vanno allegati, oltre alla descrizione dettagliata dell’iniziativa ed alla scheda di notizie sull’idea d’impresa, alcuni documenti tecnico-legali. Le domande devono essere presentate entro il 31 dicembre di ogni anno. Il Ministero dell’Industria istruisce le domande pervenute verificandone la completezza, la conformità ai requisiti di legge della documentazione presentata e delle società proponenti e la validità tecnico-economica del progetto. Le domande ritenute ammissibili sono selezionate in base all’applicazione di specifici criteri ai quali corrispondo altrettanti punteggi. Ciò consentirà di perve- nire ad una graduatoria che, qualora le disponibilità finanziarie non permettano l’accoglimento di tutte le richieste, renderà possibile l’attribuzione dei fondi. 217 Il Ministero dell’Industria, sentito il parere del Comitato per l’Imprenditoria Femminile costituito ad hoc al suo interno, delibera l’ammissione delle domande determinando l’ammontare delle agevolazioni. Dal termine di presentazione delle domande alla loro approvazione trascorrono non più di 120 giorni per il 1997, mentre per gli anni successivi il Ministero dell’Industria provvede entro il 30 aprile di ciascun anno all’approvazione delle domande pervenute entro il 31 di- cembre dell’anno precedente. È possibile avere maggiori informazioni rivolgendosi a: IPI - Istituto di Promozione Industriale Viale Maresciallo Pilsudski 124 - 00197 Roma - Tel. 06.809721. PRESTITO D’ONORE (Legge 208/1996) Finanzia il lavoro autonomo in tutti i settori produttivi nelle Regioni meridio- nali e nei Comuni del Centro Nord insufficientemente sviluppati. I beneficiari sono i disoccupati senza limiti d’età che presentano progetti per un investimento iniziale non superiore a 25 mila euro. Si chiede di presentare l’idea imprenditoriale alla IG e, qualora questa venga considerata attuabile, si dovrà frequentare un corso di formazione all’imprendito- rialità, tenuto nelle varie sedi regionali dove si concentrano le richieste di prestito. Alla fine del corso si potrà dare inizio all’attività imprenditoriale e, previa pre- sentazione delle fatture dell’acquisto del materiale relativo, verrà erogato il finan- ziamento, di cui – 15 mila euro sono a fondo perduto – e i restanti 10 mila euro sono da rimborsare a tasso agevolato nel corso di 5 anni. È possibile ottenere altri 5 mila euro per le coperture delle prime spese di gestione. 218 1. Il momento della presentazione è fondamentale ed estremamente importante. Per quanto sia teoricamente vero che un prestito dovrebbe essere rilasciato solo sulla base di elementi oggettivi (redditività e garanzie), è innegabile che nella pratica la forma (come ci si presenta, come si è vestiti, come si parla) è un elemento decisivo. Vale un’ulteriore regola: spesso si dice che le banche offrono servizi. Nella osservazio- ne della realtà, di fatto, le banche offrono “persone”, cioè offrono alla clientela la capacità di capire la loro esigenza e risolverne i problemi. Pertanto il rapporto personale con la banca è centrale. Una raccomandazione... non te la prendere con il funzionario per eventuali ritardi... Le banche hanno diversi livelli di decisione. Generalmente i direttori di agenzia hanno dele- ghe fino ad un determinato importo (più la banca è piccola e meno deleghe ha il direttore). 2. Cosa portare e a cosa stare attenti: Va ribadito che è fondamentale recarsi presso l’istituto di credito con le idee chiare, ben preparati. In estrema sintesi, le domande delle quali bisognerà avere chiara la risposta sono: • Quanto denaro ti serve esattamente? • Per cosa ti serve? • Come hai intenzione di restituirlo? Per aumentare le possibilità di ottenere un prestito, sarebbe opportuno portare il proprio business plan per offrire: informazioni generali (nome della società, la sua sede legale, i no- minativi dei proprietari); informazioni sul prestito: (a cosa serve e perché è richiesto), am- montare esatto di cui si necessita; informazioni di dettaglio (chiara definizione del mercato in cui l’impresa intende operare e dei prodotti/servizi che intende offrire, nonché della po- tenziale clientela; principali dati di previsione economici e finanziari). La documentazione non è obbligatoria, semplicemente aiuta a fornire l’impressione di trovarsi davanti ad un imprenditore preparato ed affidabile. Resta inteso che le banche hanno un’apposita moduli- stica per i differenti servizi. 3. Per orientarsi su cosa chiedere , occorre sapere che esistono due grandi categorie di prestiti: • Prestiti a breve termine : hanno in genere una durata inferiore all’anno, ossia è previ- sta la restituzione del capitale da parte del debitore in un arco di tempo inferiore ai dodici mesi anche se nella norma si rinnovano di anno in anno. I prestiti a breve ter- mine normalmente si chiedono per fare fronte agli sbilanci temporali tra uscite ed en- trate finanziarie e quindi sono tipicamente riferiti alla gestione corrente. • Prestiti a lungo termine : hanno invece una durata superiore all’anno e possono arri- vare, per l’acquisto di immobili, fino a 20 anni. I finanziamenti a lungo termine sono utilizzati per fronteggiare spese particolarmente elevate come l’acquisto di immobili e strutture produttive, beni durevoli, veicoli, macchinari e attrezzature. Come si può facilmente notare, esiste una stretta relazione tra le due tipologie di prestiti da una parte - quelli a breve termine ed i prestiti a lungo termine - e le spese di investimen- to/gestione dall’altra. I prestiti a lungo termine dovrebbero essere richiesti per esigenze di Scheda n. 7 TUTTO QUELLO CHE DEVI SAPERE PRIMA DI METTERE PIEDE IN BANCA 219 investimento, mentre i finanziamenti a breve termine andrebbero a soddisfare la parte rela- tiva alle gestione di impresa. Solo in questo modo è possibile centrare l’equilibrio finan- ziario premesso in precedenza. Quanto esposto evidenzia l’esigenza per il neo-imprenditore di conoscere con esattez- za la destinazione del finanziamento richiesto tra investimento e gestione allo scopo di atti- vare correttamente presso la banca il prestito più idoneo. 4. Per ottenere un finanziamento è necessario fornire garanzie. La banca, in altre parole, pone tra le sue condizioni per il rilascio di un prestito, la presenza di una garanzia. La valutazione dell’azienda e, in particolare, la sua redditività restano gli elementi più forti rispetto alla possibilità di ottenere un credito, eppure la banca può richiedere una garanzia a maggior tutela del rischio assunto. Il caso più frequente è quello in cui l’imprenditore, in prima persona, garantisce il prestito per conto della propria azienda. Le garanzie richieste dalle banche per il rilascio di un fido possono essere ricondotte a due tipologie: garanzie reali quando vengono richiesti dei beni come contropartita Sono di due tipi: il pegno e l’ipoteca Garanzie personali La garanzie personale è giuridicamente chiamata fideiussione. È un con- tratto nel quale un soggetto terzo diverso dal debitore e dal creditore ga- rantisce per il debitore. La figura del garante prende il nome di fideiussore. La banca, nel caso in cui il debitore non paghi (o non paghi del tutto), ha il diritto di chiedere il pagamento del debito al terzo fideiussore Nel rapporto banca-imprenditore, esistono varie forme di garanzia reale quali il pegno su titoli, il pegno su merci, l’ipoteche su beni immobiliari. – Il pegno: è il diritto che il creditore vanta su di un bene dato appunto in pegno dal debitore a garanzia del pagamento della somma ottenuta. – L’ipoteca: è il diritto che il creditore vanta su un bene immobile (es. casa; ufficio; stabilimento) a garanzia del pagamento della somma ottenuta da parte del debitore. In Se alla scadenza del prestito il debitore non paga, la banca si appropria dei beni dati in pegno/ipoteca e, attraverso la vendita, rientra delle somme prestate. Un esempio di fideiussione può essere la seguente: il titolare di una azienda (società di capitali) chiede un prestito ad una banca, la banca valuta l’affidabilità dell’azienda, e chiede al titolare una garanzia personale; il titolare, neo-imprenditore, offre la propria garanzia nel senso che, se la propria azienda non ripaga il debito, dovrà intervenire in prima persona con il proprio patrimonio. Quando si svolge una attività con una società, la sfera patrimoniale della persona è separata da un punto di vista giuridico dalla sfera patrimoniale della società. I beni che appartengono alla società non possono mai essere messi in relazione con il tito- lare. L’imprenditore, infatti, è proprietario dei titoli (azioni o quote) della attività e non dei beni della società stessa che possono essere usati solo a fini societari. 220 Tutte le domande del questionario vanno compilate dagli utenti del laboratorio B, quelle con sfondo verde sono proprio degli utenti del laboratorio A. Barra la risposta esatta, o completa le affermazione o segnala eventuali errori L A B O R A T O R I O C SESTA PROVA DI VERIFICA 221 222 223 Risposte esatte 1) a; 2) a vero, b falso, c vero; 3) a vero, b vero, c 0falso; 4) dell’uso; 5) errato gli ammortamenti; 6) il ca- pitale, contributi pubblici, finanziamenti bancari; 7) a vero, b vero, c falso; 8) vero; 9) falso; 10) a vero, b vero, c vero; 11) a; 12) società di factoring, agevolazioni pubbliche, franchiseng; 13) a; 14) c; 15) a; 16) smobilizzo di crediti commerciali; 17) Finanziamento di immobili e attrezzature sotto forma di locazione; 18) a falso, b falso, c falso; 19) business plan; 27) di opere civili e industriali, tutela ambientale; 28) a; 29) a falso, b vero, c vero; 30) fornitura di servizi in tutti i settori, turismo, commercio. 31); 32). 224 Senz’altro la tua Regione ha emanato una legge a favore della imprenditorialità. Cercala su Internet. È sufficiente che tu vada nel sito ufficiale della tua Regione e con una buona navigazione, magari utlizzando come parole chiavi, “imprenditorialità” e/ “imprenditorialità giovanile”arriverai al provvedimento che ti interessa. Poi, analizzalo, con l’aiuto della griglia seguente: L A B O R A T O R I O B PRIMA ESERCITAZIONE 225 Sulla scorta delle informazioni ricevute, prova a compilare il conto economico e lo stato patrimoniale L A B O R A T O R I O B PRIMA ESERCITAZIONE 226 segue Iª esercitazione 227 GLOSSARIO Abilità imprenditoriali - L’insieme delle risorse e delle competenze che caratterizzano idealmente l’imprenditore. Tra le abilità più importanti per un imprenditore possiamo individuare: la creatività, la capacità di risolvere i problemi, l’assertività, l’efficacia co- municativa, la gestione dello stress, la disposizione a lavorare in gruppo, la leadership. Accantonamento - Costi rilevati nell’esercizio finanziario in corso a copertura di perdite future (per esempio crediti di dubbia esigibilità). Accaparramento di manodopera - Pratica consistente nel tenere impiegati i lavoratori anche in periodi di scarsa domanda, in alternativa al licenziamento. Accomandante (socio) - Socio che risponde della sola quota conferita nelle obbligazioni di una società in accomandita semplice. Accomandatario (socio) - Socio che risponde illimitatamente nelle obbligazioni di una società in accomandita semplice od in accomandita per azioni. Addizionalità (principio della) - L’intervento finanziario della Comunità va ad aggiunger- si a risorse pubbliche nazionali che lo Stato membro deve mantenere nel corso del periodo di programmazione. Infatti, gli stanziamenti dei fondi strutturali non devono comportare una riduzione dell’impegno dello stato membro. Agevolazioni finanziarie - Forme di finanziamento alle imprese d’emanazione comunitaria, nazionale o regionale. Possono assumere la forma tecnica di contributi in conto capi- tale, contributi in conto interessi, contributi in conto gestione, crediti d’imposta. Tali agevolazioni sono uno strumento di politica economico-industriale. Ambito competitivo - Dove l’impresa decide di competere. Amministratori - Sono coloro che, non avendo necessariamente la proprietà dei capitali di rischio impiegati nell’attività, deliberano attraverso il Consiglio d’Amministrazione, sulle azioni che la società compie in regime di normale funzionamento. Amministrazione - Funzione aziendale finalizzata al coordinamento ed alla gestione di tutte le operazioni necessarie al raggiungimento del fine aziendale. Termine frequentemente utilizzato per indicare l’attività dell’ufficio aziendale che si occupa della parte burocratica. Ammortamento - Procedimento tecnico-contabile con cui si ripartiscono in più esercizi i costi pluriennali sostenuti per acquisire le immobilizzazioni materiali ed immateriali. Detti costi devono essere sistematicamente imputati per quote ad ogni esercizio, in relazione alla loro vita utile. L’ammortamento ha inizio nell’esercizio in cui il bene è disponibile e per tutta la durata della vita utile economica e non fisica. Ammortamento fiscale - Quota d’ammortamento riconosciuta dal Fisco. Infatti, nel calco- lare il reddito imponibile, il Fisco non prende in considerazione gli ammortamenti re- lativi alle immobilizzazioni materiali così come sono stati effettuati in contabilità, ma detta una normativa concernente appunto l’ammortamento fiscale. 228 Ammortamento immobilizzazioni immateriali - Diminuzione del valore contabile di un’immobilizzazione immateriale durante un determinato esercizio finanziario. Ammortamento immobilizzazioni materiali - Imputazione della quota di costo, relativo all’immobilizzazione materiale, ad un esercizio finanziario Analisi dello scostamento - Analisi che permette il raffronto tra gli stessi valori (conto eco- nomico, stato patrimoniale, indici, ecc.) considerati in periodi differenti, facilitando il soggetto che compie l’analisi nel capire in quale/i voci del prospetto analizzato si sono verificate variazioni significative. Analisi di bilancio - L’insieme delle tecniche che permettono di arrivare a giudizi di sinte- si su importanti aspetti della gestione aziendale. Sono utilizzabili all’interno dell’im- presa per scopi gestionali, in sede di programmazione e di controllo, all’esterno per scopi conoscitivi od operativi. Analisi di bilancio per flussi - Procedimento che permette di valutare le variazioni in au- mento od in diminuzione intervenute in un fondo di valori in un determinato periodo. Analisi di bilancio per indici - Procedimento che permette di valutare la redditività, l’eco- nomicità, la produttività, lo stato finanziario della gestione attraverso lo studio d’in- dicatori economico-finanziari, risultanti dal confronto di gruppi di valori provenienti dallo stato patrimoniale e dal conto economico. Analisi di contesto - Attività di ricerca d’informazioni; attraverso la correlazione di diverse variabili territoriali/settoriali si cerca di individuare un “ambiente favorevole” allo svi- luppo dell’attività imprenditoriale nelle sue diverse articolazioni, in particolare per lo sviluppo di piccole o micro imprese. Analisi settoriale - Studio o ricerca che analizza lo stato e le prospettive di uno specifico settore economico. È uno strumento d’estrema utilità per la comprensione reale del mercato in cui si vuole entrare. Analisi strategica - Processo, analitico/progettuale ed operativo, attraverso il quale è indi- viduata e definita la strategia da seguire. Aree depresse - Aree geografiche che rientrano negli obiettivi 1 e 2, ed ex 5b dei fondi strutturali comunitari (Regolamento CE n.1260/1999). L’obiettivo 1 comprende le regioni in ritardo di sviluppo (Pil <75% del Pil comunita- rio); l’obiettivo 2 comprende le aree in fase di mutazione socioeconomica nei settori dell’industria e dei servizi, le zone rurali in declino, le zone urbane in difficoltà e le zone dipendenti dalla pesca che si trovano in una situazione di crisi. Le aree obiettivo 2 sono le aree in declino industriale oppure in riconversione rurale op- pure ancora aree urbane in difficoltà, zone dipendenti dalla pesca e in riconversione, fortemente dipendenti da servizi. Le aree obiettivo 5b sono state ricomprese nel nuovo obiettivo 2. Assemblea dei soci - Organo collegiale che riunisce i possessori di capitale di rischio. Delibera, di norma, su questioni di straordinaria amministrazione. Aspettative adattive - Meccanismo di formazione delle aspettative basato sulla correzione degli errori commessi in passato. Aspettative razionali - Meccanismo di formazione delle aspettative basato su previsioni razionali dell’andamento futuro delle variabili economiche. 229 Associazione in partecipazione - Contratto in base al quale l’associante versa all’associato parte degli utili della sua impresa, a seguito di una prestazione d’opera, oppure del- l’apporto di qualsiasi altro bene suscettibile di valutazione economica. Gli articoli del codice civile che disciplinano questo tipo di contratto, sono il 2549 e segg. Assunzioni - Impiego di nuovi lavoratori da parte delle imprese. Attestato di conformità - Atto mediante il quale un laboratorio di prova testimonia che un determinato campione è conforme ad una specifica norma od altro documento nor- mativo. Attività - Tutti quei beni o crediti appartenenti al soggetto economico. Nel bilancio azien- dale, le attività sono inscritte nella sezione sinistra dello Stato Patrimoniale. Attività corrente - Attività esigibile entro un anno. È quella parte dello Stato patrimoniale che rappresenta beni, crediti e liquidità facilmente convertibili in mezzi di pagamento. Attività economica - Attività volta alla produzione di beni e servizi per scopi commerciali. Attività fisse - Investimenti in immobili, attrezzature, impianti produttivi. Attività operative - Denaro investito nell’attività sotto forma d’immobilizzazioni e capi- tale circolante. È uguale alla somma del capitale di terzi, del capitale proprio e dei debiti tributari. Attivo circolante - Attività liquide o prontamente e facilmente liquidabili. Attivo lordo - Il totale dell’attività, senza dedurne le relative passività. Attivo netto - Il totale dell’attività, cui sono state dedotte le relative passività. Atto annullabile - Atto giuridico invalidabile. Atto costitutivo - Contratto mediante il quale viene costituita una società. Si tratta di un atto generalmente redatto da un Notaio (dunque è un atto pubblico) che in ogni caso provvede ad autenticare le firme. Atto pubblico - Atto redatto, secondo le formalità previste dalla legge, da un notaio o da altro pubblico ufficiale, autorizzato a conferirgli pubblica fede nel luogo in cui viene formato (art. 2699 cod. civ.). Autonomia patrimoniale - Separazione del patrimonio aziendale da quello dei soci. È la società con il proprio patrimonio a rispondere nei confronti dei terzi. Azienda - Complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa (art. 2555 c.c.). Azienda leader del mercato - Azienda che detiene la quota di mercato più alta. Azione - Documento che attribuisce la qualità di socio a chi lo possiede, è un titolo che rappresenta un diritto frazionario di proprietà sul patrimonio della società. Banca dati - Informazioni raccolte su supporti informatici che possono essere consultati da chiunque. Banda di oscillazione (del tasso di cambio) - Limiti entro i quali il tasso di cambio è libe- ro di fluttuare nell’ambito di un sistema di tassi di cambio fissi. Baratto - Scambio di beni con altri beni invece che con moneta. 230 Barriera all’entrata (od ingresso) - Ostacolo di carattere economico, finanziario, tecnolo- gico, giuridico che si frappone al potenziale ingresso di nuovi produttori-venditori nel settore considerato, in altre parole, tra un’impresa ed un mercato nel quale la stessa non è ancora presente. Beni commerciabili - Beni che competono con i beni esteri nel mercato nazionale o estero. Beni durevoli - Beni che possono essere immagazzinati e che hanno una vita media di almeno tre anni. Beni immateriali - Beni non tangibili concretamente, che consistono in creazioni della men- te, in produzioni intellettuali, prese in considerazione dall’ordinamento giuridico. Ri- entrano nella categoria dei beni immateriali le opere dell’ingegno, le invenzioni, le creazioni intellettuali, i segni distintivi dell’impresa. Beni non durevoli - Beni che non possono essere immagazzinati in quanto hanno una vita media inferiore a tre anni. Beni strumentali - Beni durevoli come macchinari, computer e attrezzature d’ufficio acquistate dalle imprese a fini produttivi. Beni mobili registrati - Particolare categoria dei beni mobili i quali, dato il loro valore, vengono in qualche modo equiparati ai beni immobili ed iscritti in particolari registri; generalmente sono costituiti dai mezzi di trasporto. Il codice civile stabilisce che i beni mobili iscritti in pubblici registri sono soggetti alle disposizioni che li riguardano ed, in mancanza, alle disposizioni relative ai beni mo- bili (art. 815 c.c.). Bilancia dei pagamenti - Insieme dei conti che sintetizzano le transazioni di un paese con il resto del mondo. Bilancio d’esercizio - Documento che rappresenta la situazione economica e patrimoniale di un’impresa. Il bilancio d’esercizio considera il capitale di funzionamento ad una certa data di riferimento ed il reddito conseguito nel periodo amministrativo immediatamen- te precedente. È composto dallo stato patrimoniale, dal conto economico e, nelle socie- tà più grandi, dalla nota integrativa. Bilancio di società - Documento che definisce la situazione economica e patrimoniale di un’impresa. Può riguardare solo il capitale dell’azienda visto in diverse situazioni, come lo stato di cessione, liquidazione ed altro. Bilancio in pareggio - Bilancio dello Stato in cui il gettito fiscale è uguale alla spesa pub- blica. Bilancio previsionale - Bilancio di esercizio basato su dati che si presume abbiano a verifi- carsi in un esercizio. È uno strumento previsionale utilizzato per analizzare gli scosta- menti in fase di bilancio finale effettivo. Bisogno - Stato di mancanza che spinge a procurarsi un bene considerato atto a far cessare, o prevenire, una sensazione dolorosa, oppure a conservare od a provocare una sensa- zione piacevole. Le caratteristiche principali del bisogno sono soggettività e saziabili- tà. La saziabilità del bisogno significa che la sua intensità diminuisce con l’aumentare del mezzo atto al suo soddisfacimento. Il carattere soggettivo del bisogno significa che ogni persona sente i propri bisogni con un’intensità individuale. 231 Bollettino protesti - Elenco alfabetico delle persone fisiche o giuridiche che hanno emesso degli assegni a vuoto o non hanno onorato delle cambiali accettate. L’elenco in que- stione è pubblicato due volte la settimana dalle Camere di commercio ed è fornito dai Presidenti di Tribunale. Bonus fiscale - Forma di finanziamento che consente al beneficiario di monetizzare il con- tributo in sede di pagamento d’imposta. In effetti è un contributo in conto capitale, com- preso l’aspetto fiscale, erogato sotto forma di detrazione dell’importo spettante dal totale delle imposte che l’azienda deve pagare sul proprio conto fiscale. Borsa valori - Mercato organizzato per la negoziazione di strumenti finanziari che sono rap- presentativi di debiti (obbligazioni) o di quote di capitale di un’impresa (azioni) o sono da questi derivati (futures, swaps, opzioni). Gli organi che esercitano poteri di vigilanza e controllo su tale mercato, sono la Consob, la Banca d’Italia, il Ministro del Tesoro. Brainstorming - Tecnica usata per sviluppare il pensiero creativo. In essa è importante la quantità delle idee prodotte, più che la loro compiutezza e realizzabilità. Il brainstor- ming si basa sulla sospensione del giudizio e della critica, sulla produzione a ruota libera di idee e sull’associazione ed il miglioramento delle stesse. Break Even Point (BEP) - Situazione di conto economico di un’impresa in cui i ricavi totali pareggiano i costi totali. L’analisi del B.E.P. è un mezzo tecnico per mettere in evidenza le relazioni tra costi fissi, costi variabili, prezzi e profitto in un’impresa. Brevetto - Documento attestante l’attribuzione del diritto esclusivo di godimento e di sfrut- tamento economico di un’invenzione industriale di modelli e disegni. Briefing - Informazioni passate all’agenzia, espresse attraverso un documento che riassume ogni elemento utile per lo sviluppo della campagna pubblicitaria. Budget - Strumento di programmazione dell’attività dell’impresa e di controllo dei risultati al fine di valutare eventuali scostamenti da quanto previsto ed intervenire, tempestiva- mente, con azioni correttive. Un budget aziendale è formato da tanti budget funzionali, che a loro volta si suddivi- dono in altri budget funzionali. Business - Affari, opportunità di guadagno. Business Idea - Idea centrale di un’opportunità di business. È il fulcro intorno al quale gira un business plan od un piano d’impresa relativo ad un’iniziativa imprenditoriale. Business Plan - Piano di fattibilità economico-finanziario o piano d’impresa. Il business plan è il progetto di un’impresa in cui è presentata la compagine sociale, analizzato il mercato e la concorrenza, definiti gli obiettivi e le strategie, descritti gli investimenti ed il piano di fattibilità tecnica, analizzata la struttura organizzativa, realizzate le previ- sioni economiche e finanziarie Cambiale - Titolo di credito all’ordine che contiene un ordine od una promessa di paga- mento a favore del trattario (destinatario) dello stesso. Camera di Commercio, Industria, Artigianato ed Agricoltura - Organismo a carattere economico con funzioni di rappresentanza, consulenza e funzioni di tipo amministrati- vo e certificativo, come ad esempio la formazione di listini prezzi, la tenuta del registro delle ditte, il rilascio di certificati, etc. 232 Campione - Parte molto piccola di un tutto le cui caratteristiche, in senso probabilistico, so- no ritenute identiche a quelle dell’universo. Di solito l’indagine sul campione si rivela più rapida e meno costosa dell’indagine condotta sull’universo. Può essere contabile (in questo caso serve a verificare l’esistenza effettiva delle attività e delle passività azien- dali) e di merito (in questo caso il controllo misura l’efficacia aziendale, vale a dire il rapporto tra obiettivi fissati e risultati conseguiti). Canale di distribuzione - Sequenza d’ intermediari commerciali che provvedono al trasfe- rimento di un bene dal produttore al consumatore finale. Il canale può essere diretto (quando tra produttore ed acquirente finale non vi è nessun intermediario), corto (se vi è un solo intermediario) e lungo (quando vi sono diversi intermediari). Canale zero - Canale distributivo in cui non è utilizzato nessun intermediario. Il processo di distribuzione va direttamente dal produttore al consumatore. Capitale - Ricchezza disponibile per realizzare investimenti produttivi. Capitale circolante - Capitale utilizzato dall’impresa, una sola volta nel corso del ciclo produttivo; è costituito dalle liquidità immediate, differite e dalle disponibilità a breve termine. Capitale di terzi - Sono i capitali di finanziamento di fonte esterna (debiti). Capitale finanziario - Denaro che serve per l’acquisto del capitale fisso e di quello circo- lante. Capitale fisso - Capitale utilizzato più volte nel corso del ciclo produttivo; è costituito dal- l’insieme degli impianti, degli immobili, degli automezzi, ecc.; ovvero da tutti i beni ad utilità pluriennale. Capitale naturale - L’insieme dei sistemi naturali (mari, fiumi, foreste, fauna, flora) e dei prodotti agricoli, della pesca, della caccia, del patrimonio artistico e culturale presente in un dato territorio. Capitale netto - Detto anche patrimonio netto, è costituito dal capitale sociale, dagli utili e dalle riserve. Capitale proprio - Sono i conferimenti dell’imprenditore o dei soci destinati al finanzia- mento di rischio e duraturo dell’impresa. La remunerazione è rappresentata dagli utili o dal dividendo. Si contrappone a Capitale di terzi. Capitale sociale - L’ammontare, indicato nell’atto costitutivo ed espresso in termini mone- tari, del valore dei conferimenti promessi od eseguiti dai soci. Capitale umano - Equiparazione dell’elemento umano a qualsiasi altro tipo di capitale; que- sto può quindi essere incrementato allo stesso modo, ossia attraverso gli opportuni in- vestimenti, che nel caso specifico riguarderanno settori come la sanità, l’istruzione, ecc. Il capitale umano fu studiato dagli economisti americani Schultz e Becker negli anni Sessanta. Carico ambientale - Pressione esercitata dall’insieme dei fattori antropici presenti in un’area su una determinata risorsa ambientale. Cash Flow - L’ammontare di disponibilità finanziaria che si genera nell’impresa in un determinato periodo. Centri di costo - Area di responsabilità (reparto, divisione, funzione, prodotto, ecc.) cui riferire dati contabili per valutarne l’andamento. 233 Certificazione - (Intesa secondo ISO 9000). Attestazione d’effettiva messa a norma del Si- stema Qualità, fornita da Enti Terzi Indipendenti, accreditati secondo norme specifiche. Certificazione di conformità - Atto mediante il quale un Ente notificato dichiara che un determinato prodotto, processo o servizio è conforme ad una specifica norma od altro documento normativo. Ciclo delle scorte - Andamento delle scorte di un’impresa, determinato dalla quantità d’im- pegni cui questa si trova a far fronte in un determinato momento. Il ciclo delle scorte rappresenta un utile strumento per affrontare al meglio il futuro ciclo economico. Ciclo di produzione - L’insieme di attività in cui è strutturata la produzione di un bene o di un servizio. Il suo inizio consiste nel procacciarsi materie prime e forza lavoro, la sua fine è rappresentata dalla vendita del prodotto o del servizio. Ciclo di vita del prodotto - Sequenza temporale che ogni prodotto/servizio vive dal mo- mento della sua introduzione sul mercato alla sua uscita dallo stesso. È suddiviso in quattro fasi: introduzione, crescita, maturità, declino. Consente all’imprenditore di sce- gliere le strategie d’impresa che devono essere realizzate in funzione della fase tempo- rale che si sta vivendo. Cliente interno - Persona, ufficio o settore, all’interno della stessa impresa, che richiede un prodotto/servizio e che quindi deve essere trattato come un cliente. In altre parole il ma- gazzino dovrà considerare la produzione della stessa impresa come il proprio cliente interno e, di conseguenza, dovrà trattarlo con le attenzioni dovute. Clima organizzativo - L’insieme delle caratteristiche di un’organizzazione che esercita un’influenza sugli individui che operano al suo interno. Il clima organizzativo deriva dall’interazione tra le diverse variabili individuali (quali ad esempio la leadership od il modo di gestire i conflitti) e le variabili organizzative (quali la struttura, il livello di responsabilità ed il sistema di ricompense). Cofinanziamento principio - Principio generale secondo il quale i finanziamenti derivanti dai Fondi strutturali comunitari devono essere assistiti, in percentuali diverse, a secon- da degli Obiettivi, da quote di finanziamento nazionali. Collegio sindacale - Organo di controllo della gestione delle cooperative e delle società di capitali. È indispensabile nelle società per azioni ed in quelle in accomandita per azioni, mentre in quelle a responsabilità limitata è obbligatorio soltanto se il capitale è superiore a 100 mila euro, oppure se la sua presenza è richiesta dall’atto costitutivo della società. I sindaci, ad eccezione di quelle delle cooperative, devono essere iscritti nell’albo dei Revisori contabili. Commessa - Richiesta di una quantità di prodotto. Lavori su commessa: lavori effettuati su una richiesta unica e particolare di un determinato prodotto. Comportamento d’acquisto - L’insieme delle motivazioni che spingono un soggetto all’acquisto (come, quando, perché e dove). Comunicazione pubblicitaria - Comunicazione di un messaggio od idea idonea ad informa- re, ricordare e persuadere il consumatore circa l’esistenza o l’acquisto di un prodotto. Es- sa ha inoltre l’obiettivo di creare l’immagine dell’impresa e del prodotto presso il pub- 234 blico. La pubblicità può essere di prodotto (pubblicità attuata allo scopo di valorizzare i prodotti e/o servizi di un’impresa); diretta (pubblicità effettuata attraverso la distribuzio- ne controllata di messaggi pubblicitari diretti ad individui selezionati); esterna (pubblici- tà effettuata attraverso mezzi di trasporto pubblici, manifesti ed affissioni); industriale (tipo di pubblicità effettuata nel settore dei beni industriali che ha come target altre indu- strie: questo tipo di pubblicità viene generalmente effettuato utilizzando come strumenti la pubblicità diretta e riviste specialistiche del settore); infine, istituzionale (pubblicità destinata a valorizzare il marchio o l’immagine dell’azienda, anziché i suoi prodotti). Concentrazione degli obiettivi (principio della) - Tale principio prevede che l’azione strut- turale si concentri su tre obiettivi di sviluppo al fine di indirizzare gli interventi finan- ziari verso le aree più svantaggiate ed ottimizzare l’allocazione delle risorse nelle re- gioni o nelle zone meno progredite. Per il periodo di programmazione 2000-2006 le azioni strutturali - sostenute da FESR, FSE, FEAOG e SFOP - sono concentrate attor- no ai seguenti tre obiettivi comunitari: Obiettivo 1: sviluppo e adeguamento strutturale delle regioni in ritardo di sviluppo industriale. Obiettivo 2: riconversione economica delle zone in difficoltà strutturali. Obiettivo 3: Sviluppo delle risorse umane attraverso l’adeguamento e l’ammoderna- mento delle politiche e dei sistemi di istruzione, formazione e occupazione. Agli obiettivi sopra citati si affianca il Regolamento di sviluppo rurale che ha fatto pro- prie le pertinenze dell’ex ob.5a. Programmi di Iniziativa Comunitaria (PIC). Le inizia- tive comunitarie rispecchiano anch’esse i principi di concentrazione, programmazione, partenariato e addizionalità. Concessione di garanzie - Particolare forma di agevolazione che consiste nel porre a cari- co dello Stato, o di un altro organismo, gli oneri relativi alle garanzie che il soggetto è tenuto a prestare per ottenere un finanziamento a medio lungo termine. Si tratta quindi di uno strumento atto a favorire quelle aziende che fruiscono di finan- ziamenti e che non sono in grado di fornire idonee garanzie richieste dagli Istituti di Credito. Concorrenza - Forma di mercato caratterizzata dalla presenza di una moltitudine d’ope- ratori, nessuno dei quali è in grado di influire con le proprie decisioni sull’andamento delle contrattazioni. Congiuntura - L’insieme delle condizioni che caratterizzano, in un determinato momento, il sistema economico od una sua parte. Consorzi fidi - I Consorzi e le Cooperative di garanzia fidi sono alcuni dei principali stru- menti di ricerca delle fonti di finanziamento delle imprese. Essi sono finalizzati alla ricerca ed all’offerta, ai soci, di linee di credito bancarie e non (aggiuntive rispetto a quelle normalmente godute presso l’intero sistema creditizio) e, soprattutto, a costi comparativamente più bassi, rendendo l’accesso al credito meno difficoltoso e meno oneroso per tutte le aziende ad esse associate. Le principali operazioni di una cooperativa di garanzia sono: l’apertura di credito in dc, anticipazioni garantite da pegno su merci e documenti, sconto di carta commerciale, sconto tratte ecc. Consumatore - Colui che acquista beni di consumo. È oggetto degli studi di marketing, volti ad influenzare le sue scelte di acquisto. 235 Contabilità analitica - Sistema di rilevazione dei costi di produzione con la finalità di effettuare un controllo di gestione, per prodotto o per centro di costo o per commessa, secondo le caratteristiche dell’attività, anche attraverso la redazione di bilanci rivolti all’interno dell’azienda. Contabilità aziendale - Parte del sistema informativo aziendale che ha lo scopo di rilevare, elaborare e comunicare dati quantitativi sull’azienda stessa; tale contabilità si occupa solo delle informazioni esprimibili in termini monetari. Contabilità direzionalità - Sistema contabile utilizzato per il controllo di gestione, che trae dati dalla: contabilità analitica, dalla contabilità generale, dal piano degli investimenti. Contabilità generale - Parte della contabilità aziendale che ha lo scopo di rilevare ed elaborare: i dati espressi in termini monetari relativi, tutti i fatti amministrativi che comportano scambi tra l’azienda e l’ambiente esterno, i risultati globali della gestione in termini di costi e di ricavi. Contabilità industriale - Parte della contabilità aziendale che consente di seguire per centri di costo o per prodotto la formazione dei diversi stadi dei costi aziendali; la con- tabilità industriale rileva i fatti amministrativi interni inerenti al processo produttivo in senso stretto. È un sistema più focalizzato della contabilità analitica. Conto economico - Prospetto contabile che evidenza la composizione dei costi e dei ricavi nonché il reddito prodotto dall’impresa in un determinato periodo (esercizio di compe- tenza), solitamente un anno. Contratto - Accordo di due o più parti per costituire, regolare od estinguere un rapporto giuridico patrimoniale (art. 1321 c.c.). Contributo in conto capitale - Consiste nel contributo “a fondo perduto”. Viene normal- mente calcolato in percentuale delle spese ammissibili e non è prevista alcuna restitu- zione di capitale o pagamento di interessi. Normalmente non sono necessarie garanzie, tranne i casi nei quali è prevista l’erogazione di un anticipo. Contributo in conto esercizio (gestione) - Corrisponde a un contributo in conto capitale, differendone solo per quanto riguarda l’imposizione fiscale alla quale viene assogget- tato. In questo caso infatti il contributo viene identificato come ricavo e deve essere tas- sato nel periodo di competenza e per l’intero importo (per quanto riguarda la tassazio- ne dei contributi in conto capitale si rimanda alla definizione di ESL e di ESN). Nor- malmente questa tipologia di agevolazione viene concessa per contribuire alle spese di gestione (personale, pubblicità, viaggi, locazioni immobiliari, oneri finanziari, ecc.) che i beneficiari devono sostenere a fronte di un determinato progetto. Contributo in conto interessi - Contributo che viene concesso a fronte della stipula di un finanziamento a medio lungo termine. Il contributo viene erogato direttamente dal- l’istituto finanziatore, il quale se ne servirà per abbassare il tasso di interesse applicato al finanziamento dell’impresa beneficiaria. Contributo a fondo perduto - Agevolazione concessa a fronte della stipula di un finanzia- mento a medio-lungo termine. Il contributo viene erogato direttamente dall’istituto fi- nanziatore, che lo utilizzerà per abbassare il tasso d’interesse applicato al finanziamen- to. Normalmente la stipula del finanziamento e la richiesta dell’agevolazione sono due eventi separati e di competenza diversa (rispettivamente l’istituto finanziatore e l’ente erogatore). 236 Il finanziamento viene perfezionato in base alle condizioni di mercato, indipendente- mente dall’intervento agevolativo, che si innesca successivamente. Controllo qualità - Metodologia di controllo con prove e test, applicata sul prodotto finale o sul processo di fabbricazione, allo scopo di controllare la qualità del prodotto. Tale metodologia spesso si avvale di tecniche statistiche. Cooperativa - Società prevista dall’art. 2511 del cod. civ., avente scopo mutualistico; ha personalità giuridica e può essere a responsabilità illimitata o limitata.Tale forma si adatta ad attività finalizzate all’inserimento lavorativo, soprattutto di giovani, per ser- vizi socio - assistenziali che si prefiggono la riduzione dei costi dei beni di consumo. Cooperative - Imprese che hanno scopo mutualistico, vale a dire non di puro lucro. L’in- tento dei soci non è quello di dividersi gli utili, ma di ottenere una prestazione a condi- zioni più favorevoli di quelle che potrebbero ottenere sul libero mercato o collocare meglio la loro prestazione lavorativa. Coordinamento - L’insieme delle modalità attraverso cui, all’interno dell’organizzazione, il lavoro è ricondotto ad unità ed orientato verso gli obiettivi dell’impresa. Core Business - La principale attività produttiva di un’impresa. Debiti - Aspetto passivo del rapporto obbligatorio, vale a dire il dovere del debitore di ese- guire la prestazione dovuta. Costo della vita - Prezzo medio di un dato paniere di beni. Declino - Ultimo stadio del ciclo di vita del prodotto. In questa fase il prodotto è abbando- nato perché non è più in grado di realizzare alcun profitto ed è sostituito con un altro prodotto. Delega - Atto in base al quale il delegante (chi trasferisce) conferisce al delegato (chi rice- ve) dei poteri decisionali di sua competenza. Delocalizzazione - Scelta imprenditoriale di spostare da un punto di vista spaziale parti o tutta l’attività dell’impresa in aree diverse per motivi di convenienza strategica (un esempio significativo è dato dal fenomeno di delocalizzazione delle attività produttive di molte imprese della Comunità Europea nei Paesi dell’Est Europeo, per la competiti- vità dei costi della manodopera). Dematerializzazione - Orientamento dell’economia che prevede di produrre la stessa “uni- tà di servizio” con un quantitativo minore di materie e di materiali per produrre la stes- sa “unità di servizio”. Desideri - Sensazione che spinge verso la realizzazione di un bisogno. Dichiarazione di conformità - Dichiarazione di un fornitore che attesta, sotto sua persona- le responsabilità, la conformità del prodotto, processo o servizio rispetto a determinate norme o specifiche. Dichiarazione per i redditi - Dichiarazione resa da persone fisica, società od enti relativa ai redditi prodotti e alle imposte derivanti in un determinato periodo di competenza (eser- cizio). Differenziazione - Decisione di produrre due o più beni diversi per caratteristiche, stile, qualità, dimensioni e via dicendo, con l’obiettivo di offrire una varietà di scelte al mer- cato e di rendere diverso il proprio prodotto da quello della concorrenza. 237 Dimensionamento - Attività di calcolo ed organizzazione dell’attività svolta con l’obiettivo di ottimizzare la scelta delle macchine, del personale e dei cicli di lavorazione. Diritto di opzione - Diritto di preferenza, che spetta agli azionisti nella sottoscrizione di nuove azioni emesse a pagamento. Disavanzo commerciale - Saldo commerciale negativo, cioè eccedenza delle importazioni sulle esportazioni. Disoccupazione tecnologica - Disoccupazione indotta dal progresso tecnologico. Disponibilità liquide - Insieme dei mezzi di pagamento di un’impresa, liquidi o pronta- mente liquidabili, disponibili in un dato momento. Distribuzione - L’insieme delle attività che consentono il passaggio dei prodotti finiti dal produttore al consumatore finale. Distribuzione creatrice - Idea secondo la quale la crescita genera e al contempo distrugge posti di lavoro. Ditta - Nome sotto il quale il titolare di un’azienda esercita la propria attività. Dividendo - Nelle società per azioni è la parte degli utili che è distribuita ai soci. Il divi- dendo unitario è uguale agli utili distribuiti, diviso per il numero d’azioni che compon- gono il capitale sociale. Divisione del lavoro - Metodologia attraverso la quale è suddiviso il lavoro tra i componenti dell’organizzazione. Domanda - Quantità di beni e/o servizi che i consumatori vogliono acquistare. Elementi da considerare sono il prezzo, il periodo, le preferenze ed il reddito del consumatore, oltre al prezzo dei beni sostitutivi. Domini ambientali - Le principali aree d’interesse ambientale (risorse, aria, acqua, rifiuti, rumore) prese in considerazione da strumenti analitici quali la contabilità ambientale. Economia - Scienza che studia i comportamenti relativi alla ricchezza e la loro integra- zione in un sistema. Economia aziendale - Disciplina che si occupa dei comportamenti operativi dell’impresa. Economia politica - Disciplina che studia il comportamento di soggetti diversi (famiglie, imprese, stati) nelle loro attività di produzione e distribuzione di beni e servizi. Economia sommersa - Parte dell’attività economica di un paese che non viene registrata nelle statistiche ufficiali, perché illegale o a scopo di evasione fiscale. Economie Postindustriali - Economie in cui la quota del settore manifatturiero sul PIL è in costante declino. Economie di scala - Riduzione del costo di produzione unitario di un servizio/prodotto in relazione ad un significativo aumento di quantità prodotte/vendute. La riduzione del costo unitario di produzione è legata alla ripartizione dei costi su un numero d’unità maggiore ed a costi gestionali più bassi. Vantaggio economico ottenuto per effetto dell’aumento della dimensione degli impian- ti e del volume dei beni prodotti. Ecosviluppo - Secondo l’UNEP (United Nation Environment Program), sviluppo basato sulla sostenibilità ambientale che tiene conto dei bisogni umani fondamentali (basic 238 needs) e della capacità di basarsi sulle risorse locali e sull’autorganizzazione (self-re- liance). Efficacia - Adeguatezza e coerenza dell’azione rispetto all’obiettivo; è valutata in base al grado di raggiungimento del risultato previsto, indipendentemente dalle risorse impie- gate e dal loro costo. Efficienza - Rapporto tra i fattori impiegati nel processo produttivo ed i risultati ottenuti. Elasticità - Capacità di adeguarsi ai cambiamenti in breve tempo. Elasticità della domanda - Variabilità della quantità domandata al variare di un fattore ad essa correlato. La più nota è rispetto al prezzo. L’elasticità della domanda rispetto al prezzo è data dal rapporto della variazione relativa alla quantità domandata rispetto alla variazione relativa al prezzo. Empowerment - Processo che conferisce ai dipendenti maggiore autonomia e responsabilità. Enti finanziari etici - Sono enti di finanziamento contraddistinti da trasparenza e fiducia; queste sono le parole che contraddistinguono le proprie fondamenta su cui il movi- mento del “finanziamento etico” vuole e deve basare il suo operato per il prossimo fu- turo.La trasparenza è una condizione necessaria per godere di credibilità, per avvicina- re il cittadino e ottenere la sua attenzione, per motivarlo a dare il suo contributo; con- seguenza desiderata di questo modo di proporsi al pubblico è la fiducia del cittadino nell’ente che raccoglie e gestisce i fondi, base indispensabile per creare un legame du- raturo e fecondo e per stimolare il cittadino a farsi promotore egli stesso delle inizia- tive cui partecipa. Equilibrio - Uguaglianza tra domanda e offerta in un mercato. Equilibrio generale. Situazione di equilibrio simultaneo in tutti i mercati (reali, finan- ziari e del lavoro). Esercizio - Periodo amministrativo utilizzato per misurare la produzione del reddito e valu- tare la consistenza del patrimoniale. Solitamente coincide con l’anno solare. Espansione - Periodo di crescita del PIL. Esportazioni - Acquisto di beni e servizi nazionali da parte del resto del mondo. Esportazioni nette è la differenza tra esportazioni e importazioni. È chiamata anche saldo commerciale. Esternalità ambientali - Effetti che l’attività economica produce sull’ambiente il cui costo di risanamento può essere internalizzato dall’azienda che li produce. Esternalizzare (outsourcing) - Scelta aziendale che consiste nel delegare all’esterno alcu- ne funzioni fino a quel momento interne all’imprese, Trasferimento del know how produttivo ad altre aziende, che s’impegnano a fornire successivamente i prodotti in funzione delle esigenze. Extranet - Rete aziendale aperta all’esterno. Fabbisogno finanziario - Ammontare complessivo dei mezzi finanziari necessari a garan- tire il normale svolgimento della gestione dell’impresa. Fallimento - Intervento giudiziario mediante il quale il patrimonio di un imprenditore insolvente viene sottratto alla sua disponibilità e destinato ai creditori. 239 Fattori della produzione - Elementi che sono utilizzati nella produzione aziendale. I fat- tori sono classificati in tre categorie principali: capitale, manodopera, materie. Fatturato - Volume delle vendite che un’impresa realizza in un anno. È usato come sinoni- mo di ricavi di vendita. Il termine è usato, fondamentalmente, nell’ambito del marketing. Fatture - Documenti contabili - fiscali sottoposti ad alcuni requisiti formali, attestanti una prestazione di servizi o cessione di beni. Fidelizzato - Cliente che diventa fedele all’azienda, che non la sostituisce. Fidejussione - Contratto mediante il quale si costituisce in favore di un creditore la garan- zia personale di un terzo. FIFO (First in First out) - Metodo di valutazione delle scorte basato sul principio che le merci in magazzino sono valutate a valori correnti di mercato. Vedi anche Rimanenze. Finanza aziendale - Aspetti della gestione aziendale attinenti le valutazioni e le forme d’in- vestimento e finanziamento. Finanziamenti di terzi - Vengono compresi in questa categoria tutti quei capitali che inter- vengono nella gestione aziendale e che non vanno a costituire il capitale “di rischio”. I finanziamenti di terzi possono andare a coprire necessità ed incombenze della gestio- ne corrente e ordinaria, come necessità di ristrutturazione e riconversione aziendale. Nel primo caso parliamo di debiti di funzionamento, nel secondo caso di debiti di finanziamento. Flessibilità - Criterio economico che indica la capacità di un’impresa, che vuole essere competitiva, di rispondere in modo appropriato ed efficiente ai continui mutamenti del mercato attraverso un alto grado di flessibilità nell’organizzazione dell’impresa e nella regolazione delle prestazioni di lavoro. Flusso di casa - Vedi Cash Flow . Fondi comuni monetari - Istituzioni finanziarie che ricevono fondi dagli individui e li impiegano in titoli a breve termine. Fondo - Consistenza patrimoniale valutata in un dato momento. Fondo monetario interna- zionale (FMI). Una delle principali organizzazioni economiche internazionali. Pubbli- ca annualmente il “World Economic Outlook” e mensilmente l’International Financial Statistics. Forma - Modo in cui deve essere redatto il negozio giuridico o manifestata la volontà negoziale. Fornitore - Produttore di prestazioni, beni e servizi richiesti come risorsa necessaria all’im- presa cliente, al fine di consentire la sua attività di creazione, produzione, trasforma- zione. Forza contrattuale - Potere relativo di una parte in una negoziazione o in una disputa. Forza lavoro - Somma delle persone occupate e di quelle in cerca di lavoro. Franchising - Contratto con cui un imprenditore (franchisor), dietro pagamento di un com- penso, consente ad un altro imprenditore (franchisee) di esercitare un’attività commer- ciale, di produzione o di servizi, utilizzando il marchio del franchisor. Il franchisee s’impegna, inoltre, ad esercitare la propria attività secondo le modalità stabilite dal fran- chisor e sotto il suo controllo. 240 Frequenza - Numero delle volte in cui si ripete un evento. Funzione - Complesso d’attività svolte all’interno dell’azienda e collegate organicamente tra loro. L’organizzazione aziendale si basa su unità amministrative, ciascuna delle quali rappresenta un’attività rivolta a realizzare un determinato obiettivo aziendale, ad esem- pio la funzione produzione, marketing, contabilità, personale, ecc. Gap - Termine anglosassone che indica discrepanza, differenza, divario esistente tra due situazioni specifiche. Gap tecnologico - Differenza tra gli stati della tecnologia di diversi paesi. Gestione - L’insieme delle attività finalizzate all’acquisizione, all’impiego ed al recupero del capitale monetario impegnato; le operazioni fondamentali della gestione aziendale sono infatti: 1) l’acquisizione del capitale monetario; 2) il suo impiego in fattori pro- duttivi; 3) la trasformazione dei fattori produttivi in prodotti/servizi; 4) il recupero del capitale monetario attraverso la vendita dei prodotti/servizi. Grado di sindacalizzazione - Proporzione della forza lavoro che aderisce ai sindacati dei lavoratori. Gruppi di interesse - Gruppi di agenti economici portatori di interessi divergenti nei con- fronti del governo. Grossista - Operatore indipendente che acquista prodotti direttamente dalle aziende pro- duttrici in grandi quantità, per rivenderli, in lotti più piccoli, a dettaglianti o ad altre imprese. Importazioni - Acquisto di beni e servizi esteri da parte dei consumatori, delle imprese e del governo di un paese. Imposte indirette - Imposte su beni e servizi. Negli Stati Uniti, esse sono costituite soprat- tutto dalle imposte sulle vendite. Imprenditore agricolo - È imprenditore agricolo chi esercita un’attività diretta alla colti- vazione del fondo, alla silvicoltura, all’allevamento del bestiame e attività connesse. Si reputano connesse le attività dirette alla trasformazione o alla vendita dei prodotti agricoli, quando rientrano nell’esercizio normale dell’agricoltura. Impresa artigiana - È quella che ha per scopo prevalente la produzione di beni, anche se- milavorati, o la prestazione di servizi (escluse le attività agricole, commerciali, di in- termediazione mobiliare, di ristorazione, salvo il caso che siano strumentali ed acces- sorie all’esercizio dell’impresa), esercitata in forma di società, anche cooperativa (con esclusione delle SpA e Sapa) a condizione che la maggioranza dei soci (o uno nel caso di due soci) svolga in prevalenza lavoro personale, anche manuale, nel processo pro- duttivo e che nell’impresa il lavoro abbia funzione preminente sul capitale. Impresa familiare - È una ditta individuale in cui collaborano il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo (familiari), i quali non sono né soci né dipen- denti dell’imprenditore. Impresa quotata - È un’impresa che raccoglie capitali dai risparmiatori attraverso la vendita di quote sociali (azioni). Le azioni possono essere oggetto di compravendita e quotate su un apposito mercato (borsa). Gli azionisti partecipano agli utili ed ai rischi dell’im- presa quotata. Le imprese quotate ricompensano gli azionisti con un dividendo, che varia in funzione degli utili realizzati. Il valore di borsa di una società quotata è pari 241 al valore di mercato di un singolo titolo azionario moltiplicato il numero dei titoli pre- senti sul mercato. Indennità di licenziamento - Pagamenti effettuati dalle imprese ai lavoratori licenziati. Indice dei prezzi al consumo (CPI) - Costo di un dato paniere di beni e servizi consumato da un consumatore urbano medio. Indicizzazione salariale - Regola in base alla quale i salari aumentano automaticamente in seguito a un aumento dei prezzi. Inflazione - Crescita sostenuta del livello generale dei prezzi. Innovazione - È qualsiasi caratteristica riguardante il prodotto, le modalità distributive, il sistema produttivo, l’organizzazione, in grado di differenziare il prodotto/servizio da quelli dei concorrenti. Investimento - Acquisto di nuovi beni capitali (macchinari e impianti) da parte delle im- prese e di nuove case e appartamenti da parte degli individui. Investimento finanziario: acquisto di attività finanziarie. Investimento immobiliare: ha come oggetto la costruzione o l’acquisto di beni immo- bili, tra cui edifici per uso abitativo o commerciale. Investimento in scorte: differenza tra produzione e vendite. Investimento non immobiliare o produttivo: acquisto di nuovi beni capitali da parte delle imprese. Ipoteca - L’ipoteca rientra tra le garanzie reali e si costituisce su un bene immobile o un be- ne mobile registrato (autoveicoli, aeromobili etc.) o una rendita dello Stato, concessi dal debitore in garanzia di un credito. La caratteristica dell’ipoteca è il potere del creditore di espropriare il bene in oggetto nel caso di mancato pagamento del credito e di essere soddisfatto con preferenza rispetto ad altri eventuali creditori sul prezzo ricavato dal- l’espropriazione. Lavoro effettivo - Numero dei lavoratori impiegati in un’economia espresso in unità di misura che tengono conto dello stato della tecnologia e quindi della produttività del lavoratore stesso. Lavoratori scoraggiati - Persone disoccupate che hanno rinunciato a cercare un nuovo impiego. Lavori di pubblica utilità - Sono quelle attività, caratterizzate dalla stabilità nel tempo, svol- te nei seguenti settori ed ambiti: servizi alle persone, servizi di salvaguardia e cura del- l’ambiente e del territorio, sviluppo rurale, montano e dell’acquacoltura, recupero e ri- qualificazione degli spazi urbani, ivi compresi i quartieri delle città e dei centri minori e dei beni culturali, Tali attività possono essere promosse da tutte le amministrazioni del- lo Stato (regioni, province, comuni, comunità montane, e loro consorzi ed associazioni, istituti, scuole, università, aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento auto- nomo, camere di commercio e loro associazioni, aziende ed enti del servizio sanitario nazionale, società a prevalente partecipazione pubblica, cooperative sociali ecc...). Leasing - È un contratto di locazione/affitto di beni mobili ed immobili, in cui una parte (locatore) concede all’altra (locatario) il godimento di un bene, a fronte di un canone periodico di affitto, per un determinato periodo di tempo, al termine del quale chi ha usufruito del bene può: restituirlo, senza ulteriori aggravi; proseguire nel godimento 242 del bene, versando un canone inferiore; acquistare in proprietà il bene, pagando una somma ulteriore (prezzo di riscatto); richiedere la sua sostituzione con altro bene. Macroeconomia - Studio delle variabile economiche aggregate, come la produzione aggre- gata e il livello generale dei prezzi. Media impresa - È media impresa quella che ha: meno di 250 dipendenti, un fatturato an- nuo non superiore a 40 milioni di Euro; un totale di bilancio annuo non superiore a 27 milioni di Euro; è in possesso del requisito di indipendenza (ossia il suo capitale o i di- ritti di voto possono appartenere, soltanto fino al 25%, ad una sola impresa o congiun- tamente a più imprese non conformi alla definizione di media impresa). Mercato - L’insieme dei clienti, portatori di un preciso bisogno, a cui viene destinato uno specifico prodotto, veicolato con un determinato canale di vendita. Mercati finanziari - Mercati in cui vengono acquistate e vendute le attività finanziarie. Mercato agricolo comune - Il mercato comune dei prodotti agricoli costituito dai paesi che fanno parte dell’Unione Europea. Mercato del lavoro duale - Mercato del lavoro in cui convivono un mercato del lavoro primario e un mercato del lavoro secondario. Mercato del lavoro primario: parte del mercato del lavoro in cui i posti di lavoro sono buoni, i salari elevati e il ricambio abbastanza basso. Al contrario nel mercato del lavoro secondario i posti sono poco qualificanti, i salari bassi e il ricambio piuttosto elevato. Microeconomia - Studio della produzione e dei prezzi nei singoli mercati. Mix di politica economica - Combinazione di politiche monetarie e fiscali in attuazione nello stesso periodo. Modelli - Semplici strutture logiche e internamente coerenti usate per descrivere il funzio- namento di un’economia. Moneta circolante - Le monete e le banconote emesse dalla banca centrale. Mutuo agevolato - Consiste in un contributo in conto interessi, dove la stipula del finanzia- mento e la concessione dell’agevolazione avvengono contemporaneamente. Il finan- ziamento, se viene erogato, viene concesso esclusivamente a condizioni agevolate. Minaccia - Evento sfavorevole, più o meno imprevedibile e non controllabile, esterno alla propria idea imprenditoriale, che in qualche modo può ostacolare l’avvio e/o lo svilup- po dell’iniziativa. Obbligazioni - Titoli generalmente emessi dalle società per azioni. Obiettivo 1 - Denominazione utilizzata dalla Comunità Europea per indicare le aree a ritar- dato sviluppo socio-economico-industriale. L’Obiettivo 1 promuove lo sviluppo e l’adeguamento strutturale in tali regioni attraverso i seguenti Fondi strutturali: FESR, FSE e il FEAOG, settore “orientamento” e SFOP. Obiettivo 2 - Denominazione utilizzata dalla Comunità Europea per indicare le zone in fase di mutazione socioeconomica nei settori dell’industria e dei servizi, le zone rurali in declino, le zone urbane in difficoltà e le zone dipendenti dalla pesca che si trovano in una situazione di crisi. L’ obiettivo 2 favorisce la riconversione economica e sociale di tali zone con difficoltà strutturali attraverso l’FESR e FSE. 243 Obiettivo 3 - Denominazione utilizzata dalla Comunità Europea per indicare le azioni comunitarie a favore delle risorse umane in regioni non interessate dall’obiettivo 1. L’obiettivo 3 favorisce l’adeguamento e l’ammodernamento delle politiche e dei si- stemi di istruzione, formazione e occupazione attraverso l’ FSE. Opportunità - Evento favorevole, più o meno imprevedibile e non controllabile, che in qual- che modo potrebbe influenzare positivamente l’avvio e/o lo sviluppo dell’iniziativa. Organizzazioni non lucrative di utilità sociale - Le ONLUS sono associazioni, comitati, fondazioni, cooperative sociali o altri enti di carattere privato, con o senza personalità giuridica, i cui statuti o atti costitutivi (redatti nella forma dell’atto pubblico o della scrit- tura privata autenticata o registrata) prevedano espressamente lo svolgimento di attività in uno o più dei seguenti settori: assistenza sociale e socio-sanitaria, assistenza sanitaria, beneficenza, istruzione, formazione, sport dilettantistico, tutela promozione e valorizza- zione delle cose di interesse storico ed artistico, tutela e valorizzazione della natura e del- l’ambiente, promozione della cultura e dell’arte, tutela dei diritti civili e ricerca scienti- fica di particolare interesse sociale, oppure l’esclusivo perseguimento di finalità di soli- darietà sociale ed il divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili ed avanzi di ge- stione, nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell’organizzazione. Le ONLUS sono iscritte ad una speciale anagrafe, istituita e gestita dal Ministero delle Finanze. Patto di stabilità - Protocollo del Trattato di Maastricht che impone ai paesi membri che partecipano all’Unione monetaria di mantenere un disavanzo totale al di sotto del 3%, e cioè rende permanente il vincolo che originariamente il Trattato prevedeva solo come condizione di ingresso. PIL - PIL si distingue in nominale e reale. Il primo è la somma delle quantità di beni finali prodotti in un’economia moltiplicate per il loro prezzo corrente (è chia- mato anche PIL a prezzi correnti) Il secondo è la somma delle quantità prodotte in un’economia moltiplicate per il loro prezzo in un anno-base (è anche chiamato PIL in termini di beni, PIL a prezzi costanti, PIL aggiustato per l’inflazione). Politica di sconto - Condizioni alle quali la banca centrale concede prestiti alle banche. Politica fiscale - Politica governativa che si avvale degli strumenti della spesa pubblica e dell’imposizione fiscale. Politica industriale - Politica volta a sostenere o regolamentare settori specifici dell’economia. Politiche del reddito - Politiche pubbliche che fissano i salari o introducono controlli o regolamentazione dei prezzi. Potere d’acquisto - Livello di spesa che può essere raggiunto a un dato livello di reddito. Privatizzazione - Trasferimento di imprese dalla proprietà pubblica alla proprietà privata. Prodotto interno - Prodotto interno lordo (PIL). Misura della produzione aggregata nei con- ti di contabilità nazionale. È il valore totale dei beni e servizi finali prodotti da un pae- se in un determinato periodo di tempo con i fattori produttivi impiegati all’interno del paese stesso. Prodotto nazionale lordo (PNL) - Misura della produ-zione aggregata nei conti di conta- bilità nazionale. E il valore totale dei beni e servizi finali prodotti da un paese in un determinato periodo di tempo con i fattori produttivi di proprietà dei residenti, siano essi investiti all’interno o all’estero. 244 Prodotto pro capite - PIL di un paese rapportato alla popolazione del paese stesso. Produttività del lavoro - Rapporto tra produzione e numero di lavoratori impiegati. Quota - La quota esprime la partecipazione del socio al capitale sociale a cui corrisponde un complesso unitario di diritti e poteri, che fanno capo ad un unico soggetto: le quote dei soci possono essere tra loro diverse, ma la quota di un singolo socio è necessariamente unica: non si possono detenere più quote. Talvolta la legge stabilisce che una quota sia di un certa somma o di un multiplo di essa, ma ciò per determinare meglio l’entità dei diritti e poteri dei soci. Quota capitale - È la parte della rata di rimborso di un finanziamento che restituisce il capitale prestato. L’ammontare di tale quota è funzione dell’entità e della durata del finanziamento. Quota interessi - È la parte della rata di rimborso di un finanziamento che ripaga gli inte- ressi ad esso relativi. L’ammontare di tale quota è funzione del tasso d’interesse, della durata e dell’entità del finanziamento. Rapporto debito/PIL - Rapporto debito/PIL. Rapporto tra il debito pubblico di un paese e il suo prodotto interno lordo. Recessione - Prolungata riduzione del PIL. Di solito si riferisce ad almeno due trimestri consecutivi di crescita negativa del PIL REDDITO Flusso di entrate derivanti da lavo- ro, rendite, interessi e dividendi. Reddito nazionale - Reddito derivante dalla produzione di beni e servizi da parte dei resi- denti di un paese. Regime di aiuti “de minimis” - Il regime di aiuti de minimis, rappresenta la soglia massi- ma al di sotto della quale non trovano applicazione le limitazioni sancite dall’articolo 92 del Trattato di Roma. Infatti, Commissione europea ritiene che gli aiuti di importo poco elevato non possano potenzialmente falsare la concorrenza tra le imprese e per- tanto consente agli Stati membri di erogare senza particolari vincoli quelli che vengo- no definiti aiuti “de minimis”. Attualmente l’importo massimo degli aiuti rientranti in tale disciplina è di 100.000 Euro a decorre dal momento di erogazione del primo aiuto “de minimis” su un periodo di 3 anni. Tale importo comprende qualsiasi aiuto pubblico concessi dalle autorità nazionali, regionali o locali, indipendentemente dal fatto che le risorse provengano interamente dagli stati membri o vengano cofinanziate dalla comunità tramite i fondi strutturali, eccezione fatta per gli aiuti all’esportazione. Non preclude la possibilità per l’impresa beneficiaria di ottenere altri aiuti. Ricerca & Sviluppo (R&S) - 1) Ricerca fondamentale: è un’attività che mira all’amplia- mento delle conoscenze scientifiche e tecniche non connesse a obiettivi industriali o commerciali. 2) Ricerca industriale : è una ricerca pianificata o un’indagine critica mi- rante ad acquisire nuove conoscenze, così che queste possano essere utili per mettere a punto nuovi prodotti, processi produttivi o servizi o comportare un notevole migliora- mento dei prodotti, processi produttivi o servizi esistenti. Rischio di insolvenza - Rischio che l’emittente di un titolo non rimborserà l’intero ammon- tare promesso dal titolo stesso. 245 Riserve Bancarie - Moneta della banca centrale detenuta dalle banche. Differenza tra quan- to le banche ricevono dai correntisti e quanto prestano alle imprese o detengono sotto forma di titoli. Riserve in valuta estera - Attività finanziarie estere detenute dalla banca centrale. Salario di riserva - Salario che rende il lavoratore indifferente tra rimanere occupato e diventare disoccupato. Segmentazione - Criteri di aggregazione (es. variabili socio-demografiche, comportamen- tali, ecc.) in base ai quali i clienti vengono raggruppati per creare dei segmenti al loro interno omogenei. Servizi - Beni che non possono essere immagazzinati, ma che devono essere consumati sul luogo e al momento dell’acquisto. Sistema monetario europeo (SME) - Sistema di tassi di cambio fissi adottato dalla maggior parte dei paesi dell’Unione Europea. Spirale prezzi-salari - Meccanismo in base al quale aumenti dei salari provocano aumenti dei prezzi, che a loro volta conducono a ulteriori aumenti dei salari, e così via. Stagflazione - Combinazione di stagnazione e inflazione. Svalutazione - Aumento del tasso di cambio in un sistema di tassi di cambio fissi. Sovvenzione globale (SG) - Affidamento ad intermediari selezionati (quali Enti Locali, Organismi di sviluppo regionali, ONG) della gestione e l’amministrazione di una parte dell’intervento finanziato dai Fondi Strutturali della U.E. Si ricorre alla Sovvenzione globale soprattutto per iniziative di sviluppo locale. Sgravio fiscale o credito d’imposta - Concessione di un contributo che genera un credito d’imposta. Contrariamente al “bonus fiscale”, può essere monetizzato solo in sede di dichiarazione dei redditi. Tassa da inflazione - Saldi monetari reali moltiplicati per il tasso di inflazione. Tasso di disoccupazione - Quota delle persone disoccupate sul totale della forza lavoro. Tasso di partecipazione - Rapporto tra la forza lavoro e la popolazione civile. Tasso di sconto - 1) Nel senso di tasso ufficiale di sconto, è il tasso di interesse al quale la banca centrale concede prestiti alle banche. 2) Nel senso di tasso di attualizzazione, è il tasso di interesse usato per calcolare il valore attuale di una serie di pagamenti futuri. E uguale al tasso di interesse nominale nel caso di pagamenti futuri nominali, al tasso reale nel caso di pagamenti futuri reali. 3) Nel senso di tasso di preferenza intertempo- rale, è il tasso soggettivo al quale un individuo sconta il consumo futuro. Trattato di Maastricht - Trattato firmato nel 1991 che stabilisce i vari stadi del processo di transizione dell’Unione Europea a una moneta unica. Target - Segmento di clienti ai quali si decide di indirizzare la propria offerta. Valore aggiunto - Valore che le imprese aggiungono al processo produttivo, pari al valore della loro produzione meno il valore dei fattori produttivi intermedi impiegati. Valuta estera - Sinonimo di moneta estera. Indica tutte le monete diverse da quella na- zionale. 247 SCHEDE - ALLEGATI - VERIFICHE SCHEDE Scheda 1 - Il libro verde sull’imprenditorialità in Europa Scheda 2 - Gli incubatori e i venture capitalist Scheda 3 - Cercare on line Scheda 4 - Gli strumenti di indagine Scheda 5 - I media Scheda 6 - L’organizzazione aziendale Scheda 7 - Tutto quello che si deve sapere prima di mettere piede in banca ALLEGATI Allegato A: Elenco di attività professionali relative ad alcune aree operative Allegato B: Elenco di attività professionali relative alla new economy Allegato C: Elenco di attività professionali in “espansione” Allegato D: Esempi di organizzazione delle informazioni relative alle fonti Allegato E: Esempi di sistematizzazione delle informazioni LABORATORIO “C” - Verifiche 1ª prova di verifica Tecniche di potenziamento della capacità immaginativa (Iª esercitazione) Tecniche per aiutare ad uscire dagli schemi e ridefinire i problemi (IIª esercitazione) 2ª prova di verifica 3ª prova di verifica 4ª prova di verifica 5ª prova di verifica 6ª prova di verifica 249 SITOGRAFIA Per conservare la caratteristica di “ricerca attiva e personale” che caratterizza questo volume indichiamo alcuni siti ai quali puoi fare riferimento. Da tenere presente che i siti che si occupano di imprenditorialità sono nume- rosissimi e riconducibili ad una pluralità di classificazioni. Te ne proponiamo di seguito una esemplificazione. In base ai tuoi interessi puoi farne, però, una a tuo uso e consumo. Da tenere presente che la prima sezione (“Siti a carattere generale”) è quella da cui abbiamo desunto più idee e materiali per la redazione del volume (va citato, in particolare, www.osservatoriodonna.igol.it , che abbiamo utilizzato per il cap. 3). • Siti a carattere generale www.osservatoriodonna.igol.it www.opportunitalia.it/imprenditorialita/Default.asp www.miaecoomia.com/lavoro_pensioni/educational/diventare_imprenditori/imprenditoria- lita_giovanile/index.asp www.tlt.rhamedia.com/Orientopolis/pag/sez4_index.htm www.terziariacat.ud.it/nuova_imprenditorialita.htm guide.supereva.it/imprenditoria_giovanile/ • Siti relative a leggi che promuovono la imprenditorialità www.miranet.it/finanziamenti/aggiornamenti/ imprenditoria.html www.europalavoro.it www.degrazia.it/infodirnet/consigli/messages/.html www.starnet.it/informagiovani/imprenditorialita.htm www.ss.camcom.it/a_promozionali/imp_femminile.htm www.mo.camcom.it/guida/assorien.htm www.ciaoumbria.it/allosportello/imprese/ imprenditorialitagiovanile.asp www.beneventocity.com/economia/leggi_finanziamento/ legge215.asp www.salernocity.com/economia/legge215.asp www.ilconsulentetelematico.com/quesiti/domanda193.htm www.abconsul.it www.comune.catania.it/servizi/tfoweb/LEGGI.htm nausicaa.neomedia.it/lavoro/novita/right.html • Siti che indicano nuovi bacini di opportunità per l’imprenditorialità www.regione.piemonte.it/lavoro/sviluppo/ www.regione.emilia-romagna.it/studiturismo/3-79.htm www.kila.it/application.asp www.agronomiforestali.it/convegni/ismea/impr_agr.h www.oigamipaf.it/ 250 www.provincia.bergamo.it/cd_01/ Lavoro/Ricerca_ISMU/CAP3.htm www.politicheagricole.it/impresa/oiga/home.asp www.orizzontemontagna.com/lavoro/vade_7.htm www.edubiz.it/news/archivionews/ archivio_primopiano.html www.lucanianet.it/lavoro/ • Siti che trattano il problema della imprenditorialità giovanile all’interno degli Informagiovani www.comune.perugia.it/informagiovani/ imprenditorialita/imp.html www.provincia.ap.it/formazionelavoro/ 3.FormazioneLavoro/giovani.asp www.provincia.isernia.it/ig.htm www.voli.bs.it/informagiovani/lavoro/lavoro_32.htm - 8k www.emiliaromagna.cia.it/sportellogiovani/ sportello/sg12.html www.comune.ivrea.to.it/italiano/informagiovani/ cennigenerali.htm www.diocesi.milano.it/1998/paladini/ imprenditorialità.htm www.comune.sp.it/comune/sportello_imprese/Sportello_Unico/ imprenditoria_giov_agri- cola.htm www.eurocomind.it/html/ Imprenditorialit%E0%20giovanile.htm www.spazio-lavoro.it/pdf.vita09/da16a23.pdf [ www.cisl.it/giovani/imprenditoria.giovanile.htm - www.comune.torino.it/lavoro/dossier/ imprenditoria/legge135.htm www.observaonline.net/IT/iglucana.htm www.comune.sassari.it/lavoro/territorio/ normativa_utile/normativa.htm www.piazzare- gione.it/molise/rubriche/vita%20regionale/ lavoro/inventarsiILlavoro.htm www.flashgiovani.it/lavoro/lgiovani.htm www.spazio-lavoro.it/pdf.vita09/da16a23.pdf www.cislsicilia.it/pagine/CENS.htm www.provincia.modena.it/servizi/attiveco/ • Siti che presentano studi sulla imprenditorialità europa.eu.int/comm/enterprise/entrepreneurship/ green_paper/green_paper_final_it.pdf www.elpendu.it/lavoroprofessioni/itstories www.caritasroma.it/immigrazione/Dossier2003 www.mediamente.rai.it/home/bibliote/ intervis/a/accanti.htm www.crenos.it/crenos/PDF/98-5.pdf www.csimprese-ca.net/eic/news/2003-0131.html donnalavoro.ticonuno.it/informaz/21impfem.htm www.dss.unipi.it/master-europeo/didattica/ 2003-05-dispense/05-30-milani.ppt coeur.por- tali.net/article/articleview/128/1/6/ sole.ilsole24ore.com/nordest/documenti/ Imprenditorialita.rtf www.pelope.it • Siti che trattano della formazione all’imprenditorialità www.unipi.it/studenti/bacheca/archivio/ 2002/master6.htm_cvt.htm www.econ.unian.it/master/elenchi/imi.pdf www.entilocaliweb.it/convegni/ masterEuro.asp?sezione=progetto www.tsm.tn.it/azioni/isad1.html 251 INDICE GENERALE SOMMARIO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 PRESENTAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 INTRODUZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 Prima parte: L’IMPRENDITORIALITÀ 1. L’imprenditorialità nel nostro Paese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 2. Come nascono le imprese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 3. Imprenditorialità e lavoro autonomo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16 Scheda n. 1: Il libro verde sull ’imprenditorialità in Europa . . . . . . . . . . . 19 Scheda n. 2: Gli incubatori e i venture capitalist . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21 Laboratorio C: 1ª prova di verifica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22 Seconda parte: “QUALITÀ” DELL’IMPRENDITORE 1. La vocazione “imprenditoriale” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 Laboratorio A Iª esercitazione: Che cosa ti impedisce di avere una tua attività? . . . . . . 29 IIª esercitazione: Mi piace... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30 Laboratorio B Iª esercitazione: Come ti giudichi? Come ti vedono gli altri? . . . . . . . . . . . 31 2. La creatività . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 Laboratorio A IIIª esercitazione: Sono curioso, fantasioso, tenace... . . . . . . . . . . . . . . . . . 36 Laboratorio B IIª esercitazione: Per me le novità, i cambiamenti, i rischi… . . . . . . . . . . . 37 IIIª esercitazione: L ’innovazione nel tuo gruppo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39 3. Potenziare la creatività . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40 Laboratorio C - 2ª prova di verifica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40 Iª esercitazione: Tecniche di potenziamento della capacità immaginativa . 43 a. Il tuo luogo magico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43 b. Rilassamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43 252 c. Le idee che nascono dal gioco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44 d. Il teatro della mente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44 e. I sogni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45 IIª esercitazione: Tecniche per aiutare ad uscire dagli schemi e ridefinire i problemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46 a. Fuori dagli schemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46 b. Ridefinire i problemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47 b.1. I problemi hanno molte facce (Esempio) . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47 b.2. I cappelli (Esempio) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50 b.3. Interlogo (Esempio) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52 Terza parte: L’IDEAZIONE e IL BUSINESS PLAN 1. L’idea imprenditoriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57 Laboratorio A Iª esercitazione: Come guadagnare un po’ di soldi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60 IIª esercitazione: Mi serve per... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61 IIIª esercitazione: Trovare soluzione con il brainstorming . . . . . . . . . . . . . 62 IVª esercitazione: Fabbricare, commerciare, offrire servizi . . . . . . . . . . . . 64 Laboratorio B Iª esercitazione: Scopri i bisogni di chi ti sta vicino . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66 IIª esercitazione: Alla ricerca di un’idea: la ricerca delle fonti d ’infor- mazioni (1ª tappa) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67 Allegato A: Elenco di attività professionali relative ad alcune aree operative . . . 68 Allegato B: Elenco di attività professionali relative alla new economy . . . . . . . . 70 Allegato C: Elenco di attività professionali in “espansione” . . . . . . . . . . . . . . . . . 73 Allegato D: Esempi di organizzazione delle informazioni relative alle fonti . . . . 80 Scheda n. 3: Cercare on line . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83 2. Il business plan . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84 2.1. Definizione e finalità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84 2.2. La struttura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84 2.3. La forma del business . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87 253 Quarta parte: IL PROGETTO D’IMPRESA 1. Specificazione dell’idea di business . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93 2. Analisi di mercato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95 3. Piano marketing . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97 3.1. Definizione della quota di mercato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97 3.2. Studio della concorrenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 100 Scheda n. 4: Gli strumenti di indagine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105 Laboratorio C: 3ª prova di verifica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 106 Laboratorio A Iª esercitazione: Analisi del mercato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 108 IIª esercitazione: Prodotto, mercato, concorrenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 109 IIIª esercitazione: I concorrenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 110 Laboratorio B Iª esercitazione: Alla ricerca di un’idea: la sistematizzazione delle infor- mazioni (2ª tappa) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112 Allegato E: Esempi di sistematizzazione delle informazioni . . . . . . . . . . . . . . . . 115 Esempio n. 1: servizi per l ’infanzia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115 Esempio n. 2: Bed & breakfast . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 124 IIª esercitazione: La fisionomia del cliente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 127 IIIª esercitazione: Il mercato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 129 IVª esercitazione: Segmentazione del mercato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 131 Esempio n. 1: un ’agenzia di viaggi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 132 Esempio n. 2: un ristorante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133 Vª esercitazione: I concorrenti (1) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 136 Esempio n. 3: la cura dei giardini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 137 VIª esercitazione: I concorrenti (2) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 138 Esempio n. 4: un ristorante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 138 3.3. Definizione delle strategie di ingresso e di competizione . . . . . . . . . . 139 Scheda n. 5: I media . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 142 Laboratorio A Iª esercitazione: definizione delle strategie d’ingresso e di competizione . . 145 254 Laboratorio B Iª esercitazione: definizione delle strategie d’ingresso e di competizione . . 147 Laboratorio C: 4ª prova di verifica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 151 4. Piano di produzione: la messa a punto della struttura aziendale . . . . . 152 Scheda n 6: l ’organizzazione aziendale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 154 Laboratorio A Iª esercitazione: Piano di produzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 157 Laboratorio B Iª esercitazione: Piano di produzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 158 5. Piano del personale: la definizione dell’organigramma . . . . . . . . . . . . . 161 Laboratorio A Iª esercitazione: Piano del personale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 163 Laboratorio B Iª esercitazione: Piano del personale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 164 Quinta parte: FORMA GIURIDICA E COSTITUZIONE DI SOCIETÀ 0. Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 167 1. Impresa, azienda o ditta? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 167 2. Tipologie d’imprese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 168 2.1. Le imprese individuali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 169 2.2. Le imprese collettive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 170 2.2.A. Le società di persone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 171 2.2.B. Le società di capitali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 173 2.2.C. Le Cooperative . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 177 3. Quale forma giuridica scegliere? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 183 4. Quali sono le procedure amministrative per costituire una società? . . 189 4.1. Società di persone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 189 4.2. Società di capitali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 191 4.3. Cooperative . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 193 5. Pianificazione finanziaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 195 Laboratorio C: 5ª prova di verifica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 195 255 Laboratorio A Iª esercitazione: Quale forma giuridica? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 201 Laboratorio B Iª esercitazione: Quale forma giuridica? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 202 Sesta parte: QUANTIFICAZIONE E REPERIMENTO RISORSE FINANZIARIE 1. La pianificazione finanziaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 205 1.1. Il conto economico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 205 1.2. Lo stato patrimoniale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 206 2. Il problema dei finanziamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 208 3. Le fonti di finanziamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 210 3.1. Gli istituti di credito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 210 3.2. Gli istituti di leasing . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 211 3.3. Le società di factoring . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 212 3.4. Il franchising . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 212 3.5. Le agevolazioni pubbliche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 213 4. I sostegni all’autoimpiego nell’ambito di misure nazionali di politica del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 214 Scheda n. 7: Tutto quello che si deve sapere prima di mettere piede in banca . . . . . . . . 218 Laboratorio C: 6ª prova di verifica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 220 Laboratorio B Iª esercitazione: Cerca la legge giusta... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 224 IIª esercitazione: Conto economico e stato patrimoniale . . . . . . . . . . . . . . 225 GLOSSARIO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 227 SCHEDE – A LLEGATI – L ABORATORI DI VERIFICA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 247 SITOGRAFIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 249 INDICE GENERALE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 251

Guida per l'accompagnamento al lavoro dipendente

Autore: 
Enrica Marsilii
Categoria pubblicazione: 
Progetti
Anno: 
2003
Numero pagine: 
232
Guida per l’accompagnamento al lavoro dipendente A cura di Enrica MARSILII Tip.: Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma Tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - E-mail: tipolito@pcn.net Finito di stampare: Giugno 2003 SOMMARIO PRESENTAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 INTRODUZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 1. ELEMENTI DI SCENARIO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 2. L’ACCESSO AL MERCATO DEL LAVORO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31 3. I VARI TIPI DI CONTRATTO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61 4. MODI E TEMPI DELLA RICERCA DI LAVORO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93 5. ALCUNE OPPORTUNITÀ DI STUDIO E DI LAVORO . . . . . . . . . . . . . . . . . . 137 6. ALLEGATI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 181 INDICE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 229 5 PRESENTAZIONE Una delle indicazioni qualificanti l’Accordo Stato-Regioni del 2 marzo 2000 per l’attuazione delle disposizioni in materia di obbligo di frequenza delle attività formative (art. 68 della legge 17 maggio 1999, n. 144, paragrafo 1 “Assolvimento dell’obbligo formativo nella formazione professionale”) è stata l’introduzione di misure di accompagnamento al lavoro: “I percorsi formativi devono assicurare misure di accompagnamento finalizzate a favorire l’inserimento professionale in relazione al contesto lavorativo locale” (paragrafo 1, comma 6). Alla luce dell’Accordo, preceduto dall’approvazione della legge 144 del 1999, il CNOS-FAP e il CIOFS-FP hanno elaborato un progetto per l’obbligo formativo contenente delle linee guida di carattere generale, delle proposte di acquisizioni per l’area comune e per le competenze professionali, delle indicazioni per l’accredita- mento e la qualità del servizio, dei supporti alle misure di personalizzazione quali l’accoglienza, l’orientamento e l’accompagnamento al lavoro. Consapevoli che l’accompagnamento all’inserimento lavorativo, inteso come un processo d’acquisizione di competenze metodologiche per attivare strategie d’entrata nel mondo del lavoro come lavoratore dipendente o lavoratore autonomo, è ancora oggi una realtà più “intuita” che “compiutamente definita”, il CNOS-FAP ha chiesto alla dott.ssa Enrica Marsilii dell’ISFOL di progettare un percorso di accompagnamento al lavoro dipendente da mettere a disposizione sia del formatore che dell’allievo per lo svolgimento di questo difficile compito. L’accompagnamento al lavoro, insieme all’azione di tutoring per l’inserimento lavorativo, rappresentano, infatti, a livello culturale e di prassi, un’acquisizione recente. Acquisizione inoltre che non si comprende in tutta la sua portata se non si mette in relazione con il quadro evolutivo degli ultimi anni della formazione professionale, che è stata inserita in modo più determinato in una “integrazione sistemica” tra le politiche finalizzate allo sviluppo delle risorse umane, vale a dire l’orientamento, la formazione e le politiche attive del lavoro. Affidiamo ai formatori incaricati il compito di sperimentare la presente ipotesi di lavoro che si configura, al momento, come un itinerario idealtipico; la sperimen- tazione del progetto permetterà di raccogliere tutte le elaborazioni procedurali e gli strumenti che, debitamente organizzati, creeranno le condizioni per scrivere un manuale o guida operativa validata. 7 Chi sono Significa prendere coscienza delle proprie: • attitudini personali, • caratteristiche umane, • affinità con tipi di impiego ed individuare • punti deboli • punti forti. Che cosa so fare Significa riflettere su: • le proprie reali capacità • le esperienze maturate nel corso degli anni L’importante è stabilire che cosa si sa fare e confrontarsi con le possibilità offerte dal mercato del lavoro. Occorre valutare le eventuali lacune e come superarle. Cosa desidero fare Significa individuare il tipo di lavoro che si desidera effettivamente fare. Non si tratta di stabilire con precisione la qualifica, ma il settore e le caratteristiche che dovrebbe avere: • livello di autonomia, • responsabilità, • tipo di ambiente, • orario di lavoro, • sede operativa, • prospettive di carriera. INTRODUZIONE Oggi non è sufficiente cercare lavoro, è invece estremamente importante saperlo cercare con metodo e sistematicità. La ricerca di un impiego è, infatti, un percorso difficile in cui il soggetto dovrà impegnarsi con fatica e dedizione e gran dispendio delle proprie energie di tempo e risorse personali. Al fine quindi di ottimizzare l’impegno richiesto e di evitare il rischio di tentativi casuali e sporadici è importante: • pianificare le fasi da attraversare, • individuare le azioni da porre in essere, • predisporre gli strumenti da utilizzare. Dal momento che il buon esito della ricerca dipende essenzialmente dalla cor- rettezza delle premesse poste, è importante sottolineare che l’efficacia di un simile percorso assume significato nel momento in cui è stato chiarito l’obiettivo che si intende raggiungere e alla cui definizione si perviene solo dopo una fase di attenta autovalutazione delle risorse e delle aspirazioni personali. Primo passo in tal senso, dunque, è conoscere meglio se stessi, interrogandosi sulle proprie reali aspirazioni e inclinazioni. A tal fine, può essere utile seguire le tracce dello schema seguente, costruito intorno a tre quesiti fondamentali: ‰ Chi sono? ‰ Che cosa so fare? ‰ Che cosa desidero fare? 8 Gli elementi che scaturiscono da questa operazione di autovalutazione sono la prima fase di un processo che, passando attraverso il momento dell’individuazione delle proprie aspirazioni personali e quello della rappresentazione della professione che si intende svolgere, condurrà finalmente alla costruzione di un progetto profes- sionale, come risulta dalla rappresentazione grafica che segue: AUTOVALUTAZIONE DEFINIZIONE DELLE ASPIRAZIONI PERSONALI Reperimento e analisi delle informazioni Rappresentazione della professione PROGETTO PROFESSIONALE Motivazione Risorse personali 9 Soltanto dopo questa fase ha senso appropriarsi delle strategie per la ricerca attiva di un lavoro (analisi della domanda di lavoro esistente e autopromozione) e dei suoi strumenti (lettera di autocandidatura, inserzioni e curriculum). La presenza di un progetto professionale sarà una guida preziosa per affrontare tutte le fasi di transizione sia nella ricerca di una prima occupazione che nel passaggio ad una nuova collocazione nel mercato del lavoro. La consapevolezza delle varie fasi del percorso, infatti, permetterà di fare sempre un’analisi corretta e puntuale della situazione e di prevedere una serie di azioni e/o di eventuali correttivi per poterla gestire nel modo più appropriato. Inoltre, più che il livello di strutturazione con cui si definisce il progetto professionale, l’importante è non porsi sul mercato del lavoro con la richiesta di un “lavoro qualunque”. Tale richiesta, infatti, se ad un primo apparire potrebbe confondersi con una dichiarazione di massima disponibilità ed adattabilità alle offerte del mercato, in realtà – almeno per due aspetti – potrebbe gravemente inficiare il successo di tale ricerca. La disponibilità, infatti, ad accettare un lavoro qualunque vuol dire, dal punto di vista di colui che si pone sul mercato del lavoro, non interrogarsi sulle proprie rea- li aspirazioni e possibilità, trascurando titolo di studio, esperienze professionali pre- cedenti ed esigenze personali. Si corre, inoltre, il rischio di allungare notevolmente i tempi della ricerca e di creare, a lungo andare, un mismatching tra domanda ed offerta di lavoro. Considerando poi questo elemento da un punto di vista meramente pratico, ci si renderà facilmente conto di quale dispendio di energie richieda il reperimento delle informazioni e la gestione di una domanda di lavoro che non sia riferibile ad un solo settore ben definito e circoscritto. È evidente, quindi, l’importanza di ridurre il raggio della ricerca ad uno specifico ambito professionale. Per l’elaborazione di un progetto professionale vincente si dovrà tener conto di una serie di variabili. In particolare: - Interessi - Attitudini - Qualificazione scolastica e/o universitaria e professionale - Esperienze di lavoro - Esigenze e bisogni (livello di reddito, condizioni di contratto, aspettative lavorative, disponibilità a trasferimenti). Soltanto sulla base di tutti questi elementi il soggetto potrà individuare delle priorità che rappresenteranno il proprio progetto professionale. Lo schema che segue è una traccia esemplificativa che può essere utilizzata per la redazione del progetto professionale: 10 Traccia per la redazione del proprio progetto professionale 1. LA FIGURA PROFESSIONALE Posizione Mansioni Settori 2. DISPONIBILITÀ E CONDIZIONI PER L’INGRESSO NEL MERCATO DEL LAVORO Settore 3. MODI E TEMPI DI REALIZZAZIONE DELLA RICERCA DI LAVORO Tempo disponibile per la realizzazione e tempo previsto per la collocazione Metodi (Reperimento delle informazioni sulla domanda di lavoro esistente, autopromozione) Strumenti: curriculum, lettera di autocandidatura, inserzioni 4. ALTRI FATTORI E OPPORTUNITÀ Opportunità di studio e di lavoro in ambiti particolari: il terzo settore, in Europa, ecc. Pubblico Amministrazioni centrali (Ministeri, Università, Camere di Commercio) Enti locali (Regioni, province, comuni) Aziende municipalizzate (Ama, Atac) Forza armate Tipo di assunzione (tempo determinato, indeterminato, dipendenza, collaborazione) Orario: ful-time, part-time, turni, spezzato, flessibile, straordinari Area territoriale di preferenza (città, periferia, provincia) Retribuzione Privato Dimensioni dell’azienda: piccola, media, grande Forma giuridica: S.n.c., S.p.A., Cooperativa, ecc. Proprietà: pubblica, privata 11 Le quattro sezioni della traccia sono finalizzate ad individuare rispettivamente: a) Il tipo di lavoro di cui si è in cerca. b) Le disponibilità e le condizioni alle quali ci si intende collocare. c) I tempi e i modi di realizzazione della ricerca. d) Eventuali altri elementi che potrebbero influenzare le scelte. Scopo della presente guida è fornire le giuste chiavi di lettura e le indicazioni necessarie per una compilazione ragionata di ciascuna sezione. Premesso che si tralascerà la trattazione e ogni ulteriore commento a proposito della prima sezione finalizzata ad individuare “il tipo di lavoro cercato”, per l’ovvio motivo che questo implica un processo di scelta autonomo che varia da soggetto a soggetto, la nostra attenzione si concentrerà soprattutto sulla seconda, la terza e la quarta sezione. Relativamente alla seconda, volta ad individuare “disponibilità e condizioni” alle quali ci si intende collocare nel mercato del lavoro, si tenterà preliminarmente di delineare un quadro il più possibile esaustivo della struttura del mercato del lavoro e dei principali soggetti che vi operano; successivamente si passerà a fornire tutte quelle informazioni utili per indirizzare la propria ricerca di lavoro. Tratteremo del lavoro dipendente, sia nel settore pubblico che in quello privato, avendo cura di illustrarne requisiti e modalità di accesso. A completamento di questa prima parte si offrirà un panorama dei principali tipi di contratto di assunzione, dai più tradizionali alle formule maggiormente innovative (telelavoro, Job sharing), non tralasciando inoltre di accennare alla formazione in alternanza (apprendistato, contratto di formazione-lavoro, stage e tirocini formativi). Nella terza sezione, intitolata “Modi e tempi della ricerca di lavoro”, l’attenzione non è più rivolta al soggetto che interroga sé stesso sulle scelte da fare, bensì si sposta sul mercato del lavoro e sui modi e le tecniche più efficaci per interagire con esso. Si illustreranno qui due possibili percorsi per la ricerca di lavoro: - quello del reperimento delle informazioni sulla domanda di lavoro esistente; - quello dell’auto promozione. Discorso trasversale ad entrambe le strategie è quello degli strumenti da utiliz- zare (curriculum vitae, lettera di autocandidatura, inserzioni). Infine si forniranno utili consigli per affrontare il colloquio di lavoro. Nella quarta sezione, intitolata “Altri fattori e opportunità” si offre una pano- ramica su nuove opportunità recenti aggregate in due aree, quella del terzo settore e quella dello studio e del lavoro in Europa. 13 1. ELEMENTI DI SCENARIO 1.1. La struttura del mercato del lavoro: domanda e offerta Una prima e generica definizione, il mercato del lavoro è il luogo in cui entrano in contatto offerta e domanda di lavoro anche se parziale, mette in luce l’esistenza delle due categorie che ne sono le princi- pali componenti: ¾ Offerta di lavoro. È rappresentata dall’insieme delle forze di lavoro, ossia da quella parte della popolazione che lavora (occupati) o che attivamente è alla ricerca di occupazione (disoccupati); tra questi ultimi, quanti sono in cerca di prima occupazione sono definiti inoccupati. Quindi, a differenza di quanto si intende comunemente, le forze di lavoro non domandano lavoro, bensì offrono la proprie intelligenza, forza e capacità sul mercato del lavoro. ¾ Domanda di lavoro. È data dall’insieme delle richieste di lavoro avanzate sul mercato dalle imprese e dalla Pubblica Amministrazione. Pertanto, anche in questo caso, va ribaltato il concetto comune: i datori di lavoro (pubblici e privati) non offrono posti di lavoro, bensì domandano alle forze di lavoro di prestare il loro contributo in cambio di una retribuzione. Quanto detto risponde alla concezione del lavoro come attività di pubblico do- minio, domandata, definita, riconosciuta come utile e svolta dalle forze di lavoro che cedono una parte del proprio tempo in cambio di un compenso; disoccupato, pertanto, è chi non riesce a trovare un acquirente in un mercato in cui l’offerta è in eccedenza rispetto alla domanda. Nei Paesi economicamente avanzati il mercato del lavoro è in realtà più com- plesso rispetto alla descrizione che si è fin qui svolta e si possono distinguere, per gli occupati, almeno cinque diverse articolazioni di mercato che convivono tra loro in un’unica realtà più ampia: - occupati in organizzazioni di proprietà familiare (commercio, finanza, agri- coltura); - occupati in burocrazie pubbliche e private; - occupati in piccole e medie imprese sindacalizzate e organizzate soprattutto su base di mestiere; 14 - occupati come lavoratori manuali in grandi aziende industriali; - occupati in piccole imprese non sindacalizzate e lavoratori autonomi non organizzati (braccianti, impiegati di negozi, camerieri, etc.). Questi cinque segmenti del complessivo mercato del lavoro sono assai differenti per i livelli di formazione professionale richiesti, per pratiche di abilitazione, livelli di stabilità, sicurezza e norme di tutela in genere. Il mercato del lavoro italiano presenta forti squilibri al suo interno, il più evidente dei quali è la forte disparità dei livelli occupazionali nelle differenti aree geografiche: infatti, secondo i dati Istat del 2002, il tasso di disoccupazione è così distribuita: P 2,7% al Nord P 5,1% al Centro P 14,9% al Sud. Ulteriori elementi di criticità della situazione occupazionale in Italia sono rap- presentati dal maggior grado di disoccupazione femminile e giovanile. A questo punto si può tentare una più esaustiva definizione di mercato del lavoro: il mercato del lavoro è il contenitore in cui • si offre e domanda lavoro; • si negoziano le condizioni in base alle quali i lavoratori prestano il proprio contributo, definendo retribuzioni, meccanismi previdenziali e di tutela e il tempo che le forze di lavoro devono cedere per espletare le proprie attività lavorative; • si stabiliscono le regole che consentono l’entrata, la permanenza o l’uscita dal mercato stesso. Per quanto riguarda i settori economici, in Italia, la loro classificazione ufficiale è curata dall’Istat, l’Istituto Nazionale di Statistica ed è così strutturata: A Agricoltura, Caccia e Silvicoltura B Pesca, Piscicoltura e Servizi connessi C Estrazione di minerali D Attività manifatturiere E Produzione e distribuzione di energia elettrica, gas e acqua F Costruzioni G Commercio all’ingrosso e al dettaglio; Riparazione di autoveicoli, motocicli e di beni personali e per la casa H Alberghi e ristoranti 15 I Trasporti, Magazzinaggio e Comunicazioni J Intermediazione monetaria e finanziaria K Attività immobiliari, Noleggio, Informatica, Ricerca L Pubblica amministrazione e Difesa; Assicurazione Sociale Obbligatoria M Istruzione N Sanità e altri Servizi sociali O Altri servizi pubblici, sociali e personali P Servizi domestici presso famiglie e convivenze Q Organizzazioni e organismi extraterritoriali Secondo i dati ufficiali relativi al 2002, il 63,2% degli occupati appartengono a settori connessi a vario titolo alla produzione/gestione/erogazione di servizi, il 31,8% all’industria e il restante 5% alle attività agricole. 1.2. I soggetti del mercato del lavoro 1.2.1. I servizi per l’impiego Attorno al termine servizi per l’impiego regna non di rado una certa confusione, perché si tende a identificare dietro la stessa denominazione sia la funzione/servizio operata, sia il soggetto/ente responsabile che fornisce tale servizio. Non solo: le forti differenze che esistono localmente, frutto di scelte progettuali molto diverse regione per regione (e provincia per provincia), rendono di fatto impossibile delineare una descrizione sempre e comunque valida su tutto il territorio nazionale. La definizione più accreditata dei servizi per l’impiego è che questi rappresen- tano le azioni, le prestazioni e le attività erogate dagli organi compresi nel “sistema regionale per l’impiego” in cui un ruolo fondamentale è riconosciuto alle province, che provvedono a gestire e a erogare i servizi tramite strutture denominate Centri per l’impiego, diffusi capillarmente su tutto il territorio nazionale. Se, quindi, è poco semplice una descrizione di insieme, si può passare a sinte- tizzare quali funzioni sono da considerare irrinunciabili per i servizi per l’impiego: a) Accoglienza e informazione orientativa È un primo vaglio della domanda e del bisogno del cliente (lavoratore/impresa): si fornisce una prima informazione di carattere generale, si indirizza la persona verso uno o più servizi specifici. Azioni: P fornitura di servizi strutturati di informazione e di autoinformazione; P raccolta di dati anagrafici e verifica della posizione amministrativa; P identificazione delle esigenze dell’utente; P avviamento dell’utente verso le altre funzioni; 16 b) Gestione delle procedure amministrative È la gestione degli atti obbligatori in base alla normativa sia nazionale che regionale. Azioni: P integrazione dei dati anagrafici del lavoratore tramite la scheda professionale (compresa l’appartenenza a categorie speciali ai sensi della normativa statale e regionale); P integrazione della scheda professionale; P gestione movimenti dei lavoratori (iscrizioni, avviamenti, cancellazioni, ecc...); P gestione di liste, elenchi e graduatorie (quando previste dalla normativa); P gestione della banca dati delle imprese interessate; c) Orientamento e consulenza È l’effettuazione di attività di natura consulenziale sia alle persone, per un loro orientamento consapevole verso i percorsi di formazione e di inserimento al lavoro, sia alle aziende. Azioni: P colloqui individuali di orientamento; P orientamento sia formativo che finalizzato all’inserimento al lavoro; P individuazione di aspettative, preferenze e fabbisogni degli utenti; P individuazione e proposta di una strategia di inserimento; P preselezioni degli utenti verso le opportunità che le politiche, le misure ed i progetti per il lavoro possono offrire e promozione tirocini formativi e di orientamento al lavoro; P identificazione di capacità, attitudini, professionalità e competenze dell’utente; P erogazione di servizi mirati di orientamento per disabili e categorie svantaggiate; d) Promozione di segmenti del mercato del lavoro e sostegno delle “fasce deboli” È l’attività finalizzata ad evidenziare i bisogni delle persone e delle aziende per far emergere quelle variabili relative alla capacità lavorativa del soggetto, valorizzando in tal modo le risorse spendibili. Azioni: P raccolta di informazioni utili alla gestione mirata della lista di collocamento obbligatorio; P inserimento mirato dei disabili; P servizi mirati di orientamento per disabili e categorie svantaggiate; P attività di sostegno ai disoccupati di lunga durata; P inserimento lavorativo degli stranieri; P ricollocamento guidato dei lavoratori cassa-integrati o in mobilità dalle gran- di imprese; P promozione dell’inserimento occupazionale dei post-cinquantenni; 17 e) Incontro domanda/offerta Si tratta della raccolta e della sistematizzazione delle informazioni sui soggetti che richiedono un impiego o l’accesso ad una misura di inserimento lavorativo: si raccolgono e si sistematizzano le proposte di impiego delle imprese, nonché la loro offerta di opportunità di pre-inserimento (tirocini, piani di inserimento, ecc...). Azioni: P richiamo ed integrazione di informazioni sui lavoratori, sulla base della scheda professionale contenente tra l’altro: - profilo professionale; - storia lavorativa e percorsi formativi; - tipo di impiego ricercato; - disponibilità (orari, mobilità geografica, ecc...); P raccolta delle richieste delle imprese (proposte di impiego o di altri tipi di rapporto del genere workexperience): - profili professionali ricercati; - competenze ed abilità specifiche; - condizioni offerte; P attività connesse all’incontro domanda/offerta e preselezione a livello locale, nazionale ed europeo. 1.2.2. L’agenzia del lavoro L’agenzia rappresenta un momento importante del processo di riforma del governo del mercato del lavoro, poiché ha il compito di promuovere e realizzare, come organo tecnico-progettuale, i provvedimenti previsti dal piano di politica del lavoro. Pertanto l’agenzia si affianca alla normale gestione del collocamento svolta dagli uffici del lavoro. Questi sono i compiti, di strategica importanza, di pertinenza dell’agenzia del lavoro: • analisi dello stato del mercato del lavoro a livello di pertinenza e pubblicazione dei dati relativi; • promozione e incentivazione dell’incontro tra offerta e domanda di lavoro; • attività di orientamento alla scelta lavorativa; • innalzamento della complessiva professionalità delle forze di lavoro; • sostegno alla diffusione di nuove attività di lavoro autonomo e di imprese di piccole dimensioni; • facilitazioni nell’inserimento lavorativo di soggetti appartenenti a fasce deboli; • incentivazione dell’assunzione di disoccupati di lungo periodo, licenziati e individui in condizioni di marginalità sociale; • creazione di opportunità lavorative in attività di utilità sociale; • sostegno alla creazione/implementazione di azioni positive nei confronti del- l’occupazione femminile; 18 • sostegno alle azioni volte a favorire l’occupazione regolare dei lavoratori extracomunitari. 1.2.3. Gli Istituti previdenziali e assistenziali I.N.P.S. L’Istituto Nazionale Previdenza Sociale eroga i seguenti servizi: Prestazioni: • liquidazione e pagamento pensioni di vecchiaia, anzianità, invalidità, inabilità ai superstiti sociali in convenzione internazionale per lavoro svolto all’estero; • liquidazione e pagamento ricostituzioni e supplementi per contributi non com- presi nella prima liquidazione, per variazioni nella composizione familiare o nei redditi, per contributi versati dopo la prima liquidazione, ecc.; • pagamento di assegno per il nucleo familiare e assegni familiari, indennità di disoccupazione e di mobilità, cassa integrazione guadagni e integrazioni salariali, indennità di malattia e maternità, indennità economiche per malattie tubercolari, trattamento di fine rapporto, assegno per congedo matrimoniale, trattamento di richiamo alle armi; • visite mediche per l’accertamento dell’inabilità e dell’invalidità; • visite mediche per cure termali; • emissione dei modelli di certificazione fiscale. Contributi: • iscrizione delle aziende; • apertura del conto assicurativo dei lavoratori dipendenti ed autonomi; • denuncia del rapporto di lavoro domestico; • rilascio dell’estratto conto assicurativo; • autorizzazione ai versamenti volontari; • ricongiunzione e riscatti di periodi assicurativi; • accreditamento dei contributi figurativi. I.N.A.I.L. L’I.N.AI.L.,Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro e le malattie professionali, gestisce l’assicurazione obbligatoria contro i danni fisici ed economici che il lavoratore subisce a seguito di infortuni e malattie causati dal- l’attività lavorativa. Tra i soggetti interessati alla assicurazione INAIL figurano in primo luogo i lavoratori infortunati o che soffrono di malattie professionali e i loro superstiti, quali beneficiari delle prestazioni previste dal T.U. n. 1124/1965. In secondo luogo si pongono i datori di lavoro, intendendosi per tali coloro nei confronti dei quali ricorre l’obbligo della assicurazione infortuni. Il lavoratore, per essere tutelato dalla assicurazione INAIL, deve possedere i seguenti requisiti: 19 • essere adibito (in modo permanente o avventizio) ad una delle lavorazioni che la legge definisce rischiose; • prestare opera manuale (o anche solo attività intellettuale in ambiente esposto a rischio); • percepire una retribuzione in qualunque forma. Hanno diritto all’assicurazione: • tutti i lavoratori dipendenti • i lavoratori autonomi • i lavoratori stranieri. Ai fini dell’obbligo assicurativo INAIL sono considerati Datori di lavoro le persone fisiche o giuridiche, gli Enti privati e pubblici, compreso lo Stato e gli Enti locali che occupano sia personale dipendente che gli artigiani addetti a macchine, apparecchi, impianti o che comunque operano, in ambienti organizzati, per opere e servizi alle lavorazioni che la legge individua come rischiose. 1.2.4. Il sindacato La difesa dei diritti e degli interessi dei lavoratori è affidata ai sindacati, orga- nizzazioni costituite a tal scopo dai lavoratori stessi e la loro libera attività nei luoghi di lavoro è sancita dalla l. 300/70, chiamata anche Statuto dei lavoratori. I sindacati maggiormente rappresentativi sono quelli cosiddetti confederali: CGIL (Confederazione Generale Italiana del Lavoro); CISL (Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori); UIL (Unione Italiana del Lavoro). Sono organizzati in Federazioni di categoria che ricalcano l’articolazione setto- riale dell’Istat. L’iscrizione a un’organizzazione sindacale è una scelta libera, in quanto non vi è obbligo e, dal canto loro, le organizzazioni sindacali tutelano in uguale misura sia i propri iscritti, sia quanti non hanno aderito a nessun sindacato. Nel corso del tempo il movimento sindacale dei lavoratori ha fornito un con- tributo sempre più importante all’elaborazione e alla formazione di leggi sul lavoro oltre che ai contratti collettivi di lavoro. I sindacati, infine, mettono a disposizione dei lavoratori un servizio, il patronato, che è specializzato per i problemi di previdenza e della sicurezza sociale. 1.3. L’azienda 1.3.1. Classificazioni giuridiche La prima grande partizione delle forme giuridiche che può assumere un’azienda viene dal Codice Civile ed è fra quante hanno per oggetto un’attività commerciale e quante, invece, hanno per oggetto un’attività diversa da quella commerciale. 20 In quest’ultimo gruppo si ha la “società semplice”, per la cui costituzione non sono richieste forme particolari e che, infatti, è il tipo di società più elementare. Ha anch’essa uno scopo lucrativo, anche se non attraverso l’esercizio di una attività commerciale in senso proprio e normalmente viene istituita per godere i benefici derivanti dal possesso di beni immobili, anche se è una formula diffusa nel settore agricolo e attività a questo assimilabili. Le società commerciali, invece, sono a loro volta suddivisibili in due grandi categorie: - Le società di persone - Le società di capitali. 1.3.1.1. Le società di persone Sono così definite perché è data rilevanza alla persona dei soci che le compon- gono e non ai capitali da essi versati. Qualora la società non fosse in grado di adempiere a delle obbligazioni, i singoli soci (a eccezione dei soci accomandanti delle S.a.s.) sono chiamati a risponderne con i propri patrimoni, secondo il principio della responsabilità illimitata; inoltre, ciascun socio potrebbe dover rispondere anche della quota di altri soci (principio della responsabilità solidale). Per tali motivi le società di persone sono usualmente costituite fra poche persone in rapporto di reciproca fiducia. La costituzione di una società di persone deve avvenire per atto pubblico o con una scrittura privata autenticata e, qualora sia richiesto per lo svolgimento delle attività, i soci devono iscriversi ad un albo/registro professionale. A parte la già citata società semplice (che, ricordiamolo, non è una società commerciale), le società di persone indicate dal Codice Civile sono: a) La società in nome collettivo (S.n.c.), b) La società in accomandita semplice (S.a.s.). a) Società in nome collettivo I soci che compongono una S.n.c., nel caso il capitale della società non sia in grado di far fronte a inadempienze, sono chiamati a rispondere interamente, ossia non in misura proporzionale alla propria quota di partecipazione e personalmente, con tutto il proprio patrimonio. Per tutelare la consistenza del patrimonio sociale, ci sono alcuni vincoli quali: - il creditore particolare del singolo socio non può espropriare la quota sociale; tuttavia egli è legittimato a rivalersi sugli utili derivanti dalla suddetta quota di partecipazione; - tutti devono sottostare a delle limitazioni nella distribuzione degli utili: a) in particolari circostanze si possono ripartire somme fra soci solo per utili realmente conseguiti; b) se si verifica una perdita del capitale sociale, non si possono dividere utili tra soci finché il capitale non è stato reintegrato o ridotto in misura adeguata; 21 - qualora si decidesse di ridurre il capitale sociale, si deve tenere conto delle necessità di tutelare i creditori sociali. Di solito, tanto la rappresentanza legale che l’amministrazione di una S.n.c. sono in carico a tutti i soci; peraltro, i soci stessi possono convenire nel porre delle limi- tazioni di carattere: - oggettivo, ossia prevedendo il consenso congiunto per alcuni atti; - soggettivo, ossia delegando uno o alcuni soci. Infine, le S.n.c., nella loro denominazione, devono riportare il nome di almeno uno dei soci e l’indicazione del rapporto sociale. b) Società in accomandita semplice È composta, per la sua caratteristica peculiare, da due tipi di soci: - accomandatari, che in maniera del tutto identica ai soci delle S.n.c. rispondono solidamente e illimitatamente delle obbligazioni sociali; - accomandanti, che rispondono limitatamente alla quota loro conferita (unico caso per quanto riguarda le società di persone). Le S.a.s. possono essere amministrate unicamente da soci accomandatari. Se un socio accomandante compie atti amministrativi, diviene automaticamente responsabile in maniera solidale e illimitata (come i soci accomandatari) nei confronti di terzi. Lo stesso accade nel caso in cui un socio accomandante concluda singoli affari per conto della società; una speciale delega, però, può consentirgli di non incorrere nella responsabilità illimitata e solidale. La denominazione sociale deve includere il nome di almeno un socio accoman- datario e, ovviamente, l’indicazione del tipo di società. 1.3.1.2. Le società di capitali A differenza di quanto previsto per le società di persone, i soci delle società di capitali rispondono alle obbligazioni sociali esclusivamente con la quota di capitale da essi sottoscritta, secondo il principio della responsabilità limitata (con l’eccezione dei soci accomandatari delle società in accomandita per azioni). Quindi, il principio che regola la responsabilità nelle società di capitali è che sono queste (non i soci) a rispondere delle obbligazioni assunte, attraverso il patrimonio sociale. La loro costituzione avviene necessariamente attraverso un atto pubblico. Il Codice Civile prevede tre società di capitali: a) Società per azioni (S.p.A.); b) Società in accomandita per azioni (S.a.p.a.); c) Società a responsabilità limitata (S.r.l.). a) Società per azioni Il capitale sociale minimo per la costituzione di una S.p.A. è di centomila euro e l’atto costitutivo va redatto ad opera del notaio e poi iscritto nel registro delle im- 22 prese, previo controllo del Tribunale. Con questa procedura la società acquista una personalità giuridica. Le S.p.A. operano mediante i propri organi formati da persone fisiche e sin dal- l’inizio deve essere in carica un organo che controlli l’operato degli amministratori: il Collegio Sindacale. Eletto dall’assemblea, è l’organo di controllo della società. Il Collegio controlla se la contabilità è tenuta in modo regolare e se la legge e quanto previsto dall’atto costitutivo sono debitamente osservati. Questo organismo è retto da un Presidente che deve essere iscritto all’Albo dei Revisori Contabili. La direzione del lavoro degli amministratori spetta all’Assemblea dei soci, organo che viene convocato tramite avviso su Gazzetta Ufficiale e a cui spetta l’approvazione della relazione dell’organo di amministrazione e del bilancio annuale. Si riunisce una volta all’anno (assemblea ordinaria) per approvare il bilancio, nomi- nare gli amministratori e i sindaci e per prendere ogni altra decisione prevista nell’atto costitutivo. La società è diretta dagli amministratori, rispettando le decisioni prese dall’as- semblea, che è l’organo che li elegge. Costoro costituiscono il Consiglio d’ammini- strazione. La quota di partecipazione di ciascun socio è rappresentata da azioni, per cui è con queste che ogni socio risponde delle obbligazioni. Questo tipo di società è particolarmente adatto per la costituzione di grandi imprese. b) Società in accomandita per azioni Come avviene nelle S.a.s., anche in questo tipo di società vi sono due tipi di soci: - accomandatari, che rispondono solidamente e illimitatamente delle obbliga- zioni sociali (unico caso per quanto riguarda le società di capitali); - accomandanti, che rispondono limitatamente alla quota da loro sottoscritta. È amministrabile esclusivamente da soci accomandatari il nome di almeno uno dei quali deve comparire nella denominazione sociale. Le S.a.p.a. sono regolate dagli stessi meccanismi che valgono per le S.p.A.: un capitale sociale non inferiore a centomila euro, la convocazione dell’Assemblea dei soci per l’approvazione del bilancio annuale e la presenza attiva del Collegio Sindacale. c) Società a responsabilità limitata La partecipazione non è rappresentata da titoli azionari e il capitale sociale minimo per la sua costituzione è di diecimila euro. La convocazione dell’Assemblea dei soci risponde a criteri meno rigidi di quella riscontrata per le S.p.A., poiché è sufficiente una lettera raccomandata di chiamata da inviare almeno otto giorni prima di quello in cui l’Assemblea è stata fissata. Il Collegio Sindacale non deve essere nominato obbligatoriamente se il capitale sociale è inferiore ai cento mila euro e se per due esercizi consecutivi non si superano due tra i seguenti termini di valutazione: 23 - 2.427.347,43 E di attivo; - 4.906.340,54 E di ricavi; - una media di 50 dipendenti. 1.3.1.3. Le società cooperative Tanto le società di persone che le società di capitali rientrano, giuridicamente, nella più estesa famiglia delle imprese collettive, in cui sono comprese anche le cooperative, particolari forme di società il cui numero di soci è illimitato (ma non inferiore a nove) e con capitale variabile; possono essere: a) a responsabilità limitata: in questo caso per le obbligazioni sociali risponde la società con il suo patrimonio. Nel caso di fallimento o di liquidazione coatta amministrativa i soci rispondono solo con la propria quota (o azione) sottoscritta. b) a responsabilità illimitata: per le obbligazioni sociali risponde la società con il suo patrimonio e, qualora questo non sia sufficiente, rispondono in via sussidiaria tutti i soci solidalmente e illimitatamente. La cooperativa a responsabilità illimitata, che in passato ha avuto un grande diffusione, ora è caduta in disuso per i rischi che essa comporta. La particolarità delle società cooperative è data dal fatto che i soci, siano essi consumatori o lavoratori, sono accomunati dall’obiettivo di soddisfare un comune bisogno, di solito rappresentato da esigenze economiche; per questo motivo le co- operative svolgono tutta una gamma di azioni che nel commercio e nell’industria sono appannaggio di intermediari. Infatti, le cooperative non sono società a fini di lucro, bensì hanno lo scopo di fornire servizi o lavoro a condizioni più favorevoli che all’esterno e proprio per questo, di solito, quando si registrano utili essi vengono distribuiti tra tutti i soci della cooperativa stessa, in parti proporzionate all’apporto dato da ciascuno. Distinguendole in base allo scopo che si prefiggono, possiamo così suddividere le cooperative: 9 Edilizie: procurano ai soci abitazioni a prezzi inferiori a quelli di mercato e con forme agevolate di mutui e pagamenti rateali. 9 Di credito: agevolano il credito di imprenditori di piccole industrie e di arti- giani. 9 Di consumo: acquistano prodotti di varia natura all’ingrosso e li rivendono ai soci a prezzi vantaggiosi. 9 Di produzione: sono costituite da lavoratori che si uniscono per sostituirsi agli imprenditori, assumendosi quindi i rischi di una conduzione d’impresa. Questo tipo di cooperative si distingue in: cooperative industriali, di lavoro e agricole. 24 La forma cooperativa più diffusa è quella di produzione, perché riunisce negli stessi soggetti cooperatori capitale e lavoro, il che li rende al tempo stesso imprenditori e lavoratori e tutti ugualmente responsabili dell’andamento economico e produttivo. Come già detto, il numero di soci può essere illimitato, ma non inferiore a nove; tale numero si innalza a quindici nel caso delle cooperative di produzione che intendono partecipare ad appalti pubblici e a cinquanta per le cooperative di consumo, anche se tale limite può scendere a venti se la società ha sede in una località con meno di cinquecento abitanti. Il valore nominale di ciascuna quota (o azione) non può essere inferiore a 25,82 E e il valore nominale di ciascuna azione non può essere superiore a 516,46 E. Il limite massimo della quota e delle azioni che ciascun socio, persona fisica, può possedere è determinato in 41.316,55 E, elevato a 61.974,83 E per i soci delle cooperative agricole e di produzione e lavoro. Nelle assemblee sociali ogni socio ha un voto, qualunque sia il valore della quota versata. L’atto costitutivo può attribuire ad eventuali persone giuridiche socie più voti (al massimo 5). Il diritto di voto nelle assemblee spetta a coloro che risultano iscritti da almeno 3 mesi nel libro dei soci. L’atto costitutivo indica le condizioni per l’ammissione dei soci (requisiti e divieti eventuali sono inoltre stabiliti nella legge 17 febbraio 1971, n. 127, art. 2). Infine, l’amministrazione spetta a più persone che siano soci o mandatari di persone giuridiche socie. 1.3.2. Classificazione per dimensioni La diversificazione delle aziende sin qui operata è sulla base delle norme giuri- diche; una ulteriore è possibile in base alle dimensioni, ottenendo in tal modo la distinzione tra grande impresa e piccola e media impresa. Per piccola e media impresa si intende l’impresa che: • ha meno di 250 dipendenti; • ha un fatturato annuo non superiore a 40 milioni di euro, oppure un totale di bilancio annuo non superiore a 27 milioni di euro; • è in possesso del requisito di indipendenza. Per piccola impresa si intende l’impresa che: • ha meno di 50 dipendenti; • ha un fatturato annuo non superiore a 7 milioni di euro, oppure un totale di bilancio annuo non superiore a 5 milioni di euro; • è in possesso del requisito di indipendenza ai sensi dell’art.1 del D.M. del 18/09/1997. Per piccola e media impresa commerciale e di servizi si intende l’impresa che: • ha meno di 95 dipendenti; • ha un fatturato annuo non superiore a 15 milioni di euro, oppure un totale di bilancio annuo non superiore a 10,1 milioni di euro; 25 • è in possesso del requisito di indipendenza ai sensi dell’art.1 del D.M. del 18/09/1997. Per piccola impresa commerciale e di servizi si intende l’impresa che: • ha meno di 20 dipendenti; • ha un fatturato annuo non superiore a 2,7 milioni di euro, oppure un totale di bilancio annuo non superiore a 1,9 milioni di euro; • è in possesso del requisito di indipendenza ai sensi dell’art.1 del D.M. del 18/09/1997. Si ricorda che è considerata indipendente l’impresa il cui capitale o i diritti di voto non siano detenuti per il 25% o più da una sola impresa oppure congiuntamente da più imprese non conformi alle definizioni di piccola e media impresa o di piccola impresa secondo il caso. 1.3.3. La struttura organizzativa Secondo la convinzione più radicata, una organizzazione è principalmente: • uno strumento per raggiungere determinati fini; • uno strumento che viene guidato secondo principi di razionalità; Tale impostazione è stata assimilata a tal punto da ritrovarla sia nelle tradizioni teoriche dominanti, sia come concezione comune nella vita di tutti i giorni. In realtà, questa rappresentazione delle organizzazioni è diventata sempre più insoddisfacente a seguito delle profonde trasformazioni avvenute nell’economia mondiale. Oggi, infatti, è molto più difficile rispetto, ad esempio, trenta anni fa, definire in poche parole cosa sia un’organizzazione e descriverla nei suoi aspetti principali. I fattori che stanno modificando le strutture organizzative e del lavoro sono prin- cipalmente: 1) l’economia della flessibilità, orientata a fornire risposte adeguate nel minor tempo possibile alle richieste di mercato. Si caratterizza per flessibilità delle strutture organizzative e per la creazione di reti di organizzazioni in colla- borazione tra loro, in concorrenza con altre reti; 2) la terziarizzazione, ossia l’aumento di persone che lavorano stabilmente nel settore dei servizi, con nuovi compiti di lavoro e in strutture organizzative diverse da quelle tradizionali; 3) le nuove tecnologie informatiche, che da un lato facilitano i processi di flessibilizzazione e terziarizzazione di cui abbiamo appena parlato, mentre dall’altro rendono possibili nuovi lavori. Questi profondi cambiamenti hanno fatto nascere nuove teorie sulle organizza- zioni, secondo le quali: • un’organizzazione è un luogo dove entrano in contatto differenti stili e idee di direzione; 26 • non esistono i fini dell’organizzazione, bensì i fini di quanti ne sono in un dato momento a capo; • i principi di razionalità con cui è guidata un’organizzazione non sono assoluti, ma sono quelli più adatti a chi la sta dirigendo. I tipi più comuni di assetti organizzativi d’azienda sono: a) l’organizzazione gerarchico-funzionale; b) l’organizzazione divisionale; c) l’organizzazione a matrice; d) l’organizzazione rete. a) L’organizzazione gerarchico-funzionale È la forma più antica di struttura razionale e, molto probabilmente, ancora la più ricorrente, soprattutto per quanto riguarda i livelli alti delle organizzazioni. Si affermò con la prima rivoluzione industriale, ricalcata dalle organizzazioni militari, smussandone progressivamente i connotati rigidamente gerarchici. In questi tipi di organizzazione le varie direzioni controllano gruppi di attività funzionali simili tra di esse; i dirigenti, a loro volta, rendono conto del proprio operato a una direzione generale. Di solito, le attività vengono diversificate su due livelli: ¾ il primo, sulla base di una vicinanza tra direzione strategica e direzione operativa, in cui si applica un modello gerarchico puro; ¾ il secondo è il livello delle diversificazioni in base alle principali funzioni aziendali. Nelle organizzazioni di tipo gerarchico-funzionale è fortemente sviluppata la competenza specialistica; il criterio economico prevalente è quello di scala, mentre un sistema relativamente semplice di comunicazioni e decisioni consente un pronto adeguamento operativo alle esigenze dettate dal mercato economico. Il sistema con cui vengono prese le decisioni, però, perde dinamismo quando l’organizzazione tratta un grande numero di prodotti, quando aumentano oltre un certo limite le sue dimensioni, oppure, infine, quando il mercato in cui opera l’azienda di- viene meno stabile: i processi decisionali e logistici diventano più conflittuali e per una serie di motivi la prontezza di reazione agli stimoli del mercato diminuisce. Poiché esi- ste un’unica direzione generale, questa è chiamata a pronunciarsi in merito a decisioni operative, strategiche e gestionali, fissando priorità e disperdendo attenzione fra molte problematiche. Le decisioni che vengono di solito privilegiate in simili condizioni sono quelle operative, perché meglio identificabili e in virtù del loro carattere di urgenza immediata; per contro le attività innovative ricevono attenzioni secondarie. I problemi sopra evidenziati si accrescono se non vengono ben specificati i confini tra attività di tipo stabile e quelle innovative: le condizioni di trasferimento dell’innovazione, difficili per definizione, vengono aggravate dalle conflittualità legate a differenti tipi di funzioni professionali, sicché la direzione deve impegnarsi in una continua e dispendiosa attività di controllo e mediazione. Nel tempo sono state studiate una serie di misure correttive, volte a ridurre la conflittualità: incarichi 27 a rotazione nelle differenti unità funzionali, oppure gruppi di lavoro misti sono orien- tati a combattere il formarsi di visioni parziali degli obiettivi organizzativi e, tutto sommato, hanno ottenuto qualche risultato, soprattutto quando alcune attività di con- trollo interdisciplinare sono state attivate a carattere permanente. b) L’organizzazione divisionale La struttura divisionale o per prodotto e mercato appare negli anni Venti, in alternativa alle organizzazioni funzionali, spinte in progressivo affanno dai muta- menti nel sistema competitivo e dalle accresciute difficoltà di gestione. Il modello si caratterizza come una notevole innovazione: le attività vengono raggruppate per prodotto e mercato, non più per funzioni tra loro simili; ogni unità di prodotto/ mercato è guidata da un dirigente con piena facoltà, nell’area di competenza, di assu- mere decisioni strategiche, operative e di gestione. I direttori di ciascuna divisione si ritrovano a gestire una unità operativa con discreti margini di autonomia, di cui devono curare le performances, mentre la direzione centrale si occupa di gestire la diversificazione delle mansioni. Le organizzazioni divisionali, comunque, non sono semplicemente nuove forme di articolazione di grandi imprese, bensì introducono almeno due criteri sconosciuti alle strutture gerarchico-funzionali. ¾ Il primo, come già detto, riguarda la diversificazione in base al prodotto e non in base alle funzioni; ¾ il secondo comporta la separazione tra attività strategiche e quelle ammini- strative, dando luogo a gradi di management che operano su differenti livelli di controllo del risultato. Questa separazione dovrebbe consentire alla dire- zione centrale di dedicarsi pienamente alla elaborazione strategica e struttu- rale, lasciando il peso delle decisioni operative alle varie linee divisionali. In realtà, i problemi sollevati dalle organizzazioni per prodotto non sono meno notevoli di quelli propri delle gerarchie funzionali, perché si aprono una serie di con- flitti per l’attribuzione delle risorse, gli strumenti di progettazione strategica devono risultare al massimo grado di affidabilità, si richiede un aumento di organico ad alto livello retributivo e si assiste sovente alla duplicazione di risorse specialistiche che non si riflette in un arricchimento cognitivo dell’organizzazione stessa. Adottare una soluzione strutturale per prodotto è stata, in molti casi, una scelta storicamente obbligata dalle trasformazioni avvenute nei mercati, ma l’adozione di tale struttura va ponderata con attenzione, perché da quanto sembra emergere, intro- durvi modifiche è alquanto difficoltoso, anzi, spesso è di ostacolo a qualsiasi forma di evoluzione dinamica. c) L’organizzazione a matrice Il modello per matrice inizia a svilupparsi dopo la seconda guerra mondiale in aziende a elevati livelli di innovazione e in quelle con tecnologie complesse. L’organizzazione a matrice si basa sul tentativo di combinare le caratteristiche funzionali con quelle divisionali, in un mercato che si era fatto più complesso e com- petitivo. 28 Una prima versione è l’organizzazione per progetto, in cui a una struttura gerarchico-funzionale se ne affianca un’altra incaricata di seguire uno o più progetti, sotto la direzione di project managers, in grado di gestire le risorse a disposizione con un grande margine di autonomia. I progetti assorbono a tempo pieno un certo numero di specialisti per un periodo solitamente lungo; quando i progetti vengono sciolti, i componenti tornano ai rispettivi settori funzionali e l’organizzazione assume di nuovo una connotazione più tradizionale. La seconda versione è l’organizzazione a matrice pura, in cui strutture e/o ruoli rispondono nel contempo a due o più linee di autorità e di competenza, creando appunto una matrice in cui i singoli devono lealtà a più unità, in un intreccio piutto- sto complesso. In questo tipo di organizzazioni è normale che esistano contempo- raneamente più centri di autorità, pertanto la struttura organizzativa che ne risulta è tutt’altro che un compatto, unico blocco: al contrario, è un luogo in cui si manifestano (e si contrappongono) differenti criteri di razionalità e in cui le esigenze legate al conseguimento dei fini sono interpretate secondo schemi solo di rado coincidenti nelle varie coalizioni formali o informali. d) L’organizzazione rete L’evoluzione più o meno lineare del modello a matrice è rappresentato dall’or- ganizzazione rete, una forma di struttura aziendale che sta diffondendosi sotto la spinta dei meccanismi di globalizzazione economico-produttiva. In realtà, sotto lo stesso nome trovano posto differenti casi economici e imprenditoriali. - Un primo tipo è legato al forte decentramento di processi produttivi e di ser- vizi da una impresa principale verso imprese subalterne, evento che ha dato luogo a una nuova classe di organizzazioni, che negli Usa sono state chiamate hollow corporations. Queste imprese operano una sorta di supervisione, acquistando da altri soggetti singoli componenti che poi verranno assemblati, o addirittura prodotti finiti; si instaura in tal modo un reticolo tra un soggetto principale, che espone il proprio nome sul mercato e i soggetti fornitori che si incaricano dei processi produttivi (e/o dei servizi). - Un secondo tipo è conosciuto come costellazioni di imprese, ovvero un in- sieme di unità legate tra loro in un ciclo produttivo; queste imprese, che solo talvolta siglano tra esse accordi formali, hanno potenti sistemi di cooperazione operativa che sopperiscono all’assenza di collegamenti societari. - In una classe diversa rientrano quei sistemi di imprese su base geografica, detti anche distretti industriali. Essi segnano profondamente uno specifico contesto urbano e, laddove una serie di fattori socioeconomici lo rendono possibile, talvolta anche regionale. Una variante sul tema è rappresentata dai parchi tecnologici, aree che si caratterizzano per la produzione di beni e servizi ad alto livello di innovazione. Inoltre, interessante è anche il caso di quelle grandi imprese che si stanno artico- lando in unità organizzative sempre di più somiglianti a imprese autonome. In queste realtà organizzative le singole divisioni sono in grado di legarsi a realtà esterne, cioè 29 ditte subfornitrici o anche grandi imprese con cui si raggiungono situazioni di collaborazione di varia natura e durata. Si ha così una impresa centrale legata a imprese non soggette al suo controllo giuridico, in un contesto comunicativo retico- lare in cui i rapporti non sono regolati dall’autorità, ma dalle capacità di intervento delle singole unità operative presenti. I vantaggi propri delle organizzazioni rete riguardano la flessibilità strutturale, permettendo loro una notevole diversificazione degli obiettivi e forti capacità di adat- tamento ai bruschi cambiamenti del difficile mercato dell’economia globalizzata: in tal senso sono adatte ad affrontare rischi e forniscono alti risultati, come pure la rapidità di scomposizione dei processi produttivi e la capacità di riorganizzarli a seconda delle esigenze le rendono vantaggiose in relazione alle imprese che agiscono nelle rigidità delle economie di scala; per contro, hanno difficoltà nel fornire risposte uniformi a fronte di situazioni critiche, rendendo particolarmente oneroso il compito degli organi direttivi centrali (quando ve ne siano). Inoltre, qualsiasi intervento direttivo o progettuale che parta dal centro della struttura organizzativa avrà nella diversità strutturale un’antagonista che spesso renderà vano qualsiasi sforzo di coinvolgere tutte le componenti. Le organizzazioni rispondenti alla modellistica reticolare sono in costante au- mento a partire dalla metà degli anni Ottanta, il che, però, non deve portare a ritenere finite le esperienze gerarchico-funzionali e divisionali, per le quali si ipotizza un futuro legato alla gestione di particolari strutture, segnatamente quelle legate alle direzioni centrali, chiamate a tenere le fila di organizzazioni estremamente flessibili e dinamiche, ma come si è visto, difficilmente gestibili nella loro globalità. 31 2. L’ACCESSO AL MERCATO DEL LAVORO AVVERTENZA Questa sezione è dedicata all’illustrazione delle modalità di accesso nel mercato del lavoro. Dallo schema che segue si evince che esistono due possibili percorsi di inserimento, rappresentati dal lavoro dipendente e dal lavoro autonomo. Qui ci occuperemo del lavoro dipendente sia nel settore pubblico che in quello privato. LE SCELTE POSSIBILI Settore privato Settore pubblico Tempo determinato Tempo indeterminato Tempo pieno Part-time Lavoro dipendente Lavoro autonomo 32 2.1. L’impiego pubblico La ricerca di un’occupazione nel settore pubblico ha sempre rappresentato l’aspirazione di coloro che di fronte alle difficoltà e alle incertezze del settore privato, rinvenivano, al contrario in questo, maggiori elementi si stabilità. Si tratta però di generalizzazioni troppo diffuse e spesso fuorvianti che non tengono in debito conto invece di quanto oggi si sia progressivamente ridotta la distanza tra il settore pubblico ed il settore privato. Si assiste, infatti, ad un importante fenomeno di assimilazione che si è verificato sia per effetto della trasformazione di importanti e numerosi Enti pubblici in orga- nizzazioni di tipo privatistico, con conseguente adozione delle regole relative ai rapporti di lavoro, sia per il sempre più frequente passaggio di servizi e beni, gestiti un tempo dalla Pubblica amministrazione, a privati, con conseguente diminuzione delle possibilità occupazionali nel settore pubblico. Tuttavia, nonostante queste pre- cisazioni di ordine generale che contribuiscono a ridimensionare la forte attrattiva da sempre esercitata dal settore pubblico, quest’ultimo rappresenta ancora un’interes- sante opportunità per i giovani alla ricerca di un’occupazione. 2.1.1. Le regole d’accesso: requisiti e procedure di impiego Premesso che per dipendenti pubblici s’intendono: • i dipendenti statali (dipendenti dei Ministeri, delle aziende statali, delle scuole pubbliche), • i dipendenti delle Regioni, i dipendenti delle province, i dipendenti dei Comuni, • delle aziende municipalizzate e dei consorzi, • i dipendenti di unità sanitarie locali e ospedali, • i dipendenti delle Università e delle Camere di commercio, • i militari, carabinieri, polizia, vigili del fuoco per accedere al pubblico impiego, la legge richiede il possesso di determinati requisiti: a) requisiti generali di rilevanza giuridica: - cittadinanza italiana o appartenenza ad uno dei Paesi membri dell’Unione europea - 18 anni d’età. b) requisiti di idoneità della persona • idoneità fisica all’impiego • idoneità cosiddetta “intellettuale” - titolo di studio - superamento di prove concorsuali. È precluso, invece, l’accesso al pubblico impiego a coloro che: • sono stati esclusi dall’elettorato attivo • sono stati destituiti dall’impiego presso una Pubblica Amministrazione. 33 2.1.2. Le procedure di accesso Secondo il nostro ordinamento, l’accesso al Pubblico impiego, sia a tempo pieno che a tempo parziale, è regolato secondo le seguenti modalità: A Per le qualifiche superiori al V Livello sono in vigore le procedure concorsuali (concorso pubblico per esami, titoli, titoli ed esami, corso-concorso). B Per le qualifiche per le quali è richiesto il requisito della sola scuola del- l’obbligo (inferiori al V livello) per avviamento degli iscritti nelle Liste speciali di avviamento al lavoro presso le Pubbliche amministrazioni. C Per gli appartenenti alle categorie protette (L. n. 482/1968) l’avviamento avviene per “chiamata numerica”. A. Le procedure concorsuali Definizione: Il concorso pubblico è un procedimento di reclutamento del perso- nale nei settori della P.A. secondo criteri prefissati. A.1 - La domanda di partecipazione L’organo ufficiale, che pubblica i bandi di concorso, è la Gazzetta Ufficiale - IV serie speciale Concorsi ed esami che pubblica i bandi di concorso il martedì ed il venerdì. Altri bandi riferibili a particolari settori sono rinvenibili sulle seguenti fonti ufficiali: - Gazzetta ufficiale della Comunità - Bollettino ufficiale della Regione - Bollettino ufficiale del CNR - Bandi di concorso dei Comuni - Bandi di concorso delle Aziende USL. La Gazzetta Ufficiale è reperibile nelle edicole, ma è possibile consultarne copia presso le biblioteche pubbliche, gli Uffici Informazioni dei Servizi per l’Impiego o, dove sono presenti, i Centri di Informazione. Il Bando di concorso è il documento principale attraverso cui viene redatto e regolamentato un concorso pubblico. In esso si trovano elencati i requisiti necessari e le modalità per accedere al concorso; in particolare riporta: - il termine e le modalità di presentazione delle domande; - il diario e la sede delle prove, con l’indicazione delle materie oggetto del concorso; - i requisiti soggettivi generali e particolari; - i titoli che danno luogo a precedenza o a preferenza a parità di punteggio. 34 1 I candidati devono dichiarare nella domanda il recapito al quale desiderano siano trasmesse eventuali comunicazioni. Per partecipare ad un concorso pubblico è necessario compilare una domanda di ammissione, redatta in carta semplice, in cui gli aspiranti devono dichiarare, seguendo lo schema che generalmente si trova allegato al bando: 1) nome e cognome, domicilio e recapito1; 2) luogo e data di nascita; 3) il possesso della cittadinanza italiana (o equiparata); 4) il godimento dei diritti politici e non esclusione dall’elettorato politico attivo (o i motivi del mancato godimento); 5) le condanne penali o i procedimenti penali in corso (dichiarazione da rendere anche se negativa); 6) la posizione nei riguardi degli obblighi militari; 7) i servizi eventualmente prestati presso pubbliche amministrazioni e le cause di risoluzione dei precedenti rapporti di pubblico impiego (la dichiarazione va resa anche se negativa); 8) i provvedimenti di destituzione, dispensa o decadenza dall’impiego presso pubbliche amministrazioni (dichiarazione da rendere anche nel caso in cui non si abbia mai prestato servizio); 9) i titoli di studio posseduti con l’esatta indicazione delle date e degli istituti presso cui sono stati conseguiti nonché delle votazioni riportate; 10) il possesso dell’idoneità fisica all’impiego; 11) l’iscrizione alle liste elettorali del Comune di appartenenza (o motivi della cancellazione dalle stesse); 12) di avere adeguata conoscenza della lingua italiana (solo per i candidati appartenenti all’Unione Europea); 13) l’ausilio richiesto per l’espletamento delle prove (in caso di candidati portatori di handicap); 14) i titoli di riserva, precedenza o preferenza posseduti (tra quelli previsti dall’art. 5 del D.P.R. 9/5/1994, n. 487); 15) la lingua straniera all’accertamento della quale essere sottoposti nel- l’ambito della prova orale (solo per concorsi a posti di 7a qualifica o superiori). Infine, la domanda di partecipazione al concorso deve essere presentata peren- toriamente entro il termine fissato dal bando che, di norma, corrisponde al trente- simo giorno dalla data di pubblicazione dello stesso sulla Gazzetta Ufficiale - Serie Speciale - Concorsi ed esami. 35 È importante tenere presente che: • non possono essere prese in considerazione domande che per un qualsiasi motivo, non esclusa la forza maggiore, siano state presentate o spedite oltre il termine prefissato2; • tutti i requisiti devono essere posseduti alla data di scadenza del termine fis- sato nel bando per la presentazione della domanda di ammissione; • non è necessaria l’autenticazione della firma in calce alla domanda di parte- cipazione. Ai sensi dell’art. 18 L. n. 241/90 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), i concorrenti possono avvalersi dell’Autocertificazione della maggior parte delle dichiarazioni rese e chiedere che la documentazione già in possesso della Pubblica Amministrazione sia acquisita d’ufficio. Da quanto fin qui detto si deduce che la partecipazione ai concorsi è subordinata al possesso dei seguenti requisiti: • Cittadinanza italiana. Tale requisito non è richiesto per i soggetti appartenenti all’Unione Europea, fatte salve le eccezioni di cui al D.P.C.M. 7/2/1994; sono equiparati ai cittadini gli Italiani non appartenenti alla Repubblica; • Età non inferiore ai 18 anni compiuti (la cd. “Legge Bassanini” - L. n. 127/97 - ha eliminato i limiti di età per l’accesso al pubblico impiego; tuttavia si ritiene di richiedere il requisito del compimento della maggiore età quale presupposto del possesso della capacità di agire necessarie per sottoscrivere il contratto individuale di lavoro); • Godimento dei diritti politici e non esclusione dall’elettorato politico attivo; • Idoneità fisica all’impiego. Invalidi, ciechi, sordomuti ed altre categorie protette, (rientranti nella previsione della legge n. 482/48), possono essere am- messi ai concorsi, (e persino, nelle percentuali di norma, avere a disposizione posti riservati in preferenza), sempre che posseggano il minimo di capacità lavorativa necessaria per il posto messo a concorso. L’Amministrazione ha la facoltà di sottoporre i vincitori del concorso a visita medica di controllo prima della chiamata in servizio, in base alla normativa vigente; • Non aver riportato condanne penali nè avere procedimenti penali in corso che impediscano, ai sensi delle vigenti disposizioni in materia, la costituzione del rapporto di impiego con la Pubblica Amministrazione; • Non essere incorsi in provvedimenti di destituzione o dispensa dall’impiego presso pubbliche amministrazioni e non essere stati dichiarati decaduti da un impiego statale, ai sensi dell’art. 127, 1° comma, lett. d) del DPR n. 3/1957. 2 La data di spedizione è stabilita e comprovata dal timbro a data dell’ufficio postale accettante. Se il termine di scadenza corrisponde con un festivo, lo stesso è prorogato al primo giorno lavorativo successivo. 36 • Posizione regolare nei confronti degli obblighi militari (per i cittadini italiani soggetti a tale obbligo); • Titolo di studio e/o altri requisiti specifici richiesti per il posto messo a con- corso. A.2 - Le tipologie concorsuali Esistono sostanzialmente due tipologie di concorso pubblico: 1. il concorso Unico che rappresenta una recente introduzione nel nostro ordi- namento; esso può essere bandito sia a livello nazionale che circoscrizionale, ogni due anni. Scopo di tale tipologia concorsuale è predisporre una gradua- toria a cui possano attingere le varie amministrazioni pubbliche per reclutare il personale di cui hanno bisogno. Ciascuna amministrazione, quindi, non ban- disce autonomamente i concorsi finalizzati all’inserimento di personale nel proprio organico. Si segnala che non possono ricorrere al concorso unico le seguenti ammini- strazioni: - le Regioni - le amministrazioni del Servizio sanitario nazionale - gli enti locali e i loro consorzi - le istituzioni universitarie, di ricerca e sperimentazione Viste le caratteristiche di questo concorso, i candidati possono indicare nella domanda di ammissione le amministrazioni e le sedi in cui, se vincitori, intendono essere assegnati. 2. il concorso bandito dall’Ente interessato ad assumere. In questo caso è la sin- gola amministrazione che procede autonomamente alla ricerca di personale da inserire nel proprio organico. A.3 - I criteri di selezione I principali sono: • Per esami: l’assunzione avviene dopo che i candidati hanno sostenuto e superato una o più prove (scritte, orali e talvolta basate su quesiti a risposta sintetica o test)3. 3 Nei concorsi per esami il numero di prove varierà a seconda del tipo di profilo professionale richiesto. Per quelli della settima qualifica o quelli di una qualifica superiore consisterà in • almeno due prove scritte • in una prova orale comprendente l’accertamento di almeno una lingua straniera. Per quelli di quinta o sesta qualifica in • due prove scritte, di cui una almeno di contenuto teorico-pratico • in una prova orale. Le prove scritte in ogni caso potranno consistere anche in quesiti o test da risolvere in un tempo determinato. 37 • Per titoli:4 in questo caso i partecipanti non devono affrontare alcuna prova di selezione, ma solo presentare i titoli elencati nel bando, in base ai quali verrà elaborata una graduatoria per stabilire l’ordine di assunzione. • Per titoli ed esami: in questo caso entrambi i criteri sono adottati nella sele- zione dei candidati. Nella compilazione delle graduatorie definitive si terrà conto sia degli esiti degli esami sostenuti che dei titoli posseduti e della valu- tazione degli stessi. • Corso-concorso: si basa normalmente su una selezione pubblica a seguito del- la quale i vincitori devono partecipare a specifici corsi di formazione e quali- ficazione. Al termine di questi, l’assunzione è subordinata al superamento di una prova. • La selezione: consiste nello svolgimento di prove pratiche tendenti ad accer- tare l’idoneità del candidato a svolgere le mansioni attinenti il futuro lavoro. Superate le prove scritte, il candidato verrà informato sui voti ottenuti e sulla data di svolgimento del colloquio, con almeno un preavviso di circa 20 giorni. Le procedure concorsuali dovranno, in ogni caso, concludersi entro sei mesi dal termine delle prove scritte. Le graduatorie dei vincitori rimangono efficaci fino a 18 mesi dalla pubblica- zione, per l’eventuale copertura di posti per i quali il concorso è stato bandito e che successivamente dovessero rendersi disponibili. B. L’avviamento per basse qualifiche degli iscritti alle liste di collocamento Gli enti pubblici, ai sensi dell’art. 16 della L. n. 56 del 28.2.87, hanno la possi- bilità di assumere, senza concorso, personale destinato a qualifiche di basso contenuto professionale (ausiliari, inservienti, bidelli, operai, impiegati videoterminalisti ecc.) per le quali è sufficiente il solo requisito della scuola dell’obbligo o l’eventuale professionalità richiesta. Le assunzioni avvengono tramite i Centri per l’Impiego (ex SCICA), territo- rialmente competente e interessano tutti i disoccupati, iscritti nella lista riservata per le assunzioni di personale della Pubblica Amministrazione, chiamata appunto “articolo 16”. Le persone interessate all’inserimento nelle liste dell’art. 165 devono farne esplicita richiesta al momento dell’iscrizione ai Centri per l’impiego. Per iscriversi è necessario avere 18 anni. 4 Per titoli, di solito, si intendono titoli di studio, accademici ed eventuali specializzazione, esperienze lavorative maturate, pubblicazioni. 5 Ai posti di lavoro pubblicizzati con queste procedure possono candidarsi anche i disoccupati iscritti nelle liste del collocamento ordinario, benché, nella formazione delle graduatorie, sia data la precedenza ai candidati iscritti alle liste “articolo 16” al 31 dicembre dell’anno precedente. 38 All’interno delle liste che vengono formate annualmente, vengono stilate delle graduatorie sulla base dei seguenti criteri: • il carico familiare • la situazione economica e patrimoniale del lavoratore • l’anzianità d’iscrizione nelle liste di disoccupazione. Quando un’amministrazione segnala l’esigenza di una specifica professionalità, l’ufficio di collocamento compila un elenco di nominativi in possesso della relativa preparazione o specializzazione, così come dedotta dalla qualifica attribuita all’atto dell’iscrizione dei lavoratori nelle liste di collocamento. I lavoratori saranno, quindi, invitati a sostenere prove di selezione in base all’ordine della graduatoria. Essi devono presentarsi alla Sezione circoscrizionale per l’Impiego e fornire la loro adesione; successivamente, sulla base dei punteggi riportati da coloro che hanno aderito alla proposta di selezione, viene stilata una graduatoria per individuare i lavoratori da avviare alla prova selettiva. Generalmente le amministrazioni interessate convocano un numero di candidati pari al doppio dei posti da ricoprire. La valutazione dei lavoratori si basa sullo svolgimento di prove pratiche attitu- dinali oppure su sperimentazioni lavorative. Per i lavoratori che 9 non abbiano risposto alla convocazione, 9 non hanno superato le prove, 9 non hanno accettato la nomina o che non sono in possesso dei requisiti necessari gli Uffici provvedono ad ulteriori avviamenti secondo l’ordine della graduatoria formatasi al momento della prima richiesta. La legge prevede che all’avviamento per basse qualifiche di iscritti alle liste di collocamento possano ricorrere ¾ tutte le amministrazioni dello Stato anche ad ordinamento autonomo; ¾ gli Enti pubblici non economici a carattere nazionale; ¾ Province, Comuni e Usl. Sono, invece, esclusi: gli Enti pubblici economici e non sono possibili le assun- zioni di personale militare delle forze armate, polizia e vigili del fuoco. C. L’assunzione numerica per categorie protette La legge sul collocamento obbligatorio vincola i datori di lavoro con più di 35 dipendenti ad assumere il 15% del totale dei dipendenti dalla lista degli invalidi e delle altre categorie protette. Gli appartenenti a queste ultime, infatti, vengono assunti presso le Amministra- zioni ed enti pubblici in modo numerico. L’assunzione numerica (di cui si parlerà in seguito) consiste nell’assegnazione d’ufficio dei lavoratori secondo un ordine di gra- duatoria. Tali graduatorie hanno validità annuale e sono gestite a livello provinciale. 39 Beneficiari di questa forma di assunzione sono tutti coloro che: • si trovano in condizioni di disoccupazione • rientrano in una delle seguenti categorie: ¾ invalidi di guerra (militari e civili) ¾ privi di vista (cecità assoluta o residuo visivo non superiore a un decimo in entrambi gli occhi) ¾ sordomuti (sordità congenita o contratta prima d’iniziare a parlare) ¾ orfani e vedove dei caduti in guerra, per servizio o per lavoro - invalidi per servizio e del lavoro (riduzione della capacità lavorativa non inferiore ad un terzo) ¾ invalidi civili (invalidità superiore al 45% sia di tipo fisico che psichico) Non possono accedere alla graduatoria tutti coloro che: ¾ hanno superato i 55 anni di età ¾ abbiano perduto la capacità lavorativa ¾ possano arrecare danno alla salute o all’incolumità dei compagni di lavoro o alla sicurezza degli impianti. Le richieste di avviamento da parte di amministrazioni ed Enti pubblici (anche a carattere nazionale e regionale) devono essere rivolte all’Ufficio provinciale del lavoro competente per territorio in cui è prevista la sede del servizio e coinvolgono un numero di lavoratori pari al doppio di quello dei posti da ricoprire. I lavoratori sono sottoposti a prova di idoneità per lo svolgimento delle future mansioni, in analogia con le modalità previste per l’accesso alle basse qualifiche. 40 Allegato 1 - Bando di concorso Senato della Repubblica Servizio del Personale Senato della Repubblica 3 giugno 2000 n. prot. 21567/a22 CONCORSO PUBBLICO PER TITOLI ED ESAMI PER LA COPERTURA DI N. 10 POSTI DI “COADIUTORE PARLAMENTARE” XX QUALIFICA FUNZIONALE IL PRESIDENTE Vista la deliberazione del Consiglio di Presidenza del 15 dicembre 1999, n 8 SU PROPOSTA DEL SEGRETARIO GENERALE RENDE NOTO È indetto un pubblico concorso per titoli ed esami per la copertura di n. 10 posti di “Coadiutore parlamentare” XX qualifica funzionale – presso il Senato della Repubblica. Lo stipendio iniziale di L. XXXX, corrisponde alla xx qualifica funzionale, è suscettibile di progressione economica ai sensi delle norme del vigente Regolamento Organico del personale del Senato. Saranno inoltre corrisposti l’assegno annuo di L. XXXX, l’indennità inte- grativa speciale, le eventuali altre indennità spettanti al personale comunale, nonché gli assegni per il nucleo familiare se spettanti e la tredicesima mensi- lità nella misura consentita dalle vigenti disposizioni. Tutti gli assegni saranno assoggettati alle ritenute erariali, previdenziali ed assistenziali di legge. L’età minima per partecipare al concorso è di anni 18.(*) Sono ammessi al concorso gli aspiranti in possesso del seguente titolo di studio: Diploma di Istruzione Secondaria di secondo grado. Tutti i requisiti prescritti devono essere posseduti alla data di scadenza del termine stabilito nel bando di concorso per la presentazione della domanda di ammissione. In relazione alla specialità ed alle mansioni del posto messo a concorso, si precisa che, ai sensi della L. 28 marzo 1991 n. 120, non possono essere ammessi al concorso i soggetti privi di vista. Ai sensi dell’art. 37 del D.Legs. 3 febbraio 1993, n. 29 anche i cittadini degli Stati membri della Comunità Economica Europea possono accedere ai posti presso le amministrazioni pubbliche. La domanda di ammissione al concorso, da redigersi sull’apposito modulo ed indirizzata al Senato della Repubblica deve essere presentata entro le ore 17.00 del giorno lunedi 3 luglio 2000. Per le domande inviate a mezzo posta, vale la data del timbro postale. Gli aspiranti, pena l’esclusione dal concorso, debbono dichiarare nella domanda: a) la data e il luogo di nascita e la precisa indicazione del domicilio al quale devono essere trasmesse le comunicazioni; b) il possesso della cittadinanza italiana o quella di uno degli Stati membri dell’Unione Europea; (*) N.B. In base alla L. 15 maggio 1997, n. 127, il limite massimo di età per poter partecipare ai concorsi pubblici è stato abolito. Data di emissione del bando Figura professionale Livello di inquadramento Stipendio Requisito di età Data di scadenza Titolo di studio richiesto 41 c) il Comune di iscrizione nelle liste elettorali, ovvero i motivi della non iscrizione o della cancellazione dalle liste medesime; d) lo stato civile; e) il titolo di studio posseduto con l’indicazione dei seguenti elementi: - la votazione finale riportata; - l’Istituto o la Scuola presso cui è stato conseguito; - la data di conseguimento; f) il godimento dei diritti civili (per i cittadini degli Stati membri dell’Unione Europea; il godimento dei diritti civili e politici anche nello stato di appar- tenenza o provenienza); g) le eventuali condanne penali riportate o i procedimenti penali in corso o l’assenza assoluta di condanne e procedimenti penali; h) la posizione nei riguardi degli obblighi militari (per i concorrenti di sesso maschile); i) lo stato di sana e robusta costituzione fisica con esenzione da difetti che possano influire sul rendimento del servizio; j) i servizi prestati presso Pubbliche Amministrazioni e le cause di risolu- zione di eventuali precedenti rapporti di pubblico impiego; La firma in calce alla domanda non deve essere più autenticata come dispo- sto dall’art. 3, comma 5, della legge 15 maggio 1997, n.127. Per gli aspiranti che siano dipendenti statali e degli altri Enti Locali è suffi- ciente il visto, rispettivamente del capo dell’Ufficio nel quale prestano servi- zio e del capo dell’Amministrazione da cui dipendono. Alla domanda di ammissione devono essere allegati i seguenti documenti: 1. QUIETANZA rilasciata dal Tesoriere comunale – Banca “X” o ricevuta del versamento effettuato sul Conto Corrente Postale n. XXXX intestato al Comune di “X” – Servizio di Tesoreria (indicando obbligatoriamente la causale Tassa concorso pubblico a n. 1 posto vacante di “Assistente amministrativo” liv. 6°), comprovante il pagamento della tassa di concorso previsto; 2. gli eventuali titoli (in originale o in copia autenticata) comprovanti il diritto di precedenza o preferenza alla nomina. Si precisa che la documentazione di cui sopra potrà essere sostituita da dichiarazione temporaneamente sostitutiva, sottoscritta dall’interessato ai sensi dell’art. 3 della legge 15.5.1997 n. 127, ad esclusione della quietanza di versamento. Ai sensi della L. 23 agosto 1988 n. 370, le domande di concorso e gli atti e documenti allegati sono esenti dall’imposta di bollo. PROVE D’ESAME I candidati ammessi al concorso dovranno sostenere le seguenti prove d’esame: una prova scritta ed una prova orale sulle seguenti materie: a) Prova scritta - nozioni di diritto civile e di diritto amministrativo; - nozioni di amministrazione del patrimonio e contabilità pubblica. b) Prova orale - materie delle prove scritte; - nozioni di organizzazione comunale; - ordinamento dello Stato. Il diario delle prove d’esame sarà comunicato ai singoli candidati nei modi e nei termini stabiliti dal vigente Regolamento Organico del personale. L’assenza dagli esami comporta l’esclusione dal concorso. Per essere ammessi a sostenere le prove di esame, i concorrenti devono essere muniti di un idoneo documento di riconoscimento. Il concorrente, dichiarato vincitore, sarà invitato dall’Amministrazione a pre- sentare, nel termine di giorni 30 dalla data di ricevimento della partecipazione, a pena di decadenza, i documenti stabiliti dal vigente Regolamento Organico del personale, precisamente: Materie delle prove scritta ed orale 42 a) il certificato generale del Casellario Giudiziario; b) l’originale del diploma di studio o il documento rilasciato dalla compe- tente autorità scolastica, in sostituzione del diploma, ovvero copia di uno dei suddetti documenti, autenticata dal pubblico ufficiale; c) il certificato medico attestante la sana e robusta costituzione e l’idoneità fisica all’impiego; d) gli altri documenti necessari per dimostrare il possesso dei requisiti pre- scritti. Il personale statale e degli altri Enti Locali di ruolo deve presentare una copia integrale dello stato di servizio, il titolo di studio ed il certificato medico; è, invece, esonerato dalla presentazione di documenti per dimostrare il possesso degli altri requisiti. La nomina del vincitore diventerà definitiva dopo il periodo di prova stabilito dal vigente Regolamento Organico del personale. La graduatoria degli idonei potrà essere utilizzata, per tre anni dalla data di approvazione della graduatoria stessa, da parte dell’Amministrazione, non solo per il posto messo a concorso ma anche per quelli che rimarranno disponibili entro tale termine. L’espletamento del presente bando di concorso sarà attuato nel pieno rispetto delle norme contenute nella Legge 2.4.1968, n. 482. Gli appartenenti alle categorie indicate dalla normativa predetta che abbiano conseguito l’idoneità verranno inclusi nell’ordine di graduatoria tra i vincitori; a parità di punteggio valgono le precedenze stabilite dall’art. 5 del T.U. approvato con D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 e successive modificazioni. Saranno osservate le disposizioni di cui alle Leggi 24.12.86, n. 958 (a tal fine sarà ritenuta valida unicamente la produzione del foglio matricolare dello stato di servizio che costituisce il documento probatorio per l’applicazione delle norme di tale Legge) e 5.2.1992, n. 104. Per quanto previsto dal presente bando valgono le disposizioni contemplate dalla L.R. n. 4 del 5.3.1993 e dal vigente Regolamento Organico del perso- nale. Ogni utile informazione potrà essere fornita dall’ufficio Concorsi del Senato della repubblica (tel. ...). IL SEGRETARIO GENERALE IL PRESIDENTE Durata della graduatoria degli idonei 43 Al Comune di “X” Il/La sottoscritto/a _____________________________________________________________________________ nato/a a _______________________________________________________________ il _____________________ residente a __________________________ in via ___________________________________________________, presa visione del bando con il quale è stato indetto il concorso pubblico per esami per la copertura di n. 1 posto vacante di “Assistente amministrativo” 6a qualifica funzionale – presso il Settore organizzazione Generale – indetto da codesta Amministrazione C H I E D E di poter partecipare allo stesso. A tal fine lo/la scrivente dichiara sotto la propria responsabilità di: 1. essere cittadino/a italiano/a; 2. essere iscritto/a nelle liste elettorali del Comune di ________________________________________________; ovvero di non essere iscritto/a per i seguenti motivi: ___________________________________________________________________________________________; 3. essere di stato civile: __________________________________ (celibe/nubile/coniugato/a con n. ______ figli); 4. essere in possesso del seguente titolo di studio _____________________________________________________ conseguito in data ______________ presso ______________________________ con votazione finale di ______; 5. godere dei diritti civili; per i cittadini degli Stati membri della Comunità Economica Europea: di godere dei diritti civili e politici anche nello stato di appartenenza o provenienza; 6. non avere riportato condanne penali; ovvero aver riportato le seguenti condanne penali: ____________________________________________________________________________________________; 7. non avere procedimenti penali pendenti; ovvero avere i seguenti procedimenti penali pendenti: ____________________________________________________________________________________________; 8. essere nella seguente posizione nei riguardi degli obblighi militari (per i concorrenti di sesso maschile): ____________________________________________________________________________________________; 9. essere di sana e robusta costituzione fisica con esenzione da difetti che possano influire sul rendimento del servizio; 10. aver diritto all’elevazione del limite massimo di età per i seguenti motivi: ____________________________________________________________________________________________; 11. non essere stato destituito o dispensato dall’impiego presso pubbliche amministrazioni. Chiede infine che ogni comunicazione relativa alla presente domanda venga fatta al seguente indirizzo: ____________________________________________________________________________________________; n. telefonico ___________________________ Data _________________ Firma _________________________________________________ Allega alla domanda i seguenti documenti: 1. __________________________________________________________________________________________ 2. __________________________________________________________________________________________ 3. __________________________________________________________________________________________ Allegato 2 - Domanda di partecipazione al concorso 44 6 Lavoratori agricoli, i servizi familiari, lavori leggeri non industriali, purché non vi sia trasgres- sione all’obbligo scolastico. 2.2. L’impiego privato Questa sezione è dedicata alla descrizione del funzionamento del nostro attuale sistema di collocamento. Si precisa però che è in atto un profondo processo di riforma che cambierà alcuni aspetti del sistema stesso e di cui tracceremo un breve ma esaustivo quadro. Per poter accedere ad un lavoro dipendente nel settore privato, il lavoratore deve possedere i seguenti requisiti minimi: 1. età minima di 15 anni, abbassata a 14 anni in casi particolari6 2. il libretto di lavoro 3. l’iscrizione nelle liste di collocamento. 2.2.1. Modalità per l’inserimento nelle liste di disoccupazione Il documento che attesta il raggiungimento dell’età lavorativa è il “libretto di lavoro”. Riporta tutti i dati relativi alla condizione civile e professionale del lavora- tore e ne segue la carriera documentando l’effettiva sussistenza del rapporto di lavoro. Al momento dell’assunzione il libretto va consegnato al datore di lavoro che è tenuto a riportare, nella sezione denominata “stato di servizio”, i dati relativi a: • identificazione della ditta • data di assunzione • la qualifica del lavoratore • dati relativi ai documenti assicurativi. Al termine di ciascun rapporto di lavoro, il datore di lavoro deve restituirlo al lavoratore completo di tutte le suddette annotazioni. Dovrà essere indicata anche la data di cessazione del rapporto di lavoro, mentre non è richiesta l’indicazione della causa di cessazione dello stesso. I dati riportati sul libretto di lavoro sono importanti per costruire ed aggiornare il proprio curriculum. È quindi necessario che il lavoratore verifichi con attenzione, al momento della riconsegna del libretto, l’esattezza degli stessi. Il libretto di lavoro è, pertanto, il documento indispensabile per potersi iscrivere al collocamento ed essere assunti. Può richiederlo presso l’Ufficio Anagrafe del Comune di residenza, ciascun lavoratore che abbia: • compiuto il 14° anno d’età; • assolto l’obbligo scolastico; 45 dopo la presentazione dei seguenti documenti: • documento personale di riconoscimento; • certificato del titolo di studio posseduto. Allegato 1 - Richiesta del libretto di lavoro Al Sig. SINDACO del Comune di Il Sottoscritto Nome ________________________________________ cognome ______________________________________ Nato a ___________________________________________________________________ il __________________ Residente in Via/Piazza _________________________________________________________________________ Professione __________________________________________________________________________________ Titolo di studio ________________________________________________________________________________ Lingua straniera conosciuta ______________________________________________________________________ C H I E D E Che gli venga rilasciato il libretto di lavoro Dichiara di non essere in possesso di alcun titolo per l’assunzione obbligatoria ex lege2/4/68 n. 482, Dichiara di essere in possesso dei seguente titolo per l’assunzione obbligatoria ex lege2/4/68 n. 482: ______________________________________________________________________________ * * invalido di guerra - invalido civile di guerra - invalido per servizio - invalido del lavoro - invalido civile - privo della vista - sordomuto - orfano di caduto in guerra - vedova di caduto in guerra - orfano di caduto in guerra - vedova civile di guerra - orfano di caduto per servizio - vedova di caduto per servizio - orfano di caduto sul lavoro - vedova di caduto sul lavoro – ex tubercolotico - profugo (Indicare da dove) Lì, __________________________________ firma ______________________________________ Allegato 2 - Conferma del libretto di lavoro Comune di ____________________________________ Servizi Demografici Rilasciato il libretto di lavoro n. ________________________________________ in data ___________________ Rilasciato precedente libretto n. ________________________________________ in data ___________________ L’IMPIEGATO ADDETTO 2.2.2. L’iscrizione al collocamento L’ufficio di collocamento o Centro per l’impiego è l’istituto preposto dal Governo per favorire l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro; le sue funzioni, ai sensi del Dlgs 469/97, sono state demandate, nell’ottica di una politica di decentramento amministrativo, alle Regioni. 46 La disciplina del collocamento ordinario dispone che tutti i datori di lavoro hanno l’obbligo di ricorrere alle liste di collocamento e che “chiunque aspiri ad essere avviato al lavoro alle dipendenze altrui, debba iscriversi nelle liste di collocamento della Sezione circoscrizionale per l’impiego di competenza territoriale”. Nonostante la diffusa e spesso motivata sfiducia nei confronti dell’attuale sistema di collocamento, è importante iscriversi per i seguenti motivi: • È condizione per l’assunzione sia nel settore pubblico che privato; • È la manifestazione dello stato di disoccupato; • Per usufruire di assunzioni agevolate; i disoccupati di lunga durata, infatti, sono agevolati perché le aziende beneficerebbero di consistenti sgravi fiscali; • Per avere titolo a riserve di posti: fasce deboli, collocamento obbligatorio; • Per accedere ad iniziative occupazionali mirate: lavori socialmente utili, stage, lavori di pubblica utilità, piani di inserimento professionale, borse lavoro; • Per accedere ai benefici sull’imprenditorialità giovanile ex Legge regionale n. 28 del 1984; • Per accedere ai benefici sulla promozione del lavoro autonomo nel mezzogiorno: il prestito d’onore, ex articolo 9 septies Legge 608 del 1996; • Per accedere ai corsi di formazione professionale finanziati dall’Unione europea, dalla Stato o dalla Regione rivolti all’occupazione; • Per accedere ai progetti comunitari finalizzati a promuovere l’occupazione; • Per assunzioni nel settore pubblico: iscrivendosi al collocamento ed anche nella lista speciale per gli Enti pubblici, si può partecipare alle selezioni per accedere ai posti di livello non superiore al IV, nelle pubbliche ammini- strazioni, che ogni settimana si svolgono presso i Centri dell’impiego. Primo requisito è l’anzianità di iscrizione; • Per essere inserito in banche dati ed essere partecipi di preselezioni di personale su richiesta di aziende private. Per effettuare l’iscrizione alle liste di collocamento, il lavoratore deve presen- tarsi personalmente alla Sezione Circoscrizionale per l’Impiego in cui è compreso il Comune di residenza allegando alla domanda i seguenti documenti7: • documento personale di riconoscimento • libretto di lavoro • codice fiscale • certificato di stato di famiglia in carta semplice di data non anteriore a 6 mesi; nel caso il lavoratore sia straniero: permesso di soggiorno rilasciato dalla que- stura o dal Commissariato di Pubblica Sicurezza. Il lavoratore che ha avuto precedenti esperienze di lavoro, oppure ha frequentato corsi di formazione, ha certamente maggiori possibilità di trovare occupazione. È quindi utile dimostrare, al momento dell’iscrizione o successivamente, il pos- sesso di una o più qualifiche professionali, presentando la relativa documentazione: 7 In molti uffici è oggi possibile autocertificare la maggiore parte delle informazioni richieste. 47 ¾ titoli di studio (in fotocopia autenticata) ¾ diplomi di qualifica rilasciati da Istituti professionali di Stato ¾ attestati di qualifica rilasciati dai Centri di formazione professionale ricono- sciuti dalla Regione ¾ eventuali dichiarazioni di datori di lavoro, attestanti le mansioni svolte e la qualifica rivestita dal lavoratore ¾ eventuale curriculum vitae Se la documentazione non è sufficiente, è possibile chiedere alla sezione l’ac- certamento della qualifica. In questo caso il lavoratore verrà successivamente con- vocato presso un Centro di formazione professionale riconosciuto e sarà sottoposto ad una prova per l’accertamento della professionalità. Il Centro per l’impiego classifica i lavoratori in tre classi: • 1° classe: - lavoratori disoccupati o in cerca di prima occupazione; - lavoratori occupati a part-time con orario non superiore alle 20 ore settimanali e che aspirino ad una diversa occupazione - lavoratori avviati al lavoro con un contratto a tempo determinato di durata non superiore ai 4 mesi nell’anno solare • 2° classe: - lavoratori occupati che aspirino a diversa occupazione; • 3° classe: - pensionati. È interessante notare che conservano l’iscrizione alla 1°classe, i lavoratori avviati ad un’occupazione part-time non superiore a venti ore settimanali, oppure per uno o più rapporti la cui durata complessiva non superi i 4 mesi (120 giorni) nel- l’anno solare. Stessa regolamentazione è applicata anche ai lavoratori avviati a tempo indeterminato il cui rapporto, prima di aver raggiunto i quattro mesi nell’anno solare, sia cessato per dimissioni o licenziamento dovuto a qualsiasi causa, compreso il mancato superamento del periodo di prova. 2.2.2.1. L’assegnazione della qualifica professionale In base alla documentazione ed a quanto dichiarato nel modulo d’iscrizione, la sezione: 9 assegna la qualifica professionale, 9 attribuisce il punteggio8, 9 provvede all’inserimento nella graduatoria. Sulla base di detta graduatoria si provvede all’avviamento al lavoro. Soltanto in caso di parità di punteggio, prevale l’anzianità d’iscrizione e la maggiore qualifica- zione professionale. 8 Gli elementi per l’attribuzione del punteggio sono tre: • anzianità di disoccupazione (data di iscrizione al collocamento); • situazione reddituale personale; • numero delle persone a carico. 48 2.2.2.2. La procedura della revisione All’atto dell’iscrizione nelle liste di collocamento viene restituito il libretto di lavoro e consegnato il cosiddetto Tesserino Rosa (Mod. C/1) che deve essere periodi- camente vidimato, presso lo stesso ufficio, per confermare lo stato di disoccupazione e mantenere l’iscrizione alla lista. Tale iscrizione decade nei seguenti casi: 1) assunzione a tempo indeterminato; 2) assunzione a tempo determinato (anche part-time superiore alle 20 ore setti- manali nel privato e 18 nel pubblico impiego) per un periodo superiore a 4 mesi nell’arco dell’anno solare; 3) quando non si conferma lo stato di disoccupazione timbrando il libretto di la- voro una volta all’anno. Se non si osserva quest’obbligo, infatti, si viene au- tomaticamente cancellati dalla lista e si dovrà provvedere per una nuova pra- tica di reiscrizione nelle liste di disoccupazione. Eventuale documentazione giustificativa (ad esempio certificato medico) deve essere tempestivamente presentata alla Sezione; 4) quando non si risponde ad una convocazione senza giustificato motivo (gra- duatoria art.16 legge 56/87); 5) quando si rifiuta un lavoro a tempo indeterminato per il quale si è concorso per i posti all’asta; 6) quando si lavori con attività autonoma o parasubordinata (contratti di colla- borazione coordinata continuativa, prestazioni occasionali d’opera) per 4 mesi nel corso dell’anno solare e/o si superino i 7.000.000 di reddito lordo; 7) quando viene a cessare il rapporto di lavoro, per essere inseriti di nuovo nel- la lista occorre richiedere l’iscrizione. Se un lavoratore lavora per meno di 4 mesi è necessario che faccia richiesta subito di reinserimento, pena la non continuità dell’iscrizione; 8) infine si ricorda che i militari di leva conservano l’anzianità d’iscrizione solo se consegnano il foglio di congedo entro 15 giorni dalla fine del periodo di leva. Il disoccupato, iscritto presso il Centro per l’impiego nel cui territorio è il comune di residenza può, conservando l’anzianità già maturata e senza cambiare residenza, trasferire la propria iscrizione in altra circoscrizione del territorio nazionale. 2.2.3. Modalità di assunzione Le modalità di assunzione da parte delle aziende sono le seguenti: a) assunzione diretta b) assunzione numerica c) assunzione nominativa d) assunzione obbligatoria e) passaggio diretto ed immediato 49 AUTOCERTIFICAZIONE ALLA SEZIONE CIRCOSCRIZIONALE PER L’IMPIEGO DI Il sottoscritto _________________________________________ nato a ___________________________________ il ________________ residente a ________________________ in via/piazza _____________________________ cod.fisc. ____________________________________________ a conoscenza di quanto prescritto dall’articolo 26 della Legge n. 15 del 04/01/1968, il quale prevede testualmente che: “Le dichiarazioni mendaci, la falsità negli atti e l’uso di atti falsi nei casi previsti dalle legge, sono puniti ai sensi del Codice penale e dalle leggi speciali in materia” DICHIARA • di essere disoccupato alla data odierna • di avere lavorato nell’anno ______________ e di aver guadagnato l’importo di euro di possedere i seguenti titoli • titolo di studio di ____________________________ conseguito nell’anno _____________ con la votazione ____ • qualifiche professionali _______________________________________________________________________ • titoli di specializzazione _______________________________________________________________________ • titoli di abilitazione __________________________________________________________________________ • titoli di aggiornamento ________________________________________________________________________ Di avere a carico le seguenti persone conviventi: Codice fiscale ___________________ ___________________ _____________________ Cognome e nome ___________________ ___________________ _____________________ Data di nascita ___________________ ___________________ _____________________ Relazione di parentela ___________________ ___________________ _____________________ Data di iscrizione alla sezione ___________________ ___________________ _____________________ Reddito percepito ___________________ ___________________ _____________________ Dichiara inoltre di trovarsi nelle seguenti condizioni: Vedova/o dal __________________; Separata/o dal _____________________ ragazza madre Ai sensi della legge 675/96 i presenti dati saranno utilizzati ad esclusivo uso della formazione delle graduatorie nel rispetto della privacy. Addì ____________________ Letto, confermato e sottoscritto Ministero del Lavoro e della Previdwenza Sociale Allegati al paragrafo 2.2.2. L’iscrizione al collocamento 50 MODELLO DI DOMANDA PER L’ISCRIZIONE NELLE LISTE DI COLLOCAMENTO OBBLIGATORIO (1) ALL’UFFICIO PROVINCIALE DEL LAVORO E DELLA MASSIMA OCCUPAZIONE Il sottoscritto __________________________________________________________________________________ Nato a ________________________________________ (Prov. ______________) il ________________________ Residente a _________________________________ via ______________________________________________ Titolo di studio _________________________________ Professione ____________________________________ Invalido ____________________________________________________________________________________ Categoria e grado invalidità ______________________________________________________________________ Natura dell’invalidità ____________________________________________________________________________ Orfano di ____________________________________________________________________________________ Vedovo ______________________________________________________________________________________ Sordomuto ___________________________________________________________________________________ Chiede di essere inscritto nell’elenco degli ___________________________________________________________ di cui all’art. 19 della legge 2/4/68, n. 482, quale aspirante al collocamento in qualità di ______________________ ____________________________________________________________________________________________ Al riguardo allega i seguenti documenti: 1 - (indicare il documento concernente la sussistenza dei requisiti che danno titolo al collocamento) 2 - Attestato relativo alle attitudini lavorative e professionali possedute 3 - Stato di famiglia 4 - Dichiarazione legalizzata dall’ufficiale sanitario comprovante che per la natura ed il grado di invalidità o della mutilazione, non può riuscire di pregiudizio alla salute ed alla incolumità dei compagni ed alla sicurezza degli impianti e che le sue condizioni fisiche lo rendono idoneo a un proficuo lavoro nella suddetta qualifica (solo inv.) 5 - Dichiarazione dalla quale risultino i redditi goduti. ______________________, lì.______________________ (Firma) ________________________________________ (1) I modelli di domanda per l’iscrizione nelle liste del collocamento obbligatorio sono predisposti dagli Uffici provinciali del lavoro. È opportuno, pertanto, rivolgersi direttamente agli stessi uffici. A) Assunzione diretta Il Decreto legge n. 494 del 1994 ha introdotta l’istituto dell’assunzione diretta. Esso prevede che sia l’azienda a scegliere ed assumere direttamente il lavoratore e che successivamente questo dia comunicazione dell’avvenuta assunzione ai Servizi per l’Impiego. 51 L’assunzione rimane, dunque, un contratto che si stipula tra lavoratore ed azienda. Il primo accetta le condizioni offerte e si impegna al rispetto dei vincoli e delle norme indicate nel contratto, l’impresa si impegna a corrispondere la retribuzione indicata ed a garantire il rispetto delle regole contrattuali e legislative a tutela dei lavoratori. Il contratto di lavoro è normalmente a tempo indeterminato. L’assunzione può prevedere un periodo iniziale di prova la cui durata, diversa in relazione alla qualifica ed al livello, è fissato all’interno dei CCNL (contratti collettivi nazionali di lavoro). Il periodo di prova deve risultare per iscritto (art.2096 c.c.) nel contratto. Durante questo periodo le parti (datore di lavoro e lavoratore) possono liberamente sciogliere il contratto senza obbligo di preavviso. È consentito assumere direttamente: a) il coniuge, i parenti e gli affini non oltre il terzo grado; b) il personale avente funzioni direttive; c) i domestici, i portieri, gli addetti a studi professionali e tutti coloro che sono addetti ai servizi familiari; d) i lavoratori destinati ad aziende che non abbiano stabilmente più di tre dipen- denti o ad aziende rurali con non più di sei dipendenti, limitatamente a zone mistilingue o montane. Nel numero dei dipendenti non vanno computati gli apprendisti ed i giovani assunti con contratto di formazione e lavoro; e) i lavoratori di concetto o specializzati, assunti mediante concorso pubblico; f) i lavoratori esclusivamente a compartecipazione (es. mezzadri); È data inoltre facoltà al datore di lavoro di assumere immediatamente manodo- pera in tutti i casi in cui tale assunzione sia giustificata da urgente necessità di evi- tare danni alle persone o agli impianti. Qualora le prestazioni di tali lavoratori assunti direttamente si protraggano oltre il terzo giorno, il datore di lavoro è tenuto a darne comunicazione nominativa per l’e- ventuale convalida indicando i motivi e le condizioni di lavoro all’Ufficio competente. È ammessa l’assunzione diretta, in qualità di apprendista, dei figli del datore di lavoro, quella di manodopera nei casi d’urgente necessità, nei settori del turismo e dei pubblici servizi, quando non sono superiori ad un giorno e nel caso di passaggio da un’azienda all’altra. Le imprese artigiane possono assumere, con particolari modalità, direttamente gli apprendisti, previa comunicazione dell’avvenuta assunzione all’Ufficio di collo- camento, entro 10gg. I datori di lavoro artigiani hanno facoltà di assunzione degli ap- prendisti. B) Assunzione numerica A salvaguardia di alcune fasce deboli del mercato del lavoro permane l’obbligo dell’assunzione numerica per tutte le aziende nella misura del 12%. Beneficiari di questo tipo di assunzione sono: ¾ disoccupati di lunga durata iscritti da più di due anni nelle liste della I classe; ¾ lavoratori iscritti nelle liste di mobilità; 52 ¾ lavoratori appartenenti a categorie determinate mediante delibera della Com- missione Regionale per l’impiego, approvata dal Ministero del Lavoro. È da tenere presente che ai fini del computo della lista per le fasce deboli non si tiene conto delle assunzioni effettuate con contratto di Apprendistato e Contratto di formazione-lavoro. C) Assunzione nominativa Tutti i datori di lavoro privati possono fare assunzioni nominative, cioè possono scegliere liberamente il lavoratore da assumere, senza essere vincolati ad una graduatoria di precedenza. Hanno però l’obbligo di presentare alla sezione, entro 5 giorni, una comunicazione d’assunzione, indicando: ¾ nominativo del lavoratore assunto; ¾ la data di assunzione; ¾ il tipo di contratto; ¾ la qualifica; ¾ trattamento economico e normativo. In caso di inadempimento o di ritardo nell’adempimento, la legge prevede san- zioni amministrative. È possibile assumere con chiamata nominativa in tutti i settori e i lavoratori a compartecipazione (portieri, addetti a studi professionali, addetti ai servizi familiari). È vietata qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda l’ac- cesso al lavoro (legge 903/77, “Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro”). Eventuali deroghe sono ammesse soltanto per mansioni particolarmente pesanti che devono essere individuate dalla contrattazione collettiva. D) Assunzioni obbligatorie La legge n. 68 del 12 marzo 1999 entrata in vigore a decorrere dal 18 gennaio 2000 modifica in senso sostanziale quello che era il regolamento originario della legge n. 482 del 2 aprile del 1968 e la modifica soprattutto per quanto riguarda le dimensioni dell’azienda a cui fa riferimento; infatti, in base al nuovo impianto normativo le quote di riserva sono così modificate: sono obbligati all’assunzione di un disabile (assunzione nominativa) le aziende che occupano da 15 a 35 dipendenti solo in caso di nuove assunzioni; due lavoratori disabili per le aziende che occupano da 36 a 50 dipendenti (assunzione al 50% nominativa); nella misura del 7% degli occupati per i datori di lavoro che occupano oltre i 50 dipendenti (assunzione al 60% nominativa). Per il calcolo della base occupazionale bisogna fare riferimento al personale in forza al 31 dicembre di ogni anno, escludendo da tale calcolo i disabili occupati obbligatoriamente, gli assunti con contratto a termine di durata non superiore a nove mesi, i soci di cooperative di lavoro, i dirigenti, gli apprendisti, gli assunti con contratto di formazione lavoro e di reinserimento nonché i lavoratori a domicilio e considerando i lavoratori part time in proporzione all’orario svolto. 53 Ogni anno, i datori di lavoro tenuti all’applicazione della legge dovranno inviare un prospetto informativo al centro per l’impiego entro il 31 gennaio di ogni anno (limitatamente al 2000 entro il 31 marzo) indicando il numero com- plessivo dei lavoratori dipendenti e quello escluso dal computo; il numero ed i nominativi dei lavoratori disabili in forza computabili nella quota di riserva con l’indicazione del sesso, dell’età, della qualifica e dell’anzianità di servizio, nonché la tipologia di contratto di lavoro stipulato; il numero dei dipendenti svan- taggiati; il numero dei posti di lavoro e le mansioni disponibili per i lavoratori disabili da assumere. Le sanzioni sono di tipo amministrativo. E) Passaggio diretto ed immediato Il passaggio diretto ed immediato da un’azienda ad un’altra è ammesso per i soli lavoratori che già svolgono un’attività lavorativa in un’altra azienda. Per poter applicare la normativa del passaggio diretto non vi deve essere interruzione tra la cessazione del rapporto con l’azienda di provenienza e l’assunzione da parte della nuova azienda. Le aziende con più di 35 dipendenti sono sottoposte all’obbligo di assunzione del 15% dei dipendenti dalla lista del collocamento obbligatorio. 2.2.4. Interventi a sostegno delle cosiddette “fasce deboli” Accanto al collocamento ordinario la legge prevede interventi, sia a livello nazionale che locale, per favorire l’occupazione di alcune fasce di popolazione con- siderate “deboli” sul mercato del lavoro. A livello nazionale gli interventi previsti, oltre al collocamento dei disabili, di cui abbiamo parlato a proposito dell’assunzione obbligatoria, sono: 1) la riserva dei posti 2) gli sgravi fiscali per l’assunzione di alcune tipologie di soggetti. 1) Riserva di posti per categorie varie Le recenti disposizioni di legge vincolano i datori di lavoro che hanno alle proprie dipendenze più di 15 persone a riservare il 12% delle nuove assunzioni a favore delle tipologie di lavoratori. 2) Incentivi e sgravi all’assunzione di particolari categorie di lavoratori cassain- tegrati e disoccupati di lungo periodo La legge dispone che in caso di assunzioni con contratto a tempo indeterminato di lavoratori disoccupati da almeno 24 mesi o di lavoratori posti in Cassa Integra- zione guadagni straordinaria (CIGS) da almeno 24 mesi, quando le assunzioni non siano effettuate in sostituzione di lavoratori dipendenti dalle stesse imprese per qualsiasi causa licenziati o sospesi, il datore di lavoro può godere di una riduzione pari al 50% dei contributi previdenziali ed assistenziali per un periodo pari a 36 mesi; 54 Per i lavoratori in CIGS da almeno tre mesi, anche non continuativi, dipendenti da aziende beneficiarie da almeno 6 mesi di tale istituto, esiste un altro tipo di age- volazione. Per ogni assunzione a tempo pieno ed indeterminato scattano le seguenti misure: per 12 mesi la quota di contribuzione a carico del datore di lavoro è pari a quella prevista per gli apprendisti; in aggiunta è erogato un contributo mensile pari al 50% dell’indennità che sarebbe stata corrisposta al lavoratore (ciò vale fino al limite massimo di 9 mesi se il lavoratore assunto ha meno di 50 anni, e di 21 mesi se supera quest’età). La legge 223/91 contiene disposizioni nei riguardi di datori di lavoro che intendono assumere con contratto di reinserimento lavoratori che fruiscono da almeno 12 mesi della disoccupazione. Il beneficio consiste in una riduzione dei contributi previdenziali ed assistenziali nella misura del 75% e la durata dell’agevolazione, a partire dal momento in cui il lavoratore viene assunto, è: 12 mesi, se il lavoratore era disoccupato da non oltre 2 anni; 24 mesi, se il lavoratore era disoccupato da un periodo compreso tra i 2 e i 3 anni; 36 mesi, se il lavoratore era disoccupato da oltre 3 anni. Il datore di lavoro può optare, in alternativa, per una riduzione del 37,5% dei contri- buti previdenziali ed assistenziali per un periodo pari al doppio di quello di effettiva disoccupazione, non superiore in ogni caso a 72 mesi. I datori di lavoro, per poter godere delle agevolazioni previste, non devono avere sospensioni dal lavoro con utilizzo di cassa integrazione o, comunque, non aver proceduto a riduzioni del perso- nale nei 12 mesi precedenti, salvo casi particolari. Lavoratori in mobilità Al datore di lavoro che assuma i lavoratori iscritti nelle liste di mobilità sono concesse alcune agevolazioni; la legge prevede sgravi diversi se l’assunzione è a tempo indeterminato o determinato (non superiore a 12 mesi). ¾ Con l’assunzione a tempo indeterminato il datore di lavoro ha diritto ad un contributo mensile pari al 50% della indennità di mobilità che sarebbe stata erogata al lavoratore per un massimo di 12 mesi. Tale contributo è riscosso per un massimo di 24 mesi se il lavoratore ha un’età superiore a 50 anni. Inoltre per 18 mesi la quota contributiva è pari a quella prevista per gli apprendisti. ¾ Nel caso di un’assunzione a tempo determinato la quota di contribuzione a carico del datore di lavoro è quella prevista per gli apprendisti. Se il contratto viene trasformato a tempo indeterminato questo beneficio spetta per ulteriori 12 mesi in aggiunta al contributo sull’indennità di mobilità, presentato pre- cedentemente, dei lavoratori assunti a tempo indeterminato. Agevolazioni per l’assunzione dei giovani Per i giovani la legge prevede due istituti particolari: ¾ il contratto di formazione e lavoro; ¾ l’apprendistato. I datori di lavoro che assumono con contratto di formazione e lavoro possono usu- fruire di alcuni benefici che hanno lo scopo di sostenere l’inserimento professionale 55 delle fasce di giovani disoccupati e inoccupati (il contratto di formazione e lavoro può essere applicato a persone di età compresa fra i 16 ed i 32 anni). L’agevolazione prevede una riduzione del 25% dei contributi previdenziali ed assistenziali. La ridu- zione dei contributi sale al 40% per le imprese operanti nel settore commerciale e turistico con meno di 15 dipendenti. Per le imprese artigiane i contributi dovuti sono pari a quelli per gli apprendisti. La legge prevede, inoltre, un particolare contratto di formazione e lavoro volto ad agevolare l’inserimento mediante esperienza lavorativa per il quale sono previste le riduzioni citate precedentemente solo in caso di trasfor- mazione dello stesso in contratto a tempo indeterminato. Si specifica che la facoltà di assunzione mediante contratti di formazione e lavoro non è esercitabile dai datori di lavoro che, al momento della richiesta di avviamento, risultino non avere mantenuto in servizio almeno il 60% dei lavoratori il cui contratto di formazione e lavoro sia scaduto nei 24 mesi precedenti. Anche il contratto di apprendistato rappresenta un sostegno all’inserimento lavorativo e formativo dei giovani. Possono essere assunti come apprendisti i giovani dai 14 ai 24 anni; nel settore artigiano i contratti collettivi possono elevare l’età massima fino a 29 anni per qualifiche ad alto contenuto professionale. Per favorire la diffusione dell’apprendistato i contributi per le assicurazioni sociali e previdenziali sono previsti in forma estremamente ridotta, pur garantendo al giovane gran parte della tutela prevista per le altre categorie di lavoratori. Tali benefici contributivi sono mantenuti per un anno dopo la trasformazione del contratto di apprendistato in contratto a tempo indeterminato. In conclusione si può far presente che gli interventi nazionali a favore delle fasce deboli privilegiano due strumenti: il vincolo al datore di lavoro di riservare opportunità occupazionali ad alcune categorie di soggetti e la promozione attraverso incentivi e sgravi fiscali riservati ad una parte della forza lavoro. Il nuovo collocamento ordinario: la riforma Il collocamento pubblico ha svolto, fino ad oggi, principalmente un ruolo di certificazione dello stato di disoccupazione dei soggetti e di gestione burocratico- amministrativa delle liste di collocamento (iscritti, liste di mobilità, sussidi, etc.) e solo in misura marginale ha ricoperto un ruolo attivo di ricerca e selezione del personale. L’inadeguatezza di tale sistema ha fatto sì che da più parti (fruitori e parti sociali) se ne reclamasse a gran voce una complessiva ridefinizione. La riforma è stata finalmente realizzata attraverso l’emanazione di recenti prov- vedimenti di ampia portata, finalizzati a favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. A) Il primo importante riferimento normativo in materia è stato il Dlgs 469/97, che dando attuazione all’art. 1 della L. 59/97, ha sancito il conferimento alle Regioni e agli Enti locali di funzioni e compiti in materia di mercato del lavoro, determinando una radicale trasformazione del sistema del collocamento pubblico. 56 Punti chiave di questo provvedimento sono: 1) La soppressione delle SCICA; 2) L’istituzione del cosiddetto collocamento privato; 3) La creazione del Sil (Sistema informativo lavoro). 1) Il decreto delega alle Regioni – le quali devono quindi emanare proprie leggi per disciplinare il collocamento – le competenze in materia di: • Collocamento e avviamento al lavoro; • Politiche attive (Lsu, tirocini formativi e di orientamento, borse di lavoro). Sono competenze e funzioni che si vanno a integrare con quelle precedente- mente attribuite loro (formazione professionale, orientamento e osservazione del mercato del lavoro). Il sistema di decentramento alle Regioni e agli altri Enti locali delle funzioni e dei compiti in tema di mercato del lavoro realizza un sistema di deleghe sul territo- rio – dallo Stato alle Regioni e da queste alle Province – al fine di avvicinare sem- pre più le politiche per l’occupazione ai reali bisogni di uno specifico territorio. Più in particolare, la concentrazione dei servizi e la loro gestione si realizzano a livello locale, attraversi i Centri per l’impiego. In linea generale, il sistema di deleghe delinea un assetto in cui: a) a livello centrale viene mantenuto il ruolo generale di indirizzo, promozione e coordinamento; b) alle Regioni viene attribuito il ruolo di legislazione, organizzazione ammi- nistrativa, valutazione, progettazione e controllo dei servizi per l’impiego; c) alle Province quello di erogatore di servizi sul territorio, nonché di raccordo con altri Enti locali. 2) Il secondo elemento di forte rottura con il passato è il superamento del mo- nopolio pubblico della gestione dei servizi per l’impiego. La norma prevede, infatti, l’ingresso di soggetti privati nella gestione di servizi di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro. Nasce così il collocamento privato che svolge questa funzione di “tramite”. Le agenzie di collocamento svolgono un’attività di mediazione al fine di mettere in contatto lavoratore e azienda (in base alle richieste di quest’ultima), stipulare il contratto di lavoro e percepire per questo servizio svolto una provvigione che sarà a carico del solo datore di lavoro che ha commissionato la ricerca e la selezione. A differenza di quanto accade con le agenzie interinali, il lavoratore non è “affittato” dall’agenzia ma diventa dipendente (o lavoratore a tempo determinato) del posto dove va a lavorare Le agenzie di collocamento gestite da privati agiscono sotto il controllo del Ministero del Lavoro (Divisione I dell’impiego), che ha il potere di revocare l’auto- rizzazione, qualora riscontri, su segnalazione degli Ispettori del lavoro, violazioni alle disposizioni di legge che regolano i rapporti di lavoro e alle disposizioni che regolano il flusso di informazioni dagli uffici al Sil (Sistema informativo lavoro). Attualmente esistono 11 agenzie di collocamento privato sul territorio nazionale. 57 Partite inizialmente col cercare di soddisfare la richiesta da parte delle aziende di lavoratori con basse qualifiche, le agenzie di collocamento privato hanno sempre più ampliato il loro raggio d’azione e oggi sono in grado di coprire le richieste di mansioni di ogni tipo. La legge 469/97 impone alle agenzie di collocamento privato di: • occuparsi solo di mediazione tra lavoratori e aziende e di non svolgere attività di formazione del personale; • di avere un capitale versato di almeno centomila euro; questo riduce il numero delle imprese che sono in grado di costituirsi e iniziare un’attività; • di disporre di almeno due operatori per ogni sede regionale, assunti entro 30 giorni dal ricevimento dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività. L’attività di mediazione tra domanda e offerta di lavoro può essere esercitata, previa autorizzazione del Ministero del Lavoro, da: a) Imprese, o gruppi di imprese e società cooperative con capitale versato non inferiore a centomila euro; b) Enti commerciali con patrimonio non inferiore a centomila euro; c) Soggetti che possano disporre di uffici idonei; d) Soggetti in regola con le prescrizioni in materia di sicurezza e salute ai sensi del decreto legge 626/94. La realtà del collocamento privato è in rapidissima evoluzione. Quasi tutte le agenzie hanno allestito un proprio sito web, dove è possibile, per i lavoratori e le aziende, inserirsi nelle proprie banche dati. Collocare S.r.l. - Via Ostiense 131/L - Roma 065717421 - Fax 06 57174228 / Via Principe Amedeo 141 - Bari 0805283434. Agenzia romana di collocamento e selezione del personale. I curricula devono essere inviati per posta e per Fax: www.collocare.it - E-mail: collocare@bitnik.it Cronos Lavoro S.p.A. - Via Sallustio Bandini 1 - Siena 0577247863. Si occupa di preselezione e valutazione del personale. Il lavoratore può inserire il proprio c.v. nella banca dati attraverso il sito. Anche le aziende pos- sono accedere al sito per richiedere il profilo del tipo di candidato desiderato. Visibili alcune inserzioni e annunci. www.cronos-lavoro.com - E-mail: cronoslavoro@io.it Emporio dei Lavori - Via Copernico 53 - Milano 0267397940. Prima agenzia di collocamento privato auto- rizzata in Lombardia; fondata da quattro enti (ACLI, CISL, ConfCooperative) e divisa in sedi territoriali, offre servizio di banca dati e selezione del personale. Molte pagine del sito sono ancora in costruzione: per adesso il c.v. può essere portato o inviato agli sportelli di uno dei quattro enti fondatori. Effettua anche servizio di test di valutazione e preselezione. Sono visibili alcune offerte di lavoro. ww.emporiodeilavori.it - E-mail: emplav- @tin.it Job on Line S.a.s. - C.so Piave 50 - Pinerolo (To) 012176554 / Via Vittorio Bersezio 19 - Cuneo 017169700. Selezione e valutazione del personale, sia i lavoratori che le aziende possono accedere e registrarsi attraverso il sito. Alcune offerte di lavoro sono visibili. www.job-on-line.com - E-mail: jobonline.piw.it Job Point s.p.a. - Via Carmigliani 22 - Roma 06729901. Nasce nel 1995 come azienda di supporto di alcuni consorzi di servizio e di aziende di logistica, facchinaggio e altri servizi, in tutte le situazioni in cui bisogna prevenire l’improvvisa mancanza di personale qualificato. Servizio di selezione e ricerca del personale, regi- strazione nel database attraverso il sito, e servizio di orientamento per i disoccupati. www.jobpoint.it Labor S.r.l. - Via Orazio 35 - Bolzano 0471401074 Media-Work / Via Gramsci 6 - Ellera di Corciano (PG) 0755173102. Prima agenzia di collocamento privato in Umbria. Selezione del personale e invio di c.v. e moduli di richiesta di personale attraverso il sito. www.media-work.it - E-mail: media-work@media-work.it Progetto Impiego S.r.l. - P.za Colombo 3/8 - Genova 0105959805 - E-mail: proimp@katamail.com 58 3) Infine, per rispondere alle esigenze di omogeneizzazione delle informazioni raccolte da ogni singolo contesto in tema di collocamento, impiego, formazione ed orientamento, e per disporre in tempo reale di una base informativa sul mercato del lavoro utile sia alle persone in cerca di un impiego sia alle aziende è stato creato il Sistema informativo lavoro (Sil). Tramite il Sil è possibile una connessione e uno scambio di dati tra il Ministero del lavoro, Regioni ed Enti locali e soggetti autorizzati alla mediazione tra doman- da e offerta. I soggetti autorizzati sono tenuti a trasmettere al Sil entro 48 ore i dati relativi alle richieste di personale da parte di ogni singolo datore di lavoro. Ciascuna ricerca è diffusa dal Sil su tutto il territorio nazionale in forma anonima, in modo tale che gli interessati possano presentare le candidature direttamente al soggetto che ha richiesto l’inserzione. B) Il secondo intervento normativo è il Dlgs 21 Aprile 2000 “Disposizioni in materia di incontro tra domanda e offerta di lavoro”. Gli elementi innovativi introdotti da questo provvedimento sono: 1) Nuove modalità per la dichiarazione dello stato di disoccupazione. Il prov- vedimento stabilisce che l’interessato entro 180 giorni dall’entrata in vigore del suddetto decreto dovrà presentare al centro per l’impiego competente una dichiarazione volta a indicare l’immediata disponibilità dello stesso allo svol- gimento di un’attività lavorativa. 2) Nuove modalità per l’accertamento del permanere dello stato di disoccupa- zione. I Centri per l’impiego verificheranno il permanere dello stato di disoc- cupazione attraverso un sistema di interviste periodiche volte, in alternativa, a: • offrire un servizio di orientamento entro sei mesi dall’inizio dello stato di disoccupazione; • promuovere l’adesione a iniziative di inserimento lavorativo o di forma- zione e/o riqualificazione professionale. 3) Cause della perdita dello stesso. È prevista la perdita dello stato di disoccu- pazione nel caso in cui il disoccupato o l’inoccupato non si presenti al colloquio di orientamento. Si perde invece l’anzianità dello stato di disoc- cupazione, se si rifiuta un’offerta di lavoro a tempo indeterminato, determi- nato o di lavoro temporaneo di durata superiore a quattro mesi formulata dai servizi per l’impiego ed ubicata nel raggio di 50 km dal domicilio del lavoratore. Quanta - Energia Lavoro S.p.A. - C.so Pta Ticinese 12 - 0283387222 - Sud Lavoro S.r.l. / Via S. Lucia 20 - Battipaglia (SA) 08286300 / Via G. Dalla Chiesa - Capaccio Paestum (SA). Ufficio di collocamento privato fondato nel 1999, effettua servizio di raccolta dei curriculum, formazione del data base, colloqui preliminari di valutazione. Tra i suoi obiettivi pone anche l’incentivazione di imprese ed enti locali ad attivare corsi di formazione professionali per fornire le competenze che il mercato richiede. www.sudlavoro.it - E-mail: sudlavoro@tin.it - Unimpiego S.r.l. - Via Fanti 17 Torino - 0115718279/0115718480. 59 C) Il Consiglio dei Ministri il 9 Giugno 2000 ha approvato in via definitiva il nuovo regolamento per il collocamento ordinario. Con questo atto si completa la riforma del collocamento. Esso fornisce i criteri organizzativi a cui devono attenersi i nuovi servizi per l’impiego e, in particolare, il nuovo regolamento prevede: 1) l’istituzione di un elenco anagrafico delle persone in cerca di lavoro (art. 4); esso deve contenere i dati relativi a: - residenza o eventuale domicilio; - composizione nucleo familiare; - titolo di studio posseduto; - eventuale appartenenza a categorie protette e allo stato occupazionale. L’aggiornamento di tale elenco è su base volontaria da parte del lavoratore e d’ufficio, sulla base delle comunicazioni obbligatorie provenienti dai datori di lavoro, società di fornitura di lavoro temporaneo e soggetti autorizzati all’attività di media- zione tra domanda e offerta. 2) l’istituzione di una scheda personale contenente tutte le informazioni relative alle esperienze formative e professionali e alla disponibilità del lavoratore (art. 5). Viene rilasciata dal Centro per l’impiego competente e può contenere anche i dati relativi alle certificazione delle competenze professionali in raccordo con le disposizioni in materia di formazione professionale. Si prevede, inoltre, da parte delle Regioni, il rilascio alle persone in cerca di lavoro di una carta elettronica personale contenente le chiavi di accesso al Sil. 3) obblighi di comunicazione dei datori di lavoro e delle imprese fornitrici di lavoro temporaneo ai lavoratori e ai Centri per l’impiego. In particolare: - all’atto dell’assunzione e prima dell’inizio della prestazione lavorativa, i datori di lavoro (pubblici e privati) devono consegnare ai lavoratori una dichiarazione contenente i dati della loro registrazione e informarli sulle condizioni applicabili al contratto/rapporto di lavoro; - entro cinque giorni lavorativi dalla data di assunzione i datori di lavoro devono fornire al Centro per l’impiego competente la comunicazione del nominativo del lavoratore, nonché della data di assunzione, della tipologia contrattuale, della qualifica professionale e del trattamento economico e normativo. Sono altresì tenuti a comunicare la cessazione dei rapporti di la- voro entro i cinque giorni successivi, che diventano due giorni se il rapporto lavorativo non è di durata superiore ai dieci giorni. - entro dieci giorni, le imprese fornitrici di lavoro temporaneo devono comunicare al Centro per l’impiego competente per il territorio in cui è ubicata la loro sede operativa, l’assunzione, la proroga e la cessazione dei lavoratori temporanei. 61 3. I VARI TIPI DI CONTRATTO 3.1. Il contratto di lavoro subordinato Il contratto di lavoro subordinato è l’accordo con il quale il lavoratore si impegna a prestare la propria attività lavorativa all’interno dell’organizzazione produttiva del datore di lavoro, che si obbliga a pagare la retribuzione. 3.1.1. Procedura di stipulazione del contratto Il contratto di lavoro subordinato può essere concluso sia oralmente che in forma scritta. In alcuni casi la forma scritta è obbligatoria, come per il part-time, il contratto a tempo determinato, il contratto di formazione e lavoro. Secondo le disposizione del D.Lgs. n.152/97, tuttavia, il datore di lavoro è tenuto a fornire al lavoratore in forma scritta alcune informazioni sul contenuto del contratto, anche nel caso in cui sia stato stipulato verbalmente. Si tratta, in particolare, delle informazioni riguardanti • il luogo e l’orario di lavoro • la durata del contratto (se è a tempo determinato) • le mansioni assegnate al lavoratore e il conseguente inquadramento • l’importo della retribuzione • la durata delle ferie Tutte queste notizie devono essere fornite al lavoratore tramite la lettera di assunzione oppure in un altro documento scritto, che dev’essere consegnato entro trenta giorni dalla data dell’assunzione. 3.1.2. Periodo di prova Una delle clausole più comuni del contratto di lavoro è il patto di prova. Con il patto in esame, che serve a verificare la convenienza di entrambe le parti a rendere definitivo il rapporto, datore di lavoro e lavoratore stabiliscono che per un determinato periodo di tempo ciascuno dei due contraenti potrà recedere dal contratto senza necessità di motivazione e senza dover dare il preavviso. La durata del patto di prova è generalmente prevista dai contratti collettivi, ma in ogni caso, secondo la legge, non può superare sei mesi, oltre il quale il rapporto diviene definitivo ed il periodo di prova si computa nell’anzianità di servizio del lavoratore. Il lavoratore durante il periodo di prova ha diritto al trattamento di tutti gli altri lavoratori. 62 3.1.3. L’assegnazione della qualifica All’atto della richiesta di personale inoltrata presso la Sezione circoscrizionale per l’impiego, il datore di lavoro deve precisare la qualifica e la categoria che intende assegnare ai lavoratori e deve darne comunicazione agli stessi non appena si pre- sentano al posto di lavoro. Spesso le lettere di assunzione non contengono una de- scrizione analitica delle mansioni e cioè dell’insieme delle prestazioni del contratto di lavoro; in esse ci si limita spesso a richiamare l’inquadramento contrattuale (es.: impiegato di I° livello, 2° o 3°, quadro, operativo) volendo riferirsi soltanto ad una certa posizione gerarchica all’interno dell’organizzazione produttiva. Tale individuazione elastica risponde ad un’esigenza di flessibilità delle imprese: il nostro ordinamento infatti riconosce al datore di lavoro la possibilità di modificare le mansioni del lavoratore sia in senso verticale, cioè innalzando e migliorando il livello di inquadramento del proprio dipendente all’interno della scala gerarchica, ma anche in senso orizzontale cioè modificando le mansioni assegnate purché anche nello svolgimento delle nuove mansioni il lavoratore possa utilizzare quel patrimonio di professionalità in precedenza acquisito. Si noti che il lavoratore non può essere adibito a mansioni che non siano equi- valenti a quelle risultanti dalla richiesta di avviamento. Al lavoratore devono essere assegnate le mansioni (vale a dire i compiti, le attività) per le quali è stato assunto, o quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito, o le mansioni equivalenti alle ultime effettiva- mente svolte; inoltre non è ammessa alcuna diminuzione della retribuzione. È opportuno che il lavoratore consulti il contratto collettivo di lavoro applicato dall’impresa nella quale è stato assunto, il quale è reperibile, normalmente, presso un sindacato o presso le librerie. Il lavoratore potrà così conoscere i suoi diritti e i suoi doveri e quali comportamenti adottare in particolari situazioni, come, ad esempio, malattia, maternità, dimissioni, ecc. Risulta inoltre necessario conoscere l’eventuale regolamento interno dell’im- presa per non incorrere in multe o sanzioni (v. ritardi, mancato rispetto delle norme antifortunistiche, ecc.). 3.1.4. Diritti ed obblighi del datore di lavoro e del lavoratore Oltre all’obbligazione principale che è quella di prestare l’attività lavorativa oggetto del contratto di lavoro, egli è tenuto all’osservanza di una serie di obblighi secondari, ugualmente importanti per il normale funzionamento del rapporto di lavoro. Essi sono: • obbligo di diligenza: è quello che impone al lavoratore di svolgere la propria prestazione lavorativa osservando la diligenza richiesta in relazione all’incarico affidato; • obbligo di obbedienza: il lavoratore sarà tenuto nelle sue mansioni in osser- vanza delle direttive tecniche che saranno impartite dal datore di lavoro o dai superiori gerarchici; 63 • obbligo di fedeltà: durante il rapporto di lavoro il dipendente è tenuto a non svolgere attività lavorative in concorrenza con il proprio datore di lavoro e a non divulgare notizie ed informazioni relative all’organizzazione produttiva. La violazione degli obblighi appena descritti come il mancato adempimento del- l’obbligo di prestare l’attività lavorativa potrà essere sanzionato dal datore di lavoro con l’erogazione di provvedimenti disciplinari. Essi possono variare dal semplice richiamo scritto o verbale alla sospensione disciplinare sino al massimo provvedi- mento costituito dal licenziamento. In corrispondenza degli obblighi spettanti al lavoratore, al datore di lavoro per legge sono conferiti i seguenti poteri: • potere direttivo cioè il potere di decidere l’attività da affidare al lavoratore e le modalità con le quali devono essere svolte; • potere di vigilanza e controllo cioè la facoltà di verificare direttamente o attraverso i propri collaboratori che il lavoratore si attenga alle istruzioni date; • potere disciplinare cioè il potere di punire con sanzioni disciplinari il lavora- tore che non rispetti gli obblighi principali e secondari. Dalla conclusione del contratto derivano alcuni obblighi previsti espressamente dalla legge in capo a ciascuna delle due parti: il lavoratore è tenuto ad osservare le di- rettive del datore per lo svolgimento del lavoro, mentre il datore di lavoro è obbligato, oltre che a pagare la retribuzione, a garantire la sicurezza nell’ambiente di lavoro. 3.1.5. Cessazione del rapporto di lavoro Un rapporto di lavoro può interrompersi per vari motivi: • pensionamento per raggiunti limiti di età o di anzianità di servizio; • dimissioni da parte del lavoratore; • licenziamento individuale da parte del datore di lavoro. Dimissioni da parte del lavoratore Il lavoratore che desidera dare le dimissioni ha unicamente l’obbligo del preav- viso, ossia una comunicazione che deve essere inviata al datore di lavoro nel rispetto dei termini fissati dai CCNL, la cui durata è stabilita dai contratti collettivi. In man- canza del preavviso il lavoratore è tenuto al pagamento di una indennità equivalente alla retribuzione corrispondente ai giorni di preavviso non lavorati. Il preavviso non è dovuto durante il periodo di prova o se le dimissioni avven- gono per giusta causa (es. il datore di lavoro non paga lo stipendio). Le dimissioni diventano irrevocabili nel momento in cui il datore di lavoro ne giunge a conoscenza; non sono soggette a verifica, vincolo, accettazione o permesso da parte del datore di lavoro, nè il lavoratore è tenuto a comunicare le motivazioni che lo inducono ad interrompere il rapporto. Durante il preavviso il lavoratore non può usufruire di periodi feriali. Per evitare contestazioni si consiglia di utilizzare sempre la forma scritta con rac- comandata A/R, anche se ciò non è espressamente previsto dal contratto. 64 Per evitare che le dimissioni siano presentate a seguito di sollecitazione da parte del datore di lavoro, la legge richiede l’adempimento di specifiche formalità in casi meritevoli di speciale tutela: • quando le dimissioni della lavoratrice sono presentate nel periodo che inter- corre fra la richiesta delle pubblicazioni di matrimonio ed un anno dopo la celebrazione delle nozze. Le stesse sono valide solo se convalidate entro 30 giorni dal Servizio lavoro (Ispettorato del lavoro); • quando le dimissioni della lavoratrice sono presentate dall’inizio del periodo di gestazione fino al compimento di 1 anno di età del bambino. Le dimissioni devono essere convalidate dal Servizio lavoro (Ispettorato del lavoro). Licenziamento individuale da parte del datore di lavoro Qualora sia il datore di lavoro a decidere di risolvere il rapporto, il nostro ordi- namento prevede una disciplina particolare a tutela della posizione dei lavoratori. Il datore di lavoro potrà risolvere il rapporto con o senza preavviso solamente in presenza di ¾ una giusta causa ¾ un giustificato motivo. Per giusta causa s’intende un comportamento scorretto del lavoratore talmente grave da annullare il rapporto di fiducia che deve esistere tra datore di lavoro e dipendente e non consentire la prosecuzione neppure temporanea del rapporto. A titolo esemplificativo rientrano in questo ambito situazioni quali: • grave insubordinazione ai superiori; • furto nell’azienda; • danneggiamento volontario di materiale dell’azienda. Il giustificato motivo è, invece, un evento che sebbene imputabile alla persona del lavoratore consenta l’espletamento del normale periodo di preavviso e si definisce: • soggettivo, quando si è in presenza di gravi mancanze del lavoratore rispetto a obblighi contrattuali (ad esempio assenza ingiustificata oltre 4 giorni con- secutivi, abbandono del posto di lavoro da parte del personale cui sono affi- date mansioni di sorveglianza, custodia); • oggettivo, quando il licenziamento trova origine in ragioni legate anche al- l’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al suo regolare funzio- namento (ad esempio la riduzione dell’attività lavorativa, come conseguenza della soppressione o della trasformazione dell’attività stessa, imposta da mo- tivi economici). Il datore di lavoro ha l’obbligo, quando intende disporre un licenziamento, di seguire delle procedure che salvaguardino la possibilità del lavoratore di contestare il licenziamento stesso: deve comunicare per iscritto il licenziamento e, qualora richiesto dal lavoratore, deve indicare i motivi dello stesso. Nel caso in cui la comunicazione non avvenga per iscritto il licenziamento non 65 è efficace. Se la lettera non contiene i motivi del licenziamento, il lavoratore può farne richiesta entro 15 giorni ed il datore di lavoro è obbligato a rispondere per iscritto entro i 7 giorni successivi alla richiesta. La legge prevede anche che il lavoratore possa opporsi al provvedimento; deve però comunicare tale opposizione per iscritto ed entro 60 giorni. La contestazione del licenziamento va fatta per iscritto, con lettera raccomandata inviata al datore di lavoro. In caso di licenziamento illegittimo si applicano due differenti sistemi sanzio- natori. In relazione a determinati requisiti occupazionali, infatti, il datore di lavoro può essere condannato a: • reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro occupato in precedenza (c.d. tutela reale) oppure • può scegliere tra la riassunzione od il pagamento di una penale (c.d. tutela obbligatoria). L’indennità di disoccupazione I lavoratori disoccupati per • scadenza dei termini del contratto • licenziamento da parte del datore di lavoro • dimissioni hanno diritto ad una indennità di disoccupazione. Il lavoratore per percepire tale indennità deve: • iscriversi nella lista di disoccupazione della Sezione circoscrizionale per l’impiego; • avere due anni di anzianità assicurativa (debbono essere trascorsi due anni dall’inizio dell’assicurazione). Il trattamento di fine rapporto In ogni caso di risoluzione del contratto, il lavoratore ha sempre diritto al paga- mento del trattamento di fine rapporto. Esso è rappresentato da un importo annuo che il datore di lavoro accantona durante lo svolgimento del rapporto di lavoro, pari a circa una mensilità della retri- buzione. 3.2. Il contratto a tempo indeterminato La sua caratteristica è quella di non prevedere un termine di scadenza. Secondo la legge il contratto di lavoro deve ritenersi normalmente di questo tipo. Questo con- tratto permette di tutelare il lavoratore attraverso l’acquisizione di maggiori garan- zie di stabilità del posto di lavoro. 66 3.3. Il contratto a tempo determinato 3.3.1. Natura ed obiettivi Il contratto di lavoro subordinato può prevedere esplicitamente nella lettera di assunzione la data di scadenza. Al contratto a tempo determinato, il datore di lavoro può ricorrere solo nei casi tassativamente previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva. In particolare, la legge consente l’apposizione del termine nei seguenti casi: • attività stagionali (ad es. nel settore del turismo e commercio), cioè in tutti quei casi in cui è necessario far fronte ad un incremento di attività straordinario e occasionale che si verifica in alcuni settori e soltanto in determinati periodi dell’anno; • sostituzione di lavoratori temporaneamente assenti dal lavoro con diritto alla conservazione del posto, (tipico caso quello della lavoratrice in gravidanza); • per la realizzazione di eventi particolari del mondo dello spettacolo o della televisione che richiedono maestranze specializzate. 3.3.2. La procedura A causa del carattere di eccezionalità di questo tipo di contratto, il legislatore ha introdotto alcuni requisiti formali e sostanziali per la sua conclusione, l’inosservanza dei quali trasforma il rapporto in un contratto a tempo indeterminato. Il contratto deve essere, quindi, necessariamente stipulato: • in forma scritta1 e • sottofirmato dal lavoratore. 3.3.3. La proroga del contratto Con l’emanazione del Dlgs n. 368/2001, in attuazione della Direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES, sono state introdotte importanti novità per ciò che concerne la disciplina sanzionatoria del contratto a termine. Prima dell’entrata in vigore della nuova normativa, la prosecuzione del rapporto di lavoro oltre la scadenza stabilita, comportava la trasformazione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato. La nuova disciplina, invece, prevede che le aziende possano richiedere ai lavo- ratori la prosecuzione del rapporto a tempo determinato oltre il periodo fissato nel contratto. Si tratta di un margine di tempo cioè, entro il quale il rapporto può prose- guire oltre la scadenza prevista. In particolare, se il contratto ha una durata inferiore ai sei mesi, tale margine è fissato in 20, se superiore ai sei, il margine è di 30 giorni. 1 La forma scritta è indispensabile per qualsiasi contratto a tempo determinato, a prescindere dal settore in cui è collocata l’impresa, e quindi anche nel turismo e in agricoltura. 67 La legge ha previsto, inoltre, che, in caso di prosecuzione del rapporto di lavoro oltre il termine prestabilito, il lavoratore ha diritto ad una maggiorazione della retri- buzione pari al 20% fino al 10° giorno successivo alla scadenza iniziale, e al 40% per ogni giorno ulteriore. La trasformazione in contratto a tempo indeterminato avviene solo nell'ipotesi di superamento del margine stabilito dalla legge. Infine, la nuova disciplina prevede che se il lavoratore viene riassunto con con- tratto a termine entro 10 giorni dalla scadenza di un precedente contratto (di durata inferiore ai sei mesi), o 20 giorni (di durata superiore ai sei) il secondo contratto deve considerarsi a tempo indeterminato. 3.3.4. Modalità di risoluzione del contratto Per quanto concerne la risoluzione del contratto il lavoratore, sino alla scadenza del termine, non può essere licenziato se non per giusta causa. Il licenziamento intimato senza giusta causa prima del termine comporta il risarcimento del danno, calcolato in base alle retribuzioni a cui il lavoratore avrebbe avuto diritto se il rapporto fosse proseguito fino alla scadenza del termine. Non è possibile neppure il licenziamento per giustificato motivo. Anche in questo caso, l’azienda è tenuta a corrispondere tutte le retribuzioni, calcolate fino al termine del contratto. 3.3.5. Trattamento economico e normativo - Inquadramento Infine, al lavoratore assunto con contratto a tempo determinato spetta il mede- simo trattamento previsto per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato (ferie, mensilità aggiuntive ed ogni altro trattamento in atto nell’impresa in proporzione al periodo lavorativo prestato). 3.4. Il contratto a tempo pieno La legge sull’orario di lavoro (ferma al 1923) fissa il normale orario di lavoro a 8 ore al giorno e 48 alla settimana; di fatto, allo stato attuale, esso varia fra le 36 e le 40 ore settimanali. 3.5. Il contratto a tempo parziale (part-time) 3.5.1. Natura ed obiettivi Viene definito contratto a tempo parziale (part-time) quell’attività lavorativa svolta per un orario inferiore rispetto a quello ordinario, previsto dai contratti col- lettivi di lavoro, oppure eseguibile in periodi predeterminati nel corso della settimana, del mese o dell’anno. 68 3.5.2. La procedura Il contratto deve essere concluso con forma scritta e deve esplicitamente indicare: - le mansioni del lavoratore; - la distribuzione dell’orario di lavoro, con riferimento al giorno, settimana, mese ed anno. Ogni eventuale modifica dell’orario di lavoro deve essere preventivamente con- cordata tra il datore di lavoro e il lavoratore. Così come è indispensabile l’accordo di entrambi le parti per un’eventuale trasformazione del contratto da part-time in full-time. 3.5.3. Trattamento economico e normativo - Inquadramento È importante ricordare che: • la retribuzione e i contributi previdenziali sono proporzionali alla quantità di ore lavorate; • il contratto va stipulato per iscritto e da esso deve risultare l’accordo delle parti alla definizione dell’orario ridotto; • non è possibile prestare lavoro straordinario; • le percentuali dei dipendenti assunti con questo tipo di contratto possono venire decise dalla contrattazione collettiva; • i lavoratori a tempo parziale hanno il diritto di precedenza, nel caso l’azienda faccia nuove assunzioni, nel trasformare il rapporto da parziale a tempo pieno; • il periodo feriale per i lavoratori assunti con contratto di lavoro part-time è uguale a quello previsto per il tempo pieno. 3.5.4. Le tipologie di contratto part-time Il rapporto di lavoro a tempo parziale può essere: • parziale orizzontale, quando si ha una prestazione lavorativa ad orario inferiore a quello ordinario in tutti i giorni della settimana; • parziale verticale quando si ha una prestazione lavorativa ad orario comples- sivamente inferiore rispetto a quella ordinaria, ma concentrata solo in alcuni giorni della settimana, del mese o in alcuni mesi dell’anno. 3.6. Il contratto di formazione e lavoro 3.6.1. Natura ed obiettivi Il contratto di formazione e lavoro (C.F.L.) è un contratto di lavoro a tempo de- terminato a causa mista, nel quale la previsione del termine è funzionale alla finalità formativa. Infatti, da un lato sono previste le obbligazioni tradizionali del rapporto di lavoro subordinato (prestazione del lavoratore e retribuzione corrisposta dal datore di lavoro), dall’altro l’obbligo, per il datore di lavoro, di impartire un’istruzione che 69 consenta al lavoratore di acquisire risultati formativi. 3.6.2. Destinatari e tipologia del contratto di formazione-lavoro Possono essere assunti con contratto di formazione e lavoro persone di età com- presa tra i 16 e i 32 anni 2. La legge prevede i seguenti due tipi di contratto di formazione-lavoro che si dif- ferenziano per: ¾ obiettivi ¾ durata ¾ formazione minima. Il tipo A ha una durata massima di 24 mesi e si suddivide ulteriormente in: • C.F.L. mirato all’acquisizione di professionalità intermedie che prevedono una formazione di almeno 80 ore; • C.F.L. mirato all’acquisizione di professionalità elevate che prevedono una formazione di almeno 130 ore. Il tipo B ha una durata massima di 12 mesi, e comprende tutti quei contratti di formazione e lavoro miranti ad agevolare l’inserimento professionale mediante un’esperienza lavorativa che consente un adeguamento delle capacità professionali al contesto produttivo ed organizzativo. Questi contratti di formazione e lavoro poi prevedono una formazione minima di base relativa alla: ¾ disciplina del rapporto di lavoro ¾ organizzazione del lavoro ¾ prevenzione ambientale ¾ antinfortunistica. 3.6.3. Trattamento economico e normativo - Inquadramento Essendo questo tipo di contratto finalizzato all’acquisizione di una formazione e di una specializzazione, il livello di inquadramento dei giovani assunti con contratto di formazione-lavoro può essere inferiore a quella spettante ai lavoratori con contratto a tempo indeterminato che svolgano le stesse mansioni. Il giovane, al momento dell’assunzione, deve ricevere copia del contratto indi- viduale che deve indicare: • durata del contratto; • il livello/categoria di ingresso; • il livello/categoria di uscita al momento di fine contratto. e copia del progetto formativo. Sia il contratto di formazione e lavoro di tipo A che di tipo B può essere tra- sformato in contratto a tempo indeterminato. 2 Per i profughi italiani i limiti di età sono derogabili. I lavoratori iscritti nelle liste del colloca- mento obbligatorio assunti con CFL sono considerati utili per la copertura delle percentuali d’obbligo. 70 3.6.4. La procedura di stipulazione Il contratto di formazione e lavoro deve essere stipulato per iscritto. Il datore di lavoro deve dare comunicazione dell’avvenuta assunzione alla Sezione Circo- scrizionale per l’Impiego competente entro 5 giorni. Sempre allo stesso ufficio deve inviare anche copia del progetto di formazione approvato. All’atto dell’assunzione debbono essere consegnate al lavoratore copia del contratto di formazione e lavoro e relativo progetto, nonché la copia dell’Accordo Interconfederale. Non possono essere stipulati CFL per il conseguimento di qualificazioni inqua- drate nei più bassi livelli dei CCNL. 3.6.5. Trattamento economico e normativo - Inquadramento Ai lavoratori assunti con CFL viene riconosciuto un trattamento retributivo cor- rispondente ai minimi tabellari ed ai valori dell’indennità di contingenza stabiliti per categoria e inquadramento. Inoltre i lavoratori, durante il rapporto di formazione e la- voro, hanno diritto a tutte le maggiorazioni retributive previste dai CCNL per speci- fiche caratteristiche della effettiva prestazione lavorativa: • lavoro a turni • notturno • festivo e a beneficiare di tutti servizi aziendali (ad es. mensa, trasporto, indennità sostitutive). La categoria di inquadramento non potrà essere inferiore per più di un livello a quella spettante in applicazione del CCNL, ai lavoratori addetti a mansioni o fun- zioni che richiedono qualificazioni corrispondenti al conseguimento delle quali è preordinato il CFL. Nel caso il progetto preveda il conseguimento del penultimo livello, il passaggio del lavoratore a tale livello dovrà avvenire comunque dopo 6 mesi. 3.6.6. Trattamento di malattia e infortunio non sul lavoro I giovani assunti con CFL hanno diritto alla indennità di malattia in base alle nor- me comuni ed entro i limiti temporali previsti per i lavoratori a tempo determinato. In particolare: 1. non possono essere corrisposte indennità e trattamenti economici per perio- di successivi alla cessazione del rapporto di lavoro a tempo determinato; 2. le indennità di malattia sono corrisposte per un periodo non superiore a quel- lo di attività lavorativa nei dodici mesi precedenti l’evento; nel caso in cui nei dodici mesi precedenti il lavoratore non possa far valere periodi lavorativi superiori a 30 giorni, indennità e trattamenti economici sono concessi per un periodo massimo di 30 giorni nell’anno solare e l’indennità è corrisposta direttamente dall’INPS; 71 3. il datore di lavoro non può corrispondere l’indennità di malattia per un nu- mero di giornate superiori a quelle lavorative del dipendente (per i giorni successivi l’INPS eroga direttamente al lavoratore l’indennità)3. 3.6.7. Orario di lavoro Il rapporto di lavoro con CFL si può instaurare sia a tempo pieno che ad orario ridotto: l’orario ridotto deve essere indicato nel progetto. Il contratto di formazione può essere trasformato da full-time a part-time e viceversa. 3.6.8. La proroga La legge stabilisce che il rapporto di formazione e lavoro non è rinnovabile. È ammesso il differimento del termine nel caso in cui il lavoratore non abbia potuto completare l’iter formativo a causa di sospensione del rapporto (malattia, infortunio, maternità, servizio militare ecc.). 3.6.9. Benefici contributivi Al fine di stimolare la stipulazione di questi contratti e promuovere l’occupa- zione giovanile, il legislatore ha previsto alcuni incentivi, quali agevolazioni contri- butive, e l’esclusione dei giovani assunti con CFL dal computo della base occupa- zionale su cui si calcola la quota delle assunzioni che il datore di lavoro è obbligato a riservare alle categorie protette. 3.7. L’apprendistato 3.7.1. Natura e finalità Il contratto di apprendistato come il contratto di formazione e lavoro rientra nella categoria dei contratti a causa mista, ove accanto alla retribuzione è prevista la formazione professionale quale corrispettivo della prestazione lavorativa. L’apprendistato infatti, è un particolare tipo di rapporto di lavoro subordinato in forza del quale l’imprenditore si impegna ad impartire al lavoratore l’addestramento necessario al raggiungimento di competenze proprie del lavoratore qualificato. Scopo del rapporto è, quindi, quello di fornire una qualificazione professionale ai giovani che ne sono sprovvisti. Il datore di lavoro deve precisare: - le prestazioni lavorative che saranno richieste al lavoratore, - l’addestramento che gli sarà impartito - la qualifica che sarà conseguita dal giovane al termine del rapporto di ap- prendistato. 3 120 giorni (elevati a 180) per CFL di 24 mesi proporzionalmente ridotti nel caso di contratti di durata inferiore a 24 mesi. 72 3.7.2. Destinatari e durata del rapporto La legge n. 30/2003 (cosiddetta legge Biagi), ha introdotto alcune importanti novità in materia di apprendistato. In particolare, l’art. 47 ha distinto le seguenti tipologie di contratto: • contratto di apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione; • contratto di apprendistato professionalizzante per il conseguimento di una qua- lificazione attraverso una formazione sul lavoro e un apprendimento tecnico- professionale; • contratto di apprendistato per l’acquisizione di un diploma o per percorsi di formazione. Relativamente all’apprendistato professionalizzante, regolamentato dall’art. 49, la legge prevede che possono essere assunti, in tutti i settori di attività, i soggetti di età compresa tra i diciotto e i ventinove anni. Per i soggetti in possesso di una qualifica professionale, il contratto di apprendistato professionalizzante può essere stipulato a partire dal diciassettesimo anno di età. La durata del contratto non può in ogni caso essere inferiore a due anni e supe- riore a sei. 3.7.3. Agevolazioni contributive La legge ha previsto che il datore di lavoro che ricorre all’apprendistato benefi- cia di una riduzione contributiva e dell’esclusione degli apprendisti dal computo dei limiti numerici previsti dalle leggi e dai contratti collettivi. Per poter fruire delle agevolazioni contributive (circolare n. 93/98), è necessario che le iniziative formative esterne (cioè le 120 ore del primo anno, salvo diversamente fissato dai singoli CCNL) siano programmate ed effettuate nell’arco di un anno dalla data dell’assunzione per gli apprendisti assunti a partire dal 19 luglio 1998. In mate- ria di agevolazioni contributive restano comunque valide le attività di formazione cofinanziate dal Fondo Sociale Europeo che vedono la partecipazione di apprendisti. 3.7.4. La procedura a carico dell’imprenditore Entro cinque giorni dall’assunzione il datore di lavoro deve inviare alla sezione circoscrizionale per l’impiego una comunicazione contenente: • il nominativo del lavoratore assunto, • la data dell’assunzione, la tipologia contrattuale, • la qualifica, • il trattamento economico e normativo. Il datore di lavoro è tenuto a consegnare al lavoratore, all’atto dell’assunzione, una dichiarazione, sottoscritta, contenente i dati della registrazione effettuata nel libro matricola in uso. Nel caso in cui non si applichi il contratto collettivo il datore di lavoro è altresì tenuto ad indicare: 73 • la durata delle ferie, • la periodicità della retribuzione, • i termini del preavviso di licenziamento, • la durata normale giornaliera o settimanale di lavoro. La mancata consegna al lavoratore di tale dichiarazione ed il mancato invio della stessa alla sezione circoscrizionale per l’impiego sono puniti con sanzioni ammini- strative. Con la medesima sanzione è punita l’omessa esibizione del libro matricola nel caso in cui da quest’ultima consegua l’impossibilità di accertare che il registro sia stato compilato antecedentemente all’assunzione. 3.7.5. La scadenza del rapporto Il rapporto di apprendistato si esaurisce alla scadenza del termine di durata previsto. Il datore di lavoro può decidere di trasformare il rapporto in normale contratto a tempo indeterminato oppure può comunicare al lavoratore la disdetta. Qualora il periodo di apprendistato non sia data disdetta, l’apprendista rimane in servizio con la qualifica conseguita e il contratto viene trasformato a tempo indeterminato. 3.8. Il lavoro temporaneo Il lavoro temporaneo è lo strumento attraverso il quale il legislatore ha inteso rispondere alle necessità delle aziende di beneficiare temporaneamente di una deter- minata prestazione lavorativa senza che ciò comporti l’assunzione di tutti gli oneri derivanti dall’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato. Dal punto di vista del lavoratore, il lavoro temporaneo può rappresentare un’im- portante opportunità lavorativa anche se di breve durata sia: ¾ per i giovani in cerca di prima occupazione che sperimentando varie occasioni di lavoro, in differenti settori produttivi e in diverse posizioni all’interno di un’azienda, hanno la possibilità di individuare più facilmente le proprie aspirazioni e quindi indirizzare più razionalmente la propria crescita professionale; ¾ per i lavoratori disoccupati che incontrano serie difficoltà a rientrare nel circuito del lavoro stabile e regolare. 3.8.1. Struttura del contratto Il contratto di fornitura di lavoro temporaneo è il contratto mediante il quale una società fornitrice di lavoro temporaneo, iscritta all’Albo, pone uno o più lavoratori, da essa assunti, a disposizione di una società utilizzatrice che ne utilizzi la prestazione lavorativa per esigenze di carattere temporaneo definite dalle legge. La principale novità di tale istituto (introdotto nel nostro Paese dalla L. 24.6.1997 n. 196) consiste nella dissociazione tra un datore di lavoro formale (l’impresa for- 74 nitrice) che assume i dipendenti e un soggetto terzo (l’impresa utilizzatrice) che in concreto eserciterà i poteri di controllo e di direzione della prestazione lavorativa. I soggetti del contratto, dunque, sono tre: 1) l’impresa fornitrice, 2) l’impresa utilizzatrice, 3) il lavoratore temporaneo. 1) L’impresa fornitrice Essa può assumere il lavoratore ¾ con contratto a tempo determinato, per una durata pari alla “missione” presso l’impresa utilizzatrice, oppure può decidere di assumere il lavoratore ¾ a tempo indeterminato, inviandolo di volta in volta sulla base di specifici contratti presso imprese utilizzatrici diverse. In questo secondo caso al lavoratore spetterà, oltre alla retribuzione per le gior- nate di lavoro prestate anche un’indennità di disponibilità per le giornate in cui, pur restando a disposizione dell’agenzia, non è stato utilizzato. L’impresa fornitrice dovrà presentare i seguenti requisiti: • essere iscritta all’Albo istituito presso il Ministero del lavoro; • avere un capitale versato non inferiore ad 1 miliardo delle vecchie lire; • aver versato in deposito cauzionale trecentocinquantamila euro a garanzia dei crediti dei lavoratori; • avere strutture e competenze professionali in almeno 4 regioni; • essere una società di capitali o una cooperativa, che dovrà fornire lavoratori temporanei utilizzando i propri lavoratori dipendenti Essa dovrà al contempo ottemperare ai seguenti obblighi: • corrispondere al dipendente temporaneo un trattamento economico non infe- riore a quello cui hanno diritto i dipendenti di pari livello dell’impresa utiliz- zatrice; • versare tutti gli oneri contributivi, previdenziali, assistenziali ed assicurativi; • versare il 5% della retribuzione corrisposta al dipendente temporaneo, in un Fondo costituito per la formazione dei lavoratori temporanei; • trasmettere copia del contratto alla Direzione Provinciale del lavoro entro 10 giorni dalla stipulazione. Il legislatore,fissando tali requisiti e obblighi per essere ammessi ad esercitare l’at- tività di fornitura di lavoro temporaneo, ha inteso tutelare sia il lavoratore temporaneo, che le imprese utilizzatrici che rimangono pur sempre responsabili di quanto dovuto al lavoratore temporaneo, in caso di inadempimento da parte dell’impresa fornitrice. 2) Il lavoratore temporaneo Il lavoratore temporaneo è un dipendente temporaneo dell’azienda fornitrice per tutto il periodo della missione per cui è assunto, ma svolge la propria attività secondo le istruzioni impartite dall’impresa utilizzatrice. È tenuto all’osservanza di 75 tutte le norme di legge e del contratto collettivo applicato ai lavoratori dipendenti dell’impresa utilizzatrice. I diritti connessi allo status di lavoratore temporaneo sono: - parità di trattamento economico con i dipendenti di pari livello dell’azienda utilizzatrice; - versamento degli oneri contributivi, previdenziali ed assistenziali dalla società fornitrice nel loro effettivo ammontare, anche in deroga alla vigente normativa in materia di minimale contributivo; - corresponsione degli obblighi assicurativi contro infortuni e malattie da parte dell’impresa fornitrice (l’ammontare dei premi e contributi è determinato in re- lazione al tipo e al rischio di lavoro svolto). - esercizio dei diritti sindacali riconosciuti ai dipendenti dell’impresa utilizza- trice; può, quindi, partecipare alle assemblee sindacali; - diritto di informazione relativamente ai rischi riguardanti la sicurezza e la sa- lute da parte dell’impresa fornitrice (nel contratto può essere previsto che tale obbligo spetti all’impresa utilizzatrice) e protetto in caso di lavori sotto sorve- glianza medica speciale o con rischi specifici, da parte dell’impresa utilizzatrice; - diritto di riunione con le modalità determinate dalla contrattazione collettiva. 3) L’impresa utilizzatrice Possono ricorrere al lavoro temporaneo tutte le società, anche soggetti non im- prenditori qualunque sia il settore in cui operano (in via sperimentale anche nell’e- dilizia e nell’agricoltura privilegiando attività biologiche, previo accordo tra sinda- cati e datori di lavoro) purché abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi del D.L. 6267/94. Essa dovrà ottemperare ai seguenti obblighi: - informare il lavoratore temporaneo in caso di lavori sotto sorveglianza medica, con rischi specifici e proteggerlo al pari dei propri dipendenti; - comunicare all’impresa fornitrice il trattamento retributivo e previdenziale previsto per il contratto di fornitura specifico e le eventuali differenze matu- rate nel corso di ciascuna mensilità; - nel caso in cui adibisca il lavoratore temporaneo a mansioni superiori, è tenuta ad avvisare l’impresa fornitrice in forma scritta, dandone copia al lavoratore temporaneo; altrimenti, risponde in via esclusiva per le differenze retributive; - rispondere in solido dell’obbligo della retribuzione e dei corrispondenti obbli- ghi contributivi non adempiuti dall’impresa fornitrice salvo il diritto di rivalsa; - rispondere nei confronti dei terzi dei danni arrecati dal lavoratore temporaneo; - rispondere per la violazione degli obblighi di sicurezza individuati dalla legge e dai contratti collettivi; - comunicare alla rappresentanza sindacale unitaria, prima del contratto e co- munque non oltre 5 giorni in caso di urgenza, il numero e i motivi del ricorso al lavoro temporaneo; 76 - comunicare, ogni 12 mesi, il numero dei contratti stipulati e i motivi, la durata dei contratti, il numero e la qualifica dei lavoratori interessati anche tramite l’associazione dei datori di lavoro cui aderisce. 3.8.2. La stipulazione del contratto Esso è stipulato in forma scritta e deve contenere: • i motivi del ricorso, l’indicazione dell’impresa fornitrice, della sua iscrizione all’Albo e della cauzione o fideiussione • le indicazione dell’impresa utilizzatrice • le mansioni e relativo inquadramento • l’eventuale periodo di prova • la durata • il luogo • l’orario • il trattamento economico e normativo spettante • la data di inizio e termine del contratto • l’eventuali misure di sicurezza in relazione al tipo di attività. Il periodo di assegnazione iniziale può essere prorogato, con il consenso del lavoratore e con atto scritto. Il lavoratore ha diritto di prestare l’opera per tutto il periodo, salvo il mancato superamento della prova o per giusta causa di recesso. È vietato inserire clausole che limitino l’assunzione del lavoratore dopo la scadenza del contratto. Copia del contratto deve essere consegnata al lavoratore temporaneo entro 5 giorni dall’inizio della missione. 3.8.3. Casi di ricorso al lavoro temporaneo ¾ Nei casi previsti dai contratti collettivi nazionali di lavoro; ¾ per sostituzione di lavoratori assenti; ¾ per qualifiche non previste nei normali assetti produttivi aziendali. 3.8.4. Casi di divieto di fornitura di lavoro temporaneo È espressamente vietata la fornitura di lavoro temporaneo nei seguenti casi: ¾ qualifiche di esiguo contenuto professionale; ¾ sostituzione di lavoratori in sciopero; ¾ assegnazione presso unità produttive ove siano avvenuti licenziamenti col- lettivi nei 12 mesi precedenti, salvo sostituzioni di lavoratori con diritto alla conservazione del posto; ¾ per posizioni ove esistano sospensioni dei rapporti o riduzione dell’orario a favore di imprese che non dimostrano di aver effettuato la valutazione dei rischi per lavorazioni che richiedono sorveglianza medica speciale e per lavori particolarmente pericolosi, individuati con decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. 77 3.8.5. Consigli pratici per l’utilizzo della nuova disciplina Il primo passo per accedere a questa nuova modalità di prestazione di manodo- pera è la selezione. L’interessato dovrà inserire il proprio nome nella banca dati di una società di lavoro temporaneo, mediante l’invio del curriculum oppure recandosi di persona presso un’agenzia e parlare direttamente con un funzionario della stessa. L’aspirante dovrà riempire una scheda di candidatura e sostenere una selezione che di regola avviene mediante colloqui, test attitudinali, raccolta di informazioni tramite le quali l’agenzia vaglierà le preferenze, le attitudini, le disponibilità di luogo e di tempo, i periodi di tempo nei quali si vuole essere impiegati. Successivamente verrà inserito in una banca dati, e alla prima occasione utile, sarà convocato dall’agenzia di lavoro temporaneo. A quel punto il candidato sottoscriverà con l’agenzia il contratto di assunzione e consegnerà il libretto di lavoro e tutto quanto è necessario e stru- mentale all’assunzione. Al termine del periodo di lavoro, l’agenzia può anche pro- porre al lavoratore di confermarlo a tempo indeterminato. 3.9. I tirocini formativi e di orientamento (stage) I tirocini formativi o di orientamento offrono ai giovani la possibilità di fare un’esperienza di lavoro e di formazione “on the job” per arricchire il proprio curri- culum formativo o per completare il proprio percorso scolastico, anche universitario, attraverso momenti di conoscenza pratica e diretta del mondo del lavoro. Beneficiari di tale opportunità sono i giovani che hanno assolto l’obbligo scolastico. La regolamentazione Gli stage in Italia sono regolamentati dal D.M. 25 marzo 1998 n° 142 che chia- risce ambiti e modalità applicative della legge 196 del 24 giugno 1997 art.18 (Treu). La normativa, oltre a definire in modo puntuale tutti gli aspetti connessi all’attiva- zione di uno stage, chiarisce che la finalità è quella di realizzare momenti di alter- nanza tra studio e lavoro nell’ambito dei processi formativi e di agevolare le scelte professionali mediante la conoscenza diretta del mondo del lavoro. La durata La durata dei tirocini dipende dal titolo di studio e dalla situazione lavorativa dei tirocinanti. La nuova normativa stabilisce che gli stage non possono durare: • più di 4 mesi se si tratta di alunni della scuola secondaria; • più di sei mesi per i lavoratori inoccupati o disoccupati, ivi compresi quelli iscritti nelle liste di mobilità; • per gli allievi degli istituti professionali di stato, di corsi di formazione profes- sionale e per gli studenti frequentanti attività formative post-diploma o post- laurea, la possibilità di frequentare uno stage è aperta per tutti i 18 mesi suc- cessivi al termine degli studi; 78 PIEMONTE Torino Adecco, via Rattazzi 11, tel. 011/5634060 Ali, c.so Re Umberto 55, tel. 011/5806095 Kelly Services, c.so Vittorio Emanuele 73, tel. 011/5184420 Ad Interim, c.so Vittorio Emanuele II 2, tel. 011/882172 Italia Lavora, via Carlo Alberto 57/59, tel. 011/8395060 La.In., via Ala di Stura 59/c, tel. 011/2207883 Manpower, cia Valperga Caluso 7/f, tel. 011/6692860 Obiettivo Lavoro, c.so Turati 11/c, tel. 011/505501 QuandoccoRre interinale, c.so Marconi 13, tel. 011/6680490 Tempor, via Casalis 33, tel. 011/4378391 Temporary, c.so Vittorio Emanuele II 48, tel. 011/8154048 Alessandria Manpower: Via Dante, 41. tel. 0131/232474 Novara Générale Industrielle, via Giotto 2, tel. 0321/399369 S. Giorgio Monferrato (Al) Job - just on business, strada Pasigliano 2, tel. 0142/455454 Verbania Tempor, c.so Cobianchi 60/f, tel. 0323/402209 LIGURIA Genova Sinterim, via Savona ¼, tel. 010/5769318-5848320 Tempor, via Cantore 8g/18, tel. 010/4694005 LOMBARDIA Milano Adecco, piazza Diaz 2, tel. 167000067 - c.so Lodi 47, tel. 02/55190640 - via Poggi 14, tel. 02/2360579 Ali, c.so Buenos Aires 59, tel. 02/29412120 Antex, via Salaino 10, tel. 02/48537303 Générale Industrielle, via Cola Montano 21, tel. 02/69016042 - via Tunisia 30, tel. 02/69016042 Italia Lavora, via Cesare Battisti 1, tel. 02/7770181 Job - just on business, via Melzi D’Eril 29, tel. 02/3313549 Kelly Services, c.so Vittorio Emanuele 30, tel. 02/ 762351 La.In., p.le Lugano 9, tel. 02/39312695 Lavorooiù, via Teodosio 65, tel. 02/26141250 Manpower, piazza Velasca 6, tel. 02/86465100 Obiettivo Lavoro, via Fabio Filzi 27, tel. 02/67380042 - largo Crocetta 2, tel. 02/58309690 Temporary, via Pantano 2, tel. 02/806979 Bergamo Italia Lavora, via Camozzi 56, tel.035/245708 Brescia Manpower, c.so Matteotti 17, tel. 030/3757370 Sinterim, via Moro 5, tel. 030/2426067 Filiali operative delle agenzie interinali operanti in Italia (Allegati al 3.8) 79 Merate (Lc) Cronos, via Cerri 6, tel. 039/9284346 Varese Cronos, vicolo San Michele 2/a, tel. 0322/289585 VENETO Mestre (Ve) ObiettivoLavoro, via Ulloa 5, tel. 041/5382491 Padova Adecco, via Tommaseo 1, tel. 049/8787805 Ad Interim,c.so Garibaldi 4, tel. 049/655353 Italia Lavora, corso del Popolo 6, tel. 049/8754101 Manpower, via Trieste 28/bis, tel. 049/8762155 Spinea (Ve) Umana, via Veronese 6, tel. 041/990011 Treviso Adecco, via Brandolini d’Adda 14, tel. 0422/541021 Verona Cronos, Stradone S.Lucia 39/e, tel. 045/8205603 La.In., via XX Settembre 47/b, tel. 045/8014968 Manpower, corso Porta Nuova 99/d, tel. 045/8030838 Sinterim, via Manin 5, tel 045/8014964 Vicenza Générale Industrielle, via Fermi 218, tel. 0444/348206 Lavoropiù, via Imperiali 77, tel. 0444/512733 Kelly Services, viale Verona 71/75, tel. 0444/561020 Tempor, via Moneta 216, tel. 0444/560131 Temporary, via Lioy 25, tel. 0444/502224 FRIULI VENEZIA GIULIA Udine Obiettivo Lavoro, via Cernazai 8, tel. 0432/299214 Pordenone QuandoccoRre, piazza XX Settembre 24, tel. 0434/524623 Sinterim, c.so Garibaldi 49, tel. 0434/524632 Umana, via Molinari 11/a, tel. 0434/29333 TRENTINO ALTO ADIGE Bolzano Ad Interim, via della Mostra 19, tel. 0471/972646 EMILIA ROMAGNA Bologna Adecco, via Mascarella 94/96, tel. 051/243577 Ad Interim, p.zza della Mercanzia 2, tel. 051/229014 Manpower, via Frassinago 43/2, tel. 051/582188 80 Obiettivo Lavoro, via Moro 16, tel. 051/509908 Sinterim, strada Maggiore 90/a, tel. 051/390602 Ferrara Cronos, via Cairoli 18, tel. 0532/211405 Modena Hit, via Falloppia 53, tel. 059/243834 Kelly Services, via Emilia Centro 75, tel. 059/225825 Manpower, via Scarpa 4, tel. 059/242560 Parma La.In., via Mazzini 6, tel. 0521/386279 Job - just on business, via Farini 31, tel. 0521/386088 Sinterim, via San Leonardo 95, tel. 0521/774646 Ravenna Antex, via Guidone 31, tel. 0544/514548 Rimini Sinterim, via Bruno 20, tel. 0541/53274 TOSCANA Firenze Adecco, via dell’Oriuolo 38/40, tel. 055/242830 Coserv Interim, via Corelli 50/56 Ad Interim, via Por Santa Maria 2, tel. 055/281954 Italia Lavora, corso dei Tintori 21/r, tel. 055/2476406 Lavoropiù, via Dei Conti 7, tel. 055/685514 Manpower, via Cavour 23/r, tel. 055/282921 Obiettivo Lavoro, largo f.lli Alinari 21, tel. 055/2657999 Grosseto Cronos, via Bolzano 13, tel. 0564/418289 Prato Générelle Industrielle, viale Montegrappa 304, tel. 0574/572162 Sinterim, via la Pira 4, tel. 0574/572766 Siena Cronos, via Pantaneto 13, tel. 0577/247900 LAZIO Roma Adecco, via Panisperna 62, tel. 06/48906326 Ali, via San Nicola dÈ Cesarini 3, tel. 06/68809467 Antex, via Parioli 50, tel. 06/80691242 Coserv Interim, via Piave 41 Hit, viale Tupini 121, tel. 06/5922798 Ad Interim, via Nazionale 51, tel. 06/4826662 Italia Lavora, via Bissolati 70/72, tel. 06/4824255 Job - iust on business, via del Tritone 132, tel. 06/4747641 Kelly Services, piazzale Flaminio 9, tel. 06/32651706 Manpower, via Barberini 58, tel. 06/42871339 Obiettivo Lavoro, via Cadamosto 14, tel. 06/5744365 Sinterim, via Sartorio 51, tel. 06/51882322 Temporary, via S. Andrea delle Fratte 24, tel. 06/69940688 Umana, via S. Erasmo 12, tel. 06/70474148 81 Ciampino (Rm) Tempor, via Segni 10, tel. 06/79321746 MARCHE Fabriano (An) Lavoropiù, via di Vittorio 3, tel. 0732/3201 Falconara M. (An) Tempor, via Flaminia 568, tel. 071/9174362 ABRUZZO Alba Adriatica (Te) Kelly Services, via Pola 2, Tel. 0861/752052 UMBRIA Perugia Hit, via della Canapina 3, tel. 075/5726612 Coserv Interim, via Sant’Ercolano 34 Umana, via della Pescara 22, tel. 075/5004617 Città di Castello (Pg) Sinterim, viale Moncenisio 28, tel. 075/8522253 CAMPANIA Napoli Adecco, via Crispi 52, tel. 081/7618829 QuandoccoRre, centro direzionale Isola E/1, tel. 081/5628443 Salerno Ali, via Ruggi d’Aragona 26, tel. 089/2753110 Sarno (Sa) Tempor, corso Vittorio Emanuele 7, tel. 081/5136201 PUGLIA Bari Italia Lavora, strada provinciale per Casamassima km. 3 c/o Tecnopolis, Valenzano, tel. 080/8770111 Manpower, via Dante 144, tel. 080/5234144 Tempor, via Tridente 22, tel. 080/5484820 SICILIA Ragusa Antex, via delle Madonie 3, tel. 0932/258485 82 • più di dodici mesi per gli studenti universitari, dottorandi di ricerca, studenti di scuole e corsi di perfezionamento e specializzazione post-universitari. Anche in tal caso resta ferma l’opportunità di poter accedere ad uno stage nei 18 mesi successivi al termine degli studi. La stessa durata massima è prevista per le persone svantaggiate di cui all’art. 4 della legge 381/91; • 4 mesi è, infine, la durata massima degli stage per i soggetti portatori di han- dicap. L’azienda, per ospitare gli stagisti, deve aderire ad un progetto di apprendimento formativo, predisposto da un Ente o Istituto autorizzato dalla legge, soggetto pro- motore. Con questo l’azienda deve stipulare una convenzione che contiene il progetto formativo. Quest’ultimo riporta le informazioni relative a: • durata del tirocinio, • l’orario di lavoro, • la posizione assicurativa, • obiettivi e modalità, • facilitazioni obblighi ed impegni. Al termine dello stage l’azienda può rilasciare al tirocinante una dichiarazione sulla competenze acquisite, utili per arricchire il curriculum professionale. Lo stage non è considerato rapporto di lavoro subordinato e quindi non comporta l’obbligo di retribuzione da parte dell’azienda, né quello previdenziale. A discrezione dell’ente promotore o dell’azienda è possibile un rimborso spese. I soggetti promotori devono invece obbligatoriamente provvedere all’assicurazione degli stagisti contro gli infortuni sul lavoro presso l’INAIL e presso una compagnia assicuratrice per la responsabilità civile verso terzi. I soggetti promotori In base alla nuova disciplina, viene ampliata la platea dei soggetti promotori dei tirocini: oltre alle Università, ai Provveditorati agli studi, agli Istituti scolastici e agli Uffici periferici del Ministero del lavoro, potranno promuovere gli stage anche • gli Enti bilaterali, • le associazioni sindacali, • i soggetti pubblici o a partecipazione pubblica, • i soggetti privati non aventi scopo di lucro, • centri di formazione ed orientamento, • le comunità terapeutiche. 3.10. I lavori socialmente utili Scopo dei lavori socialmente utili (Lsu) è quello di inserire o reinserire nel mercato del lavoro quanti si trovino in una condizione di grave difficoltà occupazionale, ovvero: • lavoratori in cerca di prima occupazione o disoccupati iscritti da più di due anni nella prima classe delle liste di collocamento; 83 • lavoratori iscritti nelle liste di mobilità non percettori della relativa indennità o di altro trattamento speciale di disoccupazione; • lavoratori che godono di trattamento di cassa integrazione salariale straordi- naria (CIGS), mobilità o altro trattamento speciale di disoccupazione; • lavoratori espressamente individuati in accordi per la gestione di esuberi nel contesto di crisi aziendali, di settore e di area; • altri lavoratori individuati dalle Commissioni Regionali per l’Impiego, tenen- do conto delle specificità dello squilibrio tra offerta e domanda di lavoro, ma comunque sempre tra le fasce sociali a rischio di esclusione (portatori di han- dicap di natura psichica, fisica e sensoriale, ex detenuti, persone sottoposte a terapia per dipendenza da droghe e/o alcolici, ecc.). Sono promossi da amministrazioni pubbliche, società da prevalente partecipa- zione pubblica e da ulteriori soggetti che vengono di volta in volta ricompresi con un decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali; finanziati dal Fondo per l’occupazione, si distinguono in tre diverse tipologie: a) Lavori di pubblica utilità della durata di 12 mesi, prorogabili al massimo per due periodi di 6 mesi. Essi prevedono l’impegno dei soggetti promotori a realizzare nuove attività stabili nel tempo e devono contenere: un piano d’im- presa relativo alle attività che si intendono promuovere, la dichiarazione scrit- ta dei presupposti tecnicamente fondati del progetto di nuove attività stabili nel tempo, rilasciata da una delle agenzie di promozione e di lavoro e di im- presa appositamente individuate dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, la convenzione con i soggetti incaricati della realizzazione dei piani di impresa ovvero, nel caso non sia stata ancora stipulata all’atto della pre- sentazione del progetto, l’indicazione dell’impegno di invio alla Commis- sione di tale convenzione (solo nel caso di progetti presentati da Pubbliche Amministrazioni o da Enti pubblici economici). b) Lavori socialmente utili della durata massima di 12 mesi. Essi devono essere corredati dal progetto formativo debitamente autorizzato con l’indicazione degli estremi dell’autorizzazione da parte della Regione o dalla Provincia. c) Lavori socialmente utili della durata di 6 mesi, prorogabili al massimo per un periodo di 6 mesi, con priorità per i soggetti titolari di trattamenti previ- denziali. Essi devono essere corredati dalla dichiarazione dell’organo com- petente del soggetto proponente circa l’effettivo carattere straordinario. I settori di intervento più ricorrenti sono quelli della manutenzione ambientale e del territorio, dei beni culturali ed artistici (biblioteche, mostre, ecc.), del recupero urbano, dei servizi alla persona, dei servizi amministrativi, del sostegno alla piccola e media impresa nel campo della commercializzazione. I lavoratori impegnati in Lsu rimangono iscritti nelle liste di mobilità o al col- locamento, quindi non perdono i trattamenti di mobilità, di disoccupazione speciale e di integrazione; tali indennità, invece, si perdono nel momento in cui il soggetto 84 rifiuti di svolgere un Lsu che gli venga segnalato dal Servizio per l’impiego di com- petenza territoriale. Condizione per non perdere i trattamenti di indennità è: • fornire giustificati motivi di rifiuto; • i lavori proposti sono situati a più di 50 km dal domicilio; • la sede di lavoro non è raggiungibile entro 60 minuti con mezzi pubblici. Per accedere agli Lsu è possibile candidarsi spontaneamente, consultando i bandi di concorso esposti presso i Centri per l’impiego; questi ultimi, per altro, svolgono costantemente un’attività di monitoraggio, interpellando i possibili destinatari per verificarne la disponibilità. I lavoratori che percepiscono un’indennità di qualche tipo ricevono un tratta- mento economico pari alla differenza tra quanto da loro percepito e uno stipendio del- la stessa qualifica. Chi non riceve indennità percepisce un sussidio di quattrocentomila euro al mese; i lavoratori devono essere impegnati per almeno 20 ore settimanali, ma non più di 8 ore al giorno. In caso di assenza per malattia, all’ente non spetta il dovere di integrazione, ma l’Inps non sospende l’erogazione del sussidio; è prevista l’indennità di maternità; si ha diritto a ferie regolarmente pagate. Il periodo svolto in Lsu è utilizzabile, ai fini previdenziali, solo per maturare il diritto al pensionamento, ma non incide sull’importo della pensione. Partecipare agli Lsu presenta vantaggi di reddito, soprattutto per i disoccupati di lunga durata, di acquisizione di competenze e non va dimenticato che gli Lsu sono un titolo preferenziale per le assunzioni presso gli Enti pubblici per le stesse profes- sionalità. 3.11. Il contratto di collaborazione È questo un rapporto di lavoro proposto sempre più spesso dalle aziende, perché tendenzialmente meno oneroso e più flessibile. Caratteri specifici sono: - la mancanza di un vincolo gerarchico, - il carattere di occasionalità della collaborazione. La collaborazione può essere: 1) Occasionale quando ha il requisito dell’unicità, anche se prolungata nel tempo. Essa si caratterizza per i seguenti elementi: - l’organizzazione del lavoro deve essere fatta in modo autonomo da parte del prestatore d’opera e non vi deve essere vincolo riconducibile ad orari rigidi determinati dal committente; - il prestatore dovrà utilizzare per l’esecuzione dell’opera mezzi ed attrez- zature proprie. Il pagamento del corrispettivo che viene assoggettato a ritenuta d’acconto del 20% non esaurisce tutti gli obblighi fiscali del prestatore che dovrà pagare sui pro- 85 prie guadagni, dopo il raggiungimento di certi scaglioni di reddito, la relativa inte- grazione dell’aliquota dovuta per l’Irpef e la tassa della salute. 2) Coordinata e continuativa: essa non riveste il carattere dell’occasionalità, ma deve prevedere una serie di prestazioni reiterate in misura apprezzabile nel tempo. Si caratterizza sempre per l’autonomia organizzativa circa le moda- lità, il tempo e il luogo dell’adempimento, ma l’attività deve comunque collegarsi funzionalmente e strutturalmente con l’organizzazione produttiva dell’impresa, a volte anche con un rapporto di esclusività. Questi lavoratori versano un’aliquota contributiva pari al 12% ad un fondo istituito presso l’Inps al fine di aver diritto ad una copertura previdenziale. 3.12. Il telelavoro L’art. 1 del progetto di legge n. 2305 definisce telelavoro “il lavoro in qualsiasi forma prestato mediante l’impiego di strumenti telemativi da un luogo diverso e di- stante rispetto a quello nel quale viene utilizzato” e l’Organizzazione internazionale del lavoro di Ginevra lo definisce “una forma di lavoro effettuata in un luogo distante dall’ufficio centrale o dal centro di produzione e che implichi una nuova tecnologia che permetta la separazione dal luogo di lavoro e faciliti la comunicazione”. Tre quindi i punti chiave di questa forma di lavoro che sta cominciando, anche in Italia, a diffondersi timidamente: - la distanza dall’ufficio - l’impiego di una tecnologia (computer, modem, fax, telefono cellulare) - la facilità di comunicazione con l’ufficio remoto Nel telelavoro, o lavoro a distanza, i lavoratori svolgono la loro attività a casa collegati con il resto dell’azienda tramite terminale. I lavoratori restano dipendenti a tutti gli effetti, ma hanno però una retribuzione sganciata dall’orario di lavoro e legata alla produttività. 3.13. Nuove forme di lavoro Con la Legge Biagi (legge n. 30 del 14 febbraio 2003) sulla riforma del merca- to del lavoro sono state introdotte anche nel nostro Paese nuove tipologie contrattuali che tendono a riconfigurare e, a volte, a superare la tradizionale struttura del rapporto di lavoro subordinato. Alcune di queste nuove figure hanno già trovato cittadinanza nel nostro ordina- mento giuridico (collaborazione coordinata e continuativa, lavoro interinale, lavoro part-time), altre figure (lavoro intermittente, lavoro a progetto, lavoro accessorio), non sono ancora regolate normativamente, anche se il Governo sta provvedendo ad emanare per esse un’apposita disciplina, secondo gli orientamenti contenuti nel Libro bianco sul mercato del lavoro in Italia. 86 3.13.1. Il lavoro intermittente o a chiamata (Art. 4, comma 1, lettera A) Già utilizzato in molti Paesi europei, il lavoro “intermittetente o a chiamata” si caratterizza per essere un contratto di lavoro subordinato a prestazioni discontinue, da rendersi cioè secondo le necessità del datore di lavoro. Tale contratto, infatti, pre- vede tempi di lavoro certi e/o incerti, durante i quali il lavoratore è a disposizione del datore di lavoro, ricevendo per questo un’adeguata indennità. In considerazione delle esigenze del datore di lavoro, tale contratto può essere stipulato quindi a tempo indeterminato o a termine. Il lavoro intermittente o a chiamata, pur presentando alcuni punti di contatto sia con il contratto di lavoro temporaneo (o interinale), sia con quello a tempo parziale, tuttavia differisce da questi per i seguenti elementi: • a differenza del lavoro interinale, il rapporto non coinvolge una società forni- trice di manodopera; • a differenza del contratto a tempo parziale, soprattutto verticale, non c’è la preordinazione di periodi lavorativi. Infatti, in questo tipo di contratto, la pre- stazione lavorativa dipende dalle necessità produttive aziendali. Il disegno di legge delega in materia di occupazione e mercato del lavoro (art. 8) ha previsto l’introduzione di una specifica regolamentazione dell’istituto. Nella prima fase di applicazione dell’istituto, tutti gli elementi relativi al tratta- mento economico-normativo del lavoratore intermittente verranno determinati da contratti individuali, da formalizzare con atto scritto, richiesto non solo a fini pro- batori, ma come requisito di validità. Nel contratto le parti dovranno indicare: - la retribuzione dovuta per i periodi di lavoro; - l’ammontare dell’indennità per i periodi di disponibilità. A questo proposito, la normativa di riferimento rimanda per la sua quantificazione ad un apposito provvedimento del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali; - un periodo complessivo garantito di prestazioni lavorative, coerentemente con la tipologia d’impiego, la decorrenza e il termine; - i periodi nei quali potrà essere richiesta la prestazione di lavoro, in modo tale da consentire una minima programmazione delle attività. Si ritiene che durante il periodo lavorativo il dipendente abbia diritto di fruire di tutti gli istituti tipici del lavoro subordinato, in proporzione alla durata del periodo stesso.È dubbio, invece, se i predetti istituti maturino nel corso della disponibilità indennizzata. Sul versante previdenziale, fermi restando gli oneri contributivi ed altro per i periodi di prestazione lavorativa, sull’indennità di disponibilità la norma potrebbe prevedere se non una contribuzione figurativa quanto meno un versamento a carico del datore di lavoro per l’effettivo ammontare, in deroga alle disposizioni sul minimale contributivo, come già stabilito dall’art. 9, primo comma, della legge n. 196/97. Quanto alla computabilità del lavoratore intermittente nell’organico del- l’impresa ai fini applicativi di normative di legge o di CCNL, fatta eccezione per 87 quelle riguardanti l’igiene e la sicurezza del lavoro, il legislatore dovrà chiarire se sarà applicato il principio di non computo ammesso per i lavoratori interinali o se, al contrario, si farà ricorso alla computabilità pro-quota. 3.13.2. Il lavoro a progetto (Art. 4, comma 1, lettera C) Il contratto di collaborazione coordinata e continuativa (CoCoCo) diventa con- tratto a progetto o a programma di lavoro. Sarà redatto in forma scritta e riporterà la durata e il corrispettivo. I progetti o programmi dovranno essere resi con lavoro prevalentemente proprio e senza vincoli di subordinazione. Tra le tutele fonda- mentali il testo fa riferimento a maternità, malattia e infortunio, nonchè alla sicu- rezza dei luoghi di lavoro. Le collaborazioni occasionali non dovranno avere dura- ta superiore ai trenta giorni nel corso di un anno e un compenso superiore a 5.000 euro. Saranno dunque esclusi dall’ambito delle collaborazioni coordinate e conti- nuative i rapporti di lavoro intrattenuti con lo stesso committente per non oltre 30 giorni complessivi nell’anno solare, a meno che il compenso corrisposto non superi i 5.000 euro. 3.13.3. Il lavoro occasionale e accessorio (Art. 4, comma 1, lettera D) La previsione normativa di questa forma contrattuale mira a dare spazio a tutte quelle attività lavorative nel settore dell’assistenza (baby sitting, badanti, lezioni private, ecc.) svolte a beneficio di famiglie, di società senza scopo di lucro e di enti pubblici. L’elemento caratterizzante del contratto di lavoro occasionale o accessorio sta nel fatto che, rispetto agli altri contratti, la stipula di questo avviene non tra le parti contraenti (lavoratore e datore di lavoro), ma tramite l’acquisto, presso agenzie specializzate, di voucher o buoni, equivalenti ad un certo ammontare di prestazioni, la cui corrispondente cifra viene pagata al lavoratore dopo la prestazione. 3.13.4. Il lavoro a coppia o job sharing (Art. 4, comma 1, lettera E) È una particolare forma di organizzazione di lavoro attraverso la quale due o più soggetti assumono in solido un’unica obbligazione di lavoro. In questo caso, i lavoratori hanno la possibilità di distribuirsi, in base alle proprie esigenze, l’orario e la quantità di lavoro. Si tratta di un contratto già diffuso in molti Paesi europei che consente a due o più persone (coniugi, studenti, ecc.) di effettuare una prestazione lavorativa, distri- buendo tra loro il carico delle giornate di lavoro. Il contratto di job sharing naturalmente sottintende uno stretto legame fiducia- rio tra i lavoratori coobbligati. 88 Anche le imprese hanno dimostrato, in base alle esperienze realizzate soprattutto negli Stati Uniti, un particolare interesse per questa forma di lavoro atipica, in quanto sembrerebbe ridurre l’assenteismo dei lavoratori. Tale contratto di lavoro introdotto per mezzo della circolare ministeriale n.43 del 7 aprile 1998 è un contratto atipico che trova la sua fonte di regolamentazione nelle norme del codice civile relative ai contratti in generale e nelle regole del diritto del lavoro. Vista la peculiarità di tale forma contrattuale, per la sua validità è richiesta la forma scritta. Nel contratto, le parti devono indicare la ripartizione in percentuale dell’orario di lavoro, anche se possono modificare in qualsiasi momento detta percentuale. Tale ripartizione va comunicata al datore di lavoro, con cadenza almeno settimanale. In caso di assenza di uno dei contraenti, il datore di lavoro può pretendere legittimamente dall’altro l’adempimento dell’intera prestazione. La retribuzione di ogni lavoratore viene determinata in base alle ore effettiva- mente prestate. Il calcolo dei contributi previdenziali deve essere effettuato in via consuntiva, con cadenza mensile, con eventuali conguagli a fine anno. 3.13.5. Part-time La norma intende adeguare l’attuale disciplina del tempo parziale (Dlgs 61/2000) alla normativa comunitaria, in modo da renderla più elastica. In particolare diventa più facile il ricorso a prestazioni di lavoro supplementare nel part-time orizzontale e il ricorso a forme flessibili ed elastiche nel part-time verticale e misto. 3.13.6. Riordino dei contratti a contenuto formativo È confermata la vigenza dei due contratti a causa mista: apprendistato e contratto di formazione e lavoro, con due distinte finalità, quale strumento formativo e di in- serimento o reinserimento del lavoratore in azienda. 3.13.7. Socio lavoratore La legge Biagi rivisita la figura del socio lavoratore dando preminenza al vin- colo associativo piuttosto che al rapporto di lavoro ed introduce alcune modifiche ed emendamenti alla legislazione attualmente vigente in materia. Essi mirano a valo- rizzare l’esperienza del lavoro in cooperativa, garantendone sul piano del trattamen- to normativo alcune peculiarità che lo contraddistinguono rispetto ai normali contratti di lavoro. 89 Tip o d i C on tra tto 1. Co ntr att o a t em po de ter mi na to 2. Co ntr att o a t em po pa rzi ale 3. Co ntr att o di for ma zio ne e l av oro Be ne fic iar i ¾ Di rig ent i a mm ini str ati vi e t ecn ici ; ¾ Pe rso nal e t ecn ico di plo ma to e/o lau rea to; ¾ Tu tti i la vo rat ori ut iliz zat i in : -A ttiv ità sta gio nal i; -S ost itu zio ne lav ora tor i tem po ran eam ent e a sse nti con di ritt o a lla co nse rva zio ne del po sto di la vo ro; -E sec uzi on e d i o per e o se rvi zi con ca rat ter e s tra ord ina rio e occ asi on ale ; -A ttu azi on e d i sp ett aco li o pro gra mm i ra dio fon ici o tel evi siv i; -P un te sta gio nal i d i a ttiv ità ; -A zie nd e d i tr asp ort o a ere o o ese rce nti se rvi zi aer o-p ort ual i. Tu tti i la vo rat ori . Gi ov ani di et à c om pre sa tra 16 e 3 2 a nn i. Du ra ta Vi en e s tab ilit a d al co ntr att o ch e d ev e c on ten ere da ta di ini zio e di fin e r ap po rto . •2 4 m esi pe r l’ acq uis izi on e di pro fes sio na lità int erm ed ie; •2 4 m esi pe r l’ acq uis izi on e di pro fes sio na lità ele va te; •1 2 m esi pe r il co ntr att o di ins eri me nto . Inc en tiv i Sg rav i fi sca li a lle im pre se sul la f orm ula di par t-ti me a 3 2 o re set tim ana li. Pe r le im pre se del Ce ntr o-N ord : •ri du zio ne dei co ntr ibu ti p rev ide nzi ali nel la mi sur a d el 25 %. Pe r le im pre se del M ezz og ior no ed ar ee sva nta gg iat e d el Ce ntr o-N ord : •c on trib uzi on e p ari a q uel la d ov uta pe r gli ap pre nd isti . Ca rat ter ist ich e Il c on tra tto a t erm ine ha un a d ura ta ben de fin ita nel te mp o. Il c on tra tto a t em po pa rzi ale pu ò e sse re di tip o o riz zon tal e (rid uzi on e d ell ’or ari o g ior nal ier o) o v ert ica le (di str ibu zio ne div ers ific ata nel l’a rco de lla se ttim ana , del m ese o del l’a nn o). Il c on tra tto di fo rm azi on e e la vo ro con sen te l’a cqu isiz ion e di un a p rof ess ion ali tà att rav ers o lo svo lgi me nto di la vo ro aff ian cat od a p rog ram mi for ma tiv i. Qu ad ro sin ott ico de lle ca rat ter ist ich e d ei pri nc ipa li c on tra tti Inc en tiv i I b ene fic i c he si p oss on o a ver e att iva nd o u n C FL po sso no es ser e m ant enu ti per i 1 2 m esi ul ter ior i s e i l c on tra ttis ta vie ne as sun to a t em po in de ter mi na to. Pe r le im pre se del se tto re com me rci ale e t uri stic oc on m eno di 15 di pen den ti: •ri du zio ne dei co ntr ibu ti p rev ide nzi ali nel la mi sur a d el 40 %. Pe r le im pre se art igi an e c’è un co ntr ibu to fis so par i a qu ell o deg li a pp ren dis ti •F isc ali zza zio ne on eri so cia li; •Q ues ti l avo rat ori no n e ntr ano nel l’o rga nic o s tab ile de ll’a zie nd a e per tan to no n e lev ano il nu me ro dei di pen den ti a i fi ni di det erm ina ti ob bli gh i d el dat ore di la vo ro; •V ers am ent o d i u n c on trib uto fis so set tim ana le e n on la co ntr ibu zio ne pre vis ta dal se tto re; •T ali be nef ici po sso no es ser e ma nte nu ti p er i 1 2 m esi ul ter ior i se il c on tra ttis ta vie ne ass un to a t em po in det erm ina to. 90 Tip o d i C on tra tto 4. Ap pr en dis tat o 5. Tir oci ni Be ne fic iar i Gi ov ani di et à c om pre sa tra 15 e 2 4 a nn i, (el eva zio ne a 2 6 a nn i p er le are e dep res se e i po rta tor i d i h and ica p; fin o a 29 ne l se tto re art igi ano , per le qu ali fic he ad alt o c on ten uto pro fes sio nal e). Gi ov ani ch e a bb ian o a sso lto l’o bb lig o s col ast ico : •in us cit a d all e s tru ttu re sco las tic he e for ma tiv e •in att esa di oc cup azi on e o rio ccu pa- zio ne Du ra ta Mi nim o 1 8 m esi - ma ssi mo 4 an ni ch e d ive nta no 5 ne l se tto re art igi an o. Di ve rsi fic ata a sec on da de i b en efi cia ri: •p iù di 4 m esi se si t rat ta di alu nn i de lla sc uo la sec on da ria ; Ca rat ter ist ich e Il c on tra tto di ap pre nd ista to si a ttu a a ttra ver so l’a dd est ram ent o p rat ico e l’in seg nam ent o c om ple me nta re. Ini zia tiv e d i ti roc ini o p rat ico e d i e spe rie nze da att uar si p res so im pre se. 91 Du ra ta •A i la vo rat ori in ca ssa in teg raz ion e e in mo bil ità co mp ete un im po rto int egr ati vo de i tr att am ent i per le gi orn ate di ef fet tiv a pre sta zio ne; •A i d iso ccu pa ti, in ge ne ral e, co mp ete un a p aga or ari a d i 4 ,13 E . Tip o d i C on tra tto 6. La vo ri soc ial me nte uti li Be ne fic iar i •s tud ent i u niv ers ita ri •s tud en ti dip lom ati is cri tti a c ors i po st- sec on dar i d i p erf ezi on am ent o o di spe cia liz zaz ion e. •D iso ccu pat i d i lu ng a d ura ta; •L avo rat ori isc ritt i n ell e l iste di mo bil ità ; •C ate go rie sp eci fic he di lav ora tor i det erm ina ted all a C om mi ssi on e reg ion ale pe r l’ im pie go ; •L av ora tor i i n cas sa int eg raz ion e gu ada gn i st rao rdi nar ia o in m ob ilit à; •G iov ani di soc cup ati . Du ra ta •p iù di 6 m esi pe r i lav ora tor i ino ccu pat i o dis occ up ati , ivi co mp res i q uel li i scr itti nel le list e d i m ob ilit à; •1 8 m esi su cce ssi vi al ter mi ne deg li s tud i per gl i a llie vi deg lii stit uti pro fes sio nal i d i st ato , di cor si d i fo rm azi on e pro fes sio nal e e stu den ti fre qu ent ant iat tiv ità for ma tiv e po st- dip lom a o po st- lau rea ; •p iù di 12 m esi per gl i st ud ent i u niv ers ita ri, do tto ran di di ric erc a, stu den ti d i sc uo le e c ors i di per fez ion am ent o e spe cia liz zaz ion e po st- un ive rsi tar i e per le pe rso ne sva nta gg iat e di cui al l’a rt. 4 del la leg ge 38 1/9 1; •4 m esi pe r i sog get ti po rta tor i d i h and ica p. •P er i la vo rat ori in ca ssa int egr azi on e e in m ob ilit à il p eri od o d i a ttiv ità no n pu ò e sse re sup eri ore a q uel lo del re lat ivo tra tta me nto ; •P er i d iso ccu pat i, i n g ene ral e, no n p iù di 12 m esi per un m ass im o di 80 or e m ens ili. Ca rat ter ist ich e I la vo ri s oci alm ent e u tili con sis ton o i n o per e o se rvi zi di pu bb lic a u tili tà. 93 4. MODI E TEMPI DELLA RICERCA DI LAVORO La ricerca di lavoro è, prima di tutto, un utilizzo mirato del proprio tempo, in cui la persona in cerca di occupazione rapporta sé stessa, le proprie capacità ed esperienze formative e professionali al mercato del lavoro. Tenendo conto di ciò, la necessità di definire una tempistica delle attività di ricerca di un lavoro è essenziale almeno per due aspetti: a) pianificare la durata media giornaliera da dedicare al progetto; b) circoscrivere l’arco di tempo entro il quale il candidato presumibilmente valuta di poter collocarsi professionalmente, avendo riguardo alle condizioni del mercato del lavoro preso come riferimento, al proprio background for- mativo e professionale, alle proprie aspirazioni ed esigenze. Obiettivo della presente sezione è, pertanto, preporre una metodologia di ricerca operativa di lavoro, avendo cura di illustrare nel dettaglio tutti gli strumenti e le tecniche indispensabili a razionalizzare ed indirizzare gli sforzi del candidato verso un’efficace ricerca di lavoro. Le strategie per la ricerca attiva di lavoro sono sostanzialmente due: ¾ la prima consiste nel valutare il cosiddetto “lavoro offerto”, reperendo infor- mazioni utili attraverso: • i mass media (stampa ed internet, televisione) • l’interazione con le strutture territoriali, pubbliche e private che detengono le informazioni utili a quanti sono alla ricerca di un lavoro. ¾ La seconda strategia è quella dell’autopromozione, in cui è il soggetto che crea l’occasione di lavoro, individuando “aziende-bersaglio” ed elaborando strategie di contatto: - telefonando - presentandosi di persona - inviando lettere di autocandidatura - inviando curricula. Infine nella presente sezione si dedicherà attenzione al modo in cui strutturare il proprio curriculum, che è uno strumento trasversale ad entrambe le strategie sopra descritte; alle procedure di selezione; alle modalità per valutare una proposta di lavoro. 4.1. Strategie per valutare il “lavoro offerto” Il primo passo da intraprendere è quello di sapere a chi chiedere lavoro, entrando in possesso delle informazioni necessarie. 94 In questa sezione si analizzeranno, quindi, come già detto: a) i mezzi che veicolano flussi informativi sul mercato del lavoro, mettendo in contatto domanda e offerta di lavoro (stampa, televisione, internet) e le pub- blicazioni ufficiali cui sono affidati i bandi di concorso (Gazzetta Ufficiale e Bollettini regionali). b) le strutture che detengono informazioni utili per quanti sono alla ricerca di la- voro. I due tipi di detentori di informazione riportati, per altro, sono di solito i primi canali che vengono utilizzati dal soggetto, rispondendo alle inserzioni, inviando curricula, o nel caso del pubblico impiego, partecipando a concorsi. 4.1.1. Conoscenza delle fonti informative La raccolta di informazioni circa le opportunità lavorative è un’attività intensa, che richiede una certa capacità di organizzazione per non smarrirsi tra mille ritagli di giornale o indirizzi di siti Internet. La stampa è il veicolo più tradizionale delle inserzioni per la ricerca di personale e le medesime fonti informative possono essere utilizzate utilmente per mettere sul mercato la propria professionalità. I quotidiani, in particolare, riportano tutti i giorni, nelle pagine degli annunci economici, anche le inserzioni per la ricerca di personale. Si tratta, solitamente, di inserzioni di dimensioni ridotte, per lo più rivolte al lavoro non qualificato. In giorni fissi, invece, appaiono annunci meglio strutturati e volti a reperire personale quali- ficato. STAMPA STAMPA SPECIALIZZATA Articoli Segnalazioni Rubriche Iniziative: Redazione convegni e a cui chiedere manifestazioni riferimenti personali Esperti Inserzionisti Biblioteche Enti pubblici Normativa ad hoc Studi Archivi 95 Di seguito si riportano i giorni scelti dalle testate più diffuse in base alle vendite su scala nazionale per la pubblicazione degli annunci da parte delle aziende: Giovedì Il Giornale Venerdì La Repubblica Il Corriere della Sera La Stampa Il Mattino Il Giorno La Nazionale Il Resto del Carlino Sabato Il Messaggero La domenica, invece, è il giorno in cui le inserzioni sono pubblicate da moltis- simi quotidiani locali (ad es.: La Gazzetta di Parma, La Nuova Sardegna, Il Tirreno, ecc.). Il tipo di informazioni reperibili sui quotidiani è tra i più vari, sostanzialmente riconducibile alle seguenti categorie: • Offerte di lavoro da parte delle aziende; • Offerte di formazione professionale; • Articoli riguardanti il tema della disoccupazione; • Le prospettive lavorative nell’Europa del futuro. Inoltre, tutti i quotidiani a tiratura nazionale rivolgono costante attenzione alle tematiche del lavoro, solitamente trattandole in inserti che pubblicano a cadenza settimanale. Vi si trovano, in linea di massima, oltre alle pagine dedicate agli annunci, sezioni che indicano: - come leggere le inserzioni; - come compilare un’inserzione; - a cosa dedicare attenzione (codici e scadenze); - come rispondere a un’inserzione (lettera di presentazione e curriculum); - come evitare di cadere in truffe. Tra gli inserti settimanali si segnalano per una impostazione progettuale tutto sommato analoga dal punto di vista dell’analisi delle problematiche del mercato del lavoro e dei flussi di comunicazione tra domanda e offerta: “Il Corriere Lavoro” (Corriere della Sera); “Lavoro & Carriere” (Il Sole 24 ore); “Affari & Finanza” (La Repubblica); “Economia & Finanza” (La Stampa). In queste pubblicazioni si riportano sia informazioni sull’andamento del mercato del lavoro, sullo stato e le tendenze dell’economia e della finanza, analisi, proposte e informazioni circa i canali formativi e di orientamento professionale, politiche e progetti volti a favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, informazioni circa lo stato della giurisprudenza del lavoro, sia inserzioni con le offerte di lavoro. 96 Per avere un’idea più puntuale della strutturazione di queste pubblicazioni, si prende a titolo puramente esemplificativo il “Corriere Lavoro”, generalmente ritenuto un valido strumento per informarsi sulla vita lavorativa. Le rubriche in cui esso si divide sono: ¾ Professione: è una rubrica dedicata all’orientamento, che fornisce informa- zioni prevalentemente a un pubblico giovane su quali sono i settori in cui è più facile collocarsi e, inoltre, sugli sviluppi attesi del mercato del lavoro. Ogni argomento è trattato con termini semplici e immediati, privilegiando la chiarezza espositiva e la facile individuazione delle informazioni interessanti. ¾ Azienda: è interamente dedicata alle offerte di lavoro da parte delle aziende, ma con un grado di dettaglio molto più elevato rispetto ad altre pubblicazio- ni; infatti, si delineano con chiarezza il posto da ricoprire, mansioni, requisi- ti necessari e si richiede l’invio di un curriculum in modo da fornire un pun- to di interscambio tra azienda e soggetto. La consultazione è resa agevole grazie a uno stile grafico e visivo fatto di evidenziazioni e corredi di imma- gini, il che aiuta l’immediata individuazione delle informazioni, impedendo il disperdersi dell’attenzione da parte del lettore. ¾ Gulliver: vi si affronta il tema delle esperienze formative all’estero, con una grafica essenziale e quasi sempre supportata da indirizzi di siti internet pres- so i quali approfondire il discorso. ¾ Sportello: vi trovano posto esclusivamente i quesiti dei lettori (e le risposte degli esperti) in merito all’imprenditorialità, ai trattamenti pensionistici e altro ancora. ¾ Concorsi: è la rubrica in cui in modo sintetico ma esaustivo si rendono noti i concorsi banditi dalle Pubbliche Amministrazioni. ¾ Offro lavoro: le pagine che compongono questo spazio sono occupate da annunci chiari e ben visibili di offerte di lavoro. ¾ Eureka: è la rubrica destinata alle professioni da scoprire. Si toccano inoltre argomenti legati a formazione e orientamento. ¾ Europa:è la rubrica dedicata all’Euro e alle opportunità di trovare lavoro in Europa. Inoltre, va segnalata la pagina in cui sono riportati i 203 sportelli di lavoro in affitto, con una consultazione semplice e veloce. Non di rado questi inserti (che si possono considerare vere e proprie riviste) hanno una versione telematica, presente su Internet. Interessante è anche notare l’interesse per le tematiche del lavoro da parte delle riviste femminili, tra le quali si distingue “Donna Moderna”, che offre alle proprie lettrici una vasta gamma di servizi: • ampie informazioni sui settori e campi lavorativi attualmente più gettonati; • indirizzi di centri in cui è possibile ottenere una buona formazione professio- nale rispetto all’argomento trattato; 97 • una grande mole di offerte di lavoro da parte di aziende di tutta Italia; • spazi dedicati alle professioni emergenti; • sito Internet. Estremamente diffuse, inoltre, sono sia le riviste di inserzioni gratuite (di solito con un raggio di azione locale) quali, per esempio: Secondamano (Mi); Fiera città (Na); Porta Portese (Rm); La Città in tasca (Bo); La Pulce (Fi); Le Cose (Ge); Torino Affari (To); sia quelle espressamente dedicate ai concorsi e alle offerte di lavoro, a cadenza quin- dicinale o mensile: Impiego & Lavoro; Il Posto; Concorsi per tutti; Concorsi ed esami; Trovalavoro; Tuttolavoro. Queste pubblicazioni, per quanto riguarda la possibilità di lavoro nelle Pubbli- che Amministrazioni, strutturano le informazioni in maniera chiara, a partire dal bando ufficiale di concorso, riportato in tutti le sue parti e regolamenti, requisiti e scadenze incluse, e riproducendo il modulo di presentazione della domanda per sostenere le prove concorsuali. Differente è il discorso circa le inserzioni di lavoro privato; come per altro accade per le inserzioni pubblicate sui quotidiani, forniscono di sovente informazioni non ben strutturate, a causa di impostazioni grafiche che catturano con difficoltà l’attenzione del lettore meno attento, o meno esperto. Per contro, non di rado, pure se all’interno di pagine eccessivamente stipate di annunci, i dettagli a livello locale sono molto precisi, diversamente da quanto accade spesso sulla stampa nazionale, in cui le informazioni sulle aziende si limitano a codici di riferimento del tutto anonimi per il lettore e utili soprattutto alle società di gestione di servizi che hanno l’incarico di svolgere la selezione delle domande di assunzione che arriveranno. Non è insolito che, quindi, chi sta consultando delle inserzioni si trovi a districarsi in una messe di informazioni caotiche, non chiare, anche a causa dello spazio esiguo destinato a ciascun annuncio. Non solo, ma come già accennato, spesso il lettore si trova davanti ad annunci asettici, in cui a volte l’unica informazione rintracciabile è la provincia in cui il lavoro è offerto. Diventa indispensabile, pertanto, imparare a leggere le inserzioni. La prima cosa da tenere in considerazione è che in una inserzione da parte di una azienda, accanto alle informazioni palesi, se ne trovano altre nascoste, che è impor- tante saper riconoscere e interpretare allo scopo di valutare se: 98 a) rispondere o meno all’inserzione; b) inviare una risposta che consenta di poter essere sottoposto a un colloquio di lavoro. A titolo di esempio si riporterà il testo di una inserzione e si scomporrà il tutto in una serie di riquadri destinati alle: a) informazioni palesi: qui troveranno posto le informazioni su di sé e sul can- didato da assumere che l’azienda ha collocato esplicitamente nel testo del- l’inserzione; b) informazioni nascoste: qui in cui si incaselleranno le informazioni che non compaiono direttamente nel testo, ma che è possibile desumere da una sua lettura attenta. Questi riquadri, infatti, si riempiranno a partire dall’analisi delle informazioni palesi, ipotizzando, sulla base delle proprie conoscenze e dalle informazioni raccolte, cosa effettivamente l’azienda intende offrire e quali siano le aspettative complessive che l’azienda nutre nei confronti dal- la persona che intende assumere. Informazioni palesi Informazioni nascoste Azienda S.p.A. Settore comunicazioni Ubicazione: Roma Candidato Ruolo di responsabilità Tecnico informatico Esperienza di specifici strumenti informatici Problem solving Flessibilità - Comunicativa - No vendita Non è richiesto titolo di studio, ma curriculum Azienda Grande azienda. Sedi presenti su tutto il territorio nazionale Candidato Sistemista reti Disponibilità a viaggiare per lavoro Capacità di proporre soluzioni a partire dai problemi posti dai clienti Straordinari - Predisposizione al rapporto diretto con la clientela - Mansioni legate all’assistenza alla clientela - Esperienza acquisita sul campo in specifici settori - Affidabilità legate alle caratteristiche Analisi dell’inserzione 99 Testo dell’inserzione: Software S.p.A., azienda leader nel campo dell’informatica e delle tlc con sede centrale in Roma e attiva in tutta Italia cerca personale informatico per incarichi di responsabilità. Si richiede ottima conoscenza dei principali software di gestione reti, flessibilità di orario, facilità alla soluzione di pro- blemi, buona comunicativa e facilità di rapporto con la clientela. No vendite. Inviare curriculum a Centro Gestione Risorse, via XXX, Roma In sintesi, dunque, consultare costantemente e con metodo le inserzioni è un modo sia per non lasciarsi sfuggire occasioni interessanti, sia per capire quali sono i titoli e le professionalità più richiesti. Inoltre, in questo modo si impara a decifrare il particolare codice di comunica- zione delle aziende in cerca di personale. Queste, infatti, nel pubblicare gli annunci hanno in mente il tipo di persona che intendono assumere, con ben delineati attitu- dini, esperienze e background formativo. La capacità di saper interpretare le inserzioni, distinguendo tra informazioni palesi e nascoste è fondamentale per saper rispondere in maniera efficace: - “aiutando” i selezionatori. La speranza che la propria risposta a un annuncio venga presa in considerazione aumenta se si forniscono unicamente informa- zioni relative ai requisiti richiesti. Il momento in cui promozionare se stessi è un altro, ossia il colloquio; - riferendosi sempre e comunque all’annuncio in maniera chiara, perché la stessa azienda, nel medesimo periodo, può aver pubblicato inserzioni diverse per figure professionali diverse. È preferibile, se non diversamente richiesto, in- viare risposte scritte a macchina o con il computer. Infine, si consiglia di prestare attenzione al contenuto delle inserzioni per un ulteriore (e sgradevole) motivo: le truffe. Non è purtroppo insolito che dietro agli annunci si celino tentativi di ottenere soldi per l’inserimento del nome del candidato in una qualche fantomatica banca dati, oppure che si finisca con l’essere coinvolti in un qualche corso di formazione professionale a pagamento o quant’altro. Si tenga presente che un’inserzione deve sempre contenere: - il nome dell’azienda; - il settore in cui opera; - cosa si richiede alla persona da assumere; - cosa si offre; - come si svolge il processo di selezione. Se l’impresa rimane anonima per questioni di riservatezza, le garanzie devono essere fornite dal nome, indirizzo o marchio della società di selezione incaricata di procedere alla selezione delle candidature. 100 Soprattutto, occorre diffidare degli annunci il cui unico recapito è un numero di telefonino o quelli in cui c’è poca chiarezza circa le mansioni da andare a ricoprire. Per concludere, possiamo classificare le inserzioni in quattro tipi: dirette sono fatte dalla stessa azienda che cerca personale; indirette sono fatte da società/istituti specializzati nella ricerca del personale per conto delle aziende; anonime non vengono fornite indicazioni per identificare l’inserzionista; identificate è indicato il nome di chi, azienda stessa o società di selezione, è autore dell’inserzione. Un altro canale da utilizzare nella raccolta delle informazioni è la “televisione”. In tal senso si segnala la trasmissione di Rai tre, “Okkupati”, che tratta sia i te- mi legati al lavoro, sia quelli legati alla formazione professionale. Nel corso di que- sto programma si cerca di fornire un quadro in costante aggiornamento del mercato del lavoro, prestando attenzione alle dinamiche occupazionali sul territorio, segna- lando i settori economici con le maggiori possibilità, le tecniche e i sistemi utili per chi entra per la prima volta nel mondo del lavoro. Le rubriche riguardano gli aspetti più disparati, spaziando dal modo migliore per raccogliere informazioni che meglio si adattano alle proprie aspirazioni, ad attente panoramiche sulle nuove professioni, alle informazioni necessarie per diventare im- prenditori, alle opportunità formative e di studio in Italia e all’estero. Inoltre, è stato attivato un sito Internet con link, motori di ricerca, banche dati online in cui inserire il proprio curriculum e la possibilità di scaricare documenti, ricercare leggi, contattare istituzioni pubbliche e organizzazioni no profit. Gli sviluppi tecnologici legati alle comunicazioni di massa e la diffusione del- l’informatica hanno portato all’affacciarsi di un nuovo veicolatore di informazioni e, quindi, di un ulteriore strumento nella ricerca del posto di lavoro: Internet. Accostarsi a Internet è una pratica che sta conoscendo in questi anni uno svi- luppo sempre maggiore ed, effettivamente, è in espansione il numero di siti in cui è possibile trovare offerte di lavoro e inserire il proprio curriculum che verrà sottopo- sto all’interesse delle imprese. Tuttavia, navigare tra i vari siti può essere un’opera- zione complicata e alla quale occorre dedicare molto tempo per districarsi tra la gran- de mole di informazioni reperibili. Innanzitutto è necessario imparare a non disperdere le proprie energie saltando da un sito all’altro; infatti, molto spesso nelle varie pagine sono presenti link che permettono di accedere direttamente ad altri siti, correndo il rischio di perdere il senso della ricerca che si era intrapresa. Perciò, il primo valido criterio da seguire è quello di avere sempre presente l’obiettivo della propria consultazione. Qualora si sappia già con esattezza cosa si sta cercando (ad es. il sito di una par- ticolare azienda) il rischio di perdersi in una selva sovrabbondante di informazioni dovrebbe essere scongiurato, ma solitamente non si hanno le idee così chiare, per cui è utile servirsi dei motori di ricerca. 101 Questi sono siti specializzati proprio nel guidare la ricerca: in appositi spazi si digitano delle parole che permettano poi al motore di segnalare i siti più utili. Si deve avere l’accortezza di digitare per prime le parole ritenute più importanti; così, ad esempio, se si vogliono conoscere le possibilità di assunzione alla FIAT, sarà meglio digitare: “FIAT offerte di lavoro”; in tal modo la ricerca di informazioni sarà limitata a un argomento ben preciso. Alcuni motori di ricerca da consultare proficuamente sono: Altavista: www.altavista.it Arianna: www.arianna.it Lycos: www.lycos.it Virgilio: www.virgilio.it Yahoo: www.yahoo.it Internet, quindi, presenta molte possibilità, ma si deve sapere quel che si vuole e di seguito dove andarlo a cercare; allo scopo di fornire un sostanziale aiuto, si ten- terà adesso di tracciare un quadro dell’offerta informativa presente sulla rete, con la consapevolezza, però, che tale quadro è certamente parziale e, soprattutto, che le cose in Internet cambiano molto velocemente. In base all’analisi di quanto contengono, ossia del tipo di informazioni e/o ser- vizi che offrono, si possono dividere i siti che affrontano tematiche sul lavoro in due grandi categorie: ¾ siti che offrono informazioni di carattere generale. Sono solitamente siti di istituzioni pubbliche, che forniscono informazioni circa la normativa vigen- te, permettono la consultazione delle Gazzette Ufficiali, offrono analisi sul mercato del lavoro e sulle dinamiche delle professioni. Oltre a quelli Senato e Camera, siti di questo tipo sono quelli dell’ISTAT, dell’Unione Europea, di Inform per la consultazione delle Gazzette Ufficiali; ¾ siti che offrono informazioni e servizi finalizzati all’orientamento e all’in- contro tra domanda e offerta di lavoro. In questa categoria confluisce la gran- de massa dei siti, gestiti dalle più diverse realtà. Infatti, accanto a quelli del Ministero del Lavoro e degli organi periferici, troviamo siti di associazio- ni/strutture/organizzazioni a vario titolo impegnati nel sociale, di gruppi che offrono servizi specializzati, di testate giornalistiche, di società di selezione. Di seguito, si fornirà la descrizione dei siti più frequentati, anche se, è doveroso premetterlo, non è detto che siano poi questi a fornire le informazioni più esaustive e meglio strutturate: Internet è un contenitore gigantesco e potrebbero esserci indirizzi meno conosciuti, ma strutturati come e meglio di quelli che riporteremo adesso. Sophia www.sophia.kronos.it Questo sito contiene oltre 2000 pagine ed è dotato di una grafica semplice ed in- tuitiva. È organizzato come una città (la città virtuale per il lavoro reale, recita il suo slogan) divisa in quartieri: 102 1. Enterprise 2. Telelavoro 3. Rappresentanze 4. In/formazione 5. Università 6. Pubblica utilità 7. Aggregazione 8. Città virtuale Ognuno di questi è un portale di ingresso al sito e a ciascuno corrisponde un’a- rea; le informazioni che vi si possono raccogliere sono in alcuni casi estremamente interessanti e notevoli i servizi offerti: opportunità formative (anche a distanza) sono ospitate in un servizio informalavoro, un CILO e l’Agenzia per l’impiego; inoltre, sono presenti gli edifici delle SCICA, dell’Ispettorato del lavoro e dell’ISFOL. Sulla home page, inoltre, è presente la voce “servizi”, i cui Top Ten sono orga- nizzati per argomenti, dei quali interessanti per noi sono: 9 Annunci impiego, con le inserzioni delle imprese; 9 Informalavoro in cui si forniscono informazioni e orientamento al lavoro, chiavi di lettura per comprendere i meccanismi di accesso al mondo del lavoro; 9 Osservatorio del mercato del lavoro contenente una banca dati con oltre 200 professioni, distinte tra emergenti e tradizionali; 9 Centro di formazione professionale; 9 Informagiovani si può ottenere un’ampia gamma di informazioni su tempo libero, sport, pubbliche amministrazioni, organizzazioni no profit. Inoltre, Sophia è percorribile con sei linee di metropolitana, ognuna dedicata a una differente categoria di utenti. L’Informagiovani www.informagiovani.it/lavoro.htm Dalla pagina principale si raggiunge l’indice dei settori informativi, suddiviso in ben quindici aree; le più interessanti per chi cerca informazioni sul lavoro sono: 9 Lavoro e concorsi, che contiene una serie di offerte di lavoro e collegamenti ad altri informagiovani, altri siti e al Bollettino telematico settimanale, il quale contiene offerte di lavoro e la panoramica della legislazione relativa ai diversi contratti di lavoro; 9 Formazione professionale, che si prefigge di orientare quanti hanno interesse per la formazione professionale; 9 Imprenditoria, che offre un resoconto su incentivi, finanziamenti, metodi di stesura di un business plan e quant’altro occorra a giovani aspiranti impren- ditori. Inoltre, uno dei settori è dedicato alle truffe e ai raggiri nei quali si rischia di cadere durante la ricerca di un posto di lavoro; 103 La città delle opportunità www.igol.it Questo sito appartiene alla IG, Società per l’Imprenditorialità Giovanile, con- trollata dal Ministero del Tesoro. Offre informazioni, orientamento e consulenza a chi desidera avviare un’attività imprenditoriale, non trascurando, tuttavia, anche chi cer- ca un lavoro dipendente. Per visitare questo sito si può cliccare su uno dei palazzi che compongono la cit- tà, oppure si può seguire un percorso diversificato in base a come ci si dichiara in in- gresso: aspiranti imprenditori, giornalisti, curiosi o altro. I palazzi sono: 1. Palazzo IG; 2. Credito e finanza; 3. Palazzo dei Tutor; 4. Scuola; 5. Agenzia di viaggi; 6. Edicola; 7. Fiera delle opportunità; 8. Parco giochi; 9. Laboratorio delle idee; 10. Parchi letterari; 11. Palazzo donne & impresa. Il palazzo della Fiera delle opportunità contiene la bacheca degli annunci, dove visionare quelli presenti ed inserire i propri; l’Edicola e l’Agenzia viaggi ospitano informazioni e link con altri siti, dove consultare periodici, giornali, trasmissioni di informazione (italiani e stranieri); il Palazzo IG è dedicato agli aspiranti imprenditori, i quali troveranno assistenza e consulenza in tutte le varie fasi nel Palazzo dei Tutor; vasta e ben strutturata è, infine, la parte dedicata all’imprenditorialità femminile. Job Help www.cyberdays.stet.it/job È un sito dedicato in maniera specifica per quanti sono alla ricerca del primo impiego e si struttura in due settori: 9 Informazioni sulle strategie per entrare nel mondo del lavoro; 9 Magazine virtuale, con informazioni di supporto. Il primo settore è suddiviso in quattro sub-settori: 1. Banche dati. Sono i link ai siti che ospitano le inserzioni di offerta e domanda di lavoro in Italia e fuori. 2. Strumenti. È una guida al lavoro e, inoltre, si forniscono suggerimenti su vari argomenti, come compilare il proprio curriculum oppure cosa fare per approntare un piano di fattibilità per la propria impresa. 3. Orientamento. Offre la possibilità di effettuare un test di autovalutazione in rete, allo scopo di scegliere il settore lavorativo più confacente. 4. Discussioni. È l’angolo in cui si dibattono, ovviamente, i temi del lavoro. 104 Il Magazine offre una rubrica incentrata sui dati Istat riguardanti le forze di lavoro, sulle professioni, sul telelavoro; inoltre, sono presenti link con altri siti e con quotidiani in linea italiani e stranieri, periodici, tv e radio. Job on line www.newtech.it/jobonline È curato dall’associazione Tempi moderni, attiva in tutta Italia ed è definito il primo giornale telematico. Al servizio di chi cerca migliori condizioni di studio e lavoro, si struttura nei seguenti settori: 1. Job Network. In base all’area professionale di appartenenza, si possono vagliare numerose opportunità di lavoro offerte dalle aziende, con cui si può entrare immediatamente in contatto cliccando sul loro indirizzo di posta elettronica. 2. Concorsi pubblici. Vi sono sintetizzati i bandi di concorso indetti dagli enti pubblici, con una frequenza di aggiornamento settimanale; i settori sono cinque: Ministeri, Università, Sanità, Enti locali, Altri enti. 3. Career Service. È pensato e strutturato per favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro; compilando un modulo preformato, si può mettere in rete il proprio curriculum vitae e questo rimarrà in linea per tre mesi all’attenzione delle aziende. 4. Formazione. Fornisce informazioni circa le opportunità di conseguire borse di studio e post-dottorati di ricerca offerti dalle università e istituzioni scien- tifiche italiane e straniere. 5. Euronews. Segnala occasioni di lavoro, tirocini e stage dell’Unione Europea. 6. Job abroad. È la sezione per chi fosse interessato a lavorare all’estero, con- nettendosi alla rete Eures. Job in Tourism www.jobintourism.it È specializzato nel raccordare offerta e domanda di lavoro nel settore del turi- smo e il suo raggio di azione è sia in Italia che fuori. Ovviamente, questo sito è un punto di riferimento per quanti intendono lavorare in alberghi, agenzie di viaggio, villaggi turistici, etc. Attivo anche un servizio informazioni con le novità e indicazioni bibliografiche. Orient@mento in rete www.aiuto.net È una guida di più di 100 pagine dedicate a oltre 400 siti italiani dedicati alle professioni, alla scuola, alla formazione, a università e ricerca. È un valido aiuto ai più giovani in cerca di lavoro, perché aiuta a: 9 Individuare le opportunità di studio, ricerca, formazione professionale e formazione continua; 9 Conoscere le opportunità lavorative per settore; 105 9 Impostare in modo razionale la ricerca di lavoro, 9 Mettere a punto un progetto personale per la ricerca di lavoro; 9 Conoscere la normativa sul lavoro; 9 Ottenere un sostegno concreto nel processo di orientamento. Ministero del Lavoro www.welfare.gov.it Questo sito istituzionale fornisce un ampio ventaglio di informazioni, compre- si gli aggiornamenti sulle normative, i finanziamenti ministeriali per l’occupazione, l’orientamento e la formazione professionale; inoltre sono inserite ricerche e studi. Il lavoro interinale è trattato con dovizia di particolari, con l’elenco completo delle società iscritte nell’apposito Albo istituito presso il Ministero. Attenzione riceve anche, ovviamente, l’Europa del lavoro, con informazioni sulle attività formative del Fondo Sociale Europeo, i programmi di studio e lavoro. Infine, è possibile collegarsi a ErgOnline inserendo il proprio curriculum che rimane in linea per tre mesi, a dis- posizione delle aziende. Da questo sito è possibile collegarsi a moltissimi siti che si occupano di formazione, orientamento e lavoro. Banca lavoro di Seleimpiego www.bancalavoro.com Si compone di aree, che, oltre alla mappa del sito, sono: 9 Servizi alle imprese: consentono a queste la consultazione della banca dati e l’inserimento delle offerte di lavoro; 9 Servizi all’utente: essenzialmente consentono all’utente di inserire il proprio curriculum, a disposizione esclusivamente delle aziende. Infine, si segnalano anche i siti delle Agenzie per l’impiego della Liguria, del Veneto e dell’Agenzia regionale di Trento, in cui è ospitato Faber. Allo scopo di ampliare ulteriormente le informazioni sin qui fornite, si riporta un elenco di siti, la cui consultazione può dimostrarsi utile. Euroguidance - in inglese - www.euroguidance.org.uk È il sito dei Centri Risorse Europei (NRCVG), creato dalla Commissione Europea. Il network mette a disposizione degli utenti e degli operatori utili informazioni per spostarsi all’interno dei paesi membri. Uno spazio che propone la mobilità attraverso la pubblicazione delle opportunità di tirocinio, studio e lavoro in Europa. Exodus Lavorare e studiare in Europa sito in inglese Il data base, strutturato in modo funzionale e immediato per la consultazione, propone nell’home page un menù che introduce alla ricerca di opportunità di lavoro, studio, stage e tirocini nei paesi dell’Unione Europea ed extraeuro- pea. Attraverso i sottomenù, per ogni paese, si possono avere informazioni sull’organizzazione dell’offerta forma- tiva e del mercato del lavoro. Esiste un esaustivo indirizzario e una dettagliatissima rete d’informazioni relative ai referenti per ogni area e paese di destinazione. Il valore aggiunto di questo strumento è legato alla possibilità di rac- cogliere notizie e curiosità relative alla cultura, alla moneta, all’assistenza sanitaria, alla lingua e alla documentazione necessaria per il soggiorno del paese di destinazione. 106 Lavoronline Il sito ha come obiettivo di base quello di realizzare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Gli utenti inserisco- no il loro curriculum e possono poi consultare ed aderire alle offerte di lavoro pubblicate dalle aziende. Interessan- ti sono le news raccolte in un interessante archivio. http: //www.lavoronline.com Guida per chi cerca lavoro Questa guida (120 pagine), a cura della Provincia di Arezzo, è indirizzata a tutte le persone che cercano lavoro. Per- ché vi serve una guida? Perché la ricerca di lavoro richiede oggi conoscenze e accorgimenti che altrimenti dovreste imparare a vostre spese. http: //www.guidalavoro.net/ Fuoricorso Un vero motore di ricerca dove trovare tantissime notizie sul mondo del lavoro, tanti suggerimenti nelle aree tema- tiche: dal come impostare il marketing di sé stessi alle indagini sui nuovi profili professionali richiesti dal mercato del lavoro. E poi...una chat, la possibilità di partecipare ai forum su argomenti specifici, spedire messaggi e pubbli- care annunci. http: //www.fuoricorso.it/ Telelavoro Questo sito cerca di diffondere in Italia la conoscenza e la pratica del telelavoro. Non troverete offerte di lavoro ma utili consigli su: come attivarsi nella ricerca del telelavoro; quali sono le associazioni che vi possono aiutare; qual’è la normativa di riferimento e quali sono gli sviluppi di questo nuovo modo di lavorare in altri paesi. http: //www.mclick.it/telelavoro/index.htm Banca Professioni È un sito che, attraverso gli articoli riportati sotto forma di Links, descrive l’evoluzione dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Attraverso gli argomenti selezionati offre un’ottima panoramica dell’attuale mercato del lavoro e delle nuove professioni. http: //bancaprofessioni.it Ermes Emilia Romagna Ermes è il sito ufficiale della Regione con una sezione specifica legata al lavoro. Attraverso un piccolo motore di ricerca puoi informarti su: la formazione, il lavoro, la scuola, le pari opportunità, l’immigrazione, l’università ecc. http: //www.regione.emilia-romagna.it/ Eures Sito ufficiale delle Comunità europea dove è possibile informarsi sulle possibilità di lavoro offerte nei diversi Stati Membri della Comunità Europea e sulle diverse normative vigenti in ciascun paese. http: //europa.eu.int/comm/ employment_social/elm/eures/index.htm Talentmanager Questo sito ti permette di leggere gli articoli riguardanti il mondo del lavoro e i suoi segreti: scrivere un curriculum, fare un colloquio, scegliere un master. Servizi per chi cerca e per chi offre lavoro. Oltre a inserire i tuoi dati, puoi consultare gli annunci di lavoro. Le aziende possono pubblicare le inserzioni per il reclutamento di risorse umane. Iscrivendoti alla newsletter riceverai via email le novità da TalentManager. http: //www.talentmanager.it Stradanove lavoro StradaNove Lavoro è uno speciale di www.stradanove.net, il settimanale digitale realizzato dal Comune di Modena e finanziato dalla Regione Emilia Romagna in collaborazione con CGIL, CISL e UIL. Dal sito è possibile consultare anche delle Schede informative della banca dati SPRING della rete Informagiovani. http: //www.stradanove.net/lavoro/ InfoLAVORO Un sito di primo orientamento realizzato dalla Provincia di Firenze. InfoLAVORO intende dare avvio in modo concreto e visibile al processo di rinnovamento previsto dalla normativa in atto che assegna a quest’Ente un ruolo di primo piano nei servizi per l’impiego. Si rivolge a tutti coloro che sono alla ricerca di lavoro e alle imprese che necessitano di personale qualificato. http: //www.provincia.firenze.it/infolavoro/ CNEL Sito istituzionale del C.N.E.L., Organo di consulenza delle Camere e del Governo per le materie e secondo le fun- zioni che gli sono attribuite dalla legge. Ha potere legislativo e può contribuire all’elaborazione della legislazione economica e sociale secondo i principi ed entro i limiti stabiliti dalla legge. È possibile consultare tutti i contratti na- zionali di lavoro e molto altro. http: //www.cnel.it/contr.htm 107 Profili & Carriere Il sito offre, oltre a tutti i servizi di intermediazione per chi cerca e chi offre lavoro (inserimento CV, consultazione annunci, ecc.), una sezione chiamata strumenti dove è possibile interrogare un consulente – il dottor job; visitare una fiera virtuale e incontrare gli uffici del personale delle più importanti aziende d’Italia. http: //profiliecarriere.it Articolo 1 ARTICOLO 1 è la rubrica del Telegiornale 3, in onda dal lunedì al venerdì alle 13.45 su Rai Tre. Ti aggiorna sulle offerte di lavoro in Italia ed all’estero e sui nuovi provvedimenti nel campo della creazione d’impresa e dei contratti di lavoro.http: //www.rainews24.rai.it/sito/agg_pagine/rubr_rai/articolo1/default.htm Corriere Lavoro Inserto settimanale del Corriere della Sera con offerte di lavoro, novità ed opinioni sui cambiamenti del mercato del lavoro. http: //www.corriere.it/lavoro Bancalavoro Un sito che offre servizi alle aziende ed ai giovani. In particolare l’area per chi cerca lavoro è divisa nelle seguenti sezioni: Primo impiego; Impiegati; Operai/artigiani; Concorsi; Quadri/dirigenti; Agenti/venditori; Categorie protette; Informatici; Newsgroup; All’estero; Telelavoro; Lavoro temporaneo; CercaLavoro. http: //bancalavoro.com Okkupati Sito della trasmissione sui temi del lavoro e della formazione; anche quest’anno okkupati cercherà di intercettare quante più possibili opportunità di lavoro, che si presentano in un mercato in continuo cambiamento, indicandovi non solo i settori con maggiori possibilità, ma anche le tecniche e i sistemi per entrare per la prima volta nel mon- do del lavoro. Navigando tra le pagine troverete gli approfondimenti su tutti gli argomenti affrontati in tv e gli indirizzi per comu- nicare. troverete anche i link ai migliori siti web, che offrono informazioni sul lavoro e sulla creazione di impresa, sulle nuove professioni, sulle opportunità di formazione e di studio all’estero ed in Italia. http: //www.okkupati. lavori.net/home.htm Il Sole 24 ore Lavoro Sito del Sole24ore che si divide in diverse sezioni e cioè: Primo Piano, dove si tratta in maniera approfondita even- ti e problematiche di grande attualità; I quaderni del Sole 24 ORE On line dove vengono illustrati provvedimenti le- gislativi come il lavoro interinale, gli stage e tirocini, il nuovo apprendistato, il lavoro atipico, il telelavoro, il part time ecc..; Le Opportunità che evidenziano i concorsi pubblici, gli incontri/laboratorio tra studenti, l’università e mon- do del lavoro e dove è possibile informarsi sulla richiesta delle aziende di personale qualificato. È di grande inte- resse anche la sezione Documenti. http: //www.ilsole24ore.it/sottosezioni/lavoro.htm Job-net Job-Net è la mailing list per la diffusione di informazioni sulle offerte e ricerche di personale qualificato. Iscriviti alla lista e avrai la comodità di ricevere le offerte nella casella della posta. Per la consultazione delle offerte di lavoro l’iscrizione, gratuita. http: //www.webcom.com/~jobnet/ Lavorare in Europa: itinerari di Virgilio Leggi, trucchi, notizie per varcare la frontiera con successo. Sarà l’Europa delle banche o quella del lavoro? Questo itinerario non può rispondere, ma si limita a raccogliere spun- ti dalla rete su come sta cambiando il mondo del lavoro in funzione della cosiddetta globalizzazione.. Di certo non si va più all’estero per cercare un lavoro che non c’è, ma anche, o forse soprattutto, per raccogliere opportunità che nel paese d’origine non sono disponibili (pensiamo ai lavori nella ricerca o nelle organizzazioni internazionali). Pubblico e privato qui si intrecciano, tra siti istituzionali che spiegano molto bene opportunità e rischi e bacheche elettroniche molto fornite. http: //www.virgilio.it/canali/lavoro/index.html Career/mosaic Un sito scritto in inglese che ti fornisce la possibilità di ricercare per paese migliaia di offerte di lavoro in tutto il mondo. http: //www.careermosaic.com/ Trovalavoro Il sito dello Studio Castellotti offre informazioni relative ad inchieste e servizi sul lavoro, presentazione di aziende, segnalazioni di iniziative nonchè informazioni sulle principali opportunità occupazionali e formative (ricerche di per- sonale, concorsi, corsi di formazione, borse di studio, stage ecc.). Punto di forza sono le inserzioni di offerta lavo- 108 rativa, che lo Studio Castellotti, grazie alla lunga esperienza e credibilità settoriale, riceve abitualmente da circa 120 tra le più qualificate società di ricerca e selezione del personale, da una ventina di agenzie fornitrici di lavoro interinale e da centinaia di piccole e medie aziende, anche internazionali, alla ricerca di personale nel nostro paese. http: //www.italmarket.com/trovalavoro/index2.html TCA Telelavoro Sito Ufficiale del CIPT, Comitato Italiano per la Promozione del Telelavoro. Non solo notizie interessanti, ma anche offerte e richieste di lavoro e possibilità di iscriversi alla mailing list sul telelavoro. http: //www.telelavoro.it Ergonline Banca dati gestita dal Ministero del Lavoro che intende favorire l’incontro tra domanda ed offerta.. C’è la possibi- lità di registrare il proprio curriculum in una banca dati certificata. http: //ergonline.village.telecomitalia.it/mdl30/intcv. nsf/IntWelcom?OpenNavigator Lavoro oggi Un portale completamente dedicato al lavoro in tutte le sue forme. Per la ricerca delle opportunità segnalate si procede attraverso la selezione dell’area geografica d’interesse sulla cartina dell’Italia. http: //www.lavorooggi.it/ articoli/I_internet.htm Forum lavoro La CIM mette a disposizione un gran numero di siti per saperne sempre di più sul lavoro. Per chi è alla ricerca del lavoro on line: metti il tuo curriculum on line e fallo certificare dagli esperti della CIM prima di visitare tutte le fon- ti di offerte di lavoro di seguito indicate; la CIM mette a disposizione un gran numero di siti per saperne sempre di più sul lavoro. http: //www.forumlavoro.com Jobworld È un sito curato dal Gruppo Editoriale Jackson con altri 6 siti gemelli in Europa. Le offerte di lavoro sono raggrup- pate nelle seguenti tipologie: direzionale, information technology, commerciale e marketing, organizzazione e personale, amministrazione e controllo, tecnica, produzione e acquisti, logistica e trasporti, finanza e assicurazione. http: //www.informatica.jakson.it/jobworld/index.asp Banca dati Donna al Lavoro Per le donne alla ricerca di una collocazione professionale. Donna al Lavoro è una banca dati per mettere a fuoco esigenze, aspettative, interessi verso il lavoro, costruire gli strumenti più adatti per affrontare la ricerca, conoscere il mercato del lavoro femminile e le sue tendenze, conoscere nuovi modi di lavorare, individuare la strada migliore verso l’obbiettivo lavoro. http: //donnalavoro.ticonuno.it/ Europa Lavoro Sito ufficiale del ministero del lavoro. Si suddivide in tre aree: la formazione e il lavoro, nella quale è possibile reperire notizie sulla formazione professionale, sulla ricerca di lavoro, il lavoro autonomo e la creazione d’impresa ecc...; azioni di informazione del ministero del lavoro; area operatori, dove è possibile reperire bandi, circolari e modulistica. http: //www.europalavoro.it/ Lavoro.it Questo spazio è dedicato alle aziende ed ai privati che ricercano personale qualificato. C’è la possibilità di inserire un annuncio gratuito che sarà visibile per 15 giorni. http: //lavoro.kosmomarket.com/ Consiglio Nazionale delle Ricerche Sito istituzionale del C.N.R. (Consiglio Nazionale delle Ricerche), Ente nazionale di ricerca con competenza scien- tifica generale e istituti scientifici distribuiti sul territorio, che svolge attività di prioritario interesse per l’avanzamento della scienza. Il sito si compone delle seguenti sezioni: Organizzazione, Attività, Utilità, Eventi, URP. http: //www. urp.cnr.it/contrattiopera/contrattiopera.htm Il Corriere dell’Università Un quindicinale che tratta delle questioni legate al mondo delle Università. Ci si può trovare informazioni, consigli utili ed offerte di lavoro, borse di studio e di lavoro, master e bandi di concorsi. http: //www.corriereuniv.it/Lavoro/ LavoroIndexMain.htm MSN Lavoro Portale che si occupa del lavoro attraverso il quale è possibile collegarsi ai principali siti per la consultazione delle offerte di lavoro e l’inserimento del proprio curriculum in banche dati. http: //www.msn.it/lavoro.asp 109 Guida Orientamento Regione Lazio In questo sito è possibile trovare un’ampia gamma di informazioni sul mercato del lavoro e delle professioni. Si sud- divide ed articola in diverse aree tematiche quali: consigli per partire con il “piede giusto”; primo inserimento; sostegno all’occupazione; lavoro autonomo e creazione d’impresa; lavorare nei paesi dell’unione europea; il progetto EURES; “il lavoro in affitto”; le agenzie di lavoro interinale; il telelavoro; nuove professioni e modalità organizzative; figure professionali. Ci sono anche informazioni che si riferiscono a specifiche categorie: donne, portatori di han- dicap, giovani,disoccupati di lunga durata, lavoratori in mobilità. http: //www.sirio.regione.lazio.it/lavoro/ut_intro.htm Donna Moderna Il sito riprende l’area della rivista che si occupa di lavoro. Donna Moderna vi dà l’opportunità di consultare on line le offerte pubblicate ed inoltre invita le imprese a segnalare le proposte di lavoro che saranno pubblicare gratuitamente. http: //www.mondadori.com/donnamoderna/occ/home_occ.html Obiettivo lavoro Settimanale di informazione sulle offerte di lavoro, il lavoro in affitto, l’Università e gli sbocchi occupazionali, l’uf- ficio di collocamento e i concorsi pubblici. http: //www.obiettivolavoro.net Agenzia del Lavoro di Trento Qui puoi trovare tutti i servizi e le opportunità offerte ai lavoratori e ai datori di lavoro nonché le informazioni per conoscere il mercato del lavoro locale e l’organizzazione della struttura composta da: Struttura Centrale – Centri per l’Impiego- Bacheca delle opportunità formative e lavorative. http: //www.agenzialavoro.tn.it/ Stepstone Il sito offre servizi di due tipi: per le aziende e per l’utenza. Ogni servizio è mirato al raggiungimento di un risultato concreto, come il trovare un posto di lavoro ed è fruibile in modo interattivo attraverso appositi moduli online. Per chi cerca lavoro, esiste un servizio di mailing list che segnala all’utente registrato le nuove offerte di lavoro per il settore segnalato. http: //www.stepstone.it Interessante può essere anche far parte di gruppi di discussione, i newsgroup, per entrare in contatto con gli altri utenti dei servizi e, per esempio, scambiarsi informa- zioni. Bisogna, tuttavia, tener presente che nei newsgroup ogni tipo di informazione è pubblico e che farne parte richiede un certo dispendio di tempo. I migliori new- sgroup sono quelli a cui si accede utilizzando una password e che sono controllati da un moderatore. Altro strumento informativo è il “Televideo” della Rai, che dedica dieci pagine, a partire dalla 654 con informazioni sui concorsi pubblici e a selezionate opportuni- tà nelle pagine di tam tam lavoro. Inoltre, sono riportate le novità di fonte Ministero del Lavoro. Al termine di questa esposizione non vanno tralasciati la “Gazzetta Ufficiale” (4 Serie speciale Concorsi ed esami) e i “Bollettini regionali”, che pubblicano i bandi ufficiali dei concorsi nel pubblico impiego, in tutti i suoi livelli territoriali. 4.1.2. Conoscenza sui soggetti detentori e sulle fonti informative Come si è già accennato, una ricerca di occupazione svolta in modo razionale non può prescindere dal possesso di informazioni che permettano di orientare le proprie aspirazioni ed esperienze formative e professionali verso l’incontro con la realtà di un mercato del lavoro in continua evoluzione. 110 Quindi, è senz’altro utile sapere chi, sul territorio: - è in possesso di informazioni e di quale tipo; - presta servizi di orientamento e consulenza. Ecco, di seguito, a chi rivolgersi sul territorio per avere informazioni, consu- lenza e supporto nella propria attività di ricerca di lavoro. Centri di Formazione Professionale. Sia quelli a diretta titolarità di un Ente Lo- cale, sia quelle degli Enti di Formazione hanno arricchito nel corso del tempo le pro- prie capacità di intervento, attivando servizi volti all’orientamento, alla diffusione delle informazioni sulle varie opportunità di formazione, alla consulenza e, non di rado, all’analisi e ai mutamenti del mercato del lavoro locale. Tutte queste attività stanno affiancando la più tradizionale attività formativa. Informagiovani. Emanazioni territoriali che fanno capo al Coordinamento Na- zionale del Ministero del Lavoro, permettono ai giovani in cerca di occupazione di orientare le proprie scelte non solo nel campo lavorativo, bensì anche in quello del- l’istruzione, aiutandoli a individuare i propri interessi e a rapportarli al ventaglio di alternative tra scuola e lavoro presenti sul territorio. Sezioni Circoscrizionali per l’Impiego (SCICA). Sono gli ex uffici di colloca- mento). Tra le molteplici attività che spettano a questi organismi, quelle di maggior interesse per quanti sono alla ricerca di lavoro sono: • la partecipazione a iniziative volte a incentivare nuove possibilità di lavoro; • assunzione di iniziative per conseguire gli obiettivi delle politiche attive del- l’impiego; • informazioni sui rapporti di lavoro; • informazioni sul locale mercato del lavoro; • informazioni sulle possibilità di accrescere la propria professionalità; • Creazione/aggiornamento di elenchi di disoccupati. Agenzia del lavoro. La strategica importanza delle Agenzie del lavoro è già stata sottolineata; qui ci si limita a ricordare che queste strutture offrono servizi di orien- tamento, promuovono attività di inserimento agevolato per le donne e le fasce deboli e si adoperano per elevare la professionalità della forza lavoro. Il tutto nell’ambito della promozione dell’incontro fra domanda e offerta di lavoro. CILO. Organismi locali costituiti e gestiti dai singoli Comuni, i Centri di Iniziativa Locale per l’Occupazione forniscono servizi informativi, di orientamento e consulenza per la ricerca di lavoro dipendente e autonomo; più in particolare, gli sportelli CILO: - offrono la possibilità di consultare quotidiani e pubblicazioni di ogni tipo sulle tematiche del lavoro, la Gazzetta Ufficiale per i Concorsi ed Esami, i Bollettini Regionali; 111 - forniscono informazioni su concorsi pubblici, contratti di formazione lavoro, leggi che hanno attinenza con il mondo del lavoro (iscrizioni al collocamento, agevolazioni per il lavoro autonomo, etc.); - tramite colloqui individuali o di gruppo permettono di progettare percorsi lavorativi e formativi e forniscono aiuto nel costruire una strategia mirata nel cercare lavoro. Associazioni di categoria. Sono le rappresentanze degli imprenditori. Di solito sono articolate su base provinciale e la distinzione tra loro è legata soprattutto al set- tore economico di appartenenza. Forniscono assistenza sia a quanti sono in cerca di lavoro dipendente, sia a quanti vogliono tentare la strada dell’imprenditoria. Svolgono analisi sull’andamento dei settori merceologici, sui posti di lavoro disponibili e forniscono informazioni sulle opportunità formative. Le principali Associazioni di categoria sono: • Confindustria (imprese industriali di grandi dimensioni); • Confapi (piccole e medie imprese); • Confcommercio e Confesercenti (imprese commerciali e turistiche); • CNA e Confartigianato (imprese artigiane); • ANCE (costruttori edili); • Confagricoltura, CIA e Coldiretti (agricoltori e imprese agricole); • Assicredito (imprese del settore creditizio); • Confetra (imprese del trasporto). Eures. È una euro-banca-dati che opera in sedici paesi; viene gestita da 350 euroconsiglieri (trenta dei quali in Italia) che informano e orientano i candidati intenzionati a lavorare in Europa e le aziende che assumono oltre frontiera. Eures fornisce sia offerte di lavoro, sia informazioni sulle formalità previste per l’espatrio, le condizioni contrattuali e quelle di vita. In Italia Eures fa capo al Ministero del Lavoro e alle Agenzie Regionali per l’Impiego. Allo scopo di fornire un quadro più completo possibile, si fornisce di seguito una tabella indicante chi detiene quale tipo di informazioni. Soggetti Cosa chiedere Uffici provinciali del lavoro Sezioni circoscrizionali per l’impiego • Legislazione • Andamento dei mercati locali • Aziende che assumono • Opportunità lavorative • Programmi di preselezione • Programmi di inserimento lavorativo all’estero (Euroconsiglieri) Cosa chiedere a chi 112 Soggetti Cosa chiedere Agenzie per l’impiego (sede nei capoluoghi di regione) Regione (sede nel capoluogo di regione, più sedi decentrate a livello provinciale o comunale) Provincia (sede nel capoluogo di provincia) Enti locali Camere di commercio (sedi nei capoluoghi di provincia) Associazioni imprenditoriali (locali e di categoria) Organizzazioni sindacali (territoriali e di categoria) Albi professionali Sportelli pubblici e del privato sociale (Informagiovani, Centri Donna, comunità montane, Università, Associazioni solidaristiche, Pro Loco, ecc.) Rappresentanza dell’Unione europea (sedi locali, Eurosportelli, di organizzazioni (Fao, Unicef...) e uffici di rappresentanza estera (Ambasciate, Consolati, Camere di commercio) Fiere, Mostre di settore e convegni Società di consulenza e selezione del personale • Offerta diretta di servizi di sostegno alla ricollocazione • Programmi di orientamento • Programmi di informazione e promozione sui percorsi formativi • Materiali divulgativi sulla normativa vigente in materia di lavoro • Leggi regionali di sostegno allo sviluppo dell’occupazione: incentivi all’assunzione; progetti territoriali; supporto alla creazione di nuove imprese; programmi di azioni positive; ecc. • Sportelli informativi • Programmi di orientamento e riqualificazione professionale • Piani di insediamento commerciale • Indagini su trend occupazionali • Progetti speciali territoriali • Guide informative • Percorsi formativi • Sportelli informativi e di servizio (centri Informagiovani; Centri Donna, Cilo, ecc.) • Progetti di lavori socialmente utili • Piani di insediamento economico produttivo e di servizi • Percorsi formativi • Elenchi di nuove aziende e imprese che hanno cessato l’attività • Sportelli informativi e di servizio (Es. Camera di commercio di Milano che ha istituito una struttura di sostegno per la nascita di nuove imprese: Formaper) • Andamento dei settori merceologici • Posti di lavoro disponibili • Corsi di formazione • Sviluppo di imprese • Andamento del mercato del lavoro a livello generale e settoriale • Sportelli informativi interni alle strutture • Aziende che assumono • Corsi di formazione • Corsi di aggiornamento • Concorsi • Agevolazioni e indirizzi di imprese • Offerta di lavoro nazionale ed estera • Opportunità locali • Documentazione informativa • Offerte di lavoro all’estero • Normativa • Programmi di formazione • Progetti speciali di sviluppo economico • Rappresentano l’occasione per incontrare in un’unica soluzione un numero elevato di aziende di ogni dimensione e caratteristiche • È il momento ideale per distribuire i curricula e lettere di presentazione • Informazioni sulle posizioni richieste • Opportunità di lavoro • Consigli sulla diffusione del curriculum vitae 113 4.2. Strategie per l’autopromozione Dopo aver esaminato le tecniche per reperire le informazioni relative alla domanda di lavoro esistente, ci occupavamo della seconda strategia per la ricerca di lavoro, quella che abbiamo definito dell’autopromozione. A questo proposito, due sono gli interrogativi da porsi: ¾ A chi rivolgersi e quali aziende contattare per promuoversi? ¾ Quali tecniche e quali strumenti utilizzare? Si stanno, quindi delineando pian piano le fasi di un percorso che troverà il suo naturale punto di arrivo nel conseguimento del primo colloquio di lavoro. 4.2.1. Il reperimento delle informazioni relative alle “aziende-bersaglio” Il candidato, prima di definire un elenco di aziende del settore professionale prescelto, presso le quali proporsi, deve preliminarmente 1) circoscrivere l’area geografica della sua ricerca. Essa, naturalmente, varierà in relazione a: • caratteristiche del segmento di mercato prescelto • condizioni offerte dal mercato stesso • aspettative ed aspirazioni personali • proprie esigenze pratiche. 2) individuare i canali da cui reperire le informazioni che gli necessitano. Essi sono sostanzialmente due: a) la rete dei contatti personali b) le fonti scritte Persone di età inferiore a 40 anni che hanno avuto la prima esperienza di lavoro nel corso del triennio 97-99, per canale di ingresso nel primo lavoro e titolo di studio. – Composizione % Canali d’ingresso nel primo lavoro Titolo di studio Laurea (a) Diploma di maturità (b) Licenza Media Totale Ufficio di collocamento 2,6 6,6 7,1 6,1 Concorso pubblico 19,0 8,6 1,8 7,9 Inserzione sui giornali 6,0 4,7 2,1 4,0 Visita a imprenditori 32,9 27,6 22,8 26,8 Agenzia privata di collocamento 7,4 4,6 1,9 4,1 Segnalazione di amici o parenti 17,1 35,5 50,9 37,9 Avvio di attività autonoma 11,1 5,9 5,2 6,5 Subentro in attività autonoma 4,0 6,5 8,3 6,7 Fonte: Istat, rilevazione trimestrale sulle Forze di lavoro ottobre 1999 (a) Sono inclusi i diplomi universitari e i titoli post-laurea (b) Sono inclusi i diplomi di qualifica professionale 114 a) La rete dei rapporti personali Se da un lato interpellare parenti, amici o conoscenti per cercare lavoro, potrebbe sembrare una banalità, in realtà la rete dei rapporti personali è considerata, ancora oggi, il canale privilegiato per la ricerca di un impiego. Le nostre conoscenze personali, infatti, costituiscono una risorsa preziosa da valorizzare e sfruttare al massimo per raggiungere l’obiettivo stabilito. Basti pensare che secondo i dati ISTAT relativi all’anno 1998, come si può vedere dalla tabella che segue, ben il 35,5% dei diplomati in cerca di lavoro ha trovato un’occupazione grazie alla rete delle proprie conoscenze. Non è un caso, infatti, che la maggior parte delle aziende, soprattutto quelle di piccole dimensioni, si affida al “passaparola” per trovare nuove collaborazioni. La rete delle nostre relazioni sociali è costituita dall’insieme delle persone che conosciamo, ma anche da quelle che potremmo conoscere attraverso di loro. I nostri conoscenti, infatti, possono darci non solo utili informazioni e consigli su un deter- minato profilo professionale – perché svolgono la stessa attività o perché conosco- no il settore economico di riferimento – ma anche importanti opportunità, a volte risolutive, di nuovi ed efficaci incontri. Per ottimizzare la resa del canale delle risorse relazionali si consiglia di porre al nostro interlocutore quesiti e richieste precise, legate al suo particolare ruolo, alla attività che svolge ed alle sue esperienze professionali. Occorre cercare, infatti, di recuperare il maggior numero di informazioni possi- bili sul settore interessato: • Natura dell’attività • Mansioni da svolgere • Preparazione e competenze richieste. Inoltre, se chiariremo ad esso i nostri obiettivi professionali ed illustreremo con precisione le nostre competenze ed abilità, maggiori saranno le possibilità di riusci- ta: le informazioni circoleranno più diffusamente e più precisamente possibile. È importante anche raccogliere il maggior numero di informazioni possibili, relative all’azienda, ai prodotti, ai servizi da questa offerti, alla sua evoluzione, all’ambiente di lavoro, ecc. Questo preziosissimo patrimonio di notizie tornerà, infatti, utilissimo al momento della redazione della lettera di autocandidatura, perché il loro utilizzo, se ben sfruttato, servirà per destare interesse del nostro interlocutore. Pregate poi il vostro contatto di fornirvi i nominativi di persone che a loro volta potrebbero rivelarsi utili per la vostra ricerca. Vedrete così che man mano che la vostra rete di contatti (network) si allargherà, avrete una visione sempre più chiara e completa della professione che desiderate svolgere e potrete così muovervi verso quell’ambito professionale in maniera più mirata e consapevole. L’importante comunque è tenere presente che lo scopo dell’utilizzo della rete dei contatti personali è sempre ottenere un colloquio con l’azienda individuata o nel peggiore dei casi reperire informazioni supplementari relative al settore interessato. 115 Infine, è buona norma crearsi un elenco dei propri contatti e tenerlo costante- mente aggiornato. Aziende da contattare appartenenti al settore interessato Conoscenti a cui chiedere i nominativi di persone appartenenti al settore di riferimento Nominativi ottenuti Informazioni ricevute dai nominativi riportati nella III colonna A titolo esemplificativo si propone il seguente modello di elenco dei propri contatti personali Ciò che in genere garantisce il successo di una ricerca di lavoro o semplicemente di informazioni, utilizzando il canale preferenziale delle proprie conoscenze è il poter avvicinare l’interlocutore parlando di qualcuno o di qualcosa (una persona, un evento, un prodotto, ad esempio) di cui entrambi hanno familiarità. E questo fa si che si stabilisca nei confronti del candidato una sorta di “affidabilità irrazionale”, basata cioè non su elementi tangibili, bensì per riflesso sulla fiducia che in realtà si nutre verso quelle persone che hanno fatto da tramite. A dimostrazione di quanto detto, non possiamo trascurare il fatto che oggi le aziende richiedono ai loro nuovi collaboratori prima di tutto affidabilità. Come trovarla se non affidandosi alle segnalazioni di persone che si conosce e di cui ci si fida? La informazioni reperite, relative alle aziende, devono essere accuratamente se- lezionate ed archiviate in quello che potremmo definire “un indirizzario ragionato” ed organizzato in modo funzionale per il miglior utilizzo possibile. A titolo esemplificativo si potrebbe utilizzare un indirizzario che presenti la seguente struttura: 1) nominativo e ragione sociale dell’azienda 2) indirizzo e numero di telefono 3) referente 4) settore merceologico e produttivo 5) dimensioni dell’azienda (numero degli addetti e del personale, fatturato) 6) ambito geografico d’attività (impresa locale, nazionale o multinazionale) 7) mercati di sbocco 8) sistemi di produzione e tecnologie adottate 9) struttura organizzativa dell’azienda 10) andamento economico 11) strategie e piani d’investimento 116 b) Le fonti scritte Per fonti scritte si intendono soprattutto le guide e gli annuari, presenti in com- mercio, che raccolgono utilissime informazioni sulle aziende e sui prodotti presenti sul mercato nazionale. Queste raccolte che rappresentano un ottimo veicolo promozionale a pagamento per le imprese hanno, però, costi particolarmente elevati. Sono comunque reperibili presso: • biblioteche, • centri di documentazione, • centri di orientamento professionale, • associazioni imprenditoriali e di categoria • organizzazioni sindacali, • studi professionali La consultazione di queste fonti, in alcuni casi, potrebbe rivelarsi complessa. Sarà dunque opportuno, per ottimizzare i tempi della ricerca, procedere preliminar- mente alla definizione della giusta chiave di lettura di ogni singola pubblicazione, in modo tale da individuare con esattezza cosa e dove cercare. Riportiamo, di seguito, l’elenco dei maggiori annuari e le principali loro carat- teristiche: “Seat”. Sono le Pagine gialle degli elenchi telefonici riferite unicamente alle im- prese. Esse sono articolate in dieci volumi, suddivisi per settore di attività economica, forniscono informazioni su: • fiere campionarie specializzate, nazionali ed internazionali • dati statistici • andamenti economico-finanziari delle principali categorie merceologiche a livello locale e nazionale • anagrafica delle aziende e degli operatori del mercato suddivisi per categoria merceologica Gli annuari Seat vengono aggiornati ogni 2 anni. “Pagine gialle lavoro”. Raccolgono gli operatori economici di tutti i settori di attività, suddivisi a livello territoriale e classificati in circa 1700 categorie merceo- logiche. “Guida Monaci”. L’annuario contiene informazioni sulle principali aziende nazionali produttrici di beni e servizi operanti nell’ambito privato e della pubblica amministrazione e riporta • nominativi • cariche • funzioni dei responsabili delle imprese. 117 “Kompass”. È il repertorio più completo e dettagliato pubblicato oggi in Italia. Di oltre 35.000 Società vengono fornite notizie su: • tipologia dell’azienda (dimensioni, capitale sociale, fatturato) • prodotti o servizi offerti • posizione rispetto al mercato (produttore, distributore, agente, ecc.) • mercati interessati (nazionale, internazionale) Viene aggiornata ogni 2 anni. “Duns”. In questo annuario, pubblicato anche in vari paesi europei e negli Stati Uniti sono elencate le più importanti aziende italiane, classificate per fatturato e giro d’affari. Si trovano inoltre informazioni su: - categorie merceologiche - dimensioni delle aziende - nominativi dei responsabili aziendali La guida viene aggiornata annualmente. Anche presso le Camere di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura è possibile reperire informazioni preziose, in particolare sulle aziende e la loro organizzazione. Infatti, presso ciascun ufficio camerale, esiste un registro delle ditte consultabile che di norma fornisce informazioni più sintetiche per indirizzare la ricerca verso settori di attività o tipologie di imprese specifiche. Non vanno poi dimenticate le associazioni di categoria (Ascom, Confesercenti, Confartigianato, Cna, Associazioni degli industriali, Lega delle Coopoerative, Conf- cooperative) a cui ci si può rivolgere per chiedere l’elenco delle aziende associate o indicazioni relative alle aziende in cerca di nuovo personale. Informazioni utili e indicazioni di aziende o di persone da contattare si possono reperire anche consultando le riviste specializzate del settore prescelto o partecipando a1 convegni2, tavole rotonde, mostre e fiere. A proposito di quest’ultime, vista l’importanza dell’argomento “Lavoro”, da al- cuni anni si svolgono delle vere e proprie fiere sul tema dell’Orientamento. Si tratta per lo più di iniziative promosse e gestite dalle facoltà universitarie, scuole di spe- cializzazione, aziende e istituzioni formative con lo scopo di divulgare le opportunità formative destinate a diplomati e laureati e di creare occasioni di incontri con esperti di formazione, psicologi, professori universitari e naturalmente col mondo delle aziende. Nel prospetto seguente si segnalano le più importanti che si sono tenute nel 1999, con le relative date di svolgimento: 1 L’elenco di queste ultime è reperibile presso l’Ente fiera del capoluogo più vicino. 2 La documentazione (resoconti ed atti) è di solito rintracciabile presso gli Enti organizzatori del- l’evento. 118 Città Milano - febbraio Napoli - aprile Verona - novembre Milano - marzo Pesaro/Urbino - marzo Fiera Salone dello studente & del lavoro giovani Campus orienta Euripe ‘99 JOB Lavoro&Carriere Orienta days Indirizzo Internet www.fieramilano.com www.mostradoltremare.it www.veronafiere.it www.il Sole24ore.it E-mail: ismeri@mclinck.it 4.2.2. Il contatto con le aziende: le tecniche A questo punto del nostro percorso è stata individuata la rosa di possibili azien- de da contattare e che appartengono al settore professionale nel quale intendiamo collocarci. Non rimane, quindi, che stabilire quale tecnica di contatto mettere in atto per in- teragire con esse. È importante, però, sottolineare che non esiste in astratto una tecnica vincente: la scelta dell’uno o dell’altro strumento è, in realtà, fortemente condizionato da una serie di fattori, tra cui i principali sono: • tipo di occupazione che si intende trovare • bagaglio di esperienze formative e professionali accumulate • segmento di mercato per il quale ci si intende candidare La candidatura diretta può avvenire in diverse forme: 1) pubblicando un proprio annuncio (autoinserzione) 2) contattando direttamente le aziende che potrebbero essere interessate alla nostra professionalità (autopromozione). 4.2.2.1. L’autoinserzione Una delle possibili vie per attuare una strategia di autocandidatura consiste nel pubblicare un’inserzione sui giornali. Questo tipo di strategia può rivelarsi in molti casi fruttuosa quando si è in pos- sesso di specifici requisiti che ci rendono particolarmente competitivi sul mercato del lavoro (ad esempio l’ottima conoscenza di una lingua straniera). Sono molti i giornali che offrono la possibilità di pubblicare un’inserzione pro- fessionale e molti sono coloro che si servono di tale strumento per proporsi sul mer- cato del lavoro. Come fare quindi per sfruttare al meglio questo prezioso canale di autopromo- zione e valorizzare in poche righe il proprio bagaglio culturale e le proprie compe- tenze? L’inserzionista dovrà aver cura essenzialmente di due elementi: 1) la giusta scelta del giornale e del giorno in cui pubblicare l’annuncio; 2) la redazione del giusto testo da far pubblicare. 119 1) L’individuazione della testata giornalistica • Generalmente per i lavori precari ed informali (lezioni private, baby-sitter, traduzioni) sarebbe opportuno servirsi dei giornali a diffusione locale specia- lizzati in annunci di vario genere (Portaportese, la Pulce ecc.); • Se, invece, ci si propone per una qualifica professionale più elevata e caratte- rizzante è più opportuno far pubblicare un’inserzione a pagamento o sui quo- tidiani nazionali o sulla stampa specializzata (ad es. giornali delle associazio- ni di categoria, inserti riservati ad un’utenza specifica come il “Cercolavoro Giovani del Sole 24 ore, riviste destinate agli imprenditori di un particolare settore produttivo). Per la scelta del giornale su cui pubblicare l’annuncio, poi, andrà considerata, oltre che il tipo di impiego cercato e le caratteristiche professionali offerte, anche la tiratura dello stesso e l’area geografica nella quale il giornale viene distribuito. Per quanto riguarda, invece, la scelta del giorno più opportuno per la pubblica- zione, è buona norma individuare, per ciascuna testata, il giorno della settimana dedicato a tale tipologia di inserzioni, perché quel giorno ci sarà naturalmente anche la massima concentrazione di annunci da parte dei datori di lavoro. 2) La definizione del testo La necessità – sia per ragioni di spazio che naturalmente di costi – di elaborare un messaggio breve e sintetico, non facilita la stesura di un testo che deve, invece, essere: a) estremamente chiaro nella sua formulazione. Si consiglia, quindi, di utilizzare un linguaggio semplice, evitando di usare termini stranieri a meno che non facciano parte della terminologia del settore. b) organico e completo nelle informazioni che si forniscono. Dovranno, quindi, essere chiaramente indicate le informazioni relative a: ¾ professionalità posseduta, avendo cura di esprimere chiaramente le pro- prie peculiarità. L’importante è sapersi caratterizzare e non presentarsi mai con un profilo generico; ¾ settore, tipo di azienda e posizione per la quale si concorre; ¾ età ¾ esperienze lavorative significative ¾ reperibilità3 3 Andranno indicati: recapito e numero di telefono, ora a cui si è più facilmente reperibili. Per evitare di incappare in truffe o in incontri spiacevoli si può eventualmente segnalare un’indirizzo di casella postale. 120 Infine, senza esagerare nell’autopromozione, il testo dell’annuncio deve essere accattivante, perché chi lo legge lo distingua tra tutti gli altri. Per attirare l’attenzione del lettore, dunque, e suscitare l’interesse ad incontrare la persona che lo ha scritto, dobbiamo usare un pizzico di fantasia e fare ricorso ad un po’ di creatività. Riepilogando, ogni inserzione dovrà contenere: Le informazioni indispensabili • Posizione/funzione • anni di esperienze • settore-area-tipo di azienda • punti di forza • reperibilità Le informazioni a completamento • Età • Titolo di studio • Conoscenze di lingue e/o informatiche • Specializzazioni legate ala posizione/funzione • Disponibilità (tipo di assunzione, orari, trasferimenti) • Condizione occupazionale Esempio di inserzione Trentenne, laureato lingue, perfetto inglese/tedesco, specializzazione traduzioni commerciali, interpretariato d’affari, esperienza fiere utilizzo computer, disponibilità viaggi, offersi azienda esportatrice. Tel 02/99999 chiedere di Mario Rossi. Ore serali 4.2.2.2. L’autopromozione La candidatura diretta può avvenire secondo varie modalità: 1) contattando l’azienda telefonicamente 2) presentandosi personalmente 3) inviando una lettera di autocandidatura. 1) Contatto telefonico Contattare telefonicamente un’azienda è, in genere, un metodo da sconsigliare perché si rischia di essere velocemente liquidati, se non si è particolarmente abili nella comunicazione. Sarà comunque opportuno, in questo caso, preparare con cura una scaletta di domande da porre e di informazioni da fornire. È bene poi, non di- lungarsi troppo nei dettagli ma tenere presente che lo scopo è quello di sollecitare un appuntamento per un colloquio. 2) Presentarsi personalmente Presentarsi personalmente in azienda è una forma di contatto da consigliare solo nel caso di strutture di piccole dimensioni, dove i referenti con cui interessa parlare possono essere più facilmente raggiungibili. 121 3) L’autocandidatura scritta L’autocandidatura scritta, con lettera ed allegato curriculum, inviati per posta o recapitati personalmente, è generalmente la formula da preferire. È vero che a diffe- renza del contatto telefonico, la candidatura tramite lettera può non avere un imme- diato riscontro da parte del datore di lavoro, ma può comunque essere conservata in archivio per essere utilizzata in secondo momento, quando si presenterà la necessità di assumere nuovo personale. La lettera di autocandidatura è la formula generalmente più proficua per contat- tare un’azienda alla quale s’intende offrire la propria collaborazione. Strumento di grandissima utilità nell’ambito di una ricerca di lavoro, essa al contrario di quanto spesso si è indotti a pensare, non costituisce soltanto un mero sup- porto al curriculum, bensì riveste un proprio e ben specifico ruolo. Essa, infatti, parla di noi, del nostro modo di essere e delle nostre aspirazioni in maniera più evidente di quanto non faccia il curriculum stesso. La sua natura più colloquiale e meno schematica consente, infatti, di stabilire un contatto più diretto con l’interlocutore, il quale se ben sollecitato, sarà indotto a voler approfondire le caratteristiche personali e le ambizioni professionali dello scrivente, convocandolo per un colloquio. È importante dunque, cogliere appieno il valore e l’utilità di tale strumento ed acquisire la padronanza delle tecniche per la sua redazione. La lettera di autocandidatura riveste un ruolo attivo nella ricerca di un impiego perché non risponde ad esigenze di personale esplicitate dall’azienda, bensì a quelle di colui che intende porsi all’attenzione di un certo numero di aziende individuate. Per raggiungere il suo scopo quindi e destare interesse e curiosità, la lettera deve essere particolarmente incisiva. Ne discende la necessità di dedicare alla sua redazione particolare cura, sia riguardo alla forma che ai contenuti. Passiamo quindi, ad illustrare sinteticamente lo schema generale di riferimento che utilizzeremo per la redazione di una lettera di autocandidatura. Essa può suddividersi idealmente in tre sezioni: • Nella prima bisognerà motivare la nostra scelta nei confronti di quella parti- colare azienda. È opportuno, a tal fine, aver cura di sottolineare la conoscenza che si ha della stessa, con particolare riferimento alle attività da questa svolte e ai prodotti e/o servizi, posti sul mercato. Da tutti gli elementi richiamati, senza necessariamente sottolinearlo, dovrà emergere l’interesse e la volontà del soggetto di lavorare per quella specifica azienda. • Nella seconda l’attenzione si sposta sul candidato: è il momento di illustrare le proprie caratteristiche professionale e le proprie aspirazioni. Tutte le infor- mazioni fornite dovranno essenzialmente mirare a sottolineare l’idoneità pro- fessionale del candidato a ricoprire il ruolo vacante. • L’ultima sezione deve contenere il riferimento esplicito alla proposta di un incontro per valutare insieme le possibilità di una eventuale, futura collabo- razione. Lettera esempio Egregio Dottor Paolo Bianchi Responsabile del personale Bloom SPA Via Roma 6/A TORINO Milano, Egregio Dottor BIANCHI, ho notato con interesse che la Vostra Società, già leader europea nel settore degli antifurti, in soli tre anni di attività in Italia é riuscita a conquistare il nostro mercato nonostante la forte concorrenza interna. In una conversazione con il Rag. Rossi, sono venuto a conoscenza del Vostro intento di rivedere le strategie di marketing e di innovare la gamma dei prodotti, per avvicinare sempre più la sede italiana a quelle europee esistenti da anni. Grazie all’ottima conoscenza delle lingue Inglese e Francese, acquisita anche attraverso frequenti viaggi all’estero, e grazie inoltre alle capacità organizzative e gestionali, sperimentate in questi anni proprio nella gestione dei rapporti con le altre sedi dell’azienda e con la casa madre, ritengo possa essere interessante per entrambi un breve colloquio di reciproca conoscenza. Mi permetterò quindi di contattarLa attraverso la Sua segreteria. In attesa di tale incontro, colgo l’occasione per porgere distinti saluti. Mario Di Giovanni 122 Consigli utili Ricordarsi di: 1. telefonare al destinatario per verificare che questa sia giunta a desti- nazione dopo circa 15/20 giorni dall’invio della lettera. Anche in questa fase, l’obiettivo da tenere ben sempre è quello di sollecitare l’interlocutore a fissare un colloquio. 2. Inviare in allegato il curriculum vitae. 3. Usare nella redazione della lettera un linguaggio il più possibile chiaro, appropriato e soprattutto corretto. 4. Evitare di ciclostilare le lettere, ma di personalizzarle per calibrarle alle esigenze di ogni singola organizzazione contattata. 5. Indirizzare sempre la lettera all’Ufficio del Personale o al Responsa- bile del Settore per il quale ci si intende candidare. 123 4.3. Il curriculum vitae La letteratura esistente sull’argomento è concorde nel ritenere che la redazione di un curriculum vitae (dal latino “percorso di vita”) sia un momento cruciale della ricerca attiva di lavoro. È questo, infatti, lo strumento preliminare con cui il candidato s’impone all’at- tenzione del selezionatore. Quest’ultimo a sua volta si troverà di fronte al non facile compito di valutare, attraverso pochi e schematici elementi, l’opportunità o meno di approfondire, in un successivo colloquio, il livello delle competenze professionali dello scrivente, ai fini di un’eventuale assunzione. Ne discende, quindi, che è necessario dedicare molta cura alla sua redazione, a proposito della quale sono stati scritti innumerevoli manuali, pieni di doviziose indicazioni e di categoriche avvertenze. La realtà è, però, che non esiste una formula in astratto vincente che ci assicuri di suscitare l’interesse del selezionatore. Esso piacerà o meno, a seconda di chi lo leggerà, e a seconda delle esigenze contingenti dell’azienda. Nonostante ciò, però, è possibile fornire alcune utili indicazioni di massima per un’accurata redazione dello stesso, da cogliere con spirito critico e interpretare con flessibilità. 4.3.1. La redazione del curriculum: i contenuti Prima ed importante regola da tenere presente è che il curriculum non può essere ciclostilato. Il candidato deve cioè elaborare un curriculum mirato per ogni specifi- ca occasione. Quest’ultimo dovrà, infatti, essere calibrato sulla base delle specifiche necessità dell’azienda contattata. Nella sua più tipica elaborazione, il curriculum vitae si presenta costituito da quattro sezioni4: La prima è quella dedicata ai dati anagrafici e cioè: 4 Da tenere presente che un curriculum non dovrà mai superare le due pagine. Nel caso di neo- laureati o neodiplomati sarà sufficiente una pagina soltanto. Nome e cognome Data e luogo di nascita Stato civile Indirizzo e numero telefonico (indicarne almeno due) Situazione militare Mario Rossi Roma 18.8.1968 Celibe Viale Marconi, 100 Tel. 06/99999 0330/454545 militassolto 124 La sezione successiva è dedicata alle nostre esperienze formative. Essa contiene, quindi, tutte le l’indicazione relative ai titoli di studio conseguiti: Tipologia Diploma di scuola media superiore Laurea conseguita Corsi di specializzazione o Corsi di formazione professionale Corsi di lingua Corsi di informatica Note Citare chiaramente il tipo di diploma conseguito, Istituto frequentato, la data del conseguimento. La votazione va riportata solo se alta. Il riferimento al diploma di scuola secondaria sarà naturalmente da omettere nel caso in cui si sarà conseguito il diploma di laurea Indicare: ¾ il corso di laurea, ¾ l’università presso la quale si è studiato, ¾ la data del conseguimento, ¾ il voto e l’argomento della tesi con relativo nome del relatore. Indicare di volta in volta tra i corsi frequentati quelli più coerenti con la posizione a cui mirate Per ogni lingua conosciuta va indicato il titolo conseguito, l’Istituto frequentato, la valutazione riportata, ma soprattutto il livello di conoscenza5 scritta e parlata della lingua stessa. Sarà questa la sede dove indicare anche eventuali soggiorni all’estero per motivi di studio. Indicare i linguaggi di programmazione, i sistemi operativi e i software conosciuti avendo cura di indicarne anche il livello di padronanza (buona, discreta, ottima) Esempio Diploma di maturità classica, conseguito presso il Liceo Scientifico Archimede nell’anno scolastico 1988/89 con la votazione di 60/60 Diploma di Laurea in Economia e Commercio, conseguito presso l’Università statale di Roma nell’anno accademico 1994/95, discutendo una tesi di Economia aziendale, dal titolo “Strategie di vendita e analisi di mercato, orientate alla vendita di servizi in nuovi mercati” relatore prof. Vinci Corso di specializzazione in consulente del lavoro presso lo stesso Ateneo nell’anno 1999 (durata 6 mesi) Conoscenza della lingua inglese scritta e parlata: discreta Corso di lingua inglese, della durata di tre mesi, presso la Regent’s school of English di Londra nell’inverno 1994 Buona padronanza dei principali pacchetti applicativi in ambiente Windows (word, excel, access) Il cuore del curriculum vitae è però costituito dalla sezione relativa alle espe- rienze professionali precedenti. 125 A questo proposito è bene precisare che esistono tre criteri principali a cui ispi- rarsi per l’illustrazione delle precedenti esperienze lavorative. Tra questi, il candidato potrà individuare quello che, per le sue caratteristiche peculiari, sarà più idoneo a valorizzare il curriculum. I criteri di riferimento sono quello • cronologico (a cui corrisponde quello anticronologico, cioè partire dall’espe- rienza più recente)6, • funzionale • attitudinale. Di essi si forniscono, nello schema che segue, le caratteristiche principali, cer- cando di evidenziare i relativi punti di forza e di debolezza. Criterio Cronologico: È il più tradizionale; è composto da una lista cronologica delle esperienze precedenti Funzionale: Dà risalto alle caratteristiche che il candidato valuta più coerenti all’obiettivo candidatura. Le diverse attività lavorative sono raggruppate in sezioni logiche, in funzioni o settori. Attitudinale: Evidenzia gli interessi e il potenziale del candidato ed è una combinazione di due tipi precedenti (si chiama anche combinato o misto). Pro È utile se • si vuole esaltare una progressione di carriera • si ha un’esperienza di lavoro lunga e diversificata • si ha un percorso specialistico di formazione e lavoro • Per chi ha una certa età • Per chi deve coprire qualche fallimento lavorativo • Per chi è passato da un settore di attività ad un altro È consigliabile per chi è al primo impiego o ha una breve esperienza lavorativa. Contro È sconsigliabile se • non si vogliono mettere in evidenza le interruzioni di carriera • se si ha un’esperienza di lavoro molto breve • Gli specialistici della selezione cercheranno di ricostruire la carriera con eventuali buchi • Sconsigliabile se si ha una breve esperienza lavorativa Non evidenzia immediatamente i punti di forza e non è consigliabile per chi ha dei buchi e per chi ha una carriera molto diversificata. 5 A tal proposito si precisa che la conoscenza di una lingua si definisce con i seguenti livelli: • madrelingua se si parla e si scrive in maniera eccellente • ottimo se siete in grado di redigere testi e di esprimervi fluentemente • buono se si è in grado di leggere testi di una certa complessità, sostenere una conversazione e scrivere con l’aiuto di un dizionario. 6 In realtà il criterio cronologico ed anticronologico possono essere indifferentemente usati anche per descrivere le proprie esperienze formative (Sezione II). Un’ultima sezione infine, in cui sarà possibile segnalare gli interessi extra- lavorativi (hobby o ed altre informazioni di varia natura comunque utili a definire il quadro di sé). 126 4.3.2. La redazione del curriculum: la forma Fornite le indicazioni relative agli aspetti strettamente contenutistici, vale la pena spendere qualche parola per definire anche alcuni importanti aspetti di forma. Non dimentichiamo infatti, che il curriculum avrà l’ingrato compito di presentarci all’attenzione del selezionatore. Da questo, dunque, dipenderà la prima valutazione che verrà espressa su di noi. Poniamo quindi molta cura anche agli aspetti strettamente formali. 7 È possibile consegnare un curriculum manoscritto soltanto nei casi in cui sia l’azienda stessa a richiederlo espressamente, perché intende eseguire una prova calligrafica. Hobby Altre informazioni Lettura, nuoto agonistico, impegnato in una associazione di volontariato, ecc. Es. disponibilità a trasferimento, possesso del brevetto di nuoto, patente B, ecc. L’impatto grafico La correttezza linguistica Lo stile • Il curriculum va scritto su carta bianca, (formato A4), evitando l’uso di qualsiasi tipo di carta da lettera o intestata • Il testo va sicuramente dattiloscritto7 • Per facilitarne la lettura si consiglia di strutturarlo su due colonne: ad esempio le voci a sinistra (dati anagrafici, esperienze formative, esperienze professionali) e i dati personali a destra • Prevedete una suddivisione in paragrafi, ciascuno contrassegnato da un titolo, evidenziato in grassetto È inutile sottolineare che la lettura deve essere semplice, immediata, di chiara ed inequivocabile comprensione. La correttezza ortografica e grammaticale è d’obbligo. Scopo del curriculum è quello di creare una prima impressione favorevole, quindi dovrà essere abbastanza stimolante da attirare l’attenzione del lettore. A tale scopo dovrà essere conciso nella parole, ma ricco nei fatti e dovrà fare in modo da convincere il selezionatore che il candidato in questione sarebbe la soluzione ideale per le necessità dell’azienda. Si ricorda che il curriculum va scritto in prima persona oppure in forma impersonale (da evitare quindi l’uso della terza persona) 127 Infine, non dimenticare l’indicazione dell’autorizzazione ad utilizzare i dati personali contenuti nel curriculum ai sensi della L. 675/96 (la legge sulla privacy). Senza questa dichiarazione il curriculum non potrebbe, teoricamente, neppure essere preso in considerazione. 4.4. La selezione Se si è lavorato con metodo e tenacia e gli strumenti utilizzati per contattare le aziende individuate sono stati efficaci, saremo convocati per un colloquio. La fase della selezione è una complessa situazione di interazione tra due sog- getti, i quali per raggiungere il proprio obbiettivo devono preliminarmente studiarsi, sondarsi ed infine reciprocamente conoscersi. È questo un momento di particolare tensione. Per il candidato è giunta finalmente l’occasione di mettere alla prova sé stesso e tutte le sue potenzialità; prova questa impegnativa se si vorrà far emergere con chiarezza, una motivazione forte all’autorealizzazione. Di grande impegno pe- rò, anche per il selezionatore chiamato ad interpretare una necessità funzionale del- l’azienda. Suo compito sarà quello di individuare l’elemento in grado di rispondere adeguatamente ai fini aziendali. Quindi, oltre che essere un problema umano, la scel- ta da effettuare, è prima di tutto un problema di “operato strategicamente conforme alle caratteristiche della propria organizzazione”. Generalmente il colloquio sarà ge- stito direttamente dal responsabile della ditta nel caso di piccole aziende, dette arti- giane, studi professionali o esercizi commerciali, dal responsabile del settore nel quale si verrà inseriti, nelle aziende di medie e grandi dimensioni. 4.4.1. Le forme di selezione Gli strumenti generalmente più utilizzati dalle aziende per effettuare la selezione dei propri collaboratori sono i seguenti: 1) Questionari informativi 2) Colloqui individuali 3) Colloqui di gruppo 4) Test psicologici. 1) I questionari informativi Rappresentano la forma più semplice di selezione e si compongono general- mente di quattro sezioni: • la prima relativa ai dati anagrafici e composizione del nucleo familiare; • la seconda è dedicata alle proprie esperienze formative (scolastiche, extra- scolastiche, corsi di lingua e scuole di specializzazione o di perfezionamento); • la terza quella per la quale si consiglia massima cura nella compilazione, de- dicata ad una breve sintesi delle proprie esperienze professionali precedenti; • L’ultima sezione, infine, è dedicata alle aspettative ed esigenze personali che si hanno nei confronti dell’azienda stessa. IL QUESTIONARIO DATI ANAGRAFICI Cognome _______________________________________ Nome _______________________________________ Data di nascita _____________________ Luogo di nascita ____________________________________________ Cittadinanza _______________________ Stato civile ________________________________________________ Indirizzo _____________________________________________________ Tel. ___________________________ COMPOSIZIONE FAMILIARE Specificare per ciascun membro età e professione. Famiglia di origine: 1. _________________________ Età ______ Professione ______________________________________________ 2. _________________________ Età ______ Professione ______________________________________________ 3. _________________________ Età ______ Professione ______________________________________________ 4. _________________________ Età ______ Professione ______________________________________________ Altri ________________________________________________________________________________________ ____________________________________________________________________________________________ ____________________________________________________________________________________________ Famiglia propria: Coniuge _____________________________________________________________________________________ Figli ________________________________________________________________________________________ FORMAZIONE SCOLASTICA E CULTURALE Medie Città ________________________ Nome dell’istituto ________________________________________________ Anni da __________a __________ Votazione _______________________________________________________ Superiori Città ________________________ Nome dell’istituto ________________________________________________ Anni da __________ a __________ Titolo conseguito ______________ Votazione _______________________________________________________ Università Città ________________________ Nome __________________________________________________________ Anni da __________ a __________ Laurea conseguita ______________ Votazione _______________________________________________________ Argomento tesi _______________________________________________________________________________ (oppure num. esami sostenuti ____ media voti ________) Motivi dell’eventuale ritardo ____________________________________________________________________ Corsi di perfezionamento o specializzazione ____________________________________________________________________________________________ ____________________________________________________________________________________________ ____________________________________________________________________________________________ CONOSCENZA LINGUE Specificare il grado di padronanza Suff. Discr. Buono Ottimo 128 Quello qui di seguito riportato è un esempio di questionario informativo. 129 SERVIZIO MILITARE Espletato dal __________ al __________ Presso il Corpo _______________________________________________________________________________ Incarico ___________________________ Grado ____________________________________________________ (oppure: motivi dell’esonero o riforma _____________________________________________________________ ____________________________________________________________________________________________) Esperienze lavorative DAL AL AZIENDA MANS. E CONTR. RETR. ANNUA 1. __________ __________ _____________________ ________________ _______________ 2. __________ __________ _____________________ ________________ _______________ 3. __________ __________ _____________________ ________________ _______________ Attualmente __________ __________ _____________________ ________________ _______________ Motivi dell’ultimo cambiamento _________________________________________________________________ ____________________________________________________________________________________________ ____________________________________________________________________________________________ ____________________________________________________________________________________________ ____________________________________________________________________________________________ ____________________________________________________________________________________________ ASPIRAZIONI – MOTIVAZIONI – INTERESSI EXTRAPROFESSIONALI ____________________________________________________________________________________________ ____________________________________________________________________________________________ ____________________________________________________________________________________________ ____________________________________________________________________________________________ ____________________________________________________________________________________________ POSIZIONE NEI CONFRONTI DELLA NOSTRA AZIENDA Ha già avuto contatti con noi? __________ Quando? ____________________________________________________________________________________________ Eventualmente sarebbe disponibile a partire dal? ____________________________________________________________________________________________ Accetterebbe trasferimenti e/o spostamenti? ____________________________________________________________________________________________ Retribuzione annua lorda richiesta ________________________________________________________________ Referenze ___________________________________________________________________________________ ____________________________________________________________________________________________ ____________________________________________________________________________________________ ____________________________________________________________________________________________ Data _________________ Firma _________________________________________________ 130 2) Il colloquio individuale Per superare l’ansia del colloquio ed ottimizzare le proprie possibilità di suc- cesso, sarebbe buona norma, nei giorni precedenti il colloquio predisporsi e definire tutti quegli aspetti che potrebbero influire sul buon esito dell’incontro. Occorrerà, in primo luogo, riorganizzare le informazioni raccolte sull’azienda e sul settore in cui opera (tipologia, dimensioni, contratto di lavoro applicato), sulla produzione (prodotto o servizio offerto), e infine sulla commercializzazione (esten- sione della rete commerciale e giro di affari). La conoscenza di questi elementi permet- terà al candidato di gestire la conversazione in modo più mirato, sottolineando gli aspetti del suo profilo più confacenti ai bisogni dell’azienda, rispondendo con cogni- zione di causa alle domande che gli verranno poste e ponendo a sua volta quesiti pertinenti, che denotino l’interesse e la forte la motivazione della sua candidatura. Sarà buona norma poi ripassare il curriculum vitae ed immaginare le domande che presumibilmente verranno poste dal selezionatore. Infine, si provvederà alla definizione di quegli aspetti più marginali che potremmo definire di natura “organizzativa” come la raccolta di documenti che potrebbero essere richiesti (libretto di lavoro, curriculum diplomi, attestati). Seguiti i consigli forniti, saremo sufficientemente pronti per affrontare il collo- quio. Non avendo esso una struttura predefinita, non possiamo descriverne il suo ipotetico svolgimento. Sappiamo però con sicurezza che l’interlocutore tenterà, attraverso una serie di domande, di conoscere la nostra personalità e le nostre espe- rienze professionali e verificare se queste soddisfano le necessità, gli stili, i valori e l’identità dell’azienda. Nei colloqui alcuni quesiti ricorrono spesso e sono dunque facilmente prevedibili. Su questo presupposto possiamo almeno individuare tre macrocategorie di domande: a) di carattere personale b) relative alle proprie esperienze professionali c) relative al lavoro proposto L’atteggiamento più corretto da assumere di fronte ai quesiti che ci vengono posti, è senz’altro quello di aiutare il nostro interlocutore a capire chi siamo. Trala- sciando di soffermarci sulle domande appartenenti alla prima categoria, possiamo consigliare di rispondere a tutte le altre con la massima sicurezza e sincerità. Rispetto alle precedenti esperienze di lavoro, spiegare brevemente in cosa con- sistevano, quali erano le mansioni e la posizione ricoperta, riservandoci di entrare nei dettagli, soltanto se veniamo sollecitati a farlo. È importante poi, in ogni caso, assu- mere un atteggiamento positivo nei confronti di tali esperienze, sottolineando che esse hanno comunque arricchito il nostro bagaglio formativo. Evitare, quindi, di for- mulare critiche nei confronti dei precedenti datori di lavoro, sforzandoci di chiarire che l’obiettivo è quello di migliorare la professionalità e la carriera. Per le domande, invece, relative al lavoro proposto, è importante tenere presen- te che da un’eventuale assunzione, scaturirebbe una reciproca collaborazione. 131 Mostriamo, quindi, di conoscere la realtà aziendale nella quale stiamo tentando di entrare a far parte, sottolineando al tempo stesso come le nostre capacità potrebbero rappresentare un valido contributo alle necessità della suddetta organizzazione. Infine, assumiamo sempre un atteggiamento positivo e propositivo, cercando di instaurare con l’interlocutore un buon rapporto. È bene essere cortesi e rispettosi ma mai tropo affabili e cordiali. È possibile che al termine del colloquio, il selezionatore riassuma le impressioni e i dati salienti dell’aspirante in una scheda profitto, di cui proponiamo un esempio: SCHEDA - PROFILO PREPARAZIONE TECNICO-CULTURALE Curriculum ____________________________________________________________________________________________ Punti di Forza ____________________________________________________________________________________________ Punti di debolezza ____________________________________________________________________________________________ ESPERIENZE LAVORATIVE Sintesi ____________________________________________________________________________________________ ____________________________________________________________________________________________ Competenze maggiori acquisite ____________________________________________________________________________________________ ____________________________________________________________________________________________ MOTIVAZIONI E ASPETTI GENERALI DI PERSONALITÀ ____________________________________________________________________________________________ ____________________________________________________________________________________________ RISULTANZE DELL’INTERVISTA (Esprimere una valutazione da 1 a 5) Spirito di iniziativa 1 2 3 4 5 Maturità personale 1 2 3 4 5 Adattabilità alla mansione 1 2 3 4 5 Aspetto esteriore 1 2 3 4 5 Contegno 1 2 3 4 5 Eloquio 1 2 3 4 5 Comunicativa 1 2 3 4 5 Motivazione alla posizione 1 2 3 4 5 GIUDIZIO FINALE ____________________________________________________________________________________________ ____________________________________________________________________________________________ Data _________________ Esaminatore _____________________________________________ 132 3) Il colloquio di gruppo Il colloquio di gruppo è la forma di selezione che mira a verificare la capacità d’interazione sociale dei partecipanti. Più precisamente questa forma di selezione mira ad individuare nei partecipanti: • L’intelligenza sociale, vale a dire la capacità di interpretare l’ambienti ed interlocutori nuovi; • l’impegno costruttivo, la capacità cioè di impiegare i propri mezzi e le proprie risorse per la valorizzazione di un gruppo; • l’orientamento alla relazione, le strategie comportamentali volte a privilegiare le relazioni interpersonali; • l’orientamento al risultato, cioè quella strategia comportamentale volta a pri- vilegiare l’obiettivo; • le capacità organizzative cioè l’attitudine del soggetto a gestire la dinamica del gruppo; • le capacità di mediazione del conflitto, la capacità di saper attenuare even- tuali situazioni di contrasto; • l’ascendente, la capacità cioè di far accettare agli altri le proprie idee; • la capacità di muoversi in situazioni di stress. La prova può avvenire in due forme: a) strutturata b) destrutturata a) Nel primo caso i partecipanti sono chiamati ad impegnarsi in un compito da svolgere o in un argomento da trattare, in un tempo prestabilito e alla presenza di due o più selezionatori. Quest’ultimi osservano le dinamiche di gruppo (formazione di gruppi, individuazione di un leader e di gregari ecc.), che si sviluppano nel corso della discussione e da queste traggono elementi utili per individuare l’elemento più idoneo, per la posizione da ricoprire. La dif- ficoltà di questa prova sta nel fatto che il suo superamento dipende per la gran parte da fattori indipendenti dalle nostre capacità. b) Nel secondo caso invece ai partecipanti viene chiesto di fare una presenta- zione di sé stessi. Qui la vera difficoltà consiste nella capacità di essere chiari, sintetici ed esaurienti; se c’è stato però a monte un buon processo di autova- lutazione, saremo sicuramente in grado di fare un’ottima descrizione di noi stessi. Anche nell’intervista di gruppo i selezionatori fanno uso di una griglia per la registrazione delle osservazioni. 4) I test psicologici Si tratta di tutti quegli strumenti utilizzati spesso, in fase di selezione per effet- tuare una prima scrematura dei candidati. 133 Essi misurano le variabili mentali e comportamentali di un individuo e confi- gurano la sua personalità. Il loro maggior pregio sta nel garantire una base oggettiva di conoscenza e comparazione tra i candidati. Ne esistono di diversi tipi: a) test attitudinali: valutano la capacità di una persona nell’espletamento di un preciso compito. Le attitudini misurate possono essere di varia natura psicosomatica se misurano i tempi di reazione nei confronti di alcuni stimoli (destrezza, capacità di controllare i movimenti) e di natura “mentale” se mi- surano il grado di attenzione e precisione del vocabolario o di soluzione dei problemi aritmetici; b) test di personalità: indagano sugli aspetti motivazionali, affettivi e compor- tamentali che inducono a reagire nei confronti dell’ambiente in modo perso- nale e prevedibilmente costante; c) test di acquisizione: misurano il grado di conoscenza di un argomento da parte del soggetto; d) test logici: verificano specificatamente le capacità logiche e il quoziente ed intellettivo dei partecipanti. Consigli utili: • accertare il tempo a disposizione • stabilire una tattica (ad esempio rispondere immediatamente soltanto ai quesiti di cui si è sicuri) • chiarire col selezionatore il punteggio minimo da raggiungere. Data la natura della prova in sé, non è facile dare indicazioni sul come prepararsi ad affrontare questa prova. L’unico consiglio che si può dare è quello di acquisire familiarità con questa tecnica. In libreria si possono reperire numerosi testi che illu- strano le varie tipologie di test, con relativi esercizi e risultati. 4.4.2. Le società di selezione del personale La fase di ricerca e selezione del personale può però anche essere gestita, su incarico dell’azienda, da strutture specializzate che vanno sotto il nome di agenzie di selezione. Esse fungono da intermediarie tra le aziende e coloro che sono alla ricerca di un impiego, ricercando determinati profili professionali per conto delle aziende. I profili richiesti vanno dalle posizioni dirigenziali medie a posizioni qualificate: diplomati, laureati, funzionari. Generalmente per la ricerca di personale qualificato esse utilizzano il canale delle inserzioni, le quali vengono pubblicate soprattutto nei quotidiani a tiratura nazionale o sulla stampa specializzata. I nominativi prescelti vengono convocati per una prova selettiva, che può gestita dall’azienda o appunto da tali agenzie specializzate. Esse inoltre gestiscono un archivio dei curricula ricevuti e li conservano in una banca dati, per un periodo minimo di sei mesi. 134 Stesso fine delle agenzie di selezione del personale è quello perseguito dai cosiddetti “cacciatori di teste” con la sola differenza che questi si occupano preva- lentemente di profili di alto e medio livello. Di solito non utilizzano il canale delle inserzioni, ma il contatto diretto. Qui di seguito si riportano gli indirizzi delle principali società di selezione e di alcuni cacciatori di teste. Società di selezione Athena research; Via Serbelloni, 4 Milano Cooper & Lybrand; Via Vittor Pisani, 20 Milano Daniela Rossi & Associati; Via Sardegna, 43 Milano Mercuri Urval; Centro Direzionale Colleoni Agrate Brianza Orga; Via Duca D’Aosta, 10 Milano Consulting Group; Via Turati, 40 Milano Praxi; C.so Vittorio Emanuele II, 3 Torino Sintex; Via Frua, 24 Milano 135 4.5. Come valutare una proposta di lavoro Quando finalmente arriva l’occasione di valutare una proposta di lavoro, ognu- no di noi deve essere necessariamente libero di valutarla, basandosi esclusivamente su parametri e criteri personali, che possono variare a seconda delle condizioni e del contesto in cui ci muoviamo. Nonostante però, il carattere estremamente personale di tale scelta, sarebbe op- portuno tenere presente le seguenti indicazioni di massima: a) prima di prendere qualsiasi decisione, bisogna avere ben chiari i termini del- la proposta e quindi conoscere tutto ciò che è importante saper a proposito dell’azienda che ci sta assumendo e sulla posizione che ci viene offerta (tipo di contratto, mansioni, orari, retribuzione, possibilità di crescita); b) in secondo luogo, valutare quanto la proposta ricevuta si discosta dagli obiet- tivi professionali che avevamo fissato nel nostro progetto professionale. A questo proposito, potrebbe essere utile riprenderlo in mano e confrontare il peso delle discordanze tra quanto avevamo sperato di raggiungere e quello che in realtà ci è stato offerto. A questo fine, sarebbe utile servirci dello schema seguente che mette a confronto i termini del nostro progetto professionale con quelli dell’offerta ricevuta. Soltanto se si accerta che la proposta soddisfa almeno i criteri che ritenevamo imprescindibi- li e che gli scostamenti esistenti non rivestono un gran peso, non ha senso indugiare ancora. Accettiamo il lavoro che ci viene offerto. Sarà in ogni caso una preziosa occasione di crescita! Cacciatori di teste D&G; C.so Matteotti, 9 Milano Eurosearch; Via Cusani, 8 Milano Proper; Via Frua, 21 Milano Spencer Stuart; C.so Monforte, 36 Milano TMC; C.so Vittorio Emanuele, 15 Milano 136 Cosa cercavoCaratteristiche Posizione Mansioni Settori Disponibilità/condizioni Tipo di azienda: - dimensioni (piccola, media, grande) - proprietà (pubblica, privata) - forma giuridica (S.n.c., S.p.A., Cooperativa, ecc.) Tipo di assunzione: - tempo determinato, indeterminato - dipendenza, collaborazione Orario: - full-time, part-time - turni, spezzato, flessibile, straordinari Retribuzione Tempi e modi di realizzazione Tempo disponibile per la realizzazione Tempo previsto per la ricollocazione Metodi (tecniche di ricerca) ALTRO Ambiente Cosa ho trovato 137 5. ALCUNE OPPORTUNITÀ DI STUDIO E DI LAVORO 5.1. Il terzo settore Nel mondo dell’economia ormai s’affaccia prepotentemente il “terzo settore”, generalmente denominato anche “non profit”, e strettamente collegato al fenomeno del volontariato. Con il termine “terzo settore” si indicano quelle organizzazioni, dette anche “enti”, costituite da privati, che operano in ambito sociale (nei campi assistenziale, culturale, sportivo, ricreativo, ecc.)1, caratterizzate dall’essere indipendenti ed auto- nome rispetto al settore pubblico (lo Stato), e al settore delle imprese private basato sulle regole del mercato e del profitto. Il termine “non profit” invece, di chiara matrice anglosassone (è la forma con- tratta della frase idiomatica inglese “not for profit”), evidenzia la caratteristica, pro- pria di tali organizzazioni, dell’assenza dello scopo di lucro. Ciò significa che le organizzazioni non profit, hanno come fine la realizzazione dei propri scopi istituzionali (missione), e non la realizzazione di un profitto che, se conseguito, deve essere investito nelle attività istituzionali (ovvero le attività neces- sarie al perseguimento della missione), nel pieno rispetto del divieto di distribuzione degli utili. Da un punto di vista giuridico le organizzazioni del terzo settore, si distinguono principalmente in: associazioni (riconosciute e non riconosciute), organizzazioni di volontariato, organizzazioni non governative (ONG), associazioni di promozione sociale, fondazioni, comitati, cooperative sociali. La nascita e lo sviluppo del terzo settore sono dovuti in parte alla crisi dello Stato sociale, con conseguente impossibilità per il settore pubblico di erogare e gestire servizi indispensabili per la collettività, soprattutto per le fasce più deboli (minori, anziani, poveri, ammalati, emarginati), in parte allo sviluppo economico che, se crea un aumento della ricchezza privata per alcuni, favorisce contemporaneamente anche l’incremento delle situazioni di disagio per altri, soprattutto se a tale sviluppo econo- mico non corrisponde un’adeguata crescita del livello occupazionale. Gli enti del terzo settore, che sono finanziati principalmente da donazioni di pri- vati, individui e imprese “profit”2, ma anche da soggetti pubblici, e che sono favoriti 1 L’ISTAT, con dati relativi al 2000, ci informa che oltre il 63% delle organizzazioni del terzo set- tore opera nella cultura, sport e ricreazione; un aggiornamento dei dati del 2001 ha registrato la fortis- sima crescita del settore sanità. 2 Il 45% delle aziende italiane, operanti soprattutto nel settore bancario, tecnologico e del com- mercio, “investe” circa E 800.000.000,00 all’anno per finanziare iniziative di solidarietà, manifestazioni culturali, il recupero e la tutela dell’ambiente, il restauro di monumenti e di opere d’arte. Per maggiori informazioni relative al reperimento di finanziamenti si può consultare il sito: www.clubsocialis.org. 138 da norme fiscali, tributarie e da incentivi che agevolano il loro operare, sono in grado di fornire servizi di qualità a costi ridotti, riuscendo a rispondere a bisogni sociali importanti ed urgenti. Le organizzazioni del terzo settore inoltre, pur avendo alle loro dipendenze per- sonale regolarmente assunto, si distinguono per l’apporto del lavoro volontario di quanti condividono gli scopi dell’ente e vogliono contribuire a realizzarli3. In particolare, per quanto riguarda le sole organizzazioni di volontariato, rego- late dalla legge n. 266/914, la Fivol, Fondazione italiana per il volontariato, ha cal- colato che le prestazioni dei volontari forniscono in ore-lavoro un controvalore eco- nomico pari a circa E 465.000.000,00. 5.1.1. La formazione per il terzo settore Finora, solamente il mondo universitario sembra essersi accorto delle enormi potenzialità del terzo settore istituendo sull’argomento corsi e master di specializza- zione e, più di recente, anche corsi di laurea triennali con eventuali bienni di specia- lizzazione per la preparazione di professionisti preparati. Gli esperti di marketing o gestione d’impresa, ad esempio, si potranno inserire facilmente nelle organizzazioni del terzo settore accanto agli esperti di fund raising, strategisti, organizzatori d’eventi, esperti di pubblicità, ai “managers del non profit”. 5.1.2. Il manager del non profit Un breve approfondimento su questa figura appare doveroso. Il “manager del non profit” definisce la struttura dell’organizzazione, la sua gestione, i settori d’in- tervento in cui operare e gestisce le pubbliche relazioni. Egli, inoltre, valuta i progetti a cui partecipare o ne propone di nuovi, si occupa dell’organizzazione degli eventi, intrattiene i rapporti con le banche, valuta gli effetti delle campagne pubblicitarie. Per realizzare tali compiti, il manager del non profit deve essere competente nel- le seguenti aree: - gestione d’impresa e dei bilanci - gestione del personale - marketing e pubblicità. Per la formazione di tale figura professionale, le Università hanno previsto alcuni corsi di laurea. Tra questi quelli più idonei sono: - Laurea in scienze del servizio sociale - Laurea in scienze politiche e delle relazioni internazionali 3 L’attività di volontariato è prestata gratuitamente ed in maniera spontanea; non può essere retri- buita ed al volontario possono essere rimborsate soltanto le spese che ha effettivamente sostenuto per lo svolgimento dell’attività svolta, nei limiti stabiliti dall’organizzazione. 4 Le organizzazioni di volontariato si basano in maniera prevalente sul lavoro e sulle contribuzioni dei volontari, ma possono avere alle loro dipendenze personale regolarmente assunto purchè non si tratti di soci dell’organizzazione stessa. 139 - Laurea in scienze sociali per la cooperazione, lo sviluppo e la pace, scienze economiche. Si segnala che all’Università di Forli’ è stato istituito uno specifico corso in “Economia delle imprese cooperative e delle organizzazioni no profit”. Maggiori informazioni sono reperibili sui seguenti siti: - www.volontariato.it - www.noprofit.org - www.fundraisingschool.it 5.1.3. Il mediatore culturale Si tratta di un profilo professionale estremamente nuovo, che si adopera per realizzare attività di integrazione per gli stranieri che arrivano nel nostro Paese. Il mediatore culturale rappresenta un importante punto di riferimento per gli operatori dei servizi di assistenza. Egli infatti, si occupa di guidare persone che muovono i primi passi in un Paese straniero: le aiuta nella ricerca di un’abitazione e di un’occupazione, ad avviare, ad esempio, le pratiche per ottenere il permesso di soggiorno. La presenza poi, sempre frequente di bambini, lo porta a gestire una serie di pro- blematiche legate all’infanzia, volte soprattutto a favorire l’inserimento dei minori stranieri nelle scuole italiane. Per la formazione di tale figura è stato istituito un corso di laurea e alcuni corsi di perfezionamento. Si segnalano a questo proposito i corsi istituiti presso: - l’Università di Padova: Corso di perfezionamento in “Diritti umani, politiche sociali e sicurezza nell’era della globalizzazione”; - l’Università di Venezia: Master sull’immigrazione “Mediazione intermediter- ranea”; - l’Università di Trieste, facoltà di Lettere e Filosofia “Corso di laurea in scienze e tecniche dell’interculturalità”. Anche nell’ambito del volontariato ci si occupa sempre di più della formazione di quanti intendono prestare la loro opera gratuitamente con serietà e competenza. A Milano, nel 1995, è stata fondata L’Università del Volontario, dove operano congiuntamente il Fatebenefratelli e Camillani, la Caritas, la Consulta per la Sanità della Diocesi di Milano, la Alumni Club/SDA Bocconi. 5.1.4. Il volontario internazionale Il volontariato ha anche una dimensione internazionale e, a tale proposito, può essere interessante soffermarsi sugli enti che operano all’estero. La legge n. 49 del 1997 sulla nuova disciplina della cooperazione dell’Italia con i Paesi in via di sviluppo, ha previsto, nell’ambito del terzo settore, l’esistenza delle 140 ONG, organizzazioni non governative, che si caratterizzano per avere come fine lo svolgimento di attività di cooperazione nei Paesi in via di sviluppo5. Tra le ONG più note ricordiamo la Caritas, Emergency, Amnesty International, Greenpeace, ed inoltre il Cipsi (Coordinamento di Iniziative Popolari di Solidarietà Internazionale), la Focsiv (Federazione Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontariato) ed il Cocis (Coordinamento delle ONG per la Cooperazione Interna- zionale dello Sviluppo). Le ONG offrono la possibilità di svolgere attività di volontariato internaziona- le, che ha una durata di almeno due anni ed organizzano corsi di formazione rivolti agli aspiranti volontari. I volontari che decidono di collaborare con una ONG, infatti, devono conosce- re le lingue del posto dove andranno ad operare, le tecnologie da utilizzare, la cultu- ra e gli usi locali, oltre ad essere informanti riguardo alle principali malattie diffuse nel luogo e alle vaccinazioni per evitare il contagio. Il volontario internazionale generalmente riceve il seguente trattamento: - rimborso delle spese di viaggio - vitto e alloggio - formazione - rimborso spese mensile - copertura assicurativa. Per avere maggiori informazioni ci si può rivolgere ai seguenti indirizzi: LUNARIA (Assistenza tecnica del dipartimento Affari Sociali presso la presidenza del Consiglio per il programma di servizio di Volontario Europeo) Via Salaria 89 - ROMA www.lunaria.org OIKOS Via P. Renzi 55 - ROMA Tel. (06) 8841880 www.lunaria.org SERVIZIO CIVILE INTERNAZIONALE Via dei Laterani 28 - 00184 ROMA Tel. (06) 7005994 5 Il Dlgs. n. 460 del 1997 sul riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale ha stabilito che le ONG acquistano di diritto la qualifica di ONLUS, rilevante ai fini fiscali perché consente di godere di agevolazioni tributarie. 141 Per le informazioni e la selezione della domande relative al volontariato inter- nazionale dell’ONU è necessario rivolgersi a: COCIS (Coordinamento delle organizzazioni non governative per la Cooperazione Internazionale allo sviluppo) Vicolo Scavolino 61 - 00187 ROMA Tel. (06) 69924399 FOCSIV (Federazione Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontariato) Via S. Francesco di Sales 18 - 00165 ROMA Tel. (06) 6877796 www.focsiv.it Si segnala inoltre che anche la Commissione europea e l’ONU offrono la pos- sibilità di partecipare ad un programma di Servizio di volontariato europeo. Si trat- ta di programmi rivolti a giovani di età compresa tra i 18 e i 25 anni e può avere una durata massima di 6 mesi. Questi programmi sono finalizzati alla realizzazione di attività a favore di anziani, rifugiati, bambini ed al risanamento di quartieri degra- dati. 5.1.5. Il Servizio Civile Il Servizio Civile, che a pieno diritto rientra nelle tematiche del volontariato, merita un breve approfondimento. Esso nasce dall’istituto dell’obiezione di coscienza ed ha avuto l’ultima regola- mentazione il 14 febbraio 2001. In precedenza, i giovani inabili al servizio militare e coloro che si professavano obiettori di coscienza, svolsero prevalentemente funzioni di assistenza di tipo domiciliare e, più in generale, tutte quelle funzioni in grado di fornire un servizio a bassissimo costo: furono inseriti nel pronto intervento nel caso di calamità, come in operazioni di salvaguardia ambientale. Poi si affinò la regola- mentazione fino ad arrivare alla sua attuale definizione. Oggi possono entrare a far parte del Servizio Civile donne e uomini dai 18 ai 26 anni. L’attuale ferma è di 12 mesi, ma quando nel 2006 tutto sarà a regime sarà abbassata a 10. Nel 2006 ci sarà l’Esercito formato esclusivamente da professionisti volontari e quindi non esisterà più la ferma. Da quella data, il Servizio Civile sarà a tutti gli effetti un soggetto del volontariato a pieno titolo. Ad oggi si vive la transi- zione e chi presta servizio civile in Italia o all’estero può essere impiegato per iniziative che rientrano in settori tipo la solidarietà sociale, peraltro sancita dalla Costituzione della Repubblica, l’aiuto a portatori di disagio, la tutela del patrimonio artistico, la difesa dell’habitat. È previsto uno stipendio che presumibilmente sarà intorno ai E 500,00 al mese. 142 Il volontariato nel Servizio Civile farà punteggio nei corsi universitari, darà diritto ad un bonus per le specializzazioni ed anche per accedere a varie professioni. Fin d’ora, l’Ufficio Nazionale per il Servizio Civile sovrintende alle attività di queste “truppe” della solidarietà; questo Ufficio fa parte della Presidenza del Con- siglio. L’anno di Servizio Civile sarà una sorta di anno sabbatico che aiuterà il giovane cittadino, attraverso un volontariato consapevole e competente, a diventare un citta- dino consapevole e competente. 5.1.6. Riferimenti legislativi Ripercorriamo le principali tappe normative di nostro interesse che hanno se- gnato cammino di questo settore: Legge n. 49 del 1987: Nuova disciplina della cooperazione dell’Italia con i paesi in via di sviluppo; Legge n. 266 del 1991: Legge quadro sul volontariato; Legge n. 381 del 1991: Disciplina delle cooperative sociali; Dlgs. n. 460 del 1997: Riordino della disciplina tributaria degli enti non com- merciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale; Legge n. 383 del 2000: Disciplina delle associazioni di promozione sociale; Legge n. 142 del 2001: Revisione della legislazione in materia cooperativistica, con particolare riferimento alla posizione del socio lavoratore; Risale al 5 dicembre 2001 la nomina dell’Authority del Volontariato a seguito del regolamento emanato a settembre dello stesso anno; il regolamento prevedeva anche la nascita di una Agenzia del non profit. 5.1.7. Indirizzi utili Associazioni e portali: per svolgere attività di Volontariato. Scuole che tengono corsi. ADMO - Ass. Donatori di Midollo Osseo AIAS - Ass. Italiana Assistenza Spastici AICS - Ass. Italiana Cultura e Sport, ambiente, politiche sociali, turismo protezione civile AIMA - Ass. Italiana Malattia di Alzheimer AIP - Ass. Italiana Parkinsoniani, nata nel 1990 si occupa della malattia di Parkinson, e delle condizioni di vita dei malati, di raccogliere fondi per la ricerca scientifica AISM - Ass. Italiana Sclerosi Multipla AMNESTY INTERNATIONAL ANLAIDS - Ass. Nazionale contro l’Aids, nata nell’ ’85 opera per il potenziamento della ricerca scientifica, offre assistenza ai malati www.anlaids.it ARCI - Ass. Ricreativa Culturale Italiana www.arci.it AUSER - Ass. per l’Autogestione dei Servizi e Solidarietà. Via Nizza 154 - Roma www.auser.it 143 LA BANCA ETICA - ha per obiettivo costruire un punto di riferimento per quei risparmiatori che vogliono essere più consapevoli e responsabili di come viene gestito il proprio denaro www.bancaetica.com BANCO ALIMENTARE CENTRO NAZIONALE PER IL VOLONTARIATO - banca dati per individuare associazioni di volontariato in Italia CENTRO TURISTICO STUDENTESCO e GIOVANILE CGM - consorzio nazionale della cooperazione di solidarietà sociale G. Matterelli. Via Rose di Sotto, 54 www.retecgm.org CIPSI - Coordinamento di Iniziative Popolari di Solidarietà Internazionale; Via Rembrandt 9 - 20147 Milano - telefax 02/4079213; V.le F. Balzelli 41 - 00146 Roma - telefax 06/5414894 www.tin.it/cipsi CITTADINANZA ATTIVA CIVITAS - il Salone della Solidarietà dell’Economia Sociale e Civile www.civitas- online.it - www.clubsocialis.org ne abbiamo già viste le potenzialità CREEDS - Comunicatori, Redattori ed Esperti del Sociale. C.so Venezia 16 - Milano EMERGENCY FEDERAZIONE ALZHEIMER ITALIA - obiettivo migliorare la vita dei malati e di chi li assiste da vicino www.alzheimer.it FICT- Federazione Italiana Comunità Terapeutiche FIVOL - Fondazione Italiana per il Volontariato: Via Nazionale 39 - Roma FONDAZIONE BANCO ALIMENTARE FORUM PERMANENTE DEL TERZO SETTORE - Via di Pietra 84 - Roma GREENPEACE IDEALIST - è un database delle possibilità di lavoro, consulenze e tirocinio in organizzazioni no profit internazionali INFORMAGIOVANI INMISSIONE LAV - Lega Antivivisezione, opera per la sensibilizzazione nelle scuole, si occupa di varie tematiche come, il randagismo, l’uso di animali nella ricerca scientifica LEDHA - Lega per i Diritti degli Handicappati. Le attività svolte comprendono un grande impegno nel servizio giuridico a tutela dei diritti ma anche nel settore legislativo ed in quello della cultura LEGA DEL FILO D’ORO LEGAMBIENTE - opera dal 1980. Opera in tanti settori ormai quali la tutela delle acque, la tutela del patrimonio artistico, guardia dei siti protetti, la difesa dell’aria che respiriamo www.legambiente.com LILA - Lega Italiana per la Lotta all’Aids, dal 1987 è operativa con gli stessi scopi di fondo della precedente www.lila.it MANI TESE MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI - elenco delle ONG www.esteri.it NESSUNO TOCCHI CAINO NIGRIZIA 144 PROTEZIONE CIVILE SDA BOCCONI - Via F. Bocconi 8 - Milano www.sdabocconi.it SERVIZIO CIVILE INTERNAZIONALE SOCIALWEBS - il Portale del Sociale in Italia nasce nel 2000; vi può partecipare qualunque organizzazione non profit interessate a partecipare alla sua realizza- zione. È anche un canale di comunicazione per reperire informazioni immediate, aggiornate e complete sui loro servizi SODALITAS - Ass. per lo Sviluppo dell’Imprenditoria nel Sociale. Si propone di risolvere le problematiche relative alle esigenze ed ai bisogni della comunità sociale www.sodalitas.it TELEFONO AZZURRO THE FUND RAISING SCHOOL - P.le della Vittoria 15 - Forlì. www.fundraising.it TRIBUNALE PER I DIRITTI DEL MALATO UISP - Unione Italiana Sport per tutti UNA - Via De Le mede 50 - 20151 Milano - tel. 02/3085057 fax 02/33403570 UNIMONDO - Portale per la pace e i diritti umani VIDES - Volontariato Internazionale Donna Educazione e Sviluppo VIS - Volontariato Internazionale per lo Sviluppo VOLONTARIATO.IT VSO - Voluntary Service Overseas (in inglese): per inviare volontari qualificati in Africa, Asia, Carabi, Europa dell’Est WORLD SOCIAL FORUM, propone temi sugli effetti devastanti di una globaliz- zazione lasciata al solo influsso del Mercato www.unimondo.org/wsf WWF ITALIA. 5.2. Studiare in Europa Arricchire il proprio curriculum con un’esperienza di studio all’estero è un’e- sperienza culturale e formativa che dovrebbe fare parte del curriculum di ogni gio- vane. È questo uno dei principi su cui si basano le politiche e l’attività dell’Unione Europea nel settore dell’istruzione. Tale esperienza rappresenta la maniera migliore per affrontare, con maggiori pos- sibilità di successo, un mercato del lavoro sempre più competitivo. Un periodo di stu- dio all’estero inoltre, aiuta a comprendere le diverse realtà culturali e socio-economiche e rende capaci di accettare la mobilità quale parte integrante del percorso lavorativo. In questa prospettiva, l’Unione Europea finanzia una serie di programmi volti a favorire la mobilità degli studenti europei all’interno dell’Unione, ad accrescere le abilità e le competenze nella formazione professionale, ad aumentare la cooperazione su base europea, mediante la costituzione di reti e l’organizzazione di progetti comu- ni tra i diversi paesi della UE. Questi programmi prevedono per lo più l’erogazione di borse di studio che permettono di trascorrere all’estero un periodo variabile da alcuni mesi ad un anno. 145 5.2.1. I diritti degli studenti stranieri Tutti i cittadini europei che decidono di andare a studiare o lavorare in uno dei paesi dell’Unione Europea, godono degli stessi diritti dei cittadini residenti. Questo in virtù del principio della parità di trattamento, difeso a gran forza dal- l’Unione, in forza del quale il Paese ospitante deve accogliere lo studente di un altro Stato dell’Unione alle stesse condizioni fissate per i cittadini nazionali. a) Diritto di soggiorno Tutti gli studenti che intendano seguire un corso di studi all’estero, per un pe- riodo inferiore ai tre mesi, non sono tenuti ad espletare formalità. Essi, devono sol- tanto essere in possesso di un valido documento di riconoscimento (carta di identità o passaporto validi per l’espatrio). Qualora invece, si intenda permanere nel Paese prescelto per un periodo supe- riore ai tre mesi è necessario richiedere il permesso di soggiorno. Condizioni necessarie per ottenerlo sono: ‰ essere iscritti a un istituto di insegnamento riconosciuto ‰ disporre di una assicurazione malattia ‰ dimostrare un’autosufficienza economica Generalmente, il periodo di validità del permesso coincide con quello della durata del corso di studi che si sta frequentando. Per periodi di studio superiori ad un anno, la carta può essere rinnovata automaticamente. b) Diritto all’assistenza sanitaria Tutti i cittadini che, per motivi di studio, soggiornano all’estero hanno diritto all’assistenza sanitaria. Le disposizioni normative sono però diverse a seconda se si abbia o meno la residenza nel Paese prescelto. • Coloro che, per motivi di studio, risiedono all’estero, possono beneficiare dell’assistenza sanitaria, prevista dalla legislazione del paese ospitante, sol- tanto dopo aver espletato alcune formalità. In particolare, è necessario ottenere dall’ente di sicurezza sociale presso il quale si è iscritti nel paese di origine, un formulario (mod. E 109) e presentarlo all’ente assicurativo del paese straniero. • Coloro che invece soggiornano semplicemente, ma non risiedono nel Pese in cui si studia, possono beneficiare direttamente di tutti i servizi necessari. È comunque necessario, prima della partenza, ottenere dall’ente assicurativo di appartenenza, anche in questo caso su richiesta dell’interessato, un formu- lario (mod. E 111). Tale documento andrà presentato all’ente assicurativo del paese di accoglienza. Nel caso in cui i costi di assistenza sanitaria non siano coperti dall’organismo assistenziale di provenienza potrà essere richiesto di contrarre un’assicurazione privata. c) Diritto al riconoscimento del titolo di studio. Il problema dell’equipollenza o del riconoscimento dei titoli di studio italiani all’estero e titoli di studio stranieri in Italia 146 Un titolo di studio conseguito in un paese straniero può produrre in un altro Paese un effetto legale di due tipi. Esso può infatti essere considerato: - equivalente - pienamente riconosciuto. Nel primo caso si tratta di comparare il titolo di studio posseduto con quelli pre- senti nel Paese prescelto. Gli elementi presi in considerazione nel processo di valutazione sono essen- zialmente: - natura dell’istituzione straniera che ha rilasciato il titolo - durata degli studi compiuti - contenuti disciplinari. Qualora non vengano riscontrate sostanziali difformità, si procedere alla dichiarazione di equipollenza del titolo straniero. Nel secondo caso, si compie una valutazione più sommaria e sintetica, anche perché gli effetti giuridici del riconoscimento sono più limitati rispetto all’equipol- lenza. Il fine è quello di stabilire una semplice corrispondenza di livello e di ricono- scerlo a determinati fini (prosecuzione degli studi o accesso alle professioni). Per ottenere maggiori informazioni è bene rivolgersi, prima della partenza a: • Centri di orientamento della propria Università • l’Istituto o l’Università straniera presso la quale si intende proseguire gli studi • Centri NARIC (Centri Nazionali di Informazione sul Riconoscimento dei Diplomi) nel proprio paese e all’estero • CIMEA (Centro di Informazione sulla Mobilità e Equivalenze Accademiche) - Viale Ventuno Aprile, 36 - 00162 Roma - Tel. 06/86321281 - Il centro è la sede italiana della rete NARIC. È bene comunque anche prendere visione dei seguenti testi normativi di riferi- mento: - RD 1592 del 31/08/33; - DL 297 del 16/04/94; - direttive 89/48/CEE e 92/51/CEE (recepite in Italia con i DL 115 del 27/01/92 e 319 del 02/05/94). 5.2.2. I programmi comunitari I programmi principali, la cui seconda fase di attuazione comprende il periodo 2000-2006, sono: • LEONARDO per la formazione professionale; • SOCRATES per l’istruzione; • GIOVENTÙ per l’apprendimento interculturale e la solidarietà tra i giovani. Di seguito ci soffermiamo su ciascuno di questi programmi e sulle azioni con- giunte a sostegno dei singoli programmi. 147 1) LEONARDO DA VINCI Seconda fase: 2000-2006 Con la Decisione del Consiglio del 26 aprile 1999 è stata istituita la seconda fase del programma d’azione comunitaria in materia di formazione professionale “Leonardo da Vinci”. Questo programma è coordinato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e dal Ministero dell’istruzione, dell’Università e della Ricerca che si avval- gono dell’assistenza tecnica dell’Isfol. a) Obiettivi Obiettivi del programma sono: • Promuovere le abilità e le competenze, in particolare dei giovani, nella for- mazione professionale iniziale a tutti i livelli, ricorrendo alla formazione pro- fessionale e all’apprendistato al fine di promuovere l’occupabilità e di facili- tare l’inserimento professionale ed il reinserimento. • Migliorare la qualità della formazione professionale continua e l’accesso alla stessa nonché l’acquisizione di abilità e competenze lungo tutto l’arco della vita, al fine di ampliare e sviluppare l’adattabilità, in particolare per accom- pagnare le innovazioni tecnologiche e organizzative. • Promuovere e rafforzare il contributo della formazione professionale al pro- cesso innovativo, al fine di migliorare la competitività e l’imprenditorialità, an- che nella prospettiva di nuove possibilità di occupazione; particolare atten- zione è riservata in questo contesto alla promozione della cooperazione tra gli istituti di istruzione e formazione professionale, incluse le università, le im- prese, in particolare le PMI. b) Misure Le misure del programma sono: 1. Mobilità transnazionale di giovani ed adulti; 2. Progetti pilota per favorire l’innovazione e la qualità della formazione pro- fessionale; 3. Competenze linguistiche nell’ambito della formazione iniziale; 4. Reti transnazionali che facilitino lo scambio di esperienze e di buone prassi; 5. Sviluppo ed aggiornamento di materiali di riferimento sulla formazione pro- fessionale. Al fine di facilitare l’inserimento o il reinserimento nel mondo del lavoro, Leo- nardo offre a neolaureati, studenti universitario e diplomati la possibilità di effettuare un periodo di formazione e lavoro in uno dei 15 Stati membri all’estero. I Tirocini hanno una durata variabile tra i 3 a i 24 mesi. 148 c) Destinatari Destinatari del programma sono: • istituzioni e enti pubblici o privati che realizzano attività di formazione pro- fessionale; • istituti, centri e organismi di formazione professionale a tutti i livelli, comprese le università; • centri ed istituti di ricerca; • imprese, in particolare le PMI e l’artigianato, o imprese del settore privato o pubblico, compresi quelle operanti nel settore della formazione professionale; • organizzazioni professionali, comprese le Camere di commercio; • parti sociali; • enti e organismi territoriali; • organizzazioni senza scopo di lucro, di volontariato e non governative (ONG). Per poter partecipare è necessario rivolgersi agli organismi che hanno avuto pro- getti approvati. La partecipazione al programma è gratuita, lo studente beneficerà di una borsa di studio per sostenere i costi di mobilità: viaggio, assicurazione e soggiorno. d) Referenti ISFOL Istanza Nazionale di coordinamento - Via G.B. Morgagni 30/E - 00161 Roma - Tel. (06) 445901 - Fax (06) 44590475 - www.programmaleonardo.net - E-mail: leoprojet@isfol.it 2) SOCRATES Seconda fase: 2000-2006 Socrates è il programma europeo in materia di istruzione. Ad esso partecipano circa 30 Paesi europei. In particolare, il programma promuove l’apprendimento delle lingue e inco- raggia la mobilità e l’innovazione. Il programma, articolato in diversi settori, riguarda tutte le fasi dell’istruzione, da quella scolastica a quella a distanza, dalla formazione per adulti all’istruzione universitaria. a) Azioni Il programma Socrates comprende le seguenti azioni: Azione 1 - Insegnamento scolastico Comenius Azione 2 - Insegnamento superiore Erasmus Azione 3 - Educazione degli adulti e altri percorsi educativi Gruntvig Azione 4 - Insegnamento e apprendimento delle lingue Azione 5 - Insegnamento aperto e a distanza; tecnologie dell’informazione e della comunicazione nel settore dell’istruzione Minerva 149 Azione 6 - Osservazione e innovazione Azione 7 - Azioni congiunte Azione 8 - Misure di accompagnamento b) Destinatari Beneficiari del programma riguarda sono: • allievi e studenti • personale direttamente impegnato nell’insegnamento • tutti i tipi di istituti di istruzione indicati da ciascuno Stato membro • persone e organismi responsabili dei sistemi e delle politiche dell’istruzione a livello locale, regionale e nazionale negli Stati membri. Possono inoltre partecipare al programma: • enti e organizzazioni locali e regionali • organismi associativi che operano nel settore dell’istruzione • imprese, associazioni di imprese, organizzazioni professionali, camere di com- mercio e dell’industria • parti sociali e loro organizzazioni a tutti i livelli • centri e istituti di ricerca c) Referenti Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica - Dipartimento Relazioni Internazionali - P.le Kennedy 20 - 00144 Roma - Tel. (06) 59912819 - Fax (06) 59912722. Biblioteca di Documentazione Pedagogica (per il settore scolastico) - Via M. Buonarroti 10 - 50122 Firenze - Tel. (055) 2380324/5/6 - Fax 24.28. 3) GIOVENTÙ Seconda fase: 2000-2006 Il programma Gioventù contribuisce alla realizzazione di un’Europa della conoscenza e promuove una politica di cooperazione per i giovani. Esso si basa sull’articolo 126 del Trattato sull’Unione europea ed ha per obiet- tivo quello di contribuire al processo educativo lungo tutto l’arco della vita. Gioventù offre ai giovani occasioni di mobilità e di scambio sia all’interno della Comunità che con Paesi terzi: infatti il programma promuove l’apprendimento inter- culturale e la solidarietà tra i giovani di tutta Europa e Paesi terzi. a) Destinatari Beneficiari del programma sono i giovani, d’età compresa tra i 15 e i 25 anni, che risiedono legalmente in uno Stato membro, gruppi di giovani, organizzazioni o 150 associazioni non governative senza scopo di lucro, enti pubblici ed altri soggetti, aventi esperienza nel campo della gioventù e dell’istruzione non formale. b) Misure Le misure che possono beneficiare del sostegno comunitario sono: - Gioventù per l’Europa - Servizio volontario europeo - Iniziative per i giovani. • Scambi Gioventù per l’Europa Con queste azioni, i giovani provenienti da contesti diversi, hanno l’opportuni- tà di incontrarsi e confrontarsi su diversi temi, nonché di acquisire conoscenze sui rispettivi paesi e contesti culturali. Il progetto dovrebbe contribuire al processo educativo dei giovani e renderli consapevoli del contesto europeo in cui vivono. Lo scambio deve essere dedicato a una tematica che i gruppi intendono approfondire insieme (ad es. razzismo, lotta alla droga, arte o musica, ambiente, tecnologia del- l’informazione, patrimonio locale). Possono partecipare i giovani di età compresa tra i 15 e i 25 anni legalmente residenti in un paese ammissibile a partecipare al pro- gramma e vengono promossi soprattutto i progetti che coinvolgono giovani svan- taggiati sul piano culturale, geografico o socioeconomico, nonché disabili. I progetti possono essere bilaterali se interessano due Paesi oppure possono co- involgere più di due (Progetti multilaterali); in questo caso questi sono da favorirsi perché presentano un valore aggiunto comunitario superiore ed esperienze inter- culturali più ricche per i giovani coinvolti negli scambi. Dopo aver provveduto alla formazione dei gruppi (che vanno da un minimo di 16 ai un massimo di 60 partecipanti) è necessario procedere all’individuazione dei partner per lo scambio. In questo senso, le Agenzie nazionali possono fornire preziosa assistenza. Nella pianificazione di uno scambio è indispensabile definire un pro- gramma chiaro e strutturato delle attività quotidiane. I metodi di lavoro e il pro- gramma devono mirare al massimo coinvolgimento possibile dei partecipanti. Per questo motivo si prediligono metodologie didattiche attive quali: lavori di gruppo, visite sul campo, giochi di ruolo, tavole rotonde, attività pratiche, escursioni culturali, simulazioni, ecc. In ogni caso, le varie attività dovrebbero far riferimento al tema principale e all’obiettivo generale dello scambio. Tali soggiorni possono avere una durata variabile dai 6 ai 21 giorni. • Servizio volontario europeo L’Unione europea sostiene le opportunità di educazione informale per i giovani attraverso il volontariato transnazionale. Gli obiettivi principali di tali azioni sono essenzialmente: - offrire ai giovani un’esperienza di apprendimento interculturale in contesti informali che promuova la loro integrazione sociale e partecipazione attiva, ne 151 favorisca l’idoneità all’occupazione e dia loro modo di esprimere solidarietà verso altri individui; - dare sostegno allo sviluppo delle comunità locali; - favorire l’istituzione di nuovi partenariati e lo scambio di esperienze di buone prassi tra i partecipanti. Un progetto del Servizio volontario europeo consente di svolgere attività di volontariato in un paese straniero per un periodo di tempo limitato, normalmente compreso tra 6 e 12 mesi. Possono partecipare al programma i giovani di età com- presa tra i 18 e i 25 anni, legalmente residenti in uno dei paesi ammissibili. I volontari dedicano il loro tempo ad un progetto a favore della comunità locale; tali attività possono, ad esempio, riguardare il settore dell’ambiente, delle arti e della cultura, rivolgersi a bambini, giovani o anziani, o interessare il patrimonio culturale, gli sport e il tempo libero. In cambio, hanno l’opportunità di mettere in pratica le loro competenze, di acquisire un bagaglio di conoscenze sociali e culturali e di orientarsi per il futuro. Ogni progetto prevede tre partner: š il volontariato š l’organizzazione d’invio š l’organizzazione di accoglienza. Tali attività presentano le seguenti caratteristiche: • si realizzano in un paese diverso da quello in cui il volontario risiede; • non hanno fine di lucro e non sono retribuite, anche se il volontario riceve vitto, alloggio e una piccola indennità dall’organizzazione di accoglienza; • non sostituiscono attività lavorative; • hanno una durata limitata nel tempo (fino a 12 mesi). • Iniziative per i giovani Un’iniziativa di gruppo è un progetto ideato e gestito da un gruppo di giovani. Tali iniziative possono avere una durata compresa fra tre mesi e un anno. Beneficiari di tali iniziative sono i giovani di età compresa tra i 15 e i 25 anni, residenti in uno dei paesi partecipanti. Il gruppo deve presentare una descrizione articolata di ciò che intende realizzare e naturalmente il progetto deve essere rispondente agli interessi e alle aspettative dei giovani coinvolti. Inoltre, deve essere innovativo, deve cioè riguardare qualcosa di nuovo che non è mai stato realizzato prima nella comunità locale e avere con questa dei collegamenti. In particolare, si incoraggiano il coinvolgimento e il sostegno, finanziario e di altra natura, delle autorità e di altre organizzazioni locali. I giovani coinvolti dovrebbero provenire dagli ambienti meno privilegiati sotto l’aspetto culturale, geografico e socioeconomico. La Commissione europea assegna ogni anno dei “Premi europei” a iniziative meritevoli. 152 Il concorso è diviso per categorie di iniziative: - quella artistica più innovativa; - quella che ha ottenuto i migliori risultati nell’integrazione tra giovani prove- nienti da ambienti diversi; - quella che meglio realizza la solidarietà tra gruppi; - quella più innovativa. 4) AZIONI CONGIUNTE Le azioni congiunte sono incluse in tutti e tre i programmi (Socrates, Leonardo da Vinci e Gioventù) e rappresentano iniziative complementari, cioè di sostegno alle iniziative dei singoli programmi. Le azioni congiunte sono oggetto di inviti, pubblicati nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee, dove vengono indicati: - i temi da trattare - i tipi di progetti previsti - il tipo di sostegno offerto - i criteri di ammissibilità e di selezione - la procedura e le scadenze per l’inoltro delle domande. A) (Azioni Congiunte - Socrates) COMENIUS L’azione Comenius si articola in tre parti: • Comenius 1 (Progetti europei di cooperazione tra scuole che si propongono di migliorare la qualità dell’insegnamento scolastico e rafforzare, oppure, introdurre la dimensione europea nella scuola) comprende: - Progetti Scolastici Comenius (Partenariati di cooperazione tra alunni e docenti di diverse scuole europee); - Progetti Linguistici Comenius (Scambi di classe tra scuole europee); - Progetti di Sviluppo della Scuola Comenius (Partenariati di cooperazione tra scuole europee per il miglioramento della gestione dell’istituto). • Comenius 2 (Formazione e aggiornamento delle competenze di tutto il personale coin- volto nell’istruzione scolastica) comprende: - Progetti europei di cooperazione per la formazione del personale della scuola (Partenariati europei tra Istituti di formazione per l’aggiornamento nel mondo scolastico); - Borse individuali di formazione (Formazione iniziale e/o in servizio per il personale della scuola); 153 • Comenius 3 (Cooperazione tra progetti Comenius per l’analisi, lo studio, l’approfondi- mento di tematiche di comune interesse già affrontate o da sviluppare). Ai progetti scolastici Comenius possono partecipare tutte le scuole statali e legalmente riconosciute di ogni ordine e grado. Contatti: Agenzia Nazionale Socrates - Biblioteca di Documentazione Pedagogica - Palazzo Gerini - Via Buonarroti 10 - 50122 Firenze - E-mail: comenius1@bdp.it B) (Azioni Congiunte - Socrates) ERASMUS All’interno del programma Socrates, Erasmus è l’azione rivolta all’insegna- mento superiore. Questo programma si prefigge di rafforzare la qualità dell’insegnamento supe- riore ed accrescerne la dimensione europea: - stimolando la cooperazione transnazionale tra le Istituzioni d’Istruzione Superiore; - incentivando la mobilità di studenti e docenti; - migliorando la trasparenza ed il riconoscimento accademico degli studi all’interno della Comunità. Il Programma Socrates /Erasmus consente di svolgere una parte del proprio cur- riculum accademico (della durata compresa tra i 3 e i 12 mesi) presso un’Università di un altro Paese partecipante, dove poter seguire i Corsi e sostenere gli esami. Allo studente viene generalmente elargito un contributo con fondi dell’Unione europea per le spese di mobilità (viaggio e differenza del costo della vita). È importante ricordare che la borsa di mobilità Socrates/Erasmus prevede il riconoscimento degli esami sostenuti all’estero. Il Programma di studi preventiva- mente concordato con i docenti, nonché gli esami sostenuti, verranno quindi integrati nel curriculum studiorum dello studente dall’Ateneo di appartenenza. Erasmus è aperto alla partecipazione di tutti i tipi d’Istituzione d’istruzione superiore e abbraccia tutte le discipline e i livelli di studio, incluso il dottorato. Il programma si articola in tre azioni: • Erasmus 1 Cooperazione interuniversitaria europea (Contratto Istituzionale) • Erasmus 2 Mobilità degli studenti e dei docenti universitari • Erasmus 3 Reti Tematiche. 154 Possono richiedere una borsa di mobilità Socrates/Erasmus gli studenti iscritti a: - Diplomi universitari; - Corsi di laurea; - Scuole dirette a fini speciali (Accademie di Belle Arti, Conservatori di Musica, ex ISEF, Istituti Superiori per le Industrie Artistiche, Scuole Superiori Inter- preti e Traduttori). Inoltre, possono partecipare al Programma gli specializzandi ed i dottorandi. Possono usufruire di una borsa di mobilità Erasmus – indipendentemente dalla con- cessione di un aiuto finanziario – gli studenti che abbiano: • completato almeno 1° anno di studi; • una conoscenza adeguata della lingua nella quale si seguiranno i Corsi al- l’estero. Lo status di studente ERASMUS prevede il godimento di varie agevolazioni, tra le quali l’iscrizione gratuita presso l’Istituzione ospitante (le tasse universitarie andranno infatti pagate regolarmente presso la propria Istituzione di appartenenza) e la possibilità di usufruire dei servizi (biblioteche, laboratori, sale computer, ecc.) al pari degli studenti locali. Referenti: Lo studente interessato potrà richiedere informazioni presso il competente Ufficio (Uffici Socrates/Erasmus, Uffici Relazioni Internazionali, Uffici Borse di Studio ecc) della propria Università oppure Agenzia Nazionale Socrates - Azione ERA- SMUS - P.zza Kennedy 20 - 00144 Roma-Eur - Tel. (+39) (06) 59913069 - E-mail: socrates.erasmus@murst.it C) (Azioni Congiunte - Socrates) GRUNDTVIG Si tratta di progetti europei di cooperazione nell’ambito dell’educazione degli adulti. Tale azione si articola al suo interno in: • Grundtvig 1 Progetti per l’educazione degli adulti e l’apprendimento lungo tutto l’arco del- la vita • Grundtvig 2 Parternariati di apprendimento • Grundtvig 3 Mobilità individuale per il personale degli Istituti di istruzione degli adulti • Grundtvig 4 Reti Tematiche e Reti di Progetto Grundtvig. 155 Sono ammissibili i seguenti organismi: - Organismi operanti nell’educazione degli adulti (ad esempio, scuole di base e secondarie con corsi per adulti, scuole secondarie popolari, scuole finanziate da enti locali); - università che svolgono attività di ricerca e/o di sviluppo di curricoli per adulti; - organismi che si occupano della formazione dei docenti per adulti; autorità locali e regionali; - fondazioni e associazioni senza scopo di lucro, sindacati e associazioni degli imprenditori, università della terza età, ospedali, carceri anche minorili, asso- ciazioni sportive, organismi di quartiere; - organizzazioni professionali e imprese del settore privato che gestiscono pro- grammi di apprendimento non limitati alla formazione professionale. Il partenariato deve essere formato da almeno un istituto ammissibile di almeno tre paesi partecipanti, uno dei quali deve essere uno Stato membro dell’UE. Contatti: Agenzia Nazionale Socrates - Biblioteca di Documentazione Pedagogica - Palazzo Gerini - Via Buonarroti 10 - 50122 Firenze - Tel. (+39) (055) 2380331 - Fax (+39) (055) 2380343/399 - E-mail: grundtvig@bdp.it oppure: socrates.finanziario@bdp.it D) (Azioni Congiunte - Socrates) LINGUA Questa azione comprende le seguenti sub-azioni: • Lingua 1 Progetti per la promozione e l’apprendimento delle lingue, il sostegno delle diversità linguistiche nell’Unione Europea e il miglioramento delle strutture per l’insegnamento. • Lingua 2 Progetti per lo sviluppo di materiali e strumenti didattici per l’apprendimento delle lingue. Il partenariato deve comprendere almeno tre partner provenienti da paesi diversi fra i paesi partecipanti. Uno degli istituti o organismi deve fungere da coordinatore ed assumersi il compito di predisporre la bozza di massima dei progetti, di presen- tare la relativa domanda di sostegno finanziario, di provvedere alla corretta ammi- nistrazione del progetto, rendendo conto del denaro speso, di presentare una rela- zione sui risultati del progetto. Gli organismi ammissibili sono: - scuole, istituti d’istruzione per adulti, centri per l’insegnamento aperto e a distanza; 156 - università, centri di formazione iniziale o permanente per insegnanti di lingue, centri risorse linguistiche, centri di ricerca in materia di istruzione linguistica; - istituti che preparano curricola, rilasciano diplomi e elaborano metodi di verifica e valutazione delle conoscenze; enti locali o regionali; - associazioni locali, regionali, nazionali o europee attive nel campo dell’inse- gnamento o dell’apprendimento delle lingue; - associazioni culturali e di sostegno allo studio delle lingue; - scuole di lingue; - associazioni internazionali di istituti per l’insegnamento delle lingue; - società radiofoniche, televisive o di comunicazioni presenti su internet; - editori nonché produttori o distributori di software. Contatti: Agenzia Nazionale Socrates - Biblioteca di Documentazione Pedagogica - Palazzo Gerini - Via Buonarroti 10 - 50122 Firenze - Tel. (+39) (055) 2380337 - Fax (+39) (055) 2380343/399 - E-mail: lingua@bdp.it - Tel. (+39) (055) 2380398 - Fax (+39) (055) 2380343/399 - E-mail: socrates.finanziario@bdp.it E) (Azioni Congiunte - Socrates) MINERVA L’azione Minerva promuove la cooperazione europea nel campo dell’insegna- mento aperto e a distanza (IAD) e in quello delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) applicato all’istruzione. Minerva fornisce sostegno finanziario per vari tipi di progetti diversi. Può trattarsi di progetti mirati allo sviluppo di risor- se e metodi didattici sulla base di esperimenti innovativi. Gli stessi progetti possono essere realizzati per eseguire studi o analisi comparative di aspetti specifici dell’IAD e concernenti l’utilizzo di nuove tecnologie educative. a) Attività In tale contesto le singole proposte possono riguardare le seguenti attività: • comprensione dell’innovazione • elaborazione, sviluppo e sperimentazione di nuovi metodi e risorse didattiche • accessibilità e sostegno alla divulgazione scambio di idee ed esperienze con- cernenti l’IAD e l’uso delle TIC nell’istruzione b) Obiettivi Obiettivi dell’azione sono: • promuovere l’istruzione aperta e a distanza e le tecnologie dell’informazione e della comunicazione ai fini educativi; • realizzare prodotti e servizi educativi multimediali; • promuovere l’accesso a metodi e risorse educative più avanzati e innovativi, nonché ai risultati conseguiti e alle migliori pratiche nel settore. 157 c) Destinatari I progetti Minerva sono progetti di partenariato e devono comprendere almeno un Istituto ammissibile di almeno tre paesi partecipanti. I destinatari sono Istituti e organizzazioni operanti nel campo delle TIC e dell’IAD: • Centri di risorse e organizzazioni competenti nel campo delle TIC applicate all’istruzione e/o dell’insegnamento aperto e a distanza (sono compresi anche servizi di orientamento, biblioteche multimediali, centri di ricerca); • Tutti gli istituti di istruzione e gli organismi che operano in questo campo; • Istituti di insegnamento a distanza (comprese le Università a distanza); • Istituti di formazione degli insegnanti; • Associazioni di docenti o discenti; • Associazioni o consorzi accademici/d’istruzione a livello nazionale o europeo; • Editori, produttori, emittenti pubblici e privati e altri operatori nel campo multi- mediale e delle TIC. d) Contatti Agenzia Nazionale Socrates - Biblioteca di Documentazione Pedagogica - Palazzo Gerini - Via Buonarroti 10 - 50122 Firenze - Tel. (+39) (055) 2380337 - Fax (+39) (055) 2380343/399 - E-mail: minerva@bdp.it Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento Affari Sociali - Ufficio III “Gioventù per l’Europa” - Via Vittorio Veneto 56 - 00187 Roma - Tel. (06) 48161368/84 - www.gioventu.it e) Indirizi utili Commissione Europea - Uffici di rappresentanza in Italia - Via Poli 29 - 00187 Roma - Tel. (+39) (06) 699991 - Fax (06) 6791658/6793652 Corso Magenta 59 - 20123 Milano - Tel. (02) 48012505 - Fax (02) 4818543 Parlamento Europeo - Ufficio di rappresentanza in Italia - Via IV Novembre 149 - 00187 Roma - Tel. (06) 699501 - Fax (06) 69950200 Mediatore Europeo - 1, av. du Prés. R. Schuman - BP 403 - F-67001 Strasbourg- cedex - Tel. (+33) 388174001 - Fax (+33) 388179062 Spazio Economico Europeo, Segretariato AELE - 74 rue de Trêves - B - 1040 Bruxelles - Tel. (+32) 22861711 - Fax (+32) 22861750 Organizzazioni Nazionali - Ministero della Pubblica Istruzione (Socrates - settore scolastico) - Viale Trastevere 76/A - 00153 Roma - Tel. (02) 58491 Ministero di Grazia e Giustizia - Via Arenula 71 - 00186 ROMA - Tel. (06) 68851 Ministero della Funzione Pubblica - Corso Vittorio Emanuele II 116 - 00186 Roma - Tel. (06) 680031 Ministero della Sanità - Piazzale dell’Industria 20 - 00144 Roma - Tel. (06) 59941 Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale - Via Flavia 6 - 00187 Roma - Tel. (06) 46831 158 CIMEA - Centro informazione sulla mobilità ed equivalenze accademiche (NA- RIC) - Viale XXI Aprile 36 - 00162 Roma - Tel. (06) 86208883 - Fax (06) 86322845 ISFOL - Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei (LEONAR- DO DA VINCI) - Via G.B. Morgagni 33 - 00161 Roma - Tel. (06) 445901 - Fax (06) 44291871 ANAB - Agenzia nazionale per l’amministrazione delle Borse (ERASMUS) - Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica - Dipartimento Relazioni Internazionali - Piazzale Kennedy 20 - 00144 Roma - Tel. (06) 59912099 - Tel. (06) 59912639 - Fax (06) 59912722 Biblioteca di documentazione pedagogica (EURYDICE e COMENIUS) - Via M. Buonarroti 10 - 50122 Firenze - Tel. (055) 2380325/384 (Eurydice) - Tel. (055) 2380308 (Comenius) - Fax (055) 242884 5.3. Lavorare all’estero Il 9 dicembre 1989, nell’ambito del vertice di Strasburgo, i Capi di Stato e di governo di undici degli Stati membri hanno adottato la “Carta Europea dei diritti dei lavoratori”. Tale documento, che consta di un Preambolo e 54 articoli, divisi in sette capi, relativi all’insieme dei diritti politici, sociali, civili ed economici garantiti dall’Unione Europea ai suoi cittadini, sancisce i principi fondamentali che sorreggono il modello europeo del diritto al lavoro. Al fine di realizzare – come si legge nel preambolo del Trattato – “il progresso economico e sociale” degli Stati membri e “il miglioramento costante delle condi- zioni di vita e di occupazione dei loro popoli”, l’Unione Europea ha sancito alcuni importanti principi, in materia di: • libera circolazione dei lavoratori; • modalità di occupazione e retribuzioni; • miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro; • protezione sociale; • libertà di associazione e negoziato collettivo; • formazione professionale; • parità di trattamento tra uomini e donne; • informazione, consultazione e partecipazione dei lavoratori; • tutela della salute e sicurezza nell’ambiente di lavoro; • protezione dei bambini e degli adolescenti; • anziani; • disabili. Il Trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992, con cui sono state dettate le “Disposizioni che modificano il trattato istitutivo della Comunità economica europea per creare la Comunità europea” ha ribadito il principio di libertà di circolazione dei 159 lavoratori nei 15 Paesi membri. Tutti i cittadini dell’Unione Europea, inoltre, godono degli stessi diritti quando vogliono andare a lavorare in un altro Paese comunitario. In particolare, ciascun lavoratore europeo è libero di andare a vivere e di lavo- rare in un altro Stato membro, come lavoratore dipendente o autonomo, alle stesse condizioni dei lavoratori locali. Il diritto alla parità di trattamento, infatti, garantisce al lavoratore comunitario le medesime garanzie previste per i lavoratori cittadini del paese ospitante per quanto riguarda il complesso delle condizioni di lavoro e di assunzione. 5.3.1. I diritti e i doveri dei lavoratori stranieri In questa parte, ci soffermiamo sui diritti e i doveri di chi cerca all’estero per lavorare. 1) Il permesso di soggiorno Tutti coloro che abbiano trovato un’occupazione in un Paese dell’Unione Europea ed abbiano intenzione di soggiornarvi per più di quattro mesi, devono ottenere il permesso o Carta di soggiorno. Tale documento deve essere richiesto dal lavoratore, passibile altrimenti di san- zione, presso le autorità del Paese ospitante, dimostrando di avere un’autosufficienza economica (producendo ad esempio un certificato o un attestato del datore di lavoro, oppure un estratto del proprio conto bancario). La Carta di soggiorno è valida su tutto il territorio nazionale del Paese che la rilascia, per una durata minima di cinque anni ed è rinnovabile a richiesta. Se si rimanesse disoccupati per oltre dodici mesi nel corso del quinquennio, il permesso di soggiorno può essere rinnovato, ma per una durata inferiore ai normali cinque anni. Maggiori informazioni possono essere reperite sul sito http: //citizens.eu.int 2) I diritti dei lavoratori stranieri Come cittadini comunitari, ciascun lavoratore ha diritto di usufruire a tutti i servizi previsti per i cittadini residenti: • iscrizione all’Ufficio di Collocamento; • frequenza a tutti i corsi previsti dal sistema educativo e quelli di formazione professionale; • stessi benefici economici previsti per i disoccupati residenti; • regime di previdenza sociale di tale Paese. Il lavoratore dovrà interrompere il versamento dei contributi nel suo Paese d’origine, ed iniziare a versarli nel Paese ospitante. I lavoratori stranieri sono, infatti, sottoposti ai medesimi diritti dei lavoratori del Paese ospitante in materia di: š Malattia š Maternità š Invalidità š Pensione. 160 3) Il riconoscimento dei titolo di studio In tutti i Paesi dell’Unione, il riconoscimento del diploma di maturità avviene in modo automatico in virtù della Convenzione europea sul riconoscimento delle qualifiche, firmata nel 1957 da tutti gli Stati del Consiglio d’Europa. Se, invece, si ha intenzione di seguire corsi di specializzazione o master al- l’estero, è bene accertarsi, per ottenere il riconoscimento del diploma universitario, di quale documentazione venga richiesta dalla scuola a cui ci si vuole iscrivere. Maggiori informazioni possono essere reperite consultando la rete NARIC (National Academic Recognition Information Centres) http: //support4/learning. org.uk/education/naric.htm 5.3.2. Prima di partire Un’esperienza lavorativa all’estero è sicuramente un’opportunità formativa e professionale di inestimabile valore, oltre che un’importante esperienza di vita. È questa, infatti, un’esperienza che ci consente di migliorare il proprio curriculum e di accrescere le proprie competenze. Come ogni scelta importante, però, comporta sempre delle difficoltà iniziali. È bene, dunque, prima di decidere di intraprendere cambiamenti tanto radicali, riflettere su alcuni aspetti problematici. Ciò che si consiglia di fare è un attento processo di autoanalisi, volto a far emergere: - le reali necessità ed aspirazioni personali, sia in ambito lavorativo che formativo; - la reale volontà di soggiornare all’estero per un periodo più o meno lungo; - la consapevolezza che un’eventuale permanenza all’estero comporta sempre delle difficoltà di inserimento; - le proprie reali capacità; - la conoscenza del Paese di destinazione e soprattutto del livello di padronanza della lingua del Paese ospitante. Dal momento che oggi sono molte le opportunità offerte ai giovani e diverse le vie che è possibile percorrere, potrebbe essere utile in questi casi rivolgersi a degli esperti di orientamento. Essi possono offrire un importante sostegno nella fase della scelta, proprio per- ché rappresentano una fonte preziosa di informazioni e di contatti. Il modo miglio- re, dunque, per orientarsi nella fitta rete di opportunità offerte è quello, ad esempio, di rivolgersi agli operatori dei: - Servizi di orientamento territoriali, i cui indirizzi possono essere richiesti telefonando al numero verde del Ministero del Lavoro: 800-444555; - Servizi InformaGiovani (www.informagiovani.it/lavoro_formazione/index. htm), i cui recapiti sono reperibili anche sui siti del comune di residenza; - oppure agli euroconsiglieri della rete Eures che offrono il servizio gratuita- mente. 161 5.3.3. Come trovare lavoro Per trovare lavoro in un altro paese della Comunità, ci sono due possibilità: cer- care dall’Italia, oppure direttamente in loco. 1) Cercare dall’Italia Soprattutto se non si conosce bene la lingua del Paese ospitante, è sempre pre- feribile avviare la ricerca di lavoro dall’Italia, con un’idea chiara del settore e della città dove si vuole andare a lavorare. In questi casi potrebbe risultare utile rivolgersi già dall’Italia a delle agenzie specializzate che, dietro compenso, si occupano di cercare un’occupazione, una scuola ed eventualmente anche un alloggio. È bene però sapere che esistono delle iniziative istituzionali per promuovere l’occupazione e la mobilità dei lavoratori in Europa. La più importante tra queste è sicuramente la rete Eures. a) I canali istituzionali EURES (European Employment Services: Servizi Europei dell’Impiego) è un servizio pubblico internazionale, istituito dalla Commissione Europea, a cui parteci- pano diciassette Paesi appartenenti allo Spazio Economico Europeo (Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna Grecia, Irlanda, Islanda, Italia, Lussemburgo Norvegia, Olanda, Portogallo, Spagna, Svezia). Si tratta di una banca dati centralizzata a livello comunitario, che collega tutti i Servizi dell’Impiego Europei, per realizzare un servizio di informazione sulle opportunità di lavoro all’interno degli Stati membri. Eures funziona, in sostanza, come un’agenzia di collocamento sopranazionale, finalizzata all’incontro di domande e offerte di lavoro, presenti nei diciassette Paesi partecipanti (quindici Paesi dell’Unione Europea più Islanda e Norvegia). La rete Eures infatti, consente di scambiarsi informazioni su: • offerte e domande di lavoro; • situazione e andamento del mercato dell’occupazione per regioni, settori di attività e, se necessario, per livelli di qualifica dei lavoratori; • condizioni di vita e di lavoro negli stati membri. Il servizio Eures è, dunque, rivolto sia ai lavoratori che desiderano ricevere informazioni sulle possibilità di lavoro nei Paesi comunitari, sia alle imprese alla ricerca di personale in ambito internazionale. Eures si avvale della cooperazione tra i servizi di collocamento operanti in ciascun Paese europeo e coinvolge molte istituzioni interessate alla mobilità del lavoro, come le associazioni datoriali, i sindacati e le università. Membri della rete EURES sono infatti: - i servizi dell’occupazione degli stati membri; - la Commissione delle Comunità Europee, tramite l’Ufficio Europeo di Coordinamento (il c.d. B.E.C.), che opera da supporto e svolge un ruolo di informazione, coordinamento e sostegno alle reti EURES nazionali; 162 - partners pubblici o privati dei servizi dell’occupazione che abbiano firmato una convenzione con la Commissione; - le parti economiche e sociali. Il servizio di informazione e orientamento viene realizzato attraverso una rete che congiunge tra loro 520 Euroconsiglieri, specialisti del mercato dell’occupazione europeo, provenienti dagli uffici di collocamento o da organizzazioni industriali o sindacali. Per conoscere le opportunità di lavoro della rete Eures, si può contattare l’ufficio dell’Euroconsigliere della propria Regione (l’elenco aggiornato dei riferimenti è reperibile al sito), oppure collegarsi direttamente al sito della Commissione Europea http://europa.eu.int/jobs/eures. Chi intende rivolgersi alla rete degli Euroconsiglieri deve compilare una do- manda nella quale si specificano: - qualifica posseduta - tipologia di occupazione cercata - curriculum vitae, in italiano e nella lingua del Pese prescelto. Successivamente, il candidato verrà convocato per un colloquio informativo, volto a verificare le sue motivazioni, competenze e attitudini; l’orientatore poi consulterà la banca dati per verificare se vi siano richieste di personale conformi al profilo posseduto. In caso positivo, si procederà all’invio del curriculum del lavora- tore all’euroconsigliere che ha inserito l’annuncio. Qualora il contatto vada a buon fine, si procederà al disbrigo delle formalità burocratiche per l’assunzione, richieste dal Paese di destinazione. Nel sito EURES della Commissione Europea è stato recentemente inserito “eures cv search”, un database in cui le persone interessate alla mobilità in un altro Paese dello Spazio Economico Europeo possono inserire il proprio curriculum vitae. Il database è consultabile in Inglese, Francese e Tedesco sul sito: “www.eurescv- search.com.” Infine, è importante sapere che le offerte più interessanti della rete EURES ven- gono pubblicate settimanalmente su “Il Sole 24 Ore” del Lunedì, nell’inserto Lavoro & Carriere e segnalati da due programmi televisivi: š “Okkupati” - www. Okkupati.lavori.net - Rai 3 (domenica); š “Articolo 1” - Rai 3 (mercoledì)”. Le proposte di lavoro riportano, generalmente, tutte le informazioni necessarie per contattare direttamente il datore di lavoro (indirizzo, numero di telefono, fax o posta elettronica) che ha diffuso la richiesta. Il candidato può, dunque, proporsi direttamente, contattando il referente indica- to, inviandogli il proprio curriculum vitae e lettera di presentazione, redatti nella lin- gua straniera richiesta. Qualora il candidato ottenga un colloquio di selezione deve recarsi all’estero a proprie spese, perché raramente le aziende sostengono le spese di viaggio dei candi- dati. 163 b) Altri canali per il reperimento delle informazioni Al fine di raccogliere il maggior numero di informazioni possibile circa il Paese prescelto e le reali opportunità di lavoro che esso offre, potrebbe essere molto utile: • frequentare fiere di settore • contattare l’ambasciata in Italia del Paese che interessa oppure consultare i siti di alcune organizzazioni internazionali. Tra i più importanti, si riportano i seguenti: š Ministero degli Affari Esteri š Unione Europea sulle carriere nella Commissione Europea. š Parlamento Europeo sui tirocini presso il Parlamento Europeo. • usare internet. • consultare la stampa specializzata - Internet Internet rappresenta oggi il mezzo più facile e veloce per raccogliere un gran numero di informazioni. Nella rete, infatti, è possibile consultare numerosi siti che favoriscono l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Qui di seguito, si riportano gli indirizzi di alcune delle maggiori organizzazioni che si occupano di cercare un lavoro all’estero: - www.estia.educ.goteborg.se: è il sito del Centro Risorse per l’orientamento che raccoglie utili informazioni sulle opportunità di formazione e stage e mercato del lavoro. ambito di formazione, lavoro e orientamento dei vari Paesi dell’Unione Europea - www.Jobbroadcasting.com/insight/jobs/: offre informazioni per cercare lavoro in qualsiasi parte del mondo - www.init-emploi.tm.fr: fornisce utili indicazioni sulle opportunità lavorative in Francia. - www.monster.com: offerte di lavoro in tutto il mondo - www.Jobonline.it: fornisce informazioni per trovare lavoro soprattutto in Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti, Australia e Singapore - www.jobserve.com: sito specializzato per la ricerca di lavoro qualificato all’estero - www.dotjobs.co.uk: si tratta di un sito inglese per la ricerca di lavoro nel settore dell’elettronica, dell’ingegneria e industriale. Per accedere al servizio è necessario compilare un modulo - www.mercurius.it: tratto dallo sportello giovani di Mantova è un sito ricchis- simo per reperire informazioni su opportunità formative e lavorative all’estero - www.aiuto.net/it4g.htm: è il sito del Centro risorse Europeo finanziato dal Ministero del Lavoro. Si possono reperire informazioni relative ad opportunità lavorative e di stage borse di studio e volontariato all’estero - http://cyberdays.stet.it/job: si tratta di una banca dati che contiene inserzioni di domande ed offerte di lavoro tratte direttamente dalle inserzioni dai quoti- diani italiani e stranieri 164 - www.newtech.it/jobline: si occupa di segnalare occasioni di impiego, stage e tirocini offerte dall’Unione Europea. Dal link “Job abroad”, ci si può collegare direttamente alla banca dati Eures. Esso riporta la segnalazione dei posti vacanti presso le Organizzazioni internazionali - www.europalavoro.it: si tratta del sito del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale; il sito fornisce informazioni relative al mondo della formazione e del lavoro, nonché notizie utili per gli operatori del settore (ad es. bandi, circolari, decreti, link). - La stampa Una altro importante canale per il reperimento delle informazioni è la stampa. Sulle maggiori testate è, infatti, possibile consultare le inserzioni relative alle offerte di lavoro, nonché far pubblicare un articolo di autocandidatura. Di seguito, si riportano gli indirizzi dei siti internet dei maggiori quotidiani europei: Francia: “Liberation” www.Liberation.fr/emploi/index.html “Le Figaro” www.cadremploi.fr “Le Monde” www.Emploilemonde.fr Regno Unito: “The Guardian” www.Job.guardian.co.uk “The Telegraph” www.Telegraph.co.uk Spagna: “Secondamano” www.Secondamano.it “El Pais” www.Elapis.es Germania: “Berliner Zeitungt” www.Berlin-job.de Altri quotidiani dell’Unione europea si possono consultare on line al sito: europa.eu.int/comm/employment_social/eim/eurse/fr/jobsearch/index.htm Tutti coloro che, invece, conoscono bene la lingua, possono decidere di indivi- duare autonomamente le società alle quali proporsi, magari rivolgendosi alle Camere di Commercio. Un’ottima opportunità potrebbe essere anche quella di iniziare come stagisti, per esempio partecipando ad alcuni programmi comunitari, come Leonardo da Vinci. In questo modo, si avrebbe la possibilità di cominciare a familiarizzare col nuovo lavoro, il nuovo ambiente e l’azienda avrebbe l’opportunità di misurare le nostre reali capacità. 2) Cercare lavoro nel Paese ospitante Per cercare lavoro nel Paese ospitante, ci si può rivolgere direttamente a: - Agenzie e job center - Agenzie private di collocamento - Agenzie private per l’incontro di domanda ed offerta di lavoro. 165 a) Agenzie e job center Qui di seguito vengono riportati gli indirizzi delle principali agenzie e job center. Austria: AMS (Arbeitsmarkservice) Uffici provinciali di collocamento, Ufficio generale Treustrasse 35-43 A. - 1200 Wien - Tel. 1 331780 www.ams.or.at Belgio: Office National dell’Emploi 65 bd Auspach - 1000 Bruxelles Danimarca: AF (Arbejdsformidlingen) Blegdamsvej 56 - DK 6000 Kobenhavn - Tel. 0045 35 288100 Francia: ANPE (Agence Nazionale pour l’Emploi) 69, Rue Pigalle 75009 Paris - Tel. 0033 1 4453616 Germania: ZAV - Zentrallstellefur Arbeitsvermittlung Feuerbach strasse 42-46 - 6000 Frankfurt a. M. - Tel. 69 71110 Grecia: - EIE (National Institute of Labour) www.eie.org.gr - OAED (Organisimos Apasholisseos Ergakou Dynamikou) Irlanda: Department of Labour Mespil Road - Dublin 4 - Tel. 00353 1 6765861 Islanda: Vinnumalastofnun Lussemburgo: ADEM (Administration de l’Emploi) Norvegia: AETAT (Arbeidsdirektoraten) Numero verde per i servizi per l’impiego 80033136. Olanda: AB (Arbeidsbureau) Portogallo: IEFP (Istituto do Emprego e Formaçao Professional) Av. Josè malhoa 11 - 1050 Lisboa - Tel. 0035 1 7213123 Regno Unito: ES (Employment Service) St. Vincent House 300 - Organ Street - UK London WC2 7HT - Tel. 0044 171 Tel. 8395600 Spagna: INEM (Istituto Nacional de Empleo) Svezia: AF (Arbetsformedlingen) www.amv.se b) Agenzie private di collocamento Alcune agenzie di lavoro temporaneo multinazionali (Adecco, Manpower, Kelly Services), hanno aperto le proprie sedi anche in Italia. 166 Esse rappresentano un’ottima rete di collegamento per inoltrare il proprio curriculum nelle filiali del Paese prescelto. Qui di seguito si riportano gli indirizzi delle principali sedi: Francia: Adecco Travail Temporaire 18 Rue Guersant 75017 Parigi - Tel. 0033 1 40559588 Manpower: Rue J. Bingen 75017 Parigi - Tel. 0033 1 44154040 CIJ: (Centres d’Information Jeunesse - Ufficio Centrale Informagiovani) Quay Branly 101 - Parigi - Tel. 0033 1 44491320 Germania: - Centro consulenza professionale – Monaco Tel. 0049 895 1543149 - Aktiv Personal Leasing Uhlandstrasse 27, Tel 0049 308 827906 - Binnebessel & partners, Johachimstaler Str. 19, Tel. 0049 308 811050 - Team personal Service, Koloniestr 13, Tel. 0049 304 937007 Gran Bretagna: Adecco - Alfred Marks, Londra Tel. 0044 181 207500 Federazione delle agenzie per il reclutamento e dei servizi all’impiego: 36-38 Mortimer Street London - Tel. 0044 171 3234300 Irlanda: Employment Agencies Department of enterprise and employment Davitt House 65 Adelaide Road Dublino 4, Tel. 0035 1 661444 Norvegia: Manpower Tel. 0047 22 018000 Personell Tel. 0047 22 401200 Olanda: Informazioni su agenzie di collocamento possono essere richieste solo al Ministero per gli affari sociali e il lavoro POB 90801, 2509 LV AIA. ¾ Per avere informazioni sulle società di lavoro temporaneo nel mondo, si può contattare il CIETT (Confederazione internazionale delle imprese di lavoro temporaneo) si può consultare il sito www.ciett.org, oppure contattare la sede europea: Ciett Europe: Avenue de Tervuren, 142-144B - 1150 Bruxells - Belgium - Tel. 0032/2/7330427 167 c) Agenzie private per l’incontro di domanda ed offerta di lavoro Si tratta di agenzie private di collocamento, con sede sia in Italia che all’estero. Esse favoriscono l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro, soprattutto in alcuni settori occupazionali e offrono servizi di consulenza. Generalmente, per usufruire di tali prestazioni, è necessario versare una quota di iscrizione. Tra le principali, si ricordano: 3 Esse Agency: Si occupa prevalentemente di cercare lavori stagionali quali: lavori “au pair” in Europa, summer job e corsi di lingua anche negli USA e nuova Zelanda. Via F.Baracca 18 - 21013 Gallarate (VA) - Tel. 0331 771065 - www.logic.it/3esse Arce: Anche questa società si occupa prevalentemente di cercare lavori stagionali in Europa e in Australia. Via XX Settembre 20/124 - 16121 Genova - Tel. 010 583020 - http: //space.tin.it/ assoxiazioni/chiorl ERC Euroduca: Si occupa di lavori “au pair” in Gran Bretagna e USA Via Soresina 16 - 20144 Milano - http: //euroduca.it European Job: Martello House 18 Mertello Street E8 PE - London - Gran Bretagna - Tel. 171 8398809 5.3.4. Le professioni regolamentate Fermo restando che ogni cittadino è libero di svolgere una qualunque occu- pazione in tutti i Paesi dell’area economica europea, tuttavia è bene ricordare che l’esercizio di determinate attività può essere subordinato ad alcune restrizioni. Innanzitutto all’effettiva conoscenza della lingua del Paese ospitante, ma soprattutto al possesso di determinati titoli di studio o qualifiche. L’esercizio di alcune professioni, soggette a particolari regolamentazioni, infatti, è subordinato al possesso di specifici titoli di studio o attestati di qualifica. Per questi profili professionali, quali ad esempio il medico o l’avvocato, è necessario che il Paese nel quale si intende esercitare la professione, proceda al riconoscimento del titolo e dell’abilitazione. Si ricorda infatti che i titoli di studio e le qualifiche conse- guite in altri Paesi dell’Unione hanno validità in tutta l’Unione Europea. Tale rico- noscimento può essere una mera formalità amministrativa, che si concretizza nella semplice iscrizione all’associazione professionale corrispondente oppure può essere subordinato al superamento di speciali prove di verifica o di un periodo di tirocinio. Per avere utili informazioni circa le problematiche di lavoro in altri Paesi europei e sui procedimenti da seguire per ogni Paese dell’Unione Europea, a seconda della professione che si intende svolgere, si consiglia di visitare il sito “Dialogo con i 168 cittadini e le imprese” (http: //citizens.eu.int), oppure di rivolgersi al numero verde attivato dall’Unione Europea 800-876166. In ogni caso è bene prendere visione dei seguenti testi legislativi di riferimento: - direttiva 89/48/CEE del 21.12.88, - direttiva 92/51/CEE del 18.6.92, - direttiva 94/38/CE del 26.7.94 - direttiva 95/43/CE del 20.7.95 5.3.5. Le professioni non regolamentate Ogni cittadino italiano può decidere di andare a lavorare all’estero e di svolgervi tutte le professioni non regolamentate senza formalità particolari. Per questo motivo i giovani, soprattutto quelli che intendono trascorrere un periodo di studio all’estero per frequentare corsi di lingua alfine di migliorarne il livello di conoscenza, si mettono alla ricerca dei cosiddetti “lavori stagionali”. Si tratta di piccole occupazioni, generalmente poco impegnative in termini di ore lavorative, che consentano di mantenersi agli studi. Per questi lavori, non sono richieste competenze particolari, ma è comunque necessario una conoscenza minima della lingua straniera. La ricerca di un lavoro stagionale è, generalmente, più facile in alcuni settori, in particolare in quello: a) agricolo; b) turistico; c) lavoro alla pari. a) Il settore agricolo Si tratta generalmente di andare a lavorare in aziende agricole soprattutto per la raccolta e la confezione di prodotti agricoli. Per avere informazioni per questo tipo di occupazione, sarà sufficiente rivolgersi agli uffici “Informagiovani” o consultare la rete Eures. b) Il settore turistico Il settore turistico offre ai giovani un ampio ventaglio di opportunità per un even- tuale inserimento lavorativo. Soprattutto chi ha una buona dimestichezza con le lin- gue straniere e una buona predisposizione ai rapporti interpersonali, può sfruttare le opportunità offerte nell’ambito della: - Ristorazione - Villaggi turistici - Navi da crociera - Alberghi. Per reperire informazioni utili si può cominciare a contattare: - Enti turistici dei Paesi prescelti - Assessorati regionali e provinciali al turismo - Catene alberghiere - Compagni e di crociera - Tour operator - Parchi di divertimento e centri estivi per bambini. 169 Qui di seguito si riportano alcuni indirizzi utili per cominciare la ricerca: Enti turistici: Francia: Ente nazionale francese per il turismo Via Larga 7 - 20122 Milano - Tel. (02) 58316610 Gran Bretagna: Ufficio nazionale del turismo britannico BTA Corso Magenta 32 - Milano - Tel. (02) 72010078 Germania: Germania Turismo Via Negri 8 - Milano Spagna: Ufficio Nazionale Spagnolo per il turismo Via Broletto 30 - Milano - Tel. (02) 72004617 Catene di ristorazione: Francia: SSP France - Service du Ressources Humaine BP 30009 - 95715 Roissy - CDG Codex Germania: Agenzia Cescot Via Messina 19 - 00198 Roma - Tel. (06) 445250251 Gran Bretagna: Mark Warner LTD. George house, First Floor 61-65 Kensington Church Street London W8 4BA UK - Tel. 171/3933178 Grecia: Intercom 24-26 halkndili Odosi - 10432 Atene - Tel. 1/5239470 Irlanda: Ceterstaff LTD. Premier House 10 Greycoat, Victoria London SW p1p 1 DP UK - Tel.171/233 1401 Spagna: Club de Relaciones Culturales Internationalles Calle de Ferraz 82 - 28008 Madrid 170 Parchi di divertimento: Francia: Disneyland Paris Casting B.P. 110 - 77777 Maene la Valleè - Cedex 4 Gran Bretagna: Segaworld The Trocadero, Piccadilly Circus London W1L - Tel. 0171/734 2777 Scotland: The Beach, Aberdeen - Tel. 01224/595910 Spagna: Port Aventura - Depatimetnto recursos Humanos Apartado de Correos 90 - 43480 Villa Seca Terragona - Tel. 0034/902202220 c) Il lavoro alla pari Si tratta di andare a vivere per un periodo variabile tra i tre mesi e 1 anno presso una famiglia straniera, per svolgere soprattutto funzioni di baby sitter e piccoli aiuti domestici. In cambio la famiglia provvede a fornire vitto e alloggio e a corrispondere una piccola retribuzione. Per avere maggiori informazioni, ci si può rivolgere ai seguenti indirizzi: Au Pair International: Via S. Stefano 32 - 40125 Bologna - Tel. (051) 267575. Easy Way Arcinova: Via Adige 11 - 20135 Milano - Tel. 02) 55013772 - www.inedita.net/easyway MB: Via Alessandria 13 - 35142 Padova - http: //space.tin.it/viaggi/gbresqua 5.3.6. Lavorare per le Istituzioni dell’Unione Europea e nelle organizzazioni internazionali Le Istituzioni dell’Unione Europea e le organizzazioni internazionali offrono, oggi, ai giovani opportunità lavorative veramente interessanti. Nelle prime, cioè nelle istituzioni internazionali, si accede tramite concorso pubblico, i cui bandi vengono pubblicati sulla Gazzetta ufficiale della Comunità Europea. Possono partecipare ai concorsi tutti i cittadini dei Paesi membri dell’Unione Eu- ropea: - in possesso di diploma di scuola media superiore; - che conoscano almeno due lingue straniere. 171 I profili ricercati sono generalmente i seguenti: - dirigenti o interpretti e traduttori. Si tratta naturalmente di figure professiona- li più qualificate, per le quali è richiesto il diploma di laurea; - personale con mansioni di segreteria ed assistenza, per i quali invece è suffi- ciente il diploma di scuola media superiore. I concorsi prevedono generalmente tre tipologie di prove: - test preliminari di selezione - prove scritte - esami orali. I nominativi dei vincitori del concorso vengono inseriti in un elenco; l’assunzio- ne avviene in maniera progressiva man mano che si rendono disponibili nuovi posti. I lavoratori assunti nelle istituzioni europee, naturalmente, dovranno trasferirsi presso gli uffici che hanno sede a Bruxelles o a Lussemburgo. Per coloro che, invece, fossero interessati a frequentare uno stage presso la Com- missione o il Parlamento Europeo, possono rivolgersi alla: Commissione Europea Ufficio Tirocini Rue de la Loi 200 B - 1049 Bruxelles Anche lavorare presso le Organizzazioni internazionali, ad esempio l’ONU o il segretariato delle Nazioni Unite è certamente un’obiettivo ambizioso. Anche per queste posizioni, è necessario superare un concorso. I bandi sono reperibili al sito del Ministero degli Affari esteri www.esteri.it Altri indirizzi utili sono: Ufficio Relazioni con il Pubblico del Ministero P.le della Farnesina 1 - Roma Centro informazioni delle Nazioni Unite Piazza San Marco 50 - 00186 Roma - Tel. (06) 6789907 5.3.7. La presentazione delle candidature Qualunque sia la posizione o il contesto lavorativo per il quale ci si propone, il giovane dovrà, al momento della propria candidatura, presentare un curriculum vitae, accompagnato da una lettera di presentazione. Il curriculum vitae, infatti, è considerato generalmente un’importante carta d’ingresso per attirare l’attenzione dei selezionatori. Esso rappresenta, come spesso si dice, il biglietto da visita di chi lo presenta. È logico, quindi, che debba creare nel lettore un’impressione favorevole. È opportuno, dunque, che esso venga redatto con molta cura, seguendo alcune semplici, ma fondamentali regole. Il curriculum dovrà, dunque essere il più possibile: ¾ corretto nella forma e completo dei contenuti; ¾ conciso; ¾ tale da sollecitare una convocazione ad un colloquio di selezione. 172 Se queste sono le regole fondamentali da seguire nella redazione di un qualunque curriculum, qualche attenzione in più andrà riservata se ci si propone per un’occu- pazione in un Paese straniero. In questi casi ci dovrà tener conto che il cv non potrà essere la mera traduzione della versione italiana, ma andranno verificate le modalità di compilazione in uso dai Paesi ai quali ci si rivolge. In Francia, ad esempio, dopo aver riportato le informazioni anagrafiche (nome, cognome, indirizzo, recapiti), è consuetudine indicare, in ordine cronologico, i momenti più significativi della propria formazione. Seguiranno, poi, le esperienze professionali; queste generalmente verranno illustrate in senso inverso, cioè dalla più recente a quella più vecchia, senza dimenticare una breve descrizione delle man- sioni svolte e del ruolo ricoperto. Un’ultima sezione verrà poi dedicata alla cono- scenza delle lingue e delle competenze informatiche. Facoltativa è l’indicazione dei propri hobby e dei modi di impiegare il proprio tempo libero. Tali informazioni possono essere importanti alfine di completare il quadro della propria personalità e del proprio profilo. Grande importanza invece, riveste in Francia la lettera di presentazione o lettera “de motivation”, nella quale il candidato è chiamato ad illustrare le motivazioni della propria candidatura e le ragioni per le quali si manifesta interesse per quella parti- colare società. In Germania, invece, il curriculum non è altro che uno dei tanti incartamenti che compongono il dossier di candidatura. A questo, infatti, si allegano attestati, certifi- cati, lettere di referenze ecc. con i quali il candidato attesta la veridicità delle infor- mazioni riportate nel curriculum. In Inghilterra ed in Spagna è poco diffusa la pratica dell’autocandidatura, mentre è consuetudine più diffusa rispondere ad inserzioni che pubblicizzano posti di lavoro. Per tali candidature, mentre in Inghilterra, è generalmente previsto un “format”, già standardizzato, da compilare, in Spagna si usa presentare un tradizionale curri- culum vitae, accompagnato da lettera di presentazione. Per la loro redazione non sono previste regole rigide, ma si raccomanda comunque chiarezza e brevità. 5.3.8. Il curriculum Europeo Considerate, dunque, le differenze e le difformità che esistono tra i vari Paesi del- l’Unione nella compilazione di un curriculum vitae e nelle modalità di presentazione delle candidature, la Comunità Europea ha recentemente proposto l’introduzione di un modello unico, adottabile in tutti i Paesi dell’Unione. Si tratta di un “application form”, pensato con lo scopo di facilitare la mobilità dei lavoratori in Europa attraverso l’introduzione di uno schema comune di presen- tazione delle competenze individuali. La sua struttura è piuttosto consueta: • in una prima sezione il candidato dovrà riportare i dati anagrafici; 173 • seguono le competenze linguistiche e le esperienze lavorative, a partire da quelle più recenti; per quest’ultime si chiede di illustrare nel dettaglio le prin- cipali attività svolte, le abilità professionali e le capacità personali acquisite; • Le esperienze formative sono suddivise in due sezioni: - studi tradizionali, cioè il normale percorso scolastico, con l’indicazione di tutte le tappe raggiunte e le scelte effettuate all’inizio di ogni ciclo scolastico; - esperienze formative non tradizionali e le capacità acquisite al di fuori dei contesti formali di apprendimento (computer, capacità di problem solving, lavorare in team). Infine, l’Unione Europea consiglia di allegare il cosiddetto “certificate supple- ment”, cioè la certificazione che contiene una dettagliata descrizione degli attestati ottenuti dal titolare e delle capacità e competenze acquisite. Il modello non è chiaramente imposto ma soltanto raccomandato. Qui di seguito si riporta il format già disponibile in versione elettronica sul sito www.cedefop.eu.int/transparency/cv:asp. FORMATO EUROPEO PER IL CURRICULUM VITAE INFORMAZIONI PERSONALI Nome [Cognome, Nome, e, se pertinente, altri nomi] Indirizzo [Numero civico, strada o piazza, codice postale, città, paese] Telefono Fax E-mail Nazionalità Data di nascita [Giorno, mese, anno] ESPERIENZA LAVORATIVA Date (da - a) [Iniziare con le informazioni più recenti ed elencare separata- mente ciascun impiego pertinente ricoperto] Nome e indirizzo del datore di lavoro Tipo di azienda o settore Tipo di impiego Principali mansioni e responsabilità ISTRUZIONE E FORMAZIONE Date (da - a) [Iniziare con le informazioni più recenti ed elencare separata- mente ciascun corso pertinente frequentato con successo] Nome e tipo di istituto di istruzione o formazione Principali materie/ abilità professionali oggetto dello studio Qualifica conseguita Livello nella classificazione nazionale (se pertinente) 174 175 CAPACITÀ E COMPETENZE PERSONALI Acquisite nel corso della vita e della carriera ma non necessariamente riconosciute da certificati e diplomi ufficiali Prima lingua [Indicare la prima lingua] Altre lingue [Indicare la lingua] Capacità di lettura [Indicare il livello: eccellente, buono, elementare] Capacità di scrittura [Indicare il livello: eccellente, buono, elementare] Capacità di espressione orale [Indicare il livello: eccellente, buono, elementare] Capacità e competenze relazionali [Descrivere tali competenze e indicare dove sono state acquisite] Vivere e lavorare con altre persone, in ambiente multiculturale, occupando posti in cui la comunicazione è importante e in situazioni in cui è essenziale lavorare in squadra (ad es. cultura e sport), ecc. Capacità e competenze organizzative [Descrivere tali competenze e indicare dove sono state acquisite] Ad es. coordinamento e amministrazione di persone, progetti, bilanci; sul posto di lavoro, in attività di volontariato (ad es. cultura e sport), a casa, ecc. Capacità e competenze tecniche [Descrivere tali competenze e indicare dove sono state acquisite] Con computer, attrezzature specifiche, macchinari, ecc. Capacità e competenze artistiche [Descrivere tali competenze e indicare dove sono state acquisite] Musica, scrittura, disegno ecc. Altre capacità e competenze [Descrivere tali competenze e indicare dove sono state acquisite] Competenze non precedentemente indicate. Patente o patenti Ulteriori informazioni [Inserire qui ogni altra informazione pertinente, ad esempio persone di riferimento, referenze ecc.] Allegati [Se del caso, enumerare gli allegati al CV] 177 CONCLUSIONI A conclusione del nostro discorso sentiamo la necessità di fare alcune osserva- zioni di carattere generale. La situazione del nostro attuale mercato del lavoro è caratterizzato da un forte squilibrio tra domanda ed offerta, nonché dalla richiesta sempre più incalzante di profili professionali sempre più settorializzati. Nonostante lo sforzo in atto per migliorare la qualità e la quantità dell’offerta for- mativa scolastica, i giovani, oggi, si avvicinano al mercato del lavoro completamente disarmati, in termini di conoscenze e di capacità operative. Cosa, dunque, è possibile consigliare ai giovani che si predispongono ad entra- re nel mondo del lavoro? Sicuramente di non fermarsi al titolo di studio conseguito, ma di proseguire a studiare per arricchire il proprio curriculum di esperienze formative, integrative rispetto a quelle del sistema scolastico tradizionale. I titoli di studio oggi conseguibili, infatti, rappresentano tutti un importante punto di partenza, perché conferiscono una buona preparazione di base e una duttile forma mentis. Nessuno di questi però è veramente avvantaggiato rispetto agli altri ai fini di un futuro inserimento lavorativo, proprio per la loro inadeguatezza a trasmettere ai giovani quelle competenze richiesteci prepotentemente dall’attuale mercato del lavoro. Investire in formazione quindi può rivelarsi estremamente proficuo e formazione permanente deve diventare l’imperativo al quale bisogna uniformarsi. Come orientarsi però nelle scelte di studio da fare? Questo dipende naturalmente in massima parte dalle peculiarità di ciascuno e dalle sue specifiche inclinazioni ed interessi personali. In linea di massima si possono consigliare due vie: • propendere per l’acquisizione di competenze opportunamente scelte e forte- mente definite, in modo da acquistare una professionalità estremamente set- torializzata; • far leva, in alternativa, su competenze di carattere “trasversale”, acquisendo così conoscenze, capacità ed abilità spendibili in una pluralità di contesti la- vorativi. A questo proposito esiste una vasta gamma di interessanti iniziative formative di vario livello, ognuna delle quali comporta naturalmente un cer- to investimento di tempo e denaro. Ecco alcuni esempi: ‰ l’apprendimento di una lingua straniera, in ogni caso da consigliare tanto più che le aziende, soprattutto quelle che intrattengono rapporti con l’estero richiedono espressamente tale competenza. L’offerta formativa in tal senso è veramente enorme; l’importante è rivolgersi a strutture di comprovata professionalità e serietà che rilascino attestati legalmente riconosciuti; 178 ‰ corsi di informatica perché in questi anni si è registrata da parte delle aziende una enorme richiesta di personale qualificato in materia. Da tenere presente che in questo settore i gradi di competenza sono sostanzialmente quattro: - operatore, con mansioni prevalentemente esecutive; - programmatore, l’esperto nella scrittura dei programmi e nel tradurre i problemi in comandi o istruzioni in un opportuno linguaggio; - analista, colui che si occupa dello studio strutturale dei problemi da risol- vere; - sistemista, colui che concretamente coordina il lavoro di operatori, pro- grammatori e analisti. ‰ fare esperienze in Italia e all’estero. Non trascuriamo poi l’offerta formativa che ci proviene da: - formazione professionale - corsi di diploma parauniversitario - corsi e scuole di specializzazione post-laurea - dottorati di ricerca - borse di studio italiane o estere. Le informazioni relative a tale tipi di offerta vanno richieste alle Regioni- Assessorati alla formazione e riqualificazione professionale o alle segreteria delle scuole che li organizzano. 179 BIBLIOGRAFIA M. CAPPONI - L. PIVA, Nuovi lavori - Opportunità a rivoluzione costante, ed. Management 1999 NAVA - N. GIACONI, Come trovare il lavoro che piace, a cura dell’Amministrazione provinciale di Arezzo Saper minimo sull’orientamento, materiali didattici modulari rivolti agli insegnanti, a cura di Morena Sighinolfi (Studio promosso dalla Regione Emilia-Romagna) ed. F. Angeli A. FIORDELLI - G. NUGNES, Trovare lavoro non è solo questione di fortuna, come valorizzare le proprie capacità ed opportunità, ed. F. Angeli 1995 A. AMADORI, Come conquistare un posto di lavoro, Il Sole 24 ore libri 1993 L. FACCINI, Cercare lavoro in Internet, F. Angeli/Trend 1998 W. PASSERINI, Il Trovalavoro. Le pagine gialle del lavoro. Tutto (ma proprio tutto) quello che serve per trovare o cambiare lavoro M. FIORINI, Come assicurarsi il lavoro che piace. Un metodo per valutarsi e costruire il proprio futuro R. BRUNETTA, A. De Sanctis, C. Guarna, Il libro del lavoro, Adnkronos libri 1995 F. BUTERA, Il Castello e la rete, ed Franco Angeli 1990 F. BUTERA, L’orologio e l’organismo, ed. Franco Angeli 1992 G.P. PRANDSTRALLER, Le nuove professioni nel terziario avanzato, ed. Franco Angeli 1995 S. ZAN, Logiche di azione organizzativa, il Mulino 1998 L. ADANI, Curriculum! Le regole da seguire, gli errori da evitare, i modelli più efficaci in italiano e in inglese, Elas 2003 ISTAT, Rapporto annuale 1999 Career book 2000 lavoro ed. Somedia Career book 2001 lavoro ed. Somedia Career book 2002 lavoro ed. Somedia Guida al lavoro, a cura dell’Agenzia del lavoro della Provincia di Trento N. SCHIAVONE, M. SIGHINOLFI, A. CASALEGNO, Il Navigatore solitario, a cura della Regione Emilia Romagna Materiali tratti da: - www.tarolavoro.it - www.ilcircolino.it/vareseweb/lavoro/informazioni - www.Ilsole24ore.it - www.provinciadibologna.it - www.cyberdays.stet.it/job - http: //www.stradanove.net/lavoro/ - http: //www.europalavoro.it/ - http: //www.agenzialavoro.tn.it/ - www.sophia.kronos.it - www.informagiovani.it/lavoro.htm - www.igol.it - www.newtech.it/jobonline - www.aiuto.net - www.volint.net 181 6. ALLEGATI DECRETO LEGISLATIVO 23 dicembre 1997, n. 469 Conferimento alle regioni e agli enti locali di funzioni e compiti in materia di mercato del lavoro, a norma dell’articolo 1 della legge 15 marzo 1997, n. 59 (G.U. s.g. n. 5 dell’8 gennaio 1988) IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione; Vista la legge 15 marzo 1997, n. 59, recante delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa; Vista la legge 15 maggio 1997, n. 127, recante misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo; Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 1° ottobre 1997; Acquisito il parere delle competenti commissioni parlamentari ai sensi della legge 15 marzo 1997, n. 59; Acquisito il parere della Conferenza unificata istituita ai sensi del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281; Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 19 dicembre 1997; Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministri per la funzione pubblica e gli affari regionali e del tesoro e del bilancio e della programmazione economica; E M A N A il seguente decreto legislativo: Capo I CONFERIMENTO DI FUNZIONI Art. 1 Oggetto 1. Il presente decreto disciplina ai sensi dell’articolo 1 della legge 15 marzo 1997, n. 59, come modificata dalla legge 15 maggio 1997, n. 127, il conferimento alle regioni e agli enti locali delle funzioni e compiti relativi al collocamento e alle politiche attive del lavoro, nell’ambito di un ruolo generale di indirizzo, promozione e coordinamento dello Stato. 2. Resta salva l’ulteriore attuazione della delega di cui all’articolo 1, comma 1, della citata legge n. 59 del 1997, relativamente alle materie di competenza del Ministero del lavoro e della previdenza sociale non interessate dal presente decreto. 3. In riferimento alle materie di cui al comma 1, costituiscono funzioni e compiti dello Stato ai sensi degli articoli 1, commi 3 e 4, e 3, comma 1, lettera a), della citata legge n. 59 del 1997: a) vigilanza in materia di lavoro, dei flussi di entrata dei lavoratori non appartenenti all’Unione europea, nonché procedimenti di autorizzazione per attività lavorativa all’estero; b) conciliazione delle controversie di lavoro individuali e plurime; c) risoluzione delle controversie collettive di rilevanza pluriregionale; d) conduzione coordinata ed integrata del Sistema informativo lavoro secondo quanto previsto dall’articolo 11; e) raccordo con gli organismi internazionali e coordinamento dei rapporti con l’Unione europea. 182 Avvertenza: Il testo delle note qui pubblicato è stato redatto ai sensi dell’art. 10, comma 3, del testo unico delle disposizioni sulla promulgazione delle leggi, sull’emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica e sulle pubblicazioni ufficiali della Repubblica italiana, appro- vato con decreto D.P.R. 28 dicembre 1985, n. 1092, al solo fine di facilitare la lettura delle disposizioni di legge alle quali è operato il rinvio. Restano invariati il valore e l’efficacia degli atti legislativi qui trascritti. Art. 2 Funzioni e compiti conferiti 1. Sono conferiti alle regioni le funzioni ed i compiti relativi al collocamento e in particolare: a) collocamento ordinario; b) collocamento agricolo; c) collocamento dello spettacolo sulla base di un’unica lista nazionale; d) collocamento obbligatorio; e) collocamento dei lavoratori non appartenenti all’Unione europea; f) collocamento dei lavoratori a domicilio; g) collocamento dei lavoratori domestici; h) avviamento a selezione negli enti pubblici e nella pubblica amministrazione, ad eccezione di quello riguardante le amministrazioni centrali dello Stato e gli uffici centrali degli enti pubblici; i) preselezione ed incontro tra domanda ed offerta di lavoro; j) iniziative volte ad incrementare l’occupazione e ad incentivare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro anche con riferimento all’occupazione femminile. 2. Sono conferiti alle regioni le funzioni ed i compiti in materia di politica attiva del lavoro e in particolare: a) programmazione e coordinamento di iniziative volte ad incrementare l’occupazione e ad incentivare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro anche con riferimento all’occupazione femminile; b) collaborazione alla elaborazione di progetti relativi all’occupazione di soggetti tossicodipen- denti ed ex detenuti; c) programmazione e coordinamento di iniziative volte a favorire l’occupazione degli iscritti alle liste di collocamento con particolare riferimento ai soggetti destinatari di riserva di cui all’ar- ticolo 25 della legge 23 luglio 1991, n. 223; d) programmazione e coordinamento delle iniziative finalizzate al reimpiego dei lavoratori posti in mobilità e all’inserimento lavorativo di categorie svantaggiate; e) indirizzo, programmazione e verifica dei tirocini formativi e di orientamento e borse di lavoro; f) indirizzo, programmazione e verifica dei lavori socialmente utili ai sensi delle normative in materia; g) compilazione e tenuta della lista di mobilità dei lavoratori previa analisi tecnica. 3. Al fine di garantire l’omogeneità delle procedure e dei relativi provvedimenti, l’esercizio del- le funzioni e dei compiti di cui al comma 2 del presente articolo che investono ambiti territoriali pluri- regionali è svolto d’intesa fra tutte le regioni interessate. 4. Il conferimento di cui ai commi 1 e 2 comporta quello delle funzioni e dei compiti connessi e strumentali all’esercizio di quelli conferiti. Art. 3 Attività in materia di eccedenze di personale temporanee e strutturali 1. Ai sensi dell’articolo 1, comma 3, lettera o), della legge 15 marzo 1997, n. 59, il Ministero del lavoro e della previdenza sociale esercita le funzioni ed i compiti relativi alle eccedenze di personale temporanee e strutturali. 2. In attesa di un’organica revisione degli ammortizzatori sociali ed al fine di armonizzare gli obiettivi di politica attiva del lavoro rispetto ai processi gestionali delle eccedenze, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 3, comma 1, lettera c), della citata legge n. 59 del 1997, presso le regioni è svolto 183 l’esame congiunto previsto nelle procedure relative agli interventi di integrazione salariale straordinaria nonché quello previsto nelle procedure per la dichiarazione di mobilità del personale. Le regioni pro- muovono altresì gli accordi e i contratti collettivi finalizzati ai contratti di solidarietà. 3. Nell’ambito delle procedure di competenza del Ministero del lavoro e della previdenza sociale di cui al comma 2, le regioni esprimono motivato parere. Capo II SERVIZI REGIONALI PER L’IMPIEGO Art. 4 Criteri per l’organizzazione del sistema regionale per l’impiego 1. L’organizzazione amministrativa e le modalità di esercizio delle funzioni e dei compiti conferiti ai sensi del presente decreto sono disciplinati, anche al fine di assicurare l’integrazione tra i servizi per l’impiego, le politiche attive del lavoro e le politiche formative, con legge regionale da emanarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, secondo i seguenti principi e criteri direttivi: a) ai sensi dell’articolo 4, comma 3, lettere f), g) e h), della legge 15 marzo 1997, n. 59, attribu- zione alle province delle funzioni e dei compiti di cui all’articolo 2, comma 1, ai fini della rea- lizzazione dell’integrazione di cui al comma 1; b) costituzione di una commissione regionale permanente tripartita quale sede concertativa di pro- gettazione, proposta, valutazione e verifica rispetto alle linee programmatiche e alle politiche del lavoro di competenza regionale; la composizione di tale organo collegiale deve prevedere la presenza del rappresentante regionale competente per materia di cui alla lettera c), delle parti sociali sulla base della rappresentatività determinata secondo i criteri previsti dall’ordinamento, rispettando la pariteticità delle posizioni delle parti sociali stesse, nonché quella del consigliere di parità nominato ai sensi della legge 10 aprile 1991, n. 125; c) costituzione di un organismo istituzionale finalizzato a rendere effettiva, sul territorio, l’inte- grazione tra i servizi all’impiego, le politiche attive del lavoro e le politiche formative, composto da rappresentanti istituzionali della regione, delle province e degli altri enti locali; d) affidamento delle funzioni di assistenza tecnica e monitoraggio nelle materie di cui all’articolo 2, comma 2, ad apposita struttura regionale dotata di personalità giuridica, con autonomia pa- trimoniale e contabile avente il compito di collaborare al raggiungimento dell’integrazione di cui al comma 1 nel rispetto delle attribuzioni di cui alle lettere a) e b). Tale struttura garantisce il collegamento con il sistema informativo del lavoro di cui all’articolo 11; e) gestione ed erogazione da parte delle province dei servizi connessi alle funzioni e ai compiti attribuiti ai sensi del comma 1, lettera a), tramite strutture denominate “centri per l’impiego”; f) distribuzione territoriale dei centri per l’impiego sulla base di bacini provinciali con utenza non inferiore a 100.000 abitanti, fatte salve motivate esigenze socio geografiche; g) possibilità di attribuzione alle province della gestione ed erogazione dei servizi, anche tramite i centri per l’impiego, connessi alle funzioni e compiti conferiti alla regione ai sensi dell’arti- colo 2, comma 2; h) possibilità di attribuzione all’ente di cui al comma 1, lettera d), funzioni ed attività ulteriori rispetto a quelle conferite ai sensi del presente decreto, anche prevedendo che l’erogazione di tali ulteriori servizi sia a titolo oneroso per i privati che ne facciano richiesta. 2. Le province individuano adeguati strumenti di raccordo con gli altri enti locali, prevedendo la partecipazione degli stessi alla individuazione degli obiettivi e all’organizzazione dei servizi connessi alle funzioni e ai compiti di cui all’articolo 2, comma 1. 3. I servizi per l’impiego di cui al comma 1 devono essere organizzati entro il 31 dicembre 1998. Capo II SERVIZI REGIONALI PER L’IMPIEGO Art. 5. Commissione regionale per l’impiego 1. La commissione regionale per l’impiego è soppressa con effetto dalla data di costituzione del- la commissione di cui all’articolo 4, lettera b). Salvo diversa determinazione della legge regionale di cui 184 all’articolo 4, comma 1, le relative funzioni e competenze sono trasferite alla commissione regionale di cui al medesimo articolo 4, lettera b). Art. 6 Soppressione di organi collegiali 1. La provincia, entro i sei mesi successivi dalla data di entrata in vigore della legge regionale di cui all’articolo 4, comma 1, istituisce un’unica commissione a livello provinciale per le politiche del lavoro, quale organo tripartito permanente di concertazione e di consultazione delle parti sociali in relazione alle attività e alle funzioni attribuite alla provincia ai sensi dell’articolo 4, comma 1, lettera a), nonché in relazione alle attività e funzioni già di competenza degli organi collegiali di cui al comma 2 del presente articolo secondo i seguenti principi e criteri: a) la composizione della commissione deve essere tale da permettere la pariteticità delle posizioni delle parti sociali; b) presidenza della commissione al presidente dell’amministrazione provinciale; c) inserimento del consigliere di parità; d) possibilità di costituzione di sottocomitati, nel rispetto dei criteri di cui alla lettera a), anche a carattere tematico. (1) 2. Con effetto dalla costituzione della commissione provinciale di cui al comma 1, i seguenti organi collegiali sono soppressi e le relative funzioni e competenze sono trasferite alla provincia: a) commissione provinciale per l’impiego; b) commissione circoscrizionale per l’impiego; c) commissione regionale per il lavoro a domicilio; d) commissione provinciale per il lavoro a domicilio; e) commissione comunale per il lavoro a domicilio; f) commissione provinciale per il lavoro domestico; g) commissione provinciale per la manodopera agricola; h) commissione circoscrizionale per la manodopera agricola; i) commissione provinciale per il collocamento obbligatorio. 3. La provincia, nell’attribuire le funzioni e le competenze già svolte dalla commissione di cui al comma 2, lettera i), garantisce all’interno del competente organismo, la presenza di rappresentanti designati dalle categorie interessate, di rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro, designati rispettivamente dalle organizzazioni sindacali (comparativamente più rappresentative) e di un ispettore medico del lavoro. Capo III TRASFERIMENTO RISORSE ALLE REGIONI E SOPPRESSIONE UFFICI Art. 7 Personale 1. Con decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, da adottarsi ai sensi dell’articolo 7, com- mi 1 e 2, della legge 15 marzo 1997, n. 59, entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del pre- sente decreto, si provvede, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, alla indi- viduazione in via generale dei beni e delle risorse finanziarie, umane e strumentali da trasferire, ivi compresa la cessione dei contratti ancora in corso, nonché delle modalità e procedure di trasferimento; la ripartizione del personale effettivo appartenente ai ruoli del Ministero del lavoro e della previdenza sociale - Settore politiche del lavoro, quale risultante al 30 giugno 1997, nonché del personale in servizio alla medesima data presso le agenzie per l’impiego è disposta secondo i seguenti criteri: (1) Aggiornamento La Legge 12 marzo 1999, n. 68 ha disposto che “l’organismo di cui al suddetto articolo, può proporre l’adozione di deroghe ai limiti di età e di durata dei contratti di formazione-lavoro e di apprendistato, per le quali trovano applicazione le disposizioni di cui al comma 3 e al primo periodo del comma 6 del d.l. 16/5/1994, n. 299. Tali deroghe devono essere giustificate da specifici progetti di inserimento mirato”. 185 a) trasferimento alle regioni di tutto il personale in servizio presso le agenzie per l’impiego assunto con contratto di diritto privato, fino alla scadenza del relativo contratto di lavoro; b) trasferimento del personale appartenente ai ruoli del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, in servizio presso le direzioni regionali e provinciali del lavoro - Settore politiche del lavoro e presso le sezioni circoscrizionali per l’impiego e per il collocamento in agricoltura nella misura del 70 per cento. 2. Tenuto conto delle esigenze funzionali dei nuovi servizi, la percentuale di personale di cui al comma 1, lettera b), che rimane nei ruoli del Ministero del lavoro e della previdenza sociale è stabilita nel 30 per cento. A tale contingente si accede mediante richiesta degli interessati da avanzare entro trenta giorni dall’emanazione del provvedimento contenente le tabelle di equiparazione tra il personale statale trasferito e quello in servizio presso le regioni e gli enti locali. 3. Le percentuali di cui ai commi 1, lettera b), e 2, sono calcolate su base regionale e possono subire una oscillazione non superiore al 5 per cento, anche operando compensazioni territoriali. 4. Nel caso che le richieste di cui al comma 2 risultino superiori o inferiori alla percentuale di cui al comma 2, il Ministero del lavoro e della previdenza sociale provvede a predisporre, entro i trenta giorni successivi alla scadenza del termine di cui al medesimo comma 2, una graduatoria regionale, rispettando i criteri di priorità stabiliti nel decreto di cui al comma 1, d’intesa con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. 5. Al personale statale trasferito è comunque garantito il mantenimento della posizione retributiva già maturata. Il personale medesimo può optare per il mantenimento del trattamento previdenziale previgente. 6. Con successivi decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, da adottarsi ai sensi dell’arti- colo 7, commi 1 e 2, della citata legge n. 59 del 1997 entro sessanta giorni dalla scadenza del termine previsto dall’articolo 4, comma 1, si provvede al trasferimento dei beni e delle risorse individuate ai sensi del comma 1, in considerazione e per effetto dei provvedimenti adottati da ciascuna regione ai sensi del- l’articolo 4. 7. I contratti in corso, ad eccezione di quelli riferiti ai sistemi informativi lavoro di cui all’articolo 11, sono ceduti alle regioni previo consenso di tutte le parti contraenti. 8. Le risorse finanziarie occorrenti per l’attuazione della presente legge, valutata nel limite massi- mo delle spese effettivamente sostenute dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale nell’eserci- zio finanziario 1997 per le funzioni e compiti conferiti, sono trasferite alle regioni utilizzando gli stan- ziamenti iscritti nelle pertinenti unità previsionali di base dello stato di previsione del Ministero del la- voro e della previdenza sociale, per l’esercizio finanziario 1998. Limitatamente all’anno 1998, l’Ammi- nistrazione del lavoro, con le disponibilità sopra determinate, corrisponde alle regioni, per il tramite dei propri funzionari delegati, le somme occorrenti per le dette finalità in ragione d’anno e con decorrenza dalla data di effettivo trasferimento delle funzioni stesse. Per l’anno 1999, gli stanziamenti da trasferire, determinati nei limiti e con le modalità indicate per l’esercizio 1998, affluiscono, mediante opportune variazioni di bilancio, nelle apposite unità previsionali di base dello stato di previsione del Ministero del lavoro e della previdenza sociale da istituire, a tal fine, con decreto del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, su proposta del Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Art. 8 Soppressione uffici periferici 1. A decorrere dalla data di costituzione dei centri per l’impiego di cui all’articolo 4, e comunque non oltre il 1 gennaio 1999 sono soppressi le strutture e gli uffici periferici del Ministero del lavoro e della previdenza sociale i cui compiti e funzioni siano stati conferiti ai sensi del presente decreto; in par- ticolare sono soppressi i recapiti e le sezioni circoscrizionali per l’impiego e per il collocamento in agricoltura. Art. 9 Regioni a statuto speciale 1. Per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano il conferimento del funzioni, nonché il trasferimento dei relativi beni e risorse, sono disposti nel rispetto degli statuti e attraverso apposite norme di attuazione. 186 Capo IV ATTIVITÀ DI MEDIAZIONE TRA DOMANDA E OFFERTA DI LAVORO SISTEMA INFORMATIVO LAVORO Art. 10 Attività di mediazione 1. Ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera g), della legge 15 marzo 1997, n. 59, il presente arti- colo definisce le modalità necessarie per l’autorizzazione a svolgere attività di mediazione tra domanda e offerta di lavoro a idonee strutture organizzative. 2. L’attività di mediazione tra domanda ed offerta di lavoro può essere svolta, previa autorizzazione del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, da imprese o gruppi di imprese, anche società cooperative con capitale versato non inferiore a 200 milioni di lire nonché da enti non commerciali con patrimonio non inferiore a 200 milioni. 3. I soggetti di cui al comma 2 debbono avere quale oggetto sociale esclusivo l’attività di media- zione tra domanda e offerta di lavoro. 4. L’autorizzazione è rilasciata, entro e non oltre centocinquanta giorni dalla richiesta, per un periodo di tre anni e può essere successivamente rinnovata per periodi di uguale durata. Decorso tale termine, la domanda si intende respinta. 5. Le domande di autorizzazione e di rinnovo sono presentate al Ministero del lavoro e della pre- videnza sociale che le trasmette entro trenta giorni alle regioni territorialmente competenti per acqui- sirne un motivato parere entro i trenta giorni successivi alla trasmissione. Decorso inutilmente tale ter- mine, il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, ove ne ricorrano i presupposti, può comunque procedere al rilascio dell’autorizzazione o al suo rinnovo. 6. Ai fini dell’autorizzazione i soggetti interessati si impegnano a: a) fornire al servizio pubblico, mediante collegamento in rete, i dati relativi alla domanda e al- l’offerta di lavoro che sono a loro disposizione; b) comunicare all’autorità concedente gli spostamenti di sede, l’apertura delle filiali o succursali, la cessazione delle attività; c) fornire all’autorità concedente tutte le informazioni da questa richiesta. 7. I soggetti di cui al comma 2 devono: a) disporre di uffici idonei nonché di operatori con competenze professionali idonee allo svolgi- mento dell’attività di selezione di manodopera; l’idoneità delle competenze professionali è comprovata da esperienze lavorative relative, anche in via alternativa, alla gestione, all’orien- tamento alla selezione e alla formazione del personale almeno biennale; b) avere amministratori, direttori generali, dirigenti muniti di rappresentanza e soci accomanda- tari, in possesso di titoli di studio adeguati ovvero di comprovata esperienza nel campo della gestione, selezione e formazione del personale della durata di almeno tre anni. Tali soggetti non devono aver riportato condanne, anche non definitive, ivi comprese le sanzioni sostitutive di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689, per delitti contro il patrimonio, per delitti contro la fede pubblica o contro l’economia pubblica, per il delitto previsto dall’articolo 416-bis del codice penale, o per delitti non colposi per i quali la legge commini la pena della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni, per delitti o contravvenzioni previsti da leggi dirette alla prevenzione degli infor- tuni sul lavoro o di previdenza sociale, ovvero non devono essere stati sottoposti alle misure di pre- venzione disposte ai sensi della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, o della legge 31 maggio 1965, n. 575, o della legge 13 settembre 1982, n. 646, e successive modificazioni ed integrazioni. 8. Ai sensi delle disposizioni di cui alle leggi 20 maggio 1970, n. 300, 9 dicembre 1977, n. 903, e 10 aprile 1991, n. 125, e successive modificazioni ed integrazioni, nello svolgimento dell’attività di me- diazione è vietata ogni pratica discriminatoria basata sul sesso, sulle condizioni familiari, sulla razza, sulla cittadinanza, sull’origine territoriale, sull’opinione o affiliazione politica, religiosa o sindacale dei lavoratori. 9. La raccolta, la memorizzazione e la diffusione delle informazioni avviene sulla base dei principi della legge 31 dicembre 1996, n. 675. 10. Nei confronti dei prestatori di lavoro l’attività di mediazione deve essere esercitata a titolo gratuito. 11. Il soggetto che svolge l’attività di mediazione indica gli estremi dell’autorizzazione nella propria corrispondenza ed in tutte le comunicazioni a terzi, anche a carattere pubblicitario e a mezzo stampa. 187 12. Entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il Ministro del lavoro e della previdenza sociale determina, con decreto, i criteri e le modalità: a) di controllo sul corretto esercizio dell’attività; b) di revoca dell’autorizzazione, anche su richiesta delle regioni, in caso di non corretto anda- mento dell’attività svolta, con particolare riferimento alle ipotesi di violazione delle disposizioni di cui ai commi 8 e 10; c) di effettuazione delle comunicazioni di cui al comma 6; d) di accesso ai dati complessivi sulle domande ed offerte di lavoro. 13. Nei confronti dei soggetti autorizzati alla mediazione di manodopera ai sensi del presente articolo, non trovano applicazione le disposizioni contenute nella legge 29 aprile 1949, n. 264, e suc- cessive modificazioni ed integrazioni. 14. In fase di prima applicazione delle disposizioni di cui al presente articolo, la domanda di autorizzazione di cui al comma 2 può essere presentata successivamente alla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 12. Art. 11 Sistema informativo lavoro 1. Il sistema informativo lavoro, di seguito denominato SIL, risponde alle finalità ed ai criteri sta- biliti dall’articolo 1 del decreto legislativo 12 febbraio 1993, n. 39, e la sua organizzazione è impron- tata ai principi di cui alla legge 31 dicembre 1996, n. 675. 2. Il SIL è costituito dall’insieme delle strutture organizzative, delle risorse hardware, software e di rete relative alle funzioni ed ai compiti, di cui agli articoli 1, 2 e 3. 3. Il SIL, quale strumento per l’esercizio delle funzioni di indirizzo politicoamministrativo, ha caratteristiche nazionalmente unitarie ed integrate e si avvale dei servizi di interoperabilità e delle architetture di cooperazione previste dal progetto di rete unitaria della pubblica amministrazione. Il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, le regioni, gli enti locali, nonché i soggetti autorizzati alla mediazione tra domanda e offerta di lavoro ai sensi dell’articolo 10, hanno l’obbligo di connessione e di scambio dei dati tramite il SIL, le cui modalità sono stabilite sentita l’Autorità per l’informatica nella pubblica amministrazione. 4. Le imprese di fornitura di lavoro temporaneo ed i soggetti autorizzati alla mediazione tra domanda e offerta di lavoro, hanno facoltà di accedere alle banche dati e di avvalersi dei servizi di rete offerti dal SIL stipulando apposita convenzione con il Ministero del lavoro e della previdenza sociale. I prezzi, i cambi e le tariffe, applicabili alle diverse tipologie di servizi erogati dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale, sono determinati annualmente, sentito il parere dell’Autorità per l’informatica nella pubblica amministrazione, con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica. I proventi realizzati ai sensi del presente comma sono versati all’entrata del bilancio dello Stato per essere assegnati, con decreto del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, ad apposita unità previsionale dello stato di previsione del Ministero del lavoro e della previdenza sociale. 5. Le regioni e gli enti locali possono stipulare convenzioni, anche a titolo oneroso, con i soggetti di cui al comma 4 per l’accesso alle banche dati dei sistemi informativi regionali e locali. In caso di accesso diretto o indiretto ai dati ed alle informazioni del SIL, le regioni e gli enti locali sottopongono al parere preventivo del Ministero del lavoro e della previdenza sociale uno schema di convenzione tipo. Il sistema informativo in materia di occupazione e formazione professionale della camera di commercio e di altre enti funzionali è collegato con il SIL secondo modalità da definire mediante convenzioni, anche a titolo oneroso, da stipulare con gli organismi rappresentativi nazionali. Le medesime modalità si applicano ai collegamenti tra il SIL ed il registro delle imprese delle camere di commercio secondo quanto previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 7 dicembre 1995, n. 581. 6. Le attività di progettazione, sviluppo e gestione del SIL sono esercitate dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale nel rispetto di quanto stabilito dal decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. 7. Sono attribuite alle regioni le attività di conduzione e di manutenzione degli impianti tecnolo- gici delle unità operative regionali e locali. Fatte salve l’omogeneità, l’interconnessione e la fruibilità da parte del livello nazionale del SIL, le regioni e gli enti locali possono provvedere allo sviluppo autonomo di parti del sistema. La gestione e l’implementazione del SIL da parte delle regioni e degli 188 enti locali sono disciplinate con apposita convenzione tra i medesimi soggetti e il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, previo parere dell’organo tecnico di cui al comma 8. 8. Al fine di preservare l’omogeneità logica e tecnologica del SIL ed al contempo consentire l’autonomia organizzativa e gestionale dei sistemi informativi regionali e locali ad esso collegati, è istituito, nel rispetto di quanto previsto dal citato decreto legislativo n. 281 del 1997, un organo tecnico con compiti di raccordo tra il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, le regioni e le ammini- strazioni locali in materia di SIL. 9. Nel rispetto di quanto stabilito dal decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, la composizione ed il funzionamento dell’organo tecnico di cui al comma 8 sono stabiliti con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della program- mazione economica. 10. Le delibere dell’organo tecnico sono rese esecutive con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale ed hanno natura obbligatoria e vincolante nei confronti dei destinatari. Art. 12 Entrata in vigore 1. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare. Data a Roma, addì 23 dicembre 1997 SCALFARO Prodi, Presidente del Consiglio dei Ministri Treu, Ministro del lavoro e della previdenza sociale Bassanini, Ministro per la funzione pubblica e gli affari regionali Ciampi, Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica Visto, il Guardasigilli: Flick 189 LEGGE 12 marzo 1999, n. 68 Norme per il diritto al lavoro dei disabili (S.O. n. 57/L della G.U. del 23 marzo 1999) La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno approvato; IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Promulga la seguente legge: Capo I DIRITTO AL LAVORO DEI DISABILI Art. 1 Collocamento dei disabili 1. La presente legge ha come finalità la promozione dell’inserimento e della integrazione lavora- tiva delle persone disabili nel mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato. Essa si applica: a) alle persone in età lavorativa affette da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali e ai portatori di handicap intellettivo, che comportino una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45 per cento, accertata dalle competenti commissioni per il riconoscimento dell’invalidità civile in conformità alla tabella indicativa delle percentuali di invalidità per minorazioni e malattie in- validanti approvata, ai sensi dell’articolo 2 del decreto legislativo 23 novembre 1988, n. 509, dal Ministero della sanità sulla base della classificazione internazionale delle menomazioni ela- borata dalla Organizzazione mondiale della sanità; b) alle persone invalide del lavoro con un grado di invalidità superiore al 33 per cento, accertata dall’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie profes- sionali (INAIL) in base alle disposizioni vigenti; c) alle persone non vedenti o sordomute, di cui alle leggi 27 maggio 1970, n. 382, e successive mo- dificazioni, e 26 maggio 1970, n. 381, e successive modificazioni; d) alle persone invalide di guerra, invalide civili di guerra e invalide per servizio con minorazioni ascritte dalla prima all’ottava categoria di cui alle tabelle annesse al testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1978, n. 915, e successive modificazioni. 2. Agli effetti della presente legge si intendono per non vedenti coloro che sono colpiti da cecità assoluta o hanno un residuo visivo non superiore ad un decimo ad entrambi gli occhi, con eventuale cor- rezione. Si intendono per sordomuti coloro che sono colpiti da sordità dalla nascita o prima dell’ap- prendimento della lingua parlata. 3. Restano ferme le norme per i centralinisti telefonici non vedenti di cui alle leggi 14 luglio 1957, n. 594, e successive modificazioni, 28 luglio 1960, n. 778, 5 marzo 1965, n. 155, 11 aprile 1967, n. 231, 3 giugno 1971, n. 397, e 29 marzo 1985, n. 113, le norme per i massaggiatori e massofisioterapisti non vedenti di cui alle leggi 21 luglio 1961, n. 686, e 19 maggio 1971, n. 403, le norme per i terapisti della riabilitazione non vedenti di cui alla legge 11 gennaio 1994, n. 29, e le norme per gli insegnanti non vedenti di cui all’articolo 61 della legge 20 maggio 1982, n. 270. Per l’assunzione obbligatoria dei sordomuti restano altresì ferme le disposizioni di cui agli articoli 6 e 7 della legge 13 marzo 1958, n. 308. 4. L’accertamento delle condizioni di disabilità di cui al presente articolo, che danno diritto di accedere al sistema per l’inserimento lavorativo dei disabili, è effettuato dalle commissioni di cui al- l’articolo 4 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, secondo i criteri indicati nell’atto di indirizzo e coordi- namento emanato dal Presidente del Consiglio dei ministri entro centoventi giorni dalla data di cui al- l’articolo 23, comma 1. Con il medesimo atto vengono stabiliti i criteri e le modalità per l’effettuazione delle visite sanitarie di controllo della permanenza dello stato invalidante. 5. In considerazione dei criteri adottati, ai sensi del testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, approvato con decreto del Presi- dente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, per la valutazione e la verifica della residua capacità lavorativa derivante da infortunio sul lavoro e malattia professionale, ai fini dell’accertamento delle condizioni di disabilità è ritenuta sufficiente la presentazione di certificazione rilasciata dall’INAIL. 190 6. Per i soggetti di cui al comma 1, lettera d), l’accertamento delle condizioni di disabilità che danno diritto di accedere al sistema per l’inserimento lavorativo dei disabili continua ad essere effettuato ai sensi delle disposizioni del testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1978, n. 915, e successive modi- ficazioni. 7. I datori di lavoro, pubblici e privati, sono tenuti a garantire la conservazione del posto di lavoro a quei soggetti che, non essendo disabili al momento dell’assunzione, abbiano acquisito per infortunio sul lavoro o malattia professionale eventuali disabilità. Avvertenza: Il testo delle note qui pubblicato è stato redatto ai sensi dell’art. 10, commi 2 e 3, del testo unico delle disposizioni sulla promulgazione delle leggi, sull’emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica e sulle pubblicazioni ufficiali della Repubblica italiana, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 1985, n. 1092, al solo fine di facilitare la lettura delle disposizioni di legge alle quali è operato il rinvio. Restano invariati il valore e l’efficacia degli atti legislativi qui trascritti. Art. 2 Collocamento mirato 1. Per collocamento mirato dei disabili si intende quella serie di strumenti tecnici e di supporto che permettono di valutare adeguatamente le persone con disabilità nelle loro capacità lavorative e di inse- rirle nel posto adatto, attraverso analisi di posti di lavoro, forme di sostegno, azioni positive e soluzioni dei problemi connessi con gli ambienti, gli strumenti e le relazioni interpersonali sui luoghi quotidiani di lavoro e di relazione. Art. 3 Assunzioni obbligatorie. Quote di riserva 1. I datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad avere alle loro dipendenze lavoratori appar- tenenti alle categorie di cui all’articolo 1 nella seguente misura: a) sette per cento dei lavoratori occupati, se occupano più di 50 dipendenti; b) due lavoratori, se occupano da 36 a 50 dipendenti; c) un lavoratore, se occupano da 15 a 35 dipendenti. 2. Per i datori di lavoro privati che occupano da 15 a 35 dipendenti l’obbligo di cui al comma 1 si applica solo in caso di nuove assunzioni. 3. Per i partiti politici, le organizzazioni sindacali e le organizzazioni che, senza scopo di lucro, operano nel campo della solidarietà sociale, dell’assistenza e della riabilitazione, la quota di riserva si computa esclusivamente con riferimento al personale tecnico-esecutivo e svolgente funzioni ammini- strative e l’obbligo di cui al comma 1 insorge solo in caso di nuova assunzione. 4. Per i servizi di polizia, della protezione civile e della difesa nazionale, il collocamento dei disabili è previsto nei soli servizi amministrativi. 5. Gli obblighi di assunzione di cui al presente articolo sono sospesi nei confronti delle imprese che versano in una delle situazioni previste dagli articoli 1 e 3 della legge 23 luglio 1991, n. 223, e suc- cessive modificazioni, ovvero dall’articolo 1 del decreto-legge 30 ottobre 1984, n. 726, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 1984, n. 863; gli obblighi sono sospesi per la durata dei pro- grammi contenuti nella relativa richiesta di intervento, in proporzione all’attività lavorativa effettiva- mente sospesa e per il singolo ambito provinciale. Gli obblighi sono sospesi inoltre per la durata della procedura di mobilità disciplinata dagli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, e successive modificazioni, e, nel caso in cui la procedura si concluda con almeno cinque licenziamenti, per il periodo in cui permane il diritto di precedenza all’assunzione previsto dall’articolo 8, comma 1, della stessa legge. 6. Agli enti pubblici economici si applica la disciplina prevista per i datori di lavoro privati. 7. Nella quota di riserva sono computati i lavoratori che vengono assunti ai sensi della legge 21 luglio 1961, n. 686, e successive modificazioni, nonché della legge 29 marzo 1985, n. 113, e della legge 11 gennaio 1994, n. 29. 191 Art. 4 Criteri di computo della quota di riserva 1. Agli effetti della determinazione del numero di soggetti disabili da assumere, non sono com- putabili tra i dipendenti i lavoratori occupati ai sensi della presente legge ovvero con contratto a tempo determinato di durata non superiore a nove mesi, i soci di cooperative di produzione e lavoro, nonché i dirigenti. Per i lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato parziale si applicano le norme contenute nell’articolo 18, comma secondo, della legge 20 maggio 1970, n. 300, come sostituito dal- l’articolo 1 della legge 11 maggio 1990, n. 108. 2. Nel computo le frazioni percentuali superiori allo 0,50 sono considerate unità. 3. I lavoratori disabili dipendenti occupati a domicilio o con modalità di telelavoro, ai quali l’im- prenditore affida una quantità di lavoro atta a procurare loro una prestazione continuativa corrispondente all’orario normale di lavoro in conformità alla disciplina di cui all’articolo 11, secondo comma, della legge 18 dicembre 1973, n. 877, e a quella stabilita dal contratto collettivo nazionale applicato ai lavo- ratori dell’azienda che occupa il disabile a domicilio o attraverso il telelavoro, sono computati ai fini della copertura della quota di riserva. 4. I lavoratori che divengono inabili allo svolgimento delle proprie mansioni in conseguenza di infortunio o malattia non possono essere computati nella quota di riserva di cui all’articolo 3 se hanno subito una riduzione della capacità lavorativa inferiore al 60 per cento o, comunque, se sono divenuti inabili a causa dell’inadempimento da parte del datore di lavoro, accertato in sede giurisdizionale, delle norme in materia di sicurezza ed igiene del lavoro. Per i predetti lavoratori l’infortunio o la malattia non costituiscono giustificato motivo di licenziamento nel caso in cui essi possano essere adibiti a mansioni equivalenti ovvero, in mancanza, a mansioni inferiori. Nel caso di destinazione a mansioni inferiori essi hanno diritto alla conservazione del più favorevole trattamento corrispondente alle mansioni di prove- nienza. Qualora per i predetti lavoratori non sia possibile l’assegnazione a mansioni equivalenti o inferiori, gli stessi vengono avviati, dagli uffici competenti di cui all’articolo 6, comma 1, presso altra azienda, in attività compatibili con le residue capacità lavorative, senza inserimento nella graduatoria di cui all’articolo 8. 5. Le disposizioni di cui all’articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 25 ottobre 1981, n. 738, si applicano anche al personale militare e della protezione civile. 6. Qualora si renda necessaria, ai fini dell’inserimento mirato, una adeguata riqualificazione professionale, le regioni possono autorizzare, con oneri a proprio carico, lo svolgimento delle relative attività presso la stessa azienda che effettua l’assunzione oppure affidarne lo svolgimento, mediante convenzioni, alle associazioni nazionali di promozione, tutela e rappresentanza, di cui all’articolo 115 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, e successive modificazioni, che abbiano le adeguate competenze tecniche, risorse e disponibilità, agli istituti di formazione che di tali associazioni siano emanazione, purché in possesso dei requisiti previsti dalla legge 21 dicembre 1978, n. 845, nonché ai soggetti di cui all’articolo 18 della legge 5 febbraio 1992, n. 104. Ai fini del finan- ziamento delle attività di riqualificazione professionale e della corrispondente assistenza economica ai mutilati ed invalidi del lavoro, l’addizionale di cui al primo comma dell’articolo 181 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, detratte le spese per l’assegno di incollocabilità previsto dall’articolo 180 dello stesso testo unico, per l’assegno speciale di cui alla legge 5 maggio 1976, n. 248, e per il fondo per l’addestramento professionale dei lavoratori, di cui all’articolo 62 della legge 29 aprile 1949, n. 264, è attribuita alle regioni, secondo parametri predi- sposti dal Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, di seguito denominata “Conferenza unificata”. Art. 5 Esclusioni, esoneri parziali e contributi esonerativi 1. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanare entro centoventi giorni dal- la data di cui all’articolo 23, comma 1, sentite le Commissioni parlamentari competenti per materia, che esprimono il parere entro trenta giorni dalla data di trasmissione dello schema di decreto, e la Confe- renza unificata, sono individuate le mansioni che, in relazione all’attività svolta dalle amministrazioni pubbliche e dagli enti pubblici non economici, non consentono l’occupazione di lavoratori disabili o la consentono in misura ridotta. Il predetto decreto determina altresì la misura della eventuale riduzione. 192 2. I datori di lavoro pubblici e privati che operano nel settore del trasporto pubblico aereo, marit- timo e terrestre non sono tenuti, per quanto concerne il personale viaggiante e navigante, all’osservanza dell’obbligo di cui all’articolo 3. Sono altresì esentati dal predetto obbligo i datori di lavoro pubblici e privati del solo settore degli impianti a fune, in relazione al personale direttamente adibito alle aree operative di esercizio e regolarità dell’attività di trasporto. 3. I datori di lavoro privati e gli enti pubblici economici che, per le speciali condizioni della loro attività, non possono occupare l’intera percentuale dei disabili, possono, a domanda, essere parzialmente esonerati dall’obbligo dell’assunzione, alla condizione che versino al Fondo regionale per l’occupazione dei disabili di cui all’articolo 14 un contributo esonerativo per ciascuna unità non as- sunta, nella misura di lire 25.000 per ogni giorno lavorativo per ciascun lavoratore disabile non occupato. 4. Con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, da emanare entro centoventi giorni dalla data di cui all’articolo 23, comma 1, sentita la Conferenza unificata e sentite altresì le Commissioni parlamentari competenti per materia, che esprimono il loro parere con le modalità di cui al comma 1, sono disciplinati i procedimenti relativi agli esoneri parziali dagli obblighi occupazionali, nonché i criteri e le modalità per la loro concessione, che avviene solo in presenza di adeguata motiva- zione. 5. In caso di omissione totale o parziale del versamento dei contributi di cui al presente articolo, la somma dovuta può essere maggiorata, a titolo di sanzione amministrativa, dal 5 per cento al 24 per cento su base annua. La riscossione è disciplinata secondo i criteri previsti al comma 7. 6. Gli importi dei contributi e della maggiorazione di cui al presente articolo sono adeguati ogni cinque anni con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sentita la Conferenza unifi- cata. 7. Le regioni, entro centoventi giorni dalla data di cui all’articolo 23, comma 1, determinano i criteri e le modalità relativi al pagamento, alla riscossione e al versamento, al Fondo regionale per l’occupazione dei disabili di cui all’articolo 14, delle somme di cui al presente articolo. 8. I datori di lavoro, pubblici e privati, possono essere autorizzati, su loro motivata richiesta, ad assumere in un’unità produttiva un numero di lavoratori aventi diritto al collocamento obbligatorio superiore a quello prescritto, portando le eccedenze a compenso del minor numero di lavoratori assunti in altre unità produttive della medesima regione. Per i datori di lavoro privati la compensazione può essere operata in riferimento ad unità produttive ubicate in regioni diverse. Capo II SERVIZI DEL COLLOCAMENTO OBBLIGATORIO Art. 6 Servizi per l’inserimento lavorativo dei disabili e modifiche al decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469 1. Gli organismi individuati dalle regioni ai sensi dell’articolo 4 del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, di seguito denominati “uffici competenti”, provvedono, in raccordo con i servizi sociali, sanitari, educativi e formativi del territorio, secondo le specifiche competenze loro attribuite, alla pro- grammazione, all’attuazione, alla verifica degli interventi volti a favorire l’inserimento dei soggetti di cui alla presente legge nonché all’avviamento lavorativo, alla tenuta delle liste, al rilascio delle auto- rizzazioni, degli esoneri e delle compensazioni territoriali, alla stipula delle convenzioni e all’attuazione del collocamento mirato. 2. All’articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, sono apportate le seguenti modificazioni: a) le parole: “maggiormente rappresentative” sono sostituite dalle seguenti: “comparativamente più rappresentative”; b) sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: “Nell’ambito di tale organismo è previsto un comitato tecnico composto da funzionari ed esperti del settore sociale e medico-legale e degli organismi individuati dalle regioni ai sensi dell’articolo 4 del presente decreto, con particolare riferimento alla materia delle inabilità, con compiti relativi alla valutazione delle residue capacità lavora- tive, alla definizione degli strumenti e delle prestazioni atti all’inserimento e alla predisposizione dei controlli periodici sulla permanenza delle condizioni di inabilità. Agli oneri per il funzio- namento del comitato tecnico si provvede mediante corrispondente riduzione dell’autorizza- zione di spesa per il funzionamento della commissione di cui al comma 1”. 193 Capo III AVVIAMENTO AL LAVORO Art. 7 Modalità delle assunzioni obbligatorie 1. Ai fini dell’adempimento dell’obbligo previsto dall’articolo 3 i datori di lavoro assumono i lavoratori facendone richiesta di avviamento agli uffici competenti ovvero attraverso la stipula di convenzioni ai sensi dell’articolo 11. Le richieste sono nominative per: a) le assunzioni cui sono tenuti i datori di lavoro che occupano da 15 a 35 dipendenti, nonché i partiti politici, le organizzazioni sindacali e sociali e gli enti da essi promossi; b) il 50 per cento delle assunzioni cui sono tenuti i datori di lavoro che occupano da 36 a 50 dipendenti; c) il 60 per cento delle assunzioni cui sono tenuti i datori di lavoro che occupano più di 50 dipen- denti. 2. I datori di lavoro pubblici effettuano le assunzioni in conformità a quanto previsto dall’articolo 36, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, come modificato dall’articolo 22, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, salva l’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 11 della presente legge. Per le assunzioni di cui all’articolo 36, comma 1, lettera a), del predetto decreto legislativo n. 29 del 1993, e successive modificazioni, i lavoratori disabili iscritti nell’elenco di cui all’articolo 8, comma 2, della presente legge hanno diritto alla riserva dei posti nei limiti della com- plessiva quota d’obbligo e fino al cinquanta per cento dei posti messi a concorso. 3. La Banca d’Italia e l’Ufficio italiano dei cambi, che esercitano le funzioni di vigilanza sul sistema creditizio e in materia valutaria, procedono alle assunzioni di cui alla presente legge mediante pubblica selezione, effettuata anche su base nazionale. Art. 8 Elenchi e graduatorie 1. Le persone di cui al comma 1 dell’articolo 1, che risultano disoccupate e aspirano ad una occupazione conforme alle proprie capacità lavorative, si iscrivono nell’apposito elenco tenuto da- gli uffici competenti; per ogni persona, l’organismo di cui all’articolo 6, comma 3, del decreto legi- slativo 23 dicembre 1997, n. 469, come modificato dall’articolo 6 della presente legge, annota in una apposita scheda le capacità lavorative, le abilità, le competenze e le inclinazioni, nonché la natura e il grado della minorazione e analizza le caratteristiche dei posti da assegnare ai lavoratori disabili, favorendo l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Gli uffici competenti provvedono al collocamento delle persone di cui al primo periodo del presente comma alle dipendenze dei datori di lavoro. 2. Presso gli uffici competenti è istituito un elenco, con unica graduatoria, dei disabili che risul- tano disoccupati; l’elenco e la graduatoria sono pubblici e vengono formati applicando i criteri di cui al comma 4. Dagli elementi che concorrono alla formazione della graduatoria sono escluse le presta- zioni a carattere risarcitorio percepite in conseguenza della perdita della capacità lavorativa. 3. Gli elenchi e le schede di cui ai commi 1 e 2 sono formati nel rispetto delle disposizioni di cui agli articoli 7 e 22 della legge 31 dicembre 1996, n. 675, e successive modificazioni. 4. Le regioni definiscono le modalità di valutazione degli elementi che concorrono alla formazione della graduatoria di cui al comma 2 sulla base dei criteri indicati dall’atto di indirizzo e coordinamento di cui all’articolo 1, comma 4. 5. I lavoratori disabili, licenziati per riduzione di personale o per giustificato motivo oggettivo, mantengono la posizione in graduatoria acquisita all’atto dell’inserimento nell’azienda. Art. 9 Richieste di avviamento 1. I datori di lavoro devono presentare agli uffici competenti la richiesta di assunzione entro ses- santa giorni dal momento in cui sono obbligati all’assunzione dei lavoratori disabili. 2. In caso di impossibilità di avviare lavoratori con la qualifica richiesta, o con altra concordata con il datore di lavoro, gli uffici competenti avviano lavoratori di qualifiche simili, secondo l’ordine di 194 graduatoria e previo addestramento o tirocinio da svolgere anche attraverso le modalità previste dal- l’articolo 12. 3. La richiesta di avviamento al lavoro si intende presentata anche attraverso l’invio agli uffici competenti dei prospetti informativi di cui al comma 6 da parte dei datori di lavoro. 4. I disabili psichici vengono avviati su richiesta nominativa mediante le convenzioni di cui al- l’articolo 11. I datori di lavoro che effettuano le assunzioni ai sensi del presente comma hanno diritto alle agevolazioni di cui all’articolo 13. 5. Gli uffici competenti possono determinare procedure e modalità di avviamento mediante chia- mata con avviso pubblico e con graduatoria limitata a coloro che aderiscono alla specifica occasione di lavoro; la chiamata per avviso pubblico può essere definita anche per singoli ambiti territoriali e per specifici settori. 6. I datori di lavoro, pubblici e privati, soggetti alle disposizioni della presente legge sono tenuti ad inviare agli uffici competenti un prospetto dal quale risultino il numero complessivo dei lavoratori dipendenti, il numero ed i nominativi dei lavoratori computabili nella quota di riserva di cui all’articolo 3, nonché i posti di lavoro e le mansioni disponibili per i lavoratori di cui all’articolo 1. Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sentita la Conferenza unificata, stabilisce con proprio decreto, da emanare entro centoventi giorni dalla data di cui all’articolo 23, comma 1, la periodicità dell’invio dei prospetti e può altresì disporre che i prospetti contengano altre informazioni utili per l’applicazione della disciplina delle assunzioni obbligatorie. I prospetti sono pubblici. Gli uffici competenti, al fine di rendere effettivo il diritto di accesso ai predetti documenti amministrativi, ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241, dispongono la loro consultazione nelle proprie sedi, negli spazi disponibili aperti al pubblico. 7. Ove l’inserimento richieda misure particolari, il datore di lavoro può fare richiesta di collocamento mirato agli uffici competenti, ai sensi degli articoli 5 e 17 della legge 28 febbraio 1987, n. 56, nel caso in cui non sia stata stipulata una convenzione d’integrazione lavorativa di cui all’articolo 11, comma 4, della presente legge. 8. Qualora l’azienda rifiuti l’assunzione del lavoratore invalido ai sensi del presente articolo, la direzione provinciale del lavoro redige un verbale che trasmette agli uffici competenti ed all’autorità giudiziaria. Art. 10 Rapporto di lavoro dei disabili obbligatoriamente assunti 1. Ai lavoratori assunti a norma della presente legge si applica il trattamento economico e nor- mativo previsto dalle leggi e dai contratti collettivi. 2. Il datore di lavoro non può chiedere al disabile una prestazione non compatibile con le sue minorazioni. 3. Nel caso di aggravamento delle condizioni di salute o di significative variazioni dell’organiz- zazione del lavoro, il disabile può chiedere che venga accertata la compatibilità delle mansioni a lui affidate con il proprio stato di salute. Nelle medesime ipotesi il datore di lavoro può chiedere che ven- gano accertate le condizioni di salute del disabile per verificare se, a causa delle sue minorazioni, pos- sa continuare ad essere utilizzato presso l’azienda. Qualora si riscontri una condizione di aggrava- mento che, sulla base dei criteri definiti dall’atto di indirizzo e coordinamento di cui all’articolo 1, com- ma 4, sia incompatibile con la prosecuzione dell’attività lavorativa, o tale incompatibilità sia accerta- ta con riferimento alla variazione dell’organizzazione del lavoro, il disabile ha diritto alla sospensio- ne non retribuita del rapporto di lavoro fino a che l’incompatibilità persista. Durante tale periodo il la- voratore può essere impiegato in tirocinio formativo. Gli accertamenti sono effettuati dalla commis- sione di cui all’articolo 4 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, integrata a norma dell’atto di indirizzo e coordinamento di cui all’articolo 1, comma 4, della presente legge, che valuta sentito anche l’orga- nismo di cui all’articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, come modificato dall’articolo 6 della presente legge. La richiesta di accertamento e il periodo necessario per il suo compimento non costituiscono causa di sospensione del rapporto di lavoro. Il rapporto di lavoro può essere risolto nel caso in cui, anche attuando i possibili adattamenti dell’organizzazione del lavoro, la predetta commissione accerti la definitiva impossibilità di reinserire il disabile all’interno dell’azienda. 4. Il recesso di cui all’articolo 4, comma 9, della legge 23 luglio 1991, n. 223, ovvero il licenzia- mento per riduzione di personale o per giustificato motivo oggettivo, esercitato nei confronti del lavo- 195 ratore occupato obbligatoriamente, sono annullabili qualora, nel momento della cessazione del rapporto, il numero dei rimanenti lavoratori occupati obbligatoriamente sia inferiore alla quota di riserva previ- sta all’articolo 3 della presente legge. 5. In caso di risoluzione del rapporto di lavoro, il datore di lavoro è tenuto a darne comunicazione, nel termine di dieci giorni, agli uffici competenti, al fine della sostituzione del lavoratore con altro avente diritto all’avviamento obbligatorio. 6. La direzione provinciale del lavoro, sentiti gli uffici competenti, dispone la decadenza dal diritto all’indennità di disoccupazione ordinaria e la cancellazione dalle liste di collocamento per un periodo di sei mesi del lavoratore che per due volte consecutive, senza giustificato motivo, non risponda alla convocazione ovvero rifiuti il posto di lavoro offerto corrispondente ai suoi requisiti professionali e alle disponibilità dichiarate all’atto della iscrizione o reiscrizione nelle predette liste. Capo IV CONVENZIONI E INCENTIVI Art. 11 Convenzioni e convenzioni di integrazione lavorativa 1. Al fine di favorire l’inserimento lavorativo dei disabili, gli uffici competenti, sentito l’organi- smo di cui all’articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, come modificato dall’articolo 6 della presente legge, possono stipulare con il datore di lavoro convenzioni aventi ad oggetto la determinazione di un programma mirante al conseguimento degli obiettivi occupazionali di cui alla presente legge. 2. Nella convenzione sono stabiliti i tempi e le modalità delle assunzioni che il datore di lavoro si impegna ad effettuare. Tra le modalità che possono essere convenute vi sono anche la facoltà della scelta nominativa, lo svolgimento di tirocini con finalità formative o di orientamento, l’assunzione con contratto di lavoro a termine, lo svolgimento di periodi di prova più ampi di quelli previsti dal contratto collettivo, purché l’esito negativo della prova, qualora sia riferibile alla menomazione da cui è affetto il soggetto, non costituisca motivo di risoluzione del rapporto di lavoro. 3. La convenzione può essere stipulata anche con datori di lavoro che non sono obbligati alle assunzioni ai sensi della presente legge. 4. Gli uffici competenti possono stipulare con i datori di lavoro convenzioni di integrazione lavorativa per l’avviamento di disabili che presentino particolari caratteristiche e difficoltà di inserimento nel ciclo lavorativo ordinario. 5. Gli uffici competenti promuovono ed attuano ogni iniziativa utile a favorire l’inserimento lavorativo dei disabili anche attraverso convenzioni con le cooperative sociali di cui all’articolo 1, com- ma 1, lettera b), della legge 8 novembre 1991, n. 381, e con i consorzi di cui all’articolo 8 della stessa legge, nonché con le organizzazioni di volontariato iscritte nei registri regionali di cui all’articolo 6 della legge 11 agosto 1991, n. 266, e comunque con gli organismi di cui agli articoli 17 e 18 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con altri soggetti pubblici e privati idonei a contribuire alla realizza- zione degli obiettivi della presente legge. 6. L’organismo di cui all’articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, come modificato dall’articolo 6 della presente legge, può proporre l’adozione di deroghe ai limiti di età e di durata dei contratti di formazione-lavoro e di apprendistato, per le quali trovano applicazione le disposizioni di cui al comma 3 ed al primo periodo del comma 6 dell’articolo 16 del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1994, n. 451. Tali deroghe devono essere giustificate da specifici progetti di inserimento mirato. 7. Oltre a quanto previsto al comma 2, le convenzioni di integrazione lavorativa devono: a) indicare dettagliatamente le mansioni attribuite al lavoratore disabile e le modalità del loro svolgimento; b) prevedere le forme di sostegno, di consulenza e di tutoraggio da parte degli appositi servizi regionali o dei centri di orientamento professionale e degli organismi di cui all’articolo 18 del- la legge 5 febbraio 1992, n. 104, al fine di favorire l’adattamento al lavoro del disabile; c) prevedere verifiche periodiche sull’andamento del percorso formativo inerente la convenzione di integrazione lavorativa, da parte degli enti pubblici incaricati delle attività di sorveglianza e controllo. 196 Art. 12 Cooperative sociali 1. Ferme restando le disposizioni di cui agli articoli 9 e 11, gli uffici competenti possono stipulare con i datori di lavoro privati soggetti agli obblighi di cui all’articolo 3, con le cooperative sociali di cui all’articolo 1, comma 1, lettera b), della legge 8 novembre 1991, n. 381, e successive modificazioni, e con i disabili liberi professionisti, anche se operanti con ditta individuale, apposite convenzioni fina- lizzate all’inserimento temporaneo dei disabili appartenenti alle categorie di cui all’articolo 1 presso le cooperative sociali stesse, ovvero presso i citati liberi professionisti, ai quali i datori di lavoro si impe- gnano ad affidare commesse di lavoro. Tali convenzioni, non ripetibili per lo stesso soggetto, salvo diversa valutazione del comitato tecnico di cui al comma 2, lettera b), dell’articolo 6, non possono riguardare più di un lavoratore disabile, se il datore di lavoro occupa meno di 50 dipendenti, ovvero più del 30 per cento dei lavoratori disabili da assumere ai sensi dell’articolo 3, se il datore di lavoro occupa più di 50 dipendenti. 2. La convenzione è subordinata alla sussistenza dei seguenti requisiti: a) contestuale assunzione a tempo indeterminato del disabile da parte del datore di lavoro; b) copertura dell’aliquota d’obbligo di cui all’articolo 3 attraverso l’assunzione di cui alla lettera a); c) impiego del disabile presso la cooperativa sociale ovvero presso il libero professionista di cui al comma 1, con oneri retributivi, previdenziali e assistenziali a carico di questi ultimi, per tutta la durata della convenzione, che non può eccedere i dodici mesi, prorogabili di ulteriori dodici mesi da parte degli uffici competenti; d) indicazione nella convenzione dei seguenti elementi: 1) l’ammontare delle commesse che il datore di lavoro si impegna ad affidare alla cooperativa ovvero al libero professionista di cui al comma 1; tale ammontare non deve essere inferiore a quello che consente alla cooperativa stessa ovvero al libero professionista di cui al comma 1 di applicare la parte normativa e retributiva dei contratti collettivi nazionali di lavoro, ivi compresi gli oneri previdenziali e assistenziali, e di svolgere le funzioni finalizzate all’inserimento lavo- rativo dei disabili; 2) i nominativi dei soggetti da inserire ai sensi del comma 1; 3) l’indicazione del percorso formativo personalizzato. 3. Alle convenzioni di cui al presente articolo si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell’articolo 11, comma 7. 4. Gli uffici competenti possono stipulare con i datori di lavoro privati soggetti agli obblighi di cui all’articolo 3 e con le cooperative sociali di cui all’articolo 1, comma 1, lettera b), della legge 8 novembre 1991, n. 381, e successive modificazioni, apposite convenzioni finalizzate all’inserimento lavorativo temporaneo dei detenuti disabili. Art. 13 Agevolazioni per le assunzioni 1. Attraverso le convenzioni di cui all’articolo 11, gli uffici competenti possono concedere ai datori di lavoro privati, sulla base dei programmi presentati e nei limiti delle disponibilità del Fondo di cui al comma 4 del presente articolo: a) la fiscalizzazione totale, per la durata massima di otto anni, dei contributi previdenziali ed assistenziali relativi ad ogni lavoratore disabile che, assunto in base alla presente legge, abbia una riduzione della capacità lavorativa superiore al 79 per cento o minorazioni ascritte dalla pri- ma alla terza categoria di cui alle tabelle annesse al testo unico delle norme in materia di pen- sioni di guerra, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1978, n. 915, e successive modificazioni; la medesima fiscalizzazione viene concessa in relazione ai lavora- tori con handicap intellettivo e psichico, assunti in base alla presente legge, indipendentemen- te dalle percentuali di invalidità, previa definizione da parte delle regioni di criteri generali che consentano di contenere gli oneri a tale titolo nei limiti del 10 per cento della quota di loro competenza a valere sulle risorse annue di cui al comma 4 e con indicazione delle modalità di utilizzo delle risorse eventualmente non impiegate; b) la fiscalizzazione nella misura del 50 per cento, per la durata massima di cinque anni, dei con- tributi previdenziali ed assistenziali relativi ad ogni lavoratore disabile che, assunto in base al- 197 la presente legge, abbia una riduzione della capacità lavorativa compresa tra il 67 per cento e il 79 per cento o minorazioni ascritte dalla quarta alla sesta categoria di cui alle tabelle citate nella lettera a); c) il rimborso forfettario parziale delle spese necessarie alla trasformazione del posto di lavoro per renderlo adeguato alle possibilità operative dei disabili con riduzione della capacità lavorativa superiore al 50 per cento o per l’apprestamento di tecnologie di telelavoro ovvero per la rimo- zione delle barriere architettoniche che limitano in qualsiasi modo l’integrazione lavorativa del disabile. 2. Le agevolazioni di cui al comma 1 sono estese anche ai datori di lavoro che, pur non essendo soggetti agli obblighi della presente legge, procedono all’assunzione di disabili. 3. Il datore di lavoro che, attraverso le convenzioni stipulate ai sensi dell’articolo 11, assicura ai soggetti di cui al comma 1 dell’articolo 1 la possibilità di svolgere attività di tirocinio finalizzata al- l’assunzione, per un periodo fino ad un massimo di dodici mesi, rinnovabili per una sola volta, assolve per la durata relativa l’obbligo di assunzione. I datori di lavoro sono tenuti ad assicurare i tirocinanti con- tro gli infortuni sul lavoro, mediante convenzioni con l’INAIL, e per la responsabilità civile. I relativi oneri sono posti a carico del Fondo di cui al comma 4. 4. Per le finalità di cui al presente articolo è istituito presso il Ministero del lavoro e della previ- denza sociale il Fondo per il diritto al lavoro dei disabili, per il cui finanziamento è autorizzata la spe- sa di lire 40 miliardi per l’anno 1999 e lire 60 miliardi a decorrere dall’anno 2000. 5. Dopo cinque anni, gli uffici competenti sottopongono a verifica la prosecuzione delle agevola- zioni di cui al comma 1 del presente articolo. 6. Agli oneri derivanti dal presente articolo, pari a lire 40 miliardi per l’anno 1999 e a lire 60 mi- liardi annue a decorrere dall’anno 2000, si provvede mediante corrispondente utilizzo dell’autorizza- zione di spesa di cui all’articolo 29-quater del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30. Le somme non impegnate nell’esercizio di compe- tenza possono esserlo in quelli successivi. 7. Il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica è autorizzato ad appor- tare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. 8. Con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, da emanare entro centoventi giorni dalla data di cui all’articolo 23, comma 1, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, sentita la Conferenza unificata, sono indicati i criteri e le modalità per la ripartizione fra le regioni delle disponibilità del Fondo di cui al comma 4, nonché la disciplina dei procedimenti per la concessione delle agevolazioni di cui al comma 1. 9. Il Governo della Repubblica, entro tre anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, procede ad una verifica degli effetti delle disposizioni del presente articolo e ad una valutazione del- l’adeguatezza delle risorse finanziarie ivi previste. Art. 14 Fondo regionale per l’occupazione dei disabili 1. Le regioni istituiscono il Fondo regionale per l’occupazione dei disabili, di seguito denominato “Fondo”, da destinare al finanziamento dei programmi regionali di inserimento lavorativo e dei relativi servizi. 2. Le modalità di funzionamento e gli organi amministrativi del Fondo sono determinati con legge regionale, in modo tale che sia assicurata una rappresentanza paritetica dei lavoratori, dei datori di lavoro e dei disabili. 3. Al Fondo sono destinati gli importi derivanti dalla irrogazione delle sanzioni amministrative previste dalla presente legge ed i contributi versati dai datori di lavoro ai sensi della presente legge, nonché il contributo di fondazioni, enti di natura privata e soggetti comunque interessati. 4. Il Fondo eroga: a) contributi agli enti indicati nella presente legge, che svolgano attività rivolta al sostegno e al- l’integrazione lavorativa dei disabili; b) contributi aggiuntivi rispetto a quelli previsti dall’articolo 13, comma 1, lettera c); c) ogni altra provvidenza in attuazione delle finalità della presente legge. 198 Capo V SANZIONI E DISPOSIZIONI FINALI E TRANSITORIE Art. 15 Sanzioni 1. Le imprese private e gli enti pubblici economici che non adempiano agli obblighi di cui all’articolo 9, comma 6, sono soggetti alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di lire 1.000.000 per ritardato invio del prospetto, maggiorata di lire 50.000 per ogni giorno di ulteriore ritardo. 2. Le sanzioni amministrative previste dalla presente legge sono disposte dalle direzioni provin- ciali del lavoro e i relativi introiti sono destinati al Fondo di cui all’articolo 14. 3. Ai responsabili, ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241, di inadempienze di pubbliche amministrazioni alle disposizioni della presente legge si applicano le sanzioni penali, amministrative e disciplinari previste dalle norme sul pubblico impiego. 4. Trascorsi sessanta giorni dalla data in cui insorge l’obbligo di assumere soggetti appartenenti alle categorie di cui all’articolo 1, per ogni giorno lavorativo durante il quale risulti non coperta, per cause imputabili al datore di lavoro, la quota dell’obbligo di cui all’articolo 3, il datore di lavoro stesso è tenuto al versamento, a titolo di sanzione amministrativa, al Fondo di cui all’articolo 14, di una somma pari a lire 100.000 al giorno per ciascun lavoratore disabile che risulta non occupato nella me- desima giornata. 5. Le somme di cui ai commi 1 e 4 sono adeguate ogni cinque anni con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Art. 16 Concorsi presso le pubbliche amministrazioni 1. Ferme restando le disposizioni di cui agli articoli 3, comma 4, e 5, comma 1, i disabili possono partecipare a tutti i concorsi per il pubblico impiego, da qualsiasi amministrazione pubblica siano banditi. A tal fine i bandi di concorso prevedono speciali modalità di svolgimento delle prove di esame per consentire ai soggetti suddetti di concorrere in effettive condizioni di parità con gli altri. 2. I disabili che abbiano conseguito le idoneità nei concorsi pubblici possono essere assunti, ai fini dell’adempimento dell’obbligo di cui all’articolo 3, anche se non versino in stato di disoccupazione e oltre il limite dei posti ad essi riservati nel concorso. 3. Salvi i requisiti di idoneità specifica per singole funzioni, sono abrogate le norme che richie- dono il requisito della sana e robusta costituzione fisica nei bandi di concorso per il pubblico im- piego. Art. 17 Obbligo di certificazione 1. Le imprese, sia pubbliche sia private, qualora partecipino a bandi per appalti pubblici o intrat- tengano rapporti convenzionali o di concessione con pubbliche amministrazioni, sono tenute a presen- tare preventivamente alle stesse la dichiarazione del legale rappresentante che attesti di essere in regola con le norme che disciplinano il diritto al lavoro dei disabili, nonché apposita certificazione rilasciata dagli uffici competenti dalla quale risulti l’ottemperanza alle norme della presente legge, pena l’esclu- sione. Art. 18 Disposizioni transitorie e finali 1. I soggetti già assunti ai sensi delle norme sul collocamento obbligatorio sono mantenuti in servizio anche se superano il numero di unità da occupare in base alle aliquote stabilite dalla presente legge e sono computati ai fini dell’adempimento dell’obbligo stabilito dalla stessa. 2. In attesa di una disciplina organica del diritto al lavoro degli orfani e dei coniugi superstiti di coloro che siano deceduti per causa di lavoro, di guerra o di servizio, ovvero in conseguenza dell’ag- gravarsi dell’invalidità riportata per tali cause, nonché dei coniugi e dei figli di soggetti riconosciuti 199 grandi invalidi per causa di guerra, di servizio e di lavoro e dei profughi italiani rimpatriati, il cui status è riconosciuto ai sensi della legge 26 dicembre 1981, n. 763, è attribuita in favore di tali soggetti una quota di riserva, sul numero di dipendenti dei datori di lavoro pubblici e privati che occupano più di cinquanta dipendenti, pari a un punto percentuale e determinata secondo la disciplina di cui all’articolo 3, commi 3, 4 e 6, e all’articolo 4, commi 1, 2 e 3, della presente legge. La predetta quota è pari ad un’uni- tà per i datori di lavoro, pubblici e privati, che occupano da cinquantuno a centocinquanta dipendenti. Le assunzioni sono effettuate con le modalità di cui all’articolo 7, comma 1. Il regolamento di cui al- l’articolo 20 stabilisce le relative norme di attuazione. 3. Per un periodo di ventiquattro mesi a decorrere dalla data di cui all’articolo 23, comma 1, gli invalidi del lavoro ed i soggetti di cui all’articolo 4, comma 5, che alla medesima data risultino iscritti nelle liste di cui alla legge 2 aprile 1968, n. 482, e successive modificazioni, sono avviati al lavoro dagli uffici competenti senza necessità di inserimento nella graduatoria di cui all’articolo 8, comma 2. Ai medesimi soggetti si applicano le disposizioni dell’articolo 4, comma 6. Art. 19 Regioni a statuto speciale e province autonome 1. Sono fatte salve le competenze legislative nelle materie di cui alla presente legge delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano. Art. 20 Regolamento di esecuzione 1. Entro centoventi giorni dalla data di cui all’articolo 23, comma 1, sono emanate, sentita la Con- ferenza unificata, norme di esecuzione, aventi carattere generale, cui le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano si conformano, nell’ambito delle rispettive competenze, ai fini dell’attuazione delle disposizioni della presente legge. Art. 21 Relazione al Parlamento 1. Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale ogni due anni, entro il 30 giugno, presenta al Parlamento una relazione sullo stato di attuazione della presente legge, sulla base dei dati che le regioni annualmente, entro il mese di marzo, sono tenute ad inviare al Ministro stesso. Art. 22 Abrogazioni 1. Sono abrogati: a) la legge 2 aprile 1968, n. 482, e successive modificazioni; b) l’articolo 12 della legge 13 agosto 1980, n. 466; c) l’articolo 13 della legge 26 dicembre 1981, n. 763; d) l’articolo 9 del decreto-legge 29 gennaio 1983, n. 17, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 marzo 1983, n. 79; e) l’articolo 9 del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638; f) l’articolo 14 della legge 20 ottobre 1990, n. 302. Art. 23 Entrata in vigore 1. Le disposizioni di cui agli articoli 1, comma 4, 5, commi 1, 4 e 7, 6, 9, comma 6, secondo pe- riodo, 13, comma 8, 18, comma 3, e 20 entrano in vigore il giorno successivo a quello di pubblicazione della presente legge nella Gazzetta Ufficiale. 2. Le restanti disposizioni della presente legge entrano in vigore dopo trecento giorni dalla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. 200 La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato. Data a Roma, addì 12 marzo 1999 SCALFARO D’Alema, Presidente del Consiglio dei Ministri Visto, il Guardasigilli: Diliberto 201 DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 7 luglio 2000, n. 442 (G.U. n. 36 del 13.02.2001) Regolamento recante norme per la semplificazione del procedimento per il collocamento ordinario dei lavoratori, ai sensi dell’articolo 20, comma 8, della legge 15 marzo 1997, n. 59 IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA VISTO l’articolo 87, comma quinto, della Costituzione; VISTO l’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n.400; VISTO l’articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n.59, allegato 1, n.112-bis e successive modificazioni; VISTA la legge 10 gennaio 1935, n.112; VISTA la legge 29 aprile 1949, n.264; VISTA la legge 11 gennaio 1979, n.12; VISTA la legge 28 febbraio 1987, n.56; VISTA la legge 23 luglio 1991, n.223; VISTO il decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n.487; VISTO il decreto-legge 1° ottobre 1996, n.510, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 novembre 1996, n.608; VISTA la legge 31 dicembre 1996, n.675; VISTO il decreto legislativo 26 maggio 1997, n.152; VISTO il decreto legislativo 28 agosto 1997, n.281; VISTO il decreto legislativo 23 dicembre 1997, n.469; VISTA la legge 27 dicembre 1997, n.449; VISTO il decreto del Presidente della Repubblica 20 ottobre 1998, n.403; VISTO il decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38; VISTA la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 22 marzo 2000; SENTITA la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano; ACQUISITO il parere del Garante per la tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali, ai sensi dell’articolo 31, comma 2, della legge 31 dicembre 1996, n.675; UDITO il parere del Consiglio di Stato, espresso dalla Sezione consultiva per gli atti normativi nel- l’adunanza del 24 gennaio 2000; ACQUISITO il parere delle competenti Commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica; VISTA la deliberazione del Consiglio dei Ministri adottata nella riunione del 9 giugno 2000; SULLA PROPOSTA del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i Ministri per gli affari regionali, per le politiche comunitarie, del lavoro e della previdenza sociale e dell’interno; E M A N A il seguente regolamento: TITOLO I DISCIPLINA DEL COLLOCAMENTO Capo I DISPOSIZIONI GENERALI Art. 1 Ambito di applicazione 1. Ferme restando le funzioni ed i compiti conferiti alle regioni ed alle province in materia di gestione del collocamento e di politiche attive del lavoro ai sensi del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n.469, le disposizioni del presente regolamento disciplinano, nell’esercizio dei poteri generali di indirizzo, 202 promozione e coordinamento e, allo scopo di garantire l’efficace attivazione sul territorio nazionale del Sistema informativo lavoro (S.I.L.) in conformità all’articolo 11 del suddetto decreto legislativo n.469 del 1997, le disposizioni del presente regolamento disciplinano le linee di carattere generale concernenti le procedure per l’impiego dei lavoratori e per il collocamento. (Seguivano alcune parole non ammesse al “Visto” della Corte dei conti) 2. I criteri di organizzazione, le modalità, le specificazioni ed i tempi di attuazione delle previsioni del presente regolamento, ivi comprese le procedure di avviamento a selezione presso le pubbliche ammi- nistrazioni secondo criteri oggettivi, previo confronto con le autonomie locali, saranno definiti, sulla ba- se di indirizzi forniti dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale, sentita la Conferenza unificata, con provvedimenti regionali che dovranno assicurarne, tenuto conto di quanto previsto dalle disposizioni transitorie di cui all’articolo 8, la piena attuazione entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente regolamento. Art. 2 Definizioni 1. Ai fini del presente regolamento si intende per: a) “sede di lavoro” l’ufficio, lo stabilimento, il cantiere o comunque il luogo dove si esegue, di norma, la prestazione di lavoro; b) “sede operativa di società di fornitura di lavoro temporaneo” l’ufficio presso il quale sono tenuti i documenti di lavoro relativi al prestatore di lavoro temporaneo; c) “servizi competenti” i centri per l’impiego o gli altri organi individuati dalle regioni ai sensi del- l’articolo 4 del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n.469; d) “S.I.L.” il Sistema informativo lavoro. Art. 3 Tutela dei dati personali 1. Al fine di promuovere l’occupazione, favorire l’inserimento al lavoro e l’accesso ad attività di orientamento e formazione professionale nonché agevolare l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro i servizi competenti possono comunicare e diffondere, anche per via telematica, a privati datori di lavoro, diversi da quelli autorizzati ai sensi degli articoli 10 e 11, commi 3, 4 e 5, del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n.469, a enti pubblici economici che siano interessati all’assunzione, alle società di mediazione autorizzate, nonché agli enti previdenziali, ai centri di formazione professionale e alle altre pubbliche amministrazioni i dati personali relativi ai soggetti presenti nelle banche dati, senza che sia necessario il consenso degli interessati, ferme restando le disposizioni di cui all’articolo 13, comma 1, lettera d), della legge 31 dicembre 1996, n.675, e con l’esclusione di quelli sensibili o attinenti a prov- vedimenti giudiziari, come definiti e individuati rispettivamente negli articoli 22 e 24 della citata legge n.675 del 1996. Capo II SERVIZI ALLE PERSONE IN CERCA DI LAVORO Art. 4 Elenco anagrafico 1. Le persone aventi l’età stabilita dalla legge per essere ammesse al lavoro, e che essendo in cerca di lavoro perché inoccupate, disoccupate nonché occupate in cerca di altro lavoro intendono avvalersi dei servizi competenti, vengono inserite in un elenco anagrafico, indipendentemente dal luogo della propria residenza. L’elenco anagrafico contiene i dati anagrafici completi del lavoratore, nonché i dati relativi alla residenza, all’eventuale domicilio, alla composizione del nucleo familiare, ai titoli di studio posseduti, all’eventuale appartenenza a categorie protette ed allo stato occupazionale. L’inserimento nell’elenco anagrafico produce esclusivamente gli effetti previsti dal presente regolamento. 2. L’elenco anagrafico è integrato ed aggiornato sulla base delle informazioni fornite dal lavoratore e, d’ufficio, sulla base delle comunicazioni obbligatorie provenienti dai datori di lavoro, dalle società di fornitura di lavoro temporaneo e dai soggetti autorizzati all’attività di mediazione tra domanda ed offerta di lavoro. 203 3. Con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale da adottarsi, sentite le organiz- zazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro maggiormente rappresentative e la Conferenza Uni- ficata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.281, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente regolamento, sono definiti: a) il contenuto e le modalità di trattamento dei dati dell’elenco anagrafico essenziali al fine della conduzione coordinata ed integrata del sistema informativo lavoro, secondo quanto previsto dall’articolo 1, comma 2, lettera d) e dall’articolo 11 del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n.469 con la contestuale individuazione dei titolari e dei respon- sabili del trattamento; b) le modalità di codifica di base delle professioni; c) la classificazione dei lavora- tori inseriti nell’elenco anagrafico a scopo statistico secondo criteri omogenei con quelli definiti in sede comunitaria ed internazionale. 4. L’elenco anagrafico dei lavoratori è gestito con l’impiego di tecnologie informatiche ed è orga- nizzato con modalità che assicurino omogeneità a livello nazionale e consentano aggregazioni e disag- gregazioni, anche di genere, funzionali al S.I.L.. 5. I lavoratori nazionali e comunitari inseriti nell’elenco anagrafico mantengono l’iscrizione per tutta la durata della vita lavorativa, salvo cancellazione a domanda. 6. I lavoratori stranieri in possesso del permesso di soggiorno per lavoro subordinato, inseriti nel- l’elenco anagrafico che perdono il posto di lavoro, anche per dimissioni, mantengono l’inserimento in tale elenco per il periodo di validità residua del permesso di soggiorno e comunque per un periodo non superiore ad un anno. Art. 5 Scheda professionale 1. Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente regolamento, il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sentiti il Ministro della pubblica istruzione, il Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, il Ministro per la funzione pubblica e il Ministro per le pari op- portunità, nonché le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro maggiormente rappre- sentative, previa acquisizione del parere della Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.281, determina le caratteristiche del modello di scheda professionale nella quale, oltre ai dati contenuti nell’elenco anagrafico, sono inserite le informazioni relative alle esperienze formative e professionali ed alle disponibilità del lavoratore. 2. La scheda professionale, di cui al comma 1, viene rilasciata dal competente Servizio per l’im- piego e contiene altresì i dati relativi alla certificazione delle competenze professionali, in raccordo con le disposizioni in materia di formazione professionale 3. Al fine di favorire l’accesso ai servizi per l’impiego le regioni, d’intesa con il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, nell’ambito delle linee strategiche definite dall’Autorità per l’infor- matica nella pubblica amministrazione (AIPA), possono prevedere il rilascio alle persone in cerca di lavoro di una carta elettronica personale contenente le chiavi d’accesso alle banche dati del S.I.L. Capo III ASSUNZIONE DEI LAVORATORI Art. 6 Obblighi dei datori di lavoro in materia di collocamento (Articolo non ammesso al “Visto” della Corte dei Conti) TITOLO II DISPOSIZIONI TRANSITORIE E FINALI Art. 7 Norme abrogate 1. Ai sensi dell’articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n.59, dalla data di entrata in vigore del pre- sente regolamento sono abrogate le seguenti disposizioni: a) l’articolo 6 della legge 10 gennaio 1935 n.112, e successive modificazioni e integrazioni, limi- tatamente agli obblighi ivi previsti, concernenti la consegna del libretto di lavoro all’atto del- 204 l’assunzione del lavoratore e l’articolo 8 della stessa legge (seguivano le lettere b), c), d) ed f) del presente comma 1, non ammesse al “Visto” della Corte dei conti). Art. 8 Norme transitorie 1. In sede di prima attuazione i lavoratori risultanti iscritti nelle liste di collocamento ordinario (Seguivano alcune parole non ammesse al “Visto” della Corte dei conti), previste dalle norme previgenti, sono provvisoriamente inseriti d’ufficio nell’elenco anagrafico di cui all’articolo 4. I provvedimenti regionali emanati ai sensi dell’articolo 1, comma 2, prevedono l’organizzazione dell’elenco anagrafico entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale di cui al comma 3 del medesimo articolo 4. 2. Fino all’emanazione delle disposizioni previste dall’articolo 1, comma 2, del presente regola- mento restano in vigore le graduatorie approvate ai sensi della disciplina previgente. Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e farlo osservare. Dato a Roma, addì 7 luglio 2000 CIAMPI Amato, Presidente del Consiglio dei Ministri Bassanini, Ministro per la funzione pubblica Loiero, Ministro per gli affari regionali Mattioli, Ministro per le politiche comunitarie Salvi, Ministro del lavoro e della previdenza sociale Bianco, Ministro dell’interno 205 DECRETO LEGISLATIVO 21 aprile 2000, n. 181 “Disposizioni per agevolare l’incontro fra domanda ed offerta di lavoro, in attuazione dell’articolo 45, comma 1, lettera a, della legge 17 maggio 1999, n. 144” (G.U. n. 154 del 4 luglio 2000) IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA VISTI gli articoli 76 e 87 della Costituzione; VISTA la legge 17 maggio 1999, n.144, ed in particolare l’articolo 45, comma 1, lettera a), numeri 1) e 2), che, al fine di realizzare il riordino del sistema degli incentivi all’occupazione e degli ammortizzatori sociali, prescrive di procedere alla revisione dei criteri per l’accertamento dei requisiti individuali di appartenenza dei soggetti alle diverse categorie, allo scopo di renderli più adeguati alla valutazione ed al controllo dell’effettiva situazione di disagio; VISTO il decreto legislativo 23 dicembre 1997, n.469, ed in particolare l’articolo 1, comma 1, che riserva allo Stato l’esercizio di un ruolo generale di indirizzo, promozione e coordinamento in materia di collo- camento e politiche attive del lavoro; VISTA la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 25 febbraio 2000; VISTO il parere della Conferenza unificata istituita ai sensi del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.281; ACQUISITI i pareri delle competenti Commissioni permanenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati; VISTA la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 20 aprile 2000; SULLA PROPOSTA del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica; E M A N A il seguente decreto legislativo: Art. 1 Finalità, definizioni 1. Le disposizioni contenute nel presente decreto individuano i soggetti potenziali destinatari delle misure di promozione all’inserimento nel mercato del lavoro di cui all’articolo 3 e definiscono a tal fine le condizioni di disoccupazione, dettando criteri di indirizzo in materia anche per adeguare il sistema di incontro tra domanda e offerta di lavoro agli indirizzi comunitari intesi a promuovere strategie preventive della disoccupazione giovanile e della disoccupazione di lunga durata. 2. Ai fini del presente decreto si intendono per: a) “adolescenti”, i minori di età compresa fra quindici e diciotto anni, che non siano più soggetti al- l’obbligo scolastico; b) “giovani”, i soggetti di età superiore a diciotto anni e fino a venticinque anni compiuti, ovvero la diversa superiore età eventualmente definita con decreto del Ministro del lavoro e della pre- videnza sociale in conformità agli indirizzi dell’Unione europea; c) “disoccupati di lunga durata”, coloro che, dopo aver perso un posto di lavoro o cessato un’atti- vità di lavoro autonomo, siano alla ricerca di nuova occupazione da più di dodici mesi; d) “inoccupati di lunga durata”, coloro che, senza aver precedentemente svolto un’attività lavora- tiva, siano alla ricerca di un’occupazione da più di dodici mesi; e) “donne in reinserimento lavorativo”, quelle che, già precedentemente occupate, intendano rien- trare nel mercato del lavoro dopo almeno due anni di inattività; f) “stato di disoccupazione”, la condizione del disoccupato o dell’inoccupato che sia immediata- mente disponibile allo svolgimento di un’attività lavorativa; g) “servizi competenti”, i centri per l’impiego di cui all’articolo 4 del decreto legislativo 23 dicem- bre 1997, n.469. 206 3. Con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale da emanarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sentite le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale sono individuati, in riferimento ai periodi previsti dalle lettere c), d) ed e) del comma 2, limiti massimi temporali di espletamento di eventuale attività lavorativa compa- tibili con le condizioni definite dalle predette lettere e possono altresì, al medesimo fine, essere indivi- duati limiti reddituali. Art. 2 Stato di disoccupazione 1. La condizione di cui all’articolo 1, comma 2, lettera f), dev’essere comprovata dalla presen- tazione dell’interessato presso il servizio competente nel cui ambito territoriale si trova il domicilio del medesimo, accompagnata da una dichiarazione, ai sensi della legge 4 gennaio 1968, n.15, e successive modificazioni, che attesti l’eventuale attività lavorativa precedentemente svolta, nonché l’immediata dis- ponibilità allo svolgimento di attività lavorativa. 2. In sede di prima applicazione del presente decreto gli interessati all’accertamento della condi- zione di cui all’articolo 1, comma 2, lettera f), sono tenuti a presentarsi presso il servizio competente per territorio entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del medesimo e a rendere la dichiarazione di cui al comma 1. 3. A far data dalla prima presentazione presso il servizio competente decorrono i termini da pren- dere in considerazione ai fini dell’assolvimento dei successivi obblighi di presentazione dal servizio me- desimo eventualmente disposti, nonché dell’accertamento della condizione di cui all’articolo 1, comma 2, lettere c) e d). 4. I servizi competenti sono comunque tenuti a verificare l’effettiva persistenza della condizione di disoccupazione, provvedendo all’identificazione dei disoccupati e degli inoccupati di lunga durata. Nel caso di disoccupazione conseguente a cessazione di attività diversa da quella di lavoro subordinato, essi sono altresì tenuti a verificare la veridicità della dichiarazione dell’interessato circa l’effettivo svolgimento dell’attività in questione e la sua cessazione. Ai fini dell’applicazione del presente comma i servizi com- petenti dispongono indagini a campione sulla veridicità delle dichiarazioni rese dai soggetti di cui al- l’articolo 1, comma 2, lettere c) e d), anche richiedendo la collaborazione del personale delle direzioni provinciali del lavoro - servizio ispezione del lavoro. 5. Nei rapporti con la pubblica amministrazione e con i concessionari e i gestori di pubblici servizi, lo stato di disoccupazione è comprovato con dichiarazioni, anche contestuali all’istanza, sottoscritte dal- l’interessato. In tali casi, nonché in quelli di cui al comma 1, si applica il decreto del Presidente della Repubblica 20 ottobre 1998, n.403. 6. La durata dello stato di disoccupazione si calcola in mesi commerciali. I periodi inferiori a giorni quindici, all’interno di un unico mese, non si computano, mentre i periodi superiori a giorni quindici si computano come un mese intero. 7. Le disposizioni di cui ai commi 1, 3 e 4 trovano applicazione fino all’emanazione, con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sentita la Conferenza unificata, di norme che preve- dono modalità e termini diversi degli adempimenti previsti dalle citate disposizioni; tali norme sono emanate in coerenza con le procedure per il collocamento ordinario dei lavoratori previste nel regola- mento di semplificazione di cui all’articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n.59, allegato 1, n.112-bis, e successive modificazioni. Art. 3 Indirizzi generali ai servizi per l’impiego ai fini della prevenzione della disoccupazione di lunga durata 1. I servizi competenti, nel quadro della programmazione regionale, al fine di favorire l’incontro fra domanda e offerta di lavoro e contrastare la disoccupazione e l’inoccupazione di lunga durata, sotto- pongono i soggetti di cui all’articolo 1, comma 2, ad interviste periodiche, offrendo almeno i seguenti interventi: a) colloquio di orientamento entro sei mesi dall’inizio dello stato di disoccupazione, così come accertato ai sensi dell’articolo 2, con riguardo ai giovani ed agli adolescenti; b) proposta di adesione ad iniziative di inserimento lavorativo o di formazione e/o riqualificazione professionale: 207 1. nei confronti delle donne in cerca di reinserimento lavorativo, non oltre sei mesi dall’inizio dello stato di disoccupazione; 2. nei confronti dei disoccupati e degli inoccupati di lunga durata, non oltre dodici mesi dal- l’inizio dello stato di disoccupazione, o in caso di disoccupati che godano di trattamenti pre- videnziali previsti dalla legislazione vigente e successive modificazioni, non oltre i sei mesi dall’inizio dello stato di disoccupazione. Art. 4 Perdita dello stato di disoccupazione 1. La condizione di cui all’articolo 1, comma 2, lettera f), viene meno in caso di mancato adem- pimento da parte dell’interessato degli obblighi di cui all’articolo 2, comma 3, nonché di mancata pre- sentazione al colloquio di orientamento di cui all’articolo 3. Qualora la mancata presentazione al servizio competente, in entrambe le ipotesi, dipenda da comprovati impedimenti oggettivi, è ammesso un ritardo non superiore a quindici giorni. È fatta salva la possibilità di un ritardo ulteriore qualora la mancata pre- sentazione dipenda da ragioni di salute certificate dalla struttura pubblica competente. La condizione di cui all’articolo 1, comma 2, lettera f), viene altresì meno nel caso di mancata adesione, senza giusti- ficato motivo valutabile dal servizio competente, ad una proposta formulata ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettere b) e c). 2. Comporta la perdita dell’anzianità dello stato di disoccupazione il rifiuto di un’offerta di lavoro a tempo pieno ed indeterminato, o determinato o di lavoro temporaneo ai sensi della legge 24 giugno 1997, n.196, con durata del contratto a termine o, rispettivamente, della missione, in entrambi i casi superiore almeno a quattro mesi, formulata dal servizio competente ed ubicata nel raggio di cinquanta chilometri dal domicilio del lavoratore; il predetto rifiuto non comporta, tuttavia, la perdita dell’anzianità qualora la proposta di lavoro non sia congrua, secondo criteri determinati dalle commissioni regionali permanenti tripartite di cui all’articolo 4, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n.469, alla professionalità posseduta dall’interessato. 3. L’accettazione di un’offerta di lavoro a tempo determinato o di lavoro temporaneo formulata dal servizio competente comporta una sospensione dell’anzianità nello stato di disoccupazione. Detta an- zianità riprende a decorrere una volta cessato il contratto di lavoro a termine o di lavoro temporaneo. Qua- lora il rapporto di lavoro sia stato di durata superiore a dodici mesi, l’anzianità nello stato di disoccupa- zione riprende a decorrere con un abbattimento pari alla durata eccedente i dodici mesi. Art. 5 Disposizioni transitorie e finali 1. In attesa della attuazione della delega di cui all’articolo 45, comma 1, della legge 17 maggio 1999, n.144, concernente la riforma degli ammortizzatori sociali e degli incentivi all’occupazione continuano a trovare applicazione le disposizioni vigenti in tema di trattamenti previdenziali in caso di disoccupa- zione, ivi compresa la disciplina dell’indennità di mobilità, di cui all’articolo 7 della legge 23 luglio 1991, n.223. 2. In sede di attuazione della delega di cui al comma 1 sono individuati criteri e modalità di raccordo tra l’attività svolta dai servizi competenti ai sensi del presente decreto e quella delle strutture private autorizzate all’attività di mediazione tra domanda e offerta di lavoro ai sensi dell’articolo 10 del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n.469. 208 LA NUOVA RIFORMA DEL COLLOCAMENTO (G.U. n. 47 del 26 febbraio 2003) Dal 30 gennaio 2003 è in vigore il Decreto legislativo 19 dicembre 2002 n. 297, che modifica e sostituisce il precedente D.Lgs 181/2000, recante norme per agevolare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. L’obiettivo continua ad essere quello di rendere i servizi per l’impiego sempre più all’altezza dei compiti assegnati in tema di politica attiva del lavoro e di prevenzione e contrasto della disoccupazione, in coerenza con gli indirizzi comunitari. LE PRINCIPALI ATTIVITÀ 9 la soppressione delle liste di collocamento ordinarie e speciali (ad eccezione delle liste di mobi- lità, del collocamento disabili e lavoratori dello spettacolo) 9 l’abrogazione della legge 112/1935 istitutiva del libretto di lavoro 9 l’ulteriore semplificazione delle procedure con l’adozione di nuovi modelli di scheda anagrafica e scheda professionale dei lavoratori, che costituiranno la base dei dati del sistema informativo lavoro 9 l’assunzione diretta di tutti i lavoratori per qualsiasi tipologia di rapporto di lavoro (eccetto casi specifici) 9 il ruolo delle regioni che intervengono con l’esercizio di potestà legislativa su ambiti cruciali per l’ottimizzazione dei servizi: dalla revisione e razionalizzazione delle procedure di collocamento, alla individuazione dei soggetti potenziali destinatari delle misure per l’inserimento nel mondo del lavoro LE NUOVE CATEGORIE DI UTENZA I soggetti potenziali destinatari di misure di promozione all’inserimento nel mercato del lavoro, nel quadro degli indirizzi comunitari di prevenzione della disoccupazione giovanile e della disoccupa- zione di lunga durata, sono così definiti: 9 Adolescenti: i minori di età compresa fra i 15 e 18 anni, che non siano più soggetti all’obbligo formativo 9 Giovani: i soggetti di età superiore a 18 anni e fino a 25 anni compiuti (29 anni se in possesso di diploma di laurea) 9 Disoccupati di lunga durata: coloro che, dopo aver perso un posto di lavoro o cessato un’attività di lavoro autonomo, siano alla ricerca di una nuova occupazione da più di 12 mesi o da più di 6 mesi se giovani 9 Inoccupati di lunga durata: coloro che, senza aver precedentemente svolto un’attività lavorativa, siano alla ricerca di un’occupazione da più di 12 mesi o da più di 6 mesi se giovani 9 Donne in reinserimento lavorativo: quelle che, già precedentemente occupate, intendano rientrare nel mercato del lavoro dopo almeno due anni di inattività STATO DI DISOCCUPAZIONE È definito stato di disoccupazione la condizione del soggetto privo di lavoro, che sia immediata- mente disponibile allo svolgimento ed alla ricerca di una attività lavorativa secondo modalità definite con i servizi competenti. Entro 180 giorni dalla entrata in vigore del decreto (cioè dal 30 gennaio 2003) i soggetti interes- sati devono recarsi presso i servizi competenti - i Centri per l’impiego - per la dichiarazione di disoc- cupazione (autocertificazione). Attenzione: In ogni caso restano valide le dichiarazioni prestate ai sensi della precedente normativa e gli obblighi che ne derivano per i servizi competenti. 209 L’accertamento dello stato di disoccupazione viene svolto sulla base dei seguenti principi: 9 si conserva lo stato disoccupazione, in caso di svolgimento di attività lavorativa con reddito annuale non superiore al reddito minimo personale escluso da imposizione (tranne che per lavoratori Asu) 9 si perde lo stato di disoccupazione in caso di mancata presentazione senza giustificato motivo alla convocazione del servizio competente nonché in caso di rifiuto di offerta di lavoro a tempo pieno indeterminato o determinato o lavoro temporaneo, con durata del contratto a termine/ missione superiore almeno a 8 mesi (4 mesi nel caso di giovani), nell’ambito di bacini, distanza dal domicilio e tempi di trasporto con mezzi pubblici, stabiliti dalle regioni 9 si sospende lo stato di disoccupazione in caso di accettazione di offerta di lavoro a tempo determinato o temporaneo di durata inferiore a 8 mesi (4 mesi per i giovani) LE MISURE DI PREVENZIONE Allo scopo di favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro e prevenire la disoccupazione di lunga durata i servizi per l’impiego devono assicurare, ai soggetti interessati, almeno i seguenti inter- venti: 9 colloquio di orientamento entro 3 mesi dall’inizio dello stato di disoccupazione 9 proposta di adesione a iniziative di inserimento lavorativo o di formazione e/o riqualificazione o altra misura che favorisca l’integrazione professionale, non oltre 4 mesi dall’inizio dello stato di disoccupazione per quanto riguarda gli adolescenti, i giovani e le donne in cerca di reinse- rimento e non oltre 6 mesi per gli altri soggetti a rischio di disoccupazione di lunga durata. 210 LEGGE 14 febbraio 2003, n. 30 “Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro” (G.U. n. 47 del 26 febbraio 2003) Art. 1 (Delega al Governo per la revisione della disciplina dei servizi pubblici e privati per l’impiego, nonché in materia di intermediazione e interposizione privata nella somministrazione di lavoro) 1. Allo scopo di realizzare un sistema efficace e coerente di strumenti intesi a garantire trasparenza ed efficienza al mercato del lavoro e a migliorare le capacità di inserimento professionale dei disoccu- pati e di quanti sono in cerca di una prima occupazione, con particolare riguardo alle donne e ai giovani, il Governo è delegato ad adottare, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentito il Ministro per le pari opportunità ed entro il termine di un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi diretti a stabilire, nel rispetto delle competenze affidate alle regioni in materia di tutela e sicurezza del lavoro dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, e degli obiettivi indicati dagli orientamenti annuali dell’Unione europea in materia di occupabilità, i princìpi fondamentali in materia di disciplina dei servizi per l’impiego, con particolare riferimento al sistema del collocamento, pubblico e privato, e di somministrazione di manodopera. 2. La delega è esercitata nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi: a) snellimento e semplificazione delle procedure di incontro tra domanda e offerta di lavoro; b) modernizzazione e razionalizzazione del sistema del collocamento pubblico, al fine di renderlo maggiormente efficiente e competitivo, secondo una disciplina incentrata su: 1) rispetto delle competenze previste dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, con par- ticolare riferimento alle competenze riconosciute alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano; 2) sostegno e sviluppo dell’attività lavorativa femminile e giovanile, nonché sostegno al rein- serimento dei lavoratori anziani; 3) abrogazione di tutte le norme incompatibili con la nuova regolamentazione del collocamento, ivi inclusa la legge 29 aprile 1949, n. 264, fermo restando il regime di autorizzazione o accreditamento per gli operatori privati ai sensi di quanto disposto dalla lettera l) e stabilendo, in materia di collocamento pubblico, un nuovo apparato sanzionatorio, con previsione di sanzioni amministrative per il mancato adempimento degli obblighi di legge; 4) mantenimento da parte dello Stato delle competenze in materia di conduzione coordinata ed integrata del sistema informativo lavoro; c) mantenimento da parte dello Stato delle funzioni amministrative relative alla conciliazione del- le controversie di lavoro individuali e plurime, nonché alla risoluzione delle controversie col- lettive di rilevanza pluriregionale; d) mantenimento da parte dello Stato delle funzioni amministrative relative alla vigilanza in materia di lavoro, alla gestione dei flussi di entrata dei lavoratori non appartenenti all’Unione europea, all’autorizzazione per attività lavorative all’estero; e) mantenimento da parte delle province delle funzioni amministrative attribuite dal decreto le- gislativo 23 dicembre 1997, n. 469; f) incentivazione delle forme di coordinamento e raccordo tra operatori privati e operatori pubblici, ai fini di un migliore funzionamento del mercato del lavoro, nel rispetto delle competenze delle regioni e delle province; g) ridefinizione del regime del trattamento dei dati relativi all’incontro tra domanda e offerta di lavoro, nel rispetto della legge 31 dicembre 1996, n. 675, al fine di evitare oneri aggiuntivi e ingiustificati rispetto alle esigenze di monitoraggio statistico; prevenzione delle forme di esclu- sione sociale e vigilanza sugli operatori, con previsione del divieto assoluto per gli operatori pri- vati e pubblici di qualsivoglia indagine o comunque trattamento di dati ovvero di preselezione dei lavoratori, anche con il loro consenso, in base all’affiliazione sindacale o politica, al credo religioso, al sesso, all’orientamento sessuale, allo stato matrimoniale, o di famiglia, o di gravi- danza, nonché ad eventuali controversie con i precedenti datori di lavoro. È altresì fatto divieto di raccogliere, memorizzare o diffondere informazioni sui lavoratori che non siano strettamente attinenti alle loro attitudini professionali e al loro inserimento lavorativo; 211 h) coordinamento delle disposizioni sull’incontro tra domanda e offerta di lavoro con la disciplina in materia di lavoro dei cittadini non comunitari, nel rispetto della normativa vigente in modo da prevenire l’adozione di forme di lavoro irregolare, anche minorile, e sommerso e al fine di semplificare le procedure di rilascio delle autorizzazioni al lavoro; i) eliminazione del vincolo dell’oggetto sociale esclusivo per le imprese di fornitura di presta- zioni di lavoro temporaneo di cui all’articolo 2 della legge 24 giugno 1997, n. 196, e per i sog- getti di cui all’articolo 10, comma 2, del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, e suc- cessive modificazioni, garantendo un periodo transitorio di graduale adeguamento per le so- cietà già autorizzate; l) identificazione di un unico regime autorizzatorio o di accreditamento per gli intermediari pubblici, con particolare riferimento agli enti locali, e privati, che abbiano adeguati requisiti giuridici e finanziari, differenziato in funzione del tipo di attività svolta, comprensivo delle ipotesi di trasferimento della autorizzazione e modulato in relazione alla natura giuridica del- l’intermediario, con particolare riferimento alle associazioni non riconosciute ovvero a enti o organismi bilaterali costituiti da associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale o territoriale, ai consulenti del la- voro di cui alla legge 11 gennaio 1979, n. 12, nonché alle università e agli istituti di scuola secondaria di secondo grado, prevedendo, altresì, che non vi siano oneri o spese a carico dei lavoratori, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 7 della Convenzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) del 19 giugno 1997, n. 181, ratificata dall’Italia in data 1º feb- braio 2000; m) abrogazione della legge 23 ottobre 1960, n. 1369, e sua sostituzione con una nuova disciplina basata sui seguenti criteri direttivi: 1) autorizzazione della somministrazione di manodopera, solo da parte dei soggetti identificati ai sensi della lettera l); 2) ammissibilità della somministrazione di manodopera, anche a tempo indeterminato, in pre- senza di ragioni di carattere tecnico, produttivo od organizzativo, individuate dalla legge o dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative; 3) chiarificazione dei criteri di distinzione tra appalto e interposizione, ridefinendo conte- stualmente i casi di comando e distacco, nonché di interposizione illecita laddove manchi una ragione tecnica, organizzativa o produttiva ovvero si verifichi o possa verificarsi la lesione di diritti inderogabili di legge o di contratto collettivo applicato al prestatore di lavoro; 4) garanzia del regime della solidarietà tra fornitore e utilizzatore in caso di somministrazione di lavoro altrui; 5) trattamento assicurato ai lavoratori coinvolti nell’attività di somministrazione di mano- dopera non inferiore a quello a cui hanno diritto i dipendenti di pari livello dell’impresa utilizzatrice; 6) conferma del regime sanzionatorio civilistico e penalistico previsto per i casi di violazione della disciplina della mediazione privata nei rapporti di lavoro, prevedendo altresì specifi- che sanzioni penali per le ipotesi di esercizio abusivo di intermediazione privata nonché un regime sanzionatorio più incisivo nel caso di sfruttamento del lavoro minorile; 7) utilizzazione del meccanismo certificatorio di cui all’articolo 5 ai fini della distinzione concreta tra interposizione illecita e appalto genuino, sulla base di indici e codici di com- portamento elaborati in sede amministrativa che tengano conto della rigorosa verifica della reale organizzazione dei mezzi e dell’assunzione effettiva del rischio di impresa da parte dell’appaltatore; n) attribuzione della facoltà ai gruppi di impresa, individuati ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile nonché ai sensi del decreto legislativo 2 aprile 2002, n. 74, di delegare lo svolgimento degli adempimenti di cui all’articolo 1 della legge 11 gennaio 1979, n. 12, alla società capo- gruppo per tutte le società controllate e collegate, ferma restando la titolarità delle obbligazioni contrattuali e legislative in capo alle singole società datrici di lavoro; o) abrogazione espressa di tutte le normative, anche se non espressamente indicate nelle lettere da a) a n), che sono direttamente o indirettamente incompatibili con i decreti legislativi emanati ai sensi del presente articolo; p) revisione del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 18, che ha modificato l’articolo 2112 del codice civile in tema di trasferimento d’azienda, al fine di armonizzarlo con la disciplina con- tenuta nella presente delega, basata sui seguenti criteri direttivi: 1) completo adeguamento della disciplina vigente alla normativa comunitaria, anche alla luce del necessario coordinamento con la legge 1º marzo 2002, n. 39, che dispone il recepimento della direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti; 2) previsione del requisito dell’autonomia funzionale del ramo di azienda nel momento del suo trasferimento; 3) previsione di un regime particolare di solidarietà tra appaltante e appaltatore, nei limiti di cui all’articolo 1676 del codice civile, per le ipotesi in cui il contratto di appalto sia connesso ad una cessione di ramo di azienda; q) redazione, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, di uno o più testi unici delle normative e delle disposizioni in materia di mercato del lavoro e incon- tro tra domanda e offerta di lavoro. Art. 2 (Delega al Governo in materia di riordino dei contratti a contenuto formativo e di tirocinio) 1. Il Governo è delegato ad adottare, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentito il Ministro per le pari opportunità, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica, con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca e con il Ministro per gli affari regionali, entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi diretti a stabilire, nel rispetto delle competenze affidate alle regioni in materia di tutela e sicurezza del lavoro dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, e degli obiettivi indicati dagli orientamenti annuali dell’Unione europea in materia di occupazione, la revisione e la razionalizzazione dei rapporti di lavoro con contenuto formativo, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi: a) conformità agli orientamenti comunitari in materia di aiuti di Stato alla occupazione; b) attuazione degli obiettivi e rispetto dei criteri di cui all’articolo 16, comma 5, della legge 24 giugno 1997, n. 196, al fine di riordinare gli speciali rapporti di lavoro con contenuti forma- tivi, così da valorizzare l’attività formativa svolta in azienda, confermando l’apprendistato come strumento formativo anche nella prospettiva di una formazione superiore in alternanza tale da garantire il raccordo tra i sistemi della istruzione e della formazione, nonché il pas- saggio da un sistema all’altro e, riconoscendo nel contempo agli enti bilaterali e alle strutture pubbliche designate competenze autorizzatorie in materia, specializzando il contratto di forma- zione e lavoro al fine di realizzare l’inserimento e il reinserimento mirato del lavoratore in azienda; c) individuazione di misure idonee a favorire forme di apprendistato e di tirocinio di impresa al fine del subentro nella attività di impresa; d) revisione delle misure di inserimento al lavoro, non costituenti rapporto di lavoro, mirate al- la conoscenza diretta del mondo del lavoro con valorizzazione dello strumento convenziona- le fra le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, il sistema formativo e le imprese, secondo modalità coerenti con quanto previsto dagli articoli 17 e 18 della legge 24 giugno 1997, n. 196, prevedendo una durata va- riabile fra uno e dodici mesi ovvero fino a ventiquattro mesi per i soggetti disabili, in relazione al livello di istruzione, alle caratteristiche della attività lavorativa e al territorio di appartenenza nonché, con riferimento ai soggetti disabili, anche in base alla natura della menomazione e al- l’incidenza della stessa sull’allungamento dei tempi di apprendimento in relazione alle speci- fiche mansioni in cui vengono inseriti, e prevedendo altresì la eventuale corresponsione di un sussidio in un quadro di razionalizzazione delle misure di inserimento non costituenti rap- porti di lavoro; e) orientamento degli strumenti definiti ai sensi dei princìpi e dei criteri direttivi di cui alle lettere b), c) e d), nel senso di valorizzare l’inserimento o il reinserimento al lavoro delle donne, par- ticolarmente di quelle uscite dal mercato del lavoro per l’adempimento di compiti familiari e che desiderino rientrarvi, al fine di superare il differenziale occupazionale tra uomini e donne; 212 213 f) semplificazione e snellimento delle procedure di riconoscimento e di attribuzione degli incen- tivi connessi ai contratti a contenuto formativo, tenendo conto del tasso di occupazione fem- minile e prevedendo anche criteri di automaticità; g) rafforzamento dei meccanismi e degli strumenti di monitoraggio e di valutazione dei risultati conseguiti, anche in relazione all’impatto sui livelli di occupazione femminile e sul tasso di occupazione in generale, per effetto della ridefinizione degli interventi di cui al presente articolo da parte delle amministrazioni competenti e tenuto conto dei criteri che saranno determinati dai provvedimenti attuativi, in materia di mercato del lavoro, della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; h) sperimentazione di orientamenti, linee-guida e codici di comportamento, al fine di determinare i contenuti dell’attività formativa, concordati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e territoriale, anche all’interno di enti bilaterali, ovvero, in difetto di accordo, determinati con atti delle regioni, d’intesa con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali; i) rinvio ai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparati- vamente più rappresentative, a livello nazionale, territoriale e aziendale, per la determinazione, anche all’interno degli enti bilaterali, delle modalità di attuazione dell’attività formativa in azienda. Art. 3 (Delega al Governo in materia di riforma della disciplina del lavoro a tempo parziale) 1. Il Governo è delegato ad adottare, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentito il Ministro per le pari opportunità, entro il termine di un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi, con esclusione dei rapporti di lavoro alle dipendenze di amministrazioni pubbliche, recanti norme per promuovere il ricorso a prestazioni di lavoro a tempo parziale, quale tipologia contrattuale idonea a favorire l’incremento del tasso di occupazione e, in particolare, del tasso di partecipazione delle donne, dei giovani e dei lavoratori con età superiore ai 55 anni, al mercato del lavoro, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi: a) agevolazione del ricorso a prestazioni di lavoro supplementare nelle ipotesi di lavoro a tempo parziale cosiddetto orizzontale, nei casi e secondo le modalità previsti da contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative su scala nazionale o territoriale, anche sulla base del consenso del lavoratore interessato in carenza dei predetti contratti collettivi; b) agevolazione del ricorso a forme flessibili ed elastiche di lavoro a tempo parziale nelle ipotesi di lavoro a tempo parziale cosiddetto verticale e misto, anche sulla base del consenso del lavo- ratore interessato in carenza dei contratti collettivi di cui alla lettera a), e comunque a fronte di una maggiorazione retributiva da riconoscere al lavoratore; c) estensione delle forme flessibili ed elastiche anche ai contratti a tempo parziale a tempo deter- minato; d) previsione di norme, anche di natura previdenziale, che agevolino l’utilizzo di contratti a tem- po parziale da parte dei lavoratori anziani al fine di contribuire alla crescita dell’occupazione giovanile anche attraverso il ricorso a tale tipologia contrattuale; e) abrogazione o integrazione di ogni disposizione in contrasto con l’obiettivo della incentiva- zione del lavoro a tempo parziale, fermo restando il rispetto dei princìpi e delle regole conte- nute nella direttiva 97/81/CE del Consiglio, del 15 dicembre 1997; f) affermazione della computabilità pro rata temporis in proporzione dell’orario svolto dal lavo- ratore a tempo parziale, in relazione all’applicazione di tutte le norme legislative e clausole contrattuali a loro volta collegate alla dimensione aziendale intesa come numero dei dipendenti occupati in ogni unità produttiva; g) integrale estensione al settore agricolo del lavoro a tempo parziale. Art. 4. (Delega al Governo in materia di disciplina delle tipologie di lavoro a chiamata, temporaneo, coordinato e continuativo, occasionale, accessorio e a prestazioni ripartite) 1. Il Governo è delegato ad adottare, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, entro il termine di un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legis- lativi recanti disposizioni volte alla disciplina o alla razionalizzazione delle tipologie di lavoro a chia- mata, temporaneo, coordinato e continuativo, occasionale, accessorio e a prestazioni ripartite, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi: a) riconoscimento di una congrua indennità cosiddetta di disponibilità a favore del lavoratore che garantisca nei confronti del datore di lavoro la propria disponibilità allo svolgimento di presta- zioni di carattere discontinuo o intermittente, così come individuate dai contratti collettivi sti- pulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative su scala nazionale o territoriale o, in via provvisoriamente sostitutiva, per decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, ed in ogni caso prevedendosi la possibilità di sperimentazione di detta tipologia contrattuale anche per prestazioni rese da soggetti in stato di disoccupazione con meno di 25 anni di età ovvero da lavoratori con più di 45 anni di età che siano stati espulsi dal ciclo produttivo in funzione di processi di riduzione o trasformazione di attività o di lavoro e iscritti alle liste di mobilità e di collocamento; eventuale non obbligatorietà per il prestatore di rispondere alla chiamata del datore di lavoro, non avendo quindi titolo a percepire la predetta indennità ma con diritto di godere di una retribuzione proporzionale al lavoro effettivamente svolto; b) con riferimento alle prestazioni di lavoro temporaneo, completa estensione al settore agricolo del lavoro temporaneo tramite agenzia, con conseguente applicabilità degli oneri contributivi di questo settore; 1) ricorso alla forma del lavoro a tempo determinato di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, ovvero alla forma della fornitura di lavoro temporaneo di cui alla legge 24 giugno 1997, n. 196, anche per soddisfare le quote obbligatorie di assunzione di lavoratori disabili di cui alla legge 12 marzo 1999, n. 68, secondo il principio pro rata temporis; 2) completa estensione al settore agricolo del lavoro temporaneo tramite agenzia, con conse- guente applicabilità degli oneri contributivi di questo settore; c) con riferimento alle collaborazioni coordinate e continuative: 1) previsione della stipulazione dei relativi contratti mediante un atto scritto da cui risultino la durata, determinata o determinabile, della collaborazione, la riconducibilità di questa a uno o più progetti o programmi di lavoro o fasi di esso, resi con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione, nonché l’indicazione di un corrispettivo, che deve essere proporzionato alla qualità e quantità del lavoro; 2) differenziazione rispetto ai rapporti di lavoro meramente occasionali, intendendosi per tali i rapporti di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell’anno solare con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivo per lo svolgimento della prestazione sia superiore a 5.000 euro; 3) riconduzione della fattispecie a uno o più progetti o programmi di lavoro o fasi di esso; 4) previsione di tutele fondamentali a presidio della dignità e della sicurezza dei collaboratori, con particolare riferimento a maternità, malattia e infortunio, nonché alla sicurezza nei luoghi di lavoro, anche nel quadro di intese collettive; 5) previsione di un adeguato sistema sanzionatorio nei casi di inosservanza delle disposizioni di legge; 6) ricorso, ai sensi dell’articolo 5, ad adeguati meccanismi di certificazione della volontà delle parti contraenti; d) ammissibilità di prestazioni di lavoro occasionale e accessorio, in generale e con particolare riferimento a opportunità di assistenza sociale, rese a favore di famiglie e di enti senza fini di lucro, da disoccupati di lungo periodo, altri soggetti a rischio di esclusione sociale o comunque non ancora entrati nel mercato del lavoro, ovvero in procinto di uscirne, regolarizzabili attra- verso la tecnica di buoni corrispondenti a un certo ammontare di attività lavorativa, ricorrendo, ai sensi dell’articolo 5, ad adeguati meccanismi di certificazione; 214 215 e) ammissibilità di prestazioni ripartite fra due o più lavoratori, obbligati in solido nei confronti di un datore di lavoro, per l’esecuzione di un’unica prestazione lavorativa. f) configurazione specifica come prestazioni che esulano dal mercato del lavoro e dagli obblighi connessi delle prestazioni svolte in modo occasionale o ricorrente di breve periodo, a titolo di aiuto, mutuo aiuto, obbligazione morale senza corresponsione di compensi, salve le spese di mantenimento e di esecuzione dei lavori, e con particolare riguardo alle attività agricole. Art. 5 (Delega al Governo in materia di certificazione dei rapporti di lavoro) 1. Al fine di ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei rapporti di lavoro, con esclu- sione dei rapporti di lavoro alle dipendenze di amministrazioni pubbliche, il Governo è delegato ad adottare, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, entro il termine di un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi recanti disposizioni in materia di certificazione del relativo contratto stipulato tra le parti, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi: a) carattere volontario e sperimentale della procedura di certificazione; b) individuazione dell’organo preposto alla certificazione del rapporto di lavoro in enti bilaterali costituiti a iniziativa di associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative, ovvero presso strutture pubbliche aventi competenze in materia, o anche università; c) definizione delle modalità di organizzazione delle sedi di certificazione e di tenuta della relativa documentazione; d) indicazione del contenuto e della procedura di certificazione; e) attribuzione di piena forza legale al contratto certificato ai sensi della procedura di cui alla let- tera d), con esclusione della possibilità di ricorso in giudizio se non in caso di erronea qualifica- zione del programma negoziale da parte dell’organo preposto alla certificazione e di difformità tra il programma negoziale effettivamente realizzato dalle parti e il programma negoziale con- cordato dalle parti in sede di certificazione; f) previsione di espletare il tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dall’articolo 410 del codice di procedura civile innanzi all’organo preposto alla certificazione quando si intenda impugnare l’erronea qualificazione dello stesso o la difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione, prevedendo che gli effetti dell’accertamento svolto dal- l’organo preposto alla certificazione permangano fino al momento in cui venga provata l’erronea qualificazione del programma negoziale o la difformità tra il programma negoziale concordato dalle parti in sede di certificazione e il programma attuato. In caso di ricorso in giudizio, intro- duzione dell’obbligo in capo all’autorità giudiziaria competente di accertare anche le dichiara- zioni e il comportamento tenuto dalle parti davanti all’organo preposto alla certificazione del contratto di lavoro; g) attribuzione agli enti bilaterali della competenza a certificare non solo la qualificazione del con- tratto di lavoro e il programma negoziale concordato dalle parti, ma anche le rinunzie e trans- azioni di cui all’articolo 2113 del codice civile a conferma della volontà abdicativa o transattiva delle parti stesse; h) estensione della procedura di certificazione all’atto di deposito del regolamento interno riguardante la tipologia dei rapporti attuati da una cooperativa ai sensi dell’articolo 6 della legge 3 aprile 2001, n. 142, e successive modificazioni; i) verifica dell’attuazione delle disposizioni, dopo ventiquattro mesi dalla data della loro entrata in vigore, da parte del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentite le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Art. 6 (Esclusione) 1. Le disposizioni degli articoli da 1 a 5 non si applicano al personale delle pubbliche ammini- strazioni ove non siano espressamente richiamate. Art. 7 (Disposizioni concernenti l’esercizio delle deleghe di cui agli articoli da 1 a 5) 1. Gli schemi dei decreti legislativi di cui agli articoli da 1 a 5, deliberati dal Consiglio dei ministri e corredati da una apposita relazione cui è allegato il parere della Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sentite le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative dei datori e prestatori di lavoro, sono trasmessi alle Camere per l’espressione del parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari permanenti entro la scadenza del termine previsto per l’esercizio della relativa delega. 2. In caso di mancato rispetto del termine per la trasmissione, il Governo decade dall’esercizio della delega. Le competenti Commissioni parlamentari esprimono il parere entro trenta giorni dalla data di trasmissione. Qualora il termine per l’espressione del parere decorra inutilmente, i decreti legislativi possono essere comunque adottati. 3. Qualora il termine previsto per il parere delle Commissioni parlamentari scada nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine per l’esercizio della delega o successivamente, quest’ultimo è prorogato di sessanta giorni. 4. Entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, il Governo può adottare eventuali disposizioni modificative e correttive con le medesime modalità e nel rispetto dei medesimi criteri e princìpi direttivi. 5. Dall’attuazione delle disposizioni degli articoli da 1 a 5 non devono derivare oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato. Art. 8 (Delega al Governo per la razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro) 1. Allo scopo di definire un sistema organico e coerente di tutela del lavoro con interventi omogenei, il Governo è delegato ad adottare, nel rispetto delle competenze affidate alle regioni, su proposta del Ministro del lavoro delle politiche sociali ed entro il termine di un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per il riassetto della disciplina vigente sulle ispezioni in materia di previdenza sociale e di lavoro, nonché per la definizione di un quadro regolatorio finaliz- zato alla prevenzione delle controversie individuali di lavoro in sede conciliativa, ispirato a criteri di equità ed efficienza. 2. La delega di cui al comma 1 è esercitata nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi: a) improntare il sistema delle ispezioni alla prevenzione e promozione dell’osservanza della disciplina degli obblighi previdenziali, del rapporto di lavoro, del trattamento economico e nor- mativo minimo e dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, anche valorizzando l’attività di consulenza degli ispettori nei confronti dei destinatari della citata disciplina; b) definizione di un raccordo efficace fra la funzione di ispezione del lavoro e quella di concilia- zione delle controversie individuali; c) ridefinizione dell’istituto della prescrizione e diffida propri della direzione provinciale del la- voro; d) semplificazione dei procedimenti sanzionatori amministrativi e possibilità di ricorrere alla di- rezione regionale del lavoro; e) semplificazione della procedura per la soddisfazione dei crediti di lavoro correlata alla promo- zione di soluzioni conciliative in sede pubblica; f) riorganizzazione dell’attività ispettiva del Ministero del lavoro e delle politiche sociali in materia di previdenza sociale e di lavoro con l’istituzione di una direzione generale con compiti di direzione e coordinamento delle strutture periferiche del Ministero ai fini dell’esercizio unitario della predetta funzione ispettiva, tenendo altresì conto della specifica funzione di polizia giudi- ziaria dell’ispettore del lavoro; g) razionalizzazione degli interventi ispettivi di tutti gli organi di vigilanza, compresi quelli degli istituti previdenziali, con attribuzione della direzione e del coordinamento operativo alle dire- zioni regionali e provinciali del lavoro sulla base delle direttive adottate dalla direzione gene- rale di cui alla lettera f). 216 217 3. Gli schemi dei decreti legislativi di cui al comma 1 sono trasmessi alle Camere per l’espressione del parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari permanenti entro la scadenza del termine previsto per l’esercizio della delega. Le competenti Commissioni parlamentari esprimono il parere entro trenta giorni dalla data di trasmissione. Qualora il termine per l’espressione del parere decorra inutil- mente, i decreti legislativi possono essere comunque adottati. 4. Qualora il termine previsto per il parere delle Commissioni parlamentari scada nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine per l’esercizio della delega o successivamente, quest’ultimo è prorogato di sessanta giorni. 5. Entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, il Governo può emanare eventuali disposizioni modificative e correttive con le medesime modalità di cui ai commi 3 e 4, attenendosi ai princìpi e ai criteri direttivi indicati al comma 2. 6. L’attuazione della delega di cui al presente articolo non deve comportare oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica. Art. 9 (Modifiche alla legge 3 aprile 2001, n. 142) 1. Alla legge 3 aprile 2001, n. 142, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 1, comma 3, primo periodo, le parole: “e distinto” sono soppresse; b) all’articolo 2, comma 1, dopo il primo periodo, è inserito il seguente: “L’esercizio dei diritti di cui al titolo III della citata legge n. 300 del 1970 trova applicazione compatibilmente con lo stato di socio lavoratore, secondo quanto determinato da accordi collettivi tra associazioni nazionali del movimento cooperativo e organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative”; c) all’articolo 3, dopo il comma 2, è aggiunto il seguente: “2-bis. In deroga alle disposizioni di cui al comma 1, le cooperative della piccola pesca di cui alla legge 13 marzo 1958, n. 250, possono corrispondere ai propri soci lavoratori un compenso proporzionato all’entità del pescato, se- condo criteri e parametri stabiliti dal regolamento interno previsto dall’articolo 6”; d) all’articolo 5, il comma 2 è sostituito dal seguente: “2. Il rapporto di lavoro si estingue con il recesso o l’esclusione del socio deliberati nel rispetto delle previsioni statutarie e in conformità con gli articoli 2526 e 2527 del codice civile. Le controversie tra socio e cooperativa relative alla prestazione mutualistica sono di competenza del tribunale ordinario”; e) all’articolo 6, comma 1, le parole: “Entro nove mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge” sono sostituite dalle seguenti: “Entro il 31 dicembre 2003”; f) all’articolo 6, comma 2, dopo le parole: “del comma 1”, sono inserite le seguenti: “nonchè al- l’articolo 3, comma 2-bis” e le parole: “ai trattamenti retributivi ed alle condizioni di lavoro previsti dai contratti collettivi nazionali di cui all’articolo 3” sono sostituite dalle seguenti: “al solo trattamento economico minimo di cui all’articolo 3, comma 1”; g) all’articolo 6 è aggiunto, in fine, il seguente comma: “2-bis. Le cooperative di cui all’articolo 1, comma 1, lettera b), della legge 8 novembre 1991, n. 381, possono definire accordi territo- riali con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative per rendere compa- tibile l’applicazione del contratto collettivo di lavoro nazionale di riferimento all’attività svolta. Tale accordo deve essere depositato presso la direzione provinciale del lavoro competente per territorio”. Art. 10. (Modifica dell’articolo 3 del decreto-legge 22 marzo 1993, n. 71) 1. L’articolo 3 del decreto-legge 22 marzo 1993, n. 71, convertito dalla legge 20 maggio 1993, n. 151, è sostituito dal seguente: “Art. 3. - (Benefici alle imprese artigiane, commerciali e del turismo). - 1. Per le imprese artigiane, commerciali e del turismo rientranti nella sfera di applicazione degli accordi e contratti collettivi nazionali, regionali e territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, il riconoscimen- to di benefici normativi e contributivi è subordinato all’integrale rispetto degli accordi e contratti cita- ti, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”. Avvertenza: Il testo delle note qui pubblicato è stato redatto dall’amministrazione competente per materia, ai sensi dell’art. 10, commi 2 e 3, del testo unico delle disposizioni sulla promulgazione delle leggi, sul- l’emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica e sulle pubblicazioni ufficiali della Repubblica italiana, approvato con D.P.R. 28 dicembre 1985, n. 1092, al solo fine di facilitare la lettura delle disposizioni di legge modificate o alle quali è operato il rinvio. Restano invariati il valore e l’efficacia degli atti legislativi qui trascritti. Per le direttive CEE vengono forniti gli estremi di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee (GUCE). Note all’art. 1: - Il testo della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 24 ottobre 2001, n. 248. - Il testo della legge 29 aprile 1949, n. 264 (Provvedimenti in materia di avviamento al lavoro e di assistenza dei lavoratori involontariamente disoccupati), è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 1° giugno 1949, n. 125, supplemento ordinario. - Il decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, reca: “Conferimento alle regioni e agli enti lo- cali difunzioni e compiti in materia di mercato del lavoro, a norma dell’art. 1 della legge 15 marzo 1997, n. 59”. - Il testo della legge 31 dicembre 1996, n. 675 (Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali), è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 8 gennaio 1997, n. 5, supplemen- to ordinario. - Il testo dell’art. 2 della legge 24 giugno 1997, n. 196 (Norme in materia di promozione dell’oc- cupazione), è il seguente: “Art. 2 (Soggetti abilitati all’attività di fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo). - 1. L’attività di fornitura di lavoro temporaneo può essere esercitata soltanto da società iscritte in apposito albo istituito presso il Ministero del lavoro e della previdenza sociale. Il Ministero del lavoro e della previdenza sociale rilascia, sentita la commissione centrale per l’impiego, entro sessanta giorni dalla richiesta e previo accertamento della sussistenza dei requisiti di cui al comma 2, l’autorizzazione provvisoria all’esercizio dell’attività di fornitura di prestazioni di la- voro temporaneo, provvedendo contestualmente all’iscrizione delle società nel predetto albo. Decorsi due anni il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, su richiesta del soggetto autorizzato, entro i trenta giorni successivi rilasciata l’autorizzazione a tempo indeterminato subordinatamente alla veri- fica del corretto andamento dell’attività svolta. 2. I requisiti richiesti per l’esercizio dell’attività di cui al comma 1 sono i seguenti: a) la costituzione della società nella forma di società di capitali ovvero cooperativa, italiana o di altro Stato membro dell’Unione europea; l’inclusione nella denominazione sociale delle paro- le: “società di fornitura di lavoro temporaneo”; l’individuazione, quale oggetto esclusivo, del- la predetta attività; l’acquisizione di un capitale versato non inferiore a un miliardo di lire; la sede legale o una sua dipendenza nel territorio dello Stato o di altro Stato membro dell’Unione europea; b) la disponibilità di uffici e di competenze professionali idonee allo svolgimento dell’attività di fornitura di manodopera nonché la garanzia che l’attività interessi un ambito distribuito ull’in- tero territorionazionale e comunque non inferiore a quattro regioni; c) a garanzia dei crediti dei lavoratori assunti con il contratto di cui all’art. 3 e dei corrisponden- ti crediti contributivi degli enti previdenziali, la disposizione, per i primi due anni, di un depo- sito cauzionale di lire 700 milioni presso un istituto di credito avente sede o dipendenza nel ter- ritorio nazionale o di altro Stato membro dell’Unione europea; a decorrere dal terzo anno so- lare, la disposizione, in luogo della cauzione, di una fidejussione bancaria o assicurativa non in- feriore al 5 per cento del fatturato, al netto dell’imposta sul valore aggiunto, realizzato nell’an- no precedente e comunque non inferiore a lire 700 milioni; d) in capo agli amministratori, ai direttori generali, ai dirigenti muniti di rappresentanza e ai soci accomandatari: assenza di condanne penali, anche non definitive, ivi comprese le sanzioni so- stitutive di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689, per delitti contro il patrimonio, per delitti contro la fede pubblica o contro l’economia pubblica, per il delitto previsto dall’art. 416-bis del codice penale, o per delitti non colposi per i quali la legge commini la pena della reclusione non 218 219 inferiore nel massimo a tre anni, per delitti o contravvenzioni previsti da leggi dirette alla prevenzione degli infortuni sul lavoro o, in ogni caso, previsti da leggi in materia di lavoro o di previdenza sociale; assenza, altresì, di sottoposizione alle misure di prevenzione disposte ai sensi della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, o della legge 31 maggio 1965, n. 575, o della legge 13 settembre 1982, n. 646, e successive modificazioni. 3. L’autorizzazione di cui al comma 1 può essere concessa anche a società cooperative di produ- zione e lavoro che, oltre a soddisfare le condizioni di cui al comma 2, abbiano almeno cinquanta soci e tra di essi, come socio sovventore, almeno un fondo mutualistico per la promozione e lo sviluppo della cooperazione, di cui agli articoli 11 e 12 della legge 31 gennaio 1992, n. 9, e che occupino lavoratori dipendenti per un numero di giornate non superiore ad un terzo delle giornate di lavoro effettuate dalla cooperativa nel suo complesso. Soltanto i lavoratori dipendenti dalla società cooperativa di produzione e lavoro possono essere da questa forniti come prestatori di lavoro temporaneo. 4. I requisiti di cui ai commi 2 e 3 nonché le informazioni di cui al comma 7 sono dichiarati dalla società alla camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura della provincia in cui ha la sede legale, per l’iscrizione nel registro di cui all’art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica 7 dicembre 1995, n. 581. 5. Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, con decreto da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, stabilisce le modalità della presentazione della richiesta di autorizzazione di cui al comma 1. 6. Il Ministero del lavoro e della previdenza sociale svolge vigilanza e controllo sull’attività dei soggetti abilitati alla fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo ai sensi del presente articolo e sulla permanenza in capo ai medesimi soggetti dei requisiti di cui al comma 2. 7. La società comunica all’autorità concedente gli spostamenti di sede, l’apertura delle filiali o succursali, la cessazione dell’attività ed ha inoltre l’obbligo di fornire all’autorità concedente tutte le informazioni da questa richiesta. 8. La disciplina in materia di assunzioni obbligatorie e l’obbligo di riserva di cui all’art. 25, com- ma 1, della legge 23 luglio 1991, n. 223, non si applicano all’impresa fornitrice con riferimento ai lavoratori da assumere con contratto per prestazioni di lavoro temporaneo. I predetti lavoratori non so- no computati ai fini dell’applicazione, all’impresa fornitrice, delle predette disposizioni”. - Il testo dell’art. 10, comma 2, del citato decreto legislativo n. 469 del 1997, è il seguente: “2. L’attività di mediazione tra domanda ed offerta di lavoro può essere svolta, previa autorizza- zione del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, da imprese o gruppi di imprese, anche società cooperative con capitale versato non inferiore a 200 milioni di lire nonché da enti non commerciali con patrimonio non inferiore a 200 milioni. Fermo restando forme societarie anche non di capitali, per lo svolgimento di attività di ricerca e selezione nonché di supporto alla ricollocazione professionale, il limite di capitale versato ammonta a lire 50 milioni”. - Il testo della legge 11 gennaio 1979, n. 12 (Norme per l’ordinamento della professione di con- sulente del lavoro), è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 20 gennaio 1979, n. 20. - Il testo dell’art. 7 della Convenzione dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) del 19 giugno 1997, n. 181 (Convenzione sulle agenzie per l’impiego private), è il seguente: “Art. 7. - 1. Le agenzie per l’impiego private non devono far pagare ai lavoratori, direttamente o indirettamente, spese o altri costi. 2. Nell’interesse dei lavoratori, l’autorità competente, previa consultazione delle organizzazioni di datori di lavoro e di lavoratori maggiormente rappresentative, può autorizzare deroghe alle disposi- zioni del paragrafo 1 di cui sopra per alcune categorie di lavoratori, e per servizi specificamente iden- tificati, forniti dalle agenzie per l’impiego private. 3. Ogni membro che avrà autorizzato deroghe ai sensi del paragrafo 2 di cui sopra dovrà, nei suoi rapporti a titolo dell’art. 22 della Costituzione dell’Organizzazione internazionale del lavoro, fornire in- formazioni su tali deroghe ed esplicitarne i motivi”. - Il testo della legge 23 ottobre 1960, n. 1369 (Divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro e nuova disciplina dell’impiego di mano d’opera negli appalti di opere e di servizi), è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 25 novembre 1960, n. 289. - Il testo dell’art. 2359 del codice civile è il seguente: “Art. 2359 (Società controllate e società collegate). - Sono considerate società controllate: 1) le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria; 2) le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria; 3) le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtu’ di particolari vincoli contrattuali con essa. Ai fini dell’applicazione dei numeri 1) e 2) del primo comma si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta; non si computano i voti spettanti per conto di terzi. Sono considerate collegate le società sulle quali un’altra società esercita un’influenza notevole. L’influenza si presume quando nell’assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei vo- ti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in borsa”. - Il testo del decreto legislativo 2 aprile 2002, n. 74 (Attuazione della direttiva del Consiglio del 22 settembre 1994, 94/45/CE, relativa all’istituzione di un comitato aziendale europeo o di una proce- dura per l’informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di di- mensioni comunitarie), è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 24 aprile 2002, n. 96. - Il testo dell’art. 1 della citata legge n. 12 del 1979, è il seguente: “Art. 1 (Esercizio della professione di consulente del lavoro). - Tutti gli adempimenti in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale dei lavoratori dipendenti, quando non sono curati dal datore di lavoro, direttamente od a mezzo di propri dipendenti, non possono essere assunti se non da coloro che siano iscritti nell’albo dei consulenti del lavoro a norma dell’art. 9 della presente legge, salvo il disposto del successivo art. 40, nonché da coloro che siano iscritti negli albi degli avvocati e procura- tori legali, dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali, i quali in tal caso sono tenuti a darne comunicazione agli ispettorati del lavoro delle province nel cui ambito territoriale intendono svolgere gli adempimenti di cui sopra. I dipendenti del Ministero del lavoro e della previdenza sociale che abbiano prestato servizio, almeno per quindici anni, con mansioni di ispettori del lavoro presso gli ispettorati del lavoro, sono esonerati dagli esami per l’iscrizione all’albo dei consulenti del lavoro e dal tirocinio per esercitare tale attività. Il personale di cui al presente comma non potrà essere iscritto all’albo della provincia dove ha prestato servizio se non dopo quattro anni dalla cessazione del servizio stesso. Il titolo di consulente del lavoro spetta alle persone che, munite dell’apposita abilitazione profes- sionale, sono iscritte nell’albo di cui all’art. 8 della presente legge. Le imprese considerate artigiane ai sensi della legge 25 luglio 1956, n. 860, nonché le altre pic- cole imprese, anche in forma cooperativa, possono affidare l’esecuzione degli adempimenti di cui al primo comma a servizi o a centri di assistenza fiscale istituiti dalle rispettive associazioni di categoria. Tali servizi possono essere organizzati a mezzo dei consulenti del lavoro, anche se dipendenti dalle predette associazioni. Per lo svolgimento delle operazioni di calcolo e stampa relative agli adempimenti di cui al primo comma, nonché per l’esecuzione delle attività strumentali ed accessorie, le imprese di cui al quarto comma possono avvalersi anche di centri di elaborazione dati costituiti e composti esclusivamente da soggetti iscritti agli albi di cui alla presente legge con versamento, da parte degli stessi, della contribu- zione integrativa alle casse di previdenza sul volume di affari ai fini IVA, ovvero costituiti o promossi dalle rispettive associazioni di categoria alle condizioni definite al citato quarto comma. I criteri di at- tuazione della presente disposizione sono stabiliti dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale sentiti i rappresentanti delle associazioni di categoria e degli ordini e collegi professionali interessati. Le imprese con oltre duecentocinquanta addetti che non si avvalgono, per le operazioni suddette, di pro- prie strutture interne possono demandarle a centri di elaborazione dati, di diretta costituzione od esterni, i quali devono essere in ogni caso assistiti da uno o piu’ soggetti di cui al primo comma. Presso il Ministero del lavoro e della previdenza sociale è istituito un comitato di monitoraggio, composto dalle associazioni di categoria, dai rappresentanti degli ordini e collegi di cui alla presente leg- ge e delle organizzazioni sindacali comparativamente piu’ rappresentative a livello nazionale, allo sco- po di esaminare i problemi connessi all’evoluzione professionale ed occupazionale del settore”. - Il testo del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 18 (Attuazione della direttiva 98/50/CE rela- tiva al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti), è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 21 febbraio 2001, n. 43. - Il testo della legge 1 marzo 2002, n. 39 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2001), è pubblicato nella Gaz- zetta Ufficiale 26 marzo 2002, n. 72, supplemento ordinario. 220 221 - Il testo della direttiva 12 marzo 2001, n. 2001/23/CE (Direttiva del Consiglio concernente il rav- vicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti), è pubblicato nel- la Gazzetta Ufficiale C.E. 22 marzo 2001 n. L 82. - Il testo dell’art. 1676 del codice civile è il seguente: “Art. 1676 (Diritti degli ausiliari dell’appaltatore verso il committente). - Coloro che, alle dipen- denze dell’appaltatore, hanno dato la loro attività per eseguire l’opera o per prestare il servizio possono proporre azione diretta contro il committente per conseguire quanto è loro dovuto, fino alla concorrenza del debito che il committente ha verso l’appaltatore nel tempo in cui essi propongono la domanda”. Note all’art. 2: - Il testo della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte secon- da della Costituzione), è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 24 ottobre 2001, n. 248. - Il testo dell’art. 16, comma 5, della citata legge n. 196 del 1997, è il seguente: “5. Il Governo emana entro nove mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, previo parere delle competenti commissioni parlamentari, norme regolamentari ai sensi dell’art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro del lavoro e della previdenza sociale in materia di speciali rapporti di lavoro con contenuti formativi quali l’apprendistato e il contratto di formazione e lavoro, allo scopo di pervenire ad una disciplina organica della materia secondo criteri di valorizzazione dei contenuti formativi, con effi- ciente utilizzo delle risorse finanziarie vigenti, di ottimizzazione ai fini della creazione di occasioni di impiego delle specifiche tipologiche contrattuali, nonché di semplificazione, razionalizzazione e delegificazione, con abrogazione, ove occorra, delle norme vigenti. Dovrà altresì essere definito, nel- l’ambito delle suddette norme regolamentari, un sistema organico di controlli sulla effettività del- l’addestramento e sul reale rapporto tra attività lavorativa e attività formativa, con la previsione di spe- cifiche sanzioni amministrative per l’ipotesi in cui le condizioni previste dalla legge non siano state assicurate”. - Il testo dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sul- l’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), è il seguente: “2. Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le regioni, le province, i comuni, le comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli istituti autonomi case popolari, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300”. - Il testo dell’art. 17, della citata legge n. 196 del 1997, è il seguente: “Art. 17 (Riordino della formazione professionale). - 1. Allo scopo di assicurare ai lavoratori adeguate opportunità di formazione ed elevazione pro- fessionale anche attraverso l’integrazione del sistema di formazione professionale con il sistema sco- lastico e con il mondo del lavoro e un piu’ razionale utilizzo delle risorse vigenti, anche comunitarie, destinate alla formazione professionale e al fine di realizzare la semplificazione normativa e di per- venire ad una disciplina organica della materia, anche con riferimento ai profili formativi di speciali rapporti di lavoro quali l’apprendistato e il contratto di formazione e lavoro, il presente articolo defi- nisce i seguenti principi e criteri generali, nel rispetto dei quali sono adottate norme di natura rego- lamentare costituenti la prima fase di un piu’ generale, ampio processo di riforma della disciplina in materia: a) valorizzazione della formazione professionale quale strumento per migliorare la qualità del- l’offerta di lavoro, elevare le capacità competitive del sistema produttivo, in particolare con riferimento alle medie e piccole imprese e alle imprese artigiane e incrementare l’occupazio- ne, attraverso attività di formazione professionale caratterizzate da moduli flessibili, adeguati alle diverse realtà produttive locali nonché di promozione e aggiornamento professionale degli imprenditori, dei lavoratori autonomi, dei soci di cooperative, secondo modalità adeguate alle loro rispettive specifiche esigenze; b) attuazione dei diversi interventi formativi anche attraverso il ricorso generalizzato a stages, in grado di realizzare il raccordo tra formazione e lavoro e finalizzati a valorizzare pienamente il momento dell’orientamento nonché a favorire un primo contatto dei giovani con le imprese; c) svolgimento delle attività di formazione professionale da parte delle regioni e/o delle province anche in convenzione con istituti di istruzione secondaria e con enti privati aventi requisiti predeterminati; d) destinazione progressiva delle risorse di cui al comma 5 dell’art. 9 del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, agli interventi di formazione dei lavoratori e degli altri soggetti di cui alla lettera a) nell’ambito di piani formativi aziendali o territoriali concordati tra le parti sociali, con specifico riferimento alla formazione di lavoratori in costanza di rapporto di lavoro, di lavoratori collocati in mobilità, di lavoratori dis- occupati per i quali l’attività formativa è propedeutica all’assunzione; le risorse di cui alla pre- sente lettera confluiranno in uno o piu’ fondi nazionali, articolati regionalmente e territorial- mente aventi configurazione giuridica di tipo privatistico e gestiti con partecipazione delle parti sociali; dovranno altresì essere definiti i meccanismi di integrazione del fondo di rotazione; e) attribuzione al Ministro del lavoro e della previdenza sociale di funzioni propositive ai fini del- la definizione da parte del comitato di cui all’art. 5, comma 5, dei criteri e delle modalità di cer- tificazione delle competenze acquisite con la formazione professionale; f) adozione di misure idonee a favorire, secondo piani di intervento predisposti dalle regioni, la formazione e la mobilità interna o esterna al settore degli addetti alla formazione professiona- le nonché la ristrutturazione degli enti di formazione e la trasformazione dei centri in agenzie formative al fine di migliorare l’offerta formativa e facilitare l’integrazione dei sistemi; le risorse finanziarie da destinare a tali interventi saranno individuate con decreto del Ministro del lavo- ro e della previdenza sociale nell’ambito delle disponibilità, da preordinarsi allo scopo, esistenti nel Fondo di cui all’art. 1, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236; g) semplificazione delle procedure, ivi compresa la eventuale sostituzione della garanzia fidejus- soria prevista dall’art. 56 della legge 6 febbraio 1996, n. 52, per effetto delle disposizioni di cui ai commi 3 e seguenti definite a livello nazionale anche attraverso parametri standard, con de- ferimento ad atti delle amministrazioni competenti, adottati anche ai sensi dell’art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, ed a strumenti convenzionali oltre che delle disposizioni di natura integrativa, esecutiva e organizzatoria anche della disciplina di specifici aspetti nei casi previsti dalle disposizioni regolamentari emanate ai sensi del comma 2, con particolare riferimento alla possibilità di stabilire requisiti minimi e criteri di valutazione delle sedi operative ai fini dell’accreditamento; h) abrogazione, ove occorra, delle norme vigenti. 2. Le disposizioni regolamentari di cui al comma 1 sono emanate, a norma dell’art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con uno o piu’ decreti, sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministri della pubblica istruzione, dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, per le pari opportunità, del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, per la funzione pubblica e gli affari regionali, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, previo parere delle com- petenti commissioni parlamentari. 3. A garanzia delle somme erogate a titolo di anticipo o di acconto a valere sulle risorse del Fon- do sociale europeo e dei relativi cofinanziamenti nazionali è istituito, presso il Ministero del tesoro - Ra- gioneria generale dello Stato - Ispettorato generale per l’amministrazione del Fondo di rotazione per l’at- tuazione delle politiche comunitarie (IGFOR), un fondo di rotazione con amministrazione autonoma e gestione fuori bilancio ai sensi dell’art. 9 della legge 25 novembre 1971, n. 1041. 4. Il Fondo di cui al comma 3 è alimentato da un contributo a carico dei soggetti privati attuatori degli interventi finanziati, nonché, per l’anno 1997, da un contributo di lire 30 miliardi che graverà sulle disponibilità derivanti dal terzo del gettito della maggiorazione contributiva prevista dall’art. 25 della legge 21 dicembre 1978, n. 845, che affluisce, ai sensi dell’art. 9, comma 5, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, al Fondo di rotazione per la formazione professionale e per l’accesso al Fondo sociale europeo previsto dal mede- simo art. 25 della citata legge n. 845 del 1978. 222 223 5. Il Fondo di cui al comma 3 utilizzerà le risorse di cui al comma 4 per rimborsare gli organismi comunitari e nazionali, erogatori dei finanziamenti, nelle ipotesi di responsabilità sussidiaria dello Stato membro, ai sensi dell’art. 23 del regolamento (CEE) n. 2082/93 del Consiglio del 20 luglio 1993, accertate anche precedentemente alla data di entrata in vigore della presente legge. 6. Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge il Ministro del tesoro, di concerto con il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, stabilisce con proprio decreto le norme di amministrazione e di gestione del Fondo di cui al comma 3. Con il medesimo decreto è individuata l’aliquota del contributo a carico dei soggetti privati di cui al comma 4, da calcolare sull’importo del funzionamento concesso, che può essere rideterminata con successivo decreto per assicurare l’equili- brio finanziario del predetto Fondo. Il contributo non grava sull’importo dell’aiuto finanziario al quale hanno diritto i beneficiari”. - Il testo dell’art. 18, della citata legge n. 196 del 1997, è il seguente: “Art. 18 (Tirocini formativi e di orientamento). - 1. Al fine di realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro e di agevolare le scelte professionali mediante la conoscenza diretta del mondo del la- voro, attraverso iniziative di tirocini pratici e stages a favore di soggetti che hanno già assolto l’obbli- go scolastico ai sensi della legge 31 dicembre 1962, n. 1859, con decreto del Ministro del lavoro e del- la previdenza sociale, di concerto con il Ministro della pubblica istruzione, dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, da adottarsi ai sensi dell’art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono ema- nate, entro nove mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, disposizioni nel rispetto dei seguenti principi e criteri generali: a) possibilità di promozione delle iniziative, nei limiti delle risorse rese disponibili dalla vigente legi- slazione, anche su proposta degli enti bilaterali e delle associazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori, da parte di soggetti pubblici o a partecipazione pubblica e di soggetti privati non aventi scopo di lucro, in possesso degli specifici requisiti preventivamente determinati in funzio- ne di idonee garanzie all’espletamento delle iniziative medesime e in particolare: agenzie regionali per l’impiego e uffici periferici del Ministero del lavoro e della previdenza sociale; università; provveditorati agli studi; istituzioni scolastiche non statali che rilascino titoli di studio con valore legale; centri pubblici di formazione e/o orientamento, ovvero a partecipazione pubblica o operan- ti in regime di convenzione ai sensi dell’art. 5 della legge 21 dicembre 1978, n. 845; comunità terapeutiche enti ausiliari e cooperative sociali, purché iscritti negli specifici albi regionali, ove esi- stenti; servizi di inserimento lavorativo per disabili gestiti da enti pubblici delegati dalla regione; b) attuazione delle iniziative nell’ambito di progetti di orientamento e di formazione, con priorità per quelli definiti all’interno di programmi operativi quadro predisposti dalle regioni, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale; c) svolgimento dei tirocini sulla base di apposite convenzioni intervenute tra i soggetti di cui alla lettera a) e i datori di lavoro pubblici e privati; d) previsione della durata dei rapporti non costituenti rapporti di lavoro, in misura non superiore a dodici mesi, ovvero a ventiquattro mesi in caso di soggetti portatori di handicap, da modulare in funzione della specificità dei diversi tipi di utenti; e) obbligo da parte dei soggetti promotori di assicurare i tirocinanti mediante specifica convenzione con l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) e per la respon- sabilità civile e di garantire la presenza di un tutore come responsabile didattico-organizzativo delle attività; nel caso in cui i soggetti promotori siano le agenzie regionali per l’impiego e gli uffici periferici del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, il datore di lavoro ospitante può stipulare la predetta convenzione con l’INAIL direttamente e a proprio carico; f) attribuzione del valore di crediti formativi alle attività svolte nel corso degli stages e delle ini- ziative di tirocinio pratico di cui al comma 1 da utilizzare, ove debitamente certificati, per l’ac- censione di un rapporto di lavoro; g) possibilità di ammissione, secondo modalità e criteri stabiliti con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, e nei limiti delle risorse finanziarie preordinate allo scopo nell’ambito del Fondo di cui all’art. 1 del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modifica- zioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, al rimborso totale o parziale degli oneri finanziari con- nessi all’attuazione di progetti di tirocinio di cui al presente articolo a favore dei giovani del Mezzogiorno presso imprese di regioni diverse da quelle operanti nella predetta area, ivi com- presi, nel caso in cui i progetti lo prevedano, gli oneri relativi alla spesa sostenuta dall’impresa per il vitto e l’alloggio del tirocinante; h) abrogazione, ove occorra, delle norme vigenti; i) computabilità dei soggetti portatori di handicap impiegati nei tirocini ai fini della legge 2 apri- le 1968, n. 482, e successive modificazioni, purché gli stessi tirocini siano oggetto di conven- zione ai sensi degli articoli 5 e 17 della legge 28 febbraio 1987, n. 56, e siano finalizzati al- l’occupazione”. Nota all’art. 3: - Il testo della direttiva 15 dicembre 1997, n. 97/81/CE (Direttiva del Consiglio relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES), è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale C.E. 20 gennaio 1998, n. L 14. Nota all’art. 5: - Il testo dell’art. 410 del codice di procedura civile, è il seguente: “Art. 410 (Tentativo obbligatorio di conciliazione). - Chi intende proporre in giudizio una do- manda relativa ai rapporti previsti dall’art. 409 e non ritiene di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti e accordi collettivi deve promuovere, anche tramite l’associazione sindacale alla quale aderisce o conferisca mandato, il tentativo di conciliazione presso la commissione di conciliazione individuata secondo i criteri di cui all’art. 413. La comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione interrompe la pre- scrizione e sospende, per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza. La commissione, ricevuta la richiesta tenta la conciliazione della controversia, convocando le parti, per una riunione da tenersi non oltre dieci giorni dal ricevimento della richiesta. Con provvedimento del direttore dell’ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione è istituita in ogni provincia presso l’ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, una commissione provinciale di conciliazione composta dal direttore dell’ufficio stesso, o da un suo dele- gato, in qualità di presidente, da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei datori di la- voro e da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei lavoratori, designati dalle rispettive organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative su base nazionale. Commissioni di conciliazione possono essere istituite, con le stesse modalità e con la medesima composizione di cui al precedente comma, anche presso le sezioni zonali degli uffici provinciali del lavoro e della massima occupazione. Le commissioni, quando se ne ravvisi la necessità, affidano il tentativo di conciliazione a proprie sottocommissioni, presiedute dal direttore dell’ufficio provinciale del lavoro e della massima occupa- zione o da un suo delegato che rispecchino la composizione prevista dal precedente terzo comma. In ogni caso per la validità della riunione è necessaria la presenza del presidente e di almeno un rappresentante dei datori di lavoro e di uno dei lavoratori. Ove la riunione della commissione non sia possibile per la mancata presenza di almeno uno dei componenti di cui al precedente comma, il direttore dell’ufficio provinciale del lavoro certifica l’impossibilità di procedere al tentativo di conciliazione”. - Il testo dell’art. 2113 del codice civile è il seguente: “Art. 2113 (Rinunzie e transazioni). - Le rinunzie e le transazioni che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi colletti- vi concernenti i rapporti di cui all’art. 409 del codice di procedura civile, non sono valide. L’impugnazione deve essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto o dalla data della rinunzia o della transazione, se queste sono intervenute dopo la cessa- zione medesima. Le rinunzie e le transazioni di cui ai commi precedenti possono essere impugnate con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, del lavoratore idoneo a renderne nota la volontà. Le disposizioni del presente articolo non si applicano alla conciliazione intervenuta ai sensi degli articoli 185, 410 e 411 del codice di procedura civile”. - Per il testo dell’art. 6 della legge 3 aprile 2001, n. 142 (Revisione della legislazione in materia cooperativistica, con particolare riferimento alla posizione del socio lavoratore), si vedano le note al- l’art. 9. 224 225 Nota all’art. 7: - Il testo dell’art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento del- le attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali), è il seguente: “Art. 8 (Conferenza Stato-città ed autonomie locali e Conferenza unificata). - 1. La Conferenza Stato-città ed autonomie locali è unificata per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province, dei comuni e delle comunità montane, con la Conferenza Stato-regioni. 2. La Conferenza Stato-città ed autonomie locali è presieduta dal Presidente del Consiglio dei Ministri o, per sua delega, dal Ministro dell’interno o dal Ministro per gli affari regionali; ne fanno parte altresì il Ministro del tesoro e del bilancio e della programmazione economica, il Ministro delle finanze, il Ministro dei lavori pubblici, il Ministro della sanità, il presidente dell’Associazione nazio- nale dei comuni d’Italia - ANCI, il presidente dell’Unione province d’Italia - UPI ed il presidente del- l’Unione nazionale comuni, comunità ed enti montani - UNCEM. Ne fanno parte inoltre quattordici sindaci designati dall’ANCI e sei presidenti di provincia designati dall’UPI. Dei quattordici sindaci designati dall’ANCI cinque rappresentano le città individuate dall’art. 17 della legge 8 giugno 1990, n. 142. Alle riunioni possono essere invitati altri membri del Governo, non- ché rappresentanti di amministrazioni statali, locali o di enti pubblici. 3. La Conferenza Stato-città ed autonomie locali è convocata almeno ogni tre mesi, e comunque in tutti i casi il presidente ne ravvisi la necessità o qualora ne faccia richiesta il presidente dell’ANCI, dell’UPI o dell’UNCEM. 4. La Conferenza unificata di cui al comma 1 è convocata dal Presidente del Consiglio dei Mini- stri. Le sedute sono presiedute dal Presidente del Consiglio dei Ministri o, su sua delega, dal Ministro per gli affari regionali o, se tale incarico non è conferito, dal Ministro dell’interno”. Note all’art. 9: - Il testo della legge 3 aprile 2001, n. 142 (Revisione della legislazione in materia cooperativistica, con particolare riferimento alla posizione del socio lavoratore), è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 23 aprile 2001, n. 94. - Il testo dell’art. 1, comma 3, primo periodo, della citata legge n. 142 del 2001, come modificato dalla legge qui pubblicata, è il seguente: “3. Il socio lavoratore di cooperativa stabilisce con la propria adesione o successivamente all’in- staurazione del rapporto associativo un ulteriore rapporto di lavoro, in forma subordinata o autonoma o in qualsiasi altra forma, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata non occasionale, con cui contribuisce comunque al raggiungimento degli scopi sociali”. - Il testo dell’art. 2, comma 1, della citata legge n. 142 del 2001, come modificato dalla legge qui pubblicata, è il seguente: “1. Ai soci lavoratori di cooperativa con rapporto di lavoro subordinato si applica la legge 20 maggio 1970, n. 300, con esclusione dell’art. 18 ogni volta che venga a cessare, col rapporto di lavoro, anche quello associativo. L’esercizio dei diritti di cui al titolo III della citata legge n. 300 del 1970 trova applicazione com- patibilmente con lo stato di socio lavoratore, secondo quanto determinato da accordi collettivi tra associazioni nazionali del movimento cooperativo e organizzazioni sindacali dei lavoratori comparati- vamente piu’ rappresentative.Si applicano altresì tutte le vigenti disposizioni in materia di sicurezza e igiene del lavoro. Agli altri soci lavoratori si applicano gli articoli 1, 8, 14 e 15 della medesima legge n. 300 del 1970, nonché le disposizioni previste dal decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e suc- cessive modificazioni, e quelle previste dal decreto legislativo 14 agosto 1996, n. 494, in quanto com- patibili con le modalità della prestazione lavorativa. In relazione alle peculiarità del sistema cooperativo, forme specifiche di esercizio dei diritti sin- dacali possono essere individuate in sede di accordi collettivi tra le associazioni nazionali del movimento cooperativo e le organizzazioni sindacali dei lavoratori, comparativamente piu’ rappresentative”. - Il testo dell’art. 3, della citata legge n. 142 del 2001, come modificato dalla legge qui pubblicata, è il seguente: “Art. 3 (Trattamento economico del socio lavoratore). - 1. Fermo restando quanto previsto dall’art. 36 della legge 20 maggio 1970, n. 300, le società cooperative sono tenute a corrispondere al socio la- voratore un trattamento economico complessivo proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva na- zionale del settore o della categoria affine, ovvero, per i rapporti di lavoro diversi da quello subordina- to, in assenza di contratti o accordi collettivi specifici, ai compensi medi in uso per prestazioni analo- ghe rese in forma di lavoro autonomo. 2. Trattamenti economici ulteriori possono essere deliberati dall’assemblea e possono essere ero- gati: a) a titolo di maggiorazione retributiva, secondo le modalità stabilite in accordi stipulati ai sensi dell’art. 2; b) in sede di approvazione del bilancio di esercizio, a titolo di ristorno, in misura non superiore al 30 per cento dei trattamenti retributivi com- plessivi di cui al comma 1 e alla lettera a), mediante integrazioni delle retribuzioni medesime, median- te aumento gratuito del capitale sociale sottoscritto e versato, in deroga ai limiti stabiliti dall’art. 24 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577, ratificato, con modi- ficazioni, dalla legge 2 aprile 1951, n. 302, e successive modificazioni, ovvero mediante distribuzione gratuita dei titoli di cui all’art. 5 della legge 31 gennaio 1992, n. 59. 2-bis. In deroga alle disposizioni di cui al comma 1, le cooperative della piccola pesca di cui alla legge 13 marzo 1958, n. 250, possono corrispondere ai propri soci lavoratori un compenso proporzionato all’entità del pescato, secondo criteri e parametri stabiliti dal regolamento interno previsto dall’art. 6”. - Il testo della legge 13 marzo 1958, n. 250 (Previdenze a favore dei pescatori della piccola pesca marittima e delle acque interne) è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 5 aprile 1958, n. 83. - Il testo dell’art. 5, della citata legge n. 142 del 2001, come modificato dalla legge qui pubblicata, è il seguente: “Art. 5 (Altre normative applicabili al socio lavoratore). - 1. Il riferimento alle retribuzioni ed ai trattamenti dovuti ai prestatori di lavoro, previsi dall’art. 2751-bis, numero 1), del codice civile, si in- tende applicabile anche ai soci lavoratori di cooperative di lavoro nei limiti del trattamento economico di cui all’art. 3, commi 1 e 2, lettera a). La presente norma costituisce interpretazione autentica delle disposizioni medesime. 2. Il rapporto di lavoro si estingue con il recesso o l’esclusione del socio deliberati nel rispetto del- le previsioni statutarie e in conformità con gli articoli 2526 e 2527 del codice civile. Le controversie tra socio e cooperativa relative alla prestazione mutualistica sono di competenza del tribunale ordinario”. - Il testo dell’art. 2526 del codice civile è il seguente: “Art. 2526 (Recesso del socio). - La dichiarazione di recesso, nei casi in cui questo è ammesso dal- la legge o dall’atto costitutivo, deve essere comunicata con raccomandata alla società e deve essere annotata nel libro dei soci a cura degli amministratori. Essa ha effetto con la chiusura dell’esercizio in corso, se comunicata tre mesi prima e, in caso contrario, con la chiusura dell’esercizio successivo”. - Il testo dell’art. 2527 del codice civile è il seguente: “Art. 2527 (Esclusione del socio). - L’esclusione del socio, qualunque sia il tipo della società, oltre che nel caso indicato nell’art. 2524, può aver luogo negli altri casi previsti dagli articoli 2286 e 2288, primo comma, e in quelli stabiliti dall’atto costitutivo. Quando l’esclusione non ha luogo di diritto, essa deve essere deliberata dall’assemblea dei soci o, se l’atto costitutivo lo consente, dagli amministratori, e deve essere comunicata al socio. Contro la deliberazione di esclusione il socio può, nel termine di trenta giorni dalla comunicazio- ne, proporre opposizione davanti al tribunale. Questo può sospendere l’esecuzione della deliberazione. L’esclusione ha effetto dall’annotazione nel libro dei soci, da farsi a cura degli amministratori”. - Il testo dell’art. 6 della citata legge n. 142 del 2001, come modificato dalla legge qui pubblicata, è il seguente: “Art. 6 (Regolamento interno). - 1. Entro il 31 dicembre 2003, le cooperative di cui all’art. 1 de- finiscono un regolamento, approvato dall’assemblea, sulla tipologia dei rapporti che si intendono attuare, in forma alternativa, con i soci lavoratori. Il regolamento deve essere depositato entro trenta giorni dall’approvazione presso la direzione provinciale del lavoro competente per territorio. Il regolamento deve contenere in ogni caso: a) il richiamo ai contratti collettivi applicabili, per ciò che attiene ai soci lavoratori con rapporto di lavoro subordinato; b) le modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative da parte dei soci, in relazione all’orga- nizzazione aziendale della cooperativa e ai profili professionali dei soci stessi, anche nei casi di tipologie diverse da quella del lavoro subordinato; 226 227 c) il richiamo espresso alle normative di legge vigenti per i rapporti di lavoro diversi da quello sub- ordinato; d) l’attribuzione all’assemblea della facoltà di deliberare, all’occorrenza, un piano di crisi azien- dale, nel quale siano salvaguardati, per quanto possibile, i livelli occupazionali e siano altresì previsti: la possibilità di riduzione temporanea dei trattamenti economici integrativi di cui al comma 2, lettera b), dell’art. 3; il divieto, per l’intera durata del piano, di distribuzione di even- tuali utili; e) l’attribuzione all’assemblea della facoltà di deliberare, nell’ambito del piano di crisi aziendale di cui alla lettera d), forme di apporto anche economico, da parte dei soci lavoratori, alla solu- zione della crisi, in proporzione alle disponibilità e capacità finanziarie; f) al fine di promuovere nuova imprenditorialità, nelle cooperative di nuova costituzione, la facoltà per l’assemblea della cooperativa di deliberare un pianod’avviamento alle condizioni e secon- do le modalità stabilite in accordi collettivi tra le associazioni nazionali del movimento coope- rativo e le organizzazioni sindacali comparativamente piu’ rappresentative. 2. Salvo quanto pre- visto alle lettere d), e) ed f) del comma 1, nonché all’art. 3, comma 2-bis, il regolamento non può contenere disposizioni derogatorie in pejus rispetto al solo trattamento economico minimo di cui all’art. 3, comma 1. Nel caso in cui violi la disposizione di cui al primo periodo, la clau- sola è nulla. 2-bis. Le cooperative di cui all’art. 1, comma 1, lettera b), della legge 8 novembre 1991, n. 381, possono definire accordi territoriali con le organizzazioni sindacali comparativa- mente piu’ rappresentative per rendere compatibile l’applicazione del contratto collettivo di lavoro nazionale di riferimento all’attività svolta. Tale accordo deve essere depositato presso la direzione provinciale del lavoro competente per territorio”. - Il testo dell’art. 1, comma 1, lettera b), della legge 8 novembre 1991, n. 381 (Disciplina delle cooperative sociali), è il seguente: “1. Le cooperative sociali hanno lo scopo di perseguire l’interesse generale della comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini attraverso: a) (omissis); b) lo svolgimento di attività diverse: agricole industriali, commerciali o di servizi, finalizzate al- l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate”. Data a Roma, addì 14 febbraio 2003 CIAMPI Berlusconi, Presidente del Consiglio dei Ministri Maroni, Ministro del lavoro e delle politiche sociali Visto, il Guardasigilli: Castelli LAVORI PREPARATORI Senato della Repubblica (atto n. 848): Presentato dal Presidente del Consiglio dei Ministri (Ber- lusconi) e dal Ministro del lavoro e politiche sociali (Maroni) il 15 novembre 2001. Assegnato alla 11a commissione (Lavoro, previdenza sociale), in sede referente, il 13 dicembre 2001, con pareri delle commissioni 1a, 2a, 3a, 5a, 6a, 7a, 8a, 9a, 10a, 12a, 13a della Giunta per gli affari delle Comunità europee e della Commissione parlamentare per le questioni regionali. Esaminato dalla commissione il 18 dicembre 2001; 22, 23, 24, 29, 30, 31 gennaio 2002; 5, 13, 19, 20, 21 febbraio 2002; 26, 27 marzo 2002; 2, 3, 9, 10, 11, 16, 17, 18 aprile 2002; 7, 8, 9, 14, 15, 16, 28, 29, 30 maggio 2002; 4, 5, 12, 13 e 19 giugno 2002. Esaminato in aula il 13 dicembre 2001; 13 giugno 2002 (stralcio degli articoli 2, 3, 10 e 12 che formano l’atto n. 848-bis); 17, 18, 19 e 24 settembre 2002 e approvato il 25 settembre 2002. Camera dei deputati (atto n. 3193): Assegnato alla XI commissione (Lavoro), in sede referente, il 30 settembre 2002 con pareri delle commissioni I, II, V, VII, X, XII, XIII, XIV e della commissione parlamentare per le questioni regionali. Esaminato dalla XI commissione, in sede referente, il 3, 8, 9, 15, 16, 17, 22, 24 ottobre 2002. Esaminato in aula il 28, 29 ottobre 2002 e approvato, con modificazioni, il 30 ottobre 2002. Senato della Repubblica (atto n. 848-B): Assegnato alla 11a commissione (Lavoro), in sede refe- rente, il 5 novembre 2002 con pareri delle commissioni 1a, 2a, 5a, 7a, 9a, 10a della Giunta per gli affari delle Comunità europee e della Commissione parlamentare per le questioni regionali. Esaminato dalla 11a commissione, in sede referente, il 6, 12, 13, 14, 19, 26, 27 novembre 2002; il 3, 4, 11, 17 dicembre 2002; il 21, 23 gennaio 2003. Esaminato in aula il 30 gennaio 2003; il 4 febbraio 2003 ed approvato il 5 febbraio 2003. 228 229 INDICE SOMMARIO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 PRESENTAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 INTRODUZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 1. ELEMENTI DI SCENARIO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 1.1. La struttura del mercato del lavoro: domanda e offerta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 1.2. I soggetti del mercato del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 1.2.1. I servizi per l’impiego . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 1.2.2. L’Agenzia del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 1.2.3. Gli Istituti previdenziali e assistenziali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18 1.2.4. Il sindacato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 1.3. L’azienda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 1.3.1. Classificazioni giuridiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 1.3.1.1. Le società di persone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20 1.3.1.2. Le società di capitali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21 1.3.1.3. Le società cooperative . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23 1.3.2. Classificazioni per dimensioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24 1.3.3. La struttura organizzativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25 2. L’ACCESSO AL MERCATO DEL LAVORO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31 2.1. L’impiego pubblico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32 2.1.1. Le regole d’accesso: requisiti e procedure di impiego . . . . . . . . . . . 32 2.1.2. Le procedure di accesso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 2.2. L’impiego privato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44 2.2.1. Modalità per l’inserimento nelle liste di disoccupazione . . . . . . . . 44 2.2.2. L’iscrizione al collocamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45 2.2.2.1. L’assegnazione della qualifica professionale . . . . . . . . . . . . 47 2.2.2.2. La procedura della revisione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48 2.2.3. Modalità di assunzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48 2.2.4. Interventi a sostegno delle cosiddette “fasce deboli” . . . . . . . . . . . . 53 3. I VARI TIPI DI CONTRATTO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61 3.1. Il contratto di lavoro subordinato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61 3.1.1. Procedura di stipulazione del contratto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61 3.1.2. Periodo di prova . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61 230 3.1.3. L’assegnazione della qualifica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62 3.1.4. Diritti ed obblighi del datore di lavoro e del lavoratore . . . . . . . . . 62 3.1.5. Cessazione del rapporto di lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63 3.2. Il contratto a tempo indeterminato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65 3.3. Il contratto a tempo determinato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66 3.3.1. Natura ed obiettivi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66 3.3.2. La procedura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66 3.3.3. La proroga del contratto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66 3.3.4. Modalità di risoluzione del contratto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67 3.3.5. Trattamento economico e normativo - Inquadramento . . . . . . . . . . . 67 3.4. Il contratto a tempo pieno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67 3.5. Il contratto a tempo parziale (part-time) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67 3.5.1. Natura ed obiettivi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67 3.5.2. La procedura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68 3.5.3. Trattamento economico e normativo - Inquadramento . . . . . . . . . . . 68 3.5.4. Le tipologie di contratto part-time . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68 3.6. Il contratto di formazione e lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68 3.6.1. Natura ed obiettivi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68 3.6.2. Destinatari e tipologia del contratto di formazione-lavoro . . . . . 69 3.6.3. Trattamento economico e normativo - Inquadramento . . . . . . . . . . . 69 3.6.4. La procedura di stipulazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70 3.6.5. Trattamento economico e normativo - Inquadramento . . . . . . . . . . . 70 3.6.6. Trattamento di malattia e infortunio non sul lavoro . . . . . . . . . . . . . . 70 3.6.7. Orario di lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71 3.6.8. La proroga . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71 3.6.9. Benefici contributivi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71 3.7. L’apprendistato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71 3.7.1. Natura e finalità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71 3.7.2. Destinatari e durata del rapporto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72 3.7.3. Agevolazioni contributive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72 3.7.4. La procedura a carico dell’imprenditore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72 3.7.5. La scadenza del rapporto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73 3.8. Il lavoro temporaneo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73 3.8.1. Struttura del contratto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73 3.8.2. La stipulazione del contratto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76 3.8.3. Casi di ricorso al lavoro temporaneo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76 3.8.4. Casi di divieto di fornitura di lavoro temporaneo . . . . . . . . . . . . . . . . . 76 3.8.5. Consigli pratici per l’utilizzo della nuova disciplina . . . . . . . . . . . . . 77 3.9. I tirocini formativi e di orientamento (stage) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77 3.10. I lavori socialmente utili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82 3.11. Il contratto di collaborazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84 3.12. Il telelavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85 3.13. Nuove forme di lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85 231 3.13.1. Il lavoro intermittente o a chiamata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86 3.13.2. Il lavoro a progetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87 3.13.3. Il lavoro occasionale e accessorio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87 3.13.4. Il lavoro a coppia o job sharing . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87 3.13.5. Part-time . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 88 3.13.6. Riordino dei contratti a contenuto formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 88 3.13.7. Socio lavoratore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 88 4. MODI E TEMPI DELLA RICERCA DI LAVORO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93 4.1. Strategie per valutare il “lavoro offerto” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93 4.1.1. Conoscenza delle fonti informative . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 94 4.1.2. Conoscenza sui soggetti detentori e sulle fonti informative . . . . . 109 4.2. Strategie per l’autopromozione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113 4.2.1. Il reperimento delle informazioni relative alle“aziende-bersaglio” 113 4.2.2. Il contratto con le aziende: le tecniche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 118 4.2.2.1. L’autoinserzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 118 4.2.2.2. L’autopromozione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 120 4.3. Il curriculum vitae . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 123 4.3.1. La redazione del curriculum: i contenuti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 123 4.3.2. La redazione del curriculum: la forma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 126 4.4. La selezione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 127 4.4.1. Le forme di selezione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 127 4.4.2. Le società di selezione del personale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133 4.5. Come valutare una proposta di lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 135 5. ALCUNE OPPORTUNITÀ DI STUDIO E DI LAVORO . . . . . . . . . . . . . . . . . . 137 5.1. Il Terzo Settore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 137 5.1.1. La formazione per il terzo settore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 138 5.1.2. Il manager del non profit . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 138 5.1.3. Il mediatore culturale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139 5.1.4. Il volontario internazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139 5.1.5. Il Servizio Civile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 141 5.1.6. Riferimenti legislativi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 142 5.1.7. Indirizzi utili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 142 5.2. Studiare in Europa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 144 5.2.1. I diritti degli studenti stranieri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 145 5.2.2. I programmi comunitari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 146 5.3. Lavorare all’estero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 158 5.3.1. I diritti e i doveri dei lavoratori stranieri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 159 5.3.2. Prima di partire . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 160 5.3.3. Come trovare lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 161 5.3.4. Le professioni regolamentate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 167 5.3.5. Le professioni non regolamentate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 168 232 5.3.6. Lavorare per le Istituzioni dell’Unione Europea e nelle organiz- 5.3.5. zazioni internazionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 170 5.3.7. La presentazione delle candidature . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 171 5.3.8. Il curriculum Europeo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 172 CONCLUSIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 177 BIBLIOGRAFIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 179 6. ALLEGATI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 181 DECRETO LEGISLATIVO 23 dicembre 1997, n. 469 (G.U. s.g. n. 5 dell’8 gennaio 1998) Conferimento alle regioni e agli enti locali di funzioni e compiti in materia di mercato del lavoro, a norma dell’art. 1 della legge 15 marzo 1997, n. 59 181 LEGGE 12 marzo 1999, n. 68 (S.O. n. 57/L della G.U. del 23 marzo 1999) Norme per il diritto al lavoro dei disabili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 189 DPR 7 luglio 2000, n. 442 (G.U. n. 36 del 13 febbraio 2001) Regolamento recante norme per la semplificazione del provvedimento per il collocamento ordinario dei lavoratori, ai sensi dell’art. 20, comma 8, della legge 15 marzo 1997, n. 59 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 201 DECRETO LEGISLATIVO 21 aprile 2000, n. 181 (G.U. n. 154 del 4 luglio 2000) “Disposizioni per agevolare l’incontro fra domanda ed offerta di lavoro, in attuazione dell’art. 45, comma 1, lettera a, della legge 17 maggio 1999 n. 144” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 205 DECRETO LEGISLATIVO 19 dicembre 2002, n. 297 (G.U. n. 11 del 15 gennario 2002) Recante norme per agevolare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro . . 208 LEGGE 14 febbraio 2003, n. 30 (G.U. n. 47 del 26 febbraio 2003) “Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro” . . . . . 210 INDICE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 229

Centro risorse educative per l'Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione delle unità didattiche

Autore: 
Sede Nazionale CNOS-FAP
Categoria pubblicazione: 
Progetti
Anno: 
2003
Numero pagine: 
111
Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA) Progetto e guida alla compilazione delle unità didattiche CENTRO RISORSE EDUCATIVE PER L’APPRENDIMENTO A cura del CNOS-FAP Tipolitografia Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma Tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - tipolito@pcn.net Finito di stampare: Giugno 2003 3 SOMMARIO PRESENTAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 1. PRESENTAZIONE DEL CREA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 2. LA MAPPA GENERALE DEL CREA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 3. L’ELABORAZIONE DELLE UNITÀ DEL CREA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23 4. CONCLUSIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25 5. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 APPENDICI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29 ALLEGATO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41 INDICE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111 5 PRESENTAZIONE Ciascun formatore, nella didattica dell’aula o del laboratorio, elabora da sé i sussidi didattici di cui ha necessità, o ricorre alle offerte proposte dall’editoria nel campo della formazione professionale apportando modifiche utili per adattarle alla propria situazione. A partire da questa constatazione, ci si è posti una domanda molto semplice: perché non mettere “in rete” questo lavoro individuale, valorizzando così la fatica quotidiana e l’inventiva di ogni formatore? Per rispondere a questa domanda, la Sede Nazionale del CNOS-FAP ha ideato il progetto CREA (Centro Risorse Educative per l’Apprendimento), una ini- ziativa atta a valorizzare la creatività dei formatori riconducendola ad un impianto metodologico e progettuale condiviso e socializzandola attraverso il portale www.cnos-fap.it, che è non solo il sito della Sede Nazionale, ma si propone come il portale di tutta la Federazione CNOS-FAP. Il progetto realizzato, benché ancora incompleto, copre una parte importante del percorso formativo proprio della Formazione Professionale Iniziale (FPI): le macro aree delle “Scienze umane”, della “Cultura scientifica” e delle “Compe- tenze professionali” comuni ad ogni processo lavorativo. Inoltre, il progetto CREA (che è parte del “Progetto pilota per il sistema di istruzione e formazione – Stan- dard formativi dell’area comune”) sarà validato dalle sperimentazioni che verran- no attuate, a partire dal corrente anno, in alcune Regioni, secondo i Protocolli d’in- tesa firmati tra Regioni e Province autonome e i Ministeri dell’Istruzione, dell’Uni- versità e della Ricerca (MIUR) e il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. La presente pubblicazione vuole offrirsi come strumento per la “socializzazione” del progetto; la proposta, infatti, potrà essere di aiuto sia ai formatori che saranno direttamente coinvolti nelle sperimentazioni, sia a quanti operano nella formazione professionale rinnovata. Nelle pagine che seguono, oltre alla descrizione dell’iniziativa, per rendere ancora più chiaro il progetto, viene riportata una unità didattica. Hanno collaborato alla realizzazione del progetto: • Coordinatore scientifico: Dario Nicoli • Coordinatori nazionali: Mario Tonini - Daniela Antonietti • Autori: Cristina Ballario, Luciano Boschiroli, Roberta Carlini, Roberto Cava- glià, Graziano Ceschia, Stefania Contini, Lucia Coppola, Emanuela De Troia, Claudia Frau, Arturo Gabanizza, Guido Lanzone, Francesco Majorana, Valter 6 Manzone, Michele Marchiaro, Pierluigi Melotto, Sylvia Nemeth, Piero Quinci, Luciano Sciascia, Sandro Tamarindi, Fulvia Tosoratti, Manuela Zedda • Supporto tecnologico, editoriale e informatico: CNOS-FAP Sede Regionale Piemonte Si ringraziano coloro che hanno reso possibile l’avvio del progetto, quanti si sono inseriti successivamente nel gruppo di autori e tutti coloro che continuano e continueranno a portare il loro apprezzato contributo al CREA. 7 1.1. IL CREA TRA L’AGIRE EDUCATIVO E LE NUOVE TECNOLOGIE DIDATTICHE La proposta di un Centro delle Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA) si rifà alla natura dell’azione educativa. L’educazione è un'azione di tipo relaziona- le volta alla promozione nelle persone dello sviluppo di disposizioni interiori ed al- l’acquisizione di saperi e competenze che favoriscono il loro benessere, azione di cui è responsabile in primo luogo l'educatore, il quale, nell'esplicazione del suo ser- vizio, si avvale di strumenti diversi, applicandoli alle situazioni ed alle persone me- diante criteri di adeguatezza e conformità. Per essere tale, è necessario che l’agire educativo sia orientato ad ideali guida sul bene dell’uomo e della società e che in tale prospettiva sia perseguito il benes- sere della persona. Ciò avviene entro una relazione amichevole che consenta “un dialogo continuo e prolungato nel tempo tra l’educando ed i suoi educatori, ma anche tra lui e il mondo della sua esperienza diretta o indiretta. Questo dialogo, attraverso l’esperienza diretta, indiretta, l’argomentare e il persuadere permette all’educando di costruire la sua identità, di interiorizzare valori, significati e modi d’agire, di orientarsi nel mondo. La riflessione stessa, base della concettualizzazio- ne, può esser considerata un dialogo interiore” 1. Luoghi privilegiati del dialogo educativo sono le varie comunità di vita nelle quali l’educando nel corso della sua crescita si viene a trovare; la caratteristica co- munitaria risiede nel fatto che tutti i membri condividono i valori riferiti al compito educativo e lo realizzano tramite il dialogo continuo, valorizzando a tale fine gli strumenti e le opportunità che via via si presentano. Il frutto di una azione educativa autentica è l’attenzione alla crescita della sin- gola persona: questa attenzione consiste più precisamente nel riferimento del per- corso educativo - formativo alla specifica realtà personale dell’allievo. Personaliz- zare significa, infatti, delineare differenti percorsi di trasferimento - acquisizione delle conoscenze, abilità, capacità personali e competenze, in base alle caratteristi- che personali degli allievi utilizzando appropriati metodi didattici. Ambito privile- giato dell’azione personalizzata è il contesto della classe, dove il gruppo costituisce una delle leve dell’apprendimento. L’ambito delle metodologie didattiche include oggi anche le nuove tecnologie educative (NTE). Le NTE consentono – se collocate entro una prospettiva di fondo di natura relazionale – di sostenere la finalità dell’autoformazione ovvero una mo- 1. PRESENTAZIONE DEL CREA 1 PELLEREY M., Educare. Manuale di pedagogia come scienza pratico-progettuale, Roma, LAS, 1999, p. 177. dalità cognitiva mediante la quale la persona diviene responsabile del proprio pro- cesso di apprendimento, attraverso una dinamica che le consenta di “dare forma” au- tonomamente non soltanto al proprio sapere ma all’intera propria personalità in una logica di maturazione 2. L’autoformazione è quindi un vettore di sviluppo dell’auto- nomia, del controllo, della padronanza della personalità psichica e cognitiva del sog- getto in un ambiente di apprendimento che propone una notevole ricchezza di rela- zioni con soggetti diversi, tra i quali anche quelli virtuali. Presentandosi pertanto co- me una modalità rinnovata di azione pedagogica, nella quale emerge uno spazio de- putato all’iniziativa del soggetto che apprende, in un quadro educativo organizzato, l’autoformazione appare non già come un “modello” formativo opposto alle prassi didattiche abituali, bensì come un elemento di forte contaminazione, essendo porta- tore di notevoli potenzialità di applicazione in differenti ambiti di apprendimento. Il grafico (cfr. Graf. 1) ha lo scopo di sintetizzare l’impostazione del CREA, che verrà spiegata in dettaglio nei paragrafi che seguono. Graf. 1 - Schema del progetto CREA 8 2 NICOLI D., L’autoformazione assistita, Torino, Casa di Carità Arti e Mestieri, 2000. Risorse • Formatori e tutor dei CFP • Referenti della Sede Na- zionale Attività d’aula (didattica attiva) Attività mista (ulteriore rispetto in aula) Attività alternativa all’aula (parzialmente sostituiva) Prodotti Strumenti di apprendimento • cartacei • multimediali Servizi • Base di dati➱ Portale www.cnos-fap.it 9 1.2. FINALITÀ DEL CREA Il CREA rappresenta la struttura integrativa ed alternativa al gruppo – classe, presente in ogni Centro di formazione professionale, nella quale concentrare le risorse che consentono di dare vita sia a processi di autoformazione assistita che di formazione a distanza. 1.3. FUNZIONI DEL CREA Il CREA può essere valorizzato nei seguenti ambiti. 1) Attività di autoapprendimento a supporto della didattica d’aula (didattica attiva) Il formatore utilizza il CREA in modo integrativo rispetto alla didattica del- l’aula, svolgendo attività individuali o di gruppo da lui stesso animate, in coerenza con la propria programmazione didattica. 2) Attività di autoapprendimento ulteriori rispetto alla didattica d’aula (moduli di recupero, gruppi di discussione, news group, spazio caffè) Il tutor dell’autoformazione, su richiesta del formatore, assiste gli utenti di uno o più percorsi formativi nello svolgimento di attività didattiche di vario tipo, tra cui esercitazioni, recuperi, approfondimenti. 3) Attività di autoapprendimento parzialmente sostitutive della didattica d’aula (apprendimento multimediale interattivo) La singola persona realizza un proprio percorso di formazione sulla base di un progetto autodefinito. Più precisamente, aiutato dal tutor – formatore, l’allievo può svolgere percorsi di formazione a distanza on line su programmi di studio prestabiliti, in linea di massima in integrazione con momenti di incontro diretto e/o di formazione in presenza. Il CREA è una proposta sostenuta e coordinata da un gruppo tecnico nazionale e collocata sul portale www.cnos-fap.it. Il gruppo ne garantisce l’animazione e la promozione; il portale costituisce il supporto tecnico alla didattica (d’aula, mista, alternativa all’aula), che si trasferisce automaticamente in ogni centro di forma- zione, e i formatori possono dare i loro contributi alla sua crescita. 1.4. ORGANIZZAZIONE DEL CREA Il CREA è un progetto in fieri. Al momento, possiamo distinguere due fasi fondamentali del suo processo di realizzazione. 1) Il CREA a regime A regime, il CREA di ogni Centro di Formazione Professionale sarà in grado di offrire a ciascun allievo gli strumenti d’accesso ai contenuti della formazione. 10 Per attuare ciò il CREA offrirà più approcci nell’acquisizione delle conoscenze e delle competenze, dando a ciascuno la possibilità di apprendere secondo metodi e stili diversi; il giovane troverà, quindi, a disposizione testi, dispense, software didattici, CD-ROM, video, ecc. 2) Il CREA nella presente fase di allestimento Nella attuale prima fase, il CREA si concentra su tre macro - aree ritenute fon- damentali, già descritte nel progetto per la sperimentazione dell’obbligo forma- tivo (anno 2000) ed ora in fase di riformulazione in vista dei nuovi percorsi triennali della formazione professionale iniziale 3. Le macro - aree si riferiscono a: • Conoscenze di base (scienze umane, cultura scientifica) • Capacità personali • Competenze professionali comuni Al momento, il progetto CREA non contiene unità caratteristiche delle comu- nità professionali: esse verranno sviluppate successivamente, anche sulla base della possibile definizione di standard nazionali di riferimento. 1.5. RISORSE DEL CREA Attualmente, il CREA dispone di strumenti didattici cartacei e/o informatici che sono un insieme di opportunità di apprendimento tra cui dossier, volumi e ri- viste, manuali, unità didattiche, supporti video. Nel tempo, saranno attivati: • un sistema telematico a supporto della formazione Verrà realizzata una piattaforma per l’apprendimento che fornisce strumenti di- dattici e opportunità per la collaborazione on-line tra allievi (forum, bacheca, ecc.), e strumenti al formatore sia per monitorare l'attività degli allievi e interve- nire dove necessario (dati raccolti dal sistema di monitoraggio e statistiche), sia per costituire un flusso continuo di informazioni ed esperienze (chat-line, forum di discussione, ecc.) tra i diversi Centri del CNOS-FAP. • una base di dati È prevista una raccolta sistematica di informazioni su diversi ambiti: tematiche connesse alle aree formative, economia e mercato del lavoro, settori, figure pro- fessionali, orientamento, tematiche di interesse culturale e del tempo libero. 3 Legge 53 del 28 marzo 2003, “Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’i- struzione e dei livelli essenziali delle presentazioni in materia di istruzione e formazione professionale”. 11 1.6. FIGURE PROFESSIONALI DI RIFERIMENTO DEL CREA Il CREA prevede il coinvolgimento di tre figure professionali: il promotore, figura già in attività; il tecnico informatico-didattico e il tutor-formatore dell’auto- formazione, figure che entreranno in attività nel tempo. 1) Il promotore del CREA ha i seguenti compiti: • Partecipazione alla elaborazione degli strumenti didattici; • Promozione del centro risorse; • Assistenza ai colleghi nell’utilizzo delle opportunità presenti, compresa la partecipazione alla elaborazione degli stessi strumenti. 2) Il tecnico informatico - didattico fornisce i seguenti servizi: • Assistenza tecnica del CREA • Cura della funzionalità delle tecnologie • Implementazione delle unità didattiche • Supporto agli utenti ed agli esperti • Supporto ai formatori e al tutor - formatore • Cooperazione con la rete degli esperti informatico - didattici dei vari Centri di formazione professionale. 3) Il tutor - formatore dell’autoformazione fornisce i seguenti servizi: • Creazione e cura del Centro • Cura della documentazione didattica • Supporto agli utenti ed agli esperti • Supporto ai formatori e al tecnico informatico - didattico • Monitoraggio e promozione dell’attività • Cooperazione con la rete dei tutor formativi dell’autoformazione. 13 Il CREA prevede la seguente organizzazione gerarchica 4. 2. LA MAPPA GENERALE DEL CREA 4 Le macro-aree formative sono tratte dal “Progetto pilota per il sistema di istruzione e formazio- ne” (“Standard formativi dell’area comune”), che è oggetto di sperimentazione nelle regioni e province autonome che hanno firmato l’accordo con il MIUR e il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. MACRO-AREE Aree formative Unità formative (UF) Unità didattiche (UD) o Unità operative (UO) Nei paragrafi che seguono, presentiamo le diverse macro aree: dopo averne da- to una definizione e averne chiariti gli obiettivi, riportiamo la mappa delle singole aree (cioè, l'elenco delle aree e delle unità formative e delle diverse unità didattiche in cui si articolano le aree, con i relativi codici; in appendice - allegato 4 - riportia- mo la mappa generale delle macro aree e delle aree formative). La presente proposta sarà ridefinita al termine della sperimentazione triennale del “Progetto pilota per il sistema di istruzione e formazione”, già in atto nelle regioni e province autonome che hanno firmato l’accordo con il MIUR e il Mini- stero del Lavoro e delle Politiche Sociali e sulla base dei regolamenti attuativi della legge 53/03. 2.1. MACRO AREA DELLE “SCIENZE UMANE” Per “scienze umane” intendiamo l’insieme delle riflessioni che hanno come oggetto di studio i differenti aspetti dell’uomo e della società. Esse comprendono l’etica, la storia, l’antropologia, la sociologia, la psicologia, l’economia, il diritto ma anche le scienze del linguaggio e la comunicazione. ▼ ▼ ▼ 14 Di seguito, indichiamo gli obiettivi e l'articolazione (mappa) della macro area in oggetto previsti dal progetto CREA. 1) Obiettivi Nell’approccio adottato, abbiamo voluto porre in evidenza, nell’ambito delle scienze umane, ciò che consente alla persona di: a) Acquisire la consapevolezza della propria realtà personale b) Acquisire la consapevolezza di possedere e sviluppare una mappa di valori etici significativi per affrontare le condizioni di vita presenti nella società e nel lavoro c) Partecipare responsabilmente alla vita sociale e pubblica, in relazione allo svi- luppo del proprio progetto personale e professionale d) Interagire con l’amministrazione ed i servizi pubblici e privati nella considera- zione dei propri diritti e dei propri doveri e) Riconoscere gli elementi fondamentali dell’economia e operare gli atti ammini- strativi fondamentali della vita quotidiana f) Conoscere le leggi fondamentali che regolano l’economia ed il funzionamento dei sistemi economici g) Conoscere gli elementi costitutivi e la natura giuridica di un’azienda, indivi- duando le diverse tipologie di organizzazione h) Conoscere i fondamenti legislativi a tutela del lavoro, del lavoratore e delle la- voratrici e le norme contrattuali di riferimento i) Sapersi rapportare con le organizzazioni e le istituzioni sociali del mondo del lavoro j) Esprimersi e comunicare in lingua italiana in forma corretta ed adeguata alle esi- genze di interazione sociale, di inserimento professionale, di espressività indivi- duale; utilizzare in modo efficace le diverse modalità dei registri comunicativi k) Acquisire la capacità di comunicare adeguatamente in lingua inglese in situazio- ni quotidiane e di comprendere testi tecnici. 2) Mappa La macro area “Scienze umane” si articola in 6 aree formative: “Persona”, “Cit- tadinanza”, “Economia e società”, “Lavoro”, “Comunicazione”, “Inglese”. Ciascuna di queste è, a sua volta, articolata in unità formative (UF) e unità didattiche (UD). Area formativa: “PERSONA” [ Pers. ] UF: “Identità e relazione” [ Pers. 1. ] UD: “Vivere è esserci” [ Pers. 1.1. ] UD: “Vivere è entrare in relazione” [ Pers. 1.2. ] UD: “L’uomo cercatore di Dio?” [ Pers. 1.3. ] UD: “L’identità storica e culturale di Gesù di Nazareth” [ Pers. 1.4. ] UF: “La comunità” [ Pers. 2. ] UD: “La famiglia, nucleo fondamentale e soggetto sociale” [ Pers. 2.1. ] UD: “Modelli culturali e sociali delle grandi religioni “ [ Pers. 2.2. ] 15 UD: “Valori comunitari e dottrina sociale della Chiesa” [ Pers. 2.3. ] UF: “Il senso della vita” [ Pers. 3 ] UD: “Vivere è progettarsi “ [ Pers. 3.1. ] UD: “Tante vie per realizzare la vita” [ Pers. 3.2. ] UD: “Il manifesto della vita felice” [ Pers. 3.3. ] Area formativa: “CITTADINANZA” [ Citt. ] UF: “Il cittadino” [ Citt. 1. ] UD: “Il cittadino “ [ Citt. 1.1. ] UF: “Diritti e doveri” [ Citt. 2. ] UD: “La norma e le sue violazioni” [ Citt. 2.1. ] UD: “I diritti individuali e sociali” [ Citt. 2.2. ] UD: “I doveri e le sanzioni” [ Citt. 2.3. ] UF: “Diritti umani” [ Citt. 3. ] UD: “Carta universale dei diritti umani” [ Citt. 3.1. ] UD: “I conflitti nel mondo” [ Citt. 3.2. ] UD: “Multiculturalità e interculturalità” [ Citt. 3.3. ] UD: “Pari opportunità tra uomo e donna” [ Citt. 3.4. ] UF: “Territorio e storia” [ Citt. 4. ] UD: “Elementi di base del territorio” [ Citt. 4.1. ] UD: “Storia e tradizioni popolari del proprio territorio” [ Citt. 4.2. ] UD: “Sguardo sugli avvenimenti storici d’Italia e sullo scenario internazionale” [ Citt. 4.3. ] Area formativa: “ECONOMIA E SOCIETÀ” [ Ecs. ] UF: “Il budget” [ Ecs. 1. ] UD: “Simulazione di un acquisto personale” [ Ecs. 1.1. ] UD: “Gestione degli atti amministrativi” [ Ecs. 1.2. ] UD: “Simulazione di un acquisto aziendale” [ Ecs. 1.3. ] UF: “Il sistema economico” [ Ecs. 2. ] UD: “Le leggi fondamentali dell’economia” [ Ecs. 2.1. ] UD: “Sistema famiglia” [ Ecs. 2.2. ] UD: “Sistema impresa” [ Ecs. 2.3. ] UD: “Sistema Stato” [ Ecs. 2.4. ] UF: “Organizzazione dell’impresa” [ Ecs. 3. ] UD: “Azienda” [ Ecs. 3.1. ] UD: “Struttura aziendale” [ Ecs. 3.2. ] UF: “Creare e gestire un’impresa” [ Ecs. 4. ] UD: “Business plan” [ Ecs. 4.1. ] UD: “Reperimento dei finanziamenti da parte dell’impresa” [ Ecs. 4.2. ] UD: “Gestione dell’impresa simulata” [ Ecs. 4.3. ] Area formativa: “LAVORO” [ Lav. ] UF: “Lavoro” [ Lav. 1. ] UD: “Formazione e lavoro nella Costituzione” [ Lav. 1.1. ] UD: “Aspetti del lavoro nella società contemporanea” [ Lav. 1.2. ] UD: “Lavoro nella dottrina sociale della Chiesa” [ Lav. 1.3. ] UF: “Cambiamenti del lavoro - Problemi e opportunità” [ Lav. 2. ] UD: “Il lavoro nella storia e le nuove professioni” [ Lav. 2.1. ] UD: “Le regole che governano il mercato del lavoro nella società della globalizzazione” [ Lav. 2.2. ] UF: “Contratti di lavoro, tutela e sviluppo” [ Lav. 3. ] 16 UD: “Aspetti fondamentali del rapporto di lavoro” [ Lav. 3.1. ] UD: “Forme e contratti di lavoro” [ Lav. 3.2. ] UD: “Lavoro subordinato e lavoro autonomo” [ Lav. 3.3. ] UD: “Lavoro e territorio” [ Lav. 3.4. ] UD: “Ricerca attiva del lavoro” [ Lav. 3.5. ] Area formativa: “COMUNICAZIONE” [ Com. ] UF: “Comunicare” [ Com. 1. ] UD: “Potenziamento lessicale” [ Com. 1.1. ] UD: “La comunicazione linguistica” [ Com. 1.2. ] UD: “I mezzi di comunicazione sociale” [ Com. 1.3. ] UF: “Comprendere testi orali e scritti” [ Com. 2. ] UD: “Struttura e linguaggio dei quotidiani” [ Com. 2.1. ] UD: “Linguaggio multimediale” [ Com. 2.2. ] UD: “Tecniche di lettura e modalità di sintesi” [ Com. 2.2. ] UF: “Produrre testi orali e scritti” [ Com. 3. ] UD: “Produzione e presentazione di testi e schede riassuntive” [ Com. 3.1. ] UF: “Elementi di cultura linguistica” [ Com. 4. ] UD: “Esperienze significative di cultura locale” [ Com. 4.1.] UD: “Elementi di letteratura contemporanea” [ Com. 4.2.] Area formativa: “INGLESE” [ Ing. ] UF: “Livello introduttivo” [ Ing. 1. ] UD: “Getting to know” [ Ing. 1.1. ] UD: “What time do you usually get up?” [ Ing. 1.2. ] UD: “What music do you listen to?” [ Ing. 1.3. ] UD: “Would you like...?” [ Ing. 1.4. ] UD: “What is this about (Technical English)” [ Ing. 1.5. ] UD: “A basic technical glossary” [ Ing. 1.6. ] UF: “Livello sopravvivenza” [ Ing. 2. ] UD: “Me and my family” [ Ing. 2.1. ] UD: “What is happening?” [ Ing. 2.2. ] UD: “What did you do yesterday?” [ Ing. 2.3. ] UD: “I’m going to London tomorrow” [ Ing. 2.4. ] UD: “Better and nicer” [ Ing. 2.5. ] UD: “Understanding basic info (Technical English)” [ Ing. 2.6. ] UF: “Livello autonomo” [ Ing. 3. ] UD: “People’s past...” [ Ing. 3.1. ] UD: “I wish I wew...” [ Ing. 3.2. ] UD: “How to write about me” [ Ing. 3.3. ] UD: “Taking notes (Technical English)” [ Ing. 3.4. ] UD: “I’d like to apply for this job” [ Ing. 3.5. ] UF: “Inglese tecnico informatico” [ Ing. 4. ] UD: “Computer and its terminology” [ Ing. 4.1. ] UD: “Hardware” [ Ing. 4.2. ] UD: “Peripherals” [ Ing. 4.3. ] UD: “Software” [ Ing. 4.4. ] UD: “Network and internet” [ Ing. 4.5. ] UD: “Jobs and career” [ Ing. 4.6. ] 17 2.2. MACRO AREA DELLA “CULTURA SCIENTIFICA” Per “cultura scientifica” intendiamo l’insieme di conoscenze obiettive che han- no per oggetto le proprietà degli enti astratti e le loro relazioni, ed inoltre i corpi na- turali e le loro caratteristiche ovvero il mondo fisico in cui trovano applicazione ef- ficace le tecniche di osservazione e di indagine tali da sostenere una conoscenza fondata sul ricorso all’esperienza. Esse comprendono la matematica, le scienze della materia, le scienze della natura, l’informatica. Di seguito, indichiamo gli obiettivi e l'articolazione (mappa) della macro area in oggetto previsti dal progetto CREA. 1) Obiettivi Nell’approccio adottato, abbiamo voluto porre in evidenza, nell’ambito della cultura scientifica, ciò che consente alla persona di: a) Risolvere situazioni problematiche in diversi ambiti di esperienza (personale, so- ciale, professionale) con l’uso corretto di appropriati strumenti matematici b) Riconoscere i processi scientifici fondamentali della realtà e saper utilizzare gli strumenti adeguati per la loro descrizione ed eseguire i calcoli relativi c) Conoscere il proprio corpo per conservare lo stato di salute d) Acquisire comportamenti che rispettano l’ambiente e) Utilizzare i principali programmi applicativi informatici e telematici 2) Mappa La macro area “Cultura scientifica” si articola in 4 aree formative: “Matemati- ca”, “Scienze della materia”, “Scienze della natura”, “Informatica”. Ciascuna di queste è, a sua volta, articolata in unità formative (UF) e unità didattiche (UD). Area formativa: “MATEMATICA” [ Mat. ] UF: “I numeri” [ Mat. 1. ] UD: “I numeri e la loro classificazione” [ Mat. 1.1. ] UD: “Sistemi di numerazione” [ Mat. 1.2. ] UD: “I simboli relazionali” [ Mat. 1.3. ] UD: “Operazioni: definizioni e applicazione nei vari campi numerici” [ Mat. 1.4. ] UF: “La geometria nel piano e nello spazio” [ Mat. 2. ] UD: “Linguaggio della geometria piana” [ Mat. 2.1. ] UD: “I poligoni” [ Mat. 2.2. ] UD: “Principali proprietà e teoremi” [ Mat. 2.3. ] UD: “La circonferenza e le sue proprietà” [ Mat. 2.4. ] UD: “La geometria solida” [ Mat. 2.5. ] UF: “Le variabili” [ Mat. 3. ] UD: “Il calcolo letterale” [ Mat. 3.1. ] UD: “Introduzione ai concetti di uguaglianza, uguaglianza condizionata e disuguaglianza” [ Mat. 3.2. ] UD: “La ricerca del valore sconosciuto” [ Mat. 3.3. ] UD: “I sistemi lineari” [ Mat. 3.4. ] 18 UD: “Le equazioni di grado superiore al primo” [ Mat. 3.5. ] UF: “Le funzioni logico matematiche” [ Mat. 4. ] UD: “Gli insiemi e le loro operazioni” [ Mat. 4.1. ] UD: “Assi cartesiani; coordinate” [ Mat. 4.2. ] UD: “Le funzioni: elementi di definizione e loro proprietà grafiche” [ Mat. 4.3. ] UD: “Le funzioni trigonometriche e la risoluzione dei triangoli” [ Mat. 4.4. ] UD: “Elementi di geometria analitica: distanze tra punti; retta e curve” [ Mat. 4.5. ] UD: “Operazioni della logica formale e applicazione ai circuiti” [ Mat. 4.6. ] UF: “Elementi di statistica, probabilità e matematica finanziaria” [ Mat. 5. ] UD: “Il dato e la sua organizzazione” [ Mat. 5.1. ] UD: “I grafici” [ Mat. 5.2. ] UD: “L’evento e calcolo della sua probabilità” [ Mat. 5.3. ] UD: “Il capitale in entrata e in uscita” [ Mat. 5.4. ] Area formativa: “SCIENZE DELLA MATERIA” [ Scm. ] UF: “Materia ed energia” [ Scm. 1. ] UD: “Microstruttura della materia” [ Scm. 1.1. ] UD: “La materia e sue trasformazioni” [ Scm. 1.2. ] UD: “Composizione degli esseri viventi” [ Scm. 1.3. ] UD: “Merceologia” [ Scm. 1.4. ] UF: “Meccanismi dei solidi e dei fluidi” [ Scm. 2. ] UD: “Grandezze fisiche e loro misura” [ Scm. 2.1. ] UD: “Moti rettilinei e non rettilinei” [ Scm. 2.2. ] UD: “Le forze e l’equilibrio meccanico” [ Scm. 2.3. ] UD: “Le forze e il movimento” [ Scm. 2.4. ] UD: “Le forze e l’energia” [ Scm. 2.5. ] UD: “Equilibrio dei fluidi” [ Scm. 2.6. ] UF: “Termologia” [ Scm. 3. ] UD: “Dilatazione termica” [ Scm. 3.1. ] UD: “Calore e temperatura” [ Scm. 3.2. ] UD: “Cambiamenti di stato” [ Scm. 3.3. ] UD: “Propagazione del calore come processo stazionario” [ Scm. 3.4. ] UD: “L’energia termica e le sue trasformazioni” [ Scm. 3.5. ] UF: “Elettrologia elettromagnetismo” [ Scm. 4. ] UD: “La carica elettrica e l’equilibrio” [ Scm. 4.1. ] UD: “La corrente elettrica” [ Scm. 4.2. ] UD: “Fenomeni magnetici e campo magnetico” [ Scm. 4.3. ] UD: “Induzione elettromagnetica ed energia elettrica” [ Scm. 4.4. ] UF: “Acustica e ottica” [ Scm. 5. ] UD: “Fenomeni ondulatori e loro leggi” [ Scm. 5.1. ] UD: “Sorgenti sonore e loro caratteristiche” [ Scm. 5.2. ] UD: “Ottica” [ Scm. 5.3. ] Area formativa: “SCIENZE DELLA NATURA” [ Scn. ] UF: “Il mondo dei viventi” [ Scn. 1. ] UD: “Viventi e non viventi” [ Scn. 1.1. ] UD: “La cellula” [ Scn. 1.2. ] UD: “Origine della vita, evoluzione e adattamento” [ Scn. 1.3. ] UD: “Eredità dei caratteri” [ Scn. 1.4. ] UD: “Nutrizione” [ Scn. 1.5. ] UD: “Respirazione” [ Scn. 1.6. ] UD: “Circolazione e trasporto” [ Scn. 1.7. ] UD: “Immunità e difesa” [ Scn. 1.8. ] 19 UD: “Sostegno e movimento” [ Scn. 1.9. ] UD: “Riproduzione” [ Scn. 1.10.] UD: “Concetto di salute e malattia: educazione alla salute” [ Scn. 1.11.] UF: “Educazione allo sviluppo sostenibile e rispetto dell’ambiente” [ Scn. 2. ] UD: “Elementi di ecologia” [ Scn. 2.1. ] UD: “Gli ecosistemi” [ Scn. 2.2. ] UD: “Inquinamento” [ Scn. 2.3. ] UD: “Educazione allo sviluppo sostenibile e al rispetto dell’ambiente” [ Scn. 2.4. ] Area formativa: “INFORMATICA” [ Inf. ] UF: “Il personal computer” [ Inf. 1. ] UF: “Il sistema operativo” [ Inf. 2. ] UF: “Elaborazione testi” [ Inf. 3. ] UF: “Il foglio elettronico” [ Inf. 4. ] UF: “Il data base” [ Inf. 5. ] UF: “Presentazione e disegno” [ Inf. 6. ] UF: “Reti informatiche” [ Inf. 7. ] 2.3. MACRO AREA DELLE “CAPACITÀ PERSONALI” Per “capacità personali” intendiamo l’insieme delle caratteristiche della persona possedute su base innata e appresa e riguardanti i suoi repertori di base: cognitivo, affettivo-motivazionale, socio-interpersonale. Esse riflettono i valori ed i contenuti propri dell’educazione che la persona vive specie nell’età evolutiva; si riferiscono quindi alla famiglia di appartenenza, alle agenzie educative e formative ma anche ai legami significativi individuali e di gruppo. Esse rappresentano le potenzialità del- l’allievo che richiedono di essere riconosciute (innanzitutto a favore del destinatario stesso) e attualizzate. Tali capacità, raramente coltivate in modo formale dalle isti- tuzioni formative, sono attualmente considerate preziose per l’adattamento perso- nale, interpersonale, scolastico e professionale. Tali capacità comprendono quindi l’ambito dell’io (consapevolezza di sé) delle relazioni (comunicazione e relazione con gli altri), del compito (disposizione all’autonomia, alla responsabilità ed alla soluzione dei problemi, il rispetto delle regole organizzative) il contesto (diagnosi della realtà, disposizione ad apprendere dall’esperienza) 5. Di seguito, indichiamo gli obiettivi e l’articolazione (mappa) della macro area in oggetto previsti dal progetto CREA. 1) Obiettivi Nell’approccio adottato, abbiamo voluto porre in evidenza nell’ambito delle capacità personali ciò che consente alla persona di: 5 BECCIU M. - A.R. COLASANTI, La promozione delle capacità personali. Teoria e prassi, Roma, Tipografia Pio XI, 2003. 20 a) scoprire le proprie preferenze cognitive b) riconoscere le proprie tendenze emotive c) individuare il proprio stile comportamentale d) identificare i propri limiti e le proprie risorse e) esplicitare le proprie mete f) sintonizzarsi con gli altri g) comunicare con efficacia h) collaborare e lavorare in gruppo i) gestire i contrasti e negoziare j) pianificare il proprio agire k) risolvere problemi e prendere decisioni l) potenziare le proprie strategie di apprendimento e di azione m) diagnosticare il contesto di lavoro in cui si opera n) autoregolare il proprio comportamento organizzativo 2) Mappa La macro area “Capacità personali” si articola in 4 aree formative: “Io - Consapevolezza, valutazione e promozione della propria realtà personale”, “Altri - Positività del rapporto con le persone con le quali si entra in contatto”, “Compito - Fronteggiamento efficace di richieste e problemi insiti in una determinata attività”, “Contesto - Integrazione e inserimento produttivo in un ambiente di lavoro”. Ciascuna di queste si articola in unità operative (UO). Area formativa: “IO” [ C.P. Io] UO: “Scoprire le proprie preferenze cognitive” [ C.P. 1. ] UO: “Riconoscere le proprie tendenze emotive” [ C.P. 2. ] UO: “Individuare il proprio stile comportamentale” [ C.P. 3. ] UO: “Identificare i propri limiti e le proprie risorse” [ C.P. 4. ] UO: “Esplicitare le proprie mete” [ C.P. 5. ] Area formativa: “ALTRI” [ C.P. Altri] UO: “Comunicare con efficacia” [ C.P. 6. ] UO: “Sintonizzarsi con gli altri” [ C.P. 7. ] UO: “Collaborare e lavorare in gruppo” [ C.P. 8. ] UO: “Gestire i contrasti e negoziare” [ C.P. 9. ] Area formativa: “COMPITO” [ C.P. Compito] UO: “Pianificare il proprio agire” [ C.P. 10. ] UO: “Risolvere problemi e prendere decisioni” [ C.P. 11. ] UO: “Potenziare le proprie strategie di apprendimento e di azione” [ C.P. 12. ] Area formativa: “CONTESTO” [ C.P. Contesto] UO: “Diagnosticare il contesto di lavoro in cui si opera” [ C.P. 13. ] UO: “Autoregolare il proprio comportamento organizzativo” [ C.P. 14. ] 21 2.4. MACRO AREA DELLE “COMPETENZE PROFESSIONALI COMUNI” Per “competenze professionali comuni” intendiamo due specifiche acquisizioni condivise tra differenti percorsi formativi e legate alla attuale percezione della re- sponsabilità dell’individuo in rapporto ad uno specifico ambiente di lavoro: la sicu- rezza e la qualità. Di seguito, indichiamo gli obiettivi e l'articolazione (mappa) della macro area in oggetto previsti dal progetto CREA. 1) Obiettivi Nell’approccio adottato, abbiamo voluto porre in evidenza nell’ambito delle competenze professionali comuni ciò che consente alla persona di a) Conoscere, rispettare e applicare le norme di sicurezza b) Conoscere, rispettare e applicare le procedure relative alla qualità. 2) Mappa La macro area “Competenze professionali comuni” si articola in 2 aree forma- tive: “Sicurezza”, “Qualità”. Ciascuna di queste è, a sua volta, articolata in unità formative (UF) e unità didattiche (UD). Area formativa: “SICUREZZA” [ Sic. ] UF: “Prevenzione e sicurezza: sensibilizzazione” [ Sic. 1. ] UD: “Prevenzione e sicurezza: sensibilizzazione” [ Sic. 1.1. ] UF: “Prevenzione e sicurezza: interventi preventivi nel settore” [ Sic. 2. ] UD: “Prevenzione e sicurezza: interventi preventivi nel settore” [ Sic. 2.1. ] Area formativa: “QUALITÀ” [ Qual. ] UF: “Il sistema qualità: sensibilizzazione” [ Qual. 1. ] UD: “Il sistema qualità: sensibilizzazione” [ Qual. 1.1. ] UF: “Il miglioramento continuo” [ Qual. 2. ] UD: “Prevenzione e sicurezza: interventi preventivi nel settore” [ Qual. 2.1. ] 23 3. L’ELABORAZIONE DELLE UNITÀ DEL CREA 3.1. CRITERI ISPIRATORI PER LA COMPILAZIONE DELLE UNITÀ DIDATTICHE La mappa delle unità formative e delle relative unità didattiche intende dotare i giovani che frequentano i CFP del CNOS-FAP di strumenti e di opportunità che consentano loro di valorizzare al meglio l’approccio peculiare della formazio- ne professionale centrato sulla scoperta e sull’aiuto alla realizzazione del progetto personale di ogni destinatario intorno ad una identità lavorativo - professionale e sulla base di una proposta tesa a formare il cittadino, il lavoratore, il cristiano. Le varie unità didattiche si basano sulla centralità dell’esperienza e della com- petenza, sul metodo induttivo per ricerca e scoperta, sul legame motivante e funzio- nale tra le risorse offerte, le competenze da possedere e i risultati ottenuti dal gio- vane nel suo percorso (esperienze di successo). Esse coniugano in un insieme ar- monico l’approccio esperienziale e l’astrazione, anch’essa necessaria, presupposto fondamentale per costruire un percorso di autonomia nell’apprendimento. Il percor- so formativo sarà sostenuto anche dalle nuove tecnologie educative (NTE). Ciò che si persegue non è infatti l’abilità fine a se stessa, quanto lo sviluppo di una profes- sionalità piena, fatta di competenze (sapere teorico ed abilità applicate nella risolu- zione di un compito professionale) e di atteggiamenti e comportamenti congruenti accompagnati dalla maturazione nell’allievo di una mentalità che assuma i compiti di lavoro entro un quadro non solo funzionale ma anche ideale, per il cui persegui- mento si prevede una disposizione interiore tesa al bene. I criteri metodologici fondanti per elaborare unità didattiche sono: • approccio per esperienze e non per contenuti; i contenuti sono recuperati lungo il percorso; • ingresso inteso come “promozione” in quanto mira al coinvolgimento nella speri- mentazione di un metodo attivo; • conoscenze organizzate tramite una mappa ed un glossario; esse vanno enfatizza- te nel momento in cui si incontrano e richiedono anch’esse un adeguato appro- fondimento; • titoli delle UF e delle UD alludono non tanto al contenuto quanto alla performance e quindi alla “dotazione personale” dell’allievo. Per quanto riguarda gli strumenti da adottare, riteniamo che un percorso for- mativo che riconosce nell’allievo il vero protagonista dell’apprendimento debba ac- compagnare agli strumenti tradizionali (testi, dispense cartacee, schemi, tabelle, il- lustrazioni) l’insieme degli strumenti didattici frutto dell’applicazione delle nuove tecnologie educative (presentazioni in Powerpoint, schemi in Autocad, animazioni, 24 uso di chat-line con studenti stranieri o tra giovani di diversi centri del CNOS-FAP, ricerche su Internet, ecc.). 3.2. PRESENTAZIONE DEGLI STRUMENTI Gli strumenti utili per l’elaborazione delle unità sono costituiti dalle tre schede di se- guito descritte e allegate al presente volume (appendice). 1) “Scheda A: Guida alla compilazione dell’unità formativa” Questo strumento è utile per l’elaborazione dell’unità formativa che, in questa prima fase, si riferisce al percorso di qualifica professionale triennale (14 - 17 anni), e ricalca quanto previsto dal “Progetto pilota per il sistema di istruzione e formazione”. La scheda è riportata in appendice 1. 2) “Scheda B: Guida formatore” Questo strumento è utile per l’elaborazione dell’unità didattica e ha l’obiettivo di presentare gli aspetti generali in cui deve articolarsi l’unità: a) Indicazioni generali b) Fasi dell’unità didattica c) Informazioni sull’unità didattica La scheda è riportata in appendice 2. 3) “Scheda C: Manuale allievo” Questa scheda fornisce i parametri (con i relativi descrittori) in base ai quali va articolato il manuale destinato agli allievi. La scheda è riportata in appendice 3. In allegato, presentiamo una unità completa (sia la guida formatore che il manuale allievo) che esemplifica l’impianto del CREA. L’unità presentata prevede anche una parte in versione multimediale reperibile nell’area riservata del sito www.cnos-fap.it. 25 I promotori dell’iniziativa confidano che le sperimentazioni avviate nelle Re- gioni apportino miglioramenti e approfondimenti al progetto. Sono peraltro convinti che il CREA rappresenti un’occasione di formazione continua per ogni formatore, in quanto approfondimento concreto di una metodologia che lo guida in una gestione dell’aula attiva e coinvolgente; pertanto, si augurano che la presente pubblicazione possa permettere il coinvolgimento di altri formatori: solo così, il CREA, a regime, diventerà un servizio permanente per la Federazione CNOS - FAP. I promotori sentono il dovere di ringraziare quanti hanno portato il progetto a questo livello e quanti vorranno coinvolgersi in futuro in questa fatica, che si è rivelata già preziosa nel contribuire al consolidamento di una formazione professio- nale rispondente alla crescita globale della persona. 4. CONCLUSIONI 27 BECCIU M. - A.R. COLASANTI, La promozione delle capacità personali. Teoria e prassi, Roma, Tipografia Pio XI, 2003. NICOLI D., L’autoformazione assistita. Torino, Casa di Carità Arti e Mestieri, 2000. PELLEREY M., Educare. Manuale di pedagogia come scienza pratico-progettuale, Roma, LAS, 1999. 5. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI APPENDICI Appendice n. 1 - SCHEDA A: SCHEMA DELL’UNITÀ FORMATIVA Appendice n. 2 - SCHEDA B: GUIDA FORMATORE Appendice n. 3 - SCHEDA C: MANUALE ALLIEVO Appendice n. 4 - MAPPA DEL CREA 31 Appendice n. 1 - Scheda A: Schema dell’unità formativa Scheda A: SCHEMA DELL’UNITÀ FORMATIVA Guida alla compilazione dell’unità formativa (UF) Ogni UF dovrà essere descritta in base ai seguenti parametri. PARAMETRO 1. Denominazione dell’UF 2. Codice dell’UF 3. Macro - area formativa 4. Obiettivi 5. Standard / Criteri 6. Contenuti 7. Collocazione dell’UF nel percorso formativo 8. Tempi 9. Unità didattiche DESCRIZIONE Vedi mappa Vedi mappa Vedi mappa Indicare i risultati di apprendimento perseguiti, ovvero le competenze dell’allievo – intese quali insiemi di capacità personali, conoscenze e abilità – in una visione integrale del- la persona Elencare le prestazioni essenziali, previste dalla normativa vigente, attese dagli allievi Enumerare le conoscenze che vengono affrontate espressa- mente nell’UF Indicare il periodo di utilizzo dell’UF nell’arco del percorso di formazione triennale Indicare la durata dell’UF (da un minimo ad un massimo di ore) Elencare la sequenza delle unità didattiche in cui si articola l’UF (indicare solo i titoli): 1) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . n) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32 Appendice n. 2 - Scheda B: Guida formatore Scheda B: GUIDA FORMATORE Guida alla compilazione dell’unità didattica (UD) La guida formatore ha il fine di accompagnare il formatore in ogni fase del percorso dell’UD, indicando: • come dare avvio al percorso • come utilizzare gli strumenti nelle varie fasi • come affrontare le eventuali difficoltà che si incontrano • come realizzare la verifica/valutazione • come capitalizzare e dare continuità al percorso La scheda si compone di tre parti: 1) Indicazioni generali; 2) Fasi dell’UD; 3) Informazioni sull’UD. Di seguito, presentiamo ciascuna di queste parti della scheda per la “Guida formatore”. 33 1. INDICAZIONI GENERALI INDICAZIONE 1.1. Titolo dell’UD 1.2. Codice dell’UD 1.3. Macro - area formativa 1.4. Utenti 1.5. Collocazione dell’UD nel percorso formativo 1.6. Prerequisiti 1.7. Obiettivi e performance 1.8. Contenuti 1.9. Metodologia e strategie 1.10. Valutazione in itinere e sommativa 1.11. Eventuali criticità 1.12. Leve su cui agire 1.13. Tempi 1.14. Risorse 1.15. Connessioni DESCRIZIONE Vedi mappa Vedi mappa Vedi mappa Indicare i destinatari dell’UD e la loro situazione di partenza (formazione professionale iniziale, formazione continua, for- mazione superiore, apprendistato, ecc.) Indicare il periodo di utilizzo dell’UD nell’arco del percorso di formazione triennale Indicare l’insieme di conoscenze, capacità e competenze che l’allievo deve possedere per affrontare l’UD Indicare i risultati di apprendimento perseguiti, ovvero le com- petenze dell’allievo (intese quali insiemi di capacità personali, conoscenze e abilità), in una visione integrale della persona. Indicare la prestazione, ovvero il prodotto / risultato finale attesa Indicare i contenuti che saranno affrontati nel corso dell’UD Indicare le modalità con cui si intende svolgere l’UD Indicare i compiti assegnati in itinere e la prestazione finale richiesta (eventuale verifica a distanza) Indicare quali ostacoli occorre tenere in considerazione Indicare il metodo per superare gli ostacoli indicati Indicare la durata dell’UD (da un minimo ad un massimo di minuti) Elencare l’occorrente per lo svolgimento dell’UD: aule, attrez- zature, banche dati, ecc. Indicare le connessioni, i collegamenti, con altre UD 34 2. FASI DELL’UD INDICAZIONE 2.1. Canovaccio (cfr. Graf. 2) 2.2. Percorso 2.3. Strumenti didattici / di apprendimento 2.4. Strumenti di valutazione 2.5. Approfondimenti / Rinforzi 2.6. Glossario 2.7. Bibliografia 2.8. Sitografia DESCRIZIONE L’UD dovrà svilupparsi tenendo presente il “canovaccio”. Come mostra lo schema (cfr. grafico), ogni UD sarà articolata in fasi (T0, T1, T2, ecc.) e ciascuna fase dovrà prevedere un momento espositivo, una esperienza concreta da proporre agli allievi e dei sussidi. Altri aspetti (la colonna del grafico lascia- ta in bianco) saranno inseriti a discrezione dall’autore dell’UD. Fornire le indicazioni operative utili per un corretto svolgi- mento dell’UD (suggerimenti, consigli, accorgimenti, ecc.) In questa sezione vanno inseriti tutti i materiali utilizzati (schede, esercitazioni, approfondimenti, ecc.). Le prime schede sono collegate alla fase T0 obiettivi e T0 bilancio personale L’UD deve prevedere anche la presentazione degli strumenti di valutazione previsti per la rilevazione dell’apprendimento dei contenuti della stessa UD. Questi saranno distinti in: • Strumenti per la valutazione in itinere (svolta lungo il pro- cesso di apprendimento, per verificare il punto in cui si tro- va l’allievo e apportare eventuali interventi compensativi) • Strumenti per la valutazione sommativa (realizzata alla fine del processo di apprendimento, per rilevare i risultati del lavoro svolto) In coda all’unità, ci sarà una sezione dedicata all’approfondi- mento / rinforzo dei temi svolti. I suggerimenti potranno es- sere di vario tipo; per esempio, potranno consistere in indica- zioni bibliografiche e sitografiche essenziali. In questa sezione vanno indicati e definiti tutti i termini ricor- renti nell’UD Indicare i testi utilizzati per compilare l’unità. Qui possono essere inseriti anche testi suggeriti per eventuali approfondi- menti dei contenuti affrontati Indicare eventuali siti consultati per compilare l’unità. Qui possono essere inseriti anche indirizzi web suggeriti per even- tuali approfondimenti dei contenuti affrontati 35 Graf. 2 - Canovaccio pe lo sviluppo dell’UD TEMA / ESPERIENZA / CASO OGGETTO DELL’UD: .................................................................................................................................................................................................................. SEQUENZA: Fasi (Denominazione e tempi) T0 6 T1 T2 T3 T4 T5 Tn Esposizione Esperienza Risorsemultimediali Altre risorse ................... ................... 6 T = Tempo. 36 3. INFORMAZIONI SULL’UD In coda a ciascuna UD, vanno inserite le seguenti informazioni: INFORMAZIONE 3.1. Titolo dell’UD 3.2. Codice dell’UD 3.3. Data di creazione 3.4. Versione 3.5. Autore/i dell’UD 3.6. Autore/i dei materiali e/o degli strumenti 3.7. Coordinamento CREA 3.8. Coordinamento scientifico CREA 3.9. Progettista grafico materiali multimediali 3.10. Progettista grafico materiali cartacei 3.11. Revisione testi 3.12. Indirizzo e-mail per commenti, suggerimenti, richieste, ecc. 3.13. Eventuali note DESCRIZIONE Vedi mappa Vedi mappa Indicare la data in cui l’UD è stata consegnata per la revisione conclusiva Si consideri la seguente sequenza: versione n. 1: “prototipo”; versione n. 2: “testing”; versione n. 3: “revisione”; versione n. 4: “validazione”. Indicare i nomi di quanti hanno preso parte attiva alla compi- lazione dell’UD Indicare i nomi di quanto hanno fornito materiali o strumenti utilizzati nell’UD Questa sezione è a cura del revisore dell’unità Questa sezione è a cura del revisore dell’unità Questa sezione è a cura del revisore dell’unità Questa sezione è a cura del revisore dell’unità Questa sezione è a cura del revisore dell’unità Indicare recapiti utili per essere contattati dagli utenti dell’UD Qualora lo ritenesse necessario, l’autore può inserire delle note in coda all’unità 37 Appendice n. 3 - Scheda C: Manuale allievo Scheda C: MANUALE ALLIEVO Guida alla compilazione dell’unità didattica (UD) Il manuale è il testo che andrà in mano all’allievo. È importante, dunque, che sia scritto in modo semplice, che sia sintetico, graficamente accattivante e che contenga i materiali utili per gli esercizi e le valutazioni. Ciascuna UD dovrà essere descritta in base ai seguenti 12 parametri. PARAMETRO 1. Macro - area formativa di riferimento 2. Accoglienza / Presentazione 3. Obiettivi 4. Metodologie 5. Percorso 6. Strumenti didattici / di apprendimento 7. Strumenti di valutazione DESCRIZIONE In primo luogo, va indicato il nome della macro area formati- va all’interno della quale è inserita l’UF o l’UD in oggetto. Si introduce l’UD. In questa introduzione sono presenti la mo- tivazione, una descrizione sintetica dell’UD e un accenno agli strumenti utilizzati. Se sono previsti dei requisiti di ingresso, questi dovranno essere descritti qui. Indicare gli obiettivi che l’allievo conseguirà al termine dell’UD Indicare le modalità con cui si intende svolgere l’UD Descrivere le singole fasi con tutte le indicazioni operative per un corretto svolgimento dell’unità (suggerimenti, consigli, ac- corgimenti utili per il concreto svolgimento dell’UD) È il cuore dell’unità. Questa sezione elenca, descrive, allega i diversi materiali d’apprendimento – cartacei e informatici (floppy, CD ROM, file presenti sul portale dedicato) – necessa- ri per svolgere l’unità. Se sono previsti strumenti per la verifica dei requisiti di ingresso, questi dovranno essere inseriti qui. L’unità deve prevedere anche la presentazione degli strumen- ti di valutazione previsti per la verifica dell’apprendimento della stessa unità. Questi saranno distinti in: - Strumenti per la valutazione in itinere (svolta lungo il pro- cesso di apprendimento, per verificare il punto in cui si tro- va l’allievo e apportare eventuali interventi compensativi) - Strumenti per la valutazione sommativa (realizzata alla fine del processo di apprendimento, per rilevare i risultati del la- voro svolto) segue 38 PARAMETRO 8. Approfondimenti / Rinforzi 9. Glossario 10. Bibliografia 11. Sitografia 12. Bilancio personale DESCRIZIONE In coda all’unità ci sarà una sezione dedicata all’approfondi- mento/rinforzo dei temi svolti. I suggerimenti potranno esse- re di vario tipo; per esempio potranno consistere in indicazio- ni bibliografiche e sitografiche essenziali. In questa sezione vanno indicati (in ordine alfabetico) e defi- niti tutti i termini ricorrenti nell’UD. Indicare una bibliografia utile per approfondire i temi affron- tati nell’UD Indicare indirizzi web utili per approfondire i temi affrontati nell’UD Riguardando il paragrafo degli obiettivi all’inizio del manua- le, l’allievo cercherà di fare il punto della situazione cercando d’identificare i suoi successi oppure i punti dove ha incontra- to maggiori difficoltà. Il formatore lo potrà accompagnare nella definizione degli obiettivi futuri segue 39 Appendice n. 4 - Mappa del CREA C E N T R O R IS O R SE E D U C A T IV E P E R L ’A P P R E N D IM E N T O CONOSCENZE DI BASE Area delle scienze umane Persona Cittadinanza Economia e società Lavoro Comunicazione Inglese Area cultura scientifica Matematica Scienze della materia Scienze della natura Informatica CAPACITÀ PERSONALI Io Altri Compito Contesto COMPETENZE PROFESSIONALI COMUNI Sicurezza Qualità COMPETENZE PROFESSIONALI SPECIFICHE ▲ ▲ ▲ ▲ ▲ ▲ ➞ ALLEGATO • Unità didattica: SIMULAZIONE DI UN ACQUISTO PERSONALE (Guida formato- re) • Unità didattica: SIMULAZIONE DI UN ACQUISTO PERSONALE (Manuale allievo) Simulazione di un acquisto personale 43 Simulazione di un acquisto personale GUIDA FORMATORE 1) Indicazioni generali sull’unità didattica 2) Fasi dell’unità didattica 3) Informazioni sull’unità didattica 4) Strumenti per l’unità didattica 44 1. INDICAZIONI GENERALI SULL’UNITÀ DIDATTICA 1.1. Denominazione dell’UD Simulazione di un acquisto personale 1.2. Codice dell’UD ECS 1.3. 1.3. Macro area formativa Scienze umane 1.4. Utenti Allievi in obbligo formativo 1.5. Collocazione dell’UD nel percorso formativo Questa UD si colloca al I anno, all’inizio dell’unità formativa “Il budget” dell’area formativa “Economia e società”. 1.6. Prerequisiti Non sono previsti prerequisiti. 1.7. Obiettivi e performance Al termine dell’unità, gli allievi saranno in grado di: 1) esprimersi con la terminologia e le regole di base dell’economia aziendale; 2) gestire il proprio budget sviluppando abilità e caratteristiche personali attraverso la persona- lizzazione delle proprie scelte 3) potenziare la capacità decisionale in presenza di risorse materiali e temporali limitate. La verifica finale permette di valutare l’acquisizione di una terminologia specifica e di individua- re quali sono gli elementi che hanno influenzato le singole scelte economiche e finanziarie. 1.8. Contenuti Calcolo dell’interesse semplice e composto. 1.9. Metodologia e strategie Il tipo di metodologia da utilizzare dovrà essere di tipo induttivo/deduttivo: si partirà da un dato esperienziale (stimolo) per arrivare gradualmente al concetto finale. Il formatore dovrà fornire all’inizio le informazioni su ciò che i ragazzi dovranno fare, sugli stru- menti da utilizzare e affiancherà costantemente gli allievi nel percorso di costruzione del lavoro in questione. Strategie: 1) creare situazioni che colleghino il tema “gestione del budget personale” con la vita quotidiana dei ragazzi 2) far comprendere ai ragazzi l’importanza del grado di consapevolezza nell’effettuare una scelta a livello economico 3) favorire il processo di formazione di adeguati atteggiamenti sul tema utilizzando risorse didat- tiche stimolanti 1.10. Valutazione Il formatore propone di compilare la scheda ”Compra un computer” (cfr. punto 4. “Strumenti”) e l’obiettivo sarà raggiunto se l’allievo riuscirà gestire l’acquisto. 1.11. Eventuali criticità I ragazzi potranno incontrare difficoltà nell’interpretare e applicare le formule dell’interesse sem- plice e composto. 45 1.12. Leve su cui agire Il formatore deve catturare l’attenzione dei ragazzi presentando loro dei casi che provengono dalla vita quotidiano in cui loro sono gli attori principali. 1.13. Tempi L’UD ha una durata di circa 13 ore. 1.14. Risorse Il testo riportato in bibliografia, aula attrezzata con computer collegati ad Internet, materiale car- taceo, schede, diapositive (cfr. punto 4. “Strumenti”). 1.15. Connessioni L’UD in oggetto può trovare elementi di contatto con l’informatica, la matematica, l’economia, le competenze trasversali. 46 Fasi T0 Introduzione unità didattica Tempo: 10 min. T1 Presentazione del gioco di simulazio- ne: “Acquisto di un motorino” Tempo: 30 minuti T2 Gioco di simula- zione: “Acquisto di un motorino” Tempo: 4 ore T3 Confronto sui risultati Tempo: 3 ore T4 Approfondimento terminologico Tempo: 2 ore T5 Approfondimenti metodologico Tempo: 2 ore T6 Valutazione Tempo: 1 ora Esposizione Il formatore pre- senta brevemente l’unità didattica Il formatore spiega in cosa consiste il gioco Il formatore guida il gruppo classe durante la simulazione Il formatore gesti- sce il confronto sui risultati ottenuti e analizza i fattori che hanno influen- zato le scelte Il formatore stimola nei ragazzi la ricerca del significato di termini specifici Il formatore ripro- pone il gioco di simulazione partendo dai risultati precedenti Il formatore somministra la scheda “Compra un computer” Risorse 7 Lucidi: “Obiettivi”,“Bi- lancio personale” Lucidi o diapositive: “Presentazione del gioco di simulazio- ne dell’acquisto di un motorino” Diapositive o luci- di e copia cartacea: “Gioco di simula- zione dell’acquisto di un motorino” Lavagne e cartelloni Copia cartacea del glossario Copia cartacea delle diapositive o dei lucidi di T2: “Gioco di simula- zione dell’acquisto di un motorino” Scheda “Compra un computer” Multimedia CD con gioco di simulazione dell’acquisto del motorino Glossario multimediale Gioco di simulazione dell’acquisto del motorino Esperienza I ragazzi seguono la spiegazione del gioco sul loro manuale I ragazzi giocano I ragazzi espongono i risultati ottenuti motivando le loro scelte I ragazzi consultano il glossario I ragazzi giocano scegliendo un percorso diverso dal precedente I ragazzi compilano la scheda “Compra un computer 2. FASI DELL’UNITÀ DIDATTICA 2.1. Canovaccio 7 Le copie delle diapositive o dei lucidi indicati nella colonna “Risorse” sono riportate al punto 4. “Strumenti”. 47 2.2. Percorso T0: Introduzione e presentazione dell’UD È bene che il formatore, all’inizio del percorso, introduca gli obiettivi, le metodologie (si vedano anche i suggerimenti del paragrafo 1.9. “Metodologia e strategie”) e gli strumenti dell’unità didat- tica; l’allievo seguirà attraverso il “Manuale allievo” che contiene tutte le esercitazioni che ver- ranno utilizzate. A questo scopo il formatore può avvalersi dei lucidi “Obiettivi” e “Bilancio personale”. Il “Bilancio personale” è uno strumento che consente ai ragazzi di “costruire” il proprio percorso con un atteggiamento critico, imparando a individuare le proprie debolezze senza viverle come dei limiti. T1: Introduzione al gioco di simulazione: “Acquisto di un motorino” Questa unità didattica si sviluppa a partire da una simulazione di una situazione che i ragazzi po- trebbero vivere: l’acquisto di un motorino. Si tratta di un spesa importante che presuppone alcune scelte fondamentali: il tipo di motorino, il reperimento del denaro, ecc. Questa impostazione, cat- tura l’interesse dei ragazzi, evitando cadute di attenzione e stimolando la partecipazione attiva al- la lezione. Il formatore presenta le regole del gioco, evidenziando i diversi passaggi, con il supporto dei luci- di o delle diapositive: “Presentazione del gioco di simulazione dell’acquisto di un motorino”. T2: Simulazione acquisto Questo gioco prevede una versione multimediale su CD (in alternativa, si possono utilizzare le schede cartacee: copie dei lucidi o delle diapositive: “Gioco di simulazione dell’acquisto di un motorino”). All’inizio del gioco, i ragazzi dovranno indicare in base a quale criterio effettueranno il loro ac- quisto: il prezzo, la marca, la cilindrata, gli optionals, la moda, l’utilità. Nei passaggi successivi, dovranno stimare il valore del motorino a seconda che sia nuovo o usato. È previsto che i ragazzi utilizzino il collegamento ad alcuni siti internet per aver maggiori infor- mazioni su marche e modelli. Dopo queste prime selezioni, si chiede ai ragazzi quali disponibilità di denaro hanno attualmente e come pensano di ottenere il denaro mancante per poter acquistare il motorino dei loro sogni. Qualsiasi decisione prenderanno i ragazzi, ci saranno delle coerenze logiche da mantenere: se chie- dono un prestito, dovranno restituirlo; se cercano un lavoro, devono prevedere per quanto tempo svolgerlo. Dopo tutte queste scelte, i ragazzi devono redigere un bilancio individuando le entrate, le uscite, i costi, i ricavi e gli utili. Il risultato del gioco porta all’identificazione di quattro profili: tipo imprenditore, tipo che si ac- contenta, tipo responsabile, tipo inconcludente. T3: Confronto del gruppo classe Il formatore attiva e coordina un confronto tra gli allievi sui risultati ottenuti con il gioco e guida gli allievi nell’analisi dei fattori che hanno influenzato le loro scelte. T4: Approfondimento terminologico Il formatore stimola nei ragazzi la ricerca del significato di termini specifici che hanno trovato du- rante il gioco di simulazione. Saranno invitati a consultare il glossario multimediale o cartaceo. T5: Approfondimento metodologico Il formatore ripropone il gioco di simulazione partendo dai risultati precedenti e i ragazzi giocano scegliendo un percorso alternativo a quello già scelto in T2. Il risultato che si ottiene è dato dalla combinazione della capacità di gestione economico-finanzia- ria del singolo utente con la sua soddisfazione personale. T6: Valutazione Il formatore somministra la scheda ”Compra un computer” al fine di verificare l’apprendimento dei concetti proposti col gioco di simulazione e la loro capacità di utilizzarli in altri casi della vita quotidiana. 48 2.3. Strumenti didattici / di apprendimento All’allievo dovrà essere consegnato all’inizio del percorso il “Manuale allievo” contenente tutto il materiale cartaceo (schede, esercitazioni, CD, approfondimenti, ecc.) che verrà utilizzato nel- l’unità didattica. Il “Manuale allievo” è già predisposto, ma sarà compito del formatore aggiornarlo qualora ci fosse la necessità di aggiungere esercitazioni o dare ulteriori riferimenti ai ragazzi. Il manuale, infatti, è pensato per poter inserire schede in qualsiasi momento. 2.4. Strumenti di valutazione Per la valutazione dell’apprendimento dei contenuti proposti nell’unità si può utilizzare la scheda “Compra un computer” (vedi punto 4. “Strumenti”). 2.5. Approfondimenti / rinforzi Glossario Siti internet di interesse Gioco simulato 2.6. Glossario Banca: Istituzione che produce il servizio del credito; essa si pone come intermediaria tra i risparmiatori (famiglie, singoli, privati) e gli utilizzatori del risparmio (imprese e Stato) e quindi necessita di de- positi di moneta sui quali corrisponde o percepisce gli interessi. Beni di consumo: Beni che possono essere utilizzati una sola volta (es. un panino). Beni durevoli: Beni il cui utilizzo può avvenire per più volte (es. un motorino). Bilancio: Risultato della situazione finanziaria e patrimoniale di un singolo individuo o di più soggetti. Capitale investito: Impiego di una somma di denaro in beni durevoli da parte di un operatore, che intende investire il proprio risparmio avvalendosi o meno dell’intermediazione di altri soggetti. Compravendita: Operazione con cui due controparti (acquirente e venditore) si accordano per realizzare due operazioni di acquisto e vendita di beni e/o servizi dietro il corrispettivo di un determi- nato prezzo. Costo: Spesa sopportata da un soggetto economico per la produzione di beni o servizi. Fondo perduto: Somma di denaro che si ottiene, per la quale non si richiede la restituzione futura. Interesse: Compenso che spetta a chi cede temporaneamente un capitale applicando uno specifico tasso. Iva: Imposta indiretta sul valore aggiunto che ogni acquirente versa allo Stato nel momento in cui acquista un bene o un servizio. Montante: Valore da versare alla scadenza di un prestito, dato dalla somma del capitale iniziale e dell’inte- resse maturato nel periodo di tempo stabilito. 49 Perdita: Somma di denaro che si ottiene dalla differenza negativa tra i ricavi e i costi. Prestito: Somma di denaro della quale è concesso l’uso per un determinato periodo di tempo, al termine del quale tale somma dovrà essere restituita al prestatore unitamente al costo dell’operazione, solita- mente corrisposto sotto forma di interesse. Prezzo: Somma di denaro che si paga quando si acquista un bene e/o servizio e corrisponde ad un’uscita monetaria. Ricavo: Somma di denaro che si riceve per la vendita di un bene e/o servizio. Risparmio: Quota di reddito (complesso delle entrate, monetarie e in natura, conseguite da una persona in un determinato momento) che si conserva in vista del soddisfacimento di bisogni futuri. Tasso di interesse: Percentuale che viene applicata sulla somma di denaro data o presa in prestito. Utile: Somma di denaro che si ottiene dalla differenza positiva tra i ricavi e i costi. 2.7. Bibliografia COLOMBO L. - L. MATTIUSSI, Economia aziendale. Cesoria (Napoli), Michele Labella Editore, 2000. 2.8. Sitografia www.motorino.it www.suzuki.it/moto/moto.htm www.it.piaggio.com www.yamaha.it www.honda.it www.it.piaggio.com/gilera www.ilsole24ore.com 50 3. INFORMAZIONI SULL’UNITÀ DIDATTICA 3.1. Denominazione dell’UD Simulazione di un acquisto personale 3.2. Codice dell’UD ECS 1.3. 3.3. Data di creazione dell’UD 20 giugno 2002 3.4. Versione dell’UD n. 1 3.5. Autori dell’UD Manuela Zedda - Cristina Ballario 3.6. Autori dei materiali/degli strumenti Cristina Ballario 3.7. Coordinamento CREA Mario Tonini, Roberto Cavaglià, Daniela Antonietti 3.8. Coordinamento scientifico CREA Dario Nicoli 3.9. Progettista grafico materiali multimediali Ars - Media 3.10. Progettista grafico materiali cartacei Fulvio Mannozzi 3.11. Revisione testi Elena Di Marco, Gabriella Morello 3.12. Indirizzo e-mail per commenti, suggerimenti, ecc. mzedda@sardiniacnos.it; ballario@salesianifossano.it 51 4. STRUMENTI • Lucido: “Obiettivi” • Lucido: “Bilancio personale” • Diapositive per la presentazione del gioco di simulazione dell’acquisto del motorino • Diapositive per il gioco di simulazione dell’acquisto del motorino 52 Lucido: “Obiettivi” 53 Lucido: “Bilancio personale” 54 Diapositive per la presentazione del gioco di simulazione dell’acquisto del motorino 55 Diapositive per il gioco di simulazione dell’acquisto del motorino 56 57 58 59 60 Scheda per la valutazione “COMPRA UN COMPUTER” Immagina di dover comprare un computer, elabora il tuo budget personale per verificare se puoi per- metterti questo acquisto. 1. Hai la possibilità di acquistare i seguenti computer, quale scegli e perché? ❑ Un computer portatile usato senza stampante, né modem per la connessione a internet a 500 Euro ❑ Un computer da tavolo usato con stampante e modem a 600€ ❑ Un computer nuovo, senza stampante né modem, al prezzo di 1.000€ ❑ Un computer nuovo, con stampante e modem, a 1.250€ 2. Quanto possiedi come risparmio personale? Indica un massimo di 100 Euro. ................................................ 3. La tua famiglia può prestarti: ❑ Fino a 50 € a fondo perduto ❑ Fino a 100 € in cambio di qualche lavoretto domestico ❑ Fino a 450 € da restituire dopo un anno 4. I tuoi amici possono prestarti: ❑ 10,00 € da restituire entro un mese senza interessi ❑ 25,00 € da restituire entro due mesi senza interessi ❑ 50,00 € da restituire entro tre mesi senza interessi + una pizza 5. Hai la possibilità di vendere qualche tuo oggetto personale: ❑ Fumetti/giornalini/libri e ricavi €40,00 ❑ Cd/audiocassette/videocassette/videogiochi e ricavi €75,00 ❑ Walkman e lettore cd/cellulare e ricavi €100,00 ❑ Roller/bicicletta/skate e ricavi €125,00 ❑ Play Station e ricavi €150,00 6. Chiedi un prestito alla banca: ❑ € 800,00 da restituire entro 1 anno al tasso del 9 % annuo ❑ € 1.000,00 da restituire entro 2 anni al tasso del 9 % annuo ❑ € 1.500,00 da restituire entro 3 anni al tasso del 9 % annuo 7. Utilizza la formula del tasso di interesse semplice per sapere quanto denaro devi restituire alla banca: I = C x i x t 100 i = tasso di interesse I = interesse t = tempo C = quota di capitale M = montante I = …………x ………..x………… = ………. 100 M = C + I = ……... (somma da restituire) 61 8. Decidi di trovare un lavoretto: ❑ Lavori il sabato e la domenica sera in una pizzeria/birreria dalle h. 20.00 alle h. 00.00 e guadagni € 7,00 l’ora ❑ Distribuisci volantini pubblicitari dopo la scuola per 2 ore al giorno e per 4 giorni alla settima- na e guadagni € 4,00 l’ora ❑ Lavori come babysitter/magazziniere/commesso/a il sabato per 8 ore e guadagni € 5,00 l’ora 9. Le tue possibili entrate se decidi di lavorare: ❑ 4 h x €7,00 x 2 giorni = € 56,00 alla settimana ❑ 2 h x €4,00 x 4 giorni = € 32,00 alla settimana ❑ 8 h x €5,00 x 1 giorno = € 40,00 alla settimana 10. Calcola quante settimane devi lavorare per procurarti la somma che ti occorre: ❑ € 56,00 x ……….. settimane = ………… ❑ € 32,00 x ……….. settimane = ………… ❑ € 40,00 x ……….. settimane = ………… 11. Fai il tuo bilancio finale: ❑ Entrate …………………………… ❑ Uscite …………………………… ❑ Utile/Perdita ……………………… 12. Spiega in poche righe come hai finanziato l’acquisto del computer e se secondo te hai scelto il modo migliore per finanziarti. .................................................................................................................................... 65 66 67 68 69 IntrIntroduzioneoduzione Gioco di simulazione: “Acquisto di unGioco di simulazione: “Acquisto di un motorinomotorino 70 ConfrConfronto del gronto del gruppo classe euppo classe e apprapprofondimentoofondimento VVerifica finaleerifica finale 71 Copia delle diapositive: “PRESENTAZIONE DEL GIOCO DI SIMULAZIONE DELL’ACQUISTO DEL MOTORINO” Copia delle diapositive: “GIOCO DI SIMULAZIONE DELL’ACQUISTO DEL MOTORINO” 103 104 105 106 107 108 109 INDICE PRESENTAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 1. PRESENTAZIONE DEL CREA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 1.1. Il CREA tra l’agire educativo e le nuove tecnologie didattiche. . . . . . . . . . . . . . 7 1.2. Finalità del CREA. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 1.3. Funzioni del CREA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 1.4. Organizzazione del CREA. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 1.5. Risorse del CREA. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10 1.6. Figure professionali di riferimento del CREA. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 2. LA MAPPA GENERALE DEL CREA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 2.1. Macro area delle “scienze umane” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 2.2. Macro area della “cultura scientifica” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 2.3. Macro area delle “capacità personali” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 2.4. Macro area delle “competenze professionali comuni” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21 3. L’ELABORAZIONE DELLE UNITÀ DEL CREA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23 3.1. Criteri ispiratori per la compilazione delle unità didattiche . . . . . . . . . . . . . . . . . 23 3.2. Presentazione degli strumenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24 4. CONCLUSIONI. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25 5. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 APPENDICI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29 ALLEGATO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41 INDICE. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111

La promozione delle capacità personali. Teoria e prassi

Autore: 
Mario Becciu - Anna Rita Colasanti
Categoria pubblicazione: 
Progetti
Anno: 
2003
Numero pagine: 
409
La promozione delle capacità personali Teoria e Prassi Mario BECCIU - Anna Rita COLASANTI Tip.: Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma - maggio 2003 Tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - E-mail: tipolito@pcn.net 3 SOMMARIO PRESENTAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 CAPITOLO PRIMO Le capacità personali: lineamenti teorici. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 CAPITOLO SECONDO La promozione delle capacità personali nei contesti formativi . . . . . . . . 15 CAPITOLO TERZO Lo sviluppo delle capacità personali come obiettivo formativo: proposta di un training . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29 DESCRIZIONE DELLE UNITÀ E ALLEGATI Unità introduttiva - Presentazione del programma . . . . . . . . . . . . . . . . 35 VARIABILE IO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41 Prima unità - Scoprire le proprie preferenze cognitive. . . . . . . . . . . . . 43 Seconda unità - Riconoscere le proprie tendenze emotive . . . . . . . . . . 76 Terza unità - Individuare il proprio stile comportamentale . . . . . . . . . . 107 Quarta unità - Identificare i propri limiti e le proprie risorse . . . . . . . . 130 Quinta unità - Esplicitare le proprie mete . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 146 VARIABILE ALTRI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 159 Sesta unità - Comunicare con efficacia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 161 Settima unità - Sintonizzarsi con gli altri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 214 Ottava unità - Collaborare e lavorare in gruppo. . . . . . . . . . . . . . . . . . 226 Nona unità - Gestire i contrasti e negoziare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 243 VARIABILE COMPITO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 265 Decima unità - Pianificare il proprio agire. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 267 Undicesima unità - Risolvere problemi e assumere decisioni . . . . . . . . 273 Dodicesima unità - Potenziare le proprie strategie di apprendi- mento e di azione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 294 4 VARIABILE CONTESTO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 347 Tredicesima unità - Diagnosticare il contesto di lavoro in cui si opera . 349 Quattordicesima unità - Potenziare le proprie strategie di apprendi- mento e di azione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 372 CAPITOLO QUARTO La valutazione delle capacità personali: indicazioni metodologiche . . . . 379 BIBLIOGRAFIA. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 407 5 PRESENTAZIONE La Sede Nazionale (Centro Nazionale Opere Salesiane - Formazione Aggior- namento Professionale), in questi anni, ha promosso una serie di pubblicazioni sulla formazione professionale iniziale: una proposta organica di standard forma- tivi e professionali e numerosi strumenti per la personalizzazione del percorso for- mativo quali i manuali per la gestione dell’accoglienza, dell’orientamento e del- l’accompagnamento al lavoro dipendente e autonomo, vari sussidi impostati sulla metodologia didattica induttiva. Con il presente volume si intende integrare e completare la proposta offrendo un progetto teorico-pratico per la promozione delle capacità personali dei giovani in crescita. Il CNOS-FAP ha sempre posto la formazione integrale della persona come obiettivo primario dei propri interventi formativi che, pur focalizzati sull’acquisi- zione di competenze professionali, non dimenticano la cura della dimensioni affet- tiva, cognitiva e relazionale dell’allievo. Per la rilevanza strategica del tema, dunque, la Sede Nazionale riteneva neces- sario comporre per la Federazione uno strumento che fosse rigoroso e serio, ma che costituisse una guida e un aiuto per il formatore che deve pianificare concreta- mente l’intervento formativo in questo ambito. Ha ideato, così, il presente progetto che contiene sia elementi teorici, che stru- menti operativi per il formatore e per gli allievi; il volume, infatti, offre una possi- bile sistematizzazione degli interventi promozionali di cui un formatore può dis- porre, per favorire lo sviluppo delle capacità personali degli allievi in modo piani- ficato e consistente. La presente pubblicazione rappresenta il frutto di un lungo lavoro di “messa a punto” che è iniziato con una fase di formazione dei formatori (curata dagli stessi autori del volume) per sensibilizzarli al tema e addestrarli alla gestione del training (la metodologia privilegiata per la promozione delle capacità personali), ha prose- guito con la sperimentazione del materiale prodotto, curato dai formatori nel la- voro concreto con gli allievi, e si è concluso con la revisione del progetto. La Sede Nazionale ringrazia gli autori della preziosa collaborazione e si au- gura che anche questa iniziativa possa contribuire a rendere più efficace il lavoro educativo del formatore nei confronti dei giovani che frequentano i percorsi della formazione professionale iniziale, consapevoli che il possesso delle capacità perso- nali costituisce “la condizione che massimizza l’espressione del potenziale cono- scitivo e tecnico dell’individuo”1. La Sede Nazionale CNOS-FAP. 1 BECCIU M. - COLASANTI A. R., La promozione delle capacità personali nei contesti formativi, Rassegna CNOS, anno 18, n. 2, maggio-agosto 2002, p. 25. 7 Scopo del presente capitolo è offrire al lettore alcune conoscenze di carat- tere generale in riferimento alle capacità personali. Dopo una breve defini- zione di esse sono presentate alcune classificazioni tramite le quali gli autori sistematizzano le principali capacità personali e descrivono quelle che sa- ranno oggetto del presente lavoro. Ne è, quindi, sottolineata la rilevanza per il benessere individuale e per il proficuo inserimento nel mondo del lavoro. Successivamente viene esaminato l’influsso dell’ambiente educativo e so- ciale sullo sviluppo delle capacità personali e considerata la valutazione di esse nei contesti formativi. DEFINIZIONE La letteratura relativa alle capacità personali, presenta numerosi termini tra loro spesso sovrapponibili, altre volte utilizzati con accentuazioni e connotazioni differenti. Tra i più ricorrenti ritroviamo quelli di capacità aspecifiche, competenze trasversali, atteggiamenti, tratti, qualità umane, metaqualità (cfr. ISFOL, 1994, 31- 64). Nel presente lavoro, si preferisce usare l’espressione di capacità personali per indicare quell’insieme di caratteristiche più strettamente legate al Sé, e precisa- mente ai repertori personali di base: cognitivo, affettivo-motivazionale, socio-in- terpersonale, che sono coinvolte in numerosi compiti ed attività ed esportabili da un contesto all’altro. Tali capacità, possedute dal soggetto su base innata e appresa, sono da intendersi come unità complesse, comprendenti componenti cognitive, emozionali ed operazionali che interdipendono con unità contestuali dell’ambiente sociale. Rispetto alla prestazione sono da considerarsi: – indipendenti, in quanto ciascuna dà un contributo esclusivo alla prestazione; – interdipendenti, in quanto ciascuna interagisce con le altre ed attinge ad esse; – necessarie, ma non sufficienti, in quanto il possesso di esse non garantisce da solo il successo nella prestazione; sono importanti le competenze tecnico-pro- fessionali nonché le variabili di natura organizzativo-contestuale; – generiche, in quanto implicate in prestazione diverse e – come dicevamo – esportabili da un contesto all’altro. PRIMO CAPITOLO LE CAPACITÀ PERSONALI: LINEAMENTI TEORICI 8 CLASSIFICAZIONE La pluralità sul piano terminologico si riflette anche sul versante tassonomico. Così, i diversi autori sistematizzano secondo propri criteri le principali capacità personali. Nel presente lavoro riportiamo, a titolo esemplificativo, alcune classificazioni delle capacità personali che possono trovare una più immediata applicabilità nei contesti formativo-professionali. In particolare, ci riferiamo alle classificazioni pro- poste dall’ISFOL (1998), da Goleman (1998), da Meazzini (2000); (cfr. tab. 1- 2-3). Nel modello elaborato dall’ISFOL (1998) in cui le competenze sono suddi- vise in competenze di base (ossia competenze elementari attualmente richieste per l’esercizio di una qualsiasi attività: alfabetizzazione informatica, inglese, eco- nomia, ecc.), competenze tecnico-professionali (ossia competenze legate all’esple- tamento del compito specifico) e competenze trasversali, le capacità personali ten- dono a coincidere con queste ultime. Più precisamente con esse si intende “ un in- sieme di abilità di ampio spessore, che sono implicate in numerosi tipi di compiti dai più elementari ai più complessi e che si esplicano in situazioni tra loro diverse e quindi ampiamente generalizzabili. La loro individuazione può essere frutto del- l’analisi e della scomposizione dell’attività del soggetto al lavoro posto di fronte al compito. Tale analisi consente di enucleare tre grandi tipi di operazioni che il sog- getto compie, fondate su processi di diversa natura (cognitivi, emotivi, motori): diagnosticare le caratteristiche dell’ambiente e del compito; mettersi in relazione adeguata con l’ambiente, predisporsi ad affrontare l’ambiente e il compito, sia mentalmente che a livello affettivo e motorio” (ISFOL, 1998, 110). La tab. 1 presenta le tre macro competenze del diagnosticare, relazionarsi e affrontare articolate in clusters di competenze più semplici. Tabella 1: ISFOL, 1998, 114 COMPETENZE TRASVERSALI CT 01 - Diagnosticare 01 - Affrontare 02 - Relazionarsi 01 - diagnosticare le proprie compe- tenze e attitudini 02 - diagnosticare problemi 01 - comunicare 02 - lavorare in gruppo 03 - negoziare 01 - potenziare l'autoapprendimento 02 - affrontare e risolvere problemi 03 - sviluppare soluzioni creative Nella classificazione proposta da Goleman (1996, 1998), le capacità personali rappresentano la struttura dell’intelligenza emotiva intesa come una meta-abilità che ci permette di esercitare un certo grado di controllo sulla nostra vita emotiva deter- minando il grado in cui riusciamo ad utilizzare le diverse risorse in nostro possesso. 9 In particolare, facendo riferimento al contesto di lavoro, Goleman raggruppa le capacità personali nelle cinque dimensioni dell’intelligenza emotiva, tre delle quali fanno riferimento al rapporto con se stessi: consapevolezza di sé, padronanza di sé, motivazione, e due al rapporto con gli altri: empatia, abilità sociali (cfr. tab. 2). Tabella 2: Goleman, 1998, 42-43 COMPETENZA PERSONALE Determina il modo in cui controlliamo noi stessi CONSAPEVOLEZZA DI SÉ Comporta la conoscenza dei propri stati interiori-preferenze, risorse e intuizioni - Consapevolezza emotiva: riconoscimento delle proprie emozioni e dei loro effetti - Autovalutazione accurata: conoscenza dei propri punti di forza e dei propri limiti - Fiducia in se stessi: sicurezza nel proprio valore e nelle proprie capacità PADRONANZA DI SÉ Comporta la capacità di dominare i propri stati interiori, i propri impulsi e le proprie risorse - Autocontrollo: dominio delle emozioni e degli impulsi distruttivi - Fidatezza: mantenimento di standard di onestà e integrità - Coscienziosità: assunzione delle responsabilità per quanto attiene alla propria prestazione - Adattabilità: flessibilità nel gestire il cambiamento - Innovazione: capacità di sentirsi a proprio agio e di avere un atteggiamento aperto di fronte a idee, approcci e informazioni nuovi MOTIVAZIONE Comporta tendenze emotive che guidano o facilitano il raggiungimento di obiettivi - Spinta alla realizzazione: impulso a migliorare o a soddisfare uno standard di eccellenza - Impegno: adeguamento agli obiettivi del gruppo o dell’organizzazione - Iniziativa: prontezza nel cogliere le occasioni - Ottimismo: costanza nel perseguire gli obiettivi nonostante ostacoli e insuccessi COMPETENZA SOCIALE Determina il modo in cui gestiamo le relazioni con gli altri EMPATIA Comporta la consapevolezza dei sentimenti, delle esigenze e degli interessi altrui - Comprensione degli altri: percezione dei sentimenti e delle prospettive altrui; interesse attivo per le preoccupazioni degli altri - Assistenza: anticipazione, riconoscimento e soddisfazione delle esigenze del cliente - Promozione dello sviluppo altrui: percezione delle esigenze di sviluppo degli altri e capacità di mettere in risalto e potenziare le loro abilità - Sfruttamento della diversità: saper coltivare le opportunità offerte da persone di diverso tipo - Consapevolezza politica: saper leggere e interpretare le correnti emotive e i rapporti di potere in un gruppo ABILITÀ SOCIALI Comportano abilità nell’indurre risposte desiderabili negli altri - Influenza: impiego di tattiche di persuasione efficienti - Comunicazione: invio di messaggi chiari e convincenti - Leadership: capacità di ispirare e guidare gruppi e persone - Catalisi del cambiamento: capacità di iniziare o dirigere il cambiamento - Gestione del conflitto: capacità di negoziare e risolvere situazioni di disaccordo - Costruzione di legami: capacità di favorire e alimentare relazioni utili - Collaborazione e cooperazione: capacità di lavorare con altri verso obiettivi comuni - Lavoro in team: capacità di creare una sinergia di gruppo nel perseguire obiettivi comuni 10 Meazzini (2000, 7) nel presentare le abilità trasversali che dovrebbero costi- tuire l’obiettivo primario nella formazione della persona, opera una distinzione in base ai tre repertori di base dell’individuo: cognitivo, socio-interpersonale, emo- zionale-affettivo (cfr. tab. 3). Tabella 3: Meazzini, 2000, 7 ABILITÀ COGNITIVE SOCIO- INTERPERSONALI EMOZIONALI ED AFFETTIVE Utilizzare la memoria in modo strategico Comunicare e collaborare Comprendere emozioni e sentimenti dell’altro ed esprimere i propri Ragionare Essere assertivi e prosociali Mostrare empatia nei rapporti interpersonali Affrontare i problemi e decidere Competere secondo le regole Automotivarsi Apprendere ad apprendere Parlare in pubblico Prevenire e gestire il distress Sviluppare creatività e flessibilità Gestire i conflitti e negoziare Prevenire e gestire la collera e l’aggressività Nel presente lavoro le capacità personali sono sistematizzate tenendo presenti le diverse variabili coinvolte in una situazione apprenditiva e/o di lavoro e precisa- mente l’Io, gli Altri, il Compito, il Contesto (cfr. fig. 1). IO ALTRI COMPITO Sono incluse sotto la variabile io le capacità che riguardano la consapevo- lezza, la valutazione e la promozione della propria realtà personale. Una persona in possesso di tali capacità è in grado di: – conoscere le proprie preferenze cognitive, le proprie tendenze emotive, il pro- prio stile comportamentale; – identificare i propri punti di forza e i propri limiti in riferimento ad una situa- zione data; – proiettarsi positivamente e realisticamente verso obiettivi personali e profes- sionali. Figura 1: Variabili coinvolte in una situazione apprenditiva e/o di lavoro 11 Sono incluse sotto la variabile altri, le capacità che rendono produttivo e sod- disfacente il rapporto con le persone con le quali si entra in contatto. Una persona in possesso di tali capacità è in grado di: – mostrare empatia nei rapporti interpersonali; – comunicare in modo soddisfacente; – collaborare e lavorare in gruppo; – gestire i contrasti e negoziare. Sono incluse sotto la variabile compito, le capacità che consentono di far fronte con efficacia alle richieste e ai problemi insiti in una determinata attività. Una persona in possesso di tali capacità è in grado di: – pianificare il proprio agire; – affrontare i problemi e assumere decisioni; – monitorare e migliorare le proprie strategie di apprendimento e di azione. Sono incluse sotto la variabile contesto, le capacità che facilitano l’integra- zione e l’inserimento produttivo in un ambiente organizzativo e di lavoro. Una persona in possesso di tali capacità è in grado di: – diagnosticare le caratteristiche fondamentali di un contesto organizzativo e di lavoro; – individuare e rispettare le regole sociali tacite ed esplicite presenti in esso; – saper leggere e interpretare le correnti emotive e i rapporti di potere all’interno di esso. RILEVANZA Le capacità personali sin qui descritte sono attualmente considerate preziose per l’adattamento personale, interpersonale, scolastico e professionale, sebbene esse siano raramente coltivate in modo formale dalle istituzioni formative. In particolare, la persona in possesso di tali capacità non solo sperimenta un benessere soggettivo, ma è in grado di vivere più positivamente il rapporto con gli altri e con il mondo che la circonda, riuscendo a far fronte con efficacia ai suoi compiti di sviluppo. Dal punto di vista più strettamente professionale, le capacità personali sono valorizzate come centrali per un inserimento efficace e produttivo. Così, secondo alcuni autori (Spencer-Spencer, 1993; Goleman, 1998) il successo professionale non sarebbe tanto ascrivibile alle sole conoscenze e competenze tecniche per ese- guire un certo lavoro, quanto piuttosto al possesso di qualità distintive di natura personale e sociale. Sulla stessa linea, Meazzini (2000, 6) considera tali capacità “la parte som- mersa dell’iceberg che garantisce equilibrio e stabilità a tutta la struttura”. Indipendentemente dal tipo di lavoro e dal contesto organizzativo nel quale ci si trova ad operare, il possesso delle capacità personali verrebbe, quindi, a costi- 12 tuire la condizione che massimizza l’espressione del potenziale conoscitivo e tec- nico dell’individuo. SVILUPPO Come affermato precedentemente, le capacità personali sono possedute su base innata e appresa; in altri termini, esse si sviluppano nell’interazione del patrimonio genetico con l’ambiente. Quest’ultimo svolge, tuttavia, un ruolo di grande rilievo nel decidere quali capacità avranno più probabilità di svilupparsi rispetto ad altre. Naturalmente ogni capacità personale è correlata, nel suo sviluppo, alla pre- senza, nell’ambiente, di fattori sollecitanti specifici. Così, ad esempio, la capacità di empatia nei rapporti interpersonali è fortemente connessa alla competenza emo- zionale delle figure di accudimento. In questo lavoro, però, non consideriamo i fattori sollecitanti specifici con- nessi alle singole capacità, quanto piuttosto quei fattori più generali che risultano correlarsi positivamente allo sviluppo di esse. Relativamente all’ambiente familiare, sembrano svolgere un ruolo cruciale, per il progressivo maturare delle capacità personali, la qualità del legame con le fi- gure significative, il modellamento, gli stili educativi genitoriali, i feedback sul proprio agire. Qualità del legame. Il tipo di relazione che le figure significative stabiliscono con la prole è essenziale per lo sviluppo delle capacità personali. A tale riguardo molte ricerche suggeriscono che genitori calorosi, calmi e disponibili tendono ad avere figli socialmente più maturi e più capaci di autodirezionalità rispetto a coloro che manifestano incostanza, ambivalenza e imprevedibilità nella relazione. Modellamento. Il modo più semplice per apprendere determinate capacità è quello di osservare il comportamento delle figure significative. Attraverso l’esposi- zione ad esse, consistentemente nello spazio e nel tempo, il bambino costruisce progressivamente i suoi repertori. In tal senso, è ragionevole affermare che le capa- cità personali riflettono i valori e i contenuti dell'ambiente in cui una persona è vis- suta e vive. Stili educativi. Un altro fattore che sembra incidere significativamente sullo sviluppo delle capacità personali concerne gli stili educativi genitoriali. Numerose ricerche, condotte a questo riguardo, evidenziano come la possibilità di crescere in autonomia e sicurezza e di sviluppare una personalità armonica ed integrata si cor- reli fortemente alla presenza di stili educativi orientati all’autorevolezza, alla com- prensione, all’ottimismo, alla calma e all’incoraggiamento. Al contrario, stili edu- cativi orientati all’autoritarismo, al permissivismo o all’iperprotezione sembrano costituire un fattore di impedimento rispetto allo sviluppo ottimale delle capacità personali. Feedback sul proprio agire. Non meno importanti, ai fini del potenziamento e dell’acquisizione delle capacità personali sono le osservazioni positive e negative 13 che la persona in crescita riceve sul proprio agire. Secondo gli psicologi interazio- nisti, le persone sviluppano un’idea di se stesse sulla base di come sono state trat- tate o viste dagli altri e tendono a comportarsi con maggiore frequenza nei modi attraverso i quali ottengono riconoscimenti al proprio io. Per questo è necessario che il giudizio degli altri, particolarmente degli altri significativi si connoti come puntuale, realistico, incoraggiante e proattivo. Anche la scuola ha un importante influsso sullo sviluppo delle capacità perso- nali. Sebbene i bambini entrino in essa con una personalità già relativamente for- mata, le esperienze che vivono durante il periodo scolastico-formativo contribui- scono consistentemente ad accrescerla. Nel confronto con gli insegnanti e i com- pagni, i ragazzi sperimentano come vengono percepiti dagli altri in quanto per- sone, imparano a conoscersi più differenziatamente, acquisiscono una serie di comportamenti socio-affettivi e socio-operativi. In particolare, le esperienze che sembrano incidere maggiormente sulla perso- nalità degli allievi e sullo sviluppo delle loro capacità personali, sono quelle di ca- rattere sociale, derivanti dalle interazioni socio-affettive e socio-operative con in- segnanti e compagni e quelle legate all’apprendimento e al profitto. La possibilità di sperimentare esperienze positive di natura sociale è con- nessa, in larga misura, all’opportunità di vivere in un clima interattivo che appaghi i bisogni di appartenenza, stima e socialità e che offra occasioni per conoscersi e sviluppare le proprie funzioni adattive e di controllo nel confronto con gli altri. La possibilità di sperimentare, invece, esperienze positive di natura apprendi- tiva sembra essere legata alla sensazione di controllo e padronanza delle proprie capacità; sensazione che si sviluppa quando l’allievo si sente idoneo nel corrispon- dere alle aspettative legate all’espletamento delle diverse attività. Nel secondo capitolo, concernente la promozione delle capacità personali nei contesti formativi, avremo modo di tornare più approfonditamente su tali argo- menti. Oltre alla famiglia e alla scuola, anche il gruppo dei pari riveste un ruolo im- portante nello sviluppo delle capacità personali, particolarmente di quelle che fanno più direttamente riferimento al rapporto con gli altri. È, infatti, nell’interazione con i compagni, a partire dalla prima scolarizzazione, che si apprendono comportamenti cooperativi, di sostegno, di aiuto reciproco, di leadership. È pur vero, d’altra parte, che il gruppo dei pari può rappresentare un importante fattore di rischio per la com- parsa di forme comportamentali non sempre accettabili o desiderabili. Per questo resta indispensabile la presenza costante, seppur discreta, degli educatori. VALUTAZIONE La valutazione delle capacità personali si presenta piuttosto complessa. Tali capacità, infatti, non sono direttamente rilevabili, ma solo inferibili sulla base di una serie di manifestazioni che indirettamente ci informano della loro esistenza. 14 Inoltre, esse sono soggette ad un processo di maturazione e di acquisizione per cui risentono, nella loro espressione, del livello di sviluppo che ciascuno ha rag- giunto. Così, la stessa capacità tenderà a manifestarsi con modalità diverse in sog- getti di diversa età e in soggetti della stessa età, ma con una storia di apprendi- mento diversa. Ne deriva che non è facile pronunciarsi oggettivamente sulla loro presenza o assenza; d’altra parte, ogni programma formativo indirizzato alla promozione e al potenziamento delle capacità personali, dovrà necessariamente prevedere una loro rilevazione, al fine di monitorare il progressivo maturare delle stesse. La possibilità di approssimarsi a giudizi valutativi accurati circa le capacità personali è correlata all’uso di una pluralità di strumenti. Infatti, per le ragioni ap- pena suddette, non è possibile basarsi su un’unica fonte di informazioni, ma su molteplici prospettive che, combinate insieme, possono offrire un profilo accurato, per quanto complesso, delle capacità personali possedute e di quelle da migliorare. In ambito formativo, è possibile rilevare le capacità personali attraverso l’os- servazione, ripetuta nello spazio e nel tempo; l’autodescrizione del soggetto, effet- tuata tramite interviste e/o questionari; esercizi di simulazione; una batteria di test di valutazione. Nel quarto capitolo, riguardante la valutazione delle capacità personali, sa- ranno prese in considerazione alcune di queste modalità. 15 Scopo di questo secondo capitolo è delineare gli interventi promozionali di tipo diretto e indiretto che un formatore può intenzionalmente attuare per sviluppare nelle persone in crescita le capacità personali precedentemente menzionate. Nella prima parte del capitolo sono presi in considerazione gli interventi di tipo indiretto, ossia quegli interventi indirizzati a creare un ambiente che massimizzi la probabilità di partecipazione attiva, da parte degli allievi, al processo formativo. Nella seconda parte, invece, viene presentato il training quale strumento elettivo per la promozione diretta delle capacità personali. INTRODUZIONE Sebbene le capacità personali siano attualmente considerate imprescindibili per un efficace inserimento nel mondo del lavoro, raramente esse sono oggetto di promozione formale nei contesti formativi, né tantomeno è facile trovare testi o programmi che prevedano un inquadramento sistematico di modalità o procedure indirizzate allo sviluppo e all’incremento di tali capacità. Ritenendo tuttavia necessario uno sforzo in tal senso, cercheremo, nelle pa- gine che seguono, di offrire una possibile sistematizzazione degli interventi pro- mozionali di cui un formatore può disporre per coltivare le capacità personali degli allievi in modo pianificato e consistente. Distinguiamo gli interventi in due grandi categorie comprendenti, rispettiva- mente, la cura delle variabili situazionali, ossia di quelle variabili che indiretta- mente influenzano lo sviluppo delle capacità personali creando un clima favore- vole all’apprendimento e il potenziamento delle capacità personali stesse attra- verso una serie di attività mirate e strutturate organizzate in forma di training. CURA DELLE VARIABILI SITUAZIONALI La cura delle variabili situazionali prevede, da parte del formatore, l’adozione di un agire educativo incoraggiante, la creazione di una positiva atmosfera socio SECONDO CAPITOLO LAPROMOZIONE DELLE CAPACITÀ PERSONALI NEI CONTESI FORMATIVI 16 relazionale, l’organizzazione attenta dell’oggetto e del contesto di apprendimento, l’utilizzazione di una prassi valutativa proattiva. Adozione di un agire educativo incoraggiante La possibilità che, nella classe, si crei un clima che consenta agli allievi di partecipare attivamente e responsabilmente al processo formativo, è significativa- mente correlata all’adozione da parte dei formatori di un approccio educativo orientato alla psicopedagogia dell’incoraggiamento. Tale approccio, auspicabile in ogni contesto educativo, si impone come elet- tivo nella formazione professionale che frequentemente si trova ad accogliere sog- getti con esperienze scolastiche pregresse di segno negativo. Secondo la psicopedagogia dell’incoraggiamento l’agire educativo dovrebbe ispirarsi ad alcuni principi di fondo che riflettono, da parte del formatore, la con- vinzione: io so che tu puoi farlo. L’incoraggiamento, infatti, viene a configurarsi come un processo di coopera- zione tra formatore e allievo indirizzato ad infondere in quest’ultimo la fiducia di poter affrontare le diverse esperienze relative a se stesso e al proprio relazionarsi al mondo. Ciò può risultare più chiaro esaminando le mete e i principi procedurali dell’a- gire incoraggiante (Franta - Colasanti, 1999). Le mete fanno riferimento al cosa promuovere e concernono, a livello indivi- duale, lo sviluppo di sentimenti di accettazione, sicurezza, fiducia in sé e l’acquisi- zione delle capacità di risolvere problemi e affrontare situazioni di stress emotivo; a livello interpersonale, l’incremento di comportamenti di collaborazione, solida- rietà, mutuo rispetto, accettazione delle differenze, capacità di mediazione. I principi procedurali definiscono i criteri ispiratori dell’azione educativa e concernono il come promuovere. I principi che secondo la psicopedagogia dell’incoraggiamento possono orien- tare in una direzione proattiva l’agire del formatore sono l'attivare, il comprendere, il sottolineare il positivo, il ridimensionare e il responsabilizzare. Il principio dell'attivare concerne la tendenza, da parte del formatore, a stimo- lare negli allievi una motivazione intrinseca all’apprendimento facendo leva sui loro bisogni di interesse, curiosità, competenza e sulla sua disponibilità a rendersi presente nell’interazione con un atteggiamento di cooperazione e supporto. Il principio del comprendere fa riferimento alla capacità del formatore di ca- larsi nel mondo esperienziale degli allievi per coglierne bisogni, interessi, necessità. Ciò consente, da un lato, di stabilire una migliore sintonia sul piano comunicativo, dall’altro di dirigere con maggiore consapevolezza il proprio agire educativo. Il principio del sottolineare il positivo segue il detto secondo il quale una per- sona migliora di più se la incoraggi che se la rimproveri. Tale principio, infatti, evi- denzia il valore, in educazione, di apprezzare gli elementi di positività anziché combattere quelli di negatività. 17 Il formatore che segue tale principio preferisce riconoscere gli sforzi e i tenta- tivi degli allievi nel conseguimento degli obiettivi desiderati, piuttosto che rilevare le loro manchevolezze o insuccessi. L'apprezzamento dello sforzo e dell'impegno posti incrementa la fiducia negli allievi circa la possibilità di controllare le situazioni scolastiche; al contrario, l'evi- denziazione degli errori produce scoraggiamento. Il principio del ridimensionare consiste nello sdrammatizzare esperienze di in- successo e percezioni negativistiche nei confronti di situazioni apprenditive speri- mentate come ansiose. L'applicazione di tale principio si rivela particolarmente utile negli insuccessi ripetuti, che facilmente portano gli allievi a dubitare delle loro capacità di control- lare le situazioni, inibendone ulteriori tentativi di superamento. In circostanze del genere il formatore può, tramite il suo supporto, far com- prendere agli allievi le cause dell'insuccesso: interne (per es. concentrazione, im- pegno) ed esterne (struttura del compito, grado di difficoltà), aiutando loro a tro- vare elementi che inducano a sperare in nuovi tentativi. Il principio del responsabilizzare, infine, fa riferimento al rispettare l'allievo per ciò che è, non aspettando né pretendendo più di quanto possa fare, ma neanche chiedendo meno o persino evitando di chiedere ciò che, invece, potrebbe fare. L'aiuto del formatore in questa direzione non si configura in termini di con- fronto moralizzante, bensì come coscientizzazione delle situazioni da affrontare, così che gli allievi possano valutarne il carattere di obbligo, di necessità, di oppor- tunità e stimare le loro possibilità di gestione. Altro aspetto importante del principio del responsabilizzare è quello di aiutare gli allievi a confrontarsi con le conseguenze naturali del loro comportamento af- finché traggano insegnamenti dalla loro stessa esperienza. Creazione di una positiva atmosfera socio-relazionale Insieme all’adozione di uno stile educativo incoraggiante, si richiede al forma- tore di prestare particolare cura alla dimensione socio-relazionale. Gli studi che sono alla base delle teorie sulla produttività scolastica mettono, infatti, in evidenza quanto questa risulti fortemente influenzata dal clima di classe (Franta, 1987). Per coinvolgere gli allievi nel processo formativo è pertanto necessario non trascurare gli aspetti più propriamente relazionali. Questi ultimi fanno particolare riferimento alla definizione positiva del con- tatto vicendevole e alla promozione di un’intersoggettività costruttiva nel gruppo classe. Definire positivamente il contatto Il primo aspetto, oggetto di cura dal punto di vista relazionale, concerne la de- finizione positiva del contatto tra formatore e allievi. Le ricerche sulla socializzazione e sul rapporto comunicativo in genere evi- 18 denziano, quali forme relazionali efficaci, quelle appartenenti alle polarità positive di due importanti dimensioni: la dimensione controllo e la dimensione emozionale (Franta, 1988, 35ss.). Tali dimensioni, caratterizzanti l’atteggiamento educativo, sono descrittive del modo in cui un formatore è disposto nei confronti degli allievi e di come questi reagisca emozionalmente e comportamentalmente nei loro confronti. In particolare, la dimensione controllo (C) fa riferimento al comportamento di guida del formatore ed include l’insieme dei comportamenti che stabiliscono i con- fini di competenza. Al polo negativo di tale dimensione collochiamo il formatore autoritario che impone una disciplina rigida, si occupa poco dei bisogni degli allievi, ha una con- cezione molto ristretta del comportamento socialmente accettabile, utilizza forme verbali direttive. Al polo positivo collochiamo, invece, il formatore autorevole che incoraggia negli allievi la responsabilità individuale e sociale, la stima di sé, la partecipazione attiva al processo formativo pur mantenendo la guida, la direzione e una ragione- vole disciplina. Nel comunicare fa uso di forme verbali che riflettono il valore e la dignità degli allievi e ne stimolano l'autodeterminazione, il libero impegno e la correspon- sabilizzazione. La dimensione emozionale (E) concerne il comportamento socio-affettivo del formatore ed include quell'insieme di modalità relazionali tramite le quali l'allievo sperimenta il tipo di percezione e di valutazione che questi ha nei suoi confronti. Al polo negativo di questa dimensione troviamo il formatore freddo, distac- cato, svalutante e rifiutante. Al polo positivo, invece, troviamo il formatore incoraggiante, caloroso, valo- rizzante, sensibile ai bisogni individuali. Ne deriva che, affinché si crei un'atmosfera favorevole ai processi apprendi- tivi e alla crescita integrale degli allievi, si richiede al formatore di interagire pre- valentemente secondo le qualità processuali positive delle due dimensioni consi- derate. Dal punto di vista del controllo è importante che egli realizzi una guida auto- revole attuando interventi regolativi e orientativi legittimati non dal suo status o ruolo, ma da un'esigenza oggettiva. In particolare, ciò si esplica nel promuovere la partecipazione attiva degli allievi alla gestione del processo formativo, nell'accre- scere le loro capacità di relazionarsi responsabilmente verso le proprie scelte im- mediate e future, nel favorire l'autodisciplina. Dal punto di vista socio-affettivo è importante che il formatore realizzi uno stile di incoraggiamento avendo cura dell'individualità di ciascun allievo e rispet- tandola, nutrendo fiducia nelle possibilità e nelle potenzialità che questi ha di ap- prendere e di svilupparsi, affinando la sua sensibilità nel coglierne i sentimenti e i pensieri, interagendo in modo autentico e sincero. È auspicabile, infine, che il formatore sia aperto all'esperienza, ovvero sia dis- 19 posto a cambiare conformemente al mutare dei bisogni e delle situazioni anziché aderire rigidamente a piani predeterminati. Quando un formatore si rapporta secondo le qualità processuali positive della dimensione di controllo e della dimensione emozionale stabilisce un clima di auto- revolezza e di partnership, per cui gli allievi sviluppano sentimenti positivi verso se stessi e verso la situazione di apprendimento e si sentono più disposti e motivati a partecipare e a collaborare. Inoltre, incrementano le proprie funzioni di controllo percependo le situazioni come gestibili e superabili e non come al di fuori e al di là delle proprie possibilità e competenze. Favorire una costruttiva intersoggettività nella classe Un’altra classe di interventi che il formatore può attuare per favorire una posi- tiva atmosfera socio-relazionale riguarda la promozione di una costruttiva inter- soggettività nel gruppo classe. È importante, infatti, che quest’ultima sia vissuta come un luogo in cui ciascuno possa sentirsi riconosciuto come persona e speri- mentare il senso di appartenenza ad un noi. Gli interventi che facilitano la costruzione di una positiva intersoggettività orientata al rispetto e al supporto vicendevoli riguardano il creare un ambiente di convivenza democratica, il curare l’equità delle strutture interattive, l’usare forme di apprendimento cooperativo, il trattare disturbi comunicativi e conflitti. Creare un ambiente di convivenza democratica. Affinché si crei un clima umano positivo, è importante che la classe e, più in generale, il CFP siano speri- mentati come un posto valido per viverci ed apprendere. Il benessere sperimentato deve essere però percepito come una conquista collettiva, talvolta faticosa, ispirata a valori che garantiscano una valida e feconda convivenza (Pellerey, 1998). A tal fine è importante che il formatore coinvolga gli allievi nei processi decisionali e ne stimoli la corresponsabilizzazione; aiuti gli allievi a trattarsi come persone, con ri- spetto e cura vicendevoli e a sentirsi membri apprezzati e responsabili di una co- munità; promuova un ordine e una disciplina le cui regole siano fatte rispettare come opportunità per realizzare una forma di convivenza nella quale trovino posto le esigenze di tutti e le opportunità per ciascuno. Curare l’equità delle strutture interattive. Una ulteriore attenzione che si ri- chiede al formatore per facilitare una positiva intersoggettività tra gli allievi con- cerne la cura delle strutture interattive all'interno della classe. Le strutture interattive presenti nella classe possono essere di tipo formale e in- formale. Le prime sono disciplinate dalle attività volte al conseguimento degli obiet- tivi formativi; le seconde si sviluppano, invece, senza l'influsso diretto dei formatori e concernono essenzialmente la soddisfazione dei bisogni psicosociali degli allievi, la realizzazione di attività espressive, l'aiuto nello svolgimento dei compiti. Cruciali per il clima di classe sono soprattutto le strutture informali. Secondo Petillon (1980, 73ss.) sono quattro le strutture interattive informali alle quali pre- stare attenzione: la struttura di influsso, che regola la distribuzione del potere al- 20 l'interno del gruppo; la struttura socio-affettiva, che concerne le scelte e i rifiuti che gli allievi attuano tra di loro; la struttura delle aspettative, che fa riferimento ai ri- spettivi ruoli da espletare; la struttura comunicativa, che indica il grado di parteci- pazione al flusso della comunicazione. Tali strutture costituiscono dei sistemi dinamici e flessibili, tra loro interdipen- denti. Il posto occupato all'interno di queste strutture influisce in modo significativo sull'andamento del processo formativo e sulla socializzazione dei discenti, nonché sulle loro capacità di realizzarsi. Quando un allievo si sente escluso dalla gestione della vita di gruppo, non si sente accettato, non è in grado di corrispondere alle aspettative o, ancora, non ri- esce a prendere parte al flusso della comunicazione, gli stati emozionali che si creano in lui tendono a minarne l'autostima, ad ostacolarne lo sviluppo dell'inte- resse sociale, a sollecitarne comportamenti reattivi. Al contrario, quando può prendere parte alla gestione delle attività e alle rela- zioni che si sviluppano all'interno della classe aumenta l’autostima, migliora il ren- dimento scolastico e decrementa l’ansia interpersonale. Usare forme di apprendimento cooperativo. Un’altra modalità di cui il forma- tore può disporre per favorire una positiva intersoggettività nella classe concerne l’adozione di forme di apprendimento collaborativo che promuovano l’apprezza- mento degli altri e la capacità di interagire e lavorare con essi. Le ricerche eviden- ziano come l’apprendimento cooperativo, rispetto a quello individuale e competi- tivo, tenda a sviluppare una maggiore fiducia tra gli allievi, un maggior coinvolgi- mento emozionale, un maggiore impegno e tenda a decrementare il timore dell’in- successo. Inoltre, indicano come esso sia più efficace in riferimento all’acquisi- zione dei significati, dei valori e degli atteggiamenti ritenuti desiderabili nel con- testo interpersonale. Trattare disturbi comunicativi e conflitti. Un altro importante contributo che il formatore può offrire per favorire una positiva intersoggettività nella classe con- cerne la gestione di disturbi comunicativi e di conflitti. Insegnare come si affrontano difficoltà comunicative e come si risolvono co- operativamente i conflitti è quanto mai utile per gli allievi in quanto possono fare esperienza del fatto che la qualità delle relazioni non è data dall’assenza di con- flitti, ma dalla quantità di conflitti affrontati e risolti positivamente. Per questo è utile che, ogni qualvolta se ne presenti l’occasione, il formatore aiuti gli allievi ad esplicitare tensioni latenti e a confrontarsi in modo diretto per evitare barriere co- municative e per facilitare il conseguimento di soluzioni comuni. Organizzazione della situazione apprenditiva La cura delle variabili situazionali include l’organizzazione attenta dell’og- getto e del contesto di apprendimento. 21 Affinché gli allievi possano sviluppare appieno le loro capacità, le situazioni di apprendimento e di compito non possono essere improvvisate o lasciate al caso, ma devono essere pensate ed elaborate in modo tale da risultare per gli allievi con- trollabili, gestibili, interessanti. Ciò implica, da parte del formatore, una scelta oculata dei compiti e delle atti- vità, un uso adeguato della risorsa gruppo, un’organizzazione dinamica del pro- cesso di insegnamento-apprendimento. Scelta oculata dei compiti e delle attività Nel decidere il tipo di compito o di attività da sottoporre agli allievi è impor- tante che il formatore tenga conto di due criteri: la discrepanza ottimale e la diver- sificazione o multidimensionalità. Il primo fa riferimento alla distanza che esiste tra il livello di conoscenza, o competenza possedute dall’allievo, e il livello richiesto dall’attività proposta. Tale distanza dovrebbe configurarsi come ottimale, né troppo piccola da es- sere demotivante, né troppo grande da essere scoraggiante. Secondo questo criterio i compiti dovrebbero essere tali da contenere un elemento di difficoltà che richieda conoscenze e competenze leggermente superiori a quelle già raggiunte, ma non così elevate da generare sentimenti di ansia, frustrazione e disaffezione. Il secondo criterio fa, invece, riferimento alla possibilità per i compiti e le atti- vità di coprire più aree di competenza, dando a ciascun allievo la possibilità di ri- uscire e di sperimentarsi capace in qualche area. Uso adeguato della risorsa gruppo Gli allievi possono essere facilitati nell’apprendimento e nel potenziamento di molte capacità dal contatto e dal confronto con i propri compagni. Per questo la risorsa gruppo può rivelarsi preziosa. A questo riguardo è oppor- tuno prevedere forme di tutoraggio, lavori in piccoli gruppi eterogenei, esercita- zioni guidate a coppie o in team. Naturalmente è importante che i gruppi di lavoro non siano fissi, ma che si preveda una certa flessibilità tale da consentire ad ogni allievo la possibilità di: in- teragire con compagni diversi, ampliando e integrando le sue competenze; verifi- care le proprie risorse in aree diversificate; avere maggiori possibilità di ricono- scimenti. Organizzazione dinamica del processo di insegnamento-apprendimento Le ricerche evidenziano che gli allievi si sentono più motivati e interessati a prendere parte al processo formativo quando quest’ultimo presenta elementi di dinamicità diretti a soddisfare alcuni loro importanti bisogni, quali: il bisogno di sentirsi competente, il bisogno di curiosità, il bisogno di autodeterminazione. Per questo è utile che il formatore preveda la varietà nell’apprendimento; correli quest’ultimo agli interessi degli allievi; usi l’imprevedibilità nei dovuti limiti; utilizzi metodi e contenuti nuovi e inusuali; stimoli la partecipazione attiva; for- nisca validi feedback; incoraggi le scelte degli allievi; strutturi esperienze ap- 22 prenditive che abbiano conseguenze naturali o prodotti finiti (Wlodkowski - Jaines, 1990). Utilizzazione di una prassi valutativa proattiva Un’ulteriore variabile di natura situazionale che interviene a condizionare po- sitivamente o negativamente lo sviluppo delle capacità personali degli allievi con- cerne la prassi valutativa. La scelta dei parametri valutativi, che il formatore adotta, ha un peso non indifferente nel determinare il concetto che l’allievo si forma delle sue capacità e della possibilità o meno di acquisirle o potenziarle. Pertanto, è necessario considerare quando l’uso dei parametri valutativi, da parte del formatore, può definirsi promozionale e proattivo. I parametri valutativi che in tal senso meritano di essere considerati riguar- dano l’esame comparativo dei risultati, l’attribuzione causale del rendimento, l’an- ticipazione del rendimento futuro (Franta-Colasanti, 1999, 123). Esame comparativo dei risultati Nel valutare la prestazione di un allievo il formatore attua necessariamente un confronto tra il risultato conseguito e un criterio fissato come riferimento. Tale criterio può essere rappresentato dal rendimento del gruppo (criterio so- ciale); dal precedente rendimento del soggetto (criterio individuale); dal numero di risposte giuste o sbagliate (criterio oggettivo). Nella prassi formativa orientata allo sviluppo delle capacità personali è da pri- vilegiare il criterio individuale, il che implica adottare, nella valutazione, una pro- spettiva longitudinale-intraindividuale che metta più chiaramente in luce la moda- lità e la direzione dello sviluppo del rendimento, conferendo agli allievi un mag- gior controllo del processo apprenditivo. Naturalmente, è anche importante aiutare gli allievi a confrontarsi con le altre prospettive, sociale e oggettiva, allo scopo di approcciare con senso critico e re- sponsabilità la valutazione del proprio rendimento. Per questo si richiede al forma- tore di aiutare gli allievi a mettere in relazione le valutazioni date secondo il cri- terio individuale con quelle basate sui criteri oggettivo e sociale e a tollerare rendi- menti diversi dal proprio, comprendendo che tale diversità è legata ad esperienze, motivazioni, stili cognitivi diversi. Attribuzione causale del rendimento Nella valutazione della prestazione non è implicato solo il confronto compara- tivo (individuale, interindividuale, oggettivo), ma anche l’interpretazione della causalità del comportamento. Così la riuscita in un compito è più significativa quando l’allievo l’attribuisce al proprio impegno piuttosto che alla facilità della prova; come pure un insuccesso è meno traumatico se ascrivibile a forze esterne. È comprensibile, pertanto, quanto sia importante, ai fini dello sviluppo delle capacità personali, un’attribuzione reali- stica ed equilibrata della causalità nella valutazione dei comportamenti. 23 A questo riguardo è importante che il formatore, nella ricerca della causalità, sia essa interna (ossia legata a fattori personali), sia essa esterna (ossia legata a fat- tori indipendenti dal soggetto), ponga l’accento su fattori variabili anziché consi- stenti ed immutabili. Nel comportamento di apprendimento sono fattori variabili l’impegno, l’inte- resse, la motivazione, la comprensibilità e la natura del compito; al contrario sono fattori consistenti l’attitudine e l’intelligenza. L’accento sui fattori variabili anziché consistenti nell’attribuzione della causa- lità è particolarmente importante quando si tratta di valutare un insuccesso. Infatti, qualora quest’ultimo venisse attribuito a fattori costanti ed immutabili, facilmente si avrebbe un influsso sfavorevole sulla motivazione al rendimento. L’allievo si percepirebbe così impotente a modificare una situazione negativa e, quindi, demotivato rispetto a qualunque tentativo. Viceversa, l’assegnazione del- l’insuccesso a fattori variabili conferisce agli allievi maggior controllo e quindi li stimola a migliorare per cambiare. Anticipazione delle aspettative Le aspettative che il formatore ha nei confronti dell’allievo, influiscono note- volmente sul comportamento che questi mette in atto. In particolare, per quanto concerne il rendimento sembrano essere cruciali le dimensioni qualità e tempo. La dimensione qualità si riferisce alla natura positiva o negativa dell’aspettativa; la di- mensione tempo riguarda invece l’intervallo relativo all’anticipazione dell’esito, a breve o a lungo termine. L’anticipazione a breve termine consente, al formatore, di monitorare passo passo il processo formativo, di focalizzarsi sui cambiamenti individuali, di rilevare più facilmente i fattori responsabili della riuscita o del fallimento. Al contrario, nell’anticipazione a lungo termine la previsione del rendimento si attua in una direzione costante nella quale si accettano soltanto le tendenze evo- lutive tipiche, ossia che il buono migliori e il cattivo peggiori (Lorenz, 1979, 37). È ragionevole ritenere che i formatori che adottano una simile prospettiva siano meno sensibili ad accogliere i piccoli cambiamenti e meno propensi a strut- turare e a pianificare il proprio agire conformemente alle possibilità di ciascun al- lievo. Riassumendo, per quanto concerne i parametri valutativi che il formatore utilizza nel rapportarsi agli allievi, sono auspicabili, per l’acquisizione e il poten- ziamento delle capacità personali, quelli che fanno riferimento al criterio indivi- duale nel confronto comparativo, ai fattori variabili nell’attribuzione della causa- lità, alla dimensione temporale a breve termine nell’anticipazione del rendimento futuro. Ciò non vuol dire escludere dalla valutazione altre prospettive, vuol dire solo non dar loro, come spesso accade nella prassi formativa, un carattere asso- luto. 24 POTENZIAMENTO DELLE CAPACITÀ PERSONALI La cura delle variabili situazionali sin qui considerate permette di assicurare le condizioni senza le quali sarebbe impensabile promuovere l’acquisizione e lo svi- luppo delle capacità personali. Rappresenta pertanto, in riferimento a queste ul- time, una forma di promozione indiretta. Nella parte che segue consideriamo in- vece una tipologia strutturata di intervento, il training, indirizzata a promuovere in forma diretta le singole capacità. Il training costituisce una forma privilegiata di apprendimento in quanto offre agli allievi la possibilità di una conoscenza non solo cognitiva, ma anche esperien- ziale delle singole capacità. Rispetto ad altri strumenti formativi, esso si caratterizza per il ruolo attivo dei partecipanti i quali non sono visti come destinatari passivi dell’azione formativa, ma come soggetti capaci di monitorare e pianificare il proprio apprendimento. Processi di apprendimento Gli studi e le ricerche condotte sul comportamento umano evidenziano come l'agire sia il risultato dell'interdipendenza di diverse variabili di natura cognitiva, emozionale e comportamentale. Ne deriva che per agire sull'acquisizione e sul potenziamento delle capacità personali non basta semplicemente informare, occorre sollecitare il coinvolgi- mento del soggetto che apprende a diversi livelli. Kolb e Fry (1975) presentano un modello di apprendimento esperienziale in base al quale il possesso di nuove acquisizioni, il cambiamento o la crescita, da parte di un soggetto, avvengono attraverso un processo integrato e circolare che inizia con l'esperienza concreta, si arricchisce con l'osservazione riflessiva, giunge alla concettualizzazione astratta per poi dar luogo alla sperimentazione attiva. Secondo tale modello, l'apprendimento è il risultato dell'integrazione di esperienze concrete di natura emotiva e di processi cognitivi di analisi e com- prensione. Pertanto, per apprendere e cambiare occorre sapersi coinvolgere nell'espe- rienza, saper osservare e riflettere su di essa, saper astrarre concetti da quanto os- servato, saper sperimentare e verificare ciò che si è concettualizzato per poi ritor- nare a nuove esperienze concrete e continuare il ciclo di apprendimento. Struttura delle unità Il modello proposto da Kolb e Fry (1975) può risultare molto utile nello strut- turare sequenzialmente le unità del training. Quest’ultimo è infatti articolato in unità di lavoro a cadenza settimanale, della durata di circa due ore, ognuna delle quali ha per oggetto una capacità personale specifica o una sotto-componente di essa. Le fasi salienti che tipicamente caratterizzano una unità del training sono: la 25 motivazione, l'esperienza concreta, la riflessione guidata, l'informazione, le situa- zioni semistrutturate, il feedback, il compito a casa. La motivazione Solitamente, l'unità ha inizio con la presentazione della capacità in oggetto. Il trainer nomina la capacità, sottolineandone da una parte la rilevanza, dall'altra gli eventuali ostacoli alla sua efficace realizzazione, quindi esplicita gli obiettivi che dovranno essere raggiunti e spiega l’organizzazione del lavoro. Questa parte, solitamente breve, non dovrebbe fornire elementi che vadano a condizionare l'esperienza concreta. L'esperienza concreta Consiste nella presentazione di una situazione stimolo, relativa alla capacità in oggetto, che porti a far reagire i partecipanti. Tanto più tale situazione è vicina alla realtà dei destinatari tanto più solleciterà risposte utili alla riflessione guidata. La riflessione guidata In questa fase il trainer pone al gruppo delle domande che vanno a stimolare la riflessione sull'esperienza proposta. Tali domande dovranno essere predisposte in modo tale da consentire facilmente l'emergere di quegli elementi significativi sui quali andranno ad agganciarsi le informazioni teoriche. L'informazione Il coinvolgimento nell'esperienza e la tensione positiva che a partire dalla ri- flessione su di essa si è attivata, pongono i partecipanti nella condizione migliore per ricevere le informazioni di natura teorica. A questo punto il trainer è chiamato ad esporre con sistematicità gli aspetti salienti concernenti la capacità in oggetto. Le situazioni semi-strutturate Al fine di consentire il consolidamento delle informazioni teoriche ricevute si presentano delle attività che pongono i partecipanti nelle condizioni di applicare a si- tuazioni concrete quanto appreso, lavorando o individualmente o a piccoli gruppi. Il feedback La conoscenza dell'esito è essenziale per lo sviluppo ed il miglioramento di una determinata abilità. È quindi importante che segua al momento applicativo un feedback puntuale da parte del trainer o degli altri membri del gruppo. Tale feedback dovrebbe essere: focalizzato sul comportamento; dettagliato, specifico e concreto; dato direttamente all’allievo; indirizzato a rilevare ciò che di positivo l’allievo ha fatto indicando aspetti che meritano di essere ulteriormente miglio- rati. Il compito a casa Per consentire il rafforzamento e la generalizzazione della capacità personale, oggetto di apprendimento, è inoltre utile assegnare un compito a casa nel quale è 26 richiesto all’allievo di sperimentare al di fuori del setting del training le nuove abi- lità acquisite. Contesto Per la realizzazione del training è necessario poter disporre di un ambiente idoneo: accogliente, ampio, strutturalmente flessibile in modo tale da consentire sia il lavoro con la classe sia il lavoro a piccoli gruppi. Anche il silenzio circostante e la luminosità dell’ambiente sono variabili del contesto importanti da curare. La disposizione di lavoro da privilegiare è quella circolare per favorire la co- municazione diretta ed il coinvolgimento di tutti gli allievi. Infine, per la buona riuscita del training, è importante disporre di strumenta- zioni didattiche adeguate: videoregistratore, proiettore per diapositive, lavagna lu- minosa, lavagna a fogli, materiale interattivo per gli allievi. Linee guida per la conduzione La promozione diretta delle capacità personali può essere facilitata dall’osser- vazione, da parte del trainer, di alcune linee guida fondamentali (Goleman, 1998). Personalizzare il training Il training andrebbe adattato alle esigenze formative dei singoli allievi; per questo, prima di procedere alla sua attuazione, occorre valutare il profilo indivi- duale delle capacità personali, in modo da rilevare punti di forza e punti di debo- lezza e identificare ciò che occorre migliorare. Motivare Le persone imparano nella misura in cui sono motivate. È quindi necessario chiarire agli allievi in che modo il training potrà essere loro di aiuto nello svilup- pare le capacità personali richieste per inserirsi più agevolmente nel contesto for- mativo oggi e in quello organizzativo-aziendale domani. Formulare obiettivi chiari e raggiungibili Affinché gli allievi possano mantenere vivi l’impegno, la motivazione e la fi- ducia nelle proprie possibilità di miglioramento è importante che per ogni capacità siano stabiliti obiettivi chiari, concreti, graduali. È inoltre utile che siano gli allievi stessi a scegliere i propri obiettivi di sviluppo e a progettare il proprio piano per raggiungerli. Incoraggiare l’esercizio La possibilità che le singole capacità personali entrino a far parte del reper- torio abituale degli allievi è correlata in modo consistente all’esercizio ripetuto e costante. Per questo merita di essere incoraggiata la sperimentazione attiva al di fuori del setting del training facendo sí che gli allievi sfruttino tutte le opportunità che spontaneamente si presentano per esercitare e consolidare le diverse abilità. 27 Rinforzare il cambiamento È importante che gli allievi percepiscano che i propri sforzi per migliorare sono riconosciuti e valorizzati. È quindi indispensabile che il trainer apprezzi ogni piccolo tentativo nella direzione auspicata e fornisca un’appropriata analisi dei progressi. Valutare Un momento importante è quello della valutazione del training. In particolare, occorre valutare le reazioni degli allievi, l'apprendimento delle conoscenze, l'ac- quisizione di nuove abilità, la modifica dei comportamenti. A tale riguardo, si hanno a disposizione diverse procedure che possono essere utilizzate in itinere o a conclusione del training. La valutazione in itinere dovrebbe prevedere la verifica, per ogni unità, del raggiungimento degli obiettivi prefissati allo scopo di considerare l'opportunità o meno di passare all'unità successiva. La valutazione finale dovrebbe essere, invece, focalizzata sulla verifica dei progressi che ciascuno ha realizzato sulle singole capacità personali rispetto alla si- tuazione di partenza. Essa può essere attuata tramite procedure di autovalutazione da parte degli allievi e di valutazione delle conoscenze e delle prestazioni da parte del trainer. 29 Scopo di questo terzo capitolo è descrivere un programma strutturato di pro- mozione delle capacità personali che possa costituire un’utile traccia di la- voro per coloro che, all’interno dei contesti formativi, desiderino operare per lo sviluppo di tali capacità in modo pianificato e consistente. Il pro- gramma si articola in quattordici unità, concernenti le capacità personali ri- feribili alle variabili io, altri, compito, contesto, indicate nel primo capitolo. Per ciascuna unità sono indicati la definizione della capacità in oggetto, la finalità che si intende perseguire, i tempi di realizzazione, la descrizione dei singoli incontri e alcuni suggerimenti educativi. INTRODUZIONE Le unità operative, descritte nella parte che segue, concernono le capacità per- sonali connesse alle diverse variabili coinvolte in una situazione apprenditiva o di lavoro e precisamente l’io, gli altri, il compito, il contesto. In riferimento alla va- riabile io, che include le capacità legate alla consapevolezza, alla valutazione e alla promozione della propria realtà personale, sono state elaborate cinque unità: sco- prire le proprie preferenze cognitive, riconoscere le proprie tendenze emotive, in- dividuare il proprio stile comportamentale, identificare i propri limiti e le proprie risorse, esplicitare le proprie mete. In riferimento alla variabile altri, che include le capacità che rendono produt- tivo e soddisfacente il rapporto con le persone con le quali si entra in contatto, sono state elaborate quattro unità: comunicare con efficacia, sintonizzarsi con gli altri, collaborare e lavorare in gruppo, gestire i contrasti e negoziare. In riferimento alla variabile compito, che include le capacità che consentono di far fronte con efficacia alle richieste e ai problemi insiti in una determinata atti- vità, sono state elaborate tre unità: pianificare il proprio agire, risolvere problemi e prendere decisioni, potenziare le proprie strategie di apprendimento e di azione. Infine, in riferimento alla variabile contesto, che include le capacità che facili- tano l’integrazione e l’inserimento produttivo in un ambiente organizzativo e di la- voro, sono state elaborate due unità: diagnosticare il contesto di lavoro in cui si opera, autoregolare il proprio comportamento organizzativo (cfr. tab. 4). TERZO CAPITOLO LO SVILUPPO DELLE CAPACITÀ PERSONALI COME OBIETTIVO FORMATIVO: PROPOSTA DI UN TRAINING 30 Ogni unità è articolata secondo le seguenti voci: definizione della capacità in oggetto, finalità, tempi di realizzazione, descrizione degli incontri previsti, sugge- rimenti educativi. Tabella 4: Elenco unità operative relative alle capacità personali connesse alle variabili: Io, Altri, Compito, Contesto VARIABILE DI RIFERIMENTO CAPACITA’ IMPLICATE UNITA’ OPERATIVE IO: consapevolezza, valutazione e promozione della propria realtà personale conoscere le proprie preferenze cognitive, le proprie tendenze emotive, il proprio stile comportamentale identificare i propri punti di forza e di debolezza in riferimento ad una situazione data proiettarsi positivamente e realisticamente verso obiettivi personali e professionali 1. scoprire le proprie preferenze cognitive 2. riconoscere le proprie tendenze emotive 3. individuare il proprio stile comportamentale 4. identificare i propri limiti e le proprie risorse 5. esplicitare le proprie mete ALTRI: positività del rapporto con le persone con le quali si entra in contatto comunicare in modo soddisfacente mostrare empatia nei rapporti interpersonali collaborare e lavorare in gruppo gestire i contrasti e negoziare 6. comunicare con efficacia 7. sintonizzarsi con gli altri 8. collaborare e lavorare in gruppo 9. gestire i contrasti e negoziare COMPITO: fronteggiamento efficace di richieste e problemi insiti in una determinata attività pianificare il proprio agire affrontare i problemi e assumere decisioni monitorare e migliorare le proprie strategie di apprendimento e di azione 10. pianificare il proprio agire 11. risolvere problemi e prendere decisioni 12. potenziare le proprie strategie di apprendimento e di azione CONTESTO: integrazione e inserimento produttivo in un ambiente organizzativo e di lavoro diagnosticare le caratteristiche fondamentali di un contesto organizzativo e di lavoro individuare e rispettare le regole tacite ed esplicite presenti in esso saper leggere e interpretare le correnti emotive e i rapporti di potere all’interno di esso 13. diagnosticare il contesto di lavoro in cui si opera 14. autoregolare il proprio comportamento organizzativo 31 Le 14 unità concernenti le capacità personali sono precedute da un’unità intro- duttiva avente per oggetto la presentazione del corso e la conoscenza reciproca. Il formatore può decidere di realizzare le diverse unità seguendo l’ordine in cui sono presentate nel testo oppure scegliere una sequenza diversa, ad esempio al- ternare le unità della variabile Io con quelle della variabile Compito, purché ri- spetti la propedeuticità quando richiesta. È inoltre importante, prima di affrontare le singole unità, ricordarne l’apparte- nenza alla variabile ad esse corrispondente, in modo che gli allievi possano orien- tarsi meglio nel lavoro. DESCRIZIONE DELLE UNITÀ E ALLEGATI 35 PRESENTAZIONE DEL PROGRAMMA Argomento in oggetto Contenuti del programma e conoscenza degli allievi. Finalità Esplicitare gli scopi, i contenuti del programma e le modalità di la- voro e avviare una prima conoscenza degli allievi e tra gli allievi. Tempi Un incontro di almeno due ore. Descrizione dell’incontro OBIETTIVI Conoscere gli obiettivi del corso, le unità oggetto di lavoro e le modalità di svolgimento. Definire le capacità personali. Classificare le singole capacità personali secondo le variabili: io, altri, compito, contesto. Avere maggiori elementi di conoscenza dei componenti della classe. FASI Introduzione Il formatore si presenta, enuncia il titolo del corso, quindi invita gli allievi a formulare una serie di ipotesi circa i contenuti che costi- tuiranno l’oggetto del programma. Visualizza alla lavagna le di- verse ipotesi offrendone, quando occorre, un’opportuna ridefini- zione; sulla base dei contributi offerti dagli allievi arriva poi ad il- lustrare globalmente gli obiettivi, i contenuti e le modalità di la- voro caratterizzanti il corso. Dinamica di gruppo Al fine di facilitare la conoscenza reciproca e creare una positiva atmosfera di lavoro il formatore attiva una dinamica di gruppo ar- ticolata come segue: 1. Consegna di alcune frasi da completare individualmente Il formatore invita ogni allievo a completare individualmente le frasi riportate nell’allegato 1; mentre i ragazzi lavorano, con- segna a ciascuno di loro una targhetta, da indossare, sulla quale scrivere il proprio nome. UNITÀ INTRODUTTIVA 36 2. Formazione delle coppie Quando tutti hanno risposto alle domande della traccia, il for- matore chiede agli allievi di formare delle coppie (scegliendo possibilmente il compagno meno conosciuto), di presentarsi e di confrontare, nella coppia, le proprie risposte. 3. Formazione di gruppi da quattro Quando i membri di ogni coppia hanno terminato di scambiare le proprie risposte, il formatore invita ciascuna coppia a sce- gliere un’altra coppia. La consegna, nel gruppo da quattro, è quella di presentare agli altri il proprio compagno e le risposte che questi ha dato alle diverse domande della traccia. 4. Formazione di gruppi da otto Terminata la fase precedente, il formatore riunisce i gruppi da quattro formando, in base al numero degli allievi, due o più gruppi da otto. Il compito, nel gruppo da otto, è quello di formulare una defini- zione di capacità personali e di elencare quattro capacità perso- nali ritenute importanti per inserirsi adeguatamente nel contesto formativo prima e professionale poi (All.2). 5. Ricomposizione del gruppo classe Una volta che i gruppi hanno completato il lavoro si ricompone il gruppo classe. A questo punto il formatore, prima di invitare ogni gruppo a presentare la propria riflessione, attiva un con- fronto sull’esperienza ponendo alcune domande stimolo sulla dinamica appena conclusa (All.3). Prima di passare alla fase successiva, il formatore esplicita bre- vemente agli allievi gli obiettivi che con la dinamica di gruppo si intendeva raggiungere (rompere il ghiaccio, avviare una prima conoscenza reciproca, attivare una riflessione comune sui conte- nuti oggetto del corso), quindi introduce il prosieguo dell’unità. Presentazione teorica Il formatore chiede ai rappresentanti di ogni gruppo da otto di pre- sentare ciò che all’interno del proprio gruppo è stato elaborato, sia in merito alla definizione di capacità personali, sia in riferimento alle capacità ritenute più significative. Quindi, a partire dalle riflessioni degli allievi, presenta e spiega la definizione di capacità personali e illustra la classificazione di esse secondo le variabili: io, altri, compito, contesto (cfr. primo capi- tolo). MATERIALI Allegati 1, 2, 3 Contenuti del primo capitolo Lavagna luminosa 37 Unità introduttiva - Allegato 1 FRASI DA COMPLETARE Sei invitato a completare le frasi che seguono per poi condividere le tue ri- sposte con un compagno. 1. Il mio nome è .......................................................................................................... ..................................................................................................................................... 2. Ho scelto di frequentare il CFP in quanto .............................................................. ..................................................................................................................................... 3. Due aspetti che apprezzo di me sono ..................................................................... ..................................................................................................................................... 4. Un mio difetto è ..................................................................................................... ..................................................................................................................................... 5. Da questo corso sulle capacità personali mi aspetto di ......................................... ..................................................................................................................................... 6. Rimarrei deluso se il corso .................................................................................... ..................................................................................................................................... 7. Si potrebbe lavorare bene se .................................................................................. ..................................................................................................................................... 8. Una regola che vorrei proprio ci fosse è................................................................. ..................................................................................................................................... 38 Unità introduttiva - Allegato 2 LAVORO DI GRUPPO Ti viene chiesto di formulare, insieme ai compagni del tuo gruppo, una defini- zione di “capacità personali”; quindi di trovare un accordo circa quattro capacità ritenute importanti per un buon inserimento nei contesti formativi e professionali. Con il temine “ capacità personali” intendiamo ...................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... Quattro importanti capacità sono: 1. ................................................................................................................................. È importante perché.................................................................................................... ..................................................................................................................................... 2. ................................................................................................................................. È importante perché.................................................................................................... ..................................................................................................................................... 3. ................................................................................................................................. È importante perché.................................................................................................... ..................................................................................................................................... 4................................................................................................................................... È importante perché.................................................................................................... ..................................................................................................................................... 39 Unità introduttiva - Allegato 3 DOMANDE STIMOLO SULLA DINAMICA DI GRUPPO 1. Come avete vissuto l’esperienza?........................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 2. Ha permesso di conoscervi un po’ di più?.............................................................. ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 3. Quali sono le aspettative che sono emerse rispetto al corso?................................. ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 4. Che cosa, se accadesse, vi deluderebbe? ................................................................ ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 5. Cosa avete suggerito per poter lavorare bene? ....................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 6. Quali sono le regole emerse?.................................................................................. ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... VARIABILE IO Consapevolezza, valutazione e promozione della propria realtà personale UNITÀ OPERATIVE: DESCRIZIONE E ALLEGATI 1. SCOPRIRE LE PROPRIE PREFERENZE COGNITIVE 2. RICONOSCERE LE PROPRIE TENDENZE EMOTIVE 3. INDIVIDUARE IL PROPRIO STILE COMPORTAMENTALE 4. IDENTIFICARE I PROPRI LIMITI E LE PROPRIE RISORSE 5. ESPLICITARE LE PROPRIE METE 43 SCOPRIRE LE PROPRIE PREFERENZE COGNITIVE Capacità in oggetto Riconoscere le caratteristiche prevalenti del proprio stile di pen- siero. Finalità Incrementare negli allievi la consapevolezza delle proprie attitu- dini cognitive. Tempi Tre incontri di circa due ore ciascuno. Descrizione degli incontri PRIMO INCONTRO OBIETTIVI 1. Definire lo stile cognitivo. 2. Discriminare i diversi stili cognitivi. 3. Individuare il proprio stile cognitivo. FASI Esperienza concreta Il formatore presenta in classe alcune situazioni-stimolo, che im- plicano l’uso di diversi stili cognitivi, alle quali gli allievi sono sollecitati a reagire (All. 1, 2, 3). Osservazione riflessiva Gli allievi sono invitati a rispondere individualmente alle domande della traccia di riflessione (All. 4), quindi a confrontare in gruppo le loro risposte. Concettualizzazione astratta Il formatore definisce lo stile cognitivo e illustra brevemente le po- larità descrittive di esso (All. 5); domanda quindi agli allievi di ri- conoscersi nelle polarità descritte. Sperimentazione attiva Gli allievi sono invitati a compilare il questionario sugli stili co- gnitivi (All. 6) e ad esaminare le loro risposte. Conclusione L’incontro si conclude con la lettura del brano di Jack ed Irvin (All. 7) e con la discussione, in gruppo, sulle risposte fornite alle domande indicate alla fine del brano stesso. PRIMA UNITÀ 44 MATERIALI Allegati 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 Lavagna luminosa Lavagna a fogli SUGGERIMENTI EDUCATIVI Allo scopo di favorire una maggiore consapevolezza dei propri stili cognitivi, i formatori possono: 1. proporre diverse esperienze di apprendimento e di lavoro che consentono agli allievi di coscientizzare le proprie strategie di pensiero, confrontandole con i diversi stili presi in esame; 2. prevedere attività, che implichino prima un lavoro individuale e poi un confronto a piccoli gruppi, indirizzate ad esplicitare le strategie cognitive che ciascuno ha utilizzato e a riconoscere lo stile di appartenenza; 3. presentare i contenuti adottando alternativamente diversi stili cognitivi e invitando gli allievi ad una loro individuazione. SECONDO INCONTRO OBIETTIVI 1. Definire lo stile attributivo. 2. Discriminare i diversi stili attributivi. 3. Individuare il proprio stile attributivo. FASI Esperienza concreta Il formatore chiede ad un allievo di leggere in classe il brano di Giorgio e Andrea (All. 8), riguardante due diverse reazioni all’in- successo. Osservazione riflessiva Gli allievi sono invitati a rispondere individualmente alle domande della traccia di riflessione (All. 9), quindi a confrontare in gruppo le loro risposte. Concettualizzazione astratta Il formatore definisce lo stile attributivo, illustra le tre dimensioni che lo caratterizzano (tempo, situazione, luogo del controllo), spiega le conseguenze sul piano emotivo e comportamentale del- l’adozione di stili attributivi diversi (All. 10). Sperimentazione attiva Il formatore sottopone agli allievi alcune situazioni stimolo alle quali rispondere individualmente (All. 11). A piccoli gruppi, di 3-4 persone, gli allievi esaminano le risposte che ciascuno ha dato se- condo le 3 dimensioni dello stile attributivo. Si procede commen- tando in classe l’andamento delle risposte dei singoli gruppi. 45 Conclusione L’incontro si conclude invitando gli allievi a riflettere sul proprio stile attributivo, prendendo nota delle autoaffermazioni che produ- cono in risposta ad alcuni eventi che possono presentarsi loro nei diversi contesti di vita: famiglia – scuola – amici (All. 12). MATERIALI Allegati 8, 9, 10, 11, 12 Lavagna luminosa Lavagna a fogli SUGGERIMENTI EDUCATIVI Al fine di promuovere una maggiore consapevolezza delle proprie modalità attributive e sollecitarne la modifica in funzione di una maggiore controllabilità degli eventi, i formatori possono: 1. stimolare gli allievi ad interrogarsi sulle cause che possono es- sere alla base dei loro successi o insuccessi formativi; 2. prestare attenzione alle autoaffermazioni che gli allievi produ- cono spontaneamente nelle diverse situazioni della vita scola- stica e che hanno attinenza con i processi attributivi; 3. in presenza di modalità attributive disfunzionali, aiutare gli al- lievi a comprenderne le conseguenze sul piano emotivo e com- portamentale e stimolarli a produrre autoaffermazioni alterna- tive più adattive e realistiche; 4. adottare essi stessi stili attributivi costruttivi che vadano ad in- crementare negli allievi la fiducia nelle proprie possibilità. TERZO INCONTRO OBIETTIVI 1. Individuare i principali costrutti personali utilizzati nella perce- zione di sé e degli altri. 2. Valutare le caratteristiche dei costrutti individuati. FASI Esperienza concreta Il formatore illustra agli allievi la griglia di Kelly (All. 13) e spiega loro come completarla. Osservazione riflessiva Gli allievi sono invitati a rispondere individualmente alle domande della traccia di riflessione (All. 14), quindi a confrontare in gruppo le loro risposte. Concettualizzazione astratta Il formatore spiega brevemente cosa siano i costrutti, come siano 46 organizzati nel sistema conoscitivo, quali funzioni essi abbiano nella costruzione dell’esperienza (All. 15). Sperimentazione attiva Il formatore invita gli allievi a tornare sui costrutti precedente- mente individuati e a rispondere alle domande riportate nell’alle- gato 16. Conclusione L’incontro si conclude riprendendo gli aspetti più salienti emersi in riferimento al tema dei costrutti personali e operando una breve sintesi degli aspetti affrontati negli incontri precedenti. MATERIALI Allegati 13, 14, 15, 16 Lavagna luminosa Lavagna a fogli SUGGERIMENTI EDUCATIVI Al fine di facilitare la consapevolezza dei propri costrutti personali e potenziare la ricchezza del proprio sistema conoscitivo, il forma- tore può: 1. aiutare gli allievi ad esplicitare gli schemi che tacitamente uti- lizzano nella percezione di sé, degli altri, delle situazioni; 2. stimolarli a valutarne l’adeguatezza; 3. sollecitarli ad approcciare un evento da più punti di vista così da ampliare il numero e il grado di differenziazione dei costrutti posseduti. 47 A A A A A A A A A A A A A A A A A A A A A A A A A A A A A A A A A A A A A A A A Tratto da: Cornoldi et al.,1994, 163. Cosa hai letto al primo sguardo? Cosa si può anche leggere? Prima unità - Allegato 1 CHE COSA VEDI? 48 Prima unità - Allegato 2 LE QUATTRO CASE Leggi le descrizioni di queste case e scegli quella/e che ti attira(no) di più 1. Sono sicuro che drizzerai le orecchie quando ora ti dirò qualcosa di questa casa. Allora, ascolta attentamente. Se ti piace l’armonia questa è la casa che fa per te. È in completa armonia con ciò che la circonda. È abbastanza lontana dal rumore del traffico da renderla ideale. Non che sia troppo tranquilla, anche se vi ragna una quiete riposante. È il tipo di posto in cui vorresti stare se vo- lessi far riposare le orecchie dal frastuono della vita di città. Ci sono i suoni comuni della vita quotidiana in campagna, il tintinnio dei campanelli delle mucche nel campo vicino e si sentono le campane della chiesa che risuonano nel paese. Potrai rilassarti al ritmo della tua musica preferita e far tintinnare i bicchieri con la famiglia e gli amici, chiacchierando intorno al fuoco scoppiet- tante nella notte silenziosa. Suona troppo bello per essere vero. 2. Questa casa è situata a un’ora di viaggio in auto, a un’altitudine di 800 metri e al limitare di un paese agricolo, con un paio di buoni ristoranti di prezzo medio, un piccolo supermercato e alcuni luoghi di interesse storico-culturale da visitare. La casa è di tipo tradizionale ed è sicuramente delle dimensioni giuste per le tue esi- genze (cucina, sala da pranzo, tre camere da letto e bagno). Il prezzo è nella fa- scia che ti aspetteresti per questo tipo di immobile. Il paese è ad est, con la cam- pagna, una piccola fattoria (dove è possibile acquistare i prodotti locali) e le montagne a nord e a ovest. Per ogni altra informazione richiedi l’opuscolo con tutte le informazioni necessarie – nessuna sorpresa al momento della visita. 3. Questa casa appare al meglio quando il sole del mattino la copre di luce e apre una superba vista della zona – un vero panorama da cartolina. Apri la porta d’in- gresso, dipinta a colori pastello, e scopri una scena incantevole. Uno stupendo salotto con grandi vetrate su due lati, attraverso cui vedi brillare le vette delle montagne ricoperte di neve. Se guardi dall’altro lato vedi proprio davanti a te i campi verde scuro e un po’ più a valle i tetti colorati delle case, che brillano con i loro caldi toni di giallo, rosso e bruno in un coloratissimo mosaico. Guarda tra- montare il sole dietro i monti, scopri le minuscole cascine che punteggiano la valle, fai riposare gli occhi sui campi di grano dorato. Non riusciresti a immagi- nare un posto più bello e una vista più affascinante. Vieni a vederlo di persona. 4. Ciò che colpisce di questo posto è l’atmosfera. Hai lasciato dietro di te le tensioni. Qui non c’è nessuna fretta. Ti lasci cadere dalle spalle il pesa della stanchezza mentre respiri l’aria pura; e le sensazioni aumentano quando inserisci la chiave nella porta massiccia, stringi la maniglia di ottone ed entri. Il silenzio è quasi pal- pabile. Questo posto sei tu, lo senti tuo mentre cammini sui soffici tappeti, ti lasci andare in una comoda poltrona, ti togli le scarpe, ti rannicchi in un angolo e, final- mente, ti rilassi. È tutto intimo e accogliente e con il calore del fuoco ti lasci an- dare in un mondo tutto tuo. Non c’è fretta di fare alcunché, eppure ti senti più forte e forse domani sarai pronto a indossare delle comode scarpe da passeggiata e, chissà, a fare un po’ di moto. Qui ti sentirai infinitamente meglio. Tratto da: Katan, 1994. 49 Prima unità - Allegato 3 QUAL È LA CONDIZIONE Nel presente esercizio ti viene chiesto di individuare la condizione necessaria. Come puoi osservare, nelle sei finestre riportate nella colonna di sinistra è ripor- tato o un SI o un NO. Quando c’è il SI, vuol dire che la condizione da trovare è presente; quando c’è il NO, vuol dire che la condizione è assente. Nello spazio a destra puoi annotare le ipotesi che via via formuli sino alla so- luzione del gioco. ESEMPI QUALE È LA CONDIZIONE NECESSARIA? SI NO NO SI NO SI Tratto e adattato da: Cornoldi et al., 1993, 148. 1 2 3 4 5 6 50 Prima unità - Allegato 4 TRACCIA DI RIFLESSIONE 1. Che cosa hai visto nella figura riportata nella situazione stimolo n° 1? Ha vi- sualizzato prima la F o prima le A? .............................................................................................................................. .............................................................................................................................. .............................................................................................................................. 2. Nella situazione stimolo n° 2 ti veniva richiesto di scegliere la descrizione della casa che ti attraeva di più. Sapresti spiegare i motivi della tua scelta? Che conclusioni puoi trarre rispetto alle tue preferenze personali? .............................................................................................................................. .............................................................................................................................. .............................................................................................................................. 3. Nel rispondere alla situazione stimolo nº 3, in cui ti veniva richiesto di trovare la condizione, che tipo di strategia hai seguito? A quale delle due sottoindicate si avvicinava di più? SISTEMATICO INTUITIVO 1. Devo ricordare 2 quadrati bianchi diagonale sx - dx 1. Forse sono figure bianche 2. (Triangolo nero non c’entra) 2. Ok 3. (Diagonale sx - dx non c’entra) 3. Non sono figure bianche, forse quadrati bianchi 4. (Bianco non c’entra). Devo ricordare due quadrati in diagonale sx - dx 4. Non sono bianche del tutto, forse due quadrati 5. Ok 5. Ok 6. E’ sufficiente l’elemento quadrato 6. E’ uno e va bene; quindi è un quadrato Tratto da: Cornoldi et al., 1994, 149. 4. In che modo è possibile spiegare le differenze individuali nelle risposte fornite alle rispettive situazioni stimolo? .............................................................................................................................. .............................................................................................................................. .............................................................................................................................. 51 Prima unità - Allegato 5 STILE COGNITIVO: LINEAMENTI TEORICI Lo stile cognitivo può essere definito come una modalità di elaborazione delle informazioni che il soggetto adotta in modo prevalente, che permane nel tempo e che si generalizza a compiti diversi. Goldstein e Blackman (1978) interpretano lo stile cognitivo come un costrutto ipotetico che ha la funzione di mediatore tra lo stimolo ambientale e la risposta del soggetto. Esso consente, quindi, di capire come un individuo organizzi concettualmente il suo ambiente. Per Vernon (1973) lo stile cognitivo è un costrutto sovraordinato che com- prende numerose operazioni cognitive e che spiega le differenze individuali in nu- merose variabili cognitive, percettive, di personalità. Sternberg (1998) definisce lo stile cognitivo come un modo di pensare prefe- rito che non coincide con le abilità, ma con il modo in cui vengono usate le abilità possedute. Esso non rappresenta pertanto una serie di abilità bensì una gamma di preferenze. In ambito psicologico i diversi lavori che hanno riguardato gli stili cognitivi rientrano nell’area più vasta dello studio delle differenze individuali. Dagli anni ’50 fino ai nostri giorni sono state identificate diverse categorie di stili cognitivi, spesso sovrapponibili sebbene presentate con denominazioni di- verse. Nella parte che segue ci soffermeremo brevemente su di esse. Stile Sistematico – Intuitivo Riguarda il modo di classificare e formulare ipotesi. Lo stile sistematico si caratterizza per un procedere a piccoli passi conside- rando tutte le possibili variabili in gioco. Richiede più tempo nella soluzione di un problema ma per lo più conduce ad una risposta certa. Corre il rischio di soffer- marsi su dettagli. Al contrario, lo stile intuitivo lavora principalmente su ipotesi che cerca di confermare o confutare. È più rapido nella soluzione di un problema soprattutto se l’ipotesi è corretta. Corre il rischio di limitarsi a veder confermata l’ipotesi formu- lata. Stile Globale – Analitico Concerne la percezione, la preferenza per la considerazione dell’insieme o del dettaglio. Lo stile globale – analitico è uno stile fondamentale che attraversa trasversal- mente tutti gli altri stili. Esso esprime la tendenza ad una visione globale o anali- tica (Es.: Vediamo prima la foresta o gli alberi?). 52 Stile Impulsivo – Riflessivo Questo stile si basa sui tempi decisionali e riguarda i processi di valutazione e di decisione nella risoluzione di un compito cognitivo. La polarità riflessiva è chiaramente più adattiva di quella impulsiva, sebbene quest’ultima possa rivelarsi più efficace in compiti che richiedono rapidità. Stile Verbale – Visuale Questo stile concerne la propensione per la verbalizzazione o la visualizza- zione. Alcuni soggetti prediligono il codice linguistico, altri il codice visuo-spaziale. Gli effetti di questo stile si evidenziano nella maniera in cui una persona ricorda le informazioni apprese. Un verbalizzatore ricorda meglio parole e incontra difficoltà in compiti di tipo visivo; un visualizzatore ricorda meglio oggetti e immagini L’uso di entrambi i codici, linguistico e visuo-spaziale, rende più facile la comprensione e incrementa la capacità di memorizzazione. Stile Dipendente – Indipendente dal campo Lo stile dipendente/indipendente dal campo concerne il grado di dipendenza della struttura mentale dal campo visivo prevalente. Il soggetto con scarso grado di dipendenza dal campo visivo è in grado di scorgere figure, forme e particolari indipendentemente dal campo in cui queste si collocano; al contrario, coloro che hanno una forte dipendenza dal campo visivo orientano la propria percezione in base a quest’ultimo. Così ad esempio, la persona indipendente dal campo è quella che su un aereo senza guardare fuori dal finestrino è in grado di percepire se il velivolo sta ese- guendo un volo orizzontale oppure ha una lieve inclinazione; la persona con mag- giore dipendenza dal campo, invece, deve necessariamente guardare fuori dal fine- strino per percepire la traiettoria del velivolo rispetto alla terra ferma. Naturalmente non c’è uno stile cognitivo migliore di un altro, dipende dalla si- tuazione e dal problema che deve essere affrontato in un determinato momento. La consapevolezza del proprio stile cognitivo può, tuttavia, consentire di uti- lizzare al meglio le proprie strategie e di integrarle con quelle tipiche di altri stili. Quando i soggetti devono apprendere i contenuti specifici tendono a farlo in base alle loro strutture cognitive. Allo stile cognitivo si associa il contenuto speci- fico e in tal modo ha origine lo stile di apprendimento. Quest’ultimo, inteso come l’insieme di operazioni e procedure che ciascuno di noi utilizza per acquisire, ritenere e recuperare diversi tipi di conoscenza e di pre- stazioni, sarà oggetto di lavoro nelle unità concernenti la variabile compito. 53 Prima unità - Allegato 6 AUTODIAGNOSI DELLO STILE COGNITIVO PERSONALE Ti viene presentata una serie di frasi che descrivono diversi modi di affrontare le tematiche e le cose che si devono imparare. L’esercizio è diviso in otto sezioni, ognuna delle quali è composta da quattro frasi. Analizza ognuna delle frasi presenti e cerca di scoprire quali descrivono me- glio il tuo modo abituale di imparare. Avvertenze per la compilazione del questionario a. Leggere attentamente ognuna delle quattro frasi di ogni gruppo b. Assegnare a ciascuna frase del gruppo un punteggio da 1 a 4 nel modo se- guente: – 4 alla frase che meglio descrive il tuo stile cognitivo – 3 alla frase che si avvicina abbastanza al tuo stile cognitivo – 2 alla frase che è poco vicina al tuo stile – 1 alla frase che ha meno a che fare con il tuo stile c. Completare la lista delle frasi di ogni gruppo cercando di dare una valutazione a ciascuna frase. d. Non assegnare lo stesso punteggio a due frasi dello stesso gruppo; ognuna deve avere un numero diverso. Talvolta potrà essere difficile scegliere, ma sei pregato di fare uno sforzo in tal senso. e. Esegui l’esercizio da solo. f. Non ci sono risposte corrette o sbagliate. Si tratta soltanto di rilevare quale è il tuo modo abituale (o privilegiato) di studio e di apprendimento. Esempio: IO IMPARO MEGLIO: (1) quando sono preoccupato/a per un esame (4) quando non mi interrompono (2) quando gli appunti sono ben ordinati (3) quando lavoro senza pressioni esterne IO IMPARO MEGLIO: 1. a ( ) quando colgo le differenze e le sfumature b ( ) quando guardo le cose da punti di vista diversi c ( ) quando mi sento coinvolto nelle situazioni d ( ) quando non mi fermo alla superficie dei temi affrontati 54 2. a ( ) mostrandomi ricettivo/a e pronto/a b ( ) mettendo in evidenza le cose più importanti c ( ) analizzando punto per punto le cose presentate d ( ) cercando di essere imparziale ed obiettivo/a 3. a ( ) se mi concentro con attenzione e costanza b ( ) se mi “butto” con decisione sulle cose che devo imparare c ( ) se riesco a farmi una idea generale dell’argomento d ( ) se mi faccio dei riassunti durante lo studio 4. a ( ) mettendo in discussione le cose che vengono proposte b ( ) studiando alla vigilia di un esame c ( ) leggendo materiale diverso sul tema d ( ) soppesando e calibrando bene quello che sto studiando 5. a ( ) quando mi lascio guidare dalle mie intuizioni b ( ) quando trovo un filo logico in quello che studio c ( ) quando mi pongo domande relative all’argomento d ( ) quando riesco a fare collegamenti tra aspetti diversi 6. a ( ) se le cose vengono esposte in modo sintetico e con inquadramenti generali b ( ) se osservo con attenzione quello che succede c ( ) se mi faccio una idea immediata di quello che succede d ( ) se svolgo correttamente i compiti assegnati 7. a ( ) se traggo conclusioni e idee chiare sull’argomento b ( ) se sviscero i problemi prima di arrivare alle conclusioni c ( ) se faccio affidamento sulle mie opinioni d ( ) se sperimento le cose in prima persona 8. a ( ) quando mi appassiono alle cose b ( ) quando riesco a vedere le cose in modo distaccato c ( ) quando ragiono bene su quello che sto imparando d ( ) quando riesco ad intuire il significato complessivo di quello che sto fa- cendo Guida per l’individuazione degli stili emergenti dal questionario: SERIALE : 1 a; 2 c; 3 d; 4 a; 5 c; 6 b; 7 b; 8 c; __ __ __ __ ____ OLISTICO: 1 b; 2 b; 3 c; 4 c; 5 d; 6 a; 7 a; 8 d; __ __ __ __ ____ IMPULSIVO: 1 c; 2 a; 3 b; 4 b; 5 a; 6 c; 7 c; 8 a; __ __ __ __ ____ RIFLESSIVO: 1 d; 2 d; 3 a; 4 d; 5 b; 6 d; 7 d; 8 b; __ __ __ __ ____ Tratto da: Zanchin, 2002, 107-109. 55 Prima unità - Allegato 7 LA STORIA DI JACK ED IRVIN Jack indica Irvin, il ragazzo che ha etichettato come il più stupido della classe, al suo amico Tom. A Jack, che si considera il più intelligente, piace prendere in giro Irvin. “Vuoi vedere cosa significa essere veramente “stupido”, Tom? Guarda un po’ questo…” “Ehi, Irvin. Ho qui due monete. Prendi quella che vuoi. È tua.” Irvin guarda le due monete, un nichelino e un dime. Le fissa per un po’, e poi si sceglie quella più grande, il nichelino. “Dai, Irv, prendilo, è tuo” ride Jack. Irvin prende la moneta e se ne va. Un adulto che stava guardando da lontano lo scambio, si avvicina a Irvin e gli spiega gentilmente che il dime vale di più del nichelino, anche se è più piccolo, e che perciò ha perso cinque cent. “Oh, lo so”, replica Irvin, “ma se avessi preso il dime, Jack non mi avrebbe più chiesto di scegliere tra le due monete; così invece continua a chiedermelo. Ho già preso più di un dollaro da lui e tutto quello che devo fare è scegliere il nichelino”. Tratto da: Sternberg, Spear-Swerling, 1997, 13. TRACCIA DI RIFLESSIONE Cosa ti suggerisce questa storiella? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... È possibile che uno studente possa essere un buon pensatore pur andando male a scuola? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... Perché spesso i buoni pensatori falliscono a scuola? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 56 Prima unità - Allegato 8 LE REAZIONI DI GIORGIO E ANDREA Giorgio e Andrea sono due compagni di classe. Entrambi frequentano il primo anno al CFP. Alla prima verifica di matematica entrambi ricevono un’insufficienza. Giorgio reagisce con dispiacere, ma si dice che studiando un po’ di più, alla prossima verifica andrà meglio. Andrea, invece, si deprime, si dice che quella è la prima insufficienza di una lunga serie e che per la matematica è proprio negato. 57 Prima unità - Allegato 9 LE REAZIONI DI GIORGIO E ANDREA TRACCIA DI RIFLESSIONE Chi, tra Giorgio e Andrea, avrà più possibilità di riuscire in matematica e perché? Qual è, a tuo avviso, la reazione più adeguata? Qual è, a tuo avviso, la reazione che ha più probabilità di verificarsi? Che cosa dovrebbe accadere perché Andrea possa cambiare idea circa le sue possibilità di riuscire in matematica? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 58 Prima unità - Allegato 10 STILE ATTRIBUTIVO: LINEAMENTI TEORICI Il termine attribuzione fa riferimento ad un processo cognitivo tramite il quale si cerca di spiegare un evento o un fenomeno collegandolo ad una causa. Quando parliamo di attribuzioni ci riferiamo pertanto ad autoaffermazioni che appartengono al nostro dialogo interno e che concernono la causalità degli eventi. Le attribuzioni incidono consistentemente sulle nostre sfere emotiva e com- portamentale; per questo è importante interrogarsi sull’adeguatezza o meno delle nostre attribuzioni. Ad esempio, una persona può attribuire il successo o il fallimento nel conse- guimento di un certo obiettivo a variabili intrinseche al compito da svolgere, come le difficoltà insite nella sua esecuzione, a fattori di tipo situazionale, come lo stato d’animo del momento o l’ambiente nel quale viene richiesto di eseguire il compito, a elementi insiti in se stessa, come capacità innate o incapacità congenite, a fattori che hanno a che vedere con la motivazione e l’impegno nella esecuzione del com- pito. A seconda del tipo di attribuzione che sceglierà, potrà incrementare il proprio benessere o, al contrario, accrescere la propria sofferenza o disagio. Il processo attributivo, seppur molto influente sulle emozioni e sui comporta- menti, non sempre cade sotto la consapevolezza del soggetto. Per questo può essere utile individuare le dimensioni che lo caratterizzano; esse concernono la situazione, il tempo e il luogo del controllo (Abramson, Se- ligman e Teasdale, 1978). Relativamente alla situazione, le attribuzioni possono essere globali o speci- fiche. Le prime tenderanno a caratterizzarsi per un processo di generalizzazione, le seconde per un’attinenza limitata all’evento in questione. In riferimento al tempo, le attribuzioni possono essere stabili o variabili. Mentre l’attribuzione stabile tende a confermare una sorta di ineluttabilità dell’ac- cadimento, avvalorata da esperienze analoghe verificatesi in passato che vengono incluse nel presente e, inopportunamente, anche nel futuro, l’attribuzione di tipo variabile tende a interpretare la causa dell’evento come un fatto isolato, senza una sorta di continuità temporale. Relativamente al luogo del controllo, infine, le attribuzioni possono essere in- terne, quando la causa è connessa a fattori personali, o esterne, quando la causa è ricercata al di fuori del soggetto. Si parla di stile attributivo quando una persona manifesta una costanza attribu- tiva nelle tre dimensioni appena descritte (es. globale - stabile - interno, specifico - variabile - esterno, ecc). Lo stile attributivo che maggiormente si correla al benessere in quanto confe- risce al soggetto una percezione di controllabilità è interno, variabile, specifico. In particolare, per quanto concerne il successo e l’insuccesso scolastico, De Beni (1995) distingue i seguenti stili attributivi: 59 Attribuzioni di tipo interno il successo o l’insuccesso vengono attribuiti ad impegno o abilità personali Attribuzioni di tipo esterno il successo o l’insuccesso vengono attribuiti a difficoltà contingenti o alla for- tuna Attribuzioni di tipo stabile il successo o l’insuccesso vengono attribuiti ad abilità, facilità o difficoltà del compito Attribuzioni di tipo instabile il successo o l’insuccesso vengono attribuiti a impegno o a fortuna Attribuzioni di tipo controllabile il successo o l’insuccesso vengono attribuiti all’impegno Attribuzioni di tipo incontrollabile il successo o l’insuccesso vengono attribuiti alla fortuna Fonte: Pope, McHale, Crainghead, 1992, 84. Appare evidente che, per quanto concerne l’apprendimento e la riuscita in un compito, risulta più funzionale lo stile che enfatizza il fattore impegno - responsa- bilità. Infatti, l’interpretare la presenza o l’assenza di quest’ultimo come causa dei propri successi o fallimenti può essere motivo di persistenza nelle azioni che con- ducono, con molta probabilità, ad un esito positivo. Al contrario, coloro che sono portati ad attribuire il successo alla fortuna e l’insuccesso a fattori stabili (mancanza di abilità, difficoltà insite nei compiti) sono più inclini alla demotivazione e al disimpegno. 60 Prima unità - Allegato 11 IL GIOCO DEI PERCHÉ Nella parte che segue troverai otto situazioni che possono esserti capitate o meno. Ti chiediamo di spiegare perché, secondo te, si sono verificate. 1. Faccio un errore. Perché? .................................................................................... ..................................................................................................................................... 2. Un amico si arrabbia con me. Perché? ................................................................ ..................................................................................................................................... 3. Cerco di fare qualcosa che gli altri sanno fare, ma non ci riesco. Ciò accade perché? ................................................................................................................. ..................................................................................................................................... 4. Gli amici mi cercano per uscire. Perché? ............................................................ ..................................................................................................................................... 5. Un superiore mi rimprovera. Perché?.................................................................. ..................................................................................................................................... 6. Qualcosa mi va bene. Perché? ............................................................................. ..................................................................................................................................... 7. Mi capita di aver successo in qualcosa che solitamente non mi riesce. Perché? ..................................................................................................................................... 8. Ricevo un brutto voto. Perché? ......................................................................... ..................................................................................................................................... Confronta le tue risposte con quelle degli altri tuoi compagni e, insieme, indi- viduate le diverse dimensioni dello stile attributivo, utilizzando la tabella nella pa- gina seguente. 61 SI TU AZ IO NE AL LI EV O 1 AL LI EV O 2 AL LI EV O 3 1 2 3 4 5 6 7 8 62 Prima unità - Allegato 12 PER CONOSCERE LE MIE ATTRIBUZIONI Pensa ad un evento positivo e ad un evento negativo che ti sono capitati recen- temente a scuola, in famiglia o con gli amici. Per ciascun evento individua un esempio ragionevole di ciascun tipo di attribuzione e inseriscilo nelle tabelle che seguono alle voci corrispondenti così come nell’esempio. Esempio: EVENTO NEGATIVO: I compagni mi prendono in giro Globale Non piaccio a nessuno Specifico Alcuni compagni non mi trovano simpatico Stabile Non mi hanno accettato sin dal primo momento Variabile Oggi rompono le scatole più del solito Interno Devo essere un po’ strano se mi prendono in giro Esterno Ce l’avevano con qualcun altro e ci sono andato di mezzo io EVENTO NEGATIVO Globale Specifico Stabile Variabile Interno Esterno EVENTO POSITIVO Globale Specifico Stabile Variabile Interno Esterno 63 EVENTO NEGATIVO Globale Specifico Stabile Variabile Interno Esterno EVENTO POSITIVO Globale Specifico Stabile Variabile Interno Esterno EVENTO NEGATIVO Globale Specifico Stabile Variabile Interno Esterno 64 Ora che hai completato le tabelle sottolinea le attribuzioni che più si avvici- nano alle spiegazioni che dai tu dell’evento e chiediti: 1. Le mie attribuzioni sono realistiche? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 2. Quali producono uno stato d’animo positivo? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 3. Quali producono uno stato d’animo negativo? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 4. Posso correggere qualche attribuzione? In che modo? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... EVENTO POSITIVO Globale Specifico Stabile Variabile Interno Esterno 65 Prima unità - Allegato 13 LA TECNICA DELLA GRIGLIA DI REPERTORIO Per completare la griglia di repertorio, riportata nella pagina successiva, oc- corre procedere come segue: 1. scrivete il nome effettivo delle persone descritte sulla parte superiore di cia- scuna colonna nell’apposito spazio. A partire da questo momento, pensate ad essi come individui specifici piuttosto che a categorie astratte; 2. in ciascuna riga ci sono 3 croci; il vostro compito è pensare attentamente alle 3 persone così contrassegnate e decidere in che modo due di esse sono simili tra loro e, allo stesso tempo, diverse dalla terza (es. me stesso e migliore amico: estroversi; papà: introverso). La caratteristica che accomuna due ele- menti è chiamata polo emerso; la caratteristica che differenzia il terzo ele- mento è chiamata polo sommerso. Scrivete il nome del polo emerso nello spazio in alto della colonna, denominata “costrutti”; quello del polo sommerso nello spazio in basso; 3. una volta individuati i 7 costrutti, valutate ciascuna persona su ogni costrutto prima sul polo emerso, poi sul polo sommerso, indicando quanto, secondo la vostra opinione, ciascuna persona possiede tale caratteristica. Per questo dis- ponete di una scala a 7 punti e valuterete 1, se non la persona non possiede af- fatto quella caratteristica, 6 o 7 e se la possiede in modo rilevante. Ora che la vostra griglia del repertorio di ruoli è completa potete analizzare i vostri giudizi in vari modi. Una semplice verifica dei costrutti sul lato destro vi fornisce qualche idea sulle caratteristiche che usate abitualmente nel giudicare gli altri. Naturalmente, questa è una griglia molto piccola e rifletterà solo in parte il vostro sistema di costrutti personali. Successivamente, potreste desiderare di esaminare l’interdipendenza esistente tra i vari costrutti, cioè il modo in cui ciascuna coppia dei vostri costrutti è colle- gata reciprocamente, come indicato dai vostri giudizi. Potete calcolare un pun- teggio di “somiglianza” complessivo tra ogni coppia possibile di costrutti, som- mando le differenze nelle vostre valutazioni di ciascun soggetto su questi 2 co- strutti. Adattato da: Forgas, 1995, 50. 66 LA G RI GL IA D I R EP ER TO RI O DI K EL LY (1 95 5) M E S TE SS O M AD RE PA DR E FR AT EL LO O SO RE LL A MI GL IO RE AM IC O CO NO SC EN TE CA SU AL E VE CC HI O IN SE GN AN TE AM IC O CH E M I HA D EL US O CO ST RU TT I P.E . X X X P.S P.E . X X X P.S P.E . X X X P.S . P.E . X X X P.S P.E . X X X P.S P.E . X X X P.S . P.E . X X X P.S Tr att o d a: Fo rga s, 1 99 5, 49 . 67 Me ste sso Ma dre Pad re Fra tell o o Sor ella Mig lior e am ica Con osc ent e ca sua le Vec chi o in seg nan te Am ico che mi ha del uso CO ST RU TT I (P .E.) 1. 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 2. 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 3. 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 4. 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 5. 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 6. 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 7. 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 68 69 70 Me ste sso Ma dre Pad re Fra tell o o Sor ella Mig lior e am ica Con osc ent e ca sua le Vec chi o in seg nan te Am ico che mi ha del uso CO ST RU TT I (P .S.) 1. 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 2. 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 3. 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 4. 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 5. 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 6. 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 7. 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 1 2 3 4 5 6 7 71 72 73 Prima unità - Allegato 14 TRACCIA DI RIFLESSIONE 1. Quali sono i costrutti che hai individuato? .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... 2. Qual è il polo di ogni costrutto che hai individuato più facilmente? .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... 3. Qual è il suo opposto? .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... 4. Cosa ti suggeriscono i costrutti che hai individuato rispetto al tuo modo di ap- procciare gli altri? .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... 74 Prima unità - Allegato 15 I COSTRUTTI PERSONALI: LINEAMENTI TEORICI La griglia di repertorio è uno strumento elaborato dallo psicologo costrutti- vista George Kelly (1955) per individuare il sistema dei costrutti personali, ossia un sistema rappresentativo implicito, attraverso il quale gli individui conoscono e organizzano il proprio mondo, riuscendo ad effettuare previsioni ed anticipazioni. Ma vediamo di precisare cosa si intende con il termine costrutto. Il costrutto è l’unità elementare della struttura conoscitiva. Nelle parole di Kelly (1955, 105) esso è “un modo per cui due cose sono costruite come simili tra loro e perciò di- verse da una terza”. È pertanto un’astrazione mentale che ci permette di ordinare gli eventi per somiglianza e contrasto. Un costrutto possiede una struttura dicotomica bipolare; la sua dicotomia, però, non è logica, ma psicologica. Così, se un polo del costrutto è “buono”, il polo opposto non è rappresentato necessariamente, dalla sua negazione logica “cattivo”, ma da una opposizione psicologica costruita (ad esempio “forte”). Il polo del costrutto che il soggetto riesce ad esplicitare più facilmente, viene chiamato polo emergente, il polo opposto, spesso di più difficile esplicitazione, viene definito polo sommerso. I costrutti non sono isolati tra loro, ma sono disposti secondo relazioni ordi- nali, tali da formare un sistema; così alcuni costrutti hanno un carattere sovraordi- nato, in quanto collocano altri costrutti nel proprio spazio, altri hanno un carattere subordinato, in quanto si collocano come elementi nello spazio di un altro co- strutto. Il sistema dei costrutti ha una funzione previsionale e autoregolativa. Pertanto, quanto più numerosi e differenziati sono i costrutti di cui una persona dispone, tanto più la sua capacità predittiva può andare nel senso della precisione e dell’e- stensione, facilitando l’adattamento e la funzionalità. Al contrario, quando il sistema dei costrutti è povero e globale, la persona può incontrare notevoli difficoltà di approccio alla realtà. Per questo è importante in- crementare la consapevolezza dei propri costrutti personali al fine di valutarne l’a- deguatezza e muovere, se necessario, verso una loro ristrutturazione o modifica. 75 Prima unità - Allegato 16 TRACCIA DI RIFLESSIONE 1. Come si caratterizzano i vari elementi secondo i costrutti? .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... 2. Quali costrutti sono più vicini fra di loro? .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... 3. Quali costrutti hai scelto per descrivere te stesso? .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... 4. Quali costrutti, se modificati, porterebbero variare al variare degli altri? .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... 5. Quali sono i possibili costrutti sovraordinati che puoi rintracciare? .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... 76 RICONOSCERE LE PROPRIE TENDENZE EMOTIVE* Capacità in oggetto Individuare le proprie reazioni emotive e stimarne il grado di ade- guatezza. Finalità Incrementare negli allievi la consapevolezza delle proprie risposte emotive e aiutare loro a comprenderne la connessione con pensieri e comportamenti. Tempi Due incontri di almeno due ore ciascuno. Descrizione degli incontri PRIMO INCONTRO OBIETTIVI 1. Definire cosa è una emozione. 2. Riconoscere le componenti coinvolte in una risposta emotiva. 3. Discriminare diversi livelli di intensità di un’emozione. 4. Definire le emozioni fondamentali. FASI Esperienza concreta Il formatore presenta alcune situazioni stimolo (All. 1) finalizzate all’individuazione delle componenti somatiche e cognitive di al- cune emozioni fondamentali. Successivamente, invita i ragazzi a compilare alcune schede (All. 2, 3) per individuare correlati fisici e livelli di intensità delle emozioni. Osservazione riflessiva Gli allievi sono invitati a rispondere, in modo individuale, alle do- mande contenute nella traccia di riflessione (All. 4) e a confrontare in gruppo le proprie risposte. Concettualizzazione astratta Il formatore definisce il concetto di emozione e ne illustra le com- ponenti (All. 5). Successivamente, ne elenca le funzioni proiet- tando un lucido (All. 6). SECONDA UNITÀ 77 Sperimentazione attiva Il formatore propone agli allievi “l’EmozioQuiz”. Esso consiste nella individuazione delle emozioni raffigurate nei lucidi proiettati dal formatore (All. 7 da fotocopiare su lucido). I ragazzi, dopo aver formato due squadre, dovranno, in 30 secondi, consultarsi, scegliere nella lista di emozioni in loro possesso (All. 8) quella che corrisponde all’immagine e consegnarla al formatore che potrà ve- rificare la risposta attraverso la consultazione dell’allegato 7 bis. Dopo la proiezione di 3 immagini, il formatore farà la verifica delle emozioni individuate e, successivamente, proietterà altre tre immagini (All. 7). Al termine dell’EmozioQuiz, il formatore chiede agli allievi di for- mare gruppi da tre. Assegna ad ogni gruppo due emozioni, tra quelle elencate nell’allegato 8, e chiede di indicare per ciascuna di esse due correlati fisiologici, due possibili pensieri, due comporta- menti. Si confrontano poi le risposte di ogni sottogruppo nel gruppo allargato. Conclusione L’incontro si conclude riassumendo gli aspetti più salienti emersi ed invitando gli allievi ad esercitare la capacità in oggetto. MATERIALI Allegati 1, 2, 3, 4, 5, 6 (lucido), 7 (lucido), 7bis, 8 Lavagna luminosa Lavagna a fogli SECONDO INCONTRO OBIETTIVI 1. Discriminare tra stato d’animo, situazione scatenante e pensiero sottostante un’emozione. 2. Riconoscere le proprie risposte emotive di fronte ad alcune si- tuazioni stimolo. 3. Scoprire le connessioni esistenti tra pensieri emozioni e com- portamenti 4. Valutare l’adeguatezza delle proprie risposte emotive. FASI Esperienza concreta Il formatore consegna ai ragazzi due schede (All. 9, 10) da compi- lare individualmente. Osservazione riflessiva Il formatore consegna ai ragazzi una traccia di riflessione indivi- duale (All. 11) che, completata, dovrà essere oggetto di confronto con il compagno di banco. 78 Concettualizzazione astratta Il formatore, rifacendosi ai lineamenti teorici (All. 12), presenta un lucido (All. 13) indicando i passi da realizzare per intervenire sulla modifica di un comportamento o di un’emozione espressi in modo inadeguato. Sperimentazione attiva Il formatore consegna ai ragazzi la scheda di lavoro (All. 14) chie- dendo loro di intervenire per modificare le emozioni inadeguate. Conclusione Il formatore invita i ragazzi a rispondere al questionario riportato in allegato 15 e avvia, sulla base delle domande poste alla fine del questionario, una discussione con la classe. MATERIALI Allegati 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15 Lavagna luminosa Lavagna a fogli SUGGERIMENTI EDUCATIVI Allo scopo di incrementare negli allievi la consapevolezza dei propri processi emotivi, i formatori possono: 1. aiutare loro a verbalizzare le proprie esperienze quando questo è opportuno; 2. rinforzare le espressioni di autorivelazione; 3. dare loro supporto nella correzione di eventuali pensieri disfun- zionali che accompagnano le emozioni inadeguate. * Questa unità è stata elaborata da Giuseppe Romano 79 Seconda unità - Allegato 1 STRANE STORIE Leggi i brani riportati di seguito e, mettendoti nei panni del protagonista, in- dividua nella prima fase le emozioni che, secondo te la persona può provare nella situazione che racconta. Successivamente, nella seconda fase, sulla base dei pen- sieri esplicitati dal protagonista, verifica se le emozioni e le reazioni fisiche indivi- duate precedentemente restano invariate oppure no. PRIMA STORIA STAVO LAVORANDO ALLA MIA SCRIVANIA, QUANDO AD UN TRATTO ENTRÒ IL DIRETTORE E MI SALUTÒ. CONTINUAI A LAVORARE E AD UN CERTO PUNTO LUI, VOLGENDOMI LA PAROLA, MI DISSE: “COMPLIMENTI PER IL BEL LAVORO CHE HAI FATTO IERI!” Prima Fase EMOZIONI REAZIONI FISICHE IO RIMASI IMPIETRITO. NON ERA POSSIBILE CHE LUI MI AVESSE DETTO QUESTO. PENSAI: “FORSE MI STA PRENDENDO IN GIRO” Seconda Fase EMOZIONI REAZIONI FISICHE SECONDA STORIA LA PERSONA CON LA QUALE VORREI INIZIARE UNA STORIA E CHE FINORA NON SI È MAI INTERESSATA A ME, IL GIORNO DEL MIO COMPLEANNO MI REGALA UNA ROSA ROSSA DAVANTI A TUTTI I MIEI AMICI. Prima Fase EMOZIONI REAZIONI FISICHE HO PENSATO: “CHE FIGURA CI FACCIO ADESSO? PENSERANNO DI ME CHE SONO UN SENTIMENTALE” Seconda Fase EMOZIONI REAZIONI FISICHE 80 TERZA STORIA STAVO GUIDANDO, SENZA CASCO, LA MOTO DI UN MIO AMICO QUANDO AD UN CERTO PUNTO SONO STATO FERMATO DALLA POLIZIA STRADALE CHE VOLEVA SEQUESTRARMI IL MEZZO. Prima Fase EMOZIONI REAZIONI FISICHE HO PENSATO: “SONO PASSATI ALTRI DUE RAGAZZI AVANTI A ME, TUTTI SENZA CASCO, NON È GIUSTO CHE FERMINO SOLO ME” Seconda Fase EMOZIONI REAZIONI FISICHE 81 Seconda unità - Allegato 2 LE EMOZIONI E I SEGNALI DAL NOSTRO CORPO Ad ogni emozione corrispondono, in modo più o meno intenso, una serie di at- tivazioni di natura fisica. Ad esempio, una persona che prova rabbia è probabile che abbia il battito cardiaco accelerato ed una rigidità nei muscoli della mandi- bola. In questa scheda ti vengono presentate alcune emozioni e, per ciascuna di esse, alcuni segnali di attivazione fisica. Dovrai selezionare quelli che, a tuo av- viso, possono essere più frequentemente associati. PAURA ‰ Aumento della fame ‰ Battito cardiaco accelerato ‰ Bocca secca ‰ Brividi ‰ Conati di vomito ‰ Confusione mentale ‰ Eccitazione ‰ Mal di testa ‰ Mandibola serrata ‰ Mani sudate ‰ Muscoli contratti ‰ Muscoli del viso rilassati ‰ Nausea ‰ Occhi sgranati ‰ Pallore in viso ‰ Respiro corto ‰ Respiro regolare ‰ Riduzione della fame ‰ Scarsa salivazione ‰ Secchezza della bocca ‰ Sensazione di asfissia ‰ Sguardo basso ‰ Sguardo fisso e diretto ‰ Sorriso ‰ Spalle basse ‰ Spossatezza ‰ Stomaco in subbuglio ‰ Tensione alle gambe ‰ Tremore ‰ Vampate di calore ‰ Vertigini ‰ Viso arrossato ‰ Calo della voce TRISTEZZA ‰ Aumento della fame ‰ Battito cardiaco accelerato ‰ Bocca secca ‰ Brividi ‰ Conati di vomito ‰ Confusione mentale ‰ Eccitazione ‰ Mal di testa ‰ Mandibola serrata ‰ Mani sudate ‰ Muscoli contratti ‰ Muscoli del viso rilassati ‰ Nausea ‰ Occhi sgranati ‰ Pallore in viso ‰ Respiro corto ‰ Respiro regolare ‰ Riduzione della fame ‰ Scarsa salivazione ‰ Secchezza della bocca ‰ Sensazione di asfissia ‰ Sguardo basso ‰ Sguardo fisso e diretto ‰ Sorriso ‰ Spalle basse ‰ Spossatezza ‰ Stomaco in subbuglio ‰ Tensione alle gambe ‰ Tremore ‰ Vampate di calore ‰ Vertigini ‰ Viso arrossato ‰ Calo della voce 82 RABBIA ‰ Aumento della fame ‰ Battito cardiaco accelerato ‰ Bocca secca ‰ Brividi ‰ Conati di vomito ‰ Confusione mentale ‰ Eccitazione ‰ Mal di testa ‰ Mandibola serrata ‰ Mani sudate ‰ Muscoli contratti ‰ Muscoli del viso rilassati ‰ Nausea ‰ Occhi sgranati ‰ Pallore in viso ‰ Respiro corto ‰ Respiro regolare ‰ Riduzione della fame ‰ Scarsa salivazione ‰ Secchezza della bocca ‰ Sensazione di asfissia ‰ Sguardo basso ‰ Sguardo fisso e diretto ‰ Sorriso ‰ Spalle basse ‰ Spossatezza ‰ Stomaco in subbuglio ‰ Tensione alle gambe ‰ Tremore ‰ Vampate di calore ‰ Vertigini ‰ Viso arrossato ‰ Calo della voce GIOIA ‰ Aumento della fame ‰ Battito cardiaco accelerato ‰ Bocca secca ‰ Brividi ‰ Conati di vomito ‰ Confusione mentale ‰ Eccitazione ‰ Mal di testa ‰ Mandibola serrata ‰ Mani sudate ‰ Muscoli contratti ‰ Muscoli del viso rilassati ‰ Nausea ‰ Occhi sgranati ‰ Pallore in viso ‰ Respiro corto ‰ Respiro regolare ‰ Riduzione della fame ‰ Scarsa salivazione ‰ Secchezza della bocca ‰ Sensazione di asfissia ‰ Sguardo basso ‰ Sguardo fisso e diretto ‰ Sorriso ‰ Spalle basse ‰ Spossatezza ‰ Stomaco in subbuglio ‰ Tensione alle gambe ‰ Tremore ‰ Vampate di calore ‰ Vertigini ‰ Viso arrossato ‰ Calo della voce NOIA ‰ Aumento della fame ‰ Battito cardiaco accelerato ‰ Bocca secca ‰ Brividi ‰ Conati di vomito ‰ Confusione mentale ‰ Eccitazione ‰ Mal di testa ‰ Mandibola serrata ‰ Mani sudate ‰ Muscoli contratti ‰ Muscoli del viso rilassati ‰ Nausea ‰ Occhi sgranati ‰ Pallore in viso ‰ Respiro corto ‰ Respiro regolare ‰ Riduzione della fame ‰ Scarsa salivazione ‰ Secchezza della bocca ‰ Sensazione di asfissia ‰ Sguardo basso ‰ Sguardo fisso e diretto ‰ Sorriso ‰ Spalle basse ‰ Spossatezza ‰ Stomaco in subbuglio ‰ Tensione alle gambe ‰ Tremore ‰ Vampate di calore ‰ Vertigini ‰ Viso arrossato ‰ Calo della voce 83 Seconda unità - Allegato 3 SFUMATURE DI EMOZIONI Seguendo l’esempio, individua un termine che descrive l’emozione indicata nella colonna centrale con intensità maggiore e uno che la definisce con intensità minore. Fastidio RABBIA Ira PAURA GIOIA DISGUSTO TRISTEZZA NOIA Intensità minore EMOZIONE Intensità maggiore 84 Seconda unità - Allegato 4 TRACCIA DI RIFLESSIONE 1. Riflettendo sulla situazione stimolo nº1 (Strane storie), quali componenti bi- sogna tenere in considerazione nell’identificazione di un’emozione? 1. ........................................................................................................................ 2. ........................................................................................................................ 3. ........................................................................................................................ 2. Ti è capitato, rispondendo alla situazione stimolo nº1 (Strane storie), di indivi- duare emozioni differenti nella prima e nella seconda fase dell’esercizio? Se sì, per quale ragione? ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. 3. Compilando la scheda della situazione stimolo nº2 (Le emozioni e i segnali del nostro corpo), hai individuato emozioni per le quali è più difficile identifi- care i correlati fisici? Se sì, quali emozioni e per quale ragione? ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. 4. Compilando la scheda della situazione stimolo nº3 (Sfumature di emozioni), hai avuto difficoltà a definire l’intensità delle emozioni? Quale intensità è stato più facile individuare, la maggiore o la minore? ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. Confronta, con il tuo compagno di banco, le schede che hai compilato in pre- cedenza e verifica le risposte date a questa traccia di riflessione. 85 Seconda unità - Allegato 5 EMOZIONI: LINEAMENTI TEORICI – prima parte Definizione L’emozione è un complesso stato soggettivo costituito dall’integrazione di di- verse componenti: somatiche, cognitive e motivazionali (Miceli, Castelfranchi, 2002). “Le emozioni hanno una intenzione, cioè vertono su qualcosa. Solitamente hanno un oggetto (ciò per cui ci si emoziona) e spesso un destinatario, cioè sono rivolte verso qualcuno” (Miceli, Castelfranchi, 2002, 96). La parte costitutiva di ogni emozione è lo stato mentale, accompagnato da modificazioni fisiologiche, espressioni facciali e comportamenti, piuttosto specifici per le diverse emozioni, che, spesso, svolgono una funzione adattiva rispetto alle richieste poste dalla situa- zione che genera emozione (D’Urso, Trentin, 2001). Qualche tempo fa, con la parola emozione si identificava solo la parte energe- tica che serviva a spingere all’azione le persone, ma attualmente si ritiene che le funzioni siano varie: consente, in primo luogo, la valutazione in termini cognitivi dello stimolo ambientale a cui si è sottoposti e attraverso la componente fisiologica informa l’organismo circa la percezione dell’evento; traducendosi in gesti, movi- menti ed espressioni, soprattutto facciali, serve a comunicare, in modo immediato, a quanti ci stanno intorno il nostro umore (funzione sociale); serve a predisporre, infine, l’azione adeguata al contesto e all’obiettivo che si vuole raggiungere a se- guito di ciò che si è provato/vissuto (Frijda, 1990). Componenti Le emozioni che viviamo sono caratterizzate da segnali espressivi di mimica e gestualità (come ad esempio il sorriso, le modificazioni nei lineamenti del volto, le spalle curve, ecc.), da indicatori verbali, attraverso i quali possiamo etichettare e comunicare il nostro vissuto, e da risposte di natura fisiologica come tensioni e do- lori muscolari, alterazioni del battito cardiaco, incremento o riduzione della saliva- zione, aumento della sudorazione, ecc. A diverso titolo, infatti, vi è l’attivazione del sistema nervoso centrale, del sistema nervoso autonomo e del sistema endo- crino. Alcuni di questi cambiamenti possono essere più facilmente osservabili, si può pensare, ad esempio, al tremare, all’arrossire o alle alterazioni del ritmo respi- ratorio. Altri come, ad esempio, le variazioni della pressione sanguigna, della sali- vazione e dei movimenti gastrici ed intestinali, sono più interni e possono essere rilevati solo con particolari apparecchiature. I termini usati per classificare le emozioni possono essere raggruppati attorno a nuclei di significato come valenza positiva o negativa, intensità o grado di attiva- zione e grado di controllo (D’Urso, Trentin, 2001). 86 Le esperienze emotive possono essere svariate, ma possono essere raggrup- pate nelle seguenti emozioni di base: gioia, paura, tristezza, rabbia, disgusto, sor- presa. Sulla base di queste categorie le persone elaborano assunti e proposizioni sul mondo, sugli altri e su di sé. Ogni esperienza emotiva che viviamo ci appare caratterizzata da un qualcosa di particolare, un vissuto soggettivo, costituito da un insieme di sensazioni psicologiche tali per cui ognuno di noi è capace di distin- guere uno stato emotivo da un altro (D’Urso, Trentin, 2001). Funzioni Per tanto tempo le emozioni sono state studiate per la funzione che avevano in rapporto alla manifestazione all’interno di un certo ambiente di appartenenza. Di seguito vengono presentate le funzioni corrispondenti ad alcune emozioni fonda- mentali (D’Urso, Trentin, 2001). Emozione Principali funzioni Gioia La funzione della gioia è quella di predisporre le condizioni fisiche e mentali per mantenere un determinato obiettivo che si è raggiunto o intraprendere un percorso per perseguire uno scopo. Tristezza Fermarsi per recuperare le forze e programmare i passi da attuare. Paura La funzione della paura è quella di preservare l’individuo dalla mi- naccia di un pericolo. In presenza di stimoli eccessivamente ansio- geni, l’organismo attiva il sistema nervoso periferico a livello para- simpatico con la conseguente paralisi e l’incapacità a reagire in modo attivo. I sintomi somatici sono: una diminuzione del battito cardiaco e della tensione muscolare, un abbassamento della pressione del sangue e della temperatura corporea, la dilatazione delle pupille e una abbon- dante sudorazione. In presenza di stimoli meno ansiogeni è il sistema simpatico ad atti- varsi con la conseguenza che i muscoli vanno in tensione, il battito cardiaco aumenta e una grossa quantità di sangue affluisce ai muscoli per preparare l’organismo alla fuga o all’attacco. Rabbia La funzione della rabbia è quella di raddrizzare ciò che sembra essere sbagliato, affermare la propria competenza e le proprie capacità, mi- gliorare la propria immagine, ottenere dei benefici. In termini di rango, serve a definire la supremazia di un individuo su un altro. Disgusto La funzione del disgusto è quella di bloccare l’assunzione di sostanze dannose, proteggere l’organismo dalla contaminazione e salvaguar- dare la propria incolumità di fronte ad un oggetto del quale non cono- sciamo la provenienza e/o la funzione ma che siamo propensi a perce- pire come “minaccioso”. 87 Lo scopo generale del nostro lavoro è quello di ridurre il più possibile gli stati emotivi sgradevoli eccessivamente intensi e la loro espressione disfunzionale inter- venendo sui pensieri derivanti da valutazioni irrealistiche della realtà. Per fare ciò dovremo imparare a riconoscere le emozioni che viviamo, distin- guerne le sfumature e identificarle in qualità ed intensità. Sostanzialmente dovremo compiere un processo di apprendimento che porta all'autoregolazione delle proprie emozioni. Potremo imparare a non essere domi- nati dalla nostra emotività ma anzi a guidarla, così da poter massimizzare il nostro benessere psichico anche nelle circostanze meno favorevoli. 88 Seconda unità - Allegato 6 LE PRINCIPALI FUNZIONI DELLE EMOZIONI GIOIA LA FUNZIONE DELLA GIOIA È QUELLA DI PREDISPORRE LE CONDIZIONI FI- SICHE E MENTALI PER MANTENERE UN DETERMINATO OBIETTIVO CHE SI È RAGGIUNTO O INTRAPRENDERE UN PERCORSO PER PERSEGUIRE UNO SCOPO. TRISTEZZA FERMARSI E TIRARE I REMI IN BARCA PER RECUPERARE LE FORZE E PRO- GRAMMARE I PASSI DA ATTUARE. PAURA LA FUNZIONE DELLA PAURA È QUELLA DI PRESERVARE L’INDIVIDUO DALLA MINACCIA DI UN PERICOLO. IN PRESENZA DI STIMOLI ECCESSIVAMENTE ANSIOGENI, L’ORGANISMO ATTIVA IL SISTEMA NERVOSO PERIFERICO A LI- VELLO PARASIMPATICO CON LA CONSEGUENTE PARALISI E L’INCAPACITÀ A REAGIRE IN MODO ATTIVO. I SINTOMI SOMATICI SONO: UNA DIMINUZIONE DEL BATTITO CARDIACO E DELLA TENSIONE MUSCOLARE, UN ABBASSA- MENTO DELLA PRESSIONE DEL SANGUE E DELLA TEMPERATURA CORPOREA, LA DILATAZIONE DELLE PUPILLE E UNA ABBONDANTE SUDORAZIONE. IN PRESENZA DI STIMOLI MENO ANSIOGENI È IL SISTEMA SIMPATICO AD AT- TIVARSI CON LA CONSEGUENZA CHE I MUSCOLI VANNO IN TENSIONE, IL BATTITO CARDIACO AUMENTA E UNA GROSSA QUANTITÀ DI SANGUE AF- FLUISCE AI MUSCOLI PER PREPARARE L’ORGANISMO ALLA FUGA O ALL’AT- TACCO. RABBIA LA FUNZIONE DELLA RABBIA È QUELLA DI RADDRIZZARE CIÒ CHE SEMBRA ESSERE SBAGLIATO, AFFERMARE LA PROPRIA COMPETENZA E LE PROPRIE CAPACITÀ, MIGLIORARE LA PROPRIA IMMAGINE, OTTENERE DEI BENEFICI. IN TERMINI DI RANGO, SERVE A DEFINIRE LA SUPREMAZIA DI UN INDI- VIDUO SU UN ALTRO. DISGUSTO LA FUNZIONE DEL DISGUSTO È QUELLA DI BLOCCARE L’ASSUNZIONE DI SOSTANZE DANNOSE, PROTEGGERE L’ORGANISMO DALLA CONTAMINA- ZIONE E SALVAGUARDARE LA PROPRIA INCOLUMITÀ DI FRONTE AD UN OG- GETTO DEL QUALE NON CONOSCIAMO LA PROVENIENZA E/O LA FUNZIONE, MA CHE SIAMO PROPENSI A PERCEPIRE COME “MINACCIOSO”. 89 Seconda unità - Allegato 7 90 91 92 93 Seconda unità - Allegato 7bis SCHEDA DI VERIFICA IMMAGINE 1 Tristezza/Scontentezza IMMAGINE 2 Scoraggiamento/Rassegnazione IMMAGINE 3 Dubbio/Preoccupazione IMMAGINE 4 Incertezza IMMAGINE 5 Gioia/Serenità IMMAGINE 6 Calma IMMAGINE 7 Tranquillità IMMAGINE 8 Calma/Soddisfazione IMMAGINE 9 Interesse/Curiosità IMMAGINE 10 Allegria IMMAGINE 11 Felicità IMMAGINE 12 Contentezza/Soddisfazione 94 Seconda unità - Allegato 8 LISTA DI EMOZIONI ANSIA IMBARAZZO RABBIA CONTENTEZZA ENTUSIASMO COLPA TRISTEZZA DISORIENTAMENTO TIMORE FURIA CALMA DISGUSTO INSICUREZZA DISPERAZIONE VERGOGNA IRREQUIETEZZA DEPRESSIONE SCONTENTEZZA SERENITÀ SCHIFO PREOCCUPAZIONE CURIOSITÀ INCERTEZZA INQUIETUDINE ECCITAZIONE FRUSTRAZIONE SPAVENTO AVVILIMENTO SCONCERTO CONFUSIONE NOIA TRANQUILLITÀ IRRITAZIONE DUBBIO RASSEGNAZIONE GIOIA SCORAGGIAMENTO FELICITÀ PAURA RIMPIANTO INCREDULITÀ SODDISFAZIONE INTERESSE GELOSIA ALLEGRIA TURBAMENTO 95 Seconda unità - Allegato 9 DISTINGUIAMO SITUAZIONI, EMOZIONI E PENSIERI Questa scheda è un esercizio che aiuta a distinguere meglio i pensieri, dagli stati d’animo e dalle situazioni. Troverai indicate, nella colonna di sinistra, una serie di affermazioni e dovrai precisare, nella colonna di destra, se sono situa- zioni, emozioni o pensieri. Situazione – Pensiero – Emozione 1. Nervoso 2. A casa 3. Non riuscirò a farcela 4. Triste 5. Devo essere sempre all’altezza delle situazioni 6. Al telefono con un amico 7. Irritato 8. Sto impazzendo 9. Confuso 10. A scuola 11. Sono un fallimento 12. Arrabbiato 13. Scoraggiato 14. Sono le 4 del pomeriggio 15. Sono proprio uno stupido a cascarci così 16. In moto 17. Non vengo mai considerato 18. Non supererò mai questa situazione 19. Al supermercato 20. Succederà qualcosa di terribile 21. Giù di tono 22. Sdraiato sul letto 23. Seduto in pizzeria 24. Triste 25. In aula durante la lezione Tratto ed adattato da: Greenberge - Padesky, 1998, 225. 96 Seconda unità - Allegato 10 SITUAZIONI STIMOLO Ti vengono presentate delle situazioni stimolo alle quali dovrai rispondere in- dicando l’emozione ed il comportamento che attueresti se ti trovassi in presenza di tale evento. Successivamente dovrai indicare quale pensiero, tra quelli presentati, corrisponde a quello che puoi aver fatto in quella circostanza e che, in qualche modo, potrebbe giustificare sia il comportamento che hai attuato, sia l’emozione che hai sperimentato. Qualora non fosse presente fra quelli elencati, puoi aggiun- gerlo tu. Prima Situazione Evento Emozione/Comportamento SEI IN FILA IN UNA TAVOLA CALDA. UN ALTRO RAGAZZO TI VIENE ADDOSSO FACENDOTI ROVESCIARE LA BIBITA E IL VASSOIO PIENO PER TERRA. E: C: Pensieri ƒ Se qualcuno mi fa un torto la deve pagare ƒ Che figura ci faccio con i compagni ƒ Appena torno a casa mia madre mi ammazza, questi pantaloni li ho appena comprati ƒ Meno male, non mi andava proprio di mangiare questa roba! ƒ ____________________________________ Seconda Situazione Evento Emozione/Comportamento ALCUNI TUOI COMPAGNI TI CHIEDONO DI MARINARE LA SCUOLA. E’ GIÀ LA TERZA VOLTA CHE RIFIUTI IL LORO INVITO. E: C: Pensieri ƒ Se non lo faccio perderò per sempre la loro amicizia ƒ Si può essere così stupidi da rischiare l’anno scolastico in questo modo ƒ Questa è la volta buona che capiranno: non ho intenzione di frequentarli ƒ Non è giusto che i genitori degli altri ragazzi permettano queste cose: se lo facessi, mio padre e mia madre non mi perdonerebbero mai ƒ ____________________________________ 97 Terza Situazione Evento Emozione/Comportamento UN COMPAGNO, COL QUALE ULTIMAMENTE HAI LEGATO, INVITA LA MAGGIOR PARTE DELLA CLASSE A PARTECIPARE AD UNA FESTA A CASA SUA E NON TI DICE NULLA. E: C: Pensieri ƒ Non è giusto che venga escluso, non è giusto essere trattati così ƒ Se non mi ha detto niente vuol dire che non gli interesso e che non valgo nulla ƒ Speravo che non mi dicesse niente, queste feste così mi sembrano delle stupidaggini ƒ ____________________________________ Quarta Situazione Evento Emozione/Comportamento HAI STUDIATO TUTTO IERI E TI SENTI PREPARATO PER L’INTERROGAZIONE. QUANDO IL PROFESSORE TI CHIAMA ALLA LAVAGNA, TI CONFONDI E NON RIESCI A RISPONDERE A NESSUNA DOMANDA E: C: Pensieri ƒ Dovevo fare bella figura con il professore e i compagni ƒ Non è giusto studiare tanto e poi bloccarsi: le cose mi devono andare sempre bene ƒ Chi sbaglia è uno stupido ƒ ____________________________________ 98 Seconda unità - Allegato 11 TRACCIA DI RIFLESSIONE 1. Confronta le riposte che hai dato al primo esercizio (Distinguiamo situazioni, emozioni e pensieri) con quelle riportate di seguito. Ci sono differenze? Hai trovato maggiori difficoltà ad individuare i pensieri, le emozioni o le situa- zioni? Situazione – Pensiero – Emozione 1. Nervoso EMOZIONE 2. A casa SITUAZIONE 3. Non riuscirò a farcela PENSIERO 4. Triste EMOZIONE 5. Devo essere sempre all’altezza delle situazioni PENSIERO 6. Al telefono con un amico SITUAZIONE 7. Irritato EMOZIONE 8. Sto impazzendo PENSIERO 9. Confuso EMOZIONE 10. A scuola SITUAZIONE 11. Sono un fallimento PENSIERO 12. Arrabbiato EMOZIONE 13. Scoraggiato EMOZIONE 14. Sono le 4 del pomeriggio SITUAZIONE 15. Sono proprio uno stupido a cascarci così PENSIERO 16. In moto SITUAZIONE 17. Non vengo mai considerato PENSIERO 18. Non supererò mai questa situazione PENSIERO 19. Al supermercato SITUAZIONE 20. Succederà qualcosa di terribile PENSIERO 21. Giù di tono EMOZIONE 22. Sdraiato sul letto SITUAZIONE 23. Seduto in pizzeria SITUAZIONE 24. Triste EMOZIONE 25. In aula durante la lezione SITUAZIONE 2. Riflettendo sulle situazioni stimolo, cerca di valutare la corrispondenza fra il pensiero scelto e l’emozione sperimentata. È coerente? Potresti porti una do- manda di questo tipo: perché una persona che pensa questo, si sente in questo modo? Fai questa verifica per ogni situazione ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 99 3. Soffermati adesso sulle emozioni. Descrivi in una scala da 1 a 10 l’intensità dell’emozione provata in quella situazione. Ricorda che 1 indica basso livello di attivazione emotiva, mentre 10 indica il livello massimo. PRIMA SITUAZIONE Emozione Livello 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 SECONDA SITUAZIONE Emozione Livello 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 TERZA SITUAZIONE Emozione Livello 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 QUARTA SITUAZIONE Emozione Livello 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 4. Il livello di emozione sperimentata ed il comportamento messo in atto, sono adeguati al contesto in cui ti trovavi ed alla situazione descritta? In base a cosa puoi valutarne l’adeguatezza? Avresti preferito comportarti diversamente? Se sì, come? PRIMA SITUAZIONE SECONDA SITUAZIONE TERZA SITUAZIONE QUARTA SITUAZIONE 5. Confronta, adesso, le risposte che hai dato nelle diverse schede con quelle date dal tuo compagno di banco. Ci sono differenze? Quale pensiero ha scelto il tuo compagno? L’emozione è coerente con il pensiero? 6. In ultimo, verifica le risposte date nella traccia di riflessione con quelle date dal tuo compagno di banco. 100 Seconda unità - Allegato 12 EMOZIONI: LINEAMENTI TEORICI – seconda parte Secondo alcuni Autori (Arnold, 1960; Frijda, 1990) non è tanto la natura del- l’evento a suscitare l’emozione bensì l’interpretazione (la valutazione) che una persona fa dell’evento in relazione al proprio stato soggettivo. Uno stesso stimolo può, dunque, essere interpretato in maniere diverse e suscitare emozioni diverse. Come riportato nella tabella seguente, ogni emozione è legata ad un signifi- cato. Ne deriva che per intervenire e modificare una emozione sperimentata in ma- niera molto intensa o espressa in modo inadeguato rispetto al contesto ed alla si- tuazione, dovremo operare sul significato che in quel momento la persona sta attri- buendo ad un particolare evento. Ad esempio, se un ragazzo dovesse sentirsi pro- fondamente depresso per una telefonata attesa e mai ricevuta, e se volessimo agire per attenuare il suo malessere, dovremmo chiederci: che significato aveva per lui quella telefonata? Per aiutarci a scoprire i significati attribuiti a determinati eventi ci viene in aiuto il cosiddetto modello ABC. Il modello ABC (cfr. All. 13) può essere immaginato come uno schema a tre colonne, la prima delle quali, A, identifica le condizioni antecedenti, gli stimoli, gli eventi. La colonna B indica le credenze, il pensiero, il ragionamento, le attività mentali che hanno come oggetto gli antecedenti. La colonna C definisce le conse- guenze di queste attività mentali ed identifica reazioni emotive e comportamentali (Ellis, 1994). L'assunto di base è che le nostre emozioni derivano non tanto da ciò che ci ac- cade, ma dal modo in cui interpretiamo e valutiamo ciò che ci accade. Il nostro interesse riguarda la distinzione delle attività e dei processi cognitivi rappresentati e focalizzati nella colonna B; schematicamente, nella colonna B, pos- sono essere indicate immagini, inferenze, valutazioni, assunzioni personali, schemi. Le inferenze sono ipotesi fatte riguardo la presenza o l’assenza di condizioni attese come risposta all’evento presente nella colonna A. Alcune inferenze sono elaborate in modo quasi automatico, e quindi non ne siamo immediatamente co- scienti. Le inferenze sono, anche, "predizioni" su ciò che accadrà; ad ogni evento at- tribuiamo delle caratteristiche e delle cause, ma tali attribuzioni sono guidate dalla nostra base conoscitiva. Per comprendere meglio le reazioni emotive e comportamentali che sperimen- tiamo, riportate nella colonna C, possiamo riferirci al significato attribuito alle di- verse emozioni. 101 EMOZIONE SIGNIFICATI Gioia Si esprime a seguito del raggiungimento di uno scopo, della soddisfazione di un bisogno o del ricevimento di una gratificazione. Tristezza Segue la perdita di una persona, di un obiettivo o di un oggetto importante. In generale indica il mancato raggiungimento di uno scopo. Paura Minaccia alla propria o altrui sopravvivenza, in generale minaccia di uno scopo importante e/o fondamentale. Rabbia Non posso raggiungere un mio obiettivo; percezione che un mio diritto è stato leso. Disgusto Mi trovo davanti a qualcosa che conosco poco o non conosco per nulla, ma che immagino possa contaminarmi. 102 Seconda unità - Allegato 13 103 Seconda unità - Allegato 14 MODIFICA IL “B” Nelle situazioni stimolo precedenti, hai sperimentato emozioni e attuato com- portamenti coerenti con il pensiero fatto. Adesso sai che è possibile intervenire sul- l’emozione e modificare il comportamento attraverso la modifica del pensiero. Ti vengono proposte nuovamente le stesse situazioni e per la prima di esse un pen- siero alternativo che può ridurre o modificare l’emozione ed il comportamento at- tuato. Riporta nella colonna delle emozioni e dei comportamenti ciò che avevi scritto in precedenza e scegli fra i pensieri l’alternativa che ritieni possa servirti ad operare una manovra. Nelle situazioni successive prova ad identificare tu i pensieri alternativi. Prima Situazione Evento Emozione/Comportamento SEI IN FILA IN UNA TAVOLA CALDA. UN ALTRO RAGAZZO TI VIENE ADDOSSO FACENDOTI ROVESCIARE LA BIBITA E IL VASSOIO PIENO PER TERRA. E: C: Pensieri ƒ Può succedere che qualcuno mi faccia un torto, non per questo devo ricambiare ƒ I compagni possono anche comprendere che non dipende da me ƒ Dovrò spiegare con calma a mia madre quello che è successo, d’altronde non è stata colpa mia ƒ Meno male, non mi andava proprio di mangiare questa roba! ƒ ____________________________________ Seconda Situazione Evento Emozione/Comportamento ALCUNI TUOI COMPAGNI TI CHIEDONO DI MARINARE LA SCUOLA. E’ GIÀ LA TERZA VOLTA CHE RIFIUTI IL LORO INVITO. E: C: Pensieri 104 Terza Situazione Evento Emozione/Comportamento UN COMPAGNO, COL QUALE ULTIMAMENTE HAI LEGATO, INVITA LA MAGGIOR PARTE DELLA CLASSE A PARTECIPARE AD UNA FESTA A CASA SUA E NON TI DICE NULLA. E: C: Pensieri Quarta Situazione Evento Emozione/Comportamento HAI STUDIATO TUTTO IERI E TI SENTI PREPARATO PER L’INTERROGAZIONE. QUANDO IL PROFESSORE TI CHIAMA ALLA LAVAGNA, TI CONFONDI E NON RIESCI A RISPONDERE A NESSUNA DOMANDA E: C: Pensieri 105 Seconda unità - Allegato 15 TEST SULLE EMOZIONI Ripensando ai sette giorni appena passati, prova a identificare quali delle se- guenti emozioni ricordi di aver sperimentato e, per ognuna di esse, segna con un pallino la loro intensità. 1. SORPRESO 2. SPAVENTATO 3. DISGUSTATO 4. ARRABBIATO 5. IN COLPA 6. ANSIOSO 7. TRISTE 8. FELICE 9. IMPAURITO 10. STUPITO 11. RIPUGNANZA 12. FURIOSO 13. VERGOGNOSO 14. PREOCCUPATO 15. IMBARAZZATO 16. GIOIOSO 17. TIMOROSO 18. MERAVIGLIATO 19. AVVERSIONE 20. SECCATO 21. DEPRESSO 22. NERVOSO 23. DISPERATO 24. CONTENTO NI EN TE PO CO AB BA ST AN ZA MO LT O MO LT IS SI MO 106 RAGGRUPPA ADESSO NELLA TABELLA SOTTOSTANTE LE EMOZIONI CHE HANNO PARI INTENSITÀ. Esaminando la tabella, cosa puoi dedurre rispetto alle emozioni da te vissute negli ultimi sette giorni? (Ad esempio: hai provato maggiormente emozioni come ansia, timore, paura, oppure emozioni come fastidio, rabbia, ira…) ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... Pensi che hai provato queste emozioni perché è stato un periodo particolare (ad esempio hai avuto molte gioie o hai vissuto momenti difficili), oppure queste sono le emozioni che sperimenti di solito nella tua vita? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... C’è qualche emozione che sperimenti raramente e che vorresti sperimentare di più? ..................................................................................................................................... Ritieni che le emozioni che hai collocato sotto “molto” o sotto “moltissimo” siano adeguate oppure no? Se no, cosa potresti fare per renderle adeguate? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... In questi giorni, hai avuto modo di scoprire qualcosa di più su te stesso e sul tuo modo di vivere le emozioni? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... NIENTE POCO ABBASTANZA MOLTO MOLTISSIMO 107 INDIVIDUARE IL PROPRIO STILE COMPORTAMENTALE Capacità in oggetto Riconoscere le proprie modalità di comportamento interpersonale adottate in modo prevalente. Finalità Incrementare negli allievi la consapevolezza delle proprie modalità di comportamento interpersonale. Tempi Un incontro di almeno due ore. Descrizione dell’incontro OBIETTIVI 1. Definire lo stile comportamentale. 2. Discriminare i diversi stili comportamentali. 3. Individuare il proprio stile comportamentale. FASI Esperienza concreta Il formatore chiede agli allievi di rispondere individualmente al questionario “ASA” (All. 1). Quando tutti hanno terminato spiega che le risposte ad esso verranno esaminate successivamente e pre- senta la situazione stimolo descritta nell’allegato 2 “Alla stazione della metropolitana”. Descrive, quindi, le reazioni ad essa da parte di quattro ipotetici ragazzi. Osservazione riflessiva Gli allievi sono invitati a rispondere individualmente alle domande della traccia di riflessione (All. 3), quindi a confrontare in gruppo le loro risposte. Concettualizzazione astratta Il formatore spiega come le reazioni esaminate in riferimento alla situazione stimolo, descritta nell’allegato 2, siano espressione di diversi stili di comportamento interpersonale. Si sofferma, quindi, ad esplicitare cosa si intenda per stile comportamentale; illustra i principali stili di comportamento interpersonale specificando i sin- goli parametri che consentono di differenziarli, quindi si sofferma sull’esplicitazione degli stili assertivo e prosociale sottolineandone l’importanza nelle relazioni sociali (All. 4). TERZA UNITÀ 108 Sperimentazione attiva Il formatore presenta agli allievi le reazioni ad alcune situazioni- stimolo (All. 5), quindi chiede loro di discriminare lo stile compor- tamentale di appartenenza, marcando individualmente le proprie risposte su un’apposita scheda (All. 6). In una fase successiva, in gruppi da tre, gli allievi sono invitati a trasformare le risposte valutate come anassertive in risposte asser- tive o prosociali, quindi a confrontarle con il gruppo classe. Una volta che il gruppo ha raggiunto l’obiettivo di discriminazione dei diversi stili, si ritorna ad esaminare, attraverso un’apposita gri- glia (All.7), le risposte al questionario “ASA”, compilato all’inizio dell’unità, in modo tale che ciascuno possa ricevere alcune indica- zioni su cui riflettere relativamente alle proprie modalità compor- tamentali. Conclusione L’incontro si conclude chiedendo a ciascun allievo di riferire in che misura si riconosce nei risultati che emergono dal questionario e di indicare eventuali elementi di novità che vanno ad incremen- tare la sua consapevolezza circa le modalità personali di rappor- tarsi agli altri. MATERIALI Allegati 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 Lavagna luminosa Lavagna a fogli SUGGERIMENTI EDUCATIVI Allo scopo di favorire una maggiore consapevolezza del proprio stile comportamentale, i formatori possono: 1. stimolare la riflessione sui propri comportamenti relazionali ogni qual volta se ne presenti l’occasione; 2. aiutare gli allievi a considerare le conseguenze reali ed emozio- nali che la propria condotta produce sugli altri; 3. esortare all’assunzione di comportamenti assertivi e prosociali in situazioni concrete che ne diano l’opportunità; 4. evitare di incoraggiare comportamenti anassertivi di tipo ag- gressivo competitivo e passivo. 109 Terza unità - Allegato 1 QUESTIONARIO “ASA” Nelle pagine seguenti sono presentate diverse situazioni che puoi o meno aver incontrato in passato. Ti chiediamo di indicare cosa faresti più probabilmente tu in ognuna delle situazioni. Cerchia, quindi, la lettera della risposta che descrive me- glio cosa faresti nella situazione descritta. Ti preghiamo di indicare non la risposta che ti sembra migliore, ma quella che daresti tu. 1) Tu e il tuo migliore amico avete quattro biglietti per una partita di calcio. Due altri vostri amici non si fanno vedere lasciandovi entrambi con un biglietto in più. Il vostro migliore amico dice: “Se mi dai il tuo biglietto in più, cercherò di venderli tutti e due”. Il vostro amico li vende entrambi, ma non vi dà la vo- stra parte dei soldi. A. Accettate l’azione del vostro amico perché pensate che ha guadagnato dei soldi extra vendendo il vostro biglietto. B. Dite con calma: “Dammi i miei soldi” C. Dite: “Tu sei un imbroglione. Ora ti dico che se non mi dai i soldi sarà la fine della nostra amicizia”. 2) Tua madre ti ha mandato a fare la spesa e ti ha detto di fare presto. Il super- mercato è pieno di gente e tu stai aspettando pazientemente alla cassa. All’im- provviso, una signora dietro di te ti spinge con il carrello e dice: “Ehi, ti dis- piace se passo prima io? Ho fretta!”. A. Non ti piace il modo in cui ti tratta, ma ti calmi e dici: “Va bene” e la lasci passare avanti. B. Spingi il carrello della donna e dici: “Ha una bella faccia tosta a mettersi in mezzo in questo modo”. C. Dici: “Sì, lo capisco, ma anche io ho fretta. La prego, aspetti il suo turno o vada ad un’altra cassa”. 3) Un tuo compagno di scuola ha diffuso bugie sul tuo conto. Come risultato, gran parte dei tuoi amici ti evita e parla di te alle tue spalle. Oggi incontri per caso il tuo compagno di scuola al bar. Ti saluta come se niente fosse accaduto. A. Parli con il tuo amico e fingi di non sapere delle bugie che lui ha detto su di te. B. Gli dici: “Bene, bene! Sono molto felice di averti incontrato alla fine. Ab- biamo qualcosa da sistemare, bugiardo”. C. Dici: “Sono offeso per le voci che hai messo in giro su di me. Pensavo che fossi mio amico e sono sorpreso che tu mi abbia fatto questo. Se hai un motivo, vorrei che me lo dicessi in modo da poter risolvere la questione”. 110 4) Spesso fai dei favori ai tuoi amici. Uno di loro, tuttavia, ti chiede molti più fa- vori degli altri. In effetti, pensi che alcune delle richieste di questo amico siano irragionevoli e che ti stia usando. Oggi questo amico ti chiede di nuovo un favore. A. Gli fai il favore perché per te l’amicizia è molto importante. B. Inventi una scusa e dici al tuo amico che oggi sei troppo occupato per aiu- tarlo. C. Dici al tuo amico “Ultimamente mi hai chiesto molti favori ed alcuni as- surdi. Questa volta ti dico di no. L’amicizia è una strada a due sensi”. 5) Fai parte della squadra di basket della scuola. L’allenatore ha promesso che tutti avranno la possibilità di giocare in questa partita. Sono rimasti cinque mi- nuti di gioco e l’allenatore non ti ha ancora fatto entrare. A. Ti alzi, vai verso l’allenatore, imprechi, tiri calci. B. Resti fermo sulla panchina. Pensi di poter imparare molte cose guardando giocare gli altri. C. Ti avvicini all’allenatore e gli ricordi che non hai ancora giocato. 6) Oggi hai avuto il voto per un compito in classe. Dopo esserti confrontato con i tuoi compagni di classe, ritieni che una risposta sia stata valutata male. Più tardi incontri l’insegnante nel corridoio. A. Dici: “Salve. A proposito, credo che una delle mie risposte non sia stata valutata nel modo giusto. Potremmo esaminarla insieme?” B. Dici: “Salve. Penso che lei sia stato ingiusto con me”. C. Non pensi che questo sia il momento per discutere su un voto e così lo sa- luti e continui a camminare. 7) Un tuo compagno non si è presentato per il compito in classe e ti chiede di dargli una copia della prova quando tornate insieme a casa. Tu sai che l’inse- gnante darà la stessa prova a chi era assente. Tu non pensi che sia giusto per- mettere al tuo amico di prendere un bel voto studiando solo le risposte alle do- mande della prova. A. Rifiuti di dare la copia della prova al tuo amico e gli dici che non siete più amici. B. Rifiuti di dargli la prova e gli spieghi perché pensi che sarebbe sbagliato per il tuo amico usarlo. C. Avere un buon compagno di classe significa molto per te, così gli dai la prova. 111 8) Il tuo insegnante preferito ti chiede di aiutarlo per una o due ore al giorno per un progetto extra. Tu vai bene nella sua materia, ma sei rimasto indietro in al- cune delle altre materie e temi di non farcela. A. Dici: “Ci penserò” e poi fai di tutto per evitare quell’insegnante. B. Non sei felice di farlo, ma hai paura di ferire i sentimenti dell’insegnante rifiutando. Accetti di lavorare al progetto. C. Dici: “No” e spieghi che ti piacerebbe aiutarlo, ma hai bisogno di tempo per recuperare nelle altre materie. 9) Sei a cena a casa di un amico. Dopo esserti seduto a tavola scopri che tutto è già servito nel piatto, incluso un tipo di verdura che odi. Questa verdura ti ha fatto star male in passato. La madre del tuo amico dice: “La regola in questa casa è che si mangia tutto quello che è nel piatto” A. Non desideri creare alcun imbarazzo a casa del tuo amico così ti sforzi di mangiare la verdura. B. Le dici che in passato questo tipo di verdura ti ha fatto male e che non pensi sia prudente mangiarla. C. Non dici niente, ma per mostrare il tuo malcontento ti alzi tranquillamente, lasci la tavola e vai a casa. 10) Sei in fila alla bancarella del popcorn al cinema. Lo spettacolo sta per comin- ciare entro pochi minuti e tu non vuoi perdere l’inizio. Finalmente arrivi da- vanti alla bancarella. Quando la ragazza sta per servirti, un uomo dietro di te urla la sua ordinazione e la ragazza inizia a servire lui per primo. A. Dici semplicemente: “Mi scusi, era il mio turno” e continui ad ordinare il tuo popcorn. B. Dici all’uomo: “Ha una bella faccia tosta a passare avanti in questo modo” e dici alla ragazza: “Che razza di idea è servire lui per primo?”. C. Sei contrariato, ma aspetti finché la ragazza chiede la tua ordinazione. De- cidi che non tornerai mai più in quel cinema. 11) Acquisti un gioco in un negozio. Quando arrivi a casa scopri che alcuni dei pezzi mancano. Torni al negozio per chiedere il rimborso o un cambio merce. Quando ne parli alla cassiera, lei dice: “Mi dispiace, ma non posso farci niente”. A. Non dici niente, esci dal negozio e decidi di non tornarci mai più. B. Ti infuri con la cassiera, getti il gioco per terra ed esci dal negozio. C. Dici: “So che le dispiace, ma insisto che il gioco mi venga cambiato o che mi siano restituiti i soldi”. 112 12) Il tuo insegnante ti sceglie nella classe e dice ad alta voce: “Le tue risposte ai problemi sono molto simili a quelle di uno dei tuoi compagni. Per questa volta lascio passare la cosa, ma fa’ in modo che non succeda un’altra volta”. Tu non hai copiato e il tuo insegnante sbaglia ad insinuare che tu lo abbia fatto. A. Non dici niente, prendi un libro e cominci a leggere come se nulla ti fosse stato detto. B. Dici: “Non ho copiato e pago per il suggerimento che ho dato”. C. Sei contrariato, ma non dici nulla, sperando che sarai in grado di fargliela pagare più tardi. 13) Stai andando in autobus in un’altra città. L’autobus è affollato e tu sei seduto nella parte riservata ai non fumatori. L’uomo che ti siede accanto fuma una si- garetta dietro un’altra. Stai cominciando a sentirti male. A. Non fai niente, sopporti il fumo e speri che l’autista arrivi a fargli un rim- provero. B. Lo fissi con uno sguardo contrariato e speri che capisca presto il messaggio. C. Dici all’uomo: “Apprezzerei molto che smetteste di fumare perché mi sta facendo star male. Lo sa che questo è un posto non-fumatori”. 14) È sabato, hai appena finito i tuoi lavori domestici. Ora vorresti uscire a gio- care con gli amici, ma tua madre ti dice che nel pomeriggio devi badare alla tua sorella più piccola. A. Dici: “Vorrei andare a giocare con i miei amici” B. Non vuoi fare da babysitter, ma dici: “Sì, mamma”. C. Ignori la richiesta di tua madre ed esci di casa. 15) Durante un esame lo studente dietro di te ti chiede un fazzoletto di carta. Poiché ne hai alcuni, gliene passi uno. L’insegnante ti vede e ti accusa di co- piare. A. Sei sconvolto, ma dici: “ Mi dispiace” e continui a lavorare sull’esame. B. Dici all’insegnante che lo studente dietro di te ti ha chiesto un fazzoletto e che tu gliene hai passato uno. C. Rendendoti conto che solo il tuo amico può aiutarti, guardi indietro verso il ragazzo sperando che parlerà per difenderti. 16) Il tuo migliore amico ti ha chiesto di continuo per parecchi giorni soldi in pre- stito e non te li ha restituiti. Oggi non hai soldi e ti servono soldi per il pranzo. Chiedi al tuo migliore amico qualche soldo, ma lui si rifiuta. A. Anche se ci sei rimasto male non dici nulla e decidi che questa è la fine della vostra amicizia. 113 B. Dici: “Non è magnifico quando mi chiedi di continuo soldi ed io te li do? Beh, d’ora in poi puoi scordartelo di chiedermi ancora soldi”. C. Dici: “Ti ho prestato i soldi per parecchi giorni e mi dà fastidio che tu non possa ricambiarmi il favore solo per una volta”. 17) Sei in fila in un negozio. Il cliente davanti a te è rimasto a chiacchierare con la cassiera per almeno cinque minuti. È quasi ora di cena e tu hai fretta di tornare a casa. A. Non dici niente, esci dal negozio senza prendere quello per cui ci eri andato. B. Interrompi la cassiera e l’altro cliente e dici: “Ehi, gente! Non pensate che è ora che stiate zitti? Non vedete che aspetto qui da più di cinque minuti?” C. Dici: “Scusatemi, ho aspettato abbastanza e vorrei essere servito adesso”. 18) Oggi è mercoledì e devi consegnare il tuo quaderno di appunti di scienze per venerdì. Un tuo amico, che è indietro in questa materia, ti chiede di prendere in prestito i tuoi appunti per mettersi in pari. Devi usarlo anche tu per i compiti. A. Presti il quaderno degli appunti per amicizia anche se lo devi usare. B. Dici: “No, non puoi averlo. Ho ancora dei compiti da fare prima di venerdì”. C. Dici: “Fammici pensare” e poi cerchi di evitarlo, sperando che non lo chieda di nuovo. 19) Stai aspettando alla fermata dell’autobus con tanti pacchi. Quando l’autobus arriva è quasi pieno e sei fortunato a prendere l’ultimo posto libero. Dopo es- serti seduto noti di aver perso un pacchetto. Quando ti alzi per raccoglierlo, qualcun altro ti prende il posto. A. Non vuoi fare un gran trambusto per un posto a sedere così non dici niente e resti in piedi nel corridoio. B. Dici: “Mi scusi, questo è il mio posto”. C. Resti fisso a guardare con risentimento la persona, sperando che recepisca il messaggio e lasci il posto. 20) Tu e il tuo compagno di classe avete appena terminato un progetto scolastico. Tu, però, hai fatto gran parte del lavoro. L’insegnante è molto contento, so- prattutto per i disegni che avete realizzato. L’insegnante chiede chi dei due li abbia disegnati. Prima che tu possa dire qualcosa, il tuo amico vanta il merito di averli eseguiti. A. Dici: “Non è vero. Io ho fatto i disegni”. B. Fai finta di niente perché non vuoi mettere in imbarazzo il tuo compagno di classe di fronte al vostro insegnante. C. Dici all’insegnante “È un bugiardo” e a lui dici: “Non lavorerò mai più con te ad un progetto”. 114 21) La tua insegnante ti ha detto che ultimamente stai andando molto bene e che il tuo voto migliorerà rispetto alla votazione del primo quadrimestre e che po- tresti prendere una sufficienza. Oggi ricevi il voto finale e scopri incredulo che è ancora insufficiente. A. Chiedi all’insegnante perché hai ricevuto l’insufficienza quando ti era stato detto che il voto sarebbe stato più alto. B. Accetti il fatto di aver ricevuto l’insufficienza, perché pensi che ultima- mente devi aver fatto qualcosa per far cambiare idea all’insegnante. C. Non dici niente all’insegnante ma spargi la voce tra i tuoi amici che l’inse- gnante ti ha mentito. 22) Hai accettato di fare da babysitter per il vicino per e5,00 l’ora. In realtà, i figli del vicino non ti piacciono molto perché di solito è molto difficile metterli a letto. Stasera è peggio del solito. Quando il vicino torna a casa, dice che ti darà solo e4,00 per ogni ora effettuata. A. Non dici niente, prendi i soldi e decidi che non farai più la babysitter per loro. B. Dici: “Mi avevate promesso e5,00 l’ora. La cosa giusta è che me le diate tutte”. C. Accetti i e4,00 l’ora e torni a casa molto scontenta. 23) Stai giocando a calcio con i tuoi amici in giardino. Uno di loro accidental- mente rompe una finestra della vicina. Più tardi, quando la vicina torna a casa ti chiama e se la prende con te per la finestra rotta. Dice: “Lo so che sei stato tu. Stai più attento la prossima volta”. A. Le dici che è stato un incidente, ma che non sei stato tu. B. Non dici niente, ma il giorno dopo rompi un’altra finestra di proposito. C. Dici: “ Va bene” e accetti il rimprovero così che il tuo amico non avrà pro- blemi. 24) L’amica di tua madre viene in casa da voi e ti chiede di farle una commis- sione. È l’ora di andare alla lezione di nuoto e se farai questa commissione ar- riverai in ritardo. Per peggiorare le cose tua madre appoggia la richiesta della sua amica. A. Rifiuti di fare la commissione e dici all’amica di tua madre che dovrebbe pensarci lei. B. Non dici niente e fai la commissione anche se arriverai in ritardo alla le- zione di nuoto. C. Dici a tua madre e alla sua amica che hai una lezione di nuoto e che se do- vessi fare la commissione faresti sicuramente tardi per il nuoto. 115 25) Tu e due tuoi amici avete fame, così decidete di andare al più vicino snack bar. La cameriera prende le ordinazioni: due hamburger completi ed uno senza ci- polla. Tu, infatti, odi le cipolle. Quando vi porta gli hamburger tutti e tre hanno le cipolle. A. Non dici niente e togli le cipolle dall’hamburger. B. Richiami la cameriera e le dici che hai ordinato un hamburger senza cipolle. Le chiedi di portartene un altro senza cipolle. C. Ti arrabbi con la cameriera e dici: “Tu sei un po’ stupida. Ti ho detto che non volevo cipolle”. 26) La tua migliore amica ti ha chiesto in prestito l’anello che i tuoi genitori ti hanno regalato lo scorso anno per essere andata bene a scuola. Tu dai molto va- lore a questo anello e non vuoi prestarlo, nemmeno alla tua migliore amica. A. Dici: “No, questo anello è molto speciale per me e non voglio prestarlo a nessuno”. B. Non vuoi ferire la tua amica, così le presti l’anello. C. Dici: “Beh, fammi pensare...” e poi fai di tutto per evitare la tua amica in modo da non doverle prestare l’anello. 27) Sei in spiaggia. È molto affollata, ma trovi un bel posticino per mettere il tuo telo mentre vai a fare una nuotata. Quando torni, qualcuno ha spostato il telo e due persone si sono sdraiate al tuo posto. A. Non dici niente, raccogli il tuo telo e cerchi un altro posto. B. Dici a quelle persone che tu sei arrivato per primo e chiedi loro di spostarsi da un’altra parte. C. Non dici niente ma li guardi contrariato sperando che recepiscano il mes- saggio e si spostino. 28) Dopo la scuola, ti fermi al negozio per comprare delle caramelle. Non appena esci, ti rendi conto che non ti hanno reso tutto il resto. Torni nel negozio e lo dici alla cassiera, ma lei non ti crede. A. Dici alla cassiera: “Dovrebbe credermi. Lo so che non è obbligata a darmi le monete che mancano, ma lo apprezzerei”. B. Dici alla cassiera che non tornerai più nel negozio e che dirai ai tuoi amici di fare altrettanto. C. Non ci pensi più a correggere l’errore e dici a te stesso che non permetterai che accada di nuovo. 29) I tuoi genitori ti hanno appena regalato un libro nuovo. Orgoglioso, lo mostri a tua sorella che subito vuole prenderlo in prestito per un giorno. Tu non vuoi pre- starlo subito, perché non hai avuto modo di leggerlo. Tua sorella, tuttavia, insiste. 116 A. Dici a tua sorella che non vuoi prestarlo prima di averlo letto tu. B. Non dici niente e dai il libro a tua sorella perché non vuoi discutere con lei. C. Ti arrabbi con tua sorella perché ti chiede di prestarle qualcosa di tuo. 30) Dopo la scuola, con un tuo amico ti rechi in ospedale, perché un vostro com- pagno si è slogato una caviglia durante l’ora di educazione fisica. Arrivi tardi per il pranzo, tuo padre non ti crede e ti impone di andare nella tua stanza senza mangiare. A. Vai nella tua stanza pensando che questo è l’unico modo per mantenere la calma in famiglia. B. Dici di nuovo a tuo padre cosa è successo e gli suggerisci di chiamare l’o- spedale e la tua insegnante. C. Dici a tuo padre: “Ne ho abbastanza. Non merito questo trattamento. Non andrò nella mia stanza”. 31) Tu e il tuo amico andate a trovare a casa un compagno di classe. Non lo cono- scete bene e i suoi genitori non sono in casa. Mentre guardate la TV, lui vi offre delle sigarette. Il tuo amico accetta. Non vuoi fumare ma loro ridono e ti prendono in giro. A. Fermo nella tua decisione dici semplicemente: “No, non voglio fumare, ma credo che siate in vena di scherzi”. B. Davvero non vuoi fumare, ma lo fai perché non vuoi che ridano di te. C. Non dici niente, ti alzi e vai via. 32) Un tuo carissimo amico viene proposto come capitano della squadra di basket. Viene proposto anche un altro giocatore che tu ritieni migliore del tuo amico. Si decide di votare per alzata di mano. Hai paura di ferire il tuo amico non vo- tando per lui. A. Voti per il giocatore che secondo te sarebbe il capitano migliore. B. Non vuoi ferire il tuo amico e dici: “Questa è una cosa sciocca, non voterò”. C. Tutto ad un tratto, ti ricordi di avere qualcosa altro da fare, ti scusi e dici: “Andate avanti e votate senza di me”. 33) Al pomeriggio, dopo la scuola, non vedi l’ora di andare a casa di un tuo amico per ascoltare un nuovo CD. Tua madre ti ha dato il permesso. Non appena arrivi a casa, molli i libri e stai per uscire quando tua madre ti dice: “Vorrei che mi li- berassi il soggiorno. Avremo ospiti stasera e sono molto occupata”. A. Fai finta di non aver sentito cosa ti ha detto tua madre ed esci. B. Dici a tua madre: “Mi avevi detto che potevo andare. Non è giusto che tu mi chieda di restare a casa all’ultimo minuto”. C. Dici a tua madre: “Rovini sempre i miei piani” e corri fuori dalla porta. Lee, Hallberg, Slemov, Haase, 1985, 407-416. 117 Terza unità - Allegato 2 “ALLA STAZIONE DELLA METROPOLITANA” Un ragazzo si trova in una stazione della metropolitana. È in fila davanti alla macchina che distribuisce i biglietti. Davanti a lui ci sono altre persone che atten- dono il loro turno. Ad un certo punto, si accorge che la fila non procede. Vede che un altro ragazzo della sua stessa età non riesce a far funzionare la macchina, non- ostante ci provi già da un quarto d’ora. Ha molta fretta e lo innervosisce il fatto di non riuscire a fare il biglietto. In questa situazione analizziamo le reazioni di quattro ipotetici ragazzi. FILIPPO Rivolgendosi al ragazzo che non riesce a far funzionare la macchina, grida: “Ma sei proprio imbranato; scansati, lascia passare gli altri”. LUCA Non fa nulla e aspetta, nonostante abbia fretta GIOVANNI Chiede alle persone in fila di poter passare, visto che ha molta fretta. Quindi, rivolgendosi al ragazzo che non riesce a far funzionare la macchina, dice: “Scu- sami, vedo che è da molto tempo che provi, ma non riesci a far funzionare la mac- china. Io avrei molta fretta. Lascia che faccia il mio biglietto, così che possa andar- mene”. ALBERTO Dopo aver chiesto alle persone in fila dietro di lui di tenergli il posto, va dal ragazzo in difficoltà e si offre di aiutarlo. Una volta risolto il problema, resta in at- tesa del suo turno, quindi fa il biglietto e se ne va. 118 Terza unità - Allegato 3 TRACCIA DI RIFLESSIONE 1. Quale delle quattro reazioni ritieni sia la migliore e perché? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 2. Quale delle quattro reazioni si avvicina di più a quella che attueresti tu? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 3. Come potrebbe sentirsi il ragazzo che non riesce a far funzionare la macchina dei biglietti di fronte a ciascuna delle quattro reazioni? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 4. Quale delle quattro reazioni potrebbe contribuire a rendere migliori i rapporti interpersonali? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 119 Terza unità - Allegato 4 STILE COMPORTAMENTALE: LINEAMENTI TEORICI Quando parliamo di stile comportamentale, facciamo riferimento a modalità relazionali che la persona adotta abitualmente e consistentemente nelle diverse si- tuazioni interpersonali. Così, per affermare che una persona si caratterizza per un determinato stile, abbiamo necessità di osservazioni ripetute nello spazio e nel tempo che suggeri- scono una certa costanza comportamentale. Reazioni sporadiche e contingenti non rappresentano, pertanto, un indicatore attendibile. Fondamentalmente, possiamo distinguere quattro stili di comportamento inter- personale: assertivo, aggressivo, passivo, prosociale. L’adottare l’uno o l’altro di questi stili, ha importanti conseguenze sia sul be- nessere individuale sia sulla qualità delle relazioni con gli altri. Per questo può es- sere utile analizzare gli aspetti caratterizzanti ciascuno di essi. LO STILE ASSERTIVO Con il termine assertività si intende far riferimento ad un insieme di com- plesse abilità che consentono di mantenere efficaci relazioni con gli altri e di ge- stirle laddove presentino difficoltà. L’assertività implica la capacità di una persona di riconoscere le proprie esi- genze e di affermarle, esprimendole, all’interno del proprio ambiente, con buone probabilità di raggiungere i propri obiettivi e di mantenere, al contempo, una posi- tiva relazione con gli altri. Pertanto, una persona socialmente abile ha la capacità di discriminare corretta- mente le proprie esigenze all’interno di una situazione interpersonale e, dopo averle individuate, riesce ad esprimerle secondo modalità funzionali a stimolare nell’interlocutore l’accettazione, piuttosto che il rifiuto, del messaggio inviato. Il comportamento assertivo include la capacità di una persona di agire nel pro- prio migliore interesse, di difendersi senza ansietà eccessiva, di esprimere sentimenti a proprio agio, di esercitare i diritti personali senza danneggiare i diritti degli altri. AGIRE NEL PROPRIO MIGLIORE INTERESSE significa capacità di assumere decisioni di vita, prendere iniziative, fidarsi del proprio giudizio, porsi degli obiettivi e lavo- rare per raggiungerli, chiedere aiuto agli altri, vivere socialmente a proprio agio. DIFENDERSI significa capacità di dire di no, porre dei limiti al proprio tempo e alla propria energia, rispondere alle critiche, aggressioni, rabbia, esprimere o ap- poggiare o difendere la propria opinione. ESPRIMERE SENTIMENTI A PROPRIO AGIO significa capacità di essere in disac- cordo, mostrare rabbia, affetto, amicizia, ammettere paura o ansia, esprimere ac- cordo o sostegno, essere spontanei, senza sperimentare una spiacevole ansia. 120 ESERCITARE I PROPRI DIRITTI PERSONALI significa la capacità di esprimere opi- nioni, lavorare per cambiare, rispondere alle violazioni dei propri diritti o di quelli altrui. NON NEGARE I DIRITTI DEGLI ALTRI significa evitare aggressioni, insulti, intimi- dazioni, manipolazioni, controllo del comportamento altrui (Alberti - Emmons, 1974). LO STILE AGGRESSIVO Lo stile aggressivo caratterizza la persona che tende ad agire in modo vio- lento, impulsivo, esplosivo, scaricando immediatamente la propria tensione emo- zionale, con la conseguente crescita di imbarazzo, ansia e colpa da parte dei propri interlocutori. La persona che si comporta prevalentemente in modo aggressivo tende a rego- lare il proprio comportamento sulla base di stimoli interni (bisogni, emozioni, pul- sioni) senza tener conto adeguatamente degli altri e del contesto. LO STILE PASSIVO Nello stile passivo la persona agisce in maniera rinunciataria, con apparente indifferenza, incapace di esprimere i propri stati emozionali, perpetuando così un’attivazione neurovegetativa che spesso sfocia in sintomi somatici. La persona che presenta un’alta percentuale di comportamenti passivi tende ad inibire in diverse circostanze l’espressione di sé manifestando, ad esempio, imba- razzo nel fare o nel ricevere complimenti, difficoltà a prendere decisioni e inizia- tive, apparente indifferenza di fronte alla critica, paura eccessiva di commettere er- rori. In generale, regola il suo comportamento sulla base di stimoli esterni (giu- dizio degli altri, norme sociali) piuttosto che in risposta alle proprie esigenze inte- riori. La persona con comportamento passivo facilmente può sperimentare insoddi- sfazione nei confronti di se stessa e perdere di credibilità e di autorevolezza agli occhi degli altri. LO STILE PROSOCIALE Il comportamento prosociale è stato definito in termini di "azioni dirette ad aiutare o beneficiare un'altra persona o gruppo di persone, senza aspettarsi ricom- pense esterne" (Mussen, Eisenberg-Berg, 1985). Più specificamente, si tratta di un comportamento teso a realizzare o a migliorare il benessere di un altro o ad alle- viarne lo stato di sofferenza in assenza di pressioni esterne, di un ritorno personale o di obblighi legati al ruolo. Così, la persona che assume uno stile prosociale è capace di azioni altrui- stiche, solidali, collaborative, a prescindere da possibili ritorni personali. Il comportamento prosociale può configurarsi ad una via e a due vie. Nel 121 primo caso, le azioni vanno nella direzione emittente-destinatario e sono destinate a beneficiare quest'ultimo; nel secondo, invece, le azioni sono messe alternativa- mente in atto dai due partners in interazione. Inoltre, possiamo avere un comportamento prosociale passivo che si diffe- renzia dal comportamento prosociale attivo, in quanto consiste nell'evitamento o nell'estinzione di un'azione che, pur legittima per l'emittente, rischierebbe di dan- neggiare il ricevente o la relazione tra i due. Relativamente alla manifestazione del comportamento prosociale, rientrano nella prosocialità passiva la disposizione non aggressiva e la disposizione non ego- centrica; fanno invece parte della prosocialità attiva le funzioni di aiuto (fisico, verbale, metaverbale), condivisione e collaboratività. Facendo riferimento a Salfi-Barbara (1990), riportiamo una breve descri- zione di ciascuno di essi (fig. 1) Disposizione non aggressiva. Consiste nell'attivazione dell'autocontrollo, da parte dell'emittente, per evitare o inibire un'azione avversiva nei confronti del de- stinatario (ad es. rimandare la manifestazione dei propri sentimenti qualora l'altro non fosse in grado di gestire un confronto). FIGURA 1: Le funzioni della prosocialità 122 Disposizione non egocentrica. Consiste nella decisione, da parte dell'emit- tente, di non perseguire in un dato momento un proprio obiettivo o di non affer- mare il proprio punto di vista in favore dell'interlocutore o in vista di un incre- mento della qualità della relazione (ad es. cedere rispetto alla propria posizione se ciò dovesse risultare funzionale al conseguimento di una meta comune). Aiuto fisico. Si divide in assistenza fisica e servizio fisico. Assistenza fisica Condotta non verbale che procura assistenza fisica ad altre persone per facili- tarle nel raggiungimento di un determinato obiettivo, tenendo conto della loro approvazione. Servizio fisico Condotta che elimina la necessità, a coloro che ricevono l'azione prosociale, di intervenire fisicamente nell'adempimento di un compito o di un incarico e che si conclude con la loro approvazione e soddisfazione. Aiuto verbale. Si divide in assistenza verbale e supporto verbale. Assistenza verbale Spiegazione o istruzione verbale che è utile o desiderabile per altre persone per il conseguimento di un obiettivo. Supporto verbale Espressioni verbali che riducono la tristezza di persone afflitte o bisognose e danno loro sollievo. Aiuto meta verbale. Comprende le espressioni non verbali che metacomuni- cano empatia e disponibilità all'aiuto. Condivisione. Fa riferimento ad una condotta che consiste nel rendere parte- cipi e nell’offrire agli altri oggetti, idee, esperienze di vita, alimenti, possedi- menti. Collaboratività. Fa riferimento ad una condotta di due o più individui tesa al raggiungimento di un obiettivo comune. DIFFERENZIAZIONE DEGLI STILI Gli stili fin qui descritti possono essere differenziati secondo diversi para- metri. Le tabelle che seguono offrono una loro caratterizzazione in base ai para- metri: – occupazione dello spazio personale e interpersonale, conseguimento dei propri obiettivi, stimoli che regolano il comportamento (tab. 1); – aspetti della comunicazione non verbale (tab. 2) – modalità comportamentali tipiche (tab. 3) – effetti sul destinatario e sull’emittente (tab. 4) 123 Tab.1 Caratterizzazione degli stili comportamentali in base ai parametri spazio, obiettivi, autoregolazione comportamentale STILI PARAMETRI PASSIVO ASSERTIVO AGGRESSIVO PROSOCIALE SPAZIO rinuncia ad occupare il proprio spazio occupa il proprio spazio senza invadere quello altrui invade lo spazio altrui sceglie di rinunciare al proprio spazio se ciò va a vantaggio dell’altro o della relazione OBIETTIVI non raggiunge gli obiettivi desiderati può raggiungere gli obiettivi desiderati salvaguardando le relazioni con gli altri raggiunge gli obiettivi desiderati compromettendo la relazione con gli altri rimanda la soddisfazione del proprio obiettivo per aiutare l’altro a raggiungere il proprio AUTOREGO- LAZIONE COMPORTA- MENTALE basa il suo comportamento su stimoli esterni basa il suo comportamento su stimoli sia esterni che interni basa il suo comportamento su stimoli interni basa il suo comportamento su stimoli sia esterni che interni Tab. 2 Caratteristiche del comportamento non verbale nei diversi stili STILI COMPORTAMENTALI CARATTERISTICHE PASSIVO AGGRESSIVO ASSERTIVO PROSOCIALE SGUARDO - diretto verso il basso - sfuggente - fisso sull’interlocutore - provocatorio - diretto - costante MIMICA FACCIALE - povera, rigida, poco espressiva - inadeguata al contenuto verbale - con movimenti scarsi e poco espressivi - esagerata - inadeguata al contenuto verbale - attenta - interessata - comprensiva - corrispondente alla comunicazione verbale GESTI - limitati nel numero - ripetitivi e monotoni - non correlati al significato della comunicazione verbale - incerti, ambigui - rapidi e sommari - sovrabbondanti - con movimenti ampi e vistosi - aperti - cordiali SPAZIO SOCIALE: POSIZIONE E DISTANZA - reclinata in avanti - dimessa - rigida - goffa - in fuga - invadente - ravvicinata - adeguata alla situazione TONO DI VOCE - basso - incerto - tremante - alterato - concitato - con prevalenza di toni acuti - medio - adeguato all’argomento Adattata da: Alberti, Dinetto, 1988, 44. 124 Tab. 3 Principali modalità comportamentali nei diversi stili relazionali LA PERSONA ASSERTIVA LA PERSONA PASSIVA LA PERSONA AGGRESSIVA LA PERSONA PROSOCIALE Fa valere i suoi diritti e rispetta i diritti altrui Raggiunge i propri obiettivi senza offendere gli altri Ha una buona immagine di sé e un’appropriata fiducia in se stessa E’ disinvolta e autonoma nell’espressione Decide per se stessa Permette che vengano violati i suoi diritti e che gli altri ne traggano vantaggio Non raggiunge i propri obiettivi Si sente frustrata, infelice, ansiosa E’ inibita e depressa Consente che gli altri scelgano per lei Viola i diritti altrui per trarne vantaggio Raggiunge i suoi obiettivi a spese degli altri E’ belligerante e sulla difensiva; umilia e deprezza gli altri E’ esplosiva, imprevedibilmente ostile e irata Si intromette nelle scelte altrui Si adopera perché vengano rispettati i diritti degli altri Sceglie di rinunciare ad un proprio obiettivo se reputa più importante favorire l’altro Ha una buona immagine di sé e crede nel valore dell’altro E’ benevola, si esprime con decisione e responsabilità Decide per se stessa e rispetta le scelte degli altri Adattato da: Liberrman, King, De Risi, McCann, 1975, 6. 125 Tab. 4 Principali stili relazionali e loro effetto sul destinatario e sull’emittente STILE RELAZIONALE DEFINIZIONE ESEMPIO EFFETTI SULL'EMITTENTE EFFETTI SUL DESTINATARIO Aggressivo Comportamento intenzionalmente teso al raggiungimento di un obiettivo per- sonale che produce danno all'interlocutore Un individuo aggredisce fisica- mente e/o verbalmente un altro individuo il quale può o meno reagire fuggendo o attaccando a sua volta Appagamento di sé Autostima Espressione incontrollata di sé Disprezzo per gli altri Senso di colpa Umiliazione, offesa, frustrazione, diffidenza, paura, rifiuto, rivalsa, contrattacco, allontanamento Passivo Comportamento di rinuncia al raggiungimento di un obiettivo e di sottomissione al volere dell'interlocutore Un individuo non agisce e si sottomette al volere di un altro individuo. Umiliazione Ansia Autorifiuto Inibizione Disistima di sé Disistima per l'altro, senso di colpa o rabbia, affermazione di sé a danno per l'altro, disagio, allontanamento Assertivo Comportamento teso al raggiungimento di un obiettivo per- sonale con l'uso adeguato di abilità sociali e senza procurare danno all'interlocutore, anzi rispettando l'individualità degli altri Un individuo afferma se stesso fisicamente e/o verbalmente di fronte ad un altro individuo, con il quale raggiunge anche accordi su eventuali divergenze di qualsiasi genere Soddisfazione di sé Autostima Espressione adeguata di sé Autoaccettazione Soddisfazione Autostima Espressione di sé Autoaccettazione Apertura Avvicinamento Prosociale Comportamento teso a realizzare o a migliorare il benessere di una o più persone e/o a ridurne lo stato di sofferenza, in assenza di pressioni esterne ed in un contesto in cui l’emittente non stia adempiendo ad obblighi legati al ruolo Un individuo agisce fisicamente e/o verbalmente nei confronti di un altro individuo arrecando a questi un beneficio di qualsiasi genere Soddisfazione di sé Soddisfazione per gli altri Autostima Espressione adeguata di sé Autoaccettazione Soddisfazione Autostima Sentimenti positivi per sé e per gli altri Apertura Avvicinamento Fonte: adattato da Salfi-Barbara, 199, 46-59. 126 Terza unità - Allegato 5 SITUAZIONI STIMOLO Di seguito, sono presentate 10 situazioni interpersonali e viene descritta una possibile reazione per ciascuna di esse. Indica se la reazione descritta appartiene allo stile passivo, assertivo, aggressivo, prosociale. SITUAZIONE 1 Mentre stai ascoltando la lezione, ti accorgi che i tuoi vicini di banco chiacchie- rano facendo una gran confusione. L’insegnante spazientito si rivolge a te minac- ciandoti di cacciarti dall’aula se non smetti di parlare. Reazione Senti di essere accusato ingiustamente, ma per timore di peggio- rare la situazione non rispondi. Valutazione Passivo Aggressivo Assertivo Prosociale SITUAZIONE 2 L’insegnante spiega una nuova lezione. Cerchi di seguire, ma ti rendi conto che al- cuni aspetti non ti sono chiari. Reazione “Prof, ma questo è arabo! Non si capisce niente”. Valutazione Passivo Aggressivo Assertivo Prosociale SITUAZIONE 3 Un amico ha promesso di trascorrere con te il sabato pomeriggio, ma all’ultimo momento telefona per dirti che non potrà venire perché ha da fare. Reazione “Lo sapevo che mi avresti dato buca. Almeno potevi farti uscire il fiato prima, così facevo in tempo ad organizzarmi diversamente!” Valutazione Passivo Aggressivo Assertivo Prosociale SITUAZIONE 4 Telefona un amico per invitarti ad una festa, ma tu non hai voglia di andare. Reazione Rispondi all’amico dicendo: “Ti ringrazio per aver pensato di chia- marmi, ma oggi non sono proprio in vena di incontrare gente. Pre- ferisco restare a casa. Sarà per un’altra volta”. Valutazione Passivo Aggressivo Assertivo Prosociale SITUAZIONE 5 Stai giocando con i tuoi amici, quando ti cade il pallone nel giardino del vicino e si rompe un vaso. 127 Reazione Scavalchi il cancello, prendi il pallone e scappi. Valutazione Passivo Aggressivo Assertivo Prosociale SITUAZIONE 6 Un amico ti chiede un passaggio in motorino sino a casa, ciò ti causerebbe dei dis- guidi perché sei in ritardo, hai qualche commissione da fare e ti porterebbe lontano dalla tua direzione. Reazione “Purtroppo oggi ho fretta e posso portarti solo alla fermata dell’au- tobus, mi è impossibile portarti a casa”. Valutazione Passivo Aggressivo Assertivo Prosociale SITUAZIONE 7 È già la terza volta che presti il motorino ad un tuo amico che, puntualmente, te lo riporta a secco di miscela. Reazione Sei infastidito, ma non dici niente. Valutazione Passivo Aggressivo Assertivo Prosociale SITUAZIONE 8 Un tuo compagno di classe subisce continue prevaricazioni da parte di alcuni bulli che frequentano il centro. Lui, per paura, non dice niente. Reazione Vai da una persona adulta della quale ti fidi e riferisci tutto. Valutazione Passivo Aggressivo Assertivo Prosociale SITUAZIONE 9 Stai facendo la fila in un negozio; una persona anziana, che sta dietro di te, chiede di passarti avanti. Reazione Rivolgendoti a lei, dici: “Prego, passi pure”. Valutazione Passivo Aggressivo Assertivo Prosociale SITUAZIONE 10 Un amico ti chiede spesso piccoli prestiti in denaro che poi non restituisce a meno che tu non li richieda. Ancora una volta ti chiede un piccolo prestito che non sei disposto a concedergli. Reazione “Mi dispiace dirti di no, ma non è la prima volta che capita e poi, se non sono io a richiederteli, tu non hai premura di restituirli. Anche a me qualche soldo in tasca fa comodo”. Valutazione Passivo Aggressivo Assertivo Prosociale 128 Terza unità - Allegato 6 SCHEDA SITUAZIONI STIMOLO Dopo aver individuato le risposte alle 10 situazioni descritte nell’allegato 5, ri- portale nella seguente tabella. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Aggressive Passive Assertive Prosociali Confronta ora le tue risposte con quelle dei tuoi compagni (in gruppi di 3/4 persone). Quindi, insieme, trasformate le risposte valutate come anassertive in as- sertive o prosociali. (riporta nello spazio a sinistra il numero della risposta) 129 Terza unità - Allegato 7 GRIGLIA DI CORREZIONE DEL QUESTIONARIO ASA Per ogni situazione, una delle tre opzioni è stata scelta come la risposta asser- tiva più “appropriata”. Ad ognuna di queste risposte viene assegnato un punto e i punti, sommati, producono un punteggio totale di assertività che può andare da 0 a 33 (punteggi più elevati riflettono un grado maggiore di assertività). “A” è la risposta assertiva per le situazioni 6, 10, 14, 20, 21, 23, 26, 28, 29, 31, 32; “B” è assertiva per le situazioni 1, 7, 9, 12, 15, 18, 19, 22, 25, 27, 30, 33; “C” è assertiva per le situazioni 2, 3, 4, 5, 8, 11, 13, 16, 17, 24. Punteggio totale ottenuto = ________ 130 IDENTIFICARE I PROPRI LIMITI E LE PROPRIE RISORSE* Capacità in oggetto Individuare, relativamente ai propri repertori di base cognitivo, af- fettivo, comportamentale, quegli aspetti che, generalmente, condu- cono ad esiti desiderabili per sé e per gli altri (risorse) e quegli aspetti che conducono ad esiti indesiderabili (limiti). Finalità Stimolare negli allievi la riflessione sulle proprie risorse e sulle proprie vulnerabilità. Tempi Un incontro di circa tre ore. Descrizione dell’incontro OBIETTIVI 1. Individuare aspetti personali che possono costituire un limite. 2. Individuare aspetti personali che possono costituire una risorsa. 3. Rendere ragione del perché alcuni aspetti rappresentino un li- mite, altri una risorsa. FASI Esperienza concreta Il formatore invita i ragazzi a completare individualmente gli alle- gati 1 e 2. In seguito, divide la classe in piccoli gruppi di tre/quattro persone chiedendo agli allievi di condividere il risultato del lavoro personale. Osservazione riflessiva Gli allievi sono invitati a rispondere individualmente alle domande della traccia di riflessione (All. 3) e a confrontare a piccoli gruppi le loro risposte. Concettualizzazione astratta Il formatore illustra i contenuti teorici concernenti la capacità di individuare limiti e risorse (All. 4). Sperimentazione attiva Il formatore spiega agli allievi la scheda di sintesi personale (All. 5); quindi invita loro a completarla per arrivare ad individuare il proprio profilo di limiti e risorse relativamente alle dimensioni: co- gnitiva, emotiva e comportamentale. QUARTA UNITÀ 131 Conclusione L’unità si conclude invitando gli allievi a condividere con il gruppo classe il risultato del lavoro personale e a richiedere, se lo desiderano, un feedback in tal senso. MATERIALI Allegati 1, 2, 3, 4, 5 Lavagna luminosa Lavagna a fogli SUGGERIMENTI EDUCATIVI Allo scopo di favorire negli allievi una maggiore consapevolezza dei propri limiti e delle proprie risorse, i formatori possono: 1. proporre diverse esperienze che consentano loro di sperimen- tarsi nelle diverse dimensioni: cognitiva, emotiva, comporta- mentale ed avviare una riflessione su di esse; 2. fornire, quando si verifica l’occasione, opportuni feedback. * Questa unità è stata elaborata da Rosario Capo 132 Quarta unità - Allegato 1 VOGLIO CONOSCERTI DI PIÙ Sei in una chat e, tra tutti i partecipanti alla room nella quale sei entrato, una persona ti chiama in privato per poterti conoscere meglio… 133 Quarta unità - Allegato 2 PROGRAMMA DI LIFE-PLANNING Qui sotto è rappresentato un esempio di diagramma cartesiano: sull’ascissa abbiamo riportato la dimensione tempo e sull’ordinata abbiamo collocato la di- mensione di soddisfazione soggettiva e di efficacia. Traccia l’andamento del diagramma negli ultimi cinque anni riguardo le se- guenti aree: famiglia, scuola, amici, interessi, utilizzando un colore diverso per ogni area (famiglia = rosso; scuola = blu; amici = nero; interessi = verde). Con tutta probabilità, l’andamento nelle quattro aree non risulterà lineare: picchi verso l’alto (momenti di maggiore efficacia e soddisfazione) si alterneranno a flessioni verso il basso (momenti di minore soddisfazione e di minore efficacia). Segui, ora, le istruzioni seguenti per la realizzazione e per la discussione del lavoro. a) Scrivi in breve cosa significhi ognuna delle quattro linee tracciate. In partico- lare, spiega le ragioni del perché in certi momenti della tua vita sei stato mag- giormente efficace e soddisfatto e perché in altri frangenti le cose non sono andate così bene. Se possibile, riporta degli episodi concreti che esemplifi- chino le tue affermazioni. b) Ora, considerando che l’esito degli eventi dipende in parte da te e in parte dalle altre persone o dal caso, cerca di definire quali aspetti del tuo modo di fare ti hanno permesso fino ad oggi di essere efficace e soddisfatto nelle quattro aree considerate e quali, invece, ti hanno ostacolato nel raggiungere i tuoi obiettivi c) Raccogli le tue riflessioni nella tabella che segue. d) Quando anche gli altri tuoi compagni hanno terminato, scambiatevi queste in- formazioni. 134 Aspetti personali che mi hanno aiutato/a ad essere efficace e soddisfatto/a di me e della mia vita nei quattro ambiti considerati: a) ........................................................................................................................ b) ........................................................................................................................ c) ........................................................................................................................ d) ........................................................................................................................ e) ........................................................................................................................ f) ......................................................................................................................... g) ........................................................................................................................ Aspetti personali che mi hanno ostacolato/a nell’essere efficace e soddisfatto/a di me e della mia vita nei quattro ambiti considerati: a) ........................................................................................................................ b) ........................................................................................................................ c) ........................................................................................................................ d) ........................................................................................................................ e) ........................................................................................................................ f) ......................................................................................................................... g) ........................................................................................................................ 135 Quarta unità - Allegato 3 TRACCIA DI RIFLESSIONE Nel profilo che hai tracciato di te stesso/a nel gioco della chat, quanto hai preso in considerazione le scoperte che hai fatto fino ad oggi nel nostro lavoro sulle capacità personali, circa il tuo modo di funzionare nelle diverse dimensioni: cognitiva, affettiva e comportamentale? Sottolinea, nel testo che hai scritto, le affermazioni su di te (risorse e limiti) che risentono delle scoperte fatte durante il nostro lavoro formativo. Dopo averle segnate riportale di seguito all’interno della tabella. LIMITI RISORSE 136 Quarta unità - Allegato 4 INDIVIDUARE LIMITI E RISORSE: LINEAMENTI TEORICI La capacità di rintracciare nel proprio stile comportamentale, nelle proprie tendenze emotive e nel proprio stile cognitivo gli aspetti che costituiscono un li- mite o una risorsa, prevede, in primo luogo, il possesso di criteri di valutazione chiari attraverso i quali si possa affermare che un dato tratto della propria persona- lità sia da valutare, appunto, come un limite o una risorsa. In linea generale, si può affermare che una data condotta, un certo stile di pen- siero, una data tendenza emotiva non può essere valutata, in assoluto, giusta o sba- gliata, buona o cattiva, ecc. La valutazione di uno degli aspetti del nostro stile per- sonale, relativamente stabile, di rapportarci al mondo e agli altri (personalità) va attuata, di volta in volta, in riferimento al contesto, alle persone con le quali si ha a che fare (esigenze ed avversioni altrui) e, in particolare, rispetto ai nostri scopi (Franta, 1982). In questo senso, anche l’aggressività, che molti di noi considerano, generalmente, un tratto indesiderabile, in certi contesti e frangenti può risultare senza alcun dubbio una risorsa. Si considerino, in questo senso, le situazioni nelle quali si viene aggrediti ingiustamente da qualcuno. In questi casi, in funzione di salvaguardare la propria o altrui incolumità, risulta spesso necessario essere in grado di ricorrere a condotte difensive di tipo aggressivo. Come possiamo, allora, trarre delle valutazioni generali sul nostro stile perso- nale di agire, pensare e sentire (provare ed esprimere emozioni) al fine di ricono- scere aspetti da migliorare e dimensioni che costituiscono una risorsa? In linea generale, tutti gli estremi, in eccesso o in difetto, sulle dimensioni ca- ratterizzanti la personalità (tratti) tendono a produrre condotte scarsamente flessi- bili e adattate al variare dei contesti e delle situazioni (Lorenzini e Sassaroli, 2000). Ciò significa che, se l’impulsività non può essere valutata in assoluto come erronea e disfunzionale, se portata all’eccesso e quindi messa in atto in maniera pervasiva e indifferenziata, condurrà quasi certamente a condotte disfunzionali, so- prattutto nei casi in cui sarebbero richiesti l’analiticità, la riflessività e l’autocon- trollo per gestire adeguatamente un dato problema. Ne desumiamo, quindi, che un primo criterio di valutazione del nostro stile personale è la pervasività/rigidità con la quale un certo modo di fare, un certo stile di pensiero e una data tendenza emotiva si presenta nel repertorio personale di un soggetto. In linea generale, quanto più una data condotta è messa in atto in maniera coatta (anche di fronte a problemi e compiti differenti) e con scarsa mediazione tra le proprie esigenze e quelle del contesto (ambiente fisico e sociale), tanto più au- menta la probabilità che quella condotta costituisca un limite perché eccessiva. Altri tratti possono, invece, presentarsi nel repertorio personale di un indi- viduo in maniera marcatamente insufficiente, anche quando quella specifica con- dotta risulta necessaria per gestire adeguatamente se stessi e per snocciolare effica- 137 cemente il rapporto con gli altri e con il contesto (es: socievolezza, espressione delle proprie emozioni, ecc.) (Semerari, 2000). In altri casi, il deficit di efficacia personale, non è prodotto tanto dall’ecces- siva pervasività di un dato tratto, ma dalla carenza nello sviluppo di alcune abilità fondamentali per affrontare adeguatamente i compiti evolutivi ai quali tutti gli es- seri umani sono sottoposti (Semerari, 1999). Queste abilità di base si articolano in quattro aree generali: risoluzione dei problemi e dei conflitti (implica la capacità di definire uno scopo, di scegliere un corso di azione, di pianificarne l’attuazione e di controllare l’andamento del piano); autocontrollo; consapevolezza e gestione delle emozioni (regolandosi non solo in base a esigenze soggettiva ma anche in base alle preferenze, ai bisogni e alle avversioni delle persone con le quali abbiamo a che fare); abilità sociali per interagire con gli altri ed ottenere quello che desideriamo (raggiungimento dei nostri obiettivi) nel pieno rispetto dei bisogni e delle prefe- renze altrui, per condividere (rapporti intimi) e far parte di gruppi sociali (affilia- zione), per negoziare e collaborare con altri individui. In sintesi, un limite può consistere, generalmente, nell’incapacità di ricorrere flessibilmente ad un ampio e variegato repertorio di condotte in un dato dominio di funzionamento, in particolare nel momento in cui quella data condotta risulta dis- funzionale per il compito o il problema che si sta affrontando. Tale condizione, esita, di solito, in condotte rigide/coatte, poco adattate al contesto e alle altre per- sone (incapacità di cambiare idea e corso di azione al variare delle situazioni e dei problemi anche di fronte a evidenti fallimenti del piano), stereotipate e scarsa- mente creative nella soluzione dei problemi che giorno per giorno ogni individuo fronteggia (Lorenzini e Sassaroli, 2000). Inoltre, un limite consiste anche in una carente acquisizione delle abilità personali di base (autocontrollo, consapevolezza e gestione delle emozioni, soluzione dei problemi, abilità sociali, ecc.). Allo stesso modo, una risorsa può essere costituita da un tratto o da una con- dotta (mentale o comportamentale) che siamo in grado di mettere in atto in ma- niera flessibile e autoconsapevole (monitoraggio dell’efficacia del comporta- mento), regolandone l’emissione in base ai nostri obiettivi, alle caratteristiche del compito/problema che stiamo affrontando e alle esigenze delle persone con le quali abbiamo a che fare. In secondo luogo, una risorsa consiste anche in una suffi- ciente acquisizione delle abilità personali di base. 138 Quarta unità - Allegato 5 PER FOCALIZZARE MEGLIO LIMITI E RISORSE Come abbiamo appena visto, gli aspetti della nostra personalità, come anche i singoli comportamenti, non possono essere considerati in assoluto un limite o una risorsa. A seconda dei casi, in riferimento al contesto nel quale ci troviamo, all’o- biettivo che vogliamo raggiungere o alle persone con le quali ci troviamo, un no- stro modo di fare o di essere può risultare più o meno funzionale. È vero anche, però, che gli estremi, in difetto o in eccesso, nell’uso o nell’e- spressione di una nostra caratteristica, spesso risultano inadeguati e disfunzionali. Questo è vero, soprattutto, quando un aspetto della nostra personalità è messo in atto sempre, in maniera prepotente e in tutti i contesti, indipendentemente dal va- riare delle situazioni, dei compiti (o problemi) e delle persone con le quali ab- biamo a che fare. Altre volte, l’inefficacia e la scarsa soddisfazione personale che sperimen- tiamo in certi frangenti della nostra vita, può anche essere il prodotto del mancato apprendimento di alcune abilità necessarie per gestire adeguatamente noi stessi e il rapporto con gli altri (es: conoscenza, espressione e gestione delle emozioni; abi- lità di comunicazione; capacità di risolvere problemi e conflitti; autocontrollo; ecc.). Nel questionario che segue vengono riportate alcune variabili del funziona- mento umano. Indica in che misura ogni variabile è presente in te, quindi spiega se nella tua vita essa di solito costituisce un limite o una risorsa e motivane il perché. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 LO CONSIDERI UN LIMITE O UNA RISORSA? [L] [R] SPIEGA BREVEMENTE IL PERCHÉ DELLA TUA RISPOSTA 1. ANSIA - PREOCCUPAZIONE 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 LO CONSIDERI UN LIMITE O UNA RISORSA? [L] [R] SPIEGA BREVEMENTE IL PERCHÉ DELLA TUA RISPOSTA 2. RABBIA - AGGRESSIVITÀ 139 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 LO CONSIDERI UN LIMITE O UNA RISORSA? [L] [R] SPIEGA BREVEMENTE IL PERCHÉ DELLA TUA RISPOSTA 3. MOTIVAZIONE E PERSISTENZA NEGLI IMPEGNI 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 LO CONSIDERI UN LIMITE O UNA RISORSA? [L] [R] SPIEGA BREVEMENTE IL PERCHÉ DELLA TUA RISPOSTA 4. TRISTEZZA E ABBATTIMENTO 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 LO CONSIDERI UN LIMITE O UNA RISORSA? [L] [R] SPIEGA BREVEMENTE IL PERCHÉ DELLA TUA RISPOSTA 5. RESPONSABILITÀ E COLPA 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 LO CONSIDERI UN LIMITE O UNA RISORSA? [L] [R] SPIEGA BREVEMENTE IL PERCHÉ DELLA TUA RISPOSTA 6. IMBARAZZO - VERGOGNA 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 LO CONSIDERI UN LIMITE O UNA RISORSA? [L] [R] SPIEGA BREVEMENTE IL PERCHÉ DELLA TUA RISPOSTA 7. SOLIDARIETÀ E SENSIBILITÀ VERSO GLI ALTRI 140 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 LO CONSIDERI UN LIMITE O UNA RISORSA? [L] [R] SPIEGA BREVEMENTE IL PERCHÉ DELLA TUA RISPOSTA 8. IMPULSIVITÀ E INTUITIVITÀ NELL’AGIRE E NEL DECIDERE 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 LO CONSIDERI UN LIMITE O UNA RISORSA? [L] [R] SPIEGA BREVEMENTE IL PERCHÉ DELLA TUA RISPOSTA 9. SOCIEVOLEZZA 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 LO CONSIDERI UN LIMITE O UNA RISORSA? [L] [R] SPIEGA BREVEMENTE IL PERCHÉ DELLA TUA RISPOSTA 10. ATTEGGIAMENTO PASSIVO E RINUNCIATARIO NEI RAPPORTI SOCIALI 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 LO CONSIDERI UN LIMITE O UNA RISORSA? [L] [R] SPIEGA BREVEMENTE IL PERCHÉ DELLA TUA RISPOSTA 11. FUGA - EVITAMENTO DEI PROBLEMI E DELLE DIFFICOLTÀ 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 LO CONSIDERI UN LIMITE O UNA RISORSA? [L] [R] SPIEGA BREVEMENTE IL PERCHÉ DELLA TUA RISPOSTA 12. ASSERVITÀ 141 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 LO CONSIDERI UN LIMITE O UNA RISORSA? [L] [R] SPIEGA BREVEMENTE IL PERCHÉ DELLA TUA RISPOSTA 13. ANALITICITÀ - ATTENZIONE AI PARTICOLARI 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 LO CONSIDERI UN LIMITE O UNA RISORSA? [L] [R] SPIEGA BREVEMENTE IL PERCHÉ DELLA TUA RISPOSTA 14. ATTENZIONE ALLA VISIONE GENERALE - GLOBALE DELLE SITUAZIONI 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 LO CONSIDERI UN LIMITE O UNA RISORSA? [L] [R] SPIEGA BREVEMENTE IL PERCHÉ DELLA TUA RISPOSTA 15. SISTEMATICITÀ E PIANIFICAZIONE NELL’AGIRE 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 LO CONSIDERI UN LIMITE O UNA RISORSA? [L] [R] SPIEGA BREVEMENTE IL PERCHÉ DELLA TUA RISPOSTA 16. INDIPENDENZA DAL CAMPO 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 LO CONSIDERI UN LIMITE O UNA RISORSA? [L] [R] SPIEGA BREVEMENTE IL PERCHÉ DELLA TUA RISPOSTA 17. DIPENDENZA DAL CAMPO 142 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 LO CONSIDERI UN LIMITE O UNA RISORSA? [L] [R] SPIEGA BREVEMENTE IL PERCHÉ DELLA TUA RISPOSTA 18. PREFERENZA PER COMPITI VERBALI 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 LO CONSIDERI UN LIMITE O UNA RISORSA? [L] [R] SPIEGA BREVEMENTE IL PERCHÉ DELLA TUA RISPOSTA 19. PREFERENZA PER COMPITI VISIVI 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 LO CONSIDERI UN LIMITE O UNA RISORSA? [L] [R] SPIEGA BREVEMENTE IL PERCHÉ DELLA TUA RISPOSTA 20. RICCHEZZA E ARTICOLAZIONE DEL SISTEMA DI COSTRUTTI PERSONALI 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 LO CONSIDERI UN LIMITE O UNA RISORSA? [L] [R] SPIEGA BREVEMENTE IL PERCHÉ DELLA TUA RISPOSTA 21. STILE ATTRIBUTIVO INTERNO 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 LO CONSIDERI UN LIMITE O UNA RISORSA? [L] [R] SPIEGA BREVEMENTE IL PERCHÉ DELLA TUA RISPOSTA 22. STILE ATTRIBUTIVO ESTERNO 143 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 LO CONSIDERI UN LIMITE O UNA RISORSA? [L] [R] SPIEGA BREVEMENTE IL PERCHÉ DELLA TUA RISPOSTA 23. STILE ATTRIBUTIVO SPECIFICO 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 LO CONSIDERI UN LIMITE O UNA RISORSA? [L] [R] SPIEGA BREVEMENTE IL PERCHÉ DELLA TUA RISPOSTA 24. STILE ATTRIBUTIVO GLOBALE 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 LO CONSIDERI UN LIMITE O UNA RISORSA? [L] [R] SPIEGA BREVEMENTE IL PERCHÉ DELLA TUA RISPOSTA 25. STILE ATTRIBUTIVO STABILE 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 LO CONSIDERI UN LIMITE O UNA RISORSA? [L] [R] SPIEGA BREVEMENTE IL PERCHÉ DELLA TUA RISPOSTA 26. STILE ATTRIBUTIVO VARIABILE 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 LO CONSIDERI UN LIMITE O UNA RISORSA? [L] [R] SPIEGA BREVEMENTE IL PERCHÉ DELLA TUA RISPOSTA 27. SISTEMATICITÀ NEL DECIDERE E NELL’AGIRE 144 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 LO CONSIDERI UN LIMITE O UNA RISORSA? [L] [R] SPIEGA BREVEMENTE IL PERCHÉ DELLA TUA RISPOSTA 28. CONSAPEVOLEZZA E GESTIONE DELLE EMOZIONI 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 LO CONSIDERI UN LIMITE O UNA RISORSA? [L] [R] SPIEGA BREVEMENTE IL PERCHÉ DELLA TUA RISPOSTA 29. CAPACITÀ DI RISOLVERE PROBLEMI E CONFLITTI INTERPERSONALI 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 LO CONSIDERI UN LIMITE O UNA RISORSA? [L] [R] SPIEGA BREVEMENTE IL PERCHÉ DELLA TUA RISPOSTA 30. AUTOCONTROLLO 145 NELLO SPAZIO CHE SEGUE PUOI AGGIUNGERE ALTRI ASPETTI DELLA TUA PERSONALITÀ CHE NON SONO STATI CITATI NEL QUESTIONARIO PRECEDENTE E CHE TU RITIENI, A SE- CONDA DEI CASI, UN LIMITE O UNA RISORSA. ANCHE PER QUESTI ULTIMI, SPIEGA BREVE- MENTE PERCHÉ LI CONSIDERI UNA RISORSA O UN LIMITE . ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 146 ESPLICITARE LE PROPRIE METE* Capacità in oggetto Esplicitare i propri obiettivi e stimarne il grado di realismo. Finalità Incrementare negli allievi la consapevolezza degli obiettivi perso- nalmente perseguiti. Tempi Un incontro di circa tre ore. Descrizione dell’incontro OBIETTIVI 1. Discriminare le differenze tra sé percepito e sé reale. 2. Individuare gli obiettivi che personalmente si desidera raggiun- gere. 3. Stimare il grado di realismo del proprio livello di aspirazione. 4. Pianificare i passi necessari per il conseguimento degli obiet- tivi. FASI Esperienza concreta Il formatore propone agli allievi di rispondere individualmente alle domande riportate nell’allegato 1. Osservazione riflessiva Il formatore invita gli allievi a formare gruppi da quattro e a com- pletare la traccia di riflessione (All. 2). Concettualizzazione astratta Il formatore presenta agli allievi alcuni elementi teorici concer- nenti il concetto di sé, l’autostima e ill livello di aspirazione allo scopo di chiarire loro quali aspetti possono entrare in gioco nella formulazione degli obiettivi personali (All. 3). Sperimentazione attiva Il formatore presenta agli allievi la scheda “Scienziati o Maghi” (All. 4) e chiede loro di completarla rispondendo individualmente ad alcune domande. Quando tutti hanno terminato, il formatore invita gli allievi a con- dividere le loro riflessioni. QUINTA UNITÀ 147 Conclusione L’unità si conclude invitando ogni allievo ad individuare, per le tre dimensioni cognitiva, emotiva e comportamentale, due obiettivi che desiderano raggiungere (All. 5) e aiuta loro a formularli in ter- mini operazionali ponendo alcune domande, quali: - Cosa dovrebbe succedere perché possa dire che l’obiettivo è rag- giunto? - Da che cosa gli altri se ne accorgerebbero? - Cosa faresti di più o cosa faresti di meno? MATERIALI Allegati 1, 2, 3, 4, 5 Lavagna luminosa Lavagna a fogli SUGGERIMENTI EDUCATIVI Allo scopo di aiutare gli allievi a divenire sempre più consapevoli delle proprie mete, i formatori possono: 1. sensibilizzare loro alla rilevanza che riveste per un agire effi- cace la capacità di rappresentarsi delle mete; 2. sollecitare loro a chiedersi, rispetto ad alcune scelte comporta- mentali, quali siano gli obiettivi espliciti o taciti che stanno cer- cando di perseguire; 3. richiamare sistematicamente la loro attenzione, prima di un compito o di un’attività, alla necessità di rappresentarsi mental- mente l’obiettivo che deve essere raggiunto; 4. aiutare loro, attraverso contatti personalizzati, a coscientizzare e a chiarire i propri obiettivi e a stimarne il grado di realismo e fattibilità. * Questa unità è stata elaborata da Barbara Baldini 148 Quinta unità - Allegato 1 COSA PENSO DI ME IN QUESTO MOMENTO… Leggi le 10 domande riportate qui di seguito e rispondi indicando cosa pensi di te in questo momento. 1. Quanto sono famoso tra i compagni? 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Non piaccio a nessuno Nella media Sono il più famoso della scuola 2. Come sono i miei voti? 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Tutti insufficienti Nella media Ottimi in tutte le materie 3. Quanto sono bello? 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Sono molto brutto Nella media Sono bellissimo 4. Quanto sono intelligente? 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Sono uno stupido Nella media Sono intelligentissimo 5. Quanto sono capace di comportarmi bene? 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Mi comporto sempre male Nella media Mi comporto sempre bene 6. Quanto sono bravo negli sport? 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Sono un imbranato Nella media Sono un vero atleta 7. Quanto sono vestito alla moda? 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Sembro uno straccione Nella media Come nelle riviste di moda 8. Quanto sono spiritoso? 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Per niente Nella media Come un attore comico 9. Quanto sono simpatico? 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Sono molto antipatico Nella media Sono il più simpatico 10. Quanto sono di marca le cose che possiedo? 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Sono le più scadenti Nella media Sono le migliori 149 SAREI DAVVERO SODDISFATTO DI ME STESSO SE… Leggi le 10 domande riportate qui di seguito e rispondi indicando come se- condo te dovrebbero essere alcune tue caratteristiche e certe tue capacità per essere veramente soddisfatto di te stesso. 1. Quanto dovresti essere famoso tra i tuoi compagni per sentirti veramente sod- disfatto di te stesso? 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Non mi interessa Nella media Il più famoso della scuola piacere agli altri 2. Come dovrebbero essere i tuoi voti per sentirti veramente soddisfatto di te stesso? 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Non mi interessa Nella media Dovrei avere anche se ho ottimi voti in tutte insufficienze tutte le materie 3. Quanto dovresti essere bello per sentirti veramente soddisfatto di te stesso? 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Anche brutto Nella media Bellissimo 4. Quanto dovresti essere intelligente per sentirti veramente soddisfatto di te stesso? 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Anche stupido Nella media Intelligentissimo 5. Quanto dovresti essere capace di comportarti bene per sentirti veramente sod- disfatto di te stesso? 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Anche se non so Nella media Dovrei non come comportarmi sbagliare mai non mi importa 6. Quanto dovresti essere bravo negli sport per sentirti veramente soddisfatto di te stesso? 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Anche se sono un Nella media Bravissimo e atletico imbranato non importa 7. Quanto dovrebbero essere belli e alla moda i tuoi vestiti per sentirti veramente soddisfatto di te stesso? 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Anche degli stracci Abbastanza decorosi, Stupendi andrebbero bene indipendentemente dalle riviste di moda 150 8. Quanto dovresti essere spiritoso per sentirti veramente soddisfatto di te stesso? 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Senza senso dell’humor Nella media Come un attore comico 9. Quanto dovresti essere simpatico per sentirti veramente soddisfatto di te stesso? 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Va bene anche antipatico Nella media Il più simpatico 10. Quanto dovrebbero essere di marca le cose che possiedi per sentirti veramente soddisfatto di te stesso? 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Anche scadenti Nella media Le migliori Indica quanto sono importanti per te i 10 aspetti elencati di seguito, mettendo un numero da 1 a 10 nel quadratino accanto a ciascuno di essi (1 indica l’aspetto più importante, 10 il meno importante). Ricorda che non puoi assegnare lo stesso numero a più di un aspetto. 1. Essere popolare F 2. Avere dei bei voti F 3. Essere bello F 4. Essere intelligente F 5. Essere capace di comportarsi bene F 6. Essere bravo nello sport F 7. Essere vestito alla moda F 8. Essere spiritoso F 9. Essere simpatico F 10. Avere oggetti e vestiti di marca F Confrontando le risposte date al questionario “Cosa penso di me in questo mo- mento” e le risposte date al questionario “Sarei davvero soddisfatto di me stesso se…” quali riflessioni puoi fare? Il come sei adesso, coincide con quello che vor- resti essere? Quali sono gli aspetti che presentano il minore scarto? E quelle che hanno invece uno scarto maggiore? Gli aspetti che presentano uno scarto mag- giore, che posto occupano nella tua gerarchia? Per quali aspetti pensi di avere le possibilità e gli strumenti per migliorarti? Per quali, invece, pensi di non avere molte possibilità? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... Adattato da: Stark, 1995, 261-269. 151 Quinta unità - Allegato 2 TRACCIA DI RIFLESSIONE In ognuno di noi è presente un sé reale e un sé ideale. Il sé reale rappresenta il modo in cui vediamo noi stessi; il sé ideale il modo in cui vorremmo essere. Se- condo voi, quali sono le possibili conseguenze di una forte discrepanza tra sé reale (come mi vedo) e sé ideale (come vorrei essere)? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... Quali potrebbero essere le conseguenze se la discrepanza fosse inesistente? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... Quali, invece, se la discrepanza fosse moderatamente presente? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... Ciascuno di noi, in base al suo sistema di valori, si pone degli obiettivi. Quali sono, secondo voi, gli elementi che permettono di valutare il grado di realismo di un obiettivo? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 152 Quinta unità - Allegato 3 FORMULAZIONE DEGLI OBIETTIVI PERSONALI: LINEAMENTI TEORICI Avere scopi e programmare piani per realizzarli è comune esperienza della vita quotidiana. La capacità di rappresentarsi delle mete e di agire conformemente ad esse è di estrema importanza per il nostro benessere e per la nostra efficacia personale. Ma quali sono i processi che entrano in gioco nella determinazione di scopi e piani di azione? Un primo processo da considerare è rappresentato dalle nostre emozioni. Esse regolano il nostro agire avvicinandoci a situazioni o eventi sperimentati come pia- cevoli e allontanandoci da quelli sperimentati come spiacevoli o avversivi. Così, se la realtà X ci provoca una emozione positiva, probabilmente ci attive- remo per averla; al contrario, se la realtà X ci provoca un’emozione negativa fa- remo il possibile per evitarla. Naturalmente gli esseri umani non agiscono solo in base ad una spinta emo- tiva; un secondo importante aspetto da considerare, nella determinazione degli scopi, è rappresentato dall’influsso degli altri: le regole del gruppo di apparte- nenza, le esigenze altrui, le richieste di persone a noi care sono tutti elementi che possono portarci a scegliere certi corsi di azione e a rifiutarne degli altri. E, infine, gioca un ruolo rilevante nella determinazione dei nostri scopi l’idea che ci siamo costruiti di noi stessi. A questo riguardo è utile soffermare l’attenzione su alcuni concetti che spesso usiamo, ma non sempre con la dovuta correttezza: concetto di sé, autostima e li- vello di aspirazione. CONCETTO DI SÉ Il concetto di sé può essere definito come l’insieme di elementi che una per- sona usa per descrivere se stessa. Io sono un docente del CFP, sono amante dello sport, ho molti amici, ecc. Sono tutti aspetti riferibili al concetto di sé. Il concetto di sé si sviluppa nell’interazione con l’ambiente. Secondo gli psi- cologi interazionisti le persone costruiscono un’idea di se stesse sulla base di come sono trattate o percepite dagli altri. Così, una persona può arrivare a vedersi bril- lante o scialba, forte o debole, capace o limitata a seconda degli stimoli ricevuti e interpretati nel suo ambiente e, una volta che l’immagine si è costruita, è assai pro- babile che la persona cominci a comportarsi con maggiore frequenza in modi con- formi al proprio concetto di sé. Quando siamo molto piccoli il senso del sé è limitato al sé fisico. Così un bambino in età prescolare, per descrivere se stesso, parlerà del suo aspetto este- 153 riore e delle cose che possiede (per esempio: “Ho i capelli biondi e una cameretta azzurra»). É soltanto durante la scuola elementare che i bambini cominciano a de- scriversi usando termini relativi a caratteristiche di personalità come ad es. simpa- tico, timido, ecc.; e occorre attendere l’adolescenza per imbattersi in termini che fanno più direttamente riferimento al sé interiore o morale (responsabile, affida- bile, ecc.). Con lo sviluppo cognitivo, inoltre, si assiste ad un passaggio da un sé globale e da descrizioni assolute riflettenti un pensiero dicotomico (buono o cattivo, sin- cero o bugiardo) ad un sé differenziato capace di contemplare le sfumature (Pope- McHale- Craighead, 1988). L’AUTOSTIMA L’autostima va differenziata dal concetto di sé. Infatti, l’autostima coincide con la valutazione che noi facciamo delle informazioni contenute nel concetto di sé. Ad esempio, se un ragazzo desse molto valore al successo scolastico e fosse soltanto uno studente mediocre, la sua autostima ne soffrirebbe. Al contrario, se at- tribuisse molto valore alla popolarità tra gli amici e all’aspetto fisico e fosse ricer- cato e bello potrebbe godere di una buona autostima. L’autostima di un individuo è pertanto il risultato di: a) informazioni oggettive riguardo a se stessi e b) valutazione soggettiva di quelle informazioni. Possiamo esaminare la formazione dell’autostima pensando al sé percepito e al sé ideale. Il sé percepito equivale al concetto di sé: una visione oggettiva di quelle abilità, caratteristiche e qualità che sono presenti e assenti. Il sé ideale è l’immagine della persona che ci piacerebbe essere. Così, un ragazzo che dà valore al successo scolastico ed è un bravo studente sarà soddisfatto di se stesso. Per contro, un ragazzo che include nel suo sé ideale la popolarità tra i compagni, ma che in realtà ha pochissimi amici, può soffrire di bassa autostima. È la forte discrepanza tra sé percepito e sé ideale che crea pro- blemi di autostima. Tale discrepanza può essere dovuta o ad un sé ideale tropo elevato, o ad un sé percepito ipovalutato. Nel primo caso la persona si pone delle mete che non sono realisticamente raggiungibili, nel secondo caso si pone delle mete che sono al di sotto delle sue po- tenzialità. In un caso come nell’altro, è molto probabile che vada incontro ad espe- rienze che minano la sua autostima. Riassumendo, quindi, l’autostima è desumibile dall’entità del divario tra sé percepito (o concetto di sé ovvero sé reale) e sé ideale (ciò a cui la persona dà va- lore o a cui vorrebbe somigliare). Un divario grande si correla ad una bassa auto- stima, mentre un divario minimo si correla in genere ad una buona autostima (Pope- McHale- Craighead, 1988). 154 LIVELLO DI ASPIRAZIONE Strettamente connesso al concetto di sé e all’autostima è il livello di aspira- zione. Con esso si intende lo standard di riuscita che un soggetto si pone e che lo induce a porsi delle mete e a lavorare per raggiungerle. In termini molto generali, le persone possono distinguersi in due grandi cate- gorie. Nella prima includiamo coloro che hanno un livello di aspirazione adeguato, ossia corrispondente alle loro reali possibilità; nella seconda, coloro che hanno un livello di aspirazione inadeguato, ossia troppo elevato o troppo basso rispetto alle loro possibilità. Naturalmente, le persone appartenenti alla prima categoria sono orientate a fare esperienze di successo, in quanto capaci di porsi mete realistiche; mentre le altre sono piuttosto orientate a fare esperienze di insuccesso, in quanto si prospet- tano mete irraggiungibili, alimentando la loro frustrazione, o si prospettano mete al di sotto delle proprie potenzialità, convincendosi progressivamente della loro inet- titudine (Franta- Colasanti, 1999). 155 Quinta unità - Allegato 4 SCIENZIATI O MAGHI? Un gruppo di 15 esperti, in possesso di capacità straordinarie, si è dichiarato disposto a mettere a tua disposizione le proprie competenze. Per questi individui tutto è possibile, puoi ottenere tutto ciò che vuoi. Dopo aver letto le competenze proprie di ciascun esperto sei chiamato a sceglierne 5 e a rifiutarne altri 5. Gli esperti sono: Prof. F. Tuttonuovo Famoso chirurgo estetico Egli è in grado di darti l’aspetto che desideri, grazie ai prodigi del suo bisturi laser completamente indolore. Con trattamenti rivoluzionari egli può darti un fisico da indossatore o da culturista; grazie a lui sarai bellissimo, tutti ti ammireranno e invidieranno. Dott. A. Bellavoro Esperto in selezione e ricerca del lavoro Egli ti farà fare il lavoro che hai sempre sognato svolgere. Prof. A. Lungavita Specialista in longevità fino a 200 anni Egli ti darà l’elisir di lunga vita, rimarrai per sempre giovane e scattante a qualsiasi età. Prof. A. Genius Esperto in intelligenza superiore Con le sue tecniche potrai rapidamente sviluppare una grandissima intelligenza. Qualsiasi problema, anche il più difficile, sarà per te un gioco da ragazzi risolverlo. Prof. J. Newhome Sessuologo Con lui potrai avere una vita sessuale totalmente appagante sia per te che per il tuo partner. Dott.ssa B. Liberaebella Esperta in relazioni familiari Rasserenerà tutti i tuoi rapporti con i tuoi genitori: a loro andrà sempre bene il tuo modo di pensare e di fare le cose; sarai libero di fare ciò che vuoi senza paura di rimproveri. Dott. H. Novasalus Specializzato in vigore fisico Egli ti darà una perfetta salute, sarai sempre protetto da malattie e disgrazie. Avv. L. Traffichini Specialista in questioni istituzionali Ti può garantire che non avrai mai problemi con le autorità e con la giustizia. Sarai al sicuro dal controllo degli insegnanti, del governo, della polizia, ecc. Dott. M. De Compagnonis Esperto il relazioni interpersonali Ti potrà far avere sempre gli amici che desideri; è, inoltre, in grado di farti vincere qualsiasi forma di timidezza, sarai sempre sicuro nei rapporti co gli altri che ti stimeranno e ti vorranno bene in ogni occasione. Prof.ssa H. Rockfeller Specialista in economia Essa ti assicura ricchezza, prosperità e investimenti economici redditizi. Il tuo tenore di vita sarà altissimo. Prof. E. Carismaticu Esperto in influenza personale e potere Ti darà la capacità di influenzare gli altri per raggiungere qualsiasi posto di comando. Sarai ascoltato, ammirato, temuto… Prof. A. Sferodecristallis Esperto in chiaroveggenza Egli ti rivelerà il tuo futuro; tu stesso imparerai l’arte della predizione. Dott. F. Insuperabile Esperto dell’animo umano Ti farà acquistare grande fiducia nei tuoi mezzi, avrai modo di conoscerti meglio e di prenderti cura di te stesso. Le tue capacità ti saranno ben chiare e acquisterai sicurezza e fiducia in te stesso. Dott. C. Generoso Specialista in conduzione di vita responsabile Con il suo aiuto sarai sensibilizzato ai bisogni degli altri. Sarai in grado contemporaneamente di pensare a te stesso ed agli altri: con le tue azioni sarai sempre in grado di aiutare il prossimo. Fonte: Marcato, Giolito, Musumeci,1997, 76. 156 1. Cosa ti suggeriscono le tue scelte e i tuoi rifiuti circa gli aspetti che in questo momento della tua vita sono importanti per te? Prova ad elencare alcuni aspetti importanti. ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 2. Come ti percepisci rispetto a questi aspetti? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 3. Per ogni aspetto indica cosa potrebbe costituire un successo o un fallimento utilizzando una scala da 1 a 5 punti dove 1-2 = successo; 4-5 = fallimento 3 = così e così. Esempio ASPETTO = buone relazioni con gli altri 4-5 andare d’accordo con la maggior parte delle persone 1-2 bisticciare con qualcuno ogni giorno 3 andare d’accordo solo con i propri amici SCRIVI DI SEGUITO I NOMI DEI CINQUE ESPERTI CHE APPREZZI MAGGIORMENTE SCRIVI DI SEGUITO I NOMI DEI CINQUE ESPERTI CHE APPREZZI MENO 1. 1. 2. 2. 3. 3. 4. 4. 5. 5. 157 4. Quali obiettivi ti piacerebbe raggiungere rispetto a ciascuno di essi? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 5. Tali obiettivi sono realisticamente raggiungibili? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 6. Se per raggiungerli potessi chiedere aiuto agli esperti che hai scelto, cosa chie- deresti? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 7. Se dovessi invece contare solo sulle tue forze, cosa potresti fare? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 158 Quinta unità - Allegato 5 I MIEI OBIETTIVI Formula, per ciascuna delle dimensioni indicate, due obiettivi che ti piace- rebbe raggiungere; quindi, dopo le sollecitazioni avute dal tuo formatore, prova a tradurli in termini operazionali. DIMENSIONE COGNITIVA 1 OBIETTIVO ............................................................................................................. ............................................................................................................................. 1A OBIETTIVO OPERAZIONALIZZATO............................................................................... ............................................................................................................................. 2 OBIETTIVO.............................................................................................................. ............................................................................................................................. 2A OBIETTIVO OPERAZIONALIZZATO............................................................................... ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. DIMENSIONE EMOTIVA 1 OBIETTIVO.............................................................................................................. ............................................................................................................................. 1A OBIETTIVO OPERAZIONALIZZATO .............................................................................. ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. 2 OBIETTIVO.............................................................................................................. ............................................................................................................................. 2A OBIETTIVO OPERAZIONALIZZATO............................................................................... ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. DIMENSIONE COMPORTAMENTALE 1 OBIETTIVO.............................................................................................................. ............................................................................................................................. 159 1A OBIETTIVO OPERAZIONALIZZATO .............................................................................. ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. 2 OBIETTIVO.............................................................................................................. ............................................................................................................................. 2A OBIETTIVO OPERAZIONALIZZATO............................................................................... ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. VARIABILE ALTRI Positività del rapporto con le persone con le quali si entra in contatto UNITÀ OPERATIVE: DESCRIZIONE E ALLEGATI 6. COMUNICARE CON EFFICACIA 7. SINTONIZZARSI CON GLI ALTRI 8. COLLABORARE E LAVORARE IN GRUPPO 9. GESTIRE I CONTRASTI E NEGOZIARE 163 COMUNICARE CON EFFICACIA* Capacità in oggetto Realizzare efficaci comunicazioni verbali e non verbali. Finalità Potenziare il repertorio comunicativo degli allievi. Tempi Otto incontri di circa due ore ciascuno. Descrizione degli incontri PRIMO INCONTRO OBIETTIVI 1. Discriminare le componenti dell’atto comunicativo. 2. Conoscere i fattori caratterizzanti una comunicazione efficace. 3. Discriminare gli aspetti verbali e non verbali della comunica- zione. FASI Esperienza concreta Il formatore presenta in classe un breve filmato (spezzone di un film o simulata videoregistrata) che rappresenti un esempio di cat- tiva comunicazione. Osservazione riflessiva Gli allievi sono invitati a rispondere individualmente alle domande della traccia di riflessione (All. 1), quindi a confrontare in gruppo le loro risposte. Concettualizzazione astratta Il formatore si sofferma ad esplicitare alcuni elementi basilari della comunicazione interpersonale, quali: le componenti dell’atto co- municativo, i fattori caratterizzanti una comunicazione efficace, le abilità di natura verbale e non verbale (All. 2). Sperimentazione attiva Gli allievi sono invitati a riportare due situazioni interpersonali: una nella quale hanno fatto esperienza di una buona comunica- zione, l’altra nella quale hanno fatto esperienza di cattiva comuni- cazione, quindi ad individuare per ciascuna di esse gli aspetti ver- bali e non verbali più salienti (All. 3). SESTA UNITÀ 164 A gruppi di quattro gli allievi sintetizzano, a partire dalle situazioni che ciascuno ha individuato, gli elementi verbali e non verbali ca- ratterizzanti una comunicazione efficace e una inefficace. Conclusione L’incontro si conclude riassumendo gli aspetti più salienti emersi ed invitando gli allievi a porre attenzione, nelle situazioni quoti- diane, al tipo di comunicazione presente tra le persone in intera- zione. MATERIALI Allegati 1, 2, 3 Lavagna luminosa Lavagna a fogli Filmato Videoregistratore SUGGERIMENTI EDUCATIVI Allo scopo di sensibilizzare gli allievi all’importanza di realizzare una comunicazione di qualità, i formatori possono: 1. proporsi come buoni modelli di comunicazione; 2. rinforzare le comunicazioni efficaci che si verificano in classe; 3. utilizzare modelli positivi offerti da libri, cinema, TV. SECONDO INCONTRO OBIETTIVI 1. Conoscere le funzioni della comunicazione non verbale. 2. Acquisire una maggiore consapevolezza delle proprie abilità o carenze nell’uso della comunicazione non verbale con partico- lare riferimento al contatto oculare, all’espressione facciale, al tono di voce. FASI Esperienza concreta Il formatore chiede agli allievi di alzarsi e di muoversi nell’aula. Al suo stop, gli allievi sono invitati a guardarsi negli occhi per tre secondi (si ripete più volte). Chiede quindi agli allievi di commentare l’esperienza (All. 4). Il formatore dispone di una lista di emozioni (All. 5); a turno chiama un allievo ed indica una emozione della lista che questi deve mimare con la sola espressione facciale; gli altri sono invitati ad indovinare di quale emozione si tratti. Il formatore chiede quindi agli allievi di commentare l’esperienza (All. 4). Il formatore invita poi gli allievi a formare delle coppie e, a turno, 165 a sedersi l’uno contro le spalle dell’altro e a recitare una filastrocca esprimendo con il tono della voce un’emozione scelta tra le possi- bili in elenco. Il partner di spalle è chiamato ad individuare l’emo- zione in questione. Il formatore chiede, quindi, agli allievi di commentare l’esperienza (All. 4). Osservazione riflessiva Gli allievi sono invitati a rispondere individualmente alle domande della traccia di riflessione (All. 6), quindi a confrontare in gruppo le loro risposte. Concettualizzazione astratta Il formatore fornisce agli allievi alcune istruzioni fondamentali re- lative all’espressione facciale, al contatto oculare, al tono di voce. (All. 7). Sperimentazione attiva Il formatore invita ciascun allievo a simulare con il tono della voce, la mimica facciale, il contatto oculare una condizione emo- tiva assegnatagli, parlando per 30 secondi di un argomento banale (all.8). La condizione emotiva dovrà essere individuata e registrata dagli altri utilizzando un apposito prospetto (All. 9). Conclusione L’incontro si conclude invitando gli allievi ad esercitare nelle di- verse situazioni i comportamenti non verbali oggetto dell’unità. MATERIALI Allegati 4, 5, 6, 7, 8, 9 Lavagna luminosa Lavagna a fogli SUGGERIMENTI EDUCATIVI Allo scopo di sensibilizzare gli allievi all’importanza di curare la comunicazione non verbale, i formatori possono: 1. invitarli a prestare attenzione alle variabili considerate nell’u- nità; 2. utilizzare le occasioni offerte dall’interazione quotidiana, per offrire feedback in tal senso. TERZO INCONTRO OBIETTIVO 1. Acquisire una maggiore consapevolezza delle proprie abilità o carenze nell’uso della comunicazione non verbale con partico- lare riferimento a postura, andatura, gestualità, prossemica. 166 FASI Esperienza concreta Il formatore propone agli allievi quattro esercizi riguardanti, ri- spettivamente, la postura, l’andatura, la gestualità e la distanza in- terpersonale. PRIMO ESERCIZIO Il formatore invita gli allievi a formare delle coppie e a sedersi l’uno di fronte all’altro. Chiede, quindi, ad entrambi i partner di “congelarsi” e, restando assolutamente immobili, di divenire con- sapevoli e di memorizzare sia la propria postura, sia quella del proprio partner. Passato un certo tempo, ogni partner può “scon- gelarsi” e ricevere suggerimenti per migliorare, se occorre, la pro- pria postura per renderla composta, sebbene rilassata e confiden- ziale. Mentre i membri della coppia si “scongelano” a turno, il for- matore passa e offre suggerimenti. SECONDO ESERCIZIO Il formatore chiede agli allievi di girare nell’aula con una andatura: a) esageratamente molle; b) impettita e vanitosa; c) rilassata e confidenziale. TERZO ESERCIZIO Il formatore invita gli allievi a descrivere, solo gesticolando, la propria casa usando dapprima gesti ampi ed esagerati, poi gesti ap- propriati. QUARTO ESERCIZIO Il formatore chiede nuovamente agli allievi di formare delle coppie. Un partner rimane in piedi, l'altro avanza e si ferma ad una distanza agevole per lui. Discute quindi con il proprio compagno se la distanza è troppo vicina, troppo lontana o adeguata e prova a correggerla se necessario. Si scambiano i ruoli e si ripete. Osservazione riflessiva Gli allievi sono invitati a rispondere individualmente alle domande della traccia di riflessione (All. 10), quindi a confrontare in gruppo le loro risposte. Concettualizzazione astratta Il formatore fornisce agli allievi alcune istruzioni fondamentali re- lativamente a postura, andatura, gestualità e prossemica (All. 7). Sperimentazione attiva Il formatore invita gli allievi a simulare una situazione nella quale è chiesto loro di raggiungere un amico in birreria: un ragazzo entra, vede l'amico al banco, fa un gesto, si avvicina verso di lui e 167 si ferma ad una distanza appropriata. Quindi, insieme, vanno al ta- volo e si siedono. Dopo che ogni coppia ha simulato la scena, segue il feedback del gruppo su postura, andatura, gestualità e distanza interpersonale. Conclusione L’incontro si conclude invitando gli allievi ad esercitare nelle di- verse situazioni i comportamenti non verbali oggetto dell’unità. MATERIALI Allegati 7, 10 Lavagna luminosa Lavagna a fogli SUGGERIMENTI EDUCATIVI Allo scopo di sensibilizzare gli allievi all’importanza di curare la comunicazione non verbale, i formatori possono: 1. invitare loro a prestare attenzione alle variabili considerate nel- l’unità; 2. utilizzare le occasioni offerte dall’interazione quotidiana per of- frire feedback in tal senso. QUARTO INCONTRO OBIETTIVI 1. Conoscere le abilità di base richieste per aprire, mantenere e chiudere una conversazione. 2. Acquisire una maggiore consapevolezza delle proprie abilità o carenze nell’uso delle abilità concernenti la conversazione. FASI Esperienza concreta Il formatore propone agli allievi quattro esercizi riguardanti le abi- lità implicate nell’aprire, mantenere e chiudere una conversazione. PRIMO ESERCIZIO Il formatore invita gli allievi a girare nell’aula. Al suo stop cia- scuno deve fermarsi e fare delle affermazioni di apertura con al- meno due persone. SECONDO ESERCIZIO Il formatore invita gli allievi a prendere a turno la parola per un minuto e mezzo iniziando con un'espressione del tipo “Io sono…e io...”; la persona che prende la parola dovrà fare attenzione a non ripetere quanto ha già detto nel tempo a sua disposizione. TERZO ESERCIZIO Il formatore chiede agli allievi di formare delle coppie. Dà, quindi, 168 a ciascuna coppia un argomento specifico di cui parlare per due minuti. Terminato il tempo suggerisce un altro argomento su cui conversare per altri due minuti. QUARTO ESERCIZIO Il formatore invita ciascun allievo a simulare la seguente situa- zione: entra in pizzeria, vede un suo amico ad un tavolo in compa- gnia di altri; si avvicina, lo saluta, scambia due battute, quindi si congeda. Osservazione riflessiva Gli allievi sono invitati a rispondere individualmente alle domande della traccia di riflessione (All. 11), quindi a confrontare in gruppo le loro risposte. Concettualizzazione astratta Il formatore fornisce agli allievi alcune istruzioni fondamentali re- lative alle abilità dell’aprire, mantenere e chiudere una conversa- zione (All. 12). Sperimentazione attiva Il formatore invita gli allievi a disporsi in due cerchi concentrici, facendo sì che ogni membro del gruppo abbia di fronte a sé un altro membro del gruppo. La consegna è di aprire, mantenere e chiudere una conversazione con la persona che si ha di fronte avendo a disposizione un tempo di tre minuti. Trascorso questo tempo, le persone disposte nel cerchio esterno ruoteranno di un posto e si ripeterà l'esercizio con un altro membro del gruppo fino a conclusione del giro. Conclusione L’incontro si conclude con un gioco di ruolo. Gli allievi devono infatti simulare una situazione che si verifica alla fermata dell’au- tobus. Qui un allievo incontra una persona che conosce, ma che non vede da molto tempo. Inizia la conversazione dicendo: “È tanto che non ci vediamo...”. Continua la conversazione per tre minuti. Passato questo tempo, cerca di congedarsi mentre il suo interlocutore si adopera per trattenerlo. Dopo che ogni allievo ha simulato la scena, segue il feedback del gruppo su formule di apertura e di chiusura della comunicazione, adeguatezza dei con- tenuti. MATERIALI Allegati 11,12 Lavagna luminosa Lavagna a fogli 169 SUGGERIMENTI EDUCATIVI Allo scopo di aiutare gli allievi a potenziare le abilità di aprire, mantenere e chiudere una conversazione, i formatori possono invi- tare loro ad identificare delle situazioni nelle quali mettere in atto tali abilità e ad esercitarle quanto più possibile nelle interazioni quotidiane. QUINTO INCONTRO OBIETTIVI 1. Conoscere le abilità verbali e non verbali richieste per espri- mere sentimenti ed opinioni. 2. Acquisire una maggiore consapevolezza delle proprie abilità o carenze nell’esprimere sentimenti ed opinioni. FASI Esperienza concreta Il formatore propone agli allievi due esercizi riguardanti l’abilità di saper esprimere sentimenti ed opinioni. PRIMO ESERCIZIO Il formatore invita gli allievi a riflettere su due sentimenti piace- voli e su due sentimenti spiacevoli sperimentati recentemente. Viene quindi chiesto loro di rappresentarsi con accuratezza le si- tuazioni o gli episodi connessi a tali sentimenti, quindi di avviare una comunicazione espressiva al riguardo, scegliendo 4 persone del gruppo. SECONDO ESERCIZIO Il formatore simula il comportamento del Sig. Rossi che si trova in fila alla posta (dopo essere stato sorpassato da una persona arrivata dopo di lui, il sig. Rossi, poggiando la mano sulla spalla della per- sona che lo ha sorpassato, dice con voce ferma: «Prego, torni al suo posto!»). Invita quindi i membri del gruppo a fornire la propria risposta, su un foglietto mobile, scegliendo, tra le seguenti quattro possibilità: - il Sig. Rossi ha espresso un suo diritto; - il Sig. Rossi ha problemi personali; - il sig. Rossi è una persona aggressiva ed è passato nel torto; - il sig. Rossi non poteva fare altrimenti. In base alle risposte date dalla maggior parte dei partecipanti si di- vide il gruppo in due sottogruppi; questi ultimi si dispongono l'uno di fronte all'altro e a turno un rappresentante di ogni gruppo so- stiene il confronto sulla propria opinione con un rappresentante dell'altro gruppo. Gli altri membri sono in piedi alle spalle del par- 170 tecipante che li rappresenta e possono spostarsi da un gruppo al- l'altro a seconda della validità delle opinioni espresse dai due par- tecipanti. Osservazione riflessiva Gli allievi sono invitati a rispondere individualmente alle domande della traccia di riflessione (All. 13), quindi a confrontare in gruppo le loro risposte. Concettualizzazione astratta Il formatore fornisce agli allievi alcune istruzioni fondamentali re- lative all’abilità di esprimere sentimenti ed opinioni (All.14). Sperimentazione attiva Il formatore invita gli allievi a simulare una situazione che può ve- rificarsi all’uscita dal cinema: a coppie esprimono sentimenti ed opinioni divergenti rispetto al film appena visto. (variante) A coppie possono discutere, scambiandosi sentimenti ed opinioni, su argomenti che facilmente si prestano ad una contro- versia. Al termine, ogni coppia riceve un feedback circa le abilità verbali e non verbali concernenti l’espressione di sentimenti ed opinioni. Conclusione L’incontro si conclude invitando gli allievi ad identificare una si- tuazione nella quale incontrano difficoltà ad esprimere sentimenti ed opinioni e nella quale possono mettere in atto le abilità eserci- tate nell’unità. MATERIALI Allegati 13, 14 Lavagna luminosa Lavagna a fogli SUGGERIMENTI EDUCATIVI Allo scopo di aiutare gli allievi a potenziare le abilità di esprimere sentimenti ed opinioni, i formatori possono: 1. favorire momenti di discussione e di confronto nel gruppo classe; 2. invitare loro, quando è possibile, ad utilizzare messaggi di auto- presentazione; 3. utilizzare nella comunicazione con gli allievi messaggi espres- sivi e prospettivo-ipotetici. 171 SESTO INCONTRO OBIETTIVI 1. Conoscere le abilità verbali e non verbali richieste per fare e ri- cevere complimenti. 2. Acquisire una maggiore consapevolezza delle proprie abilità o carenze nel fare e ricevere complimenti. FASI Esperienza concreta Il formatore propone agli allievi di sedersi in cerchio. Un allievo è quindi invitato a fare un complimento al compagno che si trova alla sua destra. Questi lo riceve, quindi, a sua volta, fa un complimento al com- pagno seduto alla sua destra. Si procede in questo modo sino alla fine del giro. Il complimento non deve essere particolarmente per- sonale e profondo, ma sincero. Terminata questa fase, coloro che hanno fatto il complimento esprimono a chi lo ha ricevuto, un'e- spressione di apprezzamento su alcune modalità concrete utilizzate nel riceverlo (Esempio: “Avevi un buon contatto con gli occhi e la tua voce era chiara”). Osservazione riflessiva Gli allievi sono invitati a rispondere individualmente alle domande della traccia di riflessione (All. 15), quindi a confrontare in gruppo le loro risposte. Concettualizzazione astratta Il formatore fornisce agli allievi alcune istruzioni fondamentali re- lative all’abilità di fare e ricevere complimenti (All. 16). Sperimentazione attiva Il formatore invita gli allievi a sedersi a turno al centro della stanza. Gli altri si dispongono in cerchio e ciascuno fa un compli- mento al compagno che si trova al centro, il quale ha il compito di riceverlo appropriatamente. Si procede fin quando tutti hanno avuto la possibilità di sedersi al centro. A conclusione del giro si procede ad un feedback di gruppo circa i comportamenti verbali e non verbali utilizzati nel corso dell’esercizio. Conclusione L’incontro si conclude invitando gli allievi a scrivere in forma ano- nima, su un foglietto mobile, un complimento che vorrebbero rice- vere. Quindi si raccolgono i foglietti in un sacchetto ed ogni allievo è chiamato a pescarne uno. Si passa alla lettura dei complimenti ricevuti e si commenta l’espe- 172 rienza sottolineando la preziosità per il benessere di ciascuno di fare più spesso uso dell’abilità oggetto dell’incontro. MATERIALI Allegati 15, 16 Lavagna luminosa Lavagna a fogli SUGGERIMENTI EDUCATIVI Allo scopo di aiutare gli allievi a potenziare le abilità di fare e rice- vere complimenti, i formatori possono: 1. utilizzare messaggi di stima e apprezzamento nei confronti degli allievi; 2. invitare gli allievi a scambiarsi apprezzamenti dopo esperienze di lavoro comune. SETTIMO INCONTRO OBIETTIVI 1. Incrementare la consapevolezza circa il proprio stile comporta- mentale in riferimento alla critica. 2. Conoscere le abilità verbali e non verbali richieste per formu- lare una critica costruttiva. 3. Conoscere gli atteggiamenti e le abilità che permettono di rice- vere una critica positivamente. FASI Esperienza concreta Il formatore invita gli allievi a rispondere individualmente alle do- mande riportate negli allegati 17 e 18, quindi a scegliere un com- pagno con cui condividere le proprie risposte. Osservazione riflessiva Gli allievi che hanno lavorato in coppia sono chiamati a scegliere un’altra coppia e a completare insieme le domande della traccia di riflessione (All. 19). Concettualizzazione astratta Il formatore fornisce agli allievi alcune istruzioni fondamentali re- lative all’abilità di esprimere e ricevere critiche (All. 20). Sperimentazione attiva Il formatore invita ciascun allievo a riflettere su un’esperienza per- sonale insoddisfacente relativamente all’esercizio della critica; quindi a ricercare modalità espressive più assertive ed efficaci uti- lizzando la scheda “Esercitare la critica” (All. 21). 173 Avvia, quindi un confronto sul lavoro personale di ciascuno, sti- molando opportuni feedback. Successivamente chiede agli allievi di disporsi in cerchio e di sce- gliere un compagno dal quale ricevere una critica. Il compagno scelto dovrà formulare la critica assertivamente e l’allievo rice- verla utilizzando modalità verbali e non verbali adeguate, rispetto alle quali il gruppo fornirà il suo feedback. Conclusione L’incontro si conclude riprendendo gli aspetti più salienti emersi in riferimento al fare e al ricevere critiche e concordando con gli allievi la possibilità di esercitare in classe l’abilità oggetto dell’incontro. MATERIALI Allegati 17, 18, 19, 20, 21 Lavagna luminosa Lavagna a fogli SUGGERIMENTI EDUCATIVI Allo scopo di aiutare gli allievi a potenziare le abilità di esprimere e ricevere critiche, i formatori possono: 1. ricorrere a feedback costruttivi nella valutazione del rendimento e del comportamento degli allievi; 2. prestare attenzione alle comunicazioni che si verificano tra gli allievi per correggere eventuali messaggi svalutativi e rinfor- zare gli scambi positivi; 3. invitare gli allievi a scambiarsi, quando occorre, critiche co- struttive durante o dopo esperienze di lavoro comune. OTTAVO INCONTRO OBIETTIVI 1. Incrementare la consapevolezza circa il proprio stile comporta- mentale in riferimento al fare e rifiutare richieste. 2. Conoscere le abilità verbali e non verbali caratterizzanti una ri- chiesta assertiva. 3. Conoscere le principali idee o convinzioni che possono impe- dire un rifiuto assertivo. 4. Conoscere le modalità comportamentali per esprimere un ri- fiuto assertivamente. FASI Esperienza concreta Il formatore invita gli allievi ad alzarsi in piedi e a muoversi nella stanza. Al suo stop ciascuno è chiamato a scegliere una persona alla quale fare una richiesta utilizzando la formula “Vorrei che tu…”. 174 Chi riceve la richiesta ha la possibilità di accoglierla o rifiutarla. Al successivo stop del formatore i partecipanti riprendono a muo- versi nella stanza. Si ripete per quattro volte. Osservazione riflessiva Terminato l’esercizio il formatore invita gli allievi a rispondere in- dividualmente alle domande della traccia di riflessione (All. 22), quindi a confrontare in gruppo le loro risposte. Concettualizzazione astratta Il formatore fornisce agli allievi alcune istruzioni fondamentali re- lative all’abilità di fare e rifiutare richieste (All. 23). Sperimentazione attiva Il formatore invita gli allievi a formare gruppi di tre, quindi distri- buisce, a ciascun gruppo, il foglio nel quale sono riportate alcune situazioni semistrutturate per le quali si richiede di mettere in atto il comportamento di richiesta e invita gli allievi a formulare per ciascuna situazione due richieste assertive (All. 24). Quando tutti i gruppi hanno terminato, un membro del sottogruppo legge le ri- sposte al gruppo allargato. Successivamente il formatore distribuisce ai piccoli gruppi uno o due pensieri che possono impedire la messa in atto di richieste as- sertive facendo in modo che ogni gruppo riceva pensieri diversi (All. 25). Invita, quindi, gli allievi a disputarli e a trovare pensieri alternativi. Quando tutti hanno terminato l’esercizio, i pensieri so- stitutivi vengono partecipati nel gruppo allargato. Il lavoro procede con un esercizio nel quale è richiesto agli allievi di “Imparare a dire di NO”. Il formatore invita gli allievi a for- mare delle coppie e ad avanzare a turno una richiesta alla quale l’altro deve rispondere NO. In gruppo si commenta l’esperienza. Il formatore chiede agli allievi di tornare nuovamente in coppia. Ciascuno avanza la richiesta precedentemente formulata, ma questa volta la risposta non deve essere semplicemente un NO, ma un “Non posso” seguito da una scusa non veritiera (Es.: un amico vi chiede di prestargli lo stereo per una festa. Voi rispondete: “Ac- cidenti! Non posso perché quando i miei me lo hanno regalato mi hanno fatto promettere di non prestarlo a nessuno”). In gruppo si commenta l’esperienza. Il formatore chiede agli allievi di tornare ancora una volta in coppie. Si ripete la richiesta ma questa volta la risposta di rifiuto è formulata in modo onesto, assertivo. In gruppo si commenta l’e- sperienza. A questo punto il formatore chiede agli allievi di formare gruppi 175 da tre e distribuisce ad ogni gruppo uno o due pensieri che pos- sono impedire la messa in atto di rifiuti assertivi (Allegato 26). In- vita, quindi, gli allievi a disputarli e a trovare pensieri alternativi. Quando tutti hanno terminato l’esercizio, i pensieri sostitutivi ven- gono partecipati nel gruppo allargato. Conclusione L’unità si conclude con il gioco di ruolo “Resistere alla persi- stenza”: il formatore chiede agli allievi di pensare ad un oggetto personale importante o prezioso che hanno con loro in quel mo- mento. Una volta che ciascuno ha individuato l’oggetto, il forma- tore invita gli allievi a formare delle coppie. A turno un membro della coppia dovrà cercare di farsi prestare dall’altro l’oggetto pre- zioso utilizzando tutte le “armi” a sua disposizione (adulazione, crisi, colpa, pressione, ecc.). L’altro dovrà esercitarsi nel rifiutare assertivamente e nel persistere nel rifiuto. In gruppo si commenta l’esperienza. MATERIALI Allegati 22, 23, 24,25, 26 Lavagna luminosa Lavagna a fogli SUGGERIMENTI EDUCATIVI Allo scopo di aiutare gli allievi a potenziare le abilità di fare e ri- fiutare richieste, i formatori possono: 1. sensibilizzare loro all’importanza di saper dire sí e no al mo- mento opportuno, riuscendo a gestire eventuali pressioni esterne e liberandosi da vincoli interni per lo più di natura irra- zionale; 2. aiutare loro a correggere eventuali distorsioni di pensiero che possono impedire la messa in atto dell’abilità in oggetto; 3. valorizzare le richieste che avanzano in modo opportuno e cor- reggere quelle formulate in modo pretenzioso. * Tale unità è stata realizzata facendo ampio riferimento al testo: B ECCIU M., COLASANTI A.R. (2000), La promozione delle abilità sociali: descrizione di un programma di addestramento, Roma, Edizioni A.I.PRE. 176 Sesta unità - Allegato 1 TRACCIA DI RIFLESSIONE 1. Come valuti la comunicazione presente tra i personaggi del filmato? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 2. Che cosa ti colpisce del loro modo di comunicare? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 3. Quali sono, a tuo avviso, gli elementi di disfunzionalità presenti? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 4. Come dovrebbe caratterizzarsi una comunicazione efficace? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 177 Sesta unità - Allegato 2 LA COMUNICAZIONE EFFICACE: LINEAMENTI TEORICI La comunicazione viene considerata uno strumento prezioso, di crescita per- sonale e di umanizzazione dei diversi contesti nei quali viviamo ed operiamo. Da più parti si insiste nell'attribuire difficoltà e problemi alla carente o assente comu- nicazione e, conseguentemente, si intravede nell'incremento di quest'ultima la chiave per agevolare la soluzione di molte difficoltà e problemi. L'obiettivo, nei diversi sistemi di riferimento quali la famiglia, la scuola, l'am- biente di lavoro sembra essere quello di aiutare le persone a comunicare di più. In realtà, non si tratta tanto o solo di quanto le persone comunichino tra loro, piut- tosto di come lo facciano. Se è vero, infatti, che non si può non comunicare perché qualunque comportamento può essere considerato un messaggio da leggere e deco- dificare, il problema non si pone in termini quantitativi, ma qualitativi. Si tratta quindi di stabilire quali siano i parametri di una comunicazione efficace. Comunicare vuol dire inviare, trasmettere, trasferire, mettere in comune con gli altri ciò che è nostro. Ne deriva che la competenza comunicativa coincide con la capacità di pro- durre e capire messaggi che ci mettono in interazione con altri parlanti. Ciò risulta più chiaro esaminando le componenti dell’atto comunicativo. In un atto comunicativo possiamo distinguere fondamentalmente tre componenti: a) L’EMITTENTE, ossia la fonte comunicativa che produce il messaggio, b) IL MESSAGGIO, ossia l’informazione trasmessa, c) IL RICEVENTE, ossia il destinatario che riceve e interpreta il messaggio. Affinché una comunicazione risulti efficace è necessario che l’emittente sia accurato nella codifica e che il ricevente lo sia altrettanto nella decodifica. Essere accurati nella codifica vuol dire organizzare il messaggio in funzione del destinatario facendo sí che questi possa comprenderlo; ciò significa curare sia il con- tenuto, sia lo stile relazionale. La cura del contenuto rimanda ad alcuni parametri, quali: ordine, semplicità, brevità; la cura dello stile concerne, invece, il rispetto di al- cune qualità relazionali, quali: descrittività, autenticità, empatia, flessibilità. Essere accurati nella decodifica vuol dire invece assumere lo schema di riferi- mento altrui cogliendo la comunicazione nel significato che essa ha per il nostro interlocutore. L’accuratezza nella codifica e nella decodifica è legata al possesso di abilità di natura verbale e non verbale. Le principali abilità di natura verbale fanno riferimento ad ascoltare e incorag- giare l’altro a parlare, a mantenere e chiudere una conversazione, ad esprimere sentimenti ed opinioni, a fare e ricevere complimenti, a fare e ricevere critiche, a fare e rifiutare richieste. Le abilità di natura non verbale riguardano la cura di tutto ciò che esprimiamo al di là della parole: gesti, mimica, postura, paralinguaggio, prossemica. Negli incontri successivi avremo modo di tornare più approfonditamente sulle singole abilità. 178 Sesta unità - Allegato 3 DUE ESPERIENZE DI COMUNICAZIONE Descrivi nello spazio che segue due situazioni interpersonali di cui hai fatto esperienza. La prima, si caratterizza per una buona comunicazione; la seconda, al contrario, per una cattiva comunicazione tra i partners in interazione. SITUAZIONE 1 ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... SITUAZIONE 2 ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... Ora cerca di individuare per ogni situazione gli aspetti verbali e non verbali che la caratterizzano. SITUAZIONE 1 ASPETTI VERBALI ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ASPETTI NON VERBALI ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... SITUAZIONE 2 ASPETTI VERBALI ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ASPETTI NON VERBALI ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 179 (a gruppi di quattro) Servendoti dell’apporto e del confronto con i tuoi compagni, sintetizza gli ele- menti tipici di una comunicazione efficace e di una comunicazione inefficace. COMUNICAZIONE EFFICACE COMUNICAZIONE INEFFICACE 180 Sesta unità - Allegato 4 TRACCIA DI RIFLESSIONE 1. Come hai vissuto l’esperienza? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 2. È stato facile realizzare l’esercizio o hai avuto momenti di difficoltà? Se sí, quando? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 3. Hai scoperto qualcosa di nuovo circa il tuo modo di comunicare? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 4. Come hai percepito gli altri durante l’esercizio? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 181 Sesta unità - Allegato 5 LISTA DI EMOZIONI GIOIA PAURA DISGUSTO SORPRESA PERPLESSITÀ RIFIUTO INTERESSE TERRORE RABBIA STUPORE NOIA DOLORE DISPERAZIONE BENESSERE 182 Sesta unità - Allegato 6 TRACCIA DI RIFLESSIONE 1. Quale dei tre esercizi è stato più facile per te? Quale il più difficile? Sapresti spiegarne le ragioni? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 2. Ci siamo esercitati rispetto al contatto di sguardo, alla mimica facciale, al tono di voce. Perché, secondo te, la cura di questi aspetti è importante nell’intera- zione? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 3. Ti è mai capitato di imbatterti in persone carenti in una o più di queste abilità non verbali? Se sí, che effetto hanno avuto su di te? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 183 Sesta unità - Allegato 7 LA COMUNICAZIONE NON VERBALE: LINEAMENTI TEORICI La comunicazione non verbale riguarda tutto ciò che esprimiamo al di là della parola. Essa, pertanto, include: segnali gestuali, mimici, posturali, paralinguistici e aspetti prossemici dell’interazione. Nonostante, per lungo tempo, si sia ritenuto che l’unico canale di comunica- zione realmente significativo fosse il linguaggio, attualmente viene ampiamente condivisa la posizione secondo cui il processo comunicativo implica uno scambio di messaggi espressi non solamente attraverso la parola, ma anche attraverso l'into- nazione della voce, i gesti, la postura, le espressioni facciali ed ogni altro aspetto del corpo in grado di trasmettere informazioni. In particolare, vengono riconosciute alla comunicazione non verbale tre speci- fiche funzioni: • trasmissione degli atteggiamenti interpersonali e, più in generale, di tutte quelle informazioni che riguardano questioni di relazione (amore, odio, sim- patia, dominanza, sottomissione, dipendenza); • espressione delle emozioni, dei sentimenti e di quegli atteggiamenti che cia- scuno ha nei confronti di se stesso e della propria immagine corporea; • metacomunicazione: l’inflessione della voce, i gesti, la mimica facciale e altri aspetti non verbali, concomitanti al linguaggio, forniscono, cioè, informazioni su come debba essere inteso il messaggio verbale. Nella parte che segue prendiamo in considerazione le singole abilità non ver- bali sottolineandone la funzione, il significato e la rilevanza nelle interazioni so- ciali e differenziandole negli stili passivo, assertivo-prosociale, aggressivo. IL CONTATTO OCULARE Nel rapporto interpersonale il modo in cui viene stabilito il contatto con lo sguardo dell'interlocutore può fornire utili informazioni sul tipo di relazione, sui contenuti e sulle emozioni provate dai soggetti in interazione e su aspetti di natura temperamentale. Un contatto oculare regolare e continuato, ad esempio, generalmente metaco- munica interesse per lo scambio interpersonale e risulta essere caratteristico degli individui estroversi e delle persone con comportamento affiliativo. Il contatto oculare assume caratteristiche diverse nei comportamenti passivo, assertivo- prosociale, aggressivo. Per lo più nel comportamento passivo lo sguardo è diretto verso il basso, è sfuggente; nei comportamenti assertivo-prosociale è diretto, costante e discreto; nel comportamento aggressivo è fisso verso l'interlocutore e provocatorio. 184 L’ESPRESSIONE FACCIALE Il volto costituisce la sede privilegiata per l'espressione delle emozioni e, in quanto tale, fornisce informazioni preziose sul tipo e sull'intensità dei sentimenti sperimentati dalle persone in interazione. Il sorriso, ad esempio, rappresenta uno dei più efficaci indicatori dell'atteggiamento amichevole e dell'emozione propria della gioia. Anche per l'espressione facciale è possibile individuare configurazioni diverse nei comportamenti: passivo, assertivo-prosociale e aggressivo. Nel comportamento passivo l’espressione facciale è povera, rigida, incon- gruente con la comunicazione verbale; nei comportamenti assertivo-prosociale è plastica, espressiva e corrispondente alla comunicazione verbale; nel comporta- mento aggressivo è esagerata e inadeguata rispetto alla comunicazione verbale. IL TONO DI VOCE Il tono della voce rappresenta un aspetto della dinamica vocale, indipendente dal contenuto verbale, che tuttavia fa da corona ad esso, contribuendo a dare signi- ficato o espressione alle parole. Nel comportamento passivo il tono di voce è basso, incerto, tremante, op- posto-incongruente alla comunicazione verbale; nei comportamenti assertivo-pro- sociale è opportuno sicuro, dinamico-modulato, congruente alla comunicazione verbale; nel comportamento aggressivo è elevato, concitato con prevalenza di toni acuti, inadeguato alla comunicazione verbale. LA POSTURA E L’ANDATURA La posizione del corpo, degli arti, il modo in cui una persona si siede, si alza e cammina, riflettono l'atteggiamento che la persona ha con se stessa e con gli altri. La postura e l’andatura di una persona con la quale si comunica, possono rive- lare irrequietezza, timore, sicurezza, assertività. Ad esempio, una persona che raggiunge il proprio interlocutore camminando con le spalle incurvate, può essere percepita come timida e impacciata; al con- trario, una persona dalle spalle diritte e con un’andatura risoluta può suggerire si- curezza. Per lo più nel comportamento passivo la postura è reclinata in avanti, di- messa, rigida, goffa; nei comportamenti assertivo-prosociale è rilassata, regolare, fluida; nel comportamento aggressivo è ravvicinata, invadente, scattante. LA GESTUALITÀ La gestualità e, più in generale, il linguaggio corporeo dell'individuo, rappre- sentano una comunicazione non verbale che informa i soggetti in interazione sul tipo di sentimento intra- e inter-personale che accompagna lo scambio comunica- tivo. Sebbene, nella maggioranza dei casi, i gesti del corpo rinforzino i messaggi 185 verbali, talvolta essi possono rappresentare il solo canale comunicativo possibile o opportuno tra due interlocutori. Nel comportamento passivo i gesti sono limitati nel numero, ripetitivi, non fi- nalizzati e non correlati al significato della comunicazione verbale, incerti, am- bigui, rapidi; nei comportamenti assertivo-prosociale sono aperti e cordiali; nel comportamento aggressivo sono sovrabbondanti, ampi e vistosi, irruenti e inva- denti lo spazio sociale altrui. LA DISTANZA INTERPERSONALE Un altro importante aspetto della comunicazione non verbale è rappresentato dalla distanza interpersonale che separa fisicamente gli interlocutori. Quest'ultima può variare quantitativamente e caratterizzare quindi diverse tipologie di contatto sociale e/o interpersonale. In particolare, la distanza interpersonale viene distinta in: • intima (0 - 50 cm); • personale (50 - 120 cm); • sociale (1,20 - 3,50 m); • pubblica (oltre 3,50 m). Una distanza eccessiva, caratteristica di uno stile passivo, riflette la tendenza ad assicurarsi un maggiore spazio interpersonale in difesa del proprio “territorio”; una distanza troppo ridotta, rappresentativa di uno stile aggressivo, esprime la ten- denza ad affermare i propri diritti ignorando o minimizzando quelli altrui. Ai fini di una adeguata capacità ad entrare in contatto con gli altri, si dimostra particolarmente critica la capacità di modulare la distanza interpersonale adeguan- dola al tipo di relazione sociale che si sta vivendo. Tale capacità, indicativa di uno stile relazionale assertivo-prosociale, risulta facilitare il contatto e la comunica- zione interpersonale, trasmettendo rispetto, simpatia e apertura. Relativamente alla distanza interpersonale occorre, inoltre, precisare che seb- bene sia fortemente correlata a caratteristiche personali e motivazionali, essa di- pende anche da variabili culturali. Così, in alcune popolazioni del mondo orientale, come ad esempio in quella islamica, è piuttosto diffusa la tendenza ad interagire at- traverso il contatto fisico o ad avere distanze molto ravvicinate anche con persone estranee. 186 Sesta unità - Allegato 8 UNA CONVERSAZIONE ASSURDA 1. PARLARE CON RABBIA DEI SASSI DEL PROPRIO GIARDINO 2. DESCRIVERE CON ALLEGRIA LA VETRINA DI UN NEGOZIO DI SCARPE 3. PARLARE DELLE PATATE PALESANDO UNA PROFONDA TRI- STEZZA 4. PARLARE DELLE TENDE DELLA FINESTRA CON ENFASI E INTE- RESSE 5. DESCRIVERE CON SENSO DI PAURA E TERRORE LE MAIO- LICHE DEL BAGNO 6. PARLARE CON DISGUSTO DELLE SCARPE DI UNA ZIA 7. PARLARE CON DESIDERIO DELLE STATUINE DI PORCELLANA 8. DESCRIVERE CON SORPRESA I PROPRI PIEDI 9. PARLARE CON NOIA DELLA DENTIERA DEL NONNO 10. DESCRIVERE CON CURIOSITÀ LA VETRINA E IL CAPPELLO DI UN PASSANTE 187 PROSPETTO VALUTATIVO SOGGETTO CONTATTO OCULARE MIMICA FACCIALE TONO DI VOCE STATO D'ANIMO SIMULATO 1 = I NSUFFICIENTE 2 = S UFFICIENTE 3 = B UONO Sesta unità - Allegato 9 LA VALUTAZIONE DELLE ABILITÀ 188 Sesta unità - Allegato 10 TRACCIA DI RIFLESSIONE 1. Quale dei quattro esercizi è stato più facile per te? Quale il più difficile? Sapresti spiegarne le ragioni? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 2. Ci siamo esercitati rispetto a postura, andatura, gestualità, distanza interperso- nale. Perché secondo te la cura di questi aspetti è importante nell’interazione? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 3. Ti è mai capitato di imbatterti in persone carenti in una o più di queste abilità non verbali? Se sí, che effetto hanno avuto si di te? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 189 Sesta unità - Allegato 11 TRACCIA DI RIFLESSIONE 1. Come hai vissuto i quattro esercizi? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 2. Come è stato per te - il dover avviare una conversazione? - il doverti autorivelare? - il dover mantenere una conversazione? - il dover chiudere una conversazione? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 3. Nelle situazioni quotidiane, come ti percepisci rispetto a queste abilità? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 4. In quali circostanze della vita quotidiana il possesso di tali abilità può rivelarsi prezioso? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 190 Sesta unità - Allegato 12 APRIRE, MANTENERE E CHIUDERE UNA CONVERSAZIONE: LINEAMENTI TEORICI Un aspetto importante della comunicazione interpersonale è rappresentato dalla conversazione. Con essa intendiamo una sequenza di messaggi verbali e non verbali, inviati dai soggetti in interazione, con la precisa intenzione di stabilire un rapporto umano e non un semplice scambio di informazioni (Anchisi – Gambotto Dessy, 1992, 57). Di norma, le difficoltà che si possono incontrare in riferimento alla conversa- zione riguardano l’avvio, il mantenimento e la chiusura della comunicazione. Esa- miniamo, pertanto, ciascun momento separatamente. APRIRE UNA CONVERSAZIONE Una difficoltà che possiamo sperimentare nelle situazioni sociali fa riferi- mento all'aprire una conversazione. Spesso si vorrebbe avviare una comunicazione con qualcuno, ma ci si blocca non sapendo cosa dire o ritenendo sciocco ciò che si pensa di dire. Le abilità per iniziare una conversazione consistono in: a) scegliere un argomento opportuno; b) autorivelarsi; c) formulare domande aperte e/o fornire informazioni personali; d) avere senso del timing, ossia cogliere il momento appropriato nel quale inter- venire. a) Scelta dell’argomento Quando si intende avviare di propria iniziativa uno scambio di informazioni e di opinioni, è importante scegliere opportunamente l’argomento su cui conversare. La scelta dell'argomento dovrà essere attuata facendo perno su oggetti materiali (percepibili al tatto) o immateriali (come tempo, politica, sport) oppure su persone che l'ambiente ci offre come spunto. Anche relativamente a queste ultime, pos- siamo comunicare su aspetti materiali (fisionomia, abbigliamento, ecc.) o immate- riali (sensazioni, ideologie, sentimenti) (Alberti - Dinetto, 1988, 47ss.). b) L’autoapertura L'autoapertura consiste nell'aprirsi all'altro rivelando qualcosa di sé o nel con- dividere una personale difficoltà. L’importanza dell’autoapertura consiste nel fatto che tramite essa è possibile arricchire la conversazione apportandovi nuovi ele- menti e rendendo più significativa l'interazione stessa. L’autoapertura va modulata a seconda delle situazioni sociali specifiche e del 191 grado di coinvolgimento esistente tra gli interlocutori. Così possiamo distinguere, in essa, tre diversi livelli (Anchisi – Gambotto Dessy, 1992, 66ss.). Il primo fa riferimento all’autorivelazione di comportamenti, il secondo alla condivisione di pensieri, il terzo alla comunicazione di sentimenti. Oltre a favorire l’instaurarsi di una conversazione e a stimolare l’interesse del- l’interlocutore, l’autoapertura può essere anche un efficace espediente per aiutarsi a superare più direttamente situazioni sociali temute o percepite come minaccianti. Comunicare il proprio disagio o il proprio imbarazzo all’inizio di una conversa- zione può infatti incrementare negli interlocutori l’interesse e l’attenzione nei con- fronti di ciò che ci apprestiamo a comunicare. c) Domande chiuse vs. aperte/ informazioni personali Le conversazioni, spesso, iniziano con affermazioni piuttosto generali, seguite da specifiche informazioni o dettagli su ciò che è stato fatto, visto, ecc. A partire da questi primi scambi comunicativi, gli interlocutori possono inco- raggiarsi reciprocamente a parlare rivolgendosi domande, più o meno specifiche, relativamente ai contenuti e ai sentimenti comunicati. Nella fase iniziale di una conversazione, decisiva per il proseguimento di essa, si dimostra opportuno l’uso di domande aperte. Vengono considerate aperte quelle domande che offrono all’altro la possibilità di scegliere quantitativamente e qualitativamente il tipo di risposta che intende dare. All’inizio di una conversazione la capacità di formulare e rivolgere domande aperte è di considerevole importanza dal momento che tramite esse si incoraggia l’altro ad aprirsi e ad arricchire la sua comunicazione. Un altro aspetto che caratterizza l'abilità di aprire una conversazione fa riferi- mento alla capacità di porre all'interlocutore una domanda e di offrire, al con- tempo, una o più informazioni di carattere generale e/o personale a cui l'interlocu- tore può agganciarsi. Alla richiesta di notizie, cioè, l’emittente dovrebbe affiancare l'invio di messaggi che rivelino le proprie opinioni e trasmettano all’altro qualche informazione. Naturalmente, l'informazione e la richiesta dovranno essere discrete e gli argomenti possibilmente aderenti agli interessi dell'interlocutore. d) Senso del timing Il termine timing ha un duplice significato: tempestività nell'intervenire e tem- pismo nella scelta del momento opportuno. Esercitare il timing significa porre at- tenzione agli altri, al contesto, all'argomento. Esso può essere inteso come la capa- cità di sincronizzarsi e di scegliere il momento più appropriato per inserirsi all’in- terno della conversazione e, come tale, consente di: evitare l’approccio quando l’interlocutore è impedito in atti e parole; non interrompere una conversazione già iniziata dagli altri; dare un ritmo appropriato allo scambio comunicativo. La capacità di esercitare il timing, quindi, oltre a conferire una certa fluidità alla conversazione, ne promuove il mantenimento dal momento che metacomunica 192 rispetto dello spazio comunicativo condiviso e interesse nei confronti del partner e del messaggio sia relazionale che contenutistico che questi invia. Nella tabella che segue sono sintetizzate alcune modalità per iniziare una con- versazione. RICHIESTE · Che ore sono per favore? · Sa indicarmi un buon posto per mangiare nei dintorni? COMMENTI CIRCA L’AMBIENTE · E’ piuttosto freddo qui, oggi! · Non ho mai visto questo negozio così affollato. · Devono aver ripulito questo locale dall’ultima volta che ero qui. SALUTI · Ciao, come stai? · Ehi, cosa fai da queste parti? SCAMBIO DI NOMI, INFORMAZIONI (relativamente al posto in cui si vive, all’occupazione, allo stato coniugale, ai contatti sociali) · Ciao, sono Roberto, come ti chiami? · Buon giorno, io sono il dott. Bianchi del Centro…. DOMANDE OD OSSERVAZIONI PERSONALI · Mi piace il tuo nuovo taglio di capelli · E’ la prima volta che vieni in questo locale? MANTENERE UNA CONVERSAZIONE Il modo in cui una conversazione procede dipende dal tipo di sequenza aperta. La conversazione potrà così continuare con una domanda, con un commento, con un'informazione conformemente alle battute di apertura. Prima di soffermarsi su un certo argomento sarà utile esplorarne diversi, op- pure uno stesso argomento potrà essere affrontato a diversi livelli di profondità. Nel mantenimento della conversazione è molto importante la sintonia con il nostro interlocutore; non possiamo intervenire fuori tema o in modo totalmente non pertinente, ciò creerebbe disagio e disorientamento nell'interlocutore e noi stessi passeremmo per persone poco attente e prive di tatto. Un altro aspetto importante, nel mantenere una conversazione, fa riferimento alla capacità di turnarsi nel parlare e nell'ascoltare. Per questo è utile prestare molta attenzione ai reciproci comportamenti non verbali. Turnarsi secondo un mutuo accordo non vuol, comunque, dire che i contributi comunicativi debbano es- sere uguali per tutti, ciascuno può prendere parte alla conversazione nella misura in cui lo desidera. Infine, occorre valutare l'opportunità temporale degli interventi ed evitare in- terruzioni frequenti e silenzi prolungati. Particolarmente utile, quando si creano delle pause nella conversazione, è la capacità di fare delle affermazioni di collegamento che consentano di passare ad un altro argomento. Nel mantenimento della conversazione sono richieste, tra le altre, l'abilità di: 193 a) cogliere le libere informazioni; si tratta di una abilità grazie alla quale rile- viamo nel corso di una conversazione quei semplici spunti che indicano cosa è ritenuto importante da chi parla; le libere informazioni sono tutto ciò che una persona dice di sé oltre a quanto le è stato chiesto; in tal modo rivela interessi, desideri, disponibilità e offre nuovi spunti all'interlocutore perché possa, se vuole, prolungare la conversazione; b) formulare domande e fornire informazioni personali (cfr. paragrafo prece- dente). CHIUDERE UNA CONVERSAZIONE Un'altra importante capacità nella conversazione concerne i rituali di chiusura. Alcune persone sono incapaci di congedarsi dall'interlocutore, oppure, se lo fanno, utilizzano modalità non adeguate. Quando viene esaurito il tempo a disposizione o l'interesse e si vuole termi- nare una conversazione, spesso emerge il timore di commettere uno sgarbo nei confronti dell'altro e di essere troppo bruschi o sbrigativi. Esistono diverse modalità verbali (ad es. “Adesso devo proprio andare!”) e non verbali (ad es. sedersi sul bordo della sedia, prendere le chiavi della macchina, ecc.) che segnalano il desiderio o la necessità di porre fine alla conversazione. Più in generale, possiamo distinguere quattro diverse modalità per congedarsi dai propri interlocutori e chiudere la comunicazione: a) conclusione cognitiva: consiste in una sintesi degli argomenti trattati e nella verifica di una loro comprensione (es. al termine di una conferenza); b) conclusione sociale: si attua gratificando i partecipanti ringraziandoli per l'at- tenzione e per l'impegno (es. “Molto bene! Ciò che lei ha detto è stato chiarifi- catore...”) o manifestando piacere per l'incontro (es. “È stata proprio una pia- cevole serata, ma ora devo proprio andare”); c) conclusione motivante: è definita motivante la conclusione che stimola l'inter- locutore a continuare per proprio conto nell'esame di taluni aspetti dell'argo- mento trattato, anche dopo la conclusione della conversazione; è utile al ter- mine di riunioni di lavoro (es. “Per la prossima volta ciascuno potrebbe appro- fondire un aspetto di questo argomento”); d) conclusione percettiva: definiamo percettiva la conclusione indicata da segnali mimici e gestuali, quali: cambiare posizione del corpo, sedersi con busto più eretto sulla sedia, porre le mani sulle ginocchia e sui braccioli, guardare l'oro- logio, interrompere il contatto oculare, muoversi in direzione della porta, chiu- dere l'agenda o il blocco per gli appunti; sono queste le forme che permettono di concludere una interazione senza il ricorso ad affermazioni troppo esplicite (Anchisi – Gambotto Dessy, 1992, 69ss). 194 Sesta unità - Allegato 13 TRACCIA DI RIFLESSIONE 1. Come hai vissuto l’esperienza di condividere i tuoi sentimenti con alcuni com- pagni? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 2. È stato più facile parlare delle esperienze piacevoli o spiacevoli? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 3. Nelle situazioni quotidiane, per lo più, esprimi i tuoi sentimenti? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 4. Se non lo fai, che cosa te lo impedisce? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 5. Come hai vissuto l’esercizio del sig. Rossi? Ti sei seduto a sostenere la tua opinione o hai preferito non farlo? Puoi motivare il tuo comportamento? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 6. In che modo l’abilità nell’esprimere sentimenti ed opinioni può, a tuo avviso, agevolare il rapporto con gli altri? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 195 Sesta unità - Allegato 14 ESPRIMERE SENTIMENTI ED OPINIONI: LINEAMENTI TEORICI Al fine di instaurare comunicazioni autentiche con gli altri, si rivela indispen- sabile la capacità di esprimere in modo appropriato i propri sentimenti e le proprie opinioni. Si tratta di una capacità che conferisce autorevolezza a chi ne fa uso e aiuta gli altri a regolare con maggiore consapevolezza il proprio comportamento nei confronti dell’interlocutore. ESPRIMERE SENTIMENTI Un'importante abilità che consente di instaurare contatti sociali positivi e co- struttivi con le persone che ci circondano fa riferimento all'espressione dei senti- menti. Si tratta di un'abilità della quale spesso non si ha padronanza in quanto, cul- turalmente, la manifestazione dei propri stati interiori viene censurata o conside- rata una forma di debolezza e, perciò, scoraggiata. In realtà, le emozioni sono una potente risorsa. Grazie alla loro gestione e con- divisione, infatti, è possibile coinvolgere le persone attorno a noi ed entrare più si- gnificativamente in contatto con esse. Frequentemente le persone sono abituate ad esprimere i propri sentimenti in forma indiretta (passiva) o valutativa/accusatoria (aggressiva). In un caso come nell’altro, la comunicazione non raggiunge l’obiettivo e le persone non arrivano a comprendere dove ciascuno emozionalmente si trovi. Al contrario, l’espressione accurata e rispettosa dei nostri sentimenti, oltre ad incrementare il benessere personale, riduce la possibilità che gli altri ci frainten- dano o che si sentano accusati di ciò che sperimentiamo; pertanto, migliora la qua- lità delle nostre relazioni. L’espressione assertiva dei sentimenti è un processo complesso che implica: a) il prendere contatto con ciò che si prova; b) l’attribuire ciò che si prova a specifici eventi; c) il descrivere ciò che emozionalmente si sta vivendo assumendosene la respon- sabilità. ESPRIMERE OPINIONI Una seconda abilità, concernente l'autopresentazione assertiva, riguarda l'e- spressione delle proprie opinioni e, cioè, la manifestazione del proprio punto di vista. Spesso si rinuncia a riferire le proprie idee e ad esprimere le proprie convin- zioni, per il timore di non essere condivisi, di non essere approvati e/o di dire qual- cosa di sbagliato. 196 In realtà, così facendo, priviamo gli altri del nostro contributo personale e, allo stesso tempo, coltiviamo un senso di inadeguatezza e insoddisfazione. Al fine di esprimere con successo le nostre opinioni agli altri e di sentirci, quindi, in armonia con quanto pensiamo, può essere utile tener conto di alcune semplici indicazioni che risultano correlarsi positivamente con la probabilità di esprimere efficacemente il nostro punto di vista. Esse riguardano: • l'essere chiari - una volta che si desidera esprimere il proprio punto di vista è importante essere chiari e non girare attorno all'argomento o, ancora, se non c'è chiarezza, dichiarare la propria difficoltà (ad es. “È difficile per me dare un parere ora...”); • non ricercare l'originalità - non è necessario formulare un'affermazione origi- nale per esprimere la propria opinione; si può ripetere, commentare, concor- dare, discordare con quanto espresso dagli altri; • personalizzare - è utile dare forza alla propria opinione personalizzandola con l'uso del pronome “Io” (ad es. “Mi piace questa proposta!”); le opinioni na- scoste sotto forma di domande (“Non pensate che...?”) e/o in terza persona (“Si ritiene opportuno...”) perdono gran parte dell'impatto; • non scusarsi - non fare ricorso a tattiche intimidatorie - esprimere la propria opinione è un diritto per cui non occorre scusarsi; allo stesso tempo, sono da evitare affermazioni troppo enfatiche e domande intimidatorie che mettereb- bero l'altro sulla difensiva (“Si può sapere perché?”). 197 Sesta unità - Allegato 15 TRACCIA DI RIFLESSIONE 1. Come è stato per te fare e ricevere un complimento? È stato più facile farlo o riceverlo? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 2. Quando ti è più facile fare un complimento? Quando ti è più difficile? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 3. Quando ti è più facile ricevere un complimento? Quando ti è più difficile? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 4. Qual è un complimento che ti piacerebbe ricevere e che ricevi molto rara- mente? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 5. In che modo l’abilità di fare e ricevere complimenti può, a tuo avviso, agevo- lare il rapporto con gli altri? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 198 Sesta unità - Allegato 16 FARE E RICEVERE COMPLIMENTI: LINEAMENTI TEORICI Il complimento è una comunicazione a contenuto positivo avente per oggetto caratteristiche, comportamenti, atteggiamenti, aspetti di un'altra persona ritenuti apprezzabili. Esso può riferirsi ad aspetti esteriori (“Mi piace la giacca che indossi”), a qualcosa che la persona ha fatto (“Hai fatto davvero un buon lavoro”); alla persona stessa (“Trovo che tu sia una persona comprensiva e paziente”). L'abilità di fare e ricevere complimenti è considerata un'abilità assertiva im- portante che incrementa la fiducia personale; promuove il benessere nelle rela- zioni; favorisce la realizzazione di comportamenti desiderabili. Ciò nonostante, molte persone incontrano difficoltà nel fare complimenti, nel riceverli o in entrambi i casi. La difficoltà nel farli è per lo più legata al timore di esporsi, di rendersi vulne- rabili; al timore di essere intimi, di accorciare le distanze e, talvolta, all'errata con- vinzione che l'altro vada corretto piuttosto che lodato. La difficoltà nel riceverli sembra, invece, connessa al mito della modestia, se- condo il quale occorre essere sempre umili, non fare mostra di sé, non riconoscere né, tantomeno, essere orgogliosi delle proprie doti, capacità o altro. Un complimento può essere inviato e ricevuto. Vediamo quindi di precisare quali sono le modalità più o meno corrette nel farlo e nel riceverlo. FARE COMPLIMENTI Quando si vuole esprimere un complimento è importante: - guardare negli occhi; - essere positivi nel contenuto verbale e non verbale; - essere realistici; - far riferimento a sensazioni o impressioni personali; - non usare espressioni dubitative. Inoltre, può essere utile ricordare di: - scegliere il momento giusto; - non sovraccaricare: una profusione di lodi spesso diminuisce la positività del- l'effetto sull'altro; - non manipolare con i complimenti: un complimento sortisce l'effetto deside- rato se espresso in modo sincero, senza secondi fini. Tra le espressioni inadeguate per manifestare un complimento meritano di es- sere menzionate: - l'autodeprezzamento (“Io sono praticamente una frana a sciare, ma tu sei ecce- zionale”); 199 - il sarcasmo (“Questo fiato corto denota proprio che sei in forma, non è così?”); - il boomerang (“Alla maggior parte delle persone tu non piaci, a me sí”). RICEVERE COMPLIMENTI Così come esistono modi inadeguati di fare complimenti, esistono modi non adeguati di rispondere ad essi che scoraggiano chi li fa a farne ancora. Tra questi: - la negazione (“Stai scherzando, chi io?”); - la restituzione (“Oh! Anche la tua camicia è molto carina! Davvero!”); - il rifiuto (“Ti piace questo vecchio straccio? Sono anni che ce l'ho, è ormai fuori moda”). Quando riceviamo un complimento è, invece, importante accettarlo con un grazie e con un segnale non verbale positivo, senza negarlo, minimizzarlo o invali- darlo. Relativamente all'accettazione dei complimenti, occorre distinguere il sano amor proprio (“Grazie, anch'io sono contento di come sia andato il mio discorso”), da forme narcisistiche ed egocentriche (“Naturalmente ho fatto un buon lavoro con il mio discorso. Io le cose le faccio sempre bene”). In questo secondo caso, la per- sona tende a voler fare impressione sugli altri e metacomunica superiorità. Per ricevere un complimento in modo adeguato occorre: - guardare negli occhi; - restare calmi; - sorridere, ringraziare; - elaborare il complimento (confermare); - evitare di sminuire il complimento. Inoltre, può essere utile ricordare di: - assorbire i complimenti: questi sono una risorsa preziosa a nostra disposi- zione; consentono di mantenere e creare la stima di se stessi la quale, a sua volta, può condurre ad una maggiore creatività e competenza; è importante imparare ad assorbire un complimento, lasciarsi convincere che è vero e mo- strare, a chi ce lo rivolge, di averlo riconosciuto come tale; un complimento che non viene riconosciuto o apprezzato è una risorsa perduta; - non affannarsi a restituirli; è bene fare in modo che un complimento rivoltoci rimanga unico; la fretta di ricambiare con un altro complimento interferisce con la possibilità di sperimentarlo; talvolta, restituire un complimento po- trebbe essere appropriato, dopo avere riconosciuto e mostrato apprezzamento per quello che ci è stato rivolto; ma non siamo obbligati a farlo. 200 Sesta unità - Allegato 17 QUANDO RITENGO SBAGLIATO IL COMPORTAMENTO DI UN ALTRO, IO... 1. Ti è capitato recentemente di aver visto qualcuno fare qualcosa di sbagliato? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 2. Se sí, hai espresso la critica? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 3. Se l’hai espressa, in che modo lo hai fatto? Cosa hai detto? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 4. Se non l’hai espressa, che cosa ti ha impedito di farlo? Cosa ti ha fatto prefe- rire non farlo? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 5. Sei soddisfatto del tuo comportamento o vorresti correggerlo in direzione di una maggiore assertività? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 201 Sesta unità - Allegato 18 QUANDO QUALCUNO MI CRITICA, IO.. 1. Ti è capitato recentemente di aver ricevuto una critica? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 2. Se sí, la persona che ti ha criticato, come si è comportata? Cosa ha detto? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 3. Tu come hai risposto? Cosa hai sentito dentro di te? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 4. Quando fai qualcosa di sbagliato, i tuoi genitori come reagiscono? Cosa ti di- cono? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 5. Tu come rispondi? Cosa senti dentro di te? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 202 Sesta unità - Allegato 19 TRACCIA DI RIFLESSIONE 1. Fare e ricevere critiche costituisce una delle abilità più difficili da realizzare nel rapporto interpersonale. Quali sono, secondo voi, le ragioni di ciò? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 2. Quali sono gli aspetti ai quali prestare attenzione nel fare una critica? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 3. Quale dovrebbe essere l’atteggiamento migliore nel riceverla? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 4. In che misura l’abilità nel fare e ricevere critiche può agevolare i rapporti in- terpersonali? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 203 Sesta unità - Allegato 20 FARE E RICEVERE CRITICHE: LINEAMENTI TEORICI Fare e ricevere critiche è una delle abilità assertive più complesse e delicate. È, infatti, facile assumere un atteggiamento difensivo quando si ricevono cri- tiche, così come è facile cadere nell'ipercriticismo, nell'aggressione o nell'atteggia- mento rinunciatario quando si è chiamati a rilevare comportamenti o aspetti discu- tibili o negativi di un'altra persona. Data l'inevitabilità delle situazioni in cui si può essere oggetto o fonte di cri- tica, si dimostra opportuno acquisire la capacità di formulare ed esprimere critiche costruttive e di riceverle assertivamente. La critica è una comunicazione centrata su parole, aspetti, atteggiamenti, com- portamenti di una o più persone ritenuti inadeguati. Se essa viene formulata ed espressa efficacemente, consente di: diminuire le tensioni; far evolvere una situazione in modo realistico e soddisfacente; segnalare tempestivamente ciò che non funziona perché possa funzionare meglio. Tuttavia, non è sempre facile formulare ed esprimere efficacemente le critiche; di fatto, una critica può essere costruttiva, aggressiva o manipolativa. In particolare, le critiche sono costruttive quando: - sono dirette al comportamento e non alla persona e, quindi, mirano a correg- gere e non a mortificare; - segnalano in modo positivo, utile ed efficace ciò che non funziona; - sono espresse in termini concreti e con precisi riferimenti; - sono orientate a risolvere difficoltà e problemi o a modificare il comporta- mento di un individuo in una specifica situazione; - sollecitano il senso di responsabilità. Al contrario, sono aggressive o manipolative quando: - prevale l'intenzione di aggredire in modo più o meno subdolo l'interlocutore; - sono generiche e totalizzanti; - mirano ad esercitare un controllo sul comportamento altrui; - generano sentimenti spiacevoli, come senso di colpa (attribuendo all'altro re- sponsabilità che non gli competono), di ignoranza (mettendo in crisi la sicu- rezza altrui), di ansia generica (minacciando o ricattando) (Anchisi - Gam- botto Dessy, 129ss.). FORMULARE CRITICHE COSTRUTTIVE “La critica costruttiva consiste nel fornire indicazioni precise, in termini posi- tivi, esprimendo convinzioni o disappunto senza urtare i sentimenti e la sensibilità degli altri” (Anchisi – Gambotto Dessy, 1992, 132). L'esercizio della critica co- struttiva può essere impedito da due atteggiamenti caratterizzanti, rispettivamente, 204 la persona passiva e la persona aggressiva: l'atteggiamento rinunciatario e l'atteg- giamento autoritario. L'atteggiamento rinunciatario, tipico del passivo, assume le seguenti forme: - negazione del problema (“Il problema non esiste”); - sottovalutazione del problema (“Il problema esiste, ma è di poco conto”); - sopravvalutazione del problema (“Il problema c'è, ma è tale che non si può ri- solvere”); - sottovalutazione delle capacità altrui (“Il problema c'è, ma l'altro non è in grado di fare diversamente”). Al contrario, l'atteggiamento autoritario, tipico dell'aggressivo, riflette: - standard irrealistici (“L'altro dovrebbe essere perfetto e, possibilmente, come lo voglio io”); - tendenza al pensiero dicotomico (giusto/sbagliato, buono/cattivo); - tendenza a mortificare (abuso di potere, spesso, per insicurezza personale). L'atteggiamento che si richiede, invece, per l'esercizio della critica costruttiva è quello di fiducia nei confronti dell'altro e del problema in oggetto. Al fine di formulare una critica costruttiva devono poter esserci alcune condi- zioni, come: avere parametri di valutazione appropriati; avere padronanza delle tecniche di comunicazione (Io messaggi e ascolto partecipe); nutrire fiducia nei confronti dell'altro e della sua capacità di superamento del problema. La formulazione di una critica costruttiva può essere facilitata dalla considera- zione dei seguenti passi: - partire dalla rilevazione di qualcosa di positivo; - usare espressioni caute; - bilanciare le responsabilità; - esprimere il motivo per cui si critica; - contestualizzare con esempi concreti; - fare la richiesta; - offrire la propria reale collaborazione; - concludere con ottimismo o con consigli non coercitivi. RICEVERE CRITICHE Complementare al saper formulare critiche è l’abilità di saperle ricevere. In particolare, la persona socialmente competente accetta le critiche costrut- tive e si difende da quelle aggressive o manipolative. La reazione alla critica si caratterizza diversamente negli stili passivo, aggres- sivo, assertivo. Il passivo è particolarmente vulnerabile alle critiche di fronte alle quali speri- menta ansia e scarsa fiducia in sé. Spesso, interpreta le parole che gli vengono rivolte alla luce del proprio nega- tivo concetto di sé. Di fronte ai propri errori tende a negare oppure chiede, umil- 205 mente, scusa. Quando sbaglia prova sensi di colpa, risentimento, depressione; fa fatica a comprendere il vero significato della critica e la sua utilità. L'aggressivo reagisce negativamente alle critiche incrementando un clima conflittuale. Ha reazioni immediate, scoraggia ogni intervento correttivo nei suoi confronti rinunciando, così, ad ogni possibilità di miglioramento. L'assertivo ha fiducia in sé e ciò gli consente di affrontare le critiche valutan- done la loro validità o meno. Se valide, le accetta razionalmente e si corregge per il futuro, riconoscendosi il diritto di sbagliare, se non valide le respinge e si difende. Nel rispondere efficacemente alle critiche che ci vengono inviate, dobbiamo innanzitutto accettarle. Dal momento che accettare un appunto dagli altri è tut- t'altro che semplice, si dimostra opportuno: - ricordare che le critiche sono dirette al proprio comportamento e non alla pro- pria persona; - essere capaci di disapprovare i propri errori pur apprezzando se stessi; - pensare a correggersi, non a condannarsi; - convincersi che non gli altri, ma noi stessi siamo chiamati a rispondere del no- stro comportamento e dei nostri sentimenti. Una volta che abbiamo accettato le critiche che ci vengono rivolte, possiamo rispondervi in modo variabile. In particolare, se riteniamo che la critica sia valida, possiamo: - riconoscere apertamente i nostri limiti; - se è generica, chiedere maggiori informazioni al riguardo; - informarci presso altre persone se hanno notato o meno un simile atteggia- mento/limite; - decidere se cambiare o meno il nostro atteggiamento; - ringraziare l'altra persona per averci aiutati a migliorare. Qualora ritenessimo la critica non valida, possiamo far osservare l'infonda- tezza degli apprezzamenti inviatici e farci valere positivamente. Tuttavia, può verificarsi l'eventualità che la critica pur essendo valida, ci fe- risca. In questi casi può essere opportuno: - riconoscere la fondatezza della critica; - rifiutare il tentativo di ferirci e farci valere positivamente. Infine, può accadere che ci venga inviata una critica che, oltre a non essere va- lida, ci ferisce. Qualora ciò dovesse verificarsi, può essere utile riferire aperta- mente ciò che si pensa, rifiutare le insinuazioni e farsi valere positivamente (Giusti, 1992, 52ss.). 206 Sesta unità - Allegato 21 ESERCITARE LA CRITICA Pensa ad una persona che vorresti si comportasse diversamente, relativamente ad una determinata azione. Cosa fa questa persona ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... Cosa desideri che faccia ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... Ci sono le condizioni perché possa agire diversamente? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... Formula ora la tua critica ricordandoti di 1. Descrivere il comportamento QUANDO… 2. Esprimere il tuo sentimento PROVO… 3. Esplicitare le ragioni di esso PERCHÉ… 4. Formulare una realistica richiesta VORREI… ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 207 Sesta unità - Allegato 22 TRACCIA DI RIFLESSIONE 1. Come è stato per te fare le richieste? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 2. Come è stato sentirti rispondere “Si” e sentirti rispondere “No”? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 3. Come è stata l’esperienza di accogliere o respingere le richieste degli altri? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 4. Quali sono, a tuo avviso, i fattori che possono impedire il fare una richiesta? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 5. Quali sono, a tuo avviso, i fattori che possono impedire il rifiutare una ri- chiesta? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 208 Sesta unità - Allegato 23 FARE E RIFIUTARE RICHIESTE: LINEAMENTI TEORICI Un'altra forma di comportamento assertivo concerne il fare e il rifiutare ri- chieste. Le persone anassertive passive evitano di fare richieste anche quando queste sono più che ragionevoli e, qualora riescano a farne, usano espressioni di scusa e sono convinte che gli altri non le accetteranno. Allo stesso tempo, hanno difficoltà a dire di no e quando non vogliono soddi- sfare una richiesta si servono della propria incapacità o impossibilità. Per loro è molto più facile dire “non posso” anziché “non voglio”. Le persone aggressive, al contrario, nel fare richieste risultano esigenti, insi- stenti, autoritarie; nel rifiutare si mostrano indignate e ostili. FARE RICHIESTE Il comportamento di richiesta include una duplice capacità: quella di espres- sione del desiderio e quella di gestione dell'eventuale rifiuto che ad essa può se- guire da parte dell'altro. Nel fare una richiesta è importante essere diretti e positivi, senza imbarazzo e formulare il messaggio nel modo più chiaro possibile. Sono particolarmente importanti il contatto oculare, l'espressione facciale e il tono di voce. Prima di avanzare una richiesta può essere utile esplorare o “tastare il ter- reno”. Ad esempio: “Ogni tanto vado a teatro, ti piacerebbe venire con me una di queste volte?”. La risposta a questa domanda, infatti, generalmente fornisce indicazioni sul- l'opportunità o meno di procedere con una richiesta diretta, quale: “Vuoi venire con me al Sistina sabato prossimo?”. Quando facciamo una richiesta, c'è la possibilità che l'altro possa rifiutarla. In questi casi è importante reagire alla situazione e, nonostante ci si senta delusi, pensare che l'abbiamo portata avanti bene. In questi casi può essere utile fare “buon viso a cattivo gioco” con espressioni del tipo “Pazienza! Sarà per la pros- sima volta!”. Frequentemente, il fare richieste è impedito da alcuni pensieri quali: - “L'altro potrebbe essere incapace di rifiutare”; - “L'altro potrebbe rifiutare e ciò significherebbe che io non gli piaccio e quindi non sono in gamba”; - “I miei bisogni non sono così importanti per cui io debba disturbare un'altra persona”; - “Se io chiedo avrò l'obbligo di restituire il favore a quella persona”. 209 Qualora avessimo difficoltà ad avanzare richieste è, pertanto, utile rintracciare eventuali pensieri e dialoghi interni che sottostanno e mantengono la nostra anas- sertività. RIFIUTARE RICHIESTE Al fine di stabilire contatti positivi e costruttivi con gli altri, si dimostra im- portante possedere anche un'ulteriore abilità, quella di rifiutare le richieste che ci vengono fatte e che non desideriamo soddisfare. È molto importante saper dire di no quando lo si desidera; questo semplice gesto rappresenta una forma di rispetto e di onestà verso se stessi e verso gli altri che ci aiuta a tracciare i confini interindividuali e a vivere con chiarezza i rapporti interpersonali. Tuttavia, molte persone incontrano difficoltà nel dire di no e quando ci ri- escono sperimentano notevole disagio. Spesso ci si sente obbligati a manifestare benevolenza, amicizia, disponibilità, anche quando l'atteggiamento interiore è di- verso. È come se ci sentissimo costretti ad essere benevoli. Le difficoltà ad esercitare il diritto di dire di no ad una richiesta sembrano es- sere connesse a condizioni di natura educativa e sociale che portano a sentirci in colpa o non accettati quando esprimiamo con autenticità determinati pensieri e sentimenti. D'altra parte, dire di sì quando si vorrebbe dire di no può portare, a lungo an- dare, ad una sorda ostilità verso coloro che avanzano richieste nei nostri confronti. Come per il fare richieste, anche per rifiutarle intervengono alcuni pensieri ad impedirlo. Tra questi: - “Se dicessi di no l'altro potrebbe sentirsi rifiutato o ferito”; - “I miei bisogni non sono importanti come quelli degli altri”; - “Se la persona mi ha fatto una richiesta deve essere qualcosa di molto impor- tante, visto che io non chiederei nulla se non fosse essenziale”; - “Se dico di no questa volta non mi vorranno più”; - “Se dico di no adesso non mi chiederanno più nulla”; - “Loro mi hanno detto di sí, perciò non possono dire di no”. Quando si attuano pensieri di questo tipo la persona dice di sí anche quando vorrebbe dire di no, oppure preferisce usare l'espressione “Non posso”, adducendo scuse non veritiere, anziché dire “Non voglio”. Peraltro, è molto più facile che una persona insista e continui a fare la sua richiesta di fronte a un “Non posso” piut- tosto che a un “Non voglio”. Allo scopo di salvaguardare la positività delle relazioni è, tuttavia, importante utilizzare modalità opportune e rispettose per dire no. Innanzitutto, nel rifiutare un richiesta occorre valutare la ragionevolezza o meno della richiesta stessa. Se la richiesta fosse ragionevole è bene accompagnare il rifiuto con un'espressione di scusa. 210 Ad esempio, alla richiesta di un'uscita da parte di un amico, un adolescente potrebbe rispondere: “Mi spiace, non posso. Ho promesso di badare alla mia sorel- lina stasera”. Se, al contrario, la richiesta non fosse ragionevole, pur ammettendo il bisogno dell'altro, è bene esprimere un chiaro no senza bisogno di scusarsi o giustificarsi, come “Capisco che vorresti trascorrere il fine settimana con me, ma non voglio”. Se la persona dovesse insistere con la sua richiesta è importante restare fermi nel proprio no: “Ho detto di no, ti prego non insistere oltre”. In sintesi: - iniziare la risposta con un chiaro no; - non giustificarsi ma, al contrario, fornire le ragioni del proprio rifiuto quando ciò è opportuno; - ricordarsi di avere il diritto a dire di no; - una volta rifiutata la richiesta, cambiare argomento e non aspettare di essere persuasi; - in caso di incertezza, ricercare altre informazioni. 211 Sesta unità - Allegato 24 FORMULARE RICHIESTE ASSERTIVE Devi prendere il motorino, ma qualcuno ostacola il passaggio con la sua macchina; ti avvicini e gli chiedi… ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... È sera e un tuo vicino sta ascoltando lo stereo a tutto volume; gli chiedi… ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... Hai necessità di fare una telefonata e la persona che è alla cabina telefonica la manda un po’ per le lunghe; gli dici… ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 212 Sesta unità - Allegato 25 PENSIERI CHE POSSONO IMPEDIRE IL FARE RICHIESTE 1. “L’ALTRO POTREBBE ESSERE INCAPACE DI RIFIUTARE”. 2. “L’ALTRO POTREBBE RIFIUTARE E CIÒ SIGNIFICHEREBBE CHE IO NON GLI PIACCIO E CHE QUINDI NON SONO IN GAMBA”. 3. “I MIEI BISOGNI NON SONO COSÌ IMPORTANTI PER CUI IO DEBBA DISTURBARE UN’ALTRA PERSONA”. 4. “SE IO CHIEDESSI, ALLORA AVREI UN OBBLIGO CON QUELLA PERSONA”. 213 Sesta unità - Allegato 26 PENSIERI CHE POSSONO IMPEDIRE IL RIFIUTARE RICHIESTE 1. “SE DICO DI NO L’ALTRO POTREBBE SENTIRSI RIFIUTATO O FERITO”. 2. “I MIEI BISOGNI NON SONO COSÌ IMPORTANTI COME QUELLI DEGLI ALTRI ”. 3. “SE LA PERSONA MI HA FATTO UNA RICHIESTA DEVE ESSERE QUALCOSA DI MOLTO IMPORTANTE, VISTO CHE IO NON CHIEDEREI NULLA SE NON FOSSE ES- SENZIALE”. 4. “SE DICO DI NO QUESTA VOLTA NON MI VORRANNO PIÙ ”. 5. “SE DICO DI NO ADESSO NON MI CHIEDERANNO PIÙ NULLA ”. 6. “LORO MI HANNO DETTO DI SI, PERCIÒ NON POSSO DIRE DI NO”. 7. “MI DISPIACE TROPPO PER LORO, PERCIÒ NON POSSO DIRE DI NO”. 214 SINTONIZZARSI CON GLI ALTRI Capacità in oggetto Mostrare empatia nei rapporti interpersonali e ascoltare attiva- mente i propri interlocutori. Finalità Incrementare negli allievi la capacità di cogliere la prospettiva e il vissuto di chi parla e di realizzare risposte empatiche. Tempi Due incontri di circa due ore ciascuno. Descrizione degli incontri PRIMO INCONTRO OBIETTIVI 1. Riconoscere come uno stesso evento possa essere percepito di- versamente da persone diverse. 2. Considerare le percezioni degli altri come possibili alternative alla propria visione della realtà. 3. Sensibilizzarsi all’importanza di manifestare attenzione e ri- spetto per la prospettiva altrui. FASI Esperienza concreta Il formatore proietta 20 diapositive chiedendo ai ragazzi di osser- vare le immagini in silenzio e con attenzione. Non appena è termi- nata la proiezione, invita loro a rispondere individualmente alle domande contenute nella traccia di riflessione (All. 1) e, quando tutti hanno completato, a leggere le proprie risposte in gruppo. Osservazione riflessiva Il formatore attiva un confronto di gruppo ponendo alcune do- mande stimolo (All. 2). Concettualizzazione astratta Il formatore, a partire dalla riflessione derivata dal confronto reci- proco, spiega il ruolo svolto dalla percezione nella comprensione degli altri ed introduce il concetto di empatia (All. 3). Sperimentazione attiva Il formatore invita gli allievi a formare gruppi da tre. Consegna a SETTIMA UNITÀ 215 ciascun gruppo la storia della “finestra rotta” (All. 4). Chiede ai ra- gazzi di leggerla, quindi di identificare: - ciò che il proprietario pensa e prova; - ciò che pensa la polizia; - ciò che pensano i ragazzi e cosa provano. Quando tutti i gruppi hanno completato il lavoro, si confrontano le risposte che ogni gruppo ha dato e si apre la discussione circa l’importanza di ascoltare i diversi punti di vista per avere una cor- retta visione del problema e giungere ad una comprensione inter- personale. MATERIALI Allegati,1, 2, 3, 4 Lavagna luminosa SECONDO INCONTRO OBIETTIVI 1. Discriminare le forme di ascolto efficaci e inefficaci. 2. Attuare interventi verbali di tipo empatico. FASI Esperienza concreta Il formatore invita i ragazzi a leggere individualmente l’intera- zione riportata nell’allegato 5 e a confrontarsi con un compagno per poi rispondere, in coppia, alle domande che ad essa seguono. Conclusa questa prima fase, si replica il procedimento per la situa- zione interattiva riportata nell’allegato 6. Osservazione riflessiva Il formatore stimola la riflessione sulle differenze rilevabili nelle due interazioni e raccoglie le osservazioni dei ragazzi. Concettualizzazione astratta Il formatore introduce la competenza del sapersi ascoltare, illustra i parametri che consentono di differenziare gli interventi di ascolto efficaci da quelli inefficaci, quindi presenta le forme di supporto verbale (parafrasi e verbalizzazione) che realizzano l’atteggia- mento empatico (All. 7). Sperimentazione attiva Il formatore invita i ragazzi a formare gruppi di tre; consegna a ciascun gruppo le situazioni semistrutturate (All. 8) invitando i ra- gazzi ad elaborare, per ogni situazione, un intervento di parafrasi e di verbalizzazione. Attiva quindi un confronto allargato sulle risposte elaborate da cia- scun gruppo. 216 Conclusione L’incontro si conclude con un esercizio di ascolto reciproco. Restando nei gruppi da tre già formati, a turno, uno parla di un ar- gomento di carattere generale a sua scelta; un altro ascolta cer- cando di realizzare risposte empatiche; un terzo osserva e, al ter- mine dell’interazione, segnala all’ascoltatore le abilità e le carenze che questi ha manifestato nel corso dell’interazione. Segue un breve feedback sull’esperienza con il gruppo allargato. MATERIALI Allegati 5, 6, 7, 8 Lavagna luminosa S UGGERIMENTI EDUCATIVI Al fine di promuovere negli allievi l’attitudine a distaccarsi dal proprio punto di vista per cogliere la prospettiva altrui e a sintoniz- zarsi empaticamente con gli altri, i formatori possono: 1. offrire agli allievi la possibilità di confrontare il proprio punto di vista sulla realtà con altri ragazzi della stessa età o, anche, di età e culture differenti; 2. mostrare interesse per i punti di vista dei ragazzi, specialmente nella gestione della disciplina e nella risoluzione dei conflitti; 3. prestare ascolto e richiamare l’attenzione degli allievi sui loro pensieri, emozioni, comportamenti e sulle connessioni tra essi; 4. manifestare empatia attraverso forme di supporto verbale (para- frasi, verbalizzazione, ecc.) e non verbale; 5. indurre comportamenti di condivisione e di aiuto. 217 Settima unità - Allegato 1 TRACCIA DI RIFLESSIONE 1. Qual è il tema che lega le diverse immagini? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 2. Quale immagine preferisci e perché? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 3. Quale immagine rifiuti e perché ? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 4. Quale immagine ti ha impressionato maggiormente e perché? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 5. Quale immagine ti sembra incompiuta? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 218 Settima unità - Allegato 2 DOMANDE STIMOLO 1. Cosa vi suggeriscono le risposte che ciascuno ha dato? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 2. Ascoltare risposte simili alle vostre che effetto ha prodotto? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 3. E ascoltare risposte molto diverse? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 4. Esiste un modo unico di porsi di fronte alle situazioni? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 5. Cosa può succedere quando si hanno percezioni diverse dello stesso evento? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 219 Settima unità - Allegato 3 SINTONIZZARSI CON GLI ALTRI: LINEAMENTI TEORICI La nostra visione della realtà, il nostro modo di percepire gli eventi influenzano in modo significativo la possibilità di entrare o meno in sintonia con i nostri simili. Come abbiamo avuto modo di constatare, la percezione non è mai una foto- grafia della realtà, ma è un processo attivo e costruttivo che il soggetto elabora in base alla stimolazione esterna e alle proprie esperienze personali. Non si percepisce mai la realtà in modo puro, ma sempre attraverso gli occhi di chi la osserva. Per- tanto, desideri, aspettative, bisogni di colui che percepisce giocano un ruolo cruciale. Questo dovrebbe portarci a concludere che la nostra percezione della realtà non è l’unica, non è la più completa, non è la più corretta e, soprattutto, non è ne- cessariamente la migliore. Se noi entrassimo in interazione con gli altri a partire da questa consapevo- lezza, potremmo migliorare di gran lunga le nostre relazioni. Molte difficoltà, infatti, nascono dalla resistenza che abbiamo ad andare oltre il nostro punto di vista e il nostro modo di sentire. Le persone capaci di comunicare sono in grado di uscire dal proprio egocen- trismo per cercare di capire e di farsi capire; sanno, cioè, assumere alternativa- mente il proprio e l'altrui schema di riferimento, ristrutturando ogni volta il campo senza mai fare del proprio punto di vista l’aspetto privilegiato e quindi la figura ir- reversibile del rapporto (Mizzau, 1974). Potremmo dire che sono persone capaci di empatia. Ma cosa si intende esatta- mente con questo termine? Con il termine empatia, si intende in senso generale la tendenza ad identifi- carsi cognitivamente ed emozionalmente con un'altra persona, mantenendo, al con- tempo, la consapevolezza del confine interindividuale. Le espressioni metaforiche di mettersi nei panni dell'altro e di calzare le scarpe dell'altro traducono in modo semplice, ma pregnante, il significato di essa. L’empatia riguarda, dal punto di vista cognitivo la capacità di discriminare, comprendere e assumere la prospettiva dell’altro. Essa richiede l’abilità di rappresentarsi l’altro come portatore di significati personali, convinzioni, desideri, sentimenti; nonché di riconoscere la possibilità che l’altro percepisca gli eventi in maniera diversa dalla propria. Risulta quindi fondamentale la capacità di decentramento. Questa si realizza quando l’individuo diviene consapevole di ciò che è sogget- tivo e dunque è capace di distinguere il proprio punto di vista da quello altrui e non attribuisce ad altri caratteristiche proprie del proprio sistema di significati. L’empatia riguarda dal punto di vista emozionale la capacità di provare qual- cosa che corrisponde più alla situazione dell’altro che alla propria. La qualità delle nostre relazioni interpersonali è fortemente condizionata dal nostro grado di empatia. Per questo è necessario educare e sviluppare la potenzialità innata ad entrare in sintonia con i nostri simili. 220 Settima unità - Allegato 4 LA STORIA DELLA FINESTRA ROTTA Un gruppo di bambini sta giocando a palla in strada. La loro palla accidental- mente rompe il vetro della finestra di un vicino. I bambini corrono verso la finestra per verificare il danno. Suonano il campanello della porta principale, ma nessuno risponde. Essi ricordano che l’uomo che vive lì non rientra dal lavoro prima delle 18.00. Un ragazzo suggerisce: “Diamoci due ore di tempo per trovare il denaro per sostituire il vetro. Dividiamoci e incontriamoci alle 18.00 con quanto più denaro riusciamo a mettere insieme”. I ragazzi corrono via. Il proprietario della casa rientra prima del solito. Nel vedere la finestra rotta si infuria. Chiama la polizia per indagare. La polizia arriva proprio quando i ragazzi ritornano. Il proprietario addita con rabbia i ragazzi che si avvicinano. Tratto da: Feshbach et al., 1983 221 Settima unità - Allegato 5 UNO SCAMBIO TRA AMICI Nella parte che segue è riportato un segmento di una conversazione tra un ra- gazzo e una ragazza. Dopo averlo letto, confrontati con il tuo compagno e, in- sieme, rispondete alle domande poste in fondo alla pagina. Giorgio Sai, ho deciso. Mi farò un tatuaggio. Mi piace troppo! Silvia Ti prego. Io proprio non li sopporto. Fatti venire un’altra idea. Giorgio Ho già pensato come farlo. Sarà piccolino, con al centro un triangolo rosso e dei rami di ciliegio intorno. È troppo bello! Silvia E io dovrei uscire con te che sfoggi il tatuaggio?! Trovo che sia una stupida moda. Poi magari a distanza di tempo di stanchi di averlo e dovrai tenertelo. Giorgio Perché dovrei stancarmi? Mi piace così tanto. E poi non mi va di pen- sare se mi piacerà o no domani, mi piace adesso! Silvia Quando ti metti in testa una cosa non ragioni. Il fatto che a me non piaccia non lo prendi neppure in considerazione. Comunque, so bene che i tuoi desideri sono sempre al primo posto. Mai una volta che ti sforzassi di rinunciare a qualcosa per far piacere a qualcun altro, nella fattispecie a me! DOMANDE 1. Come valutate la qualità della comunicazione tra i due? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 2. Cosa notate nel loro modo di comunicare? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 3. In che misura si sta realizzando una comprensione reciproca? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 4. Quali interventi dell’uno e dell’altra rendono ragione delle vostre risposte? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 222 Settima unità - Allegato 6 UNO SCAMBIO TRA AMICI Nella parte che segue è riportato un segmento di una conversazione tra Giorgio ed Elisa. Dopo averlo letto, confrontati con il tuo compagno e, insieme, ri- spondete alle domande poste in fondo alla pagina. Giorgio Sai, ho deciso. Mi farò un tatuaggio. Mi piace troppo! Elisa Non stai nella pelle all’idea di farti un tatuaggio. Ti deve piacere pro- prio tanto. A me, a dire la verità, l’idea non mi entusiasma. Giorgio Perciò non saresti così contenta se lo facessi. È così? Elisa Sí. In realtà non mi piace impedirti di fare una cosa che a te piace, però è più forte di me, i tatuaggi proprio non li sopporto. Giorgio Per cui il mio desiderio e il tuo fastidio sembrano proprio inconciliabili. Elisa Vedi io riesco anche a capire che possa piacerti, è una questione di gusti, ma l’idea di portare un segno irreversibile proprio non lo ac- cetto. Se ti piace tanto fatti un tatuaggio di quelli non indelebili. Giorgio Mi sembra che saresti meno contraria se mi facessi un tatuaggio che con il tempo posso togliere. Non sarebbe altrettanto bello, ma ci penserò! Dopo tutto so che non mi godrei del tutto il piacere di aver fatto qual- cosa a cui tengo sapendo di andare decisamente contro la tua volontà. Elisa Il fatto che le tue decisioni tengano conto anche dei miei desideri, mi fa capire che cominci a pensare di non essere più da solo. E questo non mi dispiace affatto! DOMANDE 1. Come valutate la qualità della comunicazione tra i due? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 2. Cosa notate nel loro modo di comunicare? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 3. In che misura si sta realizzando una comprensione reciproca? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 4. Quali interventi dell’uno e dell’altra rendono ragione delle vostre risposte? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 223 Settima unità - Allegato 7 RISPONDERE CON EMPATIA: LINEAMENTI TEORICI L’empatia trova espressione a livello verbale grazie ad alcune forme di ascolto efficace, in particolare la parafrasi e la verbalizzazione. Prima di presentarle, però, occorre fare una distinzione tra interventi di ascolto efficaci e inefficaci. Gli interventi inefficaci sono considerati tali in quanto più che tener conto del punto di vista di colui che parla riflettono più o meno palesemente, il punto di vista di colui che ascolta; in molti casi generano sentimenti negativi nell’interlocutore e, spesso, sortiscono l’effetto di chiudere la comunicazione. Al contrario, gli interventi efficaci riflettono la prospettiva e il vissuto di colui che parla, incrementano l’esperienza di sentirsi compresi e facilitano il prosieguo della comunicazione. In particolare due forme di supporto verbale che realizzano l’ascolto efficace sono la parafrasi e la verbalizzazione. La parafrasi è una forma di supporto verbale tramite la quale si riformulano, con parole proprie, i contenuti rilevanti espressi dall'interlocutore. È un modo per rinforzare, in chi ha manifestato un pensiero, la certezza di essere stato compreso e per verificare, da parte di chi lo ha ricevuto, l'accuratezza della propria compren- sione. Il supporto verbale della parafrasi è un modo per consentire all'interlocutore di sviluppare il proprio punto di vista nella massima libertà; è il riconoscimento e l'accettazione di un contenuto soggettivo, non necessariamente condivisibile, ma degno di rispetto, come la persona che lo ha emesso; è un modo per circoscrivere la responsabilità della situazione descritta a chi l'ha formulata, non per valutare, ma per sottolineare che egli esprime un proprio punto di vista che può essere anche percepito diversamente da chi ascolta. Per realizzare una parafrasi adeguata occorre: - prestare molta attenzione al messaggio espresso dall'emittente; - cogliere i contenuti manifestati nella loro interezza; - ribadirne gli aspetti essenziali con parole proprie. La verbalizzazione è una forma di supporto verbale che, a differenza della parafrasi, non verte tanto sulla riformulazione dei contenuti, quanto sulla rileva- zione degli aspetti emozionali presenti, in maniera esplicita o implicita, nel mes- saggio del proprio interlocutore. Verbalizzare non vuol dire approvare o condividere, ma semplicemente rico- noscere i sentimenti dell'altro, lasciando a lui la responsabilità di gestirli. Spesso, 224 per una persona è sufficiente farsi ascoltare e sapere che i suoi sentimenti sono ri- conosciuti per tacitare un disagio o affrontare meglio una difficoltà. Per realizzare una verbalizzazione adeguata occorre: - prestare molta attenzione ai sentimenti che l'altro esprime sia con le parole che con la comunicazione non verbale (tono, gesti, mimica, ecc.); - individuare l'indice referenziale dei sentimenti individuati; - rispecchiare i sentimenti colti nella loro qualità e intensità, tramite una sino- nimia, un'antinomia o un optativo, precisandone l'indice referenziale corri- spondente; nella sinonimia si utilizza un termine sinonimico del sentimento espresso dall'interlocutore, nella antinomia un termine che descriva il senti- mento opposto, preceduto da una negazione, nell'optativo si verbalizza lo stato emozionale desiderato. 225 Settima unità - Allegato 8 SITUAZIONI SEMISTRUTTURATE Rispondi a ciascuna delle seguenti situazioni con un intervento di parafrasi e di verbalizzazione. 1. IERI HO AVUTO UNA DISCUSSIONE FEROCE CON I MIEI PERCHÉ MI SONO PERSO PER LA SECONDA VOLTA LE CHIAVI DI CASA. LI CAPISCO PURE, MA ME NE HANNO DETTE DI TUTTI I COLORI. Parafrasi ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... Verbalizzazione ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 2. SONO UN PO’ PREOCCUPATO PER ANDREA. STA FREQUENTANDO UN BRUTTO GIRO E POI LO SAI QUANTO È INFLUENZABILE! DOVREMMO FARE QUALCOSA Parafrasi ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... Verbalizzazione ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 3. NON VEDO L’ORA CHE VENGA SABATO. SO CHE LUCA, ALLA FESTA, HA INVITATO ANCHE CRISTINA. SPERIAMO CHE VENGA E NON MI DIA BUCA! Parafrasi ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... Verbalizzazione ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 226 COLLABORARE E LAVORARE IN GRUPPO Capacità in oggetto Lavorare con gli altri verso obiettivi comuni. Finalità Incrementare negli allievi la capacità di partecipare attivamente e produttivamente ad un gruppo di lavoro. Tempi Due incontri di circa due ore ciascuno. Descrizione degli incontri PRIMO INCONTRO OBIETTIVI 1. Discriminare i comportamenti che possono ostacolare e facili- tare il lavoro di gruppo. 2. Incrementare la consapevolezza dei propri atteggiamenti e com- portamenti nel lavorare in gruppo. FASI Esperienza concreta Il formatore invita gli allievi a realizzare il gioco “Progettisti di volo” (All. 1). Osservazione riflessiva Gli allievi sono invitati a rispondere individualmente alle domande contenute nella traccia di riflessione (All. 2), quindi a confrontare in gruppo le proprie risposte. Terminata questa fase, il formatore chiede agli allievi di creare delle coppie; fornisce a ciascuna coppia lo schema dell’intervista (All. 3) e invita i due partner ad interrogarsi reciprocamente. Attiva, quindi, un confronto di gruppo sull’esperienza. Concettualizzazione astratta Il formatore, a partire dalle risposte che gli allievi hanno fornito alla domanda n. 8 dell’intervista, sensibilizza loro all’importanza di lavorare in gruppo e spiega quali siano gli atteggiamenti e i comportamenti facilitanti e ostacolanti la collaborazione con gli altri (All. 4). OTTAVA UNITÀ 227 Esercizio di auto ed eteropercezione Il formatore propone agli allievi il questionario “Quando mi trovo a lavorare in gruppo” (All. 5); invita ciascuno a compilarlo indivi- dualmente e, successivamente, a scegliere un compagno che possa rimandargli la sua percezione sulle stesse voci. Attiva, quindi, un confronto di gruppo sull’esperienza. MATERIALI Allegati 1, 2, 3, 4, 5 Lavagna luminosa Occorrente per il gioco “Progettisti di volo”: - cronometro - fogli di grandi dimensioni - forbici - riga - colla - carta - matite - pennarelli - copie delle schede 1 e 2 SECONDO INCONTRO OBIETTIVI 1. Attuare interventi funzionali al raggiungimento degli obiettivi comuni. 2. Attuare interventi funzionali al mantenimento di un buon clima di gruppo. FASI Esperienza concreta Il formatore invita i ragazzi a formare gruppi da tre. Consegna, quindi, ad ogni gruppo 3 funzioni di compito e/o di mantenimento (le triplette di funzioni dovranno essere diverse per ciascun sotto- gruppo) e chiede di formulare due interventi verbali per ciascuna funzione assegnata. Ogni gruppo, pertanto, dovrà produrre sei interventi. Terminata questa fase, ciascun gruppo leggerà le frasi che sono state elaborate, riceverà un feedback dagli altri circa la loro ade- guatezza e gli interventi letti e verificati verranno trascritti su un tabellone nel quale, precedentemente, sono stati riportati i nomi delle singole funzioni. Osservazione riflessiva Il formatore consegna ai ragazzi una traccia di riflessione (All. 6) 228 che, una volta completata individualmente, dovrà essere oggetto di confronto di gruppo. Sperimentazione attiva Il formatore sorteggia i nomi di dodici componenti della classe. Questi, dopo aver organizzato una graduatoria individuale circa le sette abilità più importanti per poter lavorare bene in gruppo, do- vranno concordare una graduatoria di gruppo (All. 7), avendo a disposizione 30 minuti. Gli altri componenti della classe fungeranno da osservatori. In par- ticolare, con l’ausilio di un’apposita scheda (All. 8), dovranno rile- vare come i membri del gruppo procedono nel conseguimento del- l’obiettivo. I membri del gruppo che lavorano sulla costruzione della gradua- toria ricevono, ciascuno, un foglio contenente domande stimolo per contribuire in modo funzionale al lavoro di gruppo (All. 9). Al termine del tempo previsto, si raccolgono i feedback degli os- servatori e si apre il confronto circa gli obiettivi e il clima relazio- nale che, grazie ad uno stile più orientato alla collaborazione, si è riusciti ad ottenere. Conclusione L’incontro si conclude invitando gli allievi a pronunciarsi sui ri- svolti di applicabilità della competenza in oggetto. MATERIALI Allegati 6, 7, 8, 9 Lavagna luminosa SUGGERIMENTI EDUCATIVI Allo scopo di incentivare nei ragazzi comportamenti collaborativi e funzionali al lavoro di gruppo, i formatori possono: 1. strutturare forme di apprendimento cooperativo; 2. prestare attenzione e rinforzare i comportamenti collaborativi; 3. promuovere un clima solidale e non competitivo nel gruppo classe. 229 Ottava unità - Allegato 1 PROGETTISTI DI VOLO Svolgimento Il gioco, della durata di circa un’ora, consiste nella costruzione di aeroplani di carta. Il formatore sorteggia i nomi di 5 ragazzi della classe che andranno a formare la commissione dei supervisori. Gli altri componenti della classe saranno divisi in gruppi di 4/5 elementi aventi il compito di costruire aeroplani. I gruppi dei costruttori, ai quali viene consegnata la scheda 1, hanno a disposi- zione un tempo di 30 minuti per la costruzione degli aeroplani; la commissione, seguendo le indicazioni riportate nella scheda 2, ha invece il compito di giudicare sulla base di precisi parametri, quali siano gli aeroplani migliori. Occorrente Per la realizzazione del gioco occorrono: - cronometro - fogli di grandi dimensioni - forbici - riga - colla - carta - matite - pennarelli - alcune copie delle schede 1 e 2. SCHEDA 1 Il vostro gruppo ha il compito di costruire, in 30 minuti, un aereo che verrà poi sottoposto al giudizio di una commissione esaminatrice. Per la costruzione do- vrete utilizzare il foglio di carta che vi è stato consegnato, ma avete la possibilità di ricorrere anche ad altri materiali. L’aeroplano sarà giudicato secondo i parametri qui di seguito riportati. CAPACITÀ DI VOLO Ogni secondo che l’aeroplano rimane in aria viene premiato con 10 punti. Il tempo viene calcolato dal momento in cui viene lanciato fino al momento in cui tocca qualche oggetto. Se per esempio rimane in aria 4.6 secondi il gruppo gua- dagna 46 punti. 230 Il lancio verrà effettuato da un componente del gruppo. Si effettuano due lanci e si sommano i tempi dei due voli. PRECISIONE DI VOLO Nella seconda prova l’aeroplano sarà lanciato verso un bersaglio di un metro di larghezza e circa due metri di altezza, dalla distanza di cinque metri. Avete a disposizione due lanci. Ogni bersaglio colpito fa guadagnare al vostro gruppo 10 punti. L’aereo sarà lanciato da un componente del vostro gruppo. ESTETICA Infine, una commissione, formata dai supervisori, valuterà anche la forma estetica degli aeroplani assegnando 10 punti al gruppo che ha costruito l’aereo più bello. SCHEDA 2 Il compito dei gruppi è quello di progettare e costruire un aereo di carta ca- pace di rimanere in aria a lungo, in grado di centrare un obiettivo e possibilmente bello. L’aeroplano sarà giudicato secondo i parametri qui di seguito riportati. CAPACITÀ DI VOLO Ogni secondo che l’aeroplano rimane in aria viene premiato con 10 punti. Il tempo viene calcolato dal momento in cui viene lanciato al momento in cui tocca qualche oggetto. Se per esempio rimane in aria 4.6 secondi il gruppo guadagna 46 punti. Il lancio verrà effettuato da un componente di ogni gruppo. Si effettuano due lanci e si sommano i tempi dei due voli. PRECISIONE DI VOLO Nella seconda prova l’aeroplano sarà lanciato verso un bersaglio di un metro di larghezza e circa due metri di altezza, dalla distanza di cinque metri. I gruppi hanno a disposizione due lanci. Ogni bersaglio colpito fa guadagnare 10 punti. L’aereo sarà lanciato da un componente del gruppo. ESTETICA Infine, dovrete valutare anche la forma estetica degli aeroplani assegnando 10 punti al gruppo che ha costruito l’aereo più bello. La decisione dovrà essere presa all’interno della vostra commissione. Adattato da: Marcato - Gioito - Musumeci, 1997. 231 Ottava unità - Allegato 2 TRACCIA DI RIFLESSIONE 1. Come si è organizzato il tuo gruppo per eseguire il lavoro? C’è stato un capo? Se sí, come è stato scelto? Se no, come ha funzionato il gruppo? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 2. Come era distribuita la partecipazione tra i membri? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 3. Il gruppo era più preoccupato di finire il lavoro o di ottenere da ciascuno la piena collaborazione? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 4. Partecipavano tutti al lavoro o alcuni ne erano fuori? Se alcuni erano fuori, perché lo erano? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 5. Quale valutazione daresti alla tua partecipazione al lavoro? (puoi utilizzare una scala da 1 a 5 dove 1 esprime scarsa partecipazione e 5 elevata partecipa- zione). Puoi motivare tale punteggio? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 6. Fino a che punto ti sei sentito libero di partecipare e dire la tua? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 7. Sei soddisfatto del risultato raggiunto dal gruppo? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 232 Ottava unità - Allegato 3 INTERVISTA 1. Generalmente come ti trovi a lavorare in gruppo? ..................................................................................................................................... 2. Trovi più funzionale lavorare e organizzarti da solo o insieme ad altri? ..................................................................................................................................... 3. Quando qualcuno all’interno del gruppo ha un modo di procedere diverso dal tuo, come ti comporti? ..................................................................................................................................... 4. Per lo più, nelle attività di gruppo, preferisci prendere iniziative o attendere che gli altri si pronuncino per poi dire la tua? ..................................................................................................................................... 5. Il confronto con gli altri F ti arricchisce F ti spaventa F ti stimola F ti infastidisce ..................................................................................................................................... 6. Quando devi prendere una decisione insieme ad altri, solitamente come ti comporti? ..................................................................................................................................... 7. Quando il tuo parere si discosta da quello della maggioranza, cosa fai? F eviti di pronunciarti F fai comunque presente il tuo punto di vista F sostieni con fermezza le tue opinioni F svaluti la tua posizione ritenendola inadeguata ..................................................................................................................................... 8. Quali sono, in base alla tua esperienza, gli atteggiamenti e i comportamenti che facilitano o ostacolano il lavoro di gruppo? ..................................................................................................................................... 233 Ottava unità - Allegato 4 LA COLLABORAZIONE: LINEAMENTI TEORICI Introduzione Nel contesto apprenditivo-formativo e, ancor più nel mondo del lavoro, viene sempre più spesso richiesto alle persone di saper collaborare. La collaborazione sembra essere divenuta una parola d'ordine in moltissimi ambiti professionali. A differenza delle epoche precedenti, nella quale la maggior parte degli occupati la- vorava in isolamento, alle catene d montaggio, oggi c’è una massiccia tendenza verso il lavoro di squadra. Poiché la società è divenuta ipercomplessa, gli individui non possono più sa- pere tutto ciò che occorrerebbe loro per agire con un certo grado di sicurezza; di qui la necessità di lavorare con altri per integrare conoscenze, competenze, abilità. In questa parte cerchiamo di dare una definizione di collaborazione; di eviden- ziare i benefici di essa per poi focalizzarci sui fattori che possono ostacolarla o, al contrario, facilitarla. Definizione Il termine collaborazione non fa riferimento a cosa le persone fanno tra di loro, ma a come la fanno; riguarda pertanto la natura della relazione interpersonale che si instaura tra le persone che lavorano insieme nel conseguimento di un obiet- tivo. Quando interagiamo con gli altri possiamo essere direttivi, competitivi, acco- modanti o collaborativi. La collaborazione viene quindi a configurarsi come uno stile interpersonale; in particolare, essa può essere definita come “uno stile di interazione diretta tra al- meno due persone che si impegnano volontariamente a prendere decisioni comuni mentre lavorano per un obiettivo condiviso” (Friend - Cook, 2000, 17). Nelle situazioni di tipo collaborativo sono presenti due aspetti fondamentali. La partecipazione di due o più individui ad un determinato compito e il coordina- mento dei loro sforzi. Ma vediamo di precisare cosa implichi concretamente l’adozione di uno stile collaborativo. Innanzitutto, la collaborazione è volontaria; in altri termini, sta alle persone decidere se adottare o meno un certo stile nell’interazione con gli altri. In secondo luogo, presuppone una parità tra coloro che lavorano insieme in termini di possibilità di offrire il proprio contributo e di potere decisionale. Inoltre, implica la presenza di un obiettivo condiviso nei confronti del quale mobilitare impegno e risorse personali e mantenere un’attenzione comune. Infine, nello stile collaborativo è presente una responsabilità individuale e 234 condivisa per quanto riguarda l’opportuna divisione del lavoro, l’eguale partecipa- zione alla presa di decisioni, gli esiti dei risultati raggiunti. Effetti dello stile collaborativo Collaborare con gli altri – come vedremo – non è facile; tuttavia i benefici che derivano dalle interazioni collaborative ripagano di gran lunga i nostri sforzi. In particolare, gli studi sull’efficacia dello stile collaborativo, evidenziano i seguenti effetti: - migliore produttività e rendimento, - relazioni più positive tra i membri del gruppo, - incremento del benessere emozionale Migliore produttività e rendimento Secondo i risultati di numerosi studi, il livello di produttività nel lavoro è maggiore nei gruppi che adottano uno stile collaborativo rispetto ai gruppi che prediligono uno stile individuale o competitivo. Sembrerebbe, infatti, che la strutturazione della situazione di lavoro o di com- pito secondo i canoni della collaboratività potenzierebbe le capacità espressive e produttive dei singoli e quindi l’efficacia prestazionale del gruppo. Relazioni positive e di fiducia tra i membri del gruppo Quando le persone lavorano secondo lo stile collaborativo viene a crearsi uno spirito di squadra e il gruppo si fa coeso. Si instaura una relazione supportiva e reciprocamente vantaggiosa per le persone coinvolte e le diversità vengono apprezzate e rispettate. Incremento del benessere emozionale Assumere uno stile collaborativo migliora, infine, l’adattamento personale, aiuta a sviluppare un senso di autoefficacia, a migliorare l’immagine di sé e l’autostima, ripercuotendosi favorevolmente sulla nostra salute sia psicologica che fisica. Ostacoli alla collaborazione Nonostante siano ribaditi da più parti i benefici e i vantaggi della collabora- zione, quest’ultima non sempre si verifica all’interno dei gruppi di lavoro. Esi- stono, infatti, diversi fattori di natura personale e situazionale che subentrano ad ostacolarla. Un primo fattore è rappresentato dalla scarsa abitudine a lavorare con gli altri. La maggior parte di noi è stata formata ed educata ad operare individualmente. La scuola stessa è organizzata secondo uno stile individualistico e competitivo piut- tosto che collaborativo. Non dobbiamo pertanto sorprenderci troppo se facciamo qualche resistenza quando ci viene chiesto di lavorare con gli altri. Un secondo ostacolo risiede in alcune convinzioni personali, in parte connesse 235 alla presenza del fattore precedente, secondo le quali lavorare con gli altri è una perdita di tempo; è una mortificazione dei talenti personali; è una strategia dispen- diosa e poco produttiva. Tali convinzioni, per altro disconfermate dalle ricerche, possono interferire notevolmente con la collaboratività, dando origine ad una serie di modalità difen- sive (Actiss-Grosso, in Franta- Colasanti, 1999). Tra queste: - conformarsi: è l’atteggiamento di chi segue più o meno passivamente il lavoro lasciando decidere gli altri e accettando le idee del gruppo senza assumere una precisa posizione; - dominare: è l’atteggiamento di chi cerca di far prevalere la propria posizione agendo sull’intero gruppo o su qualche componente; - cercare le lodi: è l’atteggiamento di chi appare intento a richiamare l’atten- zione del gruppo su di sé ostentando le proprie conoscenze e abilità; - resistere: è l’atteggiamento di chi tende a trovare più ostacoli del ragionevole, a disapprovare ciò che dicono e fanno gli altri senza una ragione valida; - scherzare: è l’atteggiamento di chi manifesta scarso interesse per il lavoro co- mune facendo continuamente battute umoristiche o ridicolizzando l’apporto degli altri. Infine, un ulteriore ostacolo alla collaboratività è dato dalla mancanza di abi- lità sociali, quali: saper ascoltare, saper esprimere il proprio punto di vista e le pro- prie emozioni, saper manifestare un’opinione contraria e saper dissentire senza svalutare, saper chiedere aiuto e chiarificazioni, saper esprimere accordo, saper ri- flettere la prospettiva altrui, saper apprezzare e rinforzare il contributo degli altri. Fattori facilitanti la collaborazione Se questi sono gli ostacoli, vediamo ora di soffermarci sui fattori che favori- scono l’instaurarsi di uno stile collaborativo tra le persone. Tali fattori, che si col- locano specularmente rispetto agli ostacoli precedentemente menzionati, concer- nono: l’opportunità frequente di lavorare con gli altri, la presenza di alcune con- vinzioni personali, il possesso di competenze e abilità per espletare alcune funzioni connesse al buon funzionamento di un gruppo. Frequenti occasioni di lavoro con gli altri La possibilità di fare frequentemente esperienza di lavoro con gli altri, svi- luppa l’attitudine a collaborare. Nonostante le difficoltà, inevitabili, che si possono incontrare all’inizio, a poco a poco l’interazione con gli altri ci rende più flessibili, più tolleranti, più capaci di apprezzare la ricchezza della diversità. Senza contare poi il fatto che si può lavorare anche molto sodo, ma divertendosi. Per questo nei contesti educativi e formativi dovrebbero moltiplicarsi le occa- sioni di apprendimento e di lavoro cooperativo e gli ostacoli che si possono verificare e i risultati, talvolta deludenti, che possono registrarsi all’inizio, non 236 dovrebbero diminuire la fiducia di poter conseguire importanti obiettivi a lungo termine. Convinzioni personali Così come esistono convincimenti personali che possono impedire la collabo- razione, ne esistono altri che, al contrario, tendono a favorirla. Un primo convincimento che sostiene la collaborazione è che due teste siano meglio di una. Pertanto, i risultati della collaborazione sono di certo più effi- caci dei risultati conseguibili grazie agli sforzi individuali. Un secondo convincimento fa riferimento alle capacità degli altri. Per disporsi positivamente alla collaborazione, occorre, infatti, credere alla possibilità che coloro con i quali ci troviamo ad operare siano in grado, quanto noi, di contri- buire al conseguimento dell’obiettivo comune. Un terzo convincimento, infine, riguarda i tempi che occorrono per una pro- ficua collaborazione. È importante essere consapevoli del fatto che la collabo- razione non funziona subito ad un livello ottimale e che solo dopo un certo pe- riodo di tempo è possibile raccoglierne i frutti. Competenze e abilità sociali Lo stile interpersonale collaborativo implica il possesso di un ricco repertorio di competenze e abilità. Affinché un gruppo di lavoro proceda in modo coeso e produttivo è necessario che i membri che lo compongono siano capaci di prestare attenzione tanto al compito che deve essere affrontato, quanto al clima relazionale che viene a crearsi tra le persone che lavorano insieme. Per questo le abilità sociali che consentono a ciascuno di espletare le funzioni connesse al compito e al mantenimento del clima relazionale risultano essere preziose. Ma vediamo di precisare quali siano. Le abilità relative alle funzioni di compito facilitano i membri del gruppo a raggiungere l’obiettivo condiviso. Tra queste: fornire informazioni e opinioni, richiedere informazioni e opinioni, orientare verso il compito, riassumere e mostrare le relazioni tra le varie idee, proporre altre prospettive, controllare la comprensione. Le abilità relative alle funzioni di mantenimento rispondono ad alcune esi- genze di tipo emotivo e, quindi, permettono al gruppo di restare unito suffi- cientemente a lungo per portare a termine il proprio compito. Tra queste: inco- raggiare la partecipazione, facilitare la comunicazione, intervenire in modo da allentare le tensioni, osservare il processo, risolvere disturbi comunicativi, esprimere accettazione e apprezzamento (Comoglio - Cardoso, 1996; Becciu - Colasanti, 1997). Nella tabella che segue sono riportare le singole funzioni e, per ciascuna di esse, sono specificati gli obiettivi e i comportamenti che la realizzano e viene offerta una esemplificazione. 237 FUNZIONI DI COMPITO OBIETTIVI COMPORTAMENTI ESEMPIO FORNIRE INFORMAZIONI E OPINIONI Dimostrare al gruppo che l’informazione è importante per lavorare Esprimere la propria opinione Offrire dati di fatto Manifestare idee, valutazioni, sensazioni Per l’esecuzione del compito disponiamo di 30 minuti. Io penso che sia meglio rispondere alle domande, rispetto alle quali siamo certi delle risposte, poi possiamo tornare su quelle dubbie RICHIEDERE INFORMAZIONI E OPINIONI Rendere il gruppo consapevole della necessità di essere informati Far emergere l’opinione dei membri del gruppo Fare domande che consentano di rilevare dati di fatto Fare domande che consentano di rilevare idee, valutazioni, sensazioni Avrei bisogno di sapere quanto tempo abbiamo a disposizione Cosa ne pensate della mia proposta? ORIENTARE VERSO IL COMPITO Richiamare all’obiettivo che deve essere raggiunto e orientare il lavoro Proporre compiti, finalità, definire il problema, suggerire procedure Nella consegna ci è stato chiesto di affrontare solo i primi tre punti della scaletta, possiamo ritornare su questi? RIASSUMERE E MOSTRARE LE RELAZIONI TRA LE VARIE IDEE Fare il punto della situazione e integrare le posizioni Sintetizzare idee simili, mostrare eventuali contraddizioni, riesporre i suggerimenti emersi, indicare possibili conclusioni Mi pare che due di noi siano del parere di lavorare autonomamente e poi di integrare i singoli contributi, mentre altri tre siano dell’idea di fare tutto tutti insieme. Vogliamo valutare i pro e i contro? PROPORRE ALTRE PROSPETTIVE Favorire la possibilità che un determinato evento possa essere osservato di più punti di vista Stimolare ulteriori visioni di un argomento o problema Mi viene in mente che potremmo seguire anche questa altra strada per arrivare alla soluzione CONTROLLARE LA COMPRENSIONE Verificare la comprensione dei singoli contributi Riformulare, parafrasare gli interventi altrui Se ho capito bene siete del parere di….. INCORAGGIARE LA PARTECIPAZIONE Favorire la partecipazione attiva dei diversi componenti del gruppo. Invitare le persone ad esprimersi e ad offrire il proprio contributo Che ne direste di fare un giro per raccogliere le idee di ciascuno? FACILITARE LA COMUNICAZIONE Mantenere aperta la comunicazione evitando che qualcuno resti fuori dal gruppo Chiedere le opinioni di tutti, rispondere alle esigenze espresse dal gruppo, ascoltare attivamente Dal momento che tu eri assente quando abbiamo avviato il lavoro, ti aggiorniamo su quello che abbiamo fatto. INTERVENIRE IN MODO DA ALLENTARE LE TENSIONI Alleggerire la fatica e lo sforzo connessi all’eccessiva focalizzazione sul compito Fare osservazioni distensive, proporre una pausa, fare battute umoristiche Sono due ore che lavoriamo sodo. Ci premiamo con una pausa? OSSERVARE IL PROCESSO Far prendere coscienza al gruppo di come sta lavorando Attuare interventi regolativi e di metacomunicazione E’ la quarta volta che torniamo su un punto che avevamo dato per risolto. Forse non lo era del tutto. Vogliamo esprimerci più direttamente su questo? RISOLVERE DISTURBI COMUNICATIVI Ricomporre il distacco o il contrasto legati ad eventuali problemi relazionali che possono sorgere Attuare interventi di metacomunicazione Mi sembra che ci sia rimasto male per l’intervento di prima. Ti chiedo scusa, forse sono stato un po’ brusco. ESPRIMERE ACCETTAZIONE E APPREZZAMENTO Rinforzare la partecipazione e aumentare il livello di soddisfazione Attuare interventi di valorizzazione e di conferma Hai avuto proprio una buona idea! 238 Ottava unità - Allegato 5 QUESTIONARIO: QUANDO MI TROVO A LAVORARE IN GRUPPO Nella parte che segue troverai una serie di affermazioni concernenti il com- portamento che possiamo assumere quando ci troviamo a lavorare con gli altri. Per ciascuna affermazione puoi rispondere “Vero” o “Falso” a seconda di ciò che più corrisponde al tuo modo di porti. Dopo che ti sei espresso per tutte le affermazioni, chiedi ad un tuo compagno che ti conosce bene, di valutarti per le stesse voci. QUANDO MI TROVO A LAVORARE IN GRUPPO… valutaz. personale valutaz. compagno 1. Mi piace avere un ruolo attivo V F V F 2. Cerco di fare il possibile per evitare tensioni inutili V F V F 3. Faccio di tutto affinché si proceda a modo mio V F V F 4. Mi concentro soprattutto sul compito V F V F 5. Non ho difficoltà ad esprimere le mie opinioni V F V F 6. Rinuncio ad una mia idea dopo aver ascoltato le ragioni degli altri V F V F 7. Se mi accorgo di avere sbagliato riconosco il mio errore e lo dichiaro V F V F 8. Sono disposto ad aiutare chi mi chiede aiuto V F V F 9. Cerco di appianare eventuali divergenze V F V F 10. Mi prendo del tempo prima di espormi V F V F 11. Mi piace assumermi incarichi e responsabilità V F V F 12. Divento insofferente quando si chiacchiera o si perde tempo V F V F 13. Ascolto con attenzione ciò che dicono gli altri V F V F 14. Cerco di dimostrare agli altri la logica e i vantaggi della mia posizione V F V F 15. Evito di prendere posizioni che potrebbero creare controversie V F V F 16. Se incontro difficoltà su qualcosa non ho problemi a chiedere aiuto V F V F Riflettendo sul tuo modo di lavorare in gruppo quali ritieni siano le tue risorse e i tuoi limiti? Risorse ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... Limiti ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 239 Ottava unità - Allegato 6 TRACCIA DI RIFLESSIONE 1) Sei soddisfatto di come il tuo gruppo ha lavorato e del risultato raggiunto? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 2) Ritieni che ci sia stata una buona collaborazione? Se sí, perché…… Se no, perché…. ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 3) Quanta attenzione hai avuto per i compagni con cui hai lavorato? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 4) Quanta attenzione hai percepito nei tuoi confronti? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 5) Se dovessi ripetere l’esperienza, faresti qualcosa di diverso? Se sí, cosa? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 240 Ottava unità - Allegato 7 CHE COSA È PIÙ IMPORTANTE? Metti in ordine di preferenza i seguenti 10 atteggiamenti e/o comportamenti che possono favorire il lavoro con gli altri secondo uno stile collaborativo. Poni il numero 1 accanto all’atteggiamento e/o al comportamento che ritieni più impor- tante e 10 accanto a quello che ritieni meno importante. Una volta completato il lavoro, confrontati con il gruppo ed insieme elaborate una graduatoria di gruppo. ATTEGGIAMENTI E COMPORTAMENTI Graduatoria personale Graduatoria del gruppo 1. Essere disponibili ad accogliere i diversi punti di vista 2. Saper ascoltare 3. Saper esprimere il proprio punto di vista 4. Saper esprimere disaccordo 5. Saper rinunciare alle proprie idee se questo è a vantaggio del lavoro 6. Saper tollerare la frustrazione 7. Sapersi rappresentare l’obiettivo da raggiungere 8. Saper esprimere i propri sentimenti 9. Saper affrontare le critiche 10. Saper sdrammatizzare 241 Ottava unità - Allegato 8 SCHEDA DI OSSERVAZIONE Il tuo compito è quello di osservare il gruppo mentre lavora nel consegui- mento dell’obiettivo. Le domande che seguono possono aiutarti ad organizzare le tue osservazioni. STRUTTURA 1. COME PROCEDE IL GRUPPO NEL CONSEGUIMENTO DELL’OBIETTIVO? 2. QUALI REGOLE DI COMPORTAMENTO VENGONO A FORMARSI? 3. IN CHE MODO VENGONO PRESE LE DECISIONI? DISTURBO 1. QUALI COMPORTAMENTI DISTURBANO IL GRUPPO? 2. QUALI COMPORTAMENTI CONDUCONO ALLA FRIZIONE? CLIMA 1. QUAL È L’UMORE DEL GRUPPO? 2. QUALE STATO EMOTIVO SI PALESA ATTRAVERSO IL MODO DI PARLARE? 3. C’È STATO, NEL CORSO DEL LAVORO, UN CAMBIAMENTO DI CLIMA? COOPERAZIONE 1. IN CHE MODO I MEMBRI DEL GRUPPO SI SOSTENGONO GLI UNI CON GLI ALTRI? 2. COME VENGONO COORDINATI I SINGOLI CONTRIBUTI? 3. QUALI COMPORTAMENTI CONDUCONO AL CONSENSO? 242 Ottava unità - Allegato 9 DOMANDE STIMOLO PER LAVORARE BENE IN GRUPPO 1. QUAL È L’OBIETTIVO CHE PERSEGUIAMO IN QUESTO MOMENTO? 2. CIÒ CHE STO PER DIRE È UTILE, IN QUESTO MOMENTO, PER L’OBIETTIVO CHE VO- GLIAMO RAGGIUNGERE? 3. QUAL È IL PROBLEMA CHE ABBIAMO IN QUESTO MOMENTO? 4. CHE COSA POSSO DIRE PER CONTRIBUIRE A RISOLVERLO? 5. CHE COSA POSSO EVITARE DI DIRE PER CONTRIBUIRE A RISOLVERLO? 6. IN CHE MODO QUELLO CHE X STA DICENDO MI SEMBRA IMPORTANTE PER L’OBIET- TIVO CHE CI SIAMO PREFISSATI? 7. IN CHE MODO QUELLO CHE X STA DICENDO MI SEMBRA POCO RILEVANTE PER L’O- BIETTIVO CHE INTENDIAMO RAGGIUNGERE? 8. COME POSSO FARE PER ESPRIMERGLI LA MIA APPROVAZIONE PER QUELLO CHE STA DICENDO? 9. COME POSSO FARE PER ESPRIMERGLI LA MIA TITUBANZA PER QUELLO CHE STA DI- CENDO PUR RISPETTANDO IL SUO PUNTO DI VISTA? 243 GESTIRE I CONTRASTI E NEGOZIARE Capacità in oggetto Fronteggiare situazioni conflittuali e condurre negoziazioni effi- caci. Finalità Incrementare negli allievi la capacità di affrontare con competenza situazioni di contrasto e di conflittualità. Tempi Due incontri di circa due ore ciascuno. Descrizione degli incontri PRIMO INCONTRO OBIETTIVI 1. Definire una situazione di contrasto o di conflitto. 2. Discriminare i diversi tipi di conflitto. 3. Conoscere i principali fattori che sono all’origine dei conflitti. 4. Discriminare i diversi stili di fronteggiamento. FASI Esperienza concreta Il formatore invita gli allievi a riflettere su una situazione di conflitto interpersonale vissuta direttamente oppure osservata, quindi a darne una descrizione accurata servendosi di un’apposita scheda (All. 1). Osservazione riflessiva Gli allievi sono invitati a rispondere individualmente. Quando tutti i ragazzi hanno completato il lavoro, il formatore chiede, a chi de- sidera, di leggere le proprie risposte e, a partire da esse, costruisce la mappa del conflitto (All. 2). Concettualizzazione astratta Il formatore, ripercorrendo le parole chiave della mappa, approfon- disce i contenuti ed integra le informazioni mancanti (All. 3). Sperimentazione attiva Il formatore chiede agli allievi di formare gruppi da 4; consegna loro “Il caso di Filippo” (All. 4) con il compito di leggerlo e di ri- spondere alle domande poste alla fine di esso. Attiva, quindi, un confronto di gruppo. NONA UNITÀ 244 MATERIALI Allegati 1, 2, 3, 4 Lavagna luminosa SECONDO INCONTRO OBIETTIVI Incrementare la consapevolezza sulle proprie modalità di gestire i conflitti. Discriminare le possibili strategie di approccio ad una situazione conflittuale. Conoscere obiettivi e fasi della negoziazione. Realizzare i comportamenti richiesti per ciascuna fase (decentrarsi, esprimere affermativamente la propria posizione, proporre solu- zioni di mutuo vantaggio). FASI Esperienza concreta Il formatore invita i ragazzi a rispondere al questionario sui “Me- todi di gestione del conflitto” (All. 5), quindi ad interpretare il punteggio che ciascuno ha ottenuto. Cerca quindi di tracciare un andamento di gruppo. Osservazione riflessiva A partire da quanto emerso, il formatore invita i ragazzi a riflettere sui possibili vantaggi e svantaggi dei diversi metodi di fronteggia- mento e spiega che, sebbene alcuni metodi siano da preferirsi ad altri, sarà la natura della situazione e l’entità della posta in gioco a suggerire quali sia più opportuno utilizzare. Concettualizzazione astratta Il formatore illustra la strategia della negoziazione specificandone le fasi e i comportamenti comunicativi da osservare (All.6). Sperimentazione attiva Il formatore chiede agli allievi di formare gruppi da tre e consegna ad ogni gruppo la situazione conflittuale da simulare (All. 7). Suc- cessivamente, invita due di loro ad assumere il ruolo dei partners in conflitto e l’altro ad osservare. I partner in conflitto dovranno seguire fasi e comportamenti propri della negoziazione (All. 8); l’osservatore dovrà verificare in che misura riescono a farlo (All.9). Quando tutti i gruppi hanno concluso la simulazione si attiva un feedback di gruppo sull’esperienza e si raccolgono le soluzioni che le diverse coppie hanno trovato. 245 Conclusione L’incontro si conclude invitando gli allievi a riflettere su una situa- zione conflittuale reale e ad ipotizzare di applicare ad essa la stra- tegia della negoziazione (All.10). MATERIALI Allegati 5, 6, 7, 8, 9, 10 Lavagna luminosa SUGGERIMENTI EDUCATIVI Allo scopo di potenziare negli allievi le abilità relative alla ge- stione dei contrasti e delle conflittualità, i formatori possono: 1. definire e gestire essi stessi i conflitti che possono crearsi in classe come situazioni di problem solving; 2. esplicitare i conflitti latenti ricorrendo alla metacomunicazione; 3. offrire occasioni di lavoro comune nelle quali il conflitto può emergere e manifestarsi; 4. assumere il ruolo di mediatori nei conflitti che possono crearsi tra gli allievi; 5. considerare i conflitti come occasioni preziose per capire me- glio se stessi e gli altri, e per comprendersi e rispettarsi di più reciprocamente. 246 Nona unità - Allegato 1 SCHEDA PER LA DESCRIZIONE DI UN CONFLITTO 1. Per quale ragione le due parti sono in conflitto? Quali sono gli elementi che caratterizzano il conflitto? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 2. Cosa vuole A? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 2. Cosa vuole B? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 4. Cosa fa A? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 5. Cosa fa B? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 6. Cosa c’è all’origine del conflitto? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 7. Cosa lo mantiene? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 8. Cosa potrebbero fare di diverso A e B? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 247 Nona unità - Allegato 2 248 Nona unità - Allegato 3 GESTIRE I CONTRASTI E NEGOZIARE: LINEAMENTI TEORICI - prima parte- INTRODUZIONE Come abbiamo avuto più volte modo di sottolineare, andiamo verso un’orga- nizzazione del lavoro che sempre di più prevede una interazione con gli altri consi- stente nello spazio e nel tempo. Il termine team risuona ormai ovunque: gruppi dirigenti, task force, gruppi di apprendimento, gruppi di lavoro autogestiti e cosi via. D’altra parte, poiché le persone sono diverse per idee, temperamento, forma- zione, è del tutto normale e naturale che, ogni tanto , possano crearsi delle tensioni e delle conflittualità. Pertanto, una componente fondamentale del saper lavorare con gli altri è rap- presentata proprio dalla capacità di gestire i contrasti e le frizioni che inevitabil- mente vengono a crearsi. Questi ultimi non sono da soffocare o da reprimere come se fossero intrinseca- mente un male, sono invece da gestire attenuandoli e umanizzandoli. Essi, infatti, se affrontati adeguatamente, permettono di prendere coscienza della realtà, di migliorarla, di innovarla, contribuendo in modo significativo al be- nessere delle relazioni e alla stessa produttività. Prima di soffermarci sulle diverse modalità di gestione dei conflitti interperso- nali, può essere utile soffermarci a: - definire una situazione conflittuale; - descrivere le cause più comuni di conflitto; - differenziare i diversi tipi di conflitto. Definizione Il conflitto si configura come un contrasto tra due o più persone che mirano, ciascuna, al conseguimento di un obiettivo interferente o antagonista con il soddi- sfacimento dell'obiettivo dell'altro. Esiste il caso in cui due persone, o due parti, vogliono due risultati diversi, ma devono accordarsi per ottenere un unico risultato ed esiste il caso in cui due per- sone, o due parti, mirano allo stesso obiettivo, ma soltanto una può accedervi. Qualunque forma assuma il conflitto, ogni parte coinvolta considera l'altra come nemica, distorce la percezione della realtà, riconosce solo i propri punti di forza e solo i punti di debolezza dell'altra. Il crescere dell'ostilità e il diminuire della comunicazione rende più facile conservare le opinioni negative e più difficile correggere le percezioni erronee (Hersey - Blanchard, 1990). 249 Cause Le cause che possono essere alla base di un conflitto interpersonale sono mol- teplici. Frequentemente esiste una incomprensione dovuta ad una comunicazione inefficace. Le persone, infatti, di fronte ad un iniziale disturbo comunicativo per lo più connesso a percezioni e interpretazioni diverse di uno stesso evento, anziché ri- correre al chiarimento metacomunicando, evitano il contatto e si costruiscono ipo- tesi, non sempre corrette e pertinenti, sul comportamento degli altri. Altre volte, troviamo divergenze di gusto e di sensibilità. Queste fanno in ge- nere riferimento a cosa le persone prediligono e a cosa invece non sopportano. In tali casi, l’intensità del conflitto è correlata all’entità della posta in gioco. Ad un livello successivo, troviamo le divergenze di linea di condotta e di men- talità. Sono, pertanto, i valori e le convinzioni personali ad essere chiamati in causa e lo scontro riguarda quello che “dovrebbe essere” o quello che “è”. Esistono poi conflitti connessi all’infrazione di alcune regole di interazione. Tutti i nostri rapporti sono governati da una serie di regole informali che defi- niscono quali comportamenti siano da ritenersi appropriati nelle diverse circo- stanze. Il rispetto di esse riduce al minimo la possibilità di conflitto; al contrario, il venir meno alla loro osservanza può facilmente determinare la rottura del rapporto almeno fino a quando non si tenti un’azione di recupero. Inoltre, molti conflitti sono dovuti all’esistenza nei gruppi di strutture interat- tive, per lo più di natura informale, che non rispettano l’equità nella distribuzione del potere, dei riconoscimenti, della comunicazione, della simpatia, delle responsa- bilità. Ciò si verifica quando rapporti più stretti, tra alcuni membri del gruppo, atti- vano dinamiche di esclusione e isolamento nei confronti di altri membri del gruppo. Infine, una causa ricorrente di conflitto è data dal voler accedere a risorse non condivisibili o delle quali si vuole avere un possesso esclusivo. Tipi Per quanto concerne i tipi di conflitto, possiamo distinguere i conflitti sem- plici, gli pseudoconflitti e i conflitti-Io. I conflitti semplici si verificano quando due persone, o due gruppi di persone, conoscono ciascuno gli obiettivi altrui, ma nessuno può soddisfare il proprio senza impedire alla controparte di soddisfare il suo. Gli pseudoconflitti, che derivano per lo più da una comunicazione inefficace, si verificano quando le persone, pur concordando su un determinato argomento, sono incapaci di comunicare l’accordo; assumono, quindi, di essere in disaccordo e il contrasto prende forma. I conflitti-Io si verificano quando le persone percepiscono, in una determinata situazione, una minaccia al proprio Io, per cui divengono emozionalmente coin- volte fino al punto di andare contro gli altri per proteggere se stesse. 250 Stili di fronteggiamento Secondo Thomas e Kilmann (1974), gli stili di gestione del conflitto variano lungo due dimensioni: la collaboratività e l’assertività. Thomas - Kilmann, 1974. A bassa collaboratività e bassa asssertività corrisponde lo stile evitante. Le persone che prediligono questo stile, scelgono di non affrontare il conflitto, pren- dendo distanza da esso. L’evitamento del conflitto come strategia temporanea può essere talvolta utile, ad esempio quando si è emotivamente carichi o quando non si ha abbastanza tempo per affrontare la situazione costruttivamente. Se, tuttavia, la strategia diven- tasse permanente, il conflitto, oltre a non risolversi, tenderebbe a peggiorare. A bassa collaboratività e alta assertività corrisponde lo stile competitivo. Questo stile, spesso associato all’uso di potere, è proprio di chi ha come unico obiettivo quello di vincere, indipendentemente dalle ripercussioni negative che questo può avere sull’esito del conflitto e sulla relazione. Questo stile, che può essere adottato quando sono in gioco questioni etiche, se assunto consistentemente potrebbe danneggiare seriamente le relazioni di collabo- razione. A bassa assertività e alta collaboratività corrisponde lo stile accomodante. Le persone che ricorrono a questo stile si comportano con una certa arrrendevolezza mettendo da parte i propri bisogni per assecondare quelli degli altri. Talvolta, quando la posta in gioco è relativamente bassa, tale stile può risultare vantaggioso in quanto accelera la soluzione del conflitto, d’altra parte, se assunto indiscriminatamente, si potrebbe tradurre in una svalutazione delle proprie posi- zioni. A moderata assertività e moderata collaboratività corrisponde lo stile di com- promesso. Coloro che adottano questo stile sono disposti a cedere su alcune posi- 251 zioni, purché anche la controparte faccia altrettanto. Tale stile ha il vantaggio della rapidità ed è utile quando il problema non è particolarmente ostico. Tuttavia lascia spesso un retrogusto di insoddisfazione che può dar vita a nuovi conflitti. Ad alta collaboratività e alta assertività corrisponde lo stile collaborativo, Chi ricorre a questo stile si sforza di trovare una soluzione, spesso del tutto nuova ri- spetto a quelle inizialmente ipotizzate, che tenga conto delle proprie esigenze e di quelle altrui. Si adopera, quindi, per un confronto attivo e costruttivo. Tale ap- proccio, indiscutibilmente apprezzabile sotto molti aspetti, ha anch’esso i suoi li- miti: richiede molto tempo e necessita di alcune condizioni, come la fiducia reci- proca, non sempre riscontrabili. Gli stili appena descritti sono parzialmente sovrapponibili a quelli individuati da Johnson e Johnson (1991, cit. in Comoglio, 1998) i quali collocano le diverse strategie di fronteggiamento del conflitto lungo due coordinate: interesse per l’altro e per la relazione, interesse per i propri bisogni ed interessi. Comoglio, 1998, 387. Gli autori arrivano così a differenziare cinque stili: 1. sfuggente, tipico di chi evita il conflitto rinunciando ai suoi obiettivi e alla re- lazione con gli altri; 2. aggressivo, tipico di chi pur di raggiungere i suoi obiettivi sopraffà gli altri non curandosi dei loro bisogni e interessi; 3. arrendevole, tipico di chi pur di non entrare in contrasto con gli altri rinuncia ai suoi obiettivi e interessi personali; 4. accomodante, tipico di chi cerca il compromesso attraverso una soluzione in cui entrambi guadagnano e perdono qualcosa; 5. patteggiante, tipico di chi cerca il confronto prestando attenzione ai propri obiettivi, a quelli dell’altro e alla relazione. 252 Nona unità - Allegato 4 IL CASO DI FILIPPO Filippo allena i ragazzi dell’oratorio ed è molto bravo. Gli viene offerta dal di- rigente di una squadra della provincia di allenare i suoi ragazzi. Filippo, felice, accetta. L’amministratore Ernesto, con il quale deve prendere contatti per regolarizzare il suo incarico, è il fratello dell’allenatore precedente ed è membro del Consiglio Direttivo della Società. All’inizio tutto sembra andare bene. Filippo comincia ad allenare i ragazzi che lo accolgono molto positivamente. Un po’ alla volta, però, la situazione comincia a cambiare. Negli incontri di lavoro Ernesto contraddice Filippo, mette in dubbio la sua autorità, lo tratta con sufficienza. Una volta Filippo sorprende Ernesto sparlare di lui apostrofandolo come incapace. Filippo non se la sente di affrontare Ernesto perché teme che il suo contratto non possa essere rinnovato. Fa buon viso a cattiva sorte e continua a dare il meglio di sé con i ragazzi. La sua salute però comincia a incrinarsi, inizia a soffrire di insonnia e a sentirsi molto teso. Alla fine, esausto per le continue offese dirette ed indirette, decide di andarsene prima dello scadere del contratto. 1. Come si caratterizza il conflitto tra Filippo ed Ernesto? ..................................................................................................................................... 2. Cosa si può rintracciare all’origine del conflitto? ..................................................................................................................................... 3. Che cosa vuole Ernesto? ..................................................................................................................................... 4. Che cosa vuole Filippo? ..................................................................................................................................... 5. Che stile utilizza Ernesto? ..................................................................................................................................... 6. Che stile utilizza Filippo? ..................................................................................................................................... 7. Se tu fossi stato al posto di Filippo, cosa avresti fatto? ..................................................................................................................................... 253 Nona unità - Allegato 5 QUESTIONARIO SUI METODI DI GESTIONE DEL CONFLITTO1 Scegliete un unico schema di riferimento per rispondere alle quindici do- mande (per esempio, conflitti a scuola, in famiglia o con gli amici) e tenete lo schema di riferimento a mente quando rispondete. Assegnate 10 punti tra le quattro risposte alternative date per ciascuna delle quindici domande riportate di seguito. Esempio: quando i miei amici sono coinvolti in un conflitto personale, generalmente: Intervengo per appianare il conflitto Convoco una riunione per parlare del problema Se posso offro il mio aiuto Ignoro il problema 3 6 1 0 Assicuratevi che le vostre risposte totalizzino 10 punti 1) Quando qualcuno che mi sta a cuore è apertamente ostile nei miei confronti, cioè urla, minaccia, offende, ecc., io: Rispondo in maniera ostile Cerco di convincere la persona ad abbandonare il suo comportamento apertamente ostile Rimango ed ascolto il più a lungo possibile Me ne vado 2) Quando qualcuno, relativamente poco importante per me, è fortemente ostile nei miei confronti, cioè urla, minaccia, offende, ecc., io: Rispondo in maniera ostile Cerco di convincere la persona ad abbandonare il suo comportamento apertamente ostile Rimango ed ascolto il più a lungo possibile Me ne vado 3) Quando osservo delle persone in conflitto tra loro e che manifestano rabbia, minacce, ostilità e delle posizioni decise, tendo a: Restare coinvolto ed a prendere una posizione Cerco di mediare Osservo per vedere cosa succede Me ne vado il prima possibile 4) Quando vedo una persona che bada ai propri interessi, ma a mie spese, sono portato a: Cercare di cambiare quella persona Cercare di cambiare il suo atteggiamento facendo affidamento sulla persuasione e sui “fatti” Provare con tutte le forze a cambiare il mio atteggiamento nei confronti di quella persona Accettare la situazione così com’è 1 Tratto da: ROBERT, 1982. 254 5) Quando sono coinvolto in una disputa interpersonale, la linea di comportamento che seguo è: Portare l’altra persona a vedere il problema come lo vedo io Esaminare la questione tra noi nel modo più logico possibile Cercare con tutte le forze un compromesso accettabile Lasciare passare del tempo e aspettare che il problema si risolva da solo 6) Quando occorre affrontare un conflitto, il valore che ritengo più importante è: La forza emotiva e la sicurezza L’intelligenza L’affetto e le franchezza La pazienza 7) Dopo una lite grave con qualcuno, al quale tengo molto, io: Desidero fortemente tornare indietro e sistemare le cose a modo mio Voglio tornare indietro e risolvere la questione a costo di qualunque compromesso Mi preoccupo molto, ma non ho intenzione di stabilire un ulteriore contatto Lascio tutto così com’è e non ho intenzione di stabilire un ulteriore contatto 8) Quando vedo nascere un grave conflitto tra due persone alle quali tengo, tendo a: Esprimere la mia delusione sull’accaduto Tentare di convincerle a risolvere le loro divergenze Aspettare e vedere che cosa accade Abbandonare il campo 9) Quando vedo nascere un contrasto grave tra due persone alle quali non tengo particolarmente, tendo a: Esprimere la mia delusione sull’accaduto Tentare di convincerle a risolvere le loro divergenze Aspettare e vedere che cosa accade Abbandonare il campo 10) L’impressione che io do alla maggior parte delle persone sul mio comportamento, quando mi trovo a dover affrontare un conflitto o un contrasto, è che: Cerco in tutti i modi di fare a modo mio Cerco di risolvere le differenze collaborando Sono una persona tollerante e prendo una posizione morbida o di conciliazione Generalmente evito il conflitto 11) Quando devo comunicare con qualcuno con il quale ho un grave conflitto, io: Cerco di sopraffare l’altra persona parlando Parlo più di quanto non sia disposto ad ascoltare Sono un ascoltatore attento (manifesto sensazioni e sentimenti) Sono un ascoltatore passivo (concordo e mi scuso) 255 12) Quando sono coinvolto in un conflitto spiacevole, io: Uso l’umorismo con la controparte Faccio delle battute a caso o scherzo sulla situazione o sul nostro rapporto Riservo l’umorismo unicamente per me Vanifico tutti i tentativi con l’umorismo 13) Quando qualcuno fa qualcosa che mi irrita e devo comunicare con questa persona che trasgredisce, la mia tendenza è di: Insistere affinché la persona mi guardi negli occhi Guardare dritto negli occhi la persona e mantenere lo sguardo fisso Non guardare sempre fisso negli occhi la persona Evitare di guardare la persona direttamente negli occhi 14) Quando qualcuno fa qualcosa che mi irrita (fuma in una zona per non fumatori o mi passa davanti in una fila) e devo comunicare con questa persona che trasgredisce, la mia tendenza è di: Rimanerle vicino e creare un contatto fisico Utilizzare mani e corpo per dimostrare le mie idee Stare vicino alla persona senza toccarla Indietreggiare e non toccarla per niente 15) Quando qualcuno fa qualcosa che mi irrita (fuma in una zona per non fumatori o mi passa davanti in una fila) e devo comunicare con questa persona che trasgredisce, la mia tendenza è di: Usare un linguaggio diretto e forte e dirle di smetterla Cercare di convincere la persona a smetterla Dire alla persona in modo educato quali sono le mie idee Parlare e non fare niente - PUNTEGGIO E INTERPRETAZIONE - Dopo aver risposto alle quindici domande, aggiungete il vostro punteggio ver- ticalmente, inserendo i totali nelle 4 colonne Colonna 1 Colonna 2 Colonna 3 Colonna 4 totale Usando il vostro punteggio totale in ciascuna colonna completate la seguente tabella: 1 2 3 4 150 125 100 75 50 PUNTEGGIO TOTALE 25 0 256 Colonna 1. Aggressivo/ama il confronto. L’alto punteggio indica una tendenza a “prendere il toro per le corna” ed una forte necessità di controllare le situazioni e/o le persone. Coloro che usano questi metodi tendono spesso a comandare e a giudicare. Colonna 2. Positivo/persuasivo. L’alto punteggio indica una tendenza a farsi valere senza però essere insi- stente, un approccio di anticipo verso il conflitto ed una disponibilità a collaborare. Coloro che usano questi metodi dipendono molto dalle loro capacità verbali. Colonna 3. Osservatore/introspettivo. L’alto punteggio indica una tendenza a osservare gli altri e a esaminare se stessi in modo analitico quando si affrontano situazioni di conflitto ed indica un bi- sogno di consigliare ed una forma di comportamento rivolta all’ascolto. Coloro che usano questi metodi sono probabilmente delle persone disposte a collaborare e conciliatrici. Colonna 4. Persone che tendono a evitare il problema/che reagiscono. L’alto punteggio indica una tendenza verso la passività o a tirarsi indietro dalle situazioni di conflitto insieme alla necessità di evitare il confronto. Coloro che usano questi metodi sono spesso delle persone accomodanti, pazienti e spesso sof- focano i loro sentimenti forti. Sommate i totali dei vostri punteggi per le colonne 1 e 2 e le colonne 3 e 4. Colonna 1 + Colonna 2 = Punteggio A Colonna 3 + Colonna 4 = Punteggio B Se il punteggio A è molto più alto rispetto al punteggio B (25 o più punti) po- trebbe indicare la tendenza a gestire i conflitti in modo aggressivo/affermativo. Un punteggio B molto più alto indica un approccio più conciliatore. 257 RI F L E S S I O N E Cosa vi suggerisce il questionario sul vostro stile di fronteggiamento del con- flitto? C’è qualcosa che desiderereste modificare? Se sí, in quale direzione? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 258 Nona unità - Allegato 6 GESTIRE I CONTRASTI E NEGOZIARE: LINEAMENTI TEORICI - seconda parte Un’efficace tecnica di gestione del conflitto è la negoziazione. Si tratta di una strategia attraverso la quale le parti in contrasto cercano di raggiungere un accordo soddisfacente impegnandosi a comprendere le reciproche posizioni e a manifestare onestamente le reciproche esigenze. La negoziazione prevede quattro fasi (Edelmann, 2000): - riconoscere l’esistenza del problema; - essere consapevoli dei bisogni e degli scopi reciproci; - discutere il problema e le possibili soluzioni; - risolvere il problema cercando soluzioni di mutuo vantaggio. Riconoscere l’esistenza del problema Prima di tutto, si richiede che entrambe le parti riconoscano il problema e siano disposte ad esplicitarlo e gestirlo. Per realizzare adeguatamente questa fase, occorre rendersi consapevoli del problema ed essere sicuri che i benefici nell’af- frontarlo siano superiori ai costi; in secondo luogo, è necessario prendersi del tempo per organizzare le idee su cosa dire e su come dirlo, onde evitare di essere sopraffatti da sentimenti negativi che possono interferire con una esposizione calma e razionale delle proprie posizioni. In terzo luogo, occorre manifestare alla controparte la nostra percezione del problema, la nostra condizione emotiva, i nostri scopi. Infine, si richiede di assicu- rarsi la cooperazione dell’altro, in assenza della quale il problema non potrà essere risolto. Essere consapevoli dei bisogni e degli scopi reciproci Affinché ci si possa intendere, è necessario che entrambe le parti dichiarino in modo inequivocabile il proprio punto di vista. Per realizzare adeguatamente questa fase occorre: - lasciare che l’altro espliciti fino in fondo il suo pensiero; - decentrarsi e vedere la situazione dal punto di vista dell’altro; - rispecchiare ciò che si è compreso; - chiarire il proprio punto di vista. Discutere il problema e le possibili soluzioni Obiettivo di questa fase è di arrivare ad una soluzione del problema che possa soddisfare entrambe le parti. Si tratta della fase più delicata del processo di nego- ziazione in quanto richiede alle parti di: 259 - identificare un terreno comune di intesa; - riconoscere che entrambe hanno una responsabilità nel conflitto; - concentrarsi sul problema da risolvere. Risolvere il problema cercando soluzioni di mutuo vantaggio Quest’ultima fase, che dovrebbe scaturire dalla tre precedenti, consiste nel ri- cercare e proporre soluzioni che siano rispondenti agli interessi e ai bisogni di ognuno nonché all’oggettività della situazione. Alcune domande possono aiutarci in questa fase: “La soluzione è buona per entrambe le parti?”; “Le due parti sono soddisfatte allo stesso modo?”; “La solu- zione potrebbe creare risentimento?”; “Sono stati espressi e capiti diritti e obblighi da parte di entrambe le parti?”. Il processo di negoziazione, nelle sue diverse fasi, richiede che siano osservati i seguenti comportamenti: - focalizzarsi sul problema, non sulla persona: - cercare i punti di accordo e non solo quelli di disaccordo; - ridurre la componente emotiva del conflitto; - evitare di insultare, biasimare, accusare; - riformulare la posizione dell’altro; - dire le cose chiaramente; - controllare le proprie inferenze circa le azioni altrui; - lavorare con onestà e buona fede. 260 Nona unità - Allegato 7 UNA SITUAZIONE CONFLITTUALE L’insegnante di cultura si lamenta del fatto che, in parte per le lacune accumu- late, in parte per lo scarso impegno, solo pochi allievi seguono il suo corso con profitto. Esorta i ragazzi ad una partecipazione e ad uno studio più consistente, perché ritiene che alcune conoscenze di base siano fondamentali per qualsiasi la- voro si scelga di fare. Gli allievi, dal canto loro, rispondono che amano fare cose pratiche, che non sono abituati a studiare a casa e che trovano piuttosto difficile seguire una materia come cultura. L’insegnante insiste sulla necessità che si impegnino di più e che la precom- prensione che hanno nei confronti di materie come cultura, può essere un grosso ostacolo che impedisce loro di apprezzarne l’importanza. 261 Nona unità - Allegato 8 SUGGERIMENTI PER I PARTNER IN CONFLITTO 1. CERCA DI CAPIRE LE TUE MOTIVAZIONI E QUELLE DELL’ALTRO. 2. ESPRIMI CHIARAMENTE ALL’ALTRO IL TUO PUNTO DI VISTA, LE TUE EMOZIONI, I TUOI SCOPI. 3. ASCOLTA CON ATTENZIONE E RIFORMULA QUANTO ASCOLTATO. 4. RIMANI CENTRATO SUL PROBLEMA, NON GIUDICARE LA PERSONA DELL’ALTRO. 5. FAI PROPOSTE E RISPONDI ALLE PROPOSTE. 6. ARRIVA A CONCRETIZZARE COSA CIASCUNO PUÒ FARE DI DIVERSO PER MIGLIORARE LA SITUAZIONE. 262 Nona unità - Allegato 9 GRIGLIA PER L’OSSERVATORE In che misura i partner in conflitto osservano i seguenti comportamenti? Indica per ciascun partner la tua valutazione sapendo che 1 = per niente 5 = molto A B 1 2 3 4 5 SI ASCOLTANO FINO IN FONDO 1 2 3 4 5 1 2 3 4 5 ESPRIMONO CON CHIAREZZA EMOZIONI, OPINIONI, DESIDERI 1 2 3 4 5 1 2 3 4 5 IDENTIFICANO BISOGNI E SCOPI RECIPROCI 1 2 3 4 5 1 2 3 4 5 SCINDONO IL PROBLEMA DALLA PERSONA 1 2 3 4 5 1 2 3 4 5 ASSUMONO LA PROSPETTIVA DELL’ALTRO 1 2 3 4 5 1 2 3 4 5 RIFORMULANO QUANTO ASCOLTATO 1 2 3 4 5 1 2 3 4 5 INVENTANO SOLUZIONI DI MUTUO VANTAGGIO 1 2 3 4 5 1 2 3 4 5 EVITANO COMUNICAZIONI VALUTATIVE 1 2 3 4 5 263 Nona unità - Allegato 10 UN CONFLITTO INTERPERSONALE Pensa ad una persona con la quale hai un rapporto conflittuale e svolgi il se- guente esercizio. 1. Riconoscere il problema - Il problema è sperimentato e riconosciuto da entrambe le parti? - Fai un elenco dei pro e dei contro, qualora decidessi di affrontare il conflitto ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 2. Cercare di capire la posizione dell’altro - Trascrivi tutto quello che pensi e provi relativamente a questo conflitto - Ora mettiti nei panni dell’altro e trascrivi tutto quello che pensi e provi ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 3. Discutere il problema - Come definiresti il problema? Come lo definirebbe l’altro? Ci sarebbero delle differenze? - Che percezione hai del tuo ruolo nel conflitto? - Che percezione ritieni abbia l’altra parte circa il suo? - Cosa c’è all’origine del problema? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 4. Risolvere il problema - Qual è secondo te la soluzione ideale? - Quali sono i pro e i contro di questa soluzione? - Con questa soluzione vincerebbe uno solo o entrambi? - Secondo te, anche l’altro potrebbe arrivare a proporre una soluzione del ge- nere? In caso contrario, perché? E quale pensi potrebbe proporre? - Se la soluzione potesse funzionare per entrambi, come la applicheresti? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... VARIABILE COMPITO Fronteggiamento efficace di richieste e problemi insiti in una determinata attività UNITÀ OPERATIVE: DESCRIZIONE E ALLEGATI 10. PIANIFICARE IL PROPRIO AGIRE 11. RISOLVERE PROBLEMI E PRENDERE DECISIONI 12. POTENZIARE LE PROPRIE STRATEGIE DI APPRENDIMENTO E DI AZIONE 267 PIANIFICARE IL PROPRIO AGIRE Capacità in oggetto Programmarsi e organizzarsi di fronte ad un compito. Finalità Incrementare negli allievi la capacità di porsi di fronte ad un com- pito pianificando il proprio agire. Tempi Un incontro di circa due ore. Descrizione dell’incontro OBIETTIVI 1. Conoscere cosa si richiede per predisporsi all’esecuzione at- tenta di un compito. 2. Potenziare le abilità di organizzazione e programmazione di un’attività. FASI Esperienza concreta Il formatore invita gli allievi a rispondere alle domande del que- stionario “Quando mi metto al lavoro” (All. 1). Osservazione riflessiva Quando i ragazzi hanno terminato di rispondere stimola la rifles- sione sull’importanza di sapersi organizzare e di saper pianificare il proprio agire prima di affrontare un compito o un’attività, parti- colarmente quando questi sono di una certa complessità. Concettualizzazione astratta Il formatore si sofferma brevemente sulla capacità relativa al pia- nificare il proprio agire, fornendo agli allievi alcune indicazioni concrete da seguire prima, durante e dopo l’esecuzione di un com- pito (All. 2). Sperimentazione attiva Gli allievi sono invitati a formare delle coppie a ad eseguire l’atti- vità riportata nell’allegato 3. Conclusione L’attività si conclude con un confronto di gruppo sull’esperienza e con la presentazione del “decalogo del buon programmatore” (All. 4). DECIMA UNITÀ 268 MATERIALI Allegati 1, 2, 3, 4 Lavagna luminosa SUGGERIMENTI EDUCATIVI Allo scopo di aiutare gli allievi a migliorare la capacità di pianifi- care il proprio agire, i formatori possono: 1. esplicitare obiettivi e passi procedurali necessari per svolgere una determinata attività; 2. sollecitare gli allievi a seguire una scaletta prima di iniziare a lavorare; 3. trasmettere adeguate abitudini di lavoro: tenere ordinato il posto di lavoro, procurarsi i materiali necessari, procedere con sistematicità ecc.; 4. abituare loro a riflettere sul processo seguito per portare a ter- mine un compito o un’attività. 269 Decima unità - Allegato 1 QUESTIONARIO “QUANDO MI METTO AL LAVORO…” Leggi le seguenti affermazioni e, per ciascuna, cerca di valutare il tuo modo di procedere, pensando a ciò che realmente fai e non a quello che ritieni si debba fare. Puoi usare la seguente scala: R= Raramente QV= Qualche volta S= Spesso G= Generalmente QS= Quasi sempre 1. Programmo attentamente ciò che devo fare, prima di iniziare un lavoro. 2. Prima di iniziare un lavoro mi rappresento chiaramente l’obiettivo che devo raggiungere. 3. Quando devo fare diverse cose, inizio con il compito più difficile, più urgente, più importante. Poi faccio il resto. 4. Scrivo la lista delle cose da fare nell’ordine in cui devono essere fatte. 5. Decido il tempo da dedicare a ciascuna fase di lavoro. 6. Mi assicuro di avere tutto il materiale necessario per svolgere al meglio il la- voro e finirlo in tempo. 7. Tengo in ordine il posto dove lavoro. 8. Mi concentro su un compito alla volta. 9. Revisiono il compito e controllo di averlo svolto correttamente secondo le istruzioni. 10. Lavoro con un ritmo tranquillo, ma costante. Che cosa dovresti migliorare del tuo metodo di lavoro? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... Le affermazioni che ricevono la valutazione di “raramente” hanno qualcosa in co- mune? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... Puoi indicare alcuni vantaggi legati al sapersi organizzare? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 270 Decima unità - Allegato 2 PIANIFICARE IL PROPRIO AGIRE: LINEAMENTI TEORICI Tra i fattori che intervengono nella risoluzione dei compiti, anche molto com- plessi, la competenza organizzativa occupa un posto significativo. Infatti, oltre alle conoscenze necessarie per svolgere una determinata attività e alla motivazione in- dispensabile per affrontarla e persistere nello sforzo, si richiede la capacità di pro- grammare e pianificare il comportamento in funzione degli obiettivi che devono essere perseguiti. Il possesso di tale capacità consente: - un’esecuzione più agevole del lavoro; - un monitoraggio costante dell’attività; - un migliore controllo del proprio tempo. Ma cosa si richiede nella programmazione e nella pianificazione di un com- pito o d un’attività? Il primo passo consiste nella definizione chiara del proprio obiettivo. Questo implica comprendere esattamente cosa il compito richiede e in base a quali para- metri verrà verificata l’esecuzione corretta. Il secondo passo è quello di stabilire una serie di azioni o fasi per raggiungere l’obiettivo. Si tratta di scomporre l’attività in una sequenza di operazioni che, af- frontate una alla volta, consentono di ridurre la complessità del compito e di moni- torarne più agevolmente la stessa esecuzione. Il terzo passo è quello di procurare tutti i materiali necessari per eseguire ogni singola fase e di ordinarli in modo tale che siano di facile reperibilità al momento che occorrono. Il quarto passo consiste nell’ipotizzare gli eventuali problemi che potrebbero presentarsi e nell’individuare per essi le possibili soluzioni. Il quinto passo, infine, è di cimentarsi nell’attività monitorandone, fase per fase, l’andamento. Ciò significa controllare il lavoro, verificarne la rispondenza ri- spetto all’obiettivo, correggere eventuali errori. Il processo di pianificazione, appena descritto, può essere talvolta seguito taci- tamente, ossia è possibile percorrere le diverse fasi senza esserne del tutto consa- pevoli. Tuttavia, al fine di potenziare effettivamente la capacità che sottostà ad esso occorre che le singole operazioni che lo caratterizzano siano coscientizzate e rese esplicite per poter essere richiamate e riutilizzate in compiti diversi. 271 Decima unità - Allegato 3 UN PROCEDIMENTO DETTAGLIATO Descrivi in una/due pagine un procedimento dettagliato per svolgere un com- pito di moderata complessità. Quando hai terminato scambia il tuo elaborato con quello del compagno. Leggi ciò che il compagno ha scritto e riporta la sua descrizione del procedi- mento nella seguente tabella. Se dovessi incontrare delle difficoltà puoi chiedere spiegazioni al compagno. Quanto più il compagno è stato dettagliato nel descrivere il procedimento, tanto meno avrai difficoltà a completare la tabella. Quando hai terminato restituisci la tabella completata al tuo compagno che, sulla base di essa, dovrà migliorare la sua iniziale descrizione. Tu farai altrettanto. INTESTAZIONE OBIETTIVO FASI COSA FARE CON QUALI MATERIALI IN QUALI TEMPI 272 Decima unità - Allegato 4 IL DECALOGO DEL BUON PIANIFICATORE Programma attentamente ogni cosa prima di iniziare a lavorare Indica chiaramente l’obiettivo che devi raggiungere Assicurati di avere tutto l’occorrente che ti serve per svolgere al meglio il tuo la- voro Non lasciarti andare alle distrazioni Individua i passi necessari per raggiungere l’obiettivo Fai una lista delle cose da fare nell’ordine e nel tempo in cui devono essere fatte Inizia con quelle parti del lavoro che sono più importanti, più difficili o che ri- chiedono più tempo Concentrati su un compito alla volta Appena hai completato una fase impegnativa concediti una breve pausa Revisiona il compito e correggi eventuali errori Esulta per aver fatto un buon lavoro! 273 AFFRONTARE I PROBLEMI E ASSUMERE DECISIONI Capacità in oggetto Risolvere problemi e prendere decisioni di natura situazionale. Finalità Potenziare negli allievi i processi cognitivi impiegati nella solu- zione di problemi e nella presa di decisioni. Tempi Tre incontri di circa due ore ciascuno. Descrizione degli incontri PRIMO INCONTRO OBIETTIVI 1. Dare una definizione di problema. 2. Conoscere le fasi caratterizzanti il processo di problem solving e decision making. 3. Definire operativamente un problema. 4. Utilizzare la tecnica del brainstorming per produrre alternative di soluzione. FASI Esperienza concreta Il formatore invita gli allievi a riflettere su alcuni problemi che hanno dovuto affrontare nell’ultimo periodo e a descrivere, su un foglio, i tre più importanti. Chiede, quindi, loro di trovare gli ele- menti che accomunano i diversi problemi, al di là della evidente eterogeneità di contenuto che può esistere nelle tre situazioni indi- viduate (All. 1). Osservazione riflessiva Attiva quindi una riflessione di gruppo sugli elementi che, indi- pendentemente dalle caratteristiche e dai contenuti dei singoli pro- blemi, sono alla base di ciascuno di essi. Concettualizzazione astratta Il formatore esplicita gli elementi caratterizzanti un problema, si sofferma sulla definizione di esso e introduce le fasi che occorre seguire per affrontare e risolvere un problema (All. 2). UNDICESIMA UNITÀ 274 Sperimentazione attiva Il formatore invita gli allievi a formare delle coppie e assegna a ciascun partner della coppia un elenco di domande utili per la defi- nizione operativa di un problema (All.3). Suggerisce, quindi, agli allievi di presentare a turno un proprio problema e di intervistarsi reciprocamente, con l’ausilio delle domande, fino ad arrivare ad una descrizione operativa di esso. La seconda fase della sperimentazione attiva consiste nel produrre alternative di soluzione ricorrendo alla tecnica del brainstorming. A tal fine, il formatore consegna agli allievi la scheda “Come risol- veresti questo problema?” (All. 4), quindi invita loro a trovare in- dividualmente delle soluzioni e successivamente raccoglie le di- verse idee che ciascuno ha prodotto. L’attività si conclude ripristinando le coppie e applicando la tec- nica del brainstorming ai problemi precedentemente presentati e descritti. Conclusione L’incontro termina riprendendo le fasi del problem solving preci- sando ciò che è stato fatto e cosa resta da fare. MATERIALI Allegati 1, 2, 3, 4 Lavagna luminosa SECONDO INCONTRO OBIETTIVI 1. Conoscere le abilità del pensiero creativo e intuitivo. 2. Risolvere problemi che richiedono l’uso di tali abilità. FASI Esperienza concreta Il formatore invita i ragazzi a risolvere individualmente i problemi riportati nell’allegato 5. Osservazione riflessiva Il formatore raccoglie le risposte fornite dai ragazzi e stimola la ri- flessione sui processi che hanno permesso di arrivare, per ciascun problema, alla soluzione esatta. Concettualizzazione astratta Il formatore spiega l’importanza che rivestono le abilità creative ed intuitive nel processo di problem solving ed esplicita i processi di codificazione, combinazione e confronto selettivi (All. 6). 275 Sperimentazione attiva Il formatore suddivide la classe in gruppi di tre persone; consegna a ciascun gruppo un elenco di problemi (All. 7) ed invita i ragazzi a risolverli applicando i processi precedentemente descritti. Veri- fica, quindi, ciò che i diversi gruppi hanno prodotto. Successivamente assegna loro il problema dei “Furti nei grandi magazzini” (All. 8), chiedendo di risolverlo tramite il ricorso all’a- nalogia e seguendo le fasi indicate. Conclusione L’incontro si conclude con il gioco “Risolvere un problema è come….perché…..”. Il formatore invita i ragazzi, a turno, a com- pletare le frasi riportate su un apposito cartellone (All. 9) quindi a scegliere tra tutte le tre analogie più originali. MATERIALI Allegati 5, 6, 7, 8, 9 Lavagna luminosa TERZO INCONTRO OBIETTIVI 1. Conoscere le procedure che possono facilitare la presa di deci- sione. 2. Applicare una strategia di decision making ad una situazione concreta. FASI Esperienza concreta Il formatore sottopone agli allievi il problema della famiglia Rossi e la soluzione da essa adottata (All. 10). Osservazione riflessiva Invita quindi gli allievi a rispondere alle domande riportate nell’al- legato e a confrontarsi in piccoli gruppi. Successivamente racco- glie le risposte degli allievi. Concettualizzazione astratta Il formatore illustra le ultime tre fasi del problem solving ed esplicita la strategia di Productive Problem Solving di Carkhuff (All. 11). Sperimentazione attiva Il formatore chiede agli allievi di formare gruppi da tre e di pro- vare ad applicare la strategia descritta ad una loro situazione con- creta. 276 Conclusione L’incontro si conclude riepilogando i contenuti dei tre incontri e raccogliendo le impressioni degli allievi sull’applicabilità di quanto proposto. MATERIALI Allegati 10, 11 Lavagna luminosa Lucidi SUGGERIMENTI EDUCATIVI Allo scopo di favorire negli allievi l’acquisizione e il potenzia- mento delle abilità di problem solving, il formatore può: 1. dare all’insegnamento un carattere problemico; 2. analizzare e risolvere problemi tratti dal mondo reale; 3. prevedere situazioni di problem solving intragruppale, inter- gruppale e individuale; 4. stimolare le abilità di pensiero creativo. 277 Undicesima unità - Allegato 1 QUANDO UN PROBLEMA È PROBLEMA? Rifletti sui problemi che hai dovuto affrontare in quest’ultimo periodo e de- scrivi nella parte che segue i tre più importanti. PR O B L E M A 1 ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... PR O B L E M A 2 ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... PR O B L E M A 3 ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... Prescindendo dalle caratteristiche e dai contenuti specifici dei singoli problemi, puoi trovare degli elementi in comune tra loro? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... Quali aspetti devono essere presenti perché un problema possa definirsi tale? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 278 Undicesima unità - Allegato 2 PROBLEM SOLVING E DECISION MAKING : LINEAMENTI TEORICI - prima parte Definizione di problema Esaminando i problemi che ciascuno di noi incontra nelle diverse aree pos- siamo rintracciare alcuni elementi che ne costituiscono il denominatore comune e che ci permettono di stabilire quando un problema può definirsi tale. Essi sono: 1. la presenza di una richiesta che per lo più crea uno stato di tensione nella per- sona; 2. la risposta alla richiesta in cui la persona fa appello al suo repertorio di cono- scenze e strategie per risolvere il problema. Se queste portano alla soluzione il problema svanisce, diversamente si consolida; 3. l’impegno della persona a risolvere il problema; 4. le alterazioni dello stato emozionale e motivazionale. Se la persona percepisce di aver intrapreso l’itinerario corretto la sua motivazione crescerà e il suo im- pegno si manterrà sino alla soluzione. Diversamente, il suo itinerario cogni- tivo subirà molto probabilmente l’interferenza dell’ansia e dello stress e si ri- durranno le probabilità di risolvere il problema (Meazzini, 2000). Pertanto, un problema può essere definito tale quando, pur destando la nostra curiosità e suscitando la nostra motivazione, non è risolvibile facendo appello alle conoscenze e alle strategie in quel momento disponibili. È necessario attingere alle nostre risorse cognitive e generare nuove alterna- tive rispetto alle strategie già esistenti. Perché si possa parlare di problema deve esistere un gap, una discrepanza tra la difficoltà e il solutore. Ecco come alcuni autori definiscono un problema. Un soggetto vive una situazione problematica nel momento in cui si prefigge di raggiungere uno scopo, ma non sa individuare, nell’immediatezza del mo- mento, la sequenza di azioni necessaria per realizzare l’obiettivo (Newell - Simon, 1972). Un problema esiste nel momento in cui il soggetto si prefigge di raggiungere un obiettivo, ma non sa come arrivare alla meta (Duncker, 1945). Un interrogativo per il quale non esiste, al momento, una risposta osservabile (Skinner, 1972). Detto questo cerchiamo ora di capire quali siano le caratteristiche dei cosid- detti non problemi. I non problemi sono di due tipi: 279 - i non problemi del primo tipo riguardano tutte quelle situazioni per risolvere le quali è sufficiente ricorrere a ciò che sappiamo fare per cui non è necessario attingere a nuove conoscenze o generare nuove strategie; - i non problemi del secondo tipo riguardano, invece, tutte quelle situazioni per le quali non esiste possibilità di soluzione e che, in quanto tali, vanno unica- mente accettate. I problemi sono di varia natura: cognitiva, interpersonale, esistenziale, affet- tiva, ecc. Essi, infatti, possono presentarsi in qualsiasi settore della nostra vita. In questa unità faremo riferimento ai problemi connessi con la variabile compito, pertanto ci focalizzeremo su problemi di tipo situazionale. Tuttavia quanto diremo potrà es- sere esteso e applicato anche ad altri ambiti (affettivo, sociorelazionale, ecc.). Fasi di soluzione di un problema Se, come abbiamo visto, si può parlare di problema quando esiste un gap, una discrepanza tra la difficoltà e il solutore, ne deriva che la capacità di problem sol- ving consiste in un processo cognitivo, emotivo, comportamentale attraverso il quale il solutore cerca di ridurre, fino a superare, tale discrepanza. Tale processo si esplica in diverse fasi, ciascuna delle quali richiede, come ve- dremo, specifiche abilità; tali fasi sono: - percepire il problema - definire il problema - generare soluzioni - valutare le conseguenze di ogni soluzione - decidere quale soluzione attuare - implementare la soluzione scelta. In questa parte prenderemo in considerazione le prime tre fasi; le altre tre sa- ranno oggetto degli incontri successivi. Percepire il problema Talvolta i problemi esistono oggettivamente, ma non sono percepiti, altre volte sono avvertiti, ma in modo vago ed impreciso. Affinché un problema possa essere affrontato è necessario, innanzitutto, divenire consapevoli di esso. Una volta raggiunta questa consapevolezza occorre decidere se affrontarlo o meno. Possono essere diverse le ragioni che ci spingono a lasciar perdere: ritenere che affrontarlo produca più costi che benefici, convincersi dell’immodificabilità di una situazione, dubitare del tutto o in parte delle proprie capacità, attribuirne la re- sponsabilità ad altri. Di fatto, sono pochissimi i problemi che si risolvono da soli; nella maggior parte dei casi le situazioni tendono ad appesantirsi e a divenire sempre meno solubili. 280 Quando, al contrario, decidiamo di affrontare un problema, dovremmo valu- tare realisticamente e serenamente la situazione e le risorse di cui disponiamo. L’atteggiamento migliore è di considerare il problema una sfida alla quale pos- siamo fornire una risposta soddisfacente. Definire il problema Questa fase consiste nel raccogliere tutte le informazioni utili a definire con accuratezza il problema da affrontare. In particolare occorre: - identificare l’area di appartenenza - descrivere come si manifesta - individuarne le cause - formulare gli obiettivi da raggiungere. Naturalmente occorrerà utilizzare un linguaggio descrittivo che ci permetta di evitare formulazioni valutative o generiche. Alcune domande che possono aiutare nella definizione operativa del problema sono le seguenti: - Come si manifesta il problema? - Quando si manifesta? - Dove si manifesta? - Quanto spesso accade? - Quando non si manifesta? - Quali sono le persone coinvolte? - Da quanto tempo si manifesta? - Cosa dovrebbe accadere perché il problema possa dirsi risolto? Generare soluzioni Una volta definito il problema, il passo successivo è di prospettarsi tutte le possibili soluzioni ad esso. Se fino a questo momento dovevamo fare appello alla nostra razionalità per definire il problema e formulare gli obiettivi, ora ci viene richiesto di ricorrere alla nostra creatività. In questa fase, infatti, occorre produrre il maggior numero di idee, senza preoccuparci della loro fattibilità; non dobbiamo pertanto operare alcuna forma di censura. Vale il principio secondo il quale la quantità genera la qualità. Ne consegue che maggiore è il numero delle soluzioni prodotte, maggiore è la probabilità che tra esse ci sia quella efficace. 281 Undicesima unità - Allegato 3 DOMANDE PER LA DEFINIZIONE OPERATIVA DI UN PROBLEMA 1. COME SI MANIFESTA IL PROBLEMA? 2. QUANDO SI MANIFESTA? 3. DOVE SI MANIFESTA? 4. QUANTO SPESSO ACCADE? 5. QUANDO NON SI MANIFESTA? 6. QUALI SONO LE PERSONE COINVOLTE? 7. DA QUANTO TEMPO SI MANIFESTA? 8. COSA DOVREBBE ACCADERE PERCHÉ IL PROBLEMA POSSA DIRSI RISOLTO? 282 Undicesima unità - Allegato 4 COME RISOLVERESTI QUESTO PROBLEMA? Nella parte che segue troverai la descrizione di un problema. Leggila, dopo di che scrivi tutte le idee che ti vengono in mente. Scrivile proprio tutte, anche quelle che non ti convincono affatto. Non operare alcuna censura. Quando ti accorgi che non affluiscono più idee fermati. Gli abitanti della zona X sentono un forte odore di gas; c’è pericolo di una perdita, ma i tecnici non riescono a localizzare la perdita; ritengono che si possa trattare di una piccola falla nel condotto principale. Come si può risolvere il pro- blema? 1 Possibili soluzioni ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... Quante soluzioni hai prodotto? ..................................................................................................................................... Hai incontrato difficoltà? ..................................................................................................................................... Ritieni che qualcosa abbia potuto ostacolare la tua creatività? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 1 Tratto da: DE BONO, 1992, vol. 6. 283 Undicesima unità - Allegato 5 COME SI RISOLVONO? Nella parte che segue troverai la descrizione di alcuni problemi2. Leggili e cerca di scoprire la soluzione. 1. In un cassetto hai dei calzini neri e dei calzini blu mescolati in una propor- zione di 4 su 5. Poiché è buio non riesci a distinguere il colore dei calzini che prendi dal cassetto. Quanti calzini devi prendere dal cassetto per essere sicuro di averne un paio dello stesso colore? Soluzione..................................................................................................................... 2. Ad un meeting c’erano 100 politici. Ognuno di loro poteva essere onesto o dis- onesto. Noi riportiamo i due elementi che conosciamo: primo, almeno uno dei politici era onesto; secondo, per ogni due politici almeno uno su due era dis- onesto. Quanti politici erano onesti e quanti disonesti e quanti fanno parte di ciascuna categoria? Soluzione .................................................................................................................... 3. Un aeroplano precipita sulla linea di confine tra Stati Uniti e Canada. In quale dei due paesi vengono sepolti i sopravvissuti? Soluzione..................................................................................................................... 4. Di fronte a te ci sono sei bicchieri, messi l’uno accanto all’altro. Di questi i primi tre sono pieni ed i secondi tre vuoti. Muovendone solo uno, modifica la disposizione dei bicchieri, in modo tale da alternare un bicchiere vuoto e uno pieno. Soluzione..................................................................................................................... 2 I primi tre problemi sono tratti da STEMBERG - SPEAR-SWERLING , 1997, l’ultimo da MEAZZINI, 2000. 284 Undicesima unità - Allegato 6 LE ABILITÀ CREATIVE E L’INTUIZIONE: LINEAMENTI TEORICI Come abbiamo avuto modo di specificare nell’incontro precedente, durante la fase di problem solving relativa alla produzione delle alternative di soluzione, si ri- chiede di essere il più possibile creativi. Per questo prima di affrontare le ultime tre fasi del problem solving (valutare le conseguenze delle soluzioni prodotte, decidere quale soluzione attuare, implementare la soluzione scelta) vogliamo dedicare del tempo alle abilità proprie del pensiero creativo ed intuitivo. Secondo Davidson e Sternberg (1984), si possono distinguere tre generi di abi- lità intuitive, separate, ma correlate tra loro: la codificazione selettiva, la combina- zione selettiva e il confronto selettivo. La codificazione selettiva si riferisce all’abilità di distinguere le informazioni rilevanti da quelle irrilevanti. Così, ad esempio, per rispondere correttamente al quesito dei calzini, riportato nell’allegato 5, occorre prescindere dall’informazione del tutto irrilevante che i colori sono in una proporzione di 4 a 5. In particolare, si richiede di elencare tutte le informazioni disponibili, di eliminare quegli elementi che evidentemente o probabilmente sono irrilevanti per risolvere il problema, con- siderare le informazioni rilevanti, provare a trarre da esse ulteriori dati, trovare la soluzione. La combinazione selettiva si riferisce all’abilità di combinare le informazioni apparentemente isolate, ma allo stesso tempo rilevanti, in un insieme unitario per arrivare a risolvere un problema. Un esempio in cui si richiede questa abilità è rap- presentato dal problema del meeting dei politici riportato sempre nell’allegato 5. In questo problema, gli elementi rilevanti sono facilmente identificabili: almeno un politico era onesto; su due politici almeno uno era disonesto. La risposta al pro- blema è data dalla combinazione di questi due indizi: uno è onesto e 99 sono dis- onesti. Il confronto selettivo si riferisce all’abilità di porre in relazione informazioni nuove e informazioni vecchie. Le analogie sono un buon esempio di problemi di questo genere. Soluzioni creative e originali sono spesso frutto del pensiero analogico. Facciamo un esempio (Meazzini 2000, 176). Una ditta doveva costruire un missile le cui dimensioni dovevano essere tali da consentire una perfetta aderenza alle pareti del silos nel quale avrebbe dovuto essere collocato. Non era quindi pos- sibile trasportarlo nel modo classico. Ci voleva qualcosa di nuovo. Al creativo venne in mente il metodo usato dal nonno per condurre nella stalla il cavallo rilut- tante. Non lo si spingeva dentro a furia di spinte o di speroni, ma lo si trascinava 285 usando le briglie. Ecco allora la soluzione: “Bisogna trascinare il missile, utiliz- zando un cavo agganciato alla sua punta estrema”. Ma vediamo di comprendere meglio le diverse fasi attraverso le quali, in questo caso, si è snodato il processo di soluzione del problema. Fase 1. Definire il problema. Il missile aderisce così strettamente alle pareti del silos che non è possibile spingerlo. Fase 2. Creare le analogie. Vi sono situazioni che hanno qualche somiglianza con il problema in questione? Generare il più alto numero di analogie e poi scegliere quella più adeguata alla soluzione del problema a) cercare di portare il cavallo nella stalla trascinandolo; b) cercare di rimettere il dentifricio nel tubetto; c) cercare di far indossare ad una donna grassa dei jeans molto stretti; d) cercare di spostare una macchina in un garage troppo stretto. Fase 3. Scegliere l’analogia. Per portare un cavallo riluttante nella sua stalla è necessario trascinarlo per la briglia. Fase 4. Trasferire la soluzione analogica al problema. Tirare il missile dentro il silos utilizzando un cavo. Accrescere le nostre abilità di pensiero intuitivo, vuol dire potenziare le nostre abilità di soluzione dei problemi. Per questo esse hanno bisogno di essere svilup- pate e consolidate mediante l’esercizio. 286 Undicesima unità - Allegato 7 ELENCO DI PROBLEMI Risolvi i problemi3 di seguito elencati. 1. La signora Carla ha piantato nel proprio giardino 3 file di tulipani, con 4 tuli- pani per ciascuna fila. La metà dei tulipani è bianca. L’altra è rossa. Quanti sono i tulipani nel giardino della signora Carla? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 2. Andrea è andato al negozio per comprare della frutta. Ha comprato 6 banane, 3 mele, 2 prugne e un grappolo d’uva. Quanti diversi tipi di frutta ha comprato Andrea? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 3. Nella classe della signora Rossi, ci sono 28 alunni. Di questi, 10 hanno in casa un cane; 12, invece, hanno dei gatti. Quanti bambini in classe non hanno cani? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 4. I Signori Rossi vogliono mettere attorno al loro giardino uno steccato alto 2 metri. Il giardino è largo 50 metri e lungo 60. Quanto sarà lungo lo steccato dei signori Rossi? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 5. Ho comprato delle azioni per 70 dollari. Le ho poi vendute per 80 dollari. Alla fine le ho ricomprate per 90 dollari, ma le ho subito rivendute per 100 dollari. Quanti soldi ho guadagnato? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 3 Tratti da STEMBERG - SPEAR-SWERLING , 1997. 287 Undicesima unità - Allegato 8 IL PROBLEMA DEL FURTO NEI GRANDI MAGAZZINI4 Nella parte che segue è riportato un problema da risolvere. Affrontatelo utiliz- zando il pensiero analogico: le prime due fasi sono completate le altre dovreste completarle voi. Fase 1. Definire il problema. Come impedire al ladro di portare a segno il furto? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... Fase 2. Creare le analogie. Impedire ad un ladro di rubare ai grandi magazzini è come…… - impedire ad un gatto di mangiare il tonno da una scatola aperta; - impedire ad un bambino di prendere dei biscotti da una dispensa aperta; - impedire agli studenti di copiare; - impedire ai pedoni di attraversare la strada quando il semaforo è rosso; - impedire alle api di avvicinarsi ai fiori colorati. Fase 3. Scegliere l’analogia È opportuno, per ogni analogia, individuare le possibili strategie. Per impedire ad un gatto di mangiare il tonno da una scatola aperta si può a) ............................................................................................................................. b) ............................................................................................................................. c) ............................................................................................................................. d) ............................................................................................................................. Per impedire ad un bambino di prendere dei biscotti da una dispensa aperta si può a) ............................................................................................................................. b) ............................................................................................................................. c) ............................................................................................................................. d) ............................................................................................................................. 4 Adattato da MEAZZINI, 2000. 288 Per impedire agli studenti di copiare si può a) ............................................................................................................................. b) ............................................................................................................................. c) ............................................................................................................................. d) ............................................................................................................................. Per impedire ai pedoni di attraversare la strada quando il semaforo è rosso si può a) ............................................................................................................................. b) ............................................................................................................................. c) ............................................................................................................................. d) ............................................................................................................................. Per impedire alle api di avvicinarsi ai fiori colorati si può a) ............................................................................................................................. b) ............................................................................................................................. c) ............................................................................................................................. d) ............................................................................................................................. Fase 4. Trasferire la soluzione analogica al problema Vediamo quali soluzioni possono venire in mente a) ............................................................................................................................. b) ............................................................................................................................. c) ............................................................................................................................. d) ............................................................................................................................. e) ............................................................................................................................. f) ............................................................................................................................. Ricorda che quando vuoi ricorrere all’analogia per risolvere un problema devi: 1. DEFINIRE IL PROBLEMA INDICANDONE LE CAUSE 2. PRODURRE IL PIÙ ALTO NUMERO DI ANALOGIE 3. ELENCARE, PER OGNI ANALOGIA, LE POSSIBILI SOLUZIONI 4. SCEGLIERE L’ANALOGIA PIÙ ADEGUATA AL PROBLEMA DA RISOLVERE 5. TRASFERIRE LA SOLUZIONE ANALOGICA AL PROBLEMA. 289 Undicesima unità - Allegato 9 COMPLETA LE FRASI COME MEGLIO CREDI Risolvere un problema è come ................................................................................... Perché.......................................................................................................................... Risolvere un problema è come ................................................................................... Perché.......................................................................................................................... Risolvere un problema è come ................................................................................... Perché.......................................................................................................................... Risolvere un problema è come ................................................................................... Perché.......................................................................................................................... Risolvere un problema è come ................................................................................... Perché.......................................................................................................................... Risolvere un problema è come ................................................................................... Perché.......................................................................................................................... Risolvere un problema è come ................................................................................... Perché.......................................................................................................................... Risolvere un problema è come ................................................................................... Perché.......................................................................................................................... Risolvere un problema è come ................................................................................... Perché.......................................................................................................................... Risolvere un problema è come ................................................................................... Perché.......................................................................................................................... Risolvere un problema è come ................................................................................... Perché.......................................................................................................................... Risolvere un problema è come ................................................................................... Perché.......................................................................................................................... 290 Undicesima unità - Allegato 10 IL PROBLEMA DELLA FAMIGLIA ROSSI 5 La famiglia Rossi ha una casa bellissima alla quale tutti sono affezionati. Sfor- tunatamente questa casa viene invasa da una miriade di insetti di colore marrone, detti insetti dell’acero. Accanto alla casa, infatti, c’è un acero. I proprietari della casa desiderano liberare quest’ultima dagli insetti che, con il freddo, cominciano ad entrare in casa. Vorrebbero trovare una soluzione efficace e possibilmente non troppo costosa. La famiglia escogita queste soluzioni: a. abbattere l’albero b. chiamare i disinfestatori c. traslocare d. ridipingere la casa di marrone (solo le case bianche sono invase dagli insetti) Alla fine decidono di abbattere l’albero. Secondo te hanno optato per la soluzione migliore? Perché? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 5 Adattato da STEMBERG - SPEAR-SWERLING , 1997. 291 Undicesima unità - Allegato 11 PROBLEM SOLVING E DECISION MAKING : LINEAMENTI TEORICI - seconda parte In questa parte riprendiamo la descrizione delle fasi di soluzione del pro- blema, occupandoci delle ultime tre fasi, relative alle procedure che possono por- tarci ad assumere e quindi ad attuare la migliore delle decisioni possibili (decision making e implementazione). Valutare le conseguenze delle soluzioni prodotte La quarta fase di soluzione del problema consiste nell’elencare per ogni solu- zione prospettata tutte le conseguenze immaginabili positive o negative, a breve o a lungo termine, personali e/o sociali. Decidere quale soluzione scegliere Una volta identificate tutte le possibili conseguenze è necessario effettuare la scelta tra le diverse opzioni. Per questo ci vengono in aiuto tre criteri. Un primo criterio è di natura morale deontologica. Secondo questo criterio do- vremmo escludere tutte quelle opzioni che violano la nostra visione ideologica o morale. Un secondo criterio riguarda la probabilità che l’adozione di una strategia al posto di un’altra porti effettivamente alla soluzione del problema. Dovremmo pertanto, chiederci che possibilità ha ciascuna opzione di risolvere davvero il problema e scartare tutte quelle opzioni che per conoscenza o per espe- rienza riteniamo inefficaci. Un terzo criterio è quello di soppesare per ognuna delle opzioni disponibili costi e benefici. Una buona strategia è quella suggerita da Carkhuff e nota come Productive Problem Solving. Essa consiste di otto passi: 1. definire il problema; 2. produrre alternative di soluzione; 3. stabilire gli aspetti importanti che la soluzione deve tutelare; 4. valutare, utilizzando una scala da –2 a +2, in che misura ogni aspetto è tutelato da ciascuna soluzione; 5. attribuire un valore da 1 a 5 agli aspetti da tutelare in base alla loro importanza (5 = più importante; 1 = meno importante); 6. moltiplicare il valore assegnato a ciascun aspetto da tutelare per il numero (da –2 a +2) precedentemente attribuito alle diverse soluzioni ; 7. sommare verticalmente i valori così ottenuti per ogni soluzione; 8. la soluzione con il punteggio più alto risulta essere la migliore. 292 È un calcolo che Benjamin Franklin (cit. in Meazzini, 2000) ha definito molto appropriatamente “algebra morale”. Infatti, l’indice che otteniamo quantitativa- mente riflette una chiara scelta qualitativa. A scopo esemplificativo applichiamo la strategia al problema della famiglia Rossi riportato nell’allegato 10. IL PROBLEMA DELLA FAMIGLIA ROSSI 1. Definire il problema Come liberare la casa dagli insetti 2. Produrre alternative di soluzione Ridipingere la casa - Traslocare - Chiamare i disinfestatori - Abbattere l’albero 3. Stabilire gli aspetti importanti che la soluzione deve tutelare Costo - Eliminazione definitiva degli insetti - Legame affettivo con la casa 4. Valutare utilizzando una scala da –2 a +2, in che misura ogni aspetto è tute- lato da ciascuna soluzione ALTERNATIVE DI SOLUZIONE ASPETTI DA TUTELARE Ridipingere la casa Traslocare Chiamare i disinfestatori Abbattere l’albero Costo della soluzione - 1 -2 0 +1 Eliminazione definitiva degli insetti +2 +2 -1 -1 Legame affettivo con la casa +2 -2 +2 +1 5. Attribuire un valore da 1 a 5 agli aspetti da tutelare in base alla loro impor- tanza (5 = più importante; 1 = meno importante ) Costo = 3 Eliminazione definitiva degli insetti = 5 Legame affettivo con la casa = 4 6. Moltiplicare il valore assegnato a ciascun aspetto da tutelare per il numero (da –2 a +2) precedentemente attribuito alle diverse soluzioni ALTERNATIVE DI SOLUZIONE ASPETTI DA TUTELARE Ridipingere la casa Traslocare Chiamare i disinfestatori Abbattere l’albero Costo della soluzione 3 - 1 - 3 -2 - 6 0 0 +1 +3 Eliminazione definitiva degli insetti 5 +2 +10 +2 +10 -1 - 5 -1 - 5 Legame affettivo con la casa 4 +2 +8 -2 - 8 +2 +8 +1 +4 293 7. Sommare verticalmente i valori così ottenuti per ogni soluzione ALTERNATIVE DI SOLUZIONE ASPETTI DA TUTELARE Ridipingere la casa Traslocare Chiamare i disinfestatori Abbattere l’albero Costo della soluzione 3 - 1 - 3 -2 - 6 0 0 +1 +3 Eliminazione definitiva degli insetti 5 +2 +10 +2 +10 -1 - 5 -1 - 5 Legame affettivo con la casa 4 +2 +8 -2 - 8 +2 +8 +1 +4 15 -4 +3 +2 La soluzione con il punteggio più alto, ridipingere la casa, risulta essere la mi- gliore. 294 POTENZIARE LE PROPRIE STRATEGIE DI APPRENDIMENTO E DI AZIONE Capacità in oggetto Utilizzare strategie di apprendimento e di azione funzionali agli obiettivi da raggiungere. Finalità Incrementare negli allievi la consapevolezza delle proprie strategie di apprendimento e di azione e fornire strumenti per il loro moni- toraggio e potenziamento. Tempi Cinque incontri di circa due ore ciascuno. Descrizione degli incontri PRIMO INCONTRO OBIETTIVI 1. Divenire più consapevoli dei propri stili e strategie di apprendi- mento. 2. Individuare punti di forza e di debolezza nel proprio modo di apprendere. FASI Introduzione Prima del presente incontro, il formatore ha somministrato agli al- lievi il questionario sulle strategie di apprendimento e il questio- nario sugli stili di apprendimento (All. 1-2). La correzione del primo1 è ad opera del formatore; la correzione del secondo costituisce l’oggetto dell’incontro. Il formatore introduce l’unità spiegando che in essa ci si occuperà di come ciascuno di noi preferisce apprendere; delle strategie più o meno efficaci che possiamo utilizzare per imparare e di cosa pos- siamo fare per migliorarle. Si sofferma, quindi, a fornire le informazioni essenziali sugli stili e sulle strategie di apprendimento (All. 3). DODICESIMA UNITÀ 1 La valutazione del questionario può avvenire in modo manuale o con il computer, utilizzando un software appositamente predisposto. Per le istruzioni riferirsi al manuale di Pellerey (1996). 295 Esperienza concreta Il formatore invita gli allievi a calcolare i punteggi del profilo sugli stili di apprendimento (All. 4) e a verificarne il significato, consul- tando l’allegato 5 sull’interpretazione dei punteggi. Riporta, quindi, su un tabellone i punteggi che ciascuno ha otte- nuto e calcola le medie per verificare l’andamento del gruppo (All. 6). Osservazione riflessiva Terminata questa fase, il formatore chiede agli allievi di rispondere alle domande della traccia di riflessione (All. 7) e attiva su questo un confronto di gruppo. Concettualizzazione astratta Il formatore illustra il significato delle singole scale del questio- nario sulle strategie di apprendimento (All. 8), mostra un lucido che sintetizza l’andamento di gruppo (All. 9), quindi consegna agli allievi i profili individuali che ciascuno ha ottenuto. Osservazione riflessiva Il formatore chiede ai ragazzi di rispondere alle domande della traccia di riflessione (All. 10) e attiva successivamente un con- fronto di gruppo. Conclusione L’incontro si conclude focalizzando le abilità che dovrebbero es- sere potenziate per ottimizzare le proprie strategie di apprendi- mento. MATERIALI Allegati 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10 Lavagna luminosa Manuale e fogli di risposta del Questionario sulle Strategie di Ap- prendimento. SUGGERIMENTI EDUCATIVI Allo scopo di incentivare negli allievi la consapevolezza e il po- tenziamento delle strategie apprenditive, i formatori possono: 1. organizzare le attività didattiche in modo tale da favorire l’ac- quisizione di strategie apprenditive; 2. ricorrere frequentemente all’uso di domande che aiutino l’al- lievo a ricostruire il percorso seguito nella soluzione di un pro- blema o nell’esecuzione di un compito: - Come avete cominciato? - Quali risultati avete ottenuto? - Che cosa è stato utile nella vostra strategia? 296 - Cosa vi ha fatto perdere tempo o vi ha portato su una falsa pista? - Cosa ha funzionato bene nel vostro modo di procedere e in quali altre situazioni potreste utilizzarlo? - Cosa potete prendere dal modo di procedere di coloro che sono riusciti laddove voi avete trovato difficoltà? SECONDO INCONTRO OBIETTIVI 1. Conoscere le modalità tramite le quali accrescere l’abilità di ap- prendere da una lezione. 2. Utilizzare in una situazione concreta le indicazioni per appren- dere ascoltando. Esperienza concreta Il formatore spiega per circa 20 minuti un argomento a piacere e, al termine della spiegazione, somministra agli allievi una serie di domande per verificare quanto hanno appreso. Osservazione riflessiva Chiede, quindi, ai ragazzi di formare delle coppie e fornisce a cia- scuna coppia una griglia con le risposte corrette, affinché possano verificare i rispettivi elaborati. Completata la fase di correzione, gli allievi sono invitati a rispondere individualmente alle domande contenute nella traccia di riflessione (All. 11) e a confrontare in gruppo le loro risposte. Concettualizzazione astratta Il formatore suggerisce agli allievi di ascoltare quanto spiegherà loro tra breve, seguendo alcune indicazioni (All. 12). Presenta, quindi, l’abilità di imparare ascoltando, ne specifica i vantaggi, le difficoltà e le modalità per potenziarla (All. 13). Sperimentazione attiva Dopo la spiegazione, chiede ai ragazzi di riunirsi in gruppi di quattro, di confrontare i loro appunti e di rispondere alle domande contenute nell’allegato 14. Quando tutti hanno concluso, il forma- tore verifica il lavoro svolto attraverso un confronto di gruppo. Conclusione L’incontro si conclude con la consegna ai ragazzi della griglia per la valutazione della capacità di ascolto (All. 15). MATERIALI Allegati 11, 12, 13, 14, 15 Lavagna luminosa 297 SUGGERIMENTI EDUCATIVI Allo scopo di favorire negli allievi l’abilità di apprendere dall’a- scolto, i formatori possono: 1. usare un linguaggio comprensibile; 2. definire gli obiettivi della lezione e le tematiche trattate; 3. rilevare i topici; 4. procedere moderatamente; 5. fare domande e invitare loro a parafrasare; 6. dare uno spazio per riflettere a lezione conclusa e per integrare gli appunti in gruppo; 7. suggerire una attività che permetta di applicare quanto ascol- tato. TERZO INCONTRO OBIETTIVI 1. Accrescere la consapevolezza circa le proprie modalità di let- tura. 2. Utilizzare alcune strategie che possono facilitare la compren- sione di un testo scritto. Esperienza concreta Il formatore invita gli allievi a leggere, individualmente, il brano “L’uomo e il clima” (All. 16) e ad elaborare uno schema di quanto letto. Osservazione riflessiva Quando tutti hanno completato, il formatore attiva una riflessione in gruppo ponendo alcune domande stimolo: 1. Nel leggere il brano, avete incontrato delle difficoltà? Se sí, quali? 2. Nel brano erano presenti parole delle quali non sapete il signifi- cato? Se sí, quali? 3. Qual è il contenuto essenziale che l’autore del brano voleva tra- smettere? 4. Se doveste ripetere ciò che avete letto ad un’altra persona, come organizzereste le informazioni? 5. È stato difficile organizzare lo schema? Concettualizzazione astratta Il formatore spiega la metodologia denominata SQ3R utile per me- tabolizzare il contenuto di una capitolo o di un brano (All. 17). Sperimentazione attiva Il formatore guida gli allievi nell’applicazione della strategie al 298 brano letto in precedenza “L’uomo e il clima” (All. 18). Quindi, invita loro ad applicarla autonomamente al brano “Venezia è am- malata” (All.19). Dopo la lettura, secondo la metodologia sugge- rita, chiede di schematizzare il brano. Conclusione L’incontro si conclude raccogliendo i feedback dei ragazzi. In par- ticolare, si chiede di confrontare: 1. la prima esperienza di lettura con l’ultima; 2. il grado di difficoltà incontrato nell’elaborazione del primo schema e dell’ultimo; 3. la quantità delle informazioni ritenute utilizzando la strategia suggerita. MATERIALI Allegati 16, 17, 18, 19 Lavagna luminosa SUGGERIMENTI EDUCATIVI Allo scopo di favorire negli allievi l’abilità di apprendere dalla let- tura, i formatori possono: 1. dare informazioni sull’utilizzo del libro di testo; 2. prestare attenzione alle difficoltà di comprensione lessicale ed intervenire con le opportune spiegazioni; 3. realizzare esercitazioni guidate sul metodo SQ3R; 4. suggerire, dopo la lettura di un argomento, domande di com- prensione alle quali gli allievi sono chiamati a rispondere. QUARTO INCONTRO OBIETTIVI 1. Sensibilizzarsi all’uso degli organizzatori semantici. 2. Conoscere diverse modalità di schematizzazione. 3. Schematizzare un contenuto scegliendo la modalità più rispon- dente alle proprie preferenze. FASI Esperienza concreta Il formatore presenta agli allievi, attraverso lucidi, diversi tipi di schemi (All. 20). Osservazione riflessiva Chiede, quindi, agli allievi quali, tra gli schemi mostrati, sono loro noti e, per ciascuno di essi, domanda in quali casi sia preferibile usarlo. 299 Concettualizzazione astratta Il formatore spiega brevemente l’uso degli schemi come momento di rielaborazione importante delle conoscenze acquisite, illustra le principali tipologie di schematizzazione e i rispettivi vantaggi di ciascuna di esse (All. 21). Durante la sua spiegazione chiede agli allievi di prendere appunti. Sperimentazione attiva Il formatore consegna agli allievi un lucido con dei pennarelli co- lorati e invita ciascuno a schematizzare, secondo la modalità prefe- rita, quanto ascoltato circa l’uso degli schemi. Ogni allievo è poi chiamato a proiettare il suo schema e a spiegarlo ai compagni. Conclusione L’incontro si conclude con un breve feedback sull’esperienza. MATERIALI Allegati 20, 21 Lavagna luminosa SUGGERIMENTI EDUCATIVI Allo scopo di facilitare negli allievi l’uso di organizzatori seman- tici, i formatori possono: 1. insegnare a leggere i diversi schemi; 2. utilizzare gli schemi durante la spiegazione; 3. proporre argomenti che si prestino ad una schematizzazione e verificare il lavoro degli allievi. QUINTO INCONTRO OBIETTIVI 1. Conoscere le tappe del processo di memorizzazione. 2. Utilizzare alcune tecniche di memorizzazione. FASI Esperienza concreta Il formatore mostra agli allievi alcune figure per 15 secondi (All. 22: lucido da proiezione); chiede quindi loro di ricordarle. Il for- matore annota la frequenza delle figure ricordate. Successivamente mostra come ciascuna figura possa essere associata ad un numero da 0 a 9. Chiede poi agli allievi di ricordare la figura associando il numero. Osservazione riflessiva Gli allievi sono invitati a rispondere ad alcune domande stimolo poste dal formatore: 300 1. Quale differenza avete notato, prima e dopo? 2. Quante figure ricordavate prima? Quante ne avete ricordate dopo? 3. Perché dopo avete ricordato più figure? Concettualizzazione astratta Il formatore spiega brevemente il funzionamento della memoria e illustra alcune tecniche di memorizzazione (All. 23). Sperimentazione attiva Il formatore consegna agli allievi un elenco di parole (All. 24). Suggerisce loro di costruire con esse una storia, quindi di provare a ricordarle richiamando mentalmente la storia. Conclusione L’incontro si conclude riassumendo gli aspetti più salienti emersi e suggerendo di applicare una strategia di memorizzazione ad un nuovo contenuto da apprendere. MATERIALI Allegati 22, 23, 24 Lavagna luminosa SUGGERIMENTI EDUCATIVI Allo scopo di facilitare negli allievi l’uso di strategie e tecniche di memorizzazione, i formatori possono: 1. proporre, di tanto in tanto, in un’atmosfera ludica, esercizi di memorizzazione; 2. concedere loro del tempo, durante e dopo la spiegazione, per ripetersi mentalmente quanto appreso; 3. organizzare i tempi della lezione in modo tale che essi possano fissare le informazioni basilari, prima che entrino in contatto con nuovi contenuti che possono interferire con le recenti ac- quisizioni. 301 Dodicesima unità - Allegato 1 QSA – QUESTIONARIO SULLE STRATEGIE D’APPRENDIMENTO2 Il questionario che hai davanti, ti vuole aiutare a riflettere sul modo con cui sei abituato a studiare e sui problemi che incontri nel lavoro scolastico. Rispondendo con attenzione sarà più facile per te e per i tuoi insegnanti tro- vare le strade per migliorare i risultati a scuola, evitando modi poco utili di lavo- rare e imparando maniere più valide di studiare. Il questionario è formato da 100 frasi, numerate progressivamente, che descri- vono un modo di fare, un giudizio o uno stato d’animo. Unito ad esso troverai il foglio di risposta nel quale, accanto al numero riferito alla frase del questionario è indicata una scala numerata da 1 a 4, che si presenta in questo modo: 1 2 3 4 Il significato di ciascun numero della scala è questo 2 PELLEREY , 1996. 1 2 3 4 Mai o quasi mai Qualche volta Spesso Quasi sempre o sempre Sul foglio di risposta, quindi, segna con una croce il valore da 1 a 4 che corri- sponde alla frequenza con cui abitualmente fai le cose o provi sentimenti ed emo- zioni. Scegli non in base a quello che vorresti o dovresti fare o sentire, bensì in base a quello che fai o provi veramente. Se per qualche situazione descritta non hai sufficiente esperienza, allora esprimi ciò che con più probabilità descriverebbe te stesso se ti trovassi in quella situazione. Ecco alcuni esempi: 1. Quando un compito è noioso, lo faccio solo se proprio non ne posso fare a meno 1 2 3 4 2. Prima di un’interrogazione sono nervoso e agitato 1 2 3 4 3. Cerco di collegare le cose che studio con situazioni di cui ho avuto esperienza 1 2 3 4 Ora volta la pagina e rispondi alle domande usando il foglio di risposta 302 1. Dopo una lezione rivedo con cura i miei appunti per approfondire e ricordare meglio le idee raccolte 2. Quando leggo rifletto sull’argomento e cerco di capire bene quello che è esposto nel testo 3. Capita che riesco male in un compito perché non riesco a capire che cosa esat- tamente devo fare 4. Quando prendo un brutto voto sono preso dallo scoraggiamento 5. Quando riesco a scuola, penso che ciò dipenda dall’aver studiato molto 6. Quando mi preparo per un esame o una interrogazione, penso alle domande che l’insegnante potrà farmi 7. Quando imparo nuove parole o nuove idee cerco di immaginare una situa- zione a cui esse si possano applicare 8. Quando studio mi perdo nei dettagli e non riesco a trovare le cose principali 9. Mi sento molto a disagio durante un lavoro scritto o un’interrogazione anche quando sono ben preparato 10. Quando mi va bene un’interrogazione penso che per fortuna l’insegnante mi ha chiesto una cosa che sapevo 11. Controllo se ho capito bene quello che l’insegnante ha detto durante la lezione 12. Per stare più attento, durante le lezioni prendo degli appunti 13. Trovo che studiare con un compagno costituisca una perdita di tempo 14. Quando inizio a svolgere un compito in classe sono convinto di poter far bene 15. Quando non riesco in un compito o in un’interrogazione penso che la ragione stia nel fatto che non ho studiato seriamente 16. Mi capita di pensare di essere capace di portare a termine con successo i miei impegni di studio 17. Cerco di trovare le relazioni tra ciò che apprendo e ciò che già conosco 18. Gli schemi, i grafici o le tabelle riassuntive mi aiutano a capire meglio quanto esposto nel testo 19. Mentre sto affrontando un’interrogazione la paura di sbagliare mi disturba e così vado peggio 20. Quando mi va bene un’interrogazione penso di essere proprio intelligente 21. Mentre studio mi pongo delle domande o faccio degli esercizi per verificare se ho capito bene 22. Cerco di trovare i legami tra ciò che sto studiando e le mie esperienze 23. Sono preso dal panico quando so che devo affrontare un esame scritto impor- tante 24. Quando non riesco in un compito o in un’interrogazione penso che mi è stato chiesto qualcosa di troppo difficile 25. Quando ho finito di studiare, immagino le domande che potrà farmi l’inse- gnante e cerco di rispondervi 26. Cerco di vedere come ciò che studio potrebbe applicarsi alla mia vita di tutti i giorni 27. Quando leggo un testo segno sul testo le cose più importanti 303 28. Quando devo affrontare un’interrogazione orale o un lavoro scritto sono così nervoso che non riesco a esprimermi al meglio delle mie possibilità 29. Quando mi va bene un’interrogazione penso che ho fatto proprio bene a stu- diare con tanto impegno 30. Trovo utile e stimolante discutere o lavorare in gruppo 31. Cerco di stabilire collegamenti tra le diverse idee esposte nel testo che studio 32. Ho difficoltà a riassumere quanto ho ascoltato a scuola o letto in un libro 33. Durante lo svolgimento di un compito in classe o durante un’interrogazione mi passano per la testa dubbi e incertezze sulla mia capacità di riuscire bene 34. Organizzo il mio studio in base al tempo che ho a disposizione 35. Prima di studiare un argomento cerco di chiarire che cosa si aspetta da me l’insegnante 36. Quando imparo un nuovo concetto cerco di trovare un esempio a cui esso si possa applicare 37. Mi costruisco schemi, grafici o tabelle riassuntive per sintetizzare ciò che studio 38. Il cuore mi batte forte quando devo subire un esame o un’interrogazione im- portante 39. Quando riesco a scuola, penso che dipende dal fatto che sono una persona ve- ramente capace 40. Mentre mi interrogano capita di accorgermi che ho studiato l’argomento sba- gliato 41. Quando imparo un nuovo concetto mi domando se ci sono casi in cui esso non può essere applicato 42. Provo piacere quando devo svolgere un lavoro che mi impegna 43. Imparo a memoria regole, termini tecnici o formule, anche senza comprenderli 44. Faccio disegni o schizzi che mi aiutano a comprendere quello che sto stu- diando 45. Divento subito nervoso di fronte a una domanda o a un problema che non comprendo immediatamente 46. Non riesco a rimanere concentrato nel lavoro per più di un quarto d’ora 47. Mi capita di pensare che gli insuccessi scolastici dipendono fonda- mentalmente dall’incapacità delle persone 48. Durante lo studio o l’ascolto di una lezione mi vengono in mente collegamenti con altri argomenti già studiati 49. Vado a scuola avendo fatto i compiti e studiato le lezioni 50. Quando partecipo a lavori di gruppo ho l’impressione di capire meglio le cose 51. Quando riesco bene, penso che dipende dal fatto che il lavoro da svolgere era facile 52. Mi capita di trovare che un argomento di studio era più difficile di quanto mi fossi aspettato 53. Quando non mi sento capace di completarlo, mi capita di lasciare a metà un lavoro già iniziato 304 54. Mi impegno seriamente per conseguire un buon voto anche quando la materia non mi piace 55. Se per qualche motivo non riesco a preparare le lezioni, mi sento inquieto 56. Ricordo meglio quanto studio se posso servirmi di schemi, grafici e tabelle 57. Preferisco studiare la lezione da solo piuttosto che con l’aiuto degli altri 58. Di fronte a un compito impegnativo, mi sento stimolato a sforzarmi di più 59. Anche se mi impegno molto, mi viene da pensare che comunque non posso di- ventare più intelligente 60. Quando mi accingo a studiare cerco di prevedere quanto tempo mi occorrerà per imparare un argomento 61. Se trovo che un argomento richiede tempo e fatica, non lo prendo neppure in considerazione 62. Quando per qualche ragione rimango indietro nel lavoro scolastico, cerco di colmare la lacuna senza che l’insegnante mi costringa a farlo 63. Quando eseguo un lavoro piuttosto noioso, penso ai suoi aspetti meno negativi e alla soddisfazione che proverò quando lo avrò finito 64. Mi capita di pensare che la capacità di riuscire a scuola dipenda dalle doti di intelligenza che uno ha 65. Porto a termine in tempo utile i compiti da fare a casa 66. Se non riesco a prepararmi bene per la scuola, mi sento a disagio 67. Anche se un compito è noioso, continuo a svolgerlo finché non l’ho terminato 68. Penso che la capacità di riuscire a scuola dipende dall’impegno che ciascuno mette nello studiare con cura 69. A casa studio le materie non in base a un piano preciso, ma secondo l’urgenza delle interrogazioni 70. Quando ho deciso di fare una cosa, la porto a termine anche se mi costa fatica 71. Trovo poco utile nel ripassare le lezioni servirmi dei disegni, dei grafici o delle tabelle riassuntive contenute nel testo 72. Mi sento sicuro di riuscire a ottenere buoni voti 73. Penso che l’intelligenza di una persona può migliorare nel tempo, se questi si impegna seriamente 74. Mi sembra di imparare meglio quando posso confrontarmi con i compagni 75. Non appena incontro le prime difficoltà, abbandono un lavoro anche appena iniziato 76. Quando mi va male qualcosa penso che ciò dipende dalle circostanze esterne più che dalla mia incapacità o dal mio scarso impegno 77. Se mi accorgo di non avere più tempo per finire un lavoro, sono preso dal pa- nico 78. Mi capita di pensare che l’intelligenza di una persona è qualcosa che non può veramente cambiare: è un dono di natura 79. I problemi di casa o quelli posti dalle amicizie mi fanno trascurare l’impegno scolastico 80. Se ho un insuccesso, mi sento portato a ritentare l’impresa 305 81. All’inizio dello studio verifico quali sono le cose che devo fare 82. Pensando alle cose che devo imparare mi capita di considerarle troppo diffi- cili 83. Penso che la capacità di una persona dipende dalla costanza e dallo sforzo che mette nello studio 84. Quando il mio insegnante spiega, mi trovo a pensare altre cose e così non seguo quello che sta esponendo 85. Leggendo ricostruisco con la mia immaginazione le situazioni, i personaggi o le vicende narrate 86. Penso che nello studio, come nel lavoro, è importante imparare a lavorare in- sieme 87. Se sono di cattivo umore mi concentro nello studio con difficoltà 88. Quando vado bene in un’interrogazione, penso che l’insegnante è stato com- prensivo e mi ha fatto domande facili 89. Mentre studio mi distraggo facendo “sogni a occhi aperti”, progetti e pro- grammi di ogni genere 90. Capisco meglio se l’insegnante nello spiegare usa schizzi e grafici fatti sulla lavagna 91. Mi capita sia in casa che fuori casa di parlare con piacere delle cose che faccio a scuola 92. Se ho qualche problema emotivo (causato da cattivi rapporti con gli altri o con i genitori), non riesco ad applicarmi nello studio 93. Se sono preparato sono sicuro di riuscire bene in un compito o in un’interro- gazione 94. Mi capita di pensare che se ci si impegna bene si può far crescere anche la propria intelligenza 95. Quando incontro una difficoltà cerco di superarla, aumentando il mio im- pegno e la mia concentrazione 96. Evito di fare domande, perché penso di dare fastidio all’insegnante 97. Quando sono interrogato all’improvviso, mi blocco e non riesco più a parlare 98. Trovo difficile capire se un concetto o un argomento mi risulta poco chiaro 99. Quando partecipo a lavori di gruppo ho l’impressione di perdere il tempo 100. Per ricordare meglio quanto studio cerco di collegare tra loro le varie idee 306 QUESTIONARIO SULLE STRATEGIE DI APPRENDIMENTO (QSA) FOGLIO DI RISPOSTA Scuola Classe e Sezione Numero di registro Sesso: M F Anno di nascita Città, sede della Scuola Data della prova 307 Dodicesima unità - Allegato 2 QUESTIONARIO SUGLI STILI DI APPRENDIMENTO3 Il presente questionario ti servirà a capire meglio il tuo modo di studiare e im- parare e le tue preferenze al riguardo. Le seguenti affermazioni descrivono alcune abitudini di studio e modi di im- parare. Decidi in quale misura ogni affermazione si applica nel tuo caso. Scrivi ac- canto ad ogni affermazione uno di questi numeri: 0=mai o raramente 1=qualche volta 2=spesso 3=sempre o quasi sempre Cerca di essere più sincero che puoi. Scegli rapidamente ogni risposta e passa subito all‘ item successivo. Non cambiare le risposte che hai già dato. Non scegliere la risposta che credi sarebbe giusto dare, ma quella che effetti- vamente meglio descrive le tue abitudini personali. Tieni presente che non ci sono risposte giuste o sbagliate in questo questio- nario. Alla fine del questionario calcola i punteggi come suggerito e leggi le relative interpretazioni. 3 MARIANI, 2000. 1. Quando studio, se sottolineo o evidenzio parole e frasi mi concentro di più. 2. Mi piace lavorare senza pianificare tutto all’inizio, ma “aggiustando il tiro” man mano che procedo. 3. Preferisco che l’insegnante ci assegni lavori che ognuno di noi possa poi svolgere come preferisce. 4. Mi risulta difficile capire un termine o un concetto se non mi vengono dati degli esempi. 5. Mi confondono grafici e diagrammi che non sono accompagnati da spiegazioni scritte. 6. Preferisco i lavori da svolgere passo per passo, completando un compito prima di iniziare il successivo. 7. Ricordo meglio un argomento se posso fare un’esperienza diretta, per esempio facendo un esperimento di laboratorio, costruendo un modello, facendo una ricerca, ecc. 8. Preferisco imparare leggendo un libro piuttosto che ascoltando una lezione. 9. Sono soddisfatto se di un argomento capisco le idee generali, senza considerare i particolari. 10. Capisco meglio un argomento parlandone o discutendone con qualcuno piuttosto che soltanto leggendo un testo. 11. Mi piace lavorare in gruppo. 12. Quando studio su un libro imparo di più guardando figure, grafici e mappe piuttosto che leggendo il testo scritto. 13. Se devo raccontare o riferire qualcosa mi soffermo molto sui dettagli. 14. Riesco facilmente a seguire qualcuno che parla anche se non lo guardo in faccia. 308 15. Capisco meglio le istruzioni di un compito se mi sono presentate per iscritto. 16. Se si deve lavorare a gruppi, preferisco che sia l’insegnante a decidere come formare i gruppi. 17. Durante una lezione o una discussione scrivere o disegnare qualcosa mi aiuta a concentrarmi. 18. Imparo e ricordo di più quando studio da solo. 19. In un lavoro di gruppo preferisco che l’insegnante ci lasci liberi di distribuirci i compiti all’interno del gruppo. 20. Organizzo il mio tempo, sia nello studio che nelle altre attività. 21. Quando leggo un testo mi creo mentalmente delle immagini sulla storia, i personaggi o le idee. 22. Quando studio ho bisogno di pause frequenti e di movimento fisico. 23. Alla fine di un lavoro di gruppo mi sento di avere imparato di più che se avessi lavorato da solo. 24. Preferisco gli esercizi con una sola soluzione o risposta piuttosto che gli esercizi più “aperti” e ‘‘creativi’’. 25. Quando in classe lavoro con un compagno o in gruppo ho la sensazione di perdere tempo. 26. Mi risulta più facile ricordare figure e illustrazioni in un libro se sono stampate a colori vivaci. 27. Imparo meglio se parto da una visione generale dell’insieme piuttosto che da dettagli e aspetti specifici. 28. Preferisco che una regola o una teoria mi venga chiaramente spiegata prima di applicarla in esempi ed esercizi. 29. Per capire un testo che sto studiando mi aiuto facendo disegni e diagrammi. 30. Imparo di più durante le lezioni in classe che studiando a casa. 31. Non mi piace leggere o ascoltare le istruzioni per un compito; preferirei cominciare subito a lavorarci. 32. Capisco meglio le istruzioni di un compito se mi vengono spiegate a voce e non soltanto fornite per iscritto. 33. Se un compito deve essere svolto a gruppi, preferisco che siano gli studenti stessi a decidere come formare i gruppi. 34. Prendo appunti durante le spiegazioni dell’insegnante e le discussioni in classe e li rileggo poi per conto mio. 35. Mi risulta abbastanza facile sintetizzare ciò che è stato detto in una discussione. 36. Quando studio mi concentro di più se leggo o ripeto a voce alta. 37. Imparo di più a casa che in classe. 38. Se devo decidere se qualcosa è giusto o corretto, mi baso più sull’istinto che sulla logica. 39. Preferisco imparare vedendo un video o ascoltando una cassetta piuttosto che leggendo un libro. 40. Quando studio su un libro prendo appunti o faccio riassunti. 309 Dodicesima unità - Allegato 3 STILI E STRATEGIE DI APPRENDIMENTO: LINEAMENTI TEORICI In questa unità ci occupiamo dei modi in cui assimiliamo e riteniamo le infor- mazioni. Ci focalizziamo, pertanto, sulle strategie e sugli stili di apprendimento. Le strategie sono un insieme di procedure e operazioni che ciascuno di noi uti- lizza per acquisire, ritenere, e recuperare differenti tipi di conoscenze e prestazioni. Parliamo di stile quando si evidenzia una tendenza costante e consistente nel ricor- rere ad una determinata classe di strategie. Così, se gli stili cognitivi rappresentano un modo di pensare preferito, gli stili di apprendimento altro non sono che un modo di apprendere preferito. Essi non sono quindi né buoni, né cattivi, peggiori o migliori, ma solo diversi. Alcuni autori fanno coincidere gli stili cognitivi con gli stili di apprendimento; tuttavia, tra i due costrutti è possibile rintracciare delle differenze. In particolare, mentre lo stile cognitivo concerne la tendenza, persistente nel tempo, ad adottare preferenzialmente, in diversi settori del comportamento, deter- minate strategie e atteggiamenti, lo stile di apprendimento si riferisce al modo in cui ciascun individuo assimila e ritiene le informazioni e – in quanto tale – appar- tiene ad un ambito più limitato. Per quanto concerne le tipologie degli stili sono state elaborate diverse teorie. Una teoria piuttosto nota è quella di Kolb e Fry (1975), i quali propongono una teoria degli stili di apprendimento che si rifà alle diverse fasi attraverso le quali si realizza il processo dell’apprendere. Quest’ultimo segue un andamento circolare: si parte dall’esperienza concreta (EC), si osserva e si riflette su di essa (OR), si elaborano i concetti e si integrano i dati osservati in strutture logiche (CA), si verifica quanto concettualizzato me- diante l’azione (SA). Esperienza concreta Formazione di concetti astratti e generalizzazione Osservazione e riflessione Verifica dei concetti in una situazione nuova Kolb,1981, 235. 310 A questo punto il ciclo riprende ad un livello più avanzato di complessità con una nuova osservazione riflessiva, nuove astrazioni e nuove verifiche. Per un apprendimento completo si richiede che le quattro fasi siano percorse da ogni soggetto almeno in grado minimo. In realtà sono possibili delle accentua- zioni diverse di una o più fasi da parte del soggetto. Questo è dovuto in parte ai fattori genetici, alla storia di apprendimento e alle richieste dell’ambiente in cui ciascuno vive. Le preferenze per l’una o per l’altra fase portano a differenziare quattro tipi basilari di stili di apprendimento: convergente, divergente, assimilatore, accomoda- tore (Polacek, 1987). Marshall e Merritt, 1985, 932. Tipo convergente Chi predilige questo stile utilizza soprattutto la concettualizzazione astratta e la sperimentazione attiva ed è abile nell’applicazione pratica delle idee. La persona con questo stile riesce meglio nei compiti ordinari e risolve anche i problemi gior- nalieri in modo convenzionale; affronta i problemi e tende a risolverli in base ad un ragionamento ipotetico deduttivo. Partecipa poco al processo di apprendimento con le sue emozioni ed è orientato più verso le cose che non verso le persone. I suoi interessi sono orientati alle scienze fisiche. Tipo divergente Chi predilige questo stile utilizza soprattutto l’esperienza concreta e l’osserva- zione riflessiva ed ha una spiccata capacità immaginativa. La persona con questo stile vede i problemi da vari punti di vista ed è capace di organizzare i contenuti in strutture significative. Riesce meglio nelle situazioni che permettono di produrre liberamente. Si interessa alle persone con le quali ha un rapporto affettivo caldo. I suoi interessi sono orientati al settore artistico. 311 Tipo assimilatore Chi predilige questo stile utilizza soprattutto la concettualizzazione astratta e l’osservazione riflessiva ed è abile nell’elaborazione di modelli teorici. La persona con questo stile riesce ad assimilare delle conoscenze isolate in strutture coerenti ed esplicative. Si interessa più ai concetti astratti che non alle persone. Nel lavoro procede con una metodologia coerente e precisa. I suoi interessi sono orientati alla ricerca. Tipo accomodatore Chi predilige questo stile utilizza soprattutto l’esperienza concreta e la speri- mentazione attiva e si distingue dagli altri per la sperimentazione pratica. La per- sona con questo stile opera una sintesi tra la situazione concreta e i principi teorici applicabili ad essa. Cerca di risolvere problemi piuttosto che analizzarli e in questo procede per tentativi ed errori. Per lo più ricorre ad informazioni provenienti da terzi che non all’analisi personale dei dati. Essendo più portato all’azione che alla riflessione mostra una certa impazienza verso i tipi troppo riflessivi. I suoi interessi sono orientati al settore applicativo. In continuità con quanto affrontato nell’unità sugli stili di cognitivi, nel diffe- renziare i diversi stili di apprendimento prendiamo in considerazione la categoriz- zazione proposta da Mariani (2000). Secondo l’autore, i modi di imparare possono rientrare in tre grandi aree che chiameremo A, B, C. L’area A concerne i canali sensoriali con cui percepiamo il mondo esterno. Al- l’interno di questa area possiamo distinguere quattro modalità preferenziali: visiva verbale, visiva non verbale, uditiva, cinestetica. L’area B concerne il modo in cui elaboriamo le informazioni. All’interno di questa area possiamo distinguere due modalità: l’analitica e la globale. L’area C, infine, concerne la preferenza verso il lavoro individuale o di gruppo. Si può parlare di stile quando la persona predilige in modo consistente una delle possibili triadi appartenenti alla classificazione appena descritta. 312 Dodicesima unità - Allegato 4 QUESTIONARIO SUGLI STILI DI APPRENDIMENTO CALCOLO DEI PUNTEGGI Trascrivi il punteggio relativo ad ogni item e calcola i totali. Calcola i valori percentuali AREA A Item n° Punteggio Item n° Punteggio Item n° Punteggio Item n° Punteggio 5 4 10 1 8 12 14 7 15 21 32 17 34 26 36 22 40 29 39 31 TOTALE STILE VISIVO VERBALE TOTALE STILE VISIVO NON-VERBALE TOTALE STILE UDITIVO TOTALE STILE CINESTETICO TOTALE AREA A: AREA B AREA C Item n° Punteggio Item n° Punteggio Item n° Punteggio Item n° Punteggio 6 2 3 11 13 9 16 19 20 27 18 23 24 35 25 30 28 38 37 33 TOTALE STILE ANALITICO TOTALE STILE GLOBALE TOTALE STILE INDIVIDUALE TOTALE STILE DI GRUPPO TOTALE AREA B: TOTALE AREA C: AREA A VISIVO VERBALE TOTALE VISIVO VERBALE x 100 DIVISO TOTALE AREA A =……..% VISIVO NON- VERBALE TOTALE VISIVO NON-VERBALE x 100 DIVISO TOTALE AREA A =……..% UDITIVO TOTALE UDITIVO X 100 DIVISO TOTALE AREA A =……..% CINESTETICO TOTALE STILE CINESTETICO x 100 DIVISO TOTALE AREA A =……..% AREA B AREA C ANALITICO TOTALE ANALITICO x 100 DIVISO TOTALE AREA B =……..% INDIVIDUALE TOTALE INDIVIDUALE x 100 DIVISO TOTALE AREA C =……..% GLOBALE TOTALE GLOBALE X 100 DIVISO TOTALE AREA B =……..% DI GRUPPO TOTALE DI GRUPPO x 100 DIVISO TOTALE AREA C =……..% 313 Dodicesima unità - Allegato 5 INTERPRETAZIONE DEI PUNTEGGI Non ci sono punteggi migliori o peggiori in questo questionario. Ogni pun- teggio rappresenta il tuo personale modo di studiare e imparare. Ogni punteggio si riferisce a uno stile di apprendimento e ogni stile di apprendimento ha i suoi lati positivi e negativi. I modi di studiare e di imparare sono diversi da persona a persona, ma pos- sono essere riassunti in alcune grandi categorie. Questo questionario mette a fuoco i seguenti modi di imparare: AREA A: visivo verbale, visivo non verbale, uditivo o cinestetico; si tratta dei canali sensoriali attraverso cui percepiamo il mondo esterno. Le persone con prefe- renza visiva verbale imparano meglio leggendo; quelle con preferenza visiva non verbale guardando figure, diagrammi, ecc.; quelle con preferenza uditiva ascol- tando; quelle con preferenza cinestetica facendo esperienza diretta delle cose; AREA B: analitico o globale; si tratta dei modi di elaborare le informazioni. Le persone con preferenza analitica tendono a preferire il ragionamento logico e si- stematico, basato su fatti e dettagli; quelle con preferenza globale tendono a consi- derare le situazioni in modo sintetico, basandosi sull'intuito e sugli aspetti generali di un problema. AREA C: individuale o di gruppo; si tratta della preferenza verso il lavoro in- dividuale o verso il lavoro con gli altri. La maggior parte delle persone dimostra una certa preferenza per un determi- nato stile: ad esempio, una persona può preferire uno stile uditivo, globale e di gruppo; un'altra uno stile visivo verbale, analitico e individuale; e così via. Ciò non significa che non si possano usare più stili a seconda delle necessità: anzi, il modo più efficiente di imparare consiste proprio nel sapere usare, oltre al proprio stile preferito, anche modi diversi secondo le circostanze. Le seguenti descrizioni, ed i relativi suggerimenti, potranno risultarti utili per sfruttare a fondo il tuo stile preferito. Leggi comunque anche le strategie suggerite per gli altri stili: alcune di esse potrebbero interessarti e varrà allora la pena di pro- vare a metterle in pratica. 314 STILE VISIVO VERBALE Preferisci vedere ciò che devi imparare e basarti soprattutto sul linguaggio verbale; trovi utile, per esempio: • leggere delle istruzioni piuttosto che ascoltarle • prendere nota di ciò che viene detto in classe • vedere scritte le cose alla lavagna • studiare sui libri piuttosto che ascoltare una lezione Strategie suggerite: • prendi appunti in classe e riguardali a casa; anche ricopiarli e riordinarli può aiutarti a ri- cordare meglio • prima di studiare un capitolo di un libro, leggi attentamente i titoli, i sottotitoli, le didascalie delle figure • riassumi per iscritto quanto hai letto o ascol- tato • prendi nota delle istruzioni per i compiti e le lezioni • studia e leggi silenziosamente (non a voce alta) • evidenzia con sottolineature, simboli o abbre- viazioni le idee più importanti di un testo, e ri- assumile a margine dei paragrafi con parole tue • accompagna grafici e diagrammi con spiega- zioni scritte • in generale, elenca per iscritto ciò che desideri ricordare • chiedi all'insegnante istruzioni o spiegazioni scritte • guarda in volto la persona che parla: può aiu- tarti a concentrarti • in classe, cerca di sederti in un posto vicino all'insegnante e alla lavagna STILE UDITIVO Preferisci sentire ciò che devi imparare; trovi utile, ad esempio: • ascoltare una lezione piuttosto che studiare su un libro • leggere a voce alta • ripetere mentalmente • partecipare a discussioni in classe • lavorare con un compagno o a gruppi • ascoltare una dimostrazione di come fare qualcosa piuttosto che leggere istruzioni scritte AREA A STILE VISIVO NON VERBALE Preferisci vedere ciò che devi imparare, ma ba- sandoti soprattutto sul linguaggio non verbale (disegni, fotografie, simboli, grafici, diagrammi, ecc.). Trovi utile, per esempio: • scorrere un libro o una rivista guardando le fi- gure • imparare a fare qualcosa osservando come si fa piuttosto che leggendo o ascoltando delle spiegazioni • guardare un film su un certo argomento piut- tosto che ascoltare una lezione o una discus- sione • basarti sulla memoria visiva per ricordare luoghi, persone, fatti e circostanze Strategie suggerite: • disegna figure, grafici, diagrammi per ricor- dare termini e concetti e per riassumere ciò che hai letto o ascoltato • usa evidenziatori colorati nei tuoi appunti • prima di leggere un capitolo di un libro, guarda attentamente figure, fotografie, even- tuali grafici, ecc. • creati delle immagini mentali di ciò che stai leggendo o ascoltando, in modo da ricordare meglio le informazioni date solo verbalmente • usa simboli e abbreviazioni • chiedi all'insegnante esempi concreti di con- cetti difficili e modelli di come deve essere svolto un compito • guarda in volto la persona che parla: può aiu- tarti a concentrarti STILE CINESTETICO Preferisci svolgere attività concrete; trovi utile, ad es.: • fare esperienza diretta di un problema • eseguire lavori anche senza leggere/ascoltare istruzioni • poterti muovere mentre studi • usare gesti nella conversazione • lavorare con un compagno o in gruppo • fare esperienze attive dentro e fuori della scuola, come ricerche, interviste, esperimenti di laboratorio 315 Strategie suggerite: • prima di leggere un capitolo, guarda titoli e fi- gure e dì a voce alta di che cosa secondo te tratterà il capitolo • riferisci a qualcuno ciò che hai studiato; fatti fare domande • leggi e riassumi le idee principali a voce alta; se non ti è possibile, cerca comunque di "sen- tire" le parole nella mente mentre leggi • recita a voce alta la soluzione di un problema prima di trascriverla • registra su una cassetta le lezioni o i tuoi ap- punti e ascolta la registrazione • chiedi all'insegnante spiegazioni o istruzioni orali • lavora con un compagno Strategie suggerite: • prendi appunti mentre ascolti una lezione o studi un testo a casa: scrivere può aiutare la concentrazione • prima di studiare un capitolo di un libro, guarda le figure, leggi eventuali introduzioni o riassunti, considera con attenzione i titoli e le parole in neretto o corsivo • accompagna i tuoi appunti con grafici e dia- grammi • evidenzia le idee principali in un testo, poi fanne un riassunto con parole tue su un foglio a parte • programma il tuo studio in modo da alternare i periodi di lavoro con le pause di cui hai bi- sogno • dividi un compito lungo in parti più piccole e varia le attività in modo da non dover fare la stessa cosa a lungo • a casa, cerca le posizioni e i movimenti che più ti aiutano a concentrarti mentre studi: per esempio, alterna momenti in cui stai seduto a momenti in cui cammini • in classe, cerca di fare qualche movimento (anche solo con le mani), senza naturalmente disturbare gli altri • studia con un compagno AREA B STILE ANALITICO Preferisci considerare un problema scomponen- dolo nelle sue parti e considerando ogni parte una per una; trovi utile, ad esempio: • ragionare in modo logico, basandoti su fatti precisi • mettere a fuoco le differenze tra le cose • procedere nel lavoro in modo lineare, passo dopo passo • svolgere i compiti in modo sistematico • programmare in anticipo ciò che devi fare • usare bene il tempo che hai a disposizione, sia per lo studio che per altre attività • non essere distratto da altri stimoli (per esempio, musica) mentre studi • avere e rispettare dei termini entro cui svol- gere determinati compiti Strategie suggerite: • cerca di sfruttare a fondo i tuoi punti di forza, che sono quelli sopra elencati, ma cerca anche di renderti conto dei vantaggi di uno stile più globale; ad esempio: STILE GLOBALE Preferisci considerare un problema valutandolo nel suo complesso; trovi utile, ad esempio: • sintetizzare spesso quello che stai studiando • mettere a fuoco le somiglianze tra le cose • prendere decisioni in modo intuitivo, basan- doti sulle sensazioni • svolgere più compiti nello stesso tempo • decidere cosa fare man mano che il lavoro pro- cede, piuttosto che pianificare tutto in anticipo • non programmare rigidamente il tempo per lo studio e per altre attività Strategie suggerite: • cerca di sfruttare a fondo i tuoi punti di forza, che sono quelli sopra elencati, ma cerca anche di renderti conto dei vantaggi di uno stile più analitico; ad esempio: • cerca di organizzare il tuo tempo, prendendo nota di scadenze e decidendo l'ordine in cui svolgere i lavori • concentrati a fondo su un particolare compito, evitando di disperderti in più direzioni 316 • sforzati di considerare un problema nel suo complesso • sintetizza i particolari e i dettagli di un argo- mento in una visione di insieme • non trascurare le tue sensazioni e ciò che ti suggerisce l'intuito • cerca di esprimere e di comunicare ciò che sai anche se non possiedi tutte le informazioni che vorresti • confrontati con i compagni e l'insegnante • oltre a una visione d'insieme di un problema, analizza le informazioni in tuo possesso e in- tegra la visione complessiva con i necessari dettagli • sforzati di prendere decisioni non solo in base all'intuito ma anche considerando attenta- mente i fatti e i legami logici • leggi attentamente le istruzioni di un compito e cerca di capire bene come devi procedere prima di cominciare il lavoro • confrontati con i compagni e l'insegnante AREA C STILE INDIVIDUALE Preferisci lavorare da solo e condurre uno studio individuale piuttosto che con un compagno o in gruppo. Impari forse meglio studiando su un libro, a casa, che non lavorando con gli altri a scuola. Strategie suggerite: • tieni presente che il confronto con l'insegnante e i compagni può essere molto utile: non to- glie nulla al tuo stile personale di lavoro, ma in più ti dà la possibilità di conoscere altre opinioni, altri modi di pensare e di fare • cerca di sfruttare meglio il tempo di lavoro in classe, oltre che a casa, per esempio comin- ciando ad ascoltare con attenzione ciò che gli altri dicono e confrontandolo con ciò che tu sai o pensi STILE DI GRUPPO Preferisci lavorare in classe piuttosto che a casa, a coppie o in gruppo piuttosto che da solo, dis- cutendo con gli altri piuttosto che studiando per conto tuo sui libri. Strategie suggerite: • il confronto con gli altri è indubbiamente pre- zioso, ma lo studio individuale è altrettanto importante per rielaborare in modo personale ciò che stai imparando • cerca di sfruttare meglio il tempo di lavoro a casa, oltre che in classe, per esempio organiz- zando i tuoi strumenti di lavoro (libri, qua- derni, appunti, ecc.) e facendo delle sintesi personali di quanto hai studiato 317 Dodicesima unità - Allegato 6 FOGLIO RIASSUNTIVO DELL’ANDAMENTO DI GRUPPO SUGLI STILI DI APPRENDIMENTO NOME VV VNV U C A G I DG 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. MEDIE LEGENDA: VV = VISIVO VERBALE VNB = VISIVO NON-VERBALE U = UDITIVO C = CINESTETICO A = ANALITICO G = GLOBALE I = INDIVIDUALE DG = DI GRUPPO 318 Dodicesima unità - Allegato 7 TRACCIA DI RIFLESSIONE 1. In che misura ti ritrovi nei risultati del questionario? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 2. Hai scoperto qualcosa di particolarmente interessante circa il tuo modo di im- parare e di studiare? Cosa? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 3. Pensi di provare a mettere in pratica qualcuna delle strategie suggerite? Se sí, quali e in che occasione? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 4. Il questionario ti è sembrato utile per migliorare il tuo modo di studiare? Perché? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 319 Dodicesima unità - Allegato 8 STRATEGIE DI APPRENDIMENTO: LINEAMENTI TEORICI Le strategie di apprendimento concernono, come abbiamo visto, l’insieme di procedure e operazioni che ciascuno di noi utilizza per acquisire, ritenere, e recu- perare differenti tipi di conoscenze e prestazioni. Secondo Pellerey (1996, 9), la competenza strategica degli allievi in ordine al- l’apprendimento è riconducibile a fattori di natura cognitiva ed affettiva. I fattori di natura prevalentemente cognitiva concernono - la capacità di focalizzare la propria attenzione su un compito ben preciso e per un tempo adeguato e ad un livello congruo di concentrazione - la capacità di collegare le nuove conoscenze con quelle già possedute, con la propria esperienza, con immagini, esempi e controesempi, al fine di compren- dere e ricordare - la capacità di organizzare in unità comprensive e ben strutturate quanto viene via via assimilato - la consapevolezza e la capacità di controllo dei processi e delle strategie co- gnitive implicate nel compito da affrontare. I fattori di natura prevalentemente affettiva concernono, invece, - la capacità di perseverare negli impegni tollerando lo sforzo e la fatica - la capacità di gestire l’ansia - l’attribuzione causale del proprio successo o fallimento - il senso di autoefficacia, ossia la percezione della propria competenza nell’af- frontare un impegno scolastico. Al fine di rilevare questi fattori, l’autore ha elaborato uno strumento, “Que- stionario sulle Strategie di Apprendimento”, che si compone di quattordici scale (sette concernenti i fattori di natura cognitiva e sette concernenti i fattori di natura affettiva) delle quali riportiamo una breve descrizione (Pellerey, 1996, 15-25). C1 STRATEGIE ELABORATIVE Questo fattore riguarda i processi e le strategie elaborative per comprendere e ricordare, quali: collegare ciò che si sta apprendendo con la propria esperienza, sforzarsi di trovare un esempio a cui possa applicarsi quanto si apprende, ecc. C2 CAPACITÀ DI AUTOREGOLAZIONE Questo fattore si riferisce alla capacità di gestire autonomamente lo studio e in genere i processi di apprendimento ed include la tendenza a lavorare con accuratezza e metodo nonché riflessività e controllo metacognitivo. C3 DISORIENTAMENTO Questo fattore concerne la facilità o meno a perdersi di fronte ad un compito e la capacità di organizzare le conoscenze studiate, in modo da poterle facilmente utilizzare e richiamare. 320 C4 DISPONIBILITÀ ALLA COLLABORAZIONE Questo fattore mira ad identificare l’apprezzamento o meno, la disponibilità o meno ad un apprendimento partecipativo e collaborativo. In altre parole se si preferisce studiare con altri oppure da soli. C5 USO DI ORGANIZZATORI SEMANTICI Questo fattore concerne l’uso di grafici, tabelle, mappe, per comprendere e ricordare. C6 DIFFICOLTÀ DI CONCENTRAZIONE Questo fattore si riferisce alle difficoltà che si possono incontrare nel focalizzare l’attenzione per un tempo adeguato nello svolgimento di un compito. C7 AUTOINTERROGAZIONE Questo fattore riguarda la tendenza a porsi domande o a porre domande ad altri come strategia di controllo della comprensione, del ricorso e del proprio stato di preparazione. A1 ANSIETÀ DI BASE Questo fattore si riferisce alla difficoltà di controllare le proprie reazioni emotive connesse alla situazione apprenditiva. Un’ansia elevata interferisce sia con la comprensione sia con il recupero delle informazioni A2 VOLIZIONE Questo fattore riguarda la capacità di controllare in maniera efficace l’azione di apprendimento in modo da portare a termine gli impegni, proteggendo la motivazione che guida e sostiene tale azione da sollecitazioni e interessi alternativi e da stanchezza e frustrazione di fonte a eventuali difficoltà. A3 ATTRIBUZIONE A CAUSE CONTROLLABILI Questo fattore fa riferimento alla percezione di controllabilità del proprio successo o fallimento interpretati come dipendenti soprattutto dal proprio impegno. A4 ATTRIBUZIONE A CAUSE INCONTROLLABILI Questo fattore fa riferimento alla percezione di non controllabilità del proprio successo o fallimento interpretati come dipendenti essenzialmente da cause esterne o interne stabili e immodificabili. A5 MANCANZA DI PERSEVERANZA Questo fattore, correlato negativamente con la volizione, si riferisce alla fragilità della capacità di perseverare nel lavoro e nel portare a termine i propri impegni. A6 PERCEZIONE DI COMPETENZA Questo fattore include la percezione del senso di autoefficacia e di responsabilità nel lavoro scolastico A7 INTERFERENZE EMOTIVE Questo fattore, collegabile al primo (ansietà di base), concerne le reazioni emotive che possono interferire consistentemente o occasionalmente con il lavoro scolastico. 321 Dodicesima unità - Allegato 9 FOGLIO RIASSUNTIVO PER SINTETIZZARE L’ANDAMENTO DI GRUPPO SULLE STRATEGIE DI APPRENDIMENTO 1 2 3 4 5 6 7 8 9 STRATEGIE ELABORATIVE AUTOREGOLAZIONE DISORIENTAMENTO DISPONIBILITÀ ALLA COLLABORAZIONE USO DI ORGANIZZATORI SEMANTICI DIFFICOLTÀ DI CONCENTRAZIONE AUTOINTERROGAZIONE ANSIETÀ DI BASE VOLIZIONE ATTRIBUZIONE A CAUSE CONTROLLABILI ATTRIBUZIONE A CAUSE INCONTROLLABILI MANCANZA DI PERSEVERANZA PERCEZIONE DI COMPETENZA INTERFERENZE EMOTIVE 322 Dodicesima unità - Allegato 10 TRACCIA DI RIFLESSIONE 1. Ti riconosci nei punteggi che hai ottenuto? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 2. Quali sono le tue risorse e i tuoi limiti nell’apprendere? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 3. Cosa dovresti fare di diverso per ottimizzare le tue strategie di apprendi- mento? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 4. Quali obiettivi potresti porti in tal senso? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 323 Dodicesima unità - Allegato 11 TRACCIA DI RIFLESSIONE 1. A quante domande sono stato in grado di rispondere correttamente? _______ 2. Quali fattori mi hanno permesso di dare risposte corrette? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 3. Quali fattori mi hanno impedito di dare risposte corrette? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 4. In che percentuale attribuisco la possibilità di apprendere dalla lezione a. ad una buona spiegazione _________% b. ad un ascolto attento _________ % 324 Dodicesima unità - Allegato 12 INDICAZIONI PER APPRENDERE DALLA LEZIONE 1. MENTRE IL FORMATORE SPIEGA, PORSI DELLE DOMANDE - Che cosa sta dicendo? - Che cosa intende dire quando afferma…? - Come pone questo aspetto in rapporto con quanto detto finora? - Qual è il quadro generale? - Quali sono i concetti principali? - Quali sono i dettagli più importanti? 2. PRENDERE APPUNTI - Non scrivere né troppo, né troppo poco - Trascrivere quegli elementi essenziali che consentono di schematizzare il discorso 3. CONCENTRARSI - Tenere a bada le distrazioni - Focalizzare l’attenzione su ciò che si ascolta 4. RIORDINARE GLI APPUNTI PRIMA POSSIBILE 325 Dodicesima unità - Allegato 13 ASCOLTARE PER APPRENDERE: LINEAMENTI TEORICI L’affermazione dalla quale prende avvio quanto diremo è che si può impa- rare ascoltando, naturalmente se il nostro ascoltare non si limita ad un semplice sentire. Ascoltare significa, infatti, attivare tutti i nostri canali sensori per concentrarsi ed orientare la nostra attenzione consapevole verso la fonte comunicativa per deco- dificare, comprendere e ricodificare ciò che proviene da essa. Possiamo trarre molti vantaggi dall’ascoltare. Così, quando riusciamo ad ascoltare attivamente a lezione possiamo: - chiarirci gli aspetti basilari di un argomento; - avere uno sguardo d’insieme del tema; - ricevere informazioni che non potremmo rintracciare sui libri; - aver riassunto del materiale difficile da consultare; - avere un modello di come si affronta quel determinato argomento. Ascoltare attivamente, tuttavia, non costituisce un compito facile e dobbiamo fare i conti con alcune difficoltà (Meazzini - Soresi, 1991a, 29-38): 1. la prima è rappresentata dal fatto che quando l’altro parla è molto facile dis- trarsi, perché noi pensiamo più velocemente di quanto gli altri possano par- lare; pertanto, quando ascoltiamo dobbiamo fare un duplice sforzo: orientare e mantenere l’attenzione verso la fonte comunicativa ed inibire l’afflusso alla mente di pensieri, immagini, fantasie che possono interferire con la nostra ten- sione attentiva; 2. una seconda difficoltà riguarda il ritmo e la velocità con cui ci vengono tra- smessi i messaggi; a differenza di altre situazioni apprenditive (es. leggere/scrivere) in cui siamo noi a dare il ritmo, nel caso dell’ascolto, è colui che parla a prendere decisioni in tal senso; per cui può procedere troppo rapi- damente o troppo lentamente rispetto ai nostri tempi e ciò può interferire con la nostra capacità attentava; 3. una terza difficoltà risiede nel fatto che non sempre ciò che ascoltiamo attiva la nostra curiosità e il nostro interesse, di qui la fatica connessa ad una scarsa motivazione. Ma se questi sono gli ostacoli, possiamo fare qualcosa per superarli? Certa- mente si: molto può fare la fonte comunicativa, molto può fare colui che ascolta. Cosa può fare la fonte comunicativa (il formatore) Un buon formatore è già un’ottima prevenzione nei confronti del cattivo ascolto. Così quando il formatore sa trasmettere le informazioni in modo moti- 326 vante e rispettoso dei tempi di apprendimento dei suoi allievi cresce di gran lunga la possibilità che questi ascoltino. In particolare un buon formatore dovrebbe: - usare un linguaggio comprensibile, ossia adottare il codice adeguato ai suoi destinatari; - definire gli obiettivi della lezione e le tematiche trattate; - rilevare i topici, ossia evidenziare con il tono della voce, con l’ausilio di lucidi o altro, gli aspetti più salienti; - procedere moderatamente, per dare agli allievi il tempo di comprendere e di prendere appunti; - fare domande e invitare gli allievi a parafrasare ossia chiedere loro di ripetere con parole ed espressioni proprie quanto ascoltato; - dare uno spazio, a lezione conclusa, affinché gli allievi possano integrare i loro appunti grazie al confronto reciproco; - suggerire una attività che permetta di applicare quanto ascoltato. Cosa può fare colui che ascolta (l’allievo ) Come dicevamo, anche l’allievo può fare molto per superare le difficoltà con- nesse ad un buon ascolto. In particolare, può: - porsi delle domande, mentre il formatore spiega, così da rendere più attivo il proprio ascolto: Che cosa sta dicendo? Che cosa intende dire quando afferma…? Come pone questo aspetto in rapporto con quanto detto finora? Qual è il quadro generale? Quali sono i concetti principali? Quali sono i dettagli più importanti? - prendere appunti; vediamo alcuni suggerimenti utili: non scrivere né troppo, né troppo poco; trascrivere quegli elementi essenziali che consentono di schematizzare il dis- corso; organizzare in modo funzionale il foglio in cui prendere appunti (vedi fig.1); - concentrarsi, tenendo a bada le distrazioni e focalizzando l’attenzione su ciò che si ascolta; - riordinare gli appunti prima possibile; è, infatti, importante, prima che passi del tempo e che quanto ascoltato si perda per effetto dell’oblio, che focaliz- ziamo la struttura portante dell’argomento. Quali sono stati i temi generali affrontati? Quali i concetti fondamentali? Quali i particolari più importanti? 327 FIG. 1 ORGANIZZAZIONE DEL FOGLIO PER PRENDERE APPUNTI DATA_________ TITOLO________________________________________________________________________ FORMATORE___________________________________________________ 2. Domande 1. Prendere appunti 4. Condensare 3. Riflessioni 1. Nella parte centrale vengono scritti gli appunti 2. Sulla parte sinistra vengono trascritti interrogativi che possono sorgere ascoltando 3. Sul lato destro si possono annotare le proprie riflessioni 4. Al termine della lezione si possono condensare le informazioni principali Tratto da: Meazzini – Soresi, 1991a, 32. 328 Dodicesima unità - Allegato 14 ESERCITAZIONE SULLA CAPACITÀ DI ASCOLTO 1. Ascoltare e sentire non sono la stessa cosa. Perché? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 2. Quali sono i vantaggi di un ascolto attivo? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 3. Quali sono le difficoltà che possiamo incontrare nell’ascolto? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 4. Che cosa può fare l’allievo per superare tali difficoltà? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 5. Che cosa può fare il formatore per facilitare il superamento di tali difficoltà? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 329 Dodicesima unità - Allegato 15 GRIGLIA PER LA VALUTAZIONE DELLA CAPACITÀ DI ASCOLTO4 Per ognuna delle affermazioni qui sotto riportate, contrassegna la scelta che meglio corrisponde al tuo modo di comportarti. 4 MEAZZINI - SORESI, 1991a. mo lto spe sso spe sso qu asi m ai ma i 1. Smetti di ascoltare quando il formatore dice qualcosa con cui non sei d’accordo 2. Ti concentri su quanto viene detto anche se non ti interessa 3. Quando pensi di sapere già quello che il formatore sta per dirti, smetti di ascoltare 4. Ripeti con parole tue quanto il formatore ha appena detto 5. Ascolti il punto di vista dell’altro (formatore o compagno) anche se diverso dal tuo 6. Fai tesoro di tutto quanto il formatore ti dice, anche se è di scarso peso 7. Ti preoccupi di chiedere il significato delle parole che non conosci 8. Pensi al modo con cui ribattere, mentre i compagni del tuo gruppo stanno ancora parlando. 9. Fingi di ascoltare attentamente anche quando non ascolti affatto 10. Pensi ad altro mentre il formatore sta parlando 11. Ti limiti a seguire la lezione senza preoccuparti dei particolari 12. Ti rendi conto che le parole non hanno lo stesso significato per tutti 13. Ascolti solo quello che ti interessa trascurando il resto della lezione 14. Guardi il formatore mentre parla 15. Ti concentri sulle parole del formatore senza preoccuparti delle sue espressioni mimiche 16. Sai quali sono le parole o le frasi capaci di suscitare in te reazioni emotive 17. Rifletti su quello che vuoi ottenere quando parli 18. Aspetti l’occasione migliore per esprimere ciò che vuoi dire 19. Pensi al modo in cui potrebbe reagire il tuo interlocutore (formatore o compagno) 20. Scegli la maniera migliore (scritta, orale, al telefono, sulla lavagna) per comunicare 21. Osservi l’espressione del tuo interlocutore, formatore o compagno (preoccupata, ostile, indifferente, timida, impaziente, caparbia..) 22. Hai l’impressione di essere ignorato dal tuo interlocutore (formatore o compagno) 23. Ti eserciti regolarmente per migliorare la tua capacità di ascolto 24. Prendi appunti per poter meglio ricordare 25. Riesci a mantenere la concentrazione senza farti distrarre da suoni o rumori 26. Ascolti senza giudicare o criticare chi parla 27. Ripeti alcune cose che l’insegnante ha detto per essere sicuro di aver ben capito. ISTRUZIONI PER IL PUNTEGGIO La risposta molto spesso vale 4 punti, quella spesso vale tre punti, quella quasi mai vale 2 punti e quella mai vale 1 punto. Per gli item prodotti in corsivo il pun- teggio è invertito. I buoni ascoltatori raggiungono un punteggio che va oltre 90. 330 Dodicesima unità - Allegato 16 UOMO E CLIMA Il clima influenza in tanti modi la vita e l’attività dell’uomo, creando ad esempio condizioni favorevoli o sfavorevoli all’insediamento, permettendo o im- pedendo la coltivazione di determinate colture, agevolando o ostacolando i tra- sporto e il turismo… Non bisogna tuttavia esagerare la dipendenza dall’ambiente climatico, in quanto l’uomo, anche nel passato, si è in qualche modo adattato e difeso (foggia e tipo di vestiti, abitazioni, riscaldamento degli edifici). Ancora oggi sentiamo l’influenza del clima, anche se reagiamo in modo più attivo, cercando di modificare o addirittura cambiare le condizioni più sfavorevoli. Siamo riusciti così ad intervenire sui processi di condensazione dell’umidità e, quindi, sulla formazione della pioggia. Abbiamo tentato di prevenire le condizioni che portano alla costituzione della grandine, che è particolarmente dannosa alle colture. Abbiamo cercato di dissipare la nebbia, che rappresenta un grosso pericolo per tutti i mezzi di trasporto e in particolare per gli aerei, durante le manovre di de- collo e di atterraggio sulle piste degli aeroporti. Un altro sistema di intervento sul clima è la formazione di filari di alberi, in zone che sono esposte al vento e all’e- vaporazione. Gli alberi, infatti, rompono l’azione del vento e, nello stesso tempo, accumulano l’umidità. Tutte queste sono modifiche volute dall’uomo, cioè volon- tarie. L’uomo, però, cambia il clima di una località anche involontariamente. L’esempio più evidente è costituito dalle modificazioni del clima che avven- gono nelle città. Cemento e asfalto nelle assolate giornate estive, provocano il sur- riscaldamento dell’aria. Durante i mesi invernali, poi, la città rappresenta un serba- toio di calore per il notevole consumo di combustibili dovuto al riscaldamento degli edifici. Anche l’inquinamento dell’aria (con il velo dei gas e dei vapori) con- tribuisce al maggior riscaldamento della città. È stato calcolato che la temperatura minima invernale di una grande città, a medie latitudini, è superiore a quella delle campagne circostanti di circa un grado e mezzo. Le città, soprattutto quelle industriali, sono anche caratterizzate da una mag- gior presenza di nebbia e di foschia e soprattutto di smog [dall’inglese smoke = fumo e fog = nebbia]. Per migliorare il clima delle città bisognerebbe non solo eliminare le fonti di inquinamento, ma aumentare la superficie delle aree verdi (viali alberati, giardini, parchi) che aiutino a regolare il riscaldamento diurno. Tratto da: Bacchi - Londrillo, 1987. 331 Dodicesima unità - Allegato 17 LA TECNICA SQ3R: LINEAMENTI TEORICI Tra le metodologie suggerite per apprendere dalla lettura la più nota è quella messa a punto da Robinson (1975) e denominata SQ3R (Survey, Question, Read, Repeat, Revise). Consta di cinque passi. Survey Si tratta di una lettura veloce per cogliere le caratteristiche salienti del testo e rendersi conto dell’insieme. Nel corso di essa non ci si sof- ferma sulle parole che lì per lì non vengono comprese; in molti casi sarà il contesto a fornirne il significato. Question In questa fase si tratta di porre domande al testo, domande che hanno il duplice scopo di attivare la nostra curiosità e di cogliere eventuali collegamenti tra le informazioni nuove e quelle già in nostro pos- sesso. Read È il momento della lettura analitica: si procede lentamente cercando di cogliere con esattezza quanto scritto. In questa fase è opportuno sottolineare le parti principali ed evidenziare, trascrivendo al lato, qualche parola concettualmente descrittiva della parte che si sta leg- gendo. Repeat È la fase della ripetizione. Guardando le parole chiave poste al lato del testo si cerca di richiamare le informazioni acquisite nel corso della lettura. Revise È l’ultima tappa del processo di acquisizione delle informazioni. Si ri- pete come nella fase precedente, ma senza l’aiuto delle parole chiave. 332 Il clima influenza in tanti modi la vita e l’attività del- l’uomo, creando ad esempio condizioni favorevoli o sfavore- voli all’insediamento, permettendo o impedendo la coltivazione di determinate colture, agevolando o ostacolando il trasporto e il turismo… (IN CHE MODO IL CLIMA ESERCITA LA SUA IN- FLUENZA?) Non bisogna tuttavia esagerare la dipendenza dall’am- biente climatico, in quanto l’uomo, anche nel passato, si è in qualche modo adattato e difeso (foggia e tipo di vestiti, abita- zioni, riscaldamento degli edifici). Ancora oggi sentiamo l’influenza del clima, anche se rea- giamo in modo più attivo, cercando di modificare o addirittura cambiare le condizioni più sfavorevoli. (CHE COSA FA L’UOMO PER NON SUBIRE PASSIVAMENTE L’INFLUENZA DEL CLIMA?) Siamo riusciti così ad intervenire sui processi di condensa- zione dell’umidità e, quindi, sulla formazione della pioggia. Abbiamo tentato di prevenire le condizioni che portano alla co- stituzione della grandine, che è particolarmente dannosa alle colture. Abbiamo cercato di dissipare la nebbia, che rappresenta un grosso pericolo per tutti i mezzi di trasporto e in particolare per gli aerei, durante le manovre di decollo e di atterraggio sulle piste degli aeroporti. Un altro sistema di intervento sul clima è la formazione di filari di alberi, in zone che sono esposte al vento e all’evaporazione. Gli alberi, infatti, rompono l’azione del vento e, nello stesso tempo, accumulano l’umidità. Tutte queste sono modifiche volute dall’uomo, cioè volontarie. (QUALI SONO STATE LE MODIFICHE CHE L’UOMO HA OPERATO VOLONTARIAMENTE?) L’uomo, però, cambia il clima di una località anche invo- lontariamente. L’esempio più evidente è costituito dalle modificazioni del clima che avvengono nelle città. Cemento e asfalto nelle asso- Dodicesima unità - Allegato 18 UOMO E CLIMA INFLUENZA DEL CLIMA REAZIONI DIFENSIVE E ADATTIVE DELL’UOMO MODIFICHE VOLONTARIE CAMBIAMENTI INVOLONTARI 333 PROVVEDIMENTI late giornate estive, provocano il surriscaldamento dell’aria. Durante i mesi invernali, poi, la città rappresenta un serbatoio di calore per il notevole consumo di combustibili dovuto al ri- scaldamento degli edifici. Anche l’inquinamento dell’aria (con il velo dei gas e dei vapori) contribuisce al maggior riscalda- mento della città. È stato calcolato che la temperatura minima invernale di una grande città, a medie latitudini, è superiore a quella delle campagne circostanti di circa un grado e mezzo. Le città, soprattutto quelle industriali, sono anche caratte- rizzate da una maggior presenza di nebbia e di foschia e soprat- tutto di smog [dall’inglese smoke = fumo e fog = nebbia]. (QUALI SONO LE PRINCIPALI CAUSE DI MODIFICAZIONE INVOLON- TARIA DEL CLIMA?) Per migliorare il clima delle città bisognerebbe non solo eliminare le fonti di inquinamento, ma aumentare la superficie delle aree verdi (viali alberati, giardini, parchi) che aiutino a re- golare il riscaldamento diurno. (COSA SI DOVREBBE FARE PER MI- GLIORARE IL CLIMA DELLE GRANDI CITTÀ?) Tratto da: Bacchi - Londrillo, 1987. 334 Venezia è ammalata: tre veleni ne minano l’esistenza: le inondazioni, lo smog, lo sprofondamento del suolo. L’“acqua alta” a Venezia è un fenomeno che si verifica soprattutto quando il vento, soffiando violentemente dal mare in coincidenza con l’alta marea, spinge le acque nelle calli e nelle piazze. Piazza San Marco diventa allora un lago di acqua salata profondo circa quindici centimetri. Questo fenomeno presenta gravi pericoli per gli edifici, le cui fondamenta, a contatto con l’acqua salata, a lungo andare im- putridiscono. Accanto all’acqua salata il secondo veleno di Venezia è dato dall’inquina- mento atmosferico, che corrode le pietre dei palazzi e sfregia le statue, deterio- rando così il patrimonio artistico della città. Il terzo veleno è lo sprofondamento del suolo di Venezia. Da secoli la base su cui poggia la laguna sprofonda lentamente quasi impercettibilmente, un millimetro circa all’anno, ma in questi ultimi dieci anni si è abbassata di ben cinque centimetri e, se non si porrà rimedio, fra un po’ di anni l’acqua del mare rimarrà in perma- nenza nel pianterreno di molte case veneziane. L’espressione Venezia è malata cosa significa? L’autore del brano esprime questa tesi: le cause della rovina di Venezia sono……. Gli argomenti che porta a sostegno della sua tesi sono i seguenti: L’acqua alta - è causata dal vento che ........................................................................................ - l’imputridimento .................................................................................................. Lo smog - corrode ................................................................................................................. 5 Tratto e adattato da: MICHELINI - POLI, 2000. Dodicesima unità - Allegato 19 ESERCITAZIONE Leggi il seguente brano e applica ad esso la tecnica SQ3R, quindi rispondi alle domande che ad esso seguono VENEZIA È MALATA 5 335 Lo sprofondamento del suolo - negli ultimi anni ................................................................................................... - questo comporterà................................................................................................ Prova ora a schematizzare quanto hai compreso dalla lettura ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 336 Dodicesima unità - Allegato 20 TIPOLOGIE DI SCHEMI6 SCHEMA PER PUNTI E SOTTOPUNTI Esempio: TITOLO A - …………………………….. A.1 -…………………………………. A.2 -……………………………………… A.2.1 -…………………………………… A.2.2 -……………………………………. B - ……………………………………………………. B.1 -……………………………………………….. 6 Gli schemi sono tratti da: ARPAIA - BERTRAND - FAVATI - FILIPPI - LUCCHESI - MINERVA - OTTO- LINI, 1993 e ROWNTREE , 1979. 337 338 339 MAPPA CONCETTUALE Tratto da: Meazzini - Soresi, 1991b, 52. 340 Dodicesima unità - Allegato 21 L’USO DI ORGANIZZATORI SEMANTICI: LINEAMENTI TEORICI Un momento importante nella rielaborazione delle conoscenze acquisite da una fonte orale o da un testo scritto, è rappresentato dalla schematizzazione. Quest’ultima consiste nell’organizzare su un foglio i contenuti relativi ad un determinato argomento, non secondo una sequenza scritta, lineare, ma mediante accorgimenti grafici che ne esplicitino la struttura e i nessi logici. L’utilizzazione di elementi grafici ha una funzione fondamentale nell’appren- dimento e nella memorizzazione in quanto consente di integrare abilità di lettura analitiche con abilità globali, spaziali, immaginative. Quando un contenuto è conservato come immagine mentale è meno soggetto ad oblio e più facilmente richiamabile dal magazzino della nostra memoria. I passi per produrre uno schema sono fondamentalmente due: a) il primo consiste nell’organizzare tramite parole chiave disposte gerarchica- mente tesi di fondo, idee principali, idee secondarie, esempi; b) il secondo consiste nel mettere in evidenza le connessioni esistenti tramite frecce e riquadri. Possiamo disporre di diverse tipologie di schemi. Schema per punti e sotto punti È la tipologia che meno usufruisce delle caratteristiche del linguaggio grafico, privilegiando quello verbale. Riproduce fedelmente la struttura logica del testo di riferimento. Rappresenta la strada obbligata per chi ancora non possiede la pratica degli schemi. Schema a blocchi È forse la tipologia più diffusa. Il linguaggio grafico utilizza riquadri conte- nenti parole chiave, frecce, brevi enunciati. La struttura globale può svilupparsi in varie direzioni e permette l’aggiunta di elementi e di integrazioni iconiche. Ha il vantaggio di essere flessibile, in quanto si adatta sia a contenuti diversi sia a stili personali diversi, ed integrabile, in quanto in esso possono essere facilmente inse- riti riquadri con commenti, tabelle, grafici. Freccia cronologica È una tipologia utile quando si vogliono ordinare le informazioni in una se- quenza temporale. L’elemento grafico è costituito da una freccia graduata con le datazioni di riferimento. 341 Schema ad albero È una tipologia particolarmente adatta a rappresentare sistemi di classifica- zione. Il linguaggio verbale è costituito dalla denominazione delle classi, il lin- guaggio grafico dalle diramazioni. La struttura globale parte da un punto focale e si sviluppa gerarchicamente per livelli successivi. Mappe concettuali È una tipologia di schema che ricorda una ragnatela formata da un nucleo e da linee disposte a raggiera. Il nucleo contiene il concetto fondamentale mentre le linee rappresentano i concetti derivati in ordine decrescente. Le indicazioni per la sua costruzione sono le seguenti: - al centro del foglio viene collocata l’idea principale; - vicino all’idea principale sono collocati gli argomenti principali; quanto mag- giore è la loro importanza, tanto più vicini sono al centro; - ogni argomento dà vita a ramificazioni secondarie; - ogni ramificazione è descritta da una singola parola; - è consigliato l’uso dei colori data la loro utilità nel processo di memorizza- zione. La mappa concettuale presenta numerosi vantaggi: - evidenzia chiaramente l’idea centrale e i concetti derivati dai più importanti ai più marginali; - consente una visione olistica ed analitica dell’argomento oggetto di studio; - è una struttura aperta che consente di aggiungere elementi successivi; - può essere personalizzata dal soggetto a proprio piacimento. 342 Dodicesima unità - Allegato 22 343 Dodicesima unità - Allegato 23 LA MEMORIA E LE TECNICHE DI MEMORIZZAZIONE: LINEAMENTI TEORICI La memoria: un processo trifasico7 La memoria svolge un ruolo fondamentale nell’acquisizione e nell’utilizzo delle informazioni; ed è quanto mai utile conoscere gli elementi basilari del suo funzionamento. A differenza di quanto comunemente si è portati a credere, la memoria non è né una facoltà, né una sostanza, ma un processo che si snoda in tre tappe: registro sensoriale, memoria a breve termine, memoria a lungo termine. Il registro sensoriale ha il compito di accogliere, filtrare e trattenere per un tempo minimo le informazioni che giungono ai nostri organi di senso. Si tratta di una memoria immediata. La memoria a breve termine ha invece il compito di organizzare le informa- zioni che filtrano dal registro sensoriale attraverso le operazioni di codificazione e rehearsal (ripetizione subvocalica). Si tratta di una memoria di lavoro. La memoria a lungo termine è una sorta di deposito nel quale vengono imma- gazzinate le informazioni e dal quale possono essere richiamate e ritrasferite nella memoria di lavoro al momento opportuno. La valutazione dei processi mnestici avviene attraverso tre prestazioni diverse: riconoscimento (individuare elementi visti o sentiti in precedenza), ricostruzione (riordinare elementi presentati in modo disordinato) e rievocazione (richiamare e descrivere informazioni, episodi, situazioni). Esistono tante memorie quanti sono i nostri organi di senso. Per lo più nello studio tendiamo ad utilizzare la memoria acustica, visiva e motoria. Strategie e tecniche di memorizzazione Vediamo ora cosa possiamo fare per utilizzare in modo efficiente la nostra me- moria. 1. Innanzitutto occorre studiare poco e spesso. La memorizzazione è più facile con sedute di studio frazionate rispetto alla forte concentrazione dello studio in poco tempo e con pochi intervalli. 2. La ripetizione è di grande aiuto alla nostra memoria. Essa facilita la memoriz- zazione più di successive riletture del testo. 3. La tranquillità favorisce notevolmente il processo di memorizzazione. Si ap- prende di più quando ci si trova in uno stato psicologico positivo. Ansia, stress e paura bloccano ingressi e uscite dalla memoria. 7 Tratto e adattato da: MEAZZINI - SORESI, 1991C, 47-55. 344 4. Si ricorda meglio ciò che si scrive. È una buona abitudine annotare e schema- tizzare ciò che si apprende. 5. Nella fase di registrazione delle informazioni è prezioso il ricorso alle mem- notecniche. Vediamone alcune. Sinestesie Ricorrere cioè alle diverse modalità sensoriali (visiva, acustica, olfattiva, gu- stativa, tattile) per fissare una determinata informazione o esperienza. Le modalità sensoriali alle quali facciamo ricorso possono essere attuate o solo pensate. Associazioni Inserire cioè il nuovo dato in una rete associativa che ne faciliti il ricordo. Le associazioni sono come dei ganci esistenti nella nostra memoria a lungo termine, ai quali appendere le nuove informazioni. Richiamando il gancio, ricordiamo quello che ad esso abbiamo appeso. Humor Poiché l’humor si correla negativamente all’oblio, cogliere gli aspetti umori- stici di una situazione vuol dire darsi la possibilità di ricordarla meglio. Immaginazione Si tratta di collegare un dato ad un’immagine possibilmente vivida e rappre- sentativa dei diversi canali sensori. Colore Il colore innalza il livello di attivazione sottocorticale facilitando il processo attentivo e quindi la fissazione delle informazioni. Esagerazione Consiste nell’alterare vistosamente alcuni elementi visivi o acustici di ciò che vogliamo ricordare. 345 Dodicesima unità - Allegato 24 COSTRUZIONE DI STORIE Nella parte che segue troverai una lista di parole. Costruisci con esse una storia e poi prova a ricordarle richiamando mentalmente la storia. 1. BARRIERE 2. ABBATTERE 3. ANIMALI 4. LATTE 5. MURO 6. CANE 7. STALLA 8. GENTILUOMO 9. CAPPELLO 10. STECCATO 11. ERBA 12. ARATRO 13. STIVALI 14. FIGLIA 15. CESTO VARIABILE CONTESTO Integrazione e inserimento produttivo in un ambiente organizzativo e di lavoro UNITÀ OPERATIVE: DESCRIZIONE E ALLEGATI 13. DIAGNOSTICARE IL CONTESTO DI LAVORO IN CUI SI OPERA 14. POTENZIARE LE PROPRIE STRATEGIE DI APPRENDIMENTO E DI AZIONE 349 DIAGNOSTICARE IL CONTESTO DI LAVORO IN CUI SI OPERA * Capacità in oggetto Individuare gli elementi fondamentali, organizzativi e relazionali, dell’ambiente lavorativo in cui si è inseriti. Finalità Facilitare negli allievi l’acquisizione della capacità di individuare le caratteristiche fondamentali dell’ambiente di lavoro nel quale sono inseriti. Tempi Due incontri di circa due ore ciascuno. Descrizione degli incontri PRIMO INCONTRO OBIETTIVI 1. Definire il concetto di organizzazione. 2. Definire le componenti di una organizzazione. FASI Esperienza concreta Al fine di approfondire la diagnosi del contesto lavorativo, al gruppo viene presentato un brano da leggere in cui è descritta una situazione che si verifica in fabbrica. Dopo aver letto il brano viene chiesto di rispondere ad alcune domande (All. 1). Osservazione riflessiva Le risposte alle domande sono condivise in assemblea e il forma- tore aiuta i ragazzi ad individuare che tipo di struttura organizza- tiva è presente nella situazione descritta e come, in essa, si realiz- zano le relazioni. Concettualizzazione astratta Il formatore presenta diversi tipi di struttura organizzativa e alcuni fattori che incidono sulle relazioni lavorative (All. 2). Sperimentazione attiva Gli allievi sono invitati a compilare, individualmente, una scheda (All. 3) che consente loro di individuare il tipo di struttura organiz- zativa (in termini sia strutturali che culturali) che caratterizza l’a- zienda in cui hanno svolto lo stage. TREDICESIMA UNITÀ 350 Si creano piccoli gruppi, formati da persone che hanno svolto lo stage nella stessa struttura e si invitano i ragazzi a confrontare le schede di ciascuno con quelle degli altri al fine di verificare se c’è sostanziale accordo o se presentano delle differenze. Il gruppo è invitato a riflettere su eventuali discrepanze e arrivare a una descri- zione condivisa da tutti. Conclusione Tutto il gruppo è invitato a dire qual è il tipo di organizzazione in cui vorrebbe lavorare e perché. MATERIALI Allegati 1, 2, 3 Lavagna luminosa Lavagna a fogli SUGGERIMENTI EDUCATIVI Allo scopo di potenziare nei ragazzi l’abilità di diagnosticare il contesto di lavoro in cui sono inseriti, i formatori possono: 1. stimolare negli allievi la riflessione sull’importanza della dia- gnosi dell’ambiente lavorativo; 2. stimolare una riflessione sulla soggettività della diagnosi e faci- litare il confronto con altri punti di vista; SECONDO INCONTRO OBIETTIVI 1. Individuare gli aspetti strutturali dell’organizzazione in cui si è inseriti distinguendo risorse e vincoli. 2. Individuare gli aspetti relazionali dell’organizzazione in cui si è inseriti distinguendo risorse e vincoli. FASI Esperienza concreta Agli allievi viene chiesto di scrivere quali siano, secondo loro, le risorse e i vincoli presenti nell’ambiente di lavoro conosciuto du- rante lo stage. Gli allievi rispondono prima singolarmente e poi condividono le risposte in piccoli gruppi creando una lista di ri- sorse e una di vincoli (All. 4). Osservazione riflessiva Il lavoro di ciascun gruppo viene condiviso in assemblea e il for- matore, mentre raccoglie quanto emerso dal gruppo, fa notare come siano presenti e distinguibili aspetti di tipo organizzativo e di tipo relazionale, e come questi possano rappresentare sia risorse che vincoli. 351 Concettualizzazione astratta Al gruppo sono presentati, in termini teorici, le risorse e i vincoli che generalmente si trovano in un contesto lavorativo (All. 5). Sperimentazione attiva Individualmente, i ragazzi compilano le prime due colonne della scheda con la lista di risorse e vincoli che hanno osservato nel con- testo lavorativo in cui hanno svolto lo stage. In piccoli gruppi, si confrontano e compilano anche la colonna in cui si chiede “Cosa pensi andrebbe fatto per migliorare la situazione? ” (All. 6). Conclusione Tutto il gruppo è invitato a discutere su quanto è emerso dal lavoro sull’allegato 6. MATERIALI Allegati 4, 5, 6 Lavagna luminosa Lavagna a fogli SUGGERIMENTI EDUCATIVI Allo scopo di potenziare nei ragazzi l’abilità di diagnosticare il proprio contesto lavorativo, i formatori possono sostenere gli al- lievi nell’individuazione delle risorse e dei vincoli presenti nel contesto lavorativo. * Questa unità è stata elaborata da Daniela Antonietti e Stefano Petrilli 352 Tredicesima unità - Allegato 1 UN GIORNO IN FABBRICA Ti invitiamo a leggere il brano che segue, sottolineando i punti che, secondo te, sono più importanti per capire com’è l’ambiente di lavoro descritto. Mario è un operaio di 20 anni che lavora da due mesi in una fabbrica che pro- duce automobili. Il suo orario di lavoro è di 8 ore al giorno, e, in base al turno che gli tocca, lavora di mattina, di pomeriggio o di notte. Mario ha un buon rapporto con i suoi colleghi, tutti più grandi di età rispetto a lui, anche se gli piacerebbe sentirsi più parte del gruppo. Loro, infatti, dato che si frequentano anche fuori dal lavoro, si conoscono bene e durante le pause stanno insieme, chiacchierano, mangiano qualcosa e si lamentano dei debiti, delle mogli, dei figli e della stanchezza sul lavoro. Mario, che fortunatamente ancora non ha di questi problemi, non saprebbe proprio di cosa parlare con loro. L’officina in cui Mario lavora è diretta da un capo officina, Giuseppe, che da quando Mario è arrivato “fa di tutto per rendergli la vita impossibile”. Si aspetta che tutti facciano le cose a modo suo e se questo non succede è sempre pronto a urlare, minacciare, screditare il lavoro di Mario e degli altri operai che sono alle sue dipendenze. Solo con certe persone Giuseppe diventa un agnellino: il suo capo Antonio e il direttore della fabbrica. Quando parla con loro è sempre rispettoso e, se lo rimproverano, se ne va con la coda tra le gambe. Con gli operai, invece, di- venta un orso; ma, dato che lui è il capo, nessuno ha il coraggio di dirgli niente. Il fondo Giuseppe lo ha toccato quando in fabbrica era stato assunto un ope- raio, Raj, di origine cinese. Un giorno, il direttore si lamentava con Antonio per il fatto che il lavoro dell’officina di Giuseppe era molto indietro rispetto ai tempi sta- biliti. Antonio chiede spiegazioni a Giuseppe e questi si giustifica affermando che la colpa non è sua, ma dei suoi operai e, in particolare, fa riferimento a Raj, neoas- sunto, che secondo lui non è in grado di svolgere il suo lavoro, perde molto tempo e andrebbe licenziato. Poi, in assenza di Antonio, Giuseppe ha rimproverato Raj urlando e insultandolo con battute razziste molto pesanti. Gli altri operai, che hanno assistito alla scena, sono intervenuti a favore di Raj, ma Giuseppe li ha su- bito fatti tacere rimandandoli al lavoro. Raj non sapeva proprio cosa fare, aveva anche pensato di parlare con i supe- riori ma aveva paura che una cosa del genere avesse effetti ancora più negativi ma- gari attirando su di sé l’antipatia dei colleghi che, invece, erano stati molto solidali con lui. Adattato da: Edelmann, 2000, 16-103. Tenendo conto del brano, e facendo anche riferimento alla tua esperienza, ri- spondi alle seguenti domande. 353 1) Quali sono i ruoli dei personaggi del brano? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 2) Come arriva la comunicazione del direttore a Raj? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 3) Di che tipo sono i rapporti tra i colleghi? E tra i colleghi e Mario? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 4) Come mai Mario non si inserisce nel gruppo di operai suoi colleghi? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 5) In quale modo Giuseppe si relaziona con i suoi operai? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 6) In quale modo Giuseppe si relaziona con Raj? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 7) Come reagiscono i colleghi ai maltrattamenti subiti da Raj? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 8) Secondo te, fa bene Raj a non parlare con i superiori di quanto gli è accaduto? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 354 “UN GIORNO IN FABBRICA” – Brano per i formatori Mario è un operaio di 24 anni che lavora da due mesi in una fabbrica che pro- duce automobili. Il suo orario di lavoro è di 8 ore al giorno, e, in base al turno che gli tocca, lavora o di mattina o di pomeriggio o di notte (1) . Mario ha un buon rapporto con i suoi colleghi (2) , tutti più grandi di età (3) ri- spetto a lui, anche se gli piacerebbe sentirsi più parte del gruppo. Loro, infatti, dato che si frequentano anche fuori dal lavoro, si conoscono bene e durante le pause stanno insieme, chiacchierano, mangiano qualcosa e si lamentano dei debiti, delle mogli, dei figli e della stanchezza sul lavoro (2, 4) . Mario, che non ha di questi problemi, non saprebbe proprio di cosa parlare con loro (4) . L’officina in cui Mario lavora è diretta da un capo officina (1) , Giuseppe, che da quando Mario è arrivato “fa di tutto per rendergli la vita impossibile” (5) . Si aspetta che tutti facciano le cose a modo suo (6) e se questo non succede è sempre pronto a urlare, minacciare, screditare il lavoro di Mario e degli altri operai che sono alle sue dipendenze (5) . Solo con certe persone Giuseppe diventa un agnel- lino: il suo capo Antonio e il direttore della fabbrica (1) . Quando parla con loro è sempre rispettoso e se lo rimproverano se ne va con la coda tra le gambe. Con gli operai, invece, diventa un orso ma dato che lui è il capo nessuno ha il coraggio di dirgli niente. Il fondo Giuseppe lo ha toccato quando in fabbrica era stato assunto un ope- raio, Raj, di origine cinese. Un giorno il direttore si lamentava con Antonio per il fatto che il lavoro dell’officina di Giuseppe era molto indietro rispetto ai tempi sta- biliti. Antonio chiede spiegazioni a Giuseppe (1, 7) e questi si giustifica affer- mando che la colpa non è sua, ma dei suoi operai e, in particolare, fa riferimento a Raj, neoassunto, che secondo lui non è in grado di svolgere il suo lavoro, perde molto tempo e andrebbe licenziato (5, 8) . In assenza, poi, di Antonio, Giuseppe ha rimproverato Raj urlando e insultandolo con battute razziste molto pesanti (8, 9) . Gli altri operai, che hanno assistito alla scena, sono intervenuti a favore di Raj (10) ma Giuseppe li ha subito fatti tacere rimandandoli al lavoro (5) . Raj non sapeva proprio cosa fare, aveva anche pensato di parlare con i superiori ma aveva paura che una cosa del genere avesse effetti ancora più negativi magari attirando su di sé l’antipatia dei colleghi (10) che, invece, erano stati molto solidali con lui. Adattato da: Edelmann, 2000, 16-103. 355 Chiave di lettura (1) Il lavoro è standardizzato, i ruoli sono fissi e c’è un gerarchia dei ruoli (2) Sul lavoro possono nascere relazioni di amicizia o comunque rapporti piace- voli (3) Differenze interpersonali (età) (4) Formazione di sottogruppi; condivisione (5) Abuso di potere (6) Aspettative (7) La comunicazione avviene per livelli vicini (non dal direttore direttamente all’operaio ma scendendo per gradi nella gerarchia) (8) Pregiudizi (neoassunto; di origine asiatica) (9) Violazione della regola: regole che riguardano terzi (10) Osservanza della regola: regole di aiuto 356 Tredicesima unità - Allegato 2 DEFINIZIONE E COMPONENTI DELL’ORGANIZZAZIONE: LINEAMENTI TEORICI Una delle definizioni più comuni e più semplici di “organizzazione” è quella indicata da Lucarelli (1999, 131): “un’unità sociale, formata da individui e risorse, costituita con lo scopo di perseguire un fine specifico”; molto simile a questa, ma con un elemento in più, è la definizione data da Cuccurullo (1999, 47): “un in- sieme di persone formalmente riunite per raggiungere degli obiettivi più o meno comuni”. L’elemento in più è dato dal “formalmente riunite”; in realtà, osserva l’autrice “esistono organizzazioni che chiamiamo tali senza che siano “‘formal- mente’ costituite” (Cuccurullo, 1999, 47); in questi casi, ciò che rende tale un’or- ganizzazione è un “atto deliberato” di una o più persone che decidono di collabo- rare per raggiungere un fine comune (Cuccurullo, 1999, 48). Ogni organizzazione ha due componenti: 1) Struttura (vedi allegato 3); 2) Cultura (vedi allegato 4) STRUTTURA DELL’ORGANIZZAZIONE Un’organizzazione esiste perché intende perseguire obiettivi (per es. di marke- ting, di innovazione, di produttività, ecc.) (Avallone, 1997, 93-97). Per conseguire i suoi obiettivi, è necessario che l’organizzazione si dia una struttura. Nella struttura di un’organizzazione si possono individuare: tipologie e com- ponenti. Per non dilungarci in temi che non sono direttamente connessi con i nostri scopi, ci soffermiamo solo sulle tipologie di una struttura organizzativa (trala- sciando le componenti). Tipologie delle organizzazioni La struttura di una organizzazione può assumere le seguenti tipologie. 1. Struttura gerarchica o lineare: caratteristica di questa struttura o organizza- zione è l’esistenza di una linea diretta di autorità, dal principale organo di di- rezione fino ai livelli intermedi e agli organi esecutivi. Si fonda sull’unicità del comando, per cui ogni soggetto dell’organizzazione risponde a un unico capo che è il solo ad essere dotato di potere decisionale e di responsabilità. Nell’ambito di ogni funzione aziendale fondamentale, il personale è disposto secondo una precisa scala gerarchica e ciascuno riceve tutti gli ordini dal suo superiore immediato, che è il solo al quale deve rispondere del proprio ope- rato. Questo tipo di organizzazione viene adottato, in genere, dalle imprese di piccole dimensioni. 357 2. Struttura per funzioni o scientifica: questo tipo di struttura prevede che ven- gano “raggruppate e accorpate le attività che rientrano in campi di specializza- zione e di affinità omogenee” (Avallone, 1997, 98); per esempio, produzione, marketing, personale, ecc. Caratteristica di questa organizzazione è l’elevata specializzazione dei capi di grado elevato e intermedio: il subordinato riceve ordini da più capi, ciascuno dei quali è dotato del potere di dettare disposizioni nell’ambito della propria sfera di competenza (nell’ambito della propria fun- zione). Ciascun dipendente è chiamato a svolgere un compito preciso e limi- tato, il più possibile aderente alle sue attitudini e capacità. 3. Struttura per prodotto o struttura divisionale: questo tipo di struttura, piuttosto che per specializzazioni funzionali, si articola per linee di attività o prodotto; all’interno di ogni divisione, si avranno poi le diverse funzioni (Avallone, 1997, 98). In altre parole, in questa organizzazione, per ogni prodotto o linea di prodotti, vi è un organo direttivo dipendente dalla Direzione generale che sovrintende a tutte le funzioni connesse a quel determinato prodotto (es. banche, agenzie assicurative, ecc.). Per cui, nella struttura generale dell’a- zienda, si trovano più unità che svolgono le stesse funzioni (es. vendita, pro- duzione, ecc.), ma con riferimento a prodotti o linee di prodotti differenti. 4. Struttura per progetti: Il modello organizzativo per progetti prevede che tutte le attività relative a un certo obiettivo da raggiungere o a un certo progetto da realizzare siano affidate a un gruppo di persone che formano, per l’occasione, una unità organizzativa autonoma, sotto la responsabilità di un capo-progetto che la dirigerà fino a quando l’incarico o il progetto sarà portato a termine. Una volta realizzato il progetto, il gruppo si scioglie e i suoi membri sono de- stinati a nuovi incarichi. Gli organi centrali, in questa struttura, rappresentano centri permanenti di assistenza, controllo e coordinamento generale dei diversi progetti. Questo modello è usato prevalentemente nell’ambito della ricerca scientifica, nelle società di consulenza, nelle agenzie pubblicitarie, nell’im- piantistica. 5. Struttura matriciale: questo tipo di struttura è una combinazione delle strut- ture organizzative funzionali con quelle per prodotto. In questo caso, gli “spe- cialisti della stessa area sono raggruppati in un’unica unità organizzativa da cui dipendono gerarchicamente, ma prestano la loro attività all’interno delle diverse divisioni o per gruppi di progetto la cui responsabilità è affidata ad altro soggetto organizzativo. Si realizza così una doppia dipendenza gerar- chica e funzionale” (Avallone, 1997, 98-99). In questo tipo di organizzazione, infatti, le persone appartenenti a diversi set- tori funzionali si trovano a dipendere: dal responsabile della funzione di ap- partenenza, per ciò che concerne il “come fare” (modalità di soluzione dei problemi); dal responsabile del progetto, per ciò che riguarda il “cosa fare” (istruzioni per la realizzazione del progetto). 358 CULTURA DELL’ORGANIZZAZIONE Rispetto alla cultura organizzativa, delineiamo una definizione, i livelli, le funzioni e le tipologie. Definizione Secondo la definizione di Avallone, per cultura dell’organizzazione si intende “i valori dominanti di un’organizzazione, le norme che invalgono e si sviluppano nei gruppi di lavoro e nell’interazione tra i membri dell’organizzazione; i modelli di comportamento utilizzati con regolarità e frequenza come, ad esempio, il lin- guaggio e i rituali comportamentali; le regole del gioco per orientarsi e rimanere all’interno di un’organizzazione che i nuovi assunti devono apprendere per essere accettati come nuovi membri; l’atmosfera, il clima che l’organizzazione comunica attraverso l’aspetto e le modalità di interazione tra i membri dell’organizzazione e i soggetti esterni” (Avallone, 1997, 10). Schein (cit. in Cuccurullo, 1999, 72) definisce la cultura organizzativa come “l’insieme coerente di assunti fondamentali che un dato gruppo ha inventato, sco- perto o sviluppato imparando ad affrontare i suoi problemi di adattamento esterno e di integrazione interna, e che hanno funzionato abbastanza bene da poter essere considerati validi e perciò tali da essere insegnati ai nuovi membri come il modo corretto di percepire, pensare e sentire in relazione a quei problemi”. In parole molto semplici, la cultura di un’organizzazione è data da un insieme di valori, convinzioni e simboli che comunicano, sia esplicitamente, formalmente, che – in modo maggiore – implicitamente, informalmente: “Qui, le cose funzio- nano in questo modo”. Livelli Come detto, la cultura dell’organizzazione si manifesta e viene trasmessa a tre diversi livelli: livello simbolico (simboli o artefatti), livello valoriale, livello delle convinzioni (o assunti di base). Vediamo cosa si intende con ciascuna di queste espressioni. a) Livello simbolico (simboli o artefatti) I simboli, gli artefatti o i segnali attraverso i quali si manifesta e trasmette la cultura sono costituiti dall’insieme degli elementi osservabili dell’organizza- zione (ambiente, tecnologia utilizzata, linguaggio, comportamenti, abbiglia- mento, ecc.). b) Livello valoriale I valori di un’organizzazione “corrispondono prevalentemente a razionalizza- zioni del comportamento in uso” (Ferrante - Zan, cit. in Cuccurullo, 1999, 70) o, secondo la definizione di Avallone (1997, 106), riguardano “le opzioni fon- damentali su ciò che è preferibile e auspicabile nella realtà e nella vita di un’organizzazione”. 359 In genere, esistono due tipi di valori: quelli espliciti, dichiarati e palesati, e quelli latenti, impliciti; i primi dicono come “le cose dovrebbero andare”, gli altri “come vanno di fatto” (Cuccurullo, 1999, 79). c) Livello degli assunti di base Quando un valore funziona, aiuta cioè a risolvere i problemi, tenderà ad essere utilizzato più e più volte, finché si ricorrerà ad esso senza esserne consapevoli o coscienti: si sarà trasformato in un assunto di base (Cuccurullo, 1999, 70-71). In altre parole, gli assunti di base sono “assunti impliciti, dati per scontati, in- visibili, inconsapevoli, che orientano il comportamento e danno indicazioni su come percepire, pensare, sentire e intervenire nella realtà” (Avallone, 1997, 106). Tra i tre livelli (simboli, valori, assunti) si stabilisce una qualche forma di rela- zione, ma non necessariamente sono tra loro legati in modo gerarchico e coerente; cioè, non sempre a un dato simbolo sottostà un dato valore, né ad alcuni valori sono sottesi dati assunti (Cuccurullo, 1999, 71). Funzioni La cultura incoraggia l’integrazione, l’unione e la cooperazione tra i membri dell’organizzazione, dunque: a) facilita l’adattamento e svolge una funzione regolativa; b) aiuta a sostenere il senso dell’appartenenza e della causa comune; c) definisce le regole relazionali; d) contribuisce alla stabilità dell’organizzazione (Avallone, 1997, 106). Tipologie Una delle tipologie di culture organizzative di maggiore notorietà è quella pro- posta da Enriquez (cit. in Avallone, 1997, 110-113). Secondo tale autore, si possono distinguere i 4 tipi di culture organizzative (che presentiamo di seguito, insieme a un quinto tipo, proposto da Avallone). 1) Cultura di tipo autoritario Questa cultura è caratterizzata dalla presenza di un capo carismatico che rap- presenta l’autorità indiscussa e indiscutibile. I criteri per valutare le prestazioni dei singoli sono l’identificazione con l’au- torità, l’ammirazione incondizionata per il capo e la subordinazione. I rapporti interpersonali, così come richiesto e incentivato, si basano sulla competizione. Le comunicazioni sono a una via, in senso discendente. Prevale una concezione di uomo come soggetto incapace di autodisciplina e autocontrollo e vengono gratificati i bisogni di dipendenza. 2) Cultura di tipo burocratico In questo tipo di cultura, il valore fondamentale è l’osservanza della norma che assurge a criterio guida per l’organizzazione del lavoro, la definizione di ruoli e responsabilità, la progressione di carriera. 360 Le norme regolamentano ogni dettaglio. Garante dell’osservanza delle norme è il capo. I rapporti interpersonali tendono a essere formali e anonimi. La comunicazione ri- guarda un limitato scambio di informazioni ed è, per lo più, in senso discendente. Anche se questo tipo di cultura soddisfa i bisogni di sicurezza e stabilità e ri- sparmia il compito di prendere iniziative, nel tempo, ha prodotto fenomeni de- generativi, di disimpegno e di disaffezione al lavoro, sentimenti di impotenza e rassegnazione (Avallone, 1997, 111). 3) Cultura di tipo paternalistico-clientelare In questo tipo di cultura, il valore fondamentale è l’appartenenza a un gruppo, un clan, una “parrocchia”, ecc. È tale appartenenza che scandisce gli spazi pro- fessionali nei quali misurarsi e gli avanzamenti retributivi e di carriera. Nell’organizzazione, si stabilisce una doppia struttura: una formale, con obiet- tivi dichiarati e ruoli formalizzati; una informale, con gruppi di potere verticali, orizzontali e trasversali. L’appartenenza al gruppo è incentivante, protetta e premiata; la defezione o il tradimento del gruppo comportano sanzioni drastiche ed esemplari (Avallone, 1997, 111-112). 4) Cultura di tipo tecnocratico In questo tipo di cultura, il valore fondamentale è la competenza professionale; la massima rilevanza è data a: efficacia, efficienza, rendimento, successo. L’autorità ha la funzione di ottimizzare le prestazioni, incoraggiando l’inizia- tiva, la capacità di rinnovarsi, la produzione creativa. Sono banditi obbedienza all’autorità e osservanza delle norme; mentre si ha una fiducia incondizionata nella razionalità (e sono rimossi passioni e affetti). I rapporti interpersonali sono fluidi e informali; c’è un forte senso di competi- zione e, per dimostrare quotidianamente di essere all’altezza della situazione, è presente il rischio di stress (Avallone, 1997, 112-113). 5) Cultura di tipo cooperativo Alla classificazione di Enriquez, si può aggiungere un quinto tipo di cultura or- ganizzativa, di tipo cooperativo. I valori fondamentali di questo tipo di cultura sono la partecipazione e il con- senso. I livelli gerarchici sono ridotti all’essenziale. Si lavora in gruppo, in modo autonomo e con la responsabilità di quanto realiz- zato. Spesso, esistono criteri di rotazione nell’assunzione delle diverse responsabilità. Si impiega tempo per produrre decisioni, ma, una volta prese, sono sostenute dal consenso generale. I conflitti sono considerati funzionali alla dialettica interna dell’organizzazione. Limite di questo tipo di cultura è un fiducia quasi illimitata nel gruppo e un’ipo- tesi su una uguale capacità e tensione propositiva di tutti gli uomini (Avallone, 1997, 112-113). 361 Tredicesima unità - Allegato 3 TIPOLOGIE ORGANIZZATIVE Indica (mettendo una X nelle colonne di destra) quali sono le tipologie, strut- turale e culturale, del contesto di lavoro in cui hai svolto lo stage. Tipologia strutturale* Metti una X in corrispondenza della tipologia che hai scelto 1) Struttura gerarchica o lineare 2) Struttura per funzioni o scientifica 3) Struttura per prod otto o divisionale 4) Struttura per progetti 5) Struttura matriciale *Nelle pagine seguenti, troverai 5 esempi di organigramma che possono aiutarti nell’individuazione della tipologia strutturale dell’azienda in cui hai svolto lo stage. Tipologia culturale Metti una X in corrispondenza della tipologia che hai scelto Tipologia Valore fondamentale Tipo autoritario Rispetto del capo Tipo burocratico Osservanza delle regole Tipo paternalistico Appartenenza a un gruppo Tipo tecnocratico Competenza professionale Tipo cooperativo Partecipazione e consenso Adattato da: Avallone, 1997, 110-113. 362 363 364 365 366 367 Tredicesima unità - Allegato 4 ELENCO DI RISORSE E VINCOLI OSSERVATI Fai una lista delle risorse e dei vincoli che hai osservato nel contesto di lavoro in cui hai svolto lo stage. RISORSE 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. VINCOLI 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 368 Tredicesima unità - Allegato 5 RISORSE E VINCOLI A LIVELLO ORGANIZZATIVO E RELAZIONALE: LINEAMENTI TEORICI 1) Risorse a livello organizzativo - Chiarezza dei ruoli - Esplicitazione mansioni - Rispetto gerarchie - Organizzazione funzionale del lavoro (divisione del lavoro) - Condizioni ambientali favorevoli - Tecnologie innovative - Senso di appartenenza all’organizzazione - Sistema di valori (cultura organizzativa) di tipo imprenditoriale, emanci- pante 2) Vincoli a livello organizzativo - Tipo di compito (contenuto del lavoro da svolgere) - Dinamica dei ruoli: ambiguità, eccessivo carico, deprezzamento del ruolo - Sistema dei valori (cultura organizzativa) di tipo gerarchico, burocratico, pa- ternalistico - Incoerenza del sistema premiante - Debolezza del disegno organizzativo e dei ruoli 3) Risorse a livello relazionale - Capacità di comunicare (come ascoltatore e come emittente) - Capacità di cooperare - Capacità di negoziare - Assertività - Tratti di personalità…. Es. disponibilità, socievolezza, ecc. - Rispetto delle seguenti regole informali: · Regole di aiuto: aiutare un collega, sostituirlo, dare informazioni, consigli e incoraggiamenti · Regole di interazione stretta: rispetto della privacy, astensione dai rapporti sessuali · Regole che riguardano terzi: non criticare pubblicamente nessuno, non ri- ferire confidenze, difendere i colleghi · Regole che riguardano i compiti da svolgere: ciascuno svolge le attività la- vorative che gli competono 369 4) Vincoli a livello relazionale - Eccessivo predominio di un leader - Abuso di potere da parte dei capi - Manifestazione del potere in termini di: manipolazione, intimidazione, ag- gressione; minaccia, ricatto; gestione personalistica e selettiva dell’informa- zione; appello ad autorità superiori per rafforzare le proprie idee; gestione calcolata delle relazioni; favorimento, per acquisire debiti o saldare crediti; compiacenza, dipendenza; cautela; menzogna; difensività, attribuzione di re- sponsabilità ad altri; passività, attesa di istruzioni prima di agire - Creazione di sottogruppi rigidi e conflitti tra di essi - Scontro tra personalità diverse - Pressione di gruppo - Pregiudizi e stereotipi - Aspettative e idee irrazionali - Differenze di età - Differenze di sesso - Comportamenti offensivi (attacchi aggressivi, maldicenze, ecc.) - Stili comunicativi manipolativi - Atteggiamenti passivi - Uso della menzogna 370 Tredicesima unità - Allegato 6 RISORSE E VINCOLI CHE HAI OSSERVATO NEL CONTESTO LAVORATIVO IN CUI HAI SVOLTO LO STAGE Metti una X in corrispondenza delle “risorse” e dei “vincoli” che hai osservato nel contesto di lavoro in cui hai svolto lo stage e indica cosa andrebbe fatto per migliorare la situazione. RISORSE a livello organizzativo Cosa pensi andrebbe fatto per migliorare la situazione? Chiarezza dei ruoli Esplicitazione delle mansioni Rispetto delle gerarchie Divisione del lavoro Condizioni ambientali favorevoli Tecnologie innovative Senso di appartenenza all’organizzazione Sistema di valori di tipo imprenditoriale RISORSE a livello relazionale Cosa pensi andrebbe fatto per migliorare la situazione? Capacità di comunicare Capacità di cooperare Capacità di negoziare Caratteristiche personali Assertività Rispetto delle regole informali di interazione e di compito VINCOLI a livello organizzativo Cosa pensi andrebbe fatto per migliorare la situazione? Tipo di lavoro da svolgere Dinamica dei ruoli Tipo di cultura organizzativa Incoerenza nel dare premi Scarsa chiarezza dei ruoli 371 VINCOLI a livello relazionale Cosa pensi andrebbe fatto per migliorare la situazione? Eccessivo predominio del leader Abuso di potere da parte dei capi Creazione di sottogruppi rigidi Scontro tra personalità diverse Pregiudizi e stereotipi Aspettative irrazionali Differenze di età Differenze di sesso Comportamenti offensivi Modo di comunicare manipolativo Passività Uso della menzogna 372 AUTOREGOLARE IL PROPRIO COMPORTAMENTO ORGANIZZATIVO* Capacità in oggetto Realizzare comportamenti consoni all’ambiente di lavoro in cui si è inseriti. Finalità Facilitare negli allievi l’acquisizione della capacità di autoregolare il proprio comportamento sulla base delle caratteristiche del con- testo organizzativo in cui sono inseriti. Tempi Due incontri di circa due ore ciascuno. Descrizione degli incontri PRIMO INCONTRO OBIETTIVO Individuare strategie efficaci per ottimizzare le risorse e gestire i limiti del proprio ambiente di lavoro. FASI Esperienza concreta I ragazzi sono invitati a compilare, individualmente, una scheda che riguarda la reazione a comportamenti offensivi in ambiente la- vorativo (All. 1). Al termine, sono chiamati a confrontarsi in piccoli gruppi al fine di verificare se le strategie individuate sono realmente efficaci per ot- timizzare le risorse e gestire i limiti del proprio ambiente di lavoro. Osservazione riflessiva Il formatore ascolta il lavoro realizzato dai gruppi e aiuta gli allievi a riflettere sulle conseguenze delle varie strategie individuate dai ragazzi. Concettualizzazione astratta Il formatore aiuta il gruppo a cogliere i collegamenti, le sovrappo- sizioni, le affinità, ecc. che sono emerse tra le strategie individuate e le capacità personali affrontate durante l’intero corso. Sperimentazione attiva Riprendendo il lavoro iniziale (All. 1, seconda scheda, riga lasciata QUATTORDICESIMA UNITÀ 373 in bianco), i ragazzi sono invitati a individuare, per ciascuna stra- tegia rilevata, le capacità personali che possono aiutarli a poten- ziare una data risorsa o fronteggiare un dato vincolo. Dopo aver la- vorato individualmente, gli allievi sono invitati a confrontarsi in piccoli gruppi. Conclusione Il formatore, ascoltando il lavoro realizzato dai gruppi, guida i ra- gazzi in una riflessione sull’importanza delle capacità personali anche in un contesto lavorativo. MATERIALI Allegato 1 Lavagna luminosa Lavagna a fogli SUGGERIMENTI EDUCATIVI Allo scopo di potenziare nei ragazzi l’abilità di diagnosticare il proprio contesto lavorativo, i formatori possono: 1. favorire la riflessione sull’importanza delle capacità personali nei diversi contesti; 2. aiutare gli allievi a prendere consapevolezza delle capacità per- sonali già acquisite e/o potenziate e rinforzare questa loro ri- sorsa. SECONDO INCONTRO OBIETTIVO Mettere in atto comportamenti consoni alle regole implicite (cultu- rali) ed esplicite (strutturali) presenti nel proprio ambiente di la- voro. FASI Esperienza concreta Dopo aver compilato, individualmente, una lista di regole impli- cite (scegliendo tra quelle presentate) e una di regole esplicite (da compilare in base alla propria esperienza durante lo stage), il for- matore crea piccoli gruppi e chiede agli allievi di trovare soluzione a un problema tenendo presenti le regole individuate (All. 2). Osservazione riflessiva Quanto elaborato nei gruppi viene condiviso in assemblea e il for- matore riconduce quanto emerge dal gruppo alle diverse capacità personali che sono state oggetto delle unità precedenti. In partico- lare, il formatore aiuterà il gruppo a rilevare quali regole appaiono comuni all’esperienza di tutti e quali sono diverse nelle singole 374 esperienze di ciascuno, e farà notare che, in ogni caso, le capacità personali apprese durante il corso sono utili per rispettare qualsiasi regola salvaguardando se stessi. Concettualizzazione astratta Agli allievi viene presentata una breve sintesi delle capacità perso- nali che sono state oggetto di promozione durante l’intero corso. Sperimentazione attiva Per consentire ai ragazzi di applicare le capacità personali oggetto delle precedenti unità viene proposto il seguente esercizio. Quattro persone svolgono una simulata che riproduce una situa- zione che si verifica in una officina; ai quattro personaggi viene chiesto di mettere in pratica diverse abilità tra quelle precedente- mente apprese e l’intero gruppo è chiamato a partecipare per sug- gerire ai diversi personaggi come mettere in atto le diverse stra- tegie (All. 3). Conclusione Si raccolgono impressioni e riflessioni sull’esercizio. In particolare, viene sottolineata la dinamica di aiuto e sostegno svolta dal gruppo per arrivare a soluzioni funzionali per i quattro personaggi. Questo consente di riflettere sulla messa in pratica, al momento, delle abilità richieste. MATERIALI Allegati 2, 3 Lavagna luminosa Lavagna a fogli * Questa unità è stata elaborata da Daniela Antonietti e Tiziana Passarella 375 Quattordicesima unità - Allegato 1 COSA FAI DI FRONTE ALLE OFFESE? 1) Come risponderesti a queste affermazioni? a) “Visto tutto il tempo che ci hai impiegato, mi aspettavo decisamente qual- cosa di meglio” ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. b) “Da te, c’era da aspettarselo” ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. c) “Sai benissimo che non c’entra niente con quello che stiamo dicendo” ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. 2) Descrivi i comportamenti più offensivi di cui sei stato vittima durante esperienze di lavoro ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. 3) Descrivi come hai reagito a quelle offese ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. Adattato da: Edelmann, 2000, 47. 376 COSA POTRESTI FARE DI FRONTE ALLE OFFESE? Aiutato dai tuoi compagni, prova a ipotizzare come avresti potuto reagire nelle situazioni di offesa in cui ti sei realmente trovato in ambito lavorativo. (Scrivi solo sulla riga dove è indicato il numero; lascia in bianco la seconda riga: servirà per un successivo esercizio) Strategie attuabili: 1 .................................................................................................................................. ..................................................................................................................................... 2 .................................................................................................................................. ..................................................................................................................................... 3 .................................................................................................................................. ..................................................................................................................................... 4 .................................................................................................................................. ..................................................................................................................................... 5 .................................................................................................................................. ..................................................................................................................................... 6 .................................................................................................................................. ..................................................................................................................................... 377 Quattordicesima unità - Allegato 2 INDIVIDUA LE REGOLE E RISOLVI IL PROBLEMA Nell’ambiente di lavoro in cui hai svolto lo stage, avrai notato che esistevano diverse regole. Alcune ti sono state spiegate con cura (le chiamiamo “regole esplicite”); altre le hai capite da solo, anche se nessuno le ha mai nominate chiaramente (le chia- miamo “regole implicite”). Qui di seguito trovi una lista di regole implicite: segna con una X quelle che ti sembra fossero presenti nel posto in cui hai svolto lo stage. Nella pagina successiva, trovi uno schema dove sei invitato a segnare le re- gole che ti sono state spiegate esplicitamente. Quando hai compilato le due liste, all’interno del gruppo a cui ti assegna il tuo formatore, cerca di risolvere il problema presentato nella terza pagina, tenendo presente che devi rispettare tutte le regole che hai individuato. Regole implicite Bisogna emulare le prestazioni professionali del capo Bisogna ammirare incondizionatamente il capo Tutti devono essere subordinati al capo I rapporti interpersonali devono essere competitivi La comunicazione è permessa solo dall’alto verso il basso I dipendenti non possono autodisciplinarsi e autocontrollarsi Viene gratificato solo chi si mostra dipendente dal capo La cosa più importante sono le norme Ogni cosa è regolata L’osservazione delle regole è garantita solo dal capo I rapporti interpersonali devono essere formali ed essenziali Nessuno deve prendere iniziative Bisogna far parte di un gruppo Fa carriera e guadagna di più solo chi appartiene a un certo gruppo Bisogna essere efficaci ed efficienti Bisogna cercare il rendimento e il successo E’ vietato obbedire all’autorità e seguire le norme La razionalità deve sempre prevalere sull’emotività I rapporti interpersonali devono essere informali Bisogna essere sempre all’altezza della situazione Bisogna partecipare alle decisioni di gruppo e trovare un punto in comune Bisogna sostenere le decisioni prodotte Bisogna aver fiducia nel gruppo Tutti gli uomini sono uguali 378 Fai tu una lista delle regole che ti sono state presentate chiaramente nell’am- biente in cui hai svolto lo stage Ora, in base alle regole che hai individuato, cerca di risolvere il problema di Giovanni. Non è chiaro il perché, ma Mario non sopporta Giovanni. Mario ha aggredito Giovanni in modo diretto, ne ha parlato male alle sue spalle e lo ha criticato in pubblico. Come può reagire Giovanni per affrontare gli attacchi di Mario? 1) ................................................................................................................................ 2) ................................................................................................................................ 3) ................................................................................................................................ 4) ................................................................................................................................ 5) ................................................................................................................................ 6) ................................................................................................................................ 7) ................................................................................................................................ 8) ................................................................................................................................ 9) ................................................................................................................................ Adattato da: Edelmann, 2000, 63. Regole esplicite 379 Quattordicesima unità - Allegato 3 UN PROBLEMA IN OFFICINA: TRACCIA PER LA SIMULATA La simulata si svolge seguendo i quattro momenti presentati di seguito. 1) Il formatore fa una breve introduzione descrivendo a tutto il gruppo il contesto nel quale si svolge la vicenda che sarà rappresentata. Si tratta di un’officina di riparazione delle automobili. L’officina è gestita da un capo officina; il lavoro manuale viene svolto da due operai; la parte conta- bile è gestita da un impiegato. L’officina è aperta dal lunedì al venerdì dalle 8:30 del mattino alle 7:30 di sera. 2) Sono scelti quattro allievi e a ciascuno viene assegnato il ruolo di un perso- naggio, tra quelli che seguono. Operaio 1 - Operaio 2 - Impiegato - Capo officina 3) I quattro personaggi simulano la scena sulla base della seguente traccia. a) L’impiegato si accorge che dall’officina manca un’auto: risulta arrivata, ma non ci sono fatture che ne testimoniano la restituzione al proprietario. Chiede spiegazioni agli operai. b) L’operaio 1 spiega cosa è successo: è stato lui a riconsegnare l’auto al cliente e la fattura non c’è perché quello gli ha proposto di pagare senza che la spesa venisse fatturata. In questo modo, gli ha spiegato il cliente, ci avrebbero guadagnato entrambi: lui perché pagava un prezzo inferiore e l’officina perché, così facendo, poteva non pagare le tasse. c) L’impiegato inizia a urlare sostenendo che da loro non ci si comporta così, le cose sono state sempre fatte in modo onesto e non sarà lui a cambiarle. d) Arriva il capo officina: ha sentito urlare e chiede cosa stia succedendo. e) Gli viene spiegata la situazione e lui si schiera dalla parte dell’impiegato. f) L’operaio 2 ha assistito a tutta la scena. 4) Ai quattro ragazzi e all’intero gruppo che ha osservato, viene chiesto di dire come sarebbe possibile risolvere la questione mettendo in pratica le capacità personali oggetto dell’intero corso. 380 UN PROBLEMA IN OFFICINA: TRACCIA PER GLI OSSERVATORI Mentre i tuoi compagni danno vita alla scenetta, appunta qui le tue osserva- zioni. 1. Cosa è successo? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 2. Qual è il problema? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 3. Cosa fanno i diversi personaggi? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 4. Come è possibile risolvere la situazione? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 5. Cosa avresti fatto al posto dei due operai? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 6. Come ti saresti sentito nella situazione se il capo e l’impiegato avessero rim- proverato te? ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... 381 Scopo di quest’ultimo capitolo è fornire alcune indicazioni metodolo- giche per procedere alla valutazione delle capacità personali. Nella prima parte, vengono descritte ed esemplificate alcune strategie e strumenti di cui il formatore può disporre sia per la valutazione for- mativa che per quella sommativa. Nella seconda parte, sono, invece, precisati alcuni principi che oc- corre tener presenti affinché i giudizi formulati risultino pedagogica- mente validi. In appendice al capitolo è, infine, riportata una scheda di valutazione che consente di stimare il grado di padronanza degli obiettivi previsti nelle singole unità del training. INTRODUZIONE Un problema piuttosto complesso che si pone al formatore concerne la valuta- zione delle capacità personali. Infatti, di fronte all’esigenza di documentare il po- tenziamento e il raggiungimento di determinate capacità, il formatore deve fare i conti con una serie di difficoltà. Una prima difficoltà risiede nel fatto che le capacità personali non possono es- sere trattate alla stessa stregua delle competenze tecniche. Essendo, infatti, capa- cità strettamente legate al Sé dell’allievo e che risentono fortemente della sua storia di apprendimento (familiare, scolastica, sociale), richiedono una valutazione prevalentemente formativa piuttosto che sommativa. Ne deriva che, a differenza delle competenze tecniche, per le quali la valuta- zione si basa su azioni e prestazioni osservabili fornite dall’allievo e intese come indicatori di padronanza, le capacità personali necessitano di riferirsi, per la loro valutazione, non solo alle prestazioni osservabili, ma anche ai processi ad essa sot- tesi, ossia alle procedure attraverso le quali le capacità sono potenziate e raggiunte. In secondo luogo, anche quando ci si vuole riferire alle prestazioni osservabili, non si dispone di strumenti idonei che descrivano operativamente, per le singole capacità personali, gli obiettivi perseguiti con i relativi criteri di padronanza; di qui il rischio di incorrere in giudizi valutativi che risentono del soggettivismo e del- l’approssimazione. Infine, poiché gran parte del lavoro sulle capacità personali è indirizzato ad QUARTO CAPITOLO LA VALUTAZIONE DELLE CAPACITÀ PERSONALI: INDICAZIONI METODOLOGICHE 382 ampliare l’autoconoscenza e a stimolare le promozione della propria realtà perso- nale, da parte degli allievi, è indispensabile che il processo valutativo consenta, a questi ultimi, di controllare l’andamento del proprio apprendimento in fase di at- tuazione, permettendo gli aggiustamenti dovuti; ne deriva la necessità di ricorrere a modalità alternative di valutazione che includano la possibilità di monitorare i dati in evoluzione da parte degli allievi stessi. In sintesi, nel valutare le capacità personali si è chiamati a verificare non solo ciò che un allievo sa, ma anche ciò che sa fare con ciò che sa e tramite quali pro- cessi arriva a farlo. Tutto questo obbliga inevitabilmente a ripensare e ad innovare il processo di valutazione. Nella parte che segue, presentiamo una serie di strategie che il formatore può adottare per realizzare una valutazione dei contenuti e dei processi di apprendi- mento, continuativa nel tempo e in collaborazione con l’allievo. Infine, conside- riamo, brevemente, alcuni principi che debbono essere tenuti presenti nella formu- lazione e nella verbalizzazione dei giudizi valutativi. STRATEGIE DI VALUTAZIONE Osservazione in aula e fuori dall’aula Parte integrante del processo di valutazione è rappresentata dall’osservazione. Quest’ultima, se realizzata con accuratezza e nella variabilità spazio-temporale, consente di ottenere informazioni preziose sui comportamenti e sulle prestazioni degli allievi. Per questo, si richiede al formatore di osservare e registrare quei comporta- menti degli allievi che possono essere indicativi della presenza o meno di determi- nate capacità personali. Le osservazioni possono essere libere oppure basate su schede già predisposte (cfr. figura 1). Il diario delle attività Nella valutazione delle capacità personali ampio spazio è dato all’auto valuta- zione. È, infatti, importante che gli allievi considerino la conoscenza delle loro possibilità e competenze come un obiettivo formativo e non semplicemente come un impegno sporadico e occasionale. Per questo può essere utile il ricorso al diario delle attività. Al termine di un incontro, che ha avuto per oggetto una capacità personale o una componente di essa, l’allievo può annotare i suoi commenti sull’esperienza di apprendimento, sia spontaneamente in modo non strutturato, sia sistematicamente tenendo conto dei seguenti aspetti: cosa ha appreso, come lo ha appreso, cosa non è chiaro, che diffi- coltà ha incontrato, quanto è stato interessante, in che misura e in quali contesti considera applicabile ciò che ha appreso, come valuta i risultati conseguiti. L’esame del diario, effettuato ad intervalli brevi, può consentire all’allievo e al 383 formatore di individuare obiettivi e strategie per superare eventuali difficoltà e mi- gliorare la prestazione. Fig. 1 Esempio di scheda osservativa Allievo___________________________ Comportamento Collaborare con gli altri N I S C non manifesta inizia a manifestare sta sviluppando manifesta il il comportamento il comportamento il comportamento comportamento con competenza aspetti da osservare valutazione data osservazioni integrative E’ propositivo Incoraggia la partecipazione Accetta pareri diversi Condivide le proprie cose Fa apprezzamenti Allenta le tensioni Adattato da: Pike - Salend, 1996. Una forma particolare di diario è rappresentata dalla biografia di apprendi- mento. È uno strumento relativamente semplice che serve a monitorare e a docu- mentare ciò che un allievo scopre su se stesso e sul proprio apprendimento nel corso del tempo (cfr. figura 2). Fig. 2 Esempio di biografia di apprendimento Oggi…(data) In occasione di…. Ho scoperto che….. Parole-chiave 12 novembre 2002 Una discussione con i compagni A volte sottovaluto le mie capacità SOTTOVALUTO CAPACITA’ 10 dicembre 2002 Un’esercitazione sulla competenza emozionale Posso modificare i miei pensieri per sentirmi meglio PENSIERO EMOZIONE 20 gennaio 2003 Un lavoro di gruppo Tante teste producono meglio di una INSIEME PRODOTTO MIGLIORE Adattato da: Mariani, 2000 384 In esso sono presenti un riferimento temporale e contestuale, una breve anno- tazione di ciò che l’allievo ha scoperto, un’ulteriore sintesi sotto forma di parole- chiave. L’archivio dei “prodotti e dei progressi dell’apprendimento” Poiché il possesso delle capacità personali non può essere inferito sulla base di una singola prestazione è necessario disporre di uno strumento che consenta di rac- cogliere e documentare l’itinerario che percorre ogni allievo per raggiungere gli obiettivi previsti. Tale strumento, generalmente denominato portfolio formativo, consiste in una raccolta longitudinale e sistematica di testimonianze del percorso di apprendi- mento di ogni singolo allievo. Si tratta di un insieme di campioni di lavori o espe- rienze collezionate nel corso del tempo, che permettono sia durante l’attività for- mativa, sia a conclusione di essa, di esaminare i progressi realizzati dall’allievo e di inferire il livello raggiunto nelle singole capacità in oggetto. Il materiale da raccogliere dovrà essere selezionato dal formatore e dall’al- lievo sulla base delle unità trattate nel corso del programma e il lavoro o l’espe- rienza selezionati dovranno far risaltare le competenze raggiunte. È importante, inoltre, che i campioni scelti siano diversificati: schede di os- servazione, esempi di esercitazioni svolte, risposte scritte nei diari, schede o que- stionari di auto valutazione, registrazioni audio, riprese video, verbali sulle espe- rienze. Ad ogni lavoro scelto dovrebbe essere annessa una scheda contenente le se- guenti informazioni: a) un’identificazione del documento; b) una descrizione del contesto in cui il documento è stato prodotto; c) una spiegazione dei motivi per cui è stato scelto (Pike - Salend, 1996). L’uso di un archivio così organizzato ha una serie di vantaggi, sia per il forma- tore che per l’allievo (Pellerey, 2000). Al formatore consente di: - avere una visione più articolata e distribuita nel tempo del lavoro svolto dagli allievi; - realizzare una riflessione interpretativa e valutativa più complessa, basata non solo sui risultati conseguiti, ma soprattutto sui processi che hanno portato a tali risultati; - perfezionare il programma seguito avendo a disposizione una documenta- zione longitudinale dei risultati della propria azione formativa. All’allievo consente di: - acquisire abilità di auto valutazione; - sentirsi attivo costruttore delle proprie conoscenze e competenze; - dimostrare i propri punti di forza e non solo le proprie vulnerabilità; - dirigere l’attenzione non solo sul voto, ma sull’apprendimento; - incrementare la consapevolezza di cosa e di come hanno appreso. 385 Le scale di valutazione Gli strumenti sin qui esaminati fanno essenzialmente riferimento alla valuta- zione formativa e consentono di rilevare non solo cosa l’allievo sa e cosa è capace di fare con ciò che fa, ma anche come apprende. Il formatore, tuttavia, necessita anche di strumenti per una valutazione som- mativa, che consentano di stimare il livello di competenza nelle prestazioni di un allievo. La prestazione, infatti, non è realizzata bene o male, ma prevede uno svi- luppo da un livello di non presenza ad un livello di eccellenza. Per questo possono essere di aiuto le scale di valutazione. Esse hanno il van- taggio di un’agevole fruibilità e offrono una visione generale del livello raggiunto dall’allievo (cfr. figura 3). Fig. 3 Esempio di scala di valutazione COLLABORAZIONE LIVELLO 1 L’allievo tende a manifestare comportamenti competitivi. Evita situazioni in cui è chiamato a collaborare con gli altri e quando non può farne a meno assume l’atteggiamento del “Bastian contrario”; fa molta fatica a condividere con i compagni le sue cose. LIVELLO 2 L’allievo tende a sottrarsi al lavoro comune. Preferisce lavorare da solo oppure con alcuni compagni. E’ disposto a condividere le sue cose solo con i suoi amici. LIVELLO 3 L’allievo collabora solo se sollecitato dall’insegnante o dai compagni; quando gli viene richiesto mette a disposizione il suo materiale. LIVELLO 4 L’allievo è ben disposto alla collaborazione con i compagni e accetta le loro proposte sebbene tenda a far valere la propria opinione; quando è necessario, mette a disposizione le sue cose. LIVELLO 5 L’allievo collabora volentieri con i compagni, cerca di coinvolgere quelli isolati e meno motivati; durante le attività è propositivo, sa accettare i pareri diversi ed è elemento unificatore all’interno del gruppo; è attento alle necessità dei compagni ed è pronto a condividere le proprie cose. I criteri di padronanza Accanto alle scale di valutazione, costituiscono un importante ausilio alla va- lutazione sommativa i criteri di padronanza che descrivono cosa dovrebbe saper fare un allievo perché l’obiettivo stabilito per una determinata capacità possa con- siderarsi raggiunto. Si tratta quindi di specificare, per ogni capacità, il tipo di compito che l’al- lievo è chiamato ad eseguire in termini di richiesta-prestazione (cfr. figura 4). 386 LA FORMULAZIONE DEI GIUDIZI VALUTATIVI Fin qui, abbiamo presentato gli strumenti di cui il formatore può disporre per formulare un giudizio valutativo il più possibile accurato circa le capacità perso- nali. È necessario, tuttavia, riflettere brevemente anche sui principi che in tale for- Fig. 4 Esempio di obiettivo operativizzato CAPACITÀ IN OGGETTO: LA NEGOZIAZIONE Obiettivo Condizioni Nel simulare una situazione di conflitto con un compagno legata alla procedura da scegliere per eseguire un determinato compito, Prestazione l’allievo dimostra di saper negoziare se a. cerca di capire le motivazioni del compagno, ponendo domande opportune (Es. Perché preferisci procedere in questo modo? ); b. si sforza di comprenderne il punto di vista e le aspettative utilizzando la riformulazione (Es. Stai dicendo che è più vantaggioso procedere in questo modo, in quanto….); c. esprime le ragioni che lo porterebbero a seguire un’altra procedura (Es. Io sarei dell’idea di procedere in quest’altro modo perché…); d. esplicita i vantaggi di entrambe le posizioni (Es. La tua idea ci permetterebbe di …., la mia di….); e. chiede al compagno se è d’accordo e se vede altri vantaggi (Es. Che te ne pare? Trovi altri vantaggi?); f. esplicita gli svantaggi di entrambe le posizioni (Es. Se procedessimo come dici tu potremmo rischiare di…; se procedessimo come dico io, potremmo rischiare di….); g. chiede al compagno se è d’accordo e se vede altri svantaggi (Es. Che te ne pare? Trovi altri svantaggi?); h. elenca possibili soluzioni (Es. Per la prima parte potremmo muoverci così…., per la seconda invece…. - oppure – Potremmo integrare le due procedure in questo modo….); i. chiede al compagno cosa ne pensi e se ha in mente altre soluzioni (Es. Che ne dici? Tu che idee hai?); j. raggiunge un accordo sulla soluzione (Es. OK, decidiamo di procedere così…) Criterio di padronanza Si considera raggiunto l’obiettivo quando l’allievo a) individua almeno due motivi che spingono il compagno a sostenere la sua scelta; b) esplicita almeno due motivi a sostegno della propria scelta; c) presenta almeno un vantaggio e uno svantaggio connesso alle due posizioni; d) individua almeno due soluzioni che tengano conto delle diverse motivazioni emerse. Adattato da Nota – Soresi, 1997. 387 mulazione debbano essere tenuti presenti affinché il giudizio espresso risulti di sti- molo ad una crescita ulteriore e non vada a minare l'autostima del discente. I principi che permettono di realizzare una prassi valutativa incoraggiante e proattiva, fanno riferimento al carattere differenziato del giudizio, alla sua fun- zione prognostica, alla rilevazione in esso dei progressi e degli sforzi compiuti dal- l’allievo. Un giudizio si connota, quindi, come pedagogicamente valido quando è diffe- renziato, prognostico e rilevante il positivo (Franta - Colasanti, 1993). Il principio della differenziazione concerne la specificità e la concretezza dei comportamenti oggetto di valutazione. Giudizi specifici e concreti aiutano gli al- lievi a capire quali siano i comportamenti da migliorare e contengono suggerimenti per un agire alternativo; al contrario, giudizi globali e poveri di concretezza non rappresentano un feedback costruttivo e, per la loro natura interpretativa, possono provocare, in chi li riceve, confusione, chiusura e resistenza. La realizzazione del principio della differenziazione è legata alla verbalizza- zione del giudizio in termini descrittivo-fenomenologici ed interazionali. La verbalizzazione descrittivo-fenomenologica fa riferimento all'uso di verbi ed avverbi, ed esclude il ricorso ad aggettivi. Così il giudizio "Giovanni è aggres- sivo e bisognoso di attenzione" (uso di aggettivi), può essere tradotto in "Giovanni spesso reagisce con insulti quando avverte che compagni non rispettano le sue idee" (uso di avverbio: spesso; di verbo: reagire con insulti). Mentre la prima formulazione è statica e contiene l'inferenza di un tratto o di una disposizione (aggressivo), la seconda è dinamica e contiene un’informazione con la quale l'allievo può confrontarsi più facilmente. Inoltre, la prima non lascia molti margini di cambiamento (in quanto una dis- posizione intrapsichica è meno soggetta a modificarsi), la seconda, invece, (in quanto focalizzata sul comportamento) consente maggiori possibilità di controllo e, quindi, di miglioramento. La verbalizzazione interazionale del giudizio riguarda l'enfasi sull'interdipen- denza del comportamento individuale con gli altri e con il contesto. L'interpretazione della personalità secondo l'approccio interazionale [C=f(P/S)] porta, infatti, a considerare il comportamento dell'allievo come interdi- pendente con l'ambiente scolastico, inteso come correlato oggettivo del suo mondo soggettivo. In tal senso, concepire l'agire dell’allievo unicamente in funzione della sua persona costituirebbe un riduzionismo e non consentirebbe di cogliere i fattori (formatori, compagni, condizioni oggettive di spazio e di tempo, ecc.) che possono influire sulla messa in atto di determinati comportamenti. Al contrario, sottolineare come questi ultimi interdipendano con le compo- nenti del contesto aiuta l’allievo stesso a comprendere più differenziatamente il suo agire. Secondo il criterio della verbalizzazione interazionale, la seguente formula- zione "Talvolta Pietro lavorando con i compagni si urta e smette di collaborare" , 388 dovrebbe essere trasformata in "Pietro risponde alterato e smette di lavorare con i compagni quando questi manifestano disaccordo rispetto alle sue idee”. A differenza della prima, questa seconda formulazione rende esplicito l'ele- mento di interdipendenza, cioè il comportamento di critica dei compagni al quale Pietro reagisce con irritazione e non collaborazione. In questo stesso esempio, risulterebbe ancora meno valida della prima una for- mulazione del tipo: "Pietro è vulnerabile", in quanto costituirebbe un'interpreta- zione gratuita e confrontativa facilmente innescante reazioni difensive. Il secondo principio, da tener presente nella formulazione dei giudizi valuta- tivi, concerne la loro funzione prognostica, laddove per funzione prognostica si in- tende l'esplicitazione dei fattori e delle condizioni da curare perché un determinato comportamento migliori. Si tratta, quindi, di comunicare le prospettive verso le quali muovere concre- tizzando modalità e strategie che consentono di camminare progressivamente nella direzione auspicata. Un esempio di giudizio prognostico potrebbe essere il seguente: "Giuseppe generalmente si astiene dal comunicare quando occorre prendere una decisione comune; il suo comportamento affermativo in queste situazioni potrebbe essere in- crementato se lo si aiutasse ad introdurre più spesso le sue idee e i suoi interessi" . In tal caso viene specificato il comportamento in questione e sono suggerite indi- cazioni per il superamento delle difficoltà. Il terzo principio da osservare nella formulazione dei giudizi riguarda il rico- noscimento del progresso e dello sforzo compiuti. Tale riconoscimento, oltre a co- stituire una gratificazione ed un rinforzo a persistere nell'impegno, incrementa nel- l’allievo la fiducia e la percezione di controllabilità degli eventi. Il formatore rispetta questo terzo principio quando non usa il confronto sociale (es. il riferimento all’andamento del gruppo classe), ma valuta l'agire dell'allievo in rapporto a suoi precedenti standard di condotta e quando tiene conto, nella valuta- zione del progresso, della disponibilità delle risorse personali e sociali. Un esempio di giudizio rimarcante il progresso potrebbe essere il seguente: "Antonio si isola sempre meno dai compagni e ultimamente prende l’iniziativa di comunicare purché sappia che può tacere se lo desidera" . Riassumendo, la valutazione delle capacità personali raggiunge l'obiettivo della validità pedagogica quando la formulazione dei giudizi si fonda su comporta- menti osservabili e non su tratti o disposizioni intrapsichiche, quando è specifica, processuale, contestualizzata, prospettica, enfatizzante il positivo. SCHEDA DI VALUTAZIONE Nella parte che segue, riportiamo una scheda di valutazione che consente al formatore di stimare il grado di padronanza degli obiettivi formulati per le singole unità di training sulle capacità personali. 389 La scala, che consta di cinque livelli, presenta una descrizione del livello 1, che corrisponde ad assenza; del livello 3, che corrisponde a parziale presenza; del livello 5, che corrisponde a padronanza. Il livelli 2 e 4 sono da considerarsi come intermedi tra quelli descritti. Come si può constatare, sono state precisate le condizioni (situazioni e mate- riali da utilizzare al momento della verifica) e i diversi livelli di prestazione. Af- finché possa considerarsi efficace l’intervento formativo e legittimo il passaggio da una unità all’altra, si richiede che la prestazione dell’allievo si collochi oltre il li- vello tre. 390 PRIMA UNITÀ: SCOPRIRE LE PROPRIE PREFERENZE COGNITIVE Consapevolezza del proprio stile cognitivo Chiesto all’allievo di autovalutarsi utilizzando il profilo che segue: 1. L’allievo risponde casualmente e non è in grado di esprimersi rispetto e nes- suno degli elementi indicati. 2. ............................................................................................................................. 3. L’allievo esprime un’autovalutazione corretta soltanto su alcuni degli elementi indicati; sugli altri ha difficoltà a pronunciarsi. 4. ............................................................................................................................. 5. L’allievo esprime un’autovalutazione corretta su ciascuno degli elementi indi- cati. LA COSTRUZIONE DEL PROFILO COGNITIVO Sottolinea per ciascuna delle quattro voci, l’elemento, tra i due indicati, che più riflette il tuo modo di procedere. 1. Formulare ipotesi, individuare problemi Sistematico Procede per piccoli passi; considera tutte le variabili del problema; costruisce l’ipotesi in itinere Intuitivo Coglie, capta il nocciolo del problema; formula un’ipotesi e poi procede alla sua conferma attraverso l’analisi dei dati 2. Esaminare ipotesi e problemi Analitico Percepisce e si rappresenta in una situazione prima di tutto i dettagli, i singoli elementi Globale Percepisce e si rappresenta la situazione nella sua totalità, nell’insieme degli elementi 3. Prendere decisioni Riflessivo Affronta il compito passo dopo passo e prende decisioni ponderando minuziosamente i diversi risvolti Impulsivo Affronta con rapidità il compito; prende decisioni di getto sulla base delle informazioni essenziali 4. Ricordare Verbale Impara “per parole”; è attento alle spiegazioni orali; prende appunti; studia ripetendo ad alta voce; impara facilmente poesie e testi scritti Visuale Impara “per immagini”; ricorda i concetti se associati a schemi; usa molto il colore per sottolineare o evidenziare; ricorda il testo in base alla disposizione dei capitoli, paragrafi, titoli. Adattato da Zanchin , 2002, 100-101. 391 Consapevolezza del proprio stile attributivo Chiesto all’allievo di fornire una spiegazione di alcuni eventi positivi e nega- tivi, verificatisi recentemente, e di individuare per ciascuna spiegazione il tipo di attribuzione utilizzata: 1. L’allievo risponde casualmente e non è in grado di indicare, rispetto alle sin- gole dimensioni dello stile attributivo (locus of control, tempo, situazione), la risposta corretta. 2. ............................................................................................................................. 3. L’allievo fornisce risposte corrette rispetto ad una delle tre dimensioni consi- derate (es. locus of control), ma ha difficoltà a pronunciarsi rispetto alle altre. 4. ............................................................................................................................. 5. L’allievo fornisce risposte corrette rispetto a ciascuna delle tre dimensioni considerate. Individuazione del rapporto attribuzione-emozione Date cinque situazioni sociali e apprenditive con la relativa attribuzione (vedi esempio) e chiesto all’allievo di indicare quale emozione può essere provata in ogni situazione e quale emozione potrebbe essere provata diversamente se fosse variato il modo di fare attribuzioni: 1. L’allievo indica l’emozione adeguata, ma non riesce a formulare un’attribu- zione diversa con l’emozione conseguente. 2. .............................................................................................................................. 3. L’allievo individua l’emozione adeguata e formula attribuzioni diverse, indi- cando le emozioni conseguenti, ma solo per alcune situazioni. 4. .............................................................................................................................. 5. L’allievo individua l’emozione adeguata e formula attribuzioni diverse, indi- cando le emozioni conseguenti, per ciascuna delle situazioni considerate. ESEMPIO Un ragazzo, durante un lavoro di gruppo, riesce ad esprimere una sua opinione in modo chiaro e ad attirare il consenso dei compagni circa la sua proposta. Pensa che sia stato un caso. 392 Consapevolezza dei costrutti utilizzati nella percezione di sé e degli altri Chiesto all’allievo di indicare i principali costrutti utilizzati per descrivere se stesso e gli altri e di individuare le dimensioni alle quali i costrutti individuati ap- partengono: 1. L’allievo nomina pochi costrutti e non riesce a specificarne la dimensione di appartenenza. 2. .............................................................................................................................. 3. L’allievo nomina diversi costrutti, ma solo per alcuni è in grado di specificare la dimensione di appartenenza. 4. .............................................................................................................................. 5. L’allievo nomina diversi costrutti e per ciascuno di essi è in grado di specifi- care la dimensione di appartenenza. SECONDA UNITÀ: SCOPRIRE LE PROPRIE TENDENZE EMOTIVE Discriminazione delle emozioni Date all’allievo cinque situazioni stimolo (vedi esempio) e chiesto di indivi- duare le emozioni sperimentate dal protagonista: 1. L’allievo non riesce ad identificarle. 2. .............................................................................................................................. 3. L’allievo individua le emozioni presenti solo quando sono molto evidenti. 4. .............................................................................................................................. 5. L’allievo individua tutte le emozioni presenti. ESEMPIO Un ragazzo cerca a lungo un regalo per una sua amica. Finalmente lo trova. Quando glielo dà, lei dice che ne ha già uno uguale. Il ragazzo si sente….. 393 Discriminazione delle componenti coinvolte in una risposta emotiva Date all’allievo sei situazioni emotive (vedi esempio) e chiesto di individuare, per ciascuna di esse, le componenti mancanti (pensiero- emozione-comporta- mento): 1. L’allievo non riesce ad identificarle. 2. .............................................................................................................................. 3. L’allievo identifica solo alcune componenti. 4. .............................................................................................................................. 5. L’allievo identifica correttamente tutte le componenti. ESEMPIO 1. Un ragazzo viene chiamato dal formatore per un’esercitazione alla lavagna. Si sente teso (emozione) Cosa pensa? Come si comporterà? 2. Un ragazzo non viene invitato alla festa di compleanno di un compagno. Pensa che il compagno si sia dimenticato (pensiero) Come si sente? Come si comporterà? 3. Un ragazzo si rifiuta di passare il compito al compagno (comportamento) Cosa pensa? Cosa sente? Consapevolezza delle proprie reazioni emotive Estratte da un mazzo di 15 carte, ciascuna rappresentativa di un’emozione, cinque diverse emozioni e chiesto all’allievo di specificare in quali situazioni gli è capitato di provarle e di stimarne il grado di adeguatezza rispetto all’evento e al contesto: 1. L’allievo non è in grado di rispondere. 2. .............................................................................................................................. 3. L’allievo sa indicare in quali situazioni ha provato le emozioni estratte, ma solo per alcune sa stimarne l’adeguatezza. 4. .............................................................................................................................. 5. L’allievo sa indicare in quali situazioni ha provato le emozioni estratte e sa sti- marne l’adeguatezza. 394 TERZA UNITÀ: INDIVIDUARE IL PROPRIO STILE COMPORTAMENTALE Discriminazione delle risposte passive, aggressive, assertive Date all’allievo sei situazioni interpersonali, seguite ciascuna da tre possibili risposte (vedi esempio), e chiesto di indicare, per ognuna, la risposta che corri- sponde alla modalità comportamentale presente nella situazione descritta: 1. L’allievo risponde casualmente e non è in grado di identificare la risposta esatta. 2. .............................................................................................................................. 3. L’allievo risponde correttamente a tre situazioni. 4. .............................................................................................................................. 5. L’allievo risponde correttamente a tutte le situazioni. ESEMPIO Giorgio vorrebbe chiedere ad Alessandra di uscire con lei, ma si comporta passivamente. Quale dei seguenti comportamenti metterà in atto?  Quando vede Alessandra non le chiede nulla.  Quando vede Alessandra le dice: “Mi piacerebbe uscire con te. Posso passare a prenderti dopo le lezioni?”.  Chiama Alessandra e altri amici e dice. “Andiamo al cinema questo pome- riggio?”. Consapevolezza delle proprie risposte comportamentali Richiamati all’allievo alcuni suoi comportamenti verificatisi in aula e fuori dall’aula e chiesto di indicarne la tipologia (passiva - assertiva - aggressiva) e di stimarne il grado di adeguatezza rispetto all’evento e al contesto: 1. L’allievo non è in grado di rispondere. 2. ............................................................................................................................. 3. L’allievo risponde correttamente solo per i comportamenti più evidenti. 4. ............................................................................................................................. 5. L’allievo risponde correttamente per tutti i comportamenti. 395 QUARTA UNITÀ: IDENTIFICARE I PROPRI LIMITI E LE PROPRIE RISORSE Consapevolezza dei propri limiti Chiesto all’allievo di indicare i suoi principali limiti nelle dimensioni cogni- tiva, emotiva e comportamentale: 1. L’allievo non è in grado di rispondere. 2. ............................................................................................................................. 3. L’allievo identifica solo alcuni limiti e non per tutte le dimensioni. 4. ............................................................................................................................. 5. L’allievo identifica i limiti per le diverse dimensioni e spiega le ragioni per cui le ritiene tali. Consapevolezza delle proprie risorse Chiesto all’allievo di indicare le sue principali risorse nelle dimensioni cogni- tiva, emotiva e comportamentale: 1. L’allievo non è in grado di rispondere. 2. ............................................................................................................................. 3. L’allievo identifica solo alcune risorse e non per tutte le dimensioni. 4. ............................................................................................................................. 5. L’allievo identifica le risorse per le diverse dimensioni e spiega le ragioni per cui le ritiene tali. QUINTA UNITÀ: ESPLICITARE LE PROPRIE METE Formulazione di obiettivi Chiesto all’allievo di formulare due obiettivi che personalmente desidera rag- giungere nelle dimensioni cognitiva, emotiva e comportamentale: 1. L’allievo formula obiettivi generici e non differenziati per le diverse dimen- sioni. 2. ............................................................................................................................. 3. L’allievo differenzia gli obiettivi per le diverse dimensioni, ma alcuni di essi sono formulati in modo generico. 4. ............................................................................................................................. 5. L’allievo differenzia gli obiettivi per le diverse dimensioni formulandoli ope- rativamente. 396 SESTA UNITÀ: COMUNICARE CON EFFICACIA Individuazione delle componenti della comunicazione interpersonale Chiesto all’allievo di individuare, dopo aver osservato la simulazione di una situazione interpersonale, gli elementi fondamentali della relazione osservata: 1. L’allievo indica solo l’emittente e il destinatario. 2. ............................................................................................................................. 3. L’allievo indica l’emittente, il destinatario e alcuni messaggi verbali. 4. ............................................................................................................................. 5. L’allievo indica l’emittente, il destinatario, i messaggi caratterizzanti la situa- zione simulata e le modalità verbali e non verbali utilizzate dai soggetti intera- genti. Contatto oculare, espressione facciale, tono di voce Estratte da un mazzo di 10 carte, ciascuna rappresentativa di un’emozione, tre diverse emozioni di diversa intensità e chiesto all’allievo di esprimerle con lo sguardo, l’espressione facciale e il tono di voce: 1. L’allievo è in grado di simulare solo le emozioni di forte intensità e con il solo tono della voce. 2. .............................................................................................................................. 3. L’allievo è in grado di simulare solo le emozioni di forte intensità utilizzando tutte e tre le abilità richieste. 4. .............................................................................................................................. 5. L’allievo è in grado di simulare le diverse emozioni a diversa intensità utiliz- zando tutte e tre le abilità richieste. Postura, andatura, gestualità, prossemica Chiesto all’allievo di variare postura, andatura, gestualità e prossemica se- condo gli stili passivo, assertivo, aggressivo: 1. L’allievo non è in grado di differenziare i comportamenti non verbali richiesti. 2. ............................................................................................................................. 3. L’allievo è in grado di differenziare chiaramente solo due dei comportamenti non verbali richiesti. 4. ............................................................................................................................. 5. L’allievo è in grado di differenziare tutti e quattro i comportamenti non verbali richiesti. 397 Aprire, mantenere e chiudere una conversazione Chiesto all’allievo di simulare in una situazione di “role play” l’avvicina- mento ad un gruppo di compagni e il suo inserimento in una conversazione: 1. L’allievo si avvicina al gruppo, dice qualche parola, ma poi si blocca. 2. ............................................................................................................................. 3. L’allievo si avvicina, saluta, sorride, chiede ai compagni cosa stiano facendo, ma poi resta in ascolto e non prende altre iniziative comunicative. 4. ............................................................................................................................. 5. L’allievo saluta, guarda negli occhi i compagni e sorride, ascolta quello che gli altri stanno dicendo e, in un momento di pausa, fa domande ai compagni, rac- conta qualcosa di sé, introduce argomenti che possono interessare tutti e, dopo qualche scambio di battute, si congeda. Esprimere sentimenti ed opinioni Chiesto all’allievo di esprimere durante una discussione in classe i propri sentimenti ed opinioni rispetto ad un argomento di controversia: 1. L’allievo si esprime con arroganza facendo uso di comunicazioni aggressive e svalutative o si comporta in modo rinunciatario e passivo. 2. .............................................................................................................................. 3. L’allievo utilizza talvolta espressioni assertive, altre volte si comporta in modo rinunciatario o aggressivo. 4. .............................................................................................................................. 5. L’allievo si esprime utilizzando prevalentemente comunicazioni assertive (“Io penso….”, “Mi sento…”). Fare e ricevere complimenti Chiesto all’allievo di simulare uno scambio di complimenti tra compagni su un lavoro svolto: 1. L’allievo si limita ad una o due parole (“Bravo, ben fatto”) e quando è lui a ri- cevere il complimento, non replica o lo sminuisce. 2. .............................................................................................................................. 3. L’allievo esprime un breve apprezzamento sul lavoro del compagno e quando è lui a ricevere il complimento, reagisce con un sorriso. 4. .............................................................................................................................. 5. L’allievo, dopo aver salutato e avviato la conversazione sul lavoro svolto, esprime apprezzamenti sull’operato del compagno (“Il tuo lavoro è ben svolto… Mi piace come lavori”), fa domane sullo stesso; accetta e ringrazia per i complimenti che riceve sorridendo e guardando in faccia il compagno. 398 Fare critiche Chiesto all’allievo di simulare un dialogo con un compagno che si è compor- tato scorrettamente nei suoi confronti: 1. L’allievo si esprime utilizzando prevalentemente comunicazioni valutative (“Tu sei…”). 2. ............................................................................................................................. 3. L’allievo esprime assertivamente i suoi sentimenti (“Quando tu…io…”), ma non formula la richiesta o la formula direttivamente (“La prossima volta vedi di…”). 4. ............................................................................................................................. 5. L’allievo si esprime assertivamente con frasi del tipo “Quando tu (indica il comportamento) io mi arrabbio molto; vorrei che tu facessi (indica il compor- tamento)”. Ricevere critiche Chiesto all’allievo di simulare un dialogo con un compagno che lo critica per essersi comportato scorrettamente nei suoi confronti: 1. L’allievo utilizza espressioni difensive che negano la comunicazione altrui (“Non è vero. Hai capito male”). 2. ............................................................................................................................. 3. L’allievo accetta la critica, ma cerca di giustificarsi (“Hai ragione, ma io…”). 4. ............................................................................................................................. 5. L’allievo accetta la critica e invita il compagno a fornire ulteriori elementi (“Capisco che ci sia rimasto male, mi dispiace; che cosa in particolare ti ha of- feso?”). Fare richieste Chiesto all’allievo di simulare la formulazione di una richiesta ad un com- pagno: 1. L’allievo esprime verbalmente il suo desiderio, ma la comunicazione non ver- bale che lo accompagna non è adeguata (sguardo verso il basso, mimica ri- gida, tono di voce basso). 2. .............................................................................................................................. 3. L’allievo esprime il suo desiderio guardando in faccia il compagno, ma la sua comunicazione è breve e concisa. 4. .............................................................................................................................. 5. L’allievo esprime il proprio desiderio (“Io vorrei... desidererei…”) guardando in faccia il compagno e utilizzando forme di cortesia e in risposta ad una rea- zione titubante da parte dell’altro, dichiara la propria disponibilità a conside- rare proposte alternative. 399 Rifiutare richieste Chiesto all’allievo di simulare il rifiuto ad una richiesta di un compagno che non può o non vuole accettare: 1. L’allievo risponde con un “No” brusco e sgarbato. 2. .............................................................................................................................. 3. L’allievo risponde con un “non posso” o “non voglio”, ma non aggiunge altro. 4. .............................................................................................................................. 5. L’allievo risponde con un “non posso” o “non voglio”, spiegandone le ragioni. SETTIMA UNITÀ: SINTONIZZARSI CON GLI ALTRI Cogliere la prospettiva e il vissuto altrui Date all’allievo cinque situazioni interpersonali in cui due persone A e B hanno percezioni e vissuti diversi rispetto allo stesso oggetto (vedi esempio) e chiesto di individuare i pensieri e i sentimenti di A e di B: 1. L’allievo li riporta operando delle distorsioni. 2. .............................................................................................................................. 3. L’allievo li riporta, ma solo parzialmente. 4. .............................................................................................................................. 5. L’allievo li riporta fedelmente. ESEMPIO A Marco: Mi sento tradito da Stefano. Non doveva assolutamente raccontare l’accaduto ai compagni di classe. Ora mi prenderanno in giro per tutto l’anno. Con Stefano ho chiuso. B Luca: Ma che dici. Stefano non lo ha fatto perché ti prendessero in giro, ma perché capissero la tua difficoltà e ti venissero incontro. Se chiudi con lui, di- mostri di non aver capito proprio niente. 400 Ascoltare attivamente Chiesto all’allievo di svolgere il ruolo di ascoltatore in una situazione di “role play”, mentre un compagno parla di un argomento a sua scelta: 1. L’allievo si limita ad ascoltare passivamente oppure risponde alterando i con- tenuti espressi dal compagno. 2. ............................................................................................................................. 3. L’allievo ascolta per lo più passivamente e, di tanto in tanto, fa interventi op- portuni (domande, riformulazioni). 4. ............................................................................................................................. 5. L’allievo ascolta attivamente, supportando la comunicazione del compagno con riformulazioni e domande opportune. OTTAVA UNITÀ: COLLABORARE E LAVORARE IN GRUPPO Inserirsi nel gruppo Chiesto all’allievo di prendere parte ad un lavoro di gruppo: 1. L’allievo tende ad isolarsi estraniandosi dall’attività o assumendo un compor- tamento di disturbo nei confronti degli altri, rifiuta le regole proposte e cerca l’attenzione del gruppo in modo inadeguato. 2. ............................................................................................................................. 3. L’allievo si introduce nelle attività se sollecitato dai compagni, ma tende a non prendere per primo l’iniziativa di interagire; fatica a rispettare le regole pro- poste e ad assumere un ruolo nel contesto del gruppo. 4. ............................................................................................................................. 5. L’allievo si inserisce nel gruppo con facilità accettando le regole e prendendo l’iniziativa di interagire. Cooperare Chiesto all’allievo di unirsi ad altri compagni per realizzare un’esercitazione di gruppo: 1. L’allievo tende a manifestare comportamenti competitivi, impone le sue idee, accetta con difficoltà le proposte degli altri oppure resta inattivo e segue passi- vamente il gruppo. 2. ............................................................................................................................. 3. L’allievo collabora solo se sollecitato dai compagni; se gli viene richiesto esprime le sue idee e mette a disposizione il proprio materiale. 4. ............................................................................................................................. 401 5. L’allievo collabora volentieri con i compagni, cerca di coinvolgere quelli iso- lati e meno motivati; durante l’attività è propositivo; accetta pareri diversi ed è elemento unificatore all’interno del gruppo; è attento alle necessità dei com- pagni ed è pronto a condividere le proprie cose. NONA UNITÀ: GESTIRE I CONTRASTI E NEGOZIARE Chiesto all’allievo di affrontare una controversia con un compagno utiliz- zando la strategia della negoziazione: 1. L’allievo esprime la sua posizione e dopo aver ascoltato quella del compagno, ritorna a ribadire la propria; nel prospettare le soluzioni non riesce a trovarne di vantaggiose per entrambi. 2. ............................................................................................................................. 3. L’allievo esprime la sua posizione, ascolta quella del compagno cogliendone le motivazioni che la sostengono, individua i vantaggi connessi alle due posi- zioni, ma non riesce a trovare gli svantaggi della propria; nel prospettare le so- luzioni utilizza comunicazioni persuasive in suo favore. 4. ............................................................................................................................. 5. L’allievo dopo aver cercato di comprendere le motivazioni e il punto di vista del compagno esplicita le ragioni a sostegno della propria, considera i van- taggi e gli svantaggi legati ad entrambe le posizioni ed elenca due possibili so- luzioni che tengano conto delle motivazioni emerse. DECIMA UNITÀ: PIANIFICARE IL PROPRIO AGIRE Chiesto all’allievo di affrontare un’esercitazione che per la sua realizzazione richiede l’utilizzo di materiali e l’osservazione di una serie di fasi: 1. L’allievo procede in modo disorganizzato ed impreciso, durante il lavoro si trova spesso sprovvisto dei materiali e degli strumenti necessari, prosegue a salti senza seguire una sequenza logica o temporale. 2. ............................................................................................................................. 3. L’allievo approccia il lavoro munito degli strumenti necessari che, tuttavia, non sempre utilizza adeguatamente. Inizia l’attività senza una previa pianifica- zione e solo in un secondo momento si sofferma a riconsiderare e organizzare il suo modo di procedere. 4. ............................................................................................................................. 5. L’allievo procede in modo altamente organizzato; struttura le attività secondo un ordine preciso, pianifica e dispone i materiali e gli strumenti necessari prima di iniziare il lavoro. 402 UNDICESIMA UNITÀ: AFFRONTARE I PROBLEMI E ASSUMERE DECISIONI Definire il problema Dato all’allievo un problema genericamente definito (vedi esempio) e chiesto di tradurlo in termini operazionali: 1. L’allievo aggiunge alcuni elementi alla definizione data, ma questi sono irrile- vanti ai fini dell’operazionalità. 2. ............................................................................................................................. 3. L’allievo fornisce una descrizione del problema, ma non fa alcun riferimento alle cause, ai possibili obiettivi e all’area di appartenenza. 4. ............................................................................................................................. 5. L’allievo descrive come e con quale frequenza si manifesta il problema, ne specifica l’area di appartenenza, ne indica le cause e formula possibili obiet- tivi da raggiungere. ESEMPIO PROBLEMA : Come affrontare le ripetute assenze alle verifiche di tecnologia. Generare soluzioni Posto all’allievo un problema (vedi esempio) e chiesto di formulare, rispetto ad esso il maggior numero di soluzioni: 1. L’allievo produce una soluzione. 2. .............................................................................................................................. 3. L’allievo produce tre soluzioni. 4. .............................................................................................................................. 5. L’allievo produce almeno cinque soluzioni. ESEMPIO PROBLEMA : Come impedire agli studenti di copiare. 403 Prendere una decisione Chiesto all’allievo di riportare le fasi caratterizzanti la strategia del “Produc- tive Problem Solving” di Carkhuff: 1. L’allievo spiega a cosa serve la strategia, ma non è in grado di descrivere le singole fasi. 2. .............................................................................................................................. 3. L’allievo descrive le singole fasi, ma non le riporta secondo l’ordine esatto. 4. .............................................................................................................................. 5. L’allievo descrive le singole fasi secondo l’ordine preciso in cui si susse- guono. DODICESIMA UNITÀ: POTENZIARE LE PROPRIE STRATEGIE DI APPRENDIMENTO E DI AZIONE Valutare le proprie strategie apprenditive Chiesto all’allievo di indicare i punti di forza e i punti di debolezza nel pro- prio modo di apprendere: 1. L’allievo non è in grado di rispondere. 2. .............................................................................................................................. 3. L’allievo identifica solo parzialmente i propri punti di forza e i propri punti di debolezza. 4. .............................................................................................................................. 5. L’allievo identifica i propri punti di forza e di debolezza e spiega le ragioni per cui li ritiene tali. Monitorare le proprie strategie apprenditive Chiesto all’allievo di indicare quali domande può porsi per valutare il per- corso seguito nell’affrontare un compito 1. L’allievo non è in grado di rispondere. 2. .............................................................................................................................. 3. L’allievo indica alcune domande opportune, altre irrilevanti. 4. .............................................................................................................................. 5. L’allievo indica una serie di domande opportune (Es. “Cosa mi richiedeva il compito?”, “Come ho iniziato?”, “Che risultati ho ottenuto?”, “Che cosa è ri- sultato utile nella mia strategia, cosa non lo è stato?”, ecc.). 404 TREDICESIMA UNITÀ: DIAGNOSTICARE IL CONTESTO DI LAVORO IN CUI SI OPERA Definire la cultura dell’organizzazione Chiesto all’allievo di indicare cosa si intenda per cultura dell’organizzazione e quali siano le sue principali funzioni: 1. L’allievo non è in grado di rispondere. 2. .............................................................................................................................. 3. L’allievo risponde in modo generico, ma sostanzialmente corretto. 4. .............................................................................................................................. 5. L’allievo risponde dando una definizione corretta e specificando le diverse funzioni. Riconoscere le caratteristiche di un contesto organizzativo Chiesto all’allievo di indicare le principali caratteristiche organizzative del proprio CFP: 1. L’allievo non è in grado di rispondere. 2. .............................................................................................................................. 3. L’allievo identifica alcune caratteristiche della struttura organizzativa. 4. .............................................................................................................................. 5. L’allievo identifica la maggior parte delle caratteristiche riferibili alla struttura e alla cultura organizzativa. QUATTORDICESIMA UNITÀ: AUTOREGOLARE IL PROPRIO COMPORTAMENTO ORGANIZZATIVO Riconoscere l’importanza dell’autoregolazione comportamentale Chiesto all’allievo di indicare almeno tre ragioni per cui è importante posse- dere la capacità di autoregolare il proprio comportamento in riferimento al con- testo in cui si opera: 1. L’allievo non è in grado di rispondere. 2. .............................................................................................................................. 3. L’allievo risponde in modo generico, ma sostanzialmente corretto. 4. .............................................................................................................................. 5. L’allievo risponde in modo puntuale riportando tre o più motivazioni. 405 Realizzare comportamenti consoni al contesto Date all’allievo cinque diverse situazioni che possono verificarsi in un am- biente di lavoro e per ciascuna di esse quattro possibili comportamenti da attuare (vedi esempio) e chiesto di scegliere il comportamento ritenuto più consono alla situazione, spiegandone le ragioni: 1. L’allievo risponde correttamente a due situazioni, ma non ne indica le ragioni. 2. .............................................................................................................................. 3. L’allievo risponde correttamente a tre situazioni, indicandone le ragioni. 4. .............................................................................................................................. 5. L’allievo risponde correttamente a tutte le situazioni date, indicandone le ra- gioni. ESEMPIO SITUAZIONE : Il tuo responsabile ti riprende bruscamente davanti ad altre per- sone e tu ci resti male. Non è la prima volta che succede. (Indica quali tra i seguenti comportamenti attueresti tu e perché) • La prossima volta che si verifica gliene dici quattro a brutto muso • Incassi e non dici niente • In separata sede gli dici che desidereresti essere ripreso con altri modi • Ti scusi per il tuo comportamento Ho indicato la risposta X perché ........................................................................ 407 ALBERTI L., DINETTO A. (1988), Manuale di addestramento affermativo, Roma, Bulzoni. ALBERTI L., EMMONOOS L.M. (1974), Your Perfect Right , Saint Luis, Ca, Impact Press. ANCHISI R., GAMBETTO DESSY M. (1992), Non solo comunicare, Torino, Edizioni Libreria Cortina. ARNOLD M.B. (1960), Emotion and Personality, New York, Columbia University Press. ARPAIA P., BERTRAND A., FAVATI P., FILIPPI S., LUCCHESI G., MINERVA R., OTTOLINI G. (1993), Profes- sione studente. Itinerario per l’acquisizione del metodo di studio, Torino, EURELLE Edizioni, AVALLONE F. (1997), Psicologia del lavoro. Storia, modelli, applicazioni, Roma, NIS. BACCHI G., LONDRILLO A. (1987), La geografia oggi vol.3, Firenze, Bulgarini. BECCIU M., COLASANTI A.R. (1997), La leadership autorevole, Roma, Carocci. BECCIU M., COLASANTI A.R. (2000), La promozione delle abilità sociali: descrizione di un pro- gramma di addestramento, Roma, Edizioni AIPRE. BECCIU M., COLASANTI A.R., (Ed.) (1999), Educare alla solidarietà: la promozione del comporta- mento prosociale in ambito scolastico, Roma, Edizioni AIPRE. BONINO S., LO COCO A., TANI F. (1998), Empatia, Firenze, Giunti. BUZAN T. (1989), Use your head , Londra, BBC Books. CIVELLI F., MANARA D. (1997), Lavorare con le competenze, Milano, Guarini e Associati. COMOGLIO M. (1998), Educare insegnando, Roma, LAS. COMOGLIO M. (2002), La valutazione autentica, in “Orientamenti pedagogici”, 49 (1), 93-112. COMOGLIO M., CARDOSO M.A. (1996), Insegnare e apprendere in gruppo. Il Cooperative Learning, Roma, LAS. CUCCURULLO R. (1999), Formazione organizzazione impresa. Verso una pedagogia delle risorse umane, Brescia, La Scuola. CUCCURULLO R. (1999), Formazione organizzazione impresa. Verso una pedagogia delle risorse umane, Brescia, La Scuola. D’URSO V., TRENTIN R. (2001), Psicologia delle emozioni, Bologna, Il Mulino. DAVIDSON A., STERNBERG R.J. (1984), The role of insight in intellectual giftedness, in “Gifted Child Quarterly ”, 28, 58-64. DE BONO E. (1992), Strategie per imparare a pensare, Vol. 1-6, Torino, Omega Edizioni. DUNCKER K. (1954), On Problem solving, in “Psychological Monographs ”, 58, 270. EDELMANN R.J. (2000) , Conflitti interpersonali nel lavoro. Analizzarli e risolverli senza aggressività né passività, Trento, Erickson. ELLIS A. (1994), L’autoterapia razionale emotiva, Trento, Erickson. FESHBACH N., FESHBACH S., FAUVRE M., BALLARD-CAMPBELL M. (1983), Learning to care, Scott Fo- resman & Co, San Francisco. FORGAS J.P. (1995), Comportamento interpersonale, Roma, Armando Editore. FRANTA H. (1982), Psicologia della personalità, Roma, LAS. FRANTA H. (1987), Relazioni sociali nella scuola, Torino, SEI. FRANTA H. (1988), Atteggiamenti dell’educatore, Roma, LAS. FRANTA H., COLASANTI A.R., (1993), La personalità degli allievi: una variabile imprescindibile nella valutazione scolastica, in “Valutazione nella scuola media. Studi e Documenti degli Annali della Pubblica Istruzione”, 64, Firenze, Le Monnier. FRANTA H., COLASANTI A.R. (1999), L’arte dell’incoraggiamento, Roma, Carocci. FRIEND M., COOK L. (2000), Interazioni, Trento, Erickson. FRIJDA N.H. (1990), Emozioni, Bologna, Il Mulino. FRISO G., TASSAN SOLET L. (1994), Orientamento scolastico e professionale, Trento, Erickson. GIUSTI E. (1992), Training dell’assertività. Mai dire di sì, quando si vorrebbe dire di no!, Roma, Quaderni A.S.P.I.C. BIBLIOGRAFIA 408 GOLDSTEIN K.M., B LACKMAN S. (1978), Assessment of cognitive styles , in MCREYNOLDS P. (Ed.), Ad- vanced psychological assesment , vol. 4, San Francisco, Jossey Bass. GOLEMAN D. (1996), Intelligenza emotiva, Milano, Rizzoli. GOLEMAN D. (1998), Lavorare con intelligenza emotiva, Milano, Rizzoli. GREENBERGER D., PADESKY C.A. (1998), Penso dunque mi sento meglio, Trento, Erickson. HERSEY P., BLANCHARD K. (1990), Leadership situazionale, Varese, Sperling & Kupfer Editore. ISFOL (1994), Competenze trasversali e comportamento organizzativo. Le abilità di base per il la- voro che cambia, Milano, Franco Angeli. ISFOL (1996), Apprendimento continuo e formazione, Milano, Franco Angeli. ISFOL (1998), Unità capitalizzabili e crediti formativi. I repertori sperimentali, Milano, Franco Angeli. K ATAN D. (1994), Learning to Learn, IRRSAE Veneto. K ELLY G.A. (1955), The psychology of personal construct , New York, Norton. K NASEL E., MEED J., R OSSETTI A. (2000), Apprendere sempre, Milano, Raffaello Cortina Editore. K OLB D. A (1981), Learning styles and disciplinary differences, in CHICKERING A.W. (Ed.), The mo- dern american college, San Francisco, Jossey-Bass. K OLB D. A., FRY R. (1975), Toward an applied theory of experiential learning, in COOPER C.L. (Ed.), Theory of group processes , New York, Wiley. LEE ET AL. (1985), Assertiveness Scale for Adolescent (ASA), in FISCHER J., C ORCORAN K. (1994), Measures for Clinical Practice, vol.1, Free Press, New York. LIBERMAN R.P., K ING L.W., D E RISI W.J., M CCANN M. (1975), Personal effectiveness, Champaign, Il- linois, Research Press. LORENZ J.H. (1979), Auswirkungen von Selbstkonzept und Attribuierungen im Mathemtikunterricht, Hochschulverlag, Stuttgart. LORENZINI R., SASSAROLI S. (2000), La mente prigioniera, Milano, Raffello Cortina Editore. LUCARELLI G. (1999), L’arte di rendere creativo un gruppo, Urbino, Quattro Venti. MARCATO P., GIOLITO A., MUSUMECI L. (1997), Benvenuto, Bari, La Meridiana. MARIANI L. (2000), Portfolio. Strumenti per documentare e valutare cosa si impara e come si im- para, Zanichelli, Bologna. MARSHALL J.C., M ERRITT S.L., (1985), Releability and construct validity of alternative forms of the learning style inventory, in “Educational and psychological measurement” , 45, 931-937. MEAZZINI P. (2000), L’insegnante di qualità, Giunti, Firenze. MEAZZINI P., SORESI S. (1991a), Insegnare a studiare. Un’arte che può essere appresa, in “Psicologia e scuola”, 52, 29-38. MEAZZINI P., SORESI S. (1991b), Insegnare a studiare. Un’arte che può essere appresa, in “Psicologia e scuola”, 53, 47-54. MEAZZINI P., SORESI S. (1991c), Insegnare a studiare. Un’arte che può essere appresa, in “Psicologia e scuola”, 54, 47-55. MICELI M., CASTELFRANCHI C. (2002), Emozioni, in CASTELFRANCHI C., MANCINI F., MICELI M., Fon- damenti di cognitivismo clinico, Torino, Bollati Boringhieri. MICHELINI E., POLI L. (2000), Il viaggio. Itinerari di lettura e di riflessione linguistica, Milano, Fabbri Editori. MUSSEN P., EISENBERG-BERG N. (1985), Le origini della capacità di interessarsi, dividere ed aiutare, Roma, Bulzoni Editore. NEWELL A., SIMON H.A. (1972), Human problem solving, Englewood Cliffs, NJ, Prentice Hall. NOTA L., SORESI S. (1997), I comportamenti sociali, ERIP, Pordenone. PELLEREY M. (1996), QSA – Questionario sulle Strategie di Apprendimento, Roma, LAS. PELLEREY M. (1998), L’agire educativo, Roma, LAS. PELLEREY M. (2000), Il portafoglio progressivo come nuovo strumento di valutazione delle compe- tenze, in “ISRE”, VII (2), pp. 5-28. PETILLON H. (1980), Soziale Beziehungen in Schulklassen, Basel, Weinheim. PIKE K., S ALEND S.J. (1996) Strategie di valutazione autentica dell’apprendimento, in “Difficoltà di apprendimento” 1 /3, 329-342. POLACEK K . (1987), Stili cognitivi nell’orientamento, in “Orientamenti pedagocici”, 34, 841-860. POPE A., MC HALE S., CRAIGHEAD E. (1992), Migliorare l’autostima. Un approccio psicopedagogico per bambini e adolescenti, Trento, Erickson. 409 ROBERT M. (1982), Conflict Management Style Survey , in “The 1982 Annual for Facilitators, Trai- ners and Consultant”, San Diego, CA University Associates. ROBINSON H.A. (1975), Teaching reading and study strategies , Londra, Open University. ROWNTREE D. (1979), Impara a studiare. Metodo per migliorare l'apprendimento, Roma, Armando. SALFI D., BARBARA G. (1990), Possiamo davvero apprendere a star bene con gli altri?, in “Psicologia e Scuola, 50, 3-16. SALFI D., BARBARA G. (1991), La prosocialità: una proposta curricolare, in “Psicologia e scuola”, 52, 46-59. SCILLIGO P. (1987), Questionario degli stili di apprendimento, in “Polarità”, 2, 89-97. SCILLIGO P. (1988), Gruppi di incontro e esercizi di gruppo, Roma, IFREP. SEMERARI A. (1999), Psicoterapia cognitiva del paziente grave, Milano, Cortina. SEMERARI A. (2000), Storia, teorie e tecniche della psicoterapia cognitiva, Bari, Laterza. SKINNER B.F. (1972), Cinquanta anni di comportamentismo, Milano, Istituto Librario Internazionale. SPENCER L.M., SPENCER S.M. (1993), Competence at work: Models for Superior Performance, New York, John Wiley and Sons STARK K. (1995), La depressione infantile, Trento, Erickson. STERNBERG R.J (1998), Stili di pensiero, Trento, Erickson STERNBERG R.J, S PEAR-SWERLING L. (1997), Le tre intelligenze, Trento, Erickson THOMAS K.W., K ILMANN R.H. (2000), Conflict Model Instrument, Tuxedo NY, Xicom.Cit. VERNON P.E. (1973), Multivariate approach to the study of cognitive stiles , in ROYCE J.R. (Ed.), Mul- tivariate analysis and psychological theory , London, Academic Press. W LODKOWSKI R.J., J AYNES J.H. (1990), Eager to Learn, Jossey-Bass, San Francisco. ZANCHIN M.R. (2002), I processi di apprendimento nella scuola dell’autonomia, Armando Editore, Roma.

Etica e deontologia dell'operatore della formazione professionale

Autore: 
Stefano Fontana - Giuseppe Tacconi - Michele Visentin
Categoria pubblicazione: 
Progetti
Anno: 
2003
Numero pagine: 
357
Etica e deontologia dell’operatore della FP Stefano FONTANA - Giuseppe TACCONI - Michele VISENTIN Tip.: Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma Tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - E-mail: tipolito@pcn.net giugno 2003 3 SOMMARIO PRESENTAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 INTRODUZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 AREA 1 GENERARE SOCIALITÀ DENTRO L’INCERTEZZA (Michele Visentin) Formazione professionale e comunità. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 Semantiche del sociale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30 Società della comunicazione e diritti di frontiera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46 AREA 2 LA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA (DSC): UNA BUSSOLA PER LA TRANSIZIONE (Stefano Fontana) La natura della DSC. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63 Il messaggio sociale della DSC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 78 I contenuti principali della DSC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90 AREA 3 NUOVE PAROLE, ANTICHI VALORI: LA CENTRALITÀ DELLA FAMIGLIA (Giuseppe Tacconi) La famiglia: organismo geneticamente modificato? . . . . . . . . . . . . . . . . . 107 La famiglia come soggetto sociale, politico ed economico . . . . . . . . . . . . 130 La famiglia come sistema e come soggetto che educa. . . . . . . . . . . . . . . . 141 AREA 4 L’UOMO E IL LAVORO (Stefano Fontana) Lavoro e lavori nella società di oggi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 161 Il lavoro come atto della persona e il suo significato umano . . . . . . . . . . . 175 Nuovi compiti del lavoro e nuovi soggetti che lavorano . . . . . . . . . . . . . . 186 4 AREA 5 L’UOMO, I BENI, L’ECONOMIA (Stefano Fontana) L’economia di mercato e quanto è dovuto all’uomo in quanto uomo. . . . . 201 Aspetti di un’economia solidale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 214 Spunti per una finanza dal volto umano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 226 AREA 6 NUOVI ORIZZONTI DELLA PARTECIPAZIONE POLITICA (Stefano Fontana) La politica, i giovani e il bene comune . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 241 Verso una democrazia associativa. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 258 La dislocazione sussidiaria della sovranità politica . . . . . . . . . . . . . . . . . . 273 AREA 7 LE SFIDE DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE (Michele Visentin) L’unità della famiglia umana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 291 Povertà e sviluppo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 309 Nuovi orizzonti della pace e della guerra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 328 5 PRESENTAZIONE “Etica e deontologia dell’operatore della formazione professionale” è il titolo di un percorso integrato di apprendimento in presenza e in rete per i formatori dei Centri di formazione professionale (CFP) della Federazione CNOS-FAP. La Sede Nazionale CNOS-FAP, promotrice dell’iniziativa, si è avvalsa del CePOF (Centro Pedagogico per l’Orientamento e la Formazione) di Verona, ente salesiano specia- lizzato nella formazione dei formatori, per la stesura dei contenuti e di Edulife, so- cietà da anni impegnata nella predisposizione di percorsi di formazione a distanza on line, per l’erogazione del servizio. Il presente progetto si inserisce in un ampio quadro strategico, che vede la Sede Nazionale impegnata a costruire un vero e proprio sistema formativo a sup- porto della formazione continua di tutti gli operatori della Federazione CNOS- FAP. Oltre al presente lavoro, la Sede Nazionale ha progettato e sperimentato un percorso di formazione dei formatori nell’area pedagogica “Insieme per un nuovo progetto di formazione” e sta mettendo a punto un percorso permanente di forma- zione formatori a catalogo “Catalogo di formazione per gli operatori del CNOS- FAP per la formazione e l’orientamento”. Il presente progetto vuole essere un servizio di accompagnamento al forma- tore per la presa di coscienza della dimensione etica e deontologica sottesa al suo servizio. Esso non mira ad esaurire una formazione che avrà bisogno anche di altri tipi di interventi (corsi residenziali, seminari tematici, tirocini, affiancamenti, ecc.), ma cerca di rendere fruibile una sorta di mappa, anzi un vero e proprio atlante, per orientarsi nel complesso mondo nel quale hanno cominciato a muovere i primi passi. Per rendere possibile il percorso, il progetto mira a costruire una vera e pro- pria comunità di apprendimento che, nell’arco temporale di sviluppo, consenta di confrontare continuamente teoria e pratica, riflessioni ed esperienze, modelli in- terni e modelli esterni. La comunità di apprendimento, se ben fondata, avrà le ri- sorse per “sopravvivere” al progetto stesso, diventando una stabile e vitale “comu- nità di pratica”, dedicata ai problemi della formazione professionale, in cui cia- scuno potrà ricorrere alle risorse consulenziali di esperti e di colleghi per affrontare casi reali e quotidiani. Vivere assieme un’esperienza formativa, infatti, diventa oc- casione per allacciare, tra i partecipanti di diversa tipologia (neoassunti e forma- tori/trici esperti/e in servizio) e provenienza, rapporti di conoscenza e di fiducia re- ciproca, a fronte delle comuni sfide poste da una formazione professionale in con- tinuo e veloce cambiamento. 6 Il percorso è svolto prevalentemente on line ed è accessibile attraverso il por- tale www.cnos-fap.it. Il processo formativo prevede una bacheca in cui vengono pubblicati materiali informativi e di supporto (calendario, indicazioni di carattere metodologico…), un newsgroup generale dedicato ai liberi scambi di opinione, dei forum tematici presidiati da esperti per la discussione collettiva sui temi delle varie aree del progetto e per lo scambio di esperienze on line, l’attivazione di chat tema- tiche sugli argomenti del corso, diversi strumenti per i sondaggi e per la raccolta di informazioni e di giudizi. In tutto il percorso, il tutor è una figura determinate. I suoi interventi, infatti, stimolano la partecipazione e l’interazione tra i corsisti e tra corsisti e gli esperti, comunica il senso di un’esperienza condivisa, contribuisce a valorizzare le compe- tenze e le esperienze di cui le singole persone sono portatrici, incoraggia i parteci- panti ad intraprendere percorsi autonomi di appropriazione delle conoscenze; mo- nitorando costantemente l’andamento del corso e rispondendo puntualmente alle richieste dei corsisti, offre utili indicazioni di carattere metodologico per la pianifi- cazione dello studio e la verifica degli apprendimenti. Un’importanza fondamentale assumono anche i seminari in presenza che con- tribuiscono in maniera determinante alla costituzione del gruppo, creano le condi- zioni per una proficua interazione tra pari, permettono l’esplorazione delle attese e delle personali esigenze di crescita dei partecipanti e definiscono sia il contratto formativo che la valutazione complessiva. Il percorso formativo così delineato non è un trasferimento di una conoscenza “esterna” ma è la costruzione / elaborazione di una nuova conoscenza, all’interno di una learning community partecipata alla pari da esperti, tutor, utenti, commit- tenti, ciascuno portatore di competenze ed esperienze reciprocamente integrabili. Il focus dell’iniziativa non è, dunque, posto tanto sull’acquisizione di conoscenze mi- surabili, quanto sull’apprendimento cooperativo, sulla condivisione e lo scambio di esperienze e di conoscenze attraverso la rete e sulla produzione collettiva di pen- siero. È così che il gruppo dei partecipanti può assumere le caratteristiche di una vera learning community. La Sede Nazionale CNOS-FAP 7 INTRODUZIONE 1. TRA IL SENSO DELLA REALTÀ E QUELLO DELLA POSSIBILITÀ Se l’intenzionalità non fosse un carattere costitutivo della formazione attiva, molte delle questioni poste dalle riflessioni che seguono non avrebbero senso. La relazione educativa, concreta e vincolata “qui ed ora” dalle mille sfaccetta- ture delle biografie che si incontrano, è veramente educativa se si costituisce come esperienza della possibilità. Sognare quello che non c’è ma che potrebbe essere, averlo di fronte come orizzonte appassionante è essenziale all’educazione. Noi crediamo che l’educazione sia veramente la possibilità di sperimentare la propria identità come luogo in cui si progettano incessantemente mondi possibili che attraverso l’azione vengono portati alla luce. Ma non c’è formazione/educazione se non là dove il senso della possibilità si intreccia con quello della realtà. La realtà personale anzitutto, quella propria e quella dell’utente che con noi percorre un pezzo di strada, ma anche la realtà so- ciale e culturale, con le sue straordinarie opportunità e i rischi che porta con sé. La professionalità del formatore si misura con queste due dimensioni e di- pende dall’equilibrio dinamico che si riesce a costruire tra la capacità di compor- tarsi in modo adeguato alla realtà e la capacità di vedere quello che non c’è come possibilità in grado di animarla e trasformarla. Se non fosse per il fatto che quello che non c’è ci riguarda, non sarebbe poi così importante trasformare la possibilità in realtà, e, fuor di metafora, lasciare che una professione sia semplicemente un intreccio di funzioni, di compiti da eseguire nel rispetto delle procedure o di un contratto nazionale di lavoro. Ma la realtà non ci costituisce pienamente e ci soddisfa solo in parte e noi vi siamo immersi . “L’uomo può parlare di ciò che è perché ne fa parte: ne rappresenta il lin- guaggio. Ma la manifestazione non si manifesta in un discorso unico. L’uomo non è puro spirito, sopra o fuori della natura. Parla perché agisce e agisce perché parla. Agisce e pensa insomma perché dispone di una piccola parola: no. L’uomo è nella natura. Ma non è nella natura come il minerale e l’animale; è scontento, insoddisfatto di ciò che non è, di ciò che egli vuole introdurre nell’essere” (S. Weil, Hegel, 1956, ora in Essais et conférences, Paris, 1970, pp. 133-134 ). Noi pensiamo che un professione sia anzitutto desiderio e rappresentazione del proprio desiderare. È qui il distacco dal senso della realtà come unico orizzonte e l’apertura, grazie all’intenzionalità, ad un’altra possibilità. 8 Questo distacco non è distacco dalla razionalità o dal pensiero, per accedere nel mondo del volontà, del sentimento. Rappresentarsi ciò che si desidera è una forma di attività del pensiero. Questo rapporto tra pensiero e azione deve modificare anzitutto il nostro modo di vedere le cose e con esse la nostra stessa professione. Immersi nella “fi- sica” della lavoro educativo a volte ci sfugge la “metafisica” che questo stesso la- voro porta con sé. Forse, semplicemente, perché ci manca un’attitudine alla visione. Manipoliamo cose, incontriamo persone in carne ed ossa, realizziamo attività, ci indebitiamo e rischiamo, costruiamo, chiudiamo e apriamo nuovi servizi: ma non sempre vediamo in tutto questo idee, concetti, pensiero. Intenzioni e valori. Questo rapporto tra pensiero ed azione, tra valori e fatti, ha probabilmente nel- l’agire formativo un’icona formidabile e, di riflesso, la professione formativa chia- rifica ulteriormente questo intreccio tra la realtà effettuale che richiede competenze esperte e la possibilità immaginata che richiede invece un pensiero capace di ren- derla concreta. Noi chiamiamo deontologia professionale l’ambito delle questioni che riguar- dano la corrispondenza tra ciò che il “reale” richiede e la capacità di soddisfare questa esigenza attraverso il rispetto di procedure adeguate. Ma la deontologia pro- fessionale non chiama in causa l’altro aspetto, meno normativo ma più qualifi- cante, dell’intenzionalità dell’azione . Un’azione può essere deontologicamente corretta ma non avere senso per chi la compie, perché chi la compie non ha quello che abbiamo chiamato “senso della possibilità”, ovvero non si rappresenta e non desidera un mondo che non c’è la- sciandosi orientare nell’azione. Oltre alla deontologia occorre un’etica della professione a cu fare riferimento perché la propria funzione sia qualcosa di più di un’attività fine a se stessa. Un’etica laica, forte della sua intrinseca plausibilità e coraggiosa di affermare alcuni valori che ritiene universali. Il corso che presentiamo rappresenta il tentativo di stimolare questa “attitudine alla visione” attraverso un discernimento della realtà sociale contemporanea in cui formatori e giovani intrecciano le loro storie e si narrano valori. Con una mentalità ermeneutica proponiamo al formatore di lasciarsi interro- gare dalla complessità della realtà che vive ma al tempo stesso gli offriamo alcuni strumenti per porre alcune domande essenziali capaci di stanare i rischi e le sfide che l’uomo contemporaneo ha di fronte a sé. Questo esercizio ermeneutico presuppone tuttavia la consapevolezza, da parte del formatore di operare in un ambiente professionale che ha espresso la propria intenzionalità educativa attraverso una mission ed una carta dei valori a cui deve fare continuamente riferimento. Una missione che ha radici lontane, nel sistema educativo di Don Bosco, chia- mato da lui stesso “sistema preventivo”. Esso ha come valori fondamentali la RELI- GIONE, intesa come sviluppo del senso di Dio insito in ogni persona e sforzo di 9 evangelizzazione cristiana, la ragione, che è ragionevolezza delle richieste e delle norme, flessibilità e gradualità nelle proposte, l’amorevolezza, che si esprime come un amore educativo che fa crescere e crea condivisione”. Una missione che salesiani e laici assumono “per educare il giovane a co- gliere la propria identità e a far emergere quei bisogni e desideri profondi che abi- tano il cuore di ogni uomo, ma che spesso restano sconosciuti: la sete di autenti- cità e di onestà, di amore e di fedeltà, di verità e di coerenza, di felicità e di pie- nezza di vita. Bisogni e desideri che, in ultima analisi, convergono nella suprema aspirazione umana di vedere il volto di Dio. Nello stesso tempo formiamo i gio- vani, offrendo loro una proposta per realizzare quei desideri, prevenendo che ven- gano deformati, o solo parzialmente appagati”. La nostra missione nel mondo del lavoro quindi è: in un ambiente educativo e formativo, offrire un’educazione globale, in partico- lare agli adolescenti e ai giovani, considerati nella loro singolarità e nella loro qualità di persone, di cittadini e di lavoratori. Nella prassi quotidiana la missione si realizza a partire da un sistema coerente di comportamenti che riflettono un comune orizzonte ispirativo e fondativo. Questo sistema coerente di comportamenti di valore è esplicitato dalla carta dei va- lori. I nostri valori possono essere sintetizzati in alcune espressioni che riassumono la nostra idea di concepire l’educazione e la formazione come opportunità per dire che la vita è più forte della morte. • L’educazione come esperienza di libertà L’educazione salesiana ha come fondamento il “Sistema preventivo” di Don Bosco, basato sulla religione, la ragione e l’amorevolezza. Da questo “sistema” scaturisce una forza morale che lega educatore ed educando, coinvolge la famiglia del giovane e fa vivere tutti in un clima fortemente umano e cristiano. In questo clima, l’educatore ha sul giovane un’autorità morale, e la sua azione è indirizzata unicamente ad aiutare il giovane. • La formazione per la maturazione integrale della persona La formazione professionale salesiana non ha come traguardo ultimo il buon funzionamento della società (“collocare la persona giusta al posto giusto”). Il gio- vane infatti non è una formica nel formicaio, né un mattone nell’edificio di una casa. È una persona libera, che tende alla sua realizzazione ed alla felicità. La so- cietà, infatti, sarà una buona società solo se formata da uomini liberi, responsabili e professionalmente validi. Non è quindi una formazione “collettiva”, ma forte- mente “personalizzata”, in cui ciascuno ha spazio per pensare liberamente e prepa- rarsi a realizzare la propria vita. 10 • Un clima socio-affettivo di cooperazione e corresponsabilità I Salesiani sono convinti che i valori debbono essere testimoniati “insieme”, in un clima di famiglia. È questo ambiente, infatti, che prepara al “lavorare insieme”, che è la principale caratteristica della nuova organizzazione del lavoro, orientata alla piena valorizzazione delle risorse umane. Il sistema educativo salesiano tende così a formare tra educatore ed educando un insieme di relazioni fondato non tanto sul “contratto formativo”, quanto sulla forza morale dell’educatore e sulla disponi- bilità dell’educando che vede in lui un amico alla ricerca del suo bene. • La dimensione educativa e vocazionale dell’orientamento Una buona formazione professionale esige un sistematico servizio di orienta- mento, che favorisce nel giovane la capacità di scegliere il suo avvenire professio- nale. Il servizio lo aiuta a conoscere innanzitutto se stesso, le proprie attitudini e inclinazioni, il mondo del lavoro e delle professioni, permettendogli di scegliere il progetto per il proprio futuro e, insieme agli educatori, il modo migliore per realiz- zarlo. • L’attenzione alla qualità del servizio Il Centro di formazione professionale è la struttura di riferimento per l’azione educativa del CNOS-FAP. Rispettando le politiche programmatiche dell’Ente Pub- blico e le necessità del mercato del lavoro locale, risponde a tutte le domande che possono affiorare nelle varie tappe del lavoro formativo, ispirato da una logica di miglioramento continuo. Il Centro di formazione professionale costruisce attorno a sé una rete di co- operazione. Inoltre non agisce da solo ma appartiene ad una Federazione di Centri di formazione professionale salesiani, attivi in ambito nazionale e internazionale, che promuovono, a vario titolo, attività simili e sono animati dagli stessi valori. 2. PER UNA FORMAZIONE ALL’ETICA PROFESSIONALE Se pensiamo alla “cultura” come alla capacità di attribuire un significato a ciò che ci accade, l’etica professionale allora dipende anzitutto dalla qualità dell’espe- rienza culturale che il professionista è in grado di esprimere. Quali sono le dimensioni, gli ambiti in cui l’operatore della formazione pro- fessionale si “gioca” la sua esperienza culturale, e che rappresentano per lui un ap- pello a “rispondere” alla luce della sua missione e dei valori in cui crede? Abbiamo scelto sette ambiti che secondo noi possiedono il carattere stimo- lante della pro-vocazione e dell’appello, e costringono ad uscir fuori e ad attestare (il termine professione etimologicamente richiama proprio questo atteggiamento di testimonianza”) la propria etica. 11 Sette ambiti per tracciare un percorso formativo in cui il formatore è chiamato ad interagire con i contenuti offerti, attraverso la disponibilità a completare la ri- flessione visitando alcuni siti di particolare interesse o sperimentando la propria comprensione delle tematiche attraverso le “esercitazioni” che trova disseminate all’interno del percorso. Le aree che abbiamo scelto di approfondire per delineare una cornice di riferi- mento, nella prospettiva di un’etica professionale per il formatore, sono le seguenti: 1) La società: crediamo che un’etica professionale debba anzitutto fondarsi su un discernimento attento, frutto di una riflessione di natura socio-culturale che eviti al formatore il rischio di sentirsi “fuori dal tempo”. 2) Il Magistero sociale della Chiesa: crediamo che avere il coraggio di affermare il proprio legame con la dottrina sociale della Chiesa e riferirci ad essa come ad una bussola capace di orientare le proprie scelte, non sia venir meno alla propria vocazione di professionisti che svolgono un servizio pubblico, ma al contrario sia segno di autenticità e libertà; 3) La famiglia: è forse il soggetto più vulnerabile ma anche la fonte di un possi- bile rinnovamento della società. Crediamo che il formatore possa percepire la famiglia come interlocutore privilegiato sia in relazione all’utente che nella fa- miglia apprende a stabilire legami, reagire alle sfide e i valori che lo accompa- gneranno nella vita, ma anche in relazione all’idea di famiglia che l’utente può assimilare e che orienterà i suoi sogni e le sue aspettative. 4) Il lavoro: rappresenta lo “specifico” della formazione professionale, e proprio per questo a volte si pensa che l’idea del lavoro non abbia più bisogno di es- sere ripensata. Eppure il lavoro, ma sarebbe meglio dire i lavori, stanno cambiando e con essi i diritti, le vulnerabilità e i rischi di una perdita di senso. Educare al lavoro di- venta vitale in una società che associa al lavoro emozioni negative, sentimenti di rifiuto, desiderio di fuga. 5) L’economia: crediamo che la centralità dell’economia nella società di oggi vada anzitutto compresa nelle sue dinamiche, per coglierne i risvolti etici e le possibilità di evoluzione verso una finanza dal volto umano ed eticamente ispirata. 6) La politica: il Centro di formazione professionale è un luogo pertinente per l’educazione ai valori democratici e alla promozione del senso civico. Questo dipende dal modo in cui gli utenti vengono coinvolti, dai messaggi impliciti ed espliciti che ricevono rispetto alla nobiltà della politica. La formazione professionale è dotata inoltre, di una intrinseca politicità, perché per sua natura ha uno stretto legame come le politiche attive del lavoro per le quali rappresenta una risorsa e un punto di riferimento irrinunciabile. 12 7) Le sfide della comunità internazionale: crediamo che il formatore sia un pro- fessionista impegnato a dare speranza, ad aiutare a trovare soluzioni identifi- cando le sfide del proprio tempo. 3. LE FINALITÀ DELLE SINGOLE AREE Area 1: Generare socialità dentro l’incertezza Quest’area si propone: • di introdurre il formatore alle questioni che saranno discusse durante il per- corso formativo. In particolare è finalizzata a giustificare la rilevanza della problematica etica per la propria professione e a favorire una riflessione sulla propria esperienza professionale intesa come opportunità che facilita per le giovani generazioni l’integrazione di bisogni personali con vincoli strutturali, attraverso l’interazione con altre persone; • di sensibilizzare il formatore in merito al recupero del valore della comunità come costruzione condivisa di significati individuando le caratteristiche di un Centro di formazione professionale intesto come comunità morale; • di proporre immagini e metafore della società contemporanea per favorire nel formatore la capacità di rappresentarsi concettualmente le dinamiche che la caratterizzano, in particolare l’aspetto della fluidità e quello reticolare. Area 2: La Dottrina sociale della Chiesa (DSC) come bussola per la transizione Quest’area si propone: • di distinguere la specificità della Dsc in rapporto alle varie discipline e ambiti del sapere che la costituiscono e con cui entra in rapporto proponendo le prin- cipali encicliche sociali, collocandole sommariamente nel loro periodo storico e valorizzandone i principali apporti contenutistici; • di focalizzare il rapporto tra se stessi e la Dsc prendendo coscienza di quanto essa ci offre e quanto ci chiede sia in termini di conoscenza che di prassi; • di conoscere i termini fondamentali del rapporto che lega tra loro la persona umana e la società come fondamento dei diritti umani e di una organizzazione sociale e politica che abbia come fine la promozione dell’uomo; • conoscere gli aspetti del principio di sussidiarietà, distinguendolo dalle con- traffazioni e valutare la sua capacità di orientare la prassi circa importanti que- stioni sociali di attualità. 13 Area 3: Nuove parole antichi valori: la centralità della famiglia Quest’area si propone di: • analizzare criticamente la propria concezione di “famiglia”, leggere i cambia- menti in atto a livello socio-culturale in modo complesso, cogliendone le am- biguità e i problemi ma anche le risorse; • indicare le correlazioni esistenti tra i cambiamenti socio-culturali in atto e il cambiamento delle concezioni di famiglia; • conoscere le linee generali e i fondamenti antropologici del pensiero della chiesa sulla famiglia e stimolare una riflessione critica; • individuare la dimensione sociale come dimensione essenziale e costitutiva della famiglia; • cogliere i nessi esistenti tra cultura della famiglia e cultura della società e ri- flettere su come valorizzare la risorsa famiglia all’interno di un CFP. Area 4: L’uomo e il lavoro Quest’area si propone di: • conoscere e valutare criticamente i principali cambiamenti in atto nel mondo del lavoro, analizzando il rapporto dinamico che esiste tra solidarietà e lavoro; • conoscere i principali diritti dei lavoratori; • cogliere e motivare l’urgenza di un’educazione al lavoro come esperienza gra- tificante; • e utilizzare il “modello del flow” come strumento per rileggere la propria esperienza di formatore; Area 5: L’uomo, i beni, l’economia Quest’area si propone di: • stimolare una riflessione in merito al tema della regolazione del mercato, di- stinguendo i beni che possono essere scambiati e quali soggetti sono chiamati a farlo; • conoscere gli elementi essenziali dell’evoluzione del concetto di “capitalismo” e il ruolo del soggetto umano come orientatore culturale dell’economia di mercato. 14 Area 6: Nuovi orizzonti della partecipazione politica Quest’area si propone di: • cogliere i motivi di crisi della democrazia assieme alle opportunità per una sua ripresa; • far maturare la consapevolezza che i giovani non sono a-politici per natura e che la loro sensibilità socio-politica va educata, riconoscendo che le nostre istituzioni, anche formative, a volte sono responsabili della mancanza di pas- sione politica; • recuperare la dimensione “politica” legata all’azione formativa in particolare espressa dalla figura del Direttore del CFP e l’importanza di una corretta edu- cazione al “potere”; • individuare alcune prospettive di soluzione della crisi dello Stato secondo l’a- spetto “verticale” del principio di sussidiarietà e conoscere le problematiche del passaggio dal Welfare State alla Welfare Society e valutare criticamente i vantaggi e i pericoli. Area 7: Le sfide della comunità internazionale Quest’area si propone di: • riconoscere le questioni poste dal fenomeno della globalizzazione, consideran- done gli aspetti positivi e negativi; • delineare le sfide poste all’educazione e avviare qualche iniziativa di carattere progettuale; • motivare la necessità di una nuova paideia per il futuro dell’educazione deli- neando le caratteristiche del profilo di uomini e cittadini che l’educazione si dovrebbe proporre; • approfondire il concetto di povertà e il suo legame con i temi della salute e dell’istruzione e conoscere le principali iniziative in atto per uno sviluppo so- stenibile e non-violento. AREA 1 GENERARE SOCIALITÀ DENTRO L’INCERTEZZA MICHELE VISENTIN INDICE Modulo 1 - Formazione professionale e comunità Lezione 1 - Verso un professionismo etico Lezione 2 - La comunità educativa come setting dell’utopia Modulo 2 - Semantiche del sociale Lezione 1 - Verso una società fluida Lezione 2 - Società globalizzata e nuove precarietà Modulo 3 - Società della comunicazione e diritti di frontiera Lezione 1 - Il mito della società della comunicazione Lezione 2 - Società trasparente e nuovi diritti 17 MODULO 1 FORMAZIONE PROFESSIONALE E COMUNITÀ LEZIONE 1 VERSO UN PROFESSIONISMO ETICO OBIETTIVI DELLA LEZIONE: Al termine della lezione, che si propone di introdurre il lettore alle questioni che saranno dis- cusse all’interno dell’area, il lettore sarà in grado di: - giustificare la rilevanza della problematica etica per la propria professione; - svolgere una riflessione sulla propria esperienza professionale intesa come opportunità che faci- lita per le giovani generazioni l’integrazione di bisogni personali con vincoli strutturali, attra- verso l’interazione con altre persone. CONTENUTI: 1. La magica danza della tecnica; 2. La questione etica fondamentale; 3. Integrare i mondi vitali; 4. Mappa riassuntiva. «Non lavoriamo per passatempo, né per un interesse, né per un piacere, ma tesi verso la verità e per la comunità uni- versale, dalla quale nessuno è escluso, né alcun aspetto della verità, tesi verso Dio, anche se per molti di noi il Dio scono- sciuto». (E. Mounier, 1934) 1. La magica danza della tecnica Il senso e la validità di ogni processo formativo si misurano in relazione all’a- derenza del processo con la vita quotidiana. È nella vita quotidiana che la persona esplica se stessa attraverso un ruolo ed una funzione che, in senso lato, noi chia- miamo “professione”. La nostra professione dovrebbe essere vissuta come l’opportunità di manife- stare ciò che siamo, attraverso il lavoro, all’interno di una rete di rapporti sociali ed economici. Garantire che questo sia possibile è il motivo che dà senso all’agire del forma- 18 tore che opera in un contesto dove la formazione professionale costituisce la mis- sione principale. Perché questo sia possibile, ovvero per aiutare i giovani a recuperare la capa- cità epifanica (manifestativa) del lavoro inteso come professione, è necessario ri- mettere al centro della riflessione e della formazione dei formatori il tema del rap- porto tra etica e professione. Pensare alla propria professione in termini etici significa: • accettare di confrontarsi sul tema dell’agire umano e dei valori che in esso sono implicati; • cercare alcune categorie capaci di facilitare l’interpretazione del mondo in cui si vive; • tentare di produrre degli strumenti di analisi e di ricerca dei valori implicati nell’esercizio del proprio lavoro. Questo tentativo di comporre l’etica con l’agire professionale è quanto mai at- tuale, soprattutto se pensiamo alla frattura che molti educatori denunciano tra il modo in cui i giovani percepiscono se stessi e la realtà in cui devono necessaria- mente incarnarsi. In uno spazio vuoto, disincantati, a volte smarriti, i giovani sembrano vivere il loro tempo quasi sospesi, in attesa di un futuro molto incerto, privi di un passato del quale fare memoria e al quale appartenere. Per molti giovani (e adulti) è una condizione di non-appartenenza e di frammen- tazione, che è divenuta terreno fertile per maturare piccole e grandi sofferenze, soli- tudini, ripiegamenti su di sé. Essi sono il segno di un presente che fatica ad intrec- ciarsi e a ricomporsi unitariamente, in armonia con le altre dimensioni del tempo. • È evidente che alle nuove generazioni viene presentato il conto della preca- rietà politica, economica, educativa, e con esso il rischio della rassegnazione e della disillusione verso il futuro. • È evidente che i giovani hanno ragioni da vendere per giustificare l’assenza di un progetto utopico generazionale e il ripiegamento nelle logiche utilitari- stiche imposte dal mondo della tecnica. “La tecnica è la magica danza che il mondo contemporaneo balla. Possiamo partecipare alle vibrazioni e alle oscillazioni di quest’ultimo soltanto se capiamo la tecnica. Altrimenti restiamo esclusi dal gioco” (E. Junger, 1997). Ma è accettabile che la vita finisca per essere semplicemente un’attività di ap- propriazione del mondo attraverso il lavoro, magari vissuto come fatica e aliena- zione? Nel suo Psiche e Techne, Galimberti ci ricorda che “…l’insensatezza non nasce da una forza antagonista all’uomo, ma dagli stessi prodotti umani, che hanno gua- dagnato una vita propria e ad essa hanno subordinato la vita umana, per cui se per i cantori del dolore universale, come vuole Schopenhauer, la vita e il mondo sono privi di senso perché una forza antagonista impedisce all’uomo di realizzarlo, per 19 gli uomini dell’età della tecnica la vita e il mondo sono privi di senso perché in un universo di mezzi, la tecnica non se ne propone alcuno” (Galimberti, 1999). 2. La questione etica fondamentale Il problema etico fondamentale sembra essere questo: possiamo stare umana- mente nella tecnica, oppure siamo assolutamente vincolati a starci come lavoratori o per meglio dire come produttori? (Totaro, 1998) È la questione del nostro tempo, che si configura essenzialmente come que- stione etica, e si specifica come etica professionale ed etica del lavoro. La riscoperta dell’etica ha preso le mosse dalla denuncia dell’individualismo massificante che caratterizza la società moderna, e dalla rimozione del problema del senso, dalla dimenticanza di se stessi in nome di un benessere materiale illusorio. La tecnica ha finito infatti per disporre di noi e renderci indisponibili all’altro, quando invece, secondo Heidegger, proprio grazie ad essa noi potremmo impegnarci nella riuscita dell’apparire dell’essere che non è ancora per noi. Ma se il proprio modo di svelare l’essere diventa unilaterale, nel senso che la tecnica dimentica di es- sere modo di apparire dell’essere e si richiude unicamente all’interno della rete dei suoi rimandi, diventa una totalità che rinvia a se stessa e si contrae in una chiusura. Per Heidegger questo è il modo comune di rapportarsi alla tecnica, che finisce per sovrabbondare e manifestare il suo carattere più angosciante: l’imposizione. Per superare l’imposizione e recuperare un’idea della tecnica e del lavoro come apertura all’essere occorre rimettere al centro il tema della questione morale. Si sente la necessità di cercare un paradigma per l’azione che non sia alternativo alla tecnica ma un suo completamento. La centralità della questione etica pone però alcuni problemi che vanno espli- citati. Primo problema Nel suo Teoria dell’agire comunicativo, Habermas chiama “colonizzazione dei mondi vitali” il processo che ha condotto alla sostituzione della praxis con la tecnica, svuotando l’agire umano di qualsiasi intenzionalità etica, in altre parole, di qualsiasi carattere teleologico. I comportamenti sono così regolati da norme co- muni, alle quali ci si adegua passivamente. La prima urgenza consiste dunque nell’intercettare i mondi vitali colonizzati e nel tentare di liberarli facendoli interagire a partire da un orizzonte comune di senso. Ma come accordarci su questo orizzonte comune? Chi lo decide? Secondo problema La riflessione etica contemporanea non è unanime nel rappresentarsi l’espe- rienza etica, tanto che si possono rintracciare almeno tre filoni di pensiero che ani- mano il dibattito attualmente: 20 • Il neo-contrattualismo di J. Rawls e l’etica del discorso di K. Otto Apel e di J. Habermas, unitamente alle posizioni dei neoutilitaristi, propongono, semplifi- cando, l’individuazione di criteri di giustizia che siano universalmente norma- tivi. È un’etica della legge e della norma. • Su posizione completamente opposte, MacIntyre che, nel suo saggio Dopo la virtù , propone il recupero dell’antica idea di virtù come habitus, frutto di una formazione interiore. • Tra l’etica della norma e quella della virtù, filosofi come Ricoeur e Taylor pro- pongono un recupero delle istanze oggettive e soggettive implicate nel com- portamento etico e rivalutano il ruolo del soggetto responsabile della scelta morale. 3. Integrare i mondi vitali Ma c’è qualcosa di nuovo che interpella gli educatori che, a vario titolo, svol- gono una professione formativa: l’appello ad una vita piena e compiuta, felice, non smette di risuonare e di animare le coscienze di molti giovani, soprattutto quelle più inquiete. Nuove forme di associazionismo e di impegno sociale e politico danno voce ad un inedito bisogno di verità e di autenticità. Se nessuno può esimersi dal ricercare e perseguire le condizioni che permet- tono a questa voce di essere soddisfatta, per un formatore tale ricerca finisce per essere un imperativo morale, sul quale fondare un codice deontologico professio- nale. Ci viene in mente l’invito di un filosofo contemporaneo, P. Ricoeur, a formu- lare questo appello coniugando tre termini: “un’aspirazione ad una vita compiuta, con e per gli altri, in istituzioni giuste”. I nostri bisogni e desideri, l’apertura e la sollecitudine verso gli altri, le istituzioni sono termini che possiamo imparare a co- niugare insieme. Aspirazione ad una vita compiuta con e per gli altri in istituzioni giuste Ci sentiamo sospesi, in uno spazio vuoto, ma possiamo riempirlo perché • non crediamo che una vita compiuta sia possibile senza fare i conti con le strutture, i sistemi, gli apparati economici e burocratici che regolano la vita di una comunità; • non crediamo che una vita compiuta sia possibile nell’isolamento e nell’as- senza di relazioni significative; • non vogliamo interiorizzare la sfiducia e l’insicurezza di fronte al futuro; 21 IL FORMATORE COME PROFESSIONISTA OLTRE LA TECNICA COME DESTINO La famiglia L’economia Il lavoro La società Le competenze professionali DEONTOLOGIA IL TRIPODE ETICO IL CFP COME COMUNITÀ CHE INTEGRA Etica professionale LA QUESTIONE ETICA INTEGRARE MONDI VITALI • crediamo di poter essere capaci di coniugare insieme desideri, relazioni e strutture politiche ed economiche; • ma soprattutto crediamo che la comunità educativa sia un luogo pertinente per formare cittadini e professionisti capaci di svincolarsi dal destino della tecnica. C’è dunque un compito che si profila per i formatori e gli educatori: quello di aiutare le nuove generazioni a tenere sempre insieme, articolandoli, i tre elementi in gioco. Spesso invece noi tendiamo ad assolutizzarne uno rispetto agli altri, per- dendo di vista l’intima relazione che esiste già nel profondo del nostro essere tra la parte e il tutto. Potremmo cominciare: • a lavorare sulle parole: ci sono parole che sono scrigni pieni di pietre preziose. Perché non recuperare il senso delle parole che animano il dibattito contempo- raneo sulla società, l’educazione, l’economia, la famiglia? • a recuperare il valore della comunità come luogo dove intrecciare aspirazioni personali, dimensioni strutturali e inter-azioni significative; • a dare un nome ai bisogni e ai problemi: in che cosa consiste la nostra aspira- zione ad una vita compiuta? Come definire il nostro orizzonte etico? • a non pensare alla tecnica solo tecnicamente, ma come a qualcosa che rimanda a qualcosa d’altro e di ulteriore. 4. Mappa di sintesi 22 EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE Il brano che segue è tratto da una ormai classica pagina del padre del persona- lismo comunitario, E. Mounier. L’autore presenta il tema della testimonianza e del- l’impegno come possibilità di trasformare “una società che sia in tristi condizioni”. Le chiediamo una riflessione personale. Non si domina una società che sia in tristi condizioni con mezzi simili ai suoi stessi mezzi. Alla violenza sistematica non opporremo la violenza sistematica, né il danaro al danaro, né alle masse depersonalizzate altre masse ugualmente impersonali. Non è dunque con mezzi sontuosi, con capitali potenti, con partiti amorfi che reclutano in massa degli aderenti come tutti gli altri milioni di ade- renti di tutti i gruppi del mondo, che il personalismo raggrupperà le sue forze. Non è nemmeno con “la sola forza dell’idea” generale, distaccata dall’impegno che apportano degli uomini vivi. È mediante l’irradiazione personale e progres- siva della propria testimonianza intorno, di volontà convinte e irresistibili. Al blocco delle adesioni noi sostituiremo la catena degli impegni, alla propaganda di massa e superficiale, l’innesto cellulare. La tattica di ogni rivoluzione personalista consiste nel porre in tutti gli organi vi- tali, oggi sclerotizzati, della civiltà decadente, i germi e i fermenti di una civiltà nuova. Questi germi saranno comunità organiche, formate intorno ad una istitu- zione personalista embrionale, o ad un atto qualunque di ispirazione persona- lista, o semplicemente dallo studio e dalla diffusione delle posizioni personaliste. Il personalismo non è qualcosa che salva all’ultimo minuto, destinato a ridurre le paure e a salvare il salvabile. (E. Mounier, Manifesto al servizio del personalismo comunitario) - Ritiene ancora attuale il richiamo alla centralità del carattere irresistibile di una testimonianza portata da uomini vivi? - Quale contributo può dare, attraverso la sua professione, alla costruzione di comunità organiche che assegnino un ruolo centrale alla persona? Bibliografia A. CENERINI - R. DRAGO (a cura di), Insegnanti professionisti, Erikson, Trento 2001. A. CENERINI - R. DRAGO (a cura di), Professionalità e codice deontologico degli insegnanti, Erikson, Trento 2000. U. GALIMBERTI, Psiche e techne, Feltrinelli, Milano 1999. A. GNOLI - F. VOLPI, I prossimi Titani. Conversazioni con Ernst Junger , Adelphi, Milano 1997, p. 22. M. MACINTYRE , Dopo la virtù , Feltrinelli, Milano 1998. P. RICOEUR, Sé come un altro, Jaca Book, Milano 1993. F. TOTARO, Non di solo lavoro, Vita e Pensiero, Milano 1998. C. XODO CEGOLON, Etica ed etica della professione, in: Studium Educationis n. 1 (1999), pp. 116-127. Per una riflessione sull’etica professionale degli insegnanti, cfr.: http://www.itis-molinari.mi.it/documents/corefac/eticaeprofessione.html 23 MODULO 1 FORMAZIONE PROFESSIONALE E COMUNITÀ LEZIONE 2 LA COMUNITÀ EDUCATIVA COME SETTING DELL’UTOPIA OBIETTIVI DELLA LEZIONE: Al termine della lezione, che è finalizzata a sensibilizzare il lettore in merito al recupero del va- lore della comunità come costruzione condivisa di significati, il lettore sarà in grado di: - evidenziare i diversi aspetti che contribuiscono alla costruzione del concetto di comunità; - individuare le caratteristiche di un Centro di formazione professionale intesto come comunità morale. CONTENUTI: 1. L’orizzonte etico condiviso; 2. Origine di un’utopia; 3. L’intreccio Persona-Comunità-Struttura; 4. Verso un Centro di Formazione Professionale come comunità morale. 1. L’orizzonte etico condiviso La cultura viene prima. Prima delle nostre relazioni economiche, commerciali. Prima del mercato. La capacità di attribuire un senso a ciò che ci accade, di creare una lingua, valori condivisi, prossimità ed intimità, è alla base della costituzione di tutte quelle istituzioni secondarie che sono lo Stato, il commercio, il mercato. La cultura viene prima. La “funzione” che esercitiamo nel nostro lavoro, il posto che occupiamo sono qualcosa di differente dall’interpretazione e dal significato che attribuiamo alla no- stra professione. L’etica professionale si misura non tanto in relazione alla funzione esercitata adeguatamente, ma al senso che diamo alla nostra professione. - Che cosa significa essere un professionista della formazione professionale? - Quale valore attribuiamo al nostro agire e a quali significati condivisi fac- ciamo riferimento? 24 - Qual è la cultura organizzativa implicita che orienta e giustifica le nostre scelte professionali? - Come ci pensiamo? - Esiste un orizzonte di senso capace di attivare l’energia vitale che possediamo, di mantenere l’integrità della nostra persona? « Chi non ha un orizzonte è un uomo che non vede abbastanza lontano, perciò sopravvaluta ciò che gli sta più vicino. Avere un orizzonte significa… saper vedere al di là di questo. Chi ha un oriz- zonte sa valutare correttamente all’interno di esso il significato di ogni cosa, se- condo la prossimità e la lontananza, secondo le dimensioni grandi o piccole. Questo esige un atto di innalzamento » (H.G. Gadamer). Che l’orizzonte si sposti man mano che ci muoviamo per raggiungerlo im- porta poco, ciò che conta è che esso definisca una direzione, indichi uno scopo, rappresenti un valore. Spesso tale orizzonte è servito per evitare la stagnazione delle dinamiche so- ciali, politiche e culturali, proponendosi nelle vesti di un’utopia. Utopia come “luogo che non c’è”, ma utopia anche come “luogo del bene”, di un bene comune che funziona da collante e da attrattore. La razionalità strumentale ed economica da una parte e la sfiducia e la rasse- gnazione dall’altra, fanno apparire coloro che ritengono l’utopia necessaria e vitale come dei sognatori fuori dal tempo. Eppure qualcosa si muove. Negli ultimi anni, si è tornati ad occuparsi di un tema che ha tutte le caratteri- stiche per proporsi come una nuova utopia. È il tema della comunità, dove è possi- bile recuperare un ethos civile che dal basso ponga le basi di un nuovo modello di sviluppo, o più semplicemente di un nuovo modo di stare insieme. Possiamo pensare, dunque, che l’orizzonte etico che giustifica il “professio- nismo” del formatore abbia a che fare con la necessità di promuovere comunità in cui le persone costruiscono significati e legami condivisi. 2. Origine di un’utopia Da un punto di vista filosofico-politico, il pensiero corre al movimento di cri- tica al liberalismo, delineatosi a partire dagli anni ottanta negli Stati Uniti con il nome di Comunitarismo. Il Comunitarismo vede la luce nel 1982, con il libro di Michael J. Sandel, Li- beralism and Limitis of Justice . Il bersaglio polemico è senza dubbio l’approccio individualistico della teoria di Rawls. Tra gli altri, si possono ricordare anche Ala- sdair MacIntyre e Philip Selznick. Tre sono fondamentalmente le critiche comuni- tariste alle teorie liberali: 25 • da un punto di vista antropologico, il liberalismo sembra avere un’idea sem- plificata del sé; sembrerebbe infatti che l’identità personale non possa co- struirsi se non all’interno di una comunità e di un sistema di relazioni; • da un punto di vista etico, il problema del liberalismo è quello di individuare semplicemente un contesto giuridico, all’interno del quale gli individui pos- sano perseguire le proprie concezioni di bene senza che lo Stato ne favorisca alcuna; ma questa posizione è criticata dai comunitari che ritengono inaccetta- bile una concezione individualistica del bene; • l’assenza di un bene comune porta il liberalismo ad avere una concezione stru- mentale della comunità, che finisce per essere semplicemente uno strumento per il raggiungimento di fini individuali. Da un punto di vista prettamente sociologico, è da ricordare la riflessione di uno fra i più noti sociologi contemporanei, Zygmunt Bauman. Recuperando tesi ormai entrate nel lessico comune, frutto di una riflessione sulla modernità che si protrae da anni, nel libro Voglia di comunità, Bauman ci mette in guardia dal so- gnare una comunità come rimedio al nostro desiderio di sicurezza e controllo sulle condizioni della nostra vita. La comunità può anche essere la tomba della libertà, un rifugio antiatomico, una nicchia in cui rinchiudersi e coltivare nuove forme di intolleranza e di violenza. In Italia, significativo il contributo che alla riflessione sul tema della comunità ha dato Pietro Amerio, da un punto di vista psicologico. L’autore ci propone di non sottovalutare che la comunità è oggetto di una costruzione comune e che interessa processi affettivi, emozionali, cognitivi. L’attenzione è posta soprattutto sul valore dell’azione, sull’importanza che la comunità sia il risultato di un agire soggettivo. La comunità non è qualcosa che si offre a degli individui per aggregarli e legarli tra loro, ma è soprattutto un prodotto di questi stessi individui, il frutto e la conse- guenza della loro azione. La comunità è il frutto di un’attivazione, ma le persone spesso non si attivano perché il contesto non offre sufficienti risorse alle persone. È qui che Amerio propone la comunità come utopia, o meglio, l’utopia è l’azione intesa come processo di costruzione della comunità. 3. L’intreccio Persona-Comunità-Struttura Se il senso della realtà esiste, e nessuno può mettere in dubbio che la sua esi- stenza sia giustificata, allora, ci deve essere anche qualcosa che chiameremo senso della possibilità. Chi lo possiede non dice, ad esempio: qui è accaduto questo o quello, accadrà, deve accadere; ma immagina: qui potrebbe o do- vrebbe accadere la tale o talaltra cosa; e se gli si dichiara che una cosa è com’è, egli pensa: be’, probabilmente potrebbe anche essere diversa. Cosicchè il senso della possibilità si potrebbe anche definire come la capacità di pensare tutto quello che potrebbe essere, e di non dare maggiore importanza a quello che è, che a quello che non è. (Musil, L’uomo senza qualità) 26 Possiamo mettere in gioco le metafore che solitamente usiamo per descrivere l’ambiente in cui lavoriamo, inventarne di nuove, capaci di farci vedere quello che non c’è? Se pensiamo ai luoghi della formazione professionale, in particolare, le nostre metafore dipendono da come ci rappresentiamo i legami che tengono insieme le persone, i motivi che giustificano le relazioni e le interazioni. Proposta di esercitazione: - Quali sono le metafore che sceglierebbe per descrivere l’ambiente in cui la- vora? - I legami tra le persone sono giustificati da motivazioni estrinseche o intrin- seche? - I comportamenti, le scelte, le modalità di interazione che sperimenta mentre lavora, sono giustificate da un contratto, più o meno esplicito, o da un’al- leanza attorno a principi condivisi? Per l’idea che abbiamo di educazione, il concetto di comunità è sempre stato oggetto di attenzione, per la sua capacità di tradurre in comportamenti visibili uno stile di vita fraterno, comunitario appunto, ma anche perché, nella comunità, l’edu- cazione, e quindi la persona nella totalità delle sue dimensioni, viene posta al centro dell’attenzione. Le motivazioni che ci spingono ad accettare la sfida dello “sviluppo di comu- nità” sono legate alle domande che sentiamo emergere nella società di oggi, e che dal nostro piccolo osservatorio quotidiano riconosciamo presenti anche nella no- stra città, nel nostro quartiere, nelle nostre scuole: • domanda di relazioni affettive vitalizzanti • domanda di compagnia • domanda di motivazioni • domanda di spiritualità • domanda di punti di riferimento. Ma che cosa intendiamo noi con il termine “comunità”, quando lo riferiamo ai nostri contesti educativi? • Per comunità solitamente si intende il luogo dove la gente vive-lavora, un in- sieme di persone, un sistema di relazioni, ma soprattutto oggi è intesa come un soggetto, e come tale in possesso di un’identità, che ha competenze, potere di modificare situazioni e affrontare problemi. • Metterla al centro delle nostre riflessioni, indicarla come concetto fondamen- tale, significa proporre l’idea che, se è nella comunità che si originano i pro- cessi di cambiamento, trasformazione, emarginazione delle persone, allora è in essa (nella sua interezza) che occorre agire per avviare possibili cambia- menti, e non in singoli settori, o parti. 27 • Occorre però sottolineare la distinzione tra la comunità, a cui spesso si fa riferi- mento nel lavoro socio-culturale e l’espressione “Comunità Cristiana” che indica quel soggetto che, trasformato dall’esperienza dello Spirito Santo, mantiene in sé tutti gli elementi che fanno il senso della comunità: l’appartenenza, l’integra- zione, la connessione emotiva condivisa, ed assume uno stile missionario. • Inserito in un progetto di evangelizzazione, il CFP non deve confondere i due significati di comunità, tuttavia si distingue da altre proposte analoghe (centri sociali, centri comunitari territoriali…), tracciando dei confini attorno a sé, che non indicano separazione e chiusura, ma che tuttavia permettono il supe- ramento di una certa genericità educativa. • Occorre inoltre sottolineare che, pur essendo il CFP animato da un gruppo che si riconosce appartenente alla Comunità Cristiana, esso si rivolge a tutti e ac- coglie tutti coloro che sono disponibili a sottoscrivere il patto educativo. • Scegliere la comunità come concetto di fondo significa anche passare dalla centralità del gruppo (classe o altro), come luogo di educazione, alla centralità del contesto relazionale in grado di dare significato, sostanza e credibilità a ciò che si insegna. • Tra il territorio e la famiglia come nucleo originario dell’educazione, pos- siamo immaginare il CFP come ponte in grado di proporsi come luogo fisico, ma soprattutto ideale per vivere la propria appartenenza. Noi pensiamo ad un CFP come a quella struttura finalizzata alla formazione delle persone in cui poter fare esperienza di comunità. L’attenzione che dobbiamo avere non è tanto ad uno dei termini in relazione (persona, comunità, struttura) ma al sistema che essi formano, in modo da giungere a realizzare strutture flessibili per persone forti. Se la “persona” è il singolo utente dei nostri CFP, la “struttura” rappresenta l’apparato organizzativo e la “comunità” il sistema di relazioni che ci caratterizza. - Come valutiamo il rapporto tra questi tre elementi, nell’ambiente dove lavo- riamo? - Le persone sono “schiacciate” dalla struttura? - Le relazioni sono favorite dalla struttura? - Il cambiamento possibile da dove dovrebbe partire? persona strutturacomunità 28 4. Verso un CFP come comunità morale Ci proponiamo di introdurre qui di seguito il tema del Centro di formazione professionale come comunità morale, dove le persone sono legate da un’alleanza sociale che facilita la connessione di valori e di significati comuni. L’idea è approfondita da T. J. Sergiovanni, nel suo Dirigere la scuola. Comunità che apprende. Recuperando la distinzione tra comunità (Gemeinschaft) e società (Gesellschaft), proposta nel 1887 da F. Tonnies, l’autore ci ricorda che nella Ge- meinschaft la volontà naturale è la forza motivante e che qui le persone si aggregano perché hanno in mente uno scopo e un significato intrinseci. Nella Gesellschaft, in- vece il collante che tiene insieme le persone è definito dall’utilità e dalla conve- nienza. Mentre nel primo caso i legami sono morali e carichi di significati simbolici, nel secondo sono deboli e fragili, perché esigiti solo dalla situazione contingente. - Quali sono le forme che può assumere una comunità morale? - Come descrivere la rete di relazioni che costituiscono una comunità morale? FENOMENOLOGIA DI UNA SCUOLA COME COMUNITÀ MORALE 1) Le relazioni: sono una variabile decisiva per definire il clima socio-affettivo di una comunità formativa. Gli utenti sentono come vitali comportamenti quali l’attenzione, l’ascolto, la comprensione, la simpatia. Soprattutto l’apertura e la sensibilità nei confronti di situazioni personali di sofferenza vengono percepiti come valori necessari per la promozione di un clima positivo. 2) La cultura: gli utenti, contrariamente a quanto si pensa, sono molto sensibili nei confronti dei messaggi che vengono veicolati dalla comunità formativa e che passano soprattutto attraverso le scelte culturali che i formatori compiono. Come si pongono gli adulti di fronte a determinati fatti o situazioni, che cosa pensano, in che cosa credono? C’è sintonia tra di loro o vengono percepiti come disarticolati nel modo in cui si pongono di fronte alla realtà culturale? Di che cosa si discute? 3) I valori: una comunità neutra o, peggio, impaurita, di fronte alla necessità di affermare alcuni valori fondamentali, è giudicata negativamente dalla maggior parte degli utenti. Valori quali l’onestà, la bellezza, l’attenzione, la giustizia, la verità, il coraggio, la responsabilità, hanno bisogno di una rete di adulti che in- carnino e che promuovano un dialogo costruttivo intorno a queste dimensioni dell’agire umano. 4) L’insegnamento-apprendimento: la qualità di una comunità formativa passa inevitabilmente attraverso la qualità dei contenuti e delle metodiche utilizzate per proporli agli utenti. Essendo una comunità di apprendimento, è su questo versante che l’attenzione è posta inevitabilmente, ma è anche il versante dove il professionismo degli operatori appare più carente. 29 5) La sicurezza: alcuni utenti percepiscono la scuola come luogo a rischio, so- prattutto fuori dalla classe. È importante invece che la comunità venga perce- pita come luogo sicuro, non protetto, ma capace di ridurre comportamenti a ri- schio e di prevenirli. 6) L’ambiente fisico: l’attenzione alle persone si estrinseca nella cura dell’am- biente fisico, che non significa unitamente ambiente pulito e ordinato, ma anche funzionale e flessibile, pensato per l’apprendimento e la socializza- zione, adeguato alle esigenze e ricco di spazi significativi e a volte anche per- sonali. 7) L’impotenza e la sfiducia nel cambiamento: è una sensazione diffusa che ha origine dall’incertezza che si vive a livello sociale. Questa incertezza produce disincanto e rinuncia a sognare ma anche sfiducia di poter migliorare la pro- pria condizione di vita, anche scolastica. È come se i giovani utenti avessero la sensazione di non riuscire a controllare il loro processo di sviluppo, finendo così per delegare agli altri o al destino la soluzione dei problemi. Una comu- nità morale, invece, è impegnata a promuovere partecipazione, corresponsabi- lità, soprattutto situazioni dove il sogno e l’utopia costituiscono dei valori. La centralità delle relazioni per la costruzione di una comunità morale ci per- mette di poter dire che non esiste clima comunitario se non all’interno di un rap- porto dinamico tra le persone, la struttura organizzativa e la comunità stessa. Bibliografia Z. B AUMAN, Voglia di comunità, Laterza, Roma-Bari 2001. A. ETZIONI e altri, Nuovi comunitari. Persone, virtù e bene comune , Ed. Arianna, Casalecchio di Reno (Bologna) 1998. A. FERRARA, Comunitarismo e liberalismo, Editori Riuniti, Roma 2000. H.G. GADAMER, Verità e metodo, Bompiani, Milano 1983. A. MACINTYRE , Giustizia e razionalità, Anabasi, Milano 1996. P. SELZNICK , La comunità democratica, Edizioni Lavoro, Roma 1999. T. SERGIOVANNI, Dirigere la scuola. Comunità che apprende, LAS, Roma 2000. M. VENEZIANI , Comunitari o Liberal, Laterza, Roma-Bari 1999. 30 MODULO 2 SEMANTICHE DEL SOCIALE LEZIONE 1 VERSO UNA SOCIETÀ FLUIDA OBIETTIVI DELLA LEZIONE: La lezione intende proporre immagini e metafore della società contemporanea per favorire nel formatore la capacità di rappresentarsi concettualmente le dinamiche che la caratterizzano. - Si discuterà in particolare la metafora della fluidità e le implicazioni nella percezione dello spazio e del tempo; - si espliciteranno i rischi implicati in una società delle reti. CONTENUTI: 1. Definizioni del sociale; 2. Formatori “solidi” in una società liquida? 3. Società e de-formazione dello spazio e del tempo; 4. In rete o nella rete? 1. Definizioni del sociale La definizione di alcuni principi etici in grado di orientare l’azione formativa presuppone la possibilità, da parte del formatore, di costruirsi una “cornice” teorica entro cui stabilire dei punti di riferimento. Tale cornice avrebbe la funzione di facilitare • l’interpretazione della società nella quale opera e • la comprensione delle sue dinamiche per coglierne le istanze formative più o meno esplicite. Il compito di stabilire un quadro di riferimento teorico capace di semplificare il contesto in cui si agisce è tuttavia complicato dalle innumerevoli e a volte con- traddittorie definizioni del sociale che la letteratura sociologica ci propone. Se il formatore tenta, infatti, un concettualizzazione della società contempo- ranea (compito non solo culturale ma anche etico!) si trova di fronte alla mancanza 31 di categorie adeguate e soprattutto condivise e forse non gli rimane che pensarla come “società postmoderna”. A tale definizione è sottesa l’idea che la modernità abbia già dato i suoi esiti e che la società contemporanea si trovi in una sorta di limbo in cui “non è più ma non è ancora”. Alcune caratteristiche costitutive del postmoderno potrebbero essere riassunte in questo modo: a) «Una nuova mancanza di profondità, che si estende anche alla “teoria” con- temporanea, a tutta un nuova cultura dell’immagine o del simulacro»; b) «un conseguente indebolimento della storicità»; c) «Tutto un nuovo tipo di tonalità affettiva – che chiameremo intensità – che può essere afferrata al meglio con un ritorno alle teorie del sublime del pas- sato»; d) «Il rapporto profondo di tutto ciò con un’intera nuova tecnologia, che è essa stessa immagine di tutto un nuovo sistema economico mondiale». Ciò che colpisce e rappresenta un’utile informazione per l’azione formativa è il rifiuto della profondità che è ormai “sostituita da più superfici”. In particolare nel postmoderno non funzionano più i modelli di profondità uti- lizzati nel passato e che ancora oggi noi usiamo sentendoci spesso fuori dalla storia: • il modello dialettico di essenza e apparenza, • il modello freudiano di latente e manifesto, • il modello esistenzialista di autenticità e in autenticità, • il modello semiotico del rapporto tra significante e significato. Se non ci sono punti di riferimento per stabilire alto/basso, profondo/superfi- ciale è evidente che non ha più senso parlare di vero/falso o di valore/dis-valore. Negli ultimi anni si sono imposte descrizioni del sociale più originali, almeno nella formulazione, grazie allo sviluppo delle nuove tecnologie. Per una mappa, seppur riduttiva, delle definizioni del sociale, vedere pagina seguente. 2. Formatori solidi in una società liquida? Le parole che usiamo, il lessico mutuato da discipline molto diverse tra di loro, ci suggerisce di pensare che la ricerca dell’originalità anche linguistica è te- stimonianza delle perdita delle vecchie parole del loro potere denotativo. Le cornici cognitive, i paradigmi culturali che finora abbiamo utilizzato per interpretare la società che ci circonda sembrano ormai giunti al loro punto di “fu- sione”. La solida cornice modello, rassicurante e normativa è ora più fluida e dei fluidi possiede tutte le caratteristiche. 32 In uno dei suoi ultimi lavori, Bauman ci ricorda, citando l’Enciclopedia Bri- tannica, che la fluidità, lo stato dei fluidi e dei gas, non mantiene una forma pro- pria. Così i corpi fluidi non hanno uno spazio predefinito e sono invece sempre in movimento, non stanno mai fermi, « scorrono, traboccano, si spargono, tracimano, colano, gocciolano, trapelano, possono aggirare gli ostacoli, scavalcarli o ancora infliltrarvisi» (Bauman, 2002). Ma soprattutto la straordinaria mobilità dei fluidi è ciò che ci permette di asso- ciarli all’idea di “leggerezza”. Motivi sufficienti, secondo Bauman, per considerare la fluidità o la liquidità come metafore pertinenti per comprendere la natura della società contemporanea. La metafora della fluidità permette di immaginare la società come “società di flusso” (Semprini, 2003) e di costruire una nuova semantica della società contem- poranea, meno rassicurante forse di quelle che abbiamo alle spalle, ma utile per scorgere quei corpi solidi che Ulrich Beck chiama “categorie zombie” e che so- stengono “ istituzioni zombie”, morte ma ancora viventi. Se la metafora è pertinente, che cosa può significare svolgere un’azione for- mativa in un contesto dove il senso, l’identità sono leggeri, liquidi e fluidi? Come pensare la “solidità” del formatore, la sua deontologia professionale, senza trasformarlo in uno zombie? Un formatore solido in una società liquida è anzitutto una persona capace di discernimento, ovvero capace di pensare in profondità senza ridurre o negare la posta in gioco, ma nemmeno trincerarsi in una specie di atteggiamento fatalista, per cui occorre o accettare il cambiamento in modo passivo o respingerlo decisa- mente. Cognitiva Riflessiva Fluida focus sulle logiche di funzionamento Focus sui paradigmi culturali Postmoderna Complessa descrizioni del sociale mondializzata globalizzata focus sulle modalità di organizzazione focus sui contenuti del sapere dell’intelligenza dell’informazione 33 Un sano discernimento ci permette di individuare ciò che a priva vista sfugge ad una lettura superficiale, ovvero due indicatori del cambiamento culturale che dovrebbero essere rimessi al centro delle nostre riflessioni: il rapporto dell’uomo con lo spazio e la sua percezione del tempo. 3. Società e de-formazione dello spazio e del tempo La dimensione dello spazio, il modo in cui lo abitiamo o lo dis-abitiamo, è la prima vittima di una società fluida ed è importante identificare le caratteristiche del nostro modo di viverlo, soprattutto se si tratta di spazi cosiddetti “pubblici”, ma anche è utile capire come abitare lo spazio pubblico ove l’azione formativa è agita. Estraneità contro prossimità Pensiamo anzitutto al nostro modo di vivere la città. Una città, secondo la de- finizione ormai famosa di Richard Sennet, è «un insediamento umano in cui è pro- babile che individui estranei si incontrino». La reciproca estraneità sembra essere la modalità tipica che abbiamo di abitare lo spazio. Anzi, lo spazio pubblico viene pensato e progettato per mantenere tale estraneità, o comunque per impedire l’inter-azione e l’incontro. Semplificando, potremmo affermare che i luoghi che abitiamo solitamente sono organizzati in modo tale che l’estraneità è: • combattuta-vietata • appiattita-assimilata • depotenziata-neutralizzata • ignorata-dimenticata. Nella società fluida ciò che si manifesta con evidenza è la presenza di spazi pubblici non civili dove le persone si incontrano mantenendo la loro reciproca estraneità. È possibile elencare alcuni di questi spazi, che appartengono alla nostra vita quotidiana. A) La piazza inospitale: come luogo che non invita alla interazione; B) Il tempio del consumo: il grande centro commerciale dove si esiste per consu- mare; C) Il non-luogo di transito: gli aeroporti, le grandi stazioni come metafore della perdita di identità e di sradicamento; D) Lo spazio-vuoto periferico: come luogo dimenticato, rimosso, perché occupar- sene richiederebbe una revisione radicale del nostro modo di intendere la co- munità. Tutti questi spazi parlano di noi, delle nostre paure e del rapporto che abbiamo instaurato con l’alterità. 34 Società e de-formazione del tempo La società del flusso esprime tutto il suo potenziale trasformativo e inquie- tante anche in relazione alla dimensione del tempo. I ritmi della nostra vita e i ritmi di funzionamento della società contemporanea sono molto cambiati negli ultimi anni, a volte in modo impercettibile a volte in modo eclatante. Lo scopo di questa sezione è quello di enunciare questi cambiamenti. La perdita del frattempo • La logica temporale della mobilità: è un processo a volte impercettibile, perché ci siamo dentro, ma è interessante notare come il nostro rapporto con i mezzi di trasporto stia cambiando negli ultimi anni: la maggiore disponibilità di alternative, per quanto concerne gli orari di partenza, ci porta a non modifi- care radicalmente gli impegni vincolandoci ad un orario predefinito, perché aerei, bus, treni ormai svolgono quasi la funzione “navette” a ritmo continuo. Si “prende il primo che c’è”, e sarà molto presto. Cambia il “ritmo” se la dis- ponibilità è praticamente illimitata o quasi, perché non sono costretto a orga- nizzare la mia giornata in relazione ad orari prefissati. • La logica temporale del consumo: non sarà sfuggito di certo che ormai, nelle grandi città metropolitane, i negozi hanno il cosiddetto “orario continuato”: si può acquistare di notte, durante la pausa del pranzo… nella società del flusso. • La logica temporale della comunicazione: fino a qualche tempo fa se si vole- vano informazioni occorreva rispettare la logica di un palinsesto televisivo che aveva il suo ritmo e ad ogni ora il suo programma. Oggi le informazioni sono impresse su una specie di rullo che gira ininterrottamente, senza fermarsi. La CNN fu maestra in questo. Lo spazio pubblico non civile La piazza inospitale Il tempio del consumo Il non-luogo di transito Lo spazio vuoto imperiosa impervia scoraggia a rimanervi l’altro è separato spazio galleggiante l’esperienza è individuale l’identità comune è mistificata l’altro è assimilato la presenza è puramente fisica l’altro è spersonalizzato invisibili e privi di significato l’altro è ignorato 35 Altri esempi potrebbero essere proposti per giustificare il cambiamento della logica temporale tipica di una società del flusso, pensiamo al mondo dei media o a quello del lavoro. Questi cambiamenti incidono soprattutto nella costruzione del senso che le persone danno alla loro esistenza quotidiana, perché sono, più o meno consapevol- mente, costrette a riposizionarsi e a prendere decisioni nuove. La presenza di un flusso temporale ininterrotto abolisce la discontinuità degli eventi che aveva il merito di dettare i ritmi del lavoro, del riposo, della relazione, del piacere disinteressato e della fatica, dell’informazione e del gioco… Spetta alla persona stabilire il ritmo della propria esistenza, i momenti in cui fare o non fare quella determinata azione: è il problema della gestione tempo come tempo che libera e che non fagocita. Il flusso temporale invece fagocita il tempo delle persone incapaci di darsi un ritmo, per cui si finisce per lavorare e basta, per consumare e basta, per saturarsi di informazioni e basta… Non c’è più un frattempo in cui occuparsi di sé, ma solo un incessante rumore di fondo. 4. In rete o nella rete? Diventa urgente, per il formatore, la necessità di una più alta sintesi intellet- tuale e l’acquisizione di un abito mentale spiccatamente critico. La società fluida si esprime essenzialmente come società interconnessa, e la metafora che più la rappresenta è quella della rete. Questa nuova semantica pone altri interrogativi. Il lato oscuro della società delle reti Il problema centrale posto da una società fluida è quello • del controllo, o meglio, del governo dei processi che innesca e • delle conseguenze che questi processi hanno sulle persone. Proviamo a delineare un’agenda delle questioni in gioco, evidenziando gli aspetti positivi e quelli negativi posti dalla globalizzazione della comunicazione. Cittadini in rete o nella rete? • Pensiamo al tema del benessere, a quello che viene definito il problema del welfare. Esso comprende sia aspetti materiali che intangibili, immateriali. Da un punto di vista prettamente economico, la società delle reti sembra garantire un aumento dei processi di produzione, rendendoli più efficienti ed efficaci. Le imprese non possono che giovarsi delle enormi potenzialità insiste nelle autostrade della comunicazione. 36 Questione aperta : la dimensione locale, il suo sviluppo armonico e compati- bile con le tradizioni regionali potrà essere garantito di fronte all’indifferenza delle multinazionali quando queste definiscono le loro priorità solo su scala globale? • L’innovazione tecnologica, inevitabile in una società delle reti, è ormai un im- perativo per qualunque soggetto interessato a produrre beni e servizi. La con- seguenza positiva sarà l’aumento dell’occupazione in quesiti settori ad alta specializzazione e soprattutto che richiedono servizi di contenuto. Questione aperta : da una parte l’occupazione in una società della comunica- zione tende a diminuire, dall’altra coloro che producono tecnologia avanzata tendono a schiacciare i consumatori piagandoli alle esigenze tecniche dei nuovi prodotti. Il consumatore non è mai il riferimento principale perché por- tatore di un bisogno, ma terminale nei confronti del quale il bisogno è indotto dalle leggi del mercato. Sicuri nella società del rischio? • Le persone sono più sicure con la diffusione di sistemi di protezione, di segna- lazione e di emergenza. Pensiamo alla diffusione e al successo del “telesoc- corso” per gli anziani e gli ammalati. Non sottovalutiamo poi il fatto che avere più informazioni permette la prevenzione di fenomeni eversivi, devianti e di controllare il clima e il consenso. Questione aperta : ma le cose non sono così semplici come appare. Si pensi che una delle riflessioni più emblematiche, ed ormai punto di riferimento irri- nunciabile per chi desideri riflettere sulle dinamiche attuali, è quella di An- thony Giddens, proposta nel suo Le conseguenze della modernità. La tesi di fondo è che la modernità stia mostrando il peggio di se stessa, radicalizzando alcuni suoi aspetti. Due sembrano i processi più evidenti secondo Giddens: la disaggregazione e la conseguente perdita del controllo. I meccanismi della fi- ducia vanno rivisti e il rischio è sempre dietro l’angolo. Liberi in democrazie apparenti? Non c’è dubbio che inseriti in una società reticolare la sensazione diffusa è quella di un aumento di democrazia derivante dal fatto che i processi di decentra- mento delle decisioni sono da tutti avvertiti come un dato ineludibile. L’essere in comunicazione con tutti, permette di evidenziare molto meglio, rispetto al passato, il valore dei nodi locali e delle aree periferiche. Anche il processo di privatizza- zione e quindi di arretramento di un potere centrale burocratizzato, promette mag- giore libertà e democraticizzazione dei rapporti economici. Questioni aperte : • dal punto vista della democrazia economica, il trend sembra essere quello della costituzione di oligopoli privati, soprattutto nelle telecomunicazioni. Si 37 pensa che tra non molto dieci imprese domineranno il mercato mondiale, assu- mendo il controllo totale delle decisioni politiche. • dal punto di vista della democrazia politica: se da una parte i cittadini si sen- tono più vicini al potere politico nella gestione della “cosa pubblica” e pos- sono controllarlo più facilmente, dall’altra le scelte politiche non sono mini- mamente influenzate dall’innovazione tecnologica, perché dipendono dalla cultura politica posseduta dai governanti e dai cittadini stessi. La democrazia politica, in altre parole, è un problema di contenuti, non di strumenti. Competenti vs. incompetenti: una nuova disuguaglianza sociale Nella società dell’informazione, il potere è di chi possiede le informazioni. È positivo pensare che il facilitato accesso alle informazioni aumenti l’empowerment complessivo della società. Ma la questione fondamentale, che appartiene al campo della democrazia economica, è che il divario tra le classi sociali, nella società delle reti, sta aumentando vertiginosamente! Questioni aperte : • La gente è più informata, ma è in grado di controllare la qualità dell’informa- zione che riceve? • Le persone possiedono le competenze sufficienti non solo usare un pc, ma per trasformare questa competenza in opportunità utile nelle proprie pratiche quo- tidiane? È questa la sfida più importante: non serve saper usare la nuova tec- nologia, se non sappiamo cosa farcene, o avere accesso a internet senza sapere che cosa cercare, e perché. Liberi e raggiungibili ovunque? C’è un fatto che ci sfugge, o che non abbiamo indagato a sufficienza: il “si- stema nervoso” della società, ovvero il sistema di connessione a rete, non siamo in grado di controllarlo. Siamo liberi di connetterci, ma poi siamo vincolati a qual- cosa che non conosciamo. C’è poi il tema della protezione della privacy informativa, da tempo dibattuta. Meno conosciuto è il fronte della cosiddetta privacy relazionale. 38 EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE Le chiediamo di rispondere a questi stimoli e di offrire la sua opinione al gruppo, utilizzando il news group. 1) Nella lezione le viene proposta la metafora della “fluidità” per pensare alle ca- ratteristiche della società in cui viviamo. - Questa metafora può essere utile anche per descrive l’ambiente in cui la- vora? - Pensando anzitutto al nostro modo di vivere dentro un CFP, si potrebbe parafrasare l’espressione di Sennet in questo modo: “un CFP è un insedia- mento umano in cui è probabile che individui estranei si incontrino”. Che cosa ne pensa? 2) Abbiamo osservato che i luoghi che abitiamo solitamente, sono organizzati in modo tale che l’estraneità è: - combattuta-vietata - appiattita-assimilata - depotenziata-neutralizzata - ignorata-dimenticata Nel suo ambiente di lavoro, quali segnali ci sono indicatori dell’atteggiamento che si ha nei confronti dell’estraneità o della diversità? 3) Ritiene corretta l’osservazione per cui l’estraneità-diversità è accolta se si tratta di un giovane, meno giustificata se è propria di un adulto, di un collabo- ratore o di un confratello? Bibliografia A. SEMPRINI, La società di flusso, Franco Angeli, Milano 2003. Z. B AUMAN, La modernità fluida, Laterza, Bari 2002. J. V AN DIJK , Sociologia dei nuovi media, Il Mulino, Bologna 2002. G. VICO, Tempo ed educazione nel postmoderno, La Scuola, Brescia 1998. 39 MODULO 2 SEMANTICHE DEL SOCIALE LEZIONE 2 SOCIETÀ GLOBALIZZATA E NUOVE PRECARIETÀ OBIETTIVI DELLA LEZIONE Al termine della lezione, il lettore sarà in grado di: - avere consapevolezza che i fenomeni globali aumentano la precarietà strutturale e richiedono cittadini riflessivi, partecipanti ed eticamente orientati. CONTENUTI: 1. Cos’è la globalizzazione; 2. Gobalizzazione, incertezza e rischio; 3. Nuove forme di precarietà; 4. La globalizzazione è “ciò che noi ne faremo”. Le indicazioni di Giovanni Paolo II. 1. Cos’è la globalizzazione Per globalizzazione si intende il processo di progressiva integrazione dell’in- tero pianeta con il superamento dei confini. I popoli si mescolano, le culture si contaminano, i mercati economici e finanziari si integrano, le comunicazioni an- nullano gli spazi e i tempi, gli Stati e le nazioni si aprono, le informazioni girano ovunque in tempo reale, si va in vacanza in tutte le parti del mondo, si consumano prodotti provenienti dagli antipodi. Tutte le barriere e gli ostacoli saltano. Le an- tenne paraboliche e Internet rendono impossibile la censura politica, non ci sono più Muraglie Cinesi che demarcano imperi e culture. La Mac Donald c’è in piazza Tien An Men a Pechino come in via del Corso a Roma. Proviamo a vedere cos’è più nel dettaglio la globalizzazione con l’aiuto del seguente riquadro. 40 La globalizzazione è tutto questo, ma non solo questo, essa è anche globaliz- zazione del crimine organizzato, del traffico di droga, di donne e di bambini. La globalizzazione è anche diffusione di virus come quello dell’Aids o della polmo- nite atipica. La globalizzazione, in altre parole, riguarda anche le paure e le incer- tezze, ad essere globalizzata è anche la precarietà. La globalizzazione è: Tecnologia e specialmente tecnologia informatica Economia globalizzata Strapotere della finanza Aumento verticale delle comunicazioni Superiorità dell’economia sulla politica Cultura globale Riduzione del tempo all’ora Riduzione dello spazio al qui Internet ha avuto, nel 2001, 700 milioni di utenti. Nel 1998 le prime 10 industrie di pesticidi controllavano l’85% del mercato globale; le prime 10 compagnie di telecomunica- zioni controllavano l’86% del mercato glo- bale. Nel 1997 nel corso di una notte sono stati spostati dai mercati finanziari dell’Asia orientale 12 miliardi di dollari il che ha provocato 13 milioni di disoccupati, dimi- nuzione del 50% dei salari. Il costo di una telefonata di tre minuti da New York a Londra è calato da 245 dollari nel 1930, a meno di 50 nel 1960 a 3 dollari nel 1990 a circa 35 centesimi nel 1999. La General Motors vende per un importo superiore al PIL di Stati come Thailandia, Norvegia, Arabia Saudita. La Mitsubishi più della Polonia, del Sudafrica, della Grecia. Hollywood ottiene più del 50% del sue en- trate dall’estero, nel 1996 ha rivenduto il 70% dei films in Europa, l’83% in Ame- rica Latina e il 50% in Giappone. Un giornale è già vecchio quando esce se di prima mattina si possono leggere tutti i giornali del mondo su Internet. Fabbricare automobili in Australia piut- tosto che in Germania costa solo il 5% in più. I missili sull’Iraq venivano lanciati dalla Florida. La Suissair ha il centro elet- tronico in India. 41 2. GLOBALIZZAZIONE, INCERTEZZA E RISCHIO Bisogna innanzitutto chiarire come la “precarietà” (qualcuno dice l’incertezza) sia una conseguenza strutturale dell’attuale fenomeno di globalizzazione, la quale è anche un nuovo orizzonte in cui tutti noi siamo collocati. Postnaturalità La globalizzazione ha contribuito a produrre la situazione che gli esperti chia- mano di postnaturalità ossia l’abbandono della natura e la sua tendenziale trasfor- mazione in cultura. Ora, molte dinamiche sociologiche indicano che il riferimento alla natura, ossia ad una dimensione che non dipende dall’uomo, è in forte diminuzione e in molti casi non rappresenta più un orizzonte di significato per l’uomo contempo- raneo. Gli organismi geneticamente modificati sono destinati ad aumentare. Un luogo naturale incontaminato ormai non esiste più, si trovano tracce di inquina- mento anche in Antartide e sull’Everest ormai ci vanno gruppi di turisti in elicot- tero. Le vacanze al mare si fanno in ogni periodo dell’anno. Frutti esotici arrivano da tutto il mondo anche in pieno inverno. L’ambiente circostante è talmente tra- sformato che abbiamo perso l’idea stessa di cosa sia “naturale”. Le immagini vir- tuali fanno parte del nostro modo di pensare la realtà. La tecnologia funziona da prolungamento dei nostri organi di senso. La natura si fonda su ritmi di tempo e su spazi determinati: la globalizzazione annulla lo spazio e il tempo. Post-tradizionalità Lo stesso capita per la tradizione. La globalizzazione apre i confini degli Stati e in questo modo mescola le tradizioni, le relativizza tutte e le dissolve in folklore. La macdonaldizzazione del mondo, come è stata anche detta, rischia di farci per- dere le tracce delle tradizioni locali. Mentre avanza la mercificazione, i legami tra- dizionali e organici tipici di ogni comunità vengono meno. Anche le veloci innova- zioni tecnologiche provocano l’abbandono delle tradizioni: oggi nessuno ripete il lavoro del padre, come invece avveniva una volta. La crisi della famiglia (aumento delle famiglie monoparentali anche ai causa di divorzi e separazioni sempre più frequenti) e della Chiesa, istituzioni cui una volta era demandato il compito di tra- sferire i valori morali da una generazione all’altra, è fonte di indebolimento delle regole tramandate. Il laissez faire in campo economico si traduce anche in laissez faire in campo etico. La tolleranza rischia di animare un relativismo morale che la- scia le persone “spiritualmente nude”. Il rischio indotto La globalizzazione produce lo sfondamento dei confini, ossia dei limiti, e pro- duce un fenomeno nuovo: il “rischio indotto”, ossia provocato da noi stessi come fenomeno collaterale ai nostri interventi per ridurre il rischio. Questo è sempre esi- stito, ma era per lo più legato ad eventi naturali: siccità, epidemie, inondazioni, ter- 42 remoti. La modernità è stato un enorme tentativo di ridurre il rischio soprattutto at- traverso lo sviluppo della scienza e della tecnica. Sono state così debellate ma- lattie, si sono costruiti sistemi sanitari pubblici, le assicurazioni, la previdenza so- ciale per la vecchiaia, eccetera. Eppure il rischio non diminuisce, anzi aumenta. Nascono nuove malattie frutto non della natura, ma dei nostri interventi sulla na- tura. Anzi, più interveniamo per ridurre i rischi e più ne produciamo di nuovi e im- prevedibili. Il cianuro nel Danubio, la “mucca pazza”, il petrolio nella Manica a se- guito dell’affondamento di una petroliera non sono rischi derivanti dalla natura ma dalla tecnica, ossia derivanti dai nostri interventi tesi a ridurre il rischio. Tali rischi sono globalizzati: la nube di Cernobyl vagava per tutta Europa, l’inquinamento non si ferma alle frontiere. Anche il rischio guerra e terrorismo sono ormai globali. Fine della modernità Questi tre elementi sono un portato della globalizzazione. Essi concludono la modernità e nello stesso tempo ne decretano la crisi. La modernità ha avuto il grande obiettivo di emancipare l’uomo (perfino dai suoi legami naturali), di pro- grammare il futuro dell’umanità in modo assolutamente libero e indipendente, di sviluppare la scienza e la tecnica in modo indefinito, di governare da un centro. Ma l’attuale società post-naturale, post-tradizionale e del rischio indotto dovuta alla globalizzazione rende quel sogno impossibile. La riflessività Dato che le leggi naturali e tradizionali non lo orientano più e i rischi non sono più prevedibili, l’uomo deve ora essere molto più “riflessivo” di un tempo, ossia deve decidere sempre più fondandosi unicamente sulle proprie risorse. Ma è molto faticoso in quanto non ha dei legami naturali su cui poter contare, non pos- siede una tradizione a cui fare appello e il futuro, che egli vorrebbe pianificare, è molto incerto: più egli lo pianifica, più è rischioso. La precarietà delle situazioni e l’ambiguità dei processi fanno ormai parte del nostro mondo. Si aprono spazi nuovi di responsabilità “riflessiva”. 3. NUOVE FORME DI PRECARIETÀ Un atteggiamento “riflessivo” verso la globalizzazione richiede una attenzione particolare a tenere presenti le nuove forme di precarietà che la stessa può indurre e che qui riassumiamo sinteticamente. La precarietà economica La prima è senz’altro la precarietà economica che certe dinamiche globali pro- vocano sia emarginando ulteriormente i paesi poveri, sia introducendo forme di precarietà economica anche vistosa nei paesi ricchi. La flessibilità introdotta nei Paesi sviluppati a seguito della concorrenza globale ha reso spesso più insicuri e 43 più deboli i salari, ha prodotto il fenomeno dei worker poors , che hanno sì un red- dito da lavoro ma inferiore al sussidio di disoccupazione. La precarietà della conoscenza La seconda è la crescente precarietà nella conoscenza. A titolo di esempio: le donne dei Paesi in via di sviluppo sono per il 60% analfabete, l’università di medi- cina di Nairobi è abbonata a 20 riviste mentre una biblioteca medica statunitense a 5 mila, nel Benin il 60% della popolazione è analfabeta, la Thailandia ha più tele- foni cellulari dell’intera Africa. La precarietà culturale C’è un fenomeno che può sintetizzare a titolo di esempio tutte e tre queste forme di precarietà: la corsa dei centri di ricerca occidentali a brevettare il patri- monio genetico delle piante del Terzo mondo e i risultati della loro ricerca nel campo delle biotecnologie. La pervinca rosa cresce solo in Madagascar ed ha delle proprietà anticancro formidabili. Dal suo sfruttamento una multinazionale farma- ceutica trae profitti molto alti, sfruttando di fatto il frutto della lunga esperienza dei contadini del Madagascar. Come si vede in questo caso la precarietà economica, della conoscenza e culturale fanno un tutt’uno. 4. LA GLOBALZZAZIONE È “ CIÒ CHE LE PERSONE NE FARANNO ”. L E INDICAZIONI DI GIOVANNI PAOLO II. Secondo Giovanni Paolo II, non “vi è dubbio che la globalizzazione sia un fe- nomeno che consente grandi possibilità di crescita e di produzione di ricchezza. Ma è pure da molti ammesso che esso non assicura di per sé l’equa distribuzione dei beni dei cittadini dei vari Paesi” (17 maggio 2001, Discorso alla Fondazione Etica ed Economia di Bassano del Grappa). Ciò significa che “La globalizzazione non è né buona né cattiva. Sarà ciò che le persone ne faranno” (27 aprile 2001, Discorso All’Accademia delle Scienze sociali”). La realtà della globalizzazione è fortemente ambigua, al punto che la parola stessa rischia di essere poco espressiva. Bisognerebbe infatti distinguere tra: - Globalità: è la realtà dell’integrazione planetaria di persone e popoli; - Globalizzazione: è il processo in atto che progressivamente produce nuova globalità; - Globalismo: è l’ideologia della globalizzazione che acriticamente presenta come buono tutto quanto è frutto della globalizzazione ed è globalizzato. La prima va accettata, la seconda va gestita, il terzo va combattuto. La globalizzazione è un fenomeno ambiguo perché da un lato integra e in- clude su un piano di universalità, dall’altro frammenta ed esclude su un piano di particolarità. 44 Tramite la globalizzazione le piccole imprese possono entrare in un mercato globale, uno studente africano può consultare una biblioteca negli Stati Uniti, vari paesi dell’Asia sono entrati pienamente nel sistema economico globale, aree sotto- sviluppate della Cina rese zone franche per attirare investimenti globali hanno de- collato nel giro di pochi anni, il commercio elettronico permette ad un piccolo ri- venditore di nicchia di avere una platea mondiale, l’India è diventato il principale esportatore di software uscendo dalla povertà, docenti universitari prendono parte a convegni e conferenze via internet, i movimenti per i diritti umani si collegano e organizzano manifestazioni tramite la “rete”, grazie all’e-mail 12 ore dopo l’at- tacco alle Twin Towers è stata presentata al Presidente Bush una petizione firmata da migliaia di persone che lo invitava a non reagire con la forza. Si tratta di esempi di come la globalizzazione possa promuovere l’integrazione. Contemporaneamente, però, la concorrenza si fa globale e quindi non pro- tegge i deboli. Il continente africano è alla deriva, 200 individui più ricchi del mondo hanno una ricchezza pari a 600 milioni di abitanti dei Paesi poveri, i salari reali diminuiscono per la concorrenza internazionale, per reggere il ritmo e stare sul mercato le imprese sono spesso costrette a licenziare e in questi casi le loro azioni subiscono un rialzo in Borsa, la differenza tra aree sviluppate e non della Cina è in aumento, mentre qualcuno ha un reddito di 500 dollari al secondo, mi- lioni di persone vivono con meno di un dollaro al giorno, gli investimenti diretti al- l’estero sono aumentati ma l’80% è andato verso solo 20 Paesi, il divario tra ricchi e poveri aumenta come dimostra la seguente tabella: Anno Rapporto tra nazioni più ricche e più povere 1820 3 a 1 1913 11 a 1 1950 35 a 1 1973 44 a 1 1992 72 a 1 Per superare tale ambiguità e dare un volto umano alla globalizzazione, gli in- segnamenti di Giovanni Paolo II tendono a riconoscere che la globalizzazione è ormai una realtà che ci pone davanti ad una nuova era, non è soggetta a mecca- nismi ciechi ed impersonali indipendentemente dall’uomo, deve essere considerata “il nuovo nome della questione sociale” (27 aprile 2002, Udienza alle Acli ) e deve essere affrontata globalizzando la solidarietà. Alla base della sua riflessione sulla globalizzazione c’è la convinzione che la causa strumentale di essa siano state la tecnologia e l’economia, ma che la causa sostanziale sia l’umanità stessa; “Prima di tutto ci sono il mondo, le persone, la fa- miglia umana, la famiglia dei popoli. Questa realtà è preesistente alle tecniche di comunicazione che permettono di dare una dimensione mondiale a una parte, ma solo a una parte, della vita economica e della cultura. Di mondiale c’è innanzitutto 45 il patrimonio comune, c’è, direi, la persona con la sua natura specifica di imma- gine di Dio e c’è l’umanità intera con la sua sete di libertà e di dignità. Mi sembra che sia a questo livello che si debba parlare innanzitutto di un movimento di mon- dializzazione, anche se è meno visibile e ancora frequentemente intralciato” (inter- vista al quotidiano francese “La Croix” del 20 agosto 1997). Bibliografia Z. B AUMAN, Il disagio della postmodernità, Bruno Mondatori, Milano 2002. ID., La modernità liquida, Laterza, Roma-Bari 2002. ID., La società dell’incertezza, Il Mulino, Bologna. U. BECK , La società del rischio, Carocci, Roma 2001. R. DAHRENDORF, Legge e ordine, Giuffré, Milano. N. SALAMONE, Postmodernità, Carocci, Roma 1999. C. TAYLOR , Il disagio della modernità, Laterza, Roma-Bari. 46 MODULO 3 SOCIETÀ DELLA COMUNICAZIONE E DIRITTI DI FRONTIERA LEZIONE 1 IL MITO DELLA SOCIETÀ DELLA COMUNICAZIONE OBIETTIVI DELLA LEZIONE: Al termine della lezione, finalizzata a evidenziare la categoria della “comunicazione” come schema principale utilizzato per rappresentarsi la società contemporanea, il formatore sarà in grado di: - conoscere l’origine del mito della comunicazione; - cogliere le ragioni di questo mito e la cibernetica di Wiener come il luogo teorico che l’ha pro- dotto. CONTENUTI: 1. Il paradigma della comunicazione. 2. La comunicazione “in teoria”. 3. La comunicazione come realtà “irreale”. 4. La comunicazione “educata”. 5. Un mito che fa discutere. 6. Comunicare per non morire? 1. Il paradigma della comunicazione Esiste un rapporto tra il modo in cui nominiamo la realtà in cui viviamo e il nostro modo di abitarla. Le parole che usiamo, il linguaggio e i discorsi che produciamo socialmente se, da una parte, servono per dare un nome alle nostre esperienza, dall’altro, queste stesse esperienze sono a volte prodotte dalle parole che entrano a far parte della nostra vita quotidiana. Una delle espressioni che ha, negli ultimi anni, raggiunto un livello tale di consenso da divenire ormai un assunto implicito per descrivere il nostro mondo è quella che interpreta la nostra società come “società della comunicazione”. 47 Questa prima area, finalizzata ad offrire al formatore una cornice anche lingui- stica per interpretare la realtà sociale, si conclude con una ricognizione sul tema della comunicazione intesa come un nuovo paradigma in grado di unificare e di fare da collante in un tempo in cui l’assenza di riferimenti ideologici e valoriali produce smarrimento e insicurezza. - Perché oggi si parla tanto di comunicazione? - Che cosa può significare pensare alla società della comunicazione come ad un mito, “inventato” per colmare un vuoto, ma forse, di fatto, relativa ad una realtà virtuale che non corrisponde alle descrizioni che di essa vengono fatte? Per un approccio “ragionato” e articolato su questo tema può essere utile uti- lizzare la mappa suggerita da Pier Cesare Rivoltella nel primo capitolo del suo Teoria della comunicazione, dove affronta, rispetto al problema della comunica- zione, il rapporto tra la realtà e i discorsi sulla realtà (routines discorsive). La comunicazione è un fenomeno che può essere letto a Livello teorico Livello ontologico Livello pedagogico categoria interpretativa nuova forma di realtà nuova paideia La comunicazione come Mito La formazione del mito La funzione sociale del mito i discorsi fondatori la visibilità le ragioni sociali, economiche e politiche La posizione di P. Breton La cibernetica di Wiener 2. La “comunicazione” in teoria Il tema della comunicazione si presta ad essere interpretato in molti modi, tanto che la riflessione su ciò che il termine designa, rischia di lasciare allo stu- dioso un certo disagio. Il disagio che si prova quando si è di fronte a qualcosa che sfugge e che non si lascia imbrigliare all’interno di categorie univoche. Se pensiamo infatti che, da un certo punto di vista, tutto è comunicazione, al- lora essa è anche nulla di definitivo. 48 Che cosa significa allora affermare che viviamo in una “società della comuni- cazione”? La comunicazione non è da sempre la forma che l’uomo ha di fare cultura e di essere nel mondo? Perché questa enfasi, proprio in quest’ultimo periodo, a cavallo tra il XX e il XXI secolo? Possiamo riconoscere anzitutto riconoscere che l’argomento “comunicazione” ha per eccellenza carattere transdisciplinare. In tutte le discipline che compongono le scienze sociali, psicologia, socio- logia, scienze dell’educazione (pedagogia), antropologia culturale, la tematica “comunicazione” rappresenta un capitolo ineludibile, nonché particolarmente rile- vante e significativo del rispettivo campo di studi. • la psicologia cerca di capire come per ognuno di noi, singolarmente preso, si sviluppi la competenza comunicativa (psicologia dell’età evolutiva e, oggi, psicologia del ciclo di vita), come tale competenza si realizzi e si differenzi a partire da ed in funzione di specifiche situazioni socio-relazionali (psicologia sociale), come attraverso il suo esplicarsi maturi per ognuno una particolare modalità d’essere (psicologia della personalità e delle differenze individuali), quali ne siano le patologie (psicologia clinica), ecc. • la sociologia cerca di mettere a fuoco ed indagare i grandi processi comunica- tivi ed affronta in maniera privilegiata il tema delle comunicazioni di massa, si occupa quindi delle possibilità e delle condizioni in base alle quali uno stesso messaggio può pervenire ad un vasto numero di soggetti e di come general- mente i destinatari ne vengano influenzati, cerca di individuare le ripercus- sioni sociali che conseguono all’utilizzo dei diversi mezzi e delle diverse mo- dalità comunicative e le influenze di esse sull’organizzazione sociale stessa. • la pedagogia contestualizza il tema alle situazioni in cui sono in gioco l’educa- zione e la formazione di individui e gruppi (le classi scolastiche, ad esempio), ne studia i risvolti prendendo in esame le modalità interattive inerenti al rap- porto docente-discente nelle sue diverse forme, non tralascia però di analiz- zare anche molti altri momenti educativi, dai contesti familiari, a quelli che ci vedono coinvolti in situazioni di svago (teatro, cinema, televisione...), ma che hanno comunque un valore che va al di là del puro edonismo, ecc. • l’antropologia mette in luce specificità e differenze delle forme comunicative proprie delle diverse culture, evidenziando anche come ad ognuna di esse siano sottese strutture di funzionamento che contribuiscono a determinare in maniera forte i modi di funzionare di quelle culture e di coloro che ad esse ap- partengono. Le prospettive potrebbero moltiplicarsi all’infinito se accanto a questa moda- lità orizzontale di pensare la comunicazione, aggiungiamo quella verticale, nel senso che ogni aspetto della realtà ha al suo interno una declinazione in chiave co- municativa. 49 Di fronte all’impossibilità di trovare significati univoci, non ci resta l’inquie- tudine, perfettamente sintetizzata da queste parole di Stuart: “è un’etichetta che copre un’enorme varietà di cose tangibili: la tenda verbale su di un grandissimo e attivissimo circo” (Stuart, 1966). 3. La comunicazione come realtà irreale Al di là della difficoltà teorica di definire il concetto di comunicazione, vi è un’ulteriore osservazione che possiamo fare, che ha implicazioni pedagogiche de- vastanti. La comunicazione ha raggiunto un livello tale di pervasività, per cui facciamo sempre più fatica a distinguere il reale dalla comunicazione del reale, e la comuni- cazione finisce per coincidere con la realtà. Chiamiamo “ontologico” questo punto di vista perché la natura profonda del reale, la sua essenza sono ormai costituite dai racconti che del reale ci vengono fatti. Quando ci rappresentiamo i fatti, ormai questo coincide con la rappresenta- zione dei racconti che la società della comunicazione ci permette di raccogliere. La realtà è l’immagine che di essa abbiamo. Se pensiamo al fatto che le informazioni e le immagini che costituiscono la nostra realtà sono necessariamente filtrate, al- lora il reale è ulteriormente specificabile nell’immaginario che altri decidono di rendere disponibile. Si pensi solo che su 2000 notizie che giungono quotidianamente ad una reda- zione giornalistica, solo 500 vengono scelte, e non tutte vengono raccontate. Quelle che vengono raccontate spesso vengono manipolate. Che cos’è allora la realtà? Se c’è un termine che sintetizza questo fenomeno è quello di “telerealtà”: reale è solo ciò che appare (logica dell’apparire) e che può esistere solo se il medium ne parla (logica della certificazione). Quanta realtà, in realtà, non è reale? 4. La comunicazione “educata” Nella società della comunicazione, occorre costruire l’homo communicans, e adeguare i processi formativi alle nuova logica dell’apparire e della certificazione. Processi formativi • che si adeguano alla nuova logica se si limitano a promuovere l’uso delle nuove tecnologie senza nessuna riflessione etica di supporto, • che educano all’uso dei media se aiutano a sviluppare un approccio critico e creativo. 50 Occorre una nuova paideia, una concezione antropologica più evoluta ri- spetto a quella che si limita a promuovere competenze esperte. La società della comunicazione non esiste se non come mito. Afferma Vattimo ne La società trasparente: «(…) La società della comunicazione generalizzata ha proceduto verso quella che, almeno in generale, si può chiamare la “tabulazione del mondo”. Le imma- gini del mondo che ci vengono fornite dai media e dalle scienze umane, sia pure su piani diversi, costituiscono l’obiettività stessa del mondo, non solo interpretazioni diverse di una realtà come data. (…) Ciò che chiamiamo la “realtà del mondo” è qualcosa che si costituisce come “contesto” delle molteplici fabulazioni». La citazione può sortire un duplice effetto: - negativo, se si sottolinea il fatto che non sappiamo più distinguere il reale dal virtuale e restiamo disorientati; - positivo, se la consapevolezza di questo rapporto tra realtà e fabulazione ci permette di smascherare le grandi narrazioni che offuscano la ricerca della ve- rità impedendo esercizi ermeneutici (il dialogo tra culture, religioni, punti di vista diversi). 5. Un mito che fa discutere Rivoltella, a questo punto, ricostruisce l’origine di questo mito che chiamiamo “società della comunicazione”, chiarendo i motivi per cui esiste e continuerà ad esistere. Tre sono le prospettive che hanno avuto il “merito” di porre la questione (a volte in modo critico, a volte con toni entusiastici) della centralità della comunica- zione nella nostra società: • la prospettiva della scuola di Francoforte per la quale “la società della comuni- cazione è fondamentalmente ‘società di massa’, in cui la cultura diventa merce, la parola chiacchiera, l’arte propaganda”; • la prospettiva che viene dagli studi sulla propaganda di Harold Lasswell per la quale la società della comunicazione è fondamentalmente società del con- senso, in cui possedere i mezzi di comunicazione significa detenere il potere, manipolare l’opinione delle masse; • la prospettiva della cibernetica (di cui diremo più avanti) per la quale la so- cietà della comunicazione è fondamentalmente società trasparente, in cui tutto è superficie, informazione disponibile. Le tre prospettive hanno avuto il merito di porre all’attenzione dell’opinione pubblica le dinamiche virtuose e perverse di una ipotetica società della comunica- zione, che nel corso della seconda metà del XX secolo si è poi imposta come nar- razione dominante in tutti i campi del sapere. 51 Ci siamo dentro, e ci fa comodo. Del resto il mito ha proprio questa funzione: sedare l’angoscia, ridurre la paura, dare un volto alla speranza. La società della comunicazione come mito ha tutte le carte in regola per pro- porsi come sedativo dell’umanità. • Sul piano economico, la globalizzazione della comunicazione riduce la po- vertà e le disuguaglianze; • sul piano politico, aumenta la democrazia perchè aumenta l’accesso alle infor- mazioni; • sul piano sociale in una società delle interfacce (P. Levy) i rapporti sono più trasparenti e autentici. Una bella favola, che ci raccontiamo da decenni ormai. Per quale ragione? Per rispondere a questo interrogativo possiamo riferirci all’interpretazione di Philip Breton proposta nell’ormai classico L’utopia della comunicazione del 1992. 6. Comunicare per non morire? Secondo Breton il mito ha origine come reazione al dramma causato dalle due guerre mondiali e alla crisi che ne seguì. Fu una crisi che già agli inizi del Nove- cento aveva offerto segnali inequivocabili assumendo o la forma di un nichilismo pessimista (tradendo l’intenzione nietzscheana) o quella di un relativismo superfi- ciale e disperato. Sul finire degli anni quaranta l’esigenza di una nuova società, di un uomo nuovo, si fa strada attraverso l’invenzione di una disciplina, per certi aspetti ancora tutta da scoprire: la cibernetica. Suo inventore fu Norbert Wiener, matematico americano che ebbe l’intuizione di applicare la nozione di comunicazione, centrale nella cibernetica, al campo so- ciale e più in generale a quello politico. La cibernetica è una scienza interdiscipli- nare che si interessa del funzionamento e dei comportamenti che emergono quando gli elementi di un sistema entrano in relazione tra loro. Wiener pensa ad una scienza che metta l’uomo in condizione di conoscere e controllare le comunica- zioni interpersonali e sociali, di saperle gestire. Il termine stesso, cibernetica, ci ri- chiama il termine greco che significa “arte del pilota” o “timoniere”. Il “pilota” è colui che regola, tiene sotto controllo, così come la cibernetica si occupa dei si- stemi di regolazione e di controllo della comunicazione. L’assunto di base della teoria di Weiner, utile alla riflessione che stiamo conducendo, può essere sintetiz- zato in questo modo: qualsiasi fenomeno può essere compreso come intreccio di relazioni, scambio di informazioni, comunicazione. Questo assunto ha due conse- guenze importanti, che qui sintetizziamo brevemente, rinviando per ulteriori ap- profondimenti al testo di Breton. 52 Prima conseguenza: la nozione di retroazione La complessità relativa allo scambio di informazioni rende il fenomeno più o meno dotato di valore. È il comportamento e i dispositivi di scambio che stabiliscono la natura di una fenomeno. Non è più importante domandarsi come un elemento o una cosa sono fatti, ma come si comportano, che cosa fanno, come ricevono e danno informa- zioni. Ogni fenomeno non è vivo solo perché comunica e offre informazioni, ma anche perché le riceve. Seconda conseguenza: la nozione di entropia Sappiamo che il concetto di entropia, mutuato dalla termodinamica, si rife- risce al fatto che ogni sistema tende ad uno stato di disordine massimale, o in altri termine al massimo grado di omogeneità possibile, all’assenza di scambi al suo in- terno, cioè alla morte. Se applichiamo questa nozione ai sistemi sociali e più in generale ai sistemi viventi, ne deduciamo che essi sono destinati alla distruzione a causa dell’entropia. E questo crede Wiener. Ma l’entropia può essere ridotta rendendo “aperti” i sistemi sociali, facendo circolare le informazioni, imparando a “regolare” le relazioni che ci costituiscono. È questo il punto centrale che ci interessa: che cosa significa adottare un ap- proccio cibernetico a mondi vitali quali la famiglia, la politica, l’economia, la scuola? Cosa significa pensare all’entropia come ad un disordine al quale non siamo necessariamente destinati, ma che può essere sconfitto aumentando le competenze comunicative? È questa l’utopia di una società della comunicazione. Che ha i suoi lati oscuri, come vedremo. Bibliografia P. BRETON, L’utopia della comunicazione, Utet, Torino 1995. J.V. D IJK , Sociologia dei Nuovi Media, Il Mulino, Bologna 2000. P.C. RIVOLTELLA, Teoria della Comunicazione, La Scuola, Brescia 1998. G. VATTIMO, La società trasparente, Garzanti, Milano 1989. N. WIENER, Introduzione alla cibernetica, Boringhieri, Torino 1966. 53 MODULO 3 SOCIETÀ DELLA COMUNICAZIONE E DIRITTI DI FRONTIERA LEZIONE 2 SOCIETÀ TRASPARENTE E NUOVI DIRITTI OBIETTIVI DELLA LEZIONE: Al termine della lezione, il lettore sarà in grado di: - esaminare gli elementi che rendono trasparente e libera la comunicazione nell’attuale società e quelli che la rendono opaca ed esclusiva; - individuare tracce di interventi possibili perché la trasparenza sia perseguita nella sintesi di di- ritti individuali e comunitari. CONTENUTI: 1. Informazione e comunicazione. 2. L’informazione come bene pubblico. 3. Povertà di informazione e sottosviluppo comunicativo. 4. Eccessi di informazione ed opacità comunicativa. 5. Il diritto alla privacy. 1. Informazione e comunicazione Si dice giustamente che la nostra società è una società della informazione e della comunicazione. Tuttavia è bene precisare preventivamente i concetti di co- municazione, di informazione, per comprendere come le cose siano più complesse di quanto sembri. In un primo senso comunicare implica un rapporto dialogico, un dare e rice- vere, un socializzare reciprocamente le proprie informazioni ed esperienze. Infor- mare, invece, sembra indicare più un movimento unidirezionale, senza ritorno. In questo senso è auspicabile che ci sia sempre meno informazione e più comunica- zione. Ossia che si interrompa il flusso unidirezionale tra gli strumenti di informa- zione e il popolo-massa che è chiamato solo a ricevere passivamente e non, a sua 54 volta, a diventare anche soggetto, oltre che oggetto, di comunicazione. Il discorso è, come si vede, di grande importanza, soprattutto nella nostra società moderna in cui i linguaggi verbali di vicinanza si rarefanno sempre di più mentre prevalgono i rapporti formalizzati di tipo tecnico. Il pericolo è che ci sia una massa di fruitori ben distinta dalla élite degli informatori. Ma il discorso può anche essere rovesciato, nel senso di reclamare la necessità che diminuisca la comunicazione e che aumenti l’informazione. Quest’ultima pa- rola significa anche obiettività, asetticità, non ideologicità, non volontà di amma- liare o di persuadere, neutralità. Comunicano i “grandi comunicatori”, i piazzisti della politica, i pubblicitari, gli uomini di spettacolo. Da un lato informazione vuol dire lavoro serio e meticoloso di vaglio delle fonti, di selezione e di verifica, di raccolta e interpretazione dei dati; dall’altro comunicazione significa invece imbo- nimento e suggestione. La nostra società sta correndo appunto questo pericolo, che la comunicazione sostituisca l’informazione, che la pubblicità e gli uffici stampa prendano il posto dei giornalisti. Ambedue le letture colgono vari importanti aspetti della realtà, ma vanno su- perate e sintetizzate. Infatti come non ha ragione la prima nell’affermare che l’in- formazione è solo unidirezionale, sbaglia anche la seconda nel dire che la comuni- cazione è solo suggestione. La prima mette in evidenza la necessità della recipro- cità e della partecipazione intersoggettiva, la seconda quella della informazione come servizio in aderenza ai fatti. In questo senso l’informazione ha bisogno di co- municazione, e, viceversa, la comunicazione abbisogna dell’informazione. 2. L’informazione come bene pubblico L’informazione/comunicazione è un bene privato, il cui soddisfacimento va la- sciato solo al mercato, oppure è un bene pubblico? Da una serie di considerazioni emerge che essa è un bene pubblico. - Il diritto all’informazione. Innanzitutto quello alla comunicazione e all’informazione è un diritto del- l’uomo, e quindi di tutti gli uomini. Esso si radica nel diritto ad esprimere il pro- prio pensiero e nel diritto alla verità, nonché nei diritti personalistici alla cono- scenza, all’incremento del sapere, allo sviluppo dell’intelligenza. Inoltre esiste un diritto alla comunicazione e all’informazione legato alla na- tura socievole dell’uomo. Comunicare per la persona è un fatto sostanziale, attra- verso la comunicazione e quindi anche la informazione, la persona manifesta e rea- lizza se stessa: “Il comunicare non è per l’uomo una attività facoltativa. Senza co- municazione non c’è per lui né vita, né svolgimento, né crescita; d’altra parte solo l’uomo comunica, perché non soltanto è dotato di voce, ma di logos” (V. Possenti). Per questi motivi le legislazioni devono garantire sul piano formale il soddi- sfacimento di questi diritti e i poteri politici li devono concretamente realizzare. 55 - Informazione e democrazia. Un altro motivo fondamentale per riconoscere che la comunicazione/informa- zione è un bene pubblico, consiste nel suo valore strumentale per esercitare una vera democrazia moderna. Senza informazione non c’è controllo del potere e senza controllo del potere non c’è democrazia. Se ha ragione Popper nel dire che nelle moderne democrazie il problema non è di stabilire chi debba governare, quanto di stabilire come controllare chi governa, si comprende che lo strumento dell’infor- mazione diventa fondamentale ed indispensabile al funzionamento corretto del si- stema. Del resto, senza informazione non ci può essere partecipazione. L’ambito democratico non si esaurisce solo nel voto, ma soprattutto nella partecipazione pluralistica di singoli e gruppi in ordine al perseguimento del bene comune. Quello all’informazione è quindi un “diritto di cittadinanza” tra i più impor- tanti. Esso va inteso sia come diritto di informare (degli organi di informazione) ma anche e prima di tutto come diritto ad essere informati (da parte di tutti i cittadini). Stabilito il carattere di “bene pubblico” della comunicazione-informazione ne derivano alcune conseguenze importanti. - Se la comunicazione-informazione è un bene pubblico lo è in quanto essa è essenziale per la persona, che è il centro della società. L’informazione è cosa “umana”, è dialogo tra persone, coglie l’intimità dell’altro, non lo deve strumenta- lizzare ma servire, non lo deve stordire ma renderlo attento, non lo deve avvilup- pare con la suggestione emotiva ma renderlo critico, non lo deve soggiogare ma emancipare, non lo deve far fuggire dalla realtà ma educarlo ad affrontarla. - L’informazione come servizio alla persona, quindi. Ma la persona è soprat- tutto relazione e apertura all’altro. L’informazione, quindi, deve aiutare la persona a vivere la sua socialità, ad aprirsi ai problemi degli altri, a partecipare alla cosa pubblica, a prendersi cura dell’ambito comunitario, a non chiudersi in se stessa. - Se è un bene pubblico il diritto a informare e ad essere informati va ricono- sciuto a tutti, e non ci dovrebbero essere soggetti, gruppi, comunità “deboli” sul piano comunicativo rispetto ad altri. Questo sia all’interno di una singola comunità politica, sia nel contesto più vasto della comunità mondiale. Ci sono settori della vita sociale che non fanno notizia; altri che la fanno solo in casi eccezionali o scan- dalistici. - Le situazioni di monopolio e oligopolio devono essere combattute dai pub- blici poteri in quanto contrastano con quel diritto fondamentale di tutti e con il ca- rattere di bene pubblico dell’informazione. Non può nascere una matura opinione pubblica se l’informazione è manipolata da pochi centri di potere. - Una appropriata legislazione dovrebbe non solo evitare situazioni di mono- polio, ma anche di indebite interferenze tra economia e informazione, per esempio con leggi anti trust, oppure cercando di favorire la nascita di editori puri e di sco- raggiare l’eccessivo ingresso nel mondo dei media da parte di industria e finanza. 56 - Lo Stato dovrebbe agire più che “direttamente”, ossia come gestore, “indiret- tamente” con un compito di coordinamento. Certamente il servizio pubblico man- tiene una sua importante funzione, soprattutto per garantire all’informazione le fi- nalità sue proprie di obiettività ed elevazione della coscienza civile dei cittadini e per contrapporsi alla mercificazione privatistica. Però un bene pubblico può essere perseguito – anzi, è bene che sia così – anche da privati e dai soggetti della società civile. Nei confronti di tutti questi rimane il compito dello Stato di animazione, propulsione e ordinamento. - Anche nel campo dell’informazione, il ruolo dello Stato dovrebbe essere orientato dal principio di sussidiarietà. Esso dovrebbe intervenire direttamente lad- dove i privati non offrissero adeguate garanzie di obiettività e di rispetto del bene comune. Dovrebbe poi costituire una cornice legislativa per dare sicurezza agli operatori, garanzie di pluralismo e correttezza agli utenti, e per garantire una con- correnza fisiologica rispettosa del bene di tutti. Dovrebbe anche fornire aiuti ai soggetti deboli della società civile che rischiano di essere schiacciati dal privato. - Se la comunicazione-informazione è un bene pubblico esso va orientato al bene comune, ossia al bene di tutti e di ciascuno. Ciò significa che deve essere ri- chiesta una formazione deontologica dei giornalisti; che devono essere garantiti i diritti delle persone alla privacy, alla propria immagine e onorabilità; che devono essere tutelati i diritti dei minori ad una “ecologia comunicativa”, ecc. In altre pa- role quello della comunicazione-informazione non è un ambito che vada lasciato allo stato selvaggio, va anzi disciplinato legislativamente e animato eticamente. 3. Povertà di informazione e sottosviluppo comunicativo La società trasparente deve quindi favorire il corretto circolo tra informazione e comunicazione, permettendo un dialogo pubblico veramente partecipato, senza esclusioni. Libertà e democrazia oggi passano soprattutto attraverso questa traspa- renza comunicativa. Va però tenuto presente che gli impedimenti alla trasparenza possono derivare sia dalla povertà di informazione sia dall’eccesso di informa- zione. Oggi si verificano ampiamente ambedue i casi. Il decimo Rapporto sullo sviluppo umano dell’Onu ha affrontato di petto il tema della globalizzazione delle informazioni. Internet ha avuto una diffusione velocissima, dovuta anche all’abbattimento dei costi. Un documento di 40 pagine trasmesso dal Madagascar alla Costa d’A- vorio per corriere impiega 5 giorni al costo di 75 dollari; tramite fax impiega 30 minuti al costo di 45 dollari; per e-mail, 2 minuti al costo di 20 centesimi. Purtroppo, però, se da un lato le cose sembrano andare meglio e si aprono nuove possibilità, dall’altro si creano nuove disparità. Vediamo alcuni aspetti positivi. Tramite Internet le piccole imprese innova- tive possono avere accesso ai mercati e competere al fianco dei giganti commer- 57 ciali. Si calcola che l’e-commerce, che nel 1996 era attorno ai 2.600 miliardi di dollari, sia stato di 300 miliardi di dollari nel 2002. Mediante Internet le aziende del commercio equo e solidale possono tenere i collegamenti con i fornitori sparsi un po’ ovunque a costi bassissimi. L’India ha potuto battere gli Usa nella produ- zione di films. Attraverso Internet le Organizzazioni non governative hanno po- tuto far pressione perché l’Accordo Multilaterale sugli Investimenti (MAI) ve- nisse bloccato; in India 250 milioni di individui delle classi inferiori si tengono in collegamento elettronico e promuovono campagne per i diritti umani attraverso il sito “Datapers”; durante la guerra jugoslava un gruppo ha collegato via Internet le donne dei diversi gruppi etnici. On-line possono viaggiare anche la solidarietà o le lotte per i diritti umani. Contemporaneamente i prezzi continuano a scendere perché i satelliti permettono una connessione sempre più ampia senza infrastrut- ture costose a terra. Ma ci sono anche molti aspetti negativi. A Brazzaville, in Congo, l’università dispone soltanto di 40 libri di medicina e una dozzina di giornali tutti pubblicati prima del 1993. In Sudafrica il 75 per cento delle scuole non ha il telefono. Nel Benin oltre il 60 per cento della popolazione è analfabeta. In Cambogia nel 1996 c’era meno di un telefono ogni 100 persone mentre a Monaco ce n’erano 99 ogni cento persone. È questa disparità che lascia preoccupati. Gli Usa possiedono più computer del resto del mondo. Ogni anno un cittadino svizzero passa 247 minuti al telefono per chiamate internazionali, uno statunitense ne passa 60 e un pakistano 1. Negli USA ogni 1000 persone ci sono 362 televisori, in Italia 92, in Marocco 1 e mezzo. In Finlandia ogni 1000 persone 108 sono ospiti di Internet, in Tunisia 0,01. In Is- landa il 40 per cento della popolazione usa Internet, negli USA il 27, in Brasile o in tutta l’Africa subsahariana solo l’1 per cento. Nell’Asia dell’est, che conta il 22 per cento della popolazione mondiale, solo lo 0,4 per cento fa uso di Internet. Si calcola che solo il 2% della popolazione mondiale sia già entrata nella vetta dell’alta società del circuito globale. Si tratta di una élite dalle seguenti caratteri- stiche: • è ricca, perché l’accesso è favorito dal reddito. L’utente medio sudafricano ha un reddito sette volte superiore alla media. Al cittadino del Bangladesh acqui- stare un computer costa otto anni di reddito. • è colta, perché il 30% degli utenti possiede un titolo universitario (70% in Ir- landa). • è maschile, dato che le donne rappresentano solo il 38% negli USA e il 4% nei Paesi Arabi. Negli Usa le famiglie spendono in tecnologia per le figlie la metà di quanto spendono per i figli maschi. • è giovane, se l’età media negli Usa è di 36 anni e in Cina o Gran Bretagna in- feriore a 30. • è etnica e classista: l’80% di chi frequenta scuole private contro il 40% di chi frequenta le scuole pubbliche negli Usa. 58 Certamente le videoconferenze possono dare nuove possibilità alle popola- zioni depresse, ma come sarà possibile se queste non conoscono nemmeno l’uso del telefono? I ricercatori dei Paesi poveri possono accedere alle banche dati delle grandi università americane, ma cosa faranno di queste conoscenze se nel loro paese mancano igiene, sanità ed acqua potabile? Di iniziative positive – dice l’Onu – ce ne sono in giro per il mondo. Il go- verno del Costa Rica ha installato computer nelle scuole rurali; l’Ungheria, tramite il progetto Schoolnet, ha permesso ai due terzi degli scolari di impratichirsi sul- l’uso di Internet; in Finlandia viene offerto agli insegnanti un mese di esercitazione sul modo di usare la tecnologia informatica in classe. Ma è evidente che tutto ciò non basta. Per questo l’Onu fa, tra l’altro, una proposta semplice semplice: la “tassa sul bit”. I conti parlano chiaro. Facendo pagare 1 centesimo a chi spedisce 100 mes- saggi molto lunghi di posta elettronica al giorno si avrebbero risorse sostanziose da impiegare per colmare il divario. 4. Eccessi di informazione ed opacità comunicativa Ma non si pensi che la semplice quantità di informazioni garantisca la traspa- renza. In Italia, ad esempio, un’agenzia di stampa come l’ANSA trasmette ormai giornalmente notizie per 250 mila parole. Si può ritenere che per questo la gente “sappia” più di ieri, che possa accedere a più informazioni e che sia al corrente di più fatti? In realtà tutti ci accorgiamo che non è così e che la sovra-informazione in realtà produce dis-informazione. Mancando la nostra cultura di un centro orientativo, la gran mole di informa- zioni che ci colpiscono non possono venire organizzate e gerarchizzate, sistemate in un complesso unitario e significante, rimangono spezzoni irrelati. Abbiamo così la illusoria sensazione di conoscere molto, in realtà non sappiamo veramente niente in modo approfondito. In ogni settore della nostra esperienza, la conoscenza ha bisogno di un numero di notizie limitate. Se in tribunale non si finisse più di ac- quisire dati non si emetterebbe nessuna sentenza. Se a scuola l’insegnante non li- mitasse le informazioni al grado necessario dato il livello dello studente non inse- gnerebbe nulla. Lo sperimentatore deve eliminare una serie infinita di variabili se vuole arrivare a delle conclusioni. La famiglia può educare solo in quanto decide di graduare le esperienze del bambino. Ma oggi sembra che la tendenza sia al bombardamento di informazioni, piut- tosto che a fornire i criteri per organizzarle. In modo particolare la televisione in- ganna, in quanto sembra una finestra aperta sul mondo, in realtà rischia di occul- tarci la vera realtà. John Condry, in un articoletto, reso poi famoso dal commento di Karl Popper, ha mostrato come uno degli effetti principali della televisione nei confronti dei bambini sia di occultare loro la realtà. Essi sono indotti a ritenere che il mondo sia più violento di quanto non sia in realtà, a convincersi che il più forte 59 ha sempre ragione, a identificare i valori morali con i personaggi, a vivere solo il presente perché tutto deve concludersi entro la fine del programma. Quanto Condry dice della televisione rispetto ai bambini, possiamo dirlo dell’informazione in generale. Durante la Guerra del Golfo i giornalisti mandavano i loro dispacci o parla- vano davanti alle telecamere dall’albergo da cui non si sono mai mossi. Una va- langa di informazioni ma nessuna notizia. Nel caso della guerra nella ex Jugoslavia abbiamo letto infiniti articoli di giornale, ma pochi di noi hanno potuto capire a fondo cosa è avvenuto. Un caso particolarmente evidente è stato quando a Timisoara il regime “in- ventò” di sana pianta una strage, distribuì per le strade dei corpi riesumati e tutta la stampa internazionale ci credette e la notizia passò in tutto il mondo. Del resto, mentre alcuni settori sono sovraesposti, altri sono vittime di silenzi e disinformazione. Pensiamo al campo della scienza: informazioni frammentarie, limitate a fenomeni altisonanti e di forte impatto sul pubblico. Oppure all’ambito della religione le cui tematiche non sono trattate in quanto tali, ma in quanto aventi rapporti con lo spettacolo, la politica, l’economia e con una forte tendenza alla per- sonalizzazione. Un terzo settore di scarsissima notiziabilità sui grandi mezzi di co- municazione sociale è quello che possiamo chiamare “sociale”. Del mondo del- l’immigrazione i grandi quotidiani riferiscono quasi solo fatti di sangue o di mala- vita, la gente qualunque è dimenticata, il volontariato è trascurato, l’handicap è uti- lizzato come strappalacrime. 5. Il diritto alla privacy Società trasparente vuol dire maggiore libertà o maggiore controllo? Mag- giore circolazione o nuove forme di segregazione informativa? La nostra società è sempre più trasparente, o sempre più opaca. Uno dei problemi in cui si concentrano queste tensioni in modo particolare è quello della privacy in cui convivono libertà privata e controllo pubblico. Spesso a rivendicare il diritto alla privacy sono proprio le persone “di spetta- colo”, che hanno cercato la pubblicità a cui devono peraltro il loro successo, pub- blicità a cui hanno volontariamente dato in pasto i molti aspetti della loro privacy. Condannano anche l’intrusione della stampa nella privacy dei personaggi di suc- cesso molti cittadini che sono abituali lettori di giornali scandalistici, con una evi- dente contraddizione in termini. Di fronte ai nuovi media che trasformano tutto in spettacolo e non lo farebbero se non ci fosse l’audience, si rivendica un diritto alla privacy che svolge la funzione della foglia di fico. Mentre rivendichiamo libertà di spostamento e di manovra sottratti da occhi indiscreti, siamo in realtà costantemente pedinati e di noi si sa tutto. La gestione elettronica dei dati, con incroci velocissimi, permette di venire a saper tutto su una persona. Nel sistema informatico si lasciano sempre delle tracce. Chi usa strumenti 60 elettronici come la semplice carta di credito, chi adopera internet e invia posta elet- tronica può essere pedinato. I dati così raccolti possono venire confrontati con banche dati del sistema sanitario, con quelle della scuola ove sono iscritti i figli. Esistono aziende che svolgono proprio questo lavoro e forniscono elenchi di per- sone con determinate caratteristiche, con interessi particolari che possono essere oggetto di un marketing mirato o di altre proposte commerciali o meno. La difficoltà principale nell’inquadrare la questione della privacy consiste nella confusione esistente oggi tra pubblico e privato. Spesso il pubblico è inteso come il “collettivo” in cui le individualità si perdono; altrettanto spesso il privato è inteso come “individuale”. Sul concetto di privacy pesa una accezione individualistica, che in una visione compiutamente personalistica occorre correggere. Basta porre attenzione alla di- stinzione tra “segretezza” e “privacy” per chiarire sufficientemente questo aspetto. - La segretezza implica l’occultamento intenzionale in quanto si ritiene che ci sia qualcosa da nascondere. - La privacy è l’ambito nel quale si è protetti da un intervento indesiderato di altri, ma non perché ci sia qualcosa da nascondere. È lo spazio della realizzazione di sé, della dignità personale, del pudore, dell’autonomia e della libertà. Non è il luogo dell’individualismo da cui ogni altra persona debba essere esclusa. Per esempio appartengono all’ambito della privacy le relazioni amorose, quella fami- liari ecc. che non sono certo di tipo individualistico né si tengono nascoste perché ci sia qualcosa da nascondere. Appartiene alla segretezza l’incontro clandestino di un uomo politico con un’amante mentre qualche ora prima si era presentato in Tv con la moglie. Possiamo allora chiederci meglio quale sia il fondamento antropologico del diritto alla privacy. Non si tratta tanto di creare in negativo uno spazio per poter fare ciò che si vuole (concezione individualistica), ma di avere uno spazio per poter crescere, essere più uomo e, come tale, offrire di più agli altri. Anche per la privacy si dà una sorta di “ipoteca sociale” come per la proprietà privata. In questo senso non c’è una contrapposizione tra privacy e vita pubblica: siamo tutti delle persone private e nello stesso tempo delle persone pubbliche. Bibliografia F.-J. E ILERS - R. GIANNATELLI (a cura di), Chiesa e comunicazione sociale. I documenti fondamentali, Elle Di Ci, Torino 1996. PONTIFICIO CONSIGLIO DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI, Etica nella pubblicità, Libreria Editrice Vati- cana, Città del Vaticano 1997. G. SARTORI, Homo videns. Televisione e post-pensiero , Laterza, Roma-Bari 1999. G. BETTINI - A. FUMAGALLI, Quel che resta dei media. Idee per un’etica della comunicazione , Franco Angeli, Milano 1998. P. MANCINI, Il sistema fragile, Carocci, Roma 2000. AREA 2 LA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA (DSC): UNA BUSSOLA PER LA TRANSIZIONE STEFANO FONTANA INDICE Modulo 1 - La natura della DSC Lezione 1 - La DSC, ovvero l’incontro tra Vangelo e cultura Lezione 2 - Un discorso lungo centro anni Modulo 2 - Il messaggio sociale della DSC Lezione 1 - Cosa dà e cosa chiede la DSC Lezione 2 - La persona umana e la società Modulo 3 - I contenuti principali della DSC Lezione 1 - I principi fondamentali della DSC Lezione 2 - Il principio di sussidiarietà e la sua attualità 63 MODULO 1 LA NATURA DELLA DSC LEZIONE 1 LA DSC, OVVERO L’INCONTRO TRA VANGELO E CULTURA OBIETTIVO DELLA LEZIONE: Al termine della lezione il lettore sarà in grado di: - distinguere la specificità della Dsc in rapporto alle varie discipline e ambiti del sapere che la co- stituiscono e con cui entra in relazione. CONTENUTI: 1. Cos’è la Dsc; 2. La dimensione storica della Dsc. 1. Cos’è la Dsc Per rispondere alla domanda su cosa sia la Dsc (= epistemologia della Dsc) è utile procedere gradualmente ponendosi delle ulteriori domande più specifiche. - Da dove nasce la Dsc? Ossia qual è la sua fonte? Per elemento fontale si intende la scaturigine, la matrice da cui sorge la Dsc. Essa nasce dalla fede cristiana, dall’adesione alla parola e alla prassi di Cristo Salvatore, dall’accoglienza in noi del suo messaggio di pace, fraternità, giustizia. Il messaggio cristiano vale anche per le relazioni umane e sociali in questo mondo, vuole rigenerare la comunità degli uomini e quindi ha una ricaduta anche nella po- litica, nell’economia, nel lavoro. Che la Dsc nasca dalla fede cristiana è provato dal fatto che anche le primissime comunità cristiane avevano una loro dottrina so- ciale, che si rifaceva alle parole e ai gesti di Gesù. 64 - Qual è l’elemento fondativo? Ossia l’atto che l’ha costituita? Per elemento fondativo si intende quello che la costituisce facendola sgorgare dalla sua fonte. È il magistero della Chiesa, in quanto la formulazione dei contenuti delle enci- cliche sociali è un atto di “insegnamento” da parte di chi nella Chiesa ha il compito di annunciare la verità, anche nelle realtà del mondo. Si badi però che la Dsc è sì “dottrina” ma in modo particolare, in quanto tratta di questioni storiche, sociali ed economiche, che per la loro complessità, novità, contingenza richiedono poi ben altri interventi oltre a quello del magistero e altre assunzioni di responsabilità. Non c’è dubbio, tuttavia, che senza l’atto del magistero non ci sarebbe Dsc. - A che ambito del sapere appartiene? Ossia che tipo di “disciplina” è? Per “formalità disciplinare specifica” si intende l’ambito disciplinare da cui la Dsc prende il linguaggio, il metodo, le procedure, l’oggetto, il punto di vista. Per molto tempo essa era stata considerata parte della filosofia, filosofia so- ciale oppure etica sociale, in quanto si riteneva che il suo fondamento fosse la ra- gione e la legge naturale. Più di recente si è capito con maggiore chiarezza che essa è invece “teologia” in quanto si basa sul disegno di liberazione che Cristo è venuto ad incarnare e non può essere compresa se non all’interno del piano di Dio nella storia. Essa nasce dalla fede, come dicevamo, quindi è teologia, ossia rifles- sione sulla fede. Siccome però è riflessione sulla fede nelle sue implicazioni sto- riche e sociali al fine di guidare il comportamento umano, si dice che essa appar- tiene alla teologia “morale” . La Dsc, quindi, riflette sulle implicazioni sociali della fede e guida il comportamento umano per la costruzione di un mondo più degno dell’uomo e più rispondente al disegno di Dio. La teologia morale è la spe- cificità disciplinare della Dsc. - Quali sono i suoi elementi costitutivi? Per “costitutivo” si intende l’elemento che non può mancare nella Dsc, eppure essa non è se stessa per quell’elemento. Gli elementi costitutivi possono essere di due tipi: primari o secondari. Se ci si chiede se la Dsc sia filosofia o se sia sociologia si risponde di no, perché essa è infatti teologia. Eppure la Dsc è anche filosofia (tante sue afferma- zioni sulla persona umana sono filosofiche) ed è anche sociologia (le osservazioni della Rerum novarum sui cambiamenti in atto nella società di quel tempo sono anche sociologia). Filosofia e sociologia sono componenti costitutive in quanto la Dsc non ci sarebbe senza di esse, però non è tale per esse. La filosofia, poi, è a ca- rattere primario, molto più intima alla Dsc, che non la sociologia, che ha carattere secondario. La filosofia, infatti, ha un rapporto molto più stretto con la teologia che non la sociologia. 65 - Che rapporto ha con le altre discipline. La Dsc ha un rapporto fontale con la fede, fondativo con il magistero, fon- dante con la teologia, costitutivo primario con la filosofia e costitutivo secondario con le scienze umane e sociali. Possiamo allora così ricapitolare: Elemento fontale La fede Elemento fondativo Il Magistero della Chiesa Elemento fondante La Teologia Formalità disciplinare specifica La teologia morale Elemento costitutivo primario La filosofia Elemento costitutivo secondario Le Scienze umane e sociali 2. La dimensione storica della Dsc Leggendo le encicliche sociali ci si accorge subito della loro storicità. Per esempio: i temi di cui si occupa la Rerum novarum sono tipici di un certo tempo e di una certa area del pianeta; sullo sfondo della Quadragesimo anno ci sono la crisi del ’29 e i totalitarismi, senza riferirsi a quei fatti risulta incomprensibile l’in- tera enciclica; nella Centesimus annus un intero capitolo è dedicato ad un fatto sto- rico, il crollo del Muro di Berlino del 1989. Sono tutti esempi di storicità La stessa caratteristica emerge se consideriamo che certi problemi sono stati affrontati dalla Dsc solo ad un certo momento. Del problema ecologico, per esempio, non c’è traccia fino agli anni Settanta. Del resto, certe proposte contenute in alcune encicliche si sono rivelate, col passare del tempo, superate ed obsolete. È il caso della proposta corporativa lanciata da Pio XI nella Quadragesimo anno , dopo solo qualche anno essa non era già più spendibile nella storia. Inoltre la stessa concezione che la Dsc ha elaborato di se stessa risente del fluire della storia. Ci fu un tempo in cui la Dsc era considerata una “sociologia cri- stiana”, un altro in cui i pontefici stessi adoperavano l’espressione “filosofia cri- La teologia La teologia morale Le scienze umane e sociali Il magistero della Chiesa 66 stiana”. Oggi nessuno si sognerebbe mai di adoperare simili parole. Oggi si tiene per fermo che la Dsc sia teologia. Un ultimo evidente sintomo della storicità della Dsc è costituito dal fatto che sia nata una “tradizione”, ossia che la Rerum novarum sia stata più volte ripresa con l’intento di commemorarla, il suo messaggio sia stato aggiornato man mano che la storia procedeva e le sue indicazioni ribadite. La Centesimus annus, da ul- tima, ha commemorato la Rerum novarum nel suo centesimo compleanno sia per mettere in evidenza la perennità di quell’insegnamento sia per aggiornarlo all’oggi. Da questi pochi esempi emerge con tutta chiarezza il carattere storico della Dsc. Essa è così non per motivi estrinseci ma perché nasce dall’incontro tra il Van- gelo e le problematiche sociali dell’umanità, e questo incontro non può essere che storico. Il Vangelo stesso, del resto, non è una teoria, ma un storia incarnata. La di- mensione della Dsc, però, non è solo storica, in quanto la luce del Vangelo supera ogni singolo fatto storico e non si fa rinchiudere in nessun momento della storia. Su questo si fonda, come vedremo tra poco, anche il doppio carattere della Dsc: essa cambia e nello stesso tempo rimane sempre uguale. La Dsc è storica a due livelli livelli: - Nella sua genesi. Quando nasce una enciclica sociale, a cominciare dalla Rerum novarum , il magistero guarda indietro, alla tradizione della Chiesa e agli elementi di Dottrina sociale ad essa connessi fin dall’inizio; guarda at- torno, ai problemi nuovi che interpellano l’umanità, guarda in avanti alle sfide da affrontare in futuro per il diritto e per la giustizia. La storicità è quindi una caratteristica nativa della Dsc, perché è una caratteristica del cristianesimo stesso, storia di una Verità incarnata. - Nella sua incarnazione. La Dsc ha una finalità pratica, ossia deve essere incar- nata concretamente nella storia nella soluzione dei problemi degli uomini. Essa non è solo teoria, anzi è per l’azione. Quindi la Dsc è storica innanzitutto nel momento della sua formulazione dot- trinale da parte del magistero, il quale si basa anche sulla conoscenza del concreto storico del suo tempo e sulla concretezza vitale del rapporto tra la Chiesa e il mondo in quel particolare frangente della storia dell’umanità. La Dsc non viene “dedotta” dal Vangelo, essa nasce dall’incontro della luce del Vangelo con la storia del momento. In questo senso la Dsc nasce anche “dalla” storia, è “scritta” implici- tamente dal basso. Una volta formulata, si pone poi come ispiratrice di interventi nel concreto, di atteggiamenti e prassi cristianamente ispirate. Non si tratta nemmeno qui di una “deduzione” di comportamenti dalla Dsc, quanto di un nuovo incontro tra l’ispira- zione della Dsc e la concreta prassi degli uomini. La concretezza storica, insomma, è di vitale importanza, in quanto anche da essa nasce la Dsc e ad essa si rivolge chi intende cambiare le cose ispirandosi ad essa. Questa storicità della Dsc appare con tutta evidenza dal fatto che essa cambia, anche se non totalmente in quanto l’ispirazione fondamentale, i principali principi 67 di riflessione, criteri di giudizio e direttive di azione, fondandosi sul Vangelo, ri- mangono costanti. Da cosa deriva questo dinamismo storico della Dsc? Da un lato si può certa- mente dire che proviene dai problemi sociali sempre nuovi che l’umanità si trova a vivere, i quali gettano una nuova luce sugli eterni principi evangelici. Si può dire però anche il contrario, ossia che i fatti storici nuovi possono svolgere questo ruolo di stimolo ad una rilettura sempre affascinante e nuova della verità di sempre, perché la verità di sempre è essenzialmente aperta a ciò, proprio a causa della sua ricchezza trascendente. Le cose nuove svelano nuovi aspetti di quelle antiche, ma anche le cose antiche illuminano le cose nuove. Possono farlo perché le nuove pro- vocano una rilettura illuminante delle antiche. Queste ultime possono svelare tali inedite potenzialità proprio perché non si appiattiscono sulle nuove, ma le trascen- dono. Se la realtà storica favorisce il rinnovamento/approfondimento della Dsc, non bisogna dimenticare che anche il Vangelo è “fonte di rinnovamento” della storia (Octogesima adveniens 42), anzi è la principale. La Dsc ha fatto un suo percorso storico all’interno del quale è possibile stabi- lire degli arricchimenti e distinguere anche delle fasi. Ma ciò non dovrebbe far per- dere di vista che essa rimane un tutto organico. Uno degli errori più frequenti con- siste nell’insinuare una certa qual divisione tra due Dsc, una conservatrice ed una progressista, per esempio la Dsc preconciliare e quella postconciliare, oppure il magistero di un Papa piuttosto di quello di un altro. La storicità della Dsc comporta che quando quanto affermato dal magistero sociale nei documenti ufficiali della Dsc abbia diverso valore: ci sono affermazioni che trasmettono una verità rivelata, ci sono altre affermazioni che intervengono in questioni contingenti e perfino dibattute. Ma ciò non dovrebbe indurci a scartare troppo frettolosamente affermazioni della Dsc perché considerate “datate” e quindi non più attuali. Rilette a distanza di tempo, tante affermazioni contingenti possono svelare anche nuovi aspetti che, al loro tempo, non potevano essere nemmeno visti. 68 EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE Ti proponiamo un passo dell’enciclica Centesimus annus che esprime con chiarezza la natura della Dsc. Prova a rispondere alle domande in calce al brano stesso. “Il suo particolare valore [della Rerum novarum, ndr] le deriva dall’essere un documento del magistero, che ben si inserisce nella missione evangelizzatrice della Chiesa insieme con molti altri documenti della stessa natura. Da ciò si evince che la dottrina sociale ha di per sé un valore di uno strumento di evange- lizzazione ; in quanto tale annuncia Dio e il mistero di salvezza in Cristo a ogni uomo e, per la medesima ragione, rivela l’uomo a se stesso. In questa luce, e solo in questa luce, si occupa del resto : dei diritti umani di ciascuno e, in particolare, del “proletariato”, della famiglia e dell’educazione, dei doveri dello Stato, del- l’ordinamento della società nazionale e internazionale, della vita economica, della cultura, della guerra e della pace, del rispetto della vita dal momento del concepi- mento fino alla morte” (Centesimus annus n. 55). In base a quanto sostenuto dal brano visto qui sopra, come definiresti la Dsc? - Una ideologia? Sì? No? perché ..................................................................................................... - Una terza via tra capitalismo e socialismo ? Sì? No? perché ..................................................................................................... - Un’etica sociale ? Sì? No? perché ..................................................................................................... - Una prassi politica ? Sì? No? perché ..................................................................................................... - Una filosofia sociale ? Sì? No? perché ..................................................................................................... - Un insieme di precetti per chi si impegna in politica? Sì? No? perché ..................................................................................................... Bibliografia E. COLOM, Chiesa e società, Armando, Roma 1996. M. COZZOLI , Chiesa, Vangelo e società. Natura e metodo della Dottrina sociale della Chiesa, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 1996. F. APPI, Cos’è la dottrina sociale della Chiesa, Edizioni Lavoro, Roma 1996. 69 MODULO 1 LA NATURA DELLA DSC LEZIONE 2 UN DISCORSO LUNGO CENTO ANNI: ALCUNE TAPPE STORICHE DELLA DSC OBIETTIVO DELLA LEZIONE: Al termine della lezione il lettore sarà in grado di: - conoscere le principali encicliche sociali collocandole sommariamente nel loro periodo storico e valorizzandone i principali apporti contenutistici. CONTENUTI: 1. Leone XIII, Rerum novarum ; 2. Pio XI, Quadragesimo anno ; 3. Giovanni XXIII, Mater et magistra; 4. Giovanni XXIII, Pacem in Terris; 5. Paolo VI, Populorum progressio; 6. Paolo VI, Octogesima adveniens; 7. Giovanni Paolo II, Laborem exercens ; 8. Giovanni Paolo II, Sollicitudo rei socialis; 9. Giovanni Paolo II, Centesimus annus. La dimensione storica, come abbiamo visto, è fondamentale per la Dsc anche se essa non può essere naturalmente appiattita sui fatti storici, in quanto esprime anche principi e criteri permanenti. Succede così che nelle varie encicliche sociali trovano eco gli avvenimenti che hanno interessato gli uomini di quel tempo e che su di essi la Chiesa getti la luce del Vangelo. La Dsc viene convenzionalmente fatta nascere con la pubblicazione nel 1891 dell’enciclica Rerum novarum da parte del papa Leone XIII. Questo ha un fonda- mento, dato che il contesto creato dalla seconda rivoluzione industriale e dalla na- scita della questione sociale è radicalmente nuovo e non assimilabile a situazioni storiche e sociali precedenti. È giusto quindi considerare la Rerum novarum come la prima enciclica che ha inaugurato la stagione moderna della Dsc. Tuttavia non 70 va dimenticato che la Chiesa ha sempre avuto una sua dottrina sociale. A comin- ciare dalle parole e dalla prassi di Gesù, fino alla vita delle prime comunità aposto- liche raccontate negli Atti degli Apostoli, alle riflessioni dei Padri della Chiesa e dei teologi medioevali, alle numerose e diverse pratiche di carità sociale cui la Chiesa ha dato vita lungo i secoli, una dottrina sociale consistente in una rifles- sione teologica ed etica sui problemi dell’uomo in società alla luce del Vangelo è sempre stata patrimonio della Chiesa. Passiamo ora in rassegna le principali encicliche soffermandosi sul loro conte- nuto e sulle novità che ognuna ha portato con sé rispetto alle precedenti. 1. Leone XIII – «Rerum novarum» - 1891 Contesto storico La seconda rivoluzione industriale, spinta dall’ideologia capitalistica e libe- rista – aveva prodotto la questione sociale, ossia l’insieme di problematiche rela- tive alla inedita posizione dei lavoratori e delle loro famiglie nella nuova eco- nomia. La Chiesa era anche preoccupata dalla propaganda socialista e anarchica che su questioni importanti, come la lotta violenta, l’ateismo e anticlericalismo, la proposta di abolire la proprietà e la famiglia, contrastavano con il suo insegna- mento. Nel 1989 si forma la Seconda internazionale socialista, dominata dalla Social- democrazia tedesca. Il movimento operaio e socialista è ormai organizzato a livello europeo e in ogni Stato si sono formati partiti socialisti; nel 1892-93 nasce anche il Partito socialista italiano. Nel 1894 era stata creata la prima grande acciaieria ita- liana, la Terni, la cui area era assai più vasta dell’intera omonima città. Gli Stati li- berali elaborano una concezione chiusa ed autoritaria dello Stato, si arroccano in difesa dei ceti oligarchici, reprimono violentemente le manifestazioni, considerano gli scioperi fuori legge, non riconoscono i diritti dei lavoratori ad associarsi per di- fendere i propri diritti. Nel frattempo i cattolici avevano dato vita in tutta Europa, ma soprattutto in Belgio, in Germania e in Italia ad una vasta rete di iniziative sociali per estendere la solidarietà cristiana nella società accompagnate da importanti riflessioni sulla valenza sociale del cristianesimo. Focus Tra i vari spunti che l’enciclica Rerum novarum fornisce, sottolineiamo in particolare i seguenti: - La condanna del socialismo come “falso rimedio”. - La proprietà privata come diritto naturale fondato sul lavoro. - L’indicazione del “salario familiare” come criterio per stabilire il giusto salario. 71 - La distinzione tra possesso ed uso dei beni. - La definizione della famiglia come vera e propria società anteriore allo Stato. - La complementarietà tra capitale e lavoro fondato sui rispettivi diritti e doveri. - La condanna del lavoro femminile e minorile. - Il diritto al riposo festivo come primordiale rivendicazione del diritto alla li- bertà religiosa. - L’enunciazione del diritto di associazione da parte dei lavoratori. - La condanna delle soppressioni degli ordini religiosi compiute dallo Stato fon- dandosi sul diritto di associazione della società civile. - La concezione di uno Stato che interviene in aiuto dei più deboli, ma secondo il principio di sussidiarietà. 2. Pio XI – «Quadragesimo anno» - 1931 Contesto storico Nel 1929 la borsa di Wall Street subisce un crollo verticale. È la rovina per molti istituti bancari americani, la chiusura per molte imprese e la disoccupazione per moltissimi lavoratori. La crisi si estende in Europa. Gli Stati Uniti non possono più aiutare la Germania, la quale non è più in grado di pagare i debiti di guerra data la crisi economica. Rinasce lo spirito di rivincita dei tedeschi e la propaganda dei partiti di destra, tra cui il nazionalsocialista ha un notevole successo. Negli anni Trenta gran parte delle nazioni europee è sottomessa ai totalitarismi: il Fascismo in Italia dal 1925, il Nazismo in Germania a cominciare dal 1933, lo Stalinismo in Unione Sovietica. Gli Stati Uniti, invece, con Roosevelt danno vita al “New Deal” e sperimentano per la prima volta lo Stato sociale o Welfare State. Il quadro generale è quindi piuttosto fosco: la dittatura comunista affermata in Urss e non più una ipotesi come quarant’anni prima; totalitarismi in gran parte del- l’Europa, un capitalismo liberista che mostra tutta la sua difficoltà. Focus - Definizione della Rerum novarum “magna charta” della dottrina sociale; - La remunerazione del lavoro deve tener presente il sostentamento dell’operaio e della sua famiglia, le condizioni dell’ azienda e il bene comune; - Definizione del principio di sussidiarietà; - Proposta di una organizzazione corporativa dell’economia; - Condanna delle eccessive concentrazioni di ricchezza, dell’ “internaziona- lismo bancario” e dell’ “imperialismo internazionale del denaro”; - Visione positiva dell’evoluzione moderata del socialismo; Distinzione del so- cialismo come dottrina, come fatto storico e come azione; inconciliabilità col cristianesimo. 72 3. Giovanni XXIII – «Mater et magistra» - 1961; «Pacem in Terris» - 1963 Contesto storico Tra gli anni Cinquanta e Sessanta nel mondo si aprono importanti speranze di pace, ma accadono anche fatti di notevole tensione internazionale, c’è quindi la ne- cessità di ripensare globalmente la società e la pace. Giovanni XXIII dedica a questi temi addirittura due encicliche a distanza di soli due anni l’una dall’altra. Si consolida il processo di decolonizzazione, l’Unione sovietica di Crushev ha con- dannato lo stalinismo nel 1956 ed ha iniziato rapporti di maggiore apertura con l’occidente. Nel 1961 viene eletto presidente John Kennedy, che vuole portare l’A- merica verso la “nuova frontiera”. Crushev e Kennedy si incontrano a Vienna pro- prio nel 1961. Sembra che si aprano nuove occasioni di dialogo, mentre il mondo si integra sempre di più mediante il fenomeno sociale che il Papa chiamerà nella Mater et magistra della “socializzazione”. In quegli stessi anni, però, si assiste alla seconda crisi di Berlino e alla costru- zione del Muro, simbolo di un mondo contrapposto in due blocchi. Si corrono inoltre grandi rischi in occasione della crisi di Cuba, ove l’Unione sovietica voleva installare dei missili da puntare sugli Stati Uniti. Focus Tra i vari spunti che l’enciclica Mater et magistra e Pacem in terris forni- scono, sottolineiamo in particolare i seguenti: Mater et magistra: - La socializzazione come fenomeno di ampliamento progressivo delle relazioni sociali è ricco di promesse; - La partecipazione dei lavoratori è uno strumento di socializzazione e di realiz- zazione della giustizia; - La proprietà privata va effettivamente diffusa; - Il problema demografico si risolve con lo sviluppo e con la giustizia; - Indicazione del metodo “vedere-giudicare-agire”. Pacem in terris: - Diritti e doveri dell’uomo sono inscritti in un ordine naturale voluto da Dio; - Elenco dei diritti e dei doveri dell’uomo; - L’autorità si fonda sul bene comune ed è finalizzata alla sua promozione; - L’interdipendenza tra i popoli pone oggi il problema di un “bene comune uni- versale”, che richiede quindi una “autorità politica mondiale”; - La pace si fonda su rapporti umani fondati sulla verità, la giustizia, la solida- rietà e la libertà. 73 4. Paolo VI – «Populorum progressio» - 1967 Contesto storico Negli anni Cinquanta si era molto intensificato il fenomeno della decolonizza- zione: progressivamente le potenze occidentali si ritirarono – o sono costrette a farlo dall’opposizione pacifica come in India o violenta come in Algeria – dalle Colonie. Il fenomeno diventa massiccio negli anni Sessanta, durante i quali soprat- tutto l’Africa passa dal governo delle potenze europee a governi locali. Si tratta, quindi, di un periodo promettente ed ottimistico, durante il quale si ritiene possi- bile sperare in un veloce progresso dei paesi poveri, anche se le difficoltà stanno davanti a tutti: il vecchio colonialismo politico si trasforma spesso in neocolonia- lismo economico e i nuovi Stati faticano ad intraprendere la strada della demo- crazie e della libertà a causa di lotte interne, anche di carattere tribale. La Popu- lorum progressio amplia per la prima volta l’orizzonte della Dsc al contesto inter- nazionale, getta uno sguardo sui paesi poveri che attendono di essere ammessi alla mensa dell’umanità, esprime la speranza che un nuovo corso di giustizia e svi- luppo sia possibile e fornisce anche delle indicazioni per superare le reali diffi- coltà. Focus Tra i vari spunti che l’enciclica Populorum Progressio fornisce, sottolineiamo in particolare i seguenti: - Distinzione tra “sviluppo” (qualitativo) e “crescita” (quantitativa); - La visione personalistica dello sviluppo come “sviluppo di tutto l’uomo e di tutti gli uomini” (umanesimo plenario: avere di più per essere di più); - La proprietà non è un diritto assoluto; - Condanna del capitalismo liberale, dei messianismi politici e dell’uso della violenza; - Il superfluo dei paesi ricchi deve servire ai paesi poveri; - Lo sviluppo è il nuovo nome della pace. 5. Paolo VI – «Octogesima adveniens» - 1971 Contesto storico Nel 1968 era scoppiata la contestazione studentesca in tutto il mondo occiden- tale e il mondo cattolico vive con grande speranza ma anche con un qual senso di smarrimento il periodo del dopo-Concilio. La Dsc sembra in crisi, tanto è vero che Paolo VI non scrive un’enciclica per commemorare gli ottant’anni della Rerum no- varum, ma una Lettera apostolica. La compagine sociale è scossa da molte tensioni, l’autorità e la tradizione sono contestate e molte ideologie ed utopie avevano at- 74 tratto negli anni precedenti non solo i cattolici. Il marxismo esercitava una forte at- trazione sulle nuove generazioni ed anche sui cattolici, erano nate la teologia della rivoluzione e quella della liberazione e il movimento dei cristiani per il socialismo. Erano in pieno svolgimento le proteste contro la guerra in Vietnam, ma nel 1968 era anche stata repressa la “Primavera di Praga” dai carri armati sovietici. I miti dei movimenti giovanili erano Che Guevara, Ho Chi Minh e Mao Tze Tung. Il pensiero di Marcuse aveva unito Marx e Freud e quindi alla rivoluzione sociale si associava la rivoluzione sessuale. Oggetto di critica era il sistema economico occidentale, il consumismo e la “megamacchina” criticata dalla Scuola di Francoforte. Focus - Il ruolo delle singole comunità cristiane nella incarnazione della Dsc; - la distinzione tra politica ed ideologia, la quale rischia di diventare un nuovo idolo; - la necessità di saper discernere tra le correnti socialiste e nell’evoluzione sto- rica del comunismo; - critica al liberalismo; - distinzione tra cristianesimo e utopie secolari; - primato della politica (che deve porre dei limiti all’economia), ma suoi limiti (che dipendono dall’etica); - necessità che i cristiani stabiliscano una coerenza tra fede e scelte politiche. 6. Giovanni Paolo II – «Laborem exercens» - 1981 Contesto storico Nel 1981 Giovanni Paolo II era papa da tre anni. Il mondo del lavoro è attra- versato da gravi questioni. In una parte del mondo, quello sottosviluppato, il lavoro è ancora arretrato e conosce forme di sfruttamento primordiali tipiche del capita- lismo delle origini. In un’altra parte, quella sviluppata, il lavoro deve ormai fare i conti con i progressi dell’elettronica e dell’informatica che piano piano modificano il modo di lavorare e la stessa comprensione del lavoro. Si richiede, quindi, un nuovo ripensamento dell’avvità lavorativa per recupe- rarne il significato originario, legato all’uomo e alla sua dignità. Focus Tra i vari spunti che l’enciclica Laborem exercens fornisce, sottolineiamo in particolare i seguenti: - Il lavoro come “chiave della questione sociale”; - Il lavoro ha un significato oggettivo (= il prodotto del lavoro) ed uno sogget- tivo (il soggetto che lavora). 75 - Il lavoro in senso soggettivo, ossia l’uomo che lavora, è più importante del la- voro in senso oggettivo, ossia il prodotto del lavoro, o capitale. - Il lavoro è sempre “atto della persona” e su ciò si fonda l’eguale dignità di tutti i lavori; - La distinzione tra datore di lavoro diretto (la singola impresa) e indiretto (il si- stema economico); - La disoccupazione è una “piaga sociale” e va combattuta con una pianifica- zione totale, non totalitaria; - L’importanza dei sindacati. 7. Giovanni Paolo II – «Sollicitudo rei socialis» - 1987 Contesto storico Le speranze suscitate ai tempi della Populorum progressio, di cui la Sollici- tudo rei socialis celebra il ventennale, appartengono purtroppo ormai al passato. Lo sviluppo auspicato non c’è stato, anzi per molti versi il divario tra Paesi ricchi e poveri è aumentato, anche se in senso assoluto la povertà è diminuita. Si notano anche preoccupanti fenomeni di impoverimento di classi sociali nel nord del mondo, mentre nascono élite ricche nel sud. La ricchezza e la povertà, insomma, attraversano ambedue gli emisferi. Oltre alle dinamiche economiche, a frenare lo sviluppo si aggiungono anche quelle politiche, dovute alla divisione del mondo in due blocchi contrapposti che solo da un paio di anni – ossia dalla elezione di Gor- baciov a segretario del Pcus del 1985 – sembrano mostrare qualche piccola crepa. Focus Tra i vari spunti che l’enciclica Sollicitudo rei socialis fornisce, sottolineiamo in particolare i seguenti: - C’è un sottosviluppo anche al nord e uno sviluppo al sud: i fenomeni di po- vertà sono trasversali. - L’esistenza di “meccanismi” economici e finanziari che sembrano procedere al di sopra e nonostante le persone; - Il concetto di “supersviluppo”, fenomeno dai molti aspetti negativi; - La condanna del terrorismo; - La condanna della divisione del mondo in blocchi contrapposti anche perché frena lo sviluppo; - Definizione del concetto di “solidarietà”. 76 8. Giovanni Paolo II – «Centesimus annus» - 1991 Contesto storico Nel 1989 avvengono fatti storici di fondamentale importanza, al punto che la nuova enciclica Centesimus annus vi dedica un intero capitolo: cade il Muro di Berlino, la Germania si riunifica e in tutta l’Europa orientale si instaurano regimi democratici e parlamentari. Nel 1991 viene ammainata la bandiera comunista dal Cremlino, l’Urss si frantuma in molte repubbliche, tra cui la Russia di Eltsin. Il tutto era cominciato con gli scioperi ai cantieri di Danzica nel 1980, con la morte di Bresnev nel 1982, con il viaggo in Polonia del Papa nel 1983, con la nomina a segretario del Pcus di Gorbaciov nel 1985. Ma con il crollo del Muro i problemi non erano finiti. Non solo perché l’eredità del comunismo era ancora presente nei paesi in transizione, non solo per il pericolo del ritorno di antichi odi etnici, ma anche perché non è detto che il crollo del comunismo decreti semplicemente la vit- toria meccanica del regime capitalista. Il crollo del comunismo impone a tutti, in oriente ed in occidente, un ripensamento globale sulla società, sull’uomo e sullo sviluppo; un nuovo inizio. Questa è la finalità e lo spirito dell’enciclica Centesimus annus. Focus - Il carattere comunitario del lavoro: si lavora sempre “con gli altri e per gli altri”. - Il valore dell’imprenditorialità; - L’uomo visto coma la “principale risorsa”; - Il profitto come un segno – non l’unico – del buon funzionamento dell’im- presa; - L’impresa come “comunità di persone”; - L’idea che “è dovuto qualcosa all’uomo in quanto uomo”; - Il carattere etico degli investimenti; - Il principio dell’ecologia umana, oltre l’ecologia naturale; - Il mercato si colloca sempre in un contesto culturale; - La soggettività della società civile; - L’alienazione nasce prima di tutto dalla negazione di Dio; - La democrazia si converte in totalitarismo se non ha al centro una corretta concezione della persona umama; - Il Welfare State può degenerare in forme di assistenzialismo negative. 77 EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE Ti proponiamo il seguente quadro che tu dovrai riempire, inserendo nelle ca- selle vuote le date delle encicliche e i principali processi storici che hanno caratte- rizzato il periodo in cui sono state scritte, scegliendo e le date e le frasi relative agli avvenimenti dall’elenco che noi stessi ti proponiamo sotto. Date di pubblicazione delle encicliche: 1987,1891, 1931, 1963, 1981, 1967, 1991, 1961, 1971. Avvenimenti: La contestazione del 1968 e le ideologie politiche - Crollo del Muro di Berlino - La rivoluzione informatica - La Decolonizzazione - Il Disgelo tra Est ed Ovest. - La divisione del mondo in blocchi - I totalitarismi e la crisi finanziaria del 1929 - La seconda industrializzazione – La costruzione del Muro di Berlino. Bibliografia P. PECORARI, Il solidarismo possibile, SEI, Torino 1995. C. CONTI GUGLIA, La dottrina sociale. Persona, Stato società sulle orme delle encicliche sociali, EDB, Bologna 1995. L. PATRINI, Uomo e società. Introduzione alla dottrina sociale della Chiesa , SEI, Torino 1995. G. WEIGEL - R. ROYAL , Cento anni di dottrina sociale della Chiesa, Leonardo, Roma 1994. Enciclica Data Processo storico Quadragesimo anno Centesimus annus Populorum progressio Rerum novarum . Laborem exercens Pacem in terris Octogesima adveniens Sollicitudo rei socialis Mater et magistra 78 MODULO 2 IL MESSAGGIO SOCIALE DELLA DSC LEZIONE 1 COSA CI DÀ E COSA CI CHIEDE LA DSC OBIETTIVO DELLA LEZIONE: Al termine della lezione il lettore potrà: - focalizzare il rapporto tra se stesso e la Dsc, prendendo coscienza di quanto essa ci offre e di quanto ci chiede, sia in termini di conoscenza che di prassi. CONTENUTI: 1. La Dsc è un annuncio e una denuncia. 2. Principi di riflessione, criteri di giudizio, direttive di azione. 3. Il metodo “vedere-giudicare-agire”. 4. Il discernimento in vista dell’azione. 1. La Dsc è un annuncio e una denuncia Per sapere cosa sia la Dottrina sociale della Chiesa, non c’è forse modo mi- gliore che rifarsi a quanto afferma il paragrafo 54 dell’enciclica Centesimus annus. Ricordando la Rerum novarum, di cui veniva celebrato il centenario della pubbli- cazione, Giovanni Paolo II dice che il suo particolare valore “le deriva dall’essere un documento del magistero, che ben si inserisce nella missione evangelizzatrice della Chiesa insieme con molti altri documenti della stessa natura. Da ciò si evince che la dottrina sociale è di per sé un valore di uno strumento di evangelizzazione; in quanto tale annuncia Dio e il mistero di salvezza in Cristo a ogni uomo e, per la medesima ragione, rivela l’uomo a se stesso. In questa luce, e solo in questa luce, si occupa del resto: dei diritti umani di ciascuno e, in particolare, del “proleta- riato”, della famiglia e dell’educazione, dei doveri dello Stato, dell’ordinamento della società nazionale e internazionale, della vita economica, della cultura, della guerra e della pace, del rispetto della vita dal momento del concepimento fino alla morte”. 79 La Dsc nasce dall’incontro tra la Parola di Dio e le mutevoli realtà sociali in cui gli uomini si trovano a vivere. La Congregazione della Dottrina della fede af- ferma che essa consiste “nell’incontro del messaggio evangelico e delle sue esi- genze con i problemi derivanti dalla vita della società” (Libertatis conscientia 72). Secondo la logica dell’Incarnazione essa esprime la capacità del messaggio cri- stiano di illuminare con la sua luce anche le realtà del lavoro, della politica e del- l’economia, non sostituendosi alla verità propria di queste dimensioni, ma facen- dola lievitare verso un orizzonte più pienamente umano. Naturalmente, la parola “annuncio” non va intesa solo in senso intellettualistico, come una verità teorica solo da contemplarsi astrattamente. Essa è infatti un “vitale collegamento col Van- gelo del Signore” (Sollicitudo rei socialis n. 3). La Dsc è quindi l’annuncio di una visione nuova dei rapporti sociali, di una fratellanza universale, di una giustizia fondata nel rispetto dell’uomo e di una pace frutto della solidarietà. In questo senso essa non è altro che un aspetto dell’an- nuncio di Cristo che la Chiesa fa da sempre, e quindi appartiene alla missione evangelizzatrice della Chiesa. Come tale essa impegna tutti quanti la accolgono a rinnovare le relazioni sociali e ad immettere nel loro campo di lavoro o di azione criteri nuovi di rispetto per l’uomo e di attenzione agli ultimi. Da questo annuncio deriva poi una “denuncia”. La Dsc fornisce i criteri per denunciare gli abusi e le ingiustizie, per far emergere le inadeguatezze, gli attentati ai diritti umani, le molteplici situazioni di trascuratezza per l’uomo. Da questo punto di vista essa, fin dall’inizio, ha fornito criteri per denunciare le ideologie er- rate, come è avvenuto per la Rerum novarum , che ha permesso di criticare le solu- zioni socialiste ed anarchiche alla questione sociale, oppure per la Quadragesimo anno che ha fornito criteri per denunciare i totalitarismi, o per la Centesimus annus che ha criticato il consumismo. Si badi bene, però, che la denuncia deriva dall’annuncio. Ossia, prima di tutto la Dsc fa una proposta, indica una meta, addita dei valori umani; solo in un se- condo momento e a partire da quanto annunciato, fornisce anche dei criteri per de- nunciare il presente nelle sue manifestazioni disumane. 2. Principi di riflessione, criteri di giudizio, direttive di azione Oltre all’annuncio e ai criteri per una denuncia, la Dsc ci dà anche dei principi di riflessione, dei criteri di giudizio e delle direttive di azione. Principi di riflessione Si tratta di quei principi che derivano direttamente dalla verità rivelata e che la Chiesa custodisce nel tempo come patrimonio da trasmettere alle generazioni. Sono di questo tipo, per esempio, la suprema dignità di ogni persona umana, la sua origine e il suo destino trascendenti, il lavoro come partecipazione alla crea- 80 zione divina, l’unità della famiglia cristiana nella figliolanza di un unico Padre, la spiritualità e la libertà dell’uomo che si fondano nella sua anima immateriale ed immortale. Si tratta di principi teologici, in quanto fondati sulla fede nella verità rivelata, ma anche implicitamente filosofici, in quanto conformi alla retta ra- gione. Criteri di giudizio Si tratta dei criteri fondamentali per giudicare la realtà e le nostre azioni. Per esempio, il criterio della priorità del lavoro sul capitale ci permette di giudicare la situazione di vita degli operai e la qualità delle politiche economiche. Se l’operaio è trattato come uno strumento di produzione e non come una persona, la situazione reale non risponde al criterio guida. La priorità della società civile sullo Stato, op- pure la priorità della famiglia rispetto allo Stato sono altri due esempi di criteri di giudizio che ci permettono di valutare e di prendere posizione sulle politiche di welfare. Direttive di azione Si tratta di consigli circa strade da intraprendere, possibili soluzioni di pro- blemi di ampia portata. Non sono consigli pratici minuziosi, naturalmente, né ri- cette molto particolari, in quanto la Dsc, come dice la Octogesima adveniens n. 4, non ha soluzioni tecniche da proporre in quanto la sua competenza è un’altra. Si tratta di proposte “tipologiche”, ossia di ampio respiro e che richiedono altre cono- scenze della situazione e altre competenze e mediazioni. Per esempio l’indicazione di Giovanni XXIII secondo cui non è il lavoro che deve andare in cerca del capi- tale ma il contrario può essere una indicazione per affrontare il problema delle mi- grazioni. Le indicazioni della Centesimus annus circa i meriti e i demeriti dello Stato assistenziale può costituire una direttiva di azione per la soluzione del pro- blema del Welfare State. L’indicazione del corporativismo da parte di Pio XI vo- leva essere una direttiva di azione per evitare la lotta di classe e per strutturare lo Stato nel senso della sussidiarietà. I principi di riflessione e i criteri di giudizio sono meno soggetti al mutamento storico. Le direttive di azione, invece, talvolta riguardano situazioni e problemi contingenti e dibattute. Ciò non significa, però, che non debbano essere accolte con minore intensità. Spesso, a distanza di tempo e a partire da contesti sociali nuovi, le indicazioni della Dsc acuistano nuova luce. Per esempio, alcune indica- zioni della Rerum novarum relative al lavoro, al salario, al riposo domenicale ed altro possono esprimere oggi ulteriori potenzialità rispetto a quando furono formu- lati e alla lettura che se ne poteva dare sul finire del XIX secolo. Per fare un solo esempio: la richiesta del riposo domenicale, che ai tempi di Leone XIII poteva es- sere interpretata in senso intransigente come difesa dei diritti della religione, oggi può venire interpretata, come in effetti fa Giovanni Paolo II, come “il germe del principio del diritto alla libertà religiosa”. 81 3. Il metodo “vedere-giudicare-agire” La Dsc, oltre a quanto visto finora, ci propone anche un metodo per incarnarla e realizzarne le direttive nella pratica. Questo metodo è stato enunciato da Gio- vanni XXIII nella Mater et magistra ed è stato poi ripreso da Giovanni Paolo II nella Centesimus annus. Esso dice così: “Nel tradurre in termini di concretezza i principi e le direttive sociali, si passa di solito attraverso tre momenti; rilevazione delle situazioni; valu- tazione di esse nella luce di quei principi e di quelle direttive; ricerca e determina- zione di quello che si può e si deve fare per tradurre quei principi e quelle direttive nelle situazioni, secondo modi e gradi che le stesse situazioni consentono o recla- mano. Sono i tre momenti che si sogliono esprimere nei termini: vedere, giudicare, agire” (n. 117). La Centesimus annus propone invece la seguente espressione: La Chiesa “ha la sua parola da dire di fronte a determinate situazioni umane, individuali e comu- nitarie, nazionali ed internazionali, per le quali formula una vera dottrina, un corpus, che le permette di analizzare le realtà sociali, di pronunciarsi su di esse e di indicare orientamenti per la giusta soluzione dei problemi che ne derivano” (n. 5). I corsivi evidenziano i momenti del vedere, del giudicare e dell’agire nella nuova formulazione di Giovanni Paolo II. Su di esso, però, pesa una certa interpretazione che lo vede come costituito da tre momenti in rigida successione cronologica e metodologica: prima l’uno e poi l’altro, mentre una più corretta interpretazione del metodo permette di considerare le tre fasi non tanto in successione, ossia da affrontarsi l’una dopo l’altra e conse- guentemente, ma come tre dimensioni contemporaneamente sempre presenti. Oggi non si crede più alla possibilità di una osservazione pura e di una indu- zione priva di attese e di orientamenti. Inoltre, le stesse scienze sociali non attuano un approccio neutrale alla realtà. Che ci sia un “vedere” senza un valutare non è as- solutamente attendibile. Il “giudicare” non è mai solo un atto intellettivo, ma in qualche modo anche pratico, che chiama in causa il nostro comprometterci, il no- stro prendere posizione, il nostro indignarci. La “ricerca e determinazione di quello che si può e si deve fare”, ossia il terzo momento del metodo, non è assolutamente un elemento esclusivamente deduttivo, come se il fare seguisse pedissequamente il pensare. Molto spesso è perché si è presa la decisione di muoversi in un certo modo che ci si aprono gli occhi su tanti aspetti della realtà che prima non riuscivamo a vedere. È perché abbiamo lanciato un certo progetto e abbiamo deciso di compro- metterci per esso che vediamo aspetti nuovi della realtà. Ne consegue che tra i tre momenti da un lato c’è una sintesi che si consolida nell’atto del discernimento, dal- l’altro c’è un aspetto continuo di influenza reciproca. Man mano che si conosce si scoprono anche nuovi motivi per giudicare, man mano che si giudica si cerca cosa fare; ma anche il contrario: si progettano interventi che svelano nuove realtà e mo- dificano i giudizi precedenti. Esiste una circolarità nella quale i tre momenti si in- fluenzano non in modo unidirezionale e rigido ma, potremmo dire, “a rete”. 82 Già nella Mater et magistra, a dire il vero, il metodo vedere-giudicare-agire non veniva inteso in senso solo rigidamente successivo. Prova ne sia il fatto che secondo Giovanni XXIII l’intero metodo vale a partire da un orizzonte costituito dal corpus della Dsc. Non si tratta, quindi, di tre momenti autonomi e distaccati ma di tre atti che trovano luce solo dentro un contesto di verità dato dai principi della Dsc. Prova ne sia, soprattutto, il fatto che nella stessa enciclica si dice con grande chiarezza che la “Dottrina sociale della Chiesa è parte integrante della concezione cristiana della vita” (n. 206), e quindi non è solo un vedere, né solo un giudicare o solo un agire. 4. Il discernimento in vista dell’azione Questo è quanto ci dà la Dsc. Cosa ci chiede? Ci chiede di conoscerla ma so- prattutto ci chiede di impegnarci concretamente per incarnarla. Abbiamo già visto che la Dsc è per l’azione. Questo processo per cui da un lato ci si impossessa della Dsc e dall’altro si indaga la concretezza della situazione per decidere cosa fare e quindi si agisce si chiama “discernimento”. Potremmo descriverlo adoperando le parole della Sollicitudo rei socialis se- condo cui la Dsc è “l’accurata formulazione dei risultati di un’attenta riflessione sulle complesse realtà dell’esistenza dell’uomo, nella società e nel contesto inter- nazionale, alla luce della fede e della tradizione ecclesiale. Suo scopo principale è interpretare tali realtà, esaminandone la conformità o la difformità con le linee del- l’insegnamento del Vangelo sull’uomo e sulla sua vocazione terrena e insieme tra- scendente; per orientare, quindi, il comportamento cristiano” (n. 41). Il discernimento assume la conoscenza della concreta situazione in cui siamo chiamati ad agire dentro un atto conoscitivo comunitario, fondato sulla lettura dei segni dei tempi, alla luce della parola di Dio e di quel corpus di verità che il magi- stero ha costituito come Dsc, con lo scopo di orientare la prassi comunitaria e per- sonale. “Considerare attentamente il corso degli avvenimenti per discernere le nuove esigenze dell’evangelizzazione” (Centesimus annus 3) – che è appunto il di- scernimento – è un atto conoscitivo che comprende in sé l’indagine del concreto alla luce del Vangelo, per il tramite della Dsc. È e deve essere un sapere incarnato, una motivazione ed un orientamento per l’azione, una vita realmente vissuta. Si noti che la Dsc nasce dal discernimento, è essa stessa discernimento ed è finalizzata al discernimento. Nasce dal discernimento in quanto “è dovere permanente della Chiesa di scru- tare i segni dei tempi e interpretarli alla luce del Vangelo” (Gaudium et spes n. 4). La Dsc nasce nel contesto di una Chiesa che è nel mondo, anche se non del mondo, per servirlo. Ossia di una Chiesa che sempre vuole “conoscere e compren- dere” il mondo in cui vive. Poi è essa stessa atto di discernimento con cui il magistero interpreta le pro- blematiche storico-sociali alla luce del Vangelo per orientare la prassi. 83 È infine in funzione del discernimento in quanto spetta “alle comunità cri- stiane analizzare obiettivamente la situazione del loro paese, chiarirla alla luce delle parole immutabili del Vangelo, attingere principi di riflessione, criteri di giu- dizio e direttive di azione nell’insegnamento della Chiesa […] e individuare – con l’assistenza dello Spirito Santo, in comunione con i vescovi responsabili, e in dia- logo con gli altri fratelli cristiani e con tutti gli uomini di buona volontà – le scelte e gli impegni che conviene prendere per operare le trasformazioni sociali, politiche ed economiche che si palesano urgenti e necessarie in molti casi” (Octogesima ad- veniens n. 4). Si noti che il discernimento comunitario non esclude l’impegno individuale. Che il soggetto primario della incarnazione della Dsc sia l’intera comunità cri- stiana, nulla toglie al fatto che continuino ad esserlo anche le singole persone prese come individui, nel contesto sociale loro proprio. Secondo la Octogesima adve- niens (n. 40) la presa di coscienza viva della propria responsabilità deve essere as- sunta da “ciascuno”. Del resto, già la Rerum novarum (n. 45) considerava “degni d’encomio” tutti coloro che si sono impegnati per migliorare la condizione degli operai. Il discernimento comunitario non elimina quindi né l’assunzione di respon- sabilità personale, né la necessità di conoscere la concreta situazione per muoversi in essa, né l’esercizio della coscienza ben formata e, quindi, l’uso della sua virtù principale: la prudenza. La Gaudium et spes chiarisce che “spetta alla coscienza, già convenientemente formata, di inscrivere la legge divina nella vita della realtà terrena” (n. 43) e la Centesimus annus rende lode a Dio per tutti coloro che “hanno saputo trovare di volta in volta forme efficaci per rendere testimonianza alla ve- rità” (n. 23). È chiaro che l’impegno di trovare forme efficaci per rendere testimo- nianza alla verità dell’uomo nel contesto sociale è e deve essere un impegno comu- nitario, ma dovrà anche essere un impegno individuale e, infatti, la Sollicitudo rei socialis dichiara che la Dsc è “indirizzata a guidare la condotta delle persone” e quindi ne deriva un “impegno per la giustizia secondo il ruolo, la vocazione, le condizioni di ciascuno” (n. 41). Bibliografia A. LUCIANI, Catechismo sociale cristiano, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2000. M. TOSO, Verso quale società? La dottrina sociale della Chiesa per una nuova progettualità , LAS, Roma 2000. M. TOSO, Dottrina sociale oggi, SEI, Torino 1996. 84 MODULO 2 IL MESSAGGIO SOCIALE DELLA DSC LEZIONE 2 LA PERSONA UMANA E LA SOCIETÀ OBIETTIVO DELLA LEZIONE: Al termine della lezione il lettore sarà in grado di: - conoscere i termini fondamentali del rapporto che lega tra loro la persona umana e la società, come fondamento dei diritti umani e di una organizzazione sociale e politica che abbia come fine la promozione dell’uomo. CONTENUTI: 1. La trascendente dignità della persona. 2. L’origine della società. 3. I diritti dell’uomo. 4. L’uomo come peccatore e giusto, come bisognoso e mecenate. 5. Tutto l’uomo, tutti gli uomini. 1. La trascendente dignità della persona La Dsc è tutta incentrata sul rapporto tra persona e società, essa infatti ha a cuore, come dice la Centesimus annus, l’uomo. Non l’uomo astratto delle ideo- logie, ma l’uomo reale di cui essa celebra la “trascendente dignità”. Secondo il personalismo cristiano l’uomo, ogni uomo, è fatto ad immagine e somiglianza di Dio, è l’unica creatura che Egli abbia voluto per se stessa e quindi non deve mai venire strumentalizzato come una cosa, ma sempre perseguito come un fine. La dignità dell’uomo ha una origine trascendente. In quanto creato ed amato da Dio, l’uomo emerge rispetto a tutto il creato con una sua incomparabile dignità di origine e di destino. Proprio in quanto visto da un punto di vista trascendente e ad esso associato, l’uomo capisce che non è cosa tra le cose, non è un semplice ele- mento della natura, ma il fine stesso di tutto il creato. Questa sua vocazione tra- 85 scendente gli fa capire di essere qualcosa che conta e che vale. Tutte le ideologie politiche ne negano in teoria o in pratica la dimensione trascendente della persona umana finiscono per manometterla e per asservirla ad altro. Per il cristianesimo l’uomo è un assoluto (non originario ma relativo a Dio) e lo è proprio perché Dio lo ha creato, in lui si è incarnato e gli ha preparato un destino eterno. L’assolutezza dell’uomo preserva la persona umana da ogni manipolazione e strumentalizza- zione, che diventano immediatamente possibili se si perde di vista la dimensione trascendente della dignità personale. Non a caso, come diremo, Giovanni Paolo II ripete che il primo diritto dell’uomo è quello alla libertà religiosa. Garantito quel diritto sono garantiti tutti gli altri, dato che è adeguatamente fondata l’intangibile dignità della persona, e ai suoi diritti è riconosciuta una dimensione di assolutezza. 2. L’origine della società La società si fonda sulla persona umana, che proprio per i caratteri visti sopra, è il principio, il soggetto e il fine della società stessa. Il principio, cioè la scaturi- gine, il fondamento e ciò che dà senso alla società. Il soggetto, ossia chi deve agire per costruirla, il protagonista creativo dell’organizzazione sociale, il principio at- tivo e non passivo. Il fine, ossia lo scopo in vista di cui la società esiste, l’umaniz- zazione dell’uomo è la stessa ragion d’essere della società. La Dsc insegna che la società non è qualcosa di aggiunto a posteriori alla per- sona, in quanto la persona è essenzialmente relazione. Non è che gli uomini esi- stano e che poi si organizzino in società, come vogliono il contrattualismo e il vo- lontarismo. Stabilire se la società appartenga all’uomo o se sia convenzionale ed artificiale è di fondamentale importanza per impostare i rapporti sociali. Se l’uomo è origina- riamente sociale, la società si costruisce sulla natura umana, sulle sue caratteri- stiche fondamentali, sui suoi diritti e doveri visti come naturali, ossia non disponi- bili alla manipolazione. Se invece la società è artificiale, allora il fondamento stesso della società è frutto di un patto e, come tale, può venire ridiscusso e modi- ficato. Nel primo caso la società si fonda sull’uomo, nel secondo caso cosa si debba intendere per “uomo” si definisce e ridefinisce di volta in volta convenzio- nalmente. Nel primo caso i diritti umani non sono frutto di una assemblea, ma sono inscritti nell’uomo stesso e l’assemblea eventualmente li riconosce e li pro- tegge giuridicamente. Nel secondo caso è l’assemblea a decidere quali siano e quali non siano diritti umani. Più volte la Dsc ribadisce che c’è come una “gram- matica dei rapporti umani” stabilita nella natura stessa della persona; su questa grammatica si dovrebbero fondare le regole sociali di comportamento. Si diceva che la scelta tra una socialità originaria della persona umana e una socialità convenzionale ha delle ripercussioni molto importanti sul ruolo del po- tere. La Dsc ritiene che non sia mai il potere a costituire il fondamento dello “stare insieme dei cittadini”. I cittadini stanno insieme in società perché hanno dei bi- 86 sogni comuni da soddisfare insieme. C’è quindi tra loro una “amicizia civica”, un legame che precede l’unità costituita e imposta dal potere. Ciò permette di far sì che, anche in assenza dell’occhio vigile del potere, i cittadini si riconoscano tali e si rispettino. Se, invece, i cittadini stanno insieme perché il potere vigila su di loro o li minaccia, quando il potere allenta la sua presa, i cittadini si sentono autorizzati a farsi reciprocamente del male, a infrangere le regole, ad usare la forza oltre la legge. Se si sta insieme per contratto, si può facilmente stracciare il contratto stesso quando il proprio interesse individuale lo richiedesse. Se si sta insieme perché il potere “ci tiene” insieme, è logico che se il potere si distrae possiamo ri- cominciare a perseguire il nostro interesse oltre ogni regola. Nelle società moderne si diffondono gli ambiti sociali caratterizzati dall’a- nomia. Anomia significa assenza di legge. Un quartiere in cui non entra nemmeno la polizia, la curva di uno stadio, una certa strada dopo una certa ora di notte, tal- volta anche il chiuso delle pareti domestiche… laddove il potere non fa vedere il suo volto truce, le norme vengono come sospese e gli individui possono permet- tersi quello che vogliono. Se, invece, si rafforza la consapevolezza di avere un rap- porto civico prima e indipendentemente dal potere, se la relazionalità e la solida- rietà sono dati originari della persona umana e non convenzionalmente assunti, al- lora i rapporti di amicizia civica possono continuare anche se il potere non è mate- rialmente presente. 3. I diritti dell’uomo Sulla base di questo rapporto fondante tra la persona umana e la società, la Dsc afferma con chiarezza le principali caratteristiche dei diritti umani (du), che qui brevemente ricordiamo: - Indisponibilità I du non sono a disposizione di nessuno, né di un uomo né di un’assemblea, né di un ricco né di un potente. Nessuno ci può mettere le mani sopra, essi non dipen- dono da nessuno: sono patrimonio dell’umanità e sono propri della persona umana in quanto tale. Nessuno li può fondare, nemmeno un’assemblea sovrana democra- tica, nessuno li può mutare. Essi vengono trovati e chiedono solo di essere rispettati. - Assolutezza I du sono indisponibili perché sono assoluti. Questa parola – assoluto – signi- fica: “che non dipende da altro”. I du non dipendono dalle epoche storiche o dalle culture. Certo, vengono conosciuti dentro la storia e dentro una cultura, ma essi sono sempre esistiti, in quanto appartengono alla persona umana. Ad un certo punto vengono scoperti, prima l’uno e poi l’altro, e quindi vengono codificati, ma il loro valore non dipende da chi li scopre e li codifica. Perciò non possono cam- biare, perché la persona umana non cambia. Certo, possono essere persi di vista, possono essere capiti male e applicati peggio, ma rimangono se stessi. 87 - Indivisibilità I du sono tanti, ma non si oppongono l’un l’altro, anzi: si richiamano l’un l’altro per completarsi. Sono come dei vasi comunicanti. Questo succede perché fanno capo alla ricchezza unitaria della persona umana di cui sono espressione. Si può dire che essi siano tanti, ma si può anche dire che essi siano uno solo: il diritto ad essere e a vivere come persone umane. Vanno quindi perseguiti sempre tutti insieme. Quando si esaspera un diritto, dimenticandosi gli altri, si va incontro a varie forme di aberrazione. Quando, per soddisfare un diritto, se ne trascurano altri, si costruisce un sistema sociale e politico che non reggerà a lungo. Per contro, quando un regime au- toritario o dittatoriale fa una qualche concessione a proposito di qualche diritto, dà via ad una inevitabile reazione a catena: quel diritto richiamerà ben presto la soddi- sfazione anche degli altri. La logica della indivisibilità è stringente. - Universalità I du riguardano la persona in quanto tale. È sufficiente essere uomini per avere dei diritti. Quindi i diritti sono universali, ossia sono goduti da tutti gli uomini. Essi non coincidono con i diritti di cittadinanza, che saranno propri solo dei citta- dini di un certo sistema politico, non dipendono da una cultura, oppure dall’appar- tenere ad una certa razza oppure no. Non dipendono da una situazione di vita, come l’essere embrione o anziano, bambino o donna, non fanno problemi di latitu- dine e longitudine. - Reciprocità I du sono sempre in relazione reciproca con i doveri. Ad ogni diritto corri- sponde un dovere, sia da parte della stessa persona, sia da parte della comunità. Se ho il diritto all’assistenza sanitaria, la comunità ha il dovere di provvedervi, ma an- ch’io ho il dovere di pagare le tasse. Se ho diritto all’istruzione elementare, la co- munità dovrà organizzarsi per fornirmela, ma anch’io ho il dovere di impegnarmi per non sprecare il denaro che la comunità destina alla mia istruzione. - Fondamento trascendente L’assolutezza e l’universalità dei du sono ammessi anche da un punto di vista razionale e laico, in quanto connessi con la dignità della persona umana. Da questo punto di vista un non-credente può ugualmente credere nella assolutezza e univer- salità dei du. Tuttavia, rimane il problema di come una realtà limitata, finita, pre- caria come la persona umana possa essere l’adeguato fondamento di qualcosa di assoluto come i du. Un fondamento solo umano dei du non è quindi pienamente convincente. Essi, data la loro assolutezza, richiedono un adeguato fondamento as- soluto: Dio. I du, secondo la Dsc si fondano sulla “trascendente dignità della per- sona umana”, ove va sottolineato l’aggettivo trascendente. Solo se trascendente, ossia fondata in Dio, la dignità della persona umana è veramente assoluta, e quindi veramente assoluti sono i suoi diritti. 88 4. L’uomo come peccatore e giusto, come bisognoso e mecenate La Dsc pone al centro della società la persona umana. Non però l’uomo in astratto o in generale, ma l’uomo concreto, questo uomo. In ciò essa si differenzia dalla ideologia. L’ideologia, infatti, guarda all’uomo secondo due prospettive ti- piche: a) della persona prende solo un aspetto e lo esaspera a danno degli altri (per esempio l’individualismo e la dimensione collettiva per il liberalismo e il co- munismo, oppure l’aspetto materiale e spirituale per materialismo e spiritua- lismo); b) si forma così un’idea astratta e generale di uomo, perdendo la complessità della natura umana ben presente nell’uomo concreto. La Dsc, invece, ha a cuore ogni singola persona nella sua concreta individualità. Questo realismo comporta che la persona non venga considerata né negativamente, con disprezzo, né positivamente con ingenuo ottimismo. La Centesimus annus dice infatti: “Tutta la ricchezza dottrinale della Chiesa ha come orizzonte l’uomo nella sua concreta realtà di peccatore e di giusto” (n. 53). In un altro punto molto interes- sante la medesima enciclica dice che l’“uomo, creato per la libertà porta con sé la fe- rita del peccato originale, che continuamente lo attrae verso il male e lo rende biso- gnoso di redenzione. Questa dottrina non solo è parte integrante della rivelazione cristiana, ma ha anche un grande valore ermeneutica [cioè di interpretazione della realtà, ndr ] in quanto aiuta a comprendere la realtà umana. L’uomo tende verso il bene ma è pure capace di male; può trascendere il suo interesse immediato e, tut- tavia, rimanere ad esso legato. L’ordine sociale sarà tanto più solido, quanto più terrà conto di questo fatto e non opporrà l’interesse personale a quello della società nel suo insieme, ma cercherà piuttosto i modi di una fruttuosa coordinazione” (n. 25). Il principio qui enunciato è molto importante. Le utopie considerano gli uo- mini come dei santi o dei martiri, chiedono eroici sacrifici, sono sempre insoddi- sfatte di quanto l’uomo fa e produce, desiderano paradisi in terra, promettono “cieli nuovi e terre nuove” già fin da ora. Esse non tengono conto della concre- tezza umana, passano sopra i suoi bisogni quotidiani, sono costruite sull’eccezio- nale non sul normale, considerano meschina la tutela dei propri interessi. Viceversa, le ideologie, ritengono che l’uomo sia solo egoista e materialista, che abbia bisogno di essere rigidamente inquadrato in un sistema, controllato e pe- dinato. La sua vita deve essere minuziosamente programmata e i suoi bisogni sod- disfatti dal sistema. In tutti e due i casi derivano sistemi oppressivi e totalitari: l’utopia “impone” all’uomo di essere un angelo; l’ideologia lo domina totalmente considerandolo un diavolo. L’una vuole cambiare la natura umana e fare “l’uomo nuovo”, l’altra vuole imbrigliare la natura umana considerata malvagia. La Dsc, invece, tiene presente la concretezza dell’esistenza umana e vuole che si programmi l’attività sociale, politica ed economica attorno a questa realistica 89 consapevolezza. Non si chieda all’uomo più di quanto può dare, non si affidi alla politica un ruolo messianico e salvifico, non si dimentichi che l’uomo ha bisogno di avere una casa, di riempire la pancia, di lavorare. Si vietino per legge solo i vizi peggiori, non si pretendano sacrifici eroici. Ma, nello stesso tempo, gli si chieda quanto può dare, non lo si assistenzializzi, si valorizzino le sue capacità, non lo si consideri un egoista quando pensa a mantenere se stesso e la famiglia. Ogni uomo è bisognoso, perché è limitato e, religiosamente parlando, pecca- tore. La comunità ne dovrà tenerne conto e lo dovrà aiutare. Ogni uomo è però anche mecenate, perché religiosamente è già stato salvato da Cristo. La comunità lo deve valorizzare e gli deve offrire le opportunità per crescere e dare quanto può. 5. Tutto l’uomo, tutti gli uomini Per completare la visione che la Dsc ha della persona umana in rapporto alla società nel suo complesso, bisogna ricordare che la persona va considerata in tutte le sue dimensioni e non solo in alcune e che la dignità di persona appartiene a tutti gli uomini, ovunque essi vivano. Si tratta della dimensione intensiva ed estensiva dell’antropologia cristiana. Dimensione intensiva: la nostra concezione dell’uomo deve andare in profon- dità, deve essere a tutto tondo, non deve escludere alcuni suoi aspetti a vantaggio di altri. L’uomo è a quattro dimensioni: verso il largo (gli altri), verso l’alto (Dio), verso il basso (i bisogni materiali), verso il dentro (le esigenze dello spirito). Dimensione estensiva: l’umanità si estende all’intero pianeta e gli uomini for- mano un’unica famiglia umana, come afferma la Pacem in terris: “L’unità della fa- miglia umana è esistita in ogni tempo, giacché essa ha come membri gli esseri umani che sono tutti uguali per dignità naturale. Di conseguenza esisterà sempre l’esigenza obiettiva dell’attuazione, in grado sufficiente, del bene comune univer- sale, e cioè del bene comune dell’intera famiglia umana” (n. 69). Si dice anche che quella della Dsc è una prospettiva di integralità. Essa non vuole tralasciare niente di quanto appartiene all’uomo né tanto meno vuole esclu- dere degli uomini. La Dsc è cattolica, ossia, nel senso etimologico, una prospettiva “secondo il tutto”: il tutto del singolo uomo e il tutto dell’intera umanità. Bibliografia E. MOUNIER, Il personalismo, AVE, Roma 1989. M. TOSO, I diritti dell’uomo e dei popoli, in: Id., Verso quale società? La dottrina sociale della Chiesa per una nuova progettualità, LAS, Roma 2000, pp. 171-204. F. RUSSO, La persona umana. Questioni di antropologia filosofica , Armando, Roma 2000. 90 MODULO 3 I CONTENUTI PRINCIPALI DELLA DSC LEZIONE 1 I PRINCIPI FONDAMENTALI DELLA DSC OBIETTIVI DELLA LEZIONE: Al termine della lezione il lettore sarà in grado di: - conoscere i principi fondamentali della Dsc; - considerarne l’interdipendenza reciproca e la capacità di orientare la prassi. CONTENUTI: 1. La destinazione universale dei beni. 2. La funzione sociale della proprietà privata. 3. La scelta preferenziale per i poveri. 4. Il bene comune. 5. La solidarietà. 6. La sussidiarietà. Per principi fondamentali si intendono quegli spunti, largamente presenti nel- l’intera Dsc e che costituiscono quasi il suo filo rosso che lega tutti gli altri aspetti delle encicliche sociali. Non si tratta, quindi, di concetti, definizioni, formule fisse quanto piuttosto di linee dinamiche di pensiero, di orientamenti interpretativi del nuovo, di criteri di discernimento, ossia di valutazione delle situazioni. Non è facile stabilire quanti e quali siano questi principi, nel senso che un loro elenco potrebbe essere riduttivo. Tuttavia tentiamo di indicare i principali, tenendo conto che altri potrebbero essere ugualmente importanti e, soprattutto, che i prin- cipi della Dsc si “tengono assieme”, si illuminano l’un l’altro. Ci soffermiamo qui di seguito sui seguenti principi fondamentali: 91 1. La destinazione universale dei beni I beni del creato sono stati dati dal Creatore a tutti gli uomini per il bene di tutti e per lo sviluppo comune della famiglia umana. Tali beni destinati a tutti sono prima di tutto le risorse del pianeta, come per esempio la terra, l’acqua, l’aria, l’e- nergia, le risorse del sottosuolo. Essi sono però anche altri tipi di risorse, oggi forse più importanti delle risorse materiali. Stiamo parlando delle risorse immateriali, come le conoscenze, le tecnologie, il know-how , le informazioni. Nella società del- l’elettronica e dell’informatica, nella società della comunicazione e della tecno- logia più sofisticata, lo sviluppo dell’uomo si fonda soprattutto su queste “ric- chezze” piuttosto che su quelle che si possono toccare con mano. Stiamo anche parlando di un terzo tipo di “beni” che pure hanno un notevole valore economico: la cultura, le tradizioni, la pace, i diritti umani, il capitale sociale che tiene assieme una comunità e permette ai suoi membri di collaborare tra loro. Ricapitolando, i “beni” che hanno una destinazione universale sono almeno di tre tipi o livelli: 1) Beni materiali. 2) Beni immateriali legati alla conoscenza. 3) Beni immateriali legati alla cultura. Secondo la Dsc, la destinazione universale dei beni non va tuttavia intesa nel senso della spartizione in parti uguali di una torta. Non si tratta di prendere, per esempio, la superficie coltivabile del pianeta e distribuirlo in tanti parti uguali per tutti. La terra, infatti, è stata data da Dio all’uomo perché egli la coltivasse, perché la lavorasse e, così facendo, egli completasse in qualche modo con la sua libera Destinazione universale dei beni Funzione sociale della proprietà privata Scelta preferenziale per i poveri Bene comune Solidarietà Sussidiarietà 92 partecipazione, la creazione divina. L’uomo è chiamato a collaborare con Dio, non è un termine passivo ma attivo. Anche sul piano della distribuzione delle risorse per lo sviluppo, l’uomo è chiamato in causa con la sua responsabilità. Per questo il lavoro [vedi area 4] è il primo strumento per realizzare la destinazione universale dei beni. Esso infatti dà diritto alla proprietà privata [vedi in seguito] per il cui tra- mite i beni sono in grado di essere goduti da tutti. Si potrebbe anche dire che la destinazione universale dei beni non è proposta dentro una logica di consumare quanto c’è, ma piuttosto in una logica di produzione, di lavoro, di creatività anziché di passività. Non si tratta di dividerci il bottino o il raccolto, si tratta di partecipare tutti ad un processo produttivo ed economico com- pleto. La destinazione universale dei beni richiede che a tutti sia data la possibilità di partecipare al gioco economico, di accedere al protagonismo economico anziché ve- nire relegato ai margini. Questo principio si chiama “democrazia economica”. 2. La dimensione sociale della proprietà privata Potrebbe sembrare che la proprietà privata fosse in contraddizione con la desti- nazione universale dei beni. Invece, poiché, come abbiamo visto, la destinazione universale è assegnata all’uomo nell’ottica della responsabilità, collaborazione, crea- tività essa avviene tramite il lavoro, e il lavoro fonda il diritto alla proprietà privata per sé e per la propria famiglia. Sia la destinazione universale dei beni sia la pro- prietà rispettano la libertà umana e la soggettività della persona. I beni sono di tutti, ma non perché li abbandoniamo o semplicemente li consumiamo, quanto piuttosto perché li lavoriamo e li facciano produrre. La proprietà rappresenta l’ambito del le- gittimo possesso delle cose materiali che tutela la nostra libertà di persone. Chi non ha una autonomia economica non ha nemmeno le altre forme di autonomia. La destinazione universale quindi è il fondamento della proprietà privata. Il modo migliore perché gli uomini partecipino alla destinazione universale non è che lo Stato, o chi per esso, distribuisca a tutti, quanto permettere a tutti lavorare, produrre, utilizzare i talenti e partecipare così come commensali al banchetto. Più si estende la proprietà privata – contro monopoli, oligopoli, rendite di posizione e altre forme di aristocrazia economica – e più si realizza la destinazione universale dei beni. La destinazione universale è però anche il limite della proprietà privata in quanto ne evidenzia la sua destinazione sociale. Secondo la Rerum novarum infatti bisogna distinguere tra possesso ed uso dei beni. Il possesso è personale, ma l’uso deve essere sociale. Facciamo degli esempi: - L’investimento non ha solo un valore economico ma anche sociale e morale: fatta salva la remunerazione del capitale, investire qui oppure là può avere una conseguenza sociale molto forte; - Il consumatore spende soldi “suoi”, però se i consumi deturpano l’am- biente, oppure riguardano sostanze illecite oppure stimolano circuiti econo- 93 mici perversi e di sfruttamento dell’uomo sull’uomo non sono socialmente sostenibili; - È lecito investire in borsa, ma non è lecito finanziare in questo modo produ- zioni immorali. Non sono che pochi esempi di come la proprietà non dà di per sé il diritto a farne qualsiasi uso dato che la proprietà deve servire alla destinazione universale. Questo richiede che la proprietà non venga negata ma nemmeno assolutizzata. 3. La scelta preferenziale per i poveri Già la Rerum novarum aveva sostenuto che i ricchi sanno già provvedere a sé, sono quindi i poveri che devono essere aiutati. Essa chiedeva per questo l’inter- vento dello Stato a loro sostegno. Allora i poveri erano gli operai nella fase molto dura del primo capitalismo; con la Populorum progressio sono diventati i popoli del sottosviluppo, nelle encicliche successive i poveri sono stati identificati nei dis- occupati, oppure in coloro che non vedono riconosciuti i loro diritti umani. Oggi i poveri sono quelli che non possono accedere all’istruzione o alle informazioni, op- pure sono i profughi o gli immigrati. Quando la Dsc parla dei poveri, tiene conto di almeno quattro elementi: 1) Esistono molte forme di povertà: materiali e spirituali, vecchie e nuove. 2) La povertà è un concetto relativo: una persona che in un certo contesto è ricca in un altro può essere povera. 3) Povertà e ricchezza ormai sono presenti sia al nord che al sud. 4) La povertà assoluta diminuisce ma la povertà relativa aumenta. La scelta preferenziale per i poveri è appunto “preferenziale” e non esclu- dente. La Chiesa ama tutti gli uomini ma, seguendo l’insegnamento di Cristo, è particolarmente vicina ai più piccoli e ai più deboli. È la solidarietà a volerlo. Tut- tavia i poveri non hanno bisogno solo di assistenza, ma soprattutto di essere messi in grado di produrre e vendere, di istruirsi e professionalizzarsi e, così facendo, di entrare nel circuito virtuoso dell’economia, dell’industria e del commercio. Per questo motivo, fatte salve alcune situazioni di povertà cronica, le quali abbiso- gnano solo di aiuto, la Dsc ritiene che il migliore aiuto è costituito dalla partecipa- zione ai poveri dell’istruzione e della culture e nell’abolizione degli impedimenti protezionistici che impediscono loro di partecipare al mercato alla pari di noi. 4. Il bene comune Quello di bene comune è un concetto di natura etica, infatti esso non coincide con il solo benessere, inteso in senso economico e materiale. In una società ci pos- sono essere indicatori economici molti positivi, una notevole ricchezza diffusa, 94 l’assenza di disoccupazione eppure si potrebbe essere molto lontani dal bene co- mune. In altri termini, quello di bene comune è un concetto qualitativo: si tratta della condizione più adatta perché ogni persona possa diventare se stessa. Il bene comune non è neppure la “somma” dei beni dei singoli cittadini. Non è detto che se tutti i singoli cittadini fossero soddisfatti ci sarebbe un bene comune, esso infatti è il bene della comunità politica, dello stare insieme, dei legami reci- proci. Non è il bene di individui isolati, è il bene dell’intero corpo sociale fatto di individui in relazione tra loro. Il bene comune non è nemmeno una specie di collettivismo, che si impone alle persone e ai gruppi appiattendoli. Esso, infatti, si fonda sulla diversità e il plura- lismo e si forma mediante l’apporto di tutte le ricchezze e le originalità esistenti dentro una comunità politica. La partecipazione al bene comune è infatti sia un do- vere che un diritto. Se è un diritto bisogna fare in modo che tutti vi possano parte- cipare senza impedimenti e chiusure. Come? Mediante l’applicazione del principio di sussidiarietà: i singoli, i gruppi, i corpi intermedi della società civile, le comu- nità locali, eccetera rappresentano una vitale varietà di apporti per la costruzione del bene comune. Il bene comune quindi si pone a cerchi concentrici. In questo senso si può parlare anche di un bene comune universale, che non comporta che siano schiacciati gli altri livelli inferiori del bene comune. Secondo la Dsc, infatti, il bene comune non è unico per l’intera società, è in- vece articolato: c’è il bene comune di questa e di quella famiglia; di questa e di quella comunità locale; di questa e di quella impresa eccetera. Viceversa il bene comune sarebbe appiattente e uniformerebbe le molte vie al bene comune in un’u- nica via, magari imposta dall’alto. Il bene comune non è mai solo un fatto tecnico, il frutto di meccanismi. Es- sendo una questione etica, esso deve essere voluto e perseguito. Esso non è frutto né della mano invisibile del mercato, come vorrebbe un certo capitalismo liberale, né delle istituzioni politiche, come invece vorrebbe un certo socialismo. 5. La solidarietà La solidarietà, come dice la Sollecitudo Rei Socialis , è la volontà di impe- gnarsi tutti per il bene di tutti. Non è un vago sentimento, ma una politica. La soli- darietà si fonda sull’uguaglianza tra tutti gli uomini, sull’unità della famiglia umana e sul fatto che “c’è qualcosa di dovuto all’uomo in quanto uomo”. La solidarietà ha a che fare sia con la giustizia che con la carità. Per essere so- lidali, infatti, bisogna prima di tutto essere “giusti”. La giustizia è almeno di tre tipi: 1) giustizia retributiva: che regola lo scambio di equivalenti: ti do una cosa in cambio di un’altra; 2) giustizia distributiva: dare a ciascuno il suo senza nuocere al bene comune; 3) giustizia sociale: distribuire le risorse di tutti in modo da aiutare i più deboli a camminare con gli altri. 95 La solidarietà passa attraverso la giustizia e il primo modo di essere solidali è di essere giusti. Senza la giustizia la solidarietà si riduce ad elemosina. La solidarietà ha però anche a che fare con la carità, infatti essa non è solo giustizia. La giustizia è importante, ma è anche fredda; invita a considerare l’altro un “altro”, non un “altro io”. Anche quando tutto dovesse funzionare secondo giu- stizia, ci sarebbe ancora bisogno di solidarietà. Lì entrerebbe in campo la carità. La solidarietà va distinta in corta e lunga. Solidarietà “corta” è quella di chi aiuta un altro guardandolo in faccia, in un rapporto di vicinanza con lui. È il caso per esempio dell’azione di un volontario. Solidarietà “lunga” è quella che invece passa per i meccanismi sociali od eco- nomici, o tramite le istituzioni. In questo caso chi è solidale non vede in faccia il beneficiario della sua solidarietà. Ambedue le forme di solidarietà sono importanti perché rispondono a bisogni particolari o strutturali. La solidarietà lunga è soprattutto la politica. La solidarietà non è in opposizione all’efficienza. Infatti il primo modo di es- sere solidali è di essere efficienti. Gli sprechi, le disfunzioni, le inesattezze non producono solidarietà ma la impediscono. L’efficienza, a sua volta, non è solo un concetto tecnico ma anche etico e quindi presuppone la solidarietà. Una persona che lavora in modo solidale è anche più efficiente. Chi deve esercitare la solidarietà? La solidarietà va esercitata secondo il prin- cipio di sussidiarietà. Essa, quindi, non spetta solo allo Stato, come voleva un certo socialismo, ma neppure solo alla spontanea attività della singola persona, come vo- leva un certo liberalismo. C’è un dovere di solidarietà delle imprese, dei sindacati, delle associazioni dei lavoratori, della società civile, delle istituzioni pubbliche ed anche delle singole persone. 6. La sussidiarietà Questo principio viene presentato appositamente nella prossima lezione, a cui rimandiamo. 96 EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE Ti proponiamo uno schema in cui puoi identificare il senso che due ideologie attualmente diffuse conferiscono ai principi di cui ci siamo occupati in questa le- zione. Per ogni principio della Dsc che trovi elencato nella colonna di destra, prova a segnare, nelle due altre colonne, il senso che esso assume nella cultura neosocia- lista o in quella neoliberista. Ne risulterà la differenza con l’accezione data dalla Dsc. Principi della Dsc Neosocialismo Neoliberismo Destinazione universale dei beni Bene comune Solidarietà Scelta preferenziale per i poveri Sussidiarietà Bibliografia E. MONTI, Alle fonti della solidarietà. La nozione di solidarietà nella Dottrina sociale della Chiesa, Glossa, Milano 1999. PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Per una migliore distribuzione della terra. La sfida della riforma agraria, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1997. M. TOSO, Solidarietà e sussidiarietà, in: ID., Verso quale società? La dottrina sociale della Chiesa per una nuova progettualità, LAS, Roma 2000, pp. 219-250. PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, La destinazione universale dei beni. Atti del Colloquio internazionale per i cento anni della Rerum novarum , a cura di Fontana S. e Bella- vite E., Edizioni Cercate, Verona 1992. 97 MODULO 3 I CONTENUTI PRINCIPALI DELLA DSC LEZIONE 2 IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ E LA SUA ATTUALITÀ OBIETTIVI DELLA LEZIONE: Al termine della lezione il lettore sarà in grado di: - conoscere gli aspetti del principio di sussidiarietà, distinguendolo dalle contraffazioni; - valutare la sua capacità di orientare la prassi circa importanti questioni sociali di attualità. CONTENUTI: 1. Cosa dice il principio di sussidiarietà. 2. I principi su cui si basa. 3. Indicazioni operative che ne derivano. 4. Sussidiarietà orizzontale e verticale. 5. Equivoci sulla sussidiarietà. 6. Attualità della sussidiarietà. 1. Cosa dice il principio di sussidiarietà? Il principio di sussidiarietà è un criterio per stabilire “chi fa cosa” all’interno della comunità sociale e politica. Per esempio: l’assistenza agli anziani la devono fare la famiglia, le case di riposo private oppure gli Istituti gestiti dall’ente locale? La cura del verde pubblico è bene che sia data ad una ditta privata, ad una coope- rativa sociale che favorisce l’inserimento lavorativo di persona con handicap o a dipendenti comunali? E gli esempi si potrebbero moltiplicare. Puoi dare un’occhiata alla definizione di tale principio contenuta nell’enciclica di Pio XI Quadragesimo anno del 1931. In essa si dice che quanto può fare una compagine sociale più vicina alla persona (l’enciclica dice “di ordine inferiore”) non può essere svolto da una sfera sociale più lontana dalla persona (l’enciclica dice “di ordine superiore”), piuttosto quest’ultima deve aiutare la sfera inferiore a fare da sé, nel caso essa non ne sia in grado. 98 In altre parole: dalla socialità della persona emanano, come i cerchi nell’acqua quando gettiamo un sasso in uno stagno, forme di socialità via via più ampie e via via più lontane dalla persona: la famiglia, i gruppi della società civile, la comunità locale, lo Stato eccetera. Tra queste si dà una gerarchia che va dal basso all’alto. Quanto può fare la persona deve farlo la persona; quando può fare la famiglia deve farlo la famiglia e così via. Viceversa, in senso negativo, lo Stato non deve sosti- tuirsi alla famiglia o alla persona se non per aiutarle a fare da sé. Il principio di sussidiarietà ha quindi un aspetto positivo – cioè indica chi deve fare cosa – e ne ha uno anche negativo – pone dei limiti, dice chi non deve fare cosa. Per esempio afferma che la responsabilità nella procreazione spetta alla coppia (aspetto positivo); così facendo dice che lo Stato non deve intervenire in quel settore (aspetto negativo). 2. Su quali principi si basa la sussidiarietà? La sussidiarietà si fonda sui seguenti principi. a - Prima di tutto il principio di personalità. La persona umana è “principio, soggetto e fine” della società. La società nasce dalla persona in quanto essa è es- senzialmente sociale, ha una intrinseca dimensione comunitaria; è finalizzata alla persona, al suo benessere materiale e spirituale; e deve organizzarsi valorizzando la soggettività della persona, riconoscendo le sue responsabilità e facendola agire in proprio. Se la persona è “soggetto” essa deve allora essere valorizzata e non mortificata, ad essa si devono riconoscere spazi autonomi di azione e non va vista come il terminale delle azioni della struttura pubblica o del mercato. b - In secondo luogo, si basa sul sul principio di partecipazione democratica. La società cresce con la partecipazione di tutti i cittadini, sia intesi come singoli sia visti dentro le loro molteplici organizzazioni. L’autentica vita democratica di una comunità si misura non solo con il voto, ma anche con la partecipazione spontanea delle persone e dei gruppi alla costruzione del bene comune, secondo le inclina- zioni e le particolarità di ognuno. Una vera democrazia è una “democrazia orga- nica” o partecipativa, in cui il potere non è centralizzato, ma viene distribuito nei vari soggetti sociali e politici. c - In terzo luogo, si basa sul principio della valorizzazione delle diversità. Gli uomini sono senz’altro tutti uguali (e su ciò si fonda il principio di solidarietà) ma sono anche – per fortuna – tutti diversi, e su questo si fonda il principio di sussi- diarietà. Se mi viene impedito di dare quello che posso dare, nessun altro lo darà al mio posto. Quanto può dare alla società una specifica associazione di volontariato o una associazione di famiglie nessun’ altra associazione lo potrà dare. La diversità è una ricchezza e il bene comune si costruisce non con l’appiattimento ma con la valorizzazione delle diversità. 99 d - Infine, si basa sul principio del primato della “società civile” sullo Stato. Come detto nel modulo relativo alla politica [vedi], la società civile ha un suo pri- mato nei confronti dello Stato, in quanto è più vicina alla partecipazione dei citta- dini ed ha dei diritti propri e anteriori a quelli dello Stato. Quest’ultimo, infatti, deve intervenire nel rispetto del principio di sussidiarietà. 3. Quali indicazioni ne derivano? Il principio di sussidiarietà può risultare talvolta astratto, nel senso che non è sempre facile stabilire chi deve fare cosa, perché nella concretezza i problemi sono spesso complessi e articolati. Ci possono allora venire in aiuto due indicazioni che potremmo chiamare: l’indicazione della prossimità al bisogno, l’indicazione del- l’autonomia sociale della comunità, e infine lo spirito di supplenza. - La prossimità al bisogno Si legge nella Centesimus annus (n. 48): “Sembra che conosce meglio il bi- sogno e riesce meglio a soddisfarlo chi è ad esso più vicino e si fa prossimo al bi- sognoso. Si aggiunga che spesso un certo tipo di bisogni richiede una risposta che non sia solo materiale, ma che ne sappia cogliere la domanda umana più pro- fonda”. Perché quando siamo ammalati preferiamo l’assistenza di un famigliare piut- tosto che di un infermiere? Chi è vicino al bisognoso vede meglio il bisogno e so- prattutto mette in atto interventi non burocratici e anonimi per farvi fronte. - L’autonomia sociale della comunità Siamo abituati a considerare l’autonomia amministrativa delle comunità locali (circoscrizione, comune, provincia, regione), siamo meno disposti a considerare anche la loro autonomia sociale. Cosa vuol dire questa espressione? Significa che se in una comunità si profila un bisogno sociale, una forma di disagio relativa per esempio ai giovani o agli anziani, i primi a doversi mobilitare per risolverla sono proprio i cittadini, le famiglie, le associazioni di quella comunità, presenti su quel territorio. - Lo spirito di supplenza Intervenire con spirito di supplenza vuol dire sostituirsi temporaneamente a chi dovrebbe svolgere una azione e non ce la fa, ma cercando di mettere in atto tutti gli interventi possibili affinché possa riprendersi e tornare a svolgere le pro- prie funzioni. I servizi sociali possono aiutare una famiglia in difficoltà, per esempio, nell’educazione dei figli, ma senza sostituirsi ad essa se non temporanea- mente e mettendo in atto nel contempo interventi di riabilitazione. 100 4. Sussidiarietà verticale e orizzontale È ormai entrato nell’uso comune adoperare le due espressioni “verticale” e “orizzontale” per indicare due tipi diversi di sussidiarietà. Noi preferiamo però par- lare di sussidiarietà in senso stretto (quella verticale) e in senso ampio (compren- dente anche quella orizzontale), per sottolineare che si tratta di un unico principio. Sussidiarietà verticale È quella che si pone tra i livelli amministrativi dello Stato: Stato centrale, re- gioni, province, comuni, circoscrizioni. Ognuno di questi livelli dovrebbe svolgere le funzioni che è in grado di svolgere; il livello superiore dovrebbe semmai aiu- tarlo in caso non ne abbia le capacità, ma sempre con spirito di supplenza. Sussidiarietà orizzontale Riguarda la valorizzazione dei soggetti della società civile, i corpi intermedi, le realtà del terzo settore come partners delle politiche attuate dai soggetti ammini- strativi della sussidiarietà verticale. Un comune svolge certe politiche sociali in luogo dello Stato, in virtù della sussidiarietà verticale. Se le svolge in modo centra- listico, però, ossia senza valorizzare il protagonismo della società civile, non ri- spetta la sussidiarietà orizzontale. Si noti che la sussidiarietà verticale va declinata sia verso l’alto che verso il basso. Questo è particolarmente importante per lo Stato il quale deve valorizzare livelli di responsabilità sussidiaria verso il basso (regioni, eccetera), ma anche deve devolvere spazi di sovranità verso l’alto, per esempio verso l’Unione Europea. EQUIVOCI SULLA SUSSIDIARIETÀ Nella cultura contemporanea la sussidiarietà è un concetto ormai molto dif- fuso. Tuttavia esso deve essere depurato da alcuni frequenti equivoci che ne impe- discono una adeguata valorizzazione. Gli equivoci più frequenti sono i seguenti: - L’equivoco neoliberista. Il neoliberismo intende la sussidiarietà in senso troppo individualistico e prevalentemente negativo. La invoca solo quando il pubblico, sia esso lo Stato o altro, pretenderebbe di realizzare forme di solida- rietà sociale e politica, invadendo la sfera privata. La sussidiarietà è intesa come una difesa da opporre all’invadenza del pubblico. In questo modo la sussidia- rietà è svincolata dalla solidarietà. - L’equivoco neosocialista. Il neosocialismo, nonostante la sua diversità dal socialismo di un tempo, mantiene l’idea che il futuro si possa programmare, pia- nificare, organizzare e quindi, quando considera la sussidiarietà, la interpreta co- munque come dipendente da una certa priorità centralistica. Le strutture pub- bliche continuano a rappresentare, per il neosocialismo, la sintesi, mentre i sog- getti della società civile, pur valorizzati, mantengono un ruolo subordinato. 101 - L’equivoco del tecnicismo. Spesso la sussidiarietà è intesa riduttivamente come un problema di trasferimento di competenze tecniche: finora questo lo ha fatto lo Stato, da domani lo fa la regione; questo lo ha fatto la regione, da do- mani lo fa il comune. In realtà la sussidiarietà è un problema complesso che non procede se non si promuove contemporaneamente una cultura, una filosofia, una educazione alla sussidiarietà. La sussidiarietà deve diventare mentalità. - L’equivoco del centralismo e della devolution. Il nostro Stato è nato cen- tralista nell’Ottocento e lo è rimasto sia nel periodo del Fascismo sia nel periodo dello Stato assistenziale del dopoguerra. Questo comporta che la sussidiarietà venga intesa come un trasferimento di competenze dallo Stato agli altri enti lo- cali. La tendenza è quindi a procedere dall’alto al basso, mentre il procedimento logico corretto sarebbe il contrario. Non ci si dovrebbe chiedere: cosa deve fare lo Stato? E trasferire alla regione quanto esso sta facendo e non dovrebbe fare. Si dovrebbe invece partire dal basso: cosa deve fare un comune? Quello che non riesce a fare il comune lo fa la provincia e così via. - L’equivoco dei nuovi centralismi locali. Una volta trasferita una compe- tenza a livello inferiore, è possibile che venga gestita altrettanto centralistica- mente. Poniamo che lo Stato passi l’istruzione alle regioni. Cosa garantisce che queste gestiscano l’istruzione in modo meno centralistico? Non è sufficiente tra- sferire competenze, bisogna fare in modo che al nuovo livello esse vengano ge- stite sussidiariamente, sia in senso verticale che orizzontale. - L’equivoco di non accertarsi della capacità del livello inferiore. È inutile pretendere che il livello inferiore svolga delle funzioni se non ci si è accertati se ne ha la capacità e se non lo si è messo in grado di sopportare il nuovo peso. La sussidiarietà diventa in questo modo un principio astratto e controproducente. Come si può caricare la famiglia di compiti sociali, per esempio di cura degli anziani, senza prima verificare se essa ne ha le risorse, o se invece è talmente sovraccarica di incombenze da scoppiare? Per questo la sussidiarietà richiede una politica, in questo caso specifico, una politica familiare. 5. Attualità della sussidiarietà Molti oggi parlano di sussidiarietà, se ne parla nell’Unione europea o a propo- sito del Federalismo e in molte altre occasioni. Da dove deriva la grande attualità di questo principio? - Prima di tutto dalla complessità dell’attuale società. Nessuno è più in grado di governarla da un qualche “centro”. Per esempio un assessore ai servizi sociali che pretendesse di far fronte a tutti i bisogni direttamente e con il solo intervento dell’assessorato fallirebbe in pieno. Non riuscirebbe nemmeno ad intercettare i problemi. Questi infatti si annidano in una società dalle molte pieghe, sono diven- 102 tati molteplici e sempre nuovi, chiedono risposte mirate e molto articolate sia sul territorio che nella società. La gestione della complessità richiede una collabora- zione a rete tra molteplici soggetti sociali, pubblici, privati e del terzo settore. Ri- sulta per questo fondamentale il criterio della sussidiarietà per organizzare la rete in modo non rigido, ma nemmeno troppo allentato. - Il secondo motivo di attualità deriva dalla dialettica tra locale e universale che la globalizzazione ha comportato. Ci sono problemi che vanno affrontati sul piano locale, ce ne sono altri che richiedono strutture universali. Si pensi per esempio alla necessità di una “governance” per i rapporti internazionali di cui sono protagonisti gli Organismi internazionali come l’ONU, la società civile internazio- nale, le aggregazioni continentali, gli Stati, le regioni eccetera. Quanto abbiamo detto sul piano della politica internazionale può essere ripetuto su quello del com- mercio, delle migrazioni, dei rapporti tra le culture eccetera. - Il terzo motivo di attualità è dato dalla crisi dello “Stato assistenziale” prati- camente in tutto il mondo, ma soprattutto nell’occidente europeo. Venendo meno per una serie di motivi che abbiamo presentato nel modulo la centralità dello Stato nella fornitura dei “beni pubblici”, si è dovuto e si deve ripensare globalmente il sistema di welfare, utilizzando appunto il principio di sussidiarietà. EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE Il tuo parere su un caso concreto Ti proponiamo un caso concreto chiedendoti di dare una risposta al problema, utilizzando come chiave di lettura il principio di sussidiarietà. Ammettiamo che l’assessorato ai servizi sociali di un comune debba affron- tare con delle politiche adeguate il problema del disagio degli adolescenti nell’età della scuola dell’obbligo. Nel territorio comunale c’è un certo numero di ragazzi che soffrono la situazione di disagio nella loro famiglia, sono sempre pere le strade abbandonati a se stessi, non eseguono i compiti scolastici, si teme in una loro emarginazione. Il comune potrebbe seguire tre strade: 1) Creare un “Centro aperto” da gestire direttamente utilizzando proprio perso- nale: assistente sociale, educatori, operatori. Gli alunni disagiati possono libe- ramente andarvi al pomeriggio. Lì possono giocare, fare attività sportiva ed essere aiutati per i lavori scolastici. 103 2) Costituire un “Centro aperto” come sopra, ma farlo gestire ad una cooperativa sociale che opera sul territorio in base ad un progetto da essa formulato ed ap- provato dal comune. Una convenzione regolerà i rapporti tra le due entità. 3) L’Assessorato chiede alle famiglie che abitano nel territorio comunale la dis- ponibilità ad ospitare al pomeriggio, dopo la scuola, un ragazzo con disagio famigliare. Il ragazzo fa i compiti, gioca e conduce altre attività dentro la fa- miglia ospitante, a contatto con i figli dei genitori ospitanti, suoi coetanei. Nel tardo pomeriggio torna nella sua famiglia di origine. Secondo te quale delle tre strade risponde meglio al principio di sussidiarietà? Eventualmente quali accorgimenti introdurresti? Bibliografia A. QUADRO CURZIO , Sussidiarietà e sviluppo. Paradigmi per l’Europa e per l’Italia, Vita e Pensiero, Milano 2002. AA.VV., Sussidiarietà. Pensiero sociale della Chiesa e riforma dello Stato, Monti, Saronno 1999. Sitografia Presentazione illustrativa del principio di sussidiarietà: http://www.augustea.it/dgabriele/att_sussidiarietà.htm#inizio Presentazione della sussidiarietà nell’ambito dell’Unione europea: http://www.europarl.eu.int/factsheets/1_2_2_it.htm I trattati istitutivi della Comunità europea e dell’Unione Europea, che in vari punti si richiamano al principio di sussidiarietà, possono essere consultati al seguente sito: http://europa.eu.int/eur-lex/it/search/search_treaties.html Protocollo collegato al trattato di Amsterdam sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità: http://europa.eu.int/eur-lex/it/search/search_treaties/dat/amsterdam.html#0105010010 Regione Emilia Romagna – Osservatorio sussidiarietà: http://consvifor.it/osservatorio/ Al convegno sulla sussidiarietà organizzato dal Comune di Rovigo nel giugno 2002, sono state tenute alcune importanti relazioni che è possibile scaricare dal sito: http://identitaeuropea.org/convegni/rovigo_convegno.html AREA 3 NUOVE PAROLE, ANTICHI VALORI: LA CENTRALITÀ DELLA FAMIGLIA GIUSEPPE TACCONI INDICE Modulo 1 - La famiglia: organismo geneticamente modificato? Lezione 1 - Ombre e luci. La famiglia come paradigma etico-culturale in evoluzione Lezione 2 - La famiglia nel pensiero sociale della Chiesa Modulo 2 - La famiglia come soggetto sociale, politico, economico Lezione 1 - La dimensione sociale della famiglia Lezione 2 - Per una nuova cultura della solidarietà familiare e sociale Modulo 3 - La famiglia come sistema e come soggetto che educa Lezione 1 - La famiglia come sistema Lezione 2 - CFP e famiglia, un’alleanza possibile 107 MODULO 1 LA FAMIGLIA: ORGANISMO GENETICAMENTE MODIFICATO? LEZIONE 1 OMBRE E LUCI: LA FAMIGLIA COME PARADIGMA ETICO-CULTURALE IN EVOLUZIONE OBIETTIVI: Al termine dello studio di questa lezione, il partecipante dovrebbe essere in grado di: - analizzare criticamente la propria concezione di “famiglia”; - leggere i cambiamenti in atto a livello socio-culturale in modo complesso, cogliendone le ambi- guità e i problemi ma anche le risorse; - indicare le correlazioni esistenti tra i cambiamenti socio-culturali in atto e il cambiamento delle concezioni di famiglia. CONTENUTI: 1. Fenomeni allarmanti nel nostro contesto socio-culturale e loro riflesso sulla famiglia. 2. Dalle ombre alle luci. 3. Voglia di famiglia. Esercitazione di apertura IDEE DI FAMIGLIA Qui di seguito troverai una serie di esempi che riguardano diversi tipi di fami- glia. Leggili attentamente e prova poi a rispondere alle domande che seguono. 108 1. Sandra e Marcello sono una coppia sposata di mezza età e senza figli. 2. Chiara e Giampiero sono sposati da dieci anni e hanno due figli, rispettiva- mente di undici e sette anni, Alessandro e Giulia. 3. Cecilia è divorziata e ha una figlia di dieci anni, Amanda, con cui vive. 4. Teresa e Tiziano sono divorziati; hanno una figlia di dieci anni, Tania, che vive con la madre. 5. Enrica ed Edoardo sono sposati ed hanno una figlia, Elisabetta. Essi hanno anche un altro figlio, Marco, che vive da solo in un’altra città. 6. Giorgio e Greta hanno circa trentacinque anni e convivono da tre; non hanno figli. 7. Francesca e Fabio hanno circa quarant’anni anni e convivono. Hanno una fi- glia di sette anni, Federica. 8. Roberto ed Annalisa convivono e hanno una figlia di quattro anni, Fran- cesca. Roberto ha avuto un altro figlio, Giacomo, da un precedente matri- monio. Giacomo, che ha otto anni, vive ora con la madre. 9. Carla e Stefano sono divorziati. Hanno due figli, Giovanni e Francesco, di dodici e quindici anni, che vivono con la madre. Ora, Carla convive con Fausto. l0. Marco e Luigi sono una coppia, hanno circa trentacinque anni e convivono. Nessuno dei due ha figli. 11. Laura e Lisa sono una coppia, entrambe sui trentacinque anni, e convivono. Lisa ha una figlia di sei anni, Loretta. Vivono tutte e tre insieme. Domande: - Quali di queste situazioni ritieni di poter considerare “famiglia”? - Sulla base di quali elementi hai espresso questo parere? - Prova a condividere le tue riflessioni personali con quelle dei tuoi colleghi: quali le convergenze, quali le divergenze? 1. Introduzione Il declino del matrimonio e la diffusione di una molteplicità di tipi di famiglia1 sono una realtà che riguarda anche il nostro Paese. I cambiamenti demografici, socio-culturali ed economici degli ultimi anni (aumento delle separazioni, dei di- 1 Cfr.: Z ANATTA A.L., Le nuove famiglie, Il Mulino, Bologna 1997. 109 vorzi, le convivenze, la nascita di figli fuori del matrimonio…) hanno portato alla costituzione di nuove forme di famiglia che si affiancano alla famiglia coniugale tradizionale: le famiglie di fatto, le famiglie ricostituite, le famiglie con un solo ge- nitore, le famiglie unipersonali… Si tratta di famiglie a pieno titolo o di famiglie ‘incomplete’ o ‘spezzate’? Come vedremo, la risposta a questa domanda non è per nulla scontata e dipende dal modello di famiglia che assumiamo come riferimento e dagli “occhiali” che indossiamo per leggere lo scenario attuale, che presenta sia luci che ombre. Di una cosa siamo convinti: è necessario uscire dalla visione cata- strofistica della dissoluzione della famiglia e muoversi verso prospettive che per- mettano di cogliere linee di senso per l’oggi. L’ipotesi di fondo è che, nonostante i cambiamenti sociali, la famiglia persista, ma persista non come realtà fissa e immutabile, ma proprio grazie alla sua con- tinua capacità di trasformarsi e di riorganizzarsi. La famiglia infatti, nei secoli e nelle diverse società, ha assunto molteplici volti. Oggi ci accorgiamo che i modelli e le soluzioni che si adottavano un tempo non sono più adeguati rispetto ai pro- blemi del presente, ma non riusciamo ancora ad intravedere un nuovo modello di famiglia. 2. Fenomeni allarmanti nel nostro contesto socio-culturale e loro riflesso sulla famiglia Il nostro è un tempo di profondi cambiamenti che hanno inciso ed incidono sui modelli culturali e condizionano le idee, i comportamenti, i valori diffusi. Da questi cambiamenti dipendono anche le trasformazioni in atto nel modo di inten- dere e di vivere i rapporti tra le persone e la realtà familiare. Spesso avvertiamo questi cambiamenti all’insegna di una certa inquietudine e sulla scorta di una serie di segnali allarmanti. Proviamo ad elencarne alcuni qui di seguito. L’aumento vertiginoso della complessità L’aumento della complessità sociale fa parte per molti aspetti dell’esperienza quotidiana delle famiglie e si caratterizza per i seguenti elementi: ➢ L’interconnessione sempre più stretta che si crea tra i vari sistemi: famiglia, mondo della scuola, mondo del lavoro, del tempo libero, media, ecc. ➢ Il fenomeno della globalizzazione, la flessibilità e la mobilità che caratteriz- zano il mercato del lavoro, le fluttuazioni dell’economia che hanno spesso grosse ripercussioni sui climi e sugli equilibri familiari e generano situazioni di ansia, stress e instabilità. ➢ La presenza crescente di cittadini stranieri e la caratterizzazione sempre più pluralistica e multiculturale della società, che mettono le famiglie a contatto con culture e stili di vita differenti che pongono interrogativi nuovi e, talvolta, inquietano. 110 ➢ Il forte aumento delle attenzioni dei genitori nei confronti dei figli, correlato con la diminuzione del loro numero: organizzazione dei tempi di gioco, dello sport, degli interessi (danza, musica, ecc.) e degli impegni, selezione delle amicizie (resa ancora più necessaria dal fatto che i figli sono prevalentemente figli unici e viene meno l’esperienza della società fraterna), selezione dei pro- grammi televisivi... La vita dei genitori e dei figli si fa sempre più difficile: so- vraccarico di lavoro, spesso insostenibile, sia per i genitori (impegni continui, spostamenti…) sia per i figli (istituzionalizzazione eccessiva della vita, tra casa, scuola, palestra…, carico “soffocante” di attenzioni…). Il relativismo etico ➢ Il passaggio, che caratterizza la società della tecnica, da un concetto statico ad un concetto dinamico di natura ha determinato “una vera attenuazione, se non addirittura la scomparsa, dell’incidenza dei concetti di natura o di legge natu- rale quali espressione di modelli di riferimento accettati univocamente e pres- soché universalmente”2, con conseguente venir meno di riferimenti certi e uguali per tutti. ➢ In un clima dove i riferimenti autoritativi sono spesso ambigui, contraddittori o del tutto assenti, l’accresciuto bisogno di soggettività “ha prodotto una crescita dei valori morali per alcuni aspetti molto frammentaria e per altri estrema- mente fluttuante. Le categorie di buono e cattivo non sono più assolute, anzi sono spesso intercambiabili, in rapporto al mutare delle circostanze. Norme e divieti sembrano essere stati interiorizzati secondo modelli inediti, per cui pre- sentano espressioni talora paradossali: si nota per esempio la tendenza ad una forte tutela dei diritti della persona, mentre è scarsa la sensibilità per le respon- sabilità di tipo collettivo”3. Si nota il fenomeno dello spostamento del senso di colpa, per cui capita che adolescenti o giovani che si sentono in colpa per es- sere fuori della norma di peso corporeo della loro età ma non, per esempio, perché danneggiano una persona o un ambiente. La gran parte delle genera- zioni in crescita “vive un’etica fondata sulla cultura dell’avere, della soggetti- vità affettiva e della gratificazione immediata”4. Il più diffuso criterio di scelta è l’emotività che spesso assume i tratti dell’atteggiamento consumistico. ➢ Valori e convinzioni sono vissuti prevalentemente come “ipotetici” (principio della “fallibilità”). Ogni contratto è rivedibile e la convinzione che “si può sempre cambiare” difende dal rischio della delusione. ➢ De-normativizzazione dell’educazione (l’enfasi, ad esempio, non è posta sugli orientamenti normativi forti, ma sulle “infinite possibilità” che i figli hanno davanti): le convinzioni forti sono ritenute un impaccio. 2 PINKUS L. M., Fatica e grazia di “essere famiglia” , in: AA.VV., La Santa Famiglia nella storia della salvezza - Atti del Convegno per religiosi/e della S. Famiglia e laici, Castelletto di Bren- zone, Verona 26-29 agosto 1999, pp. 322-323. 3 Ibid., p. 329. 4 Idem. 111 La frammentazione ➢ Fine delle grandi narrazioni, delle progettualità di ampio respiro. ➢ Indebolimento delle tradizionali agenzie di socializzazione. ➢ La famiglia e le tradizionali agenzie di socializzazione (scuola, chiesa, ecc.), come più in generale la società, faticano a svolgere la necessaria funzione di accompagnamento all’interno del processo di formazione e di sviluppo dell’i- dentità individuale. ➢ I legami si fanno sempre più deboli (diminuzione dei matrimoni, difficoltà a concepire l’indissolubilità, aumento delle unioni libere a tempo determinato, ecc.) e tanti percorsi familiari falliscono: separazioni e divorzi (che però non sempre sono dei fallimenti!). La logica tecnologica ➢ La logica tecnologica condiziona e dà forma ai modelli culturali prevalenti. In un contesto in cui tutto sembra “debole”, l’unica realtà “forte” che rimane è il sistema tecnico e socio-economico, a cui adattarsi (progressivo assorbimento di entrambi i coniugi nel mondo del lavoro). ➢ L’affermarsi di nuove tecniche di fecondazione assistita assumono contorni assai problematici e talora persino drammatici: tutto ciò che è tecnicamente possibile diventa, per ciò stesso, anche lecito. ➢ L’incidenza dei mass media e delle nuove tecnologie informatiche si fa sempre più forte e richiederebbe una capacità critica, una distanza emotiva ed un riferimento valoriale che molto spesso sono assenti. ➢ L’immediata conseguenza della rigidità connessa alla logica tecnologica è l’aumentata problematicità della soggettività, che determina una certa fragilità dell’identità soggettiva e con ciò, una minore capacità di resistenza alle fru- strazioni ed una tendenza a differire le decisioni o a definire i legami e le ap- partenenze, sia affettivi, che sociali, lavorativi, religiosi. Il presentismo La dimensione tempo, già di per sé complessa, ha progressivamente assunto una valenza senza limiti. Vi è un tempo privato ed un tempo sociale, un tempo la- vorativo ed un tempo libero. In particolare, si vive solo la dimensione del presente, senza futuro e senza passato. ➢ Per le giovani generazioni, “il tempo è rapportato principalmente alla velocità e a ciò che è oggetto di esperienza (prevalentemente emotiva) e di verifica im- mediate”5. Significa che le frasi più frequenti sono: “quanto tempo ci vuole per….” oppure “ho/non ho tempo per…”. Ne consegue “una sorta di amnesia della storia, che ha diverse ricadute sulla costruzione dell’identità degli adole- 5 PINKUS L. M., Fatica e grazia di “essere famiglia” , op. cit., p. 327. 112 scenti/giovani”6: la storia e il mondo iniziano con la propria esperienza e ciò che conta è l’iperconcreto; volgersi al passato equivale ad occuparsi di qual- cosa di irreale. “Il presente è troppo denso di stimoli per consentire spazio a quanto non li mostri direttamente operanti e, dunque, la storia – inclusa la pro- pria storia personale e comunque senza dubbio quella familiare… – non è in grado di reggere il confronto con l’impatto cognitivo ed emotivo delle notizie date in tempo reale”7. ➢ La fragilità di radici della propria identità e del sentimento di appartenenza soprattutto sociale: “I giovani di oggi non riconoscono alla storia il valore d’indicazione circa le modalità con cui ogni generazione ha affrontato e ri- sposto alle richieste, sia quelle specifiche del proprio tempo, sia quelle ine- renti alla condizione umana in quanto tale. Essi, pertanto, non sono inclini ad un sentimento di continuità e di appartenenza rispetto al gruppo o alla società in cui sono inseriti e tendono a vivere come estranei anche quei sedimenti cul- turali che pure fanno parte della realtà intrapsichica”8. ➢ La rimozione del tempo storico fa sì che le stesse esperienze personali, una volta finite, vengano vissute dal soggetto come se non fossero mai esistite. Questa dinamica comporta anche il venir meno della percezione del futuro (“dispercezione del futuro”) perché, di fatto, il tempo considerato reale è solo quello presente. Da questo deriva un’impossibilità di progettare a medio e lungo termine e, quindi, anche il rischio della perdita di uno dei fattori più im- portanti del processo maturativo umano che è, appunto, il saper pensare e co- struire in una dimensione proiettata in avanti nel tempo (i tassi di natalità prossimi allo zero sono un altro indicatore di questa assenza di progettualità). Il desiderio, per esempio, non viene più modulato e filtrato attraverso la prepa- razione e l’attesa, il che rende quasi impossibile la canalizzazione di energie emotive proiettate nel futuro, mentre, d’altra parte, una delusione non può es- sere relativizzata dalla possibilità del domani e, pertanto, viene sempre vissuta come una catastrofe irrimediabile. L’individualismo ➢ L’enfasi sull’autonomia nasconde spesso la paura di legami troppo impegna- tivi. ➢ La difficoltà a costruire legami affettivi stabili e duraturi è all’origine della fa- tica di costruire e di essere/rimanere famiglia9. ➢ L’unione viene spesso costruita in virtù dei vantaggi che ciascuna delle parti può trarre dal rapporto con l’altro (e fintantoché le parti ritengono vantaggioso e conveniente stare insieme). 6 Idem. 7 Ibid., pp. 327-328. 8 Ibid., p. 328. 9 Cfr.: ibid., pp. 330 sq. 113 ➢ L’identità soggettiva è spesso incompiuta, proprio per le difficoltà di incon- trare l’alterità e di costruire legami significativi. ➢ Aumentano i singles e il senso di solitudine si fa diffuso ➢ La comunicazione informatica (chat, ecc.) assume spesso i tratti di una sorta di monologo collettivo. ➢ Il soggetto investe tutto sull’attrazione fisica o comunque sulla sessualità, staccate dalla relazione, in ogni caso, senza aver prima verificato a sufficienza la consistenza di quest’ultima. “Il rapporto armonico tra relazione ed eros, e conseguentemente tra progettualità e sessualità, viene in tal modo perduto e la sessualità si colloca allora nell’ambito dell’iperconcreto, che con le sue varie facce di attrazione, sollecitazione emotiva, consumazione del desiderio, fi- nisce per sostituire una progettualità che non trova il terreno idoneo di un’i- dentità adeguata”10. FENOMENI ALLARMANTI NEL NOSTRO CONTESTO SOCIO-CULTURALE E LORO RIFLESSO SULLA FAMIGLIA (sintesi) Aumento vertiginoso della complessità • interconnessioni tra i sistemi • globalizzazione, flessibilità, mobilità, fluttuazioni • multiculturalità e pluralismo • sovraccarico di compiti per genitori e figli. Relativismo etico • concetto dinamico di natura • le categorie di buono e cattivo non sono più assolute • valori e convinzioni “ipotetiche” • etica fondata sulla cultura dell’avere, della soggettività affettiva e della gra- tificazione immediata • de-normativizzazione • emotivismo come criterio di scelta e come atteggiamento consumistico. Frammentazione • fine delle grandi narrazioni • indebolimento delle tradizionali agenzie di socializzazione • legami sempre più deboli. 10 Ibid., p. 331. 114 Logica tecnologica • la forza del sistema tecnico e socio-economico • tutto ciò che è tecnicamente possibile diventa, per ciò stesso, anche lecito • incidenza dei mass media e delle nuove tecnologie informatiche • fragilità dell’identità soggettiva. Presentismo • il tempo è rapportato principalmente alla velocità • amnesia della storia • fragilità delle radici della propria identità e del sentimento di appartenenza • dispercezione del futuro • assenza di progettualità a medio e lungo termine. Individualismo • enfasi sull’autonomia • difficoltà a costruire legami affettivi stabili e duraturi e identità soggettive spesso incompiute • minore capacità di resistenza alle frustrazioni • aumento dei singles (solitudine) • comunicazione come monologo collettivo • sessualità staccata dalla relazione. 3. Dalle ombre alle luci Un quadro del genere potrebbe facilmente indurre errori di prospettiva, pre- costituendo in quanti s’interrogano sul tema famiglia, sul suo significato per la propria realizzazione e per quella della società, come pure sul futuro stesso della famiglia, un sentimento diffuso di pessimismo. Una valutazione solo negativa non coglierebbe a fondo il messaggio ed il senso che sono sottesi a quanto av- viene e di cui siamo in varia misura testimoni. Ci si può chiedere: si tratta di un processo lineare di dissoluzione? No! La realtà è sempre complessa ed ambiva- lente. Accanto ai nodi problematici, ci sono anche luci che vale la pena di evi- denziare. ➢ Il “caos” delle vite familiari di oggi non fa rimpiangere l’“ordine” di quelle del passato. Il “caos”, infatti, dice anche apertura alle evoluzioni sociali e a nuove possibilità. L’“ordine” rischiava di chiudere la famiglia in schemi rigidi e di ingessare i ruoli al suo interno. Quanto sta avvenendo “non è la forma perfetta e compiuta del processo familiare e neppure un modello, ma piuttosto una serie di tentativi appena abbozzati che esprimono lo sforzo – in parte adat- tivo, in parte di superamento, delle condizioni ambientali profondamente mo- dificate – che deve essere innanzi tutto compreso e, in secondo luogo, soste- 115 nuto nelle sue direttrici più adeguate alle esigenze di compiutezza del percorso d’identificazione, sia dei singoli che della coppia, come pure della famiglia”11. ➢ Il passaggio dalla famiglia estesa alla famiglia nucleare ha favorito il venir meno della tradizionale “divisione del lavoro” tra i coniugi (rimescolamento dei ruoli) e la costruzione di nuovi modelli di essere famiglia, maggiormente centrati sulla dimensione affettiva e relazionale. Inoltre, col tramonto della fa- miglia polifunzionale, la famiglia cede ad altri sistemi sociali (sistema scola- stico, sistema industriale, ecc.) parte delle funzioni sulle quali prima esercitava con una sorta di monopolio e questo fenomeno articola e moltiplica le risorse e le possibilità. ➢ Cresce l’attenzione alla qualità delle relazioni familiari (famiglie più affet- tive), alla comunicazione, all’ascolto, alle esigenze dei singoli e al rispetto per l’altro. Crescono anche le capacità negoziali e l’attenzione all’educazione dei figli. ➢ L’espansione della possibilità di trovare, anche al di fuori del matrimonio o dopo un divorzio, indipendenza economica e status sociale rende praticabili alternative sociali al matrimonio. Proprio il fatto che ci siano delle alternative al matrimonio – e che si possano separare matrimonio e sicurezza sociale – re- stituisce “carattere morale” al matrimonio stesso (in passato, non esistevano reali alternative sociali al matrimonio!). Aumentano la tolleranza e l’acco- glienza di situazioni che ieri venivano bandite dalla società. Inoltre, oggi, il matrimonio, fintanto che tiene, si trova a dover essere fondato su una scelta etica, dato che è venuto meno il vincolo giuridico dell’indissolubilità. Anche le aumentate possibilità di una procreazione responsabile aumentano il carat- tere etico del matrimonio e le possibilità di scegliere responsabilmente. ➢ Cresce, negli operatori pubblici, la consapevolezza riguardo alla centralità del- l’istituto familiare come “soggetto di mediazione sociale”. DALLE OMBRE ALLE LUCI Complessità e caos Vs molteplicità arricchente, opportunità Relativismo Vs aumento della tolleranza e dell’accoglienza di si- tuazioni che ieri venivano bandite dalla società Frammentazione Vs maggiore attenzione alle relazioni Logica tecnologica Vs allargamento delle possibilità e delle risorse Presentismo Vs attenzione all’oggi e concretezza Individualismo Vs aumento del valore della soggettività, dell’atten- zione al singolo e del rispetto per l’altro 11 Ibid., p. 324. 116 4. Conclusione: voglia di famiglia Nonostante la crisi, “che l’indebolisce, la fortifica e la trasforma”12, si può dire che il bisogno di famiglia è in crescita e che la famiglia rimane, anche nella nostra società, un insostituibile nucleo di vita comunitaria ed è riconosciuta come: - luogo ideale di socializzazione dei figli (perché diventino autonomi e respon- sabili), - contesto stabile per l’affermazione di sé (autorealizzazione) e dei propri valori, - luogo in cui favorire l’importanza dei legami interpersonali durevoli nell’arco della vita, la loro relazione con lo sviluppo affettivo e con il processo di indi- viduazione. Sapremo aiutare la famiglia ad affrontare i compiti e le sfide del presente se ri- usciremo a: - evitare di “idealizzare modelli astratti di famiglia” e di piangere sui costumi degradati (rimpiangendo l’“epoca d’oro” della vita familiare), rinunciando alla pretesa di stabilire una volta per tutte la “normalità familiare”; - cogliere i rischi ma anche le opportunità (le ombre e le luci) che, nella nostra epoca, si offrono all’istituzione familiare; - ridisegnare le sue relazioni sia al suo interno, sia con il resto della società; - comprenderla come sistema (prendendo in considerazione i processi fonda- mentali propri di ogni sistema: l’integrazione, la stabilità e la crescita dell’u- nità familiare, in relazione sia ai sistemi individuali sia a quello sociale); - cogliere la sua “bontà relazionale” non come dato spontaneo o come sentimen- talismo romantico, ma come compito responsabile che comporta anche sacri- ficio, capacità di tollerare la frustrazione, rispetto, fedeltà… amore difficile; - riconoscere a pieno titolo la “soggettività” della famiglia, non soltanto quella dei suoi membri, come riferimento obbligato di una nuova organizzazione del welfare state. 5. Bibliografia ragionata Marzio Barbagli, Sotto lo stesso tetto. Mutamenti della famiglia in Italia dal XV al XX secolo , Il Mulino, Bologna, 2001 Il testo, al crocevia tra sociologia e storia, ricostruisce i principali mutamenti della famiglia nell’Italia centro-settentrionale dal XV al XX secolo, nel contesto della vita economica, sociale e politica del paese. Particolare l’ampia e variegata documenta- zione: catasti, censimenti, trattati sui doveri coniugali, libri di famiglia, carteggi. 12 E. MORIN, Il metodo. 5. L’identità umana, Raffaello Cortina Editore, Milano 2002, p. 157. 117 Caritas e Fondazione Zancan, La rete spezzata, Feltrinelli, Milano, 2000 Il libro è un rapporto, redatto da numerosi sociologi, psicologi e pedagogisti, con l’obiettivo comune di promuovere una riflessione sistematica sulle politiche so- ciali. Il fine: la tutela dei diritti fondamentali dei soggetti deboli. Lo spirito: quello della conciliazione tra l’insegnamento sociale della Chiesa e i principi della Costi- tuzione. Due le direttrici del disagio familiare: 1) quello delle famiglie di ceto medio-alto, lacerate dai problemi degli adolescenti; 2) quello indotto dalla povertà e dalla realtà del carcere. Di base: la rete spezzata, ossia la fine della solidarietà pa- triarcale, parentale, del vicinato, indotta dai ritmi serrati di vita e di lavoro. Paolo Di Stefano, La famiglia in bilico, Feltrinelli, Milano, 2001 Esistono ancora le famiglie felici? O esistono piuttosto le famiglie normali o appa- rentemente normali? Un reportage attraverso l’Italia alla ricerca del nuovo volto della famiglia italiana. Paolo Di Stefano ha incontrato, nelle loro case, una decina di famiglie italiane, da Pordenone a Palermo, dalle metropoli alle periferie, cer- cando di lasciar parlare le rabbie, i desideri, i silenzi dei genitori e dei giovani. Tilde Giani Gallino, Famiglie 2000. Scene di gruppi con interni , Einaudi, 2000 Il disegno inteso come «via regia» al mondo, così come il sogno era per Freud la «via regia» all’inconscio: è questo il concetto introdotto da un libro che, esami- nando i disegni realizzati da un gruppo di preadolescenti, si propone di accedere alle rappresentazioni mentali dei ragazzi, alle proiezioni che essi compiono sulla propria situazione affettiva, familiare, sociale, culturale. Attraverso un mezzo espressivo immediatamente leggibile quale il disegno, si evidenziano i cambia- menti che sono avvenuti negli ultimi venticinque anni nella famiglia italiana. Giorgio Nardone, Modelli di famiglia, Ponte alle Grazie, Milano, 2001 La famiglia è ancora la struttura fondamentale della nostra società. È un’organizza- zione retta da regole che proteggono e permettono ai figli di crescere, regole che a volte diventano troppo rigide, o non sono più adatte a una situazione familiare in evoluzione. Tutti i genitori e i figli lo sanno: questo è il rischio della famiglia, di- ventare un’organizzazione chiusa di cui non si riescono più a sovvertire i mecca- nismi. Le relazioni somigliano a un disco che si incanta, che produce all’infinito lo stesso suono. In questo libro Giorgio Nardone ha riassunto insieme ai suoi collabo- ratori il lavoro di anni di ricerca-intervento in una serie di schemi di organizza- zione familiare. Chiara Saraceno, Mutamenti della famiglia e politiche sociali in Italia, Il Mulino, Bologna, 1998 È uno studio brillante, orientato ad analizzare, oltre che a denunciare, le conse- guenze della mancanza in Italia di una vera e propria politica della famiglia, il che 118 spiega perché le misure adottate in termini di legislazione sociale e fiscale risultino inadeguate e qualche volta contraddittorie. Attraverso l’esame di nodi cruciali - per esempio la questione della divisione del lavoro o quella dell’economia familiare - si disegna un profilo di famiglia dalle funzioni solidaristiche e assistenziali tipiche dei sistemi di welfare, ma non protetta e non sostenuta dallo Stato. Dunque,”perché stupirsi se il tasso di fecondità in Italia è il più basso nel mondo?”. Eva Sponchiado, Capire le famiglie, Carocci, Milano 2001 È una sintesi, semplice e chiara, dei risultati oggi raggiunti dagli studi sulla fami- glia, in ordine a differenti approcci: psicologico, sociologico, antropologico. Di- vulgativo, ma serio, approfondito, aggiornato. Ed inoltre: VITTORINO ANDREOLI, Una piroga in cielo , Rizzoli, Milano 2002. BEFFA C., Eppure è viva. I chiaroscuri della famiglia italiana, Monti, Saronno 1999. SERGIO BELARDINELLI, Il gioco delle parti. Identità e funzioni della famiglia in una società complessa, AVE, Roma 1996. GIUSEPPE BRIENZA , Famiglia e politiche familiari in Italia, Carocci, Roma 2001. PIERPAOLO DONATI (a cura di), Identità e verità dell’essere famiglia, San Paolo, Ci- nisello Balsamo 2001. ANNA OLIVERIO FERRARIS, Il cammino dell’adozione, Rizzoli, Milano 2002. J AN-UWE ROGGE, Non c’è famiglia senza caos, Il Saggiatore, Milano 2001. CHIARA SARACENO, MANUELA NALDINI, Sociologia della famiglia, Il Mulino, Bo- logna 2001. Cfr.: http://www.railibro.rai.it/babele/libri3.asp?link=b ; http://www.railibro.rai.it/babele/biblio3.asp 119 6. Risorse in rete sulla famiglia http://www.istat.it/ http://www.osservatorionazionalefamiglie.it/ http://www.chiesacattolica.it/cci_new /UfficiCEI/index.jsp?idUf ficio=14 http://www.stpauls.it/cisf/default.htm http://www.mondofamiglia.it/menu/home.html http://www.familianet.org/index.html http://www.afifamiglia.it/home.html È il sito dell’Istituto Nazionale di Stati- stica che, nelle analisi dei dati relativi alla popolazione, dedica particolare at- tenzione alle strutture familiari. L’Osservatorio, nato da una conven- zione tra la Presidenza del Consiglio dei Ministri (Dip. per gli Affari Sociali) e il Comune di Bologna (Settore Coor- dinamento Servizi Sociali), si pone la finalità di raccogliere ed analizzare dati riguardo ai mutamenti socio-demogra- fici delle famiglie e alle politiche regio- nali, provinciali, comunali per le fami- glie. È il sito dell’Ufficio nazionale per la pastorale della famiglia della Confe- renza episcopale italiana, molto ricco di documenti e risorse scaricabili. È il sito del Centro Internazionale Studi Famiglia dell’associazione “don Giu- seppe Zilli” che promuove studi e ri- cerche sulla famiglia e permette la con- sultazione di un’ampia documenta- zione. È un circuito di associazioni familiari del Trentino. Molto ricco di documenta- zione (vedi la sezione Quaderni) e di ri- ferimenti alle risorse presenti nel web (vedi la sezione Famiglia Web). Questo sito sulla Famiglia, realizzato da genitori, figli, educatori, esperti, offre una selezione di libri e pubblicazioni, recensioni di film, segnalazioni di siti Web per ampliare l’informazione sulla famiglia e l’educazione. È il sito dell’Associazione delle Fami- glie Italiane e intende promuovere una più efficace presenza sociale e politica della famiglia, attingendo ai valori propri della Costituzione Italiana e della Carta dei Diritti della Famiglia. 120 http://www.forumfamiglie.org/index.htm http://www.genitori.it/ http://www.agedo.org/index_i.html http://www.oasicana.it/index.htm http://www.noifamiglia.it/index.htm http://www.arcidiocesi.trento.it/famiglia/ http://www.famigliainsieme.it/ È il sito dell’Associazione nazionale Forum delle Associazioni Familiari. Sito del Moige – Movimento Italiano Genitori, ricco, in particolare, di mate- riali sull’educazione dei figli. Sito dell’Associazione di genitori, pa- renti e amici di omosessuali; affronta temi legati alla differenza di orienta- mento sessuale e all’impatto che l’omo- sessualità ha sulla famiglia. Sito dell’associazione Oasi Cana per l’accoglienza, la promozione e la for- mazione della coppia e della famiglia. È il sito del Ufficio per la pastorale della famiglia della diocesi di Cesena- Sarsina con un ricco archivio di docu- menti. È il sito del Centro Diocesano Famiglia dell’Arcidiocesi di Trento e presenta una ricca rassegna di materiali per la formazione permanente delle coppie e dei genitori. Questo sito nasce da un gruppo di fami- glie di Bologna ed ha lo scopo di met- tere in contatto famiglie e di facilitare conoscenza reciproca, scambio e appro- fondimenti. 121 MODULO 1 LA FAMIGLIA: ORGANISMO GENETICAMENTE MODIFICATO? LEZIONE 2 LA FAMIGLIA NEL PENSIERO SOCIALE DELLA CHIESA OBIETTIVI: Al termine dello studio di questa lezione, il lettore dovrebbe essere in grado di: - conoscere le linee generali e i fondamenti antropologici del pensiero della chiesa sulla famiglia; - rileggere criticamente la concezione di famiglia proposta dalla Chiesa. CONTENUTI 1. Il magistero della Chiesa sull’identità e la missione della famiglia. 2. I principali documenti del magistero della Chiesa sulla famiglia. 1. Introduzione Secondo la Scrittura e la tradizione cristiana, l’uomo viene al mondo origina- riamente in una comunità, la famiglia appunto, come essere-in-relazione. La di- mensione relazionale costitutiva dell’uomo configura allora quella comunità di persone che è la famiglia come immagine della comunione di Dio in tre persone e la fa essere la cellula germinale di ogni altra realtà sociale. In quanto tale, essa non può essere considerata un fatto privato, ma un “bene pubblico”, portatore di diritti fondamentali che vanno rispettati e tutelati. Esistono dunque dei diritti della fami- glia e non solo dei singoli soggetti che la compongono. Questo è il nucleo valoriale profondo del discorso che la Chiesa fa sulla fami- glia ma affermare ciò non significa trascurare il fatto che anche la famiglia è sog- getta a trasformazioni profonde nel tempo. Perciò, anche per la Chiesa, fare un dis- corso sulla famiglia oggi non significa “riferirsi ad una sorta di ‘homo perennis’ fi- losofico, astorico e non percepibile con gli strumenti più diffusi del sapere 122 odierno”13, ma comporta una considerazione attenta dei cambiamenti culturali av- venuti e dei diversi significati attribuiti ai valori. 2. Il magistero della Chiesa sull’identità e la missione della famiglia Per la Chiesa cattolica, la famiglia è un istituto naturale, anteriore ad ogni or- ganizzazione politica o giuridica, una comunità di vita e di amore fondata sul ma- trimonio. L’uomo e la donna si donano reciprocamente l’uno all’altra e si amano con un amore aperto alla vita. Il matrimonio diventa così una comunione di per- sone che genera altra comunione. In questo senso, la famiglia diventa il simbolo umano dell’amore di Cristo e della Chiesa (cfr Ef 5, 32). Alla luce di una antropologia integrale, la Chiesa vede l’atto sessuale nel ma- trimonio come segno del dono totale della persona alla persona. L’apertura all’ac- coglienza della vita, che si esprime nella missione di paternità e maternità respon- sabile, comprende anche la missione educativa per la formazione integrale dei figli. La famiglia quindi, in quanto soggetto che integra i suoi membri, gioca un ruolo fondativo e indispensabile, nei confronti della società e dello Stato. La fami- glia svolge le sue funzioni sociali soprattutto servendo la vita, formando i cittadini di domani, comunicando loro i valori umani fondamentali, introducendo i figli nella società, esercitando la cura nei confronti dei membri più deboli. In quanto prima e vitale cellula della società, la famiglia è allora patrimonio comune dell’u- manità che umanizza ogni società. Essa, considerata nell’unità dei suoi membri e non in modo separato, è un bene prezioso per la società e per la Chiesa ed è portatrice di specifici diritti e di doveri. Alla luce del princio di sussidiarietà14, i valori e i diritti della famiglia vanno riconosciuti e difesi da parte dello Stato con adeguate politiche per la fami- glia, perché la famiglia non è una questione privata ma ha un significato anche po- litico e sociale. La famiglia cristiana è infine “chiesa domestica” “chiesa in miniatura”, sog- getto chiamato ad irradiare lo spirito del Vangelo con la sua testimonianza. Qui di seguito, riportiamo integralmente la parte del Direttorio di pastorale fa- miliare per la chiesa in Italia che definisce l’identità e la missione della famiglia, sintetizzando in particolare quanto espresso da Giovanni Paolo II nel 1981, nella sua esortazione apostolica Familiaris consortio. 13 PINKUS , p. 324. 14 Come visto nella lezione relativa, il principio di sussidiarietà è uno dei fondamenti della dot- trina sociale della Chiesa. Trova piena formulazione nel 1931, nell’enciclica Quadragesimo Anno di papa Pio XI. Viene ripreso da Giovanni Paolo II nella Centesimus annus (1991) che afferma: “Una società di ordine superiore non deve interferire nella vita interna di una società di ordine inferiore pri- vandola delle sue competenze ma deve piuttosto sostenerla in caso di necessità e aiutarla a coordinare la sua azione con quelle delle altre componenti sociali in vista del bene comune” (CA 48). 123 La famiglia 14. Secondo il disegno di Dio, il matrimonio trova la sua pienezza nella fami- glia, di cui è origine e fondamento. Da questo intimo e costitutivo legame con il matrimonio e con l’amore che lo definisce, ogni famiglia deriva, perciò, la sua identità e la sua missione di custodire, rivelare e comunicare l’amore, attra- verso la formazione di una autentica comunità di persone, il servizio alla vita, la partecipazione allo sviluppo della società15. La famiglia cristiana, comunione di persone, segno e immagine della comunione del Padre e del Figlio nello Spirito Santo16, oltre ai compiti ora ricordati, ha anche quello di partecipare alla vita e alla missione della Chiesa. Infatti, nata ed alimentata dal sacramento del matrimonio, la famiglia cristiana, già a par- tire dalla coppia coniugale che ne costituisce il nucleo originario, possiede un’essenziale struttura ecclesiale. Essa è “comunità d’amore e di vita”, formata dalla coppia e dal nucleo familiare, ma è anche, e in profondità, “comunità di grazia”, in intimo e vivo legame con la Chiesa. Anzi, il suo legame con la Chiesa è così profondo e radicale da risultare elemento costitutivo dell’identità cristiana della famiglia. Essa, a suo modo, è una “rivelazione” e una “realizza- zione” del mistero della Chiesa, il quale, a sua volta e reciprocamente, vive e si manifesta anche dentro e attraverso la concreta e tangibile realtà della famiglia cristiana. 15. Per questi motivi, secondo l’autorevole insegnamento del Vaticano II 17, la fa- miglia cristiana può essere chiamata «Chiesa domestica» , poiché essa è, a suo modo, «viva immagine e storica ripresentazione del mistero stesso della Chiesa» 18. In virtù di questa sua connotazione, essa partecipa alla fecondità della Madre Chiesa e si presenta insieme come comunità salvata dall’amore di Cristo che le è donato e come comunità che salva perché chiamata ad annunciare e a comunicare lo stesso amore di Cristo ed è messa in grado di rispondere a questa sua chiamata19. Affonda, inoltre, le sue radici in questo mistero la missione della famiglia cri- stiana nei confronti sia della Chiesa sia della società e del mondo intero. Gli sposi, infatti, che già per il battesimo sono partecipi della vita e della missione della Chiesa, in forza del sacramento del matrimonio da essi celebrato, sono chiamati a ravvivare e a vivere costantemente i loro impegni battesimali in 15 Cfr. Familiaris consortio, n. 17. 16 Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2205. 17 Cfr. Lumen gentium, n. 11; Apostolicam actuositatem, n. 11. 18 Familiaris consortio, n. 49. 19 Cfr. Evangelizzazione e sacramento del matrimonio, n. 47. 124 forme e contenuti nuovi, secondo uno stile coniugale e attraverso le realtà pro- prie della loro esistenza20. Così pure la famiglia intera – chiamata a configurarsi come comunione-comu- nità di fede, nella quale la fede viene accolta, vissuta, annunciata, testimoniata e trasmessa da tutti i suoi membri21 – «è posta al servizio dell’edificazione del Regno di Dio nella storia mediante la partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa» 22. Con il suo stesso esistere, prima che attraverso specifiche atti- vità, in quanto stato particolare di vita cristiana, è annuncio del Vangelo e par- tecipa così alla missione evangelizzatrice di tutta la Chiesa. 16. Nello stesso tempo e condividendo l’unica missione della Chiesa, «in quanto “piccola Chiesa”, la famiglia cristiana è chiamata, a somiglianza della “grande Chiesa”, ad essere segno di unità per il mondo e ad esercitare in tal modo il suo ruolo profetico testimoniando il regno e la pace di Cristo, verso cui il mondo intero è in cammino» 23. Per altro, tale missione, che può e deve essere vissuta secondo diverse forme e modalità, trova certamente nella fisionomia di “Chiesa domestica” nuove sottolineature, ragioni e contenuti; ma essa sgorga dalla caratteristica nativa di ogni famiglia quale cellula primaria e originaria della società. La famiglia, infatti, «è la società naturale in cui l’uomo e la donna sono chiamati al dono di sé nell’amore e nel dono della vita. L’autorità, la stabilità e la vita di relazione in seno alla famiglia costituiscono i fondamenti della libertà, della sicurezza, della fraternità nell’ambito della società. La fami- glia è la comunità nella quale, fin dall’infanzia, si possono apprendere i valori morali, si può incominciare ad onorare Dio e a far buon uso della libertà. La vita di famiglia è un’iniziazione alla vita nella società» 24. Conferenza Episcopale Italiana, Direttorio di pastorale familiare per la chiesa in Italia. Annunciare, celebrare, servire il “Vangelo della famiglia” , Roma, 12 luglio 1993, nn. 14-16. Cfr.: http://www.chiesacattolica.it/ceidocs/dati/1999-08/02-22/01-PFPRM.doc 20 Cfr. Ivi. 21 Cfr. Comunione e comunità nella Chiesa domestica, n. 19. 22 Familiaris consortio, n. 49; cfr. Deliberazioni conclusive della XII Assemblea Generale della CEI. Criteri fondamentali della pastorale matrimoniale, n. 1. 23 Familiaris consortio, n. 48. 24 Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2207. 125 3. Conclusione L’identità profonda della famiglia è chiamata a realizzarsi nella storia, in modo dinamico. La Chiesa, annunciando il suo “Vangelo della famiglia”, non smette di richiamarsi al progetto divino sulla famiglia; non si tratta però di un dato statico ed immutabile ma di un dono che va sempre approfondito ed accolto come grazia. Presupposto di questa accoglienza è la fede che sostiene e accompagna il progetto familiare rendendolo “sacramentale”, cioè capace di essere segno di un amore più grande. 4. I principali documenti del magistero della Chiesa sulla famiglia Riportiamo qui di seguito un elenco ragionato dei più importanti testi del ma- gistero della Chiesa cattolica sul tema della famiglia. Vaticano II Paolo VI Giovanni Paolo II Costituzione dogmatica Lumen Gentium, cap. V Costituzione pastorale Gaudium et Spes, nn. 47-52 Lettera enciclica Humanae vi- tae, 1968 Esortazione apostolica Evan- gelii Nuntiandi, 1975, n.11 Esortazione apostolica Fami- liaris consortio, 1981 Lettera enciclica Sollecitudo rei socialis, 1987 Lettera apostolica Mulieris di- gnitatem, 1988 Esortazione apostolica postsi- nodale Christifideles laici, 1988 Lettera enciclica Veritatis splen- dor, 1993 Lettera alle famiglie, 1994 Lettera enciclica Evangelium vitae, 1995 http://www.vatican.va/archi- ve/hist_councils/ii_vatican_co - uncil/index_it.htm http://www.vatican.va/holy_fa - ther/paul_vi/index_it.htm http://www.vatican.va/holy_fa - ther/john_paul_ii/index_it.htm 126 EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE Esercizio n. 1 Il seguente brano sulla famiglia è tratto da un articolo di M. Toso, Dottrina so- ciale della chiesa. Una sintesi aggiornata , che presenta un recente documento del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, vera e propria sintesi aggiornata della dottrina sociale della Chiesa. Pontificio consiglio per la famiglia Santa sede Conferenza episcopale italiana Carta dei diritti della famiglia, 1983 La chiesa e l’anno internazio- nale della famiglia (25 dicembre 1993) Sessualità umana: verità e si- gnificato, 1995 Preparazione al sacramento del matrimonio, 1996 Atti del II incontro mondiale delle famiglie (Rio de Janeiro 4- 5 ottobre 1997) Famiglia e diritti umani (9 di- cembre 1999) Atti del III incontro mondiale delle famiglie (11-15 ottobre 2000) Atti del IV incontro mondiale delle famiglie (Manila, 25-26 gennaio 2003) Catechismo della chiesa catto- lica, 1992 Sulle orme di Aquila e Priscil- la, 1997 Comunicare vita, 1997 Direttorio di pastorale familia- re, 1999 La famiglia è in se stessa buona notizia, 2002 http://www.vatican.va/ro- man_curia/pontifical_coun - cils/family/index_it.htm http://www.vatican.va/archi- ve/catechism_it/index_it.htm http://www.chiesacattolica.it/pls /cci_new/edit_bancadati.apri_p agina?sezione=doc&id_en - te=14&tipo_ente=uf f 127 Il capitolo sulla famiglia (cap. V) la presenta come prima società naturale, entro un quadro culturale di stampo personalista. Si tratta di una scelta fatta a ra- gion veduta, considerando il fatto che oggi, in non poche nuove legislazioni, la famiglia non è più riconosciuta secondo la sua identità di società naturale fon- data sul matrimonio, bensì secondo prospettive privatistiche e soggettivistiche. Ben al contrario, la famiglia ha il suo fondamento nella libera volontà dei co- niugi di unirsi in matrimonio. Tale volontà implica, però, il rispetto dei signifi- cati e dei valori propri di quest’istituto, che non deriva solo dall’uomo ma anche da Dio. L’istituto del matrimonio non è semplice creazione dovuta a conven- zioni o a imposizioni legislative. Dotato di proprie caratteristiche, originarie e permanenti, nonostante i numerosi mutamenti verificatisi nei secoli all’interno delle varie culture, possiede una dignità che non può essere misconosciuta o ma- nipolata dalla società e dagli Stati. Questi hanno, piuttosto, il compito di ricono- scerla, tutelarla e promuoverla. La famiglia, comunione d’amore e di vita, radicata nel patto d’amore del ma- trimonio, è risorsa sociale molto più feconda delle «unioni di fatto». Queste ul- time, sebbene cresciute di numero, sono instabili per loro intrinseca costituzione e pertanto non sono in grado di assumere tutti quegli impegni che ne rendereb- bero meno precaria l’esistenza e più efficace la funzione sociale. Poiché è innegabile e irrinunciabile la valenza sociale della stabilità e del- l’indissolubilità dell’unione matrimoniale, queste non devono essere affidate esclusivamente all’intenzione e all’impegno delle singole persone coinvolte. La responsabilità della tutela e della promozione della famiglia, quale fondamentale istituzione naturale, proprio in considerazione dei suoi vitali e imprescindibili aspetti pubblici, compete anche alle società. La necessità di conferire un carat- tere istituzionale ai matrimoni, fondandoli su un atto pubblico socialmente e giuridicamente riconosciuto, deriva, oltre che da un impulso all’amore, da basi- lari esigenze di convivenza sociale (cfr. n. 201). Come ha mostrato l’esperienza, l’introduzione del divorzio nelle legislazioni civili ha finito per alimentare una visione relativistica del legame coniugale, provocando l’indebolimento del suo nucleo relazionale. Poiché la solidità del nucleo familiare è una risorsa determinante per la qua- lità della convivenza sociale, la comunità civile non può restare indifferente di fronte alle tendenze disgregatrici che minano alla base i suoi stessi pilastri por- tanti: «Se una legislazione può tollerare, in situazione di cultura pluralistica, comportamenti moralmente inaccettabili, e disciplinare, in situazioni complesse, i rapporti tra le persone in modo da evitare effetti socialmente dannosi e contro- producenti, tuttavia tale tolleranza e tale disciplina non devono mai indebolire il riconoscimento del matrimonio monogamico indissolubile, inducendo l’opi- nione pubblica a sottovalutarne l’importanza istituzionale» (n. 203). Una problematica collegata alle unioni di fatto è quella relativa alla richiesta di riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali. Il rispetto della dignità e 128 dei diritti fondamentali delle persone omosessuali non comporta la legittima- zione di comportamenti contrari alla legge morale né, tanto meno, il riconosci- mento di un diritto alle unioni omosessuali e alla loro equiparazione alla fami- glia fondata sul matrimonio (cfr. n. 203). L’equiparazione, da parte della società e della legge civile, tra famiglia e unioni di fatto di qualunque genere esprime e favorisce un pericoloso discredito dell’autentico modello familiare. Soltanto la famiglia fondata sul matrimonio può offrire un insostituibile con- tributo in riferimento alla persona e alla società. È in questa culla della vita e dell’amore che l’uomo nasce e cresce. Qui egli è riconosciuto e responsabiliz- zato nella sua integralità. In essa fa l’apprendistato della solidarietà ed è al centro dell’attenzione in quanto fine e mai come mezzo. Proprio per questo, la famiglia è per la società la migliore garanzia contro ogni deriva di tipo indivi- dualistico e collettivistico; è precondizione della robustezza morale dei popoli. Luogo in cui la vita, dono di Dio, è adeguatamente accolta e protetta contro i molteplici attacchi a cui è esposta, diventa determinante ed insostituibile contro il diffondersi di una civiltà della morte, assumendo il valore di una vera e corag- giosa profezia (cfr. n. 205). Società prioritaria rispetto allo Stato, la famiglia è dotata di diritti e di doveri propri, che impongono alla comunità politica di regolare il proprio intervento se- condo il principio di sussidiarietà. In quest’ottica, i genitori sono i primi educatori dei propri figli. Sono tuttavia chiamati ad esercitare la loro opera educativa in stretta collaborazione con organismi civili e religiosi. Il diritto-dovere dei genitori all’educazione della prole è indubitabilmente originario, primario, inalienabile. In forza di ciò, essi hanno il diritto di scegliere gli strumenti formativi rispondenti alle proprie convinzioni e di cercare i mezzi che possono aiutarli nel loro compito anche nell’ambito spirituale e religioso. Hanno anche il diritto di fondare e soste- nere istituzioni educative. Le autorità devono far sì che i pubblici sussidi siano stanziati in maniera che i genitori siano veramente liberi nell’esercizio di questo diritto, senza andare incontro ad oneri ingiusti, e cioè a sostenere, direttamente o indirettamente, spese supplementari, che impediscono o limitano tale esercizio. È da considerarsi un’ingiustizia il rifiuto di sostegno economico pubblico alle scuole non statali che ne abbiano necessità e rendano un servizio alla società ci- vile. Quando lo Stato rivendica a sé il monopolio scolastico, oltrepassa i suoi di- ritti e offende la giustizia. Non può, senza commettere un’ingiustizia, semplice- mente tollerare le scuole cosiddette private, perché rendono un servizio pubblico e, di conseguenza, hanno il diritto di essere aiutate economicamente (cfr. n. 213). Quanto detto induce a guardare con più attenzione a quella soggettività so- ciale della famiglia che gli Stati totalitari ed assistenzialistici hanno compressa e sottovalutata. La famiglia, in quanto istituzione sociale naturale, è dotata di un’innata soggettività a livello civile, economico, politico e religioso. Di questa soggettività le stesse famiglie devono prendere maggiore coscienza, rafforzando l’associazionismo e la loro partecipazione alla vita sociale e politica, sul piano nazionale e mondiale (cfr. nn. 217-222). 129 Traccia per la riflessione Sviluppa, a partire dalla lettura attenta dell’articolo di Toso, una rilettura cri- tica del concetto di famiglia proposto dalla Chiesa: - Quali i significati e i valori che le vengono attribuiti? - Quali le difficoltà che avverti nella recezione di questa concezione nella cul- tura contemporanea? - Che cosa significa, per un CFP salesiano, operare in relazione alla famiglia “secondo un progetto formativo ed educativo che si ispiri ai principi della Dottrina Sociale della Chiesa”? Bibliografia AA.VV., Matrimonio e famiglia: quale futuro? Aspetti antropologici , Massimo, Milano 2001. P. DONATI (a cura di), Identità e verità dell’essere famiglia, San Paolo, Cinisello Balsamo 2001. A. MONETTI, Coppia e famiglia. Come e perché, EDB, Bologna 1993. M. TOSO, Famiglia, lavoro e società nell’insegnamento sociale della Chiesa, LAS, Roma 1994. 130 MODULO 2 LA FAMIGLIA COME SOGGETTO SOCIALE, POLITICO ED ECONOMICO LEZIONE 1 LA DIMENSIONE SOCIALE DELLA FAMIGLIA OBIETTIVI: Al termine dello studio di questa lezione, il partecipante dovrebbe essere in grado di: - individuare la dimensione sociale come dimensione essenziale e costitutiva della famiglia; - analizzare criticamente le politiche sociali che riguardano la famiglia. CONTENUTI: 1. Dal privatismo all’apertura sociale. 2. Un problema di carattere culturale. 1. Dal privatismo all’apertura sociale La famiglia di oggi, almeno nel contesto dei paesi occidentali, appare svuotata del suo significato primordiale che la collocava al centro dell’organizzazione so- ciale: privata del ruolo educativo e di cura, abituata ormai a delegare ora la televi- sione, ora la scuola, ora altre agenzie e servizi; isolata dal reticolato di relazioni so- lidali nel contesto dei quartieri, dei paesi o delle corti; idealizzata (vedi l’immagine di famiglia mediata dall’informazione e dalla pubblicità: bella, unita, ricca, fe- lice…) ma in realtà esposta ad un crescente disagio. All’origine di tutto questo, gli esperti vedono il fenomeno del privatismo che ha progressivamente caratterizzato l’evoluzione della famiglia nell’epoca mo- derna e contemporanea, per via dei grandi cambiamenti che hanno piano piano modificato stili di vita e modalità di rapporto, ma anche per via di un potente input culturale di stampo liberista, spesso implicito, secondo cui “la famiglia è un fatto assolutamente privato e riguarda la vita dei singoli cittadini non lo Stato o la 131 società”25. A questa concezione si legano forti interessi economici e commerciali che “trattano la famiglia come un oggetto da spremere, da condizionare, da mani- polare… come anche da curare amorevolmente… ma pur sempre oggetto”26, con conseguente riduzione dell’influenza sociale e politica della famiglia stessa. Ma la famiglia che si vive ed è vissuta come privatizzata, si trova spesso in una situazione drammatica: “da un lato, infatti, essa pensa di dovercela fare da sola, e non riuscendoci tende a rinchiudersi; dall’altro nessuno le viene incontro, proprio perché è opinione comune che la famiglia sia un fatto privato, per cui ogni singolo componente risponde solo alla propria famiglia e se i problemi diventano seri si va dallo psicologo o dal terapeuta”27. Proprio in questo contesto, sommarriamente disegnato, cresce oggi l’esigenza di recuperare la consapevolezza della costitutiva dimensione sociale della famiglia: “l’apertura sociale della famiglia e quindi la sua soggettività sociale sono… un ele- mento costitutivo della sua stessa identità”28. L’evoluzione recente delle politiche sociali tenta di riscoprire il protagonismo della famiglia. Il principio di sussidiarietà, ad esempio, che ha trovato la sua appli- cazione in Europa, nell’accordo di Maastricht del 7 febbraio 1992, diventando la direttrice fondamentale del processo di formazione dell’Unione Europea e che, a livello nazionale, è stato accolto dall’art. 4 dalla legge Bassanini sulla riforma della pubblica amministrazione, chiama in causa la famiglia come soggetto e come risorsa e non più solo come destinataria passiva di interventi depotenzianti. Il pro- blema non è tanto quale servizio erogare alla famiglia ma “che cosa possono fare e dire la famiglia e la comunità rispetto a quel dato bisogno”29. È in questo senso che, seppur ancora timidamente, sembrano muoversi alcuni provvedimenti legisla- tivi anche in Italia: gli interventi a tutela dei minori attraverso supporti socio-eco- nomici ed educativi a favore del nucleo familiare, i servizi di assistenza domici- liare per gli anziani e la riforma della scuola che, almeno a parole, dichiara una rin- novata centralità della famiglia. I provvedimenti però sono stati spesso inadeguati e hanno perseguito obiettivi contraddittori: - mancano gli interventi organici, - molti interventi a favore della famiglia, più che da una nuova cultura della solidarietà, sono dettati dalla presa di coscienza dell’insostenibilità econo- mica del modello di welfare che aveva completamente estromesso la fami- glia nella gestione dei servizi alla persona attivati proprio in sostituzione della famiglia, 25 SARZI SARTORI S., La famiglia nel sociale. Quando si apre la porta , San Paolo, Cinisello Bal- samo (MI) 2002, p. 17. 26 Idem. 27 Ibid., p. 19. 28 Ibid., p. 10. 29 Ibid., p. 38. 132 - prevalgono le iniziative politiche tese ad aiutare solamente le famiglie indi- genti o con gravi difficoltà, che continuano cioè a considerare la famiglia come un problema da risolvere, più che come una risorsa da attivare, - in ambito fiscale, prevale un sistema di tassazione individuale (che tende a ve- dere nel figlio un bene privato della famiglia, disconoscendone il valore so- ciale). 2. Un problema di carattere culturale Il problema, prima che legislativo, è di carattere culturale. Si tratta infatti di “cambiare un modo di viversi e percepirsi della famiglia; e cambiare un modo di viversi della società, dello Stato… È da ripensare, dunque, una società a misura di famiglia, ma meglio ancora – poiché la società è espressione delle famiglie – è da ripensare una famiglia a misura di società. Non si tratta di familiarizzare il mondo, ma di ricollegare famiglia e società”30. Non basta che la nuova cultura fa- miliare agisca sul versante del suo ruolo educativo e della dimensione dei rap- porti ad intra, all’interno della famiglia (su questo fronte, si sono fatti dei passi avanti notevoli). Bisogna agire anche – e contemporaneamente – al livello dei rapporti ad extra , inter-familiari e “sul versante delle sue relazioni con la società e di tutte le implicazioni di tale rapporto con la vita interna della famiglia e con la vita della società stessa”31. E ancora: “Ogni famiglia deve riacquistare non solo la consapevolezza d’essere con pieno merito titolare d’un diritto di cittadinanza, ma deve ritornare a considerarsi e a viversi come soggetto e risorsa per la comu- nità”32. Uscendo dal proprio privato e mettendosi in rete, le famiglie potranno riap- propriarsi del proprio ruolo fondamentale nella costruzione di individualità sane, capaci di assumere le proprie responsabilità nella società. Dunque, sempre di più la famiglia è chiamata a diventare soggetto attivo delle politiche che la riguar- dano. 30 Ibid., p. 20. 31 Ibid., p. 22. 32 Ibid., p. 38. 133 EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE Esercizio n. 1 - Leggi attentamente il brano sotto riportato - Evidenziane i punti di contatto con i temi trattati nella presente lezione - Inserisci le tue osservazioni nel newsgroup. Riconosciuta a parole, trascurata nei fatti È uno strano destino quello della famiglia italiana: scrutata, analizzata, sezio- nata dagli studiosi italiani e di tutta Europa come un’anomalia del Belpaese, un “misterioso” ingrediente che rende l’Italia una terra strana, diversa, speciale ri- spetto a tutte le altre nazioni del continente e le spinge a interrogarsi sul feno- meno, periodicamente sorprendendosi sulle risorse di questo modello tutto ita- liano. Uno storico autorevole come Paul Ginsborg ne ha fatto la chiave di lettura, nel bene e nel male, dell’intera storia italiana del dopo-guerra, sottolineando come costituisca non solo la chiave di volta dei valori del nostro popolo, il prin- cipale centro di servizi e assistenza sia affettiva che concreta, ma perfino l’ossa- tura dell’economia nazionale: stando ai dati del 1995, riportati da Ginsborg, un milione di negozi e 250 mila esercizi pubblici, prevalentemente a conduzione familiare, dava lavoro a circa cinque milioni di persone. Inoltre alcune delle principali aziende italiane, veri colossi del capitalismo nostrano, ruotano o hanno ruotato fino a poco tempo fa intorno a una famiglia (vedi Agnelli, Mon- dadori, Pirelli). Il paradosso che incombe su questo “fenomeno” è di attrarre l’attenzione universale, ma con un’eccezione: i centri decisionali del Paese la ignorano più o meno sistematicamente, come se per la nostra classe dirigente fosse una que- stione meramente privata, un fattore da ritenersi irrilevante nelle scelte di Go- verno. Curiosamente, sono gli unici a pensarla così: economisti, storici, socio- logi, hanno individuato nella famiglia la matrice stessa della società italiana e da tutti è riconosciuto il suo ruolo di microimpresa, nella quale, come ha spiegato il sociologo ex presidente del Cnel, Giuseppe De Rita, tutti contribuiscono se- condo le proprie possibilità, creando un efficace adattamento alla modernità di una struttura tradizionale. Un ruolo fondamentale tanto universalmente riconosciuto, perfino da chi lo critica, quanto sistematicamente sottoposto all’oblio di chi dovrebbe porla al centro delle proprie scelte decisionali. Basti pensare alle politiche fiscali che da sempre, indipendentemente dal colore dei governi, hanno come base l’indi- viduo, mai la famiglia. Lo stesso vale per le politiche sociali, per il welfare che, 134 al più, ne dà per scontato il ruolo di fonte di assistenza complementare, capace cioè di arrivare dove latitano pensioni, sussidi di disoccupazione, assistenza sa- nitaria e domiciliare. Già da qualche anno, tuttavia, non mancano nuovi segnali di attenzione verso la possibile scoperta da parte della politica di un ruolo diverso e meno passivo della famiglia, nel quale è stata finora relegata. Col risultato che oggi la famiglia è in difficoltà di fronte alle sfide della modernità. La prima a riconoscerlo, e a ri- badirlo spesso, è la Chiesa. Nell’ultima Lettera pastorale, intitolata Famiglia dove sei?, scritta dal cardinale Dionigi Tettamanzi prima di congedarsi da Ge- nova, rivisitando la parabola del Buon samaritano, si descrivono i tempi mo- derni come briganti che assalgono il viandante (la famiglia, appunto), lasciato ferito sul ciglio della strada da altri passanti (cita lo psicologo, il sociologo e persino un prete moralista). Di sicuro il ruolo della famiglia resta centrale per gli italiani, basta guardare al diffuso fenomeno, anch’esso tipicamente italiano, della “famiglia lunga”, che vede i figli restare a casa fino a trent’anni e oltre, e, dopo il distacco, mantenere contatti frequentissimi con la famiglia d’origine, magari per ricevere aiuto con i propri figli. Si è venuto a creare un carico di ruoli e di responsabilità fortissimo, che oggi incombe, soprattutto per i milioni di abitanti delle grandi città, non più sulla famiglia allargata, nella quale il controllo degli adulti sui giovani era col- lettivo, ma sulla famiglia nucleare. Bisogna forse fare riferimento a un’altra teoria sociologica, che spiega come il capitalismo industriale sia nemico della famiglia, perché costituisce un vin- colo alla libera allocazione delle risorse umane. Ad esempio, l’allocazione geo- grafica, laddove impone l’emigrazione di masse di persone all’interno del Paese o, ancora oggi, fuori dai confini nazionali. Si manifestano tensioni e ostacoli che premono sulla famiglia, creando alcuni punti deboli individuati dallo stesso Ginsborg: l’indebolimento del ruolo del padre, sempre più assente da casa, il moltiplicarsi dei compiti attribuiti alla madre che, pur mantenendo spesso e in gran parte la responsabilità dei lavori domestici, dev’essere, come viene ritratta dalla pubblicità, bella, curata, in car- riera ma sempre attenta ai figli, titolare principale delle “pubbliche relazioni” fa- miliari, perfetta cuoca e così via. Di fronte a tutto questo l’Italia ha il non invi- diabile primato mondiale della scarsa fertilità: soltanto 1,3 figli per donna. Chiuso il dibattito degli anni ’70, che aveva messo la famiglia sotto accusa, giudicandone repressivi i valori, e fallite le forme alternative di convivenza, si è però tornati ad attribuirle un ruolo centrale, non scalfito nemmeno dalla cre- scente propensione a impostare i consumi sull’individuo (si parla perciò di so- cietà di single). La famiglia è diventata così il centro principale di consumo: i figli possono sfruttarne alcuni servizi comuni, non pagare l’affitto, e tenere così un tenore di vita che altrimenti non potrebbero permettersi. Qui si innesta, però, un altro fattore di tensione, quello economico: il dro- 135 gaggio consumistico fa sì che le maggiori risorse a disposizione della famiglia, ottenute grazie a questa “unione delle forze”, vengano spesso investite in beni di consumo superflui (per tutti valga il telefono cellulare). Abbiamo visto quale ef- fetto dirompente si scatena quando, su questa struttura, si innestano eventi più o meno imprevedibili, come una malattia, la perdita del posto di lavoro, o magari la dipendenza dal gioco: è il cosiddetto fenomeno del sovraindebitamento, anche questo tuttora ignorato quasi totalmente dalle istituzioni, eppure già assai diffuso. È una situazione in cui diventa più evidente come la famiglia non sia considerata risorsa dallo Stato e, lungi dall’essere aiutata, viene lasciata sola a se stessa e a volte persino ostacolata. Nel dibattito pubblico si parla di aspetti particolari, il riconoscimento delle unioni di fatto, l’incentivo alle nascite, ma si dimentica di affrontare il tema cen- trale: il riconoscimento del ruolo della famiglia nella società italiana, come so- stenerlo e farne una risorsa. Tratto da: Marino G., Famiglia. Un’impresa riscoperta dalla politica , dos- sier di “Famiglia cristiana”, supplemento al n. 18 del 4 maggio 2003, San Paolo, Milano 2003, pp. 176-179. Bibliografia L. SANTOLINI - V. SOZZI (a cura di), La famiglia soggetto sociale: radici, sfide, progetti, Città Nuova, Roma 2002. C. SARACENO, Mutamenti della famiglia e politiche sociali in Italia, Il Mulino, Bologna 1998. S. SARZI SARTORI, La famiglia nel sociale. Quando si apre la porta , San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2002. 136 MODULO 2 LA FAMIGLIA COME SOGGETTO SOCIALE, POLITICO ED ECONOMICO LEZIONE 2 PER UNA NUOVA CULTURA DELLA SOLIDARIETÀ FAMILIARE E SOCIALE OBIETTIVI: Al termine dello studio di questa lezione, il partecipante dovrebbe essere in grado di: - individuare gli elementi di una coltura della solidarietà familiare e sociale; - cogliere i nessi esistenti tra cultura della famiglia e cultura della società; - riflettere su come valorizzare la risorsa famiglia all’interno di un CFP. CONTENUTI: 1. La solidarietà familiare: un bene per la famiglia. 2. La solidarietà familiare: un bene per la società. 1. La solidarietà familiare: un bene per la famiglia Nella lezione precedente, abbiamo visto che il problema di fondo è quello di aiutare la famiglia a recuperare il suo rapporto fondamentale con la società. Un tempo, la solidarietà tra le famiglie del vicinato non era scelta, era in un certo senso una via obbligata, a motivo della diffusa povertà; oggi, nella società del benessere, la costruzione di un reticolo di relazioni solidali tra le famiglie può diventare una scelta consapevole e dunque un esercizio di responsabilità. Sempre seguendo la riflessione di Stefano Sarzi Sartori, notiamo che la scelta consapevole dell’apertura alla solidarietà implica concretamente per una famiglia la consapevolezza che “non basta una famiglia per fare famiglia”33. Questa consa- 33 SARZI SARTORI S., La famiglia nel sociale. Quando si apre la porta , San Paolo, Cinisello Bal- samo (MI) 2002, p. 23. 137 pevolezza apre alla condivisione delle risorse e dei bisogni, al dare, ma anche al chiedere. E chiedere è oggi più difficile che dare, ma altrettanto indispensabile per costruire autentica solidarietà. Infatti, “chiedere non significa semplicemente mani- festare il materiale bisogno di qualcosa, ma significa innanzitutto esprimere il bi- sogno, fondamentale per ogni famiglia, di apertura, di comunicazione e di condivi- sione”34. Come avviene per la singola persona, anche una famiglia può crescere so- lamente ponendosi in una relazione di apertura e di confronto con altri. E così può concretamente crescere una rete di solidarietà tra famiglie e nella società: “Non è raro che chiedendo ci si accorga di un bisogno che non era solo nostro, e non è raro che dopo aver chiesto ci si renda conto delle risorse di solidarietà di cui si è capaci come famiglia: magari con un piccolo sforzo, innanzitutto del pensiero: vado a fare le spese… può essere che la mia vicina abbia bisogno di qualcosa, dato che è così presa dal suo bambino, appena nato; porto a scuola i miei bambini… c’è quella mamma nella mia scala che per accompagnare suo figlio all’asilo deve portarsi dietro anche l’altro figlio non ancora in età di scuola… posso chiederle se ha pia- cere che prenda con me anche suo figlio…”35. Le famiglie possono così scoprirsi come risorsa reciproca. Anche la comunicazione e la condivisione reciproca di ciò che si vive in fami- glia può essere un passo importante per costruire un contesto sociale e familiare più solidale. In questo senso, come vedremo, sono estremamente importanti anche gli spazi di socializzazione dei vissuti dei genitori, che si possono ricavare all’in- terno di un’istituzione scolastica o formativa (incontri informali, corsi in forma di laboratorio, gruppi di autoaiuto, ecc.), anche grazie al protagonismo delle associa- zioni di genitori. 2. La solidarietà familiare: un bene per la società La scelta della solidarietà, quando diventa stile di vita che tende ad allacciare rapporti tra le famiglie dei ragazzi che frequentano una stessa scuola o uno stesso Centro, ma anche tra le famiglie del vicinato, è in grado di “rigenerare un tessuto di relazioni sociali che costituisce l’anima della comunità locale, della società…, ricostruendo occasioni di rapporti quotidiani concretamente fondati su valori come la condivisione, la fiducia, la comunicazione spontanea”36. Superando il privatismo ed aprendosi agli altri, la famiglia contribuisce a co- struire la società e lo Stato. Questa consapevolezza permette alla famiglia di assu- mere pienamente la sua responsabilità. Inoltre, la costruzione di una rete di solidarietà, di un contesto sociale e fami- liare solidale, pone le base di un’autentica comunità educante che “non è il risul- 34 Ibid., p. 26. 35 Ibid., p. 28. 36 Ibid., p. 31. 138 tato della somma di diverse azioni educative, ma è la funzione educativa che un contesto integrato e solidale assume in quanto tale rispetto al bambino e alla sua crescita, ma anche rispetto alla crescita sella stessa comunità che attraverso questo reticolato si autoeduca”37. Sistema educativo familiare e sistema educativo sociale si raffrozano così a vicenda. In questo senso, diventano molto utili la presenza e l’azione delle associazioni familiari che possono raccogliere le istanze, i bisogni, le richieste delle famiglie ma anche monitorare e valorizzare le risorse presenti e connettere tutto questo con livelli sociali più ampi, in particolare, con il livello politico e quello istituzionale. 3. Conclusione La vera sfida per le famiglie e per la società è quella di “generare una cultura che sia la radice, il punto focale da cui gradualmente dovrebbe prendere forma la società fino a giungere alle istituzioni, e alla stessa economia (parola che deriva dal greco oikos-nomos , ovvero legge della casa)”38. Una nuova cultura della famiglia si intreccia con una nuova cultura della so- cietà dato che il buon funzionamento della famiglia è innestato nel buon funziona- mento della società come comunità di persone e di famiglie. Questa nuova cultura del sociale ha bisogno di un fondamento etico: un’etica non individuale ma sociale, un’etica della solidarietà, inclusiva e aperta. EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE Esercizio n. 1 Leggi attentamente l’esperienza di seguito riportata e la traccia di riflessione che segue. 37 Ibid., p. 33. 38 Ibid., p. 9. 139 Un’esperienza In un grande condominio vive una famiglia con quattro figli: il più grande di 14 anni, la più piccola di 4. È evidente che una simile famiglia crea non pochi problemi di rumori ai sottostanti e i problemi si amplificano se questi sottostanti sono un’anziana signora e sua figlia: due persone che amano particolarmente la tranquillità e che perciò soffrono particolarmente i bambini. I rapporti tra le due famiglie sono ormai deteriorati. Nessun grande litigio, ma sono frequenti e neppure tanto gentili le telefonate che giungono dalle due donne, per richiamare la famiglia numerosa al rispetto della loro quiete. Dal- l’altra parte, tuttavia, nonostante la buona volontà dei primi tempi, si considera ormai che le richieste non sono più legittime e si assecondano con ironia e insof- ferenza, disattendendole nei fatti. Un inverno capita un’abbondante nevicata, di quelle che paralizzano il traf- fico e bloccano le auto nei grandi spazi chiusi dei cortili. La famiglia numerosa ha lasciato l’auto al sicuro in un garage direttamente sulla strada già ripulita. Af- facciandosi alla finestra, papà e figlio più grande vedono la vicina sottostante (la figlia) che tenta di aprire un varco nel cortile per fare passare la propria auto. Non pensano a gentilezze ma, non avendo nulla da fare, viene loro voglia di an- dare a fare un po’ di sport spalando la neve. Decidono così di scendere e di af- fiancarsi alla vicina del piano di sotto. Iniziano a spalare in silenzio, senza un saluto né una parola con lei. Passa un’ora e nel frattempo vengono liberate una, due, tre, quattro auto. Ad un certo punto la vicina, non resistendo alla curiosità, chiede al papà: “Ma dove ha l’auto lei?”. “Non l’abbiamo qui, la nostra è già a posto”, risponde il papà, “adesso liberiamo la sua!”. Non era una bugia. In effetti questo obiettivo se lo erano prefisso mentre spalavano, giusto per darsi un limite. La signora rimane esterrefatta e, un po’ imbarazzata, inizia a dire qualcosa che poi piano piano di- venta una conversazione, a tratti scherzosa. Si informa anche del figlio e, sic- come è un’insegnante (severa ma brava!), gli dà qualche consiglio sulle sue fu- ture scelte scolastiche. Si arriva così a liberare l’auto in questione che era la penultima della fila e a quel punto: “Abbiamo fatto trenta facciamo trentuno!”. La signora è stanca ma non si tira indietro. Alla fine è esausta, come tutti, ma non smette di ringraziare: “Senza di voi non ce l’avrei fatta! E domattina devo portare mia madre in ospe- dale per una visita”. “Beh, ma se me lo diceva, la potevo portare io!”. “A sa- perlo! Comunque adesso è fatta!”. Siamo sotto Natale e qualche ora dopo l’insegnante risale dai generosi vicini per offrire una bottiglia di champagne francese. Gli scambi di convenevoli non nascondo la sostanza di quel che è accaduto: il rapporto senza volerlo è cam- biato. Le telefonate da quel momento si fanno molto più rade e soprattutto estre- mamente più gentili. Qualche volta vengono persino anticipate: “Signora, guardi 140 che dobbiamo fare qualche lavoro, quale sarebbe il momento migliore… stasera arrivano degli amici di Paolo, ma per le 11 abbiamo dato il coprifuoco…”. In ef- fetti, anche la famiglia numerosa si è fatta più attenta e premurosa e si accorge con sorpresa che non è così difficile esserlo e soprattutto che rende più piace- vole, persino utile la convivenza: la signora si è offerta di dare qualche lezione al secondo figlio che ha qualche difficoltà proprio nella sua materia. Una vera fortuna (anche economica) perché altrimenti, con tempi e impegni vari di tutti i figli, era un problema pensare di portarlo da qualcun altro. Insomma: da quel momento diventa un’altra musica! Tratto da: Sarzi Sartori S., La famiglia nel sociale. Quando si apre la porta , San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2002, pp. 42-44. Traccia per la riflessione - Che cosa apprendono le famiglie protagoniste dell’esperienza narrata? - Ti vengono in mente altri esempi di solidarietà familiare, a cui hai assistito direttamente? Potresti ricostruire tali episodi ed inserire i tuoi racconti nel newsgroup. Esercizio n. 2 Prova a rispondere alle seguenti domande: - Come si potrebbe potenziare, all’interno del CFP in cui sei inserito/a, la comu- nicazione e l’interazione con le famiglie? - In che senso, il reticolato delle relazioni familiari (gruppi, associazioni di ge- nitori…) viene percepito come risorsa per la comunità educativa del CFP in cui operi? - Come potrebbe un CFP contribuire a far crescere e a valorizzare una rete soli- dale di famiglie? Bibliografia P. DI NICOLA, Prendersi cura delle famiglie, Carocci, Roma 2002. P. DONATI., Manuale di sociologia della famiglia, Laterza, Roma-Bari 1998. P. DONATI. (a cura di), Identità e varietà dell’essere famiglia: il fenomeno della “pluralizzazione” . Settimo Rapporto Cisf sulla famiglia in Italia, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2001. C. SARACENO, Mutamenti della famiglia e politiche sociali in Italia, Il Mulino, Bologna 2003. S. SARZI SARTORI, La famiglia nel sociale. Quando si apre la porta , San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2002. 141 MODULO 3 LA FAMIGLIA COME SISTEMA E COME SOGGETTO CHE EDUCA LEZIONE 1 LA FAMIGLIA COME SISTEMA OBIETTIVI: Dopo lo studio di questa lezione, i lettori dovrebbero essere in grado di: - elencare le caratteristiche principali di un sistema; - individuare alcuni elementi che caratterizzano il sistema famiglia come sistema educativo; - analizzare le relazioni tra i membri di una famiglia come relazioni circolari in cui ciascuno in- fluenza ed è influenzato dagli altri. CONTENUTI: 1. Il concetto di sistema. 2. La famiglia come sistema. 3. Per migliorare il sistema famiglia. Dopo aver analizzato il fenomeno famiglia nei suoi vari aspetti, possiamo ri- volgerci alla famiglia come soggetto che esercita una primaria e fondamentale fun- zione educativa e che come tale entra in relazione con chi si occupa di formazione. I formatori entrano direttamente in contatto con le famiglie: accoglienza, defini- zione del contratto formativo, incontri con i genitori, colloqui, ecc. Da un punto di vista educativo, ci sembra possa essere utile pensare alla fa- miglia in termini di sistema. Le note che seguono dovrebbero fornire ai forma- tori non solo la capacità di rapportarsi ai soggetti utenti come membri di un si- stema, ma anche alcune indicazioni essenziali per interagire in modo corretto con i genitori. 142 1. Il concetto di sistema Se vogliamo pensare la famiglia in termini di sistema, dobbiamo innanzitutto prendere in considerazione gli elementi fondamentali che sono propri di ogni si- stema. Il concetto di sistema è stato introdotto da von Bertalanffly ( Lineamenti di teoria generale dei sistemi, 1950), biologo ed epistemologo austriaco che emigrò in Canada nel 1949. Caratteristiche del sistema: 1) Il sistema indica un insieme di elementi, di parti differenti che sono in rela- zione tra di loro e costituiscono un tutto organizzato (il concetto veniva inizial- mente utilizzato in biologia, per spiegare gli organismi viventi come sistemi com- plessi, il concetto viene poi introdotto in diverse scienze, dalla psicologia alla ci- bernetica)39. 2) Un tutto è più dell’insieme delle parti che lo compongono. L’organizza- zione sistemica produce proprietà o qualità ignote alle parti concepite isolatamente (es.: le proprietà dell’essere vivente sono ignote alla scala delle sue costituenti prese isolatamente: atomi, molecole, cellule, organismi). 3) Ogni cambiamento che un elemento subisce si ripercuote anche sugli altri elementi. Una modifica locale si ripercuote sul tutto e una modifica del tutto si ri- percuote sulle parti. 4) È impossibile stabilire dei nessi di causa-effetto. Si passa così da un’ottica lineare (A causa B) ad un’ottica circolare, in cui è impossibile definire chi è causa e chi è effetto perché gli elementi sono legati tra loro da azioni e retroazioni (La pragmatica della comunicazione parlerà poi di “punteggiature” dei processi comu- nicativi: la scelta arbitraria di un solo segmento che rompe la circolarità). 5) Se il sistema si mantiene aperto, un flusso di informazioni esce dal sistema e un flusso di informazioni entra nel sistema. 6) Un sistema è caratterizzato da due tendenze: l’omeostasi (= l’equilibrio che consente di risparmiare energia) e il cambiamento. L’omeostasi è continuamente sfi- data dalla realtà. Nei sistemi umani, i cambiamenti possono essere endogeni (legati al cambiamento delle persone) o esogeni (quando è l’ambiente esterno che muta). 7) I sistemi sono molti e sono in relazione tra di loro (rete) e i singoli elementi di un sistema sono in relazione con elementi di altri sistemi. 39 Studia i primi principi dell’organizzazione di macchine con programmi per il trattamento delle informazioni e con dispositivi di regolazione, la cui conoscenza non può essere ridotta alla co- noscenza delle loro parti costitutive. 143 2. La famiglia come sistema Guardare alla famiglia come sistema significa, da una parte, vederla come “circolo in cui ciascun membro influenza ed è influenzato da ciascuno e da tutti”40, dall’altra, vederla nella sua interazione con gli altri sistemi sociali: sistema scola- stico e formativo, economico-produttivo, sanitario, ecc. La famiglia, in questa pro- spettiva, è appunto un sotto-sistema fondamentale della società. Cosa significa questo concretamente? Qui di seguito riportiamo una sintesi delle riflessioni di due autori che da anni si occupano con competenza di relazioni familiari, Gilberto Gil- lini e Mariateresa Zattoni 41. 2.1. Ogni individuo fa parte di un sistema-famiglia I componenti di una famiglia (padre, madre, figli…) non sono un insieme di singoli, dalla cui interazione dipende il clima familiare, ma costituiscono un si- stema che è in grado di influenzare gli stessi individui e che da essi è influenzato. • Nella coppia, non basta considerare il carattere di lui e di lei: ci si modifica a vicenda... • L’intreccio di relazioni familiari è tutt’altro che la somma dei componenti, perché produce dinamiche che modificano i componenti stessi. In una fami- glia con figlio adolescente, ad esempio, non c’è solo un figlio in crescita e alla ricerca di nuove modalità di espressione affettiva, ma ci sono genitori i cui vissuti affettivi pregressi fanno corto-circuito con quelli del figlio e producono un’atmosfera importante per il cambiamento o per la fossilizzazione sia del/la ragazzo/a sia degli adulti. • Ci sono gesti nella famiglia che interessano qualcuno ma ricadono anche sugli altri: come ci si apre ai bisogni, come si esercita la cura... sono gesti che hanno una rilevanza anche sul rapporto con i figli. • Per risolvere il problema di un elemento (ad es. il figlio), è possibile che sia più opportuno agire sugli altri elementi (ad es.: i genitori, il contesto...). Se non si entra in una considerazione sistemica, chiunque si trovi a prendere in considerazione una determinata famiglia si illude di individuare “la causa” e ri- schia di entrare nella spirale dei “si deve”: il padre “dovrebbe dialogare”; la madre “dovrebbe essere più accogliente”; il figlio “dovrebbe socializzare”, e così via. E, di dovere in dovere, l’improvvisato consulente della famiglia – magari il formatore di un CFP – consiglia in modo confondente una serie di prassi sociali conformi- stiche. 40 Cfr.: G. GILLINI, M. Z ATTONI, Ben-essere in famiglia. Proposte di lavoro per l’autoformazione di coppie e di genitori, Queriniana, Brescia 20027, p. 35. 41 Oltre all’opera citata sopra, cfr.: L’altra trama, Ancora, Milano 1997; Ipotesi per una consu- lenza formativa, Franco Angeli, Milano 2000. 144 2.2. Nessuno è “fuori”: non ci si può sottrarre al sistema Se la famiglia è sistema, ciò significa che nessuno è escluso, nessuno è spetta- tore, nessuno può tirarsene fuori. Infatti, nella relazione sistemica (che è relazione circolare), ciascun elemento è insieme punto di partenza e punto di arrivo, ricevi- tore e trasmettitore e, nel circolo-sistema di una determinata famiglia, ciascuno ha un posto tale che – se non ci fosse – l’intero sistema sarebbe diverso, sarebbe un’“altra” famiglia. Qualunque cosa accada in famiglia, nessuno può dire “io non c’ero”, “io non c’entro”. Persino chi tenta di sottrarsi, di lasciare “liberi” gli altri, non fa che dire: “Ci sono!” e il suo comportamento influenza ed è influenzato da quello di tutti gli altri, qualunque cosa esso faccia. Non si può infatti non comuni- care e anche se comunicassi “non ci sono”, in questo mio non-esserci, mi renderei pesantemente presente. Ci sono mille modi per dire in famiglia: “Io non c’ero”: “Ho mal di testa, perciò fate quello che volete”; “Ho da fare in ufficio, veditela tu con il bambino”; “Non preoccuparti per me, caro, sentiti libero di fare quello che vuoi”. Questi sono tentativi di fuggire, di sottrarsi alla comunicazione, di ferirsi l’un l’altro, di vincere con il non esserci. Ma anche se uno andasse sulla luna, quell’uomo o quella donna che è il suo partner, quel figlio che – poniamo – lo ha deluso o tradito nelle sue aspettative più profonde, se li porterebbe dentro. Egli è ciò che sono stati loro. Belli o brutti, dritti o storti, con il cuore pieno del desiderio di essere altrove o lieti di portare il nostro contributo, riusciti o non riusciti, falliti o non falliti, vincenti o perdenti, non possiamo più sottrarci alla consapevolezza di essere parte del sistema famiglia. Ciascuno ha contribuito allo svolgersi della storia dell’altro e con l’altro, nessuno è un “di più”, nessuno è inutile, nessuno è “come se non ci fosse”, e tanto meno nessuno “sarebbe meglio che non ci fosse”. “Se ci regaliamo gli uni gli altri il ‘grazie perché ci sei’, cioè accogliamo la presenza dell’altro nel sistema, abbiamo fatto il primo passo per confermarci, per riconoscerci, perfino per la reciproca stabilità mentale e affettiva”42. 2.3. Nessuno si ferma: il cambiamento come prassi normale del sistema famiglia Siamo un sistema, un circolo, ma un sistema in trasformazione, in continuo cambiamento: “La vita, le nostre relazioni reciproche, i nostri contatti con gli altri ci trasformano continuamente. Nessuno di noi può essere ‘fermato’, bloccato, in una fotografia formato tessera. Le ‘tessere’ ci sono solo nella memoria e nelle no- stre paure. Ci portiamo nella mente una sorta di galleria di ritratti in cui cerchiamo ostinatamente (nel bene e nel male) di ‘fissare’ le persone con cui viviamo” 43. “Nei riquadri appesi nella memoria, le persone non cambiano, rimangono mute e rigide, anche quando sorridono: non permettiamo loro di cambiare. E fac- 42 G. GILLINI, M. Z ATTONI, Ben-essere in famiglia.., op. cit., p. 36. 43 Ibid., p. 37. 145 ciamo loro un grande torto. Andiamo spesso per il mondo con i quadri appesi nella mente, come se fossero i nostri interlocutori: abbiamo ‘fissato’ le persone, con cui viviamo, e perfino noi stessi, in una sorta di muta galleria. Ed è stranissimo quanto ci diamo da fare per dialogare con i nostri quadri, per litigare con loro, per vendi- carci di loro. Così ci dimentichiamo di guardare in faccia le persone reali di cui conserviamo memoria. Abbiamo infatti lo strano potere di ‘reificare’ le relazioni , cioè di dire, con accanita convinzione. ‘Quello è fatto così; lo so io che è così; anzi, so io che non cambierà mai’. Appena fatta questa operazione, appendiamo nella nostra mente il ‘quadro’ e ci mettiamo a dialogare, litigare, perfino lottare con esso. Non è questo il sottofondo di tutti i miti, di tutte le favole in cui le per- sone si tramutano in statue di sale? Fatto è che le ‘statue di sale’ sono molto ingombranti e davvero insoddisfa- centi, anche quando sono perfette. Chi ha tramutato, ad esempio, i genitori in statue di sale lo sa benissimo. È sempre un’operazione perdente, anche quando le statue di sale sono perfette, meravigliose. Come potrebbe, ad esempio, una giovane ragazza diventare mai come la madre se questa è perfetta? Chiaramente non la rag- giungerà mai!” 44. Trasformare le relazioni in statue immutabili ci fa perdere la novità (e il bello) della vita che è sempre sistema in trasformazione. Per questo è importante pensarci in trasformazione! La prassi normale della famiglia è il cambiamento: i genitori evolvono e si tra- sformano con il cambiamento e la crescita dei loro figli. Lo sviluppo dei legami cambia i membri della relazione. Questo vale per ogni fase del ciclo vitale della fa- miglia, ma è particolarmente evidente quando, in una famiglia, il figlio diventa adolescente. Infatti, con un figlio adolescente, qualunque famiglia sperimenta rela- zioni nuove e diverse. Non sono solo aggiustamenti esteriori; cambiano le perce- zioni, i modi di rapportarsi ai valori. E con un figlio adolescente, anche la famiglia diventa, in un certo senso, “adolescente”, si sente precaria, esposta agli influssi esterni, in balia di forze che non conosce e non controlla. Deve rivedere i termini dell’autorità, delle regole, delle responsabilità... 2.4. Importanza della visione circolare Assumere una visione circolare significa innanzitutto applicare ai rapporti in- terpersonali il principio per cui una frase prende significato dalle parole e dà signi- ficato ad ogni singola parola. Talvolta, le situazioni sembrano senza sbocco perché ci si fissa su una parte e si perde di vista l’insieme. La prospettiva circolare ci per- mette allora di uscire dalle strettorie delle nostre punteggiature (il marito dice di bere perché la moglie si arrabbia e la moglie dice di arrabbiarsi perché il marito beve; i figli dicono di comportarsi male perché non ricevono fiducia, i genitori di- cono di non dare fiducia perché i figli si comportano male). 44 Idem. 146 La prospettiva circolare permette di orientarsi anche nel rapporto tra genera- zioni: invece di irrigidirsi sulle proprie posizioni, si tratta di rendersi conto che tutte le età ci appartengono, o perché vissute o perché in fieri. Non si può parlare di figli senza far entrare in causa i genitori o gli adulti in generale, e viceversa (anche questo si lega al concetto di sistema che permette di guardare insieme alla parte e al tutto). Infine, la prospettiva circolare ci porta a collocare i problemi e le difficoltà della famiglia nel contesto più ampio del quartiere, del territorio, della società. 2.5. Il conflitto come risorsa Non c’è niente di magico o di scontato nelle relazioni. Del resto, un rapporto scontato sarebbe con tutta probabilità anche un rapporto insipido e noioso. Invece, “dove c’è storia, c’è conflitto”45. Il conflitto, nei sistemi di interazione umana, non è un incidente di percorso o qualcosa da cui scappare con tutte le no- stre forze per navigare tranquilli nel mare della vita. Queste sono utopie pericolose. “Sgombriamo la mente dalla favola che i rapporti umani possano essere senza con- trattempi e intoppi; sgombriamo la mente dalla favola di essere ‘per natura’ al- truisti, mansueti, pronti ad essere messi nel sacco”46. Il conflitto è anzi l’ospite fi- siologico del sistema, tanto più quanto più questo è primario. Negare il conflitto sarebbe più dannoso al sistema familiare che riconoscerlo come nodo. Riconoscere il conflitto è invece il primo passo per viverlo come risorsa. Il conflitto può essere una risorsa. Decisivo è il modo di affrontarlo. Se ci si infila nel vicolo cieco del “duello” o “braccio di ferro” competitivo, non ci pos- sono che essere vincitori e vinti. Si tratta di una logica rigida, in bianco e nero (chi ha ragione e chi ha torto) che alla fine provoca rivalità e stallo. La strada della co- operazione e della negoziazione, invece, diventa un modo per andare oltre l’alter- nativa vincere-perdere e per scoprire come, nel rispetto dell’altro/a, le differenze possono far vedere risorse a prima vista invisibili. 3. Per migliorare il sistema famiglia 3.1. Accogliere la presenza dell’altro Occorre innanzitutto tener presente che ogni persona ha una sua originalità, un suo modo di vedere la realtà, non è riducibile alle aspettative che noi ci fac- ciamo su di lei. È dunque necessario sintonizzarsi per entrare in contatto. Questo significa: 45 Ibid., p. 40. 46 Idem. 147 - accogliere l’altro con riconoscenza, - non presumere o pretendere che l’altro abbia i miei stessi vissuti e condivida il mio stesso significato, - rispettare, ascoltare e prendere in considerazione il punto di vista dell’altro anche se, di primo acchitto, mi suscita fastidio o rifiuto, - evitare sempre di umiliare o squalificare il significato, il vissuto e l’esperienza dell’altro. Oltre a voler bene e ad accettare, si tratta di rispettare e ascoltare il punto di vista dell’altro (del figlio, del partner, ecc.). Solo quando la soggettività è rispettata ed accolta si può aprire la relazione. L’essere genitori non rende “oggettivi”: si è e si resta sempre soggettivi. La nostra visione dell’educazione è sempre soggettiva (mediata da noi soggetti, dalla nostra storia, dalla nostra esperienza). 3.2. Collocarsi nell’ottica della relazione Spesso pensiamo all’altro (il partner, i figli, ecc.) come a qualcuno da amare, da sopportare, da aiutare... In questo modo potremo far bene all’altro, ma ci po- niamo fuori dalla relazione. Nell’ottica relazionale, invece, l’altro fa in qualche modo parte di noi, noi siamo coinvolti in una reciprocità esistenziale per cui, ad esempio, entriamo nella prospettiva che non esistono figli difficili ma relazioni difficili, perché siamo noi ad avere difficoltà nella relazione. Piuttosto che accusare l’altro (o definirlo, o giudicarlo...), il genitore può cer- care di comprendere e decifrare i propri vissuti e i propri coinvolgimenti (cosa faccio io perché l’altro sia così?). Si tratta in sostanza di assumere quell’ottica cir- colare di cui abbiamo trattato sopra. 3.3. Adeguarsi al cambiamento permanente con una formazione permanente Proprio perché il cambiamento è permanente, la famiglia – e, in particolar modo, i genitori – richiede un supporto permanente di formazione, un luogo, uno spazio in cui i genitori possano socializzare ed affrontare i problemi connessi con la loro funzione educativa. 148 EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE Esercizio n. 1 - Prova innanzitutto a ricostruire, il più fedelmente possibile, un colloquio che hai avuto con dei genitori che sono venuti a parlarti del/la loro figlio/a adole- scente. - Prova poi a leggere i dati che ti sono stati presentati collocandoli nella pro- spettiva sistemica e circolare che abbiamo visto sopra. Che cosa noti? Bibliografia R. CARMIGNANI - M. DANIELI, Radici e ali. Proposte per genitori che non rinunciano a educare , An- cora, Milano 1988. G. GILLINI - M. Z ATTONI, Ben-essere in famiglia. Proposta di lavoro per l’autoformazione di coppie e di genitori, Queriniana, Brescia 1994. ID., I genitori si interrogano. La narrazione come invito al cambiamento, Paoline, Milano 1998. ID., I tempi della famiglia. Giornale di bordo per una navigazione intelligente, Ancora, Milano 1996. ID., L’altra trama, Ancora, Milano 1997. ID., Ipotesi per una consulenza formativa, Franco Angeli, Milano 2000. T. GORDON, Genitori efficaci. Educare figli responsabili, La Meridiana, Molfetta (BA) 1994. R. MASTROMARINO, Prendersi cura di sé per prendersi cura dei figli. Proposta di training per geni- tori, LDC, Torino 1995. 149 MODULO 3 LA FAMIGLIA COME SISTEMA E COME SOGGETTO CHE EDUCA LEZIONE 2 CFP E FAMIGLIA: UN’ALLEANZA POSSIBILE OBIETTIVI: Dopo lo studio di questa lezione, i lettori dovrebbero essere in grado di: - raccogliere dati sul rapporto tra CFP e famiglia; - acquisire alcuni elementi per gestire correttamente un colloquio di aiuto con i genitori; - individuare una possibile modalità per proporre percorsi di formazione dei genitori. CONTENUTI: 1. Raccolta di dati e di proposte sul rapporto tra CFP e famiglia. 2. Per la gestione del colloquio. 3. Per la formazione con i genitori. Esercitazione d’apertura Raccolta di dati e di proposte sul rapporto tra CFP e famiglia CONSEGNA: a) Compilate il questionario che trovate qui sotto, anche in modo incompleto, magari interpellando il direttore del vostro Centro o qualche altro/a collega. b) Inserite i vostri dati nel relativo spazio nel forum, secondo quanto vi verrà se- gnalato dai tutor. c) Confrontate i vostri dati con quelli dei colleghi. 150 1. RACCOLTA DI DATI E DI PROPOSTE TRA CFP E FAMIGLIA 0. Dati generali Nome dell’ente CFP: ............................................................................................................................. Sede (località): ............................................................................................................................. N° complessivo di utenti nella formazione iniziale (in obbligo formativo) ............................................................................................................................. N° complessivo di formatori ............................................................................................................................. 1. CFP E FAMIGLIA 1.1. Esiste nel vostro Cfp la procedura del contratto formativo con la famiglia degli utenti della formazione professionale iniziale? Se sì, secondo quali mo- dalità viene attuata? ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. 1.2. Esistono incontri periodici con i genitori degli allievi? Se sì, di che tipo sono (colloqui con i formatori, incontri con i coordinatori, feste e incontri convi- viali…) e come sono organizzati? ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. 1.3. In che misura e secondo quali modalità i genitori vengono interpellati ed en- trano a co-definire l’offerta formativa dell’ente? ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. 1.4. È attiva nel CFP un’associazioni a carattere familiare? Indicare quale (Age, Agesc, ecc.) e quali obiettivi si propone? ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. 151 1.5. In che rapporto di partecipazione e collaborazione sono i genitori con l’orga- nizzazione CFP e con i formatori? ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. 1.6. La famiglia, a vostro parere, viene sufficientemente considerata dai formatori come una risorsa per la formazione dei giovani? sì † no † 2. Formazione dei genitori Esiste qualche esperienza di formazione per/con i genitori nell’ambito del CFP? sì † no † 2.2. Se sì, quanti sono approssimativamente i genitori che partecipano, rispetto al totale dei genitori degli allievi? _______ 2.3. Se esistono proposte formative per genitori, indicate brevemente come sono realizzate (quanti incontri, gestiti da chi, secondo la modalità della conferenza o di piccoli gruppi di lavoro…) ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. Quali sono le tematiche prevalenti tra quelle affrontate (es.: orientamento, adolescenza, comportamenti a rischio, relazione genitori e figli, ecc.)? ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. 2.5. Esistono esperienze significative di collaborazione con enti pubblici o altri or- ganismi nella cura o nella formazione delle famiglie? sì † no † 2.6. Se sì, segnalatele brevemente ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. 2.7. Avete proposte, attenzioni o esperienze innovative da segnalare? ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. 152 1. Formazione dei formatori 3.1. Esistono, nel vostro ente o nel vostro territorio, esperienze significative di for- mazione e aggiornamento per formatori o operatori, sulla dimensione fami- liare? sì † no † 3.2. Se sì, quanti formatori del vostro Centro vi hanno partecipato negli ultimi 5 anni? ______________ 3.3. Se sì, indicate la tipologia e i contenuti di queste esperienze ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. 3.4. Avete proposte, attenzioni o esperienze innovative da segnalare? ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. 1. In prospettiva 4.1. Esistono, oltre a quanto già segnalato nelle pagine precedenti, altre iniziative che ritenete significativo riportare? sì † no † 4.2. Se sì, quali? ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. 4.3. Quali sono secondo voi gli ambiti che richiederebbero un’attenzione partico- lare e iniziative specifiche nei prossimi anni? ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. Compilato da (indicare il ruolo svolto all’interno del CFP): ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. Data ________________________ 153 2. PER LA GESTIONE DEL COLLOQUIO Come emergerà da un’analisi dei dati raccolti attraverso l’esercitazione di apertura, in un CFP, i formatori si trovano continuamente ad interagire con il si- stema famiglia, sia nel rapporto con gli utenti stessi, sia nel rapporto con i genitori. Qui di seguito, ci soffermeremo in particolare sulla gestione del colloquio con i ge- nitori e sulla formazione con e dei genitori nel contesto di un CFP. Nel colloquio con i genitori, il formatore diventa una risorsa importante, che può aiutarli a connettere i dati e ad individuare altre possibili trame per leggere in modo ossigenante il proprio rapporto con il figlio e per aprirsi a prospettive di cambiamento. Innanzitutto è opportuno liberare la strada da possibili tranelli, nei quali possono cascare sia il genitore che il formatore. Quando un membro parla degli altri membri del suo sistema (il genitore dei figli ma anche i figli dei genitori, il formatore degli allievi, gli allievi del forma- tore…), si atteggia spesso ad “osservatore esterno”, parla cioè dell’altro definen- dolo a prescindere dalla relazione (“mio figlio è timido!”, oppure: “mio figlio è bloccato”). Esprime così il desiderio di trovare nell’altro le cose che non vanno, operando una sorta di reificazione della relazione e ritagliandosi una ragione per restare fuori dalla relazione stessa (“io non c’entro!”). Quando chiede un cambia- mento, perché sente un disagio, si tratta normalmente del cambiamento dell’altro (“mi dica come posso aiutare mio figlio a…”). Individua le cause dei problemi dentro ai singoli (“è lui che è così!”), non nelle connessioni. L’osservatore esterno si pone come giudicante, “sa” come vanno e come andranno le cose e così rischia di attuare una profezia che si autodetermina (“me l’aspettavo!”). Spesso l’osserva- tore si fa dell’altro una “statua di sale”, un’immagine rigida che funziona da filtro (prende dall’esperienza solo ciò che si adatta alla statua di sale) e imprigiona le re- lazioni. Egli insomma ingabbia la realtà con le proprie reificazioni mettendo in atto un potentissimo filtro con cui punteggiare le relazioni stesse (“lo so io perché suc- cede così…!”). Un altro luogo comune in cui spesso e facilmente cadiamo è quello della co- siddetta lettura del pensiero (“lo so io perché…”) che è sempre a portata di mano. Reificazione della relazione, profezia autoverificantesi e lettura del pensiero si in- trecciano a vicenda e si sostengono reciprocamente. Occorre allora costruire una rete di aiuto reciproco, aiutarsi ed aiutare i geni- tori a sospettare che le cose non stiano proprio così, a rendersi consapevoli che il potere delle reificazioni (peraltro inevitabili) funziona da filtro rispetto ai dati della realtà e ci immobilizza. È possibile far questo connettendo le situazioni relazionali. Come abbiamo visto, infatti, il comportamento di ciascuno è rinforzato dal sistema relazionale in cui uno si trova inserito. L’obiettivo è quello di dare risorse al si- stema relazionale. Sono le nuove connessioni a dare ossigeno alla relazione. Si può partire dalla lettura di come apparentemente “stanno le cose”, indivi- duando i pensieri “tossici”, quelli che si presentano come evidenze: “è così…”; “lo so io che…” e che diventano indicatori delle reificazioni in corso. 154 A questo punto, si può inserire un’altra lettura (“e se…”), che tenga conto di una modalità circolare di guardare i rapporti, alla ricerca di che cosa permette al- l’uno e all’altro di essere “come egli è”. Le connessioni disfunzionali (le letture ri- gide, causali, lineari…) trovano sempre partigiani che le confermano. Per questo occorre introdurre nuove connessioni con valore di ipotesi (“e se…”). Il vero la- voro è quello di mettersi alla ricerca di connessioni nuove che il sistema non aveva esplorato e si era precluso, perché prigioniero di letture rigide. Si tratta di mettersi alla ricerca di letture che, senza trascurare i dati, rendano ragione dei dati in modo differente. La nuova lettura sarà capace di considerare tutti i dati e di farne emer- gere di nuovi. Infine, si possono esplorare le alleanze possibili tra i vari sistemi (formazione professionale e famiglia), in una prospettiva operativa che mira al bene del/della fi- glio/a - allievo/a e costruisce interdipendenza (per cui ci sentiamo debitori gli uni degli altri). ATTENZIONE A NON 1) Cadere nella discussione competitiva Nelle discussioni, spesso, si spinge l’interlocutore in una posizione che non gli è utile e si forma il ring. Succede quando si vuole indurre l’altro a capire mediante ripetute spiegazioni (il formatore si fida della propria logica ma non comprende che la logica serve solo se condivisa). Insistere, senza modificare le premesse, con- duce in un vicolo cieco per cui le cose, alla fine della discussione, saranno peggio di prima. In una discussione frontale, infatti, la “vittoria” sull’altro mi porterebbe a perdere il contatto emotivo con la persona. Lo catturo ma lo perdo. Se il formatore si mette su un gradino superiore, tende a rapportarsi all’altro con ingiunzioni di tipo morale (“dovrebbe…”). Il formatore che intenda aiutare, sa cogliere i segnali dell’essersi imbarcato in una discussione (ad esempio, quando l’altro/a dice: “sì, ma…”), sa tornare sui suoi passi con messaggi non di forza ma di debolezza (“Senza volerlo, mi sono messo a discutere con lei… evidentemente mi è sfuggito qualcosa…). Più che di entrare in discussioni, si tratta di: ❑ coltivare una certa curiosità esplorativa (la curiosità dell’antropologo); ❑ accompagnare le persone ad esplorare diverse alternative possibili; ❑ prospettare vari scenari, disegnandone di simulati (“poniamo che…”, “pro- viamo ad immaginare cosa succederebbe se…”), di chiedere semplicemente: “vorrei capire…”; ❑ ricorrere eventualmente a narrazioni che decostruiscano le fissità e allarghino il campo di indagine. 155 2) Lasciarsi coinvolgere eccessivamente Bisogna stare attenti a non trasformare il buon rapporto che si ha con il geni- tore nello schierarsi totalmente dalla sua parte. Si tratterebbe di un coinvolgimento eccesivo che fa perdere la totalità e la complessità della relazione. Il formatore competente sa che è inutile parteggiare per una parte; bisogna parteggiare per il sistema, per la relazione. Infatti, quando il membro di un sistema soffre, tutto il sistema soffre. Allora, si tratta di: ❑ vedere le cose dal punto di vista dell’altro; ❑ chiedersi se i dati sono sufficienti, se ci sono ipotesi di lavoro non lineari ma circolari; ❑ metacomunicare esprimendo i propri sentimenti (“il suo comportamento mi mette a disagio”); ❑ allargare il campo; ❑ chiedersi cosa c’è dietro una difficoltà espressa (spesso, la difficoltà è un sin- tomo che vuole comunicare qualcosa), andando al di là della scorza dei fatti (frase importante: “Vorrei tanto…, ma non so come fare… mi aiuti lei…”). 3) Perdere l’occasione di fare silenzio e di ascoltare Il formatore può puntare su una dote che possediamo tutti, quella dell’igno- ranza, e allora chiedere davvero per sapere: “Come è successo questo…?” (la do- manda: “Si può sapere perché sei sempre così…?” è molto diversa, perché con- tiene già in sé la risposta). Il formatore deve rinunciare all’idea di essere bravo perché indovina. Il suo “non sapere” serve al suo interlocutore perché gli pone delle domande che lui stesso non sapeva porsi. Si riesce a sfruttare la propria igno- ranza se ci si mette davvero in rete. Spesso il formatore perde l’occasione di fare silenzio. È importante chiedere “Perché?”. Il perché spesso apre a situazioni imprevedibili. Ci vuole molta pa- zienza perché la persona arrivi a riformulare la domanda iniziale (è utile chiedere: “perché siamo qui?”) che evolve lungo tutto il colloquio. 3. PER LA FORMAZIONE CON I GENITORI Sarebbe auspicabile che anche nei CFP trovasse spazio la formazione “dei” genitori (non “per” i genitori), finalizzata non a fornire istruzioni ma a potenziare le risorse che già esistono nei genitori stessi. Anche il genitore che ha commesso degli errori (e chi non ne ha commessi?) ha delle competenze: è più utile risve- gliare le competenze e le potenzialità latenti che ricordare gli errori (è un principio che vale anche nell’educazione dei figli!). Nelle relazioni, non esiste apprendimento tecnico. Non si tratta quindi di inse- 156 gnare ad azionare una leva o di distribuire ricette. Si tratta di risvegliare nei geni- tori la fiducia che loro stessi sono le prime risorse per i loro figli, che dentro di loro c’è una bussola che segnala il nord. Per far questo la formazione dovrebbe ri- correre sempre meno alla sola conferenza degli esperti e strutturarsi nella modalità del laboratorio in piccolo gruppo. In questo tipo di formazione, il genitore diventa capace di autoguarirsi dalle proprie unilateralità, si rende più flessibile, risveglia competenze genitoriali sopite. Il compito del formatore è solamente quello di rimandare ai genitori la comu- nicazione delle risorse che hanno. Utili punti di partenza possono essere le analisi di dinamiche di conflitto o di incidenti critici. Rifacendoci a G. Gillini e M. Zat- toni, proponiamo una possibile strutturazione di percorso formativo 1) Breve presentazione; 2) Laboratorio di piccolo gruppo su un incidente critico (molto utili possono es- sere quelli proposti dagli autori sopra citati nelle loro numerose pubblica- zioni)47; 3) Restituzione/feed-back al gruppo allargato; Il laboratorio potrebbe concludersi con l’invenzione di una narrazione alterna- tiva/positiva della stessa storia e con una breve riflessione di sintesi su “che cosa ho imparato in questo incontro”. Ogni sottogruppo sceglie al suo interno un “vigile” che moderi la comunica- zione e un portavoce che osservi, prenda nota e si prepari a raccontare a braccio al- l’assemblea ciò che è avvenuto nel gruppo, liberandosi dall’ansia dell’oggettività (gli altri potranno integrare, se lo desiderano). È importante che: - le persone che si confrontano sull’incidente critico non parlino immediata- mente di sé, ma regalino tempo alla storia, si immedesimino in essa (il caso che trattano non riguarda nessuno di loro e questo ci dà più libertà); - le persone si sentano libere di dire nel gruppo quella parte di verità che riten- gono importante dire e non si sentano in dovere di entrare nel privato perso- nale. 47 M. Z ATTONI, Ben-essere in famiglia. Proposte di lavoro per l’autoformazione di coppie e di genitori, Queriniana, Brescia 2002 e le opere là citate. 157 EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE Esercizio n. 1 Al termine di questo percorso sulla famiglia, prova a rispondere alle seguenti domande e a confrontare le tue risposte con quelle dei tuoi colleghi, all’interno dei newsgroup: - Che cosa chiedono le famiglie ad un CFP? - Quali i dispositivi di ascolto da mettere in atto? - Cosa può significare per un CFP pensare alla famiglia come soggetto e non solo come oggetto? - Quale contributo specifico possono portare le famiglie alla crescita della co- munità educativa? E attraverso quale modalità? - Cosa fare per aiutare le famiglie a scoprire il loro ruolo all’interno della comu- nità educativa? AREA 4 L’UOMO E IL LAVORO STEFANO FONTANA INDICE Modulo 1 - Lavoro e lavori nella società di oggi Lezione 1 - I cambiamenti nel mondo del lavoro e i problemi emergenti Lezione 2 - La solidarietà nel lavoro Modulo 2 - Il lavoro come atto della persona e il suo significato umano Lezione 1 - Il senso soggettivo ed oggettivo del lavoro: lavoro e capitale Lezione 2 - L’educazione al lavoro come sfida per la formazione Modulo 3 - Nuovi compiti del lavoro e nuovi soggetti che lavorano Lezione 1 - Lavoro e nuova società relazionale Lezione 2 - Il lavoro e la società civile 161 MODULO 1 LAVORO E LAVORI NELLA SOCIETÀ DI OGGI LEZIONE 1 I CAMBIAMENTI NEL MONDO DEL LAVORO E I PROBLEMI EMERGENTI OBIETTIVO DELLA LEZIONE: Al termine della lezione, il lettore potrà: - conoscere e valutare criticamente i principali cambiamenti in atto nel mondo del lavoro. CONTENUTI: 1. Fordismo e post-fordismo. 2. Nuove tipologie di lavoro e di lavoratori. 3. Ragioni e problematiche del cambiamento. 4. Una flessibilità “sostenibile”. 1. Fordismo e post-fordismo Gli studiosi sono ormai concordi nell’adoperare le due espressioni fordismo e postfordismo per indicare i principali cambiamenti nel mondo del lavoro avvenuti nel passaggio dalla seconda rivoluzione industriale alla terza. La parola fordismo – adoperata per la prima volta da Antonio Gramsci – indica alcune caratteristiche del lavoro cui ormai se ne contrappongo altre, secondo il seguente riquadro: Epoca fordista Epoca postfordista Pesantezza Leggerezza Materialità Immaterialità Rigidità Flessibilità Tradizione Innovazione Forte socializzazione Debole socializzazione 162 Pesantezza e leggerezza Nell’epoca fordista il lavoro era faticoso, realizzato con macchinari pesanti all’interno di grandi fabbriche e capannoni ove si concentravano centinaia di operai. La pesantezza si manifestava anche nel forte impatto ambientale che il la- voro aveva allora: acciaierie, impianti chimici, centrali elettriche, ferrovie…; tutto ciò aveva modificato ampiamente l’ambiente naturale e soprattutto quello cittadino. Nell’epoca postfordista il lavoro è meno faticoso, realizzato con macchine sempre più minute, dentro uffici che spesso hanno lo spazio del proprio com- puter, svolto individualmente o in unità produttive di piccolissime dimensioni con pochi addetti, con un impatto ambientale molto più leggero o addirittura ine- sistente. Materialità e immaterialità Nell’epoca fordista il lavoro era molto materiale, impegnava l’uso dei muscoli e delle mani, avveniva tramite macchine ingombranti che prolungavano ed amplia- vano la forza umana, produceva soprattutto beni materiali pesanti che soddisface- vano bisogni umani di tipo prevalentemente materiale: abitare, vestirsi, spostarsi, attrezzare la casa di elettrodomestici Nell’epoca postfordista il lavoro è invece prevalentemente immateriale, più che muscoli e mani sono importanti le conoscenze e le tecniche, si producono beni immateriali come le pubbliche relazioni, il turismo e il divertimento, l’informa- zione e la pubblicità, si soddisfano sogni, si vendono simboli, si commerciano marchi e copyright. Rigidità e flessibilità Nell’epoca fordista il lavoro era rigido, ripetitivo, stabile, scandito da ritmi re- golari. Spesso si svolgeva il lavoro del padre, si faceva lo stesso lavoro e spesso si occupava lo stesso posto per tutta la vita, si poteva prevedere con certezza quando si sarebbe andati in pensione e con quale cifra. La vita era divisa nella fase dello studio e/o della preparazione, la fase del lavoro e quella della pensione. Nell’epoca postfordista il lavoro è flessibile, innovativo, variabile e spesso atipico. Non si tramanda più di padre in figlio, si cambia lavoro spesso, si con- tinua ad alternare periodo di studio e/o preparazione e lavoro, non si riesce a pro- grammare la nostra vita lavorativa e non si sa quando si potrà andare in pensione. Tradizione e innovazione Nell’epoca fordista la competenza lavorativa, l’esperienza accumulata, la fe- deltà dimostrata alla fabbrica e al datore di lavoro erano considerati dei valori, ve- nivano valutati anche economicamente e perfino premiati. Specialmente la sag- 163 gezza del lavoratore, ossia il significato dell’esperienza accumulata nel passato erano visti come un patrimonio dell’azienda in quanto potevano rappresentare una continuità con i nuovi lavoratori, trasmettere competenze e stili di comportamento. Nell’epoca posfordista viene invece maggiormente valutata la disponibilità al cambiamento, la creatività rispetto al futuro piuttosto che la fedeltà al passato, la mentalità giovane e in qualche modo aggressiva rispetto al mercato, la capacità di lavorare in contesti diversi e di adattarsi alle nuove situazioni che la pesantezza del passato potrebbe impedire con forme di irrigidimento. Forte e debole socializzazione Nell’epoca fordista il lavoro era fortemente socializzante in quanto radunava insieme centinaia di lavoratori, che, lavorando gomito a gomito, sperimentavano forme forti ed organizzate di solidarietà come i sindacati. Inoltre il lavoro, anche grazie alle lotte dei lavoratori, era la base dei diritti di cittadinanza, dei diritti so- ciali e politici e quindi la democrazia si fondava sul lavoro. Nell’epoca postfordista il lavoro viene spesso vissuto individualmente (si pensi al telelavoro), oppure in piccole unità produttive ove non si riesce a fare esperienza di una solidarietà allargata. Esistono inoltre nuove tipologie di lavori che non sono contemplate dalle vecchie forme di garanzia, sicché il mondo del la- voro risulta molto frammentato, con stipendi anche molto diversi, situazioni giuri- diche le più varie. La flessibilità comporta poi che il lavoratore cambi spesso da- tore di lavoro. Le biografie lavorative si diversificano sicché è sempre più difficile stabilire collegamenti costanti e solidali. Si diffonde l’idea che è meglio darsi da fare individualmente per migliorare la propria situazione piuttosto che collegarsi con gli altri lavoratori per battaglie comuni. 2. Nuove tipologie di lavoro e di lavoratori Recentemente sono apparse nuove forme contrattuali di lavoro, nuovi tipi di lavoro e nuove configurazioni giuridiche del lavoratore. Riportiamo nel seguente riquadro le novità più importanti: Lavoro interinale o temporaneo Un’azienda richiede ad una impresa di lavoro interinale un lavoratore con una certa mansione per un certo periodo. Il lavoratore è dipendente della società di lavoro interinale e viene “affittato” all’azienda che ne fa richiesta. Secondo recenti riforme del collocamento, le imprese di lavoro interinale sono abilitate anche a fare formazione e collocamento, facendo cioè incontrare domanda ed offerta di lavoro. 164 3. Ragioni e problematiche del cambiamento Come si vede si tratta di mutazione molto forti, dal grande impatto sul mondo del lavoro. Da un lato hanno un’indubbia relazione con i cambiamenti economici e produttivi in atto di cui sono conseguenza, ma contemporaneamente suscitano seri dubbi sulla possibilità del lavoro di soddisfare le esigenze della persona nel suo complesso. È un momento di transizione molto delicato: non si può continuare col vecchio sistema, non è possibile nemmeno accogliere acriticamente tutte le sugge- stioni che il sistema produttivo fa emergere. Quali sono le principali motivazioni oggettive per cambiamenti di questo ge- nere? Vediamone alcune. La flessiblità del sistema produttivo È un dato di fatto ormai che il mercato si evolve con grande rapidità e che la concorrenza si fa sempre più stretta. I motivi principali di questi fenomeni sono due: la velocissima innovazione tecnologica e soprattutto informatica che rivolu- ziona in breve tempo i modi di vivere, di lavorare e di consumare; e la tendenza a Part time Tale tipologia contrattuale prevede la prestazione di lavoro a tempo parziale per aumentare il tasso di occupazione, e soprattutto quello delle donne, dei giovani e dei lavoratori di età superiore ai 55 anni. Lavoro a chiamata Si riconosce una congrua indennità al lavoratore che si renda disponibile a svolgimento di prestazioni a carattere discontinuo o intermittente. Co.co.co Si tratta di una forma contrattuale di lavori a progetto, che prevede la durata della collaborazione, la sua relazione ad uno o più progetti, le fasi che si prevedono, il compenso. Non può essere adoperata per il lavoro dipendente. L’organizzazione concreta del lavoro, gli orari di lavoro ed anche gli strumenti di lavoro sono stabiliti autonomamente dal lavoratore Staff leasing Una ditta può fornire manodopera ad un’altra in presenza di ragioni individuate dalla legge e sulla base dei contratti collettivi. Job sharing È una forma contrattuale secondo la quale un lavoro viene affidato a due persone (sharing vuol dire condivisione) che lo gestiscono assieme organizzandosi tra loro. Si riconosce una congrua indennità al lavoratore che si renda disponibile allo svolgimento di prestazioni a carattere discontinuo o intermittente. 165 deregolarizzare il mercato a seguito della globalizzazione. In altre parole nella scena globale in cui ormai l’economia si muove: lo Stato si ritira, le norme sono viste come un intralcio alla libertà di movimento, le garanzie vengono considerate un costo sociale che un sistema-paese riesce a sopportare sempre meno. La nuova struttura dell’impresa Ne consegue che l’impresa si è strutturata in modo molto diverso dal passato. Piramidale Piatta Rigida Flessibile Lungo termine Just in time Lavoro standard Lavoro a progetto Esecutività Riflessività Lavoro di massa a catena Lavoro per “team” o modulare Grandi dimensioni Piccole dimensioni (Downsizing) Molti costi aggiunti Riduzione dei costi aggiunti Un tempo le aziende avevano una gerarchia molto articolata, ora sono piatte in quanto sono stati tagliati molti quadri intermedi. Ciò implica che si lavori in modo diverso, per gruppi di lavoro (team) che hanno degli obiettivi e che si compogono e si sciolgono continuamente. Significa anche che il lavoro esecutivo non esiste più: anche ai gruppi di operai in una fabbrica di automobili si chiede di analizzare il loro lavoro, correggere autonomamente disfunzioni, fornire informazioni ai quadri, gestire un budget. L’azienda si snellisce, elimina figure in sovrappiù, riduce i costi aggiunti, quanto faceva prima un certo addetto ora lo devo fare io, non ci sono più stuoli di fattorini, portinai, commessi, segretarie, stenodattilografi. Tra i costi da abbattere c’è lo stoccaggio, sia delle materie prime che dei prodotti finiti. Si lavora quindi just in time , ossia in tempo reale. In un preciso momento deve arrivare alla produ- zione l’esatta quantità di materiale strettamente necessario per confezionare un nu- mero di prodotti strettamente richiesti dal mercato, né uno di più né uno di meno: nessun tempo morto né alcun costo di magazzino. I rapporti con i lavoratori si fanno flessibili e sparisce il posto a vita. Più che assumere dipendenti a tempo indeterminato si fanno contratti di consulenza, di la- voro interinale, o di collaborazione continuata e continuativa, tutte forme che ga- rantiscono la possibilità di interrompere il rapporto just in time secondo le neces- Just in time “team” 166 sità aziendali e di non avere rigidità da sopportare, pena l’impossibilità di riconver- tirsi in fretta. La lotta contro la disoccupazione e la non-occupazione Un altro motivo è dato dalla persistenza nelle economie avanzate di percen- tuali importanti di disoccupazione e, come succede in Italia, di non-occupazione. Il tasso di disoccupazione riguarda le persone potenzialmente in situazione di occu- pazione che non trovano lavoro. Il tasso di occupazione riguarda le persone occu- pate. È possibile che mentre è alto il tasso di disoccupazione sia bassa quello di oc- cupazione, come avviene appunto in Italia. Questo, tra l’altro, produce gravi dis- funzioni nel sistema pensionistico perché restringe di molto la base contributiva. Il problema, quindi, è diminuire la disoccupazione e contemporaneamente aumentare l’occupazione. Per farlo è necessario fornire tipologie di lavoro non tradizionali, come per esempio il part-time che permetterebbe a giovani studenti, a donne con famiglia o a persone oltre una certa età – che per vari motivi non se la sentono di entrare in pieno nel mondo del lavoro – di lavorare comunque. L’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro La disoccupazione è spesso causata dall’incapacità della domanda e dell’of- ferta di lavoro di incontrarsi. Inoltre l’università produce diplomati e laureati non sempre in sintonia con il mercato del lavoro. I sistemi tradizionali di incontro tra domanda ed offerta incentrati sull’ufficio di collocamento sono falliti. Ecco la ne- cessità di attribuire tale funzione anche ai privati e all’università. Disciplinare le atipicità di fatto esistenti Per quanto ci siano regole che disciplinano il mercato, questo ha delle esi- genze che cerca comunque di soddisfare. I lavori cosiddetti atipici sono già una realtà, solo che non sono normati e quindi i lavoratori non sono tutelati. I contratti co.co.co sono già applicati, ma purtroppo al di fuori di ogni regola e con fenomeni di sfruttamento e di precarietà. C’è quindi la necessità di considerare tutte queste novità per inserirle in un quadro giuridico. 4. Una flessibilità “sostenibile” Se da un lato la flessibilità nel mondo del lavoro è un’esigenza, essa è anche un pericolo e una sfida. Le sue conseguenze sulla persona e sulla società possono essere dirompenti. Linearità del tempo (quanto faccio oggi è in continuità con quanto facevo ieri), risultati cumulativi (l’esperienza che accumulo mi servirà in futuro), predici- bilità della vita (so che lavoro farò tra qualche anno e quando andrò in pensione), 167 narrazione lineare (posso raccontare la mia vita lavorativa come un romanzo che abbia una trama), autostima (nel mio lavoro sono riuscito a concludere qualcosa e a dimostrare qualcosa di me) erano le caratteristiche della vita lavorativa del pas- sato. Mancanza di un ruolo fisso, discontinuità con il passato ad ogni cambiamento (chi lavora per progetti cambia lavoro ad ogni progetto), impossibilità di stabilire amicizie (devo cambiare team di collaboratori, azienda, colleghi), paura di perdere il controllo (e se finisco in una spirale di emarginazione?), appartenenza a comu- nità locali solo transitorie (devo trasferirmi in un’altra città), trascuratezza dei figli e paura per l’anarchia in cui può cadere la famiglia (devo cambiare città e i miei figli perderanno le loro amicizie) sono alcune delle ricadute pericolose della flessi- bilità del mondo del lavoro. “Basta col lungo termine” è lo slogan della nuova tendenza. Contratti a breve, impieghi a termine, rapidi ritorni economici, rapidi cambiamenti aziendali, strut- ture aziendali piatte, flessibili, decentrate come un arcipelago. Tutto ciò può ri- durre la fiducia, la lealtà e la dedizione reciproca mentre la società rischia di fon- darsi sulla “forza dei legami deboli”. Manca il tempo; i legami forti hanno bisogno di lunga consuetudine, comportano dedicarsi a qualcosa in profondità. Come si può trasferire ciò nei legami personali e nelle vite di ognuno? Se nei gruppi di la- voro tutto viene discusso, come recuperare l’autorità in famiglia? I rapporti di fa- miglia rischiano di essere travolti dai comportamenti a breve termine e si crea un conflitto tra famiglia e lavoro. Come ci si può ritenere responsabili in un contesto nel quale tutto è incerto e a rischio? Quando si è obbligati a cambiare lavoro non c’è nulla che possiamo fare. C’è il conflitto tra personalità ed esperienza: “speri- mentare il tempo scollegato mette a rischio la capacità delle persone di trasformare le proprie personalità in narrazioni continuate”, l’uomo flessibile rischia di essere un uomo “modulare”, privo di una identità continuativa, ma montabile e smonta- bile. Questi pericoli richiedono di lavorare per una flessibilità sostenibile, compati- bile cioè con gli impegni famigliari e sociali, con le esigenze della solidarietà e della costruzione di personalità compatte. Bibliografia P. ICHINO, Il lavoro e il mercato, Mondatori, Milano 1996. L. CASELLI, Ripensare il lavoro. Proposte per la Chiesa e la società , EDB, Bologna 1998. A. SUPIOT, Il futuro del lavoro, Carocci, Roma 2003. D. MEDA, Società senza lavoro, Feltrinelli, Milano 1997. A. ACCORNERO, Era il secolo del lavoro.Come era e come cambia il grande protagonista del ’900 , Il Mulino, Bologna 2000. P. BARCELLONA, Lavoro: declino o metamorfosi? , Franco Angeli, Milano 2000. M. ROJAS , Perché essere ottimisti sul futuro del lavoro? , Carocci, Roma 1999. 168 MODULO 1 LAVORO E LAVORI NELLA SOCIETÀ DI OGGI LEZIONE 2 LA SOLIDARIETÀ NEL LAVORO OBIETTIVO: Al termine della lezione, il lettore sarà in grado di: - analizzare il rapporto dinamico che esiste tra solidarietà e lavoro; - conoscere i principali diritti dei lavoratori; - conoscere le sfide che sono di fronte all’associazionismo di tipo sindacale. CONTENUTI: 1. Il lavoro produce solidarietà ed ha bisogno di solidarietà. 2. I diritti dei lavoratori. 3. L’importanza dei sindacati. 4. Le sfide al sindacato e le sue trasformazioni. 1. Il lavoro produce solidarietà ed ha bisogno di solidarietà Scrive Giovanni Paolo II nella Laborem exercens che il lavoro “ha fatto sor- gere e quasi irrompere un grande slancio di solidarietà tra gli uomini del lavoro e, prima di tutto, tra i lavoratori dell’industria. L’appello alla solidarietà e all’azione comune, lanciato agli uomini del lavoro, aveva un suo importante valore e una sua eloquenza dal punto di vista dell’etica sociale” (n. 8). Il papa si riferisce qui alla “questione sociale” che ha provocato un moto di solidarietà, di unione rivendica- tiva dei lavoratori, la vera e propria nascita di un “movimento operaio”, dei sinda- cati e di molteplici attività mutualistiche. Questo è assolutamente vero dal punto di vista storico. Ma il lavoro è socializ- zante e creatore di solidarietà anche indipendentemente dalla necessità che i lavo- ratori solidarizzino tra loro per difendere i loro diritti e promuovere il proprio be- nessere. Il lavoro in quanto tale è per se stesso solidale, produce socialità e quindi 169 è un fattore importante della civiltà in quanto è capace di trasferire alcuni suoi va- lori (o disvalori) nel più ampio contesto della società. “Il lavoro ha come caratteri- stica che, prima di tutto, esso unisce gli uomini, e in ciò consiste la sua forza so- ciale” (Laborem exercens 20). Per quale ragione profonda esso unisce? Il lavoro è prima di tutto atto della persona. Esso non è solo una tecnica, un fare, una attività pratica di tipo strumentale. Nel lavoro si rivela la persona in tutto il suo essere e con tutte le sue qualità. Non si lavora solo con il braccio o solo con la mente, ma tutta la nostra realtà è coinvolta nel lavoro. Proprio per questo motivo primo fine del lavoro stesso è la persona che lavora, il lavoratore. È questo il “senso soggettivo” del lavoro, che la Laborem exercens distingue dal senso oggettivo del lavoro che consiste nel prodotto. In terzo luogo ne consegue che, nonostante i lavori siano diversi, si dà co- munque una loro profonda unità, “il lavoro” al singolare continua quindi ad esi- stere anche nella società de “i lavori” al plurale che abbiamo visto nella lezione precedente. La Laborem exercens lo afferma chiaramente: “Benché si possa dire che il lavoro, a motivo del suo soggetto, è uno […], tuttavia, considerando le sue oggettive direzioni, bisogna constatare che esistono molti lavori, tanti diversi la- vori” (n. 8). Il senso primario del lavoro è l’uomo che lavora; da questo punto di vista tutti i lavoratori compiono un unico lavoro. Dal punto di vita dell’umanità del soggetto che lavora – vero ed ultimo fine del lavoro – non c’è differenza tra lavoro e lavoro. Per il primario senso soggettivo il lavoro è in fondo uno solo: diventare uomini. Il senso secondario del lavoro è quello oggettivo, vale a dire il prodotto del lavoro, i suoi aspetti tecnici e i suoi rapporti col “capitale”. Qui si apre la di- versità dei lavori, diversi per le attività diverse che si compiono. È di fondamentale importanza tenere ferma l’unitarietà del lavoro, anche nella nostra società in cui il lavoro si sta frammentando in forme disparate e i lavori a-ti- pici, nonostante il nome, stanno diventando la norma. I lavori sono tutti atipici se guardati dal punto di vista oggettivo; ma guardati dal punto di vista della persona che lavora sono tutti lo stesso lavoro. Su questo presupposto personalistico si può e si deve fondare sempre di più la solidarietà del mondo del lavoro che oggi sembra risentire di una certa difficoltà. Sempre meno essa potrà fondarsi sulla contiguità fisica del lavorare assieme come era accaduto ai tempi della fabbrica fordista. Sempre meno essa potrà fondarsi sulla identità di status sociale perché la diversificazione dei lavori, la loro sempre maggiore immaterialità e perfino virtualità in qualche modo decontestualizza il la- voro. Sempre meno potrà fondarsi sulla rivendicazione collettiva perché la diversi- ficazioni dei lavori stanno mettendo in crisi la rappresentatività del sindacato e sta contrapponendo lavoratori a lavoratori, come per esempio quelli del settore pub- blico e quelli del settore privato. La solidarietà può essere recuperata, e forse anche meglio fondata che non in passato, puntando sulla riscoperta del fatto che lavorare è per tutti prima dei tutto un fatto umano e che in questo senso tutti facciamo lo stesso lavoro o, meglio, lavoriamo per lo stesso scopo. Per questo, come dice la Laborem exercens , “sono necessari sempre nuovi movimenti di solidarietà degli 170 uomini del lavoro e di solidarietà con gli uomini del lavoro” (n. 8). Il tempo della solidarietà del mondo del lavoro non è finito; certo deve mutare di modalità, ma se autenticamente fondato sul bene del lavoratore e della sua famiglia, saprà trovare nuove espressioni. Nel nostro mondo occidentale sviluppato, è necessario tutelare la sicurezza del lavoratore e della sua famiglia non solo per i lavori tradizionali ma anche per i nuovi lavori. Questo richiede che non si rimanga troppo legati alle vec- chie forme di garanzie, ma che si sappia anche intravederne di nuove e confacenti ai tempi. C’è la necessità di tutelare i lavoratori che occupano posti di lavoro di tipo tradizionale, ma anche i lavori di nuova generazione, che nascono secondo modalità inedite e senza la maturazione storica di una autentica solidarietà. 2. I diritti dei lavoratori L’importanza del lavoro nella vita umana spiega come esso non solo sia un di- ritto e un dovere, ma al contempo sia sorgente di diritti, che vanno inclusi nell’in- sieme dei diritti dell’uomo. L’enciclica Centesimus annus (nn. 6-9) ne ricorda al- cuni già enunciati da Leone XIII nella Rerum novarum . - Diritto alla dignità del lavoratore e, conseguentemente, alla dignità del lavoro, il che significa di poterlo compiere in condizioni – materiali, igieniche, sociali ecc. – che servano ad aiutare la crescita integrale di ogni persona. - Diritto alla proprietà privata, intimamente connesso con quello della destina- zione universale dei beni della terra e incompatibile con la persistenza di certe forme di povertà, più o meno dichiarata, che si trovano anche in Paesi sviluppati. - Diritto a creare associazioni professionali e sindacali perché l’associarsi è un diritto naturale dell’essere umano. - Diritto al riposo – settimanale ed annuale – e ad un lavoro compatibile con le proprie possibilità e a seconda dell’età e del sesso. - Diritto al giusto salario, sufficiente a mantenere il lavoratore e la sua famiglia, in accordo con le condizioni sociali di ogni momento, che tiene conto sia del lavoro fatto, sia delle necessità proprie, sia della situazione dell’impresa, sia infine del bene comune. - Diritto ad adempiere pienamente i doveri religiosi, nei quali è compresa sia la necessità del riposo festivo per compiere il culto dovuto, che il diritto alla li- bertà religiosa. - Diritto ad avere un lavoro e, pertanto, riconoscere la disoccupazione come una situazione ingiusta di carattere etico oltre che tecnico. - Diritto alla formazione professionale, specialmente nei casi di reinserimento lavorativo. 171 - Diritto all’assistenza sociale per disoccupazione, vecchiaia, infermità, incidenti eccetera. - Diritto all’iniziativa economica, sia in un lavoro indipendente che dipendente dove ogni persona deve avere la coscienza di lavorare in proprio. - Diritto alla sciopero e a forme legittime di rivendicazione e di tutela dei propri diritti lavorativi. 3. L’importanza dei sindacati Tutto il paragrafo 20 dell’enciclica sul lavoro Laborem exercens è dedicata ai sindacati. Essi nascono dal diritto dei lavoratori ad associarsi per difendere i propri diritti non solo come lavoratori, ma anche come lavoratori di in certo settore pro- duttivo. Essi hanno quindi il compito di “difendere gli interessi esistenziali dei la- voratori in tutti i settori, nei quali entrano in causa i loro diritti. Non si tratta di “lotta di classe”, quanto piuttosto di “lotta per la giustizia sociale”. Non è quindi una lotta “contro” gli altri, ma una lotta “per” qualcosa, per il bene dei lavoratori che è a sua volta condizione per il bene comune. La lotta sindacale, in altre parole, non divide la società, ma la unisce, è “fattore costruttivo di ordine sociale e di soli- darietà”. L’attività sindacale dovrebbe essere quindi guidata dalle seguenti caratteri- stiche generali. Rifiuto di logiche corporative I sindacati non dovrebbero portare avanti solo interessi di gruppo o addirittura egoistici, senza riguardo cioè per la situazione generale in cui le loro richieste si collocano. La società è come un insieme di vasi comunicanti. Non si può interve- nire su uno solo di essi senza tenere conto del quadro generale e delle conseguenze che questo intervento avrà su altri settori della società. Ruolo politico del sindacato Proprio per l’interconnessione ormai esistente tra i vari aspetti di un problema sociale, il sindacato non può esimersi dal fare politica nel senso di avere un’ottica di insieme, di proporre non solo rivendicazioni materiali ma anche riforme di si- stema, correzione di storture di una particolare ambito produttivo o economico, adeguate politiche sociali o del mondo del lavoro da parte del governo. Però non dovrebbe fare politica nel senso stretto del termine. “I sindacati non hanno il carat- tere di partiti politici che lottano per il potere, e non dovrebbero neppure essere sottoposti alle decisioni dei partiti politici o avere legami troppo stressi con essi” (Laborem exercens n. 20). 172 Ruolo formativo del sindacato Il sindacato non deve essere solo un’organizzazione rivendicativa ma anche formativa. Innanzitutto perché forma i lavoratori alla partecipazione, alla demo- crazia, al senso civico e alla cittadinanza solidale, ma anche perché interessato a combattere perché il luogo di lavoro diventi sempre più un luogo formativo, pro- fessionalmente ed anche umanamente parlando. Il sindacato deve avere a cuore lo sviluppo e la maturazione del lavoratore, la sua istruzione e riqualificazione con- tinua. Lo strumento dello sciopero Lo strumento dello sciopero è legittimo ed è un diritto dei lavoratori. Esso tut- tavia rimane un “mezzo estremo” di cui non si deve abusare, specialmente per giochi politici. Inoltre non va mai dimenticato che quando si tratta di servizi essen- ziali alla convivenza civile questi vanno comunque assicurati. 4. Le sfide al sindacato e le sue trasformazioni Oggi sembra che la solidarietà del mondo del lavoro sia resa necessaria dalle modalità stesse in cui si lavora. “L’uomo lavora con gli altri uomini, partecipando ad un lavoro sociale che abbraccia cerchi progressivamente più ampi” (Centesimus annus n. 32); “Oggi più che mai lavorare è un lavorare con gli altri e un lavorare per gli altri” (n. 31), “Mediante il suo lavoro l’uomo non solo si impegna per se stesso, ma anche per gli altri e con gli altri” (n. 43). La rete delle connessioni del mondo del lavoro è molto ampia; ogni azienda è integrata con le altre e tale inte- grazione aumenta sempre più il proprio raggio diventando addirittura mondiale. I lavori si specializzano ed ognuno fa una piccolissima parte di un prodotto globale, che nasce con l’apporto di tanti. Sembrerebbe che da un simile quadro il sindacato dovesse trovare nuova forza rispetto al passato, ed invece oggi i sindacati sono ampiamente in crisi. Emergono forme di disarticolazione del mondo del lavoro, di divisione e frammentazione che rendono oggi molto difficile l’esistenza stessa del sindacato e la sua efficace lotta per i diritti dei lavoratori. La frammentazione del mondo del lavoro I lavori sono tanti, i luoghi di lavoro sono decentrati, i lavoratori non sono più fianco a fianco alla catena di montaggio. Sono come un pulviscolo, dei granelli di sabbia sparsi qua e là. Il sindacato non li trova più raccolti in un luogo, fatica a raggiungerli perché dovrebbe inseguirli nei loro molteplici luoghi di lavoro, fatica anche a radunarli per delle assemblee o delle manifestazioni. Una volta una rappre- sentanza sindacale o un consiglio di fabbrica tenevano i contatti con migliaia di la- 173 voratori. Oggi di quante rappresentanze sindacali avrebbe bisogno il sindacato dato che le aziende sono ormai micro-aziende? Il sindacato è ancora molto burocratico e centralistico, mentre la situazione dei lavoratori è dispersa nel piccolo. La globalizzazione e la mancanza di interlocutori Una impresa multinazionale decide di trasferire una lavorazione dalla Cam- pania, poniamo, alle Filippine. Oggi la globalizzazione lo permette in quanto le di- stanze di spazio comportano un aumento di costo minimo sul prodotto finito am- piamente compensato da altri risparmi sulle retribuzioni dei lavoratori o sulle tasse da pagare allo Stato. I lavoratori campani si mobilitano. Il sindacato nazionale pro- testa, organizza manifestazioni, vuole parlare con i vertici aziendali, chiama in causa il governo nazionale. Ma c’è una disparità di fondo: il sindacato è nazionale mentre la controparte è globale. Il sindacato quindi non trova il suo interlocutore. Da qui la necessità che i sindacati si colleghino sempre di più tramite relazioni in- ternazionali e portino avanti rivendicazioni globali. Viceversa aumenterà la sfi- ducia dei lavoratori nello stesso sindacato, perché un sindacato inefficace serve a poco. Necessità di nuove forme di solidarietà e tutele Chi lavora da solo, chi lavora per varie imprese contemporaneamente o in suc- cessione cronologica, chi cambia lavoro spesso non può solidarizzare in quanto i suoi compagni di viaggio cambiano continuamente ed anche le sue controparti dei datori di lavoro. Alla lunga chi lavora in queste condizioni elabora una sfiducia nella solidarietà collettiva dei lavoratori mentre si affida di più alle sue capacità personali. Ognuno cerca di garantirsi da sé. I sindacati sono costretti a trovare altre forme di rappresentanza sindacale adatta alla varietà delle situazioni lavorative odierne. I nuovi bisogni di tutela non si incontrano con i sindacati che tendono a mantenere la vecchia configurazione. Al co.co.co che va a chiedere protezione, il sindacato non sa cosa rispondere se non riconfigurandolo in una delle tipologie tradizionali di lavoro con una evidente forzatura. Flessibilità contrattuale Già è in atto un processo di diversificazione del contratto nazionale per aree, per categorie e perfino per aziende. In futuro tale dinamica si accentuerà per forza. Un unico contratto nazionale poteva andare bene nella vecchia organizzazione del lavoro di tipo fordista. Oggi serve una maggiore articolazione senza perdere tut- tavia i vantaggi di una contrattazione collettiva e la forza che da ciò deriva ai lavo- ratori. In sostanza, il sindacato è spinto dalle trasformazioni del mondo del lavoro a trasformare se stesso. Dovrà internazionalizzarsi di più, dovrà burocratizzarsi e de- 174 centrarsi, dovrà intercettare nuove esigenze di copertura tutelare, dovrà articolare la contrattazione, dovrà proteggere meno chi è già protetto e cercare chi ancora protetto non è, dovrà guardare meno ai vecchi lavori e più ai nuovi, dovrà cercare di tutelare il lavoratore più “nel mercato” – con formazione e riqualificazione, col- locamento, ammortizzatori sociali – piuttosto che “nell’azienda”. Bibliografia M. TOSO, Un’etica per le trasformazioni del lavoro , in: Rassegna CNOS 3 (2000), pp. 28-44. M. TOSO, Lavoro per tutti, in ID., Umanesimo sociale. Viaggio nella dottrina sociale della Chiesa e dintorni, LAS, Roma 2001, pp. 147-184. M. ROMANI, Appunti sull’evoluzione del sindacato, Edizioni Lavoro, Roma 2000. R. SENNET, L’uomo flessibile. Le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale, Feltrinelli, Milano 1999. S. QUADRI, Appunti di etica sindacale, Edizioni Lavoro, Roma 1999. 175 MODULO 2 IL LAVORO COME ATTO DELLA PERSONA E IL SUO SIGNIFICATO UMANO LEZIONE 1 IL SENSO SOGGETTIVO ED OGGETTIVO DEL LAVORO: LAVORO E CAPITALE OBIETTIVI: Comprendere come l’attività lavorativa sia parte dell’agire umano in generale e da questo derivi la sua piena dignità, oltre che il dovere per tutti di far sì che il lavoro non perda questo aggancio con il “soggetto” del lavoro. CONTENUTI: 1. L’agire umano e il lavoro. 2. Il significato transitivo e intransitivo del lavoro. 3. Il valore soggettivo del lavoro e le sue conseguenze. 4. Il lavoro: un bene di tutti, un bene per tutti. 1. L’agire umano e il lavoro Il lavoro è un’azione della persona umana e quindi per comprendere in pieno il suo significato è necessario vederlo in quel contesto. L’agire umano può essere di due tipi: c’è l’agire morale propriamente detto e c’è l’agire tecnico e produttivo. Essi si distinguono perché il primo ha il fine in se stesso, mentre il secondo ha il fine nel prodotto. Utilizzando due parole di origine greca, potremmo chiamare questi due tipi di azione nel seguente modo: - Prassi: è l’azione umana che ha il fine in se stessa; - Poiesi: è l’azione umana che ha il fine fuori di se stessa, ossia nel prodotto. Quando aiuto una persona in difficoltà faccio un’azione del primo tipo: essa è buona in se stessa. Se compio un’azione del secondo tipo: essa è buona se è effi- cace, ossia se raggiunge l’obiettivo: la sedia è ben fatta, il computer funziona, il campo produce le patate, l’operazione chirurgica riesce. 176 Il rapporto del primo tipo di azione con la morale è evidente. Dato che la bontà o meno dell’azione sta nell’azione stessa, sarà appunto la morale a distinguere le azioni buone da quelle cattive, indipendentemente dai risultati cui danno origine. Il rapporto del secondo tipo di azione con la morale è più articolato. A prima vista esso non comporta alcun rapporto con la morale in quanto l’agire tecnico- produttivo deve seguire le sue proprie leggi, cui la morale è estranea. Non compete alla morale dirmi come costruire una sedia, riparare un computer, coltivare un campo, fare un’operazione chirurgica. Eppure dei nessi, e molto importanti, con la morale ci sono anche in questo tipo di azione. - Innanzitutto, è proprio la morale che mi impone come un dovere di coscienza di essere efficace, cioè di seguire con professionalità e competenza le leggi proprie del lavoro in questione. Essere rigorosi e precisi nel lavoro è un impegno mo- rale, che va oltre le competenze specifiche relative a quel lavoro. La professio- nalità, qualsiasi professionalità, non è solo un fatto tecnico ma anche morale. - In secondo luogo, la morale mi dice che devo adoperare bene le mie compe- tenze: il chirurgo può adoperare le sue competenze sia per liberare da un tu- more maligno, sia per far abortire; un campo può essere coltivato per rica- varne patate oppure oppio. - In terzo luogo, la morale mi dice di usare bene il prodotto una volta che è stato ottenuto. Una sedia la posso adoperare per rompere la testa a qualcuno, l’e- nergia atomica per produrre energia ad uso civile o per far scoppiare il pianeta. - In quarto luogo la morale mi dice che, se per attuare con competenza i miei in- terventi tecnici, io devo trascurare un bene fondamentale della persona umana non posso più farlo: la competenza tecnica deve fermarsi davanti alla compe- tenza morale. Come si vede anche l’agire tecnico ha dei nessi molto stretti con l’etica. Del resto la stessa azione morale propriamente detta (prassi) ha bisogno di venire rea- lizzata, in un modo o nell’altro, anche attraverso un fare di tipo tecnico (poiesi). Come posso aiutare il mio prossimo se non “facendo qualcosa” avente anche un contenuto tecnico: costruire un ospedale in Africa, insegnare a leggere e a scrivere ai bambini disagiati di una borgata, aggiustare il televisore al vicino di casa, fare la spesa ad una anziana sola sono tutte azioni morali che richiedono comunque anche delle competenze tecniche. 2. Il significato transitivo e intransitivo del lavoro La distinzione tra prassi (con il fine in se stessa) e poiesi (con il fine nel pro- dotto) può anche essere espressa dicendo che il primo tipo di azione è intransitiva, ossia non ha lo scopo di “passare” in un prodotto; la seconda invece è transitiva, ossia ha lo scopo di passare in un prodotto. Se io mi getto nel fiume per salvare una persona che sta annegando, ma poi per la mia imperizia di nuotatore l’impresa non va 177 a buon fine, l’azione da me compiuta rimane ugualmente buona, perché tale bontà ri- siedeva in se stessa e non nel prodotto e la sua prima ricaduta è nel soggetto stesso che agisce prima che nel prodotto che ne esce. Poiché gettarmi in acqua era una buona azione in sé, il suo primo scopo era di rendermi buono, poi era di salvare il bi- sognoso. Io l’ho fatto prima di tutto per essere buono, salvando chi è nel pericolo. Il primo significato dell’azione morale è intransitivo: si ferma nel soggetto che agisce. Ma così è, a ben vedere, anche per l’agire tecnico-produttivo. Questo è dovuto al fatto che ad agire è sempre l’uomo e tutte le sue azioni hanno una rica- duta su se stesso. “Atti umani e atti morali sono lo stesso” diceva San Tommaso: non esiste un agire umano, per tecnico (e quindi transitivo) che sia, che non abbia anche un significato intransitivo. Ogni nostra azione ricade prima di tutto su di noi e poi eventualmente sulle cose. Se ho l’occasione di rubare del denaro, la domanda che deve farmi è: voglio essere un ladro? Se, infatti, rubo i soldi, il significato di quell’azione non sarà solo transitivo, ossia non ricadrà solo sui soldi, ma avrà anche e prima di tutto un effetto intransitivo, ossia ricadrà su me stesso, decretando con ciò cosa io sono. Agendo, io manifesto che uomo sono e, nello stesso tempo, agendo io mi co- struisco come questo uomo, piuttosto che quest’altro. Se sono ladro agirò anche come tale e ruberò il denaro; se rubo il denaro divento ladro, nel caso non lo fossi: insomma l’azione ha a che fare con il nostro essere sia che ne sia la conseguenza sia che ne sia la causa. I filosofi dicono “Agere seguitur esse”: l’agire segue l’es- sere, in base a che persone si è anche si agisce. Ma è vero anche il contrario: “Esse sequitur agere”: agendo mi costruisco nel mio essere, modifico la mia persona. Le riflessioni che abbiamo finora condotto hanno illustrato i presupposti prin- cipali della visione del lavoro espressa nell’enciclica Laborem exercens di Gio- vanni Paolo II. Il lavoro è un atto della persona che lungi dall’essere solo un atto tecnico ha invece delle implicazioni fondamentali per l’essere della persona stessa. Nel lavoro la persona si manifesta quale essa è, e nello stesso tempo tramite il la- voro la persona si costruisce in quanto tale: “Il lavoro è un bene per l’uomo – è un bene della sua umanità –, perché mediante il lavoro l’uomo consolo trasforma la natura adattandola alle proprie necessità, ma anche realizza se stesso come uomo e anzi, in un certo senso, diventa più uomo (Laborem exercens n. 9). Il primo significato del lavoro è allora intransitivo: esso ha una ricaduta pri- maria sulla persona del lavoratore che, tramite il suo lavoro, può accrescere o di- minuire nella sua dignità personale. In secondo luogo il lavoro ha un significato transitivo: il prodotto del lavoro, il suo esito tecnico e produttivo. 3. Il valore soggettivo del lavoro e le sue conseguenze Il lavoro in senso soggettivo è l’uomo che lavora; il lavoro in senso oggettivo è il prodotto del lavoro, ossia la tecnica e il capitale. Da questa fondamentale premessa derivano importanti conseguenze per impostare adeguatamente il tema del lavoro. 178 Il lavoro come “atto” della persona Nel lavoro è impegnata la totalità della persona, il senso soggettivo del lavoro comporta che esso sia “actus personae”, atto di tutta la persona. Anche i lavori più banali e ripetitivi, anche quelli più meccanici ed automatici, in realtà sono atti per- sonali e implicano la totalità della persona del lavoratore. Oggi lo sviluppo della tecnica, soprattutto dell’elettronica e dell’informatica, è molto forte nel campo del lavoro al punto che si potrebbe pensare che la persona sia meno centrale che non un tempo. In realtà invece, la tecnica, appartiene al mo- mento oggettivo del lavoro, e va intesa sempre come “un’alleata dell’uomo”, una alleata del lavoro. Non si deve permettere che la tecnica spersonalizzi il lavoro e ci faccia dimenticare che “come persona l’uomo lavora, come persona compie varie azioni appartenenti al processo del lavoro; esse, indipendentemente dal loro conte- nuto oggettivo, devono servire tutte alla realizzazione della sua umanità, al compi- mento della vocazione ad essere persona, che gli è propria a motivo della sua uma- nità” (Laborem exercens n. 6). Quando il libro della Genesi indica all’uomo il fine di “soggiogare” la terra, e cioè di portare avanti l’opera creativa di Dio stesso, vuol proprio significare la si- gnoria per dignità della persona umana sugli aspetti tecnici del lavoro. Significa cioè tener per fermo il significato etico del lavoro “il quale senza mezzi termini e direttamente rimane legato al fatto che colui che lo compie è una persona, un sog- getto consapevole e libero, cioè un soggetto che decide di se stesso” (Laborem exercens n. 6). Primato del lavoro sul capitale Il lavoro e il capitale sono inseparabili, perché significato soggettivo ed ogget- tivo, intransitivo e transitivo del lavoro vanno sempre insieme. Quando l’uomo la- vora non può evitare né di rimanerne modificato lui in prima persona né di agire sulle cose e di produrre. Quanto viene prodotto dal lavoro è appunto il capitale, il cui valore sarà tuttavia secondario e funzionale rispetto al valore primario del la- voro: l’uomo che lavora. Questo principio ha una importanza strategica sia per giudicare il valore del lavoro, sia per organizzarlo. “Il fondamento per determinare il valore del lavoro umano non è prima di tutto il genere di lavoro che si compie, ma il fatto che colui che lo esegue è una persona. Le fonti della dignità del lavoro si devono cercare so- prattutto non nella sua dimensione oggettiva, ma nella sua dimensione oggettiva” (Laborem exercens n. 6). Secondo questa prospettiva “il lavoro è per l’uomo e non l’uomo per il la- voro”. I lavori non devono essere misurati solo per il loro significato oggettivo, ossia per il capitale che producono, ma soprattutto per la dignità di chi lavora. Il la- voro, come già diceva Leone XIII, non è “una merce”, l’uomo non può venire uti- lizzato come “strumento” come avveniva nel “primitivo capitalismo”. L’organizza- 179 zione del luogo di lavoro e del mondo del lavoro non devono essere impostati in modo da togliere al lavoratore ogni soddisfazione personale in modo da asservirlo alla tecnica e al capitale. I lavori e il lavoro Se consideriamo il lavoro nel suo significato oggettivo e tecnico vediamo che in realtà prende le forme di molti svariati lavori. Ognuno produce certi oggetti, si occupa di certe tecniche, verte su settori specifici della realtà. Se, però, lo conside- riamo nel suo significato soggettivo, dobbiamo riconoscere che il lavoro è uno solo e consiste nell’umanizzazione dell’uomo tramite la tecnica. “Il lavoro, a motivo del suo soggetto, è uno (uno e ogni volta irripetibile), tuttavia, considerando le sue oggettive direzioni, bisogna constatare che esistono molti lavori: tanti diversi la- vori” (Laborem exercens n. 8). Per questo il lavoro è “una vocazione universale, lo fanno tutti gli uomini”. Per questo, inoltre, si dà originariamente una solidarietà del mondo del lavoro. Dove c’è lavoro c’è comunità e non esiste società che non si fondi sul lavoro. Il motivo di fondo non è quanto si produce col lavoro, ma il fatto che a lavorare è l’uomo. In ciò egli si riconosce uguale a tutti gli altri uomini, a cominciare dagli uomini del lavoro. 4. Il lavoro: un bene di tutti, un bene per tutti L’accentuazione del significato soggettivo del lavoro permette di considerare il lavoro un “bene comune”, un bene di tutti che deve essere indirizzato a tutti. Il lavoro è alla base del diritto di proprietà, ma nello stesso tempo è un bene che deve essere destinato a tutti secondo il principio della destinazione universale dei beni. Questo principio comporta prima di tutto che venga strenuamente combattuta la disoccupazione (Laborem exercens n. 18), una situazione anomala non tanto economicamente quanto umanamente. Non è accettabile una situazione di jobless growth, di crescita senza lavoro. Non si può dare per scontato che se si vuole lo sviluppo tecnico ed economico bisogna mettere in bilancio una certa disoccupa- zione strutturale e “fisiologica”. L’uomo che non può lavorare si trova in una situa- zione oggettivamente disumana. Questo principio comporta anche che sia consentito l’accesso al lavoro da parte di tutti, compresi gli handicappati (Laborem exercens n. 22) e gli immigrati (Laborem exercens n. 23). Comporta anche che venga tutelata la dignità di lavori in via di estinzione o relativi a settori in crisi, come per esempio il lavoro agricolo. Che venga combattuta la sotto-occupazione, la precarietà del lavoro, il lavoro mi- norile e quello delle donne se sottopagate e sfruttate. 180 MODULO 2 IL LAVORO COME ATTO DELLA PERSONA E IL SUO SIGNIFICATO UMANO LEZIONE 2 L’EDUCAZIONE AL LAVORO COME SFIDA PER LA FORMAZIONE OBIETTIVI DELLA LEZIONE: Al termine della lezione, il lettore sarà in grado di: - cogliere e motivare l’urgenza di un’educazione al lavoro come esperienza gratificante; - utilizzare il “modello del flow” come strumento per rileggere la propria esperienza di formatore. CONTENUTI: 1. L’attualità di un’educazione al lavoro. 2. Il lavoro nel DNA della pedagogia salesiana. 3. Il “modello del flow” e il compito del formatore. 1. Attualità di un’educazione al lavoro La maggior parte dei formatori sa quanto sia importante aiutare gli adolescenti a sperimentare il valore intrinseco del lavoro e quanto questo incida nello sviluppo di un sano senso di autoefficacia. Le opportunità di vivere il proprio tempo concentrandosi su uno scopo che ri- chiede fatica e attenzione, provare quella soddisfazione che deriva dall’aver intra- preso una strada non facile ma essere ugualmente riusciti a percorrerla sino in fondo, sono ormai sempre più scarse. Il tempo libero è vissuto come tempo di evasione e svago, spesso come mo- mento di disimpegno e consumo, e anche quando è la noia a caratterizzare gli spazi rimasti per sé, la fruizione dei media rischia offrire semplicemente occasioni di di- pendenza passiva e a volte alienante. Non per tutti è così, certamente, ma la preoccupazione di molti educatori è oggi rivolta a questa frattura tra il tempo libero, di per sé vuoto, e il tempo occu- pato, vissuto come tempo del dovere dal quale fuggire più presto che si può. 181 Nel momento in cui il tempo cosiddetto occupato viene declinato con il suo nome proprio, ovvero il lavoro, scatta l’idea che “lavorare” è una cosa assai poco piacevole. Nonostante siano molti gli osservatori del mondo giovanile che denunciano questa situazione, pare che ancora molto resti da fare. Affermava Coleman nel 1974, relativamente ai giovani americani, la necessità di “sviluppare nei giovani le capacità di impegnarsi e concentrarsi profondamente e intensamente in un ‘attività. Le esperienze personali più gratificanti, come anche le più grandi conquiste dell’uomo, nascono da tale concentrazione, non da pres- sioni esterne, bensì da una motivazione interiore che agisce da propellente e foca- lizza l’attenzione della persona. In qualsiasi tipo di attività, sia essa lo studio, o una prestazione (per esempio in teatro o in atletica) o la creazione di oggetti, è la con- centrazione stessa invece del contenuto specifico a rivestire la massima impor- tanza” (Coleman, 1974). Appare allora utile, all’interno di questa sezione dedicata al senso profondo del lavoro umano, interrogarci sul nostro ruolo di educatori che devono promuo- vere una specie di de-costruzione dell’immagine del lavoro che si sta sedimen- tando nei giovani di oggi. Quattro sembrano essere le priorità di un’educazione al lavoro che potrebbero occupare la nostra riflessione futura. 1) Recuperare il valore dei modelli adulti Ci dimentichiamo troppo spesso del valore dell’apprendimento per osserva- zione. Noi pensiamo che le nuove generazioni imparino come se fossero “desti- nate” a farlo. Ma la trasmissione di alcuni modelli di comportamento senza una adeguata visibilità rischia di essere sterile e inefficace. Un giovane deve poter “ve- dere come si fa” ed essere stimolato inizialmente ad imitare successivamente ad impossessarsi con originalità del comportamento appreso. Ma a chi spetta oggi veicolare il messaggio che il lavoro non è una “macchia scura” nel candido progetto della creazione, non è un incidente di percorso che solo i più furbi riescono ad evitare? Dove sono i modelli a cui fare riferimento? I genitori? Gli insegnanti o i for- matori? I legami intergenerazionali sono molto meno solidi rispetto un tempo, e la frammentazione sociale si ripercuote inevitabilmente anche su questo fronte: le ge- nerazioni si rinchiudono in loro stesse, e diventano poco porose. La contamina- zione è forte all’interno del gruppo di appartenenza ma è scarsissima tra gruppi ge- nerazionali. Questo ispessimento rende difficile la trasmissione di comportamenti di valore, quale può essere quello legato al lavoro. Se poi pensiamo ai modelli di “lavoratori” che i ragazzi citano come signifi- cativi per il loro futuro professionale, gli sportivi o i cantanti si impongono senza rivali. 182 2) Potenziare la dimensione narrativa di alcuni valori Un secondo aspetto importante nell’educazione al lavoro riguarda la responsa- bilità dei genitori e degli adulti più significativi, nell’affermare ciò che ritengono sia per loro importante nella vita. Nonostante il brusio o la martellante chiacchiera che fa da sottofondo alla vita di un giovane, il genitore non può esimersi di dire quello che pensa, ciò in cui crede, e di indignarsi rispetto a ciò che lo offende. Prima dell’attuale trasformazione della famiglia, era naturale pensare che tra i compiti di un genitore ci fosse anche quello di educare alla “rinuncia” e al “sacri- fico”, ma anche al “risparmio” e all’essere “parsimoniosi”. Vecchie parole che oggi ci vergognamo solo a pensare. Perché risparmiare se tutta la società è impostata seconda una logica consumi- stica? Perchè concentrarsi e faticare se molte persone guadagnano una montagna di soldi attraverso speculazioni finanziarie o semplici giochi di borsa? Non è più furbo colui che risponde di seguito a dieci o venti domande al super quiz di turno e smette di lavorare? Non sarà mica furbo mio nonno che ha lavorato tutta una vita per guadagnare tanto quanto alcuni guadagnano entrando in una “casa” e rimanendovi per tre mesi? 3) Imparare abilità specifiche necessarie per il lavoro La tendenza a sostituirsi ai figli nelle situazioni più disparate della vita quoti- diana evitando loro di fare esperienza delle conseguenze delle loro azioni ha come contropartita l’aumento di un pericoloso senso di inefficacia e un sentimento di disistima. Tendenzialmente l’adolescente si trova ad un certo punto che sa fare po- chissime cose e chiede, di conseguenza, costantemente l’aiuto dell’adulto. Occorre richiamare l’attenzione sulla necessità di autonomizzare maggiormente gli adole- scenti, coinvolgendoli in attività che richiedono un senso pratico e abilità proget- tuali che simulano un futuro impegno professionale. 4) Apprendere meta-abilità in relazione al lavoro futuro La sfida più importante tuttavia che l’educazione al lavoro deve cogliere, con- cerne la promozione di meta-abilità che risulteranno strategiche quando l’inseri- mento nel mondo del lavoro richiederà competenze processuali e sistemiche molto sofisticate. Ciò che conta infatti, non è saper anticipare che cosa occorrerà saper fare tra 5 o 10 anni, perché questo non è in nostro potere saperlo, di fronte alla straordinaria velocità con cui cambia l’attuale società, ma è più importante saper esprimere at- teggiamenti che possono essere utili in ogni contesto lavorativo: autodisciplina, un uso intelligente del corpo e della mente, un senso di responsabilità, buon grado di coinvolgimento mirato a degli scopi per cui ci si appassiona. 183 2. Il lavoro nel DNA della pedagogia salesiana L’idea che l’educazione al lavoro non sia un aspetto marginale o settoriale al- l’interno di una più ampia educazione integrale della persona, ma che sia invece per se stessa già un’educazione della persona nella sua interezza, era presente fin dagli inizi nell’azione che ispirò l’azione di don Bosco. Il formatore salesiano può, a ragione, essere pensato come un’icona di questo legame tra vissuto positivo nei confronti del lavoro ed esperienza di apprendistato in cui si vive la soddisfazione di una “produttività” frutto di concentrazione, atten- zione, disciplina e divertimento. Non dimentichiamo le origini ottocentesche dei Centri di formazione profes- sionale, quando don Bosco “tra l’antico modo di stabilire rapporti di lavoro tra capo d’arte padrone di bottega con gli apprendisti e il nuovo modello della scuola tecnica prevista dalla legge organica dell’istruzione, preferì percorrere la sua terza via: quella cioè dei grandi laboratori di sua proprietà, il cui ciclo di produzione, di livello popolare e scolastico, era anche un utile tirocinio per i giovani apprendisti” (Stella, 1980, 334). Ancora oggi il lavoro rappresenta per il formatore salesiano un orizzonte di senso che: • riproduce l’intuizione di don bosco di aiutare i giovani a vivere attraverso l’acquisizione di quelle meta-abilità trasversali ad ogni lavoro possibile; • lega ciò che avviene all’interno del CFP con la realtà esterna: il mondo delle aziende e delle professioni. Un orizzonte che tuttavia va mantenuto vitale con fedeltà creativa, ricono- scendo ciò che di esso non passerà mai (il suo valore educativo e formativo) ma anche le trasformazioni che inevitabilmente lo riguardano. Dal punto di vista della conoscenza, infatti, il formatore non può non interro- garsi sulle modificazioni che attraversano il mondo del lavoro, ad esempio il pro- cesso di “dematerializzazione” del lavoro, nel duplice senso di modifica dei mate- riali, sempre più artificiali e tecnologici, e di mentalizzazione del lavoro (non si parla più solo di manodopera ma anche di mentedopera). Impegnato a cogliere le mille sfaccettature del lavoro che cambia, il formatore salesiano continua comunque ad affermare: • Dal punto di vista educativo, che il lavoro educa a causa della sua duplice na- tura, di fatica e di realizzazione. Il lavoro è fatica, fisica e mentale, richiede di- sciplina, sforzo, pazienza. In questo senso educa a sopportare il dolore, la fru- strazione, la logica dei tempi lunghi, l’esperienza dell’attesa. Il lavoro è anche realizzazione di cose (oggetti, progetti, servizi, ecc.) e autorealizzazione di sé; è un prodotto del fare ma anche del sapere e del saper essere. • Dal punto di vista formativo, che il lavoro è parte integrante dell’identità del sog- getto, è oggettivazione delle capacità e delle doti del soggetto; è occasione di in- 184 contro con il Tu. Il lavoro è professione, cioè attestazione pubblica di ciò che si è in grado di fare; ma è anche vocazione, cioè chiamata ad un compito il cui signi- ficato ultimo è la manifestazione di sé in relazione ad una meta, ad uno scopo. Il lavoro è anche missione, ossia consapevolezza di essere inviati agli altri con un compito preciso, quello di contribuire alla costruzione della vita comunitaria. 3. Il “modello del flow ” e il compito del formatore La formazione professionale si trova di fronte ad un aspetto contraddittorio che vale la pena indagare attentamente. Da un lato è evidente che nell’immaginario dei giovani il “lavoro” sia asso- ciato ad emozioni negative e spiacevoli, dall’altro molti giovani che hanno avuto la fortuna di sperimentare l’attività scolastica o formativa come una forma di lavoro, ne parlano come di un’esperienza molto gratificante. Questo può significare che il tema del lavoro sia legato a stereotipi e pregiu- dizi che la cultura trasmette da una generazione all’altra, ma che non impediscono di recuperare il valore profondo di questa forma di attività umana. Il recupero del lavoro come attività non solo utile ma soprattutto piacevole e gratificante dipende dalla possibilità di conciliare la fatica che richiede con il di- vertimento che scaturisce dall’aver colto una sfida e di averla vinta. Esiste un modello teorico che ci può aiutare ad approfondire questo legame tra divertimento e sfide. È il “modello del flow”. Flow è un termine che indica “un’esperienza otti- male”, caratterizzata dalla spontaneità e dall’apparente assenza di sforzo. Perché si dia un’esperienza di questo tipo è necessario che il soggetto sia in possesso di abilità adeguate a fronteggiare un compito complesso. Se queste condi- zioni sono rispettate allora si creano le condizioni perché l’esperienza sia ricordata come piacevole. Quali sono le caratteristiche di un’esperienza piacevole? • c’è equilibrio tra sfide a competenze per fronteggiarla; • gli obiettivi sono chiari; • il feed back è immediato e sappiamo subito com’è andata; • si perde la percezione del tempo che passa. La formazione professionale sembra essere l’ambiente più naturale per speri- mentare il “modello del flow” e forse sta proprio qui il segreto del successo forma- tivo per molti ragazzi che scelgono un curricolo professionale piuttosto che liceale: la possibilità di coniugare fatica e divertimento. A partire da questo modello è possibile anche valutare diversamente alcuni at- teggiamenti tipicamente adolescenziali (ma non solo) spesso troppo frettolosa- mente associati a dinamiche evolutive piuttosto che alla mancanza di opportunità educative adeguate. 185 Si può affermare infatti che l’ansia, il rilassamento e l’apatia siano in un certo senso legate all’assenza di un’adeguata esperienza del flow. • L’ansia si verifica in presenza di un elevato livello di sfida e di una basso grado di abilità necessaria per fronteggiarla. • Il rilassamento si verifica quando l’abilità in possesso della persona è supe- riore al livello di sfida che deve fronteggiare. • L’apatia è presente invece quando sia l’abilità che la sfida sono basse. Si invita l’utente a proseguire la riflessione utilizzando l’esercitazione proposta. EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE Il “modello del flow ” come educazione al lavoro 1) La invitiamo a rileggere la sua esperienza personale di adulto e recuperare i momenti della sua biografia, anche professionale, in cui ha sperimentato la si- tuazione del flow. 2) A partire dallo schema proposto, valuti la qualità delle proposte offerte agli utenti della formazione professionale, in relazione al rapporto sfida-abilità ri- chiesta. abilità alta abilità bassa Sfida alta Sfida bassa Risponda alle seguenti domande: • La sua esperienza professionale conferma la tesi secondo cui ansia, apatia flow e rilassamento dipendono dal rapporto tra compiti complessi e abilità ade- guate? • Secondo lei è importante tenere alto il livello delle aspettative e offrire un ade- guato supporto a livello di abilità? • Gli utenti, spesso, vanno in ansia perché non hanno istruzioni precise per ri- solvere il compito affidato? Bibliografia M. CSIKSZENTMIHALY - B. SCHNEIDER, Diventare adulti. Gli adolescenti e l’ingresso nel mondo del la- voro, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000. RILASSAMENTO FLOW APATIA ANSIA 186 MODULO 3 NUOVI COMPITI DEL LAVORO E NUOVI SOGGETTI CHE LAVORANO LEZIONE 1 LAVORO E NUOVA SOCIETÀ RELAZIONALE OBIETTIVI: Al termine della lezione il lettore sarà in grado di: - assumere consapevolezza delle nuove possibilità di umanizzazione del lavoro potenzialmente presenti nella nuova società relazionale. CONTENUTI: 1. Il lavoro è sempre più relazionale. 2. I quattro ambiti del lavoro e le loro relazioni. 3. Lavoro e occupazione. 4. Stato e mercato non bastano più. 1. Il lavoro è sempre più relazionale Nella vecchia società industriale il lavoro era organizzato in base alla divi- sione tecnica (specializzazione) e sulla gerarchizzazione piramidale di ruoli e fun- zioni. Il mondo del lavoro al tempo della Rerum novarum era diviso in capitalisti e operai. In seguito i lavoratori si divisero in due categorie: i colletti bianchi e le tute blu, ossia dirigenti e operai. Il mondo del lavoro era inteso come una grande mac- china e i valori e le attese dei lavoratori si adeguano a questa caratteristica struttu- rale. Progressivamente sono nate nuove professioni meno gerarchiche, rigide, spe- cializzate e più flessibili, autonome, capaci di adattamenti molteplici. I lavoratori si sono collocati tra loro in unità operative decentrate ma collegate in rete, più au- tonomi e nello stesso tempo più interconnessi. Il lavoratore non si concepisce più come un elemento di una gigantesca macchina, ma acquista mobilità, capacità di interagire con gli altri, attento alla qualità della vita e alla qualità del lavoro. 187 Crescono le preferenze per il lavoro autonomo e atipico. Anche nel lavoro di- pendente aumentano le esigenze di una autonomia più ampia. Crescono le aspetta- tive per un lavoro creativo. Ci si aspetta un rapporto più equilibrato tra la vita e il lavoro, con possibilità di periodi di studio e formazione alternati a periodi di la- voro, con ripercussioni meno traumatiche della vita lavorativa sui ritmi della vita familiare. In sintesi si può dire che il lavoro acquista le seguenti caratteristiche: da salariato ad autonomo da rigido a flessibile da strumentale ad espressivo da utile individualmente a utile socialmente da misurato in termini di tempo quantitativo a misurato in termini di tempo qualitativo. Il lavoro non può più essere misurato solo in monte/ore, ma per la qualità umana che incorpora: qualità del lavoratore, qualità del prodotto, attenzione, crea- tività, sviluppo di sensibilità umane. Il lavoro si colloca oggi dentro una società fortemente dinamica e relazionale, fatta di processi, di gruppi di produttori e con- sumatori, di richieste di senso, di domande, di progetti. Non è più la vecchia so- cietà passiva dell’epoca industriale. Le capacità intellettuali, quelle manageriali e quelle pratico-operative oggi sono messe in sinergia. Tra produzione, distribuzione e consumo esistono oggi rapporti di circolarità, ossia di influenza reciproca, scono- sciuti un tempo. Il lavoro passa da “occupazione” ad “attività flessibile in rete”. I percorsi di vita non sono più determinati dall’industria ma da transazioni tra vita e lavoro: il Welfare lavoristico (ossia lo Stato sociale che faceva dipendere dal lavoro l’ac- cesso al benessere sociale) non tiene più e bisogna ripensare su nuove basi il rap- porto tra il lavoro e le garanzie relative ai diritti umani e sociali. Le garanzie e le tutele esterne cedono il passo all’esigenza di potenziare la responsabilità e la li- bertà del lavoratore. Tutte queste dinamiche dimostrano in sintesi che il lavoro è sempre più una relazione, ossia una relazione e uno scambio tra persone umane. Non è una produ- zione di beni materiali, non è sfruttamento della natura, non è rapporto servo-pa- drone, non è nemmeno una condizione per certi diritti politici: esso è un insieme di relazioni umane intrecciate tra loro, come relazionale è ormai la moderna società reticolare. 188 2. I quattro ambiti del lavoro e le loro relazioni Nell’epoca moderna il lavoro si è andato costruendo in quattro ambiti: Lavoro di mercato Lavoro politico lavoro come scambio sociale lavoro come valore d’uso - Il primo ambito è regolato dal profitto, il lavoro è considerato una merce che viene scambiata, deve produrre dei beni che vengono venduti. Il riconosci- mento del lavoro è monetario. - Il secondo ambito è il lavoro civile, proprio delle istituzioni pubbliche o del Welfare State. Esso non produce beni per lo scambio, ma servizi ai cittadini. Il riconoscimento del lavoro è politico. - Il terzo ambito produce relazioni di servizio reciproco secondo modalità soli- daristiche. Il lavoro avviene in reti di tipo associativo proprie del Terzo settore e del privato sociale. Il riconoscimento del lavoro è sociale. - Il quarto ambito produce beni e servizi di prima necessità ed è relativo all’am- bito domestico, degli amici e dei vicini, alle reti di rapporti informali. Il rico- noscimento è di tipo privato. Non c’è dubbio che inizialmente la modernità ha visto il lavoro solo come merce. Il capitalismo lo aveva inteso così; il marxismo glielo rimproverava ma fi- niva per intenderlo solo come valore politico. Con il tempo e lo sviluppo delle fun- zioni legate allo Stato del benessere, o Welfare State, si è molto ampliato anche il senso politico del lavoro, come nel caso dei cosiddetti lavori socialmente utili, nel tentativo di correggere le disfunzioni derivate dal considerare il lavoro solo come merce. Più di recente, ma con grande difficoltà, si è sviluppato anche il lavoro dentro le reti associative della società civile. Fintantoché il lavoro viene inteso in uno o nell’altro di questi quattro signifi- cati, non viene colta la sua valenza relazionale. Bisogna vedere i quattro ambiti come in relazione tra loro. Tra i quattro ambiti, però, bisogna dare una importanza fondamentale al terzo, capace più degli altri di mettere in luce l’aspetto del lavoro come relazione. È da questo settore che possono venire importanti indicazioni su come affrontare il tema del lavoro nella futura società relazionale. 3. Lavoro e occupazione Per capire meglio cosa significa che il lavoro è una relazione, possiamo con- frontare questo termine con quello, spesso inteso come sinonimo, di “occupazione”. 189 Spesso infatti anziché dire: “cerco un lavoro”, si dice “cerco una occupazione”. Non si distingue tra lavoro e posto di lavoro. Oggi le evoluzioni nel mondo del la- voro ci costringono a distinguere, dato che la parola occupazione (ossia il “posto” di lavoro) indica piuttosto la vecchia concezione del lavoro, che la società relazio- nale mette sempre di più in crisi. L’occupazione è l’elemento oggettivo del lavoro, il lavoro invece è l’elemento soggettivo e come tale è prima di tutto relazione. Proprio per mostrare che il lavoro è sempre di più essenzialmente “relazione”, proviamo a distinguere le sue caratteristiche in confronto a quelle della semplice occupazione. Lavoro (work ) Rispetto all’occupazione (ossia alle cose da fare) il lavoro implica sempre una relazione. In altre parole il lavoro trasforma l’occupazione in ricchezza e creatività. Il lavoro può essere soddisfacente o insoddisfacente, buono o cattivo, crea- tivo o ripetitivo… si presta insomma a valutazioni morali. Il lavoro è creato dalla società civile. Una prova: la società civile è capace di produrre lavoro anche se non c’è occupazione, come per esempio nelle attività di volontariato. Il lavoro non può essere reso equiva- lente rispetto ad altri lavori con criteri comparativi perché la sua natura non è solo di generare uno scambio, ma pro- durre una relazione. Il lavoro produce legami sociali e in- fluisce sulla politica. Nel mondo del lavoro, il lavoro do- vrebbe avere la priorità sull’occupa- zione, essendo il fine rispetto al mezzo. Occupazione (Job ) L’occupazione (ossia le cose da fare) non implica nessuna relazione neces- saria con il lavoro e di per sé non è sufficiente per rendere il lavoro più o meno umano. L’occupazione si può dire che sia fati- cosa o non faticosa, ben pagata o sot- topagata … si presta solo a valutazioni di ordine materiale. L’occupazione è creata dal mercato o dallo Stato. Mercato e Stato, infatti, non sono capaci di creare lavoro se creando il posto di lavoro, ossia l’oc- cupazione. L’occupazione può essere resa equiva- lente e comparata quantitativamente con altre occupazioni mediante, per esempio, il computo delle ore occu- pate, o un mansionario oppure un con- tratto collettivo di lavoro. L’occupazione non produce legami so- ciali, al massimo può produrre legami commerciali relativi ad uno scambio. Nella vecchia economia, è l’occupa- zione ad avere la priorità sul lavoro, essendo il mezzo rispetto al fine. 190 I recenti cambiamenti nel mondo del lavoro hanno posto in seria crisi l’occu- pazione. Il Welfare State non è più in grado di garantirla; il mercato non ne sop- porta l’alto costo e la considera una ingessatura insopportabile; i nuovi lavori co- siddetti “atipici” sono sempre più dei lavori senza occupazione, ossia quei lavora- tori “non occupano” più un “posto” nel senso tradizionale della parola; i contratti collettivi sono ancora calibrati su occupazioni misurabili e confrontabili che non esistono più e quindi sono destinati ad essere superati; i sindacati, abituati da secoli a difendere chi ha un’occupazione, non sono più in grado di fare il loro tradizio- nale lavoro nei confronti dei nuovi lavoratori senza occupazione. Qualche studioso ha parlato tempo fa di “fine del lavoro”. In realtà c’è e ci sarà la fine dell’occupazione. Ma nel contempo la società relazionale farà emer- gere sempre di più il lavoro. A patto che esso sappia concepirsi come produttore di relazioni. 4. Stato e mercato non bastano più Dato che ormai la società è relazionale e il lavoro si colloca in un contesto ra- dicalmente nuovo, Stato e mercato non bastano più. Cercheremo di mettere in evi- denza questa impotenza dello Stato e del mercato, soffermandoci su tre argomenti relativi al lavoro oggi sono molto dibattuti: la disoccupazione, la flessibilità, i con- tratti di lavoro. - La lotta alla disoccupazione Per lottare contro la disoccupazione posso agire su quattro leve, corrispon- denti ai quattro settori già visti sopra. a) Posso far crescere l’economia e affidare al mercato il compito di creare nuovi posti di lavoro. b) Posso ampliare i servizi di Welfare a carico dello Stato ed assumere nuovi la- voratori in lavori socialmente utili. c) Posso incrementare gli scambi sociali tra i soggetti della società civile. d) Posso indurre nuovi stili di vita e modelli culturali di valori, far maturare mag- giore attenzione ai diritti umani nei rapporti tra persone, coscientizzare i sog- getti economici sulla necessità di fare delle rinunce in qualche ambito per avere in cambio una maggiore occupazione, evitare gli sprechi, eccetera. Si può ancora pensare che alla disoccupazione possa far fronte solo il mer- cato? È da tempo ormai che si sa bene che la crescita non vuol dire automatica- mente nuovi posti di lavoro. Anzi, un’impresa cresce economicamente se introduce nuova tecnologia e taglia i posti di lavoro. Che è quanto fa ogni azienda nei periodi di crisi. Del resto l’epoca in cui lo Stato gravava il proprio bilancio con la crea- zione di posti di lavoro improduttivi ma utili socialmente è resa superata dalla glo- 191 balizzazione: è un costo che lo Stato non si può più permettere. Inoltre si capisce sempre di più che anche la disoccupazione è un fenomeno complesso e relazionale (in senso negativo): difficoltà finanziarie, incapacità di strutturare il proprio tempo in modo significativo, perdita di autostima, disprezzo sociale del disoccupato, ri- schio di disoccupazione continua sono elementi che influiscono in modo determi- nante sulla disoccupazione tanto quanto la perdita del posto di lavoro. In molti casi, poi l’occupazione non è nemmeno più garanzia di sfuggire alla povertà. Si chiede l’occupazione come strada maestra per l’inclusione sociale, ma talvolta il lavoro non garantisce di poter star fuori dalla povertà. Per questi motivi, la lotta alla disoccupazione richiede l’attivazione delle relazioni tra tutti e quattro gli am- biti del lavoro. - La flessibilità e la contrattazione Un altro esempio può essere quello della flessibilità. Si può affidare la solu- zione del problema al solo mercato o al solo Stato? Il solo mercato trasformerebbe la flessibilità in precarietà e in nuove forme di dipendenza. Il solo Stato pretende- rebbe di bloccare dall’esterno per via normativa la flessibilità, che continuerebbe a vivere clandestinamente e sotterraneamente, ossia in modo non tutelato e non nor- mato. Se la flessibilità viene vista nell’ottica del mercato diventa possibilità di li- cenziamento senza limiti. Se la flessibilità viene vista nell’ottica dello Stato di- venta meticolosa legislazione che norma nei particolari la materia, irrigidendola in modo inaccettabile per la moderna economia. Ambedue le soluzioni non vedono il lavoro come relazionale: la prima lo vede come merce che si compra e si vende; la seconda lo vede come diritto politico di cittadinanza che deve avere una garanzia nello Stato. Se invece vogliamo considerare la flessibilità nel senso della dimen- sione relazionale del lavoro essa diventa la possibilità di formulare contratti di la- voro equi, prevedendo garanzie minime per tutti e ambiti di flessibilità tra le parti con contratti incentrati sulla relazione stessa tra le parti più che sul lavoro inteso in senso strumentale. 192 MODULO 3 NUOVI COMPITI DEL LAVORO E NUOVI SOGGETTI CHE LAVORANO LEZIONE 2 IL LAVORO E LA SOCIETÀ CIVILE OBIETTIVI: Al termine della lezione il lettore sarà in grado di: - comprendere che oggi il lavoro è interessato anche da nuovi ambiti lavorativi che emergono dalla società civile; - valutare criticamente gli apporti che ciò può fornire al mondo del lavoro in generale. CONTENUTI: 1. Lavoro e società civile: i dati quantitativi. 2. Le debolezze strutturali del lavoro nel settore non profit. 3. Il significato del lavorare nel settore non profit. 1. Lavoro e società civile: i dati quantitativi La società civile è luogo di molteplici attività, ma interessa direttamente il la- voro quando è capace di trasformare i bisogni dei cittadini in “domanda” cui si deve rispondere in termini di “offerta” di lavoro. In altri termini quando è capace di creare posti di lavoro remunerati. Per esempio, ci sono tanti bisogni umani che nella società civile emergono solo come domanda di interventi di volontariato. Ciò può accadere per molti motivi: perché il bisognoso non è in grado di pagare per il soddisfacimento del bisogno, perché l’istituzione pubblica non ha ancora deciso di intervenire con adeguate politiche per il soddisfacimento di quel genere di bisogni, perché la mentalità comune non ha ancora elaborato la convinzione diffusa che il soddisfacimento di quel bisogno richiede una professionalità che è giusto pagare. È stato questo il caso, per esempio, del bisogno di accompagnamento delle persone anziane. Fino a qualche anno fa non era un “mercato del lavoro”, ma oggetto di sporadici interventi di volontariato; oggi lo sta diventando. 193 Quando si parla di “lavoro e società civile” ci si riferisce alle attività econo- miche e produttive che la società civile esprime in quanto tale, ossia alle attività non-profit. In senso lato tutto è società civile, anche le imprese for-profit vi appar- tengono, tuttavia la società civile è anche in grado di sviluppare una “economia ci- vile”, ossia forme di auto-organizzazione solidaristica in grado di dare un conte- nuto economico all’attività – che diventa quindi lavoro in senso pieno – senza ri- nunciare al fatto che chi si mette insieme per farlo, non lo fa primariamente per il profitto ma per la soddisfazione di un bisogno sociale. Come abbiamo già visto, le organizzazioni economiche della società civile sono soprattutto: Le Fondazioni La cooperazione sociale L’associazionismo sociale Il Volontariato La capacità di queste realtà di dare lavoro è consistente, sicché è doveroso considerarle anche come espressione della potenzialità della società civile in am- bito occupazionale. Alcuni dati lo potranno dimostrare. Attorno alle organizzazioni non-profit ruotano circa 4 milioni di persone nel nostro Paese, che si dividono nelle seguenti categorie: dipendenti a tempo pieno, dipendenti a tempo parziale, lavoratori con contratto di collaborazione, lavoratori distaccati da altri enti, volontari, religiosi, obiettori di coscienza. Dipendenti a tempo pieno Dipendenti a tempo parziale Totale Nord 235.325 38.895 274.220 Centro 142.579 14.397 156.976 Mezzogiorno 90.507 10.223 100.730 ITALIA 468.411 63.515 531.926 Come si vede, si tratta di una cifra consistente di posti di lavoro. A questi do- vrebbero anche essere aggiunti coloro che hanno un contratto di collaborazione e chi è distaccato da altri enti, in quanto queste due categorie sono comunque di la- voratori regolarmente pagati. Collaboratori Distaccati Nord 44.325 9.217 Centro 25.138 6.101 Mezzogiorno 10.477 2.228 ITALIA 79.940 17.546 Tra le organizzazioni non profit, le cooperative sociali occupano dipendenti in misura sei volte maggiore rispetto agli tipi di organizzazione. v 194 Anno 1999 Cooperative sociali Dipendenti 121.894 (82.162 donne) Collaboratori 7.558 (4658 donne) Distaccati 871 (634 donne) (Fonte: ISTAT, Istituzioni non profit in Italia, anno 1999). C’è infine un altro aspetto del lavoro sociale nelle organizzazioni non profit, l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate attuato dalle cooperative sociali di tipo B, le quali devono per legge avere una certa percentuale di soci-lavoratori dis- abili. Si tratta di un contributo di leggera entità in termini assoluti, ma di alto signi- ficato. Cooperative di tipo B: inserimento lavorativo di persone svantaggiate. Numero in Italia Persone svantaggiate inserite Numero dei dipendenti Persone svantaggiate per cooperativa. 1.787 12.310 32.939 7,5 (Fonte: Comunità cooperative. Terzo rapporto sulla cooperazione sociale in Italia, a cura del Centro Studi Cgm, Edizioni Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 2002). 2. Le debolezze strutturali del lavoro nel settore non profit Il lavoro nelle organizzazioni non profit ha delle debolezze di tipo strutturale che attualmente ne impediscono un adeguato sviluppo. Per cui si può dire che, se da un lato, esse danno un significativo apporto all’occupazione e al mondo del la- voro, dall’altro, sono ancora lontane da dare quanto potrebbero dare. Retribuzioni basse Le retribuzioni nel settore non profit, a parte qualche caso particolare legato al personale delle Fondazioni, sono significativamente più basse di settori equipol- lenti del privato e del pubblico. La seguente tabella mette in evidenza le differenze medie tra gli occupati nel settore pubblico, privato e non profit. A tempo pieno A tempo parziale Pubblica 1.737.841 1.072.939 For profit 1.581.782 1.197.357 Non profit laica 1.563.853 1.057.652 Non profit religiosa 1.469.883 1.051.282 (Fonte: BORZAGA G., [a cura di], Capitale umano e qualità del lavoro nei servizi sociali. Un’analisi comparata tra modelli di gestione, Fondazione Italiana per il Volontariato, Roma 2000). 7.558 (4.658 donne) 195 Frequente turn-over Ne consegue che il personale degli enti non profit sia soggetto a un notevole turn-over, coloro che si fermano e si stabilizzano sono pochi. In queste organizza- zioni di solito c’è un nucleo di lavoratori dipendenti fedele che compensa sul piano affettivo quanto perde sul piano economico; c’è poi un contorno di dipendenti meno motivati che dopo un po’ di tempo emigrano verso altri posti maggiormente remunerati e più sicuri. Un altro motivo di grande incidenza sul turn-over è costituito dal sistema degli appalti. Quando l’ente pubblico assegna una attività in appalto ad una orga- nizzazione diversa dalla precedente, gli operatori transitano automaticamente dal- l’una all’altra, vengono licenziati dalla prima ed assunti dalla seconda con grandi ripercussioni negative sul senso di appartenenza e la qualità del lavoro. Scarsa professionalizzazione Ci sono nelle organizzazioni non profit anche nicchie di alta specializzazione professionale, ma in genere le attività di queste organizzazioni riguardano settori come l’assistenza, le pulizie, la cura del verde, ossia settori lavorativi piuttosto ge- nerici. Anche quando l’organizzazione è impegnata in ambiti che richiedono di per sé un’altra professionalità, come per esempio quello sanitario, svolgono comunque attività di supporto e di periferia. Uno dei settori lavorativi in cui sta emergendo una significativa professionalità delle organizzazioni non profit è quello della for- mazione, dell’educazione, dell’animazione e della mediazione culturale. Eccessiva dipendenza dal pubblico Per la maggior parte, le entrate degli enti non profit deriva soprattutto da fi- nanziamenti pubblici. Solo l’11,7% non ne dipende, mentre il 19,9% dipende inte- ramente da esse e il 41,5% riceve dagli enti pubblici più della metà delle entrate complessive. Questo crea una notevole instabilità per i lavoratori e una generale precarietà delle organizzazioni che non possono esprimere tutta la loro capacità imprendito- riale e garantire prospettive certe o plausibili ai propri lavoratori dipendenti. Femminilizzazione Nelle organizzazioni non profit lavorano soprattutto donne, come mostra la ta- bella riportata qui sotto. Ciò può avere un significato positivo, nel senso che le at- A tempo pieno A tempo parziale Pubblica 1.737.841 1.072.939 For profit 1.581.782 1.197.357 Non profit laica 1.563.853 1.057.652 Non profit religiosa 1.469.883 1.051.282 196 tività svolte da queste associazioni riguardano delicati servizi alla persona che ri- chiedono personale attento alle funzioni di cura, come speso è il personale femmi- nile. Ha però anche un significato negativo, legato alle basse retribuzioni. Sap- piamo infatti che nel nostro Paese le donne sono mediamente pagate meno che gli uomini. Maschi Femmine Coordinatore e responsabile 39,6 61,5 Erogazione dei servizi a diretto contatto con l’utenza 20,9 79,1 Amministrazione 23,0 77,0 Gestione e formazione del personale 34,0 66,0 Attività di supporto 23,0 77,0 (Fonte: BORZAGA G., (a cura di), Capitale umano e qualità del lavoro nei servizi sociali. Un’analisi comparata tra modelli di gestione, Fondazione Italiana per il Volontariato, Roma 2000). 3. Il significato di lavorare nel settore non profit Nonostante questi limiti strutturali, dovuti soprattutto a carenze e ritardi nella promozione del lavoro nella società civile, il non profit propone un “modo” di la- vorare i cui effetti possono essere molto positivi per la società in generale. Non va infatti dimenticato che questo settore non offre semplicemente posti di lavoro ma soprattutto modi di lavorare. Cooperazione paritaria La maggior parte dei lavoratori delle organizzazioni non profit sono soci delle stesse. Ciò comporta uno status molto particolare: da una parte, in quanto socio, si è imprenditore e dall’altra, in quanto lavoratore, si è dipendente. In altri termini si è dipendenti di se stessi, intesi però non come individui ma come gruppo e comu- nità. Ciò conferisce al lavoro un sapore particolare, ci si sente coinvolti e partecipi. Cooperazione finalistica Nelle organizzazioni non profit il risultato economico è funzionale alle finalità sociali dell’organizzazione. Esse si chiamano “non profit” non solo perché non dis- tribuiscono utili, ma anche perché si pongono come primo scopo di rendere un ser- vizio sociale. Questo fa sì che in esse si lavori con uno spirito particolare, nella convinzione che quanto si fa produce un bene per una certa categoria di persone, fornisce un aiuto concreto a chi ha delle difficoltà o contribuisce a risolvere un problema sociale. 197 Retribuzione affettiva Chi lavora in una organizzazione non profit sa che la sua attività lavorativa avrà due tipi di ricompensa: uno monetario e uno non monetario, ma affettivo. La soddisfazione di fare del bene, di alleviare delle sofferenze, di produrre migliori re- lazioni umane, di crescere come persone che sanno anche essere altruiste nel loro lavoro spesso compensa in molti lavoratori di questo settore le differenze di sti- pendio con lavoratori di altri settori. Questo è un fatto di notevole importanza in quanto diffonde l’idea che il lavoro può essere retribuito in altri modi che non siano solo quelli monetari. Volontariato Normalmente si distingue tra lavoro e volontariato. Ma chi lavora in una orga- nizzazione non profit non distingue molto tra i due. Non solo, naturalmente, chi fa il volontario, ma anche chi occupa un posto di lavoro in questo settore si sente ugualmente come un volontario, vuole dare di più di quanto gli stretti doveri lavo- rativi comporterebbero. Lavoro e socialità Il lavoro nel settore non profit è generatore di socialità. Ogni lavoro lo è, come abbiamo visto, ma questo lo è ancora di più. Il lavoratore di questo settore lavora partecipando, a contatto con i problemi sociali del suo tempo e della zona in cui vive. Egli fa un lavoro che lo obbliga ad aprire gli occhi sul disagio sociale, che lo abilita a valutare e giudicare le risposte che la società e le istituzioni danno ai pro- blemi, e così facendo egli matura virtù sociali ed una sensibilità pro-sociale che in altri ambiti lavorativi è molto più difficile maturare. Se il lavoro è in se stesso un “lavorare con gli altri e per gli altri”, il lavoro nella società civile lo è ancora di più e in modo particolare. AREA 5 L’UOMO, I BENI, L’ECONOMIA STEFANO FONTANA INDICE Modulo 1 - L’economia di mercato e quanto è dovuto all’uomo in quanto uomo Lezione 1 - Le esigenze etiche del mercato Lezione 2 - Un giudizio sul capitalismo tra economia e cultura Modulo 2 - Aspetti di un’economia solidale Lezione 1 - Gli aspetti etici dell’imprenditorialità Lezione 2 - I beni pubblici e la società civile. Il ruolo economico del set- tore non profit Modulo 3 - Spunti per una finanza dal volto umano Lezione 1 - La finanziarizzazione dell’economia e i suoi risvolti etici Lezione 2 - Il debito dei paesi poveri 201 MODULO 1 L’ECONOMIA DI MERCATO E QUANTO È DOVUTO ALL’UOMO IN QUANTO UOMO LEZIONE 1 LE ESIGENZE ETICHE DEL MERCATO OBIETTIVO DELLA LEZIONE : Al termine della lezione il lettore: - comprenderà le ragioni che giustificano la regolazione del mercato. CONTENUTI: 1. La positività del mercato. 2. Perché il mercato deve essere regolato. 3. Chi deve regolare il mercato? 4. Il compito dello Stato nella regolazione del mercato. 4. Quali beni devono passare per il mercato? 1. La positività del mercato Il mercato è un “luogo” in cui offerta e domanda di beni si incontrano. Esso è un meccanismo economico che permette di raccogliere e allocare le risorse, di pro- durre e soddisfare i bisogni materiali ed immateriali, di distribuire i beni, di pro- durre ricchezza aggiunta. Il mercato aiuta ad utilizzare meglio le risorse, a favorire lo scambio dei prodotti, a fare incontrare le esigenze di una persona con quelle di un’altra. Se non ci fosse il mercato da chi andrei per chiedere un soddisfacimento di un bisogno? Il mercato segue una logica di giustizia retributiva, detta anche dello scambio degli equivalenti. Ad un bene fornito sul mercato corrisponde un prezzo stabilito dalle dinamiche del mercato stesso e chi può permettersi di pagare quel prezzo ha diritto ad avere il bene desiderato. Si dice anche che il mercato riguarda i beni “solvibili”, quelli che si possono avere possedendo la capacità economica di pa- garne il prezzo. 202 Come strumento di allocazione delle risorse, di incontro tra domanda ed of- ferta e come strumento di produzione di ricchezza il mercato è insostituibile, prova ne sia che anche nei paesi comunisti ove il mercato era stato abolito, si era creato un mercato parallelo o sotterraneo. Il mercato rimane lo strumento più efficiente, a patto però di non essere lasciato a se stesso. Il mercato, per essere tale, abbisogna di non essere solo mercato. Vediamo allora di rispondere alle due domande: 1) perché il mercato deve essere regolato?; 2) chi lo deve regolare? 2. Perché il mercato deve essere regolato? Il mercato deve essere regolato per i seguenti motivi: - In primo luogo perché non tutti i beni devono passare dal mercato. Dice la Centesimus annus: “Ci sono bisogni collettivi e qualitativi che non possono essere soddisfatti mediante i suoi meccanismi; ci sono esigenze umane importanti che sfuggono alla sua logica; ci sono dei beni che, in base alla loro natura, non si pos- sono e non si debbono vendere e comprare” (n. 40). I beni nocivi all’uomo, come la droga; i beni appartenenti alla persona come il proprio corpo, i propri organi, i geni oppure il lavoro non sono solo “merci” che transitano per il mercato. Se il mercato è lasciato a se stesso e alla sua logica esso fagocita tutto, compra e vende di tutto, dal lavoro minorile al sesso. La persona umana non può essere oggetto di mercato. - In secondo luogo perché ci sono bisogni che il mercato non riesce a soddi- sfare. Sostiene la Centesimus annus: “Il libero mercato è lo strumento più efficace per collocare le risorse e rispondere efficacemente ai bisogni. Ciò tuttavia, vale solo per i bisogni che sono “solvibili”, e per quelle risorse che sono “vendibili”, in grado di ottenere un prezzo adeguato. Ma esistono numerosi bisogni umani che non hanno accesso al mercato. È stretto dovere di giustizia e di verità impedire che i bisogni umani fondamentali rimangano insoddisfatti e che gli uomini che ne sono oppressi periscano” (n. 34). In altri termini, ci sono bisogni che il mercato non deve soddisfare e ci sono bisogni che il mercato non riesce a soddisfare. Possiamo per esempio, lasciare l’assistenza all’handicap al mercato? - In terzo luogo perché ci sono persone che non riescono, per carenze conge- nite, per povertà o per privazioni vissute durante la vita ad accedere ai beni neces- sari. Ma la Centesimus annus ricorda che “prima ancora della logica dello scambio degli equivalenti e delle forme di giustizia, che le sono proprie, esiste un qualcosa che è dovuto all’uomo perché è uomo, in forza della sua eminente dignità” (n. 34). In concreto per la comunità esiste un obbligo morale di fornire i beni fondamentali anche a chi non è in grado di acquistarli. Il mercato non sarebbe in grado di prov- vedere a ciò se lasciato alla sua logica dello “scambio degli equivalenti”. 203 - In quarto luogo perché ci sono beni che appartengono a tutti e che è bene che rimangano di tutti. Sono i beni collettivi dell’ambiente, della salubrità dell’aria o della purezza dell’acqua, del nostro patrimonio genetico e di quello delle piante e degli animali frutto dell’opera di generazioni di nostri predecessori. Non sarebbe corretto che questi beni comuni fossero privatizzati e diventassero oggetti di compra-vendita nell’ambito del mercato. - In quinto luogo perché il mercato è una gara, ma una gara particolare. Quando termina una gara di corsa e se ne fa un’altra, i concorrenti si rimettono sulla stessa linea di partenza. Chi ha vinto la gara precedente parte alla pari di tutti gli altri. In economia non è così: chi ha vinto una gara parte avvantaggiato nella gara precedente. Questo, alla lunga, può produrre situazioni di forte potere che condizionano gli esiti delle gare, situazioni di forza o rendite di posizione che, ac- cumulandosi, possono mettere in pericolo la reale possibilità che tutti partecipino. In sintesi posiamo fissare i motivi per cui il mercato ha bisogno di essere rego- lato: Perché il mercato va regolato? 1. Perché non tutti i beni devono passare dal mercato. 2. Perché ci sono bisogni che il mercato non riesce a soddisfare. 3. Perché ci sono persone che non riescono ad accedere ai beni necessari. 4. Perché ci sono beni che appartengono a tutti. 5. Situazioni di forza o rendite di posizione. 3. Chi deve regolare il mercato? Quando ci si pone la domanda circa chi abbia il dovere, e perciò anche il di- ritto, di regolare il mercato si pensa subito allo Stato. In realtà oggi si è fatto evi- dente che la sola regolazione dello Stato non basta, anzi può essere anche contro- producente se prevede un intervento eccessivo ed anomalo dello Stato nell’eco- nomia e nella società. Inoltre oggi lo Stato è più debole che in passato e non ha più la forza di intervenire in modo forte nei confronti dell’economia, che ha una di- mensione sovrastatale e internazionale. Bisogna allora convincersi che la regola- zione del mercato spetta a diversi soggetti, che tutti devono intervenire nel loro ambito specifico e secondo le loro modalità proprie. Vediamo i principali. - Il mercato deve prima di tutto essere regolato dalle sue stesse regole: traspa- renza, conoscenza, fiducia, concorrenza lecita, democrazia economica sono prima di tutto regole economiche che servono a far sì che il mercato non venga inquinato 1) Perché non tutti i beni devono passare dal mercato. 2) Perché ci sono bisogni che il mercato non riesce a soddisfare. 3) Perché ci sono persone che non riescono ad accedere ai beni necessari. 4) Perché ci sono beni che appartengono a tutti. 5) Perché ci sono situazioni di forza o rendite di posizione. 204 e quindi impossibilitato ad esercitare la sua funzione specifica. Sono gli stessi ope- ratori economici ad avere interesse che tutti rispettino le regole del mercato. - Secondariamente il mercato è regolato dall’etica degli imprenditori e degli operatori economici. C’è bisogno che si provveda ad una formazione anche etica oltre che tecnica, mediante la Business Ethics, degli imprenditori perché le regole esterne valgono sempre molto meno delle regole interiorizzate nella coscienza del- l’operatore. - In terzo luogo contribuiscono a regolare il mercato la cultura e la tradizione di un popolo, compresa la religione. Il mercato vive sempre dentro una cultura, non esiste un mercato allo stato puro come mero fatto tecnico. I legami sociali di solida- rietà, i modelli di comportamento ereditati dal passato, i vincoli morali e religiosi che orientano la coscienza personale e professionale sono di fondamentale impor- tanza per dare un’anima al mercato. L’etica del lavoro di origine religiosa, l’etica del sacrificio di tanti imprenditori di origine contadina, il legame familiare che ha influito così tanto sulla modalità di gestione imprenditoriale in tante regioni italiane sono fenomeni di grande peso nell’orientare eticamente l’attività economica. - In quarto luogo il mercato è anche regolato dalla legittima conflittualità delle parti sociali, dall’associazionismo di categoria e specialmente dai sindacati che de- mocraticamente rivendicano il rispetto dei diritti dei lavoratori. Un sano conflitto sociale non è mai stato condannato dalla Dsc, la quale anzi vi vede un fattore di progresso, quando non sia violento e ideologico. - In quinto luogo il mercato è regolato dalla società civile (anche internazio- nale), dalle associazioni dei consumatori, dalla scuola se forma cittadini critici ed educa al consumo critico, dalle famiglie se disciplinano le loro spese in modo saggio ed educano i figli a farlo, dalla pressioni anche in forma di boicottaggio di prodotti ritenuti nocivi da parte di organizzazioni di pressione, dall’opinione pub- blica, dai gruppi ambientalisti o dai movimenti cattolici che propongono bilanci di giustizia, consumo equo e solidale, banco alimentare e quant’altro. - Un importante fenomeno regolatore del mercato è rappresentato dall’eco- nomia non-profit e del Terzo settore che fa parte a pieno titolo del mercato ma agisce con criteri non solo di efficienza, ma anche di solidarietà. - Infine gli organismi economici e finanziari internazionali i quali, spesso, sono a servizio del mercato anziché della sua regolamentazione. Organismo come la WTO (World Trade Organisation) dovrebbero imporre al mercato mondiale re- gole eque, favorendo la democrazia economica. Si dovrebbe anche mettere in can- tiere la World Tax Organisation , ma manca la volontà politica. Come si vede quello del mercato è un problema di governance, cioè di orien- tamento dinamico e regolamentato da parte di vari soggetti che devono integrarsi tra loro secondo il principio di sussidiarietà. 205 4. Il compito dello Stato nella regolazione del mercato Lo Stato, come si diceva, non è l’unico soggetto atto a regolare il mercato. Tuttavia esso svolge ancora un ruolo molto importante in questo senso. Tutela dei beni collettivi Afferma la Centesimus annus che “è compito dello Stato provvedere alla di- fesa e alla tutela di quei beni collettivi, come l’ambiente naturale e l’ambiente umano, la cui salvaguardia non può essere assicurata dai semplici meccanismi di mercato”. Non si tratta di una competenza unica, quella dello Stato, perché altri soggetti sono interessati alla difesa, poniamo, dell’ambiente oppure del patrimonio artistico di una nazione, pensiamo per esempio alle organizzazioni della società ci- vile. Però il ruolo dello Stato è fondamentale. Stabilire il quadro giuridico Un altro compito importante dello Stato è quello di costruire la cornice delle regole giuridiche in cui si svolge l’attività economica, perché questa “non può svolgersi in un vuoto istituzionale giuridico e politico”. La mancanza di sicurezza, la corruzione, le attività economiche illegali o speculative, oltre ad essere moral- mente condannabili, sono anche economicamente costose e frenano lo sviluppo. Tutelare i diritti umani Un terzo compito dello Stato è di “sorvegliare e guidare l’esercizio dei diritti umani nel settore economico”. Ciò può essere fatto direttamente, ma ancora di più indirettamente. Per esempio: il diritto al lavoro non deve essere promosso dallo Stato mediante la costruzione di posti di lavoro artificiali che pesano sulla comu- nità, quanto incentivando le imprese e le dinamiche virtuali dell’economia. Smobilitare i monopoli Un ulteriore compito dello Stato è di “intervenire quando situazioni particolari di monopolio creino remore od ostacoli per lo sviluppo” (Centesimus annus n. 48). Una eccessiva concentrazione di ricchezza, il controllo finanziario di interi com- parti produttivi in mano a poche mani, rendite di posizione di aziende che sfruttano situazioni di privilegio, godimento di rendite di posizione dovute a legislazioni ad hoc sono situazioni che devono essere rimosse. Il mercato non riuscirà mai a farlo da solo, serve l’intervento della politica, quando essa stessa non sia vittima di con- dizionamenti da parte dell’economia. Intervenire con spirito di supplenza Lo Stato, infine, mantiene ancora il dovere di intervenire con spirito di sup- plenza “in situazioni eccezionali, quando settori sociali o sistemi di imprese sono 206 inadeguati al loro compito” (Centesimus annus n. 48). Purtroppo in passato lo Stato è intervenuto rilevando imprese inadeguate al loro compito ma non con spi- rito di supplenza, bensì tenendole artificialmente in vita a spese della comunità. In linea di principio, quindi, rimane il diritto di intervento dello Stato, con caratteri- stiche di temporaneità e sussidiarietà. Questa indicazione della Dsc sembra però valere oggi soprattutto per i paesi in via di sviluppo, più che per quelli avanzati. 5. Quali beni devono passare per il mercato? Abbiamo visto che uno dei motivi per cui il mercato va regolato è che non è giusto che tutti i beni passino attraverso di esso. Non è giusto per un motivo di fondo: se tutti i beni passano per il mercato, quella del mercato è la logica che re- gola tutte le relazioni umane. Questo sarebbe deleterio perché la società non è un mercato, piuttosto il mercato è nella società. La logica del mercato è quella dello scambio degli equivalenti (do ut des). Se tutti i rapporti umani e tutti gli scambi avvenissero mediante questa logica, tutto si venderebbe e si comprerebbe. È bene invece che altri scambi di beni seguano logiche diverse. I soggetti che sono oggi abilitati a fornire e a scambiare dei beni sono i se- guenti quattro: Il Mercato Lo Stato Il Terzo settore Il Quarto settore Ci sono beni che nessuno dei soggetti in questione dovrebbe fornire. Sono quelli nocivi o non rispettosi della dignità della persona umana. Ci sono beni che possono essere forniti solo da uno dei soggetti in questione. Per esempio la difesa militare o l’ordine pubblico spetta allo Stato, la vendita della verdura, del pane o del latte spetta al mercato. Non ha senso che un Comune ge- stisca una latteria o che lo Stato fabbrichi panettoni. Ci sono i beni che originariamente spetterebbero ad un settore in particolare, ma in via secondaria spettano anche ad un altro settore. L’affetto e la cura per gli anziani spetterebbe alla famiglia, ma può essere assunta anche dal Terzo settore o dallo Stato o da aziende private, in caso che la famiglia non ce la faccia. L’educa- zione spetterebbe alla famiglia, ma anche il Terzo settore o lo Stato o i privati pos- sono fornire quel bene. La cura del verde pubblico spetterebbe più che altro ad una cooperativa sociale, ma ciò non toglie che il bene sia fornito da una ditta privata o dallo Stato. Questo capita perché il mercato non è caratterizzato solo dalla pre- 207 senza di soggetti imprenditoriali privati, ma anche da soggetti statali (per esempio per la fornitura di energia elettrica) o da soggetti del privato sociale (per esempio una cooperativa sociale). È importante che venga chiarito quale soggetto avrebbe la “primogenitura” nella fornitura di un bene, ma è altrettanto importante distinguere tra la responsabi- lità di sovrintendere alla fornitura di un bene e la sua concreta erogazione. Nel campo della sanità lo Stato ha un ruolo prioritario nel sovrintendere l’erogazione di questo servizio, ma non è detto che sia l’unico a fornirlo direttamente. Ci sono i beni che possono essere forniti da tutti i soggetti in questione, se- condo modalità diverse. L’istruzione la si può comprare presso una scuola privata, la si può ottenere da una cooperativa di genitori e insegnanti, si può andare alla scuola statale oppure farsi insegnare il latino dalla vicina di casa. Il bene fornito è lo stesso, cambiano le modalità: economica nel primo, sociale nel secondo, pub- blica-centralizzata nel terzo, amicale nel quarto. La distribuzione e ridistribuzione delle competenze nella fornitura di beni ha carattere storico e non può essere fissata una volta per tutte. In certi momenti pre- vale il centralismo statale, in altri il privatismo. Dipende anche dalla cultura di un popolo, sicché beni che in un certo paese vengono forniti dallo Stato, in un altro vengono erogati dai privati e così via. EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE È abbastanza diffusa l’idea che a muovere il mercato sia l’interesse personale e che gli uomini siano soprattutto spinti da questo in tutte le loro azioni. C’è in- vece una scuola di pensiero che fa capo al MAUSS, una associazione francese che studia il comportamento altruistico e improntato ad una logica del “dono”, la quale sostiene invece che una grande quantità di azioni umane sono assoluta- mente gratuite, compiute per puro altruismo e senza pretendere nulla in cambio. Sapresti indicare tra le tue azioni quelle che rientrano in questa logica? Bibliografia CEI - Commissione episcopale per la pastorale sociale e il lavoro, Democrazia economica, sviluppo e bene comune, EDB, Bologna 1994. V. FUCHS, Chi vivrà? Salute, economia, scelte sociali , Vita e Pensiero, Milano 2003. G. MANZONE , Il mercato. Teorie economiche e dottrina sociale della Chiesa, Queriniana, Brescia 2001. F. MARZANO , Economia ed etica: due mondi a confronto. Saggi di economia ed etica dei sistemi so- ciali, AVE, Roma 1998. S. Z AMAGNI, (a cura di), Economia, democrazie ed istituzioni in una società in trasformazione. Per una rilettura della Dottrina sociale della Chiesa, Il Mulino, Bologna 1997. 208 MODULO 1 L’ECONOMIA DI MERCATO E QUANTO È DOVUTO ALL’UOMO IN QUANTO UOMO LEZIONE 2 IL GIUDIZIO SUL CAPITALISMO TRA ECONOMIA E CULTURA OBIETTIVO DELLA LEZIONE: Al termine della lezione il lettore: - comprenderà la natura del capitalismo e il suo rapporto con la DSC. CONTENUTI: 1. Cos’è il capitalismo. 2. Il capitalismo e la storia della DSC. 3. Il giudizio della “Centesimus annus”. 4. Etica ed efficienza, ovvero bisogni e valori. 1. Cos’è il capitalismo? La parola capitalismo può indicare, a seconda delle prospettive assunte, due cose. - Ora viene inteso come l’idolatria del mercato, ossia l’idea che il mercato sia un fatto tecnico che procede secondo sue proprie leggi intrinseche che non bi- sogna intralciare. Un fatto tecnico, in altre parole, che non ha niente a che fare con i soggetti che vi operano o con le loro finalità morali o culturali. - Ora, invece, viene inteso come una mentalità, una cultura, una visione dei rap- porti economici e perfino un insieme di valori come la libertà e la responsabilità. Nel primo caso, il capitalismo è l’accettazione di un meccanismo impersonale, nel secondo caso è un sistema di valori e di orientamenti pratici. Lungo la storia del pensiero economico, alcuni autori si sono schierati da una parte ed altri dal- l’altra. 209 A - Francois Quesnay , nel 1700 scoprì il cosiddetto “ciclo economico”, che secondo lui procedeva meccanicamente, ossia indipendentemente dalla volontà umana. Nasceva l’economia come “scienza”, le leggi economiche erano conside- rate “naturali”, indipendenti dai desideri e dalle intezioni umane, quindi da appren- dere e da accettare se si voleva dominarle. B - Bernard de Mandeville, autore nel 1705 della famosa “Favola delle api” era dello stesso parere. Il meccanismo del mercato è talmente indifferente dalle in- tenzioni etiche degli individui che le sue leggi riescono a trasformare in benefici comuni anche i vizi privati. Il mercato non ha niente a che fare con gli orienta- menti dei soggetti e con le loro finalità etiche, anzi tutto ciò lo danneggerebbe bloccandone il funzionamento. C - Adam Smith, padre del liberismo e autore nel 1776 della famosa “Inda- gine sulla natura e sulle cause della ricchezza delle nazioni” considerata la “bibbia” del capitalismo, sosteneva che il mercato è guidato da una “mano invisi- bile – invisible hand” che automaticamente regolava verso esiti armonici il tutto. Pur non negando l’importanza dell’etica, egli tuttavia propendeva per considerare il mercato un “meccanismo” guidato da una mano invisibile che operava al di sopra dei desideri individuali, si fondava sulla ricerca del self interest e, se lasciato a se stesso senza interferenze, produceva da solo un’armonia economica. D - Karl Marx , il padre del comunismo e autore de “Il Capitale” pure riteneva che il mercato rispondesse a meccanismi interni che nulla avevano a che fare con le deliberazioni umane. Lo stesso crollo del sistema capitalista sarebbe avvenuto non per volontà umana ma perché i suoi meccanismi oggettivi interni avrebbero condotto necessariamente a questo esito. A questi casi di sostenitori del capitalismo preso nel primo significato, si ag- giungono altri pensatori che intendono il capitalismo nel secondo significato. A - Werner Sombart, sociologo tedesco autore nel 1902 dell’opera “Il capi- talismo moderno”, la prima in cui appare il termine stesso di capitalismo, so- stiene che il capitalismo è anche un “atteggiamento” e non solo un meccanismo. Marx sosteneva che il capitalismo c’è perché esiste una separazione tra chi de- tiene il capitale e chi no. Sombart accetta questo ma vi aggiunge che il tratto ca- ratteristico del capitalismo è una disposizione di spirito caratterizzata dall’ ansia per il guadagno e dall’organizzazione razionale del lavoro. Il capitalismo quindi anche un modo di vivere, un certo modo di intendere la vita economica e la vita intera. B - Max Weber , grande sociologo tedesco e autore della celebre opera “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo” pubblicata nel 1904, sosteneva che il capi- talismo nasce quando l’attività economica della borghesia europea viene animata dalla religione protestante e specialmente calvinista. Il rigorismo dell’etica del la- voro, l’idea della predestinazione ed altre convinzioni etico-religiose avrebbero in- fluito in modo fondamentale nel guidare l’organizzazione economico-sociale capi- talista. Il capitalismo, insomma, non è solo un meccanismo ma anche un orienta- 210 mento esistenziale e di pensiero. Egli è d’accordo con Sombart, ma vi aggiunge in modo più esplicito l’importanza dell’ispirazione religiosa ed etica. C - Michael Novak , autore nel 1993 de “L’etica cattolica e lo spirito del capi- talismo” riprende la tesi di Weber, ma più che al calvinismo, assegna al cattolice- simo il compito di aver animato il capitalismo, tramite tre valori: la libertà indivi- duale, la democrazia e un’etica universale (cattolica nel senso etimologico della parola). 2. Il capitalismo e la storia della Dsc La Dsc è nata con la Rerum novarum proprio anche per rispondere alle que- stioni sociali poste dal capitalismo. Ci si chiede quindi a quale delle due conce- zioni di capitalismo che abbiamo visto sopra essa si rifaccia. La Rerum novarum (1891) ha apertamente condannato il socialismo, che vo- leva risolvere la questione sociale collettivizzando la proprietà, cioè – secondo Leone XIII – con un rimedio peggiore del male. Del capitalismo la Rerum no- varum esprime una visione che potremmo riassumere così: il mercato e in generale il processo economico non è qualcosa di impersonale, retto da meccanismi e leggi indifferenti o opposte alla morale, ma, in quanto finalizzato alla persona e avente la persona come soggetto principale, è una realtà che va valutata ed orientata verso la promozione dell’uomo. Per questo, secondo quell’enciclica, c’è una responsabi- lità morale a cui nessuno può sottrarsi: né i capitalisti, né i lavoratori stessi, né lo Stato, né la Chiesa. La Quadragesimo anno (1931) ha di fronte un quadro molto diverso. Il capita- lismo ha provocato la crisi del 1929 e aveva messo in evidenza tutti i suoi limiti, minando la fiducia nei suoi confronti. Il comunismo non era più solo un’ipotesi, come ai tempi di Leone XIII, ma una realtà nell’Unione sovietica. Il papa Pio XI è quindi portato a condannare entrambi i sistemi e a considerare il capitalismo come caratterizzato “dall’imperialismo internazionale del denaro”. Questa visione di doppia condanna rimase in vigore per molto tempo e provocò anche la tendenza a cercare una “terza via” spesso identificata nella stessa Dsc. Un notevole cambiamento di prospettiva accade con la Laborem exercens (1981) di Giovanni Paolo II. Qui il papa distingue tra il piano economico e quello ideologico. Egli parla dell’economicismo, ossia della tendenza a considerare il la- voro umano esclusivamente secondo il fine economico ed ignorando la dignità della persona umana. Su questa base ambedue i sistemi economici possono rive- dere se stessi. In altri termini il papa ribadisce che i sistemi economici non sono neutri, ma implicano sempre una visione dell’uomo. Per lo stesso motivo essi hanno sempre a che fare con l’etica, in quanto l’azione economica è azione umana e, quindi, soggetta al giudizio morale come tutte le altre azioni. 211 3. Il giudizio della “Centesimus annus” Quando nel 1991 Giovanni Paolo II scrive la Centesimus annus, il comunismo non c’è più, esiste solo l’economia di mercato. Ed infatti il papa parla solo di quella, accettandone in pieno non solo l’esistenza di fatto ma anche i valori che vi sottostanno: libertà, creatività, produzione di ricchezza. Si tratta di una sicura no- vità rispetto al magistero precedente, con cui per altro condivide con grande chia- rezza l’idea che nei sistemi economici si incontrano due piani diversi: il piano eco- nomico delle strutture e il piano ideologico, o di indirizzo etico. Da questo deriva la celebre distinzione (se… se… ) contenuta nella Centesimus annus (n. 42): - «Se con “capitalismo” si indica un sistema economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell’impresa, del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, della libera creati- vità umana nel settore dell’economia, la risposta è certamente positiva, anche se forse sarebbe più appropriato parlare di ‘economia d’impresa’, o di ‘eco- nomia di mercato’, o semplicemente di ‘economia libera’. - Ma se con “capitalismo” si intende un sistema in cui la libertà del settore del- l’economia non è inquadrata in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà umana integrale e la consideri come una particolare di- mensione di questa libertà, il cui centro è etico e religioso, allora la risposta è decisamente negativa». In altre parole va distinto il capitalismo come semplice economia di mercato, come sistema economico da un lato e lo stesso capitalismo visto come l’ideologia economicistica, secondo la quale l’economia di mercato deve essere lasciata al suo libero gioco senza limiti, come realtà che si autoregola indipendentemente dalle fi- nalità etiche degli individui. Al capitalismo nel primo senso va detto sì, al secondo va detto no. Secondo Giovanni Paolo II il capitalismo nel primo senso, però, non esiste e non è mai esistito. Sempre il capitalismo come struttura economica si colloca “dentro” un sistema etico-culturale. Tale ambiente etico-culturale lo può orientare in senso economicistico oppure no. In altri termini non è mai la sola economia a determinare cosa sia il capitalismo, è sempre anche la cultura e l’orientamento umano. Questo perché “l’economia è solo un aspetto e una dimensione della com- plessa attività umana”. Quando prevale la prima accezione di capitalismo e, conseguentemente, il mercato è assolutizzato e il sistema economico è visto come un processo imperso- nale, la colpa non è del sistema economico in quanto tale, ma nel fatto che si è in- debolito il sistema culturale e la capacità di orientare eticamente l’economia: “Se l’economia è assolutizzata, se la produzione e il consumo delle merci occupano il centro della vita sociale e diventano l’unico valore della società, non subordinato ad alcun altro, la causa va ricercata non solo e non tanto nel sistema economico 212 stesso, quanto nel fatto che l’intero sistema socio-culturale, ignorando la dimen- sione etica e religiosa, si è indebolito e ormai si limita solo alla produzione di beni e servizi” (n. 39). Si tratta della nota idea secondo cui il capitalismo come sistema economico vive di realtà che esso stesso non è in grado di produrre. Un’ulteriore prova che il sistema economico non esiste in un vuoto culturale è data dal fatto che è una ideologia anche considerare il sistema economico come soggetto a meccanismi neutri ed impersonali: Quesnay, Mandeville, Smith e Marx che tendenzialmente lo consideravano tale, non erano immuni da una prospettiva culturale e ideologica, anzi. 4. Etica ed efficienza, ovvero bisogni e valori La concezione neutra del capitalismo come sistema di meccanismi oggettivi tende a espungere l’etica fuori dall’economia in quanto non ritiene possibile che sia comunque sempre l’uomo, pur nel rispetto delle leggi economiche, ad orientare culturalmente l’economia di mercato. Affermare, invece, come fa Giovanni Paolo II, che: a) non si dà sistema economico se non in un contesto culturale e valoriale; b) l’azione economica è solo un ambito dell’agire umano e non il primo né il prin- cipale, significa porre un nesso fondamentale tra etica ed efficienza economica. L’etica non dà di per sé l’efficienza e non fornisce le competenze economiche. Una buona persona può non essere un buon imprenditore. Le attività economiche e professionali hanno anche loro metodi scientifici in quanto, come diceva Sombart, il mercato è una organizzazione razionale dell’attività umana, non procede a caso. Eppure l’efficienza ha bisogno dell’etica. Il problema è di stabilire se l’effi- cienza abbia bisogno dell’etica solo per diventare “buona” o anche per essere pie- namente efficienza. In altre parole: uno prima è efficiente e poi, se accetta i prin- cipi etici, diventa anche buono, oppure deve essere anche buono se vuole essere ef- ficiente? La sfida posta dalla Dsc è questa seconda. L’etica non si aggiunge dall’esterno e a posteriori ma appartiene fin dall’inizio all’attività umana. Questo comporta di superare: - il pragmatismo: considerare l’azione come neutra rispetto ai valori; - il moralismo: considerare sufficienti le buone intenzioni. Non si può enunciare valori etici chiedendo forme di eroismo, bisogna invece mostrare di volta in volta come nel maggior rispetto dei valori sia più agevole sod- disfare anche i bisogni e perfino gli interessi (legittimi). Non si può, per esempio, pretendere uno sviluppo ecologicamente compatibile eliminando la crescita e vi- vendo tutti più poveri. Bisognerà invece mettere assieme il valore dello sviluppo sostenibile e quello del benessere economico, magari dimostrando che perse- guendo l’uno si favorisce anche l’altro. Non si può, per fare un altro esempio, chie- dere per motivi etici la cancellazione del debito internazionale dei Paesi poveri 213 senza porre le basi perché tale cancellazione non vada a beneficio dei regimi cor- rotti e guerrafondai del Terzo mondo. Non si può, per fare un ultimo esempio, pro- porre riforme del sistema finanziario internazionale che la scienza economica dice impraticabili. Bibliografia M. ALBERT, Capitalismo contro capitalismo, Il Mulino, Bologna 1993. M. MARINI, Le risorse immateriali. I fattori culturali nello sviluppo economico, Carocci, Roma 2000. S. Z AMAGNI (a cura di), Economia solidale, Piemme, Casale Monferrato 1993. 214 MODULO 2 ASPETTI DI UN’ECONOMIA SOLIDALE LEZIONE 1 GLI ASPETTI ETICI DELL’IMPRENDITORIALITÀ OBIETTIVI DELLA LEZIONE: Al termine della lezione il lettore: - comprenderà il valore positivo dell’imprenditorialità e dell’impresa intesa come “comunità di persone”; - valuterà il ruolo etico dell’imprenditore. CONTENUTI: 1. Imprenditore e impresa secondo la DSC. 2. Il profitto e l’impresa come “comunità di persone”. 3. Aspetti etici dell’operato del manager. 4. Le responsabilità sociali dell’impresa. 5. In futuro il ruolo etico dell’imprenditore aumenterà o diminuirà? 1. Imprenditore e impresa secondo la Dsc L’imprenditorialità è una ricchezza di cui le moderne società non possono fare a meno. Questo per due motivi fondamentali: - innanzitutto perché il lavoro è sempre più un “lavorare con gli altri e per gli altri”. Oggi il lavoro è sociale per definizione, si lavora “insieme”, in una rete di collaborazioni e relazioni professionali ed umane molto vasta. Nessuno la- vora “da solo”, le competenze sono talmente diverse che bisogna integrarle. Il lavoro in team è una necessità. Si lavora con gli altri, ma anche per gli altri. Lo studio dei bisogni umani, la catena della produzione per cui ogni azienda produce perché l’altra a sua volta produca eccetera, dimostrano che il lavoro richiede una organizzazione. L’imprenditorialità è appunto questa capacità di organizzare il lavoro e di orientarlo efficacemente alla produzione. 215 - In secondo luogo perché ci si accorge sempre di più che “la principale risorsa è l’uomo”. A creare ricchezza non sono le risorse materiali, ma quelle immate- riali, come l’intelligenza, la creatività, il lavoro disciplinato, la capacità di in- tercettare i bisogni degli altri e di soddisfarli, la capacità di lavorare insieme elaborando fiducia reciproca, la disponibilità all’innovazione eccetera. Queste risorse immateriali devono essere coordinate, regolate, indirizzate. Da qui l’importanza dell’imprenditorialità. L’imprenditorialità è quindi una ricchezza per la società moderna. L’imprendi- tore è colui che legge le capacità produttive di un certo contesto, sa combinare as- sieme le risorse, sa motivare le persone e farle collaborare efficacemente per la realizzazione di un progetto, sa leggere i bisogni degli altri uomini, sa produrre i beni necessari per soddisfarli, sa mettere in relazione offerta e domanda. L’imprenditorialità, così intesa, è frutto della libertà umana e della creatività con cui l’uomo è prima di tutto imprenditore di se stesso e poi capace di una orga- nizzazione solidale e produttiva per la promozione dello sviluppo. Il lavoro crea comunità, in quanto esso fa in modo che gli uomini collaborino, si incontrino, soddisfino i bisogni reciproci, si conoscano e si valorizzino come persone. Anche l’imprenditore crea comunità, l’impresa, in quanto organizza il la- voro. L’imprenditore non coincide con l’impresa, egli ne è a servizio. Essendo a servizio dell’impresa egli è a servizio della comunità di persone che costituiscono l’impresa e di cui egli stesso fa parte. In questa sua attività l’imprenditore mette in atto una serie di virtù umane come la diligenza, la laboriosità, la prudenza nell’assumere i rischi ragionevoli, l’affidabilità e la fedeltà nei rapporti interpersonali, la fortezza nello stabilire degli obiettivi e nel rimanervi fedele. Esiste un luogo comune abbastanza diffuso secondo cui prima bisogna pro- durre la ricchezza e poi nasce il problema etico della sua distribuzione. In questo senso la responsabilità etica dell’imprenditore riguarderebbe solo la distribuzione della ricchezza prodotta. Invece l’etica riguarda tutte le dimensioni dell’attività im- prenditoriale: l’analisi dei bisogni, l’organizzazione del lavoro e la produzione, la retribuzione e il salario, la distribuzione dei beni prodotti, la direzione impressa agli investimenti, l’uso delle risorse finanziarie, le strategie di ristrutturazione spe- cialmente se comportano licenziamenti eccetera. 2. Il profitto e l’impresa come “comunità di persone” Il ruolo dell’imprenditore non viene sufficientemente chiarito se non si precisa in costa consista il profitto, che è uno degli scopi economici dell’attività imprendi- toriale, e in cosa consista l’impresa stessa, che l’imprenditore deve guidare. Scrive la Centesimus annus di Giovanni Paolo II: “La Chiesa riconosce la giusta funzione del profitto, come indicatore del buon andamento dell’azienda: 216 quando un’azienda produce profitto, ciò significa che i fattori produttivi sono stati adeguatamente impiegati e i corrispettivi bisogni umani debitamente soddi- sfatti. Tuttavia, il profitto non è l’unico indice delle condizioni dell’azienda. È possibile che i conti economici siano in ordine e insieme che gli uomini, che co- stituiscono il patrimonio più prezioso dell’azienda, siano umiliati ed offesi nella loro dignità. Oltre a essere moralmente inammissibile, ciò non può non avere in prospettiva riflessi negativi anche per l’efficienza economica dell’azienda. Scopo dell’impresa, infatti, non è semplicemente la produzione del profitto, bensì l’esi- stenza stessa dell’impresa come comunità di uomini che, in diverso modo, perse- guono il soddisfacimento dei loro fondamentali bisogni e costituiscono un parti- colar gruppo al servizio della società. Il profitto è un regolatore della vita dell’a- zienda, ma non è l’unico; a esso va aggiunta la considerazione di altri fattori umani e morali che, a lungo periodo, sono almeno ugualmente essenziali per la vita dell’impresa” (n. 731). L’imprenditore ha il dovere sia economico-professionale che etico di perse- guire il profitto. Ma, nello stesso tempo, ha anche il dovere economico ed etico in- sieme di non considerarlo l’unico né il principale scopo della vita dell’azienda. L’imprenditore deve mirare al profitto, altrimenti ne deriverebbe un danno per i lavoratori e le famiglie che fanno parte dell’impresa e per l’intera società, dato lo spreco di risorse che la sua crisi comporterebbe. Questa, come si vede, è sia una esigenza etica, sia una esigenza economica. Nello stesso tempo, però, l’imprenditore non deve mirare solo al profitto. Glielo chiede l’etica, ma anche l’economia. Se egli trascurasse i rapporti umani nell’impresa, se non fosse equo nel trattare i suoi collaboratori, se non valorizzasse i loro talenti, se li opprimesse o se li sfruttasse non solo non rispetterebbe i suoi doveri morali, ma nemmeno le regole dell’economia. Un’impresa in cui le persone non vengono rispettate nei loro diritti fondamentali non sarebbe in grado di com- petere in modo efficiente sul mercato. Come si vede, quindi, nella attività imprenditoriale, etica ed economia si in- contrano. Infatti sempre nella Centesimus annus, Giovanni Paolo II dice che: “L’integrale sviluppo della persona umana nel lavoro non contraddice, ma piut- tosto favorisce la maggiore produttività ed efficacia del lavoro stesso” (n. 43). 3. Aspetti etici dell’operato del manager L’imprenditore e il manager, in quanto tali e non per una aggiunta estrinseca, compiono una attività fortemente caratterizzata da valenze etiche e morali. Pos- siamo aiutarci nell’esporle tramite un prospetto che ne riassuma le principali. Vale la pena tuttavia di premettere che la chiave di volta è la retta concezione della per- sona umana e dei suoi bisogni fondamentali, come fine ultimo dell’attività econo- mica ed imprenditoriale. Il bene della persona umana deve orientare l’operato del- l’imprenditore nelle grandi decisioni strategiche (fusioni, dismissioni, chiusure…), 217 nell’organizzazione del lavoro, nell’allargare le possibilità di partecipazione dei la- voratori, nell’applicare i sistemi di retribuzione e di valutazione, nell’applicare la sussidiarietà stimolando la responsabilità personale e l’assunzione di deleghe. Possiamo ricapitolare i principali atteggiamenti etici dell’imprenditore nel se- guente riquadro: Razionalità Comportarsi intelligentemente e non per impulso. Dignità Non danneggiare mai volontariamente un bene fonda- mentale della persona. Equità Imparzialità nel giudizio. Solidarietà Non agire solo per il proprio interesse Efficienza Per raggiungere scopi buoni ci vogliono mezzi efficaci. Sussidiarietà Responsabilizzare e far crescere le persone. 4. Le responsabilità sociali dell’impresa Riconoscere che l’impresa è una comunità di persone e sostenere che il pro- fitto è solo uno degli indici del suo buon funzionamento significa riconoscere al- l’impresa un ruolo sociale di primo piano. Essa è infatti un luogo incrocio di pro- blematiche sociali diverse: si produce ricchezza che viene poi distribuita tramite il mercato, si pagano le tasse e si finanzia quindi la spesa pubblica, si crea socializza- zione e solidarietà perché nell’impresa operano molteplici organizzazioni sociali tra cui in primo luogo i sindacati, eccetera. Ma per “responsabilità sociali” dell’im- presa oggi si intende qualcosa di più. Si vuol dire che l’impresa dovrebbe anche guardarsi intorno, considerare la società in cui opera, interessarsi affinché anche la società in cui opera possa crescere. Spesso le imprese considerano la loro respon- sabilità sociale come un’occasione di marketing , di crearsi una immagine. Invece essa è ben altro, e come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, è spinta da motiva- zioni sia etiche che economiche. Ciò che funziona non è solo l’impresa, ma il “sistema produttivo”. Un’im- 218 presa non è un’isola. Se nella società circostante la scuola non funziona, il disagio sociale aumenta, la conflittualità, la criminalità e la violenza divampano e ciò inde- bolisce anche il comparto produttivo. Lavoratori onesti e preparati non nascono dal nulla. La prima scuola di lavoro è la famiglia e il contesto sociale in cui si viene educati. Ecco perché l’impresa ha “interesse” ad essere presente con iniziative di qualità nella società circostante. Essa ha interesse a contribuire alla elevazione cul- turale e sociale del mondo in cui è inserita. Nello stesso tempo, responsabilità sociale vuol dire che l’azienda si pone il problema etico degli investimenti: “poste certe condizioni di stabilità politica, la scelta di investire in un luogo piuttosto che in un altro, è sempre una scelta morale e culturale” (Centesimus annus n. 36). Investire in un luogo piuttosto che in un altro, in un settore produttivo piuttosto che in un altro ha una notevole dimensione morale e, fatte salve le condizioni di remunerazione del capitale investito, bisogna che l’imprenditore si ponga il problema se l’investimento può recare vantaggio ad un’area depressa, se può produrre dei beni di consumo largamente richiesti da set- tori deboli della società, se può ampliare l’occupazione in zone a rischio, se può stimolare la professionalità in aree sottosviluppate eccetera. Una caso particolare, e poco considerato, di responsabilità sociale, consiste nel trasferimento di professionalità imprenditoriale nel Terzo settore. Il concetto di im- prenditorialità è un concetto “analogo”, che si applica nell’impresa privata di mer- cato, ma che è estendibile anche ad altre forme di imprenditorialità, tanto è vero che ognuno dovrebbe essere “imprenditore di se stesso” come dice la Centesimus annus. C’è una specifica professionalità anche nelle imprese del Terzo settore che tuttavia stenta ad emergere, schiacciata com’è tra il mercato e lo Stato, ma che, se aiutata proprio dagli imprenditori, potrebbe portare frutti positivi per gli aspetti so- ciali dell’economia. 5. In futuro il ruolo etico dell’imprenditore aumenterà o diminuirà? Davanti alle grandi trasformazioni che interessano l’economia, il lavoro e l’impresa oggi, viene da chiedersi se esse riducano di fatto il ruolo etico dell’im- prenditore, gli impongano di mettere da parte i propri valori oppure se, al con- trario, ne valorizzino le virtù e le responsabilità morali. Le trasformazioni dell’azienda e il ruolo dell’imprenditore In primo luogo, le trasformazioni dell’azienda danno l’impressione che essa non possa essere intesa più come una “comunità di persone”. La sua struttura piatta anziché piramidale, l’indipendenza dallo spazio e la delocalizzazione, la pos- sibilità di operare a distanza sembra che “indeboliscano” i rapporti umani nell’a- zienda, che li rendano più frammentati. Sembra che l’organizzazione vena meno e quindi anche il ruolo dell’imprenditore diretto a costruire relazioni umane. 219 In realtà non sarà così. I legami tra le persone nell’azienda sono destinati ad aumentare. Il “capitale sociale” e le risorse immateriali dell’impresa si fanno sempre più importanti ed emergono in tutta la loro valenza strategica i problemi re- lazionali. La fiducia, per esempio, o la capacità di lavorare in team subiscono un potenziamento e una valorizzazione sconosciuta in passato. Ne consegue che la re- sponsabilità del manager nel considerare l’impresa come una “comunità di per- sone” non è certamente diminuita, anche se essa non lo può più essere in senso tra- dizionale. Le trasformazioni della produzione e il ruolo dell’imprenditore In secondo luogo, la crescente immaterialità dei prodotti e della produzione ri- schiano di porre in crisi il concetto stesso di “lavoro” e quindi la figura del ma- nager come colui che, prima di tutto, organizza il lavoro. Il lavoro inteso come produzione di beni materiali è in via di superamento ma ciò non significa una sua fine. Il lavoro sarà sempre centrale anche se diventerà sempre di più un produrre relazioni. Se quindi trasformiamo il nostro concetto di lavoro in senso relazionale, allora non solo potranno emergere nuovi lavori ma anche – per attenerci all’ambito che qui ci interessa – potremo valorizzare ulteriormente al meglio le funzioni del- l’imprenditore, che per definizione è un creatore di relazioni nel lavoro. La globalizzazione e il ruolo dell’imprenditore In terzo luogo la dinamica globale dell’economia e dei mercati e la vocazione globale dell’impresa sembrerebbero deresponsabilizzare l’imprenditore dagli ob- blighi sociali dell’impresa stessa. Potrebbero disancorare l’impresa da un territorio e considerarla solo proprietà degli azionisti. Ma anche questo non accadrà. Anzi, mentre aumentano le dimensioni globali dell’orizzonte dell’azienda, anche il suo impegno si fa globale, non solo nel senso di “esteso” oltre i confini locali, ma globale nel senso di interessato non solo agli spetti economici della propria attività ma anche alle ripercussioni sociali: aspetto sociale ed etico degli investimenti, animazione del territorio, creazione di Fonda- zioni a scopo sociale, trasferimento di competenze manageriali al Terzo settore, re- sponsabilità sociali nei paesi del Terzo mondo in cui si trasferiscono lavorazioni o con cui si intrattengono rapporti produttivi, partecipazione alla creazione di cul- tura, rapporti con scuola e università. Tutto questo, per le aziende è oggi una ne- cessità. Come si vede da questi pochi accenni, in futuro l’attività imprenditoriale dovrà misurarsi ancora più che nel passato con problematiche etiche. 220 EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE Il concetto di imprenditore è “analogico”, ossia si declina in modo diverso nelle diverse realtà imprenditoriali, pur rimanendo sempre lo stesso concetto. Prova ad individuare le caratteristiche di un imprenditore che operi: 1) in una im- presa privata; 2) in una impresa non-profit; 3) in un ufficio statale. Manager di una impresa privata Presidente di una cooperativa sociale Dirigente di un Ente pubblico Atteggiamenti e caratteristiche dell’imprenditore Bibliografia A. CALOIA, L’imprenditore sociale, Piemme, Casale Monferrato 1995. A. COLOMBO, L’imprenditore secondo Giovanni Paolo II, in “La Società” VI (1996) 2, pp. 291-306. H. FITTE, Il primato della persona nella gestione dell’impresa, in “La Società” VI (1996) 1, pp. 65-80. M. MAGATTI - M. MONACI, L’impresa responsabile, Bollati Boringhieri, Torino 1999. M. NOVAK , L’impresa come vocazione, Rubbettino, Soneria Mannelli 2000. Dirigente di un ente pubblico 221 MODULO 2 ASPETTI DI UN’ECONOMIA SOLIDALE LEZIONE 2 I BENI PUBBLICI E LA SOCIETÀ CIVILE. IL RUOLO ECONOMICO DEL SETTORE NON PROFIT OBIETTIVO DELLA LEZIONE: Al termine della lezione il lettore comprenderà come la società civile si organizza economica- mente mediante il Terzo settore, nel quale socialità ed economia sono connesse. CONTENUTI: 1. Cos’è un bene “pubblico”? 2. Chi deve fornire i beni pubblici? 3. Cosa si intende per Terzo settore. 4. Il Terzo settore produce beni relazionali. 5. Il rapporto tra efficienza e solidarietà. 1. Cos’è un bene “pubblico”? Un qualsiasi bene si dice “pubblico” quando la comunità intera se ne fa carico ritenendolo un bene fondamentale per la persona umana, al punto che senza la pos- sibilità di usufruirne la persona non sarebbe più tale, ossia perderebbe qualcosa che le è dovuto. Il concetto di bene pubblico, quindi, si fonda sull’idea che “c’è qual- cosa di dovuto all’uomo in quanto uomo” a tal punto che la comunità si incarica di intervenire per darlo tendenzialmente a tutti, anche a quanti non si possono per- mettere di acquistarlo. Sono beni pubblici la libertà, la giustizia, l’ordine e la sicurezza dei cittadini, la solidarietà sociale e la fiducia reciproca, la pace. Questi sono dei “beni” anche nel senso strettamente economico. Infatti una nazione ove non ci sia libertà, ove la giustizia sia soffocata dalla corruzione, ove il disordine impedisca ai cittadini di la- vorare oppure ove non ci sia fiducia reciproca ma sia vigente uno stato di anomia, 222 ebbene una tale nazione sarebbe senz’altro molto più debole anche sul piano della concorrenza economica con le altre nazioni in quanto le disfunzioni suddette hanno un notevole costo. Ma quando si parla di “beni pubblici” ci si riferisce prevalentemente a istru- zione, sanità, ambiente salubre, alimentazione sufficiente e sana, lavoro, assistenza in caso di bisogno (minori, anziani, handicappati). La coscienza morale ha ormai visto con chiarezza che in mancanza di tali beni la persona incontra serie difficoltà a vivere e a sviluppare se stessa. Essi sono dei beni essenziali per poter essere uo- mini. Ecco perché la soddisfazione di questi bisogni non è demandata solo al sin- golo, ma la comunità intera se ne fa in qualche modo carico, ritenendosi “scon- fitta” se al proprio interno ha dei soggetti talmente “poveri” da essere esclusi dal godimento di quei beni fondamentali. Fare la settimana bianca, comperare una barca da sei metri, passare le vacanze alle Mauritius non sono certo beni che la comunità intera sente come pubblici. Avere di che mangiare, respirare acqua pulita, avere un lavoro e una casa invece sì. 2. Chi deve fornire i beni pubblici? Una delle prime forme di solidarietà consiste proprio nel garantire a tutti il go- dimento di quei beni pubblici, anche a chi non può permettersi di acquistarli. Nel momento in cui una comunità capisce questo, nasce però il problema successivo: chi deve fornire quei beni. Infatti la logica del godimento da parte di tutti dei beni pubblici non può essere separata dal principio di responsabilità personale e di sus- sidiarietà. In pratica i beni pubblici non vanno semplicemente “distribuiti” a tutti in eguale misura. Essi devono essere garantiti ma attraverso forme e modalità rispet- tose di diversi soggetti in campo. Per esempio il lavoro è senz’altro uno di questi beni, ma ciò non significa che a tutti lo Stato garantisca un lavoro come avveniva nelle economie collettiviste. I beni pubblici possono venire forniti da quattro soggetti economici che qui di seguito elenchiamo in un prospetto: Il mercato Lo Stato Il Terzo settore Il Quarto settore Anche il mercato fornisce beni pubblici, contrariamente a quanto spesso si pensa. Li fornisce però secondo il criterio della giustizia retributiva, ossia dello 223 scambio degli equivalenti. Una scuola privata che fornisce il bene pubblico dell’i- struzione, una ditta privata che pulisce l’ambiente, una clinica privata che fornisce il bene della salute sono casi di attori economici privati che forniscono beni pub- blici a pagamento. Un caso particolare è quello del lavoro. Esso è un bene pub- blico fornito da soggetti privati che operano secondo le regole del mercato. Allo Stato è stata finora affidata la principale responsabilità nel fornire diretta- mente i beni pubblici mediante la sua organizzazione di Welfare. È però sbagliato far coincidere pubblico con statale, in quanto lo Stato è solo uno dei soggetti abilitati a fornire i beni pubblici. Esso deve fornire i beni pubblici che non riescono a fornire gli altri soggetti che stiamo esaminando, secondo il principio di sussidiarietà. Il Terzo settore lo vedremo tra breve più nel dettaglio. Il Quarto settore è il settore dei rapporti informali, dell’amicizia, del vicinato. Esso fornisce anche i beni pubblici, ma senza regole, senza strutture, senza corri- spettivi in denaro. Quando un vicino ci assiste se stiamo male, chiama per noi il medico o l’ambulanza, ci viene trovare in ospedale ci sta fornendo dei beni pub- blici nel campo dell’assistenza sanitaria, ma in modo assolutamente informale. Quando un amico insegnante dà delle ripetizioni a mio figlio e lo assiste nei com- piti in materie nelle quali è in difficoltà produce un bene pubblico, ma senza remu- nerazione e solo per amicizia. 3. Cosa si intende per Terzo settore Il Terzo settore è detto anche Settore non-profit o Privato-sociale. Esso è l’in- sieme di tutte le iniziative economiche sorte per fornire beni pubblici secondo mo- dalità organizzative solidali e senza scopo di lucro. Ad esso appartengono i sog- getti economici che riportiamo nello schema seguente: Le Fondazioni La cooperazione sociale L’associazionismo sociale Il Volontariato Questi quattro soggetti hanno in comune la cultura della solidarietà, della gra- tuità e della reciprocità. Si differenziano invece per la diversa organizzazione e per le attività di cui si occupano. Quanto alla struttura , il volontariato ha una struttura organizzativa molto esile e quasi inesistente. Ha obblighi giuridici e amministrativi molto esigui o addirit- tura assenti. Non è un’impresa e quindi non deve “stare sul mercato”. La coopera- v 224 zione sociale, invece, ha la struttura organizzativa di una vera e propria impresa (“impresa sociale”, come appunto si dice), con obblighi giuridici ed amministrativi molto complessi, pari ad una qualsiasi impresa privata e deve navigare in un mer- cato molto frequentato. Quanto alle attività , l’associazionismo sociale conduce soprattutto attività di autoaiuto (self-help) e di advocacy, ossia di tutela di diritti di particolari categorie di cittadini, specialmente in situazione di debolezza; l’impresa sociale invece con- duce attività soprattutto nel campo dei servizi alla persona e della formazione ove siano richieste progettualità, investimenti di risorse e professionalità più consi- stenti. La fondazione si impegna in vasti campi ove occorrano ingenti investimenti 4. Il Terzo settore produce beni relazionali Le attività imprenditoriali del Terzo settore sono le più varie. Ci sono coopera- tive sociali che forniscono assistenza agli anziani; altre cooperative di inserimento lavorativo che producono mobili o prodotti agricoli; altre ancora che forniscono servizi di ristorazione o di contabilità. Lo stesso dicasi per il volontariato le cui as- sociazioni sono attive ora nel campo dell’assistenza sanitaria ora dei progetti di sviluppo dei paesi poveri, tra i carcerati o tra gli anziani e così via. Come si vede dalla grande varietà di beni prodotti dalle organizzazioni di vo- lontariato, esse non si qualificano per il bene prodotto che è, potremmo dire, stru- mentale ad altro e non costituisce lo scopo primario dell’organizzazione. Il Terzo settore, invece, si contraddistingue per il fatto che esso produce beni relazionali, ossia beni la cui fruizione avviene “insieme” secondo un rapporto di reciprocità. Il Terzo settore, in altri termini, produce socialità, solidarietà, partecipazione, condi- visione, cittadinanza, spirito di servizio, collaborazione. Il Terzo settore è anche produttore di beni economici strettamente intesi. Inoltre esso fornisce beni pubblici. Ma soprattutto, ci si passi il bisticcio, fornisce un modo per fornire i beni: fornirli “insieme”. Poniamo una cooperativa di genitori e di insegnanti che forniscano istruzione. Essi forniscono un bene pubblico ma, so- prattutto, lo forniscono in un modo particolare: insieme, mediante la collabora- zione strutturale delle varie componenti che siederanno a pari titolo negli organi statutari e che “gestiranno” insieme l’impresa. In particolare nel Terzo settore il bene non solo viene prodotto insieme tra produttori ed utenti, ma viene anche usu- fruito insieme. Ciò si chiama reciprocità. Cosa vuol dire? Nelle attività del terzo settore una parte della remunerazione del lavoro è eco- nomia ma un’altra parte è ideale. Nel volontariato ciò è particolarmente evidente, ma anche nell’operato di un socio di cooperativa sociale il “compenso” è materiale ed affettivo insieme. Chi si impegna nel Terzo settore anche gratuitamente, si aspetta in realtà qualcosa, ed è giusto che sia così. Si aspetta un ritorno affettivo, di soddisfazione umana, di autostima. Questa è la reciprocità: si dà ma anche si ri- ceve, in senso non solo materiale. 225 5. Il rapporto tra efficienza e solidarietà L’enciclica Centesimus annus dice che al capitalismo non si contrappone il so- cialimo ma una “società del lavoro libero, dell’impresa e della partecipazione. Essa non si oppone al mercato, ma chiede che sia opportunamente controllato dalle forze sociali e dallo Stato, in modo da garantire la soddisfazione delle esigenze fondamentali di tutta la società” (n. 35). Come si vede i soggetti economici fonda- mentali devono essere tre: - le imprese; - la società civile; - lo Stato. La società civile si organizza economicamente mediante il Terzo settore, nel quale socialità ed economia sono strettamente connesse perché solidarietà ed effi- cienza si incontrano. Ciò affida al Terzo settore una funzione economica di fonda- mentale importanza che consiste nel: - produrre beni, - creare posti di lavoro, - fornire beni pubblici, - creare beni relazionali. Ma le affida un’importanza ancora maggiore che consiste nel moderare il mer- cato, controllandolo e smussando i suoi molteplici aspetti di ingiustizia. Ciò av- viene perché nelle imprese del Terzo settore le esigenze imprenditoriali e quelle so- lidali sono intimamente connesse. Queste organizzazioni, infatti, non hanno finalità di lucro. Ciò non significa che non debbano fare profitti. Vuol dire solo che i pro- fitti non possono essere distribuiti ai soci e che la finalità sociale è principale ri- spetto alla logica economica. In altre parole esse fanno profitto facendo solidarietà. Viceversa non si distinguerebbero dalle imprese private. In questo modo immettono nell’insieme del mercato una logica diversa, una attenzione alle debolezze sociali e alle persona in difficoltà, un modo di collaborare insieme per scopi mutualistici che possono “umanizzare il mercato” e le istituzioni pubbliche nello stesso tempo. Bibliografia AA.VV., L’economia del Welfare tra Stato e società, Edizioni Concordia Sette, Pordenone 2002. L. BOBBA - A. NANNI (a cura di), Viaggio nel terzo settore, Sonda, Torino 1997. P. DONATI., Sociologia del Terzo settore, Carocci, Roma 1998. P. DONATI - I. COLIZZI , La cultura civile in Italia fra Stato, mercato e privato sociale, Il Mulino, Bo- logna 2002. M. TOSO - M. MANTOVANI, Terzo settore e giovani. Essere protagonisti in una società in trasforma- zione, LAS, Roma 1998. S. Z AMAGNI, Non profit come economia civile, Il Mulino, Bologna 1998. S. Z AMAGNI, Economia civile come forza di civilizzazione per la società italiana, in: La società civile in Italia, a cura di DONATI P., Mondatori, Milano 1997, pp. 159-192. 226 MODULO 3 SPUNTI PER UNA FINANZA DAL VOLTO UMANO LEZIONE 1 LA FINANZIARIZZAZIONE DELL’ECONOMIA E I SUOI RISVOLTI ETICI OBIETTIVI DELLA LEZIONE: Al termine della lezione il lettore potrà: - conoscere il nuovo quadro in cui oggi si colloca la finanza; - valutare criticamente le diverse possibilità di un suo orientamento etico a servizio del bene delle persone e dei popoli. CONTENUTI: 1. La finanziarizzazione dell’economia. 2. Conseguenze della finanziarizzazione dell’economia. 3. La finanza “etica”. 4. Tipologie di finanza etica. 5. Proposte di soluzione globale e orientamenti etici. 1. La finanziarizzazione dell’economia Per “finanziarizzazione” dell’economia si intende lo strapotere che la finanza ha recentemente acquisito nei confronti dell’economia e l’inversione del rapporto reciproco: se originariamente la finanza era a servizio dell’economia oggi sembra l’economia a servizio della finanza. Per finanza si intende qualsiasi transazione fondata su un flusso finanziario piuttosto che su uno scambio di beni e servizi. La finanza consiste nella compra- vendita di valuta o di azioni o di altri prodotti finanziari. Le banche raccolgono i risparmi e li trasformano in crediti per le imprese oppure in investimenti in Borsa, ove le imprese si possono capitalizzare. Come si vede, l’attività finanziaria è l’os- sigeno dell’economia reale, ossia della produzione di beni e servizi. La finanza ha 227 in mano il combustibile che fa funzionare la vaporiera. Infatti dai criteri con cui si dirige il risparmio verso l’investimento dipende la crescita o la chiusura di im- prese, l’occupazione o la disoccupazione, lo sviluppo o il sottosviluppo. L’importanza della finanza è aumentata dall’inizio degli anni Settanta, dopo che le monete sono diventate fluttuanti. Da allora è diventato possibile spostare i capitali per approfittare dei vantaggi offerti dalla flessibilità dei cambi. Sono stati creati anche nuovi strumenti finanziari come i Fondi comuni di investimento, che permettono di frazionare il rischio acquistando azioni di più imprese, ritrasformare gli investimenti multipli a breve termini in investimenti a lungo termine, di garan- tirsi contro il fluttuare delle monete. È stata però la globalizzazione ad aprire nuovi spazi alla finanza. Grazie all’e- lettronica e alla forabilità dei confini, i capitali si spostano in tempo reale e senza alcuna regola. I dati dimostrano che il flusso dei capitali è in continuo aumento. Ogni giorno vengono scambiati più di 1500 miliardi di dollari. Inoltre aumentano le masse di denaro che si spostano non per trovare il migliore investimento, ma solo per guadagnare su differenze di rendimento. I capitali vengono spostati con grande frequenza e vengono investiti a brevissimo termine. Questa spasmodicità dei mercati fa sì che i titoli siano soggetti a forti oscillazioni e che nessuno sia in grado di controllare i flussi, nemmeno le autorità monetarie. I crediti si appoggiano uno sull’altro, si vendono non solo i titoli, ma le op- zioni di acquisto dei titoli e quindi il valore degli strumenti in circolazione si ac- cresce per fini speculativi, senza più alcun nesso con l’economia reale. Succedono così le bolle finanziarie e le cadute spettacolari. 2. Conseguenze della finanziarizzazione dell’economia La finanziarizzazione dell’economia porta con sé grandi cambiamenti nel modo di concepire l’attività economica, l’investimento, il lavoro, ossia molti dei temi cari alla Dottrina sociale della Chiesa. - Cambia il rapporto tra finanza ed economia L’economia reale è oggi superata da quella finanziaria. Nel 1995 le transazioni su divise è stato 67 volte superiore degli scambi in beni e servizi. Su 68 franchi francesi che si muovono sul mercato finanziario, ben 67 circolano per fini specula- tivi. I 9 decimi dei capitali si muovono con scopi speculativi; 1 decimo è finaliz- zato agli investimenti produttivi. Che la finanza domini l’economia reale lo si ca- pisce anche da quanto accade spesso: se una compagnia decide di licenziare mi- gliaia di lavoratori le sue azioni in Borsa crescono; per ragioni finanziarie si pro- cede all’acquisto di una società solo per smantellarla; si apre un nuovo settore di attività che per ragioni finanziarie viene subito abbandonato. Se un’impresa sosti- tuisce la logica imprenditoriale con quella finanziaria, privilegia il rendimento a breve termine piuttosto che la produttività e la competitività a lungo termine. 228 - Cambia il rapporto tra capitale e lavoro Nella vecchia società industriale c’era un chiaro nesso tra lavoro e produzione di capitale, il che rendeva chiaro come il lavoro avesse la priorità sul capitale: non esisteva infatti un capitale che non nascesse dal lavoro. Con la finanziarizzazione dell’economia tale nesso rischia di rompersi. La speculazione finanziaria permette di arricchirsi senza lavorare, spostando capitale come in un gioco d’azzardo. - Si incrina il concetto di investimento produttivo La proprietà è personale ma il suo uso deve essere sociale, secondo la Dottrina sociale della Chiesa. Il capitale deve essere impiegato per creare lavoro, produrre sviluppo, favorire il bene comune. Oggi invece gli investimenti finanziari seguono il criterio speculativo. In altri termini la finanza crea ricchezza unicamente pas- sando di mano i pacchetti finanziari, ma non amplia la massa di risparmio a dispo- sizione degli investimenti. - Si accresce la concorrenza tra i Paesi I capitali cercano la “piazza” più redditizia, ma poi si spostano subito e quindi non possono essere utilizzati da quel Paese per investimenti. Questo fenomeno si chiama “volatilità dei capitali”. Bisogna allora trovare il modo per attrarre capitali, ma soprattutto per tenerli fermi. Uno dei modi più frequenti è quello di detassare le trans- azioni finanziarie e i movimenti di capitale. In questo modo però arrivano sì i capitali, ma il fisco non incassa. Quando ciò capita nei Paesi in via di sviluppo ne risentono l’assistenza sanitaria, l’istruzione e in generale il sistema di Welfare di quel paese. 3. La “finanza etica” L’espressione “finanza etica” si distingue da “etica della finanza”, nel senso che vorrebbe segnalare come l’etica non si aggiunga successivamente alla finanza ma entri a determinare la natura stessa della finanza fin dall’inizio. Indica quindi un percorso positivo. Il rischio è che si concepisca come qualcosa “a parte” ri- spetto all’altra finanza, quella diciamo così tradizionale, che verrebbe rappresen- tata come il male in quanto strutturalmente non etica. La finanza etica ha valore se non si considera un capitolo a parte, buono e puro, ma se diventa il volano per una riforma di tutta la finanza. La finanza etica è costituita da strumenti finanziari che: a – garantiscono la trasparenza degli investimenti; b – garantiscono che i tuoi investimenti non andranno a finanziare imprese che producono beni “non etici”; c – si propongono di finanziare iniziative di solidarietà che non potrebbero ri- volgersi al circuito finanziario normale per mancanza di garanzie; d – si propongono di finanziare soprattutto il non-profit. 229 Naturalmente il concetto di bene “non etico” varia a seconda dei riferimenti morali dell’investitore. Ecco perché anche le offerte di investimento etico variano e si diversificano per intercettare le diverse sensibilità etiche del risparmiatore-in- vestitore. Tra le prime e principali esperienze di finanza etica che hanno aperto un per- corso nuovo segnaliamo a titolo di esempio le seguenti. La South Shore Bank di Chicago Nata nel 1973 mette in atto micro-finanziamenti nei confronti dei più poveri di Chicago. In 25 anni ha stanziato 650 milioni di dollari per migliorare la vita in arre metropolitane depresse. Per dieci anni forma lo staff dirigente della Grameen Bank che opera nei villaggi del Bangla Desh con gli stessi criteri. La Banca finanzia piccole attività commerciali, ma concede il prestito se c’è una asso- ciazione non-profit locale che costituisca il retroterra comunitario per sostenere l’attività finanziata. Grameen Bank È la banca fondata nel Bangla Desh da Muhammad Yanus. Nata nel 1976 è oggi la quinta banca del Bangladesh e la più grande banca alternativa esistente. Raccoglie circa 1 miliardo di Euro che ven- gono utilizzati per micro-crediti a favore di 2 milioni di persone nullatenenti, quasi tutte donne, dis- locati in 36 mila villaggi. La Yord Arbete Capital di Stoccolma Nata nel 1997 è una banca che non paga né pretende interessi. È una cooperativa i cui soci si im- pegnano a lasciare fondi in deposito infruttifero. Quando hanno bisogno di un prestito ottengono una certa cifra che poi devono restituire, detratti i versamenti già fatti, secondo modalità e tempi al- meno pari a quelli che hanno regolato i versamenti fatti, che il socio si impegna a continuare. Le Credit Unions del Bangla Desh Sono piccole istituzioni finanziarie promosse dai missionari nel Bangla Desh che favoriscono il risparmio e lo mettono a disposizione di chi ne ha bisogno con l’obbligo della restituzione. Nella tradizione tribale non si risparmia e se si dà qualcosa non lo si restituisce, quindi le Credit Unions provocano anche un forte cambiamento di mentalità. La Banca Etica di Padova È la prima “banca etica” creatasi in Italia. Nasce dalla “Cooperativa verso la Banca etica” promossa nel 1996 da 22 organismi del Terzo settore. Obiettivo: creare una Banca popolare con un capitale di 13 miliardi di lire. Nel 1998 viene raggiunto il capitale e nel 1999 viene aperto il primo sportello. La Oekobank tedesca. Nasce in Germania sull’onda del movimento “verde”. Sostiene progetti compatibili con l’ambiente. La Triodos Bank Nasce in Olanda nel 1980 ed opera in diversi settori: economia sociale, ambiente, non profit, coop- erazione internazionale. 230 4. Tipologie di finanza etica Banca etica In una sua accezione larga, l’espressione Banca etica si riferisce a tutte le ini- ziative di credito con finalità etiche. Nell’accezione specifica della Banca popolare etica nata in Italia nel 1999 vuol significare una istituzione che finanzia, in modo trasparente, soprattutto le iniziative non-profit del Terzo settore, il volontariato, la cooperazione sociale sulla base di progetti che normalmente non garantirebbero il finanziamento da parte di istituti di credito ordinari data la mancanza di garanzie o per la bassa redditività. I finanziamenti vengono concessi a tassi inferiori a quelli del circuito ufficiale. Conto etico È una analoga iniziativa “interna” ad un Istituto di Credito ordinario che, tra il pacchetto di prodotti da offrire ai clienti, offre anche dei conti etici, garantendo che i depositi andranno a beneficio di iniziative di imprenditoria sociale e solidaristica. Una caratteristica del conto etico può anche essere di stornare una percentuale ad organizzazioni umanitarie come Croce Rossa o Green Peace. Fondi etici I Fondi etici raccolgono il risparmio e lo investono in azioni o obbligazioni di imprese che operano in settori economici etici. Il primo fondo etico nasce negli Stati Uniti ed è il “Pioneer Fund”, con il compito di gestire investimenti di varie istituzioni religiose ed escludeva titoli di imprese presenti nel settore del tabacco, dell’alcool, del gioco d’azzardo. Altri fondi seguirono a breve: il Foursquare (1961), il Pax World Fund (1971), il Dreyfus Century Fund (1972). Il primo fondo etico inglese nasce nel 1984 con il Friends Provident’s Stewartship Trust. Un esempio attuale di fondo etico può essere il fondo Global Environmental & Ethical della “Pioneer Investments”, che non investe in aziende militari, di armi, del tabacco, dell’alcool, del gioco d’azzardo, petroliere, chimiche, nucleari. Indici etici Il Dow Jones Sustainibility Index è l’indice mondiale per misurare la socialità delle imprese fissato quotidianamente dalla americana Dow Jones e dalla svizzera Sam. L’indice quota circa 312 aziende di 62 settori e 25 paesi indicate come etica- mente responsabili. L’Italia è presente al 21mo posto con una sola azienda a fronte degli Stati Uniti con 76, il Regno Unito con 54, il Giappone con 31, la Germania con 28, il Canada con 17 e così via. In Europa c’è l’analogo indice Stoxx ed è stato costituito il Ftse4 Good , lanciato dal Financial Times e London Stock Exchange. Non vi entrano aziende che utilizzano materie prime geneticamente modifi- cate, che abusano di posizione dominante, che violano le leggi sulla concorrenza, che investono in armi, nel tabacco o nel nucleare. 231 L’esistenza di tali indici dimostra come gli investimenti etici siano ormai una realtà molto consistente e rappresentino un “business” considerevole. I fondi etici infatti hanno dato un rendimento di molto superiore a quelli ordinari. Microcredito Si tratta di Istituti di credito che prestano piccole somme ai poveri, soprattutto alle donne in quanto danno maggiore garanzia che il prestito vada a beneficio di tutta la famiglia e sono maggiormente responsabili. Si chiede loro di produrre un piccolo progetto su come impiegare produttivamente il denaro. Si stabilisce un si- stema di controllo e di garanzia reciproca tra piccoli gruppi di clienti per coinvol- gerli nella responsabilità. Non si presta mai alla singola persona, ma ad un gruppo di cui ognuno si fa garante e quindi si instaurano processi di reciproco controllo. Oltre alle iniziative da noi presentate nel riquadro precedente, sono da segnalare: la Sewa Bank di Tarabehn in India, il Solidarité Eparme et Crédit della parrocchia di Bedjondo in Ciad, le esperienze tra i baraccati di Kariobangi e di Kugeria-Koro- gocho (Nairobi) ad opera della AAK, Action Aid Kenia . 5. Proposte di soluzione globale e orientamenti etici Tra le proposte emerse in questi ultimi anni per la soluzione delle principali disfunzioni prodotte dalla finanziarizzazione segnaliamo l’idea di creare un Wold Tax Organization e la Tobin Tax . • La World Tax Organization Molti economisti propongono da tempo di creare una Organizzazione Mon- diale Fiscale capace di mettere attorno ad un tavolo gli Stati nazionali, come già avviene per il commercio con la World Trade Organization (WTO), per omoge- neizzare la tassazione dei capitali e quindi per regolare il loro flusso che oggi av- viene in modo selvaggio. • La Tobin Tax Si tratta della proposta fatta dal Premio Nobel per l’economia James Tobin che consiste nel tassare in modo esiguo le transazioni valutarie. Poiché sono soprat- tutto gli speculatori ad attuare in una giornata un gran numero di “passaggi”, la tassa avrebbe un effetto dissuasivo sulla speculazione. Inoltre potrebbe finanziare un fondo per lo sviluppo dei paesi poveri e la cooperazione internazionale. Ambedue le proposte sono di difficile – e qualcuno dice di impossibile – at- tuazione. La prima si scontra con la volontà degli Stati di mantenere la propria so- vranità fiscale; la seconda si scontra con la necessità di attuarla contemporanea- mente e concordemente in tutto il mondo. Se, infatti, fosse applicata solo in alcuni Stati, immediatamente i capitali verrebbero dirottati sugli altri. 232 La Dottrina sociale della Chiesa non offre soluzioni tecniche al problema, ma propone gli orientamenti di alcuni suoi principi. • Il principio di solidarietà invita a procedere nel campo della trasparenza degli investimenti, nella riduzione della possibilità di una eccessiva concentrazione di ricchezza finanziaria, nell’ampliamento delle garanzie per i piccoli rispar- miatori, del finanziamento di imprese sociali ed eticamente compatibili e so- prattutto di finanziare lo sviluppo dei poveri. • Il principio di sussidiarietà invita a trovare il modo perché la finanza sia un aiuto (sussidio) all’economia reale, alla lotta alla disoccupazione, al soddisfa- cimento dei bisogni umani fondamentali piuttosto che speculazione fine a se stessa. • Il principio della responsabilità etica personale invita a stabilire gli strumenti perché dietro le scelte finanziarie si possa intravedere non l’anonimato ma la responsabilità di persone, mentre oggi è possibile controllare imprese con par- tecipazioni finanziarie minime, l’investitore sa poco o nulla di dove vadano a finire i propri soldi, viene consigliato da anonimi tecnici che danno consu- lenza finanziaria solo quantitativa. • Il principio della destinazione universale dei beni dovrebbe orientare anche la finanza affinché gli investimenti si indirizzino verso la produzione di beni e servizi alle persone piuttosto che verso consumi superflui o la tecnologia mili- tare. Bibliografia CEI - Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro, Etica e Finanza, a cura del Gruppo di studio “Etica e finanza”, supplemento al n. 19 (agosto 2000), anno IV, di Quaderni della Segreteria Cei. DIOCESI DI PADOVA - PASTORALE SOCIALE E DEL LAVORO, Realizzare l’impossibile. Dare un’anima alla finanza, Padova, s.i.p. R. BELLOFIORE - E. BRANCACCIO, Il granello di sabbia. I pro e i contro della Tobin tax, Feltrinelli, Milano 2003. A.C. MICHALOS, Un’imposta giusta. La Tobin Tax , Edizioni Gruppo Abele, Torino 1999. M. TOSO, Etica e finanza, in ID., Verso quale società? La dottrina sociale della Chiesa per una nuova progettualità, LAS, Roma 2000, pp. 329-356. 233 MODULO 3 SPUNTI PER UNA FINANZA DAL VOLTO UMANO LEZIONE 2 IL DEBITO DEI PAESI POVERI OBIETTIVI DELLA LEZIONE: Al termine della lezione il lettore potrà: - conoscere l’aspetto finanziario della povertà dei paesi in via di sviluppo; - considerare, alla luce della Dsc, le possibili soluzioni, eticamente compatibili, di condono del debito. CONTENUTI: 1. La Chiesa e il debito dei Paesi poveri. 2. Entità e caratteristiche del debito. 3. Cause e conseguenze del debito. 4. Il ruolo delle istituzioni finanziarie internazionali. 5. Criteri per il condono del debito. 1. La Chiesa e il debito dei Paesi poveri Uno degli aspetti della finanza internazionale su cui maggiormente la Chiesa si è mobiliata, sia con interventi specifici del magistero sia con iniziative concrete è senz’altro quello del debito dei paesi poveri. Già nel paragrafo 19 della Sollici- tudo rei socialis (1987) Giovanni Paolo II aveva osservato che se inizialmente la richiesta dei prestiti e la loro concessione erano giustificati come un “contributo allo sviluppo” nelle situazioni attuali si rivelano un “freno” allo stesso, o addirit- tura una causa di sottosviluppo. Nel paragrafo 35 della Centesimus annus (1991) il papa ritorna sull’argo- mento, soffermandosi sul problema morale se i debiti vanno sempre ripagati. La ri- sposta è che “non è lecito pretendere un pagamento, quando questo verrebbe ad imporre di fatto scelte politiche tali da spingere alla fame e alla disperazione intere 234 popolazioni. Non si può pretendere che i debiti siano pagati con insopportabili sa- crifici. In questi casi è necessario trovare modalità di alleggerimento, di dilazione o anche di estinzione del debito, compatibili con il fondamentale diritto dei popoli alla sussistenza e al progresso”. In vista del Grande Giubileo del 2000 e facendo memoria di quanto prescritto dal Levitico e dal Deuteronomio, che prevedeva nell’anno sabbatico della libera- zione degli schiavi il condono di tutti i debiti, Giovanni Paolo II chiese nella Let- tera apostolica Tertio millennio adveniente un intervento straordinario della comu- nità internazionale per il condono del debito dei Paesi più poveri. Anche nei Mes- saggi per la giornata della pace del 1986, del 1993 e del 1998 era contenuta la stessa richiesta. Prima ancora si era pronunciata la Commissione Pontificia Justitia et Pax , de- dicando al’argomento un documento nell’ormai lontano 1986. Quel documento era nato dopo che i vescovi latinoamericani avevano insistentemente fatto presente al papa la questione del debito. Numerosissimi gli interventi magisteriali delle Confe- renze episcopali: Australia, Inghilterra e Galles, Canada, Zambia, Austria. Nel 1992 i vescovi dell’America Latina convocati in Assemblea a Santo Domingo inviarono una lettera ai vescovi europei e americani dal titolo: “Condonateci i nostri debiti”. Questo forte interesse della Chiesa per il condono del debito è motivato dal fatto che in esso si riverberano tutti i principali principi della Dottrina sociale della Chiesa: la dignità della persona umana, la solidarietà, la destinazione universale dei beni, il diritto allo sviluppo, la giustizia nelle transazioni internazionali, la scelta preferenziale per i poveri, la sostenibilità dello sviluppo, la giustizia. Esso è un banco di prova particolarmente significativo della capacità dell’umanità di af- frontare i moderni problemi sociali. Le riflessioni della Chiesa si sono soffermate, naturalmente, sugli aspetti etici del problema. Risulta così che se c’è una responsabilità differenziata di diversi soggetti, è certo che non c’è responsabilità da parte delle popolazioni dei Paesi po- veri, che invece ne fanno direttamente le spese. Al momento della contrattazione del debito esse non sono state consultate perché in moltissimi casi i regimi dei loro Paesi non erano democratici. Al momento della concessione del debito non ne hanno tratto alcun vantaggio perché i soldi molto spesso non sono stati impiegati per lo sviluppo ma hanno preso altre strade. 2. Entità e caratteristiche del debito Si calcola che in totale il debito dei paesi poveri verso i paesi ricchi e verso le istituzioni finanziarie internazionali come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionali superi i 2 mila miliardi di dollari. Le situazioni dei Paesi debitori sono molto diversificate: ci sono Paesi che hanno un’economia solida e in crescita, altri sono alle prese con una crisi economica senza precedenti. I Paesi maggiormente indebitati sono Sao Tomé, Mozambico, Somalia, Nica- 235 ragua, Guinea Bissau, Angola, Congo, Guyana, Sudan, Mauritania, Costa D’A- vorio, Zambia. Naturalmente l’entità del loro debito viene calcolata non in termini assoluti, perché in questo caso non sarebbero questi Paesi ad occupare gli ultimi posti, ma in termini relativi, ossia in rapporto al loro Prodotto Interno Lordo. Il de- bito li schiaccia proprio perché sono già poveri. Infatti i 41 Paesi maggiormente in- debitati devono pagare interessi pari al 200% del loro export . Ciò significa non solo che il loro debito è alto, ma anche che il loro export è basso, o in altre parole che il debito è stratosferico relativamente al loro export . Ne consegue che questi Paesi devono dedicare gran parte delle loro risorse al pagamento degli interessi, spendendo così il 10% di quanto viene impiegato per l’assistenza sanitaria e l’istruzione. I Paesi dell’Africa Subsahariana versano ai cre- ditori il quadruplo di quello che spendono per la sanità. Per esempio l’Uganda ha speso nel 1994 17 dollari a persona per la restituzione del debito e 3,5 per l’istru- zione. Per ogni anno di ritardo gli interessi aumentano per una cifra pari a 6 volte la spesa sanitaria. Se i governi dei 6 Paesi più indebitati dell’Africa potessero im- piegare in progetti di sviluppo umano le risorse che ora devono restituire per ripa- gare i debiti 3 milioni di bambini potrebbero vivere oltre il quinto anno di età e si potrebbero evitare un milione di casi di malnutrizione. Ogni bambino che nasce nel Sahara meridionale si porta dietro 420 dollari di debito in un’economia ove si deve vivere con 1 dollaro al giorno. Un ragazzo mo- zambicano che vende cassette di arance a Mabutu dovrebbe vendere 24 mila cas- sette per pagare la sua parte di debito. Un maestro dello Zambia dovrebbe versare 14 mensilità di stipendio. 3. Cause e conseguenze del debito Il debito ha molteplici cause e quindi rimanda a molteplici responsabilità. - Cause internazionali Dopo le crisi petrolifere del 1973 e del 1979 le banche occidentali avevano grandi disponibilità di denaro frutto della vendita del petrolio dei Paesi produttori e quindi concedevano volentieri prestiti a Paesi latinoamericani o africani senza va- lutare correttamente le possibilità di rimborso e soprattutto senza avere garanzie su come sarebbero stati spesi quei soldi. L’America Latina aveva contratto debiti so- prattutto con banche private, mentre l’Africa soprattutto con le Istituzioni finan- ziarie internazionali. Dopo la crisi del 1979 gli Stati Uniti alzarono il tasso di interesse in risposta al nuovo aumento del prezzo del petrolio e ciò provocò una recessione a livello mon- diale, dato che dopo gli accordi di Bretton Woods del 1944 l’economia mondiale era regolata da dollaro. Le esportazioni dei Paesi in via di sviluppo diminuirono mentre cresceva l’inflazione. Ciò indusse tali Paesi ad indebitarsi ulteriormente al punto che nel 1992, per esempio, il Messico annunciò la bancarotta. 236 Anche la divisione del mondo in due blocchi politici contrapposti ha favorito la concessione facile di debiti ai Paesi in via di sviluppo. Sia il blocco occidentale che quello comunista facevano a gara per attirare dalla propria parte i Paesi del sot- tosviluppo anche con gli aiuti finanziari. La loro concessione passava anche sopra al fatto che quei Paesi fossero governati da dittatori e despoti e che con ogni pro- babilità i prestiti venissero adoperati in spese militari o comunque per consolidare il regime piuttosto che impiegati per lo sviluppo generale della popolazione. - Cause interne ai Paesi debitori A chiedere il prestito erano spesso dittatori o oligarchie dittatoriali che inten- devano coprire il malgoverno e la corruzione mediante appunto l’acquisizione di prestiti oppure per finanziare le lotte che opponevano tra loro le etnie o le tribù della loro nazione. I debiti hanno enormi conseguenze sui Paesi poveri indebitati. - Conseguenze sociali C’è una stretta relazione, a detta dell’ONU, tra indebitamento da un lato e mortalità infantile, malattie, analfabetismo e malnutrizione dall’altro. - Conseguenze economiche e finanziarie Un Paese indebitato è proscritto dai mercati finanziari internazionali oppure, se vuole contrarre ulteriori debiti, deve pagare ancora di più. Negli anni 80 i tassi di interesse applicati ai Paesi poveri erano quattro volte superiori a quelli accordati ai Paesi ricchi a causa del fatto che era meno sicuro il loro rimborso e a causa della rilevante inflazione delle loro economie. Dal punto di vista finanziario, in altre pa- role, si instaura un circolo vizioso da cui è difficile se non impossibile uscire. Lo stesso dicasi per la crescita economia. Il ripagamento del debito asciuga le risorse che non possono essere investire infrastrutture funzionali al progresso eco- nomico. Quindi un Paese indebitato è sempre meno in grado di ripagare lo stesso debito perché è sempre meno in grado di crescere nella sua capacità produttiva ed economica generale. Inoltre nessuno investe in un Paese privo di infrastrutture. - Conseguenze politiche Nessuno investe anche in regimi che non offrono garanzie dal punto di vista del funzionamento dello Stato, dell’amministrazione pubblica e della democrazia. Siccome il debito è stato finalizzato soprattutto a consolidare oligarchie, corru- zione e guerre tribali, esso ha contribuito ad aumentare l’instabilità e l’inaffidabi- lità di questi Paesi. Ciò ha anche delle pesanti conseguenze economiche. Lo Stato di diritto e la democrazia hanno un costo anche economico, però sono anche una risorsa economica. Il debito impedisce il consolidamento in molti Stati di demo- crazie e Stato di diritto e quindi è fonte per essi di nuova emarginazione econo- mica. 237 4. Il ruolo delle Istituzioni finanziare internazionali Fino a non molto tempo fa le Istituzioni finanziarie internazionali e special- mente il Fondo monetario internazionale hanno adottato una politica di conces- sione dei prestiti che va sotto il nome di Programmi di aggiustamento strutturale. Esse consistono nella subordinazione della concessione del prestito all’applica- zione da parte dei governi dai Paesi poveri che lo richiedono di una serie di misure economiche molto rigide e che devono essere realizzate in tempi molto stretti sta- biliti dallo stesso Fondo. Le misure solitamente richieste sono: ordine dei conti pubblici, aumento delle tasse, privatizzazioni per liberalizzare l’economia e il com- mercio, deregulation del mercato del lavoro per attrarre imprese straniere, deregu- lation del sistema finanziario per attrarre investimenti finanziari stranieri. Queste misure potrebbero essere applicate in un Paese occidentale, con una struttura eco- nomico finanziaria capace di sopportarle e in grado di evitare eccessivi contrac- colpi sociali. Ma nei Paesi poveri cui sono indirizzare, queste politiche hanno un ruolo devastante ed hanno dei costi sociali ed umani molto forti. La deregolamen- tazione del mercato del lavoro, già debole per la scarsissima o inesistente sindaca- lizzazione e per la farraginosità delle normative, espone i lavoratori a fenomeni di sfruttamento, al crollo dei salari, al lavoro sottopagato, a casi molto frequenti di la- voro minorile. Attraggono sì imprese straniere, ma a costi umani molto alti. Il ta- glio alle spese pubbliche per sanare il bilancio dello Stato diminuisce i già bassi servizi pubblici e sociali: la scuola, la sanità e l’assistenza ai deboli ne fanno le spese. Le privatizzazioni di importanti settori della vita economica e sociale, in presenza di una società civile molto fragile e nella mancanza di norme sociali molto condivise, significa l’abbandono di attività importanti che giacciono lasciate a se stesse. Un caso per tutti. Il commercio dei cavalli nel Niger, una delle princi- pali attività della nazione, ha subito una crisi molto forte da quando le dichiara- zioni di sanità veterinaria sono state privatizzate. Da allora non vengono fatte con regolarità e i Paesi vicini non importano più i cavalli. Di recente si sono visti interessanti segni di un mutamento di prospettiva. Da un lato gli organismi internazionali hanno cercato di rapportarsi non solo con i go- verni ma anche con la società civile dei Paesi poveri; dall’altro hanno mutato i cri- teri per la concessione del prestito, aggiungendo a criteri strettamente economici anche indici di tipo sociale. Un po’ come è avvenuto anni fa quando l’Onu ha mu- tato l’Indice di sviluppo in Indice di sviluppo umano. Nello stabilire la graduatoria di sviluppo delle diverse nazioni, l’agenzia UNDP (United Nations Development Program) considera non solo dati quantitativi come il Pil, ma anche qualitativi come la qualità dei servizi sociali, il grado di istruzione o la parità di genere. 5. Criteri per il condono del debito C’è ormai un ampio consenso sulle modalità con cui dovrebbe avvenire il con- dono. 238 Partecipazione I Paesi creditori disposti a condonare il debito non devono porre condizioni ai Paesi debitori, creando una situazione di nuova sudditanza. Le scelte in merito al condono vanno quindi concordate con gli stessi destinatari, facendoli diventare protagonisti del loro sviluppo. La partecipazione, tuttavia, non dovrebbe interessare solo i governi dei Paesi debitori, ma anche la società civile, gli imprenditori, le Chiese. Questo per far sì che l’impegno futuro sia veramente partecipato e che ci sia una assunzione di re- sponsabilità più ampia. Se i debiti erano stati contratti da oligarchie chiuse, il con- dono deve prevedere una adesione partecipata non solo degli Stati ma anche delle nazioni e dei popoli. Regolamentazione Il condono non può essere un intervento fine a stesso, che si apre e si chiude. Esso deve essere accompagnato dalla concertazione di nuove regole internazionali che impediscano in futuro simili situazioni e che offrano ai Paesi condonati la pos- sibilità concreta di svilupparsi di modo che il condono del debito sia l’occasione per un loro ingresso nel mercato internazionale. Ci vogliono regole chiare per le future concessioni di debiti, che specifichino le condizioni per poterli richiedere e concedere. Si tratta di fissare anche una specie di “clausola sociale”, ossia di vin- coli circa l’uso del prestito a fini sociali e di autentico sviluppo. Equità Le politiche di condono devono essere rivolte a tutti i Paesi bisognosi, senza preferenze di sorta. Sono da preferirsi i condoni multilaterali rispetto a quelli bila- terali, quelli concordati in un quadro condiviso da più soggetti piuttosto che quelli gestiti dai singoli Stati interessati, perché questi potrebbero nascondere altri inte- ressi che sfuggono al controllo. L’equità richiede la multilaterialità perché altri- menti si provocano sperequazioni tra gli stessi Paesi poveri con nuove ingiustizie. Condizionalità La concessione del condono dovrebbe contemplare forme di impegno dei paesi condonati ad impiegare le risorse risparmiate a servizio della popolazione, per lo sviluppo sociale e la crescita economica soprattutto dei più poveri. In man- canza di questo, il condono può ulteriormente consolidare i regimi non democratici e gli attentati ai diritti umani nei Paesi poveri. Bibliografia AA.VV., Chiesa, usura e debito estero, Vita e Pensiero, Milano 1998. P. COLLIER - D. DOLLAR, Globalizzazione, crescita economia e povertà, Il Mulino, Bologna 2003. PONTIFICIA COMMISSIONE “J USTITIA ET PAX”, Al servizio della comunità umana: un approccio etico al debito internazionale, Città del Vaticano 1996. AREA 6 NUOVI ORIZZONTI DELLA PARTECIPAZIONE POLITICA STEFANO FONTANA INDICE Modulo 1 - La politica, i giovani e il bene comune Lezione 1 - La politica nella società di oggi: una crisi non irreversibile Lezione 2 - Politica senza giovani o giovani senza politica? Modulo 2 - Verso una democrazia associativa Lezione 1 - Virtualità e debolezze della democrazia Lezione 2 - Il formatore e le pratiche di democrazia associativa nella FP Modulo 3 - La dislocazione sussidiaria della sovranità politica Lezione 1 - La crisi della sovranità statale tra locale e universale. La sus- sidiarietà verticale Lezione 2 - Il ruolo politico della società civile. La sussidiarietà orizzontale 241 MODULO 1 LA POLITICA, I GIOVANI E IL BENE COMUNE LEZIONE 1 LA POLITICA NELLA SOCIETÀ DI OGGI: UNA CRISI NON IRREVERSIBILE OBIETTIVO DELLA LEZIONE: Al termine della lezione il lettore riuscirà, tramite l’indagine di alcuni processi in atto, a co- gliere i motivi di crisi della democrazia e le opportunità per una sua ripresa. CONTENUTI: 1. Motivi di crisi della politica. 2. Richieste emergenti di una nuova politica. 3. Liberali e comunitari. Molti oggi affermano che la politica è in crisi, non riesce più ad incidere e soffre di carenza di partecipazione, non attrae più i giovani ed è troppo autoreferen- ziale, ossia ruota attorno a se stessa perdendo il contatto con la società e la realtà. In effetti, a guardare tanti fenomeni odierni si è tentati di dare ragione a questa tesi. Proviamo ad elencare una serie di motivazioni che possono indubbiamente te- stimoniare un momento di particolare difficoltà della politica. 1. Motivi di crisi della politica La globalizzazione Il fenomeno della globalizzazione sembra rendere impossibile ed inutile la poli- tica. Impossibile perché la vastità delle problematiche mondiali sembra troppo lon- tana da noi. Inutile perché ognuno si sente impotente e non vede come possa inci- dere con la sua piccola azione. Sembra che i giochi siano fatti a livelli troppo grandi: 242 gli organismi internazionali, le grandi potenze, le società multinazionali, le banche e le Borse. Il cittadino ha come la sensazione che le scelte passino sopra la sua testa e che la lotta sia impari. Da qui un ripiegamento nel proprio particolare, nei propri in- teressi individuali, nel lavoro o nel divertimento. La politica diventa una cosa troppo lontana e in fondo ininfluente sulle condizioni concrete della propria esistenza. La crisi della sovranità statale La dimensione propria della politica era soprattutto quella statale, dato che la sovranità politica era principalmente incarnata dallo Stato. Quella statale era una dimensione ancora percepibile di rilevanza politica ed uno capiva dove e perché si impegnava. Ora tale sovranità statale è corrosa e progressivamente diminuisce e l’ambito nazionale non è più adatto ad una politica che si proponga di incidere. Oggi lo Stato non ha che pochi margini di manovra, essendo la sua agenda deter- minata in grande parte dalla Borsa oppure dalle grandi corporations. Uno Stato non può impedire che una azienda multinazionale sposti lontano dal suo territorio alcune fabbriche di lavorazione provocando la disoccupazione di migliaia di operai. Perché mai quegli operai dovrebbero impegnarsi in politica se il livello sta- tale non è incisivo? Nemmeno i sindacati sono in grado di impedirlo, perché allora impegnarsi nel sindacato? Il livello nazionale è stato ampiamente spodestato. I capi di governo agiscono tenendo d’occhio Wall Street, le politiche fiscali sono condizionate dagli equilibri internazionali, gli Stati europei una volta agivano sui cambi ora con l’Euro non possono più farlo, Bruxelles governa Roma. In molte parti del mondo ci sono integrazioni regionali a cavallo di più Stati diversi molto più forti che non tra le regioni del singolo Stato. Se non c’è quasi più bisogno dello Stato perché impegnarsi in politica? Il crollo delle ideologie La politica ha bisogno di idee e la partecipazione ha bisogno di fedi politiche. Dopo il crollo delle ideologie non ci sono più bandiere, non ci sono più proposte globali, promesse di rinnovamento o addirittura di rivoluzione. Si viaggia nel pic- colo cabotaggio anziché in mare aperto. La politica, per questo, non scalda più i cuori, non infiamma più gli animi. Dopo il crollo del Muro, l’accettazione dell’economia di mercato e del sistema liberale è largamente condivisa. I partiti si assomigliano un po’ tutti e i programmi si occupano molto delle “cose da fare” piuttosto che delle grandi proposte di rivo- luzione sociale. La politica diventa pragmatica e personalistica e nessuno ha inte- resse a impegnarsi per sostenere un candidato piuttosto che l’altro o per far co- struire una strada qui piuttosto che là. La complessità sociale La società moderna è complessa, pluralista, molto articolata e quindi diventa ingovernabile. La politica è governo, capacità di proporre disegni globali e sintesi 243 programmatiche. La società di oggi è talmente suddivisa in tanti sottosistemi inco- municabili da non essere più programmabile da un centro. Opinioni, stili di vita, linguaggi, interessi sono ormai talmente diversificati che è impossibile ridurli a qualche unità. I problemi sono talmente tanti e variegati, le richieste che emergono dai cittadini e dai gruppi sono talmente poliedriche che tentare di dare risposta po- litica è un’impresa assolutamente inarrivabile. Spesso il sistema politico non riesce nemmeno più a intercettare i bisogni che scorrono sotterranei rispetto alla politica. Entra in crisi la rappresentanza politica, dato che la politica non riesce a cogliere interessi e bisogni e costoro cercano altre strade di soddisfacimento che non la po- litica. I media L’irruzione dei media nella politica ha ridotto il valore delle idee e dei pro- grammi e ha ingigantito il ruolo del leader. Gli uffici stampa dei partiti hanno so- stituito le sezioni sul territorio. Infatti, è molto più utile dal punto di vista eletto- rale che il leader partecipi ad una trasmissione di alto ascolto piuttosto che nelle sezioni si organizzino dibattiti a contatto con la popolazione. La televisione è da un lato assolutamente realistica e perfino spietata: mette in luce perfino i tic fac- ciali del leader politico. Dall’altro occulta la realtà perché si concentra sull’im- magine. I media hanno tolto importanza alla presenza dei partiti sul territorio, al con- tatto con la base e i problemi concreti. Hanno anche tolto importanza alla vita de- mocratica interna dei partiti: prevalgono le scelte plebiscitarie in quanto il leader ha bisogno di una investitura di questo tipo su cui fondare il suo “carisma”. Nei partiti si decide centralisticamente e si procede per cooptazione come avviene nei consigli di amministrazione delle grandi aziende. Nasce il partito-azienda che opera con i sondaggi, fa spot pubblicitari e struttura il proprio programma con i criteri del marketing . La crisi del ”progressismo” Dall’Illuminismo in poi l’importanza della politica era legata all’idea che fosse possibile organizzare il progresso e orientarlo verso il meglio. Tutti i messia- nismi politici dell’Ottocento e del Novecento ritenevano che l’umanità cammi- nasse verso un indefinito progresso, che estendesse le proprie conoscenze senza fine e che con la tecnica migliorasse continuamente la vita. Alla politica spettava guidare dal centro questo percorso organizzando, programmando, pianificando. Oggi non solo non è più possibile governare niente dal centro ma anche è entrata definitivamente in crisi l’idea stessa di progresso. La scienza non ci dà più certezze, gli esperti non esistono più, e la tecnica mentre interviene sulla natura per ridurre il rischio produce altro rischio. La situa- zione di incertezza ci impedisce di pianificare il futuro: più pianifichiamo più lo rendiamo incerto. Cosa rimane della politica in questo contesto? 244 L’emergere del rischio indotto Il rischio è sempre esistito nelle epoche passate, ma era per di più legato ad eventi naturali: siccità, epidemie, inondazioni, terremoti oppure l’eruzione dei vulcani come a Pompei. La modernità è stato un enorme tentativo di ridurre il ri- schio soprattutto attraverso lo sviluppo della scienza e della tecnica. Sono state così debellate malattie, si sono costruiti sistemi sanitari pubblici, le assicurazioni, la previdenza sociale per la vecchiaia eccetera. Eppure il rischio non diminuisce, anzi aumenta. Nascono nuove malattie frutto non della natura ma dei nostri inter- venti sulla natura. Anzi, più interveniamo per ridurre i rischi e più ne produciamo di nuovi e imprevedibili. Il cianuro nel Danubio, la mucca pazza, il petrolio nella Manica a seguito dell’affondamento di una petroliera non sono rischi derivanti dalla natura ma dalla tecnica, ossia derivanti dai nostri interventi tesi a ridurre il rischio. I fondamentalismi religiosi Sul piano culturale una delle caratteristiche della nostra epoca è, da un lato, il fenomeno dei fondamentalismi religiosi e, dall’altro e all’opposto, del nichilismo dell’indifferenza. Fondamentalismo significa che la realtà deve adeguarsi alla let- tera della religione, escludendo ogni mediazione, compromesso o deliberazione personale. Oggi i fondamentalismi politici sono finiti, essi sono stati sostituiti da quelli religiosi. Il fondamentalismo religioso rende impossibile la politica, al mas- simo la trasforma in lotta violenta. Ciò che lo Stato e i politici devono fare è già scritto nel testo sacro, non ci può essere alcuna dialettica tra potere religioso e po- tere politico. L’unica forma di azione politica è quella contro il nemico, che coin- cide con l’infedele. Quando la politica viene assolutizzata essa viene anche annul- lata. Infatti, il suo campo è quello del possibile, di quanto può essere e non essere, di quanto è oggetto di scelte umane. Il nichilismo dell’indifferenza C’è oggi una cultura della debolezza che alimenta atteggiamenti di indiffe- renza. Viene anche chiamato il “pensiero debole” e consiste nella rinuncia senza rimpianti alle grandi prospettive teoriche del passato. Tutto deve essere reversibile, intercambiabile, smontabile e rimontabile, modulare. Convinzioni forti, verità as- solute, impegni a lungo termine, vincoli stabili: tutto ciò appartiene al passato. Oggi si tende a vivere in superficie e nel quotidiano, non ci si pongono più le grandi domande, si programma a brevissimo termine. La flessibilità non riguarda solo il lavoro ma è una cultura diffusa. Ad una generazione che rifiuta di prendere posizione, qualsiasi essa sia, in quanto considerata una forma di violenza come si può proporre il discorso politico che per sua natura è scelta, adesione e condivi- sione? 245 2. Richieste emergenti di una nuova politica Eppure, anche nell’epoca contemporanea la politica fa capolino attraverso tutte queste difficoltà e diffidenze. Anzi, per certi versi si ripropone oggi con mag- giore forza di ieri, quando era soffocata dalle ideologie, dalle convinzioni eccessi- vamente ottimistiche sulla possibilità di programmare il futuro, dalle lotte di reli- gione. Un tempo alla politica si chiedeva forse troppo, oggi si chiede forse troppo poco, ma non si può dire che essa sia definitivamente in esilio. La globalizzazione Il fenomeno della globalizzazione, nonostante le apparenze, richiede più poli- tica e non meno politica. Il fatto che i fenomeni sono ormai globali richiede una politica globale. È vero che la sovranità statale è in difficoltà, ma proprio per questo serve una dimensione sopranazionale della politica. Al contrario la scena globale sarà dominata dall’economia. La rete delle interconnessioni è talmente articolata che ogni problema ne ri- chiama un altro. Oggi tutto è globale: dal terrorismo alle infezioni virali, dal com- mercio della droga a quello delle armi, dall’inquinamento ambientale alla ricerca scientifica. Ciò significa che si fa sempre più necessaria una politica globale. Le problematiche di frontiera Un altro aspetto che richiede più politica è l’emergenza di problemi nuovi e radicali, destinati ad avere un impatto non marginale sull’umanità. I risultati del- l’ingegneria genetica, le sofisticatissime armi di distruzione di massa, il pericolo di distruggere irreversibilmente l’ambiente, il problema dell’acqua su questo pianeta nei prossimi decenni ci pongono davanti non a problematiche di dettaglio di cui qualcuno possa non interessarsi, ma a questioni cruciali per lo stesso futuro dell’u- manità. Esse interpellano direttamente tutti i cittadini e chiedono la partecipazione di tutti per la loro soluzione. L’emergere del problema del ”limite” La modernità non conosceva il problema del limite. Il progresso sarebbe stato indefinito, la ricerca scientifica non doveva essere frenata, la tecnica avrebbe do- vuto solo liberamente dispiegarsi per realizzare un futuro roseo per tutti. Oggi non è più così. Lo sfruttamento del pianeta ha un limite se si vuole rispettare il diritto delle future generazioni. Alla sperimentazione scientifica deve essere posto un li- mite se non si vuole sacrificare sul suo altare l’uomo stesso, allo sviluppo tecnico si deve mettere un limite se non si vuole che i rischi aumentino e diventino irrisol- vibili. Perfino alla crescita economica bisognerà forse porre un limite come pure alla corsa ad accaparrarsi diritti di proprietà su organismi geneticamente modifi- cati. Il futuro è meno certo che in passato: nessuno sa se gli organismi genetica- mente modificati sono nocivi o innocui, se le onde dei telefoni cellulari siano dan- 246 nose, se la possibilità di intervenire sul DNA ci permetterà di curare delle malattie o di manipolare l’uomo. Tutto ciò richiede cha sia riscoperto il concetto di “li- mite”: non si può andare continuamente avanti, e per di più al buio. Ciò rimette in pista la politica e la sua capacità di razionalizzare il nostro procedere. I valori postmateriali Nelle nostre società avanzate vige una situazione di post-scarsità, i beni materiali sono abbondanti per tutti, a parte sacche di povertà presenti anche da noi. La soddi- sfazione dei bisogni materiali si è realizzata, anche se non per tutti, e quindi si svilup- pano i bisogni immateriali, qualitativi più che quantitativi. L’industria più importante nei Paesi sviluppati è quella dello spettacolo, esistono attività economiche di primor- dine che si occupano di turismo, di viaggi, di hobbies, di musica. Proliferano le atti- vità legate al fitness e alla cura del corpo inteso come immagine riplasmabile di sé. Perfino i beni fisici non si comprano più in quanto tali, ma per il significato simbo- lico che hanno. Le relazioni umane, i sentimenti, il passatempo, il virtuale, la tecno- logia più avanzata (e quindi più leggera e immateriale) sono diventati industria. Tutto ciò può anche essere “impolitico”, però da un altro punto di vista lancia alla politica una nuova domanda, a carattere qualitativo più che quantitativo, più cul- turale che materiale. Alla politica si chiede di rappresentare questi mondi e di dare ri- sposte politiche ed amministrative a questi nuovi bisogni. I comuni dovranno attrez- zarsi per non occuparsi solo di strade e case ma sempre di più di relazioni umane. L’emergere di una società civile internazionale La nascita di problematiche globali – commercio internazionale, necessità di tutelare i brevetti su scala globale, politiche delle istituzioni finanziarie internazio- nali come la Banca Mondiale o il Fondo Monetario Internazionale, accordi per la tutela dell’ambiente come quello di Kyoto, il tema del sottosviluppo planetario – ha generato una società civile internazionale che si sta dimostrando un vero sog- getto politico. Si tratta delle Organizzazioni Non Governative che operano per pro- getti di sviluppo internazionale, delle associazioni transnazionali come Amnesty International o Green Peace, dei movimenti ambientalisti o per i diritti civili, delle associazioni di advocacy che difendono i diritti di minoranze. Si tratta anche del- l’opinione pubblica internazionale che prende posizione con manifestazioni e con gli echi delle sue proposte sulla stampa. Tra gli Stati, i quali detengono ancora l’unica sovranità politica esistente ma sono progressivamente in crisi e le realtà multinazionali soprattutto di carattere economico si insinua questo nuovo soggetto che chiede più politica a livello glo- bale e fa esso stesso politica. I media Se i media hanno contribuito a spettacolarizzare la politica, da un altro punto di vista hanno aperto nuove possibilità. Una di queste è che i media giocano un 247 ruolo fondamentale sulla politica ad ampio raggio. A livello nazionale o continen- tale non serve più un partito radicato nel territorio né uno stuolo di militanti che raccolgano consensi e voti, bastano le televisioni e i giornali. Ma a livello comu- nale i media non servono a nulla, qui conta ancora il radicamento e il contatto per- sonale. Anzi, conta oggi più di ieri, perché la presenza capillare e organizzata dei partiti, che in qualche modo impediva il protagonismo localistico, non c’è più. Lo scenario futuro, allora, potrebbe essere quello della centralità dei media nella poli- tica a vasto raggio e del recupero di una politica non impersonale nel piccolo raggio. L’emergere del locale L’emergenza del locale, che abbiamo visto nel punto precedente, è un feno- meno ambiguo ma che tuttavia può essere in grado di rimotivare la politica nel prossimo futuro. Esso ha molte cause, ma soprattutto una sembra la fondamentale: il bisogno di comunità, di radici, di riconoscimento. Le dinamiche globali, l’aper- tura dei confini, il mescolamento delle altre culture, i tanti fenomeni di appiatti- mento planetario (la macdonaldizzazione del mondo, come viene anche chiamata) provocano per contro la voglia di identificazione in una comunità di appartenenza. Nasce quindi una nuova richiesta di politica. 3. Liberali e comunitari Le dinamiche che abbiamo messo in evidenza, nella loro ambiguità, dimo- strano che il futuro della politica è incerto ma non perduto, che si sono motivazioni per ipotizzare anche una rinascita, su basi nuove, della politica. Tutte le problema- tiche che abbiamo evidenziato sono oggi riassunte da due posizioni di pensiero po- litico che si stanno contendendo la scena: la posizione liberale (o liberal, per dirla all’americana) e quella comunitarista. Il liberalismo intende l’uomo come un individuo libero capace di fare autono- mamente le sue scelte. Su questa base tutti i cittadini sono uguali e quindi il libera- lismo è universalista, non chiude il singolo nella comunità di appartenenza: ognuno è cittadino del mondo. In questo modo l’uomo deve prescindere dai valori propri della sua comunità e, per incontrarsi su un piano di universalità con tutti gli altri, deve prescindere dalle diverse visioni del bene e affidarsi alla razionalità con- trattuale e procedurale. Deve cioè mettersi d’accordo di volta in volta su quanto abbia o no valore e deve stabilire delle procedure neutre che permettano a tutti i valori di convivere e trovare espressione. Questo pensiero garantisce in questo modo la “cittadinanza universale” di tutti gli individui indipendentemente dalle co- munità e culture in cui sono inseriti, ma al prezzo di prescindere dai contenuti, dalle visioni del bene, finendo per intendere la convivenza in modo solo procedu- 248 rale. Ciò produce indifferenza (tutti i valori sono uguali, tutte le culture si equival- gono, tutte le opinioni vanno rispettate) e disincentiva la passione e la partecipa- zione politica. L’individuo libertario che fa razionalmente e autonomamente le sue scelte può sì raccordarsi con gli altri su delle procedure di convivenza perfino uni- versali, ma recide i legami di senso con i suoi simili. Scrive, infatti, Jurgen Ha- bermas: “Nelle società complesse l’insieme dei cittadini non può più essere inte- grato da un consenso sostanziale sui valori, ma soltanto da un consenso sulle pro- cedure relative ad una legittima produzione giuridica e ad un legittimo esercizio del potere”. I legami che si fondano su valori sono visti con grande sospetto dalla mentalità liberal in quanto indipendenti dalla libertà e come un ostacolo per essa. Il liberalismo quindi indebolisce la comunità parziale a tutto vantaggio di una (astratta) comunità universale. Il prezzo da pagare per una “inclusione” universale, una cittadinanza planetaria, sarebbe la relegazione delle questioni etiche nel pri- vato e quindi l’indifferenza etica delle comunità di appartenenza. In questo modo però la politica limiterebbe i propri temi alle problematiche tecniche, incapaci di mobilitare i cittadini alla partecipazione democratica. La politica diventerebbe in questo caso tecnocrazia, ossia il potere dei tecnici. Il comunitarismo ha avuto il merito, secondo molti osservatori, di correggere tali pericoli, facendo riscoprire l’importanza della comunità per la formazione della propria identità e, recuperando tematiche care al personalismo comunitario, mostrando come il noi preceda sempre l’io. Diceva Mounier che le “altre persone non la limitano [la persona, ndr ], anzi le permettono di essere e di svilupparsi; essa non esiste se non in quanto diretta verso gli altri, non si conosce che attraverso gli altri, si ritrova soltanto negli altri. La prima esperienza della persona è l’esperienza della seconda persona; il tu, e quindi il noi viene prima dell’io”. Il noi, ossia la co- munità, è originaria, già data e costitutiva; la sua identità, spiega MacIntyre, nasce da una narrazione e la narrazione è possibile solo quando c’è una comunità. L’i- dentità di una comunità si costruisce attorno ad una idea di bene, e non solo in base a procedure ed è proprio a contatto con questo “ordine” dato che l’identità del sog- getto si costituisce in modo non banale ed è possibile il riconoscimento reciproco. Secondo Taylor, per esempio, l’identità nasce davanti a questioni rilevanti di per sé e non perché noi – come sostengono invece i liberali – abbiamo deciso che sono ri- levanti. Certo che, il radicamento nella comunità e il riconoscimento reciproco tra- mite valori condivisi in qualche modo separa e chiude rispetto altre tradizioni. 249 EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE Don Luigi Sturzo, fondatore del Partito Popolare Italiano, pensatore e uomo politico, elaborò un decalogo del buon politico. Lo ritieni ancora attuale? Lo ri- tieni sufficiente oggi? 1) Fuggire l’infingimento: promettere poco e mantenere quello che si è promesso. 2) Il silenzio è d’oro specialmente in politica. 3) Aver cura delle piccole oneste esigenze del singolo cittadino come se fosse un affare importante. 4) Non circondarsi di adulatori. 5) Rigettare ogni proposta che comporti l’inosservanza della legge. 6) Avere pazienza, aspettare il momento buono per il premio e per la punizione. 7) Dei propri collaboratori fare degli amici non dei favoriti. 8) Tenere lontano i parenti dagli affari statali. 9) Non disdegnare il parere delle donne savie. 10) Fare ogni sera l’esame di coscienza. Bibliografia S. BENTIVENGA, La politica in rete, Meltemi, Roma 1999. GIOVANNI PAOLO II, Discorso al Parlamento della Repubblica Italiana , 14 novembre 2002, Supple- mento a “L’Osservatore Romano”. U. BECK , Che cos’è la globalizzazione?, Rischi e prospettive di una società planetaria , Carocci, Roma 1999. A. PANEBAINCO, Modelli di partito. Organizzazione e potere nei partiti politici, Il Mulino, Bologna 1982. 250 MODULO 1 LA POLITICA, I GIOVANI E IL BENE COMUNE LEZIONE 2 POLITICA SENZA GIOVANI O GIOVANI SENZA POLITICA? OBIETTIVI DELLA LEZIONE: In questa lezione, il lettore sarà guidato ad impostare una riflessione sul rapporto giovani-poli- tica per maturare alcune consapevolezze: - i giovani non sono a-politici per natura; - la sensibilità socio-politica va educata; - le nostre istituzioni, anche formative, a volte sono responsabili della mancanza di passione po- litica; - esistono alcuni fronti su cui lavorare. CONTENUTI: 1. Una riflessione preliminare. 2. La politica come “luogo vitale”. 3. Fronti su cui lavorare. 251 1. Una riflessione preliminare Che cos’è la politica? I giovani hanno potere? Che cos’è il potere? Ma la politica chi la deve fare? Di politica me ne occupo ma non personalmente A che serva la politica? Dove sono le informazioni La politica mi riguarda Che cosa vuol dire avere una sensibilità politica? 252 ESERCITAZIONE D’INGRESSO Le chiediamo cortesemente di leggere il brano proposto di R. Cananzi che sin- tetizza il “senso” della lezione. Rappresenta la ragione di fondo di un’educazione socio-politica con i giovani. MA ALLORA COSA SI PUÒ FARE? Oggi, finalmente – e questo è positivo – ci si è resi conto che qualcosa non va, che la barca sta naufragando e si sta cercando di correre ai ripari, di sanare le ferite trasformando il volto della Repubblica. Nel mondo politico, sui giornali, tra la gente non si parla altro che di riforme. E alcune riforme sono senza dubbio necessarie, poichè in mezzo secolo la società italiana è cambiata. Così, nel giro di pochi anni, il volto della politica italiana appare mutato: nomi nuovi ai partiti, uomini nuovi al potere, nuovo sistema elettorale, nuovo sistema per l’alternanza al governo, … Tutto giusto. Rinnovare significa crescere; il timore è che il rinnovamento sia soltanto esteriore, superficiale. È indispensabile rendersi conto che il male è molto più profondo ed è alla radice che bisogna in- tervenire per ridar senso alla politica. Come vedi, il problema di fondo è morale; risolverlo richiederà un impegno serio e faticoso. È molto più semplice, infatti, costruire palazzi, ferrovie, autostrade, che far crescere la coscienza ci- vile. Ma le forze politiche, prive ormai di ideali, anche quando si dicono popolari sembrano disat- tente, distaccate dal popolo, incapaci di capire. Voi giovani, più degli altri, risentite di questo divario tra paese reale e paese legale. Anche se non ne siete consapevoli, lo soffrite sulla vostra pelle: vi sentite scontenti di tutto, sfiduciati. Spesso il vostro giudizio è severo, la reazione violente, radicale; o contestate tutto, protesi verso una società ideale, o vi chiudete in un rifiuto globale. Così, il dialogo fra le generazioni diviene sempre più difficile. E i politici, invece di tentare di in- terpretare questo malessere e di aprirsi con disponibilità al nuovo, di cui comunque siete portatori, cercano semplicemente di carpire il vostro consenso accontentandovi con pseudo-riforme, con provvedimenti momentanei e inefficaci. Ora mi guardi con due occhi sgranati: «Ma allora, che cosa si può fare?», domandi con tono di- messo, come se non ti aspettassi alcuna risposta. Io non dispererei. Anzi. Un’epoca di crisi ha in sé qualcosa di positivo: l’incertezza. Ti sembra strano quello che ti dico? Ma è proprio così. I momenti storici nei quali gli uomini hanno soltanto certezze, nei quali la gente non si pone domande e non ha il minimo dubbio sul cammino da percorrere, generano di solito, violenze, guerre, persecuzioni. La sicurezza di essere nel giusto non stimola il dialogo, non predispone all’ascolto. Ecco perché penso che l’incertezza attuale, causata dalla caduta dei falsi valori, dei miti, delle il- lusioni, può divenire ricerca di confronto, se non spinge semplicisticamente a ripiegarsi su se stessi, a estraniarsi, a rinchiudersi. Sono convinto che i disagi, che vive oggi l’Italia, segnino soltanto il trapasso tra un mondo che muore e uno nuovo che nascerà. Certo, attraversiamo una fase di passaggio, in cui è in pericolo la democrazia. Ma se la demo- crazia è partecipazione, coscienza civile, libertà, spetta a tutti noi, e soprattutto a voi giovani, che rappresentate la forza nuova della nazione, recuperare il senso della politica. Aldo Moro diceva: «la politica è la delicata tessitura di azioni pubbliche e private per la realizza- zione del bene comune». Dunque, nessuno può tirarsi indietro, dobbiamo sentirci tutti” dentro”, e non “in alto “ o “fuori” rispetto alla politica, dobbiamo tutti capire che o essa è tessitura del bene comune, o non è politica. Vorrei che tua madre ti vedesse in questo momento, mentre segui con interesse il mio ragiona- 253 2. La politica come luogo vitale I giovani e la realtà socio-politica sono due mondi esistenziali apparentemente molto diversi. Il primo è pensato di solito come fondato sulla dimensione affettiva, relegato nella sfera del privato che tenta di esplorare un mondo apparentemente ostile. Il secondo, la realtà socio-politica, normalmente è un mondo che richiama la sfera del pubblico, la dimensione razionale e valori etici o di tipo utilitaristico. Il rapporto tra questi due mondi dipende dalla concezione che si ha dell’espe- rienza adolescenziale e giovanile. • Se si ha una concezione statica, ristretta e rigida dell’adolescenza, oppositiva e in disagio per definizione, quasi certamente non è possibile pensare ad un dia- logo tra questi due mondi, perché prevarrà l’idea che l’adolescente è isolato per natura e chiuso narcisisticamente a qualsiasi rapporto esterno. • Se si ha una concezione dinamica ed espansiva, si arriva fino a comprendere che il giovane sta fondamentalmente “bene”, ha una propria visibilità este- riore, e di necessità anche una valenza socio-politica. In questo caso il pro- blema che si pone, non è se vi deve essere un rapporto tra i due mondi, ma quale tipo di relazione instaurare. Oltre ad avere per sua natura una visibilità esteriore, il giovane si”proietta verso l’esterno” anche intenzionalmente, ad esempio attraverso l’esperienza asso- ciativa, il volontariato, e l’ impegno sociopolitico (più o meno consapevole). Queste proiezioni verso l’esterno possono essere vissute in modo superficiale: l’associazionismo e la vita di gruppo come finalizzati a garantire la sopravvivenza “ relazionale”. Se invece la proiezione esterna è una scelta consapevole e riflessa, allora ac- quistano un significato etico, e diventa importante per l’adolescente il modo in cui vive il tempo libero, imposta e gestisce la propria condotta in riferimento alla sfera dei consumi, al modo in cui prende posizione nei confronti dei maggiori problemi sociali e/o politici. Lo stile della propria presenza nel mondo non ha solo una dimensione econo- mica (utilitaristica), esso rivela un atteggiamento più complesso, che lascia tracce mento. Ora non hai più gli occhi smarriti: corrughi la fronte, inarchi le sopracciglie; lo sguardo pensoso pare concentrato nello sforzo di un’indagine interiore, come se cercassi dentro di te con- ferma alla mie parole, una risposta agli interrogativi che emergono. Quando finalmente ti arrendi, domandi in tono provocatorio: «Sì, ma qual è il bene comune e qual è la via? L’hai detto tu che una via deve esserci». Certo, però ti ho detto anche che non esistono ricette prefabbricate né ci sono itinerari già per- corsi. Dobbiamo avanzare con cautela, a piccoli passi, e penso che il primo passo sia quello di ri- scoprire i valori della gratuità, della condivisione, della reciprocità. (R. CANANZI , I giovani e la politica in Italia, Ed. Paoline, pp. 27-29) 254 sia del proprio modo di vivere l’esperienza personale, sia del modo con cui si pensa e si giudica la vita sociale e l’idea del bene comune, del futuro di tutti. Gli educatori spesso pensano alla sensibilità socio-politica come ad un dato di fatto, dipendente dal temperamento o da circostanze contingenti, mentre è una di- mensione educabile e, direi, necessaria. Da dove nasce questa sensibilità e come va educata? Quando pensiamo alla “Politica” e al suo rapporto con i giovani, facciamo ri- ferimento ad una realtà “immaginata” che raramente impatta con la realtà giova- nile. Appartiene al senso comune l’affermazione che i giovani non si interessano di politica, ed è vero se il termine è usato per indicare la realtà per loro lontana ed astratta come può essere la gestione di un ente locale o il governo di una regione, ma se pensiamo alla politica come all’azione che mette in circolo risorse per ag- gregare le persone attorno ad un bene comune, allora, vi sono molti luoghi vitali in cui i giovani fanno già esperienza della politica. Occorre partire da questi, perché è qui che il filo si spezza o si annoda efficacemente. L’esperienza scolastica e formativa è indubbiamente uno di questi luoghi vi- tali. La passione politica nasce qui, da micro-esperienze di partecipazione, coinvol- gimento, corresponsabilità. 3. Fronti su cui lavorare Proviamo ad indicare alcuni fronti su cui lavorare. • Primo fronte: Superare i luoghi comuni, cambiare il proprio modo di vedere le cose. Ci chiediamo: il disagio di molti educatori di fronte all’apparente insensibilità dei giovani rispetto alla politica potrebbe dipendere dalla sensazione di attuare ini- ziative “inconsistenti”, “ridondanti”, che non agganciano i problemi, ma finiscono per ripetere e riprodurre un copione che in realtà mantiene i problemi? Qual è il modello che guida la nostra relazione di adulti con il mondo giovanile? Quali sono le sue regole? Quando gli adulti pensano ai giovani sono condizionati da modelli di riferi- mento di cui a volte non sono consapevoli: l’azione progettata, l’aiuto offerto, il tempo speso con loro appaiono troppo spesso come forme di welfare sociale fina- lizzate alla riduzione di problemi e disagi. L’adulto non entra in relazione con giovani “sani”, ma con persone “biso- gnose di” e incapaci di prendersi cura di loro stesse. Certo, non è mai così evi- dente questa dimensione assistenziale, ma pensiamo al modello che ci orienta: è un modello lineare, regolato dal rapporto causa-effetto: premi che l’altro cam- bierà. Anche quando l’azione educativa è finalizzata alla promozione di una sensibi- 255 lità politica e partecipativa, la regola di fondo è: ora ti aiuterò a partecipare – ad es- sere protagonista – ad occuparti di quello che c’è oltre il tuo naso – forza, partecipa – organizzati – perché non partecipi? – non sapete organizzarvi! – non avete voglia di fare niente ! Non si educa alla politica simulando azioni politiche, ma correndo il rischio della politica, che è dialogo e decisione, non decisione di far dialogare per pren- dere decisioni Più chiediamo ai giovani di partecipare e più sembrano rinchiudersi nell’indif- ferenza. È un meccanismo ridondante, che noi contribuiamo a mantenere. Si può uscire da questo vicolo cieco? Vi sono altri modelli possibili? • Secondo fronte: Il disagio degli educatori può dipendere dall’assunzione acri- tica di alcuni atteggiamenti progettuali. Che cosa facciamo di solito? Atteggiamento progettuale Perché? Come finisce Dov’è l’errore? COINVOLGERE I giovani tendono delegare Perdita progressiva delle persone Il giovane delega perché non è capace o perché non vuole? COINVOLGERE C’è il deserto, non c’è più nulla Territorio diventa un contenitore di cose da consumare, non si sviluppano relazioni La ripetizione all’infinito di iniziative… Comunità-contenitore. CAPIRE Occorre identificare i bisogni Escalation delle ricerche; delega dal basso verso l’alto Associazione-azienda- servizio? CAPIRE Occorre avere dati da trasformare in informazioni Le persone perdono la possibilità di definirsi L’importante è leggere la realtà o dare possibilità per definirsi? VALORIZZARE Abbiamo risorse, usiamo quelle! Si rafforza il circuito dell’emarginazione Il gruppo risorsa deve essere controllato non solo sui risultati, ma sui processi che attiva PARTECIPARE Manca un coordinamento Si parla dei giovani senza di loro Chi decide per chi? • Terzo fronte: Il tempo dei giovani è influenzato più o meno positivamente dalla presenza di filtri che permettono loro di accedere alle RISORSE DISPO- NIBILI. Se un giovane si trova ad esprimere un’esigenza rispetto ad un valore che ri- tiene importante (riconoscimento di una sua competenza professionale, il rispetto della sua autonomia decisionale, la necessità di sentirsi responsabile di qualcosa, il non dover sempre giustificarsi dopo aver fatto una scelta di un certo tipo, la neces- a Il territorio diventa un contenitore di cose da consumare, non si sviluppano relazioni 256 sità che gli sia accordata fiducia incondizionata…), i meccanismi di acquisizione di queste informazioni sono vissuti come sbarramento o come promozione? In altre parole: la comunità possiede necessariamente dei custodi di cancelli (dei filtri) che definiscono i limiti cui deve sottostare una persona e le opportunità che le vengono offerte. È importante chiedersi fino a che punto la richiesta non prevista di accedere ad una risorsa ha la possibilità di essere soddisfatta e come gli individui percepiscono il grado di impermeabilità del cancello o del filtro che stabilisce i limiti entro cui doversi attenere. Il nostro disagio può dipendere anche dalla sfiducia di poter esercitare un con- trollo rispetto alle nostre progettualità, perché anche per noi esistono custodi di cancelli invalicabili? Questa ipotesi di lavoro si riferisce alla consapevolezza che la comunità deve maturare in relazione ai meccanismi di depauperamento, di riconoscimento e atti- vazione di tutte quelle risorse che potenziano le persone garantendo loro il con- trollo sulle loro condizioni di vita. Nei nostri ambienti educativi vi sono “custodi di cancelli”? • Quarto fronte: La politica richiede competenze relazionali sofisticate Ci riferiamo soprattutto alle competenze richieste ad un educatore e al sup- porto che l’ambiente in cui lavora offre per potenziarle. L’ipotesi di lavoro suggerisce di porre al centro di futuri trainings formativi il tema delle abilità relazionali e di approfondire la figura del cosiddetto match- maker , il moltiplicatore di possibilità di incontro. • Quinto fronte: Se non è chiara la missione, non c’è passione politica L’ipotesi propone di pensare all’associazione non solo come al luogo che per- mette alle persone di crescere e di realizzarsi integralmente, ma anche come ser- vizio che si rivolge all’esterno consapevole della sua identità, dei bisogni ai quali cerca di rispondere, in altre parole consapevole della sua Mission. L’organizzazione interna della comunità dipende dal tipo di servizio che essa offre all’esterno. Se la Mission non è chiara, e la comunità perde la spinta centrifuga, il motivo che la fonda come servizio agli altri, ci sarà molto più tempo per occuparsi a in- ventare problemi inesistenti! Non possiamo dimenticare che il morale di un gruppo dipende anche dal suo grado di produttività, e dai caratteri di efficacia e di efficienza. Tra i percorsi formativi possibili sembrano oggi più urgenti i seguenti. 1) promuovere relazioni significative ma con la capacità di saper modulare i li- velli comunicativi in funzione delle situazioni, (anche qui si tratta di operare una complessificazione dei nostri codici): 257 • esiste un livello comunicativo banale o superficiale, • esistono relazioni funzionali che servono a comunicarsi cose da fare e ri- chiedono produttività, • esiste una comunicazione ideologica o culturale che ci vede in ritardo molto spesso, • una comunicazione emotiva nella quale siamo invece molto bravi, • una comunicazione spirituale. 2) Approfondire temi generatori che costituiscono oggi delle chiavi per accelerare il pensiero verso nuove forme di convivenza sociale quali Memoria, Identità, Progetto, Mito. 3) Formare nella direzione di uno sviluppo non-violento. 4) Formare ad una cittadinanza attiva che sappia entrare in contatto con tutte quelle forme associative organizzate che si occupano di diritti umani, am- biente, pace. 5) Ma soprattutto formare ad una capacità di ascolto multiplo, sofisticato, in grado di fare connessioni. 6) Abilitare a fare i conti con le proprie paure: • paura di incontrare la realtà perché il proprio mondo valoriale è fragile, si teme di essere rifiutati; • paura del conflitto; • paura dell’imprenditività. 7) Educare ad intendere la progettazione come CO-PROGETTAZIONE A RAZIONALITÀ DIFFUSA: come “intervento pratico di più soggetti in una situazione complessa e incerta per modificarla.” 8) Recuperare la dimensione estetica . Bibliografia L. BOBBA - A. NANNI, Formare solidarietà, Editoriale Aesse srl, Roma 1994. P. Busso, La sfida ecologica del conflitto, in Animazione Sociale 5 (1997), pp. 35-39. C. BUZZI - A. CAVALLI - A. DE LILLO, a cura di, Giovani del nuovo secolo, quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile, pp. 259-2279, Il Mulino, Bologna 2002. R.CANANZI , I giovani e la politica in Italia, Ed. Paoline, Milano 1998 R. CARTOCCI, Diventare grandi in tempi di cinismo, Il Mulino, Bologna 2002. M. COMOGLIO, Abilitare l’animazione, LDC, Torino 1989. I. DIAMANTI, La generazione invisibile, Il Sole 24 ore, Milano 2000. L. FESTINGER, La dissonanza cognitiva (1957), tr.it. Angeli, Milano 1973. M. MANETTI, Sistemi di protezione e acquisizione di risorse per l’individuo nella comunità, in Ani- mazione sociale, 10 (1995), pp. 44-52. E. MARTINI, Il lavoro nella comunità, Nis, Roma 1988. C. PICCARDO, Empowerment. Strategie di sviluppo organizzativo centrate sulla persona, Cortina, Mi- lano 1995. 258 MODULO 2 VERSO UNA DEMOCRAZIA ASSOCIATIVA LEZIONE 1 VIRTUALITÀ E DEBOLEZZE DELLA DEMOCRAZIA OBIETTIVI DELLA LEZIONE: Al termine della lezione il lettore potrà: - riconoscere possibilità e debolezze della democrazia; - distinguere tra democrazie e totalitarismi; - identificare i valori della democrazia CONTENUTI: 1. Le “malattie” della democrazia odierna; 2. Democrazie e totalitarismi; 3. Democrazia, procedure, valori; 4. La democrazia sostanziale. 1. Le “malattie” della democrazia odierna L’enciclica Centesimus annus (n. 46) di Giovanni Paolo II dedica ampio spazio al tema della democrazia e ne mette in evidenza alcuni meriti: - assicura la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche; - garantisce ai governati la possibilità sia di eleggere e controllare i propri go- vernanti, sia di sostituirli in modo pacifico, ove ciò risulti opportuno; - evita la formazione di gruppi dirigenti ristretti, che per interessi particolari o per fini ideologici, usurpano il potere dello Stato. Essa tuttavia presenta oggi anche alcune malattie o disfunzioni che talvolta ri- schiano di congelare i suoi aspetti positivi. L’influenza dell’economia La politica dovrebbe avere un suo primato sull’economia, in quanto quella eco- nomica è una logica parziale, mentre la politica dovrebbe tenere conto del bene di 259 tutti, se pure secondo una determinata visione. Invece si assiste sempre di più ad una grande influenza dei poteri economici su quelli politici, il che può talvolta arri- vare a delegittimare di fatto l’espressione di volontà dei cittadini e la determina- zione dei programmi politici. L’una e l’altra possono essere stravolte lungo il per- corso da pressioni di gruppi economici non solo nazionali ma anche internazionali. Ciò è favorito dalla globalizzazione che, come è noto, è già una realtà sul piano economico, in quanto sono già presenti attori economici globali, ma non lo è ancora sul piano politico, in quanto la sovranità appartiene ancora agli Stati nazionali. Il corto circuito tra partiti e società civile “Le domande che si levano dalla società a volta non sono esaminate secondo criteri di giustizia e di moralità, ma piuttosto secondo la forza elettorale o finan- ziaria dei gruppi che le sostengono. Simili deviazioni del costume politico col tempo generano sfiducia ed apatia con la conseguente diminuzione della partecipa- zione politica e dello spirito civico in seno alla popolazione, che si sente danneg- giata e delusa” (Centesimus annus n. 47). I partiti spesso hanno fagocitato la società civile impedendole di svolgere un ruolo autonomo; i gruppi influenti della società civile hanno spesso tentato di “ado- perare” la politica per vedere soddisfatti i propri interessi particolari. Si è così creato un corto circuito tra società civile e politica piuttosto che una collaborazione. L’elefantiasi dello Stato assistenziale Lo Stato assistenziale ha spesso provocato “la perdita di energie umane e l’au- mento esagerato degli apparati pubblici, dominati da logiche burocratiche più che dalla preoccupazione di servire gli utenti, con enorme crescita delle spese” (Cente- simus annus n. 48). Contribuendo a far passare l’idea che ai bisogni sociali deve pensarci prima di tutto lo Stato, lo Stato assistenziale ha spesso fiaccato il protago- nismo delle persone, delle famiglie e dei gruppi ed ha “ingessato” la partecipa- zione politica. Poiché, poi, l’erogazione di servizi pubblici avviene spesso con la finalità di creare consenso politico ai partiti, lo Stato assistenziale ha di fatto bloc- cato la democrazia costituendo come un blocco unico costituto dai partiti e dalla burocrazia statale. La tecnocrazia e il ”liberalismo neutro” Si sta diffondendo una concezione solo “procedurale” della democrazia, che trasforma la politica in tecnocrazia. Questo indebolisce molto la democrazia stessa. Molti ritengono che la democrazia sia il riconoscimento di uguale dignità a tutte le opinioni e a tutti gli stili di vita. Quindi lo spazio democratico deve essere neutro da valori, per non essere discriminante rispetto a valori diversi. In questo modo alle problematiche etiche non si riconosce la possibilità di essere oggetto di un confronto pubblico, ma diventano il campo delle scelte personali e assolutamente private. Alla democrazia verrebbe riservato solo il dibattito circa le “cose da fare”, 260 ossia gli interventi di tipo tecnico. Ma può la democrazia rinunciare ad una idea di uomo? Può fare a meno di una certa idea di diritti e doveri della persona? Può pre- scindere dal valore della libertà e dell’uguaglianza tra tutti i suoi cittadini? Sono solo alcuni esempi che ci avvertono di un pericolo: la democrazia che si riduca a tecnica neutra non avrà la forza necessaria per difendersi da chi la attaccasse: per farlo essa dovrebbe avere alla base una fede diffusa in autentici valori. La moltiplicazione dei diritti soggettivi La democrazia si fonda sui diritti umani. Tuttavia si è assistito ad un continuo aumento e diversificazione delle rivendicazioni di diritti soggettivi che rischiano di sbriciolare la concordia tra i cittadini, che pure è necessaria ad una società demo- cratica. I diritti soggettivi si trasformano poi in rivendicazioni che obbligano il po- tere a riconoscerli e perfino a mobilitarsi per il loro soddisfacimento. In questo modo il pluralismo dei diritti si esaspera, come pure l’individualismo sociale, mentre l’autorità politica si trasforma in un “notaio” che accerta tutti i diritti emer- genti nella società. Fino a che punto? La democrazia che si limita a promuovere qualsiasi diritto trascurando di difendere alcuni diritti dall’attacco di altri si inde- bolisce e si frammenta in modo irreversibile. 2. Democrazie e totalitarismi Quanto detto sopra ci porta a considerare le differenze tra la democrazia e il totalitarismo. Molto spesso si ritiene che la differenza consista in questo: il totalita- rismo pensa di incarnare una verità assoluta e quindi la impone a tutti i cittadini e a tutte le dimensioni della vita; la democrazia invece ritiene di non riferirsi a verità assoluta e quindi è tollerante e libera. In realtà le cose non stanno così: il totalitarismo è tale perché nega una verità trascendente e assoluta; e la democrazia può trasformarsi in forme più o meno forti di totalitarismo se anch’essa nega una verità trascendente. In altre parole ciò che salva la democrazia dalle possibili derive totalitarie è l’idea che esistano delle ve- rità che non dipendano dal voto di un’assemblea. Se la democrazia dovesse pen- sare che tutte le verità dipendono dal voto democratico, allora aprirebbe la porta al totalitarismo, in quanto il voto democratico potrebbe decidere chi è uomo e chi no, quali sono i diritti umani e quali no, se opprimere le minoranze o no, se rimanere in una democrazia o no. Nella Centesimus annus, Giovanni Paolo II individua nel seguente modo la causa ultima del totalitarismo: “Il totalitarismo nasce dalla negazione della verità in senso oggettivo: se non esiste una verità trascendente, obbedendo alla quale l’uomo acquista la sua piena identità, allora non esiste nessun principio sicuro che garantisca giusti rapporti tra gli uomini. Se non si riconosce la verità trascendente allora trionfa la forza del potere e ciascuno tende ad utilizzare fino in fondo i mezzi di cui dispone per imporre il proprio interesse o la propria opinione, senza 261 riguardo ai diritti dell’altro. La radice del moderno totalitarismo, dunque, è da indi- viduare nella negazione della trascendente dignità della persona umana, immagine visibile del Dio invisibile e, proprio per questo, per sua natura stessa, soggetto di diritti che nessuno può violare. Non può farlo nemmeno la maggioranza di un corpo sociale, ponendosi contro la minoranza, emarginandola, opprimendola, sfrut- tandola o tentando di annientarla”. La trascendente dignità della persona umana è fatta salva se viene considerata una verità assoluta e quindi non manipolabile, non a disposizione di qualcuno. Questa è la verità “oggettiva” che impedisce il consolidarsi del totalitarismo e che spinge, nei regimi totalitari, a lottare per la libertà e la democrazia. Il regime totali- tario, infatti, è tale perché pretende di rappresentare in toto tale dignità e quindi la manipola strumentalmente a fini di potere. Ne consegue che la democrazia non si difende dal totalitarismo opponendogli una filosofia relativista e agnostica secondo cui non è possibile, e se lo fosse non sarebbe auspicabile, possedere nessuna verità sulla persona umana, ma al contrario opponendogli una fede nella “trascendente dignità della persona”. “Oggi si tende ad affermare che l’agnosticismo e il relati- vismo scettico sono la filosofia e l’atteggiamento fondamentale corrispondenti alle forme politiche democratiche e che quanti sono convinti di conoscere la verità non sono affidabili dal punto di vista democratico, perché non accettano che la verità sia determinata dalla maggioranza e sia variabile a seconda dei diversi equilibri po- litici. A questo proposito bisogna osservare che se non esiste alcuna verità ultima la quale guida e orienta l’azione politica, allora le idee e le convinzioni possono es- sere facilmente strumentalizzate per fini di parte. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia” (Centesimus annus n. 46). 3. Democrazia, procedure, valori La democrazia, allora, è anche un insieme di procedure ma non solo. Anzi, il valore del rispetto delle regole democratiche deriva proprio dal suo essere funzio- nale ai valori democratici, altrimenti mancherebbe di anima e sarebbe solo un os- sequio esterno e non convinto, quindi alla lunga debole. Se si dovessero rispettare le regole democratiche solo per un rispetto formale, la democrazia perderebbe la convinzione intima dei cittadini e alla lunga questi non rispetterebbero nemmeno più le regole. Nessuna regola è seguita per se stessa, ma per il valore a cui è fun- zionale. Ora, quali sono i valori democratici? E poi: c’è un modo democratico di difendere i valori democratici dagli attacchi dei totalitarismi? Il valore dello Stato di diritto “Un’autentica democrazia è possibile solo in uno Stato di diritto e sulla base di una retta concezione della persona umana” (Centesimus annus n. 46). Lo Stato di diritto è una conquista dell’umanità e significa che sovrana è la legge ed ad essa 262 è sottomesso non solo il semplice cittadino ma anche il potere. Questo garantisce un quadro equilibrato di diritti e di doveri. La priorità del dovere rispetto al diritto I diritti soggettivi e la loro tutela e promozione sono il fondamento della de- mocrazia. Essi però non sono originari, ma si iscrivono in doveri che tracciano il confine tra liceità ed illiceità dei diritti. La democrazia non può considerare un di- ritto soggettivo la pedofilia, lo sfruttamento lavorativo dei minori, l’aborto o l’eu- tanasia. Questo perché non esiste il diritto di fare il male, dato che in questo caso verrebbero lesi altri diritti. La democrazia ha quindi bisogno di una serie di doveri, all’interno dei quali stabilire poi i diritti. Il valore della libertà di coscienza La libertà di pensiero, di religione, di opinione, di espressione sono uno dei valori fondamentali della democrazia. Esso però ha prima di tutto un fondamento oggettivo e non soggettivo: si radica sulla dignità della persona umana e sulla sua libertà, sul suo dovere-diritto di cercare la verità e sul fatto che la prima verità è proprio la dignità interiore della persona. Che l’uomo sia libero e che decidere in coscienza sia un suo diritto inalienabile sono valori oggettivi. Altrimenti si po- trebbe negare in coscienza che la libertà di coscienza sia un valore. Si potrebbe ri- vendicare la libertà di coscienza per negare la libertà di coscienza. Nelle costitu- zioni si fissa la libertà di coscienza non perché i costituenti abbiano seguito in ciò la loro libertà di coscienza, ma perché hanno riconosciuto che tale libertà è un fatto oggettivo connesso con la dignità della persona. Il valore della tolleranza Dal valore della libertà di coscienza deriva quello della tolleranza. Ciò non si- gnifica però che tutte le opinioni siano messe sullo stesso piano, perché allora anche l’intolleranza dovrebbe essere accettata. Si è tolleranti perché si è scoperta una verità oggettiva connessa con la dignità della persona umana, quindi la demo- crazia deve essere intollerante nel difendere la tolleranza, intollerante verso la vio- lenza o l’ingiustizia, verso le molteplici forme di disprezzo della persona. Se alla tolleranza si dà invece il senso che “tutto deve essere accettato” la democrazia de- creta la propria fine. Il valore della partecipazione La democrazia ritiene che il bene comune non sia già precostituito ma si co- struisca con l’apporto di tutti. In altri termini ritiene che la partecipazione sia un valore. La partecipazione al bene comune non è solo un diritto, ma anche un do- vere, per questo la democrazia lo assume in proprio e lo considera sostanziale. Se i cittadini non partecipano non c’è democrazia, anche se c’è rispetto delle regole dello Stato di diritto e libertà politica. Alla lunga, però, la mancanza della parteci- 263 pazione potrebbe mettere in pericolo anche questi valori, in quanto la democrazia ritiene che il vero limite del potere sia proprio la partecipazione. La libertà deve essere difesa e lo Stato di diritto deve essere riempito. Con la partecipazione. 4. La Democrazia sostanziale Quello di democrazia è quindi non solo un concetto formale, ma sostanziale. Esso non consiste solo nelle libere elezioni, ma in qualcosa di più complesso e pro- fondo. Possiamo distinguere nella democrazia almeno quattro livelli. Democrazia politica Riguarda la libertà di voto, la libertà di formare partiti politici per concorrere al governo della nazione, la libertà di fare propaganda politica e di diffondere le proprie idee politiche nonché di dibatterle con altri, la possibilità di dar vita ad as- sociazioni politiche di diversa costituzione e finalità, a gruppi di pressione, ad as- sociazioni per la difesa di interessi e prospettive culturali, la divisione dei poteri tra gli organi dello Stato, l’esistenza di un sistema di controllo reciproco tra i poteri a tutti i livelli, la dislocazione in sede locale di forme democratiche di partecipazione e di governo eccetera. Democrazia sociale Riguarda la libertà dei cittadini di autoorganizzarsi per la soluzione dei loro problemi, di fondare sindacati o associazioni di categoria, associazioni culturali, ludiche, assistenziali, religiose, la libertà di intraprendere attività economica in forma cooperativistica, di fare volontariato organizzato. Tale democrazia è detta anche “organica” in quanto si fonda sulla valorizzazione dei corpi intermedi della società. Se ci fosse da una parte il singolo cittadino e dall’altra lo Stato, e basta, la democrazia ne soffrirebbe. Infatti la partecipazione del cittadino al bene comune non avviene solo a livello politico ma anche a livello sociale. Democrazia economica Riguarda l’apertura del mercato al maggior numero di soggetti economici, la non esistenza di monopoli ed oligopoli, di rendite di posizione, di posizioni di forza, di concentrazioni eccessive di ricchezza. Democrazia economica significa che tutti “siano aiutati ad acquisire le conoscenze, a entrare nel circolo delle inter- connessioni, a sviluppare le loro attitudini per valorizzare al meglio capacità e ri- sorse” (Centesimus annus n. 34). Democrazia comunicativa L’accesso alle informazioni, all’istruzione, alle informazioni, alle banche dati, alla stampa è garanzia di partecipazione, di consapevolezza e di democrazia. Oggi 264 questo è senz’altro uno dei versanti più pericolosi per il futuro della democrazia in quanto le tecnologie informatiche potrebbero essere un fortissimo volano di demo- crazia ma anche frenare l’accesso. Democrazia sostanziale significa perseguire contemporaneamente tutti e tre i livelli di democrazia perché l’uno influisce sull’altro. Chi è emarginato economi- camente, per esempio, non è in grado né di accedere alle informazioni né di parte- cipare socialmente e per lui la democrazia politica risulta essere una finzione. Si noti che oggi i quattro tipi di democrazia si pongono non solo a livello lo- cale o nazionale ma anche a livello globale e mondiale. Ci sono interi popoli che sono esclusi da tutti e quatto i tipi di democrazia o da qualcuno di essi. Il problema dello sviluppo è quindi anche un problema di democratizzazione in senso globale. Bibliografia N. BOBBIO, Il futuro della democrazia, Einaudi, Torino 1984. M. CALICE, Il partito personale, Laterza, Roma-Bari 2000. S.P. HUNTINGTON, La terza ondata. I processi di democratizzazione alla fine del XX secolo , Il Mulino, Bologna 1995. G. LAVAU, Democrazia. Breve storia di un’idea, Carocci, Roma 1994. G. SARTORI, Democrazie, Rizzoli, Milano 1993. A. SENA, Lo sviluppo è libertà. Perché non si cresce senza democrazia, Mondatori, Milano 2000. 265 MODULO 2 VERSO UNA DEMOCRAZIA ASSOCIATIVA LEZIONE 2 IL FORMATORE E LE PRATICHE DI DEMOCRAZIA ASSOCIATIVA NELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE OBIETTIVI DELLA LEZIONE: Al termine della lezione, il lettore avrà compreso: - la dimensione “politica” legata all’azione formativa in particolare espressa dalla figura del Di- rettore del CFP; - l’importanza di una corretta educazione al “potere” ; - le diverse pratiche manipolatorie che impediscono ai giovani di fare esperienza di democrazia associative nell’ambiente educativo. CONTENUTI: 1. Politica e democrazia associativa; 2. Applicazioni analogiche nell’ambito di un Centro di Formazione professionale; 3. Il formatore che favorisce l’apprendimento del potere; 4. Dinamiche di non partecipazione; 5. Modelli di vera partecipazione. 1. Politica e democrazia associativa Per approfondire la funzione di «politica» di una collettività, quindi l’essenza stessa della dimensione politica, può essere utile fare riferimento ad una conce- zione della politica che è stata oggetto di studio e di insegnamento in alcune scuole diocesane di formazione socio-politica. La politica può essere pensata come “il governo della interazioni fra le parti di un sistema. (...). La parola «governo» implica la nozione di globalità, di consi- derazione del «tutto»; questo in vista della costruzione (o del mantenimento) di un ordine; l’idea di ordine implica a sua volta quella di organizzazione (cioè della struttura da dare alla relazione fra le parti del sistema) e di coordinamento (poiché né l’ordine, né l’organizzazione sono fatti puramente statici, dati una volta per tutte) e di gerarchia (per costruire qualsiasi tipo di ordine occorre stabilire delle 266 priorità). L’azione di governo si attua attraverso decisioni che hanno una direzione, dunque una finalità e rientrano in un progetto. Chi governa inoltre deve avere sia l’autorità che il potere per prendere decisioni efficaci” (Mazzoli, Formapolitica, p. 123. Il corsivo è dell’autore). In questa prospettiva la politica non appare come un elemento settoriale, ma come un’azione attraverso la quale si coordina, si organizza e si indirizza l’insieme del sistema sociale, in cui ogni singola componente è mediata (= posta in rela- zione) con le altre. a) La politica “consiste nella capacità di padroneggiare i rapporti, le interrela- zioni tra i vari sottosistemi presenti nella società. Il politico in sostanza deve essere in grado di prevedere quali modificazioni nell’organicità dell’intero si- stema può produrre l’introduzione di una variabile in una parte di esso (in un sottosistema)” (Ibid., p. 126; la sottolineatura è mia). b) La competenza del politico “non coincide affatto con quella del cosiddetto «tecnico», vale a dire lo specialista di un settore (di un sottosistema o di una parte di esso). (...). Ciò non toglie che un tecnico non possa essere anche un ottimo politico (...). A noi interessa semplicemente sottolineare che di per sé la competenza di settore (...) non garantisce la competenza politica. Questa in- fatti consiste nella capacità di entrare nei rapporti più che nel merito dei sin- goli elementi che compongono un sistema. In definitiva si potrebbe dire che il «settore» di cui si occupa il politico è la totalità: ma considerata non in ogni suo singolo aspetto, bensì solo nelle relazioni fra le sue parti. Non è neces- sario al politico padroneggiare tutti i linguaggi tecnici specifici (...); gli basterà possedere gli elementi di fondo dei vari sottosistemi: conoscere ad esempio la struttura generale del sistema economico e di quello istituzionale, (...). Tutto ciò non significa affatto che al politico basti una generica «infarinatura»; anche il politico ha il proprio specifico ambito di competenza. Più che un «tut- tologo» il politico è un tecnico delle interconnessioni” (ibid., pp. 128-129, il corsivo è dell’autore). c) Le conoscenze e “i linguaggi che più strettamente attengono alla competenza politica sono quelli delle discipline che si occupano specificamente di inter- connessioni fra i sistemi, come ad esempio, la scienza dell’organizzazione. Non si tratta dunque né di invocare tecnici, né di riproporre politici pressapo- chisti, bensì di individuare un’area di conoscenze caratteristiche della compe- tenza politica. Queste fanno riferimento in parte a discipline (come la politica comparata o la scienza dell’organizzazione) estranee ai tradizionali processi formativi della classe politica” (ibid., p. 129). d) Nel momento delle decisioni, il politico è costretto ad operare nei settori speci- fici che richiedono l’assunzione di una scelta; ora, questo non comporta che egli si debba trasformare in un tecnico del settore (non sarebbe comunque facile, e in ogni modo non sarebbe questo il compito del politico); suo compito è quello di coordinare l’apporto dei tecnici in un lavoro di équipe finalizzato alla deter- 267 minazione della scelta migliore. “In questa situazione né il politico né l’esperto hanno un potere assoluto: la decisione è quindi sempre il frutto di una contratta- zione tra il potere di chi ha un ruolo istituzionale e quello di chi detiene la cono- scenza dei linguaggi specifici. Sia il tecnico che il politico utilizzeranno il po- tere di cui dispongono per affermare le loro opzioni valoriali; di conseguenza la contrattazione che avverrà sarà un atto eminentemente politico. È importante perciò che il politico riconosca l’inevitabile quota di potere che il tecnico de- tiene, per non illudersi di decidere «da solo», quando comunque nella realtà co-decide. È d’altra parte necessario che il tecnico non si inventi un’inesistente neutralità assoluta, riconoscendo invece la carica valoriale implicita nel suo operare e il potere che detiene” (ibid., p. 130). 2. Applicazioni analogiche nell’ambito di un Centro di Formazione Professionale Il ruolo politico per eccellenza, in un CFP, è svolto dal direttore. Quali sono le competenze richieste perché questo ruolo sia agito secondo l’idea di “Politica” che abbiamo appena evidenziato? ™ Dal punto di vista della capacità di padroneggiare i rapporti: • deve avere ben chiaro quali siano di fatto (e quali debbano essere al meglio) i rapporti e le interconnessioni esistenti tra i diversi aspetti, momenti o settori della vita di comunità, che agiscono come sottosistemi all’interno dell’unico sistema che è la comunità; in questo senso occorre pensare che non ci sono relazioni solo tra persone, ma relazioni anche tra i diversi aspetti della vita co- munitaria, le cui esigenze si impongono oggettivamente, cioè al di là delle persone che in esse operano; pertanto, se si decide di operare dei cambiamenti in uno di essi, questo avrà delle implicazioni anche negli altri aspetti; • deve avere ben presente il legame esistente tra la sua comunità e l’apparte- nenza ad una Comunità più ampia, civile o religiosa (nei confronti della quale ogni comunità locale agisce come un sottosistema) e, più in generale, deve sapere che il livello di benessere (o di disagio) presente nella propria comunità si gioca in buona parte sul grado di fluidità e di armonia dei rap- porti tra i diversi elementi della vita comunitaria. ™ Dal punto di vista delle “cose da sapere” : • non deve pensare di dover essere strettamente competente a riguardo di ogni aspetto della vita della sua comunità (in particolare, ad esempio, il settore delle attività di lavoro); la sua competenza si gioca sulla capacità di avere presente il legame fra tutte le attività e l’insieme della vita comunitaria; • per quanto riguarda la competenza specifica (o tecnica) questa spetta ai sin- goli formatori che sono impegnati nei vari settori o che hanno ricevuto il mandato di assolvere a determinati compiti; in base al principio di «sussi- 268 diarietà», il direttore dovrà riconoscere al singolo formatore la piena com- petenza e la più larga autonomia di azione nell’ambito specifico; là dove l’attività specifica si rapporta con l’insieme della vita comunitaria la compe- tenza è propria invece del direttore. ™ Dal punto di vista culturale: • dovrebbe dedicare parte del suo tempo alla preparazione personale su tutti i temi che sono attinenti al suo ruolo: ad es., la comprensione dei principi dell’organizzazione comunitaria, l’acquisizione di una sempre più efficace competenza comunicativa; la capacità di valorizzazione delle risorse umane presenti nella comunità; l’approfondimento delle convinzioni etiche, sociali e culturali comuni, ecc.; • in senso più generale, dovrebbe pensare di dedicare una parte della sua for- mazione ad argomenti che, in apparenza appaiono del tutto estranei al suo bagaglio culturale tradizionale. ™ Dal punto di vista decisionale: • deve tenere presente, nel momento in cui deve esercitare la propria autorità (ad es., in relazione ad un aspetto o ad un problema della vita della comunità su cui si deve esercitare una scelta), che la pratica del discernimento non comporta solamente una fase di riflessione personale e un momento di ascolto e di condivisione del problema con tutta la comunità; la scelta im- plica anche un momento di «negoziazione», cioè di confronto e di contratta- zione reciproca, con i formatori che meglio conoscono quel particolare aspetto, fino ad arrivare ad una soluzione condivisa, che sia pienamente ac- cettabile sia dal punto di vista generale, sia dal punto di vista specifico; se non fosse così, ossia se la soluzione dovesse non essere valida sotto l’uno o l’altro punto di vista, essa non potrebbe essere considerata come la solu- zione migliore; • deve essere cosciente che, qualunque scelta assuma, questa avrà sempre una valenza «politica» , perché essa mette necessariamente in moto conseguenze che poi si riflettono sull’intera comunità. ™ Ulteriori osservazioni, come corollario • Se in una comunità tutto dovesse essere organizzato nel modo più efficace possibile, non ci sarebbe quasi necessità di un direttore, perché la comunità agirebbe in modo sempre coerente, e come una sola entità; in questo caso il ruolo del direttore verrebbe ad essere sempre più sfumato, quasi fino a dis- solversi nella trama delle relazioni che unificano tra loro persone, momenti e settori della vita comunitaria. Ne consegue che – al contrario – più una co- munità ha difficoltà ad organizzare e a darsi un progetto da attuare, e più essa rivela la necessità di una direzione, che sia pienamente visibile nell’e- sercizio dell’autorità. 269 Pertanto, il livello di incidenza del direttore in una comunità è direttamente proporzionale al bisogno che la comunità ha di questa presenza; a sua volta il livello di necessità di tale presenza è determinato dal livello di difficoltà che la comunità presenta nella conduzione ordinaria delle proprie attività. • Più le singole componenti di una comunità sanno operare in modo auto- nomo e organizzato e più facilmente il direttore può dedicarsi agli aspetti più strettamente culturali della sua funzione ; al contrario, meno la comunità funziona e più vi è necessità di una figura forte e ben presente a livello isti- tuzionale. Ne conseguirebbe che la necessità di una forte presenza di auto- rità è segno della mancanza di qualche aspetto importante nella struttura d’insieme della vita di comunità. 3. Il formatore che favorisce l’apprendimento del potere Il Centro di Formazione Professionale può diventare una scuola di politica nella misura in cui gli utenti sperimentano concretamente la possibilità di incidere nei processi che li riguardano. Hanno bisogno di una “palestra” associativa per apprendere le dinamiche della democrazia. Il gruppo classe, i sistemi di rappresentanza e di partecipazione alla vita del CFP sono momenti pertinenti per questo tipo di apprendimento. Il problema di fondo è quello di promuovere l’idea che il “potere” non è qual- cosa di inevitabilmente associato all’imposizione e all’ingiustizia, ma al contrario richiama la naturale esigenza dell’uomo di controllare le proprie condizioni di vita. All’interno dell’esperienza formativa il potere viene agito a livelli diversi. Gli utenti come i formatori ne fanno esperienza quotidianamente: - quella in cui il potere è esercitato da chi ha conoscenze superiori a quelle degli altri, e sa utilizzarle per imporre la propria volontà; - quella fondata sulla coercizione ovvero sulla possibilità che chi esercita il po- tere ha di danneggiare gli altri; - quella fondata sulla manipolazione o cosiddetto controllo ecologico, ovvero sulla possibilità di chi esercita il potere di controllare, modificandolo, l’am- biente degli altri. Il rischio è quello che l’esperienza del potere si esaurisca in queste tre forme e che venga proposta un’idea positiva di controllo e assunzione di responsabilità solo a parole. Non appare proponibile a livello educativo un atteggiamento puramente nega- tivo nei confronti del potere, o peggio ancora che ignori la sua reale presenza. Un atteggiamento di questo genere priverebbe la persona umana della possibi- lità concreta di agire sulle condizioni storiche e sociali che influenzano la sua vita e quella degli altri. 270 La passività, a volte l’indifferenza che riscontriamo nelle dinamiche di parte- cipazione all’interno dei nostri contesti educativi, può dipendere da un’ iperaccet- tazione del potere come segno di una incapacità di porsi in modo corretto di fronte ad esso. ™ La relatività del potere Secondo Mario Pollo è importante che le persone scoprano che ogni forma in cui si manifesta il potere ha sempre in sé una dimensione di ingiustizia, e che può essere superata da un’altra più giusta. È la relatività del potere. Il rapporto più produttivo e corretto con il potere nasce solo quando si riesce a coniugare le logiche di questo con le tensioni etiche che derivano alla persona del- l’utopia che nutre la sua speranza di trasformazione della realtà. Da questo punto di vista, l’educazione ad un corretto rapporto con il potere è una educazione sia al principio di realtà che al sogno. Educare al potere significa perciò educare ad accettare i vincoli della realtà e a far sperimentare come gli stessi vincoli possono essere mutati. Questo significa aiutare le persone ad essere consapevoli che appena esse ve- dranno realizzata la forma di potere per cui hanno lottato dovranno, con rinnovata lena, ricominciare a lavorare per raggiungere una nuova forma di potere ancora più giusta. 4. Dinamiche di non partecipazione Ogni formatore è ormai convinto che l’ambiente educativo può essere pensato come una micro-società in cui si possono apprendere e sperimentare valori demo- cratici e maturare sensibilità politica. Tuttavia non è sempre facile mettere in dis- cussione il proprio comportamento e valutarlo onestamente. Quali atteggiamenti impediscono una reale esperienza di democrazia associa- tiva nei nostri Centri di Formazione Professionale? Viene di seguito presentata una “scala di partecipazione”: percorrendola dal gradino più basso al più alto possiamo comprendere come spesso l’intenzione di coinvolgere gli utenti in realtà non promuove protagonismo. ™ La manipolazione Sono forme di manipolazioni mascherate quelle situazioni in cui gli adolescenti sono ascoltati ma non ricevono alcun ritorno in merito. Negli ambienti educativi non si pone più in discussione la necessità che gli utenti partecipino attivamente al pro- cesso educativo e proprio questa consapevolezza può a volte impedire che si met- tano in discussione le pratiche di coinvolgimento e di educazione democratica agite. Quando ad un adolescente si richiede un parere, ma poi non accade nulla che giustifichi l’impatto che questa richiesta ha avuto nel processo decisionale attivato, 271 si creano i presupposti per quella che potremmo definire una forma di “marginalità interiorizzata”. L’adolescente “sente” la sua inutilità, e al tempo stesso la falsità dell’adulto che lo ha coinvolto. ™ Decorazione Si tratta dell’uso degli adolescenti per sostenere le cause degli adulti, magari coinvolgendoli in eventi per utilizzarli come decorazioni. Non c’è scuola o Centro di Formazione Professionale che non sia fiero di “mostrare” i propri utenti, belli, colti, capaci. Essi sono un biglietto da visita vivente. Soprattutto in circostanze particolari sono portatori di un messaggio promozionale che , forse, se dipendesse da loro, imposterebbero diversamente. ™ Rappresentanza formale Spesso ai giovani viene data voce, vengono invitati ad offrire il loro parere, ma sia i contenuti che le modalità espressive non sono negoziabili. La caratteristica di questa forma di non partecipazione è tutta racchiusa nella “direzione” che assume il coinvolgimento degli utenti: sono gli adulti a chiedere il parere rispetto ad una tematica o ad un’idea partorita da loro. I vincoli sono tal- mente forti che il dialogo stenta a prodursi perché lo “spazio di libero movimento” è troppo angusto. Quando si coinvolge un adolescente, occorre prepararsi al gesto creativo che porta con sé. Se non c’è spazio per l’originalità di una risposta impre- vedibile, sia nella forma che nel contenuto, è meglio non chiedere pareri. ™ Mobilitazione sociale Si tratta di forme di manifestazione collettiva delle proprie idee per denunciare o affermare principi. Spesso non sono spontanee o caratterizzate da scarsa infor- mazione. In questo caso sono gli adolescenti stessi ad attivare dinamiche che solo apparentemente sono partecipative: Il formatore può in questi casi introdurre pic- coli virus per far emergere tale dinamica, proponendosi come adulto portatore di conoscenze utili per una mobilitazione più consapevole 5. Modelli di vera partecipazione ™ Consultati e informati È una forma di democrazia partecipativa che promuove progetti o iniziative utilizzando dinamiche che non sono di co-progettazione partecipata, tuttavia gli adulti si sforzano di far conoscere: a) le intenzioni del progetto chiedendo un parere; b) chi ha deciso il coinvolgimento e perché; c) esplicitando il loro ruolo significativo dei giovani; d) l’adesione è volontaria. 272 ™ Iniziati dagli adulti, decisioni condivise con gli utenti Se oltre alla consultazione, all’informazione, vi è anche la disponibilità a pren- dere decisioni insieme allora siamo ad un buon livello nella scala della partecipa- zione. È un atteggiamento rischioso perché presuppone un’educazione attenta dei giovani (ma anche degli adulti) a controllare i meccanismi della decisione e quindi ad effettuare analisi adeguate, a decentrarsi rispetto ai propri bisogni, ad ascoltare e a comunicare in situazioni di dissonanza. Questi momenti sono altamente educativi: mettere attorno ad uno stesso ta- volo adulti e giovani per prendere decisioni che riguardano la comunità è un’espe- rienza di partecipazione politica molto efficace. ™ Avviati e diretti dagli utenti Ma il protagonismo, all’interno di un contesto democratico, è sperimentato so- prattutto quando si attivano processi a partire dalla base, quando sono gli stessi utenti ad esprimere bisogni e soluzioni. Gli adulti sono attenti a non trasformarsi in “genitori sostitutivi”, ed espri- mono fiducia. La difficoltà maggiore in questi casi consiste nel saper tollerare la frustrazione di fronte a situazioni che l’adulto non condivide pienamente. I processi attivati restano tuttavia all’interno del mondo degli utenti, nel senso che non coinvolgono gli adulti. ™ Avviati dagli utenti, decisioni condivise con gli adulti Il livello più alto di partecipazione si realizza infatti quando alcuni processi partono dagli utenti, disponibili però a negoziare le decisioni con gli adulti e a con- dividerne le conseguenze. Se infatti è abbastanza naturale che un adulto si senta di coinvolgere un gio- vane in nome di una non sempre ben definita vocazione educativa, è più strano pensare che un giovane utente abbandoni la paternità di un’idea, rischi di perderla negoziandola con un adulto, coinvolgendolo attivamente. Bibliografia N. BOBBIO, voce: «Politica», in Dizionario di politica, diretta da N. Bobbio, N. Matteucci, e G. Pasquino, Utet, Torino 1983, pp. 826-835. H. GARDNER, Personalità egemoni. Anatomia dell’attitudine al commando, trad. dall’inglese, Feltri- nelli, Milano 1995. P. HIRST, Dallo statalismo al pluralismo. Saggi sulla democrazia associativa, Boringhieri, Torino 1999. G. MAZZOLI , Formapolitica. Materiali di lavoro per le scuole di formazione all’impegno sociale e politico, Idea Duemila, Roma 1992. H. POPITZ , Fenomenologia del potere. Autorità, dominio,violenza, tecnica, il Mulino, Bologna 1990. G. TRENTINI, Oltre il potere. Discorso sulla leadership, Franco Angeli, Milano 2000. 273 MODULO 3 LA DISLOCAZIONE SUSSIDIARIA DELLA SOVRANITÀ POLITICA LEZIONE 1 LA CRISI DELLA SOVRANITÀ STATALE TRA LOCALE E UNIVERSALE. LA SUSSIDIARIETÀ VERTICALE OBIETTIVO DELLA LEZIONE: Al termine della lezione, il lettore sarà in grado di individuare alcune prospettive di soluzione della crisi dello Stato, secondo l’aspetto “verticale” del principio di sussidiarietà. CONTENUTI: 1. Morte o trasfigurazione dello Stato? 2. Come applicare la sussidiarietà verticale. 3. Unione Europea e decentramento. 4. Ritorno al Medio Evo? 1. Morte o trasfigurazione dello Stato? Da quando Kenichi Ohmae ha scritto il suo famoso libro “La fine dello Stato nazione”, è diventato quasi un luogo comune parlare di “fine dello Stato”, come si è parlato di fine della storia o di fine del lavoro. In realtà non solo lo Stato non è finito, ma nemmeno finirà. Per molti versi in molte nazioni in via di sviluppo lo Stato deve ancora venire, non è ancora stato costruito. In esse c’è bi- sogno di Stato. In altre, è vero, lo Stato inteso alla vecchia maniera, ossia come il riferimento primario della sovranità politica, ha subito vari contraccolpi. Esso tuttavia non sparirà, piuttosto dovrà ripensare il proprio ruolo e non è detto che nel nuovo ruolo non possa acquisire anche una importanza maggiore che non nel vecchio. 274 Per capire quanto sta accadendo bisogna comunque prendere atto della situa- zione di crisi dello Stato, che è di diversa origine. - Crisi sociologica Lo Stato nella sua configurazione attuale è frutto della costruzione teorica e pratica della politica nei secoli XVIII e XIX, continuata poi nella prima metà del secolo XX. La rivoluzione francese e lo Stato napoleonico ne furono le matrici moderne. Le società erano fortemente omogenee e si prestavano quindi ad essere organizzate dal centro. Non mancarono anche forti resistenze all’accentramento statalistico, come quella portata avanti dai cattolici prima e dopo la presa di Roma, ma le linee di sviluppo erano chiare: la società era subordinata allo Stato e la sin- tesi del bene comune era fatta da quest’ultimo. Sia il socialismo che il liberalismo diedero vita a Stati fortemente accentrati. Lo Stato italiano lo è rimasto fino a qualche anno fa ed ancora fatica a ripensarsi in modo nuovo. Oggi, però, la società non è più omogenea, è invece molto articolata e com- plessa ed ha sprigionato varie forme di autonomia, autogestione, creatività e sog- gettività. I singoli ambiti sociali vogliono fare da sé, diventa ingovernabile dal centro. - Crisi sociale I bisogni sociali si evolvono con grande velocità ed aumentano sempre di più, man mano che la società si fa complessa e pluralista. Essi richiedono quindi allo Stato sempre nuovi interventi. Più lo Stato interviene più si indebolisce la capacità della società di rispondere da sola ai propri bisogni. Lo Stato, quindi, è costretto a retrocedere sia perché è impossibile che riesca a soddisfare tutti i bisogni “dalla cura alla bara”, sia perché i nuovi bisogni sono più qualitativi che quantitativi e sfuggono alla competenza dello Stato, sia perché l’indebolimento della società ci- vile ha costi politici ed economici insopportabili. - Crisi economica Lo Stato costa. La sua burocrazia, le sue diramazioni locali, i suoi servizi nel campo dell’ordine pubblico, della difesa, dell’amministrazione della giustizia, della regolazione del mondo del lavoro, della tutela dei diritti costituzionali della persona, dei servizi sociali rappresentano un costo che nelle economie globalizzate appesantiscono il sistema economico di un paese rispetto ad altri. Più Stato vuol dire anche più tasse e più regole, mentre spesso non vuol dire più servizi. Meno Stato può voler dire meno tasse e meno regole, a patto che non diminuiscano i ser- vizi. Il problema è in fondo questo: razionalizzare lo Stato in modo che il suo peso in termini di costo diminuisca senza tuttavia rinunciare a servizi essenziali, anzi approfittando per far svolgere allo Stato proprio quei ruoli fondamentali che ora non riesce a fare, appesantito com’è da una miriade di compiti non essenziali e sto- ricamente superati. 275 - Crisi “regionalistica” I processi di integrazione economica, a seguito della deregolamentazione e della globalizzazione, avvengono su percorsi non più definiti dagli Stati. Per questo motivo ci sono forme di integrazione di regioni che si collocano a cavallo di diversi Stati. L’area del nord est italiano, dell’Austria, della Baviera meridio- nale, della Slovenia e della Croazia costituisce una “regione” fortemente integrata dal punto di vista economico, nonostante riguardi Stati diversi, molto più che non altre regioni appartenenti allo stesso Stato. Lo stesso dicasi per la Catalogna e la Francia meridionale, oppure la regione francese del Rodano-Alpi e le sue connes- sioni con l’Italia occidentale, la Svizzera e la Renania. Non ha quasi più senso par- lare di un’unica unità economia per l’Italia, unità economica e unità statale non co- incidono più. La dimensione dell’efficienza è quella regionale non più quella na- zionale. - Crisi finanziaria Il flusso dei capitali è ormai globale e non più limitato ai singoli Stati. Fino a qualche tempo fa era vietato esportare capitali all’estero. Oggi una simile disposi- zione sarebbe decisamente controproducente per lo Stato che la volesse applicare in quanto precluderebbe a sua volta di accogliere capitali. La liberalizzazione dei mer- cati finanziari è ormai una realtà, favorita dalla possibilità permessa dalla tecnologia informatica di investire in tempo reale in tutte le Borse. Lo Stato si trova di fronte a questo superpotere, che ogni giorni dà il voto alla sua politica. L’andamento del li- stino di Borsa dice quotidianamente al governo se la tale riforma è piaciuta agli in- vestitori internazionali oppure no. Del resto attrarre capitali e farli rimanere dentro lo Stato è la principale preoccupazione dei governi, che a questo dedicano le loro maggiori risorse mediante riforme fiscali, giuridiche ed amministrative. Obbligare i governi nazionali a rendere il proprio paese appetibile per i flussi finanziari interna- zionali è oggi la prima forma di condizionamento della finanza sullo Stato. - Crisi democratica Le democrazie moderne non passano più solamente dalla forma Stato. In molti paesi occidentali la frequenza alle urne è molto bassa, ma la vita democratica com- plessiva è molto alta. La partecipazione non passa solo attraverso i partiti e le isti- tuzioni liberali, anche se gli uni e le altre mantengono la loro fondamentale impor- tanza. Oggi la democrazia si vive anche attraverso strumenti che o travalicano l’ambito degli Stati – come i media o i movimenti di opinione internazionali – o ne prescindono sul piano locale – come una lista civica locale o forme varie di asso- ciazionismo in loco. - Crisi internazionale La presenza di molteplici organismi e istituzioni finanziare internazionali, di entità sovrastatali, di soggetti economici transnazionali rende lo Stato incapace di 276 fronteggiare molti dei problemi attuali. Le migrazioni o il traffico di droga sono fe- nomeni al di fuori della portata di un singolo Stato. Si moltiplicano gli accordi in- ternazionali, nascono nuovi organismi coma la Osce o l’Ocse e tutto ciò di fatto li- mita la sovranità statale. Ogni Stato deve sempre di più contrattare con gli altri Stati le sue politiche. L’Unione europea, poi, pone ormai ai singoli Stati numerosi divieti e vincoli: la disciplina antitrust impedisce di aiutare anche surrettiziamente le industrie statali perché inquinerebbe la concorrenza dentro l’Unione; la disci- plina monetaria impone che il dedito pubblico non superi il 3% del prodotto in- terno lordo; l’organizzazione scolastica europea impone riforme a tutti gli Stati sia per rendere equipollenti i titoli, sia per favorire la circolazione dei cervelli, sia per far sì che i giovani europei entrino nel mercato del lavoro alla stessa età. 2. Come applicare la sussidiarietà verticale Tutto questo impone alla politica statale un cambio di prospettiva. Vale la pena di ricordare ancora il principio di sussidiarietà, nella formulazione datane dalla Centesimus annus (n. 48): “Una società di ordine superiore non deve interfe- rire nella vita interna di una società di ordine inferiore, privandola delle sue com- petenze, ma deve piuttosto sostenerla in caso di necessità e aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle altre componenti sociali, in vista del bene comune”. Se applichiamo questo principio allo Stato, da un lato bisogna che esso ceda sovranità verso l’alto, mentre da un altro lato deve cedere sovranità verso il basso. Occorre però che la cessione di sovranità verso l’alto non dia luogo a “super- Stati”, altrimenti lo Stato non sarebbe più tutelato sussidiariamente ma assorbito in altro. Occorre parallelamente che la cessione di sovranità verso il basso non dia luogo a degli “Stati dentro lo Stato”, perché in questo caso mancherebbe la capa- cità dello Stato di fare da “regolatore”. In ambedue i casi la sovranità statale si moltiplicherebbe, con la moltiplicazione delle difficoltà che ora si riscontrano per gli Stati nazionali e la verticalità si irrigidirebbe. Il percorso deve essere prima di tutto culturale e di concezione: se si intende che i diritti abbiano un fondamento nella sovranità statale, allora la fonte dei diritti non può essere che lo Stato. Se invece si ritiene che i diritti abbiano altra fonte, al- lora lo Stato ne diventa il garante e non la fonte. La sussidiarietà verticale, per essere debitamente impostata dovrebbe seguire alcuni orientamenti guida, come per esempio i seguenti. - La molteplicità delle “sovranità” e degli ordinamenti Quello di sovranità è un concetto analogico. Sovrano non è solo lo Stato ma ogni persona è sovrana. Anche la famiglia ha una sua sovranità e così la società ci- vile o una comunità locale. Lo Stato non è “la sovranità delle sovranità” né è “l’or- dinamento degli ordinamenti”. Occorre allora che la sovranità venga concepita in questo modo organico, a rete e non rigidamente verticale. 277 - Partire dalla persona, ossia dal “basso” Il punto di partenza nel ridisegnare la mappa della sovranità è dal basso, ossia dalla persona umana. Poiché oggi ci troviamo di fronte per motivi storici alla con- centrazione della sovranità nello Stato, bisogna procedere con una ricollocazione di tale sovranità. Oggi, quindi, bisogna cominciare dallo Stato, ma ciò solo per mo- tivi tecnici, dato che la sovranità da ridistribuire si trova lì. Dal punto di vista lo- gico, invece, si dovrebbe partire dal basso e vedere che tipo di sovranità spetta alla persona e poi alle comunità locali e così via, fino a salire allo Stato. - Non moltiplicare i centralismi Sia i soggetti amministrativi inferiori allo Stato come ad esempio un comune sia quelli superiori, come per esempio l’Unione europea possono venire organiz- zati in modo altrettanto accentrato di quanto già non sia lo Stato. Il trasferimento di sovranità, quindi, non è di per sé una garanzia sufficiente, tutto dipende da come viene utilizzata la sovranità trasferita. - Livelli di competenze e loro raccordo Quando ci sono diversi livelli di competenze può succedere che ci siano so- vrapposizioni e contenziosi. È necessario allora il raccordo. Questo serve anche a non moltiplicare gli enti senza necessità e a fare in modo che il singolo cittadino abbia davanti a sé un unico interlocutore. L’imprenditore ha a che fare con compe- tenze comunali, regionali e nazionali. Il raccordo comporta non solo che i diversi livelli non devono pestarsi i piedi a vicenda, ma anche che l’imprenditore possa trattare con un unico interlocutore che parla sia per le competenze regionali sia per la delega delle competenze statali. - Legiferazione per principi La legislazione statalistica era mostruosa ed elefantiaca: tutto veniva meticolo- samente regolato. Ciò era conseguente all’idea della “statualità” della legge: unico legislatore veramente legittimato a legiferare era lo Stato, gli altri eventualmente lo erano per sua delega. Ora anche l’Unione Europea legifera, anche se non in senso proprio, ma emanando direttive che il legislatore nazionale deve poi recepire nel proprio ordinamento; ed anche le Regioni ormai legiferano in quanto il consiglio regionale ha potere autonomo, e non derivato dal Parlamento, di legiferare in pro- prio. Le Università hanno aumentato la loro autonomia e quindi anche la loro ca- pacità di legiferare al proprio interno. In futuro questo processo aumenterà ancora. È chiaro però che tutto ciò potrà provocare un eccesso di normazione minuta. L’U- nione europea già ha tentato di fissare il diametro dei cetrioli. Ecco perché biso- gnerà passare ad un nuovo modo di legiferare, per principi e non più per norme minute. L’autorità superiore né entra nel dettaglio, perché così facendo elimine- rebbe l’autonomia dell’inferiore, né evita di legiferare perché ciò comporterebbe l’arbitrio. L’autorità superiore darà i principi e i livelli inferiori li interpreteranno. 278 - Dalla logica del controllo alla logica della cooperazione In un sistema verticale, chi sta sopra assume il rigido controllo di chi sta sotto. Così era nella concezione piramidale dello Stato. Non si può più obbligare le im- prese a rimanere dentro i confini nazionali; obbligare una regione ad applicare taci- tamente una normativa; costringere il cittadino a pagare le tasse qui piuttosto che là. La fine della sovranità statale comporta allora un rapporto di cooperazione e di dialogo piuttosto che di controllo e di imposizione. In questo modo la politica si arricchisce nel mentre si diffonde e si riposiziona. 3. Unione Europea e decentramento L’ordinamento giudico europeo è esplicitamente fondato sul principio di sussi- diarietà. Nel Preambolo del Trattato dell’Unione Europea (comunemente detto di Maastricht) si legge che le Alte Parti contraenti – ossia gli Stati – si dichiarano “decise a portare avanti il processo di creazione di un’unione sempre più stretta tra i popoli dell’Europa, in cui le decisioni siano prese il più possibile vicino ai citta- dini, conformemente al principio di sussidiarietà”. Il Titolo I del Trattato ribadisce poi lo stesso impegno: “Il presente trattato segna una nuova tappa nel processo di creazione di un’unione sempre più stretta tra i popoli dell’Europa, in cui le decisioni siano prese il più vicino possibile ai cit- tadini”. In questo modo si fonda un principio rivoluzionario, ossia quello della “plura- lità delle fonti normative” in funzione dell’adeguatezza effettiva e reale dell’inter- vento ai fini del conseguimento dell’obiettivo fissato. L’istituzione “minore”, ossia più vicina al cittadino, risulta accreditata a titolo originario all’azione giuridica finché questa risulta adeguata al raggiungimento dell’obiettivo. In caso di sua ina- deguatezza, per sussidiarietà, ossia in modo ausiliario e integrativo, è chiamata in causa la istituzione “maggiore” ossia quella più lontana dal cittadino. La cui com- petenza, quindi, è determinata dalla reale capacità di conseguire meglio l’obiettivo di quanto non fosse la prima. Il Titolo II del Trattato, parte prima articolo 3/B, comma 2 afferma ancora più chiaramente: “Nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene, secondo il principio di sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere realizzati dagli Stati Membri e possono, dunque, per le dimensioni o gli effetti dell’azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario”. Molto probabilmente gli Stati hanno invocato il principio di sussidiarietà ver- ticale per preservare la propria sovranità dalle invadenze di un super-Stato eu- ropeo. Così facendo, però, hanno approvato un principio che a loro volta sono co- stretti ad applicare al loro interno. Infatti, per quanto riguarda l’Italia, è stato di recente inserito il principio di sussidiarietà nella Costituzione Italiana (art. 128) mediante la modifica del Titolo 279 V, che ha dato nuove autonomie e competenze alle Regioni e alle altre amministra- zioni locali. È stata anche modificata la burocrazia statale mediante una serie di leggi che giova ricordare schematicamente. Legge 439 del 1989 Ha introdotto nell’ordinamento il principio che “l’esercizio delle responsabilità pubbliche deve, in linea di massima, incombere di preferenza alle autorità più vicine ai cit tadini” Legge 142 del 1990 Ha dato attuazione all’articolo 128 della Costituzione per quanto riguarda il riordino delle autonomie locali Legge 141 del 1990 Semplifica l’azione amministrativa mirando al miglioramento dei rapporti tra cittadini e p ubblica amministrazione. Decreto Legislativo n. 29 del 1993 Attua una vera e propria rivoluzione amministrativa circa la razionalizzazione dell’organizzazione amministrativa e la revisione della disciplina del pubblico impiego. In precedenza di queste riforme l’attività amministrativa era considerata prero- gativa assoluta della pubblica amministrazione, emanazione di una autorità so- vrana. L’atto amministrativo era considerato unilaterale manifestazione dell’inte- resse pubblico. Il cittadino si trovava in situazione di passività. Quando, poniamo, il cittadino si rivolgeva alla pubblica amministrazione per chiedere una licenza per una attività commerciale si metteva in moto un processo unilaterale e coperto da segretezza. L’amministrazione istruiva la pratica come se fosse un affare proprio, valutando unilateralmente quali erano gli interessi in gioco. Al cittadino era solo consentito di impugnare la decisione per far valere le proprie doglianze. Con la legge 241 del 1990 tutto è cambiato. La situazione è di parità e simmetria, il citta- dino contribuisce all’elaborazione della decisione conclusiva mediante una parteci- pazione procedimentale e l’interesse pubblico scaturisce dal contraddittorio instau- ratosi tra l’amministrazione e i cittadini. Qualche esperto ha parlato a questo pro- posito di “coamministrazione”. 4. Ritorno al Medio Evo? Si può concludere dicendo che, dal punto di vista della sovranità politica, l’e- poca attuale sta tornando al Medio Evo, naturalmente un Medio Evo moderno ed aggiornato. In quell’epoca non c’era ancora lo Stato, non era ancora nata l’idea moderna di sovranità che si costruirà lungo i secoli grazie ai legisti del XIV secolo, alla crisi dei poteri universalistici, la Riforma protestante che unifica religione e Stato, i teorici dell’assolutismo come Bodin o Hobbes, il raccordo tra monarchia e borghesia per unificare il territorio nazionale soprattutto nell’epoca di Luigi XIV, l’accentramento della Rivoluzione francese e del Codice Napoleonico, il rafforza- mento dei compiti dello Stato nella seconda rivoluzione industriale, i totalitarismi Semplifica l’azione amministrativa mirando al miglioramento dei rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione. 280 statolatri del secolo scorso eccetera. Nel Medio Evo, invece, c’era l’ambito di so- vranità dell’Impero e del Papa, del comune o di un’Abazia, di un monastero o di una confraternita, di una Università o di una corporazione, di un Feudo o di una “Signoria di banno”, di un principato regionale o di una congregazione religiosa, di un comune cittadino o di uno rurale. La sovranità era articolata su base locale e sociale, con una molteplicità di soggetti che si autoregolavano, dettando le proprie norme interne e attuando la loro politica. L’attività politica non era centralizzata ma dislocata e i rapporti erano “in rete”, come si direbbe oggi. C’era uno spazio comune, lo spazio universale dell’Europa cristiana, ma dentro quello spazio c’e- rano a macchia di leopardo altri spazi di autogoverno. Progressivamente questi spazi vennero assorbiti dallo Stato, ma oggi, paradossalmente, si ritorna un po’ alla volta ad un sistema decentrato e orizzontale piuttosto che accentrato e verticale. Un comune era una “comunità di comunità” (Ch. Dawson), ma anche l’Impero o la Chiesa erano tali. Nel Medioevo il sistema delle sovranità dava spesso adito a sovrapposizioni, attriti e conflitti, ma c’erano anche molti elementi di raccordo e di legame reci- proco come la lingua, la religione e la cultura, che erano comuni. Oggi c’è il rac- cordo della tecnologia elettronica che permette una nuova orizzontalità politica; c’è bisogno però anche di un’etica politica universalistica e sufficientemente co- mune da raccordare almeno minimamente le diverse sovranità. 281 EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE “Nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene, secondo il principio della sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere realizzati dagli Stati Membri e possono, dunque, per le dimensioni e gli effetti dell’azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario” (Trattato dell’Unione Europea di Maa- stricht, Titolo II, art. 3/B, comma 2 ). Prova a fare un elenco di competenze che, secondo te spettano ad una regione, allo Stato o all’Unione europea: Bibliografia R. BUTTIGLIONE, Principio di sussidiarietà e modernità, in Il Nuovo Areopago XXI (2002), pp. 37-48. A. DANESE, Il federalismo. Cenni storici ed implicazioni politiche, Città Nuova, Roma 1995. R. GALULLO, Federalismo minimo, Il Sole 24 Ore, Milano 2000. F. GENTILE, Burocrazia e principio di sussidiarietà, in: Il Nuovo Areopago XXI (2002), pp. 8-36. K. O HMAE, La fine dello Stato nazione. L’emergere delle economie regionali, Baldini & Castoldi, Milano 1976. Regione Stato nazionale Unione europea 282 MODULO 3 LA DISLOCAZIONE SUSSIDIARIA DELLA SOVRANITÀ POLITICA LEZIONE 2 IL RUOLO POLITICO DELLA SOCIETÀ CIVILE. LA SUSSIDIARIETÀ ORIZZONTALE OBIETTIVI DELLA LEZIONE: Al termine della lezione il lettore potrà: - acquisire consapevolezza che il ruolo politico spetta anche alla società civile nei limiti della sua natura e specificità; - conoscere le problematiche del passaggio dal Welfare State alla Welfare Society e valutare criti- camente i vantaggi e i pericoli. CONTENUTI: 1. Il ruolo politico della Società civile. 2. Welfare State e Welfare Society. 3. Le debolezze della società civile. 4. Le trasformazioni dei partiti. 1. Il ruolo politico della Società civile Scrive la Centesimus annus che “l’individuo oggi è spesso soffocato tra i due poli dello Stato e del mercato. Sembra, infatti, talvolta che egli esista soltanto come produttore e consumatore di merci, oppure come oggetto dell’amministra- zione dello Stato, mentre si dimentica che la convivenza tra gli uomini non è fina- lizzata né al mercato né allo Stato, poiché possiede in sé stessa un suo particolare valore che Stato e mercato devono servire” (n. 49). Dice anche che lo Stato deve perseguire le proprie finalità utilizzando la solidarietà e la sussidiarietà (n. 16). Tutto ciò chiama in causa la società civile e il Terzo settore che stanno ap- punto tra il mercato e lo Stato non come un compromesso tra le due logiche (quella economica del dare e dell’avere e quella politica del consenso) ma come una via 283 propria e originale. Ci si chiede appunto se la Società civile abbia anche un ruolo politico, oltre che sociale ed economico. Per ruolo politico intendiamo la possibi- lità di partecipare ad “orientare” la vita pubblica, a partecipare alla programma- zione del futuro, delle politiche sociali, economiche, familiari in genere. Politica significa governare la polis, orientare la prassi collettiva verso obiettivi comuni. Le associazioni familiari hanno solo scopi rivendicativi oppure hanno il di- ritto-dovere di collaborare con un Comune per dare il loro contributo alle politiche familiari? La cooperazione sociale deve intervenire solo laddove il Comune o l’Asl non ce la fa, oppure è chiamata anche a dire la propria visione delle politiche so- ciali e a collaborare alla loro definizione? Le associazioni di volontariato nel campo della tutela ambientale devono solo pulire i parchi perché il Comune possa risparmiare o anche collaborare alle politiche ambientali fornendo idee e progetti? La società civile ha un originario compito politico, essa non è solo chiamata a risolvere i bisogni di maggiore virulenza ed emergenza, oppure a tappare i buchi delle disfunzioni della pubblica amministrazione. Essa può e deve anche dare il proprio contributo alla definizione dell’agenda politica e alla predisposizione di politiche degne di questo nome, che tengano realmente conto della competenza anche politica di chi lavora sul campo. Ci sono almeno cinque buoni motivi per so- stenere il ruolo politico della società civile. - La maggiore conoscenza dei bisogni Essa conosce i bisogni reali molto meglio dei tecnici dell’amministrazione pubblica, in quanto li vive direttamente, ne è continuamente a contatto e vi si im- pegna quotidianamente. Si può dire che essa sia più prossima al bisogno, e chi è più prossimo al bisogno lo conosce meglio e sa come intervenire in modo più effi- cace e solidale nello stesso tempo. - La flessibilità e duttilità Una cooperativa sociale o una struttura di volontariato sono strutture molto agili, in grado di finalizzarsi a nuove emergenze in breve tempo, di riconvertirsi in fretta a nuove attività, di inventare nuove modalità di procedere. - La capacità di anticipare i bisogni Per il motivo appena detto, la società civile ha delle antenne molto sensibili. I suoi organismi sono inseriti nelle pieghe della società e ne colgono subito i muta- menti. Sono quindi in grado di dire quando una politica è ormai superata perché ta- rata su bisogni non più attuali, oppure se è una politica innovativa perché intercetta i bisogni del domani. - L’esperienza della democrazia Tutte le realtà della società civile vivono democraticamente, una testa è un voto, e quindi garantiscono anche una partecipazione politica non di élite ma vera- mente popolare e di base. 284 - L’assenza di fini di lucro Le realtà della società civile sono tutte non-profit e sono quindi portatrici di disinteresse e gratuità. Sono espressivi di una cultura del dono e della reciprocità e quindi possono portare nella politica un contributo anche ideale di collaborazione al bene comune. 2. Welfare State e Welfare Society Il capitolo 48 della Centesimus annus affronta il tema dello Stato assistenziale o Stato del benessere (Welfare State). Giovanni Paolo II afferma che le disfunzioni nella sua realizzazione derivano dal fatto che non è stato pienamente capito e rea- lizzato il principio di sussidiarietà. Da qui alcune conseguenze negative: “Interve- nendo direttamente e deresponsabilizzando la società, lo Stato assistenziale pro- voca la perdita di energie umane e l’aumento esagerato degli apparati pubblici, do- minati da logiche burocratiche più che dalla preoccupazione di servire gli utenti, con enorme crescita delle spese”. Lo Stato assistenziale ha per molto temo avocato a sé la competenza politica dell’analisi dei bisogni, della loro determinazione, della predisposizione di politiche adatta a risolverli, mentre tale responsabilità deve ormai essere assunta assieme alle strutture della società civile. La Welfare Society, ossia un sistema di auto-aiuto e di solidarietà che non uti- lizzi solo i canali istituzionali dello Stato, ma anche la “soggettività della società civile” (Centesimus annus n. 49) può permettere di affrontare i problemi sfruttando meglio alcune risorse che, nell’ottica del Welfare State sembrano scarsamente capi- talizzabili. Vediamone alcuni a titolo di esempio: - La partecipazione Una società che sa esprimere anche indirizzi politici, consigli e correttivi alle istituzioni, non solo bisogni ma anche ipotesi di soluzione e progetti è una società che partecipa. Ciò ha un chiaro valore politico in senso democratico e costituisce un valore aggiunto rispetto ad una programmazione politica che cala dall’alto senza coinvolgimento dei cittadini e delle loro organizzazioni. La politica, come diceva Don Milani, è “sortirne insieme” e quella parola – “insieme” – fa veramente la differenza, dato che nella società di oggi si partecipa sempre meno per un certo individualismo privatistico, sia per i ritmi di lavoro sempre più stressanti, sia per la crisi della politica. La società civile può contribuire a rafforzare le identità collet- tive e a farsi carico in comune dei problemi comuni. - La valorizzazione del territorio Una adeguata valorizzazione politica della società civile può far superare forme di localismo ristretto e miope e riscoprire le risorse umane che esistono nel territorio. La sintesi culturale e politica in ambito locale avviene solitamente nelle istituzioni politiche, dovrebbe avvenire anche nella società civile. 285 - Il rinnovamento della politica Affidando alla società civile un ruolo politico si possono selezionare persone nuove, fornire nuove motivazioni ai programmi politici, rivitalizzare i partiti, spe- rimentare nuovi metodi di decisione più partecipata. - Il contributo allo sviluppo La società civile può dare un grande contributo politico ad uno sviluppo non standardizzato secondo i modelli della società di massa, ma proporzionato ai sin- goli, alle famiglie, alle varie realtà presenti nella società. È così possibile passare da una universalità di uguaglianza (prestazioni uguali per tutti) ad una universalità di diversità (prestazioni per tutti, ma commisurate alle persone e alle comunità). 3. Le debolezze della società civile Nel momento stesso in cui si rivendica alla società civile un suo giusto ruolo politico, occorre contemporaneamente metterne in luce i limiti. Essa non può sosti- tuirsi immediatamente e totalmente alla politica nel senso istituzionale del termine. Servono anche i politici di professione, i partiti, il confronto politico per la ge- stione del potere. Spesso si è contrapposta la società civile alla politica come il bene al male ed è stato negativo. Del resto non è sufficiente pescare nomi nuovi dalla società civile e proiettarli nei partiti per rinnovare la politica. Il ruolo politico della società civile deve accompagnarsi, con specificità proprie, a quello dei par- titi: ognuno deve rimanere se stesso. Da un punto di vista politico è allora bene puntualizzare anche i limiti della società civile. - La dipendenza ancora eccessiva dalle istituzioni Prendiamo per esempio l’autonomia della società civile nel settore dei servizi sociali: per il 61% essa dipende ancora dai finanziamenti pubblici. Le realtà della società civile attive nell’ambito sanitario dipendono da finanziamenti istituzionali per il 72%. Quelle che si occupano di handicap addirittura per l’87%. In questa si- tuazione è difficile che la società civile esprima una partneship politica paritaria. Accade piuttosto il contrario: la progettualità politica è ancora totalmente in mano agli ambiti istituzionali, è il pubblico che fissa gli obiettivi politici a cui le realtà della società civile poi devono adeguarsi per poter entrare nella logica dei finanzia- menti e degli appalti. - L’eccessiva frammentazione La società civile è vitale ma è anche molto frammentata e trova difficoltà ad esprimere orientamenti comuni. Sono in atto interessanti attività di collegamento. Per esempio in Italia il Forum del Terzo settore che raccoglie e coordinate molte realtà di volontariato e cooperazione sociale; il Forum delle associazioni familiari 286 che coordina appunto una rete di associazioni che difendono la famiglia; le varie as- sociazioni di categoria delle cooperative sociali che aderiscono a Confcooperative, alla Lega delle Cooperative, alla Compagnia delle Opere non-profit oppure alla MAG. Tutto ciò ha un notevole significato e infatti accade spesso che simili orga- nismi si pronuncino sulle Leggi finanziarie del governo oppure su specifiche poli- tiche sociali o del lavoro. È auspicabile che questi collegamenti aumentino e raffor- zino sempre di più la voce politica della società civile, ma attualmente ne siamo piuttosto lontani. Ciò è provato, per esempio, dalla notevole concorrenza che esiste tra le realtà non-profit della società civile che penalizzano spesso gli organismi meno strutturati a favore delle grandi imprese sociali. Ci si dimentica di portare avanti un progetto comune e si attua una sorta di “aziendalizzazione del sociale” e la qualità dei servizi resi viene subordinata all’occupazione di spazi in concorrenza con altre realtà (vincere una gara di appalto, beneficiare di determinati finanziamenti). - Il nuovo assistenzialismo Il Welfare State viene accusato di assistenzialismo, ossia di non emancipare la persona ma di renderla dipendente dalla struttura pubblica. Ma questo accade spesso anche nelle iniziative messe in atto dalla società civile. Può accadere che l’utente venga considerato funzionale alla cooperativa sociale che eroga un servizio proprio come prima veniva considerato funzionale all’apparato burocratico dello Stato. In questi casi l’utente diventa uno strumento, mentre dovrebbe essere il fine. La sua emancipazione renderebbe inutile la struttura, che invece vuole perpetuarsi conside- randosi al centro del rapporto. Se la società civile rimane afflitta da questa mentalità non riuscirà ad esprimere un ruolo politico alternativo o qualitativamente diverso. - La carenza di professionalità politica La società civile conosce bene i bisogni, meglio del politico di professione, ma scarseggia in professionalità politica, ossia in capacità di sintesi nell’ottica del bene comune. Cosa deve saper fare un politico? Egli non deve saper fare questo o quello, perché allora sarebbe un tecnico. Egli deve saper ascoltare le istanze che emergono dalla società e saperle sintetizzare in una proposta politica che dia a cia- scuno il suo senza nuocere al bene comune. In altre parole deve rispondere ai bi- sogni inserendoli però in una visione di insieme. La società civile non sempre ri- esce a fare questo, presa com’è dall’ottica del singolo problema o di un certo gruppo di problematiche. Da qui una sua intrinseca debolezza politica che la spinge fino ad un certo punto ma impedisce che essa si sostituisca alla politica pro- priamente detta. Il programma di un partito, il programma di una giunta, di un as- sessorato o di un ministero non possono essere sostituiti dalla programmazione po- litica della società civile. Possono essere aiutati. - La dipendenza dai partiti La società civile esprime al meglio le proprie capacità politiche se è libera. La libertà è condizione di creatività. Spesso invece anche alcune fette della società ci- 287 vile sono infeudate nei partiti, mantengono un rapporto privilegiato e perfino clien- telare con un uomo politico. Questo rapporto con la politica propriamente detta è indispensabile per la società civile, altrimenti essa non riesce a portare il proprio contributo ai luoghi ove si attua la programmazione politica e si decidono le poli- tiche familiari, sociali, del lavoro eccetera. Se vuole influire efficacemente su questo ambito, essa deve avere molteplici collegamenti con il mondo della politica. È anche inevitabile e perfino giusto che la società civile cerchi una rappresentanza politica. Una certa concezione della cooperazione, per esempio, o della natura delle Fondazioni – per accennare a due dibattiti tuttora molto accesi nel nostro Paese – è giusto che cerchi di trovare un raccordo con i politici e i partiti disposti a farne una bandiera politica. Sta ad ambedue le parti impostare le cose senza che ciò comporti una sudditanza e un irrigidimento di rapporti che non sarebbe utile né alla società civile né alla politica. 4. Le trasformazioni dei partiti Quanto è stato affermato sul ruolo politico della società civile nulla toglie al ruolo svolto dai partiti. Anzi, in un certo senso accentua questo ruolo in quanto proprio i partiti sono la via principale di raccordo tra la società civile e le istitu- zioni. Il partito politico ha almeno tre funzioni che non può delegare a nessun’altra realtà. La prima è quella di coagulare, condensare la proposte emergenti dalla so- cietà civile mediante la determinazione di un programma politico. La seconda è di selezionare le élite politiche, ossia la classe dirigente. La terza è di essere scuola di formazione politica. Per poter svolgere queste funzioni, però, il partito ha bisogno non di chiudersi rispetto alla società civile ma di aprirsi e portare avanti un continuo dialogo. Nella storia sono state realizzate varie forme di partito: - il partito di massa: radicato e diffuso nel territorio mediante sezioni e migliaia di militanti; - il partito Chiesa: fondato sull’ortodossia ideologica e su una rigida organizza- zione gerarchica; - il partito di opinione: destrutturato, privo di tessere, capace di incidere sulla cultura e l’opinione pubblica, che si aggrega in vista delle elezioni e ridiventa movimento culturale dopo; - il partito “pigliatutto” : leggero, che adopera i media, organizzato come il con- siglio di amministrazione di un’azienda, seleziona i dirigenti per cooptazione dall’alto. - il partito “personale” : fondato su un leader carismatico. Non c’è dubbio che i partiti in futuro avranno una struttura leggera, si radiche- ranno tramite circoli, o clubs e avranno un contatto articolato ma ricco con la so- 288 cietà civile. Di questa i partiti rappresenteranno politicamente non tanto gli inte- ressi materiali, quanto sempre di più gli interessi culturali. Mentre la società si sta smaterializzando sarebbe un paradosso che non si smaterializzasse anche la rappre- sentanza politica. In futuro il dialogo politico tra società civile e partiti è destinato ad aumentare e nello stesso tempo a farsi leggero, articolato, vivace. EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ E LA FAMIGLIA Il principio di sussidiarietà orizzontale è da applicarsi anche alla famiglia: “La famiglia, ossia la società domestica, è società piccola ma vera ed anteriore ad ogni civile società; perciò con diritti ed obbligazioni indipendenti dallo Stato” (n. 9). “Come la convivenza civile così la famiglia, secondo quello che abbiamo detto, è una società retta da potere proprio, che è quello paterno. Entro i limiti determi- nati dal fine suo, la famiglia ha dunque, per la scelta e l’uso dei mezzi necessari alla sua conservazione e alla sua legittima indipendenza, diritti almeno uguali a quelli della società civile. Diciamo almeno uguali, perché essendo il consorzio domestico logicamente e storicamente anteriore al civile, anteriori altresì e più naturali ne debbono essere i diritti e i doveri” (n. 10). “È dunque un errore grande e dannoso volere che lo Stato possa intervenire a suo talento nel santuario della famiglia. Certo, se qualche famiglia si trova per avventura in sì gravi ristrettezze che da sé stessa non le è affatto possibile uscirne, è giusto in tali frangenti l’intervento dei pubblici poteri, giacché cia- scuna famiglia è parte del corpo sociale” (n. 11). Secondo te, la famiglia o le famiglie organizzate come possono contribuire con le istituzioni ad essere protagoniste delle politiche sociali? Fa’ degli esempi concreti. Bibliografia ACLI, Il Welfare che verrà. La nuova frontiera dei diritti nel tempo della globalizzazione, Monti, Saronno 2003. P. DONATI - I. COLOZZI , Generare il civile: nuove esperienze nella società italiana, Il Mulino, Bologna 2001. P. DONATI (a cura di), Lo Stato sociale in Italia. Bilanci e prospettive, Mondatori, Milano 1999. M. TOSO, Welfare Society. L’apporto dei pontefici da Leone XIII a Giovanni Paolo II , LAS, Roma 1995. F. GARELLI - M. SIMONE, Quale società civile per l’Italia di domani? Atti della 43ma Settimana sociale dei cattolici italiani, Il Mulino, Bologna 2000. AREA 7 LE SFIDE DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE MICHELE VISENTIN INDICE Modulo 1 - L’unità della famiglia umana Lezione 1 - La famiglia dei popoli nella globalizzazione Lezione 2 - L’educazione interculturale nella FP Modulo 2 - Povertà e sviluppo Lezione 1 - La scelta preferenziale per i poveri e i nuovi problemi dello sviluppo Lezione 2 - Sviluppo sostenibile e consumo critico Modulo 3 - Nuovi orizzonti della pace e della guerra Lezione 1 - Oltre la retorica della pace Lezione 2 - La società civile internazionale e il suo ruolo pacificante 291 MODULO 1 L’UNITÀ DELLA FAMIGLIA UMANA LEZIONE 1 LA FAMIGLIA DEI POPOLI NELLA GLOBALIZZAZIONE OBIETTIVI DELLA LEZIONE: Al termine della lezione, il formatore sarà in grado di: - riconoscere le questioni poste dal fenomeno della globalizzazione; - considerare gli aspetti positivi e negativi del fenomeno; - delineare le sfide poste all’educazione e avviare qualche iniziativa di carattere progettuale. CONTENUTI: 1. La globalizzazione come fatto. 2. La globalizzazione come fatto culturale. 3. Le possibili iniziative sul piano educativo. Il mondo ordinato non è l’ordine del mondo. Martin Buber L’uomo si confronta coscientemente con il mondo che lo circonda. Confronto: è un atto molto complesso. Primo, perché il mondo ci circonda da ogni parte, ci riguarda sotto ogni aspetto; secondo, il mondo è assai vario, complicato, difficile, tanto che reclama studio, analisi, riflessione, ordina- mento delle nozioni e delle idee, che esso fornisce. Sforzo, questo, che non finisce mai: si preferirebbe talvolta rinun- ciarvi e procedere alla buona, senza porsi i problemi innume- revoli nascenti da questo confronto fra l’io ed il mondo. Per di più, terzo, il mondo cambia, e quanto e come cambia! Così che ci si trova spesso disorientati, e quasi estranei nel mondo, che chiamavamo nostro e non è più il nostro. I problemi cre- scono. Tutto sembra diventato problema. La nostra sicurezza è scossa, la nostra tranquillità è perduta. Che cosa fare? Noi credenti, noi cristiani? Paolo VI 292 1. La globalizzazione come fatto Più il villaggio diventa globale, più diventa necessario darsi delle regole di comportamento per il rispetto dei beni che l’uomo ha ricevuto in custodia da Dio creatore. La globalizzazione non è una forza del male, ma sono necessarie delle regole e delle condizioni precise perché possa sviluppare tutte le sue caratteristiche posi- tive. Il primo passo da fare, in uno sforzo di comprensione della realtà della globa- lizzazione, è quello di imparare a riconoscerne la portata epocale individuandone le premesse storiche e culturali essenziali. Così la globalizzazione, in quanto pro- cesso totale che fa del capitalismo l’ordine del mondo, richiede ad ogni sfera del- l’esperienza sociale costanti dinamiche di modernizzazione. In questo modello di società l’arte e la scienza, la politica ed il diritto, la morale e la religione non pos- sono rivendicare alcuna autonomia dall’economia, la quale condiziona tali ambiti dettando e determinando i criteri orientativi, il linguaggio, i tempi e i modi della loro evoluzione. Sostenere che la globalizzazione sia una cultura può essere riduttivo se non si precisa che essa è tale in un modo piuttosto speciale. La peculiarità di questo feno- meno è data da due fattori: l’estensione effettivamente planetaria della presenza di un simile modello, a prescindere dal considerare se esso sia di volta in volta subìto, accolto o contrastato; l’aumento del grado di automatismo con cui le informazioni e gli imperativi del modello innervano l’ethos collettivo e i comportamenti quoti- diani. Così la globalizzazione è la metafisica del nostro tempo. Per porsi come cultura globale la globalizzazione non poteva non scaturire da un’origine ideale, filosofica, progettuale, utopica. Essa si pone come la modernità dominante. La libertà dei moderni è quella per cui l’uomo conferisce a se stesso, senza vincoli e condizionamenti, la propria identità. Non si tratta solo del potere di fare, ma del potere di essere, di diventare, di trasformare se stessi ed il mondo. Il fatto che il titolare di una simile libertà sia identificato nell’individuo preannuncia che non appena essa cercherà di realizzarsi, l’unico vero ostacolo sarà dato dall’esi- stenza e dalla libertà dell’altro. Per questa via, a poco a poco, trova cittadinanza l’idea che esistere significhi competere. La competizione, assunta come l’espres- sione naturale di quella libertà che è la sostanza stessa della dignità umana, diviene la prassi dell’affermazione di sé attraverso la negazione degli altri. Sul piano filoso- fico e scientifico essa viene assunta e resa normativa dall’individualismo metodolo- gico dell’antropologia borghese. L’uomo è libero proprio perché cosmicamente so- litario e dominatore della natura attraverso il lavoro, la scienza, la tecnologia. La crisi petrolifera culminata nel 1973, segnando la fine del sogno di uno svi- luppo illimitato e il risveglio in una grave recessione, induce una reazione guidata, nell’establishment dei paesi occidentali, dalla convinzione di dover ridefinire a loro vantaggio, in modo inedito e più sicuro, i rapporti di forza su scala mondiale. Il vertice di Rambouillet nel novembre del 1975, dove si riuniscono i sei paesi al- 293 lora dominanti (Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania federale, Italia, Giap- pone), segna la decisione politica di dare avvio a una deregolamentazione generale dell’economia e di una riaffermazione della potenza occidentale tale da indurre i paesi produttori di petrolio ad atteggiamenti più docili. Tenendo conto di questo passaggio, appare chiaro che la globalizzazione non è una mutazione spontanea del capitalismo tradizionale, ma è in buona misura, anche se non del tutto, il frutto di una deliberata iniziativa politica della metà degli anni Settanta. Questo termine inizia a circolare agli inizi degli anni Ottanta e di- viene a poco a poco di uso comune anzitutto per indicare l’eliminazione di quei vincoli statali che possono ostacolare il libero movimento dei capitali, poi per desi- gnare sinteticamente un insieme di fenomeni interconnessi che rivoluzionano, con il sistema economico, la vita quotidiana su scala planetaria e di massa. 1. La liberalizzazione della circolazione dei capitali Mentre il compromesso dello stato sociale prevedeva, sul fondamento norma- tivo delle costituzioni e sulla base culturale del consenso sociale che riscuoteva, la necessità di mantenere la libertà del capitale entro i confini di compatibilità dei di- ritti umani e delle tutele proprie dello stato sociale stesso, l’avvento della globaliz- zazione delegittima e scavalca quei confini, conferendo ai capitali una sorta di im- munità extrapolitica e di libertà assoluta. Si afferma così una dei paradossi tipici della globalizzazione, quello per cui la libertà dei capitali diventa inversamente proporzionale alla libertà delle persone. 2. L’estensione mondiale del mercato capitalista La deregolamentazione a favore della libertà dei capitali s’intreccia con il pro- cesso di creazione di un unico mercato mondiale di tipo capitalista, in cui le merci possono essere prodotte, acquistate e vendute senza riguardo per le differenze delle geoculture. 3. La deterritorializzazione Una simile trasformazione non coinvolge solo l’istituzione del mercato, ma in genere ogni segmento del sistema economico. È l’economia in quanto tale, per così dire, a scorporarsi completamente dal suo alveo territoriale. Lo spazio non ha più connotati di valore e di orientamento relativi alla nazione, alla tradizione, alla comunità locale. Così le imprese, le banche, i centri di comunicazione possono dis- locarsi ovunque e, di norma, lì dove è più vantaggioso che siano disposti. È evi- dente la conseguenza etico-sociale di tale svolta. Se prima l’economia già recalci- trava nel rapportarsi al bene comune di una realtà sociale in cui pure era inserita e in cui le appartenenze geografiche, sociali, familiari contavano qualcosa, ora essa letteralmente non vede un bene comune perché non ha alcuna comunità di riferi- mento. La deterritorializzazione opera già come un potente fattore di deumanizza- zione e di deresponsabilazzione dell’economia. 294 4. L’accelerazione e l’avvento del tempo reale L’impulso a modernizzare, a competere, a estendere la propria potenza è tut- t’uno con l’impulso ad accelerare. Competitività è, anzitutto, velocità. L’uomo glo- balizzato è un “homo currens” L’ironia sta nel fatto che il cosiddetto “tempo reale” in cui avvengono le sue operazioni, grazie al sistema informatico, è in verità un tempo polverizzato, assottigliato all’istante, dunque irreale. Il vivere accele- rando, nella quotidianità, ha, come sappiamo, un impatto distruttivo perché altera, impoverisce o impedisce la cura di sé e l’attenzione agli altri, la pratica delle rela- zioni e l’esercizio del pensiero critico. Questa morte dei tempi naturali ed umani a vantaggio dei tempi della produzione e della competizione è uno dei mutamenti antropologici più pericolosi indotti dalla cultura della globalizzazione. 5. L’interconnessione globale della rete informatica Le trasformazioni citate sinora non sarebbero state possibili senza la rivolu- zione microelettronica e la riorganizzazione della comunicazione su scala mon- diale attraverso i computers, Internet, i media informativo-pubblicitari e il poten- ziamento dei mezzi di viaggio e di trasporto delle merci. Questo apparato comuni- cativo planetario, che evoca l’idea del villaggio globale di cui parlava Mc Luhan, funziona, da un lato, come un gigantesco sistema di specchi in cui la parte emer- gente della società globalizzata ritrova l’immagine della propria vita come normale e desiderabile e, dall’altro, come una rete di vie operative attraverso cui rendere ef- ficaci decisioni di natura economica e finanziaria. 6. Il predominio dell’economia virtuale su quella concreta Molti analisti hanno sottolineato la rilevanza del mutamento per cui al centro dell’economia globalizzata non si pone più il processo produttivo come tale con i suoi elementi concreti, umani e materiali: i lavoratori, l’imprenditore, le materie prime, le macchine e le strutture aziendali, la catena distributiva. Ora è prioritaria l’economia virtuale dei giochi di borsa, delle speculazioni e delle manovre finan- ziarie attraverso cui il capitale riproduce se stesso emancipandosi dalla sfera pro- duttiva vera e propria e anzi condizionandola in modo determinante. Facendo rife- rimento a questo fenomeno si è coniata l’espressione casino-capitalism (capita- lismo d’azzardo) per indicare come il capitalismo contemporaneo funzioni come una sorta di gioco da tavolo planetario indifferente ai destini umani e al nesso tra organizzazione economica e riproduzione materiale delle condizioni di vita. 7. La flessibilità nell’organizzazione del lavoro e delle imprese Adattarsi in modo efficace alle nuove condizioni dell’attività economica im- pone di abbandonare ogni rigidità negli schemi organizzativi, nelle identità di ruolo e nelle prestazioni. Questa regola vale per il lavoro individuale, per cui cia- scuno deve tenersi pronto a mutare mansioni, tempi e modalità di impiego, nonché 295 ad aggiornare la propria formazione tecnica, ma vale anche per l’azienda in quanto tale. La flessibilità è così l’atteggiamento vitale permanente richiesto ai soggetti singoli e a quelli collettivi per evitare di essere superati dal divenire del mercato e dalle prestazioni della concorrenza. È evidente che la soggettività flessibile sosti- tuisce a qualsiasi criterio connesso all’identità, alla comunità, alla dignità, ai diritti e alle aspirazioni umane il criterio di un iperadattamento incessante all’ambiente che realizza paradossalmente, in caricatura, l’utopia della libertà come arbitrio on- tologico, quella che avrebbe permeso all’uomo di diventare qualunque cosa avesse voluto. 8. Il trasferimento di sovranità dai popoli e dagli stati alle imprese e al mercato Questo punto è di cruciale importanza. Un dato evidente e sottolineato in tutte le analisi della globalizzazione è quello per cui la crescente potenza dei gruppi fi- nanziari e delle maggiori imprese transnazionali ha ridimensionato e spesso reso marginale il potere degli stati nazionali. Ciò determina un trasferimento di fatto della tradizionale sovranità statale, che nelle democrazie costituzionali esprime in ultima istanza la sovranità del popolo, a queste nuove concentrazioni di potenza economica. Ma lo sguardo dell’analista non può fermarsi a questo spostamento e ritenerlo compiuto. In realtà – ed è il paradosso forse più pericoloso della globaliz- zazione – i soggetti umani che detengono una posizione di potenza e di privilegio nel capitalismo globale sono a loro volta soltanto dei funzionari, figure di una so- vranità che è altrove, dispersa e nascosta nel gioco autoregolato delle borse e del mercato. Si tratta quindi di una sovranità oggettiva, non controllata effettivamente e completamente da nessun soggetto umano, per quanto potente. Il mito di un pro- gresso automatico, garantito da quella libertà di iniziativa economica e finanziaria che riconosce solo nel mercato il suo sovrano, comporta il rischio altissimo di una storia priva di un vero orientamento da parte delle soggettività umane. Se le cose stanno così, i due nuclei concettuali costitutivi dell’ideologia liberista, l’individua- lismo e l’utilitarismo, risultano pateticamente illusori. Tutti, anche i più potenti, sono fungibili, interscambiabili e devono sottostare alle condizioni, piuttosto dure per chiunque, della globalizzazione. 9. La mutazione genetica delle istituzioni È naturale che tale trasferimento di sovranità – dalle soggettività politiche a quelle economiche e poi a quelle del mercato autoregolato – determini una vera e propria mutazione genetica delle istituzioni. Lo stesso stato entra in una condi- zione di doppia identità: debole e quasi delegittimato in quanto stato sociale e di diritto, attivo in senso capitalistico in quanto soggetto autonomo. La domanda, im- plicita o esplicita, per molte istituzioni è attualmente: “Che cosa vuole il mercato?” A livello delle istituzioni sovranazionali si registra, invece, una dicotomia elo- quente: le istituzioni nate per rendere operativa la sovranità comune dei popoli – le Nazioni Unite e i loro organismi – versano in un’agonia prolungata, mentre le isti- 296 tuzioni sovranazionali economiche del sistema capitalista sono effettivamente do- tate di efficacia. La mutazione genetica delle istituzioni sancisce e tende a perpetuare un ordi- namento giuridico che anziché eliminare le disparità nella tutela dei diritti umani e civili le assume come condizione vantaggiosa per il funzionamento del capitalismo globale. Gli investimenti e l’impiego di manodopera nelle aree geopolitiche con minore protezione dei diritti garantiscono costi ridotti e profitti più alti alle im- prese. Senza l’esistenza di queste disparità e zone franche nell’ordinamento giuri- dico considerato su scala mondiale la globalizzazione stessa non sarebbe possibile e dovrebbe semmai mutarsi in una forma inedita di interdipendenza. In tal senso il contrario della globalizzazione non è il localismo, ma la giustizia. 10. L’erosione del legame sociale, la crisi delle identità comunitarie e la ridu- zione delle culture a schema di sopravvivenza A questo proposito gli analisti parlano, con espressione gentile, di “erosione” del legame sociale volendo sottolineare che, dinanzi agli imperativi che esigono da ciascuno di competere, di accumulare, di rendersi flessibile, di perseguire sempre l’interesse privato e il profitto e di fare tutto ciò il più velocemente possibile, le identità collettive e le relazioni personali vengono sistematicamente sacrificate. Questa tendenza a sradicare le tradizioni, le appartenenze, le storie, le identità trova espressione, da un lato, nello schema quotidiano di comportamento degli in- dividui nelle aree del benessere e, dall’altro, nei grandi movimenti migratori dei popoli svantaggiati o impoveriti verso quelle aree. È noto come il fatto che la ne- gazione della memoria, della cultura e delle autonome possibilità di vita dei popoli comporti spesso reazioni di volta in volta fondamentaliste, integriste, xenofobe, razziste, secessioniste, che sollevano rivendicazioni incentrate sull’esclusivismo religioso, etnico, culturale, socio-economico e territoriale, nonché sulla nostalgia per soluzioni autoritarie. Il risultato è che l’umanità contemporanea, chiamata per responsabilità storica a trovare finalmente un’unità dialogica, interculturale e de- mocratica inedita, si dibatta tra il falso progresso dell’unificazione sotto il mercato capitalistico e l’evidente regresso dei particolarismi ostili a qualunque forma di al- terità. Una conseguenza poco considerata, ma antropologicamente devastante sta nel fatto che l’educazione delle nuove generazioni, a qualunque latitudine, richie- derebbe ben altro che un contesto culturale segnato dall’individualismo e dall’an- nichilimento dei valori non mercantili e delle tradizioni. La relazione educativa esige invece una trama di forme comunitarie di esistenza, di relazioni dialogiche, di luoghi adatti ad apprendere ed esercitare il pensiero critico. 11. La stabilizzazione della precarietà e dell’insicurezza Nessuno, soprattutto quanti sono collocati negli strati bassi e medi della so- cietà, può contare su garanzie che rendano la sua vita relativamente sicura sul piano dei diritti, della qualità della convivenza e dell’ambiente naturale in cui si è 297 inseriti. La globalizzazione esprime la condizione dell’umanità in un’epoca d’an- goscia. D’altronde, non si deve ignorare che la precarizzazione delle condizioni di vita del cittadino medio e soprattutto di quanti vivono come schiavi deriva dall’im- pulso del sistema capitalistico a innalzare per contro il livello di stabilità e di estensione del controllo sociale. La globalizzazione riesce a coniugare il massimo di controllo possibile sui dipendenti e sugli individui in genere e il minimo di con- trollo possibile sui capitali e sulla dirigenza delle imprese. In confronto alla libertà di cui godono questi ultimi appaiono patetici i capi di governo del G8, costretti a rifugiarsi, per realizzare i loro incontri al vertice, nei posti più inaccessibili del pia- neta in modo da evitare le contestazioni. 12. L’aggravamento del degrado ambientale L’impatto ambientale delle trasformazioni prodotte dal processo di globalizza- zione ha acuito sistematicamente la portata dei principali fattori di crisi ecologica su scala mondiale. La riduzione delle specie viventi, l’inquinamento delle falde ac- quifere, gli squilibri nel sistema di produzione agricola e l’introduzione degli ali- menti con organismi geneticamente modificati, i problemi legati alla crescita de- mografica soprattutto nel Sud del mondo, l’effetto-serra e le alterazioni del clima del pianeta, la potenza d’inquinamento e il progressivo assottigliarsi delle fonti energetiche prevalenti, l’incuria per tutti gli elementi che producono o favoriscono le cosiddette “calamità naturali”, il diffondersi nella quasi impunità dei crimini am- bientali: tutti questi fenomeni hanno conosciuto un balzo in avanti con l’avvento del capitalismo globale. 2. La globalzzazione come fatto culturale Per fare un passo avanti nell’analisi è necessario a questo punto capire quale sia il disegno risultante dai movimenti essenziali della società in regime di globa- lizzazione. Qual è la direzione che assume il divenire della convivenza interumana in queste condizioni? Nel cercare di mettere meglio a fuoco la direzione e il significato della globa- lizzazione rispetto alla vita e al futuro della società, gli studiosi più critici, da Serge Latouche a Zygmunt Bauman, da Susan George a Ignacio Ramonet, parlano della globalizzazione come di una nuova e specifica forma di totalitarismo. Nel soste- nere questa lettura essi sottolineano che il “globalitarismo” è, prima ancora che un fatto economico, un fenomeno culturale. ASPETTI POSITIVI: • apertura degli orizzonti a tutto campo; • sprovincializzazione; • policentrismo; • scambio planetario delle informazioni, delle idee e dei prodotti; 298 • domanda di un Governo mondiale; • mobilità umana da un continente all’altro; • riduzione del principio di sovranità degli Stati-nazione; • recupero della memoria storica e difesa dell’identità culturale. ASPETTI NEGATIVI: • concentrazione del potere nelle mani di pochi; • tendenza all’omologazione culturale; • rischio del pensiero unico; • monopolio dei sistemi di comunicazione; • evaporazione del territorio, delocalizzazione, non-luoghi; • sradicamento culturale; • perdita dell’identità e delle radici; • idolatria del mercato, primato dell’homo oeconomicus; • darwinismo sociale; • aumento delle patologie dell’insicurezza (smarrimento, stress, localismi, fon- damentalismi, New Age …). Ma ci sono altri aspetti che non possono essere assolutamente sottovalutati: la globalizzazione è un fenomeno di portata planetaria che sta avvenendo senza re- gole e a tutto vantaggio dell’emisfero ricco del mondo, come confermano i se- guenti dati. Nel Nord, dove vive appena il 20% della popolazione mondiale, tro- viamo concentrati: • il 60% delle risorse alimentari; • il 70% dell’energia; • il 75% dei metalli; • l’81% del commercio; • l’83% del reddito; • il 90% dei risparmi; • il 95% dei prestiti bancari-commerciali; Dunque, un pianeta profondamente diviso: uno squilibrio strutturale; un’ingiu- stizia crescente. Nonostante questi evidenti squilibri, non si tratta di rifiutare (qua- lora fosse possibile) il processo di globalizzazione, ma di governarlo con gli stru- menti della democrazia e con la bussola dei diritti umani. Non sarebbe morale in- fatti accettare un sistema globale in cui: - il reddito delle 3 persone più ricche del mondo sia superiore al Pil dei 48 paesi più poveri; - il patrimonio dei 15 individui più ricche del mondo superi il Pil totale di tutta l’Africa subsahariana; - la fortuna delle 32 persone più ricche del mondo superi il Pil totale dell’Asia del sud; gli averi delle 84 persone più ricche del mondo superino il Pil della Cina, con i suoi 1 miliardo e 200 milioni di abitanti. 299 Non vi è moralità alcuna in un sistema globale in cui il 20% della popolazione consuma l’80% delle risorse del pianeta, mentre il restante 80% è costretto a lot- tare per la sopravvivenza. 3. Le possibili iniziative sul piano educativo Due sembrano essere le corsie preferenziali: educare al pensiero divergente e formare le persone alla cittadinanza attiva. • Innanzitutto un pensiero autonomo, creativo, divergente. Infatti la prima cosa di cui abbiamo bisogno è la riforma del pensiero: senza un pensiero nuovo non si vincerà del tutto la sfida della globalizzazione. Purtroppo dobbiamo ri- conoscere che il nostro modo abituale di pensare é datato, arcaico, antiquato: un pensiero ancora gutenberghiano, che funziona come una catena di mon- taggio: prende i pezzi staccati e li attacca in sequenza, come se il cervello fosse una tipografia. Pensare nella complessità e in contesti interdipendenti ri- chiede invece un pensiero diverso. • La seconda corsia preferenziale è quella di formare nei soggetti una coscienza civico-politica attraverso pratiche di cittadinanza attiva. Come? Valorizzando al massimo il riferimento ai reali comportamenti delle persone, dei movimenti e dei gruppi organizzati nella società civile. Infatti, facendo riferimenti alla prassi, alle pratiche anche locali di intervento sociale, gli educatori possono trasmettere fiducia, speranza, pensiero positivo, altrimenti finiamo per convin- cerci un po’ tutti che ormai non c’è più niente da fare. EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE Una proposta operativa. Le chiediamo di integrare e di apportare tutte le modi- fiche che crede, alla bozza di progetto che segue: GENERARE SOCIALITÀ Educare tra antichi valori e nuove sfide DESTINATARI: Utenti della FP - formatori Quanti sono interessati ad un percorso di formazione alla responsabilità. ........................................................ 300 FINALITÀ GENERALI: • Sostenere i formatori nel loro servizio di animazione socio-culturale, offrendo opportunità di condividere riflessioni ed esperienze; • Indicare modalità operative per attivare localmente iniziative di sensibilizza- zione su temi di attualità in connessione con altri soggetti; • ………………………. • ………………………. • ………………………. OBIETTIVI di primo livello (espliciti) : • Offrire opportunità formative mirate ad integrare i contenuti e le pratiche agite nella FP; • Promuovere l’attivazione di iniziative di animazione socio-culturale a livello locale; • Riflettere sui temi di attualità; • ………………………. • ………………………. OBIETTIVI di secondo livello (impliciti) : • Consolidare l’identità del CFP e promuoverne la visibilità nel territorio; • Facilitare l’incontro tra i formatori e consolidare le relazioni di amicizia ; • Acquisire fiducia nelle potenzialità del CFP come soggetto politico; • .......................................... CONTENUTI: • La dottrina sociale della Chiesa; • Il fenomeno della globalizzazione; • Teorie dell’utilitarismo e dei Nuovi Comunitari a confronto; • Welfare Municipale e sviluppo di Comunità; • ...................................... LE METODOLOGIE DI LAVORO: Tutti gli incontri, proprio per il carattere orientato ad un’ampia sensibilizza- zione e tenuto conto dei destinatari, saranno strutturati secondo la modalità di uno stimolo iniziale del relatore, seguito da una discussione assembleare. In base al nu- mero dei partecipanti si utilizzerà anche la metodologia del piccolo gruppo autoge- stito per far emergere percezioni, punti di vista, da portare nella discussione assem- bleare. A tutti gli incontri parteciperà un tutor facilitatore che curerà il raccordo tra gli interventi e modererà la discussione. Ai partecipanti verrà consegnata una cartella con i materiali e le dispense del corso. 301 STRUTTURA DEGLI INCONTRI: GENERARE SOCIALITÀ Il compito dei Circoli tra antichi valori e nuove sfide “La società come Megamercato”. ( Per una pratica di animazione culturale nei territori mirata a falsificare l’illusione della globalizzazione ) Quando? “Donare, Con-Donare, fare Giustizia: l’utilitarismo e il fondamento del legame sociale “ ( Per una pratica di sensibilizzazione mirata a sostenere la campagna per la remissione del debito ed una nuova cultura del Dono ) “Dall’educazione ai valori alla promozione di Stili di vita” ( Per un’educazione all’etica della responsabilità ) “Il cfp e la Comunità locale” ( Per una pratica di animazione politica nella logica del Welfare municipale ) Verifica Formazione e ri-progettazione DISPOSITIVO DI VALUTAZIONE: La valutazione finale degli incontri emergerà dall’utilizzo e dall’analisi dei se- guenti strumenti: • Questionario di autovalutazione sul livello di gradimento e sulla percezione in merito agli obiettivi stabiliti; • Scheda di osservazione del tutor d’aula; • Scheda di osservazione del relatore. Indicatori di valutazione per gli utenti: • Disponibilità a mettersi in gioco condividendo gli obiettivi impliciti; • Verifica delle proprie attitudini ed eventuale disponibilità a costituire una staff di formazione permanente; • Capacità di rielaborazione dell’esperienza formativa; Indicatori di valutazione per i formatori: • Aumento della capacità di dialogo con gli utenti; • Disponibilità a garantire un servizio di formazione permanente ed uno staff di formatori in grado di accompagnare gli utenti nella sperimentazione di inizia- tive a livello locale. “La società come megamercato”. (Per una pratica di animazione culturale nei territori mirata a falsificare l’illusione della globalizzazione) “Donare, Con-Donare, fare Giustizia: l’utilitarismo e il fondamento del legame sociale”. (Per una pratica di sensibilizzazione mirata a sostenere la campagna per la remissione del debito ed una nuova cultura del Dono) “Dall’educazione ai valori alla promozione di stili di vita”. (Per un’educazione all’etica della responsabilità) “Il CFP e la comunità locale”. (Per una pratica di animazione politica nella logica del Welfare municipale) Verifica Formazione e ri-progettazione Quando 302 WEBGRAFIA SUL TEMA DELLA GLOBALIZZAZIONE • http://www.clarence.com/contents/societa/speciali/globalizzazione/ Che cos’è, perché è nata, quali rischi e pericoli comporta. • http://www.contropiani2000.org/documentazione/globalizzazione/ Articoli ed approfondimenti sul tema della globalizzazione; mailing list per le discussioni, calendario appuntamenti, documentazione. • http://www.digital-divide.it/ Contiene informazioni e riflessioni sulle tecnologie nei paesi in via di svi- luppo e sul ruolo del settore pubblico e no-profit. A cura dell’Organizzazione Non Governativa Alisei. • http://spazioinwind.libero.it/isglob/index.htm Faq e manifesto del newsgroup it.sociale.globalizzazione. • http://members.xoom.virgilio.it/A_Pacinotti/ a cura del Liceo Scientifico Statale “A. Pacinotti” di La Spezia. Cos’è, la storia, glossario, i dati più significativi, approfondimenti, il protocollo di Kyoto, recensione libri, forum di discussione, link utili. • http://www.globalizzazione2000.it/ Panoramica generale sul fenomeno della globalizzazione con opportunità e minacce. Sono inoltre affrontati i temi della comunicazione pubblica, della co- municazione aziendale e della comunicazione pubblicitaria. • http://www.unimondo.org/guide/globalizzazione/ Elenco delle guide correlate su debito, lavoro minorile, commercio, multina- zionali, consumi etici, WTO, sviluppo, programmi di aggiustamento cuturale; link utili, news ed informazioni, citazioni, libri. • http://www.geocities.com/capitolhill/senate/3120/index.html Sito contenente documenti su argomenti di interesse mondiale: dagli OGM alle guerre, dal consumo critico alla politica. Tutti i testi sono scaricabili in formato zip. Servizio di newsletter. • http://spazioinwind.libero.it/rfiorib/ a cura di R. Fioribello. Materiale ricercato in rete, letture consigliate, appro- fondimenti monografici e altro ancora. • http://web.tiscali.it/svilupposost/index.htm Cause della globalizzazione, multinazionali, consumo critico, boicottaggio, e altre campagne. • http://web.tiscali.it/utopianec/ Raccolta di articoli ed opinioni su globalizzazione e liberalismo economico, link utili. 303 MODULO 1 L’UNITÀ DELLA FAMIGLIA UMANA LEZIONE 2 L’EDUCAZIONE INTERCULTURALE NELLA FP OBIETTIVI DELLA LEZIONE: Al termine della lezione il lettore sarà in grado di: - motivare la necessità di una nuova paideia per il futuro dell’educazione; - delineare le caratteristiche del profilo di uomini e cittadini che l’educazione si dovrebbe proporre. CONTENUTI: 1. È tempo di una nuova paideia. 2. Imparare a transitare. 3. Un profilo di uomo e cittadino. L’educazione è il momento che decide se noi amiamo abbastanza il mondo da assumerne la responsabilità e sal- varlo dalla rovina che è inevitabile senza il rinnovamento, senza l’avvio di esseri nuovi, i giovani. Nell’educazione si de- cide anche se noi amiamo abbastanza i nostri figli da non estrometterli dal nostro mondo, lasciandoli in balia di sé stessi, tanto da non strappargli di mano la loro occasione di interpretare qualcosa di nuovo, qualcosa di percettibile per noi, e prepararci invece al compito di rinnovare un mondo che sarà comune a tutti. Hanna Arendt. È nel profondo del cuore la radice di ogni bene e, pur- troppo, di ogni male: è là, dunque, che deve avvenire la con- versione o ‘metànoia’, cioè il cambiamento di orientamento, di mentalità, di scelta di vita. Paolo VI 304 1. È tempo di una nuova paideia Questo è il tentativo di comunicare in sintesi che cosa sono chiamati a fare oggi le istituzioni educative, i movimenti ed i singoli educatori, per poter offrire alle nuove generazioni una proposta formativa globale ma al contempo plurale e democratica. Una proposta educativa che abbia quel respiro lungo e quella visione ampia che appaiono necessari all’inizio del XXI secolo, nel contesto degli attuali macro- scenari. Nessuna società umana può fare a meno di una paideia, per quanto impli- cita. Infatti ‘paideia’ è una sintesi di valori culturali e spirituali, un patrimonio di civiltà che si eredita e che ogni generazione si impegna a ‘tradere’, a tramandare a quella successiva, per aiutarla a crescere in umanità. Tale nostra riflessione si pone all’orizzonte della mondialità (definita come convivialità delle differenze) e, più in particolare, all’affermazione dell’alterità, del riconoscimento della ‘differenza’ come valore, risorsa e diritto giungendo a vedere nel passaggio dall’umanesimo egologico (o del soggetto) dell’umanesimo eterolo- gico ( o dell’altro) – per dirla con il linguaggio di Levinàs – la vera svolta di cui la nostra epoca mostra urgentemente bisogno. Proprio come suggeriva Italo Mancini in quel prezioso volumetto che doveva poi restare come il suo testamento, ‘ Tornino i volti’: si apra il terzo millennio al- l’insegna del volto dell’Altro, dopo che abbiamo assistito agli esiti di circa due millenni vissuti all’insegna dell’Essere (la metafisica greco-cristiana) e di un mezzo millennio all’insegna dell’Io (il soggettivismo moderno). Ecco la svolta – o l’arrovesciamento, come scriveva Mancini – di cui abbiamo bisogno per un nuovo umanesimo planetario, conviviale, interculturale, quello che vorremmo considerare l’alfa e l’omega di una nuova paideia per le generazioni del XXI secolo. Non potrà più trattarsi di una paideia che riproponga, vuoi sul piano dei conte- nuti culturali, vuoi su quello dei modelli antropologici e psicopedagogici, gli stessi schemi che sono stati elaborati nei secoli passati o semplicemente negli ultimi de- cenni. Siamo veramente di fronte ad un passaggio d’epoca, ad un cambio di para- digmi che richiedono – osserva ad esempio Edgar Morin – un “nuovo pensiero”, che non sia più binario, causale, rigido, definitorio … ma un pensiero ecologico, reticolare, sistemico, plurale. Un’epistemologia della complessità, come da tempo si usa dire, capace di fondare il pensiero della “unitas multiplex”. Dove il proprio universo culturale, etnico, religioso non è mai il solo universo legittimo ma sol- tanto una dei tanti universi in questo pianeta che si configura sempre di più come un pluriverso. Pluralismo, dunque, non neutralismo educativo, indifferente ai valori etici e ai modelli antropologici. Non si tratta più, come si diceva una volta, di ‘cambiare mentalità’, ma di ‘ acquisire una mentalità di cambiamento’, o “del viaggiatore”, vale a dire un pensiero nomade, come si conviene in un ‘epoca di mobilità e conta- minazione , dove tanto chi viaggia quanto chi rimane nel suo luogo vive comunque da “homo migrans”. 305 Così pure non si tratta di contrapporre la dimensione globale alla dimensione locale, o viceversa, ma di imparare il nuovo alfabeto dell’educare “glo-cale”, come appare inevitabile nell’epoca del cyberspazio e del glocalismo. Ma quando parliamo di ‘paideia’, che cosa, con più precisione, intendiamo esprimere? In lingua greca la parola ‘paideia’ indica, come è noto, la formazione del fanciullo (pais, paidòs). Ma soprattutto dopo lo studio classico di Werner Jaeger (1946), il significato di ‘paideia’ rinvia al modello globale di formazione dell’uomo in una data civiltà ed epoca storica. Rispetto a ciò che significa ‘paideia’, la pedagogia viene ad aggiungere le molteplici sfumature del verbo ‘ ago’ di ped-agogia. ‘Ago’ può significare: • spingere, condurre, accompagnare; • guidare; • valutare, stimare, considerare; • vivere, passare il tempo; • pesare. La pedagogia (arte di educare) è, quindi, legata all’accompagnare, al guidare, ed implica la considerazione e la stima; porta inoltre con sé il senso del vivere con- creto (passare il tempo) e della giustizia (pesare). E poiché ‘agòn’ significa anche assemblea, giochi pubblici, ne deriva che ‘pe- dagogia’ ha un legame pure con i concetti di insieme e gioco. 2. Imparare a transitare Paideia, osserva Evandro Agazzi, “è una parola antica che indica il complesso dell’offerta formativa che il mondo adulto tenta di elaborare e di proporre alle nuove generazioni, per assicurare continuità e cambiamento, tradizione e novità”. Noi, almeno nei paesi occidentali, apparteniamo ad una tradizione filosofica e pe- dagogica molto ben radicata sul principio ‘ conosci te stesso’, che lascia sottointesa la convinzione che l’altro sia sempre uguale a noi, oppure se non lo è, è barbaro, pagano, infedele, comunque inferiore. Insomma: se conosco me stesso (l’identità) ho conosciuto ciò che è essenziale. E questo può bastare. Ma che ne è di tale principio quando l’altro è diverso da me e io sono consa- pevole che non posso più considerarlo un barbaro, un nemico, un estraneo (perché non di questo si tratta, né posso restare tuttavia indifferente di fronte a lui)? La svolta educativa e antropologica da compiere nella direzione di una nuova paideia sta proprio qui. Questa inversione di rotta diventa possibile soltanto se ci mettiamo in viaggio verso l’altro, come viandanti, uomini e donne “in esodo”. Infatti, nella presente situazione di smarrimento, di erranza e di incertezza, ap- pare necessario ripensare a fondo l’intero impianto educativo. Se fino a ieri edu- care poteva significare in buona sostanza ‘trasmettere’ conoscenze certe e saperi sicuri, ora stiamo invece scoprendo che educare significa imparare a transitare in- 306 sieme senza perderci ma attraversando le differenze culturali, etniche e religiose che sono il vero crocevia della società complessa di oggi e ancor più di quella fu- tura. Senza una paideia verrebbe a mancare il cuore ideale di un progetto educativo. Tutto verrebbe ridotto a somministrazione di ‘pillole’ o ad un ingegneristico adde- stramento, sia pure informatico. Ripensare una paideia diventa possibile se si tiene conto delle trasformazioni in atto che stanno producendo situazioni di disagio e di problematicità in chi fa quotidianamente opera di educazione, formazione, orienta- mento. Abbiamo bisogno di uomini ‘nuovi’ che, a partire dall’altro, sappiano sco- prire la propria identità nella relazione, nel dialogo, nello scambio, nella convi- venza. In quest’ottica la differenza può essere assunta come dono e risorsa, piut- tosto che come puro ‘dato’ che, fuori dalla relazione, rischia di allontanare e di divi- dere. Un cittadino cosciente dell’interdipendenza tra l’uomo e la natura, tra il Nord e il Sud, tra l’oggi e il futuro. Un uomo consapevole del comune destino dell’uma- nità, che sappia pertanto vedere nell’altro un partner, un compagno di viaggio. In questa società del meticciamento abbiamo bisogno di integrare la peda- gogia dell’identità ( quella classica e tradizionale del ‘Conosci stesso’) con una pe- dagogia del volto, cioè della relazione, della differenza, della reciprocità. L’educa- zione interculturale si lega all’educazione all’Europa e alla mondialità, all’educa- zione ai diritti umani e alla pace, alla cooperazione internazionale e allo sviluppo, e inquadra l’inserimento degli alunni stranieri nell’ambito di un contesto più gene- rale di integrazione reciproca tra ‘altri’. 3. Profili di uomo e cittadino Ecco i profili di quell’uomo e di quel cittadino alla cui formazione è finaliz- zata tutta l’attività educativa della scuola: • un Io-accogliente-comunicativo-narrante capace di reciprocità, capace di ascoltare per non pregiudicare l’incontro con l’altro; • un Io-autonomo-libero-selettivo capace di resistenza, per non sentirsi dipen- dente da alcunché, per poter vivere nell’attuale società dei consumi, del pen- siero unico e delle mille seduzioni; • un Io-responsabile-cooperativo-democratico dotato di forte coscienza civica, che sappia prendersi cura degli altri, con una marcata coscienza civica, che vuol dire rispetto delle regole e volontà di partecipazione democratica alla vita sociale e politica; • un Io-nomade-creativo-ludico aperto alla trascendenza, aperto all’Europa, al mondo e con la mente di chi è sempre in viaggio nel tempo e nello spazio. A che cosa deve mirare allora l’educazione nel XXI secolo? Il Rapporto al- l’UNESCO non ha dubbi: l’educazione deve offrire simultaneamente le mappe di un mondo complesso in perenne agitazione e la bussola che consenta agli individui 307 di trovare la propria rotta. Per riuscire nei suoi compiti, l’educazione deve essere organizzata attorno a quattro tipi fondamentali d’apprendimento che, nel corso della vita di un individuo, saranno in un certo senso i ‘pilastri’ della conoscenza: • imparare a conoscere, cioè acquisire gli strumenti della comprensione: “questo tipo di apprendimento indica non tanto l’acquisizione d’informazioni classificate, codificate, quanto il venire in possesso degli strumenti stessi della conoscenza, e può essere considerato sia un mezzo che un fine della vita umana”; • imparare a fare, in modo tale da essere capaci di agire creativamente nel pro- prio ambiente “imparare a fare, allo scopo di acquisire non soltanto un’abilità professionale, ma anche, più ampiamente, la competenza di affrontare molte situazioni e di lavorare in gruppo”; • imparare a vivere insieme in modo tale da partecipare e da collaborare con gli altri in tutte le attività umane; “imparare a vivere insieme, sviluppando una comprensione degli altri ed un apprezzamento dell’interdipendenza – realiz- zando progetti comuni e imparando a gestire i conflitti – in uno spirito di ri- spetto per i valori del pluralismo, della reciproca comprensione e della pace”; • imparare ad essere, un progresso essenziale che deriva dai tre precedenti “ im- parare ad essere, in modo tale da sviluppare meglio la propria personalità e da essere in grado di agire con una crescente capacità di autonomia, di giudizio e di responsabilità personale”. La prof. Enrica Rosanna, sociologa salesiana che ha fatto parte della Commis- sione dei 44 saggi, ci offre un contributo sul profilo di uomo e cittadino cui la scuola dovrebbe tendere: Il cittadino (d’Italia, dell’Europa, del mondo) si connota per una chiara iden- tità personale, socio-politica, religiosa, professionale, culturale. a) Identità personale, maturata gradualmente nello sviluppo armonico di tutte le sue dimensioni (intellettuali, creative, spirituali…) e componenti (fisica, psi- chica, relazionale...) ed espressa nella capacità di: - stabilire relazioni positive e costruttive; - leggere ed interpretare criticamente la realtà, il mondo, la storia; - operare scelte libere, consapevoli, responsabili; - elaborare una propria sintesi culturale intorno a valori che danno senso, si- gnificato, qualità, unità alla propria vita e al proprio essere; - vivere la propria cultura; - controllare, gestire il cambiamento. b) Identità socio-politica che significa: - consapevolezza di appartenere a un territorio, a una nazione con una propria storia, tradizione, cultura; - coscienza di essere interdipendenti gli uni dagli altri a livello territoriale, na- zionale, europeo, mondiale; 308 - capacità di accogliere e valorizzare la diversità; - libertà da pregiudizi e da precomprensioni nei confronti di individui e cul- ture ‘altre’; - capacità di assumersi le proprie responsabilità nei confronti di sé stessi, degli altri, della storia, del mondo; - capacità di leggere, interpretare, valorizzare consapevolmente e criticamente il fenomeno multimediale, le sue strumentazioni e i suoi prodotti. c) Identità religiosa, che implica - consapevolezza della propria dimensione religiosa; - apertura all’altro e all’oltre; - coerenza tra il proprio ‘credo’ e la vita. d) Identità professionale, che dice: - recuperare e/o rafforzare la propria identità culturale; - accogliere, interscambiarsi, valorizzare ogni espressione ed esperienza cul- turale; - ‘vivere’ e costruire il proprio tempo, la propria storia. Bibliografia • Sull’educazione interculturale segnaliamo: D. ARCHIBUGI - D. BEETHAN, Diritti umani e democrazia cosmopolita, Feltrinelli, Milano 1998. M. CALLARI GALLI, Antropologia culturale e processi educativi, La Nuova Italia, Firenze 1993. M. CALLARI GALLI, Lo spazio dell’incontro. Percorsi della complessità, Meltemi, Roma 1996. D. DEMETRIO - G. FAVARO, Immigrazione e pedagogia interculturale, La Nuova Italia, Firenze 1992. A. NANNI, Una nuova paideia, prospettive educative per il XX secolo , EMI, Bologna 2000. • Siti di particolare interesse: http://www.cestim.it/06scuola.htm#dati Scheda molto utile e continuamente aggiornata che contiene dati, norme, riflessioni e progetti sulla presenza degli alunni stranieri nella scuola italiana. http://www.educational.rai.it/corsiformazione/intercultura/default.htm È il sito di Educazione Interculturale di Rai Educational, strutturato a partire dai 13 nodi della educazione interculturale: identità, differenza e nuova cittadinanza; dimensione mondiale dell’educazione; dimensione europea dell’educazione; razzismo, antisemitismo, pregiudizio e intolleranza; minoranze interne; varietà culturale e spazi urbani; immigrazione ed emigrazione; italiano come lingua 2; abitare l’emergenza; il dialogo interreligioso; adulti e famiglie; saperi, ambiti disciplinari e campi di esperienza… http://www.comune.forli.fo.it/cda/DossierMulticulturalita/siti_internet.htm http://www.pavonerisorse.to.it/intercultura/citta.htm 309 MODULO 2 POVERTÀ E SVILUPPO LEZIONE 1 LA SCELTA PREFERENZIALE PER I POVERI E I NUOVI PROBLEMI DELLO SVILUPPO OBIETTIVI DELLA LEZIONE: Il formatore al termine della lezione: - ha approfondito il concetto di povertà e il suo legame con i temi della salute e dell’istruzione; - conosce le principali cause del fenomeno e alcune soluzioni praticabili. CONTENUTI: 1. Il concetto di povertà. 2. Il lavoro minorile: le dimensioni del fenomeno. 3. Che fare? Non c’è un essere umano che possa dirsi: sono perfetto, non ho più nessuno sforzo da compiere. Quest’uomo è già morto. Così ogni società che crede di non aver più in sé sacche di povertà, di miseria culturale, intellettuale o fisica, e che è arrivata ad uno stadio di serenità assoluta tale che non ci sia più nessuno sforzo da compiere, è una società che non esiste più. Albert Tevoedjré È un fatto veramente strano che man mano che il pro- gresso si svolge nel mondo (con la cultura, la tecnica, la ric- chezza) non progredisce per ciò stesso la giustizia, cioè quel- l’ordine umano che costituisce il più alto valore sociale: anzi, spesso l’accresciuto benessere di alcuni avviene a spese di altri o almeno sveglia in coloro ai quali non è stato possibile conseguire un’eguale benessere, un senso di infelicità, un senso di ingiustizia, e perciò un desiderio di lotta e di rivendi- cazione di pari o anche di superiore fortuna. Paolo VI 310 1. Il concetto di povertà Per tutti noi il concetto di povertà è di immediata comprensione: è povero chi non ha risorse a sufficienza per nutrirsi, curarsi, vestirsi e ripararsi. Questa defini- zione tuttavia, seppur pacifica nella sua semplicità, è indubbiamente insufficiente; una definizione completa di povertà infatti deve necessariamente contemplare non solo la privazione in sé, ma anche le conseguenze che il fenomeno ha in primo luogo sulla persona indigente ed in termini più ampi della società intera. Con questo vogliamo dire che la privazione di risorse comporta vulnerabilità agli eventi avversi di più svariato genere ed esclusione dal tessuto sociale ed istitu- zionale. Essa in particolare diminuisce drasticamente le capacità realizzative dei soggetti poveri. Amartya Sen, premio Nobel dell’economia nel 1998, afferma che la povertà restringe significatamente “le capacità che una persona ha, ossia le li- bertà sostanziali di cui gode per condurre il tipo di vita più consono ai suoi desi- deri e valori”. Questo approccio più esteso al concetto di povertà non è fine a sé stesso, ma ci permette una visione più ampia e strutturata del fenomeno; abbiamo infatti la pos- sibilità di affrontare la questione della privazione in una dimensione causa-effetto, in cui i vari aspetti non sono giustapposti, ma interagiscono e si rinforzano tra loro. Un’opportuna definizione di povertà poi non può esimersi dal considerare l’at- tuale crescita demografica mondiale, che comporta necessariamente una continua diminuzione relativa delle risorse a disposizione dell’uomo. Il fenomeno povertà è quindi strutturato al suo interno in catene causa-effetto e si manifesta all’esterno in una continua evoluzione. Nel definire la povertà si presenta inoltre un problema di tipo metodologico nella fase di intervento; se infatti povertà significa mancanza di risorse, si può sup- plire a questa privazione fornendone di aggiuntive, ma in base a quali criteri si de- cide quante e quali risorse fornire? Si possono ulteriormente consultare: CASELLI M., Misurare lo sviluppo. Tecniche e problemi, Ecig, Genova 2001. CHIAPPERO MARTINETTI E. - SEMPLICI A., Umanizzare lo sviluppo , Rosenberg & Sellier, Torino 2001. Siti www.undp.org – sito del Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite (in in- glese, francese e spagnolo). www.worldbank.or g – sito della Banca Mondiale. www.oecd.org – sito dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico. www.economist.com/markets/Bigmac/index.cfm – sito del settimanale inglese “The Economist”. 311 • Povertà e salute Nei paesi del Sud del mondo molte malattie curabili causano gravi epidemie a motivo della povertà diffusa e della scarsa disponibilità di cure sanitarie; un miliardo e trecento milioni di persone non hanno accesso all’acqua potabile, mentre circa due miliardi di persone non hanno accesso alle cure. La povertà ha molte facce: malnu- trizione (per insufficiente qualità e quantità del cibo), mancanza di istruzione, sfrut- tamento, disordine sociale, discriminazione, criminalità, corruzione. In queste condi- zioni la popolazione è maggiormente esposta alle malattie; coloro che si ammalano tendono a diventare sempre più poveri, si nutrono sempre meno e sempre peggio. Povertà e malattia creano un circolo vizioso dal quale è molto difficile uscire e che conduce alla morte dei singoli e al progressivo impoverimento della società. Migliorare le condizioni di salute nei Pesi in via di sviluppo significa invece inter- rompere questa spirale di morte e innescare un circolo virtuoso, nel quale il mi- glioramento della salute significa più possibilità di lavoro, maggiori risorse econo- miche, migliori condizioni di vita, e ulteriori effetti positivi per la salute. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ogni anno nel mondo si con- tano 5 milioni di morti e 300 milioni di malati a causa di Aids, tubercolosi e ma- laria, le tre maggiori malattie infettive, per le quali non esiste vaccino. In generale le malattie infettive rappresentano la prima causa di morte nel mondo con 15 mi- lioni di morti l’anno, di cui il 97% nei Paesi in Via di Sviluppo (PVS), mentre nel ricco Occidente le stesse malattie sono state ormai debellate da decenni. La cura della tubercolosi, della malaria, della dissenteria e di altre malattie è sempre più difficile perché esse sviluppano nel tempo una progressiva resistenza ai farmaci: ciò rende necessario l’uso di nuove sostanze più efficaci ma spesso anche molto più costose. Quelle dei farmaci è infatti una delle più importanti e difficili battaglie che governi e ONG combattono sul terreno della sanità mondiale: essa vede contrapposti da una parte gli enormi interessi economici delle multinazionali farmaceutiche, e dall’altra il diritto alla salute di milioni di abitanti Un primo passo per garantire l’accesso ai farmaci fu fatto dall’OMS, che nel 1977 pubblicò la prima lista di 208 farmaci essenziali, ovvero quelli che soddi- sfano i bisogni della maggioranza della popolazione in materie di cure sanitarie e devono dunque essere sempre disponibili in quantità sufficiente e sotto la forma farmaceutica appropriata. L’undicesima e ultima edizione (1999) contiene 311 so- stanze. In maggioranza si tratta di farmaci generici: ciò significa che il loro prin- cipio attivo non è o non è più coperto da brevetto. I farmaci generici sono sul mercato dagli anni ’70 e attualmente si producono a basso costo anche nei paesi in via di sviluppo. Il maggior problema riguarda i farmaci brevettati, le specialità, il cui costo è spesso elevato, soprattutto per i paesi poveri che devono acquistarli dalle industrie occidentali. • I brevetti I TRIPS (Trade-Related Intellectual Property Rights) sono gli accordi interna- 312 zionali dell’OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio) che dal 1996 sanci- scono i diritti di proprietà intellettuale, ovvero i brevetti. Riguardo ai farmaci, la durata del brevetto venne stabilita in 20 anni (ridotti a 17 nel 2001): durante questo periodo, senza l’autorizzazione del proprietario del brevetto, non è possibile produrre un farmaco equivalente né acquistarlo su un mer- cato estero. Ciò significa che il paziente che necessita di un farmaco brevettato non ha alternative: è costretto a pagare il prezzo fissato dal proprietario del brevetto. Il 15% dei farmaci essenziali pubblicati nella lista dell’OMS è coperto da brevetto: tuttavia, secondo Medici Senza Frontiere (MSF), molte specialità non sono state in- cluse nella lista perché troppo costose e pertanto non accessibili ai paesi poveri. I paesi che violano i TRIPS possono essere puniti con sanzioni commerciali o essere portati in tribunale, come è accaduto per il Sudafrica. Tuttavia, quando in un Paese sia in atto un’emergenza sanitaria, quando si verifichi un abuso del brevetto da parte del detentore (inaccessibilità del farmaco a causa del prezzo elevato), o per uso governativo non commerciale del farmaco, il governo può emettere delle licenze obbligatorie che autorizzano le industri locali a produrre farmaci per un pe- riodo limitato, eludendo i brevetti. In realtà le licenze obbligatorie sono utilizzate prevalentemente dai paesi ricchi, in quanto i paesi poveri vengono fortemente dissuasi dall’Occidente per mezzo di ri- catti commerciali. Inoltre, gli USA hanno indotto i governi locali di alcuni paesi ad approvare accordi, esterni all’OMC ma ben più restrittivi dei TRIPS, tesi ad ampliare la durata del brevetto e a vietare le licenze obbligatorie. Tali accordi, detti TRIPS+, sono oggetto di accesa protesta da parte del vasto movimento che contesta la globa- lizzazione neoliberista, perché emblematici della vessazione ai danni dei PVS. Si possono ulteriormente consultare: AA.VV,. Utopie sanitarie. Umanità e disumanità della medicina , Feltrinelli, Mi- lano 2002. AA.VV., Acceso ai farmaci: la malattia del profitto, pubblicazione a cura di MSF 2000. Siti: www.undp.org – sito del Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite (in in- glese, francese e spagnolo). www.who.org – sito dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (in inglese, francese e spagnolo). www.socialwatch.org – sito del Social Watch, coalizione di ONG e organizza- zioni di tutto il mondo nata con l’obiettivo di monitorare lo stato di realizza- zione degli impegni assunti dai governi per sradicare la povertà e raggiun- gere l’equità di genere. Contiene tabelle su ogni paese del mondo (in in- glese, francese e spagnolo). www.msf.it – sito di Medici Senza Frontiere (MSF), associazione internazionale nata per offrire soccorso sanitario alle popolazioni in pericolo e testimoniare delle violazioni dei diritti umani cui assiste durante le sue missioni. 313 • Istruzione: una componente fondamentale dello sviluppo L’istruzione delle persone è una componente fondamentale dello sviluppo, in quanto è un presupposto necessario per la realizzazione delle potenzialità e degli obiettivi di ogni persona. L’educazione è uno strumento di lotta alla povertà e al- l’esclusione sociale a cui la teoria economica riconosce principalmente due funzio- nalità: un filone la presenta come reale mezzo per sviluppare e portare a frutto le capacità del soggetto nel proprio contesto socio-economico; la corrente opposta, che dà all’istruzione un valore più nominale, la considera invece come generatrice di titoli e di referenze per un completo inserimento nella società. Le due teorie comunque riconoscono alla formazione scolastica un ruolo impre- scindibile nella promozione della ricchezza e dello sviluppo. Il legame tra educazione e sviluppo non deve essere interpretato esclusivamente a senso unico; l’istruzione in- fatti contribuisce a determinare lo sviluppo e le possibilità economiche di una per- sona, ma fattori come la salute e la ricchezza influiscono molto sull’educazione. • Investimento in capitale umano A partire dagli anni ’50 parte della teoria economica si accorse che la crescita degli input tradizionali come lavoro e capitale fisico non erano più sufficienti a spiegare la crescita della produzione di una nazione. A questi si pensò quindi di ag- giungere il capitale umano come nuovo fattore su cui investire per la crescita eco- nomica; l’istruzione infatti permette, oltre allo sviluppo personale, l’incremento del PIL di una nazione, in quanto conduce alla scoperta o alla creazione ex novo delle capacità di una persona sfruttabili in campo economico. A livello personale l’istruzione è quindi un investimento che può essere ragio- nevole sostenere per ottenere un flusso di reddito sufficiente per il sostentamento e con buone possibilità di crescita. Dal punto di vista sociale invece l’educazione è innanzitutto un fattore di cre- scita produttiva, che conduce ad una condizione generale di benessere a sua volta necessaria per la diffusione dell’educazione stessa; innescando dunque un circolo virtuoso, l’istruzione diventa elemento imprescindibile nella strategia di sviluppo di un paese. Si possono ulteriormente consultare: Comitato italiano UNICEF, Scuola di tutti, scuola di ciascuno, 1998. UNICEF, La condizione dell’infanzia nel mondo, 2001. Siti: www.unesco.org – sito dell’UNESCO (in inglese, francese e spagnolo). www.unicef.it – sito italiano del Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia. www.uis.unesco.org – sito (in inglese, francese, spagnolo) dell’Istituto di Stati- stica dell’Unesco, che contiene dati statistici globali e comparati su istru- zione, scienza, tecnologia, cultura e comunicazione. 314 2. Lavoro minorile: le dimensioni del fenomeno Il lavoro minorile è una di quei temi che toccano di più il cuore delle persone che vivono nel ricco Occidente. Tutti ci commuoviamo e tendiamo a ribellarci se vediamo le immagini di un ragazzino di dieci o dodici anni che lavora ad un telaio. Ma si tratta solo di una reazione emotiva. Di fronte ad un’immagine del genere in realtà dovremmo porci alcune do- mande di fondo. Perché quel bambino sta lavorando? Quante ore lavora? Ha tempo per andare a scuola e per giocare? I suoi genitori lavorano? Se si, quanto vengono pagati? Quanto spende per la sanità e l’istruzione il paese nel quale quel bambino lavora? A quanto ammonta il debito estero del suo paese? Quanti altri bambini o ragazzini come lui vivono nelle stesse condizioni? Quali prodotti che troviamo nei nostri centri commerciali sono stati prodotti da questi bambini? E soprattutto, che cosa si può fare perché questi ragazzi possano crescere armoniosamente, ricevere istruzione, cibo, cure mediche adeguate? Non a tutte le domande c’è una risposta soddisfacente ed esaustiva. Ma la ri- cerca e la presa di consapevolezza dei termini reali e delle cause di questo feno- meno ci permetterà di andare oltre l’emotività e magari di trovare forme di im- pegno personale. Le stime fornite dalle istituzioni internazionali sono imprecise (per loro stesa ammissione) e in realtà dicono poco, perché è necessario scavare più a fondo per capire bene. Comunque possono servire per dare almeno un idea dell’ordine di grandezza del fenomeno. Secondo l’OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) nel mondo vi sa- rebbero circa 250 milioni di minori che lavorano. In particolare, nel rapporto re- datto in occasione della prima Giornata mondiale contro il lavoro minorile (12 giugno 2002), si legge che “circa 180 milioni di minori di età compresa tra i 5 e i 17 anni (ovvero il 73% dei minori che lavorano) sono sottoposti alle forme peg- giori di sfruttamento, cioè ai lavori pericolosi e a quelli di per sé condannabili (…). Poco meno dei due terzi dei 170,5 milioni di minori sottoposti ad un lavoro perico- loso hanno meno di 15 anni. Essi dovrebbero pertanto essere sottratti al lavoro e ottenere un aiuto per il loro reinserimento”. “Nella fascia di età tra i 5 e i 14 anni – continua il rapporto – 67 milioni di mi- nori sono sottoposti a lavori di per sé non pericolosi, ma dai quali dovrebbero es- sere sottratti, tenuto conto della loro età. Nella stessa fascia di età, 111 milioni sono coinvolti in lavori che portano danno al loro benessere. Per quanto riguarda gli adolescenti di età compresa tra i 15 e i 17 anni, che hanno quindi superato l’età minima per l’assunzione ad un impiego, le stime valutano a 59 milioni quelli che sono sottoposti a lavori pericolosi (ovvero il 42%). Oltre 8 milioni di bambini sono costretti a forme di lavoro di per sé condannabili. Questa stima va tuttavia conside- rata con la massima cautela, per le difficoltà a raccogliere dati sui bambini coin- volti in attività nascoste e illecite”. Già da queste cifre si può capire come il fenomeno del lavoro minorile sia 315 vasto, ma anche articolato. C’è differenza fra un bambino di 7 anni che lavora ad un telaio e un altro della stessa età che aiuta la mamma al banchetto del mercato, oppure a parità di tipo di lavoro (per esempio nei campi) fra un bambino di 8 anni e un adolescente di 16 anni. Bisogna infatti considerare se e come il minorenne viene ricompensato, quante ore lavora, che tipo di mansioni svolge, se è un lavoro solo stagionale (per esempio durante le vacanze scolastiche) o continuo (magari a scapito della fre- quenza della scuola). In altri termini, in alcuni casi il lavoro minorile è accettabile, in altri no. Nei documenti ufficiali si distingue tra child labour, i lavori pericolosi, che co- munque ledono la crescita del minore e child work , lavori accettabili in quanto o svolti in ambito familiare o comunque leggeri e che permettono di frequentare la scuola. Sono definizioni astratte, perché molto in realtà dipende anche dal contesto sociale, dalle condizioni economiche della famiglia, dal sistema scolastico. Per esempio in molti paesi del Sud del mondo le spese per lo studio sono di fatto inte- ramente a carico della famiglia: come possono le famiglie più povere mandare a scuola tutti i figli, senza che nessuno di loro lavori? • Le cause Certamente la causa di fondo del lavoro minorile è la povertà. Dove vi sono condizioni economiche e sociali (sanità, scuola, sostegni familiari) favorevoli, il lavoro minorile, pur non essendo assente, è limitato. Più le condizioni sono difficili e maggiori sono le probabilità che un bambino inizi a lavorare presto. La storia dell’Italia è, da questo punto di vista, esemplare. I nostri nonni hanno iniziato a la- vorare presto, la stragrande maggioranza di chi è nato dopo gli anni ’60 no. Un’altra causa è da ricercare anche nelle regoli attuali del mercato globale. Le imprese dei paesi in via di sviluppo riescono ad essere competitive offrendo pro- dotti che richiedono molta manodopera che deve però essere a basso costo. Di con- seguenza o impiegano direttamente i minori oppure offrono agli adulti salari tal- mente bassi che in ogni famiglia tutti, compresi i bambini, sono costretti a lavorare per garantire entrate che basteranno solo alla sopravvivenza. 3. Che fare? La situazione di povertà, la realtà scolastica e sociale di molti paesi in cui il la- voro minorile è diffuso, può far sembrare astratto qualsiasi proclama di abolizione totale del lavoro minorile. Ed è su questo terreno che si è sviluppato un vivace di- battito a livello internazionale fra gli abolizionisti del lavoro minorile e coloro che ritengono invece che il lavoro minorile, a certe condizioni, sia accettabile. L’OIL e l’Unicef sono sostanzialmente su posizioni sostanzialmente abolizio- niste. L’OIL nel 1992 ha dato vita al programma Ipec, con lo scopo di avviare nei paesi iniziative che hanno il fine di eliminare totalmente (anche se con gradualità) il lavoro minorile. 316 I movimenti NATS (bambini e adolescenti lavoratori dell’America Latina; Asia e Africa) e una vasta rete di ONG (Organizzazioni Non Governative) hanno invece un altro approccio al lavoro minorile. Premessa la condanna di ogni tipo di sfruttamento che in realtà non ha nessun legame col lavoro (pensiamo alla prostitu- zione, all’arruolamento negli eserciti, alla riduzione in schiavitù), ritengono che il lavoro di un minore non sia di per sé qualcosa da eliminare. Secondo i NATS e queste ONG i minori possono essere al contrario protago- nisti della propria vita, del proprio lavoro e conciliare lavoro e scuola, lavoro e cre- scita armoniosa. In più occasioni, i movimenti NATS hanno chiesto alle istituzioni internazionali un riconoscimento della loro condizione di bambini e adolescenti la- voratori, chiedendo che siano fatti interventi legislativi in modo tale che la loro condizione sia tutelata e valorizzata. Non ha senso, affermano, relegarci nell’illegalità con leggi che vietano qual- siasi lavoro minorile, è meglio se ci sono leggi che ci tutelano e che impediscano lo sfruttamento, l’impiego in mansioni che non sono adatte ai minori, che preve- dono orari di lavoro compatibili con la scuola e forme di socializzazione adatte a ragazzi che vivono soprattutto sulla strada. Con queste misure, sostengono, po- tremo contribuire al sostentamento della famiglia e allo stesso tempo trasformare il lavoro in un’opportunità di crescita. Sono due posizioni apparentemente contrapposte. In pratica sono due modi di vedere lo stesso fenomeno partendo da presupposti diversi. Le Organizzazioni in- ternazionali partono dalla lotta alle forme peggiori di lavoro minorile, i NATS e la rete di ONG che li sostengono dalla condizione di migliaia di ragazzi che svolgono forme di lavoro se non subito accettabili certamente migliorabili e quindi in pro- spettiva accettabili. Si possono ulteriormente consultare: AA.VV., Bambini al lavoro: scandalo e riscatto, a cura di Associazione NATS, Berti, Piacenza 2002 AA:VV., Dei diritti dei bambini nei documenti internazionali, Fondazione R. Franceschi, Milano 1999 Siti: www.fonfranceschi.it – sito della Fondazione Roberto Franceschi, dove è possi- bile consultare on-line il libro Dei diritti dei bambini nei documenti interna- zionali; www.italianats.org – sito dell’Associazione Italianats, che raggruppa varie ONG, enti ed associazioni italiane per il sostegno dei movimenti NATS; www.manitese.org – sito della nota Ong italiana che è stata referente europea per la Global March. Presenta un dettagliato dossier sul lavoro minorile; www.unicef.it – sito della sede italiana dell’Unicef. Contiene la traduzione ita- liana di tutti i documenti sul lavoro minorile prodotti dall’agenzia delle Na- zioni Unite. 317 Bibliografia (oltre ai libri già suggeriti all’interno della lezione) • Sul tema dell’emergenza sanitaria e il diritto alla salute: AA.VV., Utopie sanitarie. Umanità e disumanità della medicina , Feltrinelli, Milano 2002. AA.VV., Acceso ai farmaci: la malattia del profitto, pubblicazione a cura di MSF 2000. • Sul tema Infanzia e istruzione: Comitato italiano UNICEF, Scuola di tutti, scuola di ciascuno, 1998. UNICEF, La condizione dell’infanzia nel mondo, 2001. • Sul lavoro minorile: AA.VV., Bambini al lavoro: scandalo e riscatto, a cura di Associazione NATS, Berti, Piacenza 2002. AA.VV., Dei diritti dei bambini nei documenti internazionali, Fondazione R. Franceschi, Milano 1999. 318 MODULO 2 POVERTÀ E SVILUPPO LEZIONE 2 SVILUPPO SOSTENIBILE E CONSUMO CRITICO OBIETTIVI DELLA LEZIONE: Al termine della lezione il lettore: - conoscerà le principali iniziative in atto per uno sviluppo sostenibile e non–violento; - avrà a disposizione una mappa dei soggetti impegnati sui diversi fronti del consumo critico e la salvaguardia del creato. CONTENUTI: 1. Per un’economia solidale: dal mercato globale alla giustizia universale. 2. L’Onu “dei popoli”. 3. La sostenibilità ambientale. 4. Iniziative di equità sociale. 5. Il consumo critico. 6. “Bilanci di giustizia”. Dio ha destinato la terra e tutto quello che essa con- tiene, all’uso di tutti gli uomini e popoli, e pertanto i beni creati debbono secondo un equo criterio essere partecipati a tutti, essendo guida la giustizia e assecondando la carità. Pertanto, quali che siano le forme concrete della proprietà, adattate alle legittime istituzioni dei popoli, in vista delle di- verse e mutevoli circostanze, si deve sempre ottemperare a questa destinazione universale dei beni. Perciò l’uomo, usando questi beni, deve considerare le cose esteriori che le- gittimamente possiede, non solo come proprie, ma anche come comuni, nel senso che possono giovare non unicamente a lui ma anche agli altri. Del resto, a tutti gli uomini spetta il diritto di avere una parte di beni sufficienti a sé e alla propria famiglia. Questo ritenevano giusto i Padri e i Dottori della Chiesa quando hanno insegnato che gli uomini hanno l’ob- bligo di aiutare i poveri, e non soltanto con il loro superfluo. Colui che si trova in estrema necessità, ha il diritto di procu- 319 rarsi il necessario dalle ricchezze altrui. Considerando il fatto del numero assai elevato Di coloro che sono oppressi dalla fame, il Sacro Concilio richiama urgentemente tutti, sia singoli che autorità pubbliche, affinché – memori della sen- tenza Dei Padri: “nutri colui che è moribondo per fame, perché se non lo avrai nutrito, lo avrai ucciso” – realmente mettano a disposizione ed impieghino utilmente i propri beni, ciascuno secondo le proprie risorse, specialmente fornendo ai singoli e ai popoli i mezzi con cui essi possano provvedere a se stessi e svilupparsi. Dalla Costituzione Pastorale “Gaudium et Spes” n. 69 La nostra umana esistenza nasce, vive, si svolge e tra- monta in un rapporto esistenziale e morale con Dio. Qui è tutta la sapienza della vita, qui la filosofia della verità, qui la teologia del nostro destino. Noi nasciamo creature di Dio, noi siamo ontologicamente da lui dipendenti: e, volere o no, noi siamo davanti a Lui responsabili. Siamo costruiti così. Paolo VI 1. Per un’economia solidale: dal mercato globale alla giustizia universale Sono molti gli aspetti che interagiscono nella società civile sul terreno della solidarietà. Sostenibilità ambientale, equità sociale, consumo critico, finanza etica sono soltanto alcune delle forme che contribuiscono a rafforzare la partecipazione democratica e responsabile al bene uguale per tutti. Nell’ultimo ventennio si è svi- luppato un ampio movimento di opinione che si pone come coscienza critica alle logiche negative della globalizzazione, promuovendo una nuova solidarietà fra i popoli che mira a garantire maggiori dignità a tutti gli esseri umani. Dopo il pio- nieristico inizio, si apre adesso una larga strada da percorrere uniti e numerosi. Proviamo a conoscere i protagonisti di questo movimento che dal basso smuove le coscienze più assopite. Ci faremo guidare dalle informazioni raccolte nel libro Il drago e l’agnello di Giuliana Martirani, Edizioni Paoline, 2001. • Alcune iniziative di base: la solidarietà consapevole A partire dalla fine degli anni ’70 è andata affermandosi nella società civile in- ternazionale una progressiva consapevolezza del ruolo che organizzazioni non go- vernative e rappresentanze popolari debbono assumere sul terreno della strategia mondiale per la salvaguardia delle risorse ambientali, una più equa distribuzione delle ricchezze, la gestione di un’economia più solidale; nonché nelle sedi istitu- zionali (Nazioni Unite e grandi organizzazioni internazionali) dove tali strategie vengono pianificate a opera degli Stati, non dei popoli. Dai primi forum delle Organizzazioni non governative paralleli ai grandi ver- tici dell’Onu su ambiente e diritti umani, attraverso manifestazioni più o meno cla- morose in occasioni di incontri internazionali (da Seattle a Genova), si è venuto 320 sviluppando negli anni recenti un movimento di opinione che, al di là di frange estreme e violente, si pone come coscienza critica alle logiche negative della glo- balizzazione, promuovendo una solidarietà tra i popoli e stili di vita compatibili con la dignità di tutti gli esseri umani. Questa spinta di base per la costruzione di una convivenza civile mondiale più solidale e pacifica si sviluppa sostanzialmente in due direzioni: quella politica, che opera nella sfera decisionale delle istituzioni internazionali attraverso campagne di opinione e pressione; e quella operativa che agisce sui comportamenti di singoli cittadini e consumatori, attraverso azioni di sensibilizzazione da parte di gruppi e movimenti. Di seguito cercheremo di dare un quadro sintetico delle principali espressioni quali la solidarietà internazionale, la sostenibilità ambientale, l’equità sociale, il consumo critico, la finanza etica. 2. L’Onu “dei popoli” Contrapponendosi all’Onu degli Stati, quello “dei popoli” è un movimento che mira a contribuire al rafforzamento della partecipazione democratica internazionale promuovendo delle alleanze tra gruppi di cittadini, organizzazioni della società ci- vile, comunità locali, parlamenti, governi ed istituzioni internazionali che possano costituire delle valide alternative sociali economiche e politiche alle tendenze in corso. I principali obiettivi sono: ripudiare definitivamente la guerra e costruire un sistema di sicurezza comune; affrontare le cause della crescente ingiustizia econo- mica e della povertà; promuovere la democrazia internazionale, spingendo anche verso una riforma e una democratizzazione dell’Onu, quale centro strategico della governabilità globale, con una reale rappresentatività della società civile. L’Onu “dei popoli” si riunisce ogni due anni a Perugia, alla vigilia della Marcia della Pace. La prima assemblea, tenuta nel 1995 in occasione del 50° anni- versario delle Nazioni Unite, ha visto la partecipazione di 600 associazioni ed enti locali in rappresentanza di 82 popoli di tutti i continenti. La seconda assemblea, te- nuta nel 1997, aveva come titolo: “Noi popoli delle Nazioni Unite per un’eco- nomia di giustizia” e ha affrontato i problemi della globalizzazione dell’economia. La terza, nel 1999, ha discusso del “Ruolo della società civile globale …”, presenti oltre 150 rappresentanti della società civile di tutto il mondo, in preparazione alla Millenium people’s assembly (2000) e del Social global forum di Porto Alegre (Brasile) del gennaio del 2001. L’ultimo incontro, con rappresentanti di cento Paesi, ha approfondito e discusso il tema della pace e di diritti umani, alla luce dei tragici e recenti avvenimenti internazionali. • “Social watch” La rete “Social Watch” nasce nel 1995 da una coalizione di numerose Orga- nizzazioni non governative (Ong) col compito preciso di monitorare costantemente 321 i comportamenti dei governi, evidenziando progressi e regressi rispetto agli obiet- tivi dichiarati in tema di sviluppo sociale. Questo impegno si traduce nella pubblicazione annuale di un rapporto che, sulla base dei dati forniti dalle più importanti fonti ufficiali e dai rapporti prove- nienti dai vari Paesi, offre un’analisi accurata della qualità della vita e dell’impatto delle politiche sociali. La Rete è costituita da 2000 Ong e gruppi internazionali presenti in 60 Paesi del Nord e del Sud del mondo. Il Segretariato ha sede a Montevideo, in Uruguay. Coordinatore per l’Italia e l’Europa è l’associazione “Mani Tese”. Il rapporto sul- l’Italia è curato annualmente da “Sbilanciamoci”, un cartello di 32 organizzazioni che si occupano di monitorare l’uso della spesa pubblica italiana per le politiche sociali. 3. La sostenibilità ambientale Uno sviluppo equo e sostenibile, nonviolento, lo si sta costruendo attraverso nuovi stili di economia e di relazioni umane che si aggregano avendo come obiet- tivi la diffusione di stili di vita impostati sulla sobrietà e sul rispetto dei diritti e delle altrui libertà. L’impegno per uno sviluppo sostenibile oltre che con la produ- zione biologica di molte aziende e cooperative, il riciclaggio, gli interventi contro l’inquinamento, l’effetto serra, il buco d’ozono sono realizzati sia attraverso l’ap- plicazione del “fattore 4” dell’istituto tedesco di Wuppertal a molti materiali, tra- sporti ed energia (si tratta di un sistema che illustra come raddoppiare il benessere dimezzando il prelievo delle risorse naturali), sia attraverso una molteplicità di in- terventi e di incentivi di carattere politico e fiscale. Eccone alcune: • Azienda amica della terra . L’ecobilancio di prodotto è orientato a una mi- gliore descrizione e comprensione delle prestazioni ambientali di un prodotto. • Ecoaudit. È orientato a una trasparente illustrazione delle prestazioni ambien- tali del sistema produttivo di un’impresa, rendendole pubbliche. L’Unione eu- ropea ha emanato un regolamento che raccomanda alle imprese di realizzare su base volontaria un Ecoaudit aziendale e di farlo certificare da un verifica- tore accreditato. • Energia da megawatt a negawatt. Poiché la fornitura di energia elettrica costi- tuisce un monopolio naturale, perché non sarebbe conveniente avere più linee elettriche di distribuzione, è necessario un organo di controllo, un garante. Negli Usa le Public utility commission (Puc) rappresentano l’interesse pub- blico tenendo conto anche della convenienza economica dei produttori che sono stimolati all’introduzione di energia pulita a causa della concorrenza delle fonti rinnovabili e della scoperta delle potenzialità dell’efficienza. Le Puc hanno preteso in molti Stati americani la forma più a buon mercato del- l’offerta dei servizi energetici, ovvero la pianificazione energetica al costo più 322 favorevole (least cost planning), anche denominata Pianificazione integrata delle risorse (Irp), presente in Usa non solo nel settore dell’energia elettrica ma anche in quello idrico e del gas. Ciò ha consentito ai consumatori di pre- tendere servizi derivanti dall’aumento dell’efficienza, detto anche negawatt, perché sono più a buon mercato dell’aumento dell’offerta (megawatt).La com- missione europea ha in progetto una direttiva sull’adozione dell’Irp. • Campagna acqua. Più di 1,4 miliardi di persone nel mondo non hanno ac- ceso all’acqua potabile. Garantire a tutti il diritto a un bene primario, sottraendolo alla logica del mercato e della speculazione, è l’obiettivo della Campagna interna- zionale che tende a sensibilizzare su questo tema l’opinione pubblica e ad assicu- rare entro il 2025 l’uso delle risorse idriche a tutta l’umanità. Un “Manifesto del- l’acqua” è stato redatto nel settembre 1998 dal Comitato internazionale presieduto da Mario Soares e creato per iniziativa del professor Riccardo Petrella. L’insieme delle adesioni è stato alla Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite “Rio+10” che ha avuto luogo nell’ottobre 2002 a Johannesburg. Il sito del Comitato italiano della campagna è: www.contrattoacqua.it. 4. Iniziative di equità sociale Gli interventi, invece, a favore dell’equità sociale e internazionale riguardano, oltre che la cooperazione e il volontariato, coi suoi progetti, oltre che le adozioni a distanza e i programmi di educazione allo sviluppo, una serie di iniziative che ten- dono a incidere sulla produzioni di beni, sui consumi singoli e di gruppo, sulla fi- nanza. Fra le tante ne ricordiamo alcune. • Le Banche del tempo sono dei sistemi locale di scambio (local exchange tra- ding system-lets) il cui obiettivo è di creare una forma di mutua solidarietà in cui lo scambio di beni e di servizi avvenga non con l’uso del denaro, ma attra- verso la contabilizzazione del tempo di lavoro che ciascun partecipante mette a disposizione di un dato servizio sociale. La più importante Banca del tempo (o Lets) è in Australia, a Sydney, con una rete di economia solidale di 1800 membri. In Italia questo tipo di volontariato conta circa 300 realtà operative diffuse soprattutto in ambito locale, comitati di quartiere e comunità. Un osser- vatorio sulle Banche del tempo, denominato Tempomat, è stato istituito nel 1995 dal Centro “Il Cittadino ritrovato” di Roma (sito: www.cgil.it//cittadinori- trovato). • I Gruppi di acquisto solidale (Gas) in Italia sono sorti tra cinquanta famiglie a Fidenza, nel 1994, per comprare direttamente dai produttori i prodotti biologici o di uso quotidiano, in spirito di solidarietà, eliminando i costi di intermediazione: a turno alcuni tra i soci del gruppo si incaricano di ricevere gli ordini, acquistare la merce e consegnarla. (sito: www.graces.it gruppo Gas nel Padovano). • I Gruppi di trasporto solidale (Gts), cercano di ridurre l’utilizzo dell’auto in 323 forma singola e privata e si accordano per usarle in forma collettiva, come in Italia, o ad acquistare in forma societaria un parco da gestire in forma collet- tiva, come a Brema, in Germania. • Il Commercio equo e solidale: le “Botteghe del mondo”. L’idea del commercio solidale (fair trade) nasce oltre trent’anni fa dall’iniziativa di alcune Ong in Olanda e Svezia, consapevoli dello scambio ineguale e iniquo nei rapporti commerciali tra il Nord e il Sud del mondo. Oggi è ormai una realtà internazio- nale, particolarmente viva in Europa. Sono due i principali organismi di colle- gamento: European fair trade association, Efta (http://www.fairtrade.nl), è for- mata da 13 organizzazioni di commercio equo appartenenti a 10 Paesi europei, che gestiscono complessivamente più di tremila botteghe, nelle quali operano 50 mila volontari e circa 600 persone stipendiate, per un fatturato totale di 400 miliardi delle vecchie lire (200 milioni di euro); International federation for al- ternative trade, Ifat (http://wwwifat.org/), costituitasi nel 1989, è una federa- zione che raggruppa e coordina oltre 154 organizzazioni sia al Nord che al Sud del mondo, che lavora con più di 300 gruppi di produttori in 49 Paesi. Il Com- mercio equo e solidale, evitando le logiche assistenziali, propone un modello alternativo di rapporto commerciale, essenzialmente basato su quattro pilastri: importazione diretta dei prodotti artigianali o alimentari, in modo da evitare in- termediazioni lucrative; pagamento di prezzi equi, sempre inferiori ai prezzi di mercato; prefinanziamento, ovvero pagamento anticipato delle merci, fino al 50% dell’importo totale, all’atto della conferma dell’ordine, così da prevenire il ricorso all’indebitamento da parte dei produttori; assoluta trasparenza nella formazione del prezzo finale. Un’altra delle caratteristiche del commercio soli- dale è la selezione dei partner commerciali del Sud: deve trattarsi di gruppi di produzione riuniti in strutture democratiche e indipendenti, che si impegnano a praticare condizioni di lavoro adeguate e che sono normalmente esclusi dal mercato tradizionale. Un’attenzione particolare viene riservata a gruppi che fa- voriscono l’inserimento delle categorie più deboli e che promuovono tecniche di lavorazione o coltivazioni eco-compatibili. Un ruolo essenziale per la pro- mozione del commercio equo e solidale è svolto dalle centrali d’importazione alle quali ci si può rivolgere per sapere quali sono le “botteghe del mondo” più vicine. In Italia le principali centrali, al momento sono tre. • Cooperazione Terzo Mondo (Ctm, Altromercato, www.altromercato.it); nata nel 1988, con sede a Bolzano, è la maggiore e mantiene legami commerciali con oltre 140 gruppi di produttori del Sud, che danno lavoro a quasi quaranta- mila persone. I prodotti che essa importa sono distribuiti in un numero sempre crescente di punti vendita, oggi più di 200, gestiti da oltre un centinaio di as- sociazioni e cooperative. • Commercio alternativo (Ca, www.net.com/comalt) è la seconda principale centrale. Costituitasi a Ferrara nel 1992, è una federazione di circa quaranta organismi autonomi ed è caratterizzata da un forte decentramento operativo. Nel circuito del commercio alternativo anche le singole cooperative, che gesti- 324 scono circa 120 botteghe, vengono incoraggiate a stabilire rapporti commer- ciali diretti con i partner del Sud del mondo: il successo di questa politica è stato tale che il fatturato di uno dei soci, la “Cooperativa equo mercato” di Cantù, ha oggi superato quello della sede di Ferrara. Cooperazione Terzo Mondo e Commercio alternativo hanno sottoscritto un accordo di collabora- zione per stabilire criteri comuni di valutazione dell’affidabilità dei gruppi di produttori del Sud, per unificare l’informazione e la promozione, nonché per adottare un nome comune, Botteghe del mondo, per tutti i punti vendita del commercio equo. • Robe dell’altro mondo (www.robawebcom), nata nel 1987, è una associazione culturale e umanitaria che coopera con vari gruppi democratici e di base del Terzo Mondo (in India, Nepal, Bangladesh e Thailandia) ed è attiva anche nel- l’ambito del commercio equo. 5. Il consumo critico Uno dei mezzi più efficaci per condizionare il comportamento delle imprese è il controllo del consumo, in modo da premiare le aziende che si comportano me- glio e punire quelle il cui operato produttivo e/o commerciale viola i principi etici. Il consumo critico presuppone un’analisi dei singoli prodotti e un esame delle im- prese produttrici. La difficoltà maggiore per i consumatori critici é quella del repe- rimento delle informazioni sui comportamenti delle aziende produttrici e sul conte- nuto di giustizia di un prodotto. Una guida al consumo critico è stata redatta dal Centro Nuovo Modello di Sviluppo (www.citinv.it/asociazioni/CNMS). Sull’esempio di analoghe iniziative straniere, la giuda è stata pubblicata per prima volta nel 1996, ed è stata aggiornata due volte per renderla aderente alla realtà che muta. La Guida al consumo critico raccoglie informazioni dettagliate sulle imprese che riforniscono la nostra spesa quotidiana. In tutto si tratta di 170 imprese di cui 100 a dimensione multinazionale, 70 a dimensione nazionale analiz- zate da 14 punti di vista: trasparenza, abuso di potere, Sud del mondo, armi ed esercito, vendite irresponsabili, organismi geneticamente modificati, sicurezza e diritti dei lavoratori, regimi oppressivi, illeciti e frodi, animali, etichette e pubbli- cità, paradisi fiscali, boicottaggio. Poiché sempre più frequentemente si realizzano contatti tra consumatori e produttori, è nata una rete di comunicazione per lo scambio di informazioni coordinata dal gruppo Consumatori coscienti riciclanti compatibili (CoCoRiCò: www.pages1.inrete.it/cocorico), nato con lo scopo di rac- cogliere e diffondere informazioni sulle scelte di comportamento compatibili con la giustizia e la conservazione del pianeta. • Il monitoraggio e il boicottaggio Sono due modi nei quali il consumatore può utilizzare il potere che gli è pro- prio: il primo è monitorare continuamente l’operato delle aziende, allo scopo di 325 rafforzare i sistemi produttivi e commerciali corretti, ed è quanto si propone il con- sumo critico. Il secondo è indurre singole imprese ad abbandonare comportamenti che violano in misura particolarmente grave i principi etici. È proprio questa la fi- nalità del boicottaggio, il quale, attraverso campagne che mirano a ottenere un’ampia risonanza, richiama l’attenzione dell’opinione pubblica su argomenti che, altrimenti, rimarrebbero sotto silenzio. Normalmente le forme di boicottaggio possibili sono due: il boicottaggio di coscienza viene intrapreso anche se non si in- travede alcuna possibilità di vittoria; il boicottaggio strategico viene praticato solo se si ritiene che vi siano le condizioni per il raggiungimento dell’obiettivo prefis- sato. Un obiettivo che, comunque, non deve necessariamente essere di grandi di- mensioni: “ la sensibilità delle aziende, infatti, è molto elevata”, ha dichiarato Ralph Nader, uno dei fondatori del movimento dei consumatori negli Usa, “e un calo delle vendite del 2,5% è sufficiente per indurle a rivedere le loro posizioni. Talvolta, anzi, basta presentare la possibilità di una campagna di boicottaggio per ottenere importanti risultati”. Tra le campagne promosse da vari movimenti ricor- diamo quelle contro alcune grandi multinazionali come Nestlé o Del Monte (ali- mentari), McDonald’s (ristorazione), Philips Morris (sigarette e alimentari) o contro le banche accusate di aver finanziato il commercio di armi (“Banche ar- mate”). • La Rete Lilliput Una delle più recenti forme di aggregazione tra associazioni, gruppi e semplici cittadini che intendono contrastare le logiche negative della globalizzazione, pro- muovendo nuovi stili di vita e un’economia di giustizia, viene dalla Rete Lilliput, costituita nell’ottobre del 2000 per iniziativa di 17 movimenti e associazioni che operano in campi diversi (umanitario, ambientale, sociale) e che ha dato vita a un collegamento tra i gruppi partecipanti per la promozione di campagne di opinione. “… Diamo avvio alla Rete Lilliput”, afferma il manifesto istitutivo, per unire in un’unica voce le nostre molteplici forme di resistenza contro scelte economiche che concentrano il potere nelle mani di pochi e che antepongono la logica del pro- fitto e del consumismo alla salvaguardia della vita, della dignità umana, della sa- lute e dell’ambiente”. La Rete Lilliput è strutturata in “nodi” sparsi in tutta Italia (circa 600). Il sito è: www.retelilliput.org 6. “Bilanci di giustizia” L’operazione Bilanci di giustizia è una proposta di revisione dei bilanci fami- liari presentata dal movimento ecclesiale “Beati i costruttori di pace” nel 1993. Ai nuclei familiari interessati (anche a comunità di singoli) si chiede una riflessione critica sui propri criteri di spesa, con l’obiettivo di evitare o sostituire quei con- sumi che utilizzano troppo energia, che danneggiano l’ambiente, che possono 326 avere effetti negativi sulla salute umana o che siano il risultato di meccanismi di sfruttamento a danno del Sud del Mondo. È importante sottolineare come la pro- posta non voglia mettere in discussione le entrate dei singoli componenti del nu- cleo familiare, né le occasionali spese di rilevanti dimensioni (come l’acquisto di una casa): non si tratta, infatti, di quantificare tutte le entrate e le uscite del nucleo, bensì di evidenziare le voci di spesa per le quali si è deciso di operare un risparmio o uno spostamento di consumi e i relativi investimenti di giustizia. Ogni riduzione o sostituzione delle spese diventa l’occasione per entrare in contatto con (e soste- nere direttamente) iniziative, campagne o movimenti attivi nei settori della solida- rietà sociale, del risparmio etico, della salvaguardia ambientale, del commercio equo o dell’adozione a distanza. Le famiglie, le comunità e i gruppi, ormai oltre 500, che partecipano all’operazione Bilanci di giustizia, compilano mensilmente un tabulato che aiuta a fare la fotografia del mese trascorso e a predisporre le scelte per il mese successivo. Si ha così l’occasione per verificare le operazioni effet- tuate; per stabilire il livello di spesa cui sarebbe corrisposto buonsenso, giustizia e prospettive future; per decidere a quale livello attestarsi voce per voce nei trenta giorni successivi, gli impegni e le intenzioni per un futuro, capaci di razionalizzare la spesa ed espanderla per gli investimenti di valore morale, solidale o economico. Le famiglie italiane che sono diventate “bilanciste” sono circa 500. Lo scorso anno, hanno “spostato” consumi per oltre 685 milioni di lire, pari al 27,6% del to- tale. • Verso una finanza etica Per restituire trasparenza ed eticità alle scelte di impiego dei risparmi sono nate e si sono rafforzate alcune iniziative di risparmio etico e autogestito. Si tratta, in particolare, delle Mutue auto-gestione (Mag), cooperative finanziarie impegnate nella raccolta di prestiti dai soci e nel finanziamento di attività utili da un punto di vista solidale, ambientale e sociale. In Italia le prime Mag furono istituite nel 1978. L’esperienza delle Mag porta, nel 1995, alla costituzione della cooperativa Verso la banca etica, che raccoglie il capitale necessario alla creazione della Banca Etica. Alla sua fondazione partecipano 21 organizzazioni provenienti dall’associazio- nismo, dal mondo della cooperazione e da esperienze di finanza alternativa. Il 30 maggio 1998 il capitale sociale minimo per la costituzione di una “Banca Popo- lare” è raggiunto: 12,5 miliardi. L’8 marzo 1999, a Padova, nasce la Banca popo- lare etica d’Italia (www.bancaetica.com). La Banca etica è una vera rivoluzione nel mondo del risparmio etico italiano. Si tratta di una vera e propria banca popo- lare, che ha quindi precedenti storici nelle casse rurali, la quale garantisce la totale trasparenza ed eticità del proprio operato, sia sul fronte della raccolta che degli im- pieghi, i quali sono riservati a organizzazioni no-profit che perseguono finalità so- cialmente rilevanti (tra queste la cooperazione con il Sud del mondo). Banca etica è un punto di incontro tra risparmiatori che condividono l’esigenza di una più con- sapevole, responsabile gestione del proprio denaro e iniziative che si ispirano ai 327 principi di un modello di sviluppo fondato su equità sociale a livello internazionale e su sostenibilità, ove la produzione della ricchezza e la sua distribuzione siano fondati sui valori della solidarietà, della responsabilità civile e della realizzazione del bene comune. Lo statuto della Banca popolare etica ha messo in atto una serie di strumenti e strutture atte a garantire la trasparenza con la possibilità di seguire l’intero percorso dei risparmi. Si può quindi scegliere di diventare semplicemente clienti della Banca etica attraverso i servizi finora predisposti, o di divenire soci tramite l’acquisizione di quote di capitale (di azioni nominative del valore nomi- nale di centomila lire ciascuna); in occasione delle assemblee ogni socio ha diritto a un solo voto, qualunque sia il numero delle sue azioni. Bibliografia CENTRO NUOVO MODELLO DI SVILUPPO, Guida al consumo critico, ed. Emi. RETE LILLIPUT, Alleanze, obiettivi, strategie, ed. Emi. P. COLUCCIA, La banca del tempo, Bollati Boringhieri. M. CORREGGIA, Manuale pratico di ecologia quotidiana, Mondadori. F. GESUALDI, Manuale per un consumo responsabile, Feltrinelli. N. K LEIN, No logo. Economia globale e nuova contestazione, Baldini & Castoldi. R. MILANO, La finanza e la Banca etica, ed. Paoline. TERRE DI MEZZO , Fa’ la cosa giusta (guida pratica al consumo critico e agli stili di vita sostenibili a Milano e in Lombardia), ed. Berti. Rivista Altreconomia (sito: www.altreeconomia.it ) 328 MODULO 3 NUOVI ORIZZONTI DELLA PACE E DELLA GUERRA LEZIONE 1 OLTRE LA RETORICA DELLA PACE OBIETTIVI DELLA LEZIONE: Al termine della lezione, il lettore sarà in grado di: - cogliere il valore del “rispetto” come opportunità per educare alla pace; - riflettere sul proprio stile educativo; - comprendere la mappa dei siti più significativi per l’impostazione di un progetto formativo di educazione alla pace. CONTENUTI: 1. L’educazione alla non violenza come educazione al rispetto. 2. Educare al rispetto o educare con rispetto? 3. L’educazione alla pace come educazione alla conoscenza. 4. Una mappa ragionata dei siti sul tema della pace. 1. L’educazione alla non violenza come educazione al rispetto Spesso ci accorgiamo che qualcosa è davvero importante, quando ci viene a mancare. Non si tratta solo di oggetti o persone a noi care, ma anche attenzioni, sentimenti che riteniamo gli altri debbano esprimerci, come se fosse un nostro di- ritto. Emblematico è il caso della pace: sappiamo cos’è nel momento in cui è vio- lato nei nostri confronti, ma raramente ci accorgiamo quando siamo noi a negare questo diritto agli altri. La retorica della pace forse consiste proprio in questo: ne parliamo ma come osservatori di una pace che altri si negano reciprocamente. Per evitare di cadere in questo circolo vizioso che non produce una trasforma- 329 zione reale dei nostri comportamenti, invitiamo il formatore a concentrare l’atten- zione su un tema che rimane spesso ai margini dell’educazione al pace, tuttavia ricco di implicazioni, non solo teoriche. È il tema del rispetto. La mancanza di rispetto sembra segnare in questo ultimo periodo i rapporti tra le persone, e potrebbe essere all’origine di molti conflitti, piccoli e grandi, che de- generano nella violenza a causa dell’incapacità di accettare l’altro come un valore. Può essere utile fermarci ad analizzare questo sentimento, e leggere il clima che respiriamo attorno a noi anche come “segnato” da una profonda dimenticanza del rispetto. • Il rispetto nasce da un dialogo interiore Secondo il filosofo I. Kant, il sentimento del rispetto sorge dal conflitto fra la coscienza del dovere e le nostre inclinazioni egoistiche. È proprio attraverso il sen- timento di rispetto che si fa strada, per l’uomo, la possibilità di sentire una dimen- sione più alta della propria vita, più ricca di quella che è possibile costruire sul na- turale ed egoistico desiderio di possesso. Questo sentimento nasce grazie alla capacità di dialogare con sé stessi ed è il frutto di una coscienza educata a relazionarsi con la parte di sé più misteriosa e oscura. Ma se il sentimento del rispetto è anzitutto un atteggiamento verso se stessi, un‘accettazione di sé e del mistero che ci si porta dentro, può anche accadere che la coscienza o non venga educata al dialogo interiore o si “assopisca” diven- tando sorda all’appello della legge morale che risuona dentro di noi come “voce che viene dall’altra riva”. È difficile che possa provare sentimenti di rispetto chi non ha rispetto per sé stesso, non riconoscendo e accettando quelle zone d’ombra, misteriose e diffe- renti che generano meraviglia ed esitazione. • Esistere, meravigliarsi, stare di fronte Quali sono le condizioni perchè il rispetto possa tornare a qualificare le nostre relazioni? Mi pare che il segno più evidente del sentimento di rispetto sia il riconosci- mento dell’alterità della persona con cui entro in contatto; potremmo dire che il ri- spetto sorge quando ho la capacità di “stare di fronte”, ed “esito”, anche per un solo istante, evitando la manipolazione. Lo stare di fronte può essere pensato come un atteggiamento esistenziale che permette di incontrare qualcosa o qualcuno lasciandolo nella sua “ombra” dalla quale è venuto e tuttavia riconoscendolo come non in-differente all’ombra dalla quale io stesso provengo. L’atteggiamento dello stare di fronte è possibile concretamente attraverso il tipo di linguaggio che usiamo per comunicare e si esprime esteriormente nella forma dell’ascolto che accoglie e sa fare spazio. Il rispetto esige dunque un’autoli- 330 mitazione del nostro ego che si coglie nello stile comunicativo che ci caratterizza. Questa capacità non è innata, ma presuppone un’azione educativa che intenzional- mente abiliti la persona ad uscire gradualmente dalla logica del potere che non tol- lera relazioni frontali, e scambi alla pari. Possiamo dire che stare di fronte è un atteggiamento non-violento ( in quanto lascia essere ciò che si incontra) che si prende cura dell’altro riconoscendo in lui un’alterità che gli è familiare. Cominciare a guardare in faccia ciò che si incontra è quindi un primo passo per costruire una relazione rispettosa ed è, contemporanea- mente, un ri-chiamare la necessità di guardarsi in faccia, e riattivare quel dialogo interiore senza il quale non c’è riconoscimento dell’alterità. Stare di fronte, avere rispetto, richiede dunque la capacità di prendere sul serio l’esitazione, che non sarà nè una semplice incertezza, nè un nudo abbandono, ma l’esercizio di un distanzia- mento. Avere rispetto è vivere questa esitazione davanti alle cose, agli altri, a noi stessi, è vivere autenticamente il nostro essere identici e differenti allo stesso tempo. 2. Educare al rispetto o educare con rispetto? Ma quali sono i presupposti di fondo per un’educazione all’atteggiamento frontale? Non si nasce infatti rispettando gli altri! Qualcosa è degno di rispetto nel momento in cui è riconosciuto come signifi- cativo: attira la mia attenzione, mi richiama un evento, un’esperienza e mi co- stringe a sostare innanzi alla sua presenza. Perché questo accada è necessario che questo “qualcosa” sia riconosciuto dalla mia memoria come esistente in essa o come affine a qualche altra esperienza che potrebbe in qualche modo evocarlo. Se esso cade in questo “campo” di pertinenza, in questo “universo”, la persona dovrà immediatamente decidere se distogliere lo sguardo o esitare e cominciare a interro- gare l’evento al fine di comprenderlo meglio. Il rispetto viene meno quando ciò che ci è di fronte non esprime nulla che siano degno di esitazione. È importante sapere che se una persona vive l’altro come indifferente è perchè non riesce a collegarlo con nessuna parola che ha imparato, con nessuna, cioè di quelle parole indicanti esperienze vissute in modo significativo. In questo caso il processo si arresta inevitabilmente. Un giovane può non avere rispetto di un adulto semplicemente perché non può fare riferimento nella sua memoria ad adulti degni di essere rispettati, non collega ciò che ha di fronte con alcuna esperienza signifi- cativa passata. Il sentimento di rispetto nasce solo in chi è cresciuto in un clima di rispetto. Spesso corriamo il rischio di esigere il rispetto come presupposto per col- tivare una relazione, in realtà il rispetto è qualcosa che ci guadagnamo ed è il frutto di una relazione non il suo fondamento. Secondo Pier Cesare Rivoltella le nostre relazioni potranno educare al senti- mento del rispetto semplicemente se sono rispettose. Recuperiamo allora atteggia- 331 menti non intrusivi, capaci di creare un clima che non abbia niente a che fare con la seduzione, l’inganno, o la persuasione occulta! Recuperiamo relazioni educative leali, franche ed oneste! Il rispetto, infatti, nasce in chi vive il rapporto educativo come un’esperienza di libertà. Come può avere rispetto chi è educato semplicemente a reduplicare ciò che gli viene insegnato? Come imposterà le sue relazioni interpersonali colui che ha imparato solamente a ripetere modelli di comportamento? Rispetterà le interpre- tazioni originali che si discostano dal suo modo di vedere le cose, o esigerà solo ri- sposte imitative? 3. L’educazione alla pace come educazione alla conoscenza Possiamo pensare che il modo in cui giungiamo alla conoscenza e il rapporto che abbiamo con essa è un’utile palestra di educazione ad atteggiamenti non vio- lenti. Da un sistema di ricezione passiva quale quello praticato in molti contesti for- mativi attualmente, possiamo passare ad un sistema più attivo, che stimola l’utente ad andare a caccia di informazioni “costruendo” l’apprendimento facendo espe- rienza e a volte scontrandosi con la molteplicità di implicazioni, nessi e legami che l’oggetto di apprendimento porta con sé. Si tratta di recuperare un approccio ecologico della conoscenza, radicandola maggiormente all’ambiente interno ed esterno all’utente. Potremmo chiamarlo “principio dell’interazione”, recuperando un’espressione di Dewey, che fa “sentire” la persone che conosce attiva e protagonista di un si- stema sociale più ampio. Secondo una ricerca sull’educazione ambientale come “volano” per pratiche educative innovative, promossa dall’ENEA, alcune indicazioni utili per una revi- sione delle nostre pratiche di educazione cognitiva, come opportunità per una edu- cazione alla convivenza, potrebbero essere: • L’introduzione nei curricoli formativi di concetti come quelli di sistema, di complessità, di limite e di irreversibilità considerati strategici per una menta- lità ecologica: in che modo e in che misura possono i formatori favorire il ra- dicamento di tali concetti? • L’abbandono dell’apprendimento per accumulazione di nozioni e concetti, sostituendolo (o integrandolo) con la ricerca delle relazioni che legano le com- ponenti di un sistema e che ne fanno emergere la complessità : come e in che misura, il formatore può agevolare l’apprendimento per relazioni nello studio dei sistemi? • L’uso delle reti informatiche, che neutralizzano il problema posto dalle di- stanze tra i luoghi e i soggetti della comunicazione, riducendo tempi e costi di quest’ultima aprendo scenari molto promettenti: 332 a) informazioni di pertinenza locale possono essere portate all’attenzione del mondo intero, e, viceversa, molta dell’informazione prodotta sulla terra può confluire verso uno spazio circoscritto o una piccola comunità; b) si possono costruire banche dati di dimensioni mondiali fondate su una mi- riade di contributi puntiformi e con queste costruire immagini del mondo, come risultato di forme collaborative mai viste prima; queste possibilità aprono la strada ad un intero campionario di campi di riflessione: • la globalizzazione di dati particolari e la restituzione di nuove immagini del mondo da esse derivate sembrano aprire la strada a contenuti, livelli e modi di conoscenza qualitativamente più alti, mentre paiono rinforzare la motivazione alla produzione di conoscenza da parte di singoli e comunità: è possibile quan- tificare i nuovi livelli di conoscenza o esprimere una valutazione sui nuovi li- velli di motivazione? • l’acquisizione della consapevolezza della complessa rete di relazioni, che le- gano il singolo al sistema in cui vive e quest’ultimo al sistema “terra”, può avere serie ripercussioni non solo sui processi di conoscenza, ma anche sui suoi comportamenti: abbiamo dati sufficienti per dire che questo accade e in che misura esso accada? • nei processi del conoscere, almeno sul piano teorico, la rete abbatte le barriere spaziali e temporali, ma anche le gerarchie del sapere; infatti, informazioni prima accessibili a ristrette enclavi scientifiche, possono essere messe a dis- posizione dei cittadini del mondo e, nei casi più fortunati, il singolo studente o la classe può entrare in interazione con il singolo ricercatore o una équipe di ricercatori per discutere sui modi e sui limiti della ricerca scientifica ambien- tale, per validare metodi di indagine, per analizzare campagne di dati che su- scitano controversie locali, ecc.; insomma l’allargamento della comunità scientifica permessa dall’esistenza delle reti informatiche potrebbe essere di straordinaria utilità nell’acquisizione di corrette prassi di ricerca ambientale e nel sostegno all’uso sociale dei dati. 4. Un approccio giuridico al tema della pace: una mappa dei siti Le offriamo a questo punto la possibilità di visitare alcuni dei siti più impor- tanti per impostare un ipotetico progetto formativo sul tema della pace. Abbiamo scelto in particolare quei siti che le permettono di procedere oltre la retorica della pace. ¾ Centro di Studi e di Formazione sui diritti della persona e dei popoli www.cepadu.unipd.it/prima/B_Centro.html Gli obiettivi del notissimo Centro, istituito nell’ambito dell’Università di Pa- dova, sono: a) contribuire a costruire una “conoscenza” interdisciplinare dei diritti umani (“le savoir des droits umains”); b) diffondere i contenuti, sia teo- 333 rici che operativi, di tale conoscenza; c) educare affinché la conoscenza dei di- ritti umani diventi parte integrante della vita sociale e politica. ¾ Centro interdipartimentale di Ricerca sulla Pace http://www.ba.infn.it/~nardulli/paceco.html Il Centro interdipartimentale di Ricerche sulla Pace, istituito dall’Universita’ degli Studi di Bari, ha lo scopo di: 1) promuovere e coordinare studi e ricerche di base finalizzate e connesse ai problemi della Pace; 2) promuovere iniziative didattiche sulle tematiche della pace, con particolare riferimento alla prepara- zione dei formatori. ¾ Forum per i problemi della pace e della guerra http://soalinux.comune.fi.it/8/forum/ Il Forum per i problemi della pace e della guerra, è un’associazione indipen- dente costituita da studiosi di diverso orientamento, prevalentemente apparte- nenti all’Università di Firenze e ad altre Università italiane. Il Forum è un isti- tuto scientifico, ed un’organizzazione non governativa (NGO) riconosciuta dall’ONU ed è ente internazionalistico riconosciuto dal Ministero degli Affari Esteri. Scopo del Forum è la produzione, lo scambio e la diffusione di cono- scenze sui temi della pace e della guerra, con approccio interdisciplinare. A questo fine esso promuove ricerche, organizza convegni e seminari fra esperti nazionali ed internazionali, nonché corsi di lezioni; cura inoltre la pubblica- zione di opere specialistiche o di alta divulgazione. ¾ Diritto internazionale umanitario http://www.sirio.com/cri-re/diu.htm Il sito studia il diritto internazionale umanitario, cioè quella branca del diritto internazionale che ha per scopo quello di limitare le sofferenze causate dalla guerra e di attenuare gli effetti di questa. Le regole che enuncia sono il risul- tato di un sensibile equilibrio tra le esigenze della condotta delle ostilità -la “necessità militare”- da un lato, e le leggi dell’umanità, dall’altro. ¾ Istituto di Studi Giuridici sulla Comunità Internazionale www.ici.rm.cnr.it/ Tra le linee di ricerca dell’Istituto di Studi Giuridici sulla Comunità Interna- zionale: Prassi italiana di diritto internazionale; Diritto internazionale dell’am- biente; Regime internazionale dell’Antartide; Tutela giuridica delle aree pro- tette; Diritto delle Nazioni Unite e prospettive di riforma dell’ONU; Tutela dei diritti umani e diritto umanitario; Conformità del diritto interno alla normativa internazionale e comunitaria. ¾ Istituto internazionale di studi sui diritti dell’uomo www.spin.it/iihrs/index.html L’Istituto internazionale di studi sui diritti dell’uomo è stato costituito nel 1984 a seguito di un’assemblea generale dell’UNESCO nel corso della quale 334 gli stati sono stati invitati a porre allo studio i problemi relativi alle conserva- zione delle libertà fondamentali quale base per un ordinamento giuridico sta- tuale a carattere democratico. La base sulla quale operare erano e sono i diritti fondamentali dell’uomo, che possono essere visti da un lato come diritto posi- tivo interno a tutti gli stati o addirittura come diritti convenzionali, cioè deri- vanti da una convenzione che da pochi stati si è allargata a tutta l’Europa, e dall’altro si possono basare su un diritto innato dell’uomo, come dall’altro canto esiste nella Costituzione Italiana all’art. 2, dove si afferma che “la Re- pubblica riconosce e garantisce i diritti individuali dell’uomo sia come sin- golo, sia nelle formazioni sociali”. ¾ Università Internazionale delle Istituzioni dei popoli per la pace www.unimondo.org/iupip/ L’Università Internazionale delle Istituzioni dei Popoli per la Pace si propone di fornire uno spazio di ricerca e di formazione nel campo della diplomazia popolare e della nonviolenza. Le finalità fondamentali dell’UNIP sono: - pro- muovere una cultura della pace e della mondialità nello spirito dei programmi dell’Unesco; - contribuire all’affermazione di un ordine mondiale fondato sul- l’attuazione dei diritti umani; - diffondere i principi della nonviolenza; for- mare a ruoli attivi nella diplomazia popolare e nella risoluzione pacifica dei conflitti, sviluppando competenze e abilità appropriate. ¾ Fondazione Internazionale Lelio Basso per i diritti e la liberazione dei popoli - www.grisnet.it/filb/filbita.html La Fondazione studia su un piano giuridico e storico, ma anche economico, sociale ed antropologico, le formulazioni giuridico-politiche che sostanziano il Diritto dei popoli: lo scopo è quello di contribuire all’elaborazione dei principi che devono regolare un nuovo ordine di rapporti volti a favorire la pace, basati non più sull’egemonia, ma sull’interdipendenza. ¾ Centro Studi Problemi Internazionali www.una.org/cespi/CESPI.html Il Centro Studi Problemi Internazionali, nato a Milano nel 1974, è un’associa- zione senza fini di lucro, espressione di una pluralità politica, religiosa e cultu- rale. I principi che regolano l’attività dell’Associazione sono la libertà della ri- cerca e dell’informazione e un impegno democratico e di solidarietà tra i po- poli. Secondo le finalità statutarie, il CESPI è quindi aperto alla collabora- zione con realtà affini in Italia e all’estero. Si pone al servizio dei gruppi e delle associazioni di base per l’informazione e la formazione sui problemi in- ternazionali, e promuove studi e pubblicazioni. ¾ Centro Interdipartimentale Scienze per la Pace www.cisp.unipi.it/ Il Centro Interdipartimentale Scienze per la Pace (CISP) intende promuovere nell’Università di Pisa la ricerca e la formazione sui temi della pace, del dis- 335 armo, delle origini dei conflitti e dei possibili modi per risolverli. In partico- lare, il Centro: - promuove e coordina studi e ricerche connessi ai problemi della pace; - promuove iniziative di ricerca e di sperimentazione didattica, con particolare riferimento alla preparazione dei formatori, nell’ambito dell’educa- zione alla pace; - favorisce e coordina a livello locale, nazionale ed internazio- nale, lo scambio di informazioni e iniziative atte a promuovere collaborazioni interdisciplinari nel predetto ambito culturale, attivando gli opportuni stru- menti organizzativi; - promuove convenzioni ed accordi di collaborazione con Enti pubblici e privati, italiani e stranieri, per la realizzazione delle finalità suddette. ¾ Centro di ricerca e di studio sui diritti umani www.luiss.it/centri/crsdu/index.htm Il centro della LUISS organizza, tra le altre attività, un Corso post-laurea a ca- denza annuale di aggiornamento sugli aspetti interni ed internazionali della tu- tela dei diritti umani, nell’ambito del decennio ONU ad hoc (1995-2004). Il corso ha cadenza annuale. A iniziativa del Centro la Luiss concorre dall’anno accademico 1998-99, con un dottorato di ricerca sulla tutela internazionale dei diritti dell’uomo. Più componenti del Centro hanno fatto parte della delega- zione del governo italiano alla Conferenza diplomatica per la convenzione istitutiva di un Tribunale permanente per i crimini contro l’umanità (Roma, FAO, 15 giugno - 17 luglio 1998). ¾ Centro Interdipartimentale di ricerca “Università per la pace” http://www.unibo.it/Annuari/Annu9799/Indice/parte2/P2s5-24.htm Il Centro, istituito nell’ambito dell’Università di Bologna, promuove e coor- dina studi e ricerche connessi ai problemi della pace, promuove iniziative di ricerca e di sperimentazione didattica, con particolare riferimento alla forma- zione dei formatori nell’ambito dell’educazione alla pace, e favorisce e coor- dina a livello locale, nazionale ed internazionale, lo scambio di informazioni e iniziative atte a promuovere collaborazioni interdisciplinari nel predetto am- bito culturale attivando gli opportuni strumenti organizzativi. ¾ Studi per la pace Infine le segnaliamo un sito di particolare interesse per la qualità e la quan- tità di informazioni che offre al visitatore: centro@studiperlapace.it Studi per la Pace è un centro di ricerca e di studi che si propone di analizzare e diffondere conoscenze documentate del diritto internazionale dei conflitti e dei diritti umani, nella convinzione che ciò contribuisca alla diffusione dei valori di pace e tolleranza ed alla comprensione tra i popoli. 336 EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE Le proponiamo la lettura di questo verbale che riporta l’inizio di una discus- sione tra insegnanti sull’educazione affettiva come via per l’educazione alla risolu- zione dei conflitti. Esprima le sue considerazioni e le socializzi nel news group. Per il testo integrale si rinvia al sito indicato. Felice: Qualcuno del nostro gruppo, sul tema dell’affettività in educazione, ha comin- ciato a sperimentare nel recente passato alcune proposte che possono essere ri- assunte citando un testo per tutti: “Star bene a scuola” del gruppo della prof. Francescato dell’Università di Roma. Questo testo integrava le proposte dello psicologo americano Gordon e sugge- riva metodologie e strategie da impiegare in ambito educativo. Più recentemente dello stesso Gordon è stato pubblicato il libro “Leader efficaci”che si è aggiunto agli altri, importanti per la nostra esperienza, “Genitori efficaci” e “Insegnanti efficaci”. Negli ultimi anni il problema del trattamento degli affetti in educazione ha preso sempre più una “piega americana”, nel senso che questo tema appare essere trat- tato come una malattia a cui si risponde con una medicina, una sorta di new-age educativa: “attiva questa procedura e tu vivrai felice”, “usa questo strumento e sarai contento e potrai risolvere i tuoi problemi affettivi”. Lo stesso Goleman, lo psicologo americano famoso per l’”intelligenza emotiva” che propone addirittura una misura del QE – Quoziente Emozionale, rientra da un certo punto di vista in questa tipologia di approccio. C’è invece tutto un altro filone teorico, che mi pare molto interessante, il quale propone un approccio più legato alla sfera del “profondo” della personalità e della relazione, più vicino alla dimensione dell’anima e alle ricerche della psicanalisi. Il gruppo di Clinica della Formazione del prof. Massa dell’Università di Milano ad esempio propone un approccio al problema dell’educazione agli affetti centrato sull’analisi dei dispositivi educativi, sulla ricerca delle dimensioni nascoste dell’operare educa- tivo, sull’interpretazione delle zone d’ombra della relazione educativa. Per schematizzare i due diversi approcci metodologici cito due lavori: • una serie di articoli degli ultimi numeri della rivista Psicologia e Scuola sul- l’educazione emotiva, nei quali si propone un vero e proprio curricolo educa- tivo e formativo • il testo ultimo di Mottana “Miti d’oggi dell’educazione” nel quale l’autore, membro del gruppo di Clinica della Formazione, considera un mito il tenta- tivo di “bonificare” gli affetti e dimostra che questi non sono affatto educa- 337 bili. Egli propone una modalità di approccio che sia in grado di farci pren- dere coscienza dei sentimenti e delle passioni che ci travolgono, senza aver la pretesa di “governarle” poiché anzi queste sono funzionali alla nostra vita stessa, offrono un senso e “sono la nostra misura del mondo”. Chiudo questa introduzione ponendo le due modalità indicate come stimolo alla discussione e indicando altre domande su cui confrontarsi: Si può proporre un curricolo educativo per gli affetti oppure no? http://space.tin.it/clubnet/felisold/educazione_e_af fetti.htm BIBLIOGRAFIA E WEBGRAFIA Elenco di siti sul tema della pace e della non violenza: • http://www.peacelink.it/amici/pns/index.php3 Presentazione del Settore PNS. Schede informative, materiale per le attività, progetti, collegamenti alle pagine regionali, link utili, informazioni e news. • http://www.archiviodisarmo.it/ Centro di documentazione e di studi sulla pace ed il controllo degli arma- menti. Attualità, iniziative, attività, servizio civile. • http://www.cosinrete.it/ Istruzioni per costituire i Centri di Orientamento Sociale. Informazioni utili, saggi e scritti di Aldo Capitini, editoria, link. • http://danilo1970.interfree.it/dolci.html Articoli, interviste, saggi, tesi, sulla figura di Danilo Dolci. • http://www.alexanderlanger.org/ Sito di presentazione delle attività della Fondazione. • http://www.fondazionebalducci.it/ Sito di presentazione della Fondazione. Attività, pubblicazioni, archivio e bi- blioteca, elenco delle associazioni territoriali. • http://www.barbiana.it/ Centro di Formazione e Ricerca don Lorenzo Milani e scuola di Barbiana. Presentazione della figura e dell’opera di don Milani, progetti ed iniziative del Centro. • http://www.peacelink.it/ Portale sul pacifismo. Contiene news, informazioni, recensione libri, database di associazioni, elenco BBS fidolike, mailing list tematiche, newsletter, dos- sier sui temi del volontariato ecopacifista. • http://www.cepadu.unipd.it/ Presenta le attività del Centro, pubblicazioni, news, ed offre un database su pace, diritti umani, cooperazione e sviluppo. 338 • http://www.bandieredipace.org/ Cartello di associazioni pacifiste per promuovere le bandiere arcobaleno; il comitato promotore, le adesioni alla campagna, i punti locali di distribuzione, download di materiale informativo, Faq, consulenza per condomini, news. • http://www.cppp.it/ Presenta le attività del Centro, offrendo diversi itinerari formativi per adulti. • http://www.geocities.com/educazioneallapace/ Sito a cura del del MIR-Palermo. Forum di discussione, segnalazione di siti, link utili, siti internazionali per corrispondenza scolastica. • http://soalinux.comune.fi.it/8/forum/ Presentazione del Forum, attività svolte dal 1985 al 2001, programma delle prossime attività, centro di documentazione. • http://bertola.eu.org/usenet/faq/pace.htm Faq a cura di Loris Rinaldo e Alessandro Marescotti, sul volontariato, paci- fismo, obiezione di coscienza, disarmo. • http://www.ines.org/ Iniziativa Network italiano per la pace, diritti umani, Ecologia e cooperazione allo Sviluppo sostenibile. • http://www.infopalestina.it/ Informazioni, articoli, appelli, ricerche, eventi in Italia e nel mondo, mostre fotografiche, mappe, riguardo la questione israelo-palestinese e Medio Oriente. • http://www.studiperlapace.it/italiano.html Centro studi di diritto internazionale dei diritti umani e dei conflitti armati. Offre tesi e dossiers, trattati e carte dei diritti, contributi esterni, conferenze, news ed informazioni utili, servizio di newsletter. 339 MODULO 3 NUOVI ORIZZONTI DELLA PACE E DELLA GUERRA LEZIONE 2 LA SOCIETÀ CIVILE INTERNAZIONALE E IL SUO RUOLO PACIFICANTE OBIETTIVI DELLA LEZIONE: Al termine della lezione il lettore sarà in grado di: - riconoscere la società civile come nuovo soggetto politico; - identificare nell’Onu dei popoli una nuova forma di partecipazione democratica della società ci- vile internazionale; - identificare le forme di “resistenza” praticate dall’associazionismo come azioni politiche non violente. CONTENUTI: 1. Con il “Principe” o con il popolo? 2. La società civile internazionale. 3. Lilliput contro Gulliver. Non abbiamo bisogno di una battaglia per ottenere una vittoria. Melik Wleyns Occorre infondere nella comune coscienza sociale uno “spirito” di amore, di solidarietà, di servizio, che temperi e corregga l’egoismo rinascente con lo stesso sviluppo armo- nico e civile, e che educhi gli uomini del nostro tempo alla concordia, alla collaborazione, alla pace. Paolo VI 340 1. Con il “Principe” o con il popolo? È solo di questo secolo una mondializzazione della politica a favore dei diritti degli esclusi. Pur se con gravi deficienze la Società delle Nazioni prima e l’Organiz- zazione delle Nazioni Unite dopo incominciano a costruire una sorta di politica mondiale che superi statalismi e blocchi, cercando di pensare al mondo nel senso di una umana-unità (umanità). Al suo interno agenzie come l’UNICEF a favore dei bambini nel mondo, l’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS) e altre agiscono pur con ambiguità e sprechi, a favore degli esclusi. Il Fondo Monetario Internazio- nale e la Banca Mondiale agiscono invece a salvaguardia degli interessi delle Na- zioni ricche e quindi escludendo ancor di più i Paesi e gli individui esclusi. È per questo motivo che la società civile internazionale sempre più pressantemente sta chiedendo una riforma dell’ONU. Il mondialismo politico è un evento molto signifi- cativo per inaugurare l’ONU dei popoli, come diceva don Tonino Bello, ovvero una Camera che rappresenti la Società Civile Internazionale, accanto all’ONU delle na- zioni, che rappresenta il governi, il “Principe”. La società civile sembra essere mag- giormente propensa alla concretezza della politica: parte dai bisogni, dalla realtà che è modalità culturale del popolo, in contrapposizione a quella del Principi, che in- vece parte da ideologismi. La società civile, l’esercito lillipuziano dei mille “Lil- liput” che imprigionavano il gigante Gulliver e tutto il suo potere, può allora aiutare ad abbandonare le modalità culturali del Principe, con le quali si parte dall’idea e la si immette nella realtà, si ritorna all’idea con un procedimento teoria-prassi-teoria, che significa partire dalle ideologie e forzando l’ideologia nella cultura e nella storia, per poi ritornare all’ideologia. Le modalità del popolo, e della società civile che significatamente comincia ad esprimerlo, sono diverse: prassi-teoria-prassi. Si parte dalla realtà (prassi), che significa partire dalle storie umane, dalle povere bio- grafie della gente comune, dalle loro situazioni concrete; si fissano queste situazioni nella cultura e nella storia, e ciò significa elaborare il domani (cultura) riallaccian- dosi a ieri (storia), coniugando il passato con il futuro, la memoria con l’utopia dove le biografie e le situazioni concrete sono l’oggi che consente il passaggio tra ieri e domani; si ritorna infine alla realtà per modificarla e costruire futuro. La teoria, che è in mano a educatori, informatori, formatori, ricercatori, consente solo di mettere le informazioni in relazione tra di loro, e di discernere schemi culturali superati e intra- vedere orizzonti di cui si ha solo una vaga aspettativa. E consente di superare le mo- dalità che inducono a una cultura dell’appartenenza, che è caratteristica delle so- cietà occidentali, pur se con modalità diverse, e di tutte le prassi politiche attuali e di tutte le organizzazioni mafiose sotto qualsiasi latitudine. 2. La società civile internazionale I primi segnali che da una rappresentanza delle ONG e dai Forum organizzati parallelamente ai vertici mondiali si stava passando a una partecipazione molto più 341 vasta e composita della società civile internazionale, si ebbero già a Parigi nell’ot- tobre del 1999. Ma, mentre nella capitale francese si registrava il mancato accordo tra i Paesi dell’OCSE su una strategia comune di investimenti a livello internazio- nale, il Multinational Agreement on Investment, a Seattle, in occasione della Terza Conferenza Intergovernativa sul Commercio Internazionale, 80 mila persone pro- venienti da quattro continenti, con proteste e manifestazioni urbane, sono riuscite a far litigare i potenti della Terra sul negoziato che doveva stabilire le nuove regole degli scambi internazionali. Il “popolo di Seattle”, come da allora in poi verrà de- nominata questa ondata di società civile in rapido spostamento da un Paese al- l’altro, denunciava a Seattle l’inaccettabilità degli strumenti ereditati dalla Confe- renza di Singapore, emersa al Millennium Round tenutosi dal 26 novembre al 3 di- cembre 1999 su tutti i capitoli del negoziato, soprattutto sui temi non strettamente oggetto di negoziati commerciali. Le manifestazioni che hanno accompagnato il vertice, le decine di seminari e convegni tenuti in parallelo ai lavori ufficiali da mi- gliaia di rappresentanti delle Organizzazioni Non Governative di tutto il mondo hanno portato l’attenzione dell’opinione pubblica proprio su questi squilibri radi- cali. Successivamente al fallimento del vertice di Seattle, l’occasione per la società civile internazionale si è riproposta al World Economic Forum 2000 (WEF), tenu- tosi a Davos in Svizzera (27 gennaio - 1 febbraio 2000). Il WEF, con lo scopo di “migliorare le condizioni di vita nel mondo”, come recitava lo slogan della manife- stazione, è il più importante momento di aggregazione economico, politico, intel- lettuale atto a orientare le scelte globali della società. Il World Economic Forum, che raccoglie i rappresentanti delle prime mille imprese globali, oltre che le più importanti personalità della politica mondiali, si autopropone come “organismo in- dipendente, imparziale, fondando il proprio comportamento nello spirito di attività imprenditoriale nell’interesse pubblico globale”. Nella realtà i costituenti e i colla- boratori hanno, in questa sede, un’occasione unica di influenzare i processi di svi- luppi globale, proponendo obiettivi, idee, modelli, riguardo ai punti chiave dello sviluppo finanziario-commerciale del mondo intero. • Ruolo dell’ONU “Noi popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le future generazioni dal fla- gello della guerra (…) , a riaffermare la fede nei diritti fondamentali della persona (…), a promuovere il progresso sociale (…), abbiamo deciso di unire i nostri sforzi per il raggiungimento di tali fini”. Il Preambolo della Carta mantiene intatta la sua attualità, nonostante in questi anni il protagonismo dei popoli non abbia trovato un riconoscimento in adeguate forme di democrazia internazionale, cioè di legittima- zione diretta delle istituzioni decisionali e di partecipazione politica popolare al loro funzionamento. La società civile internazionali si sta occupando di un numero di questioni sempre più elevato: dalla democrazia internazionale alla risoluzione dei conflitti, dal debito all’economia di giustizia, formulando delle proposte nuove 342 e alternative per un cambiamento economico, sociale e politico. L’ONU dei popoli mira a contribuire al rafforzamento della partecipazione democratica promuovendo delle alleanze internazionali tra gruppi di cittadini, organizzazioni della società ci- vile, comunità locali, parlamenti, governi e istituzioni internazionali che possano costituire delle valide alternative sociali, economiche e politiche. I principali obiettivi sono: • ripudiare definitivamente la guerra e costruire un sistema di sicurezza co- mune; • affrontare le cause della crescente ingiustizia economica e della povertà; • promuovere la democrazia internazionale, spingendo anche verso una riforma e una democratizzazione dell’ONU, quale centro strategico della governabilità globale. L’impegno per la riforma e la democratizzazione dell’ONU, l’opposizione al dominio dei blocchi contrapposti e la promozione di una nuova idea di “sicurezza comune” sono i temi al centro del programma di attività del Tavolo per la Pace, un organismo italiano di coordinamento di oltre cinquecento associazioni, enti locali e organismi laici e religiosi che lavorano per promuovere la pace, i diritti umani e la solidarietà. In molti settori l’ONU ha lavorato positivamente. In particolare ha gui- dato il processo di decolonizzazione politica, ha sollevato e affrontato il problema del sottosviluppo, elaborato la filosofia dello sviluppo umano sostenibile, e messo in opera, sia direttamente sia attraverso le sue Agenzie specializzate, molteplici e complessi programmi di cooperazione; ha sviluppato una fitta rete di cooperazione multilaterale in numerosi settori, dalla sanità all’ambiente, alla codificazione del diritto internazionale; ha contribuito alla crescita dell’associazionismo su scala transnazionale attraverso l’uso dello status consultivo presso le Agenzie dell’ONU e delle Organizzazioni Non Governative. Alle sue gravissime carenze istituzionali, dimostrate con la reintroduzione della guerra negli ultimi anni e la cui responsabi- lità primaria ricade sugli Stati membri e in particolare sui più potenti, l’ONU ha cercato di ovviare con le cosiddette operazioni di “mantenimento della pace” (peace keeping ) e l’impiego di Caschi blu. Nonostante le inadeguatezze e i ritardi, l’esperienza maturata con queste operazioni costituisce oggi la premessa reale per costruire un efficace sistema di prevenzione e contenimento dei conflitti armati, di Difesa Popolare Nonviolenta. Da più parti si chiede, infatti, che si proceda al dis- armo reale, alla riconversione degli eserciti nazionali in forza di polizia internazio- nale sotto autorità e comando delle Nazioni Unite, alla creazione di una forza non armata e nonviolenta da impiegare, sotto l’autorità delle Nazioni Unite, nelle ope- razioni di ingerenza umanitaria. È in questo momento che appare chiara la neces- sità e l’urgenza di avviare una campagna per la riforma, il rafforzamento e la de- mocratizzazione delle Nazioni Unite. La pubblicazione nel 1992 dell’Agenda per la Pace dell’allora Segretario Generale dell’ONU, Boutros Ghali, è diventata uno straordinario punto di riferimento positivo per lo sviluppo di questa campagna, promossa dall’Associazione per la Pace nata nel 1988, e che, nel 1995, in occa- 343 sione del 50° Anniversario dell’ONU, diede avvio al progetto Noi popoli delle Na- zioni Unite , organizzato dal Tavolo per la Pace. Gli obiettivi, che il cartello così denominato si pone, sono i seguenti: • creazione di una Seconda Camera, eletta a suffragio universale, sul modello della elezione per il Parlamento europeo, da affiancare a quella degli Stati; • modifica della nomina delle delegazioni in tutti gli organismi delle Nazioni Unite affinché le delegazioni siano formate da rappresentanti dei governi, dei parlamentari e delle ONG; allargamento dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza a Paesi di importanza regionale in Sud-America, Asia, Africa; • abolizione del diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza almeno per quanto ri- guarda la questione delle garanzie e le violazioni dei diritti umani; • riconoscimento giuridico del ruolo delle Organizzazioni Non Governative In- ternazionali nelle sedi e nelle istituzioni dell’ONU; • cessione o disponibilità di parti degli eserciti degli Stati Nazionali alle Nazioni Unite da impegnare in azioni di peace keeping ; • creazione, sotto l’egida dell’ONU, di corpi formati da obiettori di coscienza e da personale di Organizzazioni Non Governative. 3. Lilliput contro Gulliver La società civile internazionale appare sempre più come un nuovo soggetto politico in grado di far passare la politica dal potere al servizio. Se, però, non sub- isce interferenze partitiche, manipolazioni economiche e se la sua visibilità non viene strumentalizzata dai mass media, che possono accentuarne le poche e, a essa estranee, intemperanze o aggressività. L’ONU dei popoli può aiutare i popoli nella loro dimensione comunitaria, nazionale e internazionale a riappropriarsi del potere decisionale e di azione (empowerment) e di passare dalla democrazia formale o “democratura” alla democrazia sostanziale e al “potere di tutti”, l’onnicrazia di Capitini, luogo cioè della possibilità reale di ciascuna persona di decidere della propria esistenza (personalismo) in rapporto diretto con tutti (universalismo). Un potere non “contro” qualcuno, come nelle rivoluzioni violente, antico retaggio del- l’infanzia dell’umanità, ma un potere “per”: per lavorare insieme la speranza in co- mune-unità intorno a obiettivi di umana-unità. Per essere cioè a un tempo comu- nità e umanità. La società civile internazionale fa politica di base, impegnandosi con gli ultimi soprattutto, e facendo con loro percorsi in ambito culturale, educa- tivo, scientifico, economico, finanziario. Contro la violenza del gigante Golia o di Gulliver, che ha già prodotto nel mondo e continua a produrre fame, guerre, debito, schiavi, impoverimento e morte, c’è la piccola violenza di Davide (almeno così vista alla TV) che tira il sasso con la fionda contro la grande violenza di Golia, ma c’è ancor più la sfida, in assoluta nonviolenza, di Lilliput e dei lillipuziani che si li- mitano a rivelare le sue magagne e a legare Gulliver, perché non faccia più danni ai piccoli del mondo, ad altri lillipuziani. 344 • Le Campagne: una forma comunitaria di “resistenza e forza della verità” Le Campagne di opinione sono una modalità nonviolenta di impegno politico, sviluppatasi in particolar modo negli anni Ottanta, con cui dei gruppi e delle asso- ciazioni vogliono lanciare un messaggio forte sui problemi della pace, dell’am- biente, della solidarietà e dei diritti umani all’opinione pubblica, che ignora quel determinato problema, e alle istituzioni per fare pressione politica perché a quel determinato problema sia data la soluzione che essi propongono. Queste Cam- pagne possono essere accompagnate o meno da petizioni popolari per richiedere un intervento legislativo o da appelli, oppure da richieste di referendum, come fu per l’abolizione del nucleare, anche se recentemente lo strumento referendario è stato abbandonato da parte della società civile, a causa dell’abuso che i partiti ne hanno fatto. Le Campagne di opinione possono essere accompagnate da un di- giuno che ne rafforzi la visibilità esterna, e questa è la modalità usata da Gandhi, da Danilo Dolci e da molti obiettori di coscienza al servizio militare o alle spese militari. Esse non si rivolgono solo all’opinione pubblica ma anche direttamente a parlamentari nazionali, europei, a rappresentanti dell’ONU; a personalità del mondo della cultura, dei media, dell’economia… cooptandoli sull’obiettivo della Campagna. Possono essere anche accompagnate dal boicottaggio, se esse riguar- dano prodotti contro i quali si vuole costringere le multinazionali o a non usare la- voro minorile (Nike, Benetton, Timberland, Chicco/Artsana, Monsanto, Del Monte, Walt Disney ...) o a non sfruttare gli operai, oppure a non fare pubblicità (contro il latte in polvere della Nestlé nel Sud). In questi ultimi casi, accanto alla Campagna c’è un lavoro istituzionale in cui si cerca di coinvolgere i sindacati, perché il boicottaggio obblighi le multinazionali ad applicare le Clausole sociali e i regolamenti internazionali dell’Ufficio Internazionale del Lavoro. 345 PAROLE PER CAPIRE AGNOSTICISMO È la posizione di chi non ritiene possibile conoscere qualcosa. Nel caso dell’a- gnosticismo etico è la posizione di chi pensa che i valori morali e il bene non possano essere conosciuti con la ragione, ma solo scelti senza motivazione ra- zionale. ANOMIA Il termine significa mancanza di legge. Essa si presenta nella società ogni volta che le norme e le leggi sono sospese di fatto e i legami tra i cittadini vengono meno, mentre esplodono forme di anarchia, di violenza e di legge del più forte. Un quartiere dopo una certa ora, una curva di stadio in particolari momenti, possono diventare luoghi ove vige la legge della giungla, dato che norme di comportamento e leggi sono come sospese. APPRENDIMENTO È il processo tramite cui l’individuo acquisisce nuovi dati ed informazioni; l’apprendimento può essere per mappe cognitive (tutti gli organismi superiori elaborano delle mappe cognitive sul mondo circostante), per osservazione (l’apprendimento di un soggetto si verifica tramite l’osservazione di altri indi- vidui), per intuizione (l’apprendimento, secondo i gestaltisti, ha luogo dall’in- tuizione), o per imprinting (mano a mano che si entra in possesso di nuove in- formazioni, le precedenti spiegazioni si integrano con le nuove e la compren- sione si modifica). ATTAC Associazione fondata in Francia il 3 giugno 1998 che riunisce cittadini, asso- ciazioni, sindacati e giornali. L’idea di questa iniziativa è nata da un editoriale di Ignacio Ramonet dal titolo “Disarmare i mercati” (Le Monde Diplomatique, dicembre 1997), ossia combattere le politiche economiche delle multinazio- nali e degli enti a esse legati come il Wto, l’Fmi la Banca mondiale. È attiva anche la sezione italiana. BANCA MONDIALE – WORLD BANK Definizione sintetica per la Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Svi- luppo (International Bank for Reconstruction and Development IBRD). Come il Fondo Monetario Internazionale, è stata istituita nel 1944 a Bretton Woods (USA) e ha sede a Washington. Ne fanno parte 165 Stati (situazione alla metà del 1992). Questa banca concede soprattutto crediti d’investimento a lungo termine ai Paesi in via di sviluppo. 346 BISOGNO È uno stato di insoddisfazione dell’uomo dipendente da sue esigenze corporali e/o spirituali, individuali e/o collettive. Accanto ai bisogni primari (nutrirsi, ri- pararsi dalle intemperie) esistono anche dei bisogni secondari (o di civiltà) che si presentano e si sviluppano man mano che l’uomo avanza sulla strada del progresso sociale e civile (cultura, istruzione, viaggi, sport, comfort, ecc.). Possiamo inoltre distinguere fra bisogni individuali (ad esempio rinnovare il guardaroba), collettivi (ad esempio il fatto che un condominio abbia una ade- guata illuminazione) e pubblici (ad esempio sanità, trasporti, mantenimento dell’ordine pubblico). BUSINESS ETHICS Si può tradurre con “Etica degli affari”, ma è meglio con “Etica dell’Impresa”. È la disciplina che studia le problematiche etiche dell’imprenditore dal punto di vista del bene e del male e fornisce indicazioni di comportamento agli ad- detti ai lavori. CAPITALE SOCIALE Ogni gruppo umano funziona meglio e a minori costi se non ci sono attriti, se la fiducia reciproca è diffusa, se esiste solidarietà e senso civico. Esso, invece, funziona male e deve sopportare costi elevati se i contenzioni sono frequenti, se i suoi membri distruggono i beni comuni, se non ci si fida l’uno dell’altro. Una comunità è favorita anche nella produzione economica se esistono vincoli religiosi e morali tra i cittadini, se c’è un senso diffuso di appartenenza a quella comunità e uno spirito di collaborazione. Questo è il capitale sociale, che è capitale immateriale legato alle motivazioni dello stare assieme. CAPITALISMO È un sistema economico e sociale che ha come presupposto la proprietà pri- vata. In esso i mezzi di produzione appartengono a coloro che hanno investito i capitali e la distribuzione del surplus è congruente con tale fisionomia. L’ap- parizione di un sistema economico definibile come capitalismo è associata al- l’affermazione del ruolo determinante del capitale, intendendo con esso l’ in- sieme dei mezzi materiali necessari a gettare le basi di un processo sostenuto e continuo di espansione produttiva caratterizzato dall’impiego di capitale fisso (macchinari ed impianti) disponibili in forma concentrata nelle mani di singoli operatori. COMUNICAZIONE La comunicazione può definirsi come la modalità attraverso cui si instaurano, si strutturano, si sviluppano le relazioni sociali e si afferma il “se” nel mondo come attore individuale e/o collettivi. La comunicazione si inserisce all’in- terno di un contesto culturale di riferimento in cui un emittente, trasmettendo 347 un contenuto tramite un canale ed un codice condivisi col ricevente, può rice- vere dal destinatario un feedback comunicativo. CONTRATTUALISMO Teoria secondo cui gli uomini non sono naturalmente sociali né sono sempre vissuti in società. Essi avrebbero costituito la società in un secondo tempo, tra- mite un patto reciproco. Il termine è sinonimo di convenzionalismo e di vo- lontarismo. CORPI INTERMEDI Sono chiamate così le aggregazioni sociali che si collocano tra la persona e lo Stato. La famiglia, a rigore di termini, non sarebbe un corpo intermedio quanto piuttosto una società naturale, ma spesso anche essa viene ascritta ai corpi intermedi. Corpi intermedi sono quindi le varie aggregazioni della so- cietà civile (associazioni, gruppi, movimenti), sia gli organi politici come i partiti o quelli sindacali, comprese le associazioni di categoria. DEMOCRAZIA ECONOMICA È la situazione di un sistema economico quando l’accesso al mercato è favo- rito anziché impedito, non ci sono rendite di posizione, oligopoli o monopoli e tutti gli attori economici hanno le stesse possibilità. E-BUSINESS L’intero settore finanziario è interessato dai cambiamenti introdotti dalle auto- strade dell’informazione, un cambiamento che ha probabilmente uno dei suoi aspetti centrali nella possibilità di effettuare non solo operazioni bancarie ma veri e propri investimenti attraverso la rete. ECOLOGIA UMANA Ne parla la Centesimus annus al paragrafo 38. Il concetto si affianca a quello di ecologia naturale e mette in evidenza che anche nel mondo dell’uomo si pone il problema che l’ambiente (sociale, in questo caso) sia a misura di uomo e a sostenibilità umana. ETICA È la parte della filosofia che studia l’agire umano dal punto di vista del bene e del male. Ci dice come agire, come vivere. Si chiama etica razionale se per stabilire i criteri di comportamento si avvale solo della ragione; si dice etica teologica se invece si fonda sulla rivelazione. ETICA SOCIALE È la parte dell’etica che studia dal punto di vista del bene e del male le azioni sociali, i comportamenti dell’uomo in società. 348 FEED-BACK Flusso di informazioni di ritorno. L’analisi del feed-back rende possibile l’in- terpretazione degli atteggiamenti e la valutazione dell’impatto o della resi- stenza e, in generale, dei risultati ottenuti da un messaggio. FIBRE OTTICHE Le fibre ottiche sono costituite da fibre di vetro ad alta purezza che trasportano segnali digitali sotto forma di impulsi di luce e non elettronici; questo tipo di cavo ha un’ampiezza di banda praticamente illimitata ed è in grado di costi- tuire una vera e propria infostrada su cui viaggiano a grandissima velocità e in grande quantità tutti i tipi di segnali (voce, dati, immagini). FILOSOFIA È la ricerca razionale della verità. È l’itinerario di conoscenza e riflessione mai concluso con cui l’uomo cerca di rispondere alle domande che l’espe- rienza e la realtà gli pone in modo razionale e sistematico. GIUSTIZIA RETRIBUTIVA È la giustizia che regola gli scambi e quindi il mercato. Lo scambio viene con- siderato “equo” quando il valore dei beni scambiati è, secondo la situazione di mercato, equivalente. Ciò comporta che i due contraenti siano consapevoli del valore dei beni scambiati, ossia che ci sia una trasparenza informativa. GLOBALISMO Possiamo usare il termine globalismo per definire qualcosa di simile ad una vi- sione del mondo, ad un punto di vista che segue l’ideologia del neoliberismo. GLOBALITÀ Significa: viviamo da tempo in una società mondiale e la rappresentazione degli spazi diviene fittizia. GLOBALIZZAZIONE La globalizzazione può essere definita come una situazione di forte interdi- pendenza tra le attività economiche e finanziarie delle diverse regioni del mondo ed implica processi non solo economici ma anche politici, sociali e culturali. GLOBALIZZAZIONE CULTURALE Si riferisce alla diffusione di culture regionali che possono conquistare in tutto il mondo palcoscenici e rilevanza: la possibilità di conoscere realtà tra loro di- verse e lontane costituisce una potentissima finestra sul mondo intero in una in- terazione continua lungo l’asse locale/globale. Tale fenomeno riguarda quel tipo di integrazione mondiale che definiremo globalizzazione culturale. 349 GLOBALIZZAZIONE DEI MEDIA E DELLE COMUNICAZIONI Gli Stati-nazione non possono più innalzare barriere e i loro confini, difesi con le armi, sono facilmente penetrabili nello spazio della globalizzazione delle informazioni e delle comunicazioni. GLOBALIZZAZIONE DELLE TECNOLOGIE Strettamente connessa alla globalizzazione delle informazioni è la globalizza- zione delle tecnologie che consente una maggiore specificità nella trasmis- sione di idee, culture e informazioni. GLOBALIZZAZIONE ECOLOGICA Oggi è sempre più attivo un criterio in base al quale il fare o non fare degli at- tori sociali, ovunque nel mondo e in quasi tutti i campi sociali (da consumo, attraverso la produzione, fino all’architettura, al traffico, alla politica sociale, ecc.) può essere commisurato e criticato: a tale fenomeno possiamo attribuire il nome di globalizzazione ecologica. GLOBALIZZAZIONE ECONOMICA Nel groviglio del mercato mondiale si è formata una nuova economia virtuale di flussi monetari transnazionali, che sono sempre meno legati ad un sostrato ma- teriale e si risolvono in un gioco di informazioni e dati seguendo le dinamiche di un processo che possiamo definire col termine di globalizzazione economica. GLOBALIZZAZIONE POLITICA Con la caduta dello Stato-nazione le classiche modalità di acquisizione ed esercizio del potere assumono connotati nuovi e passano attraverso la consa- pevolezza da parte dei nuovi attori politici della sempre più marcata universa- lità dei problemi percepiti dalla società: le catastrofi ecologiche, le tematiche legate alla gestione dei consumi, la disoccupazione, ecc., riguardano non solo il contesto nazionale ma soprattutto l’ambito globale. Il termine globalizza- zione allude quindi in questo caso alla collocazione del politico al di fuori dello Stato-nazione in un processo di globalizzazione politica. GLOCALIZZAZIONE È il termine indicato da Robertson per descrivere il fenomeno della globaliz- zazione che ritiene più opportuno definire con il concetto di glocalizzazione poiché tale processo costituisce il punto di fusione di globale e locale. GOVERNANCE La governance significa un processo di governo che vede protagonisti più soggetti collegati in rete. Essa si differenzia dal governo (government) in quanto è dinamica e non fa riferimento ad una sola entità. Il termine è entrato in uso soprattutto dopo la fine dei blocchi, quando la realtà mondiale si è fatta multilaterale. 350 IDEOLOGIA Il termine ha un significato negativo, indica una visione di parte che vuole va- lere per l’intero, una concezione politica che pretende di essere assoluta e quindi ingabbia la realtà in tesi precostituite, cessa di interrogarsi e di dialo- gare, vuole solo imporsi anche con la forza. INDICE DI SVILUPPO UMANO Introdotto nel 1990 dall’ONU, esso mette in relazione tra loro i seguenti indi- catori: reddito pro-capite, tasso di alfabetizzazione, speranza di vita. L’I.S.U. pone l’accento sull’aspetto qualitativo della vita e misura il soddisfacimento dei bisogni fondamentali. LEGGE NATURALE Ogni essere agisce secondo la sua natura, secondo il suo essere. Negli esseri naturali questo è automatico: il gatto agisce da gatto. Nell’uomo, invece, non è automatico, deve essere voluto. Per questo nell’uomo la legge naturale, che re- gola appunto i comportamenti per renderli conformi all’essere dell’uomo, è anche una legge morale. Buono è l’azione che rispetta la natura umana, cattiva è l’azione che non è conforme alla natura umana. LIBERALISMO ECONOMICO Ritiene essenziale la libera iniziativa individuale per il funzionamento di un sistema economico, poichè gli interessi dei singoli si armonizzano nel mercato tramite la libera concorrenza e il libero scambio, portando alle condizioni di massimo benessere generale. MAGISTERO Indica coloro che nella Chiesa hanno il compito di “insegnare” la retta dot- trina: Il Papa e i vescovi. METACOMUNICAZIONE Comunicazione sulla propria comunicazione e sulla relazione in corso. NEOCOMUNITARISMO È una tendenza di pensiero politico affermatasi negli Usa a partire dagli anni ‘70 che invoca il ritorno alla comunità come veicolo di valori condivisi per rafforzare i legami sociali che mettono in relazione gli individui tra loro e si oppone al liberalismo di cui critica l’individualismo come teoria sociale. NEOLIBERISMO È la forma più attuale del pensiero liberale. Esso si distingue da quello clas- sico in quanto meno legato al conservatorismo sociale e al rigore morale che contraddistinguevano invece il liberalismo precedente. Il neoliberismo è in- 351 vece progressista, sposa la globalizzazione in modo acritico, è pragmatico, aprendo indiscriminatamente i confini destruttura la tradizione ed è eticamente relativista. NEOSOCIALISMO È la forma più attuale del socialismo. Si distingue dal socialismo classico in quanto meno ideologico e quindi aperto all’accettazione del libero mercato e del radicalismo etico borghese. Il neosocialismo, inoltre, ha superato comple- tamente l’impostazione classista ed operaista, concorda sulla necessità di ri- vedere lo Stato assistenziale che era stata la principale conquista del socia- lismo classico e ritiene impossibile governare una società complessa come l’attuale da un centro, anche se mantiene, alla fine, un ruolo centrale per lo Stato. NICHILISMO Significa ritenere che non esista nessuna verità e che la realtà e la vita non ab- biano fondamento. Deriva dalla parola latina “nihil” che vuol dire “nulla”. Il nichilista pensa che niente abbia senso e valore, che niente valga la pena. ORGANIZZAZIONE MONDIALE DEL COMMERCIO (WTO) L’organizzazione mondiale del commercio (Omc) – in inglese World Trade Organization – è l’organizzazione internazionale succeduta al Gatt nel 1995 e della quale fanno attualmente parte oltre 130 paesi, in rappresentanza del 95% del commercio mondiale. L’Omc, come il Gatt, elabora le sue norme per consenso, sulla base di concessioni reciproche a carattere però irreversibile: una concessione commerciale (ad esempio una riduzione dei dazi doganali), una volta accordata, non può essere rimessa in discussione, tranne che per un periodo di tempo limitato (6 mesi) e in casi eccezionali (ad esempio, disorga- nizzazione del mercato interno). L’attuale Omc-Wto, a differenza del Gatt, dispone di un sistema di risoluzione delle controversie e di determinazione delle sanzioni. Nel Gatt invece ogni paese si faceva “giustizia” da sé, con l’u- nico limite rappresentato dalla proporzionalità della sanzione rispetto al danno subìto. Si tratta di un’organizzazione che, in prospettiva, dovrebbe poter elaborare un vero e proprio diritto internazionale del commercio, che oggi non esiste. PARITÀ DI GENERE Significa la parità di diritti, condizione e trattamento tra uomo e donna. PERSONALISMO È la prospettiva di chi considera l’assolutezza della persona umana, intesa come un soggetto razionale, libero, dotato di volontà e naturalmente relazio- nale, il criterio fondamentale per giudicare la società e la sua organizzazione. 352 REIFICAZIONE della relazione Significa attribuire all’altro i caratteri della relazione in corso (“Luigino è ti- mido!”). È l’uso del verbo essere che “frega”. La reificazione è disturbante e comunica un’ingiunzione paradossale: “sei così! E così come sei non dovresti essere!”. QUESTIONE SOCIALE È l’insieme delle problematiche sociali nate dalla rivoluzione industriale: sfruttamento degli operai, sradicamento ed urbanizzazione, mancanza di tutele normative del lavoro, lavoro minorile e femminile, salari inadeguati, nuove ideologie, scontro sociale cruento, diritto di sciopero e di associazione ecce- tera. QUARTO SETTORE È l’insieme dei rapporti assolutamente informali della famiglia, degli amici, del vicinato. RELATIVISMO ETICO È la posizione di chi pensa che non esista un bene morale valido per tutti, ma solo relativo ai singoli individui, o alle varie epoche storiche o alle varie culture. RICERCA-INTERVENTO Tipo di ricerca applicata usata con la finalità di comprensione e/o soluzione di problemi per produrre cambiamenti sociali; è caratterizzata dalla partecipa- zione attiva dei soggetti coinvolti. RISORSE IMMATERIALI Sono quelle che non si riferiscono a risorse fisiche e che attengono alle capa- cità umane: conoscenza, capacità tecniche, spirito di innovazione, creatività, capacità di lavorare in gruppo eccetera. RIVOLUZIONE INDUSTRIALE È il complesso fenomeno dei cambiamenti provocati dalla nascita e dallo svi- luppo dell’industria. Si distingue una prima rivoluzione industriale, che co- mincia con l’invenzione della macchina a vapore a metà del Settecento; una seconda che comincia soprattutto nell’ultimo trentennio dell’Ottocento, ed una terza che è quella odierna dell’elettronica e dell’informatica. La prima è carat- terizzata da una permanente dipendenza dalla natura, la seconda dalla pesan- tezza e la terza dalle leggerezza. SCIENZE UMANE E SOCIALI Sono le discipline scientifiche che studiano l’uomo – per esempio la psico- logia, le scienze della formazione – o l’uomo in società – sociologia, disci- 353 pline giuridiche, politologia, economia. Esse sono scienze e quindi sono de- scrittive e non prescrittive (constatano dei comportamenti, fissano delle leggi ma non indicano dei doveri); sono settoriali e non globali, in quanto si occu- pano ognuna del proprio settore; sono ipotetiche in quanto partono da una ipo- tesi assunta in partenza; sono fenomeniche in quanto si limitano a registrare quanto accade senza andare in profondità e chiedersi “cos’è?”. SVILUPPO SOSTENIBILE Il concetto di sviluppo sostenibile sta ad indicare una crescita economica che sia idonea a soddisfare le esigenze delle nostre società in termini di benessere a breve, medio e soprattutto lungo periodo, fermo restando che lo sviluppo deve rispondere ai bisogni del presente, senza compromettere le attese delle generazioni future. Concretamente, si tratta di predisporre le condizioni più idonee affinché lo sviluppo economico a lungo termine avvenga nel rispetto dell’ambiente. Il vertice mondiale sullo sviluppo sociale, tenutosi a Copen- hagen nel marzo del 1995, ha peraltro sottolineato la necessità di lottare contro l’esclusione sociale e proteggere la salute dei singoli. Il trattato di Amsterdam ha espressamente iscritto lo sviluppo sostenibile nel preambolo del trattato sull’Unione europea. SOCIETÀ CIVILE È l’insieme delle spontanee aggregazioni con cui i cittadini si uniscono tra loro per far fronte ai loro molteplici bisogni: rivendicativi, assistenziali, ludici, religiosi, di tutela di interessi particolari, culturali, sportivi, ricreativi, politici eccetera. La società civile è quindi il luogo in cui i cittadini sperimentano una relazione sociale, prima che questa si trasformi in relazione economica (mer- cato) o relazione politica (Stato). TEOLOGIA È lo studio razionale e sistematico dei contenuti della fede. TEOLOGIA MORALE È lo studio razionale e sistematico dei contenuti della fede in quanto questi alimentano la vita morale del cristiano, ovvero la sua vita e il suo comporta- mento. TERZO SETTORE Detto anche settore non-profit o privato-sociale. Si tratta di realtà economiche non a scopo di lucro che si collocano tra il mercato, lo Stato e il cosiddetto quarto settore ed erogano “beni pubblici”. Del Terzo settore fanno parte la co- operazione sociale, l’associazionismo sociale, il volontariato. Tutte queste realtà condividono la cultura del dono e della reciprocità, si differenziano per l’attività svolta e per l’organizzazione. 354 WORLD TRADE ORGANIZATION L’Organizzazione Mondiale del Commercio è l’organismo che promuove un coordinamento circa la circolazione di beni, servizi e persone tra i Paesi Membri, (cfr. Organizzazione Mondiale del Commercio). WOLD TAX ORGANIZATION È un ipotetico organismo di cui è stata proposta la costituzione e che svolge- rebbe la funzione analoga della WTO in campo fiscale, cioè per la regolazione delle politiche di imposizione fiscale degli Stati Membri. Per un glossario sull’educazione interculturale e tematiche affini si veda: http://www.pavonerisorse.to.it/intercultura/glossario0.htm Fonti consultate: http://www.globalizzazione2000.it/Glossario.htm http://members.xoom.it/A_Pacinotti Centro informazione educazione allo sviluppo Globalizzazione - Le Monde Diplomatique Clarence Unimondo 355 INDICE SOMMARIO...................................................................................................................... 3 PRESENTAZIONE.............................................................................................................. 5 INTRODUZIONE ............................................................................................................... 7 AREA 1 – GENERARE SOCIALITÀ DENTRO L’INCERTEZZA (Michele Vinsentin) Modulo 1 – Formazione professionale e comunità Lezione 1 – Verso un professionismo etico ..................................................... 17 Lezione 2 – La comunità educativa come setting dell’utopia ......................... 23 Modulo 2 – Semantiche del sociale Lezione 1 – Verso una società fluida ............................................................... 30 Lezione 2 – Società globalizzata e nuove precarietà ....................................... 39 Modulo 3 – Società della comunicazione e diritti di frontiera Lezione 1 – Il mito della società della comunicazione.................................... 46 Lezione 2 – Società trasparente e nuovi diritti ................................................ 53 AREA 2 – LA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA: UNA BUSSOLA PER LA TRANSIZIONE (Stefano Fontana) Modulo 1 – La natura della DSC Lezione 1 – La DSC, ovvero l’incontro tra Vangelo e cultura ........................ 63 Lezione 2 – Un discorso lungo cento anni ...................................................... 69 Modulo 2 – Il messaggio sociale della DSC Lezione 1 – Cosa dà e cosa chiede la DSC ..................................................... 78 Lezione 2 – La persona umana e la società ..................................................... 84 Modulo 3 – I contenuti principali della DSC Lezione 1 – I principi fondamentali della DSC............................................... 90 Lezione 2 – Il principio di sussidiarietà e la sua attualità ............................... 97 356 AREA 3 – NUOVE PAROLE, ANTICHI VALORI: LA CENTRALITÀ DELLA FAMIGLIA (Giuseppe Tacconi) Modulo 1 – La famiglia: organismo geneticamente modificato? Lezione 1 – Ombre e luci. La famiglia come paradigma etico-culturale in evoluzione .................................................................................... 107 Lezione 2 – La famiglia nel pensiero sociale della Chiesa ............................. 121 Modulo 2 – La famiglia come soggetto sociale, politico ed economico Lezione 1 – La dimensione sociale della famiglia........................................... 130 Lezione 2 – Per una nuova cultura della solidarietà familiare e sociale ......... 136 Modulo 3 – La famiglia come sistema e come soggetto che educa Lezione 1 – La famiglia come sistema ............................................................ 141 Lezione 2 – CFP e famiglia: un’alleanza possibile.......................................... 149 AREA 4 – L’UOMO E IL LAVORO (Stefano Fontana) Modulo 1 – Lavoro e lavori nella società di oggi Lezione 1 – I cambiamenti nel mondo del lavoro e i problemi emergenti...... 161 Lezione 2 – La solidarietà nel lavoro .............................................................. 168 Modulo 2 – Il lavoro come atto della persona e il suo significato umano Lezione 1 – Il senso soggettivo ed oggettivo del lavoro: lavoro e capitale .... 175 Lezione 2 – L’educazione al lavoro come sfida per la formazione ................. 180 Modulo 3 – Nuovi compiti del lavoro e nuovi soggetti che lavorano Lezione 1 – Lavoro e nuova società relazionale.............................................. 186 Lezione 2 – Il lavoro e la società civile ........................................................... 192 AREA 5 – L’UOMO, I BENI, L’ECONOMIA (Stefano Fontana) Modulo 1 – L’economia di mercato e quanto è dovuto all’uomo in quanto uomo Lezione 1 – Le esigenze etiche del mercato .................................................... 201 Lezione 2 – Un giudizio sul capitalismo tra economia e cultura .................... 208 Modulo 2 – Aspetti di un’economia solidale Lezione 1 – Gli aspetti etici dell’imprenditorialità.......................................... 214 Lezione 2 – I beni pubblici e la società civile. Il ruolo economico del settore non profit...................................................................................... 221 Modulo 3 – Spunti per una finanza dal volto umano Lezione 1 – La finanziarizzazione dell’economia e i suoi risvolti etici .......... 226 Lezione 2 – Il debito dei Paesi poveri ............................................................. 233 357 AREA 6 – NUOVI ORIZZONTI DELLA PARTECIPAZIONE POLITICA (Stefano Fontana) Modulo 1 – La politica, i giovani e il bene comune Lezione 1 – La politica nella società di oggi: una crisi non irreversibile ....... 241 Lezione 2 – Politica senza giovani o giovani senza politica? ........................ 250 Modulo 2 – Verso una democrazia associativa Lezione 1 – Virtualità e debolezze della democrazia ...................................... 258 Lezione 2 – Il formatore e le pratiche di democrazia associativa nella FP .... 265 Modulo 3 – La dislocazione sussidiaria della sovranità politica Lezione 1 – La crisi della sovranità statale tra locale e universale. La sussi- diarietà verticale .......................................................................... 273 Lezione 2 – Il ruolo politico della società civile. La sussidiarietà orizzontale 282 AREA 7 - LE SFIDE DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE (Michele Visentin) Modulo 1 – L’unità della famiglia umana Lezione 1 – La famiglia dei popoli nella globalizzazione............................... 291 Lezione 2 – l’educazione interculturale nella FP............................................. 303 Modulo 2 – Povertà e sviluppo Lezione 1 – La scelta preferenziale per i poveri e i nuovi problemi dello sviluppo........................................................................................ 309 Lezione 2 – Sviluppo sostenibile e consumo critico ....................................... 318 Modulo 3 – Nuovi orizzonti della pace e della guerra Lezione 1 – Oltre la retorica della pace ........................................................... 328 Lezione 2 – La società civile internazionale e il suo ruolo pacificante ......... 339 GLOSSARIO – Parole per capire .................................................................................. 345 INDICE .......................................................................................................................... 355

Insieme per un nuovo progetto di formazione

Autore: 
Giuseppe Tacconi
Categoria pubblicazione: 
Progetti
Anno: 
2003
Numero pagine: 
432
Insieme per un nuovo progetto di formazione A cura di Giuseppe TACCONI Tip.: Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma Tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - E-mail: tipolito@pcn.net giugno 2003 3 SOMMARIO PRESENTAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 INTRODUZIONE (Daniele Loro) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 AREA TEMATICA 1: MAPPE, TERRITORI E CULTURE (Michele Visentin) Modulo 1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 Modulo 2 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57 Modulo 3 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81 AREA TEMATICA 2: I VISSUTI EMOTIVI DEI FORMATORI E DEGLI UTENTI NELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE CHE CAMBIA (Riccardo Tuggia) Modulo 1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111 Modulo 2 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 127 Modulo 3 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 143 AREA TEMATICA 3: LA GESTIONE DELL’AULA COME AZIONE PREVENTIVA (Riccardo Tuggia) Modulo 1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155 Modulo 2 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 169 Modulo 3 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 183 AREA TEMATICA 4: LA PROGETTAZIONE FORMATIVA (Giuseppe Tacconi) Modulo 1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 197 Modulo 2 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 219 Modulo 3 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 255 4 AREA TEMATICA 5: L’ORIENTAMENTO NELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE (Umberto Fontana) Modulo 1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 281 Modulo 2 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 295 Modulo 3 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 319 AREA TEMATICA 6: CULTURA ORGANIZZATIVA E PROCESSI DI SELF-EMPOWERMENT (Giuseppe Tacconi) Modulo 1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 333 Modulo 2 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 359 Modulo 3 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 377 CONCLUSIONE (Daniele Loro) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 397 GLOSSARIO. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 405 5 PRESENTAZIONE UN PROGETTO DI FORMAZIONE ON LINE PER FORMATORI PROFESSIONALI “A DISTANZA”, … MA NON DISTANTI! Il presente progetto affronta il tema che sta più a cuore alla Federazione CNOS-FAP: l’attenzione alla componente pedagogica nell’azione dell’operatore della FP. Il progetto è stato scritto perché tutte le persone che sono coinvolte in at- tività formative del CNOS-FAP conoscano il sistema educativo salesiano e i suoi valori fondamentali, e diano una mano a realizzarlo. “Insieme per un nuovo progetto di formazione” è il primo di alcuni progetti che la Sede Nazionale sta mettendo a punto. Prevede successivamente il progetto “Etica e deontologia dell’operatore della FP” e un percorso formativo a catalogo “Catalogo di formazione per gli operatori del CNOS-FAP per la formazione e l’O- rientamento”. “Insieme per un nuovo progetto di formazione” è il titolo di un percorso inte- grato di apprendimento in presenza e in rete per i formatori dei Centri di Forma- zione professionale della Federazione CNOS-FAP. La Sede Nazionale CNOS-FAP, promotrice dell’iniziativa, si è avvalsa del CePOF (Centro Pedagogico per l’Orien- tamento e la Formazione) di Verona, ente salesiano specializzato nella formazione dei formatori, per la stesura dei contenuti e di Edulife, società da anni impegnata nella predisposizione di percorsi di formazione a distanza on line, per l’erogazione del servizio. Il presente progetto vuole essere un servizio di accompagnamento al forma- tore per la presa di coscienza della dimensione pedagogica sottesa al suo servizio. Esso non mira ad esaurire una formazione che avrà bisogno anche di altri tipi di in- terventi (corsi residenziali, seminari tematici, tirocini, affiancamenti, ecc.), ma cerca di rendere fruibile una sorta di mappa, anzi un vero e proprio atlante, per orientarsi nel complesso mondo della formazione nel quale hanno cominciato a muovere i primi passi. Per rendere possibile il percorso, il progetto mira a costruire una vera e pro- pria comunità di apprendimento che, nell’arco temporale di sviluppo, consenta di confrontare continuamente teoria e pratica, riflessioni ed esperienze, modelli in- terni e modelli esterni. La comunità di apprendimento, se ben fondata, avrà le ri- sorse per “sopravvivere” al progetto stesso, diventando una stabile e vitale “comu- nità di pratica”, dedicata ai problemi della formazione professionale, in cui cia- scuno potrà ricorrere alle risorse consulenziali di esperti e di colleghi per affrontare casi reali e quotidiani. Vivere assieme un’esperienza formativa, infatti, diventa oc- 6 casione per allacciare, tra i partecipanti di diversa tipologia (neoassunti e forma- tori/trici esperti/e in servizio) e provenienza, rapporti di conoscenza e di fiducia re- ciproca, a fronte delle comuni sfide poste da una formazione professionale in con- tinuo e veloce cambiamento. Il percorso è svolto prevalentemente on line ed è accessibile attraverso il por- tale www.cnos-fap.it. Il processo formativo prevede una bacheca in cui vengono pubblicati materiali informativi e di supporto (calendario, indicazioni di carattere metodologico…), un newsgroup generale dedicato ai liberi scambi di opinione, dei forum tematici presidiati da esperti per la discussione collettiva sui temi delle varie aree del progetto e per lo scambio di esperienze on line, l’attivazione di chat tema- tiche sugli argomenti del corso, diversi strumenti per i sondaggi e per la raccolta di informazioni e di giudizi. In tutto il percorso, il tutor è una figura determinante. I suoi interventi, infatti, stimolano la partecipazione e l’interazione tra i corsisti e tra corsisti e gli esperti, comunica il senso di un’esperienza condivisa, contribuisce a valorizzare le compe- tenze e le esperienze di cui le singole persone sono portatrici, incoraggia i parteci- panti ad intraprendere percorsi autonomi di appropriazione delle conoscenze; mo- nitorando costantemente l’andamento del corso e rispondendo puntualmente alle richieste dei corsisti, offre utili indicazioni di carattere metodologico per la pianifi- cazione dello studio e la verifica degli apprendimenti. Un’importanza fondamentale assumono anche i seminari in presenza che con- tribuiscono in maniera determinante la costituzione del gruppo, creano le condi- zioni per una proficua interazione tra pari, permettono l’esplorazione delle attese e delle personali esigenze di crescita dei partecipanti e definiscono sia il contratto formativo che la valutazione complessiva. Il percorso formativo così delineato non è un trasferimento di una conoscenza “esterna” ma è la costruzione / elaborazione di una nuova conoscenza, all’interno di una learning community partecipata alla pari da esperti, tutor, utenti, commit- tenti, ciascuno portatore di competenze ed esperienze reciprocamente integrabili. Il focus dell’iniziativa non è, dunque, posto tanto sull’acquisizione di conoscenze mi- surabili, quanto sull’apprendimento cooperativo, sulla condivisione e lo scambio di esperienze e di conoscenze attraverso la rete e sulla produzione collettiva di pen- siero. È così che il gruppo dei partecipanti può assumere le caratteristiche di una vera learning community. La Sede Nazionale CNOS-FAP 7 INTRODUZIONE DANIELE LORO 1. I PROTAGONISTI DEL CORSO E LE LORO ATTESE Un corso di formazione inizia, per così dire, ancor prima di cominciare; inizia dall’insieme delle attese che motivano tutti coloro che, a vario titolo, sono coin- volti: i partecipanti, gli organizzatori e, quando non coincidono con questi ultimi, i committenti del corso. In un certo senso, il significato di un corso è già anticipato nelle aspettative che lo accompagnano, la cui forza è tale da condizionare a volte anche il valore delle conclusioni del corso. Si potrebbe dire che, per molti versi, da un corso di formazione si attende più di essere confermati in ciò che già si sa o si sa fare, piuttosto che essere smentiti e invitati a modificare le conoscenze posse- dute o le capacità espresse. E se anche si sentisse la positività di un cambiamento, indotto dal corso, non si è disposti ad accettarlo facilmente se non quando si av- verte una continuità di fondo tra ciò che si è stati e ciò che si dovrà essere. Se, dunque, sono così importanti, sembra doveroso soffermarsi a considerare la speci- ficità delle attese che caratterizza i protagonisti di questo corso di formazione. 1.1. Le attese dei partecipanti Le attese di coloro che si apprestano a partecipare al corso possono essere molteplici e con sfumature diverse per ciascun partecipante. Nel tentativo di con- centrarne il contenuto su alcune tematiche fondamentali, si potrebbe dire che in questo corso vi possono essere attese che riguardano: a) il partecipante (in questo caso il formatore appena assunto) e la sua professionalità; b) la conoscenza del- l’ambiente (in questo caso un CFP salesiano) in cui si trova ad operare; c) il senso complessivo del lavoro, che rappresenta la ragion d’essere di un Centro di Forma- zione Professionale. a) La persona del formatore e la sua professionalità. Si sa molto bene, oggi più di ieri, che in tutti i settori produttivi, ivi compresi il mondo della scuola e della formazione professionale, non è sufficiente lavorare, occorre saper lavo- rare bene, ossia lavorare con professionalità. Pertanto, non appare per niente strano che un diplomato o un laureato, che si appresta ad iniziare la propria carriera come formatore in un CFP, avverta in sé la domanda circa la propria capacità di svolgere al meglio il ruolo di formatore. Può trattarsi di una do- manda che si limita all’aspetto più strettamente professionale, ma può essere una domanda che può coinvolgere anche la persona stessa del formatore, l’im- magine che egli ha di sé e delle sue effettive capacità. Un corso di formazione, 8 se pure finisce per coinvolgere la persona nella sua globalità, sa di doversi li- mitare alla dimensione della professionalità, con la consapevolezza che occu- parsi seriamente di questa, significa prendersi cura della persona, se è vero che la dimensione del lavoro è fondamentale nella definizione del sé. L’attesa del formatore che partecipa al corso di formazione, finisce quindi per concentrarsi sugli elementi che determinano la propria professionalità, in particolare la te- matica della «competenza», perché essa risponde sostanzialmente alla do- manda: “che cosa devo essere in grado di sapere e di saper fare, al fine di es- sere un buon formatore?”. In conclusione, l’aspettativa di un formatore, a ri- guardo della sua professionalità, s’incentra anzitutto sul problema della defini- zione degli elementi essenziali che caratterizzano la sua competenza profes- sionale. b) La conoscenza dell’ambiente in cui si opera. Sentire l’esigenza di conoscere l’ambiente in cui si andrà ad operare significa chiedersi anzitutto chi sono i ra- gazzi che frequentano un CFP salesiano, qual è la sua organizzazione, quali norme lo dirigono, quanto è importante la tradizione che lo caratterizza, quali sono le prospettive di sviluppo che ne contrassegnano l’attività di progetta- zione. Ad una riflessione più approfondita, tuttavia, la tematica dell’ambiente non può essere circoscritta solamente al luogo in cui si lavora - il CFP - perché questo viene a situarsi all’interno di un ambiente più vasto, rappresentato dal- l’opera salesiana, ossia da un certo clima di lavoro e di relazioni, da un modo di intendere e di gestire il Centro, che sollecita a pensare che si sta operando in un ambiente dichiaratamente educativo, in cui la dimensione religiosa carat- terizza l’orizzonte di senso, mentre l’impostazione laica scandisce l’organizza- zione delle attività del Centro. Inoltre, il CFP si trova ad operare in un terri- torio economico e sociale che, se per un verso appare ben delimitato, per un altro verso apre anch’esso ad una realtà ancora più vasta, che si dilata fino ad agganciarsi, almeno per certi aspetti, ai temi della società globale, multime- diale, postmoderna e interculturale che è propria del nostro tempo. La com- plessità della tematica dell’ambiente in cui si va a lavorare fa intuire facil- mente la presenza di più di un’aspettativa. In primo luogo, il fatto di lavorare in un qualsiasi ambiente complesso (come è anche un CFP) richiede anzitutto di comprenderne l‘organizzazione e di condividere almeno lo spirito delle di- rettive che lo guidano. In secondo luogo, il fatto di lavorare in un CFP sale- siano obbliga, almeno per correttezza istituzionale, a conoscerne lo spirito, al fine di verificarne la validità e l’attualità. Da qui può scaturire la giusta attesa di una conoscenza non superficiale dei contenuti della pedagogia salesiana. In- fine, una terza aspettativa potrebbe riguardare l’esigenza di una preparazione che si apra alla realtà che è al di fuori del CFP, giustificata proprio in ragione del fatto di voler avere uno sguardo d’insieme, pur sapendo di lavorare nel particolare e nel locale. c) Il senso complessivo del lavoro. Una terza fascia di aspettative può riguardare l’esigenza di approfondire il senso ultimo di un CFP, che è quello di preparare 9 i giovani ad entrare nel mondo del lavoro. Ciò comporta, da una parte, un co- stante aggiornamento circa le tematiche attuali del mondo del lavoro, ad esempio, le tipologie del lavoro di oggi e di domani, la flessibilità professio- nale, le competenze trasversali, il ruolo della conoscenza nell’esplicitazione delle abilità professionali, ecc..; dall’altra, un approfondimento dello «spirito» del lavoro, che non coincide ovviamente solo con lo spirito d’impresa. Il senso del lavoro richiama il tema della realizzazione di sé, del rapporto non solo con il mondo della materia e della tecnica, ma anche con quello degli uomini e della conoscenza. Il lavoro può essere inteso come una «professione», ma anche come una «vocazione» individuale e una «missione» sociale. d) Osservazione conclusiva. I tre gruppi di aspettative, ciascuno per suo conto, hanno già un valore specifico; tuttavia, nessuno di essi è di per sé esaustivo della problematica relativa alla formazione dei formatori, così che nessun gruppo potrebbe essere privilegiato a scapito degli altri. Non sarebbe suffi- ciente nemmeno pensare che le sollecitazioni provenienti dai tre ambiti siano semplicemente giustapposte, quindi senza legami più diretti tra loro. Con più probabilità, si è abbastanza vicini al vero se dei tre gruppi di aspettative si ha una visione d’insieme, in cui appaiano evidenti le correlazioni e le interdipen- denze, tali per cui non servirebbe a molto pensare di approfondire un aspetto tralasciando gli altri. Pertanto, all’insieme delle attese sopra evidenziate, se ne potrebbe aggiungere ancora una, forse latente e non immediatamente evidente ai più: l’aspettativa di un approccio complesso, ossia globale o sistemico alla tematica della formazione, se è vero – come afferma Edgar Morin – che “i pro- blemi essenziali non sono mai frammentati, e i problemi globali sono sempre più essenziali”1. Già questo elemento sarebbe un primo fattore di formazione. 1.2. Le attese della committenza Accanto alle attese dei partecipanti al corso di formazione, occorre conside- rare le attese dei committenti, anche perché queste ultime possono condizionare l’impostazione complessiva e gli esiti finali del corso. Si può supporre che le attese dei committenti, in questo caso i dirigenti nazionali dei CFP salesiani, scaturiscano da un problema generale: come inserire nei CFP le nuove leve di formatori, in modo tale che esse rappresentino una risorsa ulteriore, in grado di contribuire non solo al mantenimento ma anche al miglioramento dell’offerta formativa dei CFP? Il problema appare più che legittimo, ma il modo di interpretarne la soluzione ri- chiederebbe un chiarimento preliminare circa il modo di intendere il concetto di «inserimento». In senso generale, l’inserimento è il processo attraverso il quale un elemento esterno è incorporato all’interno di un organismo nel quale si è manife- stata in precedenza una carenza che chiede di essere colmata, proprio grazie a tale 1 E. MORIN, La festa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, trad. del fran- cese, Milano, ed. Raffaello Cortina, 2000, p. 6. 10 inserimento. Il processo di inserimento può essere inteso come «assimilazione», oppure come «negoziazione». a) Inserimento come «assimilazione». L’inserimento può essere inteso come «as- similazione» nel senso di un completo adeguamento dell’elemento esterno alle esigenze dell’organismo di formazione. Applicando il discorso al nostro caso, ne deriverebbe che l’aspettativa dei dirigenti dei CFP potrebbe essere quella di richiedere una totale adesione dei nuovi assunti all’impostazione e alle diret- tive del CFP. Se questa istanza fosse portata alle estreme conseguenze, il risul- tato sarebbe doppiamente preoccupante: da una parte si affermerebbe l’asso- luta validità del modello CFP in tutte le sue forme ideali, contenutistiche e strutturali; dall’altro lato, si chiederebbe ai nuovi formatori di rinunciare a tutto ciò che in loro non fosse compatibile con tale visione, allo scopo di assu- mere in pieno il modello proposto. Il risultato sarebbe l’imposizione ai forma- tori di un processo di acculturazione, cioè di assimilazione dei contenuti del CFP, accompagnato da un contemporaneo processo di deculturazione, cioè di negazione previa dei vissuti, delle idee e dei progetti di cui possono essere portatori i nuovi arrivati. b) Inserimento come «negoziazione». Considerare l’inserimento come un’espe- rienza di «negoziazione» significa pensare secondo una prospettiva sistemica, secondo la quale si deve tenere presente l’insieme delle esigenze, dei commit- tenti e dei nuovi assunti, con la volontà di ricercare un accordo, libero e reci- procamente vantaggioso, tra le istanze degli uni e degli altri. Si tratterebbe, in definitiva, da parte dei nuovi assunti, di riconoscere la legittimità delle attese dei committenti di garantire il presente e il futuro dei CFP; dall’altro lato, di ri- conoscere, da parte dei dirigenti, la possibilità che i nuovi assunti siano porta- tori di suggerimenti e iniziative nuove, non vincolate preventivamente alla tra- dizione dei Centri. La possibilità di pervenire ad un accordo, dovrebbe essere subordinata alla definizione di una piattaforma comune, data dai valori essen- ziali proposti dal Centro e accettati consapevolmente dai nuovi assunti. In tal modo, gli obiettivi e la ragion d’essere del Centro risulterebbero «confermati», quindi rafforzati nel loro valore, da parte dei nuovi soggetti. Tutto ciò richiede- rebbe un atteggiamento di disponibilità reciproca: da un parte la disponibilità dei Centri di mettere in discussione la visione generale del proprio modo di es- sere e di agire; dall’altra parte, la disponibilità dei nuovi formatori a confron- tarsi seriamente con le proposte, gli ideali e le tradizioni che caratterizzano il CFP, ossia l’organizzazione nella quale si accingono ad entrare. 1.3. Le attese degli organizzatori Dopo le attese dei partecipanti e quelle dei committenti, vale la pena di consi- derare anche quelle degli organizzatori del corso. Per poter svolgere al meglio il proprio compito, ossia essere elemento di facilitazione di un percorso formativo, gli organizzatori del corso possono aspettarsi che da entrambi le parti, partecipanti 11 e committenti, si accetti la prospettiva di operare avendo come riferimento gli ele- menti essenziali di una «cultura della formazione», cioè concetti e tematiche che rispecchiano lo sviluppo della riflessione odierna e che per questa ragione sono in grado di rappresentare un terreno di incontro comune tra le attese dei partecipanti e quelle dei committenti. 2. OBIETTIVO GENERALE E IPOTESI DI LAVORO 2.1. Il problema di fondo e l’obiettivo generale Presentate le aspettative dei protagonisti del corso, si può cercare di sintetiz- zarne il senso attorno ad un problema comune. In effetti, l’elemento comune può essere rintracciato nel concetto di «competenza». Esso rappresenta il centro delle preoccupazioni di ogni docente, dal momento che coinvolge gli aspetti personali, ambientali e professionali della propria professione, ma rappresenta anche la mag- giore preoccupazione per un dirigente, quella di avere personale competente, così come è desiderio degli utenti di un servizio poter contare su persone preparate. Allo stesso modo la formazione di una sempre maggiore competenza è anche l’o- biettivo verso sui puntano gli organizzatori del corso. Individuato il problema comune, si tratta di definire l’obiettivo generale del corso, che potrebbe essere il seguente: contribuire ad innalzare il livello di «compe- tenza» che appartiene alla professionalità di un formatore che opera in un CFP sa- lesiano. Per «competenza», in generale, si può intendere un comportamento com- plesso, attraverso il quale si è in grado di comprendere e di affrontare adeguatamente una determinata realtà, e in cui convergono e si manifestano: conoscenze teoriche, abilità operative, atteggiamenti individuali e capacità di lavorare in un contesto orga- nizzato. In quanto capacità complessiva di agire, sapendo ciò di cui si tratta, che cosa si deve fare e come lo si deve fare, la competenza è una realtà dinamica, che si concretizza in una prestazione visibile, cioè osservabile e valutabile dall’esterno. Ciò che vale per una competenza in generale, vale anche per la competenza professionale specifica di un formatore, perché anche quest’ultima scaturisce dal- l’insieme di conoscenze, abilità e atteggiamenti, finalizzato a garantire un’ade- guata capacità di comprensione e di intervento. Posto l’obiettivo generale del corso di formazione, le questioni da affrontare rimangono ancora due, strettamente correlate tra loro: a) come articolare l’obiet- tivo generale in obiettivi particolari; b) in che modo s’intende raggiungere tali obiettivi. 2.2. Dall’obiettivo generale agli obiettivi particolari del corso Gli obiettivi particolari del corso, il cui raggiungimento permetterebbe di creare le condizioni per innalzare il livello della propria competenza professionale, possono essere distinti in tre tipologie: 12 a) Obiettivi inerenti l’aspetto delle conoscenze teoriche, senza le quali non sa- rebbe possibile procedere oltre. Concretizzando il discorso, si tratterebbe di stabilire di quali conoscenze si avverte la necessità nell’attività dei CFP sale- siani. b) Obiettivi inerenti l’aspetto delle abilità operative, senza le quali le cono- scenze acquisite rimarrebbero a livello di astrattezza, quindi di inoperosità. Anche in questo caso, che cosa dovrebbe saper fare un formatore che lavora nei CFP salesiani, per dire di svolgere al meglio il proprio lavoro? c) Obiettivi inerenti l’aspetto degli atteggiamenti individuali, essenziali perché sono implicati in ogni attività, qualificandone il significato complessivo. Dunque, quali atteggiamenti esistenziali dovrebbero essere propri di un forma- tore che lavora in un ambiente salesiano? La realizzazione di questi obiettivi dipende, forse, non solo dai contenuti spe- cifici che li caratterizzano, quanto piuttosto dal modo di impostare la riflessione su di essi, la quale – a sua volta – deve tenere presente l’insieme dei fattori che deter- minano un corso di formazione: destinatari, ambiente di riferimento, contesto so- ciale e culturale. Da un’attenta ponderazione di tutti questi fattori, dovrebbe scatu- rire quella che si chiama l’«ipotesi di lavoro», che sta ad indicare la possibile ri- sposta che si intende offrire per risolvere il problema dal quale si è mossi, la cui soluzione passa attraverso il raggiungimento degli obiettivi (generale e particolari). 2.3. Formulazione dell’ipotesi di lavoro Premesso che il problema di fondo riguarda la formazione dei nuovi forma- tori, con l’obiettivo di contribuire ad innalzare il livello delle competenze indivi- duali degli stessi (e di riflesso anche del CFP inteso globalmente); tenendo ben presente che l’ambiente di riferimento è il CFP salesiano, quindi un ambiente pro- fessionale caratterizzato in senso religioso ed educativo, l’ipotesi di lavoro po- trebbe presentarsi anch’essa in modo articolato. • Prima articolazione, di natura pedagogica e culturale: la professionalità dei formatori che operano in un CFP trova la sua espressione più alta in un’attività in cui si integrano organicamente tra loro: la pratica di una formazione pro- fessionale di qualità; una costante attenzione alla relazione interpersonale, ossia all’educazione; una capacità formativa che parte dalla tematica della formazione professionale ma va oltre, riscoprendo il senso più profondo del concetto di formazione. • Seconda articolazione, di natura pedagogica e pastorale: la doverosa acquisi- zione di una formazione pedagogica salesiana, da parte dei formatori che si apprestano ad operare in un CFP, non è da intendersi come un’aggiunta esterna, quindi artificiale, al proprio lavoro, da subire con rassegnazione più che da accettare con convinzione. Al contrario, la capacità di operare secondo lo stile educativo salesiano rappresenta, per ogni formatore, un modo di vi- 13 vere e di interpretare la propria professionalità, che spinge costantemente a ri- cercare l’eccellenza nella propria capacità di agire, realizzando, nello stesso momento, una doppia fedeltà: al significato del lavoro che si compie nel CFP e al senso dello stile pedagogico di Don Bosco. Un CFP salesiano non do- vrebbe presentare determinate caratteristiche perché è gestito dai salesiani, come se queste caratteristiche fossero qualcosa di aggiunto dal di fuori e quindi sostanzialmente estranee alla natura di un CFP. Un Centro di Forma- zione Professionale salesiano dovrebbe sviluppare al meglio tutte le caratteri- stiche formative proprie di un CFP, perché così testimonia di essere realmente un ambiente salesiano. La caratterizzazione salesiana, oggi, non avviene per una sovrapposizione di ideali religioso-educativi alla realtà in cui si opera, ma per una tensione integrale verso l’eccellenza, che scaturisce dall’interno di un ambiente e che è talmente forte da travalicare ogni visione riduttiva dell’istru- zione, dell’educazione e della formazione, così da lasciar intravedere con chiarezza la presenza di un significato trascendente in tutto ciò che si fa all’in- terno del Centro. • Terza articolazione, di natura pedagogica e professionale: il tema del lavoro rappresenta il senso complessivo del corso di formazione. Formarsi è un la- voro (anzi, un lavoro permanente), formare altri è anch’esso un lavoro; il CFP nasce come preparazione al lavoro. Lavoro è quello del formatore, come la- voro è anche quello degli allievi e dei dirigenti del CFP. Pertanto la pratica del lavoro e la formazione al lavoro rappresentano non solo il momento di in- contro più autentico tra studenti, formatori e dirigenti, ma anche l’elemento di sintesi tra le istanze “istruttive” legate al curricolo degli studi professionali; le istanze “educative” della salesianità e le istanze “formative” provenienti dal contesto economico, sociale e culturale del nostro tempo. 3. INDICAZIONI RIGUARDANTI IL PERCORSO FORMATIVO Premessa Il corso si presenta strutturato in 6 aree tematiche. Ognuna di queste può es- sere vista come un percorso diretto alla realizzazione di un obiettivo particolare. Nel loro insieme, le sei aree rappresentano l’offerta di un itinerario verso l’acquisi- zione di un più alto livello di competenza. Schematicamente: a) le aree tematiche 1 e 5 possono essere pensate in relazione agli obiettivi ine- renti l’aspetto delle conoscenze teoriche; b) le aree tematiche 3 e 4 possono essere pensate in relazione agli obiettivi ine- renti l’aspetto delle abilità operative; c) le aree tematiche 2 e 6 possono essere pensate in relazione agli obiettivi ine- renti l’aspetto degli atteggiamenti individuali. 14 Area tematica 1 Nella fedeltà ad un’impostazione sistemica, propria di un approccio com- plesso alla realtà, il percorso formativo prende le mosse dalla riflessione sulle linee essenziali (“mappe”) del contesto sociale e culturale del nostro tempo (“territori e culture”) (modulo 1). Sa da una parte sarà richiamata l’apparente contraddizione esistente tra il fenomeno storico della globalizzazione economica, multimediale e multiculturale e l’incombere di un sentimento di solitudine esistenziale che grava sugli individui, a causa dei processi di trasformazione in atto che modificano i modi di vivere tradizionale; dall’altra parte si fermerà l’attenzione sul venir meno dei fondamenti culturali tradizionali, a causa del mutamento di paradigma conosci- tivo in atto (complessità), accompagnato da un analogo mutamento del sistema dei valori di riferimento (postmodernità). In questo quadro generale si inserisce la te- matica cruciale del lavoro, punto di coagulo e di scontro tra modi di pensare l’uomo nei suoi rapporti con la realtà, e della centralità dell’acquisizione di sempre nuove competenze (mediante la formazione professionale) in una società sempre più dominata dalla conoscenza. La riflessione si sposta, quindi, sul tema della formazione professionale of- ferta in ambiente salesiano (modulo 2). Qui, l’attenzione si concenta anzitutto sulla necessità di comprendere chi sono i due protagonisti fondamentali dell’of- ferta formativa di un CFP: i destinatari di essa (“la generazione x, y, z”), da una parte, e coloro che si assumono la responsabilità di formulare una proposta credi- bile (“gli educatori salesiani, tra formazione professionale e passione per la vita”). Tra i due protagonisti dell’esperienza formativa, vi è un ulteriore elemento da con- siderare: il tipo di rapporto educativo che si viene a delineare tra loro (“una nuova cultura della relazione educativa”), nella consapevolezza che la relazione è il «luogo/tempo» in cui si costituiscono i ruoli e, all’interno di essi, matura la perso- nalità individuale all’interno della dinamica: Io - Tu - Noi. Chiarito in tal modo il contesto educativo e relazionale dell’offerta formativa del CFP, rimane da affrontare direttamente il tema della salesianità e la sua capa- cità di rappresentare, anche oggi, un elemento di crescita umana, professionale e culturale, per tutti coloro (alunni, formatori e dirigenti) che si trovano impegnati in un percorso formativo (modulo 3). Accanto alla narrazione del passato, per fare memoria di ciò da cui l’istituzione dei CFP proviene (“a partire dalla nostra storia…), prende il via la riflessione sul presente (“il carisma salesiano oggi”), allo scopo di analizzare se realmente lo spirito della tradizione salesiana sia in grado di interpretare anche le sfide educative poste dalla globalizzazione, dalla multicultu- ralità e dal postmoderno. Il punto cruciale della riflessione riguarderà probabil- mente il concetto stesso di «carisma», un concetto di natura religiosa, ma che estende i suoi effetti anche in ambito pedagogico, perché tocca direttamente la configurazione dello «stile educativo». Vi è un rapporto diretto e circolare tra ca- risma salesiano e stile educativo salesiano, dove il primo è l’essenza vitale del se- condo, e quest’ultimo è la sua manifestazione più intima. A testimoniare che il 15 mondo salesiano in generale, e quello delle scuole e dei Centri di Formazione Pro- fessionale in particolare, accetta le sfide della contemporaneità, in sintonia con una visione della Chiesa come «comunione e comunità di carismi», vi è la presenza dei laici all’interno delle opere salesiane, a conferma anche del fatto che il medesimo carisma salesiano può essere vissuto in forme diverse, con sensibilità e caratteriz- zazioni differenziate e tuttavia convergenti. Si potrebbe dire che il mondo delle opere salesiane non è un mondo «monoculturale» (fatto solo di religiosi salesiani) ma «multiculturale» (religiosi, religiose, laici e laiche), che tende inevitabilmente a diventare un mondo «interculturale», in cui s’intrecciano linee di pensiero, sensibi- lità e atteggiamenti diversi. Area tematica 2 Delineati i contorni generali, con l’intento di disegnare l’orizzonte comples- sivo di riferimento, l’area tematica 2 propone un approfondimento diametralmente opposto, e proprio per questo complementare al primo: partire dalla particolarità, ossia dalla persona del formatore e da quella degli utenti del CFP. Un simile punto di partenza non poteva non toccare il tema cruciale delle “difese personali” (mo- dulo 1), che scattano immediatamente quando si è in una situazione comunicativa fluida, di apparente stabilità ma in realtà di continuo “cambiamento”, qual è molto sovente la vita in aula. Possono essere difese che scattano in presenza di situazioni emotive o cognitive particolarmente coinvolgenti o legate a specifiche situazioni; possono essere difese poste in atto sia dai formatori nei confronti degli utenti, sia da questi ultimi nei riguardi dei loro formatori. Accanto agli atteggiamenti difensivi, meritano particolare attenzione quelli co- noscitivi, quelli relazionali e quelli decisionali (modulo 2). In tutti e tre i casi il for- matore è sollecitato ad assumere, a vario titolo, un atteggiamento propositivo, che tuttavia può concretizzarsi in modalità non sempre coerenti con le intenzioni, quindi con un margine di ambivalenza sempre presente. Infatti, in un atteggiamento di apertura, anche faticosa, alla comprensione dell’altro vi è sempre il pericolo di rica- dere in schematici e riduttivi giudizi generici (“pregiudizi”). Nell’atteggiamento da tenere nei confronti dell’ambiente in cui si opera, non è sempre facile distinguere tra un modo di fare costruttivo e un comportamento opportunistico, in particolare nei confronti delle persone che esercitano un’autorità. Nelle situazioni e nei ruoli in cui si devono operare delle scelte, è meglio assumere un comportamento deciso, anche a costo di entrare in conflitto con qualcuno, o sono più efficaci comporta- menti tolleranti, ma sostanzialmente incapaci di offrire un’indicazione precisa? Un terzo elemento di riflessione che tocca da vicino la pratica professionale di un formatore è appunto la “gestione dei conflitti” (modulo 3). I conflitti possono essere interiori e riguardare il sentimento di frustrazione che nasce quando non si riesce a realizzare il proprio progetto o non si è compresi in ciò che si fa; oppure possono essere causati dall’insorgere di ostacoli nei rapporti con gli alunni. L’espe- rienza di un conflitto ha solitamente due tipi di esiti: o aumenta fino ad esplodere, 16 con esiti di rottura anche gravi per entrambe le parti in causa (“escalation dei con- flitti”), perché il conflitto lacera tanto più quanto maggiore è la convinzione, colti- vata da entrambe le parti in lotta, di essere dalla parte del giusto; oppure esso ob- bliga a ricercare un accordo (“per una risoluzione positiva dei conflitti”), dopo aver sconfessato la pretesa validità assoluta della propria posizione ed aver accet- tato l’idea che l’interlocutore ha la sua parte di verità. Area tematica 3 Dopo avere riflettuto su alcuni elementi problematici, riguardanti essenzial- mente la sfera degli atteggiamenti interiori, il percorso formativo propone di consi- derare l’attività professionale del formatore nel vivo della sua esplicitazione este- riore: la “gestione dell’aula”. A questo riguardo, alcuni interrogativi appaiono par- ticolarmente utili per introdurre i temi del modulo 1: quanto del modo di porsi e di relazionarsi in aula dipende in realtà dall’idea che il formatore si è fatto del gruppo, del Centro, del suo lavoro e della sua effettiva validità? E quanto, l’idea che ci si fa della realtà nella quale si vive, dipende dagli schemi mentali o para- digmi conoscitivi (“modelli di pensiero”) che si utilizzano per organizzare il pro- prio pensiero? Quanto un’efficace capacità conoscitiva è in grado di prevenire l’in- sorgere di contrasti, se non di conflitti, tra formatori e utenti, vale a dire, tra adulti e giovani? A queste e ad altre possibili domande risponde il modulo 1, che è incen- trato essenzialmente sul modo di porsi del formatore prima che inizi ad operare concretamente. Il formatore rivela se stesso ben prima del suo fare; rivela se stesso già nel suo modo di pensare. Conoscere e comprendere individualmente è già molto importante ma non è sufficiente, e nemmeno facile da attuarsi. Altrettanto necessario è l’atteggiamento di “ascolto attivo” da parte del formatore in aula (modulo 2), perché solo in tal modo si riesce ad acquisire una vera capacità conoscitiva e di comunicazione, che passa attraverso un processo di comprensione e di interpretazione di ciò che si ascolta. Tuttavia, anche in questo caso non mancherebbero le difficoltà. Anzitutto, si tratte- rebbe di concentrare l’attenzione su quanto può deformare, ostacolare o addirittura impedire la comunicazione e quindi la conoscenza (“le barriere della comunica- zione”), che può rallentare ogni forma di relazione. Saper ascoltare è molto impor- tante per un formatore, come lo è per gli utenti. Tuttavia, nemmeno questo è un at- teggiamento di per sé sufficiente. Occorre, infatti, saper comunicare, e farlo con uno “stile assertivo”, cioè affermativo, senza essere, né aggressivo né dogmatico, ma capace di dimostrare due cose, al di là dei contenuti specifici: la credibilità indi- viduale legata a ciò che si dice e a come lo si dice; la progressiva importanza per tutti, formatori e formandi, della capacità di comunicare efficacemente (modulo 3). Area tematica 4 La gestione dell’aula, oggetto di riflessione della precedente area tematica, passa anche – forse soprattutto – attraverso la capacità di realizzare una seria “pro- 17 gettazione formativa”, che riguarda l’organizzazione didattica del lavoro in aula. Progettare in modo efficace richiede anzitutto di possedere una «cultura della pro- gettazione» (modulo 1), attraverso la quale articolare il rapporto tra una progetta- zione generale, o progettazione d’insieme, quale può essere la progettazione curri- colare di un CFP, e le microprogettazioni riguardanti i singoli docenti, entrambe scandite secondo le voci proprie della progettazione formativa: obiettivi, soggetti, spazi e tempi, ecc.. La progettazione generale di ogni singolo Centro dovrà poi rapportarsi e confrontarsi con il livello più alto di progettazione, quello nazionale. Da qui la necessità di una riflessione sul progetto nazionale del CNOS-FAP. Un ulteriore arricchimento della propria competenza formativa viene dalla ri- flessione sui modelli di progettazione (modulo 2), a partire dalla loro imposta- zione concettuale, passando dalla articolazione operativa dei progetti, fino ad arri- vare agli aspetti didattici della progettazione. Sempre in relazione alla capacità di concretizzare un progetto, ecco il mo- mento di analisi delle nuove tecnologie applicate alla didattica. La capacità di uti- lizzare gli strumenti informatici per lavorare, studiare e ricercare non è certamente la soluzione di tutti i problemi, ma testimonia della volontà di non tralasciare nuove opportunità di indagine (modulo 3). Area tematica 5 Si riferisce al tema cruciale dell’orientamento. Non si tratta, infatti, di formare, concettualmente e operativamente, i ragazzi che frequentano il CFP. Ciò che essi chiedono è anche di essere aiutati ad intravedere il proprio futuro, partendo dalla conoscenza di sé, e ad orientare in quella direzione le proprie energie (modulo 1). Quale sia il modo migliore per farlo, quali gli ostacoli che si oppongono ad una sua corretta determinazione: di tutto questo si occupa il modulo 2. Infine, il modulo 3 riflette sul fatto che l’orientamento diviene uno modo di essere, una categoria fondativa del CFP, che testimonia in tal modo la centralità degli utenti e del loro percorso formativo (modulo 3). Area tematica 6 Nell’ultima delle sei aree tematiche, la riflessione torna a soffermarsi, quasi emblematicamente, sugli aspetti generali del CFP, inteso come organizzazione complessa (modulo 1). L’approfondimento della tematica organizzativa è essen- ziale perché è quasi sempre all’interno di organizzazioni, più o meno complesse, che si snoda la vita individuale e professionale dei soggetti. E se l’organizzazione si caratterizza come una collettività che tende al raggiungimento di fini specifici, oppure come una collettività fondata essenzialmente sui comportamenti dei singoli e sui loro rapporti spontanei o informali, attraverso i quali si realizzano attività co- muni, conoscerne il funzionamento significa garantire la possibilità, per il sog- getto, di comprendere più a fondo la realtà in cui vive ed opera. 18 Se le organizzazione sono strutture reticolari complesse, con le loro logiche e le loro norme, rimane pur sempre vero, in ultima analisi, che sono formate dalle persone, e dai soggetti che operano al loro interno (modulo 2). Quale idea di orga- nizzazione hanno coloro che agiscono all’interno di esse? Che cosa succederebbe se i partecipanti di una medesima organizzazione avessero di essa idee molto di- verse, se non addirittura contraddittorie? Nel nostro caso, che cosa ne sarebbe di un CFP dilaniato al suo interno da polemiche dovute a visioni del tutto diverse circa le finalità, i contenuti e i metodi del Centro? Fino a dove arriva la capacità progettuale individuale, e quanto è determinante il potere di un’organizzazione? A queste domande risponde, per l’appunto, il secondo dei tre moduli dell’area cinque, mentre il terzo e ultimo modulo prende in considerazione la capacità pro- pulsiva e di autosviluppo che è insita nella stessa realtà delle organizzazioni (mo- dulo 3). Per un verso esse possono sostenere la tensione realizzativa del singolo spingendolo a ricercare non solo un insieme più o meno coordinato di competenze, quanto l’essenza stessa dell’essere competenti; per un altro verso le organizzazioni sembrano sollecitare l’utilizzo anche di altre forme, più comunitarie, di apprendi- mento e di crescita. 19 AREA TEMATICA 1 MAPPE, TERRITORI E CULTURE MICHELE VISENTIN Modulo 1: BUSSOLE E PARADIGMI Il Modulo Bussole e paradigmi si propone di contestualizzare l’azione forma- tiva propria di un Centro di Formazione Professionale in relazione al più ampio pa- norama sociale e culturale in cui tale azione si compie. Il Formatore che si appresta ad iniziare un’esperienza professionale all’interno di un ambito strutturato e dotato di una propria intenzionalità educativa, porta con sé una storia personale, un patrimonio culturale ed ideale che può e deve integrarsi con la storia e la cultura dell’istituzione in cui si inserisce. Gli strumenti per operare tale integrazione sono soprattutto di natura culturale ed hanno la funzione di orientare l’inserimento professionale dei formatori esplici- tando: ❏ Le dinamiche emergenti e il loro impatto sulla vita delle persone: prima le- zione; ❏ La necessità di una revisione dei paradigmi culturali: seconda lezione; ❏ Le trasformazioni del lavoro e il ruolo della formazione professionale: terza lezione. 21 PRIMA LEZIONE SOLITUDINE E GLOBALIZZAZIONE MICHELE VISENTIN OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ cogliere le dinamiche emergenti nel nostro tempo e il loro impatto sulla vita delle persone e sulla formazione. Nel giardino di una casa di campagna, visibile dal mar- ciapiede esterno, un grosso signore con tanto di barba stri- scia accoccolato per il prato tracciando degli otto, mentre continua a guardarsi indietro e a fare ininterrottamente “qua qua qua”. Una fila di volti allibiti affacciati sopra la siepe del giardino guardano stupefatti. Non sapendo che quel signore si chiamava K. Lorenz e non potendo vedere i suoi anatroccoli, nel giardino si consu- mava un comportamento folle. (Watzlawick, 1967) L’esempio conferma l’osservazione di Watzlawick, ovvero che un fenomeno resta inspiegabile finchè il campo di osservazione non è abbastanza ampio da in- cludere il contesto in cui il fenomeno stesso si verifica. Questa consapevolezza è parte del corredo di competenze che ogni formatore dovrebbe possedere nel momento in cui inizia a svolgere il suo lavoro educativo. I giovani, le scelte strategiche e quelle che caratterizzano il quadro ispirativo- fondativo, oppure le dinamiche proprie del Centro di Formazione Professionale possono risultare misteriose oppure vedersi attribuire proprietà che non hanno, se gli eventi non sono collegati alle matrici in cui si verificano. Proviamo allora a se- lezionare alcune tendenze che contribuiscono a definire il contesto in cui i giovani, i formatori e i Centri di Formazione Professionale agiscono. 1. INDIVIDUALISMO E CONFORMISMO: DUE FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA? C’è una tendenza nella società, e i nostri ambienti non le sono estranei: si tratta del progressivo rinchiudersi all’interno di nicchie protettive e individuali- stiche. Non sempre è evidente il legame tra questa tendenza e il processo di massi- 22 ficazione e conformismo che sembrerebbe, apparentemente, il suo esatto contrario. In realtà, in una società dove tutti devono, individualmente, competere, vincere, magari anche essere originali e creativi – tutti, allo stesso tempo e nello stesso modo –, ciò che è favorito è proprio il processo di massificazione. Questo legame tra individualismo e conformismo, espressione di un diffuso disincanto, è molto importante soprattutto per le comunità che si riconoscono una missione educativa. In nome del nobile fine di contribuire a formare nella società una forte mentalità educativa, i nostri Centri di Formazione Professionale non de- vono smarrire la consapevolezza che l’educazione ha il suo punto di riferimento nel principio della responsabilità individuale all’autoeducazione. Smascherare l’individualismo e il conformismo è possibile riappropriandoci della grande finalità di una comunità educativa, qual’è quella di un Centro di For- mazione Professionale, ovvero quella di «educare consapevolmente ad educarsi», nella convinzione che tale finalità rappresenti un presupposto indispensabile, non solo per affermare il valore della persona ma anche per metterla nelle condizioni di poter partecipare attivamente ai complessi e problematici processi sociali, politici e culturali, propri di una società in trasformazione. Non ci dimentichiamo troppo spesso che l’educazione è da intendersi anche come fine culturale e non solo come mezzo? Per affrontare in modo culturalmente adeguato la realtà, sembra essere sempre più necessario assumere una personalità flessibile e aperta al cambiamento, attenta a vivere secondo un atteggiamento di ri- cerca, capace di superare i limiti di una rigidità psicologica, sociale e culturale che sono alla base di comportamenti distorti e negativi: individualismo, superficialità, relativismo etico, rifiuto ed intolleranza del nuovo e del diverso. 2. LA “SPIRALE DEL SILENZIO” E LA RESISTENZA “Spirale del silenzio” è il nome di una teoria, dovuta alla sociologa tedesca Elisabeth Noelle Neumann, che spiega il fenomeno dell’omologazione e del con- formismo a partire da alcuni assunti che qui riassumiamo brevemente: a) la crisi del senso di appartenenza e la difficoltà ad identificarsi in valori e norme largamente condivisi, porta le persone a costruire in modo autonomo la propria identità; b) la conseguenza più naturale, è la paura dell’isolamento che tende ad aumen- tare allorchè ci si accorge che la società tende ad emarginare i singoli, che cer- cano modalità di identificazione originali e non omologabili; c) la paura di essere tagliati fuori spinge a non esprimere pubblicamente il pro- prio dissenso e ad accettare come non controvertibile ciò che la maggioranza e soprattutto i media propongono; d) l’effetto finale è una sorta di buco in cui scompaiono gradualmente molte pro- poste innovative, una specie di spirale del silenzio che inghiotte creatività, at- teggiamenti divergenti, modi alternativi di pensare. 23 La più evidente conseguenza dell’individualismo e dell’isolamento, dunque, è la paura di essere tagliati fuori e posti ai margini della società. I giovani vivono questa paura in modo inconsapevole e, senza rendersene conto, attivano meccanismi di solidarietà che li portano ad avvicinarsi, a stringersi l’uno con l’altro, vittime di una specie di pressione di conformità che li rassicura e li fa sentire meno soli. L’originaria volontà di distinzione, il dissenso rispetto a de- terminati temi o valori, si trasformano allora in omologazione e accettazione in- condizionata delle regole di una società molto simile ad un “mega-mercato”. Tutte le diversità e i potenziali conflitti, tendono ad essere inghiottiti all’interno di una spirale del silenzio che produce quello che da più parti è definito come il silenzio sociale dei giovani. Questa tendenza è più evidente in coloro che hanno meno strumenti e risorse culturali per decodificare la realtà in cui vivono e sono maggiormente esposti ai modelli proposti dalla società. Possiamo e dobbiamo pensare al Centro di Formazione Professionale come ad una comunità di soggetti dove “…ognuno di noi, pur accettando le determinazioni che lo hanno reso quello che è, ha come progetto volontario, nei luoghi della sua vita quotidiana, nel suo ambiente di lavoro, nei rapporti sociali di tutti i giorni, di introdurre un cambiamento, anche se minimo, di sé e degli altri riguardo a qua- lunque tipo di problema. Il soggetto è un essere creativo”1. A volte, l’immobilismo e la stagnazione hanno il volto della coerenza. Una co- munità coerente è fatta da persone coerenti: compatte, senza smagliature, funzio- nali. Non che tutto ciò non sia un valore, ma siamo già formati ad una certa idea di coerenza che ha come scopo quello di far funzionare la società, e in particolare le nostre comunità, così come sono, mentre potremmo “recuperare il valore del dubbio, la capacità di prendere scorciatoie, rimettere in discussione certe idee, pur conservando il medesimo progetto, che è autentico progetto esistenziale”2. In ciò sta la “consistenza” di comunità consistenti: possedere il carattere irre- vocabile di scelte proprie e rifiutare di scendere a compromessi sull’essenziale. Soggetti consistenti non cadono nella retorica del cambiamento, non cambiano per cambiare, né rimangono immobili solo perché tutti si trasformano. Soggetti consi- stenti creano comunità consistenti. 3. L’UOMO MODULARE E LE SUE CARATTERISTICHE La globalizzazione della solitudine e del conformismo prende corpo con la na- scita di un uomo modulare, di un soggetto globale. Questa figura, proposta dal so- ciologo Bauman nel suo “La solitudine del cittadino globale” è sintetizzata da Alessandro Dal Lago in questo modo: 1 ENRIQUEZ E., Il ruolo del soggetto nella dinamica sociale, in Animazione Sociale 1 (1996), p. 32. 2 Ibid., p. 36. 24 «Bauman sintetizza la condizione del suo problematico eroe, il soggetto “glo- bale”, nei tre ossimori strettamente complementari della sicurezza insicura, della certezza incerta, e dell’incolumità a rischio. Mentre la lingua italiana tenderebbe a sussumerli sotto la categoria unificante della “sicurezza insicura”, la lingua inglese permette di cogliere tre significati più precisi, anche se riferibili ad una condizione comune. La sicurezza insicura ha una valenza soprattutto sociale e rimanda alla condi- zione del lavoro virtualmente precario e ad una sicurezza sociale sempre più mi- nacciata. La certezza incerta ha un significato cognitivo e si riferisce al rischio connatu- rato a ogni dimensione economica della società globale. L’incolumità a rischio, infine, si riferisce alla consapevolezza che siamo desti- nati alla dissoluzione, e cresce la paura di dover finire, un giorno. Ora, l’idea centrale di Bauman è l’assoluta impotenza dell’attore di fronte ai primi due, non solo per il loro carattere globale e per il consenso generalizzato che li circonda, ma anche per la scomparsa di qualsiasi dimensione pubblica, e quindi politica, che li possa affrontare. Così la protezione dell’incolumità finisce per assorbire la difesa dall’insicu- rezza e dall’incertezza»3. L’uomo modulare è il prodotto della nostra società, è un uomo “…con troppe qualità e troppi aspetti, cosicché molti possono essere mantenuti soltanto per un po’, pronti da esibire o dissimulare secondo il bisogno. Una creatura dotata di qua- lità mutevoli, monouso e scambiabili, senza essenza. Si assembla e si smonta da sè”4. Si materializza e si smaterializza, a seconda di chi incontra e di con chi si confronta. È condizionato nel suo essere o non essere qualcosa. Non avendo va- lore in sé, “è” per ciò che possiede o, meglio ancora, per ciò che può mostrare, ostentare, vantandosi di possedere. Le sue chiacchiere causano nell’interlocutore un effetto paragonabile ad una leggera ubriacatura. Terminato il flusso di frasi, chi tenterà di trovare qualche collegamento logico qua e là, o addirittura qualche signi- ficato, scoprirà di non ricordare una sola parola. La conversazione con un uomo modulare manca di mordente. Egli preferisce i legami effettivi, semplici e di co- modo, perché si costruiscono con niente e si disfano, all’occorrenza, con altrettanto poco. Amico di tutti, ma con le dovute distanze, predilige la quantità delle rela- zioni a scapito della qualità delle stesse, per poi ritrovarsi con un pugno di mosche. Quella dell’uomo modulare non è più l’era delle grandi cose su cui credere. Una riflessione, quella di Bauman, decisamente pessimistica, ma che pone in luce alcune tendenze che non possiamo non riconoscere: • Una progressiva condizione di non-appartenenza e di frammentazione. L’uomo modulare è uno sradicato, senza essenza, con qualità mutevoli e con 3 DAL LAGO, Postfazione a BAUMAN Z., La solitudine del cittadino globale. 4 BAUMAN Z., La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli, Milano 2000. 25 legami modulari. Per questi motivi, potrà, in futuro, aumentare sia l’insicu- rezza emotiva, per la fatica ad identificare i confini delle “comunità”, in cui si entra e si esce con sempre maggiore facilità e velocità, sia la perdita di po- tere, inteso come la possibilità di produrre cambiamenti, di incidere e di tra- sformare ciò che ci riguarda. • Una diminuzione progressiva della disponibilità ad entrare in conflitto, quando in gioco ci sono valori di natura sociale e politica e, al contrario, au- mento dell’aggressività rispetto alla protezione della propria incolumità mi- nacciata dal (falso?) nemico. Il bassissimo grado di conflittualità sui contenuti e la deprimente qualità del dibattito politico , che si respirano, potrebbero in- cancrenirsi e cristallizzarsi, portando sempre più gli adulti e i giovani ad ane- stetizzarsi di fronte a ciò che accade attorno a loro. • Un’accettazione, più o meno consapevole, delle regole di una società che avrà sempre più la forma di un mega-mercato e che rischierà di essere l’unico punto di riferimento per l’interiorizzazione di modelli aggregativi e di svi- luppo economico e sociale. 4. GLI SCENARI E LE SFIDE La globalizzazione • È un fenomeno che comprende tre processi: - internazionalizzazione, termine usato per spiegare la natura e l’intensità dei flussi tra le varie entità nazionali; - multinazionalizzazione: l’insieme dei processi operati in altri contesti na- zionali; - transnazionalizzazione, termine che indica quei fenomeni che, pur diffon- dendosi in modo capillare, restano legati alle specificità nazionali. • Si tratta di un fenomeno qualitativo, che ha a che fare con le modalità di pen- siero (forme con cui ci rappresentiamo la realtà e ci rapportiamo ad essa) e, dal punto di vista soprattutto economico, sta avvenendo a tutto vantaggio del- l’emisfero ricco del mondo. • Aspetti positivi: 1. apertura degli orizzonti a tutto campo; 2. scambio planetario di informazioni, idee e prodotti; 3. recupero della memoria storica e difesa dell’identità culturale; 4. mobilità umana da un continente all’altro. • Aspetti negativi: 1. concentrazione del potere nelle mani di pochi; 2. monopolio dei sistemi di comunicazione; 3. sradicamento culturale; 4. idolatria del mercato. 26 • Il pensiero unico è la conseguenza più preoccupante della globalizzazione: si tratta della traduzione, in termini ideologici, degli interessi di un insieme di forze economiche, dati per universali. I concetti dominanti sono: mercato, concorrenza, libero scambio senza limiti; su tutti questi concetti domina una sorta di fatalità (rassegnazione, adattamento e accondiscendenza). L’informazione ❏ Insieme all’economia, l’informazione è un elemento essenziale della globaliz- zazione. In questo settore troviamo, come in nessun altro, un’enorme concen- trazione di potere nelle mani delle grandi imprese, dei media e dei centri di comunicazione del Nord del mondo. I loro messaggi condizionano valori, comportamenti e consumi degli abitanti di tutta la terra. ❏ Per poter risolvere questo problema sarà necessario conoscere gli effetti che hanno i mezzi di informazione sugli spettatori e sapere chi sono i veri protago- nisti di questo contesto. Nell’elenco dei primi cinquanta potenti del mondo, la maggior parte sono multinazionali, vicine ai media, alle quali affluiscono ca- pitali quasi incontrollabili, ai quali è cioè difficile dare una provenienza. Sicurezza comune ❏ Nel corso di questo secolo, la sicurezza è sempre stata vista in termini di “si- curezza nazionale”, militare, e si sono spese enormi somme di denaro per co- stituire eserciti e disporre di arsenali che, al termine della guerra fredda, si sono trovati per certi versi inutilizzabili, a causa della trasformazione del con- cetto di “sicurezza nazionale”. L’accumulo degli armamenti ha aumentato l’insicurezza e aggravato le crisi ambientali. Le medesime considerazioni si possono fare per il commercio delle armi che, seppure in calo rispetto al 1985, rimangono un pericoloso potenziale che finisce, per la maggior parte, nelle zone più calde del globo, quali il Medio Oriente e l’Asia orientale (Vietnam, Cina, Tailandia, ecc..). ❏ Sarà dunque necessario ridefinire il concetto di sicurezza partendo dalla do- manda più semplice: “la sicurezza di chi?”. In passato, si rispondeva senza esitazione: “la sicurezza dello Stato”. Ma oggi appare chiaro come la sicu- rezza dello Stato non coincida affatto con quella delle persone che ne fanno parte. Appare dunque necessario riformulare il concetto di sicurezza, mettendo al centro le persone. La possibilità che una persona perda la vita in un con- flitto armato è 33 volte inferiore a quella di perderla per “disattenzione so- ciale”. Se la minaccia è cambiata, se la sicurezza da tutelare non è più quella “nazionale” ma quella “umana”, devono cambiare anche le risposte, in modo da agire su tutti quei fattori economici, politici, sociali e ambientali che la mettono in pericolo. La sicurezza o sarà globale o non sarà! 27 ❏ Le proposte per passare dalla “sicurezza degli Stati” alla “sicurezza umana”, dunque, non mancano e si possono riassumere in questo modo: - rafforzare e democratizzare le Nazioni Unite quali centro democratico della governabilità globale e di un nuovo sistema di sicurezza globale; - promuovere un nuovo ordine economico internazionale democratico, uma- namente e ambientalmente sostenibile; - promuovere il disarmo e la riconversione degli apparati militari nazionali, sviluppando un adeguato sistema di prevenzione e di soluzione pacifica dei conflitti; - sostenere il Tribunale Penale Internazionale, per processare tutti i responsa- bili di crimini contro l’umanità. Il lavoro senza frontiere ❏ Secondo l’ultimo rapporto dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), nel mondo c’è quasi un miliardo di persone, il 30% della forza lavoro del pianeta, che è ora disoccupato o sotto-occupato. Il problema del lavoro resta al centro dei problemi dell’economia e la crescita economica non sembra più riuscire ad offrire l’occupazione necessaria. In questo ambito, anche il la- voro minorile rimane un enorme problema che colpisce una gran parte del mondo. Questi problemi ne hanno suscitati di nuovi, come la diminuzione dei salari e la perdita dei diritti dei lavoratori appartenenti ai Paesi della vecchia industrializzazione. ❏ Sarà necessario agire a livello sovranazionale, nelle legislazioni nazionali, nelle iniziative dei sindacati e dei movimenti, per affermare che i diritti essen- ziali del lavoro devono essere rispettati universalmente in quanto diritti umani. Libertà di associazione, libertà di organizzazione sindacale e di contrattazione, divieto del lavoro minorile, divieto di discriminazione, divieto di lavoro for- zato: questi diritti essenziali hanno una natura universale e devono essere ri- spettati da tutti i Paesi indipendentemente dalle loro condizioni economiche, dalle situazioni politiche e dalle tradizioni culturali. Le migrazioni ❏ La Divisione sulla Popolazione dell’ONU ha stimato che, dal 1990 ad oggi, l’emigrazione dagli stati d’origine è aumentata moltissimo. Ci troviamo di fronte ad un’esplosione delle migrazioni internazionali? La medesima do- manda se la pongono i paesi industrializzati, nei quali si afferma una doppia tendenza: da un lato le frontiere si chiudono formalmente alle migrazioni di lavoratori, dall’altra settori interi dell’economia brancolano nell’instabilità e nella flessibilità, attirando nuova mano d’opera straniera. Il risultato di questo processo è l’aumento considerevole delle migrazioni “illegali” o clandestine. Per risolvere questo problema - perché tale viene considerato dai vari Paesi –, 28 si sono rinforzati i controlli alle frontiere, aumentano le difficoltà per avere la cittadinanza, fino a considerare il soggiorno irregolare come un delitto. Queste “misure”, adottate dai paesi industrializzati, hanno fatto sì che i “clandestini” venissero impiegati dalle piccole imprese, con scarsa tutela, salari bassi, nulla sindacalizzazione. ❏ Il fenomeno delle migrazioni internazionali non può essere affrontato efficace- mente se non viene inserito nel contesto delle regole che governano il sistema economico mondiale. Per frenare la pressione migratoria dal Sud al Nord del mondo e da Est ad Ovest, è necessario modificare l’attuale modello di svi- luppo. L’obiettivo dev’essere quello di uno “sviluppo umano e sostenibile”, che garantisca la distribuzione della ricchezza fra le classi sociali e fra gli uo- mini e le donne di tutto il pianeta, ma anche la loro partecipazione democra- tica alla vita sociale, l’accesso ai beni fondamentali e l’esercizio di tutti i di- ritti civili, sociali e politici. 29 SECONDA LEZIONE PENSIERO SEMPLICE O COMPLESSO? MICHELE VISENTIN e DANIELE LORO OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ cogliere la necessità di una revisione dei paradigmi culturali, passando dal semplice al com- plesso. 1. TEMPO DI CRISI, DI PROVOCAZIONE E DI RICERCA 1.1. Il nostro tempo: un tempo di «crisi» e di «provocazione» Oggi è un tempo di difficoltà, un tempo di ‘crisi’ (dal greco crisis = separa- zione, scelta, giudizio, ma anche contesa, lotta). Un tempo di crisi è un tempo in cui si separa ciò che dapprima era riunito, si rompe ciò che dapprima era unitario; è un tempo in cui occorre scegliere tra due alternative, un tempo in cui è necessario esprimere un giudizio di valore, ossia prendere posizione pro o contro qualcosa; ma giudicare, scegliere, prendere posizione comporta inevitabilmente una situa- zione di contrasto e di conflitto. Oggi è anche un tempo di ‘provocazione’ (dal latino pro = avanti, vocare = chiamare; dunque: chiamare avanti, chiamare fuori, far uscire da, far venire fuori, sollecitare, ma anche sfidare, spingere alla competizione). Provocare significa chiamare qualcuno fuori (dal gruppo, dall’anomimato, dalle proprie consuetudini o sicurezze, dal proprio passato), perché si ponga davanti a tutti e renda conto di sé, dia ragione del suo essere o del suo modo di agire. E chi (istituzioni, gruppi, persone, tradizioni, valori) oggi non è «chiamato avanti», a dare ragione di sé, delle ragioni della sua identità, dato che nulla sembra più accettato sulla fiducia o in modo passivo, o nulla sembra realmente meritare una attenzione particolare? Quale istituzione o associazione non si sente sfidata, oggi, ad accettare lo scontro con la realtà contemporanea? Quale istituzione non ha dentro di sé il timore di uscire sconfitta da questa sfida? Chi vive con maggiore disagio una situazione di crisi o di provocazione? Forse chi, per scelta, per vocazione, per impegno assunto (o anche solo per me- stiere) è abituato a rispondere alle situazioni di crisi, a cercare e ad offrire risposte ai problemi; chi ha sempre pensato che il suo compito fosse di provocare la so- 30 cietà, piuttosto che di essere provocato da essa. Bisognerebbe riflettere seriamente sul fatto che viene per tutti un tempo per pro-vocare e un tempo per essere pro-vo- cati; chi pro-voca lo fa perché a sua volta ha vissuto una situazione dalla quale si è sentito pro-vocato. Sa rispondere ad una crisi solo chi quella crisi l’ha dapprima vissuta seriamente e poi superata. La conseguenza più probabile è che costoro (istituzioni, associazioni o singoli individui che vivono la crisi) fanno l’esperienza di non capire più : non tanto o non solo la società e i suoi problemi, quanto piuttosto il proprio ruolo, la propria iden- tità, il proprio lavoro, le proprie motivazioni, perché è esattamente tutto questo ad essere in crisi e ad essere provocato. Portando il discorso alle estreme conse- guenze, si rischia di non riconoscere più chi si è, o il senso di ciò che si fa. Da qui un’esperienza di grande sofferenza. Non c’è solo il dolore fisico o quello psichico, quello morale o quello esistenziale; c’è anche un dolore che nasce dalla non cono- scenza, dall’esperienza della propria incapacità di capire. Che cosa, oggi, è più in crisi ed è più provocato: ciò che si «fa» o ciò che si «sa»? Il modo con cui si agisce, e quindi si tenta di rispondere fattivamente, o il modo con cui si affrontano e si impostano razionalmente i problemi? Ciò che si fa e il modo con cui si agisce sono facilmente modificabili e rinnovabili secondo i principi di una logica di impresa: competenza, innovazione tecnologica, flessibilità dei processi lavorativi, adattamento al mercato o all’utenza, ecc... Tuttavia, la ri- cerca di soluzioni operative, cioè il livello del «fare», non è di per sé esaustiva, perché il fare è la diretta conseguenza del sapere. I contenuti e i modi del fare ri- flettono i contenuti e i modi del conoscere. 1.2. La crisi della conoscenza: crisi di contenuti o crisi dei modelli di conoscenza? Le articolazioni della conoscenza Una conoscenza è in crisi quando essa non è più in grado di spiegare la realtà a cui è riferita, oppure quando non è in grado di motivare l’agire per carenza di comprensione. Si può essere abituati a pensare che le difficoltà ad agire dipendono da altri fattori, non legati al sapere, ad esempio: - da fattori tecnico-pratici, cioè non si sa più come fare ad operare, o come si è fatto fino ad un certo momento non va più bene; - da fattori volontaristici e di carenza di impegno, quasi che fosse sufficiente volere fare qualcosa per farla e farla bene; - da fattori motivazionali, cioè dal venire meno delle ragioni che spingono ad agire. Oggi si è molto più consapevoli dell’importanza della crisi della conoscenza, perché appare sempre più evidente il ruolo della conoscenza in ogni aspetto della vita: da quello produttivo a quello formativo, da quello politico a quello religioso, dal settore della ricerca a quello del tempo libero, ecc.. Stiamo andando verso un mondo fatto di codici, di linguaggi sempre più specialistici, di realtà virtuali. Chi 31 non conosce è discriminato; un’espressione delle nuove povertà: l’analfabetismo di ritorno. Anche l’importanza della comunicazione appare sovrastimata, se nel con- tempo non si avverte che il valore della comunicazione dipende non solo dal «come» o dal «perché» si comunica, ma anche da «che cosa» si comunica. Per affrontare adeguatamente la crisi della conoscenza è essenziale indivi- duare a quale livello essa si manifesta . Può trattarsi di una crisi circoscritta ad un solo livello, oppure può coinvolgere più livelli, o anche tutti. In questa sede, si af- fronterà il problema della crisi dei paradigmi della conoscenza, perché questa è la situazione di crisi meno percepibile ma non per questo meno importante; al con- trario essa è forse anche la più sottilmente pericolosa, proprio perché è la più na- scosta. Forse un grave errore che si può commettere è di guardare solo alla crisi quantitativa o qualitativa dei contenuti conoscitivi. Pensare di affrontare la crisi delle conoscenze senza prendere coscienza che essa può coinvolgere anche i modi di conoscenza è come ritenere di poter versare il vino nuovo in botti vecchie. 2. CONOSCENZA E PARADIGMI DI CONOSCENZA 2.1. La crisi tocca in particolare i paradigmi «formali» I «paradigmi» sono schemi o modelli generali di pensiero in base ai quali si organizzano il proprio modo di conoscere, di ragionare, di riflettere e quindi, di conseguenza, anche i propri concetti. In questo contesto si può inquadrare un problema cruciale per ogni Istituzione educativa: molte delle difficoltà dei suoi membri, a livello personale e collettivo, dipendono dalla progressiva incapacità di capire la realtà in cui si opera, quindi di avere chiaro il senso della propria presenza e della funzione da svolgere in essa. Questa incapacità non nasce dal fatto che manchi la volontà di agire o manchino le motivazioni o i contenuti valoriali per farlo; questa incapacità è dovuta al fatto che aumenta il divario (= crisi) tra la realtà e il modo di pensare la realtà, perché il modello di pensiero che l’Istituzione utilizza non è più all’altezza dei problemi posti dalla realtà in cui opera. La conseguenza più immediata, nel nostro caso, al di là dell’impegno profuso e della positività dei contenuti proposti, è che il CFP appaia destinato a mostrarsi sempre più inadeguato e quindi sempre meno credibile. Dalla formulazione di questo problema cruciale nasce una consapevolezza: per affrontare adeguatamente il proprio processo di rinnovamento, un CFP deve intraprendere con decisione la revisione dei propri paradigmi di conoscenza e im- pegnarsi a fondo nella ricerca di nuovi modi di pensare. La realtà odierna è pro-vo- catoria, non perché chieda ai CFP nuovi valori o nuovi servizi, e neppure perché chieda di ripensare le finalità per le quali agisce. In altre parole, la realtà odierna mette in discussione non tanto «che cosa fanno» i CFP, ma soprattutto «come pen- sano» – ad ogni livello della propria organizzazione – se stessi e la propria fun- zione nella società. Dunque, la crisi della conoscenza finisce in ultima istanza per chiamare in causa i paradigmi fondativi di ogni istituzione che viva tale crisi. 32 Se questa ipotesi di lavoro è vera, appare evidente il pericolo a cui si va in- contro: quello di sbagliare bersaglio . Si può pensare che occorra preoccuparsi an- zitutto dei servizi da erogare, dei contenuti da comunicare, della testimonianza da offrire, della formazione da progettare o di quale sia il linguaggio più adeguato da utilizzare per farsi capire ed accettare, mentre – in realtà – il problema vero sta più a monte: nella carenza del proprio modo di pensare la realtà, quella interna come quella esterna . Su questo piano, la cultura odierna sta effettivamente elaborando un nuovo macro-paradigma della conoscenza, definibile come «pensiero complesso», che è chiamato a sostituire il modello tradizionale di conoscenza – quello formatosi nella modernità – definibile come «pensiero semplice» o come “paradigma della spiega- zione semplice”. È interessante notare come, nel momento in cui la sensibilità cul- turale del nostro tempo avverte di stare vivendo la fine di un’epoca e l’inizio di una nuova età (quella postmoderna), si prenda coscienza nel contempo anche di come il modo di pensare dell’epoca passata appaia inadeguato ad affrontare la nuova realtà della conoscenza. 3. PENSIERO SEMPLICE E PENSIERO COMPLESSO 3.1. Il pensiero semplice Con il termine «pensiero semplice», si indica un modello di conoscenza le cui radici sono rintracciabili nell’età moderna, in particolare nella scienza e nella fi- losofia del ‘600, entrambe condizionate dal modello matematico, quindi da un modello conoscitivo che privilegia la coerenza deduttiva, l’oggettività e la linea- rità dei processi, l’evidenza delle dimostrazioni a partire da assiomi ben definiti. Al di sotto dei paradigmi «materiali» o contenutistici, propri del pensiero scienti- fico, filosofico o matematico, la cultura moderna ha maturato un modello di sa- pere che esprime la volontà di pervenire ad una conoscenza razionale, completa, oggettiva e quindi verificabile e certa della realtà, anche perché fondata su un pre- ciso «metodo» conoscitivo (cfr. il Discorso sul metodo di Cartesio, l’iniziatore della filosofia moderna). Per arrivare a questo obiettivo, il pensiero moderno non esita ad operare un processo di drastica «riduzione» o «semplificazione» del pro- prio oggetto di indagine; ad esempio alcuni aspetti della realtà vengono conside- rati – a scapito di altri – come gli unici importanti e rappresentativi di essa, come è testimoniato dal fatto che, in un’ottica scientifica, la conoscenza della natura è ridotta ai soli aspetti quantitativi di essa, mentre per la filosofia di Cartesio il mondo fisico non ha più un suo principio vitale (cioè non ha più l’anima) ma è solo estensione e movimento, con il risultato di pervenire in tal modo ad una vi- sione puramente meccanicistica della natura. Sarebbe molto interessante analiz- zare come anche in altri settori della vita moderna (ad es. in economia, in etica, in politica, nella vita sociale, nella chiesa, ecc..) si sia realizzato un analogo pro- cesso di riduzione e di semplificazione delle rispettive realtà. 33 Questi alcuni dei paradigmi «formali» che si possono individuare nel «pen- siero semplice»: • nel rapporto tra unità e molteplicità, l’attenzione è posta sulla ricerca della «unità», con ciò volendo esprimere una duplice convinzione: a) che gli ele- menti fondamentali della conoscenza (e della realtà) sono anzitutto gli ele- menti primi e perciò unitari: sia quelli di carattere generale (ad es. le leggi scientifiche), sia quelli di natura particolare (ad es. gli elementi più semplici e indivisibili di un oggetto); b) che la molteplicità sia un derivato dell’unità, nel senso che trova nell’unità il suo significato; l’unità è intesa a sua volta come espressione della «identità» di ciò che si conosce e quindi svolge anche la fun- zione di «principio» dal quale far derivare deduttivamente una visione «ordi- nata» e «certa» della realtà; • nel rapporto tra il tutto e le parti, l’attenzione è posta sulla ricerca della «to- talità», percepita come la sola conoscenza «valida» e «definitiva», di contro alla parzialità e quindi allo scarso valore della conoscenza delle parti; qui vi è la convinzione secondo cui solo ciò che è totale è «completo», «sistematico», universale e quindi integralmente valido; • di fronte al problema di stabilire un ordine tra le conoscenze (e quindi tra cose o situazioni), l’attenzione è posta sulla ricerca di una «gerarchia» di valore , quindi su un ordine «verticale» nelle conoscenze o negli elementi della cono- scenza: con questo paradigma si esprime la convinzione della superiorità del- l’unità sulla molteplicità, del tutto sulla parte, del soggetto conoscente sull’og- getto conosciuto, ecc.., nella convinzione che ogni cosa abbia il suo posto e il suo ruolo in un rapporto di subordinazione o di dominio/dipendenza. In linea con questo procedimento si può porre anche la convinzione secondo cui sia più valido il procedimento logico di tipo «deduttivo», rispetto a quello induttivo; • risponde alla convinzione secondo cui solo la ricerca di una «visione razio- nale» della realtà è in grado di dare una conoscenza pienamente giustificata, quindi «evidente», cioè chiara e distinta, pienamente controllabile e gestibile e dunque anche «funzionale»; • risponde alla convinzione secondo cui la comprensione del presente richiede di necessità di riferirsi sempre al passato per capire ciò da cui esso proviene, dato che l’essenza di una realtà è legata alla memoria della sua «storicità», quindi non a ciò che è, ma a ciò che è stato, secondo un rapporto di succes- sione «lineare» tra passato, presente e futuro. 3.2. Segni indicatori della crisi del paradigma a «spiegazione semplice» a li- vello scientifico e sociologico Il modello di pensiero sopra esposto ha dato senza dubbio un’ottima prova di sé, quanto a capacità di conoscenza della realtà, praticamente in tutti i campi di ap- plicazione. Esso ha rappresentato una vera e propria «visione del mondo», che – a livello storico – ha forse avuto nella scienza e nello sviluppo della tecnica le sue 34 espressioni più alte e straordinariamente efficaci. Tuttavia, i primi segnali di crisi sono venuti proprio dallo sviluppo della stessa conoscenza scientifica. Afferma uno dei massimi teorici della complessità, il sociologo francese Edgar Morin: “Oggi vediamo che le scienze biologiche e fisiche sono caratterizzate da una crisi della spiegazione semplice. E di conseguenza quelli che sembravano essere i re- sidui non scientifici [propri] delle scienze umane – l’incertezza, il disordine, la contraddizione, la pluralità, la complicazione, ecc. – fanno parte della problematica di fondo della conoscenza scientifica”1. Lunga, sempre secondo Morin, è l’enume- razione delle scoperte derivanti dalla scienza che segnano il declino di una «spie- gazione semplice» e che rappresentano invece altrettante vie di accesso alla «com- plessità»: l’irriducibilità del caso e del disordine, l’impossibilità di eliminare la singolarità; il fenomeno della complicazione, dovuto al numero pressoché incalco- labile di interazioni che ogni fenomeno presenta in rapporto all’ambiente (biolo- gico o sociale) in cui vive; la crisi dei concetti chiari e distinti e la realtà dell’ambi- guità, della confusione e della complicazione; la fine delle demarcazioni nette, ad esempio, tra soggetto e oggetto, interno ed esterno, organismo e ambiente, scienza e non scienza; il rapporto complementare tra ordine, disordine e organizzazione. Si pensi inoltre all’affermazione diffusa di nuovi concetti conoscitivi, che in molti casi sono l’esatto contrario dei precedenti: ad es. il concetto di cambiamento, di pluralismo, di differenza, di frammentarietà, di quotidianità, di piccolo gruppo, di relatività, di affettività, di desiderio, di gioco, di istintualità, di orizzontalità e di in- formalità dei rapporti e di fluidità dei legami. Altri elementi di crisi del pensiero semplice, oltre che dalle scienze naturali, vengono dagli studi sociologici sulla società contemporanea. Si pensi ad esempio alla contemporanea presenza, nella medesima società, di fenomeni opposti: «cen- trismo», «acentrismo», «policentrismo»: “Le organizzazioni sociali sono organiz- zazioni complesse [e dunque non spiegabili con categorie semplici] perché sono in uno stesso tempo acentrate (funzionano cioè in maniera anarchica, attraverso interazioni spontanee) policentriche (caratterizzate da numerosi centri di con- trollo, od organizzazioni) e centrate (dispongono cioè, nello stesso tempo, di un centro di decisione)”2. 3.4. Il limite strutturale del pensiero semplice: essere un pensiero disgiuntivo e quindi astratto In presenza di una realtà sempre più articolata, il limite maggiore del modello tradizionale consiste proprio nel fatto di essere un pensiero che tende alla «sempli- ficazione» della conoscenza, a sua volta fondata su un processo di «disgiunzione» dei concetti, con la loro conseguente «astrazione». Infatti, se i paradigmi di unità, 1 MORIN E., Le vie della complessità, in AA.VV., La sfida della complessità, a cura di G. BOCCHI e M. CERUTI, Feltrinelli, Milano 1994, p.49. 2 Ibid., p. 51. 35 totalità, gerarchia, razionalità e storicità sono presi da sé soli e separati dai concetti opposti e complementari, essi appaiono del tutto generici e vuoti di contenuto, con il pericolo di cadere nell’insignificanza, nell’ambiguità e quindi anche di favorire la loro possibile strumentalizzazione. Che cos’è l’unità, se non la si pensa insieme alla molteplicità? Cosa sarebbe l’identità senza la differenza, il tutto senza le parti, l’intero senza i frammenti, l’ordine senza il disordine, la certezza senza l’incer- tezza, la completezza senza la parzialità, la gerarchia verticale senza la consapevo- lezza della pari dignità orizzontale delle conoscenze e delle persone; la razionalità senza la dimensione affettiva e l’impulso istintuale? Dunque, da elementi positivi di conoscenza i paradigmi del «pensiero sem- plice», se assolutizzati, si modificano in altrettanti elementi negativi che finiscono per contraddire la loro funzione. Questo è, in fondo, l’atto d’accusa dei critici del pensiero tradizionale. E questo è molto spesso anche il senso della critica che le nuove generazioni (ad esempio di dirigenti) muovono a quelle più anziane, di es- sere cioè in contraddizione con i propri principi: i vecchi dirigenti (o comunque coloro che detengono il potere) parlano di unità ma per intendere uniformità; par- lano di visione totale ma la intendono come chiusura al nuovo, ecc. 4. ELEMENTI INTRODUTTIVI AL « PENSIERO COMPLESSO» 4.1. Un presupposto teorico del pensiero complesso: la Teoria Generale dei Sistemi Nell’ambito della scienza, a metà del ’900 e, in particolare, ad opera del bio- logo austro-americano, Ludwig von Bertalanfy, sorge un nuovo orientamento di pensiero: la Teoria Generale dei Sistemi (TGS). Essa considera il mondo (fisico, biologico e sociale), non come un insieme di elementi collegati tra loro da semplici rapporti lineari di causa-effetto, ma come un organismo vivente, in cui il funziona- mento e la vita del «tutto» dipendono strettamente dal funzionamento e dalla vita delle sue «parti» e viceversa, per cui il tutto è più della semplice somma delle parti e comprende anche il loro modo di funzionare nel tutto. Di conseguenza, il modo migliore per conoscere una determinata realtà non è quello di scomporla nelle sue parti e di analizzarla separatamente (= metodo analitico), né quello di sommare tra loro molti dati particolari per ricavare un dato generale (= metodo sin- tetico); allo stesso modo non è più considerato sufficiente ricercare semplicemente la causa per spiegare un determinato fenomeno quale suo effetto, dal momento che spesso i fenomeni considerati solo come effetti incidono a loro volta sulle loro cause, svolgendo quindi anch’essi una funzione di causa. È il caso ad esempio del degrado ambientale, in cui la causa è l’uomo, ma a sua volta l’ambiente inquinato può essere causa di malattie per l’uomo stesso. In tutti questi casi, quindi, si perde- rebbe di vista proprio l’insieme articolato e organico dei rapporti. Dal punto di vista dell’approccio conoscitivo, la TGS propone di sostituire il 36 modello di ricerca analitico e causale (successione lineare di legami causa-effetto), proprio della scienza moderna (nata con Galilei e Cartesio), con un paradigma «si- stemico», secondo cui ogni realtà deve essere accostata tenendo presente la totalità delle sue componenti e quindi valorizzando un approccio globale, dal momento che ogni elemento di essa può essere al tempo stesso, causa ed effetto di altri ele- menti (ad es., il modo di rapportarsi con l’utenza è l’effetto del modo di essere e di organizzarsi da parte di un’organizzazione di servizi; d’altro canto i bisogni dell’u- tenza sono la causa prima della vita dell’organizzazione stessa). Infatti, nell’ap- proccio sistemico, le componenti di una realtà che si intende conoscere sono consi- derate come talmente correlate tra loro da condizionarsi reciprocamente. Due defi- nizioni generali, in cui si può fissare il significato di questo approccio sistemico: - “Un sistema è un insieme di elementi tra i quali esistono relazioni tali per cui ogni modificazione di un elemento o di una relazione porta con sé la modifi- cazione degli altri elementi e relazioni e quindi del tutto ”3. - “Un sistema [ad es., un CFP] può essere definito come un complesso di ele- menti interagenti. Interazione significa che gli elementi (p) [ad es., i dirigenti] sono connessi da relazioni (R) [presenti in un certo settore di intervento], in modo tale che il comportamento di un elemento (p) [= dirigente] in (R) [= set- tore di intervento] è differente da quello che sarebbe il suo comportamento ri- spetto ad un’altra relazione (R1) [= rispetto alla vita di relazione presente in un altro settore di intervento]” 4. Nell’approccio sistemico appare subito evidente una novità di fondo, che poi sarà presente anche nel pensiero complesso: l’identità di un elemento non è defini- bile in un’ottica di rapporti lineari di tipo storico (ad es., ogni cosa deriva da qual- cos’altro di precedente che l’ha prodotta); la realtà di una cosa è il risultato di una simultanea comprensione, non solo lineare o verticale, ma anche trasversale ed orizzontale, dei suoi rapporti con tutte le altre cose che sono presenti nel suo spazio vitale. Spazio vitale che non è solo quello «interno» ad una realtà, ma è anche quello «esterno». Due possibili interpretazioni applicative dell’approccio sistemico alla vita di un CFP potrebbero essere queste: a) un tentativo di comprensione di un sistema complesso qual’è un CFP chiede che si tengano presenti contemporaneamente tutti gli aspetti che costituiscono quel sistema; un’eventuale attenzione concentrata solo su alcuni aspetti, piuttosto che su altri, può obbedire solo ad esigenze di natura pra- tica e temporanea, non può essere una scelta di principio; b) ogni iniziativa non può essere formulata solo guardando ai destinatari o all’ambiente esterno; occorre considerare il legame tra interno ed esterno, cioè tra configurazione della vita del CFP e organizzazione delle attività formative. Il modo con cui un CFP si organizza 3 MENDRAS H., Elementi disociologia, Armando, Roma 1986, p. 141. 4 VON BERTALANFY L., Teoria generale dei sistemi, ILI, Milano 1971, p. 97. 37 al suo interno rivela lo spirito della sua missione; il modo con cui esso organizza la propria missione è indicativo dello spirito che anima la vita interna del CFP. 4.2. Il significato di «complessità» secondo Morin Sentendo parlare di «complessità», non si deve pensare subito, secondo l’ac- cezione più diffusa, a qualcosa che è complicato, e quindi confuso e difficile. Se- condo il vocabolario Zingarelli, complesso è qualcosa che “risulta dall’unione di varie parti o di vari elementi” e che per questo “si manifesta sotto molteplici e con- trastanti aspetti”. L’etimologia offre altri spunti: in latino, il termine complexus è il participio passato dell’infinito complecti, che significa: cingere, abbracciare, rac- chiudere, ma anche comprendere, capire; è composto da cum + plecto = intrec- ciare, intessere, quindi mettere insieme una cosa con un’altra. Afferma Morin: “Che cos’è la complessità ? In prima istanza la complessità è un tessuto (complexus: “ciò che è tessuto insieme”) di costituenti eterogenei inse- parabilmente associati: pone il paradosso dell’uno e del molteplice ”5. Infatti, come in una stoffa vi sono innumerevoli fili differenti (= i molti) che formano il medesimo tessuto (= l’uno), così in una realtà umana vi sono innumerevoli ele- menti (fatti, azioni, retroazioni, situazioni e difficoltà) che si connettono inestrica- bilmente tra di loro, componendo a volte una trama ordinata di rapporti, a volte un insieme caotico e contraddittorio di relazioni. La realtà è quindi complessa e, pro- prio come la complessità, anche la realtà è definibile come unitas multiplex . La complessità, prima di essere il tentativo di soluzione conoscitiva di un pro- blema, è la “sfida” posta da un problema e quindi è una domanda: precisamente è quella sfida posta dalla presenza – non accidentale o transitoria ma strutturale e per- manente – di fenomeni di «disordine» all’interno di realtà, cioè di sistemi o istitu- zioni, che in apparenza si presentano come altamente «ordinate» e «organizzate»; di fenomeni di «frammentarietà» all’interno di una realtà apparentemente salda e com- patta; di fenomeni di «ambiguità» e di «incertezza» presenti e attivi lungo tutta la fase di evoluzione dell’universo6. La complessità, sempre secondo Morin, è: - “…l’unione della semplicità e della complessità: è l’unione dei processi di semplificazione che sono selezione, gerarchizzazione, separazione, riduzione, con gli altri contro-processi che sono la comunicazione, l’articolazione di ciò che è dissociato e distinto; infine, consiste nel sottrarsi all’alternativa tra il pensiero riduttivo che vede solo gli elementi e il pensiero globalista che vede solo il tutto. - ... al cuore della relazione tra il semplice e il complesso, perché una simile re- lazione è contemporaneamente di antagonismo e complementarità”7. 5 MORIN EDGAR., Introduzione al pensiero complesso. Gli strumenti per affrontare la sfida della complessità, Sperling e Kupfer, Milano 1993, p. 10. 6 Ibid., p. 102. 7 Ibid., p. 103. Il corsivo è mio. 38 4.3. Alcuni paradigmi del pensiero complesso - Il pensiero complesso è un pensiero costitutivamente «aperto», mai «chiuso» e mai «definitivo»; in un certo senso, è un pensiero sempre «rischioso». Tende ad una conoscenza “multidimensionale” (forse anche interdimensionale) e non settoriale, ma è consapevole nel contempo di non poter mai essere un pensiero «completo», perché un pensiero che pretenda di essere totale, nel momento in cui afferma il suo contenuto, tralascia il suo opposto. Per essere realmente «to- tale», dovrebbe essere un pensiero trascendente, che si pone cioè al di sopra di ogni oggetto di conoscenza. Ma questo può essere solo il pensiero di Dio, non certamente il pensiero dell’uomo. - Il pensiero complesso è un pensiero perennemente «ricorsivo» e perennemente «circolare». Non può limitarsi solo alla conoscenza della parte (riduzionismo) o solo alla conoscenza del tutto (olismo) perché – afferma Morin – “…non solo la parte è nel tutto, ma il tutto è nella parte”. Quindi, per conoscere cia- scuno dei due elementi (parte-tutto), è necessario ricorrere contemporanea- mente anche all’altro elemento. Infatti, accade a volte che “…il tutto è più della somma delle parti”8, ma anche che “…il tutto è meno della somma delle parti”9. Perciò la conoscenza non si può mai fermare all’uno o all’altro ele- mento, deve continuamente passare da un elemento all’altro. Quindi, per cer- care di spiegare un fenomeno nella sua complessità, si deve abbandonare una spiegazione «lineare», in cui sia chiara la direzione del rapporto causa - ef- fetto, in nome di una spiegazione «circolare»: dal tutto alle parti e dalle parti al tutto, in cui ogni elemento di volta in volta può svolgere la funzione di causa o di effetto. Di qui la varietà e la molteplicità delle prospettive di cono- scenza e di interpretazione della medesima realtà. - Il pensiero complesso è un pensiero costantemente «implicativo» e mai «esclu- sivo» o disgiuntivo. Esso non si limita a stabilire relazioni esterne o superfi- ciali tra elementi opposti, mostrandone al più la complementarità. È un pen- siero che spinge a comprendere come, per conoscere ogni realtà, bisogna pen- sare ciò che essa «è» – distinguendola da altro da sé – ma anche ciò che essa «non è» – e quindi congiungendola con l’altro da sé, anche se a volte questo può apparire contraddittorio o può creare conflitto. In definitiva, non si può parlare di qualcosa senza che ciò implichi la necessità di parlare anche del suo opposto. È il principio della “congiunzione complessa”. Così il pensiero com- plesso non è veramente tale se non si confronta anche con i paradigmi del pen- siero semplice. - Il pensiero complesso è un pensiero che mira alla costruzione di «strategie» di intervento e non tanto di «programmi» di azione. Per affrontare una realtà in- 8 MORIN EDGAR., Il metodo. Ordine disordine organizzazione, Feltrinelli, Milano 1992, p. 136. 6 Ibid., p. 145. 39 certa e sempre mutevole, il pensiero complesso rifiuta di elaborare programmi ben definiti e articolati anche nei dettagli, perché sarebbero destinati ad appa- rire superati nel momento stesso in cui vengono formulati in forma definitiva. Al contrario, la «strategia» è intesa come la capacità di ipotizzare un progetto di massima e di utilizzare le informazioni che si producono nel corso di un’a- zione, integrandole immediatamente nel progetto iniziale, al fine di adeguare l’efficacia di quest’ultimo in relazione al maggior grado di conoscenza che si è acquisito. In questo senso, la «strategia» è la capacità di delineare un pro- gramma sufficientemente elastico da essere modificabile in itinere e insieme ben individuabile nei suoi intenti. - Il pensiero complesso è un pensiero «sistemico» perché mira ad un approccio globale ai fenomeni, senza per questo perdere di vista la specificità dei singoli momenti, ma nemmeno l’insieme delle strutture di relazione che collegano tutti gli aspetti. In questo senso privilegia approcci conoscitivi che mettano in luce la contemporaneità degli eventi e la reciprocità dei rapporti, più che la loro successione temporale o la linearità delle loro relazioni. Si può tentare un confronto in parallelo tra i due modelli di pensiero: PENSIERO « SEMPLICE» PENSIERO « COMPLESSO» a) unità - identità - principio - ordine; a) apertura - incompletezza - fluidità; b) totalità - definitività - sistematicità; b) circolarità - prospetticità - varietà; c) gerarchia - direttività; c) implicazione - non esclusività; d) razionalità - controllo - fiducia; d) flessibilità - adattamento - ricerca; e) storicità - memoria - passato. e) contemporaneità - sistemicità - futuro. Indicazioni bibliografiche AA.VV., Educare nella società complessa. Problemi. Esperienze. Prospettive, La Scuola, Brescia 1991. AA.VV., La sfida della complessità, a cura di G. BOCCHI E M. CERUTI, Feltrinelli, Milano 19948 (1985). BIAGI LORENZO , La difficile definizione di complessità, in: Rivista di teologia morale, n. 109, anno XXVIII, gennaio-febbraio 1996, pp. 83-92. BURER MARTIN, Il cammino dell’uomo secondo l’insegnamento chassidico, Qiqajon, Magnano (BI) 1990. FORNERO GIOVANNI, Postmoderno e filosofia, in: N. ABBAGNANO, Storia della filosofia, vol. IV, tomo II, La filosofia contemporanea, di G. FORNERO, D. ANTISERI, UTET, Torino 1994, pp. 389-434. K UHN THOMAS , La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino 1969 e 1978, pp. 251. LUHMANN NIKLAS , Sociologia del rischio, trad. dal tedesco, Bruno Mondandori, Milano 1996. MORIN EDGAR, Il metodo. Ordine disordine organizzazione, Feltrinelli, Milano 19927. MORIN EDGAR, Introduzione al pensiero complesso. Gli strumenti per affrontare la sfida della com- plessità, Sperling e Kupfer, Milano 1993. MORIN EDGAR, Le vie della complessità, in: AA.VV., La sfida della complessità, cit., pp. 49-60. RICOEUR PAUL, La persona, a cura di ILARIO BERTOLETTI, Morcelliana, Brescia 1997. 40 TERZA LEZIONE LAVORO E FORMAZIONE PROFESSIONALE. LE TRASFORMAZIONI IN ATTO GIUSEPPE TACCONI OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori dovranno essere in grado di: ❏ conoscere il percorso delle riforme che ridisegnano il sistema della formazione professionale in Italia; ❏ individuare le caratteristiche essenziali del quadro legislativo in cui svolge la professione di formatore e le linee degli sviluppi futuri. 1. IL MULTIVERSO DELLA FORMAZIONE In un contesto post-industriale, caratterizzato dall’economia dei servizi e da continue trasformazioni, la formazione professionale – iniziale e continua – sta as- sumendo un’importanza sempre più strategica. Essa è infatti una risorsa fondamen- tale e viene incontro, da una parte, ai bisogni formativi espressi dalle aziende, dal- l’altra alle esigenze dei giovani di acquisire competenze e dei lavoratori di mante- nersi aggiornati ai continui cambiamenti del contesto sociale e produttivo. Non c’è più alcun lavoratore che non debba fare i conti con la necessità di formarsi conti- nuamente. Nei contesti lavorativi si scopre che il potenziale umano è l’elemento strate- gico e la leva fondamentale per lo sviluppo e che il lavoro non è più solamente l’e- secuzione di un compito circoscritto, ma richiede competenze sempre più elevate: la capacità di porre i problemi (e non solo di risolverli), la capacità di inserirsi nella rete di relazioni umane dentro cui è compresa ogni attività lavorativa e di co- operare con altri, la capacità di collocare ciò che si fa all’interno del contesto orga- nizzativo più ampio, la capacità di apprendere continuamente, la capacità di ricor- rere a modelli flessibili di pensiero, la capacità di assumere responsabilità... I rapporti di lavoro stessi, in questi ultimi decenni, si stanno aprendo sempre di più alle esigenze della formazione (apprendistato, contratti di formazione e la- voro…), tanto da far pensare che diritto al lavoro e diritto alla formazione coinci- dano. Del resto, se le trasformazioni sul lavoro sono continue, anche la formazione deve farsi tale. Conseguenza immediata di tutto ciò è il fatto che la formazione, non più ri- 41 conducibile a e circoscrivibile in un preciso sottosistema (scuola, sistema della for- mazione professionale…), diventa diffusa e pervasiva. Non siamo più di fronte all’“universo” della formazione ma al “multiverso” della formazione. Lentamente sta cambiando anche il significato che viene socialmente attri- buito alla formazione: - da una formazione vista come dovere, fatica e impegno, centrata sui bisogni e sui vuoti da colmare, ad una idea di formazione come piacere, benessere e cura di sé, centrata sui desideri e sui pieni da valorizzare; - da una formazione intesa come adattamento e compensazione, ad una forma- zione intesa come partecipazione attiva alla transizione sociale; - da una formazione uguale per tutti, ad una formazione personalizzata… Abbiamo visto che la formazione è una pratica sempre più diffusa a motivo del ritmo sempre crescente dei cambiamenti e delle trasformazioni, ma la forma- zione stessa è caratterizzata da processi di cambiamento e l’evoluzione dell’intero sistema formativo italiano testimonia proprio questo. 2. IL MOSAICO LEGISLATIVO Il quadro legislativo sulla formazione professionale risulta estremamente com- plesso perché in esso si intrecciano le normative sull’occupazione e sul mercato del lavoro, quelle sulla scuola e quelle specifiche sulla formazione, tutte materie soggette in questi ultimi anni ad una profonda evoluzione. Il contesto della formazione professionale, inoltre, è caratterizzato da un’ampia autonomia delle Regioni, dato che, in base l’Art. 117 della Costituzione, è alle Regioni che spetta legiferare in materia di orientamento e di formazione pro- fessionale. Inoltre, i contenuti stessi della formazione sono soggetti ad estrema va- rietà e flessibilità. In ogni caso è possibile tentare di tratteggiare gli elementi fon- damentali del sistema. Il testo fondamentale è ancora quello della legge quadro sulla formazione pro- fessionale (Legge 845/21 dicembre ’78), sulla cui base sono state emanate, negli scorsi decenni, le varie leggi regionali. Un vero e proprio ridisegno della materia è stato poi abbozzato nell’Accordo sul lavoro del 24 settembre 1996, tra governo e parti sociali, e successivamente ri- badito nel Patto sociale per lo sviluppo e l’occupazione del 22 dicembre 1998. Già l’accordo sul lavoro del 1996 prevedeva l’istituzione di un sistema di for- mazione professionale superiore, non in continuità con la scuola secondaria, che fosse collegato strettamente con le dinamiche occupazionali e coinvolgesse i vari soggetti del mondo della produzione, delle professioni, della ricerca; si sottoli- neava inoltre l’importanza di attivare un sistema integrato di certificazione delle competenze. Il Patto sociale del dicembre 1998 impegnava il Governo, nell’ottica di un si- stema di formazione continua, all’introduzione dell’obbligo formativo fino a 18 42 anni e, sul versante della formazione superiore, a costruire il nuovo Sistema di For- mazione Superiore Integrata e a sviluppare e consolidare un nuovo canale di Istru- zione e Formazione Tecnico Superiore (IFTS). Gli intenti indicati in tali accordi non si sono concretizzati in un provvedi- mento organico, una nuova “legge quadro”, comprensiva dei vari aspetti. Si è scelto di procedere attraverso una sorta di strategia a “mosaico” : i singoli tasselli della riforma, pur disegnando un quadro complessivamente abbastanza unitario, sono disseminati in provvedimenti legislativi diversi, spesso relativi a materie non immediatamente legate all’istruzione o alla formazione professionale. Il risultato concreto che emerge non può che essere frammentario, ma certamente si intrave- dono le linee dello sviluppo complessivo. Le tappe più importanti di questo sviluppo sono da considerare: • la cosiddetta Legge Bassanini (n. 59 del 15 marzo 1997) sulla riforma della Pubblica Amministrazione e sul decentramento dei poteri, • il pacchetto Treu (legge n. 196 del 24 giugno 1997) e le successive norme sul riordino del sistema della formazione professionale e sull’accreditamento delle sedi formative, • la Legge n. 144/1999, art. 68 (obbligo di frequenza di attività formative) e 69 (Istruzione e formazione tecnica superiore). La riforma complessiva del sistema formativo, già nella passata legislatura (cfr. la Legge quadro n. 30 del 10 febbraio 2000, sul riordino dei cicli dell’istru- zione, la cosiddetta riforma Berlinguer), ha tracciato importanti cambiamenti, so- prattutto di ordine culturale, assegnando alla formazione professionale pari dignità rispetto all’istruzione scolastica. Ci si sta muovendo verso un servizio pubblico di formazione professionale in interazione con il servizio pubblico dell’istruzione, al quale si affianca con pari dignità. Richiamiamo qui di seguito gli aspetti più importanti delle principali leggi, soffermandoci in particolare sulla legge quadro in materia di formazione professio- nale (fp) del 1978, e richiamando, per le altre, solo gli aspetti più significativi. Legge quadro sulla formazione professionale (Legge 845/21 dicembre ’78) La formazione professionale (Art. 1 e 2) viene vista come: ➢ veicolo per la realizzazione effettiva del diritto al lavoro, ➢ strumento per favorire la crescita della personalità dei lavoratori attraverso l’acquisizione di una cultura professionale, ➢ strumento delle politiche attive del lavoro, ➢ veicolo di realizzazione dell’uguaglianza (Cost., Art. 3), ➢ inserita nel quadro della formazione permanente su tutto l’arco della vita (anche se poi la legge si orienta sostanzialmente a favore della formazione ini- ziale dei giovani che non scelgono la scuola secondaria o ne escono), ➢ raccordata con il sistema scolastico (art. 10). 43 La tipologia di attività di formazione professionale (art. 8) è molto ampia (molto più ampia di quanto nelle regioni sia stato effettivamente possibile realiz- zare) e comprende: ➢ la qualificazione e specializzazione dopo l’obbligo scolastico in vista di uno sbocco professionale, ➢ la specializzazione per i diplomati (formazione post-secondaria), ➢ l’aggiornamento, la qualificazione, la riqualificazione, il perfezionamento, la formazione continua, ➢ la rieducazione professionale degli invalidi e disabili, formazione di soggetti portatori di handicap, ➢ la formazione in settori caratterizzati da specifici bisogni formativi (lavori sta- gionali, tipi particolari di impresa…). La formazione modulare va svolta in cicli formativi in misura non superiore a quattro cicli (= un biennio), ogni ciclo con non più di 600 ore l’anno. Le legislazioni regionali, che regolamentano la programmazione, l’attuazione, il finanziamento, gli interventi formativi in ambiti specifici (particolari tipi di im- presa, carceri,…) o con soggetti specifici (invalidi, disabili, portatori di han- dicap…), la formazione dei formatori,… devono attenersi ad alcuni importanti principi (art. 3) - coerenza tra sistema della f.p. e sistema generale dell’istruzione, soprattutto sulle attività di orientamento scolastico e professionale, - coerenza tra formazione professionale e programmazione economica comples- siva e territoriale (analisi dei bisogni formativi), - pluralismo di gestione, - coinvolgimento degli enti locali, delle categorie sociali nella programmazione e nel controllo, - raccordo con il Ministero del lavoro e della previdenza sociale e col Ministero della pubblica istruzione e con le varie normative nazionali, internazionali e comunitarie, - garanzie democratiche, pari opportunità e diritto alla formazione, - interventi di assistenza psicopedagogica, tecnica e sanitaria nei confronti dei soggetti portatori di handicap, - distinzione tra formazione professionale e sistema scolastico (Istituto profes- sionale di stato). Per quanto riguarda l’organizzazione delle attività di formazione (Art. 5), ven- gono affidate alle Regioni: - la programmazione didattica (art. 7) - la gestione diretta della formazione in strutture pubbliche che vengono trasfe- rite dal ministero del lavoro alle regioni, - la gestione indiretta della formazione, attraverso la stipula di convenzione con soggetti qualificati (vengono valorizzati gli enti senza fine di lucro, gli enti 44 formativi del sindacato o di altre parti sociali o di associazioni, cooperative, imprese sociali, e vengono stabiliti dei requisiti che gli enti richiedenti la con- venzione devono possedere). L’art. 11 (rientro scolastico) facilita l’accesso dalla fp alla scuola secondaria su- periore, anticipando il sistema del credito formativo spendibile nel sistema scolastico. L’art. 15 (collegamento tra sistema formativo e impresa) definisce la possibi- lità, per le imprese, di stipulare convenzioni per periodi di tirocinio pratico e di esperienza (stage formativo). Il tirocinio diventa così momento centrale dei curri- cola formativi. A più di vent’anni da questa legge, i problemi sembrano essere: - la difficoltà che molte Regioni hanno incontrato nell’attivare un servizio pub- blico di formazione, - una formazione professionale spesso ridotta a progetti (con la prospettiva l’e- saurimento dei fondi del FSE con il 2006), - l’assenza di profili concordati a livello nazionale ed europeo, - l’eccessivo localismo delle iniziative di formazione professionale. Legge n. 59 del 15 marzo 1997 Conferimento delle funzioni alle Regioni e agli Enti locali; riforme della Pubblica Amministrazione (legge Bassanini) La legge 59/1997 (riforma Bassanini della pubblica amministrazione) realizza principi di federalismo a Costituzione invariata, operando un forte decentramento dello Stato a Regioni, Province e Comuni anche nel campo dell’istruzione e for- mazione professionale, e crea le condizioni per una sensibile “semplificazione am- ministrativa”, ridefinendo le forme e le funzioni del Governo centrale. La legge: • affida allo Stato l’indirizzo, la promozione, il coordinamento e la vigilanza anche in materia di lavoro e di formazione, • trasferisce alle Regioni la preselezione dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro e anche diverse funzioni relative alla politica attiva del lavoro, • assegna a strutture provinciali (i centri per l’impiego), titolari di funzioni re- sidue anche nel campo della formazione professionale, i servizi di base di in- contro tra domanda e offerta, • stabilisce che venga disciplinato a livello regionale un organismo di concerta- zione: la Commissione regionale per la concertazione tra le parti sociali, • stabilisce l’istituzione di un comitato di cordinamento istituzionale tra regione, provincia e territorio e la creazione di un ente regionale strumentale per l’assi- stenza tecnica e il monitoraggio del mercato del lavoro, che attivi un osserva- torio sul mercato del lavoro, un servizio di informazione lavoro (SIL) e una rete informatica raccordata col Ministero del lavoro e integrata con i dati pro- venienti dalle agenzie private (l’attività di mediazione tra offerta e domanda di lavoro non è più così monopolio dello stato ma viene aperta al privato). 45 In base alla legge, l’attività di formazione professionale è libera, ma gli enti che erogano formazione professionale possono essere riconosciuti dalla regione solo se in possesso di determinati requisiti. L’attività regolata dalla legge quadro è quella di un servizio pubblico che rimane tale anche se erogato da privati conven- zionati. Sul versante scolastico, la stessa legge: • attribuisce autonomia e personalità giuridica alle istituzioni scolastiche e agli istituti educativi, • permette ampliamenti dell’offerta formativa con percorsi formativi per gli adulti, iniziative di prevenzione dell’abbandono e della dispersione scolastica, iniziative di utilizzazione delle strutture e delle tecnologie anche in orari extra scolastici e iniziative di percorsi integrati tra diversi sistemi formativi, • stabilisce, per l’università e per le istituzioni scolastiche, la possibilità di sti- pulare convenzioni per favorire l’attività di aggiornamento, ricerca e orienta- mento scolastico e universitario, • stabilisce le modalità per il conferimento della qualifica dirigenziale e capi d’istituto. Legge n. 196 del 24 giugno 1997 (Legge Treu), Articoli 16, 17, 18 La legge 196 del 1997, il cosiddetto “pacchetto Treu”, indicando modi e stru- menti diversi per innovare il mercato del lavoro e favorire l’occupazione, stabilisce anche le linee di riforma per l’intero sistema della formazione professionale (Art. 17) e valorizza la formazione professionale, sia prima che dopo l’inserimento lavo- rativo, quale strategia per migliorare la qualità dell’offerta di lavoro. Viene pre- visto anche un raccordo tra il sistema scolastico e il sistema della formazione pro- fessionale. Interinale, part time, apprendistato, contratti di formazione e tirocini di orien- tamento, certificazione delle competenze acquisite sono le novità introdotte. Questi provvedimenti hanno importanti ricadute anche sul fronte della formazione, per il fatto che stabiliscono collegamenti particolari con la formazione nella definizione stessa del rapporto di lavoro. Principi della legge per il riordino della formazione professionale • Possono essere assunti, in tutti i settori di attività, con contratto di apprendi- stato, i giovani di età compresa tra i 16 e i 24 anni. • L’apprendistato non può avere una durata superiore a quella stabilita per le ca- tegorie professionali dai contratti collettivi nazionali di lavoro e comunque du- rata non inferiore a diciotto mesi e non superiore a quattro anni. • Se l’apprendista è portatore di handicap i limiti di età sono elevati di due anni. • Gli apprendisti devono partecipare a iniziative di formazione esterna all’a- zienda. I contenuti formativi di tali iniziative riguardano, nel primo anno, anche la disciplina del rapporto di lavoro, l’organizzazione del lavoro e le mi- 46 sure di prevenzione per la tutela della salute e della sicurezza sul luogo di la- voro, nonché l’impegno formativo per l’apprendista, normalmente pari ad al- meno centoventi ore medie annue, prevedendo un impegno ridotto per i sog- getti in possesso di titolo di studio post obbligo o di attestato di qualifica pro- fessionale. • Definizione di un sistema organico di controlli sull’effettività dell’addestra- mento e sul reale rapporto tra attività lavorativa e attività formativa. • Attuazione dei diversi interventi formativi, anche attraverso il ricorso genera- lizzato a inserimenti lavorativi (orientamento) e stage, in grado di realizzare un raccordo tra formazione e lavoro. • Destinazione progressiva di risorse agli interventi di formazione dei lavoratori nell’ambito di piani formativi aziendali o territoriali concordati tra le parti so- ciali, con specifico riferimento alla formazione di lavoratori in costanza di rapporto di lavoro, di lavoratori collocati in mobilità, di lavoratori disoccupati per i quali l’attività formativa è propedeutica all’assunzione. Tali risorse con- fluiranno in uno o più fondi nazionali, articolati regionalmente e territorial- mente aventi configurazione giuridica di tipo privatistico e gestiti con parteci- pazione delle parti sociali; dovranno altresì essere definiti i meccanismi di in- tegrazione del fondo di rotazione. • Adozione di misure per favorire la formazione e la mobilità interna o esterna al settore degli addetti alla formazione professionale, oltre che per la ristruttu- razione degli enti di formazione e la trasformazione dei centri in agenzie for- mative. • I tirocini pratici e gli stage possono venir promossi da parte di soggetti pub- blici o a partecipazione pubblica e di soggetti privati non aventi scopo di lucro come: agenzie regionali per l’impiego e uffici periferici del ministero del la- voro e della previsenza sociale, università, Provveditorati agli studi, istituzioni scolastiche, centri pubblici di formazione e orientamento, comunità terapeu- tiche, servizi di inserimento lavorativo per disabili. • I tirocini vengono svolti sulla base di specifiche convenzioni intervenute tra i soggetti pubblici o privati sopra citati e i datori di lavoro pubblici e privati. • I rapporti di tirocinio hanno una durata non superiore a 12 mesi (24 nel caso di soggetti portatori di handicap). • Obbligo di assicurare i tirocinanti (Inail). • Alle attività svolte nel corso degli stage e delle iniziative di tirocinio pratico viene attribuito il valore di credito formativo. L’art. 17 della legge n. 196 del 24 giugno 1997 costituisce la base normativa anche per l’accreditamento per le strutture formative, anche se, a questo riguardo mancano delle indicazioni precise che verranno definite dal Regolamento per l’ac- creditamento delle sedi formative elaborato dal Gruppo di Lavoro Ministero del Lavoro – Regioni, sul riordino della Formazione Professionale, in applicazione dell’art. 17 della legge 196/97 e in attuazione dell’Allegato A dell’Accordo Stato - 47 Regioni del 18.02.2000, e dalle legislazioni regionali. Tali provvedimenti compor- tano la ristrutturazione dei soggetti che erogano attività di formazione e di orienta- mento, per assicurare determiniti standard di qualità ai servizi formativi. Altri provvedimenti importanti per la formazione professionale, realizzati nella XIII legislatura, sono: la riforma dei centri per l’impiego, la legge per i con- gedi parentali (che introduce anche il congedo individuale per la formazione) e la legge sul diritto al lavoro per i disabili. D. Lgs. n. 469 del 23 dicembre 1997 Conferisce alle Regioni le funzioni relative all’indirizzo, alla programmazione e alla verifica dei tirocini formativi e di orientamento e borse di studio Il Decreto ministeriale n. 142 del 25/03/1998 Regolamenta i tirocini formativi e di orientamento stabiliti dall’art. 18 della legge 196/1997 - definisce i soggetti che possono attivare i tirocini formativi e di orientamento, - stabilisce le garanzie assicurative e le modalità di svolgimento, - lo stage formativo interviene strutturalmente nella fase del curriculum forma- tivo, - lo stage di orientamento (post qualifica, post diploma, post laurea) assume va- lore di credito formativo e serve per favorire l’inserimento nel mondo del la- voro. Decreto Legislativo n. 112 del 31 marzo 1998 Deleghe e trasferimenti dello Stato a Regioni, Province, Comuni in materia di istruzione e formazione • Agli articoli 136-139, vengono delegate a Regioni, Province, Comuni nume- rose funzioni relative all’istruzione e alla formazione professionale. • Competenze delle Regioni sono, tra le altre, la programmazione territoriale dell’offerta formativa, nonché la programmazione integrata tra istruzione e formazione. • Le Regioni dovranno individuare ambiti territoriale funzionali entro i quali at- tuare le suddette programmazioni. • Le Province, in particolare, collaborano con le Regioni nella definizione degli ambiti funzionali e, di norma, sono soggetto di delega da parte delle Regioni nelle competenze a esse attribuite. • Competenze di Comuni e Province: istituzione, aggregazione, fusione, sop- pressione di scuole; servizi all’handicap; uso di edifici e attrezzature; reda- zione dei piani di organizzazione della rete scolastica; vigilanza, compreso lo scioglimento degli organi collegiali territoriali. 48 • Sono ulteriori materie trasferite a Comuni e Province gli interventi volti: - a rendere efficaci i rapporti in orizzontale e in verticale tra scuole; - a combattere la dispersione scolastica; - a realizzare pari opportunità nell’istruzione e nella formazione; - a realizzare efficaci azioni di orientamento scolastico e professionale; - all’educazione degli adulti. • Nell’articolo 141, viene data una definizione di formazione professionale di particolare interesse: “…per ‘formazione professionale’ si intende il com- plesso degli interventi volti al primo inserimento, compresa la formazione tec- nico professionale superiore, al perfezionamento, alla riqualificazione e all’o- rientamento professionali, ossia con una valenza prevalentemente operativa, per qualsiasi attività di lavoro e per qualsiasi finalità, compresa la formazione impartita dagli istituti professionali, nel cui ambito non funzionano corsi di studio di durata quinquennale per il conseguimento del diploma di istruzione secondaria superiore, la formazione continua, permanente e ricorrente e quella conseguente a riconversione di attività produttive. Detti interventi riguardano tutte le attività formative volte al conseguimento di una qualifica, di un di- ploma di qualifica superiore o di un credito formativo, anche in situazioni di alternanza formazione-lavoro. Tali interventi non consentono il consegui- mento di un titolo di studio o di diploma di istruzione secondaria superiore, universitaria o postuniversitaria se non nei casi e con i presupposti previsti dalla legislazione dello Stato o comunitaria, ma sono comunque certificabili ai fini del conseguimento di tali titoli”. • Viene assegnata alle Regioni la vigilanza sull’attività privata di formazione professionale. • Sono trasferiti alle Regioni gli istituti professionali di Stato. Dm 8 aprile 1998 Disposizioni concernenti i contenuti formativi delle attività di formazione degli apprendisti Si tratta del regolamento attuativo dell’articolo 16 della legge 196/1997 sui contenuti formativi degli apprendistati. • I contenuti dell’attività formativa per apprendisti esterna all’azienda sono di due tipi: 1) a carattere trasversale, ossia riguardanti il recupero di conoscenze lingui- stico-matematiche, i comportamenti relazionali, le conoscenze organizza- tive gestionali ed economiche (una parte dell’attività formativa è riservata alla disciplina del rapporto di lavoro, all’organizzazione del lavoro e alle misure di prevenzione per la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro); 2) a carattere professionale, ossia di tipo tecnico-scientifico ed operativo, dif- ferenziati in funzione delle singole figure professionali. 49 • Ai contenuti di carattere trasversale non può essere destinato un numero di ore inferiore al 35% del monte ore riservato a tutta la formazione esterna. • La formazione deve essere svolta nelle strutture regionali di formazione pro- fessionale e nelle strutture scolastiche. • La formazione esterna all’azienda ha valore di credito formativo ed è eviden- ziata nel curriculum del lavoratore. • In caso di riassunzione presso altro datore di lavoro in qualità di apprendista per lo stesso profilo professionale, coloro che hanno già svolto le attività for- mative sono esentati dalla frequenza dei moduli già completati. • Le imprese devono indicare alla Regione la persona che svolge funzioni di tu- tore nei confronti degli apprendisti, per assicurare il necessario raccordo tra apprendimento sul lavoro e formazione esterna. • Nelle imprese con meno di 15 dipendenti, la funzione di tutore può essere ri- coperta anche dal titolare dell’impresa. • Al termine dell’apprendistato il datore di lavoro attesta le competenze profes- sionali acquisite, dandone comunicazione alla struttura territoriale pubblica di competenza. Copia dell’attestato è consegnata al lavoratore. • La Regione regolamenta le modalità di certificazione dei risultati dell’attività formativa svolta. Legge 9/1999 Ampliamento della durata dell’obbligo scolastico • La durata dell’obbligo di istruzione viene elevata da 8 a 10 anni. In sede di prima applicazione, sino all’approvazione di un generale riordino del sistema scolastico, l’obbligo di istruzione ha durata di 9 anni. • Il suddetto riordino introdurrà l’obbligo di istruzione e formazione fino al 18° anno di età, a conclusione del quale i giovani possono conseguire un diploma di scuola secondaria superiore o una qualifica professionale. • Nell’ultimo anno dell’obbligo di istruzione, le istituzioni scolastiche preve- dono sia iniziative formative sui principali temi della cultura, della società e della scienza contemporanea, sia iniziative di orientamento. • È esplicitamente prevista la collaborazione (integrazione) tra scuola e forma- zione professionale nella realizzazione dell’ampliamento della durata dell’ob- bligo scolastico. • A conclusione del periodo di istruzione obbligatorio, nel caso in cui non ven- gano conseguiti diploma o qualifica, dopo aver accertato i livelli di rendi- mento, formazione e maturazione, viene rilasciata all’alunno una certifica- zione che attesta l’adempimento dell’obbligo di istruzione e che ha valore di credito formativo, indicante il percorso didattico ed educativo svolto e le com- petenze acquisite. 50 Decreto Ministeriale n. 179 del 20 maggio 1999 Contenuti dell’attività formativa di apprendistato • Le attività formative per apprendisti devono perseguire i seguenti obiettivi for- mativi articolati in 4 aree di contenuto: 1) competenze relazionali; 2) organizzazione ed economia; 3) disciplina del rapporto di lavoro; 4) sicurezza sul lavoro; • Nelle attività formative per apprendisti, il primo modulo deve essere dedicato all’accoglienza, alla valutazione del livello di ingresso dell’apprendista e alla definizione del patto formativo tra l’apprendista e la struttura formativa. • Le regioni organizzano le attività formative facendo riferimento agli obiettivi formativi in questione e ad eventuali accordi a livello regionale tra le organiz- zazioni datoriali e sindacali più rappresentative. Legge n. 144/1999, artt. 68 e 69 ➢ Viene istituito, all’art. 68, l’obbligo di frequenza di attività formative fino ai 18 anni di età, da assolvere nel sistema dell’Istruzione scolastica, nel sistema della formazione professionale di competenza regionale, nell’esercizio del- l’apprendistato o nei corsi integrati tra scuola e formazione professionale. ➢ Le competenze certificate al termine di qualsiasi segmento della formazione scolastica, professionale e dell’apprendistato costituiscono crediti per un pas- saggio da un sistema all’altro. ➢ Viene regolamentato, all’art. 69, nell’ambito del sistema di formazione inte- grata superiore (Fis), il sistema della istruzione e formazione tecnica superiore (IFTS), al quale si accede di norma, ma non esclusivamente, con il possesso del diploma di scuola secondaria superiore. ➢ Viene delegata alle Regioni la programmazione dei corsi Ifts, che sono realiz- zati in modo da garantire l’integrazione tra i sistemi formativi. Alla progetta- zione dei corsi dell’Ifts possono concorrere università, scuole medie supe- riori, enti pubblici di ricerca, centri e agenzie di formazione professionale ac- creditati. ➢ La certificazione rilasciata al termine dei corsi Ifts, con l’attestazione delle competenze acquisite, è valida in ambito nazionale. Conferenza permanente Stato-Regioni del 18 febbraio 2000 Accordo tra il Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale e le Regioni, Province autonome di Trento e Bolzano per l’individuazione degli standard minimi professionali e dei criteri formativi e per l’accreditamento delle strutture della for- mazione professionale. 51 Dm 28 febbraio 2000 Tutor per l’apprendistato • Il tutore aziendale per l’apprendistato deve affiancare l’apprendista, trasmet- tere le competenze necessarie a favorire l’integrazione tra le iniziative forma- tive esterne all’azienda e la formazione sul luogo del lavoro. • Il tutore esprime le proprie valutazioni sulle competenze acquisite dall’appren- dista. • Il tutore può essere un lavoratore qualificato designato dall’impresa o il tito- lare dell’impresa stessa (nel caso di imprese con meno di 15 dipendenti). • Il lavoratore designato dall’impresa come tutore deve: possedere un livello di inquadramento contrattuale pari o superiore a quello che l’apprendista conse- guirà; svolgere attività lavorative coerenti a quelle dell’apprendista; possedere tre anni di esperienza lavorativa. • Ciascun tutore può affiancare non più di 5 apprendisti. • Le Regioni, di concerto con le organizzazioni di rappresentanza dei datori di lavoro e con i sindacati, programmano interventi formativi rivolti ai tutori. Conferenza unificata, provvedimento del 2 marzo 2000 • Accordo tra Governo, regioni, comuni e comunità montane in materia di ob- bligo di frequenza delle attività formative in attuazione dell’articolo 68 della legge 144/1999. • Accordo tra Governo, Regioni, Province, Comuni e comunità montane per ri- organizzare e potenziare l’educazione permanebte degli adulti. Decreto del Presidente della Repubblica n. 257 del 12 luglio 2000 Regolamento dell’obbligo formativo fino ai diciotto anni • L’obbligo può essere assolto in percorsi, che integrati, di istruzione e forma- zione: - nel sistema di istruzione scolastica; - nel sistema della formazione professionale di competenza regionale; - nell’esercizio dell’apprendistato; • i contratti di lavoro, diversi da quello di apprendistato, in cui siano parte gio- vani, devono comunque assicurare la possibilità di frequenza delle attività for- mative; • il provvedimento si applica progressivamente nei confronti dei giovani pre- senti nel territorio dello Stato che: - nell’anno 2000 compiono quindici anni ed hanno assolto l’obbligo di istru- zione; - nell’anno 2001 compiono quindici anni e sedici anni; - a partire dall’anno 2002 compiono quindici anni, sedici anni e diciasette anni. 52 • I giovani che nell’anno 2000 compiono quindici, sedici e diciasette anni pos- sono volontariamente accedere ai servizi per l’impiego competenti per terri- torio per usufruire dei servizi di orientamento, supporto, tutoraggio. • L’amministrazione scolastica periferica, d’intesa con con la Regione, pro- muove con le Provincie, l’organizzazione di appositi incontri di informazione e orientamento da svolgersi nelle istituzioni scolastiche, in collaborazione con i centri di formazioni professionale, entro il mese di dicembre di ciascun anno scolastico, per gli alunni che compiono, nell’anno successivo, il quindicesimo anno di età. • Le istituzioni scolastiche, ovvero l’anagrafe degli alunni a livello provinciale, gli uffici dell’amministrazione scolastica periferica comunicano, ove possibile anche in via telematica, ai competenti servizi per l’impiego decentrati, entro il 31 dicembre di ogni anno, i dati anagrafici degli alunni che compiono nel- l’anno successivo il quindicesimo anno di età, con l’indicazione del percorso scolastico da essi seguito. • All’atto dell’anno scolastico successivo, le istituzioni scolastiche rilevano le scelte degli alunni soggetti all’obbligo formativo, con riferimento alla prose- cuzione dell’itinerario scolastico ovvero all’inserimento nel sistema di forma- zione professionale ovvero all’accesso all’apprendistato e e comunicano entro quindici giorni i relativi esiti ai servizi per l’impiego decentrati, unitamente ai nominativi degli alunni che non hanno formulato alcuna scelta. • Le istituzioni scolastiche comunicano, altresì, tempestivamente ai servizi per l’impiego decentrati i nominativi degli alunni che, nel corso dell’anno scola- stico, hanno chiesto ed ottenuto il passaggio ad altra scuola, di quelli che sono passati nel sistema della formazione professionale e di quelli che hanno ces- sato di frequentare l’istituto prima del 15 marzo. • Almeno trenta giorni prima del termine delle lezioni, le istituzioni scolastiche comunicano ai servizi per l’impiego i dati di coloro che hanno frequentato l’i- stituto. • Le istituzioni scolastiche concordano con i servizi per l’impiego e con l’ente locale competente le modalità di reciproca collaborazione. • Gli istituti di istruzione secondaria superiore attivano le iniziative finalizzate al successo formativo, all’orientamento e al riorientamento e nel fare ciò coor- dinano o integrano la propria attività con quella dei servizi per l’impiego e degli enti locali. • L’obbligo formativo è assolto all’interno del percorso di apprendistato attra- verso la frequenza di moduli formativi aggiunti per la durata di duecentoqua- ranta ore annue. • Le conoscenze, competenze e abilità acqisite nel sistema di formazione pro- fessionale, nell’esercizio dell’apprendistato, per effetto dell’attività lavorativa o per autoformazione costituiscono crediti per l’accesso ai diversi anni dei corsi di istruzione secondaria superiore. Esse sono valutate da apposite com- missioni, all’inizio di ciascun anno scolastico. Le commissioni sono composte 53 da docenti designati dai rispettivi collegi dei docenti coadiuvate da esperti del mondo del lavoro e dalla formazione professionale tratti da elenchi predisposti dall’aministrazione regionale. • Le commissioni attestano le competenze acquisite e individuano l’anno di corso nel quale essi possono essere inseriti, rilasciando un apposito certificato. • Le istituzioni scolastiche possono progettare e realizzare percorsi formativi in- tegrati, in convenzione con agenzie di formazione professionale o con altri soggetti idonei, pubblici e privati. • I percorsi formativi integrati promossi dalle istituzioni scolastiche possono es- sere di due tipi: - percorsi con integrazione curricolare, in esito ai quali si consegue il di- ploma di istruzione secondaria superiore e una qualifica professionale; - percorsi con arricchimento curricolare, in esito ai quali si consegue il di- ploma di istruzione secondaria superiore e la certificazione di crediti spedi- bili nella formazione professionale. • A richiesta degli interessati, in seguito a qualsiasi segmento della formazione scolastica le istituzioni scolastiche certificano le competenze acquisite in tale periodo di studio. • Realizzazione di un progressivo raccordo tra il sistema informativo del mini- stero della Pubblica istruzione e il sistema informativo lavoro (Sil). 3. LA FORMAZIONE PROFESSIONALE NELLA RIFORMA MORATTI La riforma Moratti è contenuta nella Legge n. 53 del 28 marzo 2003 Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essen- ziali delle prestazioni in materia di istruzione e di formazione professionale. La Legge dispone che il sistema educativo di istruzione e di formazione si ar- ticoli in 1. scuola dell’infanzia, 2. primo ciclo che comprende - la scuola primaria - la scuola secondaria di primo grado, 3. secondo ciclo che comprende - il sistema dei licei - il sistema dell’istruzione e della formazione professionale. Pertanto, dopo la scuola secondaria di I grado (attuale scuola media), sarà pos- sibile la scelta tra sistema dei licei e sistema dell’istruzione e della formazione pro- fessionale. La proposta maggiormente innovativa della Legge Moratti è appunto la costi- tuzione di un servizio pubblico della formazione professionale, dai 14 ai 21 anni, in interazione con i percorsi dell’istruzione, di uguale durata e di pari dignità cultu- 54 rale ed educativa, e con la previsione di specifici capitoli di spesa nel bilancio dello Stato. Indichiamo qui sotto i punti chiave della Legge, evidenziando quelli che toc- cano direttamente la formazione professionale: • Il “diritto all’istruzione e formazione e di correlativo dovere” per 12 anni complessivi ridefinisce l’obbligo scolastico e l’obbligo formativo. • Bambini in classe anche prima dei sei anni (possibilità di scelta per le fami- glie). • Dopo i 15 anni, all’apprendistato si aggiunge la possibilità di stage aziendali (alternanza scuola-lavoro), sotto la responsabilità delle istituzioni scolastiche e formative. • Liceo di 5 anni, l’ultimo anno di orientamento e raccordo con l’università e la formazione tecnica e professionale superiore. • È assicurata la possibilità di cambiare indirizzo all’interno del sistema dei licei nonché di passare dal sistema dei licei al sistema dell’istruzione e della forma- zione professionale e viceversa. • Garantito l’accesso all’università anche per chi effettua corsi di durata qua- driennale, dopo un anno di studio e l’esame di Stato. • Di competenza dello Stato sono le norme generali sull’istruzione e i livelli es- senziali delle prestazioni in materia di istruzione e di formazione professio- nale; alle Regioni la competenza esclusiva in materia di formazione e istru- zione professionale. • I decreti legislativi previsti dal disegno di legge-delega devono essere emanati previa intesa con le Regioni, dato che, in materia di istruzione e formazione professionale, la competenza delle Regioni è esclusiva (Cost., art. 117, comma 3). Le regioni a statuto speciale e Province autonome di Trento e Bolzano ve- dono rispettate le proprie competenze, ai sensi del comma 5, articolo 117, della Costituzione. • I piani di studio rispettano l’autonomia delle istituzioni scolastiche. • Due lingue sono obbligatorie. • Ogni due anni l’Istituto nazionale di valutazione misurerà la qualità comples- siva dell’offerta formativa e dei livelli degli apprendimenti. • Investimento sulla qualità della funzione docente: formazione iniziale univer- sitaria della stessa durata e dignità per gli insegnanti di tutti gli ordini di scuole con lauree specialistiche e tirocinio per due anni. • Formazione in servizio dei docenti con crediti universitari ai fini dello svi- luppo della carriera. 55 EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE A) Legga il testo della Legge n. 53 del 28 marzo 2003 (Riforma Moratti), scarica- bile dal sito del ministero: www.istruzione.it. B) Commenti il testo nelle sue linee di impianto generale (decisioni, ruoli, re- sponsabilità), soprattutto per come viene configurata la formazione professio- nale. C) Ricerchi coerenze e incoerenze. D) Indichi quali sono, a suo parere, i punti di forza e i punti di debolezza della Legge. Bibliografia AA.VV., Un futuro da formare. Verso un nuovo sistema di formazione professionale: tendenze, valu- tazioni e proposte, La Scuola Brescia 2000. FRANCHI GIORGIO (a cura di), Guida all’obbligo formativo, La Nuova Italia, Firenze 2001. NICOLI DARIO, Il secondo canale del sistema di istruzione e formazione. La formazione professionale e la riforma Moratti, in: Professionalità n. 67 (gennaio-febbraio 2002), pp. 5-17. 57 Modulo 2: UNA COMUNITÀ CHE SI EDUCA. LA FORMAZIONE PROFESSIONALE SALESIANA E I SUOI PROTAGONISTI MICHELE VISENTIN Il formatore, oltre a possedere competenze professionali ed esistenziali che gli permettono di relazionarsi in modo autentico ed efficace, deve anche essere in grado di “leggere” e “interpretare” le dinamiche e i vissuti propri del mondo giova- nile. È utile, pertanto, che conosca alcuni contenuti propri della Sociologia dell’E- ducazione e della Psicologia sociale. Tale competenza, è bene ricordarlo, si forma, tuttavia, più che con lo studio si- stematico, attraverso l’abitudine a raccogliere dati e informazioni che scaturiscono dal contatto quotidiano e dalla rilettura della propria esperienza educativa. Quindi si tratta di formare, più che una cultura sociologica, una mentalità, un’attitudine all’osservazione. Gli spunti che seguiranno potranno costituire un primo bagaglio personale. Il Modulo si propone di presentare i protagonisti che animano un Centro di Formazione Professionale e le dinamiche che contraddistinguono la loro relazione educativa. In particolare si analizzerà: ❏ La realtà giovanile nella sua complessità (prima lezione), ❏ La figura del formatore (seconda lezione), ❏ La relazione educativa (terza lezione). 59 PRIMA LEZIONE GENERAZIONE X, Y o Z? I GIOVANI IMMAGINATI OBIETTIVI Al termine della lezione, il lettore sarà in grado di: ❏ riconoscere alcuni elementi caratterizzanti della condizione giovanile odierna; ❏ utilizzare tali elementi per una ricognizione della situazione giovanile in cui opera come for- matore. Ho sempre rifiutato di essere compreso. Essere com- preso significa prostituirsi. Preferisco essere preso seriamente per quello che sono, ignorato umanamente, con decenza e na- turalezza. Voglio godere con me stesso l’ironia del fatto che non mi trovino diverso. (Pessoa) 1. UNA FOTO DI GRUPPO IMPOSSIBILE Una prima osservazione riguarda l’impossibilità, oggi, di parlare di una “con- dizione giovanile”, se con il termine “condizione” intendiamo la possibilità di rico- noscere nei giovani una comune identità, tale da distinguerli e differenziarli dal mondo adulto in virtù della produzione di una cultura autonoma e alternativa. L’espressione “silenzio sociale dei giovani”, che spesso viene utilizzata per in- dicare l’assenza di un progetto utopico generazionale, è indicativa dell’impossibi- lità di rappresentare i giovani di oggi come un soggetto unitario. Sarebbe stato pos- sibile ancora fino alla fine degli anni settanta, e le indagini che proprio in quegli anni cominciavano a fiorire con ritmi sempre più sostenuti lo confermano. Da allora, per tutti gli ottanta e novanta, abbiamo assistito ad una lenta ma ine- sorabile “evaporazione” della condizione giovanile, che non può nemmeno essere considerata, ormai, una categoria sociologica dotata di una sufficiente capacità evocativa. Emblematico, a questo proposito, il titolo dell’ultima, in ordine di tempo, radiografia dell’universo giovanile in Italia, quella curata da Ilvo Diamanti per il Sole 24 Ore: “I giovani invisibili”. Quali sono i motivi che hanno portato la realtà giovanile ad una frammenta- zione tale, per cui, interrogandosi sul rapporto tra giovani e mondo adulto, l’evapo- 60 razione della condizione giovanile lascia solo un insieme sparso di cristalli, ognuno dei quali rappresenta un vissuto soggettivo e privato? Per rispondere all’in- terrogativo è necessario recuperare alcuni dei processi culturali che ormai da al- cuni anni stanno caratterizzando la nostra società. 2. PROCESSI CULTURALI EMERGENTI NELLA SOCIETÀ ITALIANA Frammentazione socio-culturale ❏ A livello socio-culturale non esistono sistemi di priorità e forti risorse, per cui c’è il rischio della frantumazione. Ciò accade perchè manca un centro unifica- tore o qualcosa che attiri fortemente. ❏ A questo rischio di frantumazione sono più esposti i giovani con poche risorse e con reti sociali e sistemi di appartenenza deboli, perchè facilmente si trovano affidati solo a se stessi. La cultura del consumismo ❏ Il consumismo, sostenuto dalla logica produzione-consumo-pubblicità è un fe- nomeno che incide sugli atteggiamenti e sulla vita degli individui così da co- struire un tipo particolare di uomo che diventa l’ideale per tutti. ❏ Gli effetti sul sistema sociale sono: a) scomparsa delle radici morali: il piacere diventa criterio fondante delle scelte; b) nuovo sistema di valori: la vita buona è la vita piena di cose; c) il consumo è un mezzo per dimostrare il proprio prestigio sociale e, in questo senso, il consumo deve essere ostentato; d) il confronto permanente con gli altri diventa norma quotidiana; e) visione pragmatica del mondo: oggetti, cose, persone servono unicamente in funzione del loro utilizzo; f) uomo consumista: è l’uomo centrato su se stesso, sui propri desideri. Anche la sua apertura all’altro è calcolata. Ne deriva tutta una serie di chiu- sure: chiusura verso la solidarietà, solitudine, chiusura verso la gratuità. Tendenza alla dipendenza e alla delega ❏ La tendenza a dipendere è una risposta al clima di precaritetà che si respira in questo periodo. Precaritetà esistenziale e incertezza circa la continuità dell’esi- stere. I giovani, soprattutto, smettono di fare progetti a lunga scadenza. ❏ La precarietà è però anche politica, economica, educativa. Si ha la sensazione che non ci sia alcuna possibilità di prendere parte alle decisioni, e ci si affida perciò agli “esperti”, a chi sa fare qualcosa. 61 ❏ A lungo andare, subentrano la rassegnazione e la delusione per le attese non soddisfatte. Diminuisce il senso di partecipazione, mentre cresce la crisi della rappresentanza ai vari livelli. ❏ La crisi della rappresentanza ha permesso la sua sostituzione con la rappre- sentazione: oggi è importante rappresentare, in termini di fascinazione collet- tiva, di emozione o di effetto speciale; è la rappresentazione che fa opinione. ❏ Dalla rappresentazione alla trasgressività il passo è breve, anzi, stimolante. Il bisogno di identificazione del giovane si viene a confrontare con immagini ideali di persone con tutte le carte in regola per diventare affascinanti e coin- volgenti. Alcuni effetti ipnotici innescati dai mezzi di comunicazione sociale non fanno che aggravare la fragilità di tante persone, trasformandola in tra- sgressività. Ma è una trasgressività, quella giovanile, che sembra fatta di leg- gerezza, di ignoranza, di incoscienza, di mancanza di punti di riferimento, di indifferenza, più che di malizia e di cattiveria. Ed è proprio questo che fa pro- blema, e che preoccupa gli educatori. 3. DINAMICHE IN ATTO NEL MONDO GIOVANILE La marginalità si sta interiorizzando ❏ Per marginalità s’intende l’esclusione, l’isolamento, la neutralizzazione dei giovani messa in atto dal sistema sociale per assicurarsi un equilibrio produt- tivo ottimale. Questa situazione sta causando una progressiva interiorizza- zione dell’emarginazione come cultura, cioè come ragione di vita che pre- lude spesso all’autoemarginazione. La frammentarietà modifica la percezione del tempo ❏ Per frammentrietà s’intende: a) perdita del centro: non vi è più un riferimento unico; b) crisi dei processi di socializzazione (famiglia, gruppo, chiesa...); questa si- tuazione sta facendo emergere la coscienza di piccolo gruppo e la privatiz- zazione del comportamento ma, soprattutto, produce effetti devastanti sulla concezione del tempo psichico: le esperienze che si vivono non vengono più collegate tra di loro ma si vive solo la dimensione del presente; c) frammentazione del quotidiano : si moltiplicano le esperienze, attribuendo però a tutte pari valore. L’eccedenza delle opportunità ❏ S’intende la grande disponibilità del giovane di oggi a moltiplicare le espe- rienze e ad utilizzare strumenti di comprensione e di dominio della realtà 62 sempre più complessi. La società offre itinerari sempre più diversificati per la realizzazione individuale e collettiva. La lotta per l’identità ❏ Tale lotta è un conflitto che riguarda il riemergere della soggettività, rimossa come rivendicazione radicale del diritto a definire i propri bisogni. Lo sbocco di una cultura consumistica è la presa di coscienza del proprio nulla che re- clama un’identità solida. 4. RECUPERARE IL DOVERE DI POLITICITÀ In uno spazio vuoto, disincantati, a volte smarriti, i giovani vivono il loro tempo quasi sospesi, in attesa di un futuro molto incerto e, al tempo stesso, privi di un passato del quale fare memoria e al quale appartenere. “Tra i tempi”. Per molti giovani è una condizione di non-appartenenza e di frammentazione che è divenuta terreno fertile per maturare piccole e grandi sofferenze, solitudini, ripiegamenti su di sé. Essi sono il segno di un presente che fatica ad intrecciarsi e a ricomporsi uni- tariamente in armonia con le altre dimensioni del tempo. Tale condizione di so- spensione ha prodotto soprattutto quello che da più parti viene definito come il “si- lenzio sociale dei giovani”. È evidente che alle nuove generazioni viene presentato il conto della preca- rietà politica, economica, sociale, educativa, e con esso il rischio della rassegna- zione e della disillusione verso il futuro. È evidente che hanno ragioni da vendere per giustificare l’assenza di un pro- getto utopico generazionale (come dicono i recenti rapporti sulla condizione gio- vanile in Italia). Ma è altrettanto forte e chiaro che l’appello ad una vita piena, compiuta e fe- lice non smette di risuonare e di animare le coscienze di tutti, soprattutto quelle più inquiete. Nessuno può esimersi dal ricercare e perseguire le condizioni che permet- tono a questa voce di essere soddisfatta. Ci viene in mente l’invito di un filosofo contemporaneo, P. Ricoeur, a formu- lare questo appello coniugando tre termini: si tratta, egli dice, di “un’aspirazione ad una vita compiuta, con e per gli altri, in istituzioni giuste”. I nostri bisogni e de- sideri, l’apertura e la sollecitudine verso gli altri, le Istituzioni sono termini che possiamo imparare a coniugare insieme. Se sviluppassimo questa sensibilità a non enfatizzare un aspetto rispetto agli altri, ma imparassimo a pensarli sempre insieme, quasi dall’alto, incontreremmo nella nostra ricerca una parola con la quale abbiamo smesso da tempo di confron- tarci: il bene comune. Questo sforzo, questa ricerca hanno un nome: agire politico. Ci sentiamo sospesi in uno spazio vuoto perché insensibili all’agire politico, 63 crediamo che una vita compiuta, sia possibile, senza fare i conti con le strutture, i sistemi, gli apparati economici e burocratici, che regolano la vita di ogni comunità umana. E se provassimo a recuperare la capacità di dominare i nostri problemi, di cambiare e determinare alcune delle scelte che ci riguardano? Se ci tornasse la vo- glia di esserci, di contare? Possiamo far crescere questa attenzione, questa sensibilità. Ma come? Al di là delle ideologie e dei partiti, al di là dei temi caldi che stanno ani- mando il dibattito politico-istituzionale, potremmo cominciare a: • lavorare le parole: ci sono parole che sono scrigni pieni di pietre preziose. Perché non recuperare l’origine etimologica di alcuni termini che compon- gono il lessico dell’agire politico? Sarebbe un’esperienza entusiasmante! • Dare un nome ai bisogni e ai problemi: in che cosa consiste la nostra aspira- zione ad una vita compiuta? • Capire quali e dove siano le risorse necessarie per dominare i problemi, in particolare quali informazioni ci servano e chi ce le possa dare; • capire che cosa sono le politiche giovanili e quali organi di rappresentanza esistono, perché i giovani possano esercitare il loro diritto di cittadinanza. Indicazioni Bibliografiche BERGER P., L’imperativo eretico, LDC, Leumann (To) 1984. BUZZI C. - CAVALLI A. - DE LILLO A. (a cura di), Giovani verso il duemila, Il Mulino, Bologna 1997. CHARMET PIETROPOLLI G., I nuovi adolescenti, Raffaello Cortina, Milano 2000. COUPLAND D., Generazione X , Mondadori, Milano 1996. DIAMANTI I. (a cura di), La generazione invisibile. Inchiesta sui giovani del nostro tempo, Il Sole 24 Ore, Milano 2000. ENRIQUEZ E., Il ruolo del soggetto nella dinamica del cambiamento, in: Animazione Sociale, 1 (1996), pp. 29-45. FONTANA A., Forme del disagio e disagio delle forme, in: Adultità, 2 (2001), pp. 39-55. MELVILLE H., Bartleby, lo scrivano , traduz. di Enzo Giachino, Einaudi, Torino 1995. NANNI A., Una Nuova Paideia, prospettive educative per il XXI secolo , EMI, Bologna 2000. PESSOA F., Il libro dell’inquietudine , Feltrinelli, Milano 1986. VICO G., Tempo ed educazione nel postmoderno, La Scuola, Brescia 1990. 64 SECONDA LEZIONE L’EDUCATORE SALESIANO TRA FORMAZIONE PROFESSIONALE E PASSIONE PER LA VITA OBIETTIVI Al termine della lezione, il lettore sarà in grado di: ❏ definire la propria idea di formazione; ❏ analizzare il concetto di formazione come “tempo che fa maturare”; ❏ elencare alcune caratteristiche della figura e del ruolo del formatore-educatore all’interno di un CFP salesiano. ESERCITAZIONE DI APERTURA Prima di confrontarci sull’identità del Formatore e sul suo modo di concepire l’attività formativa, proviamo a far emergere l’idea di formazione che abbiamo ela- borato in questi anni, a partire da alcuni spunti molto diversi tra di loro. Leggi attentamente i seguenti punti di vista sulla formazione, rifletti e prova poi a formulare la tua idea di formazione. PUNTI DI VISTA SULLA FORMAZIONE “Formazione è un processo volto ad attrezzare la nostra struttura psicologica – intelligenza ed emozioni – per metterla in grado di: osservare il nostro fare quotidiano da nuovi punti di vista, pensare in modo più complesso e articolato, percepire e gestire conflitti e dissimmetrie di potere; si tratta insomma di un la- voro che ha come scopo la mobilitazione di energie creative, l’apertura di spazi di innovazione” (Gino Mazzoli). “Formazione è stabilizzazione della propria struttura di personalità attorno a un quadro di valori valutati come importanti per dire a sé e agli altri la propria identità e la propria reattività di fronte all’esistente” (Riccardo Tonelli). “Secondo un modello semplice, totalizzante e lineare è dare forma a partire da una idealità, trasferire l’essenziale nel contingente. La crisi dell’idealità ci ha portati a un’idea di formazione alla differenza. Il nuovo paradigma di formazione (complesso e sistemico) deve essere piuttosto orientato verso la modalità di 65 un’autoconsapevolezza non “rasserenata” dal contesto, ma in grado di porsi come punto o espressione di bisogno e di insoddisfazione, e insieme come capa- cità di donazione di senso” (Emilio Baccarini). “Dobbiamo distinguere l’educazione, attinente alla persona umana, che ha in sé potenzialità, energie da suscitare, indirizzare per esplicare la propria persona- lità, dalla formazione che costituisce lo specifico degli interventi che vengono realizzati al fine di favorire tale crescita educativa” (Vittoria Boni). “Formazione è il rapporto dell’uomo, dell’individuo adulto, con il lavoro. È l’acquisizione di conoscenze, capacità, comportamenti, atteggiamenti utili a mi- gliorare la propria professione; è la risposta alle richieste del proprio ruolo. È un cercare di porsi di fronte alla complessità del mondo che cambia, allo sviluppo tecnologico, alla ridondanza delle informazioni, alle innovazioni, ai cambiamenti economici e culturali, a quell’accelerazione della storia che si è prodotta alla fine di questo millennio” (Delia Duccoli). “Formare è un’attività educativa il cui obiettivo è il sapere e i modi di uti- lizzo di tale sapere. Ma la finalità sottesa a tale obiettivo va oltre: essa ha a che vedere con il significato profondo dell’azione educativa come momento di cre- scita, di cambiamento e di coinvolgimento” (Gian Piero Quaglino) Il mio punto di vista PER ME, FORMAZIONE È ................................................................................ ................................................................................................................................. ................................................................................................................................. ................................................................................................................................. ................................................................................................................................. ................................................................................................................................. ................................................................................................................................. ................................................................................................................................. ................................................................................................................................. ................................................................................................................................. ................................................................................................................................. ................................................................................................................................. 66 1. UNO SGUARDO ALLA NOSTRA BIOGRAFIA Se ci poniamo al punto di inizio della nostra biografia di formatori e proviamo a ricordare ciò che ci ha spinti a scegliere la formazione come professione – e ma- gari a concepire l’educazione non come un’attività tra le altre ma come categoria dell’esistenza, come modo di essere –, forse ciò che ci appare è qualcosa di co- mune. Qualcosa che potrebbe essere simile a quanto Platone ci ha regalato nella sua Lettera VII: «Non è questa mia, una scienza come le altre: essa non si può in alcun modo comunicare, ma come fiamma si accende da fuoco che balza: scintilla che nasce all’improvviso, nell’anima, dopo lungo periodo di discussioni sull’argo- mento e una vita vissuta in comune, e poi si nutre di sé medesima». Forse con sfumature diverse, ognuno di noi si è deciso per l’educazione perché animato da una scintilla nata all’improvviso, che ha dato corpo ad imma- gini presenti nella nostra anima: l’immagine del dialogo: il contatto vivo con il problema del momento, un ritmo di discorso condotto con l’arte di conoscere le persone, con l’ironia e la li- bertà di una libera conversazione, stimolato da una comune ricerca del vero, da un incessante interrogarsi; l’immagine dell’amicizia: l’intimità che nasce dalla vita in comune, la rela- zione che mette insieme e unisce gli affini, una forza amorosa che si sprigiona; l’immagine del maestro: un uomo che non ha una dottrina prestabilita, un sa- pere a tutti immediatamente trasferibile, ma indica la strada e anima la ricerca. “E le tre immagini sono rimaste nell’anima ed ora agiscono come desideri, come invisibili magneti” (D. Duccoli). Attratti da un’idea di educazione che è insieme un modo di concepire l’esi- stenza, ci troviamo a disagio in una società che ha fatto della formazione una tec- nica, separandola dalla sua fonte viva da barriere che essa stessa si è costruita, ri- schiando di inaridirsi. Eppure, l’attività formativa quotidiana, l’esperienza di lavoro educativo, atte- stano un’eccedenza di significato che accompagna ogni relazione interpersonale, educativa ed ogni setting formativo. Non qualcosa di magico, né di immediata- mente riferibile alla sfera religiosa, ma qualcosa che preesiste, che è condizione del reciproco riconoscimento e che non si lascia imbrigliare nelle maglie della nostra comprensione. Qualcosa che agiva prima dell’incontro, e che continuerà ad agire dopo di noi, nonostante noi. Padre Pio Parisi la chiama “la politica di Dio”: «…così la politica di Dio si realizza proprio nel fallimento della nostra illusione di protagonismo, cioè di es- sere noi i primi formatori, i primi politici». 67 2. IL FORMATORE E LA FORMAZIONE COME TEMPO CHE FA MATURARE L’attività educativa che chiamiamo formazione non è separabile dall’idea che ogni uomo è coinvolto radicalmente e in ogni istante con il significato della vita stessa. Si può essere all’altezza di tale compito ma si può anche cadere in rovina. È Heidegger che ci suggerisce a questo punto di pensare che a far maturare è il tempo, il tempo cairologico capace di sollecitare ogni attimo di vita al “compi- mento” radicale. La formazione non ha solo bisogno di tempo, non è solo processualità, ma deve essere intesa come tempo favorevole in cui l’uomo è in grado di far maturare decisioni radicali, cioè di dare alla sua vita una forma, un significato. Il momento educativo, infatti, è un «kairós» per l’uomo, ossia un «tempo favorevole», un «tempo opportuno» per la sua vita. La novità, rappresentata dall’uso in ambito pe- dagogico di un concetto filosofico e religioso, conferma già di per sé l’orizzonte esistenziale globale in cui deve essere pensata l’educazione. In effetti, come ogni altro aspetto dell’esistenza, anche l’educazione è segnata dalle coordinate di spazio e tempo. In particolare, l’educazione si dispiega nel tempo, lo assume come «luogo» necessario per raggiungere il suo scopo: creare le condizioni che facilitino il cammino dell’educando verso la sua piena realizzazione. La comunicazione edu- cativa si articola nel tempo perché nel tempo avviene l’incontro tra l’io e il tu; nel tempo prende forma il bisogno di educazione; nel tempo un uomo sceglie di pren- dersi cura, come educatore, di un altro uomo. Il tempo non è solo lo svolgimento regolare ed uniforme – quantitativamente misurabile – di momenti che scorrono sempre uguali dal futuro al passato. Non esiste solamente un tempo esteriore e meccanico, che segna il divenire rilevando il dato di fatto del suo scorrere. Esiste, per la cultura greca e per quella cristiana, anche un tempo interiore, soggettivo e originale, un tempo qualitativamente di- verso, rappresentato da un momento che «irrompe» nella vita di una persona, rive- landosi in un fatto, in un significato o in un incontro. Un tempo, quindi, che divide, ma anche che unisce, un tempo cruciale, punto di rottura tra ciò che è identico (lo scorrere uguale del tempo ordinario) e di incontro tra ciò che è diverso : la dimen- sione orizzontale del quotidiano e quella verticale del nuovo, dell’inatteso, dell’im- previsto, dell’«altro». In un momento della storia, che può essere individuale o col- lettivo, accade che vi sia insieme la rottura e l’incontro, la discontinuità e la rico- stituzione dell’unità e che, pertanto, si realizzi una «mescolanza» di elementi di- versi, un’armonia dei contrari. Questo è ciò che i greci chiamavano «kairós », il «tempo conveniente», il «momento propizio», la «circostanza favorevole» per vi- vere e per capire la vita nella sua verità totale, e dunque per capire se stessi in essa. Un tempo che non si situa nel passato o nel futuro, né è vissuto fuori del tempo quotidiano, cioè in una dimensione intuitiva o estatica. È un momento che si rivela nel presente, è ciò che “qui ed ora” accade come opportuno, è la circostanza non casuale ma utile e vantaggiosa per il singolo, un momento importante, forse cru- ciale, per la sua vita. 68 Nel Cristianesimo, il «tempo favorevole» è il tempo presente (Rm 3, 26), ossia il tempo fissato da Dio nel suo piano di salvezza per l’uomo e realizzatosi per mezzo della venuta di Cristo. È il “momento favorevole” che si presenta “ora” (2Cor 6,2) per la conversione e la salvezza dell’uomo. È un momento comprensi- bile solamente alla luce della Pasqua, perché trova la sua origine fondativa nell’ora della resurrezione di Cristo. Per il credente è l’ora della discesa della grazia dello Spirito nella propria vita, vissuta in comunione con Lui. Il tempo favorevole alla salvezza è un tempo segnato da due estremi: da un lato l’incarnazione e la resurre- zione di Cristo, dall’altro il giorno del suo definitivo ritorno. Dunque, quello «fa- vorevole» è il tempo sospeso tra storia ed escatologia, tra passato e futuro. Non sa- pendo “il giorno e l’ora” del ritorno di Cristo, il tempo della salvezza coincide con il presente: “Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza” – afferma con forza S. Paolo. Nella vita del credente il tempo decisivo è, in defini- tiva, il tempo della scelta fondamentale, dell’accettazione per fede del mistero della vita. Si tratta di un di un momento quantitativamente breve ma i cui effetti superano i limiti spazio-temporali. È il tempo della prova e insieme del giudizio, della sofferenza e insieme della gioia. Un tempo vissuto come una realtà per sé, un tempo che è stato donato alla persona per la sua salvezza, cioè per la sua realizza- zione piena. Un tempo che richiede, per essere vissuto, che vi sia l’assunzione in- condizionata della propria identità e della responsabilità del proprio esistere «qui e ora». L’educazione può (o forse deve) essere vista come l’irrompere nel «qui e ora» della vita dell’educando di una presenza e di una proposta (= l’educatore e il pro- getto educativo) capaci, da un lato di provocare una rottura generativa che apre al nuovo e che dà voce alla nostalgia di un incontro con l’altro, dall’altro di risve- gliare nell’educando il coraggio di passare da una situazione di isolamento, quindi di non comunicazione, ad un’esperienza autentica di «solitudine», cioè di adesione al mistero del dialogo con la propria insondabile profondità, sperimentata nel mo- mento stesso in cui l’individuo si apre alla comunicazione con l’altro. L’educa- zione, intesa come animazione, si propone quindi di creare negli animati , per quanto sia possibile, un «tempo favorevole» per il fiorire in essi di un duplice dina- mismo vitale, che si concretizza nel movimento proprio della comunicazione che si apre all’esterno rivolgendosi ad un Tu, e in quella che si dispiega nella rifles- sione interiore della coscienza; è un dinamismo che si fa, nel primo caso, parola che comunica e, nel secondo, silenzio che ascolta. L’educazione non pone solamente le condizioni per la realizzazione di un «tempo favorevole» per l’educando. L’educazione stessa si pone come «kairós» perché, per la sua natura intenzionale, non può non essere un segno di trascen- denza che irrompe all’interno dello scorrere quotidiano del tempo ; è un segno ri- velatore di un’esperienza privilegiata di costruzione della propria realtà, che chiede di essere vissuta “ora”, nel momento presente in cui appare. È un segno che sfida la storicità plurisignificante degli avvenimenti che scandiscono il divenire del- l’uomo, forzandoli ad aprirsi alla novità del possibile e alla progettualità responsa- 69 bile. Infine, il tempo dell’educazione è «kairós», perché si presenta anche come metafora della vita. Infatti, è la vita stessa ad essere, per ogni uomo, il «tempo fa- vorevole» per la sua salvezza, cioè per la sua realizzazione piena e felice. L’educa- zione, dunque, nel suo significato più profondo, si fa «memoria» che invita alla ri- cerca di senso, «itinerario» che conduce a guardare direttamente al significato pro- fondo dell’esistenza. 3. L’IDENTITÀ DEL FORMATORE DI UN CENTRO SALESIANO DI FORMAZIONE PROFESSIONALE Il Centro Salesiano di Formazione Professionale si presenta come una Comu- nità Educativa composta di religiosi e di laici, nella quale ogni persona che opera a vario titolo (dirigenti, formatori, utenti, genitori, personale amministrativo e di ser- vizio) è consapevole di contribuire attivamente alla vita del Centro e di essere di- rettamente responsabile, per la parte di sua competenza, della qualità dell’offerta formativa che ci si impegna a garantire. L’identità del Centro ruota attorno ❏ al messaggio evangelico, ❏ al carisma educativo di Don Bosco, pedagogicamente riassunto nel «Sistema preventivo», e ❏ alla profonda convinzione secondo cui l’esperienza educativa rappresenta, da sempre e ancor più nel nostro tempo, un momento privilegiato ed insostitui- bile di crescita nel percorso esistenziale di ogni individuo. Da questi riferimenti il Formatore trae una molteplicità di orientamenti, valo- riali ed educativi: • la visione cristiana della realtà e, in essa, della persona e della società, è l’ele- mento che fa da sfondo culturale al suo modo di concepire l’attività formativa; • la centralità della persona, contrassegnata dal proprio dinamismo di crescita personale, si esprime in modo pregnante nella sua attenzione nei confronti degli utenti; • sa che il momento cruciale dell’esperienza formativa si manifesta nella rela- zione educativa tra utenti e formatori; in tale esperienza non solo gli utenti ma anche i formatori sono coscienti di essere in tensione verso la propria realizza- zione; • l’ambiente educativo è per lui molto importante, ed è costituito sia dall’in- sieme delle relazioni interpersonali, sia dall’organizzazione degli spazi e dei tempi di lavoro; • è consapevole di dover approfondire di continuo (a livello culturale, pedago- gico e didattico) che cosa sia «educazione» e che cosa comporti, particolar- mente in questi anni, assumere un impegno di formazione (educazione perma- nente). 70 Il Formatore elabora la sua «mission», guardando alla sua identità ricca e complessa, ma anche a quella del Centro nel quale opera e al suo quadro ispira- tivo-fondativo che lo fa essere: ❏ «luogo formativo», ❏ «cattolico», ❏ «salesiano», tenendo contemporaneamente presenti tre fattori, fortemente integrati tra loro: ❏ la lettura della realtà, con particolare attenzione nei confronti della condizione giovanile (sapere); ❏ la valutazione critica degli elementi più significativi che scaturiscono da tale conoscenza (giudicare); ❏ l’assunzione di iniziative adeguate per affrontare la realtà (agire). Questa elaborazione è sempre in itinere, ossia in via di continua riformula- zione e precisazione, ed è praticata secondo i principi basilari di un atteggiamento di tipo ermeneutico: comprensione, spiegazione, applicazione. Per il Formatore, essere protagonista all’interno di un “luogo formativo” si- gnifica in modo particolare: • sapere: •• che l’esperienza formativa rappresenta un momento cruciale nel percorso di crescita di ogni utente; pertanto, un suo fallimento anche parziale (disa- gio, demotivazione, abbandono), imputabile a carenze del Centro, può avere conseguenze molto negative; •• che l’universo giovanile vive una fase di crisi generale di senso, dovuto alla mancanza di punti di riferimento credibili nel mondo degli adulti; •• che la specificità del Centro sta nell’offerta di un percorso di crescita me- diante l’esperienza individuale e comunitaria della cultura e del lavoro; • giudicare: •• l’atteggiamento relativistico, quando non eticamente «neutro», di molti adulti, come una delle cause dell’incapacità dei giovani di fare scelte im- portanti e responsabili; •• il mondo vitale dei giovani come potenzialmente ricco di valori e di capa- cità di pensare e creare il nuovo, ma anche povero di motivazioni solida- mente radicate; •• l’imparare a conoscere, a fare, a vivere con gli altri, ed infine l’imparare ad essere, come i “quattro pilastri dell’educazione”, validi anche nei Centri di Formazione Professionale (Delors, Nell’educazione un tesoro, pp. 79-90); • agire: •• con chiarezza di intenti e trasparenza nei progetti, allo scopo di porre gli utenti (e le loro famiglie) nelle condizioni di sapersi sempre confrontare criticamente con tutte le proposte e le iniziative della scuola; •• con la volontà di elaborare progetti di lavoro motivati, ampiamente discussi e progettualmente fattibili; 71 •• con la determinazione di qualificare tutti gli aspetti della vita del Centro, nessuno escluso, sapendo bene che solo nella qualità del suo insieme un ambiente formativo può essere apprezzato e credibile. Per il Formatore operare in un ambiente “cattolico” significa in modo partico- lare: • sapere: •• che la diffusa crisi di senso, testimoniata in particolare dal mondo giova- nile, coinvolge direttamente e drammaticamente anche la dimensione reli- giosa e la concezione cristiana della vita; •• che la cultura (che è anche cultura del lavoro), che il Centro è chiamato a comunicare alle nuove generazioni, è il luogo privilegiato della ricerca di senso, ivi compreso il senso religioso e cristiano dell’esistenza; •• che il Centro può contribuire in modo importante a porre le basi perché il mondo giovanile sia in grado di recepire e comprendere il proprio mondo e, all’interno di questo, il “progetto culturale” della chiesa; • giudicare: •• la crisi di senso, non solo come un problema ma anche come una risorsa per gli ambienti formativi, nel senso che rappresenta una sfida alla loro ca- pacità di mostrare la validità e la credibilità della concezione cristiana, anche nel mondo contemporaneo; •• la marginalità della religione nella vita quotidiana dei giovani non come il segno del trionfo della secolarizzazione, ma come la conferma della diffi- coltà dei giovani, e anche del loro timore, a dare la propria adesione ad un credo ben determinato e ad assumere uno stile di vita impegnativo; •• la difficoltà di comprendere e accogliere l’esperienza di fede, come dovuta anche ad una diffusa carenza di cultura religiosa di base; • agire: •• con la coscienza di dover puntare alla formazione di una cultura religiosa, che – per essere tale – deve presupporre una solida formazione culturale di base; •• con la volontà di fare del dialogo con tutti gli studenti del Centro, credenti, non credenti e credenti di altre confessioni o religioni, un momento di grande valore per la serietà della testimonianza di fede cattolica . Per il Formatore operare in un ambiente “salesiano” significa in modo parti- colare: • sapere: •• che il “sistema preventivo” salesiano, per essere applicato nella realtà della vita della formazione professionale odierna, deve essere adeguatamente compreso e costantemente reinterpretato; •• che educare secondo “ragione” significa farlo con un livello alto di motiva- zioni pedagogiche e culturali, e con un grado di professionalità che coinvolga allo stesso modo: persone, strutture e organizzazione del lavoro formativo; 72 •• che educare alla “religione” significa formare alla ricerca radicale del senso del vivere, da cui porre le premesse per un’apertura alla dimensione religiosa; •• che educare con “amorevolezza” significa curare in modo del tutto partico- lare la qualità e l’autenticità della relazione comunicativa ed affettiva tra allievi e formatori; • giudicare: •• la presenza, ricorrente nei momenti di transizione, di un riproporsi ripeti- tivo delle iniziative tradizionali come un atteggiamento di sfiducia nei con- fronti della capacità di cambiare e di rinnovarsi, che pure è propria della tradizione salesiana; •• con molta attenzione il fenomeno delle povertà, antiche e nuove, e dei bi- sogni emergenti nell’universo giovanile; •• come decisivo per la realizzazione del progetto educativo del Centro di Formazione Professionale, il rapporto tra il clima familiare in cui vivono gli alunni e lo “spirito di famiglia” proprio della comunità educativa sale- siana; • agire: •• prendendo molto sul serio il vissuto complessivo dell’universo giovanile e il suo contesto, familiare, sociale e culturale; •• sapendo attivare con creatività nuovi modi di vivere l’esperienza di cre- scita, propria degli utenti (animazione e spirito di festa); •• volendo trarre dal meglio della riflessione pedagogica contemporanea, tutto ciò che può risultare positivo per un’ulteriore qualificazione dello stile educativo salesiano. Bibliografia essenziale AA.VV., Orizzonte formazione, a cura di D. Forti, Ed. Angeli, Milano1991. BATTISTELLI A. - MAJER V. - ODOARDI C.,, a cura di, Sapere, fare, essere. Formazione come percorso di cambiamento nelle organizzazioni, F.Angeli, Milano1992. BOBBA L. - NANNI A., a cura di, Formare solidarietà, Aesse Srl, Roma 1994. LENA M., Lo spirito dell’educazione, La Scuola, Brescia 1986. MAGGI B., La formazione, concezioni a confronto, Etas libri, Milano 1991. MARITANI J., Umanesimo integrale, Borla, Roma 1980. MARRAMAO G., Kairos, apologia del tempo debito , Laterza, Bari 1992. MAZZOLI G., Formapolitica, Idea Duemila, Roma 1992. QUAGLINO G.P., Fare formazione, Il Mulino, Bologna 1985. REGINA U., Servire l’essere con Heidegger , Morcelliana, Brescia 1995. VICO G., Tempo ed educazione nel postmoderno, La Scuola, Brescia 1990. 73 TERZA LEZIONE “PREFERIREI DI NO”: UNA NUOVA CULTURA DELLA RELAZIONE EDUCATIVA OBIETTIVI Al termine della lezione, il lettore sarà in grado di: ❏ cogliere la difficoltà di rappresentarsi in un quadro unitario la condizione giovanile; ❏ descrivere alcune caratteristiche di una relazione educativa efficace, quali quelle proposte da Scurati; ❏ acquisire consapevolezza di alcuni sentimenti, paure, desideri del formatore che modellano la sua pratica. 1. UNA RELAZIONE APPARENTEMENTE IMPOSSIBILE “In risposta ad un inserzione, un immobile giovanotto comparve un bel mat- tino sulla soglia del mio ufficio, essendo la porta aperta perché s’era d’estate. Ri- vedo ancora quella figura, scialba nella sua dignità, pietosa nella sua rispettabi- lità, incurabilmente perduta! Era Bartleby!” 1. Bartleby è il protagonista di un racconto che Melville scrive nel 1853, nel pe- riodo più oscuro della sua vita, anticipando in modo quasi profetico, i tratti della condizione postmoderna narrati e fatti propri dalla letteratura novecentesca. La sua caratteristica è di esprimersi, per tutto il romanzo, in un modo soltanto:” preferirei di no”. Ma chi è Bartleby? Bartleby è un’immagine, per noi una metafora di una relazione apparente- mente impossibile. Non si intende con questo contestare la legittimità e la possibi- lità di una comunicazione autentica, soprattutto in riferimento alle nuove genera- zioni, ma solo far cogliere un aspetto che, all’interno del processo educativo, sta emergendo negli ultimi anni con sempre maggiore evidenza, ovvero l’idea che nella relazione educativa, l’altro non è un “alter ego”, ma ciò che io non sono, vale a dire essenzialmente un interlocutore. La nostra comune esperienza di educatori ci conferma che l’educazione è una 1 H. M ELVILLE, Bartleby, lo scrivano , p. 23, trad. di E. Giachino, Einaudi, Torino 1994. 74 forma di rapporto contaminante, e non semplicemente un essere-con, a volte estranea ad ogni forma di mediazione concettuale e sempre più irriducibile alla modalità della conoscenza. I nostri destinatari, così come vengono chiamati, sono sempre meno nostri. Pur essendo infatti la letteratura sull’universo giovanile vastissima2, ancora oggi (e soprattutto in questi ultimi anni) noi siamo costretti ad utilizzare espressioni del tipo generazione X, Y, o addirittura generazione invisibile, per indicare una condi- zione giovanile che sfugge alle tradizionali categorie sociologiche. Possiamo quindi tenere fermo questo punto: non sempre la possibilità di attribuire un senso comincia dal sapere, ma vi sono situazioni (in particolare l’educazione delle nuove generazioni) che si rifiutano di essere comprese all’interno di categorie sociolo- giche o culturali, e non per questo smettono di significare. Bartleby è esattamente questo: “qualcosa” che significa per se stesso, fuori contesto, prima e al di là di ogni tentativo di donazione di senso o di compren- sione. Questo modo di manifestarsi di Bartleby è enigmatico in quanto cerca il mio riconoscimento pur conservando la sua incognita: enigmatico, non problematico . Bartleby non è un equivoco da risolvere, un problema di conoscenza, ma semplice- mente un’espressione che non chiede di essere interpretata. Nel commento all’indagine sulla condizione giovanile “la generazione invisi- bile”, Alessandro Cavalli esprime un dubbio, dopo tanti anni di studi e ricerche sui giovani: “mi sembra che la società degli adulti proietti sui giovani le proprie spe- ranze, ma anche le proprie delusioni e le proprie paure. È come se gli adulti, in- vece di guardarsi allo specchio, costruissero delle immagini che credono essere dei giovani mentre invece sono solo degli abbozzi di autoritratto”3. Può essere utile ricordare che il romanzo di Melville si è sottratto fin dall’i- nizio ad un’interpretazione definitiva da parte di critici ed esegeti, finchè non è di- ventato un vero e proprio enigma, tale da giustificare addirittura il tentativo di G. Celati di raccogliere le ottantotto interpretazioni finora conosciute della celebre frase “preferirei di no” e di affermare che “ questo personaggio ci attira verso un tranello in cui tutte le spiegazioni e le interpretazioni debbono cadere nel vuoto”4. Generazione di preferenze più che di assunti La lettura che Emilio Capodeski fa del romanzo di Melville, permette di far emergere un altro aspetto che può costituire un ulteriore motivo di discussione: qualunque aspettativa di instaurare con Bartleby un dialogo ragionevole viene re- golarmente disattesa. C’è addirittura un passo in cui, alla supplica da parte dell’av- 2 Si veda a questo proposito l’indicazione bibliografica che appare nella ricerca curata da Ilvo Diamanti dal titolo “La generazione invisibile”, edita da Il Sole 24 Ore. 3 A. CAVALLI, Gli occhiali appannati degli adulti, sta in La generazione invisibile, a cura di I. Diamanti, Il Sole 24 Ore, Milano 2000. 4 G. CELATI, Introduzione a Bartleby, lo scrivano , Feltrinelli, Milano. 75 vocato di dimostrare un minimo di ragionevolezza, il nostro protagonista risponde: “al momento preferirei non essere un poco ragionevole”. Non ha il minimo inte- resse a spiegarsi, a lasciarsi comprendere, assimilare, identificare. Bartleby “era un uomo di assunti più che di preferenze”. “Si può definire assunto un assioma a cui dovrebbe seguire una certa proposi- zione per conseguenza logica, così che posto un determinato punto di partenza, si debba necessariamente arrivare a una determinata conclusione. Ed è sulla univer- sale condivisione di questo principio, sulla comune accettazione della logica e del principio di non contraddizione che si basa la possibilità per gli uomini di intera- gire, comunicare, intendersi vicendevolmente. Ma l’agire – o meglio il non agire – di Bartleby si fonda su presupposti affatto inconciliabili. La logica su di lui non ha alcuna presa. Non è meno logico che illo- gico. Egli mina, mette in crisi, le fondamenta stesse del mondo del narratore, la sua presenza è come vento che spazza tutto e altera il senso delle cose” 5. 2. LA RELAZIONE EDUCATIVA POSSIBILE Le riflessioni che abbiamo fin qui condotto possono indicarci uno stato d’a- nimo complessivo? Nel groviglio delle sensazioni e delle interpretazioni, che si fa sempre più complesso e intricato, mi pare di poter isolare il disagio che emerge dall’assenza del destinatario. Questa assenza che cosa significa? Parla? Che cosa dice? Gli adolescenti guardano verso l’alto Potrebbe sembrare contraddittorio, rispetto alla nostra esperienza di educatori, ma gli adolescenti hanno fame di relazioni verticali, guardano verso l’alto, alla ri- cerca di adulti competenti. Hanno molte domande da porre, centrali per la loro cre- scita, anche se il loro comportamento sembrerebbe andare in tutt’altra direzione. Secondo Pietropolli Charmet, psicanalista, i cambiamenti avvenuti nell’am- bito del processo di socializzazione, soprattutto all’interno della famiglia, hanno comportato una diversa qualità di rappresentazione delle funzioni e dei rapporti di potere fra adulti e adolescenti. L’adulto non è più colui dal quale affrancarsi attra- verso comportamenti oppositivi, ma un sostegno alla crescita. Molti adolescenti “eleggono” tra le persone che incontrano un adulto significativo e si relazionano come se fosse parte del proprio Sé, alla ricerca di uno sguardo di ritorno. Gli psi- coanalisti tendono a riconoscere come assolutamente necessaria alla crescita questa sorta di “tenerezza rispecchiante” che l’adulto rappresenta, e che diventa un nutrimento affettivo importante. 5 E. CAPODESKI , Avrei preferenza di no. Una lettura di Bartleby, lo scrivano , il riferimento è una pagina Web: www .trock.fabula.it 76 “Si pensi ad esempio alla funzione di alcuni insegnanti, rinnegati ufficial- mente, ma profondamente nominati come testimoni del proprio eventuale valore, magari non nella disciplina che insegnano ma in qualche altra cruciale materia fon- damentale della vita e di venuti destinatari di messaggi segreti quanto inaspettati, densi di attesa e difficili da accogliere e saper restituire senza commettere l’errore di dar loro troppo peso ufficiale o, quello ancor più grave, di banalizzarli o ridico- lizzarli pubblicamente” (p. 49). Ascoltateci senza essere intrusivi Gli adolescenti non hanno fame solo di relazioni verticali, ma sono alla ricerca di una nuova forma di comunicazione educativa, che sappia dosare l’asimmetria, propria dell’atto educativo, integrandola in un clima di relazionalità e accoglienza, che dice rispetto e attenzione. Cesare Scurati, nella prefazione al testo di Pier Cesare Rivoltella “Teoria della Comunicazione”, propone una sorta di carta pedagogica fondamentale a cui gli educatori potrebbero riferirsi per qualificare la loro comunicazione educativa. La riportiamo per esteso. LE QUALITÀ DELLA COMUNICAZIONE EDUCATIVA Abilitatività: il primo dovere di chi sa nei confronti di chi non sa è la con- segna di conoscenze, abilità, competenze. Per questo la relazione formativa nasce sempre in una condizione di asimmetria ( differenza ) per concludersi in una sim- metria ( parità) che toglie l’ignoranza e l’inabilità di partenza per installare al loro posto la padronanza e l’autonomia, proprie del punto di arrivo; l’emancipa- zione è insieme l’obiettivo voluto ed il valore in gioco. Compresenza: L’educazione si installa in un clima di relazionalità, di inte- razione effettiva e reale tra persone, di sostegno affettivo, di accoglienza, di ac- compagnamento e di aiuto a crescere nell’esercizio e nella ricerca. In questo senso si delineano i caratteri della dialogicità, della conversatività, del primato della parola, del riferimento a problemi reali, e, ancora, viene posto l’accento sulla necessità di controllare che la relazione non assuma aspetti di violenza e di potere. Sistemicità: La prospettiva basata sui presupposti della linearità e della mo- nofunzionalità ha lasciato il posto ad una concezione circolare, nella quale le varie possibili funzioni della comunicazione sono connesse ed interagenti tra loro e tutte riferibili alla dinamicità integrale che le connette nell’eseprienza della per- sona. 77 3. I FANTASMI NELLA RELAZIONE La relazione educativa è sempre caratterizzata da ambivalenze, che contami- nano l’approccio del formatore agli adolescenti. Diventa importante acquistare la consapevolezza del proprio “desiderio di formare” e di come questo dipenda da di- namiche interiori non sempre facili da riconoscere. Il tema è stato trattato soprat- tutto dagli autori della scuola francese di psicoanalisi: Kaes, Anzieu, Filloux, Po- stic. L’idea di fondo è che la strutturazione del desiderio di formare si realizzi attra- verso una serie di fantasmi inconsci, radicati nella personalità dell’educatore. Sen- timenti, paure, desideri si fanno strada e cercano la loro soddisfazione modellando la nostra vita, condizionandoci nelle nostre relazioni e attività. Questo vale anche per l’attività del formatore. Esistono fantasmi-modello per tutti i Formatori? Secondo una ricerca condotta su 120 insegnanti, sono cinque le fondamentali modalità fantasmatiche, tipiche dell’attività del formatore: Non intrusività: I modi dell’educazione non sono mai quelli della persua- sione occulta, della seduzione, della suggestione irresistibile e dell’inganno: la lealtà intellettuale, l’onestà critica e la disponibilità alla differenza ne rappresen- tano invece le matrici prime. Educare significa lanciare una proposta che non è interessat ad una risposta reduplicativa, ma ad una interpretazione originale, vale a dire alla libertà. In termini di ancor maggiore immediatezza attuale, sottoli- neiamo tre dinamiche di particolare interesse. Opacità-trasparenza: sapersi collocare nel rapporto con l’altro secondo un’intenzione radicale di chiarimento in quanto emersione verso la trasparenza di tutto ciò che abita inizialmente il mondo dell’opacità. Contenuto-relazione: mantenimento dell’equilibrio fra la dimensione “nu- merica” ( qualitativa, lineare, contenutistica ) e analogica ( qualitativa, circolare, relazionale ) dell’esperienza della comunicazione, in modo che i dati, i fatti, le informazioni da una parte, così come le emozioni, le reazioni e le vibrazioni af- fettive dall’altra, non restino isolati ed appartenenti a due mondi reciprocamente distinti e separati. Rumore-silenzio: presentazione e pratica di quei significati di concentra- zione e sviluppo della creatività soggettiva che si possono rendere diffusi sol- tanto recuperando una nuova cultura del silenzio come esito di una decisione di ritrovamento personale. (Cesare Scurati) 78 Il fantasma del dare la vita: si tratta forse del fantasma che ingloba tutti gli altri perché si riferisce al desiderio dell’onnipotenza, comune a tutti gli esseri umani. È la paura della morte, il voler continuare ad esistere nella mente di qual- cuno, nel suo ricordo, e per questo gli si dà la vita, perché così è possibile conti- nuare a vivere attraverso di lui. Il fantasma dell’indifferenziazione: è tipico di coloro che faticano a staccarsi dai propri alunni, e che parlano di loro considerandoli come dei figli. Il Formatore è come una Grande Madre: deve dare serenità, affetto, felicità, occuparsi degli alunni in ogni momento. Diventa indifferente quale materia insegnano; il loro scopo è diventare un punto di riferimento, dentro e fuori il contesto formativo. For- mare equivale a generare, ma conservando dentro di sé, per paura del distacco. Il fantasma del trarre da sé : è il più classico perché etimologicamente è ri- conducibile proprio all’attività del “formare”, ossia del dare forma, del plasmare, lasciare un’impronta. Si vuole lasciare all’educando se stessi come modello, come paradigma ideale per affrontare la realtà. Agli alunni si offre solamente il proprio patrimonio culturale, l’immagine di un adulto idealizzato e coerente. Con il lin- guaggio della psicoanalisi, si potrebbe dire che si desidera che gli educandi diven- tino la materializzazione del proprio Super-Io. Non vi è alcun coinvolgimento af- fettivo o emotivo, ma solo il desiderio che nulla passi di se stessi, se non i conte- nuti valoriali. La relazione educativa è oggettivata per esorcizzare il bisogno di un rapporto più profondo, coinvolgente. Il fantasma del narcisismo: si riferisce alla difficoltà di considerare l’edu- cando diverso da sé, dotato di un’identità autonoma. Il Formatore ricerca nell’altro una conferma di se stesso perché ha paura della solitudine e dei propri limiti. In- consciamente ha bisogno della stima degli altri, del loro amore e se questo venisse a mancare sarebbe intollerabile. In questi casi, il Formatore vorrebbe lasciare di sé il ricordo di una persona da stimare, una persona vera…, in altri, quando il fan- tasma è consapevole, il Formatore è cosciente di svolgere la sua attività per essere applaudito e approvato. Il fantasma dell’oggettivazione: è la relazione educativa impostata in modo maturo, in quanto rispettosa dell’alterità dell’alunno, della sua autonomia. 4. IPOTESI DI LAVORO 1. Promuovere relazioni significative ma con la capacità di modulare i livelli comunicativi in funzione delle situazioni (anche qui si tratta di operare una complessificazione dei nostri codici): esiste un livello comunicativo banale o superficiale, esistono relazioni funzionali che servono a comunicarsi cose da 79 fare e richiedono produttività, esiste una comunicazione ideologica o cultu- rale, che ci vede molto spesso in ritardo, una comunicazione emotiva, nella quale siamo invece molto bravi, una comunicazione spirituale… 2. Approfondire temi generatori che costituiscono oggi delle chiavi per accele- rare il pensiero verso nuove forme di convivenza sociale quali Memoria, Iden- tità, Progetto, Mito… 3. Formare nella direzione di uno sviluppo non-violento, attraverso l’educa- zione alla complessità e al conflitto. 4. Formare ad una cittadinanza attiva che sappia entrare in contatto con tutte quelle forme associative organizzate che si occupano di diritti umani, am- biente, pace. 5. Ma soprattutto formare ad una capacità di ascolto multiplo, sofisticato, in grado di operare connessioni. 6. Abilitare a fare i conti con le proprie paure: la paura di incontrare la realtà perché il proprio mondo valoriale è fragile, si teme di essere rifiutati; la paura del conflitto; la paura dell’imprenditività. 7. Recuperare la dimensione estetica. Bibliografia AA.VV., Educare nella società complessa. Problemi. Esperienze. Prospettive, La Scuola, Brescia 1991. AA.VV., La sfida della complessità, a cura di G. Bocchi e M. Ceruti, Feltrinelli, Milano 19948 (1985). BUTTURINI E., La relazione educativa per un futuro di pace, in: Rivista di Scienze dell’Educazione, 2 (2001), pp. 241-260; RIVOLTELLA P.C., Teoria della comunicazione, La Scuola, Brescia 1998. 81 Modulo 3: IL CARISMA EDUCATIVO SALESIANO OGGI: COORDINATE DI FONDO GIUSEPPE TACCONI Un itinerario di formazione per formatori che si inseriscono in un Centro di formazione professionale salesiano non può certo ignorare l’importanza fondamen- tale del “patrimonio pedagogico salesiano” che si rifà all’esperienza viva di Don Bosco ed all’originalità specifica del suo Sistema preventivo. Infatti si tratta di uno stile educativo che appartiene all’identità stessa della missione educativa salesiana. Per questo se ne parla spesso e con insistenza, come elemento essenziale di fedeltà al “carisma” del Fondatore. Ma per realizzare una proposta educativa fedele al “patrimonio spirituale e pe- dagogico” di don Bosco: • non basta rifarsi genericamente ai principi ispiratori della sua pedagogia; • tantomeno basta “ripetere” o “applicare” materialmente le sue “scelte educa- tive”, pensate e realizzate come risposta concreta alle esigenze dei “giovani del suo tempo”; la stessa insistenza sulla necessità di “conservare il patri- monio pedagogico di don Bosco ” può portare (e non di rado ha portato) a con- cepire il sistema preventivo come un sistema completo, un “deposito sacro” da conservare immutato. Ma non è così! Infatti: 1. “Non si tratta di un sistema perfettamente compiuto e chiuso, bensì di una proposta aperta a integrazioni e sviluppi, teorici e storici, che lo arricchi- scono senza sfigurarne gli essenziali lineamenti originari” (Braido, 1993) 2. Il sistema educativo di don Bosco si è sviluppato ed espresso in numerose isti- tuzioni, associazioni giovanili, collegi, convitti per studenti e artigiani, ester- nati e pensionati, scuole di vario tipo: primaria, secondaria, professionale, se- minari e aspirantati, scuole per la catechesi, centri missionari ecc.. 3. Perciò è evidente che non possiamo in ogni caso compiere una semplice tra- sposizione ad oggi di quanto fatto da don Bosco nel secolo scorso, ma dob- biamo fare ricorso ad un processo “ermeneutico-operativo”: 82 - ermeneutico, nel senso che per affrontare in modo efficace e corretto un problema, è necessaria una valida e ragionata interpretazione dei dati, in se stessi e nel loro contesto concreto; - operativo, nel senso che lo sforzo di interpretazione deve essere sorretto da un interesse di sostegno all’azione educativa e formativa” (Nanni, 1989). In pratica, per realizzare nei nostri Centri una proposta educativa fedele al “patrimonio spirituale e pedagogico” di don Bosco, è necessario: • ispirarsi ai principi irrinunciabili dei suoi insegnamenti e della sua esperienza educativa; • analizzarli e comprenderli nel contesto storico e culturale nel quale si sono realizzati; • ripensarli, approfondirli e riformularli in modo aggiornato, per poterli attualiz- zare ed “incarnare” in proposte educative che rispondano alle concrete esi- genze dei giovani di oggi. Il presente modulo vuole essere un “supporto” all’itinerario formativo proget- tato per i formatori di alcuni Centri salesiani di formazione professionale, finaliz- zato, appunto ad una comprensione contestualizzata del pensiero educativo di don Bosco, che consenta una corretta ed efficace attualizzazione nella propria situa- zione educativa. 83 PRIMA LEZIONE A PARTIRE DALLA NOSTRA STORIA... OBIETTIVI Al termine della lezione, il lettore sarà in grado di: ❏ conoscere alcuni elementi essenziali dell’esperienza educativa di don Bosco e dei salesiani; ❏ conoscere gli elementi principali del sistema preventivo così come emergono dalla ricerca storico-critica; ❏ individuare alcune di tali caratteristiche nell’accostamento diretto di un testo della tradizione salesiana. 1. DON GIOVANNI BOSCO E IL SUO TEMPO Sulla biografia di don Bosco, può essere utilmente letto il recente ed agile libro di STELLA Pietro, Don Bosco , Il Mulino, Bologna 2001 (Cfr. anche: BRAIDO Pietro, L’esperienza pedagogica di Don Bosco , LAS, Roma 1988). Una biografia del santo si può trovare anche nei seguenti siti: http://users.iol.it/luigi.scrosoppi/santi/donbosco.htm http://www.donbosco.it/storia/Storia.html Qui di seguito, ci limitiamo a riportare brevi cenni, in una tabella che riper- corre succintamente la vita di don Bosco in ordine cronologico e la pone in rap- porto agli eventi storici e culturali del tempo. 84 1815 1817 1824 1826 1827 1829 1830 1831 1789- 1814 1814- 1815 1818 1820- 1821 1821 1822 1823 1828 1829 1830 1831 Il 16 agosto, Giovanni Bosco nasce nella lo- calità dei Becchi, nel comune di Castel- nuovo d’Asti (oggi Castelnuovo Don Bo- sco), in una modesta famiglia di contadini. A causa di una polmonite, muore il padre, Francesco. La madre, Margherita Occhiena, si trova da sola ad allevare Antonio (figlio di un pre- cedente matrimonio del marito), Giuseppe e Giovanni. Nonostante l’opposizione del fratellastro, Giovanni è iniziato al leggere, allo scrive- re e al far di conto da un sacerdote, don Giu- seppe Lacqua. A Pasqua, è ammesso alla prima Comu- nione. È garzone nella cascina Moglia e custode di mucche al pascolo (febbraio 1827 - dicem- bre 1828). Riprende gli studi di lingua italiana e lati- na, nella borgata di Morialdo, presso il sa- cerdote don Giovanni Calosso. Frequenta la scuola comunale elementare di Castelnuovo (Natale 1830 - estate 1831), ospite di un sarto. Dal novembre è studente presso la scuola pubblica di grammatica, umanità e retorica di Chieri, ospite di conterranei residenti nella cittadina. Rivoluzione francese e impero napoleo- nico. Congresso di Vienna: restaurazione e San- ta Alleanza (26 settembre 1815). Proliferare delle Società segrete. Colombano Chiaverotti, arcivescovo di To- rino (1818-1831). Primi moti liberali in Spagna e in Italia. Vittorio Emanuele I (1802-1821) cede il tro- no sabaudo al fratello Carlo Felice (1821- 1831). In Piemonte, viene emanato il Regolamen- to di Carlo Felice sulle scuole (l’ispirazio- ne è nettamente clericale). Leone XII eletto papa (1823-1829). Graduale affermazione dell’idea di nazio- nalità in Italia. A Cremona, Ferrante Aporti fonda i primi “asili d’infanzia” (diffusione dell’idea di prevenzione nell’educazione) Nasce Leo- nardo Murialdo (1828-1900), sacerdote ed educatore torinese. Pio VIII papa (1829-1830). L’arcivescovo di Torino, Colombano Chia- verotti, istituisce il seminario di Chieri (l’in- dirizzo dottrinale ha come modello le dot- trine di S. Tommaso e la teologia morale ri- gorista dell’abate Giuseppe Antonio Alasia (fine ‘700). Indipendenza della Grecia. Rivoluzione di luglio in Francia e moti in- surrezionali e rivoluzionari in tutta Europa (1830-1831). - Carlo Alberto re sabaudo (1831- 1849). - Gregorio XVI papa (1831-1846). - A Marsiglia, Mazzini fonda la “Giovine Italia”. CENNI BIOGRAFICI QUADRO STORICO ESSENZIALE 85 1835 1841 1841 1844 1845 1846 1832 1835 1839 1840 1842 1843 1844 1845 1846 Coi compagni della Scuola di Chieri, orga- nizza la “Società dell’allegria” (1931-35) Diventa amico del giovane ebreo Giacomo Levi . Entra nel Seminario di Chieri dove, aiuta- to economicamente da alcuni compaesani, percorre gli studi di filosofia e teologia. Il 5 giugno, vigilia della festa della SS. Tri- nità, a Torino riceve l’Ordinazione sacer- dotale dall’arcivescovo Luigi Fransoni. In novembre, don Bosco inizia un triennio di perfezionamento pastorale presso il Con- vitto Ecclesiastico di Torino (lezioni di ca- sistica, esercizio della catechesi, ministero delle confessioni in varie chiese e nelle car- ceri), sotto la guida del teologo Luigi Gua- la e del suo collaboratore don Giuseppe Ca- fasso. Dopo il presunto incontro con Bar- tolomeo Garelli (8 dicembre), incomincia a riunire e a catechizzare garzoni muratori, prevalentemente provenienti da fuori città. Grazie al Cafasso, da ottobre, diventa aiu- to del teologo Giambattista Borel, cappel- lano in una delle opere della marchesa di Ba- rolo (Rifugio delle suore Maddalene). Continua la sua attività catechistica. I ra- gazzi che si radunano da lui sono sempre più numerosi. Nasce l’”oratorio per la gioven- tù”. (maggio) - 1846 (marzo): hanno luogo le pe- regrinazioni dell’oratorio da S. Pietro in Vincoli ai Molini Dora, a casa Moretta, a prato Filippi. Don Bosco pubblica la Storia ecclesiastica. In aprile, l’oratorio trova sede definitiva nella tettoia/casa Pinardi, nella zona peri- ferica di Valdocco, a nord-ovest del centro urbano, dove in novembre don Bosco vie- ne ad abitare con la madre. Durante l’inverno 1846/1847 hanno inizio le scuole serali. Enciclica Mirari vos contro il cattolicesimo liberale di Lamennais. ATorino, il teologo Guala fonda il Convit- to Ecclesiastico di S. Francesco di Sales per il perfezionamento pastorale dei preti. Ferdinando I, imperatore d’Austria (1835- 1848). Viene canonizzato sant’Alfonso de Liguo- ri la cui teologia ispira la prassi pastorale del- le correnti meno rigoriste (Guala, Cafasso) ATorino, Don Giovanni Cocchi fonda l’O- ratorio dell’Angelo Custode, nella periferia orientale della città. Rinascita economica in Piemonte e nell’I- talia settentrionale (modernizzazione del- l’agricoltura). Nuova borghesia emergente. Esce la prima parte della monumentale ope- ra del barone De Gérando, Della pubblica beneficenza (diffusione dell’idea preventi- va in campo sociale: pauperismo e mendi- cità). Esce il Del primato morale e civile degli ita- liani di Vincenzo Gioberti (1801-1851) (“neoguelfismo”). Da agosto ad ottobre, Ferrante Aporti tiene, a Torino, un corso di pedagogia fortemen- te osteggiato da Mons. Fransoni. Esce a Torino la rivista L’Educatore Pri- mario (in seguito L’Educatore). Pio IX eletto papa (1846-1878): nascita del “mito di Pio IX”. 86 1847 1848 1849 1851 1852 1853 1847 1848 1849 1850 1852 Ha principio l’ospizio; a Porta Nuova è aperto l’oratorio di S. Lui- gi; sorge la Compagnia di S. Luigi. Don Bosco pubblica la Storia Sacra e Il gio- vane provveduto. (in ottobre) inizia la pubblicazione de L’A- mico della gioventù , giornale religioso, mo- rale e politico (durerà sei mesi, fondendo- si poi con L’Istruttore del popolo). Fonda la Società degli operai o di mutuo soccorso (del 1858 lo statuto). Grazie a sovvenzioni pubbliche e private, da affittuario, don Bosco passa a proprietario della casa Pinardi (in società con don Ca- fasso e il teologo Borel) e inizia una cam- pagna di acquisti di terreni ed edifici per in- grandire l’opera dell’Oratorio. Con decreto del 31 marzo, l’arcivescovo di Torino mons. Fransoni, esule a Lione, no- mina don Bosco direttore-capo degli oratori di S. Francesco di Sales, di S. Luigi e del- l’Angelo Custode. Inizia la pubblicazione delle Letture Cat- toliche e apre laboratori interni per calzolai e sarti. In Piemonte: licenziamento, da parte di Carlo Alberto, del reazionario conte Sola- ro della Margherita, ridimensionamento della censura, libertà di stampa e dei culti. Vengono pubblicati gli Elementi di peda- gogia dell’Aporti. Occupazione austriaca di Ferrara. Grande insurrezione, di carattere politico, sociale, nazionale che da Parigi (23-24 feb- braio) si propaga nelle principali capitali e città europee tra febbraio e giugno (Vienna, Budapest, Praga, Berlino, Milano, Venezia, Palermo, Nola...). 4 marzo: in Piemonte, Carlo Alberto con- cede lo Statuto. Entusiasmo patriottico. Prima guerra di indipendenza (1848-49). Sempre in Piemonte: legge Boncompagni (accentramento dell’istruzione pubblica nelle mani dello stato). Forte espansione demografica a Torino (da 137.000 abitanti nel 1848, a 218.000 nel 1864). Esce il Manifesto del partito comunista di Karl Marx. Esce Le cinque piaghe della Santa Chiesa di Antonio Rosmini. In Francia: Luigi Napoleone presidente del- la repubblica (Imperatore dal 1852). Fenomeni di pre-industrializzazione a To- rino (solo nell’ultimo ventennio del secolo inizia, per l’Italia, la sua vera e propria ri- voluz. industriale). Sempre in Piemonte, sale sul trono Vittorio Emanuele II (1849-1878, dal 17 marzo 1861 re d’Italia). 5 febbraio: proclamazione della Repubbli- ca Romana. In Piemonte: leggi Siccardi (caduta dei pri- vilegi secolari del clero). Espulsione dell’arcivescovo Mons. Fransoni (morto a Lione nel 1862) dal Regno Sardo. Camillo Benso di Cavour presidente del Consiglio (fino al 1861): politica di libera- lizzazione laica dello stato (“libera chiesa in libero stato”). 87 1854 1855 1856 1857 1858 1859 1860 1861 1862 1854 1855 1856 1857 1858 1859 1860 1861 1862 È aperto il laboratorio dei legatori. A due chierici (tra cui Rua) e a due giova- ni (tra cui Cagliero), Don Bosco propone di sperimentare una forma associativa reli- giosa, germe della futura Società Salesiana (la denominazione di “salesiani” risale a questa data). Entra tra gli alunni di Valdocco Domenico Savio (1842-1857). In aprile, colloquio col ministro di grazia e giustizia, Urbano Rattazzi, sulla validità del Sistema Preventivo. È istituita la terza classe ginnasiale interna (finora i giovani studenti frequentavano scuole tenute da privati). Esce la Storia d’Italia. viene aperto il laboratorio di falegnameria ed è istituita la prima e la seconda ginnasiale; viene fondata la Compagnia dell’Immaco- lata. viene fondata la Compagnia del SS. Sa- cramento e costituito il Piccolo Clero; vie- ne pure istituita una Conferenza giovanile di S. Vincenzo de’ Paoli. Don Bosco compie il primo viaggio a Ro- ma per sottoporre a Pio IX il suo progetto di Società religiosa, consacrata ai giovani, e il primo abbozzo di Costituzioni; secon- do il suo progetto, i salesiani sarebbero sta- ti “cittadini di fronte allo stato, religiosi di fronte alla chiesa” e si sarebbe potuto ade- rire alla Società salesiana anche come “so- ci esterni”. Viene completato il ginnasio (cinque clas- si); è istituita la Compagnia di San Giu- seppe. La Società salesiana sorge come associa- zione religiosa privata e di fatto. Di fronte allo stato si tratta di una libera associazio- ne di cittadini. Inizia il faticoso iter per l’approvazione ecclesiastica. Esce la Vita del giovanetto Savio Domenico. Sono presenti nella Società religiosa, pri- vatamente costituita, i primi laici (“Co- adiutori”). Sorge il laboratorio dei tipografi. Esce il Cenno biografico sul giovanetto Magone Michele. Nasce il laboratorio dei fabbri. Si ha in questo anno la prima professione dei voti religiosi (14 maggio). Definizione del Dogma dell’Immacolata Concezione. Partecipazione del Piemonte alla guerra di Crimea. Soppressione degli ordini religiosi con- templativi e incameramento dei beni. (febbraio-marzo) Congresso di Parigi. Ha inizio, in Piemonte, il traforo del Fréjus (compiuto nel 1871). Torino viene collegata per ferrovia al por- to di Genova. Il Piemonte possiede 935 Km di ferrovie (contro i 100 del Regno di Napoli e i 17 del- lo Stato Pontificio). Leggi Casati (13 novembre): nuovo ordi- namento dell’Istruzione pubblica . Seconda guerra di indipendenza. Spedizione dei mille. Proclamazione del Regno d’Italia (17 mar- zo). La “questione romana”. La “questione meridionale”. Morte di Cavour (6 giugno). Governo Ricasoli (1861-62). In Italia: Governo Rattazzi. Governo Farini-Minghetti (1862-64). 88 1863 1864 1865 1865- ‘67 1868 1869 1870 1871 1872 1874 1864 1866 1867 1869 1870 1871 1874 È inaugurato il primo Istituto fuori Torino, a Mirabello Monferrato, sotto la direzione di Don Rua, a cui per l’occasione Don Bosco dona i Ricordi confidenziali (“Studia di far- ti amare prima di farti temere”)(l’Istituto sarà trasferito a Borgo S. Martino nel 1870). DB scrive le Memorie dell’Oratorio di San Francesco di Sales (riservate inizialmente ai membri della Società religiosa). Inizia la sua attività il Collegio-convitto municipale di Lanzo Torinese (affidato a don Bosco). Decretum laudis in favore della Società Sa- lesiana. Primo incontro con Maria Mazzarello, a Mornese, durante una delle passeggiate au- tunnali con i suoi ragazzi. Esce il Pastorello delle Alpi. Progetto di Biblioteca degli scrittori latini . Su invito di Giovanni Lanza, allora ministro dell’interno, partecipa alle trattative tra go- verno italiano e Santa Sede per la copertu- ra di sedi vescovili vacanti. Consacrazione della Basilica di Maria Au- siliatrice, la cui costruzione era iniziata nel 1863. 19 febbraio: approvazione pontificia della Società Salesiana. Apertura dell’Istituto di Cherasco e di Alassio. Esce il primo volume della Biblioteca del- la gioventù italiana (nel 1885 arriverà al 204° e ultimo volume). Fondazione del Collegio-Convitto muni- cipale di Alassio. Fondazione della scuola per artigiani a Ma- rassi (Genova), trasferita l’anno seguente a Sampierdarena (Genova). Apertura del Collegio di Varazze. Frequenti frizioni tra don Bosco e la com- pagine ecclesiastica torinese. Accettazione del Collegio de’ Nobili di Valsalice (Torino). Fondazione della Congregazione religiosa femminile con il titolo di Istituto delle Fi- glie di Maria SS. Ausiliatrice, con finalità analoghe a quelle dei salesiani. Le Costituzioni della Società Salesiana ven- gono definitivamente approvate dalla San- ta Sede, anche se con profonde modifiche rispetto allo scritto presentato da don Bosco. Enciclica Quanta cura e Sillabo contro gli “errori del secolo” (rottura con il “mondo moderno”). In Italia: governo Lamarmora (1864-66). A Londra, fondazione della Prima interna- zionale socialista. Terza guerra di indipendenza (annessione del Veneto). Mons. Alessandro Riccardi di Netro arci- vescovo di Torino (1867-1870). Istituzione della Confraternita di S. Giu- seppe del Murialdo. Mons. Lorenzo Gastaldi diventa vescovo di Saluzzo. Concilio Vaticano I (1869-1870): Costitu- zione De fide catholica e proclamazione del Dogma dell’infallibilità del papa. Presa di Roma (20 settembre) e fine del po- tere temporale dei Papi. In Francia: la Comune di Parigi. In Italia, trasferimento della corte e del go- verno da Firenze (capitale provvisoria 1865- 1871) a Roma. Leggi delle Guarentigie. Mons. Lorenzo Gastaldi arcivescovo di To- rino (1871-1883). Espansione commerciale, politica e cultu- rale dell’Europa (colonialismo). Non expedit. 89 1875- 1887 1876 1877 1878 1879 1880 1881 1882 1883 1884 1886 1887 1888 1876 1878 1879 1882 1883 1887 Inizia l’irraggiamento progressivo dell’o- pera salesiana in Europa (Francia, Spagna, Inghilterra) e nel continente sudamericano (Argentina e Uruguay) con oratori, opere per emigranti, istituzioni scolastico-educative, attività missionarie. Approvazione pontificia dei Cooperatori e Cooperatrici Salesiani. È celebrato il primo Capitolo Generale del- la Società, fondamentale dal punto di vista dell’impostazione generale e della regola- mentazione; tali Assemblee generali si sus- seguiranno ogni tre anni (1880-1883, 1886). Don Bosco acquista una cartiera a Mathi To- rinese. Pubblicazione dell’opuscolo, Il sistema pre- ventivo nella educazione della gioventù e dei Regolamenti. In agosto, ha inizio la pubblicazione del Bol- lettino Salesiano. I salesiani si stabiliscono a La Spezia e a Lucca. I salesiani si stabiliscono a Ariccia, Albano e Este. I salesiani si stabiliscono a San Benigno Ca- navese, Cremona, Brindisi, Randazzo. Inizia l’edizione francese del Bollettino Salesiano. Don Bosco accetta di costruire la chiesa del S. Cuore a Roma (inaugurata nel 1887). I salesiani si stabiliscono a Firenze, Pe- nango e Mogliano Veneto. I Salesiani entrano in Spagna (Utrera). Leone XIII sollecita la pacificazione tra don Bosco e l’arcivescovo di Torino, mons. Lorenzo Gastaldi (16 giugno). Circolare sui castighi (29 gennaio). Viaggio trionfale attraverso la Francia. La santa Sede affida ai salesiani il Vicaria- to apostolico della Patagonia (don Giovan- ni Cagliero). Penultimo viaggio a Roma (il 19°) per pro- blemi connessi con la costruzione della ba- silica del S. Cuore e il conseguimento di spe- ciali garanzie giuridiche per la sua Società religiosa (i privilegi concessi ai redentori- sti e l’esenzione). 10 maggio: lettera da Roma. 8 aprile - 6 maggio: eccezionale accoglienza e permanenza in Spagna, a Barcellona. Consacrazione della chiesa del S. Cuore di Gesù a Roma. (31 gennaio) morte di Don Bosco. Caduta della “Destra” e avvento della Si- nistra storica al potere: Depretis e il “tra- sformismo”. Umberto I re d’Italia (1878-1900). Leone XIII eletto papa (1878-1903). Enciclica Aeterni Patris. Triplice Alleanza dell’Italia con gli imperi centrali. Espansione coloniale in Africa . Card. Gaetano Alimonda, arcivescovo di To- rino (1883-1891). Crispi Presidente del Consiglio. 90 2. IL SISTEMA PREVENTIVO DI DON BOSCO Nel 1995, José Manuel Prellezo, salesiano e studioso dell’opera e dell’azione educativa di don Bosco, ha scritto un saggio sul sistema preventivo, che tenta di inquadrare la concezione educativa di don Bosco all’interno della sua più ampia esperienza biografica e considera attentamente l’azione educativa e il contesto sto- rico del tempo1. Rifacendoci in particolare a questo studio, a cui rimandiamo per l’approfondimento, tentiamo di presentare qui di seguito, in estrema sintesi, alcuni lineamenti essenziali del metodo educativo e dell’esperienza pedagogica salesiana (sistema preventivo), così come emergono dalla ricerca storica più accurata. 1. Una prima caratteristica, che si può rilevare da un’analisi storica dell’espe- rienza salesiana, è lo stretto legame tra teoria e pratica educativa, tra peda- gogia e vita quotidiana . I primi salesiani non sembrano preoccupati di attuare a Valdocco un modello pedagogico chiaramente definito e preciso fin dall’inizio. In loro si avvertono piuttosto lo sforzo di rispondere ai bisogni che si presentano volta per volta, e l’attenzione ai bisogni concreti dei giovani. Si avverte, cioè, una “stretta connessione tra pedagogia e vita, tra idee e quotidianità”. Forse, si può par- lare, per don Bosco e per i primi salesiani di Valdocco, di un “atteggiamento di ri- cerca”, e di una apertura alla situazione storica (è del 1883 la raccomandazione di don Bosco ai membri del Capitolo generale: “Bisogna conoscere e adattarci ai no- stri tempi”), col conseguente sforzo di analizzare attentamente la situazione, per individuare le cause di determinati problemi e per indicare le soluzioni più ade- guate, e il bisogno di trovare orientamenti per risolvere i problemi della pratica mediante la lettura di libri di carattere pedagogico dei principali autori del tempo. L’impegno nell’azione e l’estensione dell’opera salesiana non sempre, però, sono accompagnati da un pari sforzo di riflessione e di approfondimento pedagogici. 2. Dalla considerazione della “realtà viva” di Valdocco, così come emerge dai documenti del tempo, emerge la centralità dei giovani, tipica del resto del clima e della sensibilità del diciannovesimo secolo: i giovani vengono considerati nei loro bisogni e nella loro situazione di vita, accostati con simpatia e fiducia (hanno sempre “un punto accessibile al bene”). 3. Un tratto distintivo dell’agire di don Bosco è la prevenzione (“metodo preventivo”). Ci sono due accezioni di prevenzione, entrambe presenti: la conce- zione assistenziale e quella promozionale-educativa. La prima accezione di pre- venzione è quella espressa dai concetti di “assistenza” e “vigilanza”. L’assistenza- vigilanza viene progressivamente considerata come la chiave di volta per l’anda- mento della casa. Soprattutto dalla seconda metà degli anni ‘60, si assiste ad un graduale e sofferto passaggio da un’opera in cui prevalgono le finalità e le forme spontanee e flessibili di tipo familiare, ad un’istituzione che si voleva sempre più 3 J OSÉ MANUEL PRELLEZO , Il sistema preventivo di Don Bosco: ieri e oggi , in Selenotizie = Sup- plemento a Scuola viva n. 9, SEI, ottobre 1995 91 rispondente alle strutture caratteristiche di un collegio del tempo; l’accento si sposta sensibilmente sull’ordine e la disciplina (“collegializzazione”). È questo che spiega la forte insistenza sulla vigilanza intesa come un mettere sull’avviso, fa- cendo conoscere ai soggetti leggi, regolamenti, obiettivi da raggiungere, e poi vigi- lare per garantire l’osservanza e punire le eventuali trasgressioni. Ma, negli am- bienti salesiani, la prevenzione è sempre stata anche un’azione tesa ad impedire che il male avvenisse, contrapposta all’azione repressiva e punitiva. In questa se- conda accezione, il prevenire è inteso come “promozione del bene”, come azione educativa che sa proporre traguardi significativi e allettanti da raggiungere, e l’as- sistenza è intesa non come vigilanza ma come un essere presenti, aiutare, consi- gliare, accompagnare ricordando, incoraggiando, promuovendo, lungo l’intero iti- nerario formativo (Braido, 1993, 5-6). 4. Nel sistema preventivo, l’amore educativo assume connotazioni particolari di ‘ amorevolezza’ : si fa visibile e percepibile; è amore dimostrato; si esprime nelle forme della paternità, della maternità, della fraternità educativa; genera mutua fi- ducia. Nella tradizione salesiana, però, il rapporto tra i due termini del binomio “amore-timore” non è privo di problemi. Nella travagliata opera di organizzazione dell’Oratorio secondo il modello collegiale del tempo, la presenza a Valdocco di giovani “refrattari”, la modesta formazione pedagogica dei primi maestri e assi- stenti sono all’origine di momenti tesi, in cui si avverte forte preoccupazione per gli aspetti disciplinari. Le misure estreme (come la camera di riflessione o l’espul- sione di alunni) non mettono in questione, però, una sempre schietta e convinta op- zione per i metodi della carità, della dolcezza, della relazione amichevole con i giovani (“Studia di farti amare piuttosto che farti temere”), dell’amore manifestato e percepito come tale dai giovani, nella relazione educativa (cfr. Prellezo, 1989c, 999-1002; Prellezo 1995), con il conseguente rifiuto delle forme autoritarie e dei castighi severi. 5. Gli elementi religiosi e morali dell’educazione dei giovani sono massic- ciamente presenti (“da mihi animas”), ma sono tutti ispirati a piena “umanità” ed arricchiti da più evidenti presenze di valori umani. La proposta fatta ai giovani è infatti integrale: vitto, vestito, alloggio, cura del corpo, formazione intellettuale, valori morali e religiosi, preparazione professionale, tempo libero (“onesto citta- dino e buon cristiano”) (Cfr. Prellezo, 1989c, 999-1002). 6. C’è una forte sottolineatura della dimensione del clima, tanto da poter par- lare di una sorta di “pedagogia di ambiente”. Si cerca di costruire un’atmosfera familiare, concorde, unita, solidale. Riguardo all’ambiente educativo, assume una certa rilevanza anche l’elemento ludico e della festa. La vita a Valdocco è scandita da giochi, passeggiate, rappresentazioni teatrali, feste; spesso, i momenti ricreativi e quelli religiosi sono strettamente uniti e comunque prevale un clima gioioso. 7. Nei momenti di tensione, e anche nelle circostanze normali della vita quo- tidiana, è ricorrente, nei verbali del consiglio e del personale di Valdocco, la pre- senza di don Bosco come punto di riferimento per l’azione. Ma emerge anche, con 92 non minore forza, l’iniziativa dei primi collaboratori che agiscono in prima per- sona: si radunano, discutono, prendono provvedimenti.... Molti elementi autoriz- zano a parlare del “carattere comunitario” del sistema preventivo. 8. I primi salesiani, dopo aver maturato gradualmente la convinzione di pos- sedere una “propria eredità pedagogica”, non ritengono che si tratti di un sistema compiuto e chiuso. Anzi, quando si trovano di fronte a situazioni e problemi deli- cati, leggono il Regolamento della casa e le pagine del sistema preventivo, ma leg- gono e commentano anche opere di pedagogisti ed educatori del tempo… La spie- gabile insistenza, dopo la morte di don Bosco, sulla necessità di conservare il “pa- trimonio pedagogico salesiano” portò, nei primi decenni del nostro secolo, a con- cepire il sistema preventivo come un sistema originale e completo: “deposito sacro” da mantenere immutato. Ma anche in quegli anni, non mancano voci auto- revoli (don Cerruti ed altri) che invitano ad accogliere i “progressi fatti dalla scuola dei nostri tempi” e ad approfondire lo studio scientifico della “difficile arte di studiare”. Tali inviti e richieste maturano lentamente e non senza difficoltà. Essi si trovano, però, più d’accordo con le istanze delle origini e con l’esigenza di co- niugare insieme esperienza, riflessione, azione. EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE Per accostare il metodo educativo di don Bosco, più che agli scritti, bisogne- rebbe rifarsi alla concreta pratica educativa sua e dei primi salesiani. Qui di seguito riportiamo la famosa Lettera da Roma (10 maggio 1884) che, pur risentendo del contesto in cui è stata scritta e non essendo stata composta direttamente da don Bosco, è uno dei più efficaci e dei più ricchi documenti pedagogici salesiani e di- venta una fonte importante per una conoscenza più approfondita della tradizione salesiana. Traccia per la riflessione 1. Legga attentamente la “Lettera da Roma” del 10 maggio 1884 (allegata) in cui vengono descritti due ambienti educativi: l’oratorio “antico” (1846-59) e l’ora- torio “attuale” (1884). 2. Riporti alcuni slogan o frasi, oppure alcune riflessioni personali sul tipo di am- biente educativo che emerge nella descrizione dell’oratorio “antico” (1846-59) e di quello “attuale” (1884). 3. Provi a confrontare gli elementi che caratterizzano l’ambiente educativo così come emerge dall’analisi dell’ “Oratorio antico”, con quelli elencati nel testo della lezione (punto 2), indicando quali degli elementi riportati nel testo della lezione sono rintracciabili anche nell’analisi del testo della lettera. 4. Quali istanze educative, tra quelle individuate nel patrimonio educativo della tradizione salesiana, Le sembrano valide ancora oggi? In che senso e perché? 93 Miei carissimi figlioli in G.C., vicino o lontano io penso sempre a voi. Uno solo è il mio desiderio, quello di vedervi felici nel tempo e nella eternità. Questo pensiero, questo desiderio mi risolsero a scrivervi questa lettera. Sento, o miei cari, il peso della mia lontananza da voi e il non vedervi e il non sentirvi mi cagiona pena, quale voi non potete immaginare. Perciò io avrei desiderato scrivere queste righe una setti- mana fa, ma le continue occupazioni me lo impedirono. Tuttavia benché pochi giorni manchino al mio ritorno, voglio anticipare la mia venuta tra voi almeno per lettera, non potendolo di persona. Sono le parole di chi vi ama teneramente in Gesù Cristo ed ha dovere di parlarvi con la libertà di un padre. E voi me lo permetterete, non è vero? E mi presterete attenzione e metterete in pratica quello che sono per dirvi. Ho affermato che voi siete l’unico ed il continuo pensiero della mia mente. Or dunque in una delle sere scorse, io ero ritirato in camera, e mentre mi disponevo per andare a ri- poso, avevo incominciato a recitare le preghiere che mi insegnò la mia buona mamma. In quel mo- mento, non so bene se preso dal sonno o tratto fuori di me da una distrazione, mi parve che mi si presentassero innanzi due degli antichi giovani dell’Oratorio. Uno di questi due mi avvicinò e salutato affettuosamente, mi disse: “Oh Don Bosco” Mi co- nosce?” “Sì che ti conosco”, risposi. “E si ricorda ancora di me?”, soggiunse quell’uomo. “Di te e di tutti gli altri. Tu sei Valfrè ed eri nell’Oratorio prima del 1870”. “Dica!”, continuò quell’uomo. “Vuol vedere i giovani che erano nell’Oratorio ai miei tempi?”. “Sì, fammeli vedere”, io risposi, “ciò mi cagionerà molto piacere”. Allora Valfrè mi mostrò i giovani tutti con le stesse sembianze e con la statura e nell’età di quel tempo. Mi pareva di essere nell’antico Oratorio nell’ora della ricreazione. Era una scena tutta vita, tutta moto, tutta allegria. Chi correva, chi saltava, chi faceva saltare. Qui si giocava alla rana, là a barrarotta ed al pallone. In un luogo era radunato un crocchio di giovani che pendeva dal labbro di un prete, il quale narrava una storiella. In un altro luogo, un chierico che in mezzo ad altri giovanetti giocava all’asino vola ed ai mestieri. Si cantava, si rideva da tutte le parti, e dovunque chierici e preti e, intorno ad essi, i giovani che schiamazzavano allegramente. Si vedeva che tra i giovani e i superiori regnava la più grande cordialità e confidenza. Io ero incantato a questo spettacolo, e Valfrè mi disse: “Veda, la fa- migliarità porta all’affetto e l’affetto porta alla confidenza. Ciò è che apre i cuori e i giovani pale- sano tutto senza timore ai maestri, agli assistenti ed ai Superiori. Diventano schietti in confessione e fuori di confessione e si prestano docili a tutto ciò che vuol comandare colui dal quale sono certi di essere amati. In quell’istante si avvicinò a me l’altro antico allievo, che aveva la barba tutta bianca, e mi disse: “Don Bosco, vuole adesso conoscere e vedere i giovani che attualmente sono nell’Ora- torio?”. Costui era Buzzetti Giuseppe. “Sì”, risposi io; “perché è già un mese che più non li vedo!”. E me li additò. Vidi l’Oratorio e tutti voi che facevate ricreazione. Ma non udivo più grida di gioia e cantici, non vedevo più quel moto, quella vita, come nella prima scena. Negli atti e nel viso di molti giovani si leggeva una noia, una spossatezza, una musoneria, una diffidenza, che faceva pena al mio cuore. Vidi, è vero, molti che correvano, giocavano, si agitavano con beata spensiera- tezza, ma altri non pochi io vedevo stare soli, appoggiati ai pilastri, in preda a pensieri sconfortanti. Altri su per le scale e nei corridoi, o sopra i poggioli dalla parte del giardino per sottrarsi alla ri- creazione comune; altri passeggiare lentamente in gruppi, parlando sottovoce tra di loro, dando at- torno occhiate sospettose e maligne: talora sorridere, ma con un sorriso accompagnato da occhiate da fare non solamente sospettare, ma credere che S. Luigi avrebbe arrossito se si fosse trovato in compagnia di costoro. Eziandio, fra coloro che giocavano, ve n’erano alcuni così svogliati, che fa- cevano vedere chiaramente come non trovassero gusto nei divertimenti. “Ha visto i suoi giovani?”, mi disse quell’antico allievo. “Li vedo”, risposi sospirando. “Quanto sono differenti da quelli che eravamo noi una volta!”, esclamò quell’antico allievo. “Purtroppo! Quanta svogliatezza in questa ricreazione!”. IL POEMA DELL’AMORE EDUCATIVO: Lettera di don Bosco da Roma: 10 maggio 1884 94 “E di qui proviene la freddezza in tanti nell’accostarsi ai santi Sacramenti, la trascuratezza delle pratiche di pietà in chiesa e altrove; lo star mal volentieri in un luogo ove la Divina Provvidenza li ricolma di ogni bene per il corpo, per l’anima, per l’intelletto. Di qui il non corrispondere che molti fanno alla loro vocazione; di qui le mormorazioni, con tutte le altre deplorevoli conseguenze”. “Capisco, intendo”, risposi io. “Ma come si possono rianimare questi miei cari giovani, ac- ciocché riprendano l’antica vivacità, allegrezza, espansione?”. “Con la carità!”. “Con la carità? Ma i miei giovani non sono amati abbastanza? Tu lo sai che io li amo. Tu sai quanto per loro ho sofferto e tollerato per il corso di ben quaranta anni, e quanto tollero e soffro an- cora adesso. Quanti stenti, quante umiliazioni, quante opposizioni, quante persecuzioni per dare ad essi pane, casa, maestri e specialmente per procurare la salute delle loro anime. Ho fatto quanto ho saputo e potuto per coloro che formano l’affetto di tutta la mia vita”. “Non parlo di Lei!”. “Di chi, dunque? Di coloro che fanno le mie veci? Dei direttori, prefetti, maestri, assistenti? Non vedi come sono martiri dello studio e del lavoro? Come consumano i loro anni giovanili per coloro che ad essi affidò la Divina Provvidenza?”. “Vedo, conosco. Ma ciò non basta: ci manca il meglio”. “Che cosa manca dunque?”. “Che i giovani non solo siano amati, ma che essi stessi conoscano di essere amati”. “Ma non hanno gli occhi in fronte? Non hanno il lume dell’intelligenza? Non vedono che quanto si fa per essi è tutto per loro amore?”. “No, lo ripeto, ciò non basta”. “Che cosa ci vuole dunque?”. “Che essendo amati in quelle cose che loro piacciono, con il partecipare alle loro inclinazioni infantili, imparino a vedere l’amore in quelle cose che naturalmente loro piacciono poco; quali sono: la disciplina, lo studio, la mortificazione di se stessi; e queste cose imparino a fare con slancio ed amore”. “Spiègati meglio!”. “Osservi i giovani in ricreazione”. Osservai e quindi replicai: “E che cosa c’è di speciale da vedere?”.”Sono tanti anni che va educando giovani, e non capisce? Guardi me- glio! Dove sono i nostri Salesiani?”. Osservai e vidi che ben pochi preti e chierici si mescolavano tra i giovani e ancora più pochi prendevano parte ai loro divertimenti. I Superiori non erano più l’anima della ricreazione. La mag- gior parte di essi passeggiavano tra di loro parlando, senza badare che cosa facessero gli allievi. Altri guardavano la ricreazione non dandosi nessun pensiero dei giovani. Altri sorvegliavano così alla lontana chi commettesse qualche mancanza. Qualcuno, poi, avvertivano in atto minaccioso e ciò raramente. Vi era qualche Salesiano che avrebbe desiderato di intromettersi in qualche gruppo di giovani, ma vidi che questi giovani cercavano studiosamente di allontanarsi dai maestri e Supe- riori. Allora quel mio amico ripigliò: “Negli antichi tempi dell’Oratorio lei non stava sempre in mezzo ai giovani e specialmente in tempo della ricreazione? Si ricorda quei belli anni? Era un tri- pudio di Paradiso, un’epoca che ricordiamo sempre con amore, perché l’affetto era quello che ci serviva di regola, e noi per lei non avevamo segreti”. “Certamente! E allora tutto era gioia per me e nei giovani uno slancio per avvicinarsi a me, per volermi parlare, ed una viva ansia di udire i miei consigli e metterli in pratica. Ora, però, vedi come le udienze continue e gli affari moltiplicati e la mia sanità me lo impediscono”. “Va bene; ma se lei non può, perché i suoi Salesiani non si fanno suoi imitatori? Perché non in- siste, non esige che trattino i giovani come li trattava lei?”. “Io parlo, mi spolmono, ma purtroppo molti non si sentono più di fare le fatiche di una volta”. “E quindi, trascurando il meno, perdono il più, e questo ‘più’ sono le loro fatiche. Amino ciò che piace ai giovani e i giovani ameranno ciò che piace ai Superiori. E a questo modo sarà facile la loro fatica. La causa del presente cambiamento dell’Oratorio è che un numero di giovani non ha confidenza nei Superiori. Anticamente, i cuori erano tutti aperti ai Superiori, che i giovani amavano ed obbedivano prontamente. Ma ora i Superiori sono considerati come Superiori e non più come padri, fratelli, amici; quindi sono temuti e poco amati. Perciò se si vuole fare un cuor solo ed un’a- nima sola, per amore di Gesù bisogna che si rompa quella fatale barriera della diffidenza e sottentri a quella la confidenza cordiale. Quindi l’obbedienza guidi l’allievo come la madre guida il fanciul- lino. Allora regnerà nell’Oratorio la pace e l’allegrezza antica”. “Come fare, dunque, per rompere questa barriera?”. “Famigliarità con i giovani, specialmente in ricreazione. Senza famigliarità non si dimostra l’affetto e senza questa dimostrazione non vi può 95 essere confidenza. Chi vuole essere amato, bisogna che faccia vedere che ama. Gesù Cristo si fece piccolo coi piccoli e portò le nostre infermità. Ecco il maestro della famigliarità! Il maestro visto solo in cattedra è maestro e non più, ma se va in ricreazione coi giovani, diventa come fratello. Se uno è visto solo predicare dal pulpito, si dirà che fa né più né meno che il proprio dovere. Ma se dice una parola in ricreazione, è la parola di uno che ama. Quante conversioni non cagiona- rono alcune sue parole fatte risuonare all’improvviso all’orecchio di un giovane nel mentre che si divertiva! Chi sa di essere amato, ama, e chi è amato ottiene tutto, specialmente dai giovani. Questa confidenza mette una corrente elettrica fra i giovani ed i Superiori. I cuori si aprono e fanno cono- scere i loro bisogni e palesano i loro difetti. Questo amore fa sopportare ai Superiori le fatiche, le noie, le ingratitudini, i disturbi, le mancanze, le negligenze dei giovanetti. Gesù Cristo non spezzò la canna già fessa, né spense il lucignolo che fumigava. Ecco il vostro modello!. Allora non si vedrà più chi lavorerà per fine di vanagloria; chi punirà solamente per vendicare l’amor proprio offeso; chi si ritirerà dal campo della sorveglianza per gelosia di una temuta preponderanza altrui; chi mor- morerà degli altri volendo essere amato e stimato dai giovani, esclusi tutti gli altri Superiori, guada- gnando null’altro che disprezzo ed ipocrite moine; chi si lasci rubare il cuore da una creatura e per fare la corte a questa trascuri tutti gli altri giovanetti; chi per amore dei propri comodi tenga in non cale il dovere strettissimo della sorveglianza; chi per un vano rispetto umano si astenga dall’ammo- nire chi deve essere ammonito. Se ci sarà questo vero amore, non si cercherà altro che la gloria di Dio e la salute delle anime. Quando illanguidisce questo amore, allora è che le cose non vanno più bene. Perché si vuole sostituire alla carità la freddezza di un regolamento? Perché i Superiori si al- lontanano dall’osservanza di quelle regole di educazione che don Bosco ha loro dettate? Perché al sistema di prevenire con la vigilanza e amorosamente i disordini, si va sostituendo poco a poco il sistema, meno pesante più spiccio per chi comanda, di bandire leggi che se si sostengono sui ca- stighi, accendono odi e fruttano dispiaceri; se si trascura di farle osservare, fruttano disprezzo per i Superiori e causa di disordini gravissimi? E ciò accade necessariamente se manca la famigliarità. Se dunque si vuole che l’Oratorio ritorni all’antica felicità, si rimetta in vigore l’antico sistema: il Superiore sia tutto a tutti, pronto ad ascoltare sempre ogni dubbio o lamentanza dei giovani, tutto occhio per sorvegliare paternamente la loro condotta, tutto cuore per cercare il bene spirituale e temporale di coloro che la Provvidenza gli ha affidati. Allora i cuori non saranno più chiusi e non regneranno più certi segretumi che uccidono. Solo in caso di immoralità, i Superiori siano inesora- bili. É meglio correre pericolo di scacciare dalla casa un innocente, che ritenere uno scandaloso. Gli assistenti si facciano uno strettissimo dovere di coscienza di riferire ai Superiori tutte quelle cose le quali conoscano in qualunque modo essere offesa di Dio”. Allora io interrogai: “E quale è il mezzo precipuo perché trionfi simile famigliarità e simile amore e confidenza?”. “L’osservanza esatta delle regole della casa”. “E null’altro?”. “Il piatto mi- gliore in un pranzo è quello della buona cera”. Mentre così il mio antico allievo finiva di parlare ed io continuavo ad osservare con vivo di- spiacere quella ricreazione, poco a poco mi sentii oppresso da grande stanchezza che andava ognora crescendo. Questa oppressione giunse al punto che non potendo più resistere mi scossi e rinvenni. Mi trovai in piedi, vicino al letto. Le mie gambe erano così gonfie e mi facevano così male che non potevo più stare ritto. L’ora era tardissima, quindi me ne andai a letto risoluto di scrivere ai miei figlioli queste righe. Io desidero di non fare questi sogni che mi stancano troppo. Nel giorno seguente, mi sentivo rotto nella persona e non vedevo l’ora di riposare la sera seguente. Ma ecco, appena fui in letto, ri- cominciare il sogno. Avevo dinanzi il cortile, i giovani che ora sono all’Oratorio, e lo stesso allievo dell’Oratorio. Io presi ad interrogarlo: “Ciò che mi dicesti io lo farò sapere ai miei Salesiani; ma ai giovani dell’Oratorio che cosa debbo dire?”. Mi rispose: “Che essi riconoscano quanto i Superiori, i maestri, gli assistenti fatichino e studino per loro amore, poiché se non fosse per il loro bene non si assoggetterebbero a tanti sacrifici; che si ricordino essere l’umiltà la fonte di ogni tranquillità; che sappiano sopportare i difetti degli altri, poiché al mondo non si trova la perfezione, ma questa è solo in paradiso; che cessino dalle mormo- razioni, poiché queste raffreddano i cuori; e soprattutto che procurino di vivere nella santa grazia di Dio”. “E tu mi dici, dunque, che vi sono tra i miei giovani di quelli che non hanno la pace con Dio?”. “Quella è la prima causa del male umore, fra le altre che lei sa, alle quali deve porre rimedio, e 96 che non fa d’uopo che ora le dica. Infatti, non diffida se non chi ha segreti da custodire, se non chi teme che questi segreti vengano a conoscersi, perché sa che gliene tornerebbe vergogna e disgrazia. Nello stesso tempo, se il cuore, insofferente di obbedienza, si irrita per nulla, gli sembra che ogni cosa vada male, e perciò esso non ha amore, giudica che i Superiori non lo amino”. “Eppure, o caro amico, non vedi quanta frequenza di Confessioni e di Comunioni vi è nell’Ora- torio?”. “ É vero che grande è la frequenza delle Confessioni, ma ciò che manca radicalmente in tanti giovanetti che si confessano è la stabilità nei proponimenti. Si confessano, ma sempre le stesse mancanze, le stesse occasioni prossime, le stesse abitudini cattive, le stesse disobbedienze, le stesse trascuranze nei doveri. Così si va avanti per mesi e mesi, e anche per anni e taluni perfino così con- tinuano fino alla 5° ginnasiale. Sono confessioni che valgono poco o nulla; quindi non recano pace, e se un giovinetto fosse chiamato in quello stato al tribunale di Dio sarebbe un affare ben serio”. “E di costoro ve ne sono molti all’Oratorio?”. “Pochi, in confronto del gran numero di giovani che sono nella casa. Osservi “, e me li addi- tava. Io guardai e ad uno ad uno vidi quei giovani. Ma in questi pochi io vidi cose che hanno profon- damente amareggiato il mio cuore. Non voglio metterle sulla carta, ma quando sarò di ritorno vo- glio esporle a ciascuno cui si riferiscono. Qui vi dirò soltanto che è tempo di pregare e di prendere ferme risoluzioni; proporre non colle parole, ma con i fatti, e far vedere che i Comollo, i Savio Do- menico, i Besucco e i Saccardi vivono ancora tra noi. In ultimo, domandai a quel mio amico: “Hai null’altro da dirmi?” “Predichi a tutti, grandi e piccoli, che si ricordino sempre di Maria SS. Ausiliatrice. Che essa li ha qui radunati per condurli via dai pericoli del mondo, perché si amassero come fratelli, e perché dessero gloria a Dio e a lei colla loro buona condotta; che è la Madonna quella che loro provvede pane e mezzi di studiare con infinite grazie e portenti. Si ricordino che sono alla vigilia della festa della loro SS. Madre e coll’aiuto suo deve cadere quella barriera di diffidenza che il demonio ha sa- puto innalzare tra giovani e Superiori e della quale sa giovarsi per la rovina di certe anime”. “E ci riusciremo a togliere questa barriera?”. “Sì, certamente, purché grandi e piccoli siano pronti a soffrire qualche mortificazione per amore di Maria e mettano in pratica ciò che io ho detto”. Intanto, io continuavo a guardare i miei giovanetti, e allo spettacolo di coloro che vedevo av- viati verso l’eterna perdizione, sentii tale stretta al cuore che mi svegliai. Molte cose importantis- sime che io vidi desidererei ancora narrarvi, ma il tempo e le convenienze non me lo permettono. Concludo. Sapete che cosa desidera da voi questo povero vecchio, che per i suoi cari giovani ha consumata la vita? Niente altro fuorché, fatte le debite proporzioni, ritornino i giorni felici dell’Ora- torio primitivo. I giorni dell’affetto e della confidenza cristiana tra i giovani ed i Superiori: i giorni dello spirito di accondiscendenza e sopportazione per amore di Gesù Cristo, degli uni verso gli altri; i giorni della carità e della vera allegrezza per tutti. Ho bisogno che mi consoliate dandomi la speranza e la promessa che voi farete tutto ciò che desidero per il bene delle anime vostre. Voi non conoscete abbastanza quale fortuna sia la vostra di essere stati ricoverati nell’Oratorio. Innanzi a Dio vi pro- testo: Basta che un giovane entri un una casa Salesiana, perché la Vergine SS. lo prenda subito sotto la sua protezione speciale. Mettiamoci, dunque, subito sotto la sua protezione speciale. Mettiamoci, dunque, tutti d’accordo. La carità di quelli che comandano, la carità di quelli che devono obbedire faccia regnare fra di noi lo spirito di S. Francesco di Sales.O miei cari figlioli, si avvicina il tempo nel quale dovrò staccarmi da voi e partire per la mia eternità… Quindi io bramo di lasciare voi, o preti, o chierici, o giovani carissimi, per quella via del Signore nella quale esso stesso vi desidera. A questo fine, il Santo Padre, che io ho visto Venerdì 9 di maggio, vi manda di tutto cuore la sua benedizione. Il giorno della festa di Maria Ausiliatrice mi troverò con voi innanzi all’effigie della nostra amorosissima Madre. Voglio che questa grande festa si celebri con ogni solennità e Don Lazzero e Don Marchisio pensino a far sì che stiano allegri anche in refettorio. La festa di Maria Ausiliatrice deve essere il preludio della festa eterna che dobbiamo celebrare tutti insieme uniti un giorno in Paradiso. Vostro aff.mo in G. C. Sac. Gio. Bosco Roma, 10 maggio 1884 97 Bibliografia BRAIDO PIETRO, L’esperienza pedagogica di Don Bosco , LAS, Roma 1988. ID., Lettera di don Bosco da Roma del 10 maggio 1884 , LAS, Roma 1984. ID., Breve storia del “Sistema preventivo”, LAS, Roma 1993. ID. (a cura di), Don Bosco educatore. Scritti e testimonianze, seconda edizione accresciuta, LAS, Roma 1992. ID., Introduzione, in: BOSCO G., Il sistema preventivo nella educazione della gioventù, Introduzione e testi critici a cura di P. Braido, LAS, Roma 1985. NANNI CARLO, La scuola e Don Bosco: istanze educative di ieri e di oggi , in Selenotizie, Supple- mento a “Scuola viva” n. 9, SEI, ottobre 1995. PRELLEZO J.M., Il sistema preventivo riletto dai primi salesiani, in “Orientamenti Pedagogici” 36 (1989a), 40-61. ID., Valdocco (1866-1888). Problemi organizzativi e tensioni ideali nelle “conferenze” dei primi sa- lesiani, in “Ricerche Storiche Salesiane” 8 (1989b) 289-328. ID., S. Giovanni Bosco, in: Dizionario di pastorale giovanile, a cura di M. Midali e R. Tonelli, 1989c. ID., Valdocco nell’Ottocento tra reale e ideale (1866-1889). Documenti e testimonianze, LAS, Roma 1992. ID., Il sistema preventivo di Don Bosco: ieri e oggi , in Selenotizie = Supplemento a Scuola viva n. 9, SEI, ottobre 1995. STELLA PIETRO, Don Bosco , Il Mulino, Bologna 2001. 98 SECONDA LEZIONE IL CARISMA SALESIANO OGGI OBIETTIVI Al termine della lezione, il lettore sarà in grado di: ❏ conoscere alcuni criteri per interpretare il carisma salesiano oggi; ❏ analizzare criticamente il posizionamento della propria realtà di provenienza rispetto alle ca- ratteristiche principali del carisma salesiano; ❏ individuare alcuni tratti di un “carisma salesiano” desiderabile per l’oggi. ESERCITAZIONE DI APERTURA 1. Legga il testo che segue. Si tratta di un frammento della testimonianza scritta da un insegnante laico che ha operato per più di dieci anni all’interno di una scuola salesiana. Nei miei primi anni di scuola (una scuola salesiana) era ancora molto sentita l’esigenza di dare ai docenti laici, appena assunti, un’informazione generale sulla pedagogia salesiana e, in particolare, sul «sistema preventivo». Poi, nel tempo, quest’attenzione è andata scomparendo, salvo ritornare saltuariamente in occasione di momenti di maggiore contrasto, tra religiose e laici, all’interno del Collegio docenti. In quei casi c’era sempre chi pensava che il motivo di fondo fosse dovuto al fatto che i laici non capivano il senso del metodo educativo salesiano e che bisognasse dare loro una preparazione adeguata su questo punto e, più in generale, sulla «spiritualità sale- siana». Se mi chiedo, anche in questo caso, per quali ragioni è andata perduta, almeno nella mia scuola, l’attenzione alla formazione dei laici al metodo educativo salesiano, la spiegazione che ri- tengo più probabile è che non è stato per motivi di scarsa sensibilità al problema da parte delle suore; è accaduto perché nei fatti non se ne avvertiva il bisogno, data la scarsa necessità pratica di fare riferimento al «metodo preventivo». In altre parole: nella vita quotidiana della scuola, il ri- ferimento al «metodo preventivo» risultava di scarsa utilità, non se ne sentiva la necessità. La causa dell’inutilità del metodo educativo salesiano non sta, ovviamente, nella sua man- canza di valore, e nemmeno nella scarsa coerenza pedagogica che a volte si manifesta in chi do- vrebbe attuarlo per vocazione. L’inutilità appare evidente nel momento in cui non si cerca alcuna forma di sintesi e di integrazione tra i concetti fondamentali dell’educazione salesiana e le teorie pedagogiche contemporanee. Di conseguenza, almeno per i docenti laici, appare più interessante leggere qualcosa (o almeno vi sono maggiori opportunità di sentire parlare) di Piaget, Rogers, Bruner, Gardner, Morin, Bertin, del costruttivismo, del cognitivismo, di D. Milani (tanto per citare 99 qualche nome o qualche teoria), piuttosto che del trittico: «ragione, religione, amorevolezza», perché quest’ultimo, preso così com’è e senza alcun approccio interpretativo di tipo ermeneutico, appare lontano, superato, e quindi ben poco importante per un docente non salesiano. Un approfondito lavoro interpretativo sul sistema preventivo è certamente condotto a livello specialistico, ma ben difficilmente – per quanto ho sperimentato di persona – vi sono ricadute ai livelli più bassi e operativi (quando ci sono relazioni o conferenze sull’argomento, spesso sono a sfondo apologetico, moralistico o inutilmente esortativo; credo di non aver mai ascoltato una rela- zione in cui, accanto ai meriti, si sia parlato anche dei limiti della pedagogia salesiana e della ne- cessità di una sua reinterpretazione nel contesto dei problemi della scuola). Questa carenza di in- formazione, a mio parere, è insieme causa ed effetto di una triste realtà: nella scuola salesiana vive il principio, tacito, della “monocultura pedagogica”, che poi è ridotta, molto spesso, ad una sorta di «scolastica salesiana», fatta di un insieme di formule ripetitive e riferimenti standardiz- zati, senza alcuna mediazione e validi in ogni circostanza. Tra i riferimenti più usuali: «Noi dob- biamo essere tutto per i giovani!»; «Occorre amare ciò che i giovani amano!»; oppure vi è l’insi- stenza sullo «spirito di festa» o sullo «spirito di famiglia»; in quest’ultimo caso non viene mai il dubbio che possa accadere nella scuola salesiana quello che capita nelle normali famiglie: che il padre (= preside o direttore) sia a volte autoritario, oppure la madre (preside o direttrice) oppres- siva, oppure che entrambi i genitori non sappiano dialogare con i figli. In definitiva, sembra che la scuola cattolica salesiana sia «educativa» (= effetto) perché «salesiana» (=causa). A sua volta, che sia una scuola «salesiana» perché tutto ruota attorno alla figura di Don Bosco (a cominciare dalla sua festa, il 31 gennaio). Ci sarebbe da chiedersi: una scuola è salesiana perché, al posto della festa del santo patrono, festeggia Don Bosco, oppure perché nella festa del santo patrono (che è comune a tutte le scuole di quel territorio), nella scuola salesiana si prepara una festa dav- vero bella, partecipata, gioiosa e ricca di significato? Se nei fatti non serve, verrebbe da pensare che l’insistenza sul «metodo preventivo» risponda ad altre due esigenze di fondo: - essere un segno di riconoscimento e di appartenenza per i salesiani (religiosi e religiose), in assenza del quale si sentirebbero senza argomentazioni pedagogiche di fronte ai laici, quando non addirittura senza identità nei riguardi di se stessi; - svolgere la funzione di collante ideologico nei confronti dei docenti laici, a cui è chiesto di assumere senza discussione tali principi nella loro pratica di lavoro. Sarebbe interessante, a questo punto, riflettere sul rapporto tra mondo salesiano e postmo- dernità. Quest’ultima si caratterizza, tra gli altri aspetti, per la presa di coscienza della fine dei grandi miti o grandi “racconti”, verso i quali l’età moderna guardava con fiducia: il mito della ragione, del soggetto, della scienza, del progresso tecnico, della liberazione politica attraverso la lotta rivoluzionaria, dello sviluppo inarrestabile della storia, ecc. Al posto della fiducia nei con- fronti di queste “narrazioni”, considerate non più credibili dopo gli orrori del ‘900, è subentrata la sfiducia nei confronti dei macro-saperi, dell’uomo, della storia, della felicità, della religione, ecc… Si potrebbe ipotizzare che per il mondo salesiano (e quindi per la scuola salesiana) l’av- vento dell’età postmoderna significhi la fine di quel «grande racconto» che è l’onnipotenza educa- tiva del «metodo preventivo» e la messa in discussione della «naturale» capacità dei salesiani di stare con i giovani. 2. Provi a rispondere alle seguenti domande: - In base alla sua esperienza, ha l’impressione che anche nella realtà in cui lei opera il riferimento al “metodo preventivo” nasconda il rischio di una sorta di “monocultura pedagogica”? - Se sì, quali aspetti la caratterizzano? (Provi ad indicarli riportando gli slogan ricorrenti) 100 CHE FARCENE DEL CARISMA? L’idea di fondo di tutto il percorso che proponiamo è che la valenza educativa di un Centro di formazione professionale debba passare essenzialmente attraverso i processi formativi che vengono attivati e attraverso il dialogo diretto tra formatori e formandi, e non tanto attraverso iniziative o momenti ad hoc, giustapposti (o so- vrapposti) al normale andamento del Centro di formazione, senza una reale inci- denza nei processi educativi e didattici che si realizzano in aula o in laboratorio. Talvolta, infatti, c’è il rischio di far consistere la specificità salesiana e la ca- ratterizzazione carismatica del Centro di formazione in una serie di iniziative stac- cate dal resto, semplicemente giustapposte: “buongiorno”, ritiri, celebrazioni, feste…, con la conseguenza di far pensare che la questione del carisma riguardi solo i salesiani e sia, in realtà, un debito da pagare al fatto che ci muoviamo all’in- terno di in una istituzione salesiana. COSA PUÒ SIGNIFICARE “CARISMA SALESIANO” OGGI? Lo sguardo all’esperienza pedagogica di don Bosco e dei suoi primi collabora- tori, che abbiamo avuto modo di attivare nella lezione precedente, ci sollecita a considerare il sistema educativo salesiano come un sistema sempre aperto ad “inte- grazioni e sviluppi” e dunque come un metodo educativo che va continuamente reinterpretato alla luce della situazione reale dei giovani e delle esigenze dei nuovi contesti culturali. “Intercultura” pedagogica Il tessuto pedagogico che dovrebbe sostenere la prassi educativa, formativa e didattica in un CFP salesiano, dovrebbe essere pensato come una realtà «com- plessa», ossia dovrebbe essere il risultato dell’intreccio di molteplici apporti teo- rici, provenienti sia dal mondo salesiano, sia dall’esterno. Se è vero, come è vero, che la pratica della formazione si fa sempre più diffi- cile e delicata, altrettanto vero è che non la si può affrontare in termini semplici- stici e, quindi, inadeguati. Da qui l’idea di una sorta di “intercultura pedagogica”, quale fondamento della preparazione educativa e didattica di quanti operano nei centri di formazione professionale, religiosi e laici. Significa realizzare, nel patri- monio pedagogico dei formatori, un’integrazione progressiva tra diversi contributi di natura teorica, anche molto lontani tra loro, allo scopo di attrezzarsi concettual- mente nel modo più completo ed efficace. È questo il primo modo di essere “fedeli” a don Bosco, il cui pensiero pedago- gico nasce come frutto di una sintesi originale di idee e di pratiche educative, in parte precedenti e in parte a lui contemporanee. Basti pensare all’influenza dell’at- tività educativa di S. Filippo Neri (circa il valore del gioco e della festa), di S. Carlo Borromeo (circa il valore dell’insegnamento e della scuola), di S. Francesco 101 di Sales (per quanto riguarda l’amorevolezza); oppure ai rapporti di don Bosco con altri educatori suoi contemporanei, tra questi F. Aporti (sul concetto di preventi- vità), A. Rosmini e L. Murialdo. Il “sistema preventivo” come “meta-modello” Il ruolo del «metodo preventivo», e più in generale dei principi fondamentali dell’educazione salesiana, dovrebbe essere quello di disegnare l’orizzonte conosci- tivo dell’educazione, ponendosi ad un livello «meta-modello», cioè al un livello che permette di accostare ed integrare altre teorie pedagogiche correnti nel dibat- tito contemporaneo. Per fare solo un esempio: • il principio di educare secondo “ ragione” può essere assunto come criterio di analisi di tutto ciò che riguarda le motivazioni psicologiche e culturali; op- pure come termine di riferimento per ripensare i molteplici fattori che inci- dono realisticamente sul buon esito dell’azione formativa; • il principio di educare alla “ religione” può essere assunto in relazione al problema delle finalità educative, ossia della ricerca radicale della felicità e del senso del vivere, da cui si pongono le premesse per un’apertura anche alla dimensione religiosa dell’esistenza; • il principio di educare con “ amorevolezza” può essere utile per ripensare la consistenza dei quei contributi teorici che puntano a valorizzare la qualità e l’autenticità della relazione comunicativa ed affettiva e dei processi relazionali tra formatori ed formandi. L’esito finale di una simile operazione dovrebbe essere quello di avere a disposizione, come scuola e come singolo docente, un patrimonio concettuale composito, in cui due fattori appaiano evidenti e tra loro complementari: • il riferimento all’oggi, ossia al meglio della riflessione contemporanea, per sua natura variegato e molteplice; • l’aggancio al pensiero e alla tradizione salesiana, che funge da perno fisso, da cui procedere in modo ordinato. La scommessa sull’educativo Un Centro di formazione è «salesiano», non perché tutto ruota attorno a don Bosco, ma perché è fortemente «educativo», ed è tale non solo nella pratica quoti- diana, ma anche nella capacità teorica di ripensare continuamente l’educazione e la formazione. Un Centro di formazione professionale è tale perché ha un’anima edu- cativa, non viceversa! Dunque, non è per i ritiri, i buongiorno o per le celebrazioni che il CFP salesiano è “salesiano”, ma è salesiano in quanto è un buon CFP, un CFP in cui si sta bene, in cui si apprende con gusto, in cui ogni elemento dell’ambiente educativo è curato ed ha il suo senso. Paradossalmente, si potrebbe affermare che un CFP salesiano “sano”, ossia capace di funzionare al meglio della sua capacità educa- tiva, non avrebbe bisogno, per realizzarsi, di momenti espressamente etichettabili 102 come «salesiani»: gli basterebbe essere una «CFP» veramente tale. Al contrario, un CFP è “malato” quando in esso tutto gira intorno ai momenti religiosi, in particolare ai momenti della tradizione salesiana, segno evidente che non sa affrontare la realtà della formazione, incarnata nell’oggi; in questo senso, c’è il rischio di colmare con gli ‘aromi’ della salesianità la scarsa qualità del ‘cibo’ che vorrebbe propinare agli allievi. Un CFP salesiano sano ed autentico non ha bisogno di queste coperture, perché realizza appieno la propria dimensione «salesiana» nel suo essere «CFP». L’apertura del sistema La tradizione salesiana porta anche ad essere attenti alla dimensione organiz- zativa e strutturale in cui avviene la formazione: l’ambiente stesso (e dunque l’or- ganizzazione) assume valenza educativa. Questo significa orientarsi a costruire dei CFP che sappiano essere organizzazioni a sistema aperto, il che ha innanzitutto a che fare con i modi di pensare e solo dopo con i modi di organizzare e di proget- tare. L’apertura del sistema richiede comunque: attenzione ai cambiamenti (nella società e nel mondo del lavoro); apertura al territorio; alto grado di flessibilità, in relazione alla possibilità di una continua riformulazione delle iniziative, sotto la spinta degli elementi di novità o di complessificazione della realtà; sperimenta- zione continua. L’apertura porta a ripensare tutti gli elementi dell’organizzazione: obiettivi, struttura, cultura, leadership… Tra carisma dichiarato e carisma praticato Il carisma salesiano caratterizza l’identità istituzionale di un CFP salesiano. In un tempo in cui ci si accorge che l’impianto tecnico avanzato non è più sufficiente per garantire i risultati formativi e che il mondo del lavoro richiede competenze quali la competenza relazionale, l’affidabilità, la responsabilità,… che toccano anche la dimensione etica, il bagaglio della tradizione salesiana, col suo carico di valori, può diventare una risorsa non indifferente. Il carisma e la tradizione educativa salesiana, lungi dall’essere relegati al ruolo di elementi ornamentali, aiutando a caratterizzare l’impegno formativo, possono diventare un importante elemento di qualità del centro di formazione. Anche le aziende, in questo tempo, stanno riscoprendo l’importanza di rifarsi a dei valori condivisi. I valori e i principi educativi della tradizione salesiana, assunti con fedeltà creativa, possono informare la mission dell’ente di formazione e diventare l’anima di tutti i processi che si attivano. Spesso si crea una certa dialettica tra i principi ispiratori dichiarati e quelli praticati. La distanza che, nella pratica, si riscontra tra il livello ideale e quello reale non va risolta troppo in fretta, può essere infatti un fattore di vitalità che spinge ad tendere sempre di più all’ideale. Nelle carte dei servizi, nelle presentazioni dell’ente, spesso anche nei docu- menti di progettazione vengono riportate le caratteristiche principali della mission 103 a cui, come ente, ci si sente chiamati. L’esercitazione che segue invita a fare una ri- cognizione di alcune di queste presentazioni per poter valutare in che misura la mission dichiarata si traduce in operatività e può essere effettivamente rintracciata, almeno come tensione ideale, nei concreti processi messi in atto nella propria realtà di provenienza. EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE Esercizio n. 1 Ci sono numerosi siti salesiani, forse esiste anche un apposito sito nel quali l’Ente in cui Lei è inserito/a si presenta. Provi ad aprire il sito del suo Ente o il sito della sede nazionale del CNOS-FAP. Individui nel sito la mission dichiarata. Provi a riflettere sulla sua esperienza e cerchi di indicare: - quali aspetti della mission dichiarata Le sembra di riuscire a rintracciare nel Centro in cui Lei opera? - quali Le sembra possano essere gli indicatori? - in che misura e per quali aspetti, secondo Lei, questi elementi si richiamano alla tradizione salesiana?. Se non riuscisse a rintracciare un documento nel quale sia riportata la mission dell’Ente in cui Lei lavora, può orientare il confronto a partire dalla seguente formulazione della mission di un ente salesiano: Un Centro educativo - scolastico o professionale - salesiano si riconosce per alcune ca- ratteristiche proprie: - è efficiente e qualificato , perché intende offrire una proposta che va oltre la pura istru- zione, favorisce l’interazione educativa con i giovani, perché siano orientati verso il loro progetto di vita; - è ispirato ai valori evangelici, perché offre una proposta di crescita nella fede, con una chiara identità cattolica, ma al tempo stesso con una proposta educativa pastorale aperta ai valori plurireligiosi e pluriculturali; - è portatore dello spirito e pedagogia salesiana, per animare i giovani nello stile orato- riano, creando con loro una famiglia, in cui vige la personalizzazione dei rapporti e si assume l’intera vita dei giovani; - svolge un’importante funzione sociale, attraverso la formazione sociale e professionale dei giovani, l’interazione con l’ambiente, lo stile di vicinanza e solidarietà che pro- pone e i modelli culturali alternativi che promuove; - si caratterizza per la sua collocazione tipicamente popolare, aperta a tutti i ceti sociali e in particolare ai giovani più bisognosi. Esercizio n. 2 Al termine della lettura e degli approfondimenti che ha avuto modo di fare, è in grado di definire a parole Sue i tratti essenziali del “carisma educativo salesiano” e come, a suo parere, andrebbe vissuto oggi? 104 TERZA LEZIONE I/LE COLLABORATORI/TRICI LAICI/CHE COME “DONO” PER IL CARISMA OBIETTIVI Al termine della lezione, il lettore sarà in grado di: ❏ descrivere ed analizzare situazioni problematiche nel rapporto tra laici e religiosi nel con- testo di un cfp salesiano; ❏ riconoscere le radici culturali di tali problematiche; ❏ individuare piste di miglioramento del rapporto; ❏ percepirsi come “dono” per il carisma salesiano. ESERCITAZIONE DI APERTURA Cerchi di riflettere sulla sua esperienza e sul rapporto che ha avuto modo di instaurare con i salesiani che operano nel Centro professionale in cui Lei lavora. 1. Provi ad individuare una serie di situazioni problematiche che più frequente- mente si presentano nell’esperienza di rapporto tra religiosi e laici nel contesto dell’opera salesiana in cui Lei è inserito/a e riportarle nella scheda A 2. Esamini ora l’elenco redatto e lo riordini, eliminando le sovrapposizioni e sce- gliendo tre situazioni problematiche ritenute particolarmente significative. Ri- porti i casi scelti nella prima colonna della scheda B. 3. Analizzare i casi selezionati utilizzando la seconda colonna per descriverli con precisione nei loro elementi concreti (aspetti fattuali). 105 DA UN CARISMA DETENUTO COME POSSESSO SICURO AD UN CARISMA DA FAR CRESCERE E DA CONDIVIDERE Per carisma possiamo intendere la motivazione profonda che ha spinto il fonda- tore a dare origine alla sua opera (‘spiritualità’) e la missione a cui l’opera è orientata. L’essere costituiti come fedeli custodi ed autentici interpreti del carisma ha spinto spesso i religiosi (anche i salesiani) a ritenere che il carisma fosse una sorta di proprietà privata dell’istituto, un patrimonio da conservare, se non addirittura un “deposito sacro”, inviolabile. L’istanza di fedeltà alle fonti (secondo il motto: “don Bosco voleva così”) bloccava perciò ogni istanza di cambiamento e portava non di rado a ripetere o applicare materialmente nel presente le scelte del fondatore o della fondatrice, pensate e realizzate come risposta concreta alle esigenze degli uo- mini e delle donne di un tempo passato. La nuova comprensione del carisma, maturata soprattutto in seguito al Con- cilio, ha cominciato innanzitutto a fare i conti con la storia. Questo ha permesso di Scheda A Elenco delle situazioni problematiche N° Situazioni problematiche Scheda B N° Situazioni problematiche scelte Elementi di fatto con/in cui si presentano 106 comprendere che la fedeltà al carisma, per essere davvero tale, doveva essere una fedeltà creativa, cioè capace di analizzare ed interpretare i lineamenti originari del carisma, collocandoli nel contesto storico e culturale in cui erano stati realizzati, per poterli ripensare, approfondire e riformulare in modo adeguato all’attuale, mu- tato contesto. C’è infatti un rapporto di continua interazione tra il carisma e la realtà in cui esso si innesta: il carisma cresce e si arricchisce, nella misura in cui viene comunicato e condiviso. Esso poi porta dentro una dinamica creativa, capace anche di far cambiare e reinventare le strutture e le presenze. Anzi, è proprio questo dinamismo l’indice della vitalità di un carisma. La nuova ecclesiologia di comunione ha inoltre fatto scoprire che il carisma non è da considerare un possesso esclusivo, ma un dono rivolto a tutta la Chiesa e al mondo, che richiama una serie di responsabilità e compiti che sono propri di tutti i cristiani e di tutti coloro che si sentono chiamati in causa. È come dire che, per sua natura, il carisma è aperto alla comunione e non può essere utilizzato per separare. Inoltre, il religioso è tenuto a donare il suo carisma ma anche ad imparare a ricevere il carisma di cui sono portatori gli altri. La parola ricorrente non è l’e- sclusiva, ma il ‘con’: l’incontro, la condivisione, la collaborazione tra i vari sog- getti. Proprio nel dialogo e nel rapporto con gli altri ogni carisma può arricchirsi e contribuire a far crescere la comunione. Questa nuova prospettiva, assodata dal punto di vista teorico, fatica non poco a prendere piede, a passare dalle teoria alla pratica e a tradursi in modalità nuove, più partecipate, di organizzare opere e servizi. L’enfasi posta sulla comunità religiosa come “nucleo animatore” dell’opera e custode del carisma può nascondere una certa idea di superiorità e una considerazione dei laici unicamente come oggetto di cura pastorale, anziché come eguali e compartecipi nella condivisione del carisma e nella missione, oppure come portatori di un carisma loro, proprio ed originale, che va ac- colto e che può far crescere anche il carisma dell’Istituto. Inoltre, è ancora forte il ri- schio di una concentrazione quasi esclusiva sul proprio carisma, senza una visione complessiva – e complessa – della molteplicità dei carismi, solo a partire dalla quale lo specifico acquista significato. Il rischio, allora, è che, anziché riconoscere la par- zialità della propria esperienza religiosa, questa stessa parzialità “interpreti, relati- vizzi, metta anche sotto giudizio quegli altri valori: e quindi ciò che non rientra in un ‘carisma’ e nelle sue ‘ripetitive’ interpretazioni non gode di peso e attenzione”. Del resto il passaggio indicato disegna un vero e proprio cambiamento cultu- rale non semplice a cui sono stimolati innanzitutto i religiosi, ma riguardo al quale anche i laici possono dare un contributo essenziale: le varie componenti di un’o- pera sono infatti chiamate a co-evolvere e il cambiamento degli uni influenza il cambiamento degli altri. IL CAMBIAMENTO CULTURALE Il passaggio culturale sopra delineato, potrebbe essere configurato come un cambio di paradigma, il cui segnale può essere individuato in un certo disagio che i religiosi provano nel cambiare la comprensione di sé e del contesto in cui sono 107 inseriti, nell’adottare modalità diverse per pensare se stessi e il proprio ambiente (e dunque anche il rapporto con i laici). Questo ci fa ipotizzare che il nodo della crisi sia prevalentemente di carattere conoscitivo e culturale. Ad essere in crisi sono in- nanzitutto i modi con i quali la comunità religiosa pensa se stessa, cioè riflette sulla sua identità, sulle sue finalità e la sua organizzazione interna (in breve, sul ca- risma), sul modo con cui essa guarda ai problemi che sono presenti in essa o che sono posti dal suo rapportarsi con i laici e con la società. Percepire questi sviluppi è importante anche per dei formatori laici che si ap- prestano ad operare all’interno di un’opera gestita da religiosi. Possiamo infatti individuare la radice di molte tensioni tra religiosi e laici a li- vello di dotazione culturale di una data comunità, intendendo con ciò “...gli schemi di rappresentazione, i codici per l’interpretazione degli accadimenti comuni, le abi- lità e competenze che sono state sviluppate con l’esperienza e gelosamente custo- dite nella comunità che le ha prodotte, ...le abitudini e tutto ciò che per brevità viene chiamato cultura organizzativa”. Infatti, nonostante i cambiamenti avvenuti sul versante dell’ecclesiologia, il coinvolgimento dei laici all’interno delle opere è ancora oggi più spesso sopportato che voluto; i tentativi di affidare spazi di autentica partecipazione ai laici si sono risolti spesso in operazioni di cosmesi istituzionale, ovvero più apparenti che reali. C’è stata sì un’evoluzione semantica: da “ausiliari” a “collaboratori” a “correspon- sabili” a “cogestori”, ma spesso non sono cambiati i modelli di fondo e il punto di riferimento del rapporto dei religiosi con i laici non sembra essere una rinnovata comprensione ecclesiologica, ma rimane l’opera, così come essa si è sviluppata, e le sue esigenze, quasi che i laici siano chiamati semplicemente a coprire i vuoti la- sciati dai religiosi, a rimpiazzare, come truppe ausiliarie, le forze venute progressi- vamente meno. Non c’è stato cioè un ripensamento complessivo che coinvolgesse anche la comunità religiosa, che spesso anzi ha mantenuto immutati l’imposta- zione e l’assetto precedenti, perché sostanzialmente immutati sono rimasti i mo- delli attraverso cui essa ha continuato a pensare se stessa. Ma se il problema è di natura culturale, è in questa direzione che dovranno es- sere ricercate anche le soluzioni. In questo tempo, i laici sono chiamati a contri- buire al cambiamento culturale delle comunità religiose (in questo senso sono “dono”) . Si tratta infatti di liberarsi da mappe cognitive consolidate che rendono “naturale” determinate rappresentazioni e certi modi di pensare, di vivere, di agire, di organizzarsi, e spingono a fidarsi un po’ troppo delle proprie abitudini mentali, di quanto è dato per scontato, del “come si è sempre fatto”. E non sono solo i religiosi chiamati a questa ridefinizione di se stessi. Come i religiosi si vedono e si pensano dipende anche da come sono “vissuti” e “pensati” dai laici con cui collaborano. La collaborazione con i laici può allora “cambiare la vita” della comunità religiosa. Ma è anche vero che l’interazione con la comunità religiosa può “cambiare la vita” dei laici collaboratori… Riusciranno i salesiani e i nuovi formatori laici a cogliere il senso e il valore di una tale sfida? 108 RAPPORTO TRA RELIGIOSI E COLLABORATORI LAICI: DUE MODELLI Il cambio di paradigma di cui si parlava sopra è il passaggio da un modello chiuso ed autoreferenziale di pensare l’opera e la comunità religiosa ad un modello aperto e complesso. Qui sotto riportiamo alcuni tratti che il rapporto tra religiosi e laici assume all’interno dei due modelli. Allo stato puro non esiste alcuno di questi due modelli. Normalmente ci muoviamo “tra” i modelli. Modello chiuso I laici sono considerati, per definizione, carenti di formazione salesiana e mancanti di carisma dal momento che tale carisma viene pensato come strettamente legato alla vita salesiana (sin- tomo di questo è la scelta preferenziale di assu- mere laici che siano exallievi/e o, meglio ancora associati, perché solo questa caratterizzazione garantirebbe, almeno in teoria, una lacuna cari- smatica meno profonda). I laici devono “apprendere” il carisma dai reli- giosi che ne detengono l’esclusiva. Prevale il rimpianto per i tempi in cui il perso- nale dell’opera era prevalentemente composto di religiosi. Secondo diversi religiosi, all’interno di questo modello, i collaboratori laici dovrebbero essere oggetto di formazione al pari dei ragazzi. Il do- cente laico deve essere educato perché carente, in tutto o in parte, di una preparazione pedagogica salesiana. I religiosi sentono molto poco l’esigenza dell’ag- giornamento (principio dell’autosufficienza pe- dagogica). Nell’inconscio dei religiosi alberga l’idea che vi sia una sorta di colpa oscura (un peccato origi- nale) dei laici, che è quella di non essere reli- giosi. Per questo motivo il “buon laico” è quello che si conforma ad essere come un religioso. Modello aperto Il formatore laico, in quanto credente, è titolare di un proprio carisma, ossia di una specifica ca- pacità di essere, di pensare e di fare educazione, secondo i modi che egli considera più veri ed ef- ficaci. Il carisma va appreso sia dai laici che dai reli- giosi. Si tratta infatti di un apprendimento orga- nizzativo (il carisma passa dentro la cultura orga- nizzativa, va appreso come si apprendono le pro- cedure da seguire per eseguire una mansione), un apprendimento comune che restituisce il carisma alla chiesa. Si coglie l’opportunità di una integrazione di di- versità. Il formatore laico ha già in sé la propria capacità di educare, e chiede solo di poterla far emergere e sviluppare. La formazione deve essere pensata su un piano di pari dignità tra docenti laici, dotati del proprio carisma, e docenti religiosi, portatori anch’essi di un carisma educativo che, per loro vocazione, confluisce nel più ampio carisma salesiano. Tutti, religiosi e laici, sentono l’esigenza di un aggior- namento sulle correnti fondamentali della peda- gogia o della psicologia contemporanea. Qual- siasi momento di formazione degli uni ha valore anche per gli altri, anche perché si favorisce l’at- tuarsi di uno scambio reciproco di conoscenze. Viene valorizzato il contributo specifico che il laico porta con la sua vocazione di laico. 109 Esercizio n. 1 Provi a ritornare sulla tabella che descrive le modalità secondo cui si confi- gura il rapporto tra religiosi e laici nei due modelli. Osservando la sua realtà, quali di queste modalità ritrova più frequentemente? Esercizio n. 2 Forse “i problemi” non sono i problemi ma il modo in cui noi guardiamo i problemi stessi. Essi potrebbero infatti essere visti come ostacoli insormontabili o come stimoli all’azione e dunque come opportunità. Provi a ritornare sull’esercitazione di apertura, riporti nella scheda sottostante le tre situazioni problematiche scelte nella scheda B e cerchi di descrivere l’oppor- tunità che affrontare tale problema aprirebbe. EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE Affrontare il problema... ci permetterebbe di... Esercizio n. 3 Legga attentamente la tabella sotto riportata, che è la sintesi di un lavoro fatto da un gruppo di religiosi e laici, nell’ambito di un’esperienza formativa. Provi ad aggiungere, se lo desidera, alcuni altri elementi che completino la ta- bella e rispecchino il Suo punto di vista. 110 Bibliografia FASANO CARLO, Un’esperienza riuscita. Religiosi e laici insieme, Ancora, Milano 2002. POLI GIAN FRANCO, Osare la svolta. Collaborazione tra religiosi e laici a servizio del Regno, Ancora, Milano 2000. TACCONI GIUSEPPE, Alla ricerca di nuove identità. Formazione e organizzazione nelle comunità reli- giose di vita apostolica attiva, LDC, Torino 2001. LA PRESENZA DEI LAICI AIUTA I RELIGIOSI A… ➢ crescere in ecclesialità ➢ essere se stessi ➢ ridefinire identità e ruolo ➢ mettere a fuoco il significato dei voti ➢ cogliere l’opportunità che il laico offre per leggere e interpretare in modo sempre nuovo il metodo preventivo (ogni formatore laico, infatti, in virtù del suo carisma, può essere nelle condizioni di intuire o mettere in atto qualcosa del metodo preventivo che fino a quel mo- mento forse non era stato né intuito né pensato) ➢ comprendere che il/la collaboratore/trice laico/a rappresenta un “dono” per l’opera salesiana ➢ acquisire maggior senso di chiesa ➢ far crescere continuamente il carisma, adeguandolo ai cambiamenti ➢ lasciarsi provocare e stimolare ➢ superare la mentalità di casta ➢ prendere coscienza dell’inadeguatezza della propria formazione e cultura (la formazione co- mune accende dinamismi) ➢ assumere dignità professionale e a maturare competenze specifiche ➢ essere stimolati alla generosità (anche oltre il contratto di lavoro) LA PRESENZA DEI RELIGIOSI AIUTA I LAICI A… ➢ cogliere la profondità insondabile che è presente nel carisma e nella spiritualità di don Bosco (che si radica in una vera e propria esperienza religiosa dell’amore educativo di Dio per l’uomo) ➢ accostare delle biografie viventi del carisma ➢ creare rapporti personali autentici, condivisione di storie ➢ cogliere la prospettiva “altra” del religioso come arricchimento ➢ contare su un’istanza di verifica rispetto agli indirizzi comuni ➢ incontrare persone che vivono con coraggio la propria scelta di vita religiosa (e non solo il proprio essere professionisti) ➢ sentirsi comunità educativa ………………………………………………………………………………….................................. ………………………………………………………………………………….................................. ………………………………………………………………………………….................................. ………………………………………………………………………………….................................. ………………………………………………………………………………….................................. ………………………………………………………………………………….................................. ………………………………………………………………………………….................................. ………………………………………………………………………………….................................. ………………………………………………………………………………….................................. 111 AREA TEMATICA 2 I VISSUTI EMOTIVI DEI FORMATORI E DEGLI UTENTI NELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE CHE CAMBIA RICCARDO TUGGIA Modulo 1: LE DIFESE PERSONALI DI FRONTE AL CAMBIAMENTO E ALLE RESPONSABILITÀ Gli uomini non sono disturbati tanto dalle cose, quanto da come essi le vedono. Epitteto L’ingresso in un’agenzia formativa coinvolge tutta la persona; prima ancora di capire ciò che avviene o ciò che si deve fare, si sperimentano emozioni, aspetta- tive, speranze… Un nuovo formatore spesso subisce questo arcipelago di senti- menti e reagisce in diversi modi. Nella presente area affronteremo il punto di vista emotivo di allievi e docenti, con particolare riferimento alle difficoltà che spesso si incontrano nel delicato equilibrio tra ciò che sono le nostre mansioni e quello che invece tutti i protagonisti, nonostante tutto, provano. In questo modulo ci occuperemo in particolare di tutti quei meccanismi che si attivano quando una persona si inserisce in nuovo ruolo… Di fronte all’imprevisto e a ciò che non è completamente sotto controllo qualcosa ci spinge a reagire, a fug- gire, a simulare… Prendere coscienza dei nostri vissuti è un passo fondamentale verso la conoscenza di noi stessi, dei nostri ragazzi, della nostra azione formativa. 113 PRIMA LEZIONE SOLITUDINE E GLOBALIZZAZIONE OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ rendersi consapevoli del ruolo essenziale dei vissuti emotivi; ❏ comprenderne la struttura; ❏ abilitarsi ad una lettura causale dei fenomeni e dei comportamenti. In una società postmoderna, spesso l’educazione risulta neutrale rispetto ai contenuti. Tutte le opzioni sono plausibili e, nel mercato delle cose, come in quello delle idee, sono le emozioni il veicolo primario di una valutazione qualitativa delle proposte. Da un certo punto di vista, tale impostazione risulta sicuramente ridut- tiva, tuttavia essa richiama il grande bisogno di felicità (forse anche di armonia?) presente nel cuore dell’uomo contemporaneo. Dopo secoli di educazione intellet- tuale e morale, perché non riscoprire in modo più profondo ed autentico la vita emotiva? Anche dal punto di vista dei formatori, il CFP sembra essere retto da un para- digma anafettivo: il lavoro non deve “contaminarsi” con i propri affetti, con le pro- prie emozioni; il docente assume spesso il ruolo di stanco ripetitore o di burocrate preoccupato dei registri e dei programmi, con l’esito nefasto di uno svuotamento totale dell’azione didattica e con la parallela paralisi del fecondo, e di socratica memoria, dialogo tra anime. Una società complessa ha bisogno di uomini e donne capaci di empatia, abili- tati a sopportare costruttivamente le frustrazioni, tesi a un superamento dialettico e dialogico dei conflitti. Mai come in un orizzonte di postmodernità le qualità perso- nali di assertività e prosocialità si presentano come un vero investimento per il fu- turo, come un’ulteriore possibilità di domanda e di ricerca di senso. Quanto bisogno di ascolto e di comprensione chiedono alla formazione anche le famiglie: il colloquio con i genitori si sta trasformando, indipendentemente dalla nostra volontà, in una richiesta di aiuto, di orientamento, di conferma. C’è la velata e non consapevole ricerca per i propri ragazzi di un’esperienza educativa che non si realizzi solo in un profitto, ma che dilati lo spazio vitale ad altre dimensioni per- sonali e sociali. Tutto questo però coglie impreparati ed insofferenti gli educatori 114 che interpretano come un plus di lavoro tale opportunità comunicativa; d’altro canto, proprio gli incontri con i genitori pongono in seria discussione l’efficacia formativa della nostra azione complessiva. Vogliamo pertanto conoscere con maggiore incisività e puntualità alcuni con- cetti basilari della psicologia delle emozioni. Le seguenti note sono liberamente tratta da CASTELFRANCHI C., MICELI M., Le difese della mente, NIS, Roma 1995. LA MENTE La mente è un apparato di regolazione finalistica del comportamento di un si- stema sulla base di rappresentazioni. Ogni nostro comportamento pertanto è forte- mente connesso con il nostro modo di rappresentarci gli eventi e le persone, con le nostre aspettative e con le nostre “sensazioni a pelle”. CATEGORIE BASILARI DELL’ATTIVITÀ Le azioni sono regolate da scopi e sono attivate ed eseguite sulla base di una rappresentazione del loro esito e in funzione di esso. Il comportamento quindi, da un certo punto di vista, è sempre motivato e risponde al nostro universo conosci- tivo e al nostro orientamento nel contesto. Talvolta però ciò che ci capita o ciò che recepiamo dall’ambiente ci preoccupa, mette in discussione quello che siamo e il disagio che deriva da tale scacco ci allerta e ci preoccupa. I MECCANISMI DI DIFESA I meccanismi di difesa sono strategie mentali implicanti un’alterazione delle rappresentazioni dell’individuo, strumentali allo scopo di evitare o di ridurre la sofferenza psichica; i meccanismi di difesa difendono dalla sofferenza psichica causata da una dissonanza nel rapporto tra credenze (conoscenze) e scopi. Da che cosa difendono i meccanismi di difesa? I meccanismi di difesa difendono le rappresentazioni dell’io, incluse quelle che l’io ha di sé, per evitare all’io la sofferenza. I meccanismi di difesa più comuni sono : La rimozione É un processo inconsapevole e automatico che espelle o tiene fuori dalla con- sapevolezza una rappresentazione, un’assunzione di significato, percepite come fonte di sofferenza. Un problema, una difficoltà, un sentimento vengono inconsa- pevolmente rimossi, cioè dimenticati; tale processo avviene nell’individuo ma tal- volta l’intera organizzazione dimentica qualcosa di davvero importante. 115 La scotomizzazione È lo spostamento dell’attenzione, per ragioni difensive, cioè per evitare soffe- renza psichica. Scotomizzazione è un termine che deriva dall’oculistica e denota una diminuzione del campo visivo; in senso più generale, significa la volontà, non sempre consapevole, di non vedere tutta la realtà o di accettarne solo quella parte che più ci soddisfa o ci fa comodo. La negazione È un processo che permette il ritiro dell’attenzione da stimoli esterni e stimoli interni perché psicologicamente dolorosi. È senz’altro uno dei processi più fre- quenti: l’individuo o l’organizzazione negano l’esistenza di difficoltà, problemi, incomprensioni, portando, a loro favore, infinite giustificazioni e razionalizzazioni. Spesso, è uno dei motivi principali per cui, nelle comunità educanti, non si riesce mai a discutere ciò che divide e piuttosto si propende per infinite autocelebrazioni o per sterili affermazioni di intenti. La formazione reattiva È un meccanismo mentale che opera al di fuori e al di là della coscienza, me- diante il quale si manifestano atteggiamenti esteriori che sono opposti a quelli con- sciamente disconosciuti. Chi non riconosce in certi atteggiamenti esteriori dei col- leghi o dei ragazzi un’intenzione evidentemente opposta? È un meccanismo di di- fesa che pertanto rende difficile la trasparenza e la chiarezza nella comunicazione interpersonale. L’autenticità nella relazione è orizzonte da perseguire ad ogni costo, anche quando essa può minacciare le nostre certezze e le nostre precomprensioni. La compensazione È un meccanismo mentale che opera al di là e fuori della coscienza, mediante il quale l’individuo cerca di controbilanciare le proprie carenze. Con una banale battuta, potremmo liquidare la questione con l’esempio della persona bassa che usa tacchi altissimi per riequilibrare la propria immagine o con l’insicuro che ostenta un’esagerata sicurezza nel linguaggio ripetendo con insistenza le locuzioni “chia- ramente” o “logicamente”, ma, al di là di ciò, tale processo è visibile in molti com- portamenti nostri e altrui. Esso segnala però anche una volontà, seppur camuffata, di superare i propri limiti e di potersi così presentare agli altri nel modo migliore. La proiezione È un tipo di comportamento nel quale l’individuo attribuisce ad altri le proprie pulsioni, i propri desideri; tale meccanismo sembra avere il fine di distogliere l’io da una realtà sgradevole e di evitare il dispiacere, spostando sull’altro quei pro- cessi che potrebbero procurargli pena. Lo spostamento sugli altri di ciò che noi proviamo o crediamo è molto frequente; saper riconoscere tale nostra azione signi- fica accettare le nostre responsabilità e le difficoltà come luoghi ed occasioni di apprendimento e non solo come ostacoli alla nostra realizzazione. 116 LE EMOZIONI È in corso un interessante dibattito sulle emozioni: qualcuno si è entusiasmato troppo e pensa che siano l’essenza dell’educazione, qualcuno crede che psicoso- ciologi attentino all’autenticità del vissuto. Le emozioni non sono tutto, ma creano una certa aria che si respira. La profondità di ognuno di noi si abilita ad incontrare drammi, difficoltà, domande... ma le risposte non sono già scritte e questo mette in difficoltà qualche formatore. Quello che si chiede è il superamento di un pensiero semplice, di risposte rituali, di slogan che lasciano il tempo che trovano... La fatica di stare con questi ragazzi non è il segno di una imperfezione... ma la radicale op- zione per le sfumature, per le ambiguità e i sogni che ci costituiscono. Le emozioni hanno un’intenzione, vertono su qualcosa; hanno un oggetto e un destinatario, sono rivolte cioè verso qualcuno. Possono essere “positive” o “nega- tive”, cioè soggettivamente piacevoli o spiacevoli. Possono riguardare il raggiungi- mento degli scopi o la loro frustrazione. I costituenti elementari fondamentali delle emozioni sono: - le credenze - le valutazioni - gli scopi Le credenze Le credenze sono le nostre conoscenze, le nostre convinzioni basate soprat- tutto sull’esperienza passata; sono la parte cognitiva, mentale, dei nostri atteggia- menti. Esse li costituiscono ma hanno a che fare anche con dimensioni affettivo- emotive e con i comportamenti. Cambiare atteggiamento significa pertanto cam- biare uno o più di queste componenti. Le credenze possono essere: - di attivazione - di attribuzione - di categorizzazione Le credenze di attivazione attivano emozioni a partire da rappresentazioni di tipo proposizionale o di tipo percettivo motorio; dipendono in larga misura da no- stre risposte immediate, epidermiche, ed ovviamente risentono della nostra reatti- vità, più o meno pronta e realista. Le credenze di attribuzione causale dipendono da come noi ci spieghiamo gli eventi, dalle cause che ascriviamo ad essi; un formatore che attribuisce sempre agli utenti ogni responsabilità avrà credenze piuttosto schierate e poco realistiche, attri- buendosi magari i meriti e scaricando le colpe. Le credenze di categorizzazione dipendono in larga misura dalla nostra ten- denza a classificare, ad inserire le persone e i fatti all’interno di categorie definite; il soggetto interpreta, riconosce il proprio stato d’animo con una certa emozione; è un processo normale della mente ma può alimentare rigidità, pregiudizi, conflitti. 117 Tutto questo significa che noi pensiamo non solo in riferimento ai nostri valori ma anche alla nostra specifica modalità di affrontare la realtà, di spiegarcela, e di vivere in maniera sufficientemente realistica le emozioni che talvolta ci sovra- stano. Non siamo tutti di un pezzo, come crediamo, siamo complessi, articolati e in continuo movimento (speriamo). Anche i nostri ragazzi sono così! Gli scopi Il rapporto tra emozioni e scopi è complesso; le emozioni si traducono esse stesse in scopi, hanno il ruolo di monitorare il perseguimento e il raggiungimento degli scopi e attivano scopi. L’individuo può compiere o meno un’azione allo scopo di provare o no una certa emozione. • le emozioni sono spesso un rinforzo (più o meno positivo) ad adottare o ad evitare dati comportamentali; le emozioni quindi “sorvegliano gli scopi”; • le emozioni hanno anche il ruolo di segnalare all’individuo la compromissione e il raggiungimento degli scopi; • le emozioni “attivano gli scopi”; • gli scopi direttamente attivati da emozioni sono “irrazionali”, in quanto non c’è collegamento tra condizioni attivanti e scopo attivato. Insomma, le emozioni sono uno stato d’animo complicato e complesso. A volte l’individuo si deve difendere da: ➢ emozioni sgradevoli: l’individuo deve cercare di prevenire alcune emozioni negative che gli creano sofferenza e, quando le prova, deve cercare di non continuare a provarle; ➢ attivazione sgradita: l’individuo si può rifugiare o difendere da un’emozione perché non sopporta lo stato di “arousal” (tensione) che minaccia il nostro controllo sul corpo e ci mette paura; ➢ credenze inaccettabili: è la fase in cui si può evitare un’emozione perchè una delle sue credenze è do- lorosa; ➢ impulsi sgraditi: sono quegli impulsi che l’individuo non vuole accettare perchè creano soffe- renza e quindi vengono rifiutati a priori. L’eliminazione di un’emozione può essere attuata tramite: ➢ disattivazione: eliminare le credenze che hanno attivato l’emozione perchè questa possa ve- nire meno; ➢ reinterpretazione: se alcune credenze attivanti restano valide, allora si può reinterpretare l’emo- zione, attribuendola ad altre credenze; 118 ➢ ridirezione: è uno stato d’animo uguale che muta il suo destinatario e il suo oggetto; ➢ ansia è l’emozione per eccellenza; ha oggetti indefiniti, spesso sconosciuti; l’aspetto centrale di questa emozione è quello della minaccia indefinita, dell’incertezza e dell’attesa. Questionario di autovalutazione della propria competenza emozionale (Materiale A.I.PRE - Associazione Italiana di Psicologia Preventiva - di Roma) Il termine analfabetismo generalmente si riferisce al non saper leggere e scri- vere. Per analogia Steiner (1984) lo usa in relazione alla conoscenza delle emo- zioni. In ciascuno di noi è presente un certo grado di analfabetismo emozionale che in parte può essere eliminato con opportune esperienze di apprendimento. Esprimi un’autovalutazione su ciascuna delle seguenti dimensioni EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE CONSAPEVOLEZZA [1] [2] [3] [4] [5] [1] La persona non è consapevole delle proprie emozioni tranne quando sono molto intense [5] La persona è consapevole delle proprie emozioni anche quando sono poco intense DISCRIMINAZIONE [1] [2] [3] [4] [5] [1] La persona non sa distinguere le emozioni [5] La persona sa distinguere le emozioni ATTRIBUZIONE [1] [2] [3] [4] [5] [1] La persona non si rende conto di cosa abbia suscitato le proprie emozioni [5] La persona si rende conto di cosa abbia suscitato le proprie emozioni GESTIONE [1] [2] [3] [4] [5] [1] La persona non sa cosa fare quando viene colta dalle emozioni [5] La persona sa cosa fare quando viene colta dalle emozioni ESPRESSIONE [1] [2] [3] [4] [5] [1] La persona non sa comunicare le proprie emozioni [5] La persona sa comunicare le proprie emozioni in modo efficace e rispettoso SENSIBILITÀ EMOTIVA [1] [2] [3] [4] [5] [1] La persona non si accorge delle emozioni degli altri [5] La persona si accorge delle emozioni degli altri EMPATIA [1] [2] [3] [4] [5] [1] La persona non sa come rispondere alle emozioni degli altri [5] La persona sa come rispondere alle emozioni degli altri 119 Bibliografia AA.VV., Emozione e interpretazione, Bollati Boringhieri, Torino 1996. ARGYLE M., Psicologia della felicità, Cortina, Milano 1988. AMMANITI, DADDI, Affetti, Laterza, Roma-Bari 1991. CAMBI F., Mente e affetti nell’educazione contemporanea, Armando, Roma 1996. CONTINI M., Per una pedagogia delle emozioni, La Nuova Italia, Firenze 1992. D’URSO V., Imbarazzo, vergogna ed altri affanni, Cortina, Milano 1990. D’URSO V., Arrabbiarsi, Il Mulino, Bologna 2001. D’URSO V., TRENTIN R., Psicologia delle emozioni, Il Mulino, Bologna 1982. MOTTANA P., Formazione e affetti, Armando, Roma 1993 Per un approfondimento in rete sulla psicologia cognitiva, consulta i seguenti siti: http://www.psiconline.it/; http://www.opsonline.it/; http://www.apc.it/ 120 SECONDA LEZIONE LE DIFESE DEI FORMATORI OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ analizzare criticamente i vissuti emotivi dei formatori di fronte alle difficoltà. Il luogo di lavoro è un luogo di produttività e professionalità ma senz’altro ciò che noi proviamo rimane uno dei fattori più importanti e strategici del nostro e del- l’altrui benessere. La competenza di un educatore non si esaurisce pertanto nella conoscenza della disciplina, né nella meticolosità dell’adeguamento alle procedure, ma si realizza sempre nella creazione di un clima affettivo ed emotivo che provoca maggiore o minore permeabilità nei nostri comportamenti, atteggiamenti, modi di percepire le classi o i colleghi Il CFP è un luogo strutturato, ha le sue leggi, le sue risorse e i suoi limiti. Spesso il nuovo formatore può sentirsi a disagio, fuori posto, incapace o impo- tente. Altre volte si sente euforico e deciso ad affrontare ogni cosa. Superficialità o esagerata preoccupazione? Le difficoltà, i conflitti e le incomprensioni sono di casa in un luogo educativo e tutti hanno la piena consapevolezza che un luogo in cui si “sta bene” diviene condizione necessaria per un lavoro gratificante. Ognuno di noi ha le proprie strategie di affrontamento del disagio e le moda- lità di ogni professionista di reagire alle difficoltà contribuendo in maniera signifi- cativa a creare una cultura della prevenzione, della risoluzione dei conflitti, della opportunità di apprendere dai problemi emergenti. Ecco alcuni meccanismi di difesa che agiscono in noi, nei nostri colleghi, nella direzione: 121 ➢ “non pensare!”, ➢ ottimismo ad ogni costo, ➢ “non c’è nessun problema”, ➢ “…e se anche fosse…?”, ➢ pessimismo, ➢ “è un disastro…ma ormai…”, ➢ “via il dente, via il dolore”. Sono frasi ricorrenti che hanno lo scopo di farci diminuire l’ansia relativa ai problemi o alle difficoltà incontrate: non sono solo luoghi comuni, sono anche lo specchio di un pensiero che non cerca lo scontro – incontro con la realtà. Quali sono le emozioni e le principali difficoltà incontrate nel nostro lavoro ? Diamo un nome ai problemi e ai nostri sentimenti più profondi! Alcune modalità non corrette di affrontare il nostro disagio possono essere : ➢ Lo spostamento: l’individuo nega l’esistenza di un coinvolgimento personale in una dinamica o la attribuisce ad un oggetto o soggetto esterno (il direttore, quella classe, la retribuzione); ➢ le soluzioni magiche: è uno spostamento che si propone inoltre un evento che sventi la minaccia (qui necessita un ristrutturazione totale, occorre più forma- zione); ➢ vigilanza: il formatore si impegna a fare tutto ciò che è in suo potere per non avere poi nulla da rimproverarsi; ➢ disimpegno: un ridotto impiego di risorse al fine di non sentirsi coinvolto; ➢ invidia; ➢ senso di colpa; ➢ fuga; ➢ alibi strutturalista : la causa di ogni difficoltà viene attribuita alla struttura, al potere, all’organigramma, alla Regione, allo Stato…; ➢ la individuazione di un falso nemico (le famiglie, la concorrenza, i laici, i sale- siani). Una alfabetizzazione emotiva diventa essenziale in un ente di formazione che voglia attuare prevenzione e promozione della persona. Prevenire non significa quindi impedire che qualcosa accada, ma si traduce nei nostri giorni in un atteggiamento di apertura, di accoglienza incondizionata e di ascolto, tale da far in modo che ciascuno si senta libero di potersi esprimere, accet- tato non tanto nei suoi comportamenti più o meno discutibili, quanto nella sua ori- ginale intenzionalità. Il sistema preventivo di una comunità educante non coincide quindi solo con norme o comportamenti agiti, ma piuttosto trova la sua concretizzazione in quello “spirito di famiglia” che orienta alla chiarezza, alla trasparenza, all’autenticità. 122 Analizza (alla luce delle unità 1 e 2) qualche passato momento collegiale del tuo CFP - quali sentimenti e emozioni percepisci prevalentemente intorno a te? - quali sono le reazioni dei colleghi di fronte ad un problema emerso? - con quale termine potresti definire il clima che si percepisce all’interno del tuo luogo di lavoro? - con quale emozione principalmente i tuoi utenti svolgono le lezioni e i labora- tori? - che cosa ti dà maggiormente “fastidio” in un collega e perché? EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE sentimenti e emozioni prevalenti intorno a te le principali reazioni dei colleghi il clima del tuo CFP le emozioni degli utenti il collega più “difficile” Bibliografia AA.VV., Emozione e interpretazione, Bollati Boringhieri, Torino 1996. ARGYLE M., Psicologia della felicità, Cortina, Milano 1988. AMMANITI, DADDI, Affetti, Laterza, Roma-Bari 1991. CAMBI F., Mente e affetti nell’educazione contemporanea, Armando, Roma 1996. CONTINI M., Per una pedagogia delle emozioni, La Nuova Italia, Firenze 1992. D’URSO V., Imbarazzo, vergogna ed altri affanni, Cortina, Milano 1990. D’URSO V., Arrabbiarsi, Il Mulino, Bologna 2001. GORDON T., Insegnanti efficaci, Giunti, Firenze 1991. MOTTANA P., Formazione e affetti, Armando, Roma 1993. 123 TERZA LEZIONE LE DIFESE DEGLI UTENTI DELLA FP OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ analizzare criticamente i vissuti emotivi dei formatori di fronte alle difficoltà. Abbiamo già ampiamente parlato dei meccanismi di difesa come strategia di sopravvivenza rispetto al disagio, ai conflitti, ai problemi. Ovviamente anche gli utenti di un CFP non sono immuni da tali dinamiche. Chi è destinatario di un processo formativo può strutturalmente incontrare dif- ficoltà sulla sua strada e spesso, soprattutto per la giovane età e per l’inesperienza, non può o non riesce ad attuare modalità corrette e mature per diminuire la sua ansia o per risolvere costruttivamente un problema. Quali possono essere le dinamiche che scatenano vissuti emotivi di “difesa”, di fuga o di attacco in un contesto educativo? - gli eventi legati all’insuccesso, - lo stile educativo dei formatori (aggressivo o passivo…persecutorio), - le richieste dell’istituto, - le aspettative della famiglia, - la pressione e il conformismo del gruppo dei pari, - le proprie aspettative rispetto al futuro, i propri modelli sociali, - la percezione di avere sbagliato nella scelta del percorso e l’incapacità di pren- dere decisioni conseguenti. Conosciamo fin troppo bene la fenomenologia del disagio degli adolescenti in formazione… Ecco alcune tra le più tipiche reazioni: ➢ Ribellarsi, resistere, sfidare, ➢ Ritorsioni, vendette, ➢ Mentire, fare la spia, fare l’ipocrita, ➢ Incolpare gli altri, spettegolare, ➢ Imbrogliare, copiare, 124 ➢ Comandare, infierire sugli altri, ➢ Desiderio di vincere e odio per la sconfitta, ➢ Organizzarsi e ribellarsi, ➢ Sottomettersi, mostrarsi compiacenti e servili, ➢ Adeguarsi, non correre rischi inutili, ➢ Fantasticare. ➢ Rifiutare i rapporti con i compagni, fobie nei confronti della scuola, scappare da casa o da scuola, malattie psico-somatiche, marinare, inappetenza, depressione. Di fronte a tali comportamenti, spesso non si va al di là della descrizione, della denuncia o della sanzione; tali azioni sono inoltre causa di notevoli frustra- zioni nel formatore che vive con drammaticità o con impotenza questi effetti colla- terali del suo lavoro. Ora, premesso che il formatore non è uno psicologo, ci sembra tuttavia dove- roso risottolineare l’urgenza di una adeguata educazione emotiva, soprattutto in considerazione del fatto che solo attraverso l’adesione interiore, profonda,del ra- gazzo noi possiamo sperare in una sua efficace formazione. Come propone G.M. Bertin, è più che mai essenziale affiancare l’educazione attraverso i contenuti con la capacità di proporre all’adolescente un orizzonte molto più ampio ed integrale di crescita e di sviluppo. Con l’istruzione e la formazione professionale si può e si deve effettuare una “problematica sintesi tra momento egocentrico e momento eterocentrico” e cioè in- tegrare l’amore di sé con la capacità di uscire da sé, di mettersi nei panni degli altri o addirittura di prendersi cura. Un CFP potrà oggi essere conforme al carisma di preventività se saprà pro- muovere la direzione positiva dell’educazione affettiva attraverso, tra l’altro: ➢ la soppressione delle tendenze unilaterali, ➢ contro le forme esclusiviste e captative dell’affettività, ➢ induzione alla cordialità, l’entusiasmo verso gli altri e verso i valori, ➢ la incessante inquietudine nei confronti della verità, ➢ una inesausta vitalità, ➢ una tendenza all’azione come antidoto alla labilità, ai risentimenti, alla rigi- dità, all’insicurezza, alla sicurezza. La stessa attenzione all’educativo, così tipica delle case salesiane, potrà e dovrà concorrere, nei limiti di spazio, di tempo e di risorse ad attivare momenti che sollecitino: ➢ l’educazione alla sensibilità estetica, ➢ l’educazione al ludico come gratuito, avventuroso, lieve, relativo, disten- sivo...l’umorismo, ➢ l’educazione all’amore, ➢ l’educazione al sentimento religioso nella direzione dell’impegno etico – so- ciale. 125 Che tipo di ragazzo è Federico? (Materiale A.I.PRE - Associazione Italiana di Psicologia Preventiva - di Roma) Nella parte seguente troverai una breve descrizione del comportamento di Fe- derico. Leggi attentamente la descrizione e poi decidi che tipo di ragazzo è Fede- rico, utilizzando le dimensioni indicate. Federico entra in classe e si dirige subito al suo posto. Si siede, tira fuori dallo zainetto penne e quaderni e inizia a ripassare la lezione. I compagni lo invi- tano a giocare, ma si rifiuta dicendo che deve studiare. All’arrivo dell’insegnante Federico si alza, le sorride, quindi torna a sedersi. Secondo te, che tipo di ragazzo è Federico? Indica, per favore, la tua perce- zione di Federico in riferimento a ciascuna delle seguenti dimensioni, usando una scala da 1 a 5 punti. 1 2 3 4 5 FEDERICO è: Intelligente 1 2 3 4 5 Simpatico 1 2 3 4 5 Maturo 1 2 3 4 5 Timido 1 2 3 4 5 Di bell’aspetto 1 2 3 4 5 Studioso 1 2 3 4 5 Indipendente 1 2 3 4 5 Responsabile 1 2 3 4 5 Isolato 1 2 3 4 5 Effeminato 1 2 3 4 5 Educato 1 2 3 4 5 Di famiglia agiata 1 2 3 4 5 Grasso 1 2 3 4 5 Aggressivo 1 2 3 4 5 Ora, prova a sottoporre l’esercizio a qualche collega e confronta le loro ri- sposte con le tue. Le considerazioni che avrai modo di fare, confrontando le risposte, ti introdur- ranno alla lezione 1 del modulo successivo che affronterà il tema della percezione interpersonale. EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE 126 Bibliografia BERTIN G.M., CONTINI M., Costruire l’esistenza, Armando, Roma 1983. BLUM P., Sopravvivere nelle classi difficili, Erickson, Trento 2001. CAMBI F., Mente e affetti nell’educazione contemporanea, Armando, Roma 1996. CONTINI M., Per una pedagogia delle emozioni, La Nuova Italia, Firenze 1992. D’URSO V., Imbarazzo, vergogna ed altri affanni, Cortina, Milano 1990. D’URSO V., Arrabbiarsi, Il Mulino, Bologna 2001. GORDON T., Insegnanti efficaci, Giunti, Firenze 1991. MOTTANA P., Formazione e affetti, Armando, Roma 1993. 127 Modulo 2: IL FORMATORE TRA PASSIVITÀ ED EROISMO PROFESSIONALE. UNA LETTURA CRITICA RICCARDO TUGGIA Formatori non si nasce, si diventa. Spesso però abbiamo la sensazione che la nostra professionalità sia difficile e delicata e che nessuno ci abbia mai insegnato come e cosa fare. Le reazioni più tipiche di un formatore agli esordi sono senz’altro la passione, la dedizione e l’entusiasmo, ma anche contemporaneamente l’indecisione e la paura. In questo modulo ci occuperemo di noi, delle nostre incertezze e delle no- stre indecisioni. Tratteremo pertanto l’abc del formatore: come egli percepisce le altre persone, i suoi atteggiamenti verso l’autorità e l’organizzazione, i processi decisionali e le strategie di affrontamento (coping) dei piccoli e grandi problemi del suo lavoro. Successivamente, entreremo nel cuore dei problemi formativi: la gestione d’aula e la comunicazione interpersonale con gli utenti. 129 PRIMA LEZIONE LA PERCEZIONE INTERPERSONALE TRA PREGIUDIZIO E APPRENDIMENTO OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ conoscere i meccanismi della percezione interpersonale; ❏ superare una visione ingenua della conoscenza delle persone. La situazione formativa è, per definizione, incontro tra persone: l’aula, il labo- ratorio sono i luoghi in cui avvengono interazioni fondamentali, quelle relazioni che spesso segnano una vita. La psicologia sociale ci può aiutare a focalizzare i processi attraverso i quali avvengono tali incontri, al fine di essere più consapevoli dei rischi ma anche delle infinite potenzialità della relazione. Quali sono i processi e le problematiche coinvolte nella percezione delle persone? Per esemplificare, pensiamo ipoteticamente ad un formatore che entri in con- tatto con un nuovo corso, con utenti nuovi e a lui sconosciuti. Egli si guarderà in- torno, cercherà di percepire segnali, coglierà un certo clima, si proporrà di agire e reagire. Un utente chiacchiera, o si agita, pone domande strane o cerca di colpire la vostra attenzione a tutti i costi… Come saranno decodificati questi comportamenti? Il formatore valuterà il comportamento alla luce delle sue aspettative e delle sue precomprensioni ed emetterà implicitamente un giudizio, una prima impres- sione; compierà cioè un confronto rapido e non sempre corretto tra ciò che vede e ciò che conosce già. Gli elementi che entrano in tale categorizzazione sono: ❖ passate esperienze con altri utenti, ❖ dati ufficiali reperibili dalla segreteria del Centro su frequenza, titoli, ecc…, ❖ discussioni e conversazioni ufficiali con altri insegnanti sugli utenti, ❖ discussioni e conversazioni informali con altri insegnanti sugli utenti, ❖ visioni stereotipate degli utenti (sesso, età, provenienza sociale, curri- culum…), ❖ contesto attuale del corso, ❖ comportamento attuale degli utenti. 130 Tutti questi elementi andranno a costituire o a sviluppare un vero e proprio filtro valutativo del formatore, una specie di lente per vedere la realtà in un certo modo, un modello di rappresentazione della realtà. Queste prime impressioni sugli utenti genereranno, consapevolmente o incon- sapevolmente, delle aspettative su quell’utente e su quel corso che si tradurranno inevitabilmente in un comportamento specifico del formatore. È ovvio che, se il formatore non è elastico, flessibile, disposto a mettersi in discussione, c’è il grave pericolo di impostare una relazione educativa unicamente su una nostra sommaria valutazione degli utenti che si rinforzerà automaticamente, confermando quasi sempre le nostre aspettative. Riepilogando: Comportamento dell’utente Ø Categorizzazione …verso una prima impressione Ø Filtro valutativo Ø Aspettative e conferma delle ipotesi Ø Comportamento del formatore Quell’ipotetico formatore si comporterà pertanto con quell’utente o in quel corso in un determinato modo. Sarà proprio il suo comportamento manifesto ad essere percepito dagli utenti che procederanno nella loro valutazione di quella per- sona, tenendo conto tra l’altro di: ❖ comportamento del formatore, ❖ aspetti burocratici e strutturali del Centro, ❖ esperienza passata con quel formatore, ❖ esperienza passata con altri formatori, ❖ la percezione dei compagni relativamente a quel formatore, ❖ attitudini personali e risultati precedenti, ❖ aspettative della famiglia e degli amici in merito alla formazione… L’utente, analogamente a quanto descritto in precedenza per il formatore, av- vierà un processo che si concretizzerà nell’elaborazione dei seguenti elementi: 131 Quell’utente e quel formatore saranno pertanto ogni giorno ad un bivio: impo- stare la loro relazione sull’apprendimento, sulla scoperta reciproca e quindi sul ten- tativo di una vera comprensione, o chiudersi in un circolo perverso, in cui ciascuno semplicemente trova conferme ai propri pregiudizi. È questo il drammatico destino di ogni azione educativa e sono infiniti gli esempi, spesso tragici, di una comunica- zione repressiva, depressiva, colpevolizzante o indifferente. Proprio per questo, oggi come ieri, le aule possono diventare per tutti un inferno, generando disagio, drop out, risentimento, odio... La qualità di un formatore dipende più che mai oggi da competenze di perce- zione interpersonale aperta, consapevole e riflessiva, allo scopo sempre attuale di evitare che nei nostri centri ciascuno reciti passivamente un ruolo, un copione e che tale recita diventi sempre meno divertente. Analizza alcune categorie di formatori, così come appaiono dal punto di vista degli utenti. Traccia questi tre identikit: ❖ A quali categorie mi sento di appartenere soprattutto? ❖ Quali categorie sono descrittive di un ipotetico “buon formatore”? ❖ Quali invece descrivono il “pessimo formatore”? filtro valutativo dell’utente Ø prima impressione relativa a quel formatore Ø ulteriore processo di valutazione Ø aspettative formative e personali sul formatore Ø comportamento manifesto dell’utente con quel formatore EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE 132 Analizzando le tabelle riassuntive, prova a rispondere alle seguenti domande: - A quale competenza di base fanno riferimento le variabili segnalate (alla per- sonalità, alla preparazione, alla comunicazione, al metodo usato in aula o in laboratorio…)? - Perché ciò accade? - I formatori sono preparati a costruire queste competenze, sono stimolati dalla struttura o piuttosto ognuno deve fare da sé? ➢ Antipatico - simpatico ➢ Assillante ➢ Autoritario ➢ Bonario ➢ Coinvolgente ➢ Competente - incompetente ➢ Comprensivo ➢ Creativo ➢ Deluso ➢ Disponibile ➢ Esigente, pignolo ➢ Giovane - vecchio ➢ Giovanile - antiquato ➢ Imparziale - parziale ➢ Indifferente - interessato ➢ Isterico, irascibile ➢ Largo - stretto (nelle valutazioni) ➢ Logorroico ➢ Lunatico ➢ Maschilista - femminista ➢ Paziente ➢ Permissivo ➢ Preparato - impreparato ➢ Puntuale - ritardatario ➢ Serioso ➢ Severo ➢ Sincero ➢ Socievole ➢ Spiritoso ➢ Superficiale ➢ Svogliato, noioso ➢ Tiranno - democratico ➢ Vendicativo 1 Categorie che interpretano la mia professionalità 2 3 4 5 1 Le categorie del formatore ideale 2 3 4 5 1 Le categorie del “pessimo formatore” 2 3 4 5 133 Bibliografia BOSCOLO P., “Psicologia dell’apprendimento ”, UTET, Torino 1986. H EIDER F., Psicologia dei rapporti interpersonali, trad. it. Il Mulino, Bologna 1972. NASH R., Aspettative dell’insegnante e apprendimento dell’alunno, Giunti, Firenze 1983. ROGERS C., Psychology of schooling, Routledge and Keagan 1989. http://www.socialpsychology.org/ 134 SECONDA LEZIONE GLI ATTEGGIAMENTI VERSO L’AUTORITÀ E L’ORGANIZZAZIONE OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ percepire sentimenti e rappresentazioni del proprio CFP. Un CFP è un’organizzazione complessa. Il lavoro di formatori, da un lato, ci espone verso gli utenti, ma contemporaneamente ci spinge a fare i conti con le isti- tuzioni, le regole, l’autorità. Esiste una professionalità formativa che non nasconde anche una capacità di essere dipendenti; dipendenti non rassegnati, e non necessa- riamente polemici o distruttivi, ma persone capaci di interloquire con tutti e pronte a suggerire chiavi di lettura e soluzioni ai problemi. Il cuore del problema è l’autenticità dei rapporti, dei singoli e anche delle isti- tuzioni. L’autenticità è un’aria che si respira, un ricordo che non ti lascia per anni. Come nessun altro luogo, l’istruzione e la formazione sono i campi di battaglia pri- vilegiati per far apprezzare questo dono. Esistono la routine e le procedure, le valu- tazioni e i rituali, ma quello che resta è davvero l’autenticità. Una riflessione sui meccanismi di difesa non chiede perfezione, ma consapevolezza che fa crescere singoli ed istituzioni. In questa unità di lavoro ci occuperemo pertanto degli atteggiamenti e delle emozioni connesse al rapporto professionale tra direzione e dipendenti, al fine di renderci più consapevoli delle patologie comunicative, ma soprattutto delle poten- zialità insite in ciascuno di noi. GLI ATTEGGIAMENTI VERSO L’AUTORITÀ E L ’ORGANIZZAZIONE Più siamo dentro al CFP e più ne viviamo radicalmente anche i limiti, che pos- sono essere di tipo strutturale o di tipo interpersonale. Scorgere e riflettere su quegli elementi strutturali e personali che impediscono ogni cambiamento, diventa una competenza ormai irrinunciabile per ogni formatore. Riflettere sulle difese ci aiuta ad accettare una logica di cambiamento interiore (di conversione) e ad accet- tare il limite come costitutiva dimensione del formatore e dell’organizzazione in cui egli si inserisce. 135 LE DIFESE STRUTTURALI 1. Gli stili ❖ Paranoide: diffidenza e sfiducia nei confronti degli altri. ❖ Ossessivo: perfezionismo e preoccupazione per i dettagli insignificanti. ❖ Isterico: espressione eccessiva delle emozioni, per attrarre l’attenzione verso se stesso. ❖ Depressivo: sensi di colpa, inutilità e inadeguatezza. ❖ Schizoide: distacco, mancanza di coinvolgimento e tendenza a rinchiudersi. 2. Le fantasie dei dipendenti ❖ Attacco e fuga: c’è un nemico interno o esterno ed è necessario difendersi o fuggire. ❖ Dipendenza: c’è un desiderio di essere “nutriti” e protetti dal leader. ❖ Accoppiamento: c’è una persona o un’idea, ancora in gestazione, che libe- rerà il gruppo da inimicizia, distruzione e disperazione. 3. I rapporti del subordinato con il superiore ❖ Transfert idealizzante: l’idealizzazione è motivata dal fatto che alcuni indi- vidui si sentono perduti se non hanno qualcuno da ammirare. ❖ Transfert speculare: gli individui hanno bisogno di esibirsi per attirare l’at- tenzione positiva degli altri e dimostrano un interesse limitato per il mondo esterno, cui attribuiscono tutte le imperfezioni. ❖ Transfert persecutorio: questa forma è caratterizzata del bisogno di danneg- giare o attaccare l’altra persona come reazione difensiva ai propri senti- menti di persecuzione. 4. L’atteggiamento del superiore ❖ Il superiore riesce a legare il subordinato soffocandone la capacità di cre- scita professionale. ❖ Il superiore spinge il subordinato verso un ruolo di “vice” che compie per conto del capo missioni sensazionali. ❖ Il superiore manifesta un atteggiamento di ripudio, non dimostrando alcun interesse per i suoi collaboratori e non offrendo loro alcun supporto. ATTEGGIAMENTI DI DIPENDENZA COMPORTAMENTI paura di essere controllati remissività, arrendevolezza, vittimizzazione, impersonalità paura di essere manipolati coercizione, ricatto, invasività, razionalizzazione paura di essere strumentalizzati indifferenza, colpevolizzazione, sopportazione, pazienza 136 LE DIFESE INTERPERSONALI Esistono delle frasi comuni che spesso ci diciamo (o che sottacciamo) che evi- denziano più di qualsiasi ragionamento le difese che erigiamo tra noi e gli altri. • non • non essere • non essere te stesso • non essere un bambino • non crescere • non venire vicino • non pensare • non riuscire • non avere bisogni personali • non sentire • non essere saggio EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE Si analizzino i principali comportamenti di un dirigente che provocano spesso disagio, insofferenza, aggressività nei dipendenti. Si individuino pertanto, in ogni comportamento, le cause profonde che lo hanno generato, anche rivedendo il ruolo dei vissuti emotivi trattati nella lezione 1 del modulo 1 di questa stessa area tematica. I comportamenti negativi del dirigente Cause, sentimenti profondi, desideri del dirigente Bibliografia BALDINI, MORONI, ROTONDI, Nuovi alfabeti... linguaggi e percorsi per ripensare la formazione, Franco Angeli, Milano 1995. QUAGLINO, Psicodinamica della vita organizzativa, Cortina, Milano 1996. ROVEDA P., Il transfert nella pratica educativa, Vita e pensiero, Milano 1979. W AGNERA., Il manager transazionale, Franco Angeli, Milano 1988. 137 TERZA LEZIONE I COMPORTAMENTI DECISIONALI E LE STRATEGIE DI COPING OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ conoscere i meccanismi e i problemi connessi con i processi decisionali. “Noi conosciamo di più di quanto sappiamo dire” M. Polanyi LA DECISIONE Una competenza fondamentale per un formatore è quella di proporsi attiva- mente in ogni momento della sua azione educativa. In ogni momento egli è chia- mato a prendere posizione nei confronti della realtà, delle persone, delle scelte. Il processo fondamentale che anticipa ogni decisione o scelta è il giudizio: esso è la capacità di esprimere una valutazione il più possibile oggettiva su un in- sieme di dati che apparentemente possono anche essere scollegati o disomogenei. Il problema del giudizio e della decisione si realizza concretamente, ad esempio, in merito agli utenti, alle loro prestazione e ai loro atteggiamenti, alle scelte operative sui programmi e sui corsi, alle strategie da utilizzare con i colleghi e le istituzioni. Ogni giudizio può essere corretto o scorretto e ciò dipende dalla nostra capa- cità di utilizzare al meglio ogni fase necessaria alla formulazione del nostro giudi- care… ognuno di noi pertanto deve essere massimamente vigile: - nell’acquisizione delle informazioni, - nell’elaborazione dei dati, - nell’emissione del giudizio e nella comunicazione, - nel controllo delle proprie scelte. Ciascuna di queste fasi nasconde delle insidie, degli errori di valutazione ma anche ci consente di essere meno immediati ed ingenui di fronte alla nostra perce- zione del mondo. 138 MODELLI DI DECISIONE La decisione è senz’altro il momento più peculiare di ogni azione umana ma esistono diverse modalità per realizzarla; esponiamo brevemente le principali stra- tegie decisionali, evidenziandone le potenzialità e i limiti. Valore atteso e utilità attesa: l’impossibile previsione Questo modello presuppone il postulato logico che ogni decisione si basa su criteri di probabilità e di razionalità: il decisore pertanto non deve far altro che va- lutare gli elementi in gioco e prevedere in modo oggettivo la soluzione più plausi- bile. Tale modalità sottovaluta decisamente che, nel campo dell’educazione, ma forse anche della scienza stessa, le nostre capacità revisionali non possono mai te- nere sotto controllo variabili quali: - l’imprevisto e l’aleatorio, - gli errori di giudizio, - l’intenzionalità, spesso variabile, di ogni soggetto dell’azione, - i tempi lunghi e misteriosi di ogni vera educazione. Utilità soggettiva Questo modello si pone quasi agli antipodi rispetto al precedente, nella consi- derazione dei criteri di orientamento della decisone; in questo caso, infatti, si asso- lutizza la propria valutazione: la decisione si attua in funzione di quello che il sog- getto si aspetta dal punto di vista della sua utilità personale; la cosa migliore di- venta pertanto quella che più utile per me! Non c’è dubbio che tale euristica manifesti l’immaturità del decisore, la sua sottovalutazione della realtà… ma non certo è la strategia meno usata! La prospettiva rispetto alle consuetudini Questo modello mette in luce un fenomeno molto comune nei CFP, in un am- biente come quello salesiano così ricco di storia, tradizione, strutture. La decisione mi- gliore è quella che ripropone ciò che è gia stato scelto, ciò che da sempre costituisce una certezza, riproponendo spesso la questione di un certo immobilismo rispetto ad al- cune attività o rituali…; le frasi che spesso accompagnano questa visione della proget- tualità sono: “noi queste cose le facciamo già” o “noi le abbiamo sempre fatte”. La costruzione di scenari È il modello decisionale più arduo, ma anche quello che rispetta maggior- mente la complessità delle situazioni formative, oltre che la ricchezza e l’impreve- dibilità delle persone. In questo caso, si tratta di compiere un’analisi multifattoriale che ci permetta 139 di tenere conto contemporaneamente dei numerosi elementi in gioco; la decisione si realizza quindi solo valutando anticipatamente: - le immagini di sé, - le traiettorie, - le azioni e i progetti..., - la natura del compito, - la direzione, - la forza, - le resistenze e gli attriti. Indecisione, incertezza e rischio: la scelta mancata Un’attenta riflessione sulla decisone non può prescindere, in educazione, dalla difficoltà o spesso dall’impossibilità di realizzare sempre e comunque tale pro- cesso. Ogni formatore deve pertanto valutare anche l’altra faccia della medaglia e cioè tutte quelle dimensioni profonde, insite in ogni atto educativo, che vanificano o rendono precaria ogni decisione. Il punto esistenziale che qui è in gioco diviene la capacità sempre problematica e mai esaustiva di saper coniugare la prontezza e la gradualità, la decisone e l’attesa. Le principali modalità di scelta mancata, come ben conosciamo dalla nostra esperienza sul campo, sono: - il rifiuto di decidere, - il rinvio, - la disattenzione e l’ illusione di controllo, - passaggio di mano. Analogamente, siamo consapevoli che la decisione, per colui che agisce e per colui che la subisce, può articolarsi sempre in tempi e processualità diverse: - la decisione calcolata, - la decisione ardita, - la decisione crescente, - la decisione ritardata. Dimensioni esistenziali della decisione La decisione non è un atto puramente logico o esecutivo; coinvolge tutta la persona. Dobbiamo pertanto essere molto più attenti alle conseguenze dei nostri atti e più rispettosi delle infinite ricadute su noi stessi, sugli altri, sulle strutture. Ogni decisione infatti chiama all’attivazione di: - esigenze: desideri, bisogni, sogni, - disorientamento, - centramento su noi stessi, ripiegamento sofferto, - distanziamento, - interpretazione. 140 LE STRATEGIE DI COPING Il versante operativo del giudizio e delle decisioni si realizza nelle strategie di coping, cioè nelle modalità concrete di affrontare i problemi e la realtà. Queste strategie sono ovviamente di ogni individuo ma anche delle strutture dell’organiz- zazione. Le strategie di coping sono dunque delle modalità di risposta ai problemi; sono processi di azione che effettivamente ci spingono a non essere passivi di fronte alla realtà. Sono quindi degli anticorpi che dipendono dalla nostra espe- rienza e dalla nostra abitudine a decidere in prima persona. Ora, chi non ha anticorpi è senz’altro più esposto alle malattie; potremmo dire che senza strategie di coping siamo sguarniti e un po’ più deboli (una formazione che lasci solo nozioni e non abiliti a decidere e a prendersi responsabilità è quasi inutile). Esistono strategie di coping anche nelle difficoltà, anche quando non sap- piamo che pesci pigliare, quando non possiamo decidere per carenze di informa- zioni; esiste quindi anche una modalità attiva di stare fermi, di aspettare, di appren- dere dalla nostra debolezza e dall’ambiguità delle situazioni. Analizziamo brevemente e sinteticamente gli scenari di competenza che ci sono richiesti. Ci sono quattro fasi nell’analisi dei problemi organizzativi: 1. Fare un semplice elenco dei sintomi e dei problemi primari. 2. Fare congetture sulle sindromi, partendo dai sintomi, per scoprire le radici del problema. 3. Formulare un insieme di soluzioni alternative e scegliere quella che sembra in- dividuare meglio le radici della sindrome. 4. Sviluppare un piano esecutivo. Perché cambiare e come cambiare? ➢ l’analisi del già noto: un’accurata consapevolezza delle risorse e dei limiti è fondamentale per una lucida lettura della situazione; ➢ l’esplorazione dell’ignoto: esplorare strade possibili, valorizzare pareri disso- nanti, ascoltare persone anche esterne al sistema; ➢ l’investimento emozionale: più che mai necessario è valutare l’impatto emo- tivo del cambiamento (e delle resistenze): chi vuole cambiare? fino a che punto? ➢ desiderio e repressione: quale è il reale coinvolgimento degli attori? quanti colleghi restano solo spettatori? quali elementi ancora non detti vanno in una certa direzione? ➢ paura e promessa: un bilancio critico del rapporto tra costi e benefici (emotivi ovviamente, non solo economici); ➢ tempi e spazi del cambiamento: anche le più giuste idee o decisioni talvolta sono inattuali, impopolari, inattuabili immediatamente. 141 Le resistenze al cambiamento ➢ la memoria: ogni sistema ha una sua memoria che lo condiziona a fare i conti con il proprio passato, con la storia, il carisma fondativo…; un’inerzia vitale che rende ogni comunità più prudente e talvolta più statica; ➢ l’apprendimento e i riflessi condizionati: sono le resistenze delle tradizioni, delle procedure e delle ritualità, quando queste ultime siano ovviamente svuo- tate della loro originaria significatività; ➢ gli automatismi: ogni organizzazione complessa ha meccanismi così oliati da rendere molto difficile anche il più piccolo scostamento dalla ripetizione; ➢ la miopia temporale: è l’incapacità di valutare correttamente la differenza temporale dei processi formativi e gestionali, il passato e il presente: un para- gone sempre ostico e insidioso. L’impresa del cambiamento Ogni sistema tende a cambiare in qualche modo. Sempre più spesso oggi le re- sponsabilità sono diffuse, condivise, anche nella formazione. Un formatore si coinvolge direttamente in una prospettiva di corresponsabilità e di partecipazione quando percepisce o gli è riconosciuto: ➢ il sentimento della propria competenza personale, ➢ la significatività e la rilevanza della propria azione, ➢ la possibilità di scelta e di autodeterminazione, ➢ l’impatto della propria prestazione sull’esito. 142 Soprattutto in riferimento alle resistenze al cambiamento, si analizzi la situa- zione del proprio CFP. Quali sono gli attori che sentono più minaccioso tale processo? Quali sono le reazioni più comuni di fronte a persone che resistono? Esprimi in qualche immagine o metafora la percezione negativa del cambia- mento che alcuni colleghi possono avere? EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE GLI ATTORI CHE PONGONO RESISTENZE LE REAZIONI FONDAMENTALI DI FRONTE ALLE RESISTENZE IMMAGINI DI RESISTENZA Bibliografia ARCURI, J OB, RONCATO, Studi sulla rappresentazione delle conoscenze, Unicopli, Milano 1985. RUMIATI, Giudizio e decisione, Il Mulino, Bologna 1990. QUAGLINO, Psicodinamica della vita organizzativa, Cortina, Milano 1996. BALDINI, MORONI, ROTONDI, Nuovi alfabeti... linguaggi e percorsi per ripensare la formazione, Franco Angeli, Milano 1995. THOMAE , Conflitto, decisione e responsabilità, Città Nuova, Roma 1978. SPALTRO, PISCITELLI, Psicologia per le organizzazioni, NIS, Roma 1995. CASTELFRANCHI , MICELI, Le difese della mente, NIS, Roma 1995. 143 Modulo 3: LA GESTIONE DEI CONFLITTI “Due ragazzi litigano per un’arancia. Alla fine si met- tono d’accordo e dividono il frutto a metà. A questo punto la ragazza mangia la polpa e getta la buccia, il ragazzo prende la buccia per farne una torta e getta il resto. Chiarendo gli obiettivi e “inventando una soluzione” sarebbe stato possibile un esito ottimale del conflitto: a lei tutta la polpa, a lui tutta la buccia”. (Fisher, Ury, Patton) La competenza di un formatore non può prescindere dalla sua capacità di: in- dividuare problemi, risolvere conflitti, convivere con i conflitti piccoli e grandi che ogni professione ed ogni interazione sociale presenta, apprendere dall’esperienza passata. Come abbiamo già visto nel primo modulo la difficoltà ci spaventa, ma con- temporaneamente ci costituisce. 145 PRIMA LEZIONE CONFLITTI E FRUSTRAZIONI OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ conoscere e convivere costruttivamente con il disagio e con il conflitto interiore Il conflitto nasce dalla contemporanea presenza di elementi cognitivi che ren- dono difficile una scelta. Il conflitto, pertanto, lascia il soggetto in una situazione di disagio interiore che può motivarlo a cambiare o, al contrario, indurre in lui dei meccanismi di difesa: tale sensazione di difficoltà si chiama “frustrazione da con- flitto”. Esistono altre forme di frustrazione: quando essa dipende da uno spostamento nel tempo della soddisfazione di un nostro bisogno si chiama “frustrazione da dila- zione”, se invece essa è determinata da un blocco totale dei nostri obiettivi essa si dice “frustrazione da impedimento”. Ogni frustrazione crea quindi una difficoltà interiore che potrà essere affron- tata in diversi modi. I processi che legano la frustrazione ai tentativi di ridurla sono strettamente connessi con i processi motivazionali e accomunano formatori e utenti. REAZIONI POSITIVE ALLA FRUSTRAZIONE: Sostituzione dei fini: la persona, consapevole della insorta difficoltà, ne prende atto e cerca di riorganizzare i propri obiettivi: è quindi una vera e propria azione di ri-orientamento, funzionale ad una visione più realistica delle proprie possibilità e dei propri limiti. Intensificazione dello sforzo: è senz’altro la reazione tipica delle persone molto motivate; il soggetto percepisce il suo insuccesso come determinato da un non ottimale impegno e vi pone immediatamente rimedio con ulteriore grinta e spinta propositiva. 146 Apprendimento e innovazione: l’individuo razionale e consapevole, impara dai propri errori e ristruttura cognitivamente tutta la realtà, vedendola da diversi punti di vista: è una reazione piuttosto rara e preziosa e mette in luce personalità creative e flessibili. REAZIONI NEGATIVE ALLA FRUSTRAZIONE: Fantasie compensatorie: in una certa misura, rifugiarsi nella fantasticheria è fisiologico, ma complessivamente essa è una modalità piuttosto infantile ed impro- duttiva di affrontare il disagio psicologico derivante da una frustrazione. Fuga o evitamento: fuggire fisicamente o psicologicamente da una situazione spiacevole è una delle più comuni strategie tra i meccanismi di difesa; evitare per- sone o situazioni che ci ricollegano al problema in discussione non fa che spostare nel tempo la sua emersione alla coscienza e quindi la sua risoluzione. Ansia: l’ansia è un disagio diffuso, generalizzato e stabile, di cui spesso non si percepisce la causa: genera un profondo malessere, ci spinge ad una percezione pessimistica e ad una stasi nell’azione. Aggressività: l’aggressività è una risposta di danneggiamento psicologico o fisico di una persona ritenuta da noi causa (reale o anche immaginaria) della fru- strazione subita: essa generalmente è un’azione “primitiva” e immediata che allon- tana dalla risoluzione del conflitto e che genera negli altri risentimento, odio e ul- teriore aggressività nei nostri confronti e nel contesto di lavoro. La frustrazione comunque:  rimanda ad un bisogno non soddisfatto,  ci costituisce nella nostra dinamicità e nella nostra adattabilità all’ambiente,  ci permette di valutare in modo più realistico le nostre scelte,  ci ricorda che non c’e nulla di più doloroso che non essere riconosciuti per quello che si è (e non solo per quello che si fa). Le dinamiche conflittuali però non sono solo intrapsichiche, non avvengono solo all’interno del soggetto, a causa di idee contrastanti o obiettivi inconciliabili, ma si riferiscono anche alle relazioni interpersonali. È nostra esperienza quoti- diana, infatti, percepire o essere attori in prima persona di conflitti con altri indi- vidui, con altri gruppi, con l’autorità. Nelle unità successive ci chiederemo come e quando nasce un conflitto e quali sono le principali modalità di reagire ad esso. 147 ELENCA le principali frustrazioni di: ➢ un formatore, ➢ un utente, ➢ un genitore, ➢ un dirigente. Quali sono le principali FONTI o AGENTI che le inducono? EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE Bibliografia ARIELLI, SCOTTO, I conflitti, introduzione a una teoria generale, Mondadori, Milano 1998. http://www .soc.uniroma1.it/psoc/ricer ca/ar ee/mininni.htm http://www .soc.uniroma1.it/psoc/ricer ca/ar ee/zuccher .htm http://www .soc.uniroma1.it/psoc/ricer ca/ar ee/degrada2.htm ATTORE LE FRUSTRAZIONI CAUSE formatore utente genitore dirigente 148 SECONDA LEZIONE L’ESCALATION DEI CONFLITTI OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ riconoscere e prevenire l’escalation di un conflitto. I conflitti ci costituiscono come persone e come persone in relazione. Esiste una pratica non detta in molte nostre strutture, tendente a negare o a rimuovere ogni divergenza od ogni difficoltà. Ma il conflitto è fonte di apprendimento se non si entra nella spirale dell’escalation, se non si reagisce con supponenza e ottusità di fronte a ciò che diverge, a ciò che sembra minacciare l’esistente o la nostra iden- tità. Sapremo essere davvero educatori salesiani se sapremo leggere con occhi aperti e veri le provocazioni e le sconfitte, le diversità e le interrogazioni viventi che sono i nostri ragazzi. Riconoscere un conflitto significa mettere in atto delle strategie di negoziazione. E i conflitti non dipendono sempre dagli altri! ESCALATION DEI CONFLITTI Come nasce un conflitto? La mobilitazione Un conflitto, spesso latente, può improvvisamente emergere; i fattori che de- terminano tale coscienza sono i seguenti: - i bisogni personali: costituiscono la fondamentale essenza della scoperta di un conflitto; siamo più consapevoli quando ciò che ci interessa viene messo in discussione; - i bisogni diventano quindi centrali nell’analisi del problema; - ciascuno sente di dovere e poter contare di più in una questione che lo coin- volge. 149 L’escalation È il movimento e l’evoluzione progressiva di un conflitto: ❖ aumentano i bisogni personali coinvolti ❖ aumentano le questioni messe in gioco, le energie spese, le parti coinvolte ❖ aumentano le dinamiche di scontro: è impossibile sapere chi ha cominciato ❖ si riduce la complessità cognitiva: l’argomento dello scontro diventa ora l’a- zione della controparte percepita come colpevole ❖ le buone intenzioni altrui vengono negate ❖ anticipazione pessimistica sul futuro e profezia che si autoavvera ❖ intrappolamento: rischiare sempre di più o perdere Gli stadi di Glasl Irrigidimento: è il primo passo verso l’escalazione del conflitto: le parti si irrigi- discono sul piano psicologico degli atteggiamenti e della percezione interpersonale. Dibattito e polarizzazione: il dibattito si fa serrato e duro, si assiste ad una po- larizzazione delle questioni, oltre che ad una netta separazione pregiudiziale fra amici e nemici, fra giusto ed ingiusto, fra “noi” e “loro”, negando in maniera miope ogni sfumatura di opinione o di posizione. La tattica del fatto compiuto e l’abbandono della parola: il dialogo viene per- cepito già come impossibile, se non addirittura inutile; le parti abbandonano la pa- rola esplicita e si rifugiano in recriminazioni, risentimenti…; il non detto prende il posto dello scontro. Preoccupazione per l’immagine e ricerca degli alleati: si avverte la necessità si coalizzare consenso intorno alle proprie posizioni; ci si preoccupa pertanto di avere alleati “di peso” sia nell’autorità, sia soprattutto nell’opinione comune. La perdita della faccia: si attivano barriere comunicative; si attuano vere e proprie strategie di evitamento del dialogo e di disturbo nell’ascolto. La strategia della minaccia: nell’evoluzione progressiva dell’escalation, si at- tuano vere e proprie minaccie e ritorsioni nei confronti della controparte. Distruzione limitata, il sabotaggio: laddove le minacce si realizzano si ha il sabotaggio, una forma limitata, spesso simbolica, di danneggiamento dell’avver- sario; nel nostro caso sarà senz’altro di tipo verbale, un aggressività che tenderà a gettare ulteriore discredito, ad impedire il libero movimento o piccole realizzazioni nella controparte. Disintegrazione del consenso altrui: con una strategia informativa di discre- dito, si cercherà in tale fase di erodere il consenso altrui, attraverso il tentativo di condizionare gli elementi più deboli della controparte anche mediante un opera di “compravendita” di posizioni e vantaggi. Distruzione reciproca: è l’ultimo stadio dell’escalation di un conflitto. 150 Conoscere gli stadi dell’escalation non è un atto sado – masochistico, ma una specifica opportunità per tutti noi per riconoscere il livello della conflittualità in gioco, al fine soprattutto di FERMARE l’evoluzione pericolosa di tali dinamiche interpersonali ed organizzative. Il testo è stato tratto da: ARIELLI, SCOTTO, I conflitti, introduzione a una teoria generale, Mondadori, Milano 1998. EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE Gli stadi Glasl Si analizzino gli stadi dell’escalazione del conflitto e si individuino possibili interventi per arrestare la spirale di tale processo: quali comportamenti, quali deci- sioni, quali modalità comunicative…; chi può arrestare l’escalation? stadi dell’escalation comportamenti che possono arrestare l’escalation irrigidimento dibattito e polarizzazione la tattica del fatto compiuto e l’abbandono della parola preoccupazione per l’immagine e ricerca degli alleati la perdita della faccia: le barriere comunicative la strategia della minaccia distruzione limitata … il sabotaggio disintegrazione del consenso altrui distruzione reciproca 151 TERZA LEZIONE PER UNA RISOLUZIONE POSITIVA DEI CONFLITTI OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ conoscere e attuare strategie costruttive di risoluzione del conflitto. Abbiamo già riflettuto sulla natura dei conflitti intrapsichici ed interpersonali, ne abbiamo evidenziato la natura strategica in riferimento soprattutto alla com- prensione del nesso frustrazione – motivazione; ora dobbiamo ovviamente occu- parci di come un conflitto possa evolvere. Anche il luogo di lavoro, il rapporto con i colleghi o con gli utenti sottostanno a queste dinamiche. I DESTINI DEL CONFLITTO Il conflitto non finisce …nuova escalazione È il caso più drammatico ma non per questo il meno frequente. Il conflitto non termina perché sono rimaste aperte le ferite prodotte, perché non ne sono state ri- mosse le cause…; esso pertanto continuerà, dando vita ad una nuova escalazione o rimanendo latente, nascosto, ma provocando comunque risentimento, aggressività, rapporti non chiari. In questo ultimo caso quindi il conflitto finisce ma non si risolve. Esiste un’ul- tima possibilità: il conflitto può essere superato grazie a delle azioni mirate ad una preventiva presa di coscienza sui bisogni in gioco, sulle posizioni delle parti, sulle linee di possibile condivisione futura. Il conflitto finisce e si risolve Non stiamo ragionando in astratto; stiamo riflettendo sulla possibilità di risol- vere o di superare tutte quelle problematiche che sono comuni in un luogo di la- voro e, in special modo, in un’agenzia formativa. I dissidi e le incomprensioni tra colleghi, la gestione di corsi “difficili o impossibili”, le sedute fiume, piene di con- trasti sul destino di un allievo o di un progetto, i rapporti con l’autorità… 152 STRATEGIE DI RISOLUZIONE DEI CONFLITTI 1. Risoluzione dell’incompatibilità È una situazione “ideale”: le parti in gioco, grazie ad una reciproca cono- scenza e soprattutto ad un reciproco riconoscimento, diminuiscono i loro pregiu- dizi e si vedono sotto una nuova luce; solo un riavvicinamento, una mutata perce- zione dell’antagonista, una sensibilità raffinata, possono cambiare anche completa- mente “le carte in tavola”: il “nemico” diventa “amico”. 2. Compromesso È una mediazione sensata e utile tra le questioni sul campo: le due parti tro- vano e condividono una soluzione che si situi in una posizione intermedia tra le opzioni estreme. Nella medietà sta la virtù, sentenziavano gli antichi, questo non è sempre vero ma comunque può essere una ragionevole uscita, funzionale per deter- minati problemi. 3. Scambio Con questa strategia, il conflitto viene superato attraverso un vero e proprio scambio: ogni soggetto cede una parte di soddisfazione personale e chiede alla controparte un vantaggio per sé o per il proprio gruppo. Nella nostra cultura, lo scambio viene spesso percepito in modo negativo ma, di fronte a problemi com- plessi, una realistica valutazione di costi e benefici delle nostre decisioni può es- sere un valido aiuto per superare situazioni altrimenti irrisolvibili. 4. Intervento di terzi Conflitti particolarmente seri e delicati possono essere talvolta superati solo con l’aiuto di terzi: può essere l’azione di una persona particolarmente stimata dalle parti, può essere un’effettiva figura di intermediazione che la struttura si dà in casi specifici o può senz’altro essere il ruolo dell’autorità istituzionale. Il ruolo dell’autorità è pertanto, in ultima istanza, un deterrente importante per risolvere situazioni stagnanti in cui sia particolarmente difficile modificare gli equilibri o sia pericoloso coinvolgere più di tanto le persone. L’autorità in una organizzazione può mettere in campo queste essenziali varia- bili. Direzione L’autorità può e deve indicare, di fronte ad un problema, ad una chiusura di prospettive, una direzione che spinga gli interlocutori ad andare al di là dello stallo cognitivo in cui si trovano: un nuovo modo di rappresentarsi gli eventi può sbloccare la situazione, con o senza l’adesione delle parti. Mediazione L’autorità si può porre come terzo di fronte ai contendenti. 153 Memoria Conflitti seriamente laceranti devono trovare ricomposizione in una riedizione attuale, critica e vissuta della memoria del sistema. In un CFP non possiamo pertanto sottacere il ruolo fondante e ispirante del carisma fondativo delle opere di don Bosco: di fronte a fratture non sanabili, l’ispirazione a ciò che ca- ratterizza la missione e a ciò che costituisce il riferimento ideale condiviso può aiutare a sbloccare il problema. Profezia Il ruolo di una saggia e funzionale autorità sarà quello di aiutare le parti a leg- gere ed interpretare gli scenari di futuro che ogni eventuale decisione compor- terebbe. Non sempre infatti, dall’interno di un conflitto, si sanno valutare con lungimiranza ed efficacia le conseguenze micro e macro strutturali delle no- stre posizioni. 5. Separazione Il conflitto si concretizza nella presa d’atto dell’impossibile coesistenza dei contendenti: o le persone in questione o l’autorità optano per la separazione, anche fisica, degli individui in gioco o delle loro funzioni. 6. Integrazione e negoziazione Le parti cercano di superare le divisioni costruendo possibilità ulteriori che va- dano oltre le posizioni già emerse. È questa la forma più ardua ma soddisfacente di risoluzione di un conflitto: non si fugge, non si media o si scambia, ma si cerca in- sieme una strada comune. LINEE GUIDA DI COMUNICAZIONE PER UNA GESTIONE EFFICACE DEI CONFLITTI ) dite non voglio invece di non posso ) usate la parola io ) ricordatevi che i “devo” sono basati sui “voglio” ) evitate di dire “non lo so” quando lo sapete ) evitate di rispondere in modo evasivo ) se qualcuno monopolizza la discussione lo fa con il vostro permesso ) rispondete direttamente ) non fate supposizioni, chiedete ) tenete conto di pensieri ed emozioni ) evitate di dare false rassicurazioni ) evitate di esagerare 154 Si analizzino i tipici momenti collegiali della valutazione di un utente. Alla luce della lezione, si crei un testo (anche ironico e pungente) che descriva un’équipe di formatori che è profondamente divisa sulla valutazione di un ragazzo: si descrivano la personalità dei colleghi, le frasi più tipiche, i pregiudizi e gli sce- nari in gioco, costruendo quasi una sceneggiatura di almeno 30 righe. Al termine si può decidere la sorte del … povero utente. Bibliografia Il testo della lezione è stato liberamente tratto da: ARIELLI, SCOTTO, I conflitti. Introduzione a una teoria generale, Mondadori, Milano 1998. Altri testi per l’approfondimento: MASONI, La mediazione creativa a scuola, Erickson, Trento 2002. W AGNER, Il manager transazionale, Franco Angeli, Milano 1988. RUMIATI, PIETROSII, La negoziazione. Psicologia della trattativa: come trasformare un conflitto in opportunità di sviluppo personale, organizzativo e sociale, Cortina, Milano 2001. EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE 155 AREA TEMATICA 3 LA GESTIONE DELL’AULA COME AZIONE PREVENTIVA RICCARDO TUGGIA Modulo 1: UN VOCABOLARIO MINIMO Non è il discorso che si dovrebbe desiderare di capire; si dovrebbe conoscere chi parla… Non è l’azione che si do- vrebbe desiderare di capire; si dovrebbe conoscere chi agisce… Non è la mente che si dovrebbe desiderare di capire; si dovrebbe conoscere chi pensa. Kanshitaki, Upanishad In questo modulo, ci occuperemo essenzialmente di comunicazione. La comu- nicazione, come evento essenziale di ogni evento educativo, rappresenta infatti la fondamentale frontiera di ogni azione di prevenzione. In particolare, analizzeremo qui i presupposti fondamentali per chiarire il ruolo della mente nell’organizzazione processuale ed esistenziale della nostra vita in aula. 157 PRIMA LEZIONE LE RAPPRESENTAZIONI PERSONALI OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ riconoscere, nelle proprie azioni e decisioni, un modello personale di rappresentazione. Un costrutto è essenzialmente una discriminazione che una persona può operare. La psicologia dei costrutti perso- nali è un tentativo di capire il modo in cui ognuno di noi spe- rimenta il mondo, di capire il nostro comportamento per quello che esso è designato a significare e di esplorare in che modo negoziamo le nostre realtà con altri. Bannister, Fransella I processi mentali non sono più spiegabili secondo il modello semplificato sti- molo-risposta ma sono assimilabili ad una vera e propria capacità di formulare ipo- tesi, teorie, verifiche. La percezione, la memoria, le motivazioni, le emozioni, non sono processi esclusivamente stimolati dall’esterno ma piuttosto determinati dall’interno. Le aspettative, le precomprensioni, i pregiudizi e perfino il nostro stato d’a- nimo attuale influenzano e determinano il nostro modo di percepire la realtà. Po- tremmo quasi affermare che al centro delle nostre discussioni e precomprensioni non c’è la realtà ma il nostro modo di interpretarla . Potremmo affermare che tali costrutti sono lenti, ottiche, prospettive attraverso le quali formuliamo ogni nostro giudizio e prendiamo decisioni. Anche l’esperienza professionale, con gli utenti e i colleghi, si alimenta ed esiste proprio in funzione di queste rappresentazioni personali. Esistono infinite modalità personali di caratterizzare i costrutti come: interes- sante, facile, impossibile, utile, bravo, aperto, agitato… 158 I costrutti personali sono i mattoni del nostro pensiero: essi hanno una loro struttura: • gerarchica (sono pertanto inseriti in una classifica per importanza), • dicotomica, (il nostro modo di rappresentarci il costrutto “bravo”contempla anche il suo opposto “non bravo”), • tendenzialmente stabile (i costrutti non variano facilmente). Nella PSICOLOGIA DEI COSTRUTTI PERSONALI DI K ELLY vengono enunciati al- cuni principi essenziali: Postulato fondamentale I processi psicologici di una persona sono canalizzati dai modi in cui essa an- ticipa gli eventi: ognuno di noi si rappresenta ciò che avviene in base alle sue aspettative e all’inconsapevole costruzione di repliche. Se, ad esempio, io catego- rizzo un utente in base al costrutto “sveglio-addormentato”, avrò una differente let- tura della situazione rispetto ad un collega che interpreta lo stesso ragazzo dentro il costrutto “sensibile-egoista”. Corollario della costruzione una persona anticipa gli eventi, costruendone mentalmente le repliche: la let- tura di ciò che capita e di ciò che avverrà viene senz’altro filtrata dal nostro modo di anticipare gli eventi…: da un utente categorizzato come “disturbatore” ci aspet- teremo con puntualità distrazione e disturbo e difficilmente riusciremo a scoprirlo attento. Corollario dell’individualità le persone differiscono l’una dall’altra per il loro modo di anticipare gli eventi: le differenze individuali sono pertanto riconducibili alle diverse modalità interpretative e quindi al numero e alla specificità dei costrutti disponibili (un esperto pescatore sarà molto più in grado di noi di descrivere e anticipare eventi le- gati alla pesca, proprio per la sua capacità di avere costrutti adatti a leggere tali si- tuazioni). Corollario dell’esperienza Il sistema di costruzione di una persona varia a mano a mano che essa co- struisce la replica degli eventi. C’è una continua evoluzione in noi stessi: i co- strutti dei primi giorni di formazione si modificano gradualmente con l’esperienza e con la riflessione. Corollario della frammentazione Una persona può impiegare di volta in volta una varietà di sottosistemi di co- struzione che sono deduttivamente incompatibili: la logica non è sempre la matrice 159 dei nostri ragionamenti; si pensi ad esempio a come spesso un utente disturbatore o polemico venga irrazionalmente e automaticamente definito poco motivato o poco intelligente…; l’inferenza è indebita ma molto economica e sbrigativa! Corollario della comunanza Nella misura in cui una persona impiega una costruzione simile a quella di un’altra, i processi psicologici delle due persone in questione sono simili . La com- prensione e l’empatia pertanto non dipenderebbero solamente da fattori emotivo- affettivi ma soprattutto da una sintonia cognitiva… laddove essa non sia naturale, il formatore deve cercare di conoscere il sistema di costruzione degli utenti, per in- terpretare meglio la loro visione del mondo. Corollario della socialità Nella misura in cui una persona costruisce i processi di costruzione di un’altra, può giocare un ruolo in un processo sociale che coinvolga l’altra per- sona. La comunicazione diventa pertanto sensazione di una sintonia…; i nostri piccoli successi formativi testimoniano senz’altro questa piccola, grande verità. Alla luce dei principi fondamentali della teoria dei costrutti personali, po- tremmo ora analizzare la ricaduta degli stessi sulle dinamiche emotive dell’aula… e della vita. L’ansia è la consapevolezza che gli eventi che ci troviamo di fronte giacciono per lo più al di fuori del campo di pertinenza del nostro sistema di costrutti. L’ansia diventa quindi la percezione di un’inadeguatezza: ciò che avviene non è completamente spiegabile da noi stessi…; ciò che ci capita ci preoccupa perché non possiamo anticipare quello che ci può capitare. L’ostilità è lo sforzo continuo di estorcere prove validazionali a favore di un tipo di predizione sociale, cui è già stato riconosciuto il fallimento. Siamo ostili o percepiamo l’ostilità di altri quando si assiste al disperato tenta- tivo di dare e avere ragione rispetto a ciò che è stato messo in discussione…, un ul- timo tentativo di evitare la messa in discussione di una parte del nostro sistema si costrutti La minaccia è la consapevolezza di un ampio e imminente cambiamento nelle strutture nucleari di costruzione. Quando ci sentiamo minacciati dagli utenti o dai colleghi significa che, in un qualche modo, essi ci mettono in discussione alcuni costrutti centrali; tale cambia- mento viene percepito come imminente e questo, giustamente, ci spaventa. La paura è la consapevolezza di un imminente e circoscritto cambiamento nelle strutture nucleari. La paura è più circoscritta, più mirata; è la sensazione che qualche cosa di specifico viene criticato: il nostro modo di insegnare, la nostra competenza, la capacità che abbiamo di valutare, ecc… 160 L’aggressione è l’elaborazione attiva del campo percettivo. Kelly è uno dei pochi psicologi che ci aiutano a leggere l’aggressività come evento positivo, attivo: qualcuno diventa aggressivo quando vuole cambiare, quando desidera estorcere o cercare una nuova chiave di lettura degli eventi, pro- prio in quanto consapevole di non avere più strumenti adatti ad anticipare gli eventi. EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE Auto-caratterizzazione di Kelly Provate a descrivere voi stessi, come formatori, in uno scritto di almeno 20 – 30 righe; parlate di voi in terza persona, iniziando ad esempio così: “Il/la mio/a amico/a…………………, come formatore/trice, è…”. Successivamente, rileggete il testo ed evidenziate quelle parole (i costrutti) che pensate vi caratterizzino… Elencatele infine nella tabella che segue. Bibliografia I corsivi della lezione sono liberamente tratti da: BANNISTER, FRANSELLA, L’uomo ricercatore, trad. it., Giunti, Firenze 1986. Altri riferimenti: CHERUBINI , Z AMBELLI, La psicologia dei costrutti personali, Patron, Bologna 1987. MANCINI, SEMERARI “La psicologia dei costrutti personali, Franco Angeli 1985. http://www.oikos.or g/kelit.htm (testi su George Kelly). I miei costrutti fondamentali come formatore: Es.: preparato-impreparato - - - - - - - - 161 SECONDA LEZIONE I MODELLI DI CONOSCENZA OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ prendere coscienza delle infinite modalità di formazione che, a partire da una visione del mondo e della persona, hanno ricadute importanti sulla pratica in aula e laboratorio. Ogni CFP è un luogo di formazione, di esperienza e di apprendimento. È sen- z’altro vero però che la caratteristica intrinseca ad ogni attività educativa – o più in generale all’esistenza nella sua integralità – è la conoscenza. La conoscenza come guida per la vita, come ricerca incessante, come difficoltà di capire, si può diversa- mente coniugare dentro diverse prospettive. Sono infatti le teorie e i modelli che rendono la nostra conoscenza sempre più aderente al vero, inesausta possibilità di continuare a porre domande, oltre che strumento per superare la banalità del quoti- diano. Come abbiamo visto nel precedente contributo sulle rappresentazioni perso- nali, ognuno di noi legge in modo originale, ma non sempre adeguato, la propria e l’altrui esperienza. Anche in aula e in laboratorio, noi implicitamente usiamo mo- delli di conoscenza (paradigmi) che permeano tutta la nostra azione, i nostri pen- sieri e progetti, le reazioni agli eventi. Vogliamo riflettere qui su alcuni paradigmi che spesso sono sottointesi nella nostra idea di formazione e di educazione, allo scopo di renderci sempre più consapevoli della nostra pratica con gli utenti. Addestramento È forse la concezione più semplice ma anche più utilizzata nella formazione e nell’istruzione; si pensi infatti all’accezione, ormai desueta, di “addestramento professionale”. Tale modello comporta una visione passiva dell’utente, che deve in un tempo ragionevole imparare sequenze di operazioni o contenuti. Tale moda- lità formativa si rifà ad una concezione semplice, lineare e biunivoca dell’azione di insegnamento e si può oggi malamente applicare alle professioni di tipo ma- nuale. Non c’è dubbio però che anche la manualità più specifica richieda una serie 162 di controlli mentali, di creatività del soggetto, oltre che una flessibilità sempre ul- teriore nell’applicazione. Quale spazio abbia l’addestramento oggi viene radical- mente messo in discussione dalle competenze necessarie per formare un lavora- tore che sappia affrontare situazioni sempre nuove e che riesca a destreggiarsi in un orizzonte di riqualificazione continua. Sottointeso a tale modello è il convinci- mento che imparare è semplice e che il veicolo principale di tale assimilazione è la ripetizione pedissequa di sequenze ben determinate. Non è necessario sottoli- neare gli infiniti danni che una pratica addestrativa ha provocato nelle scuole e nelle professioni, in direzione di una drammatica banalizzazione del sapere e del saper fare. Applicazione Ad un livello leggermente superiore, dal punto di vista della complessità del- l’azione formativa, si situa l’applicazione. Tale paradigma coglie l’urgenza di un necessario passaggio tra la teoria e la prassi: in tal modo, la conoscenza è pregiudi- ziale per agire e quindi l’apprendimento viene sistematizzato in vista di una sua possibile applicazione: devo cioè imparare quello che “mi serve”. Da un certo punto di vista, tale visione determina una giusta tensione verso la spendibilità delle conoscenze, verso una concretizzazione del sapere, ma d’altro canto tende a fina- lizzare eccessivamente la cultura della formazione, svilendone talvolta l’auto- nomia. C’è infatti un sapere che vale di per sé, che nutre ogni uomo e donna nella continua domanda di senso, che offre orizzonti ulteriori per l’esistenza. Non c’è dubbio, quindi, che un CFP di ispirazione cristiana e salesiana non esaurisca la sua funzione formativa nell’ambito della spendibilità immediata, ma debba contri- buire, oggi più che mai, ad un’educazione integrale della persona. Scoperta A ridosso degli anni ’60, specie dopo le contestazioni studentesche, si è affac- ciato nel panorama formativo il paradigma della scoperta. Esso tende a mettere ra- dicalmente in discussione l’efficacia di una trasmissione “depositaria” della cono- scenza, enfatizzando invece il ruolo attivo del soggetto in formazione. Ciò che ve- ramente si impara, si impara a proprie spese, con la ricerca personale e di gruppo, con un incessante lavoro per tentativi ed errori, nella consapevolezza della centra- lità degli interessi e dell’automotivazione dell’utente. Il nobile intento di tale para- digma ha spesso cozzato con l’impossibilità di applicarlo alla complessità quanti- tativa e qualitativa delle informazioni necessarie a vivere in una società come questa: ricercare significa, in ultima analisi, costringere il soggetto a riscrivere “da zero” la storia della cultura o l’insieme delle competenze di una professione e tutto ciò è impossibile nella realtà. Innegabile però l’insegnamento che viene da tale prospettiva: ogni formatore, laddove è possibile, deve valorizzare al meglio le doti di intuizione e di imprenditività dell’utente, al fine di renderlo sempre più protago- nista del suo percorso e dei suoi progressi. 163 Costruzione Nell’ambito del cognitivismo (si veda a tale proposito l’unità sulle rappresen- tazioni personali), la psicologia ha focalizzato la centralità dell’elaborazione attiva del soggetto nei confronti degli stimoli provenienti dalla realtà. Non sono pertanto gli stimoli in sé a produrre conoscenza, quasi per una magica trasmissione da mente a mente, ma il processo conoscitivo si configura proprio come una costru- zione di significati che si radica sulle nostre precomprensioni e aspettative. Questo modello presuppone quindi la tensione verso la focalizzazione delle strategie del pensiero, verso la sistematizzazione razionale di ciò che si deve apprendere, verso il raggiungimento di una coerenza interna dei contenuti e delle attività. Compito del formatore è, pertanto, stimolare il pensiero, condurre alla significatività interna della disciplina, in un continuo passaggio tra teoria e prassi, tra innovazione e tra- dizione, inducendo interrogativi e valorizzando l’incertezza. Le straordinarie intui- zioni di questo paradigma non ci devono far dimenticare altresì l’assunto per cui ogni costruzione presuppone un sapere di base, e tale sapere non è certo innato ma appreso. La formazione come costruzione si addice maggiormente all’istruzione - educazione di persone “esperte”, che tendono quindi naturalmente all’approfondi- mento e al coinvolgimento diretto sulle questioni in gioco. Interpretazione A margine ed in conseguenza dell’affermarsi dell’ermeneutica in filosofia e in epistemologia, si è oggi ripreso e ulteriormente tematizzato il concetto e la prassi dell’interpretazione. Conoscere non è imparare, associare, accumulare dati, ma piuttosto attribuire significato alla realtà. Questo processo si attua nell’incessante sforzo, da parte di ognuno, di “scontrarsi” con la realtà, con le informazioni in ge- nere, e di tessere con coraggio un dialogo che provochi domande e che si lasci in- terrogare dall’oggetto in questione: la poetica di Leopardi o le procedure contro gli infortuni sono “oggetti” che mi provocano e che mi suscitano domande. La forma- zione avviene nella tensione anche esistenziale tra il soggetto e l’oggetto, nel con- tinuo urto tra le “mie idee” e l’oggettività del contenuto. L’esito quindi non sarà tanto quello di un mero apprendimento, ma piuttosto un appello alla verità e alla responsabilità; ogni utente in questo modello deve sentirsi chiamato a prendere po- sizione, in profondità, sulla plausibilità e sulla accettazione (o rifiuto) dei contenuti proposti in formazione. Inoggettivabilità Esiste un ultima frontiera della formazione, forse la più amara e la più indici- bile. Ogni formatore, in qualsiasi ambito operi, deve ricordare come tal pratica comporti, intrinsecamente, lo scacco, la sconfitta, l’impossibilità di raggiungere l’obiettivo prefissato. È questa la storia dei molti abbandoni, degli insuccessi, del variegato universo del disagio dei nostri ragazzi, ma essa è anche la storia costi- 164 tuita dall’esperienza quotidiana della difficoltà titanica di farci capire, di insegnare, di apprendere. La nostra professione non ci deve far dimenticare la fatica, l’incom- piutezza, la fragilità dei nostri progetti e del nostro operare. L’educazione, al di là di ogni nostro sforzo, si realizza nell’abisso, nel mistero e nell’insondabilità delle interiorità degli utenti e spesso tale esperienza rifugge da ogni categorizzazione e programmazione per significarsi solo dentro la dimensione della speranza e del dono reciproco di biografie in dialogo. Risposte I modelli della mia formazione Il modello intrinseco alla mia azione d’aula I modelli necessari a questi utenti EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE 1. Analizza brevemente i modelli di conoscenza che hai recepito o vissuto come studente. 2. Analizza il modello più presente nell’insegnamento della tua disciplina. 3. Alla luce dell’area 1, evidenzia quali modelli formativi e perché, sono indi- spensabili per gli utenti di oggi. Bibliografia BOSCOLO P., Psicologia dell’apprendimento scolastico, UTET, Bologna 1986. DE BENI R., L’apprendimento significativo, Erickson, Trento 2002. MISCHEL W., Lo studio della personalità, trad. It. Il Mulino, Bologna 1986. NOVAK J., Psicologia cognitiva dell’apprendimento, Erickson, Trento 2001. PONTECORVO C., Psicologia dell’educazione: conoscere a scuola , Il Mulino, Bologna 1986. STERNBERG R. J., Stili di pensiero. Differenze individuali nell’apprendimento e nella soluzione di pro- blemi, Erickson, Trento 1998. 165 TERZA LEZIONE PER UN INCONTRO TRA GENERAZIONI OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ assumere la consapevolezza che la formazione, al di là di ogni disciplina, è dialogo interiore tra biografie viventi Una società complessa offre innumerevoli possibilità di socializzazione, anche se spesso tale eccedenza di opportunità si caratterizza con esiti decisamente ambi- valenti. Complessivamente, il tessuto esistenziale dei nostri ragazzi ha come deno- minatore comune una fitta rete di relazioni, di esperienze ma anche questa realtà si pone all’insegna dell’evasione, della fuga dall’impegno, del divertimento. Ad una prima lettura, l’interpersonalità si manifesta come ambito di rassicurazione perso- nale, di conformismo e di forte propensione ai consumi, di comportamenti collettivi rituali, se non addirittura di azioni devianti. La stessa agognata utopia di un tempo libero e liberante oscilla invece, nella concretezza dei vissuti, tra un tempo “pieno” di impegni, spesso subiti, e un tempo “vuoto”, privo di senso, abitato dalla noia e dalla trasgressione. Risultano quindi legittime le domande degli educatori sulle pro- spettive autenticamente formative della socializzazione. Quale identità personale cresce e si rafforza in questo habitat relazionale? Quali modelli culturali e comuni- cativi sostengono e orientano il comportamento? Quale comprensione morale in re- lazione a principi, norme, comportamenti? Proprio alla luce di quest’ambiguità, la formazione professionale dovrà, suo malgrado, prendersi carico di una vera e pro- pria iniziazione sociale, favorendo e promovendo esperienze di cooperazione che superino una logica puramente addestrativa di lavoro di gruppo, in favore di una più mirata azione di negoziazione e di autentico confronto. La figura del formatore dovrà quindi porsi l’obiettivo di facilitare i processi, di rimuovere eventuali cause di disagio ma soprattutto di essere per gli adolescenti una “biografia vivente”, che ponga con la sua opera continui interrogativi, che susciti un desiderio profondo di vivere, ma anche di conoscere. Pur nel riconoscimento delle differenze intrinseche al rapporto formatore – utente, mi sembra utile riproporre tale rapporto superando le facili dicotomie che spesso si affiancano alle persone quando si assolutizzino ec- cessivamente l’adultità e l’adolescenza. Si aggiungano poi, nei nostri CFP, gli eventi legati alla presenza di salesiani anziani, che ci testimoniano nella fatica, come nell’entusiasmo, una vita vissuta per l’educazione e per il carisma di Don Bosco. Non ci troviamo di fronte solamente a universi contrastanti e non comuni- 166 canti, ma all’effettiva possibilità di riscoprire reciprocamente l’unicità e la globalità della nostra vita nella comune avventura della formazione. Ecco alcune dicotomie che possono aiutarci a intravedere spazi di educazione per ognuno di noi. A) Apprendimento/Insegnamento Da millenni, un presupposto fondamentale dell’educazione è l’asimmetria educativa, la differenza sostanziale tra educatore ed educando. Questa differenza è costitutiva del processo educativo ma, se assolutizzata, può portare a pericolose semplificazioni: la giovinezza sarebbe il tempo favorevole per imparare, assimi- lare, sperimentare, mentre l’età adulta sarebbe deputata alla trasmissione, alla ma- gistralità e quindi, naturalmente, all’autorevolezza. Questa modalità di interpreta- zione è senz’altro vera ma rischia di farci dimenticare come: - l’esperienza dell’apprendimento non è solo caratteristica peculiare dell’età giovanile, ma è inscritta profondamente nella componente autoeducativa e co- educativa dell’adulto, - l’autorevolezza non dipende sempre dall’età e dall’esperienza passata ma piut- tosto dalla propria trasparenza, congruenza, autenticità, - l’esperienza non è una cieca ricerca o una passiva capacità di captare stimola- zioni e quindi, anche per un giovane, non è solo l’apertura al nuovo che può di per sé garantire una crescita personale; ma, in fondo, che cosa è nuovo? Che cosa è vecchio? B) Gioco/Impegno Nelle società premoderne e moderne questa polarità evidenziava molto bene la differenza che esisteva tra la vita della maturità e la fase deputata al suo raggiungi- mento. L’infanzia (e la giovinezza) deve essere spensieratamente trascorsa nella leggerezza e nella ludicità, mentre l’età adulta non può che realizzarsi nel dovere e nella fatica della responsabilità. Le immagini di un bambino triste e di un adulto “senza pensieri” inducono più al sospetto o allo scandalo che non alla considera- zione che anche questa polarità può essere colta in modo non dicotomico: - riscoprire la serietà della giovinezza può essere un compito decisivo per un adulto, - ritrovare la leggerezza, la levità, nelle fatiche e nelle preoccupazioni può costi- tuire una modalità concreta e visibile di incarnare la speranza che ci abita e ci ispira, - contemplare la serietà di un gioco infantile può aiutarci a non sprecare “da se- duti” l’avventura del corso della vita. C) Passione/Essenzialità Tale polarità esprime molto bene una visione spesso stereotipica della diffe- renza, esageratamente amplificata, tra giovinezza e adultità. Un’analisi più appro- fondita di queste due dimensioni ci porta però ad evidenziare che: 167 - non necessariamente l’entusiasmo, la passionalità e l’emotività manifesta sono presenti nei giovani; anzi, spesso, i giovani di questi ultimi anni si caratteriz- zano maggiormente per una certa disillusione, staticità, tendenza alla sterile critica; - non tutti gli adulti sono capaci di una visione essenziale dell’esistenza; tal- volta dissimulando un certo giovanilismo tendono a reagire con un eccessivo attivismo, con una difficoltà a riflettere, dimenticando addirittura il proprio passato, le proprie esperienze, la dinamicità del vissuto personale; - una visione più articolata della vita dovrebbe valorizzare piuttosto l’integra- zione continua tra le emozioni personali e il bagaglio conoscitivo che le ha de- terminate o almeno influenzate. D) Identificazione/Eredità L’esperienza dell’essere figli determina soprattutto, in maniera più o meno evidente, il sentimento (o, per meglio dire, l’atteggiamento fondamentale) dell’i- dentificazione. Nonostante tutto, il figlio si identifica con il genitore e tale espe- rienza diventa una primaria fonte di apprendimento, oltre che un’insostituibile pa- lestra di formazione morale e comportamentale. D’altra parte, l’adulto si tramanda, rivive se stesso, nell’eredità lasciata alla prole, cercando di esaudire quel miste- rioso imperativo che spinge ciascuno di noi a perfezionarsi nei propri figli. È il de- stino naturale di ogni educazione, anche extra-familiare, di cercare nell’esperienza e nel fascino della novità una possibile strada di etero e di auto-educazione. L’i- dentificazione avviene in ogni caso ma è auspicabile che i giovani apprendano il mestiere della vita non nella negazione di un modello limitante, ma nell’emula- zione critica di un modello significativo. È senz’altro più auspicabile un’eredità in- gombrante, pesante ma ricca, piuttosto che una trasmissione vuota e tradizionale di qualcosa che non è più spendibile nel futuro. L’esperienza di sentirsi utili per chi verrà diventa un sollievo e una consolazione per l’adulto, magari stanco; ma anche la sensazione di poter essere valorizzato coerentemente alle proprie esigenze ed aspirazioni può motivare molto un giovane. La rischiosa alternativa è quella di ren- dere gli adulti dei ripetitori inefficaci e di impegnare i giovani come tappabuchi. E) Decentramento/Sintesi Il compito di una personalità in evoluzione è quello di aprirsi. La capacità di essere disponibili alla novità, alle esperienze più varie, alla gestione coraggiosa e attiva dei conflitti è una fondamentale dimensione della giovinezza. Analoga- mente, la tensione verso l’unità, l’armonia, l’equilibrio e la visione prospettica ca- ratterizzano peculiarmente l’adultità. Ora, l’esperienza comune ci mostra invece una tendenza opposta: - la giovinezza viene vissuta con grande chiusura, in un’ossessiva preoccupa- zione di guardarsi allo specchio, di auscultare ogni più piccolo turbamento e di conseguenza anche nella stasi; 168 - l’adultità, spesso rincorre il mito di una eterna giovinezza, alla ricerca di fram- menti emozionali, che trasmettano serenità e che non pongano questioni di ampio respiro, e di una stabilità stagnante che annulli ogni desiderio. F) Distacco/Solitudine L’esperienza della giovinezza consiste nella graduale e sempre più consape- vole capacità di distacco: essa si concretizza in una maggiore autonomia decisio- nale ed emozionale ma soprattutto nel definitivo abbandono di quel cordone ombe- licale che garantisce un’esistenza protetta da una rete di sicurezza. Camminare “senza rete” diventa la cifra fondamentale di un giovane adulto ma tale conquista si caratterizza in maniera lampante per l’esperienza della perdita. D’altro canto, anche l’adulto maturo sente il peso di una vita non sempre riconosciuta, forse osteggiata o, nella migliore delle ipotesi, conquistata a caro prezzo. Lo scotto da pagare è la solitudine. La sensazione è che, dopo tutto e nonostante tutto, la vita ri- consegni ad ognuno di noi ebbrezza e vertigine, ma anche il tremendo vaglio del- l’esperienza più radicale ed essenziale: quella di rimanere soli. Anche per queste dimensioni esistenziali le cose sono più complesse: - mai come oggi i giovani sono scarsamente propensi ad autentiche forme di distacco: l’autonomia viene cercata più nell’ambito dell’assenza di doveri e costrizioni che nella profonda capacità di intravedere strade nuove e personali di realizzazione; in tale contesto, la comunità, come la famiglia, può diventare rifugio nel quale ritagliarsi isole di chiusura personale; - anche gli adulti hanno paura della solitudine: preferiscono subire l’isolamento, l’indifferenza reciproca o la divisione dei compiti, come possibili rimedi e paradossalmente anche per loro la famiglia diventa rifugio, abitudine, alibi. ➢ Analizza l’esperienza professionale nel tuo CFP: ➢ Quali contributi possono dare i colleghi più “anziani”? ➢ Quali i loro limiti? ➢ Quali potenzialità può avere un neoassunto? ➢ Quali i pericoli della sua inesperienza? Bibliografia DEMETRIO D., Raccontarsi. L’autobiografia come cura di sé , Cortina, Milano 1996. FARELLO P., BIANCHI F., Laboratorio dell’autobiografia, Erickson, Trento 2002. FRAMO J.L., Terapia intergenerazionale. Un modello di lavoro con la famiglia di origine, Cortina, Milano 1996. K NOWLES M.S., La formazione degli adulti come autobiografia, Cortina, Milano 1996. EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE 169 Modulo 2: L’ASCOLTO ATTIVO RICCARDO TUGGIA In questo modulo potremo esplorare, anche se in modo sintetico, quei fattori che possono ostacolare o favorire la comunicazione tra formatori ed utenti, nel contesto delle attività d’aula o di laboratorio. È infatti sulla qualità della relazione che si gioca la valenza preventiva e promozionale della formazione. 171 PRIMA LEZIONE LE BARRIERE DELLA COMUNICAZIONE OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ conoscere i comportamenti comunicativi che chiudono la comunicazione interpersonale. Ogni formatore ha sperimentato sul campo l’importanza decisiva di una co- municazione efficace. Ma tra il dire ed il fare c’è di mezzo il mare… e spesso non ci rendiamo consapevoli della scarsa capacità di incidere sul vissuto e sull’appren- dimento dei nostri ragazzi, e ancor di più non ci accorgiamo di come una comuni- cazione sbagliata ed inopportuna in aula possa essere fonte di sofferenza, di con- flitto, di risentimento anche personale. La legge della comunicazione interperso- nale è da un lato molto semplice e, dall’altro, ardua e radicale: il buon comunica- tore “apre” il dialogo, il pessimo comunicatore lo “chiude”. La formazione, così come le dinamiche della gestione d’aula e soprattutto la gestione delle valutazioni rischiano spesso di travalicare il loro specifico ambito, verso un vero e proprio rifiuto dell’altro. Molte delle storie scolastiche dei nostri utenti sono testimonianze viventi di come il disagio e l’abbandono si radichino spesso in una esperienza di non accoglienza, di non riconoscimento. Le 10 barriere del rifiuto Ecco le più comuni strategie comunicative che tendono a indurre una chiusura del dialogo: 1. Ordinare 2. Comandare 3. Esigere 4. Avvisare 5. Minacciare 6. Fare la predica 7. Rimproverare 8. Dare soluzioni 9. Redarguire 10. Ammonire 172 Esistono molte e sofisticate modalità di sottolineare il negativo nella persona o nelle prestazioni di un utente (o di un collega o della dirigenza): ➢ giudicare ➢ criticare ➢ disapprovare ➢ definire ➢ analizzare ➢ diagnosticare ➢ contestare ➢ indagare ➢ mettere in dubbio ➢ sottoporre a interrogatorio ➢ eludere ➢ fare del sarcasmo ➢ fare dello spirito. Effetti di queste barriere sul soggetto Come analizzato nella sezione relativa ai meccanismi di difesa, tali comporta- menti, che manifestano in maniera latente scarsa disponibilità e pregiudizi, provo- cano reazioni diverse nell’interlocutore. Esse sono ad esempio: Difesa1 / Attacco Il soggetto reagisce con aggressività e risentimento; tali atteggiamenti si pos- sono limitare a risposte verbali o non verbali o si possono concretizzare in veri comportamenti di danneggiamento delle persone o delle strutture. Rabbia Poche sono le esperienze negative e frustranti come quella di essere o di sen- tirsi rifiutato…; la rabbia è un’emozione profonda, che spesso può non esprimersi, ma che segnala in ogni caso un’occasione perduta per il formatore. Inadeguatezza e inferiorità Le personalità più deboli, con una bassa autostima, tendono invece a subire il rifiuto, elaborandolo come un ulteriore smacco alle loro possibilità di riscatto. Non a caso, spesso, il rifiuto si trasforma in emarginazione. Colpevolezza In una perversa rivisitazione della logica “vittima-persecutore”, chi ha subìto il rifiuto si sente responsabile e colpevole, oltre che inadeguato a vivere in quella situazione; tale reazione creerà pertanto un clima di rassegnata passività, se non addirittura di sottomissione. 1 Abbiamo esposto analiticamente i meccanismi di difesa nell’area tematica 2. A quella tratta- zione rimandiamo. 173 Sensazione di essere un bambino In qualche persona, il rifiuto scatena invece un meccanismo strano ma pro- fondo: l’ulteriore desiderio di essere amati spinge l’individuo a cercare insistente- mente il dialogo con l’interlocutore (nonostante tutto) o a spostare la sua affettività su altro. Sensazione di essere un innocente sul banco degli imputati Il rifiuto può anche indurre il sentimento della “sindrome del complotto”: “tutti mi odiano”, “tutti sono malvagi con me”: dipendentemente dall’energia voli- tiva dell’interessato si genereranno comportamenti più o meno attivi. Bibliografia FRANTA H., C OLASANTI A., L’arte dell’incoraggiamento. Insegnamento e personalità degli allievi, NIS, Roma 1991. FRANTA H., S ALONIA G., Comunicazione interpersonale, LAS, Roma 1990. FRANTA H., Gli atteggiamenti dell’educatore, LAS, Roma 1988. GORDON T., Insegnanti efficaci, Giunti, Firenze 1991. Cfr. anche la voce “comunicazione” e gli esercizi correlati in: www.benessere.com/psicologia/ 174 SECONDA LEZIONE OSTACOLI ALLA RISOLUZIONE DEI PROBLEMI OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ individuare quei comportamenti comunicativi che possono ostacolare o promuovere il dia- logo. Ogni azione umana, e in special modo l’azione formativa, comporta intrinseca- mente la capacità di fare i conti con problemi e conflitti. I problemi formativi pos- sono essere di varia natura e dipendono in grande misura anche dal modello forma- tivo adottato (si vedano i modelli di conoscenza) o dallo stile comunicativo in aula. Un problema non esiste “di per sé” ma assume significato in funzione di una percezione, di una rappresentazione: esso può diventare un vincolo insormontabile o può, nell’ottica della teoria dei sistemi, costituire una risorsa per l’apprendi- mento. Generalmente i problemi sono così categorizzati: → Problema del formatore → Problema dell’utente → Problema legato all’attività formativa → Problema istituzionale e organizzativo Nell’ambito della gestione dell’aula, sono soprattutto i primi tre ad interes- sarci. È comunque bene notare che proprio la categorizzazione di un evento come problema di un determinato genere ci porterà ad assumere comportamenti conse- guenti. Ad uno sguardo più attento alla concretezza della prassi formativa po- tremmo intravedere le seguenti dimensioni: - Spesso i problemi in un CFP vengono scaricati sugli utenti, sulla loro demoti- vazione e disattenzione, sul loro bassissimo livello di assimilazione, sull’indi- sciplina… - I risultati formativi vengono drammaticamente legati unicamente alla variabile “impegno” e raramente ci si sforza di attuare un’analisi più sofisticata delle cause. 175 - I problemi del formatore sono quasi sempre determinati… dagli altri, siano essi gli utenti o i genitori o la direzione. - I problemi generalmente vengono ascritti unicamente a fattori di personalità, carattere, cattive intenzioni o incapacità, lasciandosi sfuggire invece le cause strutturali ed organizzative come chiave di lettura degli stessi. - Anche i problemi in aula vengono percepiti come frutto di incomprensioni o limiti personali, costituendo così un inconsapevole alibi rispetto alla possibi- lità di mettere in discussione le nostre metodologie formative. - Talvolta un problema viene anche negato o sopito in favore del quieto vivere, del rispetto delle procedure, della “ritualità” d’istituto. - I problemi, se identificati, vengono vissuti con fastidio, sopportati, nella miopia funzionale che ci impedisce di prendere atto che il miglior apprendi- mento avviene nella considerazione degli errori. - Esiste una sottile e soggettiva linea di demarcazione fra ciò che per noi è ac- cettabile e ciò che non lo è: è su questa impalpabile linea che si giocano le in- finite dispute, incomprensioni e lacerazioni che contraddistinguono più o meno esplicitamente la nostra comunicazione. Vogliamo ora soffermarci sulle più comuni barriere al dialogo interpersonale: sono quei comportamenti che bloccano o minano in profondità la fiducia reciproca e il comune senso di responsabilità nella risoluzione dei problemi. Tali comporta- menti sono caratteristici sia della nostra azione con gli utenti, sia – e soprattutto – della nostra interazione con i colleghi e con la direzione. Conformarsi Potrebbe definirsi come una delle maggior “piaghe” comunicative delle nostre realtà e consiste in un atteggiamento fintamente remissivo e adeguato nell’accet- tare sempre qualsiasi soluzione; insomma un formatore che dice sempre sì. È un comportamento di ostacolo al dialogo perché difficilmente si concede credito o re- sponsabilità a chi non evidenzia spirito critico, a chi non prende posizione, a chi assume un ruolo di conformismo. Tale modalità comunicativa spesso è giustificata dalla paura, dal pudore o dalla sbagliata preoccupazione di poter arrecare qualche danno all’istituzione o ai rapporti interpersonali; invece evidenzia personalità spesso immature, se non – il che è peggio – un nascosto arrivismo. Resistere Di fatto, è l’atteggiamento opposto rispetto al precedente. Il formatore, in questo caso, manifesta un’ipercriticità, resiste per definizione sulla “linea del Piave”, volendo ostentare il suo pensiero e la sua libertà interiore. Fino ad un certo limite, questo comportamento può essere anche utile per un’organizzazione, ma complessivamente viene percepito come sterile ribellione, come esibizionismo in- tellettuale, se non addirittura come boicottaggio subdolo dello spirito comunitario. 176 Spesso, chi resiste lo fa a tutti i costi e, suo malgrado, diventa esso stesso un osta- colo a qualsiasi innovazione. Un formatore “antagonista” prima o poi cozzerà contro il potere costituito, nel modo senz’altro meno dialogante possibile (si ve- dano, a tale proposito, gli atteggiamenti verso l’autorità). Dominare – aggredire Si è già a lungo parlato della dimensione emotiva dell’aggressività. In ogni gruppo umano c’è chi si rapporta con gli altri con un atteggiamento di superiorità, se non di disprezzo. È questo un comportamento percepito molto negativamente e, se possibile, subito sanzionato in qualche modo; l’aggressività non paga, come ve- dremo nell’analisi di questo stile comunicativo (lo stile aggressivo). Spesso le per- sone aggressive, come quelle autoritarie, sono personalità fragili, incapaci di una relazione autentica, faccia a faccia… In ogni caso, lo scontro non aiuta la risolu- zione di piccoli e grandi problemi. Cercare le lodi Esiste una ruffianeria tipica di ogni professione: quella del subordinato con il superiore o quella diretta verso i pari… Chi cerca le lodi vuole esibirsi, vuole ma- nifestare la propria fedeltà, ma contemporaneamente rifugge il confronto. Il desi- derio di farsi apprezzare è connaturato con il nostro essere umani ma l’occulta- mento del dialogo, anche dello scontro, tradisce nel profondo la verità. Non ver- ranno mai contributi alla risoluzione di un problema da chi deve dimostrare qual- cosa. Scherzare Non si discute qui dell’umorismo come qualità profonda che induce alla leg- gerezza dei rapporti, a quella gioia tipicamente salesiana che rispecchia la bontà dell’animo, ma piuttosto di quella frequentissima strategia che banalizza i pro- blemi. Chi di noi non ha conosciuto qualcuno che, di fronte all’impegno, al calore di una discussione, alla dolorosa concretizzazione di una decisione, si rifugia in battute o barzellette? Ridurre un problema ad una caricatura è strategia di inco- scienza o di propaganda. Sfogarsi È la strategia più diffusa di ostacolo alla discussione e al confronto. Oggi più che mai, i luoghi di lavoro si sono trasformati in “sfogatoi”. Chi si sfoga non ha a cuore il problema, ma se stesso; intende porsi al centro della situazione, noncu- rante della visione d’insieme, convinto che ogni problema ha come obiettivo l’at- tacco alla sua persona. Potremmo quindi affermare che questo è un modo evoluto per affermare il proprio egocentrismo, per evitare qualsiasi confronto mirato, per coinvolgere tutto e tutti nel mare della propria insoddisfazione. 177 Analizza un momento di una riunione collegiale; assumi tre problemi tipici af- frontati ed evidenzia quali modalità i colleghi utilizzano per evitare di discutere in profondità. EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE Problemi Atteggiamenti dei colleghi Bibliografia FRANTA H., C OLASANTI A., L’arte dell’incoraggiamento. Insegnamento e personalità degli allievi, NIS, Roma 1991. FRANTA H., S ALONIA G., Comunicazione interpersonale, LAS, Roma 1990. FRANTA H., Gli atteggiamenti dell’educatore, LAS, Roma 1988. GORDON T., Insegnanti efficaci, Giunti, Firenze 1991. 178 TERZA LEZIONE L’ASCOLTO ATTIVO OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ rendersi più competenti in un ascolto sofisticato dei bisogni, delle emozioni, di ciò che non è detto dagli utenti. PRECONDIZIONI CHE PREDISPONGONO L’ACCETTAZIONE Ascoltare è un’arte difficile e necessaria. Tutti noi sappiamo ascoltare con i no- stri organi di senso ma non altrettanto spesso sappiamo cogliere in profondità ciò che non è detto, ciò che è sottaciuto, ciò che rappresenta lo stato emotivo profondo del nostro interlocutore. La vita in aula ed in laboratorio presuppone questa compe- tenza sofisticata che non sempre è innata; essa va educata, allenata, resa faticosa- mente prassi, affinché il dialogo con gli utenti sia effettivamente il momento forma- tivo per eccellenza. Al termine di un processo educativo, spesso non si ricordano i contenuti ma si ricorda lo stile di relazione: un buon formatore non si dimentica! Ascolto passivo L’ascolto passivo è la condizione prioritaria per un ascolto profondo: pur- troppo esistono formatori che non sono nemmeno in grado di accorgersi di che cosa sta succedendo in aula, degli atteggiamenti dei ragazzi, di quello che essi di- cono esplicitamente. Cenni di attenzione È buona norma non solo ascoltare, ma dare anche l’impressione che lo stiamo facendo: uno sguardo attento sugli occhi dell’interlocutore, qualche cenno di as- senso con il capo (non troppi però perché significano sopportazione passiva), evi- tare di guardare l’orologio o di mostrarsi spazientiti sono indicatori che aiutano ad evidenziare la nostra predisposizione anche non verbale. Espressioni facilitanti Sono piccoli interventi di riformulazione di ciò che ci è stato detto, manife- stano la nostra volontà di non fraintendere, rappresentano un modo per dare la pa- rola a chi fatica ad usare il linguaggio verbale come canale comunicativo. 179 Ascolto attivo Siamo consapevoli sulla nostra pelle che si ascolta anche ciò che non è detto e che spesso si manifesta nella postura, nel comportamento non verbale, nelle pause e nelle esitazioni. Un buon ascolto attivo dovrebbe essere capace di cogliere: - i sentimenti superficiali, - i sentimenti profondi, - i presupposti, i punti di vista, anche se non condivisi, - la modalità di vivere la relazione (il cosiddetto “performativo”). REQUISITI DELL ’ASCOLTO ATTIVO L’ascolto attivo non è solo una prassi, una tecnica, ma una modalità di essere che ci coinvolge integralmente come persone. Necessita pertanto di alcune dimen- sioni profonde che il formatore deve sentire e trasmettere in modo realmente au- tentico e trasparente. Il formatore è chiamato a: 1. avere fiducia nell’interlocutore, 2. essere capace di accettare i sentimenti profondi, 3. capire che i sentimenti sono transitori, 4. essere disposto ad aiutare gli utenti, 5. sentirsi partecipe dei problemi degli utenti senza immedesimarsi completa- mente, 6. capire che gli utenti raramente riescono a confidarsi e con fatica identificano il nocciolo del problema, 7. rispettare la privacy relativa alla comunicazione con gli utenti e con le famiglie. FUNZIONI DELL’ASCOLTO ATTIVO L’ascolto attivo è un valore comunicativo ed esistenziale ma, in aula ed in la- boratorio, è anche un metodo efficace per formare, per creare un buon clima nel corso, per dare quella rassicurazione emotiva e familiare di cui questi ragazzi hanno così bisogno. Ecco allora una rapida rassegna sul ruolo strategico di tale prospettiva relazionale. L’ascolto attivo è funzionale per: 1. fronteggiare e neutralizzare forti emozioni, 2. aiutare gli utenti a capire che non devono temere le proprie emozioni e che i sentimenti non sono nocivi, 3. favorire la risoluzione di problemi, 4. aiutare l’utente ad analizzare i suoi problemi, 5. rendere gli utenti disponibili ad ascoltare i formatori, 6. rendere possibile un rapporto più stretto e più significativo. 180 CATTIVE ABITUDINI DI ASCOLTO Non siamo perfetti però: pur consapevoli dell’importanza dell’ascolto, ci ren- diamo conto di quante volte nella nostra azione quotidiana ci lasciamo prendere dalla fretta, dalla superficialità, dalla intrusione violenta nelle vite e nelle parole dei nostri ragazzi. Per renderci più consapevoli dei nostri limiti e dei nostri errori, vediamo sinteticamente alcuni comportamenti tipici che si presentano come indici di un cattivo ascolto: 1. non lasciare il tempo di spiegarsi, 2. interrompere dopo poche frasi, 3. terminare la frase dell’utente, 4. dare all’utente l’impressione che stia parlando al muro, 5. non sorridere mai, 6. interrompere con domande e commenti fuori luogo, 7. anticipare il pensiero dell’utente, 8. respingere subito qualunque suggerimento, 9. fingere di non capire, 10. ironizzare, 11. sbirciare l’orologio. MESSAGGI IN TU ED IO Un’altra importante frontiera della comunicazione interpersonale è rappresen- tata dalla nostra modalità di comunicare: quante volte non abbiamo percepito che le nostre parole cadono nel vuoto, diventano neutro sottofondo per un’impossibilità di penetrare nelle menti e nelle coscienze? Esiste una possibilità impegnativa ed effi- cace di comunicare ed è quella di sforzarci, laddove è possibile, di trasformare le no- stre frasi, che spesso sono espresse in “tu” (ad es.: non hai mai pensato che ti devi impegnare di più? ), in proposizioni verbali tradotte in “io” (ad es.: sarei davvero molto contento di vederti soddisfatto del lavoro che facciamo). Infatti, più o meno consapevolmente, i messaggi in seconda persona inducono una sensazione di co- mando, di ordine, oltre che manifestare nell’utente l’impressione di una comunica- zione poco espressiva, poco personale e coinvolta. Non è forse vero che noi siamo ascoltati soprattutto quando parliamo in prima persona, manifestando direttamente ciò che pensiamo e vogliamo, insomma quando comunichiamo “con il cuore in mano”? Come abbiamo già trattato nella lezione “Per un incontro tra le genera- zioni”, i nostri utenti non hanno bisogno solo di “trasmettitori” o peggio ancora di “ripetitori” ma, soprattutto, vedono in noi una biografia vivente, una provocazione di senso per la loro vita. Sinteticamente i messaggi in prima persona hanno lo scopo di: 1. far capire agli studenti che cosa provoca il problema dell’insegnante, 2. esporre l’effetto concreto causato dal comportamento descritto, 3. dichiarare i sentimenti provati a causa di un comportamento rifiutato. 181 RISCHI E VANTAGGI DEL MESSAGGIO IN PRIMA PERSONA I messaggi in prima persona espongono al rischio di sentirsi rifiutati. Coinvol- gendosi, infatti, c’è il pericolo che qualcuno prenda posizione contro di noi, che noi stessi percepiamo delle resistenze o degli attriti ma i vantaggi di un’esposi- zione in “io” compensano di gran lunga i rischi, in quanto il formatore si perce- pisce come autentico, “in diretta” con le proprie sensazioni, le proprie emozioni e le proprie aspettative. Il soggetto che si espone in prima persona si assume i rischi della propria responsabilità ma vivrà anche il luogo di lavoro come un luogo vi- tale, senza finzioni, consapevole che il suo ruolo non gli viene riconosciuto unica- mente dall’istituzione ma soprattutto dalla legittimità di un rapporto vero e piena- mente umano. Enunciati del formatore Emozioni profonde e presupposti È irritante vedere gente che parla, mentre gli altri lavorano! L’insegnante di cultura generale ha davvero un bel rapporto con voi Chiudi la bocca e non dire un’altra parola! Quando qualcuno vi contraddice, diventate polemici. EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE (FRANTA H., C OLASANTI A., L’arte dell’incoraggiamento..., op. cit.) Analizza i seguenti enunciati, evidenziando emozioni e stili comunicativi non espressi dal formatore 182 Bibliografia FRANTA H., C OLASANTI A., L’arte dell’incoraggiamento. Insegnamento e personalità degli allievi, NIS, Roma 1991. FRANTA H., S ALONIA G., Comunicazione interpersonale, LAS, Roma 1990. FRANTA H., Gli atteggiamenti dell’educatore, LAS, Roma 1988. GORDON T., Insegnanti efficaci, Giunti, Firenze 1991. Situazione Tutte le possibili soluzioni e comportamenti Un corsista contesta il suo operato Vuole guadagnarsi la stima e la fiducia in un nuovo corso Segnala tutte le possibili reazioni che un formatore può attivare quando… 183 Modulo 3: LA COMUNICAZIONE ASSERTIVA RICCARDO TUGGIA Chi vuole imparare a volare, deve imparare dapprima a stare in piedi, a camminare, a correre, a saltare, ad arrampi- carsi e a danzare. Non si arriva di volo al volo. (F. Nietzsche) In questo modulo, passeremo in rassegna i principali metodi relazionali che ogni formatore, più o meno consapevolmente, utilizza in aula con i ragazzi. Ana- lizzeremo pertanto tre dei più tipici registri comunicativi, evidenziandone la di- mensione verbale e non verbale, oltre che le implicazioni e le conseguenze sugli utenti e sul clima relazionale. Tali competenze spesso vengono date per scontate, in realtà necessitano di un lungo ed affinato training che forse nessuna scuola può davvero insegnare. Essere formatori in aula significa assumere la formazione sulla propria persona, riuscendo a coinvolgere in profondità tutto noi stessi e i nostri in- terlocutori. L’arte della comunicazione si incarna pertanto in colui che comunica, nel suo stile di approccio e di relazione. A tale scopo, analizzeremo vari stili: lo stile passivo, lo stile aggressivo, lo stile assertivo. 185 PRIMA LEZIONE LO STILE PASSIVO OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ riconoscere la fenomenologia di un formatore rassegnato e sottomesso. Lo stile di comunicazione di tipo passivo è senz’altro poco conosciuto, o me- glio, scarsamente riconosciuto, tuttavia rappresenta la modalità più tipica di ap- proccio dei giovani ed inesperti formatori o di personalità piuttosto “deboli” e re- missive. La passività è una predisposizione di comportamento e di atteggiamento ma spesso, in ambito educativo, diventa una modalità per fronteggiare gli utenti, per evi- tarne spiacevoli reazioni, o addirittura può essere assunta come volontà, di per sé giu- stificabile, di dare spazio, di lasciar fare, di dare responsabilità, di non intromettersi. L’educatore passivo non si sente un perdente ma piuttosto un “buono”, nella tragica inconsapevolezza del fatto che gli utenti richiedono doti di ascolto e pa- zienza, ma esigono anche – e soprattutto – comportamenti di direzione, conduzione, accompagnamento, se non addirittura di intervento duro su comportamenti negativi. È proprio l’idea di autorità che viene meno in questo modello comunicativo, ma l’educazione è anche asimmetria, obiettivi da raggiungere, norme da rispettare, cammino da percorrere insieme… Come abbiamo visto nella lezione “Per un in- contro tra le generazioni”, il dialogo più profondo è quello generato, promosso o suscitato da personalità mature e trasparenti e un educatore che sia solo “simpa- tico” sarà alla lunga smascherato dai ragazzi e considerato da essi per ciò che vale. Lo stile passivo del formatore, apparentemente, consegue certi obiettivi: ❖ evita i conflitti: il clima apparente sarà di giovialità, cordialità, ❖ ottiene approvazione: finché non è smascherato nella sua debolezza, il forma- tore passivo crea consenso e simpatia, ❖ minor responsabilità: laddove non c’è direzione, la responsabilità è generica- mente di tutti e di nessuno, ❖ controlla i comportamenti mediante messaggi manipolativi e colpevolizzanti: mediante un ricatto affettivo-seduttivo, il formatore discute ogni problema in termini di intenzionalità, bontà, rispetto, amore, evitando così il conflitto. 186 Quando però, il rapporto di conoscenza con gli utenti si evolve, lo stile pas- sivo produce effetti quasi sempre sottaciuti tanto che, per certi versi, uno stile di questo tipo produce molti più danni in un gruppo di quello aggressivo. Le conse- guenze di fatto sono che il formatore, riconosciuto dai corsi e dai colleghi come debole: ❖ non evita i conflitti che rimangono latenti o saranno destinati ad esplodere, ❖ si sentirà impotente, fuori dai giochi veri della comunicazione, preda della fru- strazione, ❖ apparirà demotivato, ❖ la sua debolezza di ruolo produrrà inimicizie e conflitto: laddove il formatore è latitante, si genera un sotterraneo gioco di affermazione personale o di gruppo, in cui vige la legge del più forte (o del più furbo), ❖ si sentirà inibito davanti agli altri e reagirà o con rassegnazione, o con confor- mismo o con aggressività. In un ambito d’aula e di conflitto interpersonale, lo stile passivo: • provoca risentimento nel perdente • genera nel vincente egoismo, mancanza di controllo, indisciplina e caos, • non produce alto rendimento e senso morale, • induce gli utenti a non avere rispetto verso il formatore. Sul piano squisitamente comunicativo, lo stile passivo si realizza attraverso queste modalità di tipo verbale: ❖ affermazioni lunghe e ripetitive, ❖ uso di riempitivi (“forse”…), ❖ frequenti giustificazioni, ❖ offerta costante di scuse, ❖ poche affermazioni col pronome io, ❖ frasi di autocommiserazione, ❖ frequente uso del “dovrei”. 187 La passività si percepisce dal modo con cui diamo voce alle nostre rappresen- tazioni personali. Prova ad elencare alcune delle frasi più classiche di un formatore che evidenzino tale stile comunicativo, cercando di cogliere anche quale immagine di esso si formi un utente che riceva tali messaggi. EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE Bibliografia FRANTA H., C OLASANTI A., L’arte dell’incoraggiamento. Insegnamento e personalità degli allievi, NIS, Roma 1991. FRANTA H., S ALONIA G., Comunicazione interpersonale, LAS, Roma 1990. FRANTA H., Gli atteggiamenti dell’educatore, LAS, Roma 1988. GORDON T., Insegnanti efficaci, Giunti, Firenze 1991. Frase tipica del formatore passivo Impressione dell’utente 188 SECONDA LEZIONE LO STILE AGGRESSIVO OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ riconoscere la fenomenologia di un formatore autoritario e aggressivo. È comune esperienza avere conosciuto, più o meno da vicino, una persona che ricalca lo stereotipo della persona autoritaria e aggressiva. Una maestra o un vec- chio insegnante si affacciano nei nostri ricordi, se non addirittura un genitore o, più recente, un collega. Tali personalità sono apparentemente in via d’estinzione, dopo la censura psicosociale esercitata sull’autoritarismo nella seconda metà del secolo ventesimo, con la parallela affermazione della libertà e della creatività ad ogni costo. Meglio passivi che aggressivi potrebbe essere il moto di ogni formatore di tendenza. Per la verità, l’aggressività e l’autoritarismo sono ancora largamente e som- messamente presenti nelle organizzazioni, nel lavoro formativo, nei rapporti tra di- rezione e dipendenti e soprattutto nelle relazioni interpersonali con i ragazzi. Al di là di ogni censura culturale, esiste ancora oggi un vero e proprio accanimento, abuso cognitivo, su studenti ed utenti, compiuto più o meno consapevolmente da educatori che incarnano tale modello comunicativo. Si vedano i risultati sul disa- gio scolastico e formativo, si interpretino i dolorosi percorsi drop out di molti ra- gazzi e ci si renderà drammaticamente conto di quanto tale modalità sia ancora drammaticamente presente nel micro di una relazione conflittuale e nel macro di un sistema formativo che non assolve sempre il suo compito di prevenzione e pro- mozione. Il formatore autoritario ha comunque una sua interna giustificazione nella ri- cerca di ordine, chiarezza, semplicità; egli non è aggressivo per nulla; ritiene ne- cessario l’esercizio dell’autorità per perseguire i suoi scopi formativi. Ma quello che non funziona è il fatto che chi vive con lui e lo ascolta si allontana, si irrigi- disce, ha paura, si ritrae in comportamenti falsamente accondiscendenti o ulterior- mente di attacco. 189 La storia della scuola e della formazione è storia quotidiana del fallimento di ogni strategia educativa che ponga nell’autoritarismo e nella sopraffazione ciò che invece è appannaggio della condivisione interiore. Purtroppo tale stile comunica- tivo esiste: vogliamo conoscerlo per riconoscerlo negli altri… e in noi. Il comportamento autoritario dà senz’altro una grande illusione di controllo; basato sulla paura indotta nei sottoposti, ad una prima impressione esso comporta che: ❖ si ottengano risultati a breve termine, ❖ si abbia la sensazione di dominare la situazione, ❖ ci si veda forti ed apprezzati. Di fatto, però, l’immagine del formatore aggressivo risente di queste fonda- mentali percezioni dal punto di vista degli utenti : ❖ insopportabilità, ❖ perdita di autocontrollo, ❖ rapporti basati su odio e timore, ❖ sensi di colpa. Dal punto di vista della pragmatica comunicativa, il formatore aggressivo pre- senta sommariamente questa fenomenologia: ❖ uso eccessivo del pronome io, ❖ opinioni che vengono date per fatti, ❖ frasi minatorie, ❖ induzione di sensi di colpa, ❖ sarcasmo. Esistono inoltre altri indici, verbali e non verbali, che possono aiutarci a per- cepire l’aggressività anche latente o inespressa. La voce, ad esempio: ❖ molto ferma, ❖ dal tono sarcastico e freddo, ❖ concitata, stridente, acuta. L’eloquio : ❖ fluente, senza esitazioni imbarazzate, ❖ ricco di colpevolizzazioni, ❖ spesso irruente. Anche la mimica facciale spesso tradisce aggressività: ❖ il sorriso che si trasforma in ghigno, ❖ le mascelle rigide e chiuse, ❖ il viso spostato in avanti. 190 Il movimento del corpo di un formatore aggressivo, presenta le seguenti ca- ratteristiche: ❖ indice puntato, ❖ corpo proiettato verso l’altro, ❖ continuo movimento, ❖ braccia conserte, ❖ distanza ravvicinata. Tutte queste modalità di comunicazione, sia verbale che non verbale, tradi- scono una concezione del mondo e delle relazioni all’insegna della sicurezza, della semplicità, se non addirittura del semplicismo, oltre che una forte presunzione di conoscere perfettamente ciò che accade e ciò che accadrà. Sono innumerevoli gli studi che indicano una correlazione fra personalità autoritaria e pensiero semplice, polarizzato. L’autoritarismo pertanto non dipende solo dal “carattere” o da tratti più o meno focosi della personalità, quanto piuttosto da una incapacità di usare rappresentazioni sufficientemente rispettose della complessità del reale. Le conseguenze di uno stile aggressivo ed autoritario evidenziano anch’esse la spendibilità di tale relazione nell’immediato e nel contingente, ma anche la miopia notevole nel non considerare gli effetti più latenti di una comunicazione poco ri- spettosa delle persone. Tale stile si manifesta nei seguenti tratti: 1. rapido ed efficace nell’emergenza, 2. utile in presenza di molte persone, 3. provoca risentimento nel perdente, 4. il perdente si sente poco motivato, 5. richiede al vincitore un continuo aumento di imposizione, 6. genera dipendenza e mancanza di iniziativa, 7. inibisce la creatività e l’innovazione, 8. produce basso rendimento, disagio e abbandono, 9. inibisce l’autodisciplina e l’autocontrollo. 191 Si ritorni alla sezione relativa alla trattazione sul pensiero semplice e sul pen- siero complesso (area 1) e si tracci un breve identikit del formatore aggressivo ed autoritario a partire dalle caratteristiche fondamentali del paradigma “semplice” di rappresentazione della realtà. Caratteristiche del pensiero semplice Comportamenti negativi del formatore EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE Bibliografia FRANTA H., C OLASANTI A., L’arte dell’incoraggiamento. Insegnamento e personalità degli allievi, NIS, Roma 1991. FRANTA H., S ALONIA G., Comunicazione interpersonale, LAS, Roma 1990. FRANTA H., Gli atteggiamenti dell’educatore, LAS, Roma 1988. GORDON T., Insegnanti efficaci, Giunti, Firenze 1991. 192 TERZA LEZIONE LO STILE ASSERTIVO OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ intravedere i caratteri di uno stile comunicativo corretto con gli utenti. Per comunicazione assertiva si intende quella modalità relazionale di promo- zione dell’ascolto e del dialogo oltre che di sviluppo e di riconoscimento reciproco delle personalità coinvolte. Abbiamo precedentemente analizzato i pericoli mortali della relazione educa- tiva in aula: la debolezza del formatore che si traduce in uno stile passivo da un lato, e dall’altro, la presunta forza e la negazione dell’altro come caratteristiche ti- piche di uno stile autoritario ed aggressivo. In questa lezione ci occuperemo della comunicazione autentica e proficua, sempre molto semplice da descrivere, ma al- trettanto ardua e complessa nella sua concretizzazione quotidiana. Sono proprio la trasparenza, l’autenticità, la coerenza le dimensioni anche per- sonali ed esistenziali di un formatore assertivo. La sua comunicazione in aula avrà questi presupposti di fondo: ❖ il messaggio è onesto, ❖ coerente, ❖ adeguato, ❖ favorisce l’interazione. Tacitamente o esplicitamente, chi ci vede in azione dovrebbe percepire i nostri assunti di base che rappresentano anche la nostra più profonda modalità di consi- derare la persona, l’aula, la formazione. Il formatore assertivo crede e si propone di attualizzare il presupposto essen- ziale che ogni persona, anche in aula o in laboratorio, ha il diritto di: ❖ esprimere il proprio punto di vista, ❖ sentire bisogni, sensazioni e sentimenti, ❖ chiedere agli altri di rispondere ai propri bisogni, ❖ rifiutare di rispondere ad una richiesta, ❖ vivere dei sentimenti ed esprimerli, 193 ❖ commettere qualche errore, ❖ essere se stessa, ❖ essere interpellata per decisioni che la riguardano. Sul piano più operativo, il formatore assertivo ha focalizzato sulla sua pelle l’importanza strategica, e al contempo professionale ed esistenziale, che egli stesso, ma che anche ogni ragazzo/a, abbia il diritto di: ❖ fornire informazioni, ❖ esprimere opinioni, ❖ esprimere bisogni, ❖ assumere decisioni, ❖ formulare critiche e complimenti. Dal suo punto di vista, diventa un imperativo morale ma anche una chiara scelta comunicativa: ❖ richiedere informazioni, ❖ ascoltare attivamente, ❖ mostrare empatia, ❖ accettare le critiche costruttive, ❖ accettare i complimenti, ❖ mostrare flessibilità. Il formatore assertivo non bara semplicisticamente all’interno del gioco comu- nicativo; è consapevole del pericolo di assolutizzare il suo punto di vista, ma anche di enfatizzare eccessivamente il ruolo dei ragazzi; l’educazione e la formazione presuppongono l’asimmetria ma promuovono la fecondità dell’incontro e della co- educazione. Proprio per questo, il formatore che voglia fare propri i principi di una comunicazione assertiva dovrebbe riflettere sul ruolo fondamentale delle critiche, dei consigli, dei rilievi che ogni educatore deve poter muovere ai suoi destinatari. Esiste una critica distruttiva che distrugge la persona, che provoca odio e risenti- mento, ma esiste anche una critica che promuove, indica, prospetta direzioni ed ap- prendimento. La critica distruttiva ❖ è rivolta alla persona, ❖ è imprecisa, ❖ giudica, ❖ colpevolizza, ❖ chiude il dialogo. La critica costruttiva ❖ è rivolta alla prestazione, ❖ è precisa, 194 ❖ descrive, ❖ mira a migliorare, ❖ apre il dialogo. Esistono quindi molte modalità di dire “no” e “non” in educazione: ❖ il no manipolativo e seduttivo (stile passivo), ❖ il no secco ed inappellabile (stile aggressivo), ❖ il no empatico (capace di prendersi cura delle emozioni inespresse e pro- fonde), ❖ il no ragionato (che pone il dialogo come negoziazione, come faticosa ma ine- sausta capacità di dare ragione e senso alle scelte che noi compiamo). Vediamo ora in modo più diretto e sistematico quali siano le caratteristiche fondamentali di una prassi comunicativa di tipo assertivo: ❖ affermazioni concise e chiare, ❖ uso di “io” e di “mi piacerebbe”, ❖ distinzione fra fatti e opinioni, ❖ suggerimenti non costrittivi, ❖ nessun imperativo, ❖ critica costruttiva, ❖ domande di comprensione, ❖ proposte di strategie di problem solving. Anche dal punto di vista esteriore la comunicazione assertiva traspare a livello verbale e non verbale. La voce, ad esempio: ❖ ferma ed espressiva, ❖ tono intermedio, ❖ chiara e calda. L’eloquio : ❖ fluente, con pause di riflessione, ❖ con accentazione dei punti di contatto, ❖ costante, senza cambiamenti eccessivi dovuti all’umore. La mimica facciale: ❖ sorrisi in presenza di eventi positivi, ❖ collera espressa visibilmente ma in modo razionale, ❖ mascelle rilassate. Il movimento del corpo: ❖ movimenti delle mani aperte ed invitanti, ❖ postura rilassata, ❖ distanza adeguata al tipo di rapporto. 195 Le conseguenze sugli utenti saranno, tra l’altro: • assenza di risentimento: non c’è aggressività o rivalsa sugli utenti ma com- prensione critica e accompagnamento; • creatività e pensiero divergente: un ambiente sereno e accogliente è il terreno più fertile perché ciascuno si senta libero di esprimersi, di provare e riprovare, di sbagliare, di imparare, • azione di convincimento meno invasiva: il formatore non deve sedurre o im- porre, ma diventa “testimonianza vivente”, anche se imperfetta, di una comu- nicazione autentica e di una professione vissuta con passione e serietà; quegli utenti avranno fatto l’esperienza vitale e rigeneratrice che, in fondo, la vera formazione è il formatore. L’assertività presuppone quindi una saggia, razionale ed empatica considera- zione dell’altro, ma rimanda contemporaneamente ad un’analisi attenta di ciò che noi siamo come formatori, come uomini e donne a nostra volta in formazione. Questo stile comunicativo diventa infatti anche modo di essere, concezione della persona e degli altri, scelta strategica ed esistenziale insieme. Chi assume questo paradigma si mette necessariamente nella situazione difficile, ma vincente, di non dovere dimostrare nulla: non deve dimostrare di sapere di più, di essere forte, di essere perfetto, di essere inattaccabile da chiunque; accetta la logica del dialogo e del confronto, ha una sua direzione da proporre e non da imporre, testimonia sulla sua pelle che vuole continuamente imparare e crescere, è disposto a cambiare, anche se non a qualunque costo. Il formatore assertivo crede nella gradualità, nel- l’imperfezione, nell’entusiasmo e nella volontà, ma accetta in profondità il senso profondo del conflitto, dello scacco, dell’incomprensione. Lo stile assertivo pertanto comunica di per sé un’opzione fondamentale, più che mai cristiana e salesiana: l’accettazione incondizionata di tutti ed un pensiero non ingenuamente positivo, capace di suscitare educazione a partire da qualsiasi comportamento. EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE Al termine della lezione, il lettore proponga un intervento formativo ipotetico (o reale?) da strutturarsi nel suo CFP, per i suoi colleghi, sulle tematiche della co- municazione. Si evidenzi la consequenzialità del percorso, creando 5 titoli di even- tuali contributi da chiedere ad esperti come supporto formativo del personale sulle dinamiche relazionali e sugli stili di lavoro con gli utenti. È questo un itinerario im- maginario forse, ma che può raccogliere i bisogni dei ragazzi e le necessità più ine- spresse dei formatori. Se lo si desidera si possono pensare più percorsi per diversi destinatari (dirigenti, salesiani, nuovi formatori, genitori…ecc…). 196 Bibliografia FRANTA H., C OLASANTI A., L’arte dell’incoraggiamento. Insegnamento e personalità degli allievi, NIS, Roma 1991. FRANTA H., S ALONIA G., Comunicazione interpersonale, LAS, Roma 1990. FRANTA H., Gli atteggiamenti dell’educatore, LAS, Roma 1988. GORDON T., Insegnanti efficaci, Giunti, Firenze 1991. Sull’insegnante assertivo, cfr. anche: Psicologia e scuola, nn. 92, 93, 94, 95 (1999) e il seguente sito: http://www.amicucciformazione.com/perle/comuninterna/comunicass.htm. Titolo del corso Lezione 1 Lezione 2 Lezione 3 Lezione 4 Lezione 5 197 AREA TEMATICA 4 LA PROGETTAZIONE FORMATIVA GIUSEPPE TACCONI Modulo 1: PROGETTARE NELLA FORMAZIONE La formazione è un processo complesso che comprende varie fasi: analisi delle esigenze formative, definizione degli obiettivi, progettazione didattica, pro- gettazione di dettaglio (programmazione), attività di realizzazione, controllo, valu- tazione dei risultati. Lo schema classico per descrivere un processo formativo è quello del pro- cesso circolare che comprende: 1. analisi dei bisogni/esigenze formative, 2. progettazione dell’intervento, 3. attuazione, 4. valutazione dei risultati. Di seguito vogliamo soffermarci sulla fase della progettazione, che si situa a valle dell’analisi dei bisogni e a monte della realizzazione dell’intervento forma- tivo, offrendo anche alcuni strumenti per la progettazione di dettaglio di singole Unità didattiche. Riserviamo al modulo successivo un approfondimento su alcuni modelli di- dattici. 199 PRIMA LEZIONE LA PROGETTAZIONE NEL PROCESSO FORMATIVO OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ collocare la progettazione all’interno del ciclo della formazione; ❏ conoscere le caratteristiche principali di un progetto formativo; ❏ utilizzare strumenti funzionali al riconoscimento di indicatori di qualità di un progetto for- mativo. ESERCITAZIONE DI APERTURA Prova a pensare ad una unità di lavoro che hai realizzato con gli alunni di un corso. Prova ad esporre in forma narrativa e con ricchezza di particolari descrit- tivi tutto ciò che è avvenuto, dalla progettazione fino alla realizzazione e alla veri- fica (compresa) dell’unità didattica in esame: le azioni che i soggetti interessati hanno compiuto per programmarla, predisporla, realizzarla, verificarla... È ri- chiesta una sorta di diario di bordo, un suo spaccato relativo ad una sola unità di- dattica. Potremo così elaborare del materiale vivo, raccolto sul campo, su cui ap- plicare le acquisizioni di questo modulo. 1. INQUADRAMENTO GENERALE La formazione non è solo erogazione ma anche progettazione e questa non è qualcosa che si possa fare o non fare. Qualunque formatore, per il fatto che intera- gisce con degli altri soggetti, in qualche modo, progetta, almeno istintivamente, in- tuitivamente: parte da dati (i soggetti che ha davanti, i contenuti…), sviluppa delle idee, che muovono delle azioni che interagiscono sui dati di partenza trasforman- doli. Si tratta di vedere come compiere un’azione progettuale in modo razionale e mirato. Un progetto infatti non è una semplice intenzione, un pio desiderio, o addi- rittura un appesantimento burocratico, ma un impegno responsabile verso un risul- tato che si prevede: il raggiungimento di obiettivi formativi. “L’attività progettuale è un processo intenzionale, razionale (cioè dotato di 200 senso specifico) e tendenzialmente orientato allo scopo; è inoltre un insieme più o meno fortemente strutturato di azioni finalizzate (e quindi una forma di organizza- zione), il cui svolgersi – in un campo di risorse, vincoli ed opportunità – è caratte- rizzato e al tempo stesso condizionato dall’intreccio continuo di strategie artico- late”1. Il processo di progettazione dell’azione formativa può essere schematizzato anche secondo una successione di passi che, è importante sottolinearlo, disegnano anch’essi un percorso circolare2: Primo passo: confrontando le finalità formative dell’istituzione interessata, o della comunità educativa, con la condizione effettiva dei soggetti in formazione, individuare le priorità da dare all’azione formativa e individuare i livelli di crescita personale che rappresentano un progresso effettivo per il soggetto in formazione. Secondo passo: definire con sufficiente chiarezza gli obiettivi formativi che si vogliono raggiungere, in maniera che essi siano condivisi dalla comunità educativa e possano costituire un riferimento utile alla valutazione regolativa dell’azione for- mativa e finale dei suoi risultati. Terzo passo: sulla base del repertorio di dispositivi educativi e di possibili atti- vità formative conosciuti e disponibili, elaborare un percorso o itinerario educativo diretto al conseguimento degli obiettivi definiti e articolato secondo attività forma- tive sufficientemente definite nelle risorse da utilizzare e nei dispositivi da valoriz- zare. Quarto passo : programmare in maniera più puntuale tempi, modi, iniziative, uso di risorse fisiche, economiche e personali, clima ed modalità di relazionarsi, tempi e modi di verifica, al fine di attuare il progetto in maniera valida ed efficace. Quinto passo : individuare il ruolo e le forme della valutazione iniziale, con- tinua e finale nel contesto del progetto formativo. L’importante è che il formatore acquisisca un atteggiamento mentale proget- tuale. 2. LE CARATTERISTICHE DI UN PROGETTO Presentiamo una serie di caratteristiche che un progetto formativo dovrebbe possedere per essere efficace. Check-list sulle caratteristiche di un progetto 3. 1 LIPARI Domenico, Progettazione e valutazione dell’attività formativa, Ed. Lavoro, 1997, pp. 70-71. 2 Cfr.: PELLEREY Michele, Educare. Manuale di pedagogia come scienza pratico-progettuale, LAS, Roma 1999, p. 103. 3 Cfr.: LIPARI Domenico, Progettazione e valutazione dell’attività formativa, op. cit. 201 1. CONTESTUALIZZAZIONE: un progetto deve innanzitutto essere sempre contestualizzato, fare costante riferimento alla situazione concreta. 2. FATTIBILITÀ: un progetto deve essere sottoposto ad un esame / analisi di fat- tibilità che segue tutte le fasi del progetto. Bisogna infatti distinguere i pro- getti dai sogni, dalle utopie. 3. SCELTE RICORSIVE: un progetto è costituito da una serie di scelte ricorsive, tra loro collegate. Questo significa che ogni fase del progetto richiede di con- siderare le tappe precedenti e quelle successive: ogni decisione influenza in- fatti le altre. 4. OBIETTIVI, STRUMENTI, MEZZI, METODI: un progetto indica obiettivi, ma anche mezzi e strumenti per arrivarci. Li contiene o a livello strategico o a livello operativo (a seconda che si tratti di macro- o di microprogettazione). 5. Un progetto contiene l’indicazione delle RISORSE a cui è possibile attingere. 6. Un progetto deve prevedere TEMPI e SCADENZE entro cui deve essere rea- lizzato. 7. Un progetto comprende la definizione di punti di VERIFICA e di CON- TROLLO. Il controllo permette di intervenire sul processo prima che avven- gano errori o problemi. 8. Un progetto ha dei RESPONSABILI. Un progetto che non individua respon- sabili delle varie fasi non è un progetto, non sta in piedi, si blocca. 9. Progettare e valutare sono momenti concomitanti, inscindibili. La VALUTA- ZIONE, infatti, va fatta rispetto agli obiettivi, al costo, alla fattibilità, alle scelte di connotazione.... Ogni progetto deve contenere al suo interno i cri- teri/parametri di valutazione. 10. Un progetto deve contenere gradi di FLESSIBILITÀ e prevedere TOLLE- RANZE. 11. Un progetto deve contemplare infine delle CONTINGENZE, contenere dei piani di contingenza, cioè prevedere possibili variabili che possono mutare nel corso del progetto stesso. 3. PROGETTARE NELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE Una volta che si dispone del progetto, l’attività formativa deve essere pro- grammata e PROGRAMMARE significa scegliere in dettaglio obiettivi, contenuti, metodi e garantire la coerenza tra tutti questi elementi. Più precisamente, programmare significa: ➢ scegliere le strategie (lezione o esercitazione, giorno o sera, orario...), ➢ scegliere i contenuti (cognitivi, operativi, euristici, relazionali...), ➢ articolare i contenuti in sequenze, ➢ definire l’articolazione dei moduli e delle unità didattiche, ➢ scegliere le metodologie e i dispositivi didattici, ➢ definire i tempi, 202 ➢ stabilire il giusto setting formativo (fa parte del setting, ad esempio, la siste- mazione fisica dell’ambiente, o la scelta di un’aula al posto di un’altra; ma il setting riguarda anche la relazione da stabilire tra le persone, la disposizione, la scelta, ad esempio, di costituire gruppi omogenei o eterogenei...), ➢ definire la modalità di verifica/valutazione dei risultati. La struttura di un progetto formativo si articola in aree. Le aree, a loro volta, si dividono in moduli e questi in Unità Didattiche. Per la programmazione dell’U.D., può essere utile utilizzare uno schema del tipo di quello che segue. Programmazione dell’Unità didattica (U.D.) :_________________________ Utenti: Riferimento al progetto nazionale (lezione 3) PROGETTI AREE MODULI UNITÀ DIDATTICHE AREA: MODULO UNITÀ U.D. Data DURATA: FORMATIVA …………… Obiettivi formativi: al termine dell’unità didattica, gli allievi dovrebbero es- sere in grado di... • • • • passaggi Attività del Supporti Attività dei Sussidi Tempo Note didattici docente discenti 203 Riferimenti all’esperienza pratica:___________________________________ Modalità di verifica:______________________________________________ Per l’utilizzo corretto della griglia, si possono fare alcune osservazioni: ➢ È importante che gli obiettivi siano definiti in modo esplicito e chiaro, in ter- mini di apprendimento (“al termine dell’unità didattica, gli allievi dovrebbero essere in grado di...”). Essi inoltre andrebbero riferiti alle varie aree del pro- getto nazionale e ai risultati là previsti. ➢ I “passaggi didattici” sono i momenti in cui è scandita l’unità didattica. Per alcuni “passaggi” saranno previste sia attività del docente sia attività dei di- scenti, per altri, solo attività del docente, per altri, solo attività dei discenti. ➢ Occorrerà ordinare i contenuti in sequenze ragionate secondo la logica del- l’apprendimento. ➢ Riguardo al metodo, c’è la tentazione di ritenere che l’esposizione dei conte- nuti in lezioni frontali (anziché il ricorso ad esercitazioni e all’utilizzo di sup- porti visivi ed audiovisivi) consenta la migliore utilizzazione del tempo: il che può magari essere vero dal punto di vista della docenza, ma non lo è invece dal punto di vista dell’apprendimento da parte degli allievi. È importante per- tanto che la programmazione preveda ciò che i vari soggetti faranno nel pro- cesso di apprendimento e che gli allievi siano coinvolti in modo attivo e tale da prendere in esame le esperienze da loro vissute sia dentro che fuori il Centro di formazione. ➢ La voce “supporti” si riferisce a quelli che il docente si propone di preparare e utilizzare per sé (scalette, trasparenti, schemi, immagini, ecc.). ➢ La voce “sussidi” riguarda invece quelli che il docente si propone di prepa- rare e mettere a disposizione degli allievi (esercizi, casi, dispense, formulari, questionari, ecc.). ➢ La voce “tempo” consentirà (o richiederà) di calibrare o ricalibrare i diversi passaggi in modo che rientrino nel tempo previsto per l’unità didattica. ➢ La voce “note” servirà a evidenziare eventuali cautele, punti nodali, criticità, ecc. per i passaggi in cui si prevede che possano presentarsi. ➢ Sarà importante infine stabilire la connessione tra il momento d’aula e i mo- menti laboratoriali e l’esperienza pratica dei partecipanti. ➢ Dopo la programmazione didattica del modulo e la programmazione di detta- glio delle unità didattiche in cui si articola e dei relativi metodi, è possibile in- dividuare: - su quali contenuti centrare la verifica e il feedback, - come e quando e con quali metodi e strumenti effettuare tale verifica e for- nire il relativo feedback. 204 Esercizio n. 1 Prova a riferirti all’Unità didattica che hai richiamato alla memoria nell’eser- citazione di apertura o ad un’altra Unità che hai potuto già realizzare. Prova ad in- serire l’unità didattica nella griglia proposta eventualmente allegando i relativi ma- teriali. Esercizio n. 2 ELEMENTI DI EFFICACIA DI UN PROGETTO FORMATIVO Sono qui di seguito elencate alcune caratteristiche che un progetto educativo dovrebbe possedere. Sulla base della tua esperienza, prova a fare una graduatoria di tali caratteristiche in ordine di importanza ai fini dell’efficacia del progetto. ❏ Individua in modo preciso i responsabili delle varie azioni di cui si articola ❏ Viene comunicato agli allievi che vi sono implicati ❏ Definisce gli obiettivi formativi prioritari in modo preciso ❏ Definisce le opzioni metodologiche ❏ Prevede i rischi potenziali e le minacce che possono compromettere il risultato ❏ Include la definizione dei criteri di misura del raggiungimento dei suoi obiet- tivi ❏ Esprime esplicitamente le connessioni con il piano nazionale ❏ Indica gli apporti delle diverse discipline necessari per la sua realizzazione ❏ Contiene le opportunità di arricchimento e personalizzazione dei percorsi indi- viduali ❏ Indica chiaramente quali sono i punti critici di verifica / controllo in itinere ❏ Precisa tempi e scadenze delle diverse tappe ❏ Tiene nel dovuto conto il punto di partenza degli allievi e della classe ❏ Contiene modalità di autovalutazione da parte degli allievi, meccanismi di feed-back ❏ Considera impegnativi per i docenti sia gli obiettivi complessivi, sia quelli specifici a loro affidati ❏ Collega i suoi obiettivi con i bisogni, gli interessi e le motivazioni dei discenti ❏ Tiene conto dei tempi necessari per la realizzazione ❏ Consente l’apporto creativo e l’attività di problem solving dei discenti ❏ Utilizza al massimo tutte le risorse per l’apprendimento disponibili nel con- testo ❏ Pur con un certo realismo, si pone obiettivi ambiziosi. EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE 205 SECONDA LEZIONE SPAZI, TEMPI E SOGGETTI NELLA PROGETTAZIONE OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ descrivere le implicazioni di una considerazione attenta di tempi e spazi nella progettazione formativa, ❏ individuare nella cooperazione tra colleghi il punto di partenza di ogni progettazione efficace. La programmazione delle azioni e delle attività formative dovrà essere svilup- pata tenendo conto dei tempi, degli spazi, anche di quelli umani, dei vincoli e delle risorse presenti. Considerare la dimensione temporale comporta, da parte del formatore: - la consapevolezza che un itinerario formativo è un processo che si distende nel tempo e deve aderire ai personali processi di crescita e agli stili cognitivi degli alunni; - l’attenzione a non piegare la didattica alle esigenze di un tempo “diviso”, fran- tumato tra aula e laboratorio, insegnamenti teorici ed insegnamenti pratici, e non “condiviso”, costruito unitariamente, capace di integrare i dati dell’espe- rienza e i saperi disciplinari; - l’esigenza di programmare bene i tempi nell’ambito dell’unità formativa; - l’esigenza di variare metodologie anche nell’ambito di una sola ora di lezione. La dimensione spaziale, soprattutto per quanto riguarda lo spazio dei rapporti e delle interazioni educative, implica innanzitutto la predisposizione di un clima affettivo-relazionale positivo (Cfr.: Area 3). Ma assume una sua importanza parti- colare anche la qualità degli spazi fisici. Spazio umano e spazio fisico costitui- scono infatti il contesto nel quale avvengono apprendimento e formazione e contri- buiscono alla qualità dell’esperienza soggettiva che formatori e formandi vivono quotidianamente nel Centro di formazione professionale. LA PROGETTAZIONE FORMATIVA COME IMPRESA COLLETTIVA Il proposito di fornire un servizio formativo di qualità, capace di motivare gli allievi richiede, da parte dei formatori, l’assunzione collettiva dell’impresa. 206 Il coordinamento non va visto solamente come strumento al servizio degli utenti o dell’organismo di formazione. Esso consente una serie di “guadagni” piut- tosto interessanti proprio in ordine ai problemi di motivazione spesso indicati rela- tivamente ai formatori. Mentre l’approccio individualistico lascia il formatore sostanzialmente da solo, spesso annichilito di fronte ai concreti problemi di gestione del gruppo in for- mazione, che il formatore considera solo “suoi”, il lavoro coordinato comporta la condivisione dei problemi, quindi un senso di appartenenza e rassicurazione e maggiori possibilità di attivare una gestione sinergicamente efficace. Inoltre, la formazione è in sé ricerca e sperimentazione. Ma da soli si è poco stimolati: senza discussione, rapidamente ci si adagia nella routine e ci si burocra- tizza. Recuperare il confronto tra colleghi Il confronto – asimmetrico – con i soli utenti è inevitabilmente riduttivo; va recuperato il confronto simmetrico, tra pari, con i colleghi, capace di porre solleci- tazioni adulte ed impegnative, nel senso del riconoscimento reciproco, quindi della crescita propria e di tutti. Il CFP può diventare un ambiente interessante e stimo- lante sul piano professionale se i formatori sapranno rimettersi a lavorare (anche) insieme, su ipotesi e programmi di lavoro comuni. Il lavoro coordinato è indispensabile Senza lavoro coordinato – che significa diagnosi condivise e strategie di azione concordate – nemmeno il problema della motivazione degli allievi può es- sere preso in considerazione. Interventi, anche generosi, in ordine sparso e quindi scollegati e facilmente contradditori, acuiscono le crisi, invece di risolverle. Se i formatori escono dalle chiusure individualistiche e si rendono disponibili a lavorare significativamente insieme, in modo strutturato, contribuiscono ad ac- crescere la motivazione degli allievi, ma anche la propria motivazione. Non si tratta dunque (solo) di altruismo; lavorare insieme è una modalità: • da un lato per non trovarsi da soli ad affrontare i problemi piccoli e grandi del- l’attività formativa e quindi farli diventare sopportabili, condividendoli; • dall’altro e al tempo stesso, per rimettere in gioco gli interessi, le competenze, per riprendere il gusto del progettare, del mettersi in discussione, in ultima analisi, per riappropriarsi del proprio mestiere continuamente rinnovato, quindi per rimotivarsi da sé, “dal di dentro”, aiutati in questo dal lavorare in- sieme a ricostruire il senso delle attività di tutti i giorni. Le contropartite estrinseche, in particolare quelle economiche, non vanno certo sottovalutate, ma si farebbe torto ai formatori se si riducesse solo ad esse il loro problema motivazionale. 207 Il lavoro coordinato è il punto di partenza prioritario Il lavoro coordinato è pertanto il fattore indispensabile della qualità nella for- mazione professionale e della motivazione degli allievi. L’attuazione e il consoli- damento del coordinamento del lavoro dei formatori può essere proposto come il punto d’attacco prioritario, condizione probabilmente non sufficiente ma certo ne- cessaria per affrontare l’insuccesso e perseguire davvero il successo formativo degli allievi, che è il fine istituzionale della FP. Ma una volta individuati sul piano logico-argomentativo da una lato le esi- genze, dall’altro i vantaggi per il CFP, gli studenti e i formatori, il lavorare insieme deve poi tradursi in prassi e comportamenti effettivamente sviluppati in termini di ordinarietà, resa possibile dall’individuazione di spazi, di percorsi operativi prati- cabili e di procedure comportamentali istituzionalmente formalizzate, come base per la leva motivazionale in genere più potente, che consiste nel riconoscimento del merito individuale. In tutto questo, diventa importante partire da ciò che già esiste come possibi- lità (realizzabilità di momenti e spazi comuni…) e alimentare uno sguardo posi- tivo. Infatti, forse è anche questione di punti di vista (il solito bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno): “laddove si tende a sottolineare che le cose vanno male si agisce meno per migliorare, mentre laddove si tende a sottolineare gli aspetti per cui le cose vanno bene si agisce di più per innovare e cambiare in meglio” (Bru- scaglioni). 208 TERZA LEZIONE IL PROGETTO NAZIONALE DEL CNOS-FAP OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ descrivere correttamente l’impianto generale e le finalità del progetto per la formazione ini- ziale del CNOS-FAP nazionale; ❏ definire il concetto di competenza su cui è costruito il progetto; ❏ esplicitare le caratteristiche del modello di riferimento adottato dal progetto; ❏ elencare le caratteristiche della metodologia formativa proposta. 1. LE ISTANZE DA CUI PARTE L’ELABORAZIONE DEL PROGETTO PER LA FORMA- ZIONE PROFESSIONALE INIZIALE Il progetto che si presenta in questo capitolo è legato alla legge 144 del 1999, la legge che, all’articolo 68, ha introdotto l’obbligo di frequenza delle attività for- mative fino al 18° anno di età. Il progetto tuttavia in questo momento è in revi- sione a seguito dell’approvazione della riforma complessiva del sistema educativo di istruzione e di formazione (legge 53 del 2003). In questa lezione ci soffermeremo ad esporre il progetto per l’obbligo forma- tivo nei suoi aspetti metodologici, didattici e contenutistici, inserendo, alla fine del capitolo, alcune note che ne delineano le principali modifiche. La conoscenza del progetto per l’obbligo formativo è comunque utile e giustificata dal fatto che i cambiamenti introdotti dalla legge 53/03 sono soprattutto di carattere ordinamen- tale. L’impianto metodologico, didattico e contenutistico, specifico della Forma- zione professionale iniziale, entra a pieno titolo, infatti, anche nel nuovo percorso formativo. Il progetto è stato scritto dal CNOS-FAP e dal CIOFS-FP nel 2000 a seguito della legge 144/99 e si proponeva come “sperimentazione” di un nuovo percorso di formazione iniziale perché “nuova” era la proposta indicata dalla legge rispetto alla normativa precedente. 209 Il nuovo sottosistema formativo riformato aveva le seguenti caratteristiche: a) era rivolto a giovani che hanno assolto l’obbligo di istruzione (ma pure per giovani soggetti a obbligo formativo che abbandonano il percorso scolastico e formativo e che non sono impegnati in alcun rapporto di lavoro o di apprendi- stato); b) era caratterizzato in senso formativo e non addestrativi, tale da favorire una piena e completa formazione della persona dotandola di una adeguata base culturale; c) era indirizzato alla acquisizione (un periodo biennale) di una qualifica profes- sionale spendibile nel mercato del lavoro e quindi secondo un approccio pro- gettuale per competenze e non scolastico; d) era sviluppato tramite una programmazione modulare per cicli con certifica- zioni che costituiscono titolo valido per il passaggio al ciclo successivo e cre- dito formativo per passare all’istruzione superiore ed all’apprendistato; e) privilegiava una metodologia attiva volta a valorizzare e sviluppare esperienze concrete della vita giovanile e del mondo lavorativo; f) era strutturato nell’ambito di un sistema regionale organico secondo i criteri della qualità, che comprenda metodologie comuni in tema di coordinamento, progettazione, standard formativi, sistema informativo, valutazione, gestione dei crediti e dei passaggi tra i diversi canali dell’obbligo formativo. Alla luce dell’Accordo Stato – Regioni del 2 marzo 2000 si prevedevano inoltre: • moduli di accoglienza comprensivi di un servizio per l’accertamento di cono- scenze, capacità e competenze acquisite e per il riconoscimento di eventuali crediti formativi, da predisporre in fase di ingresso ed in ogni momento in cui si attivano passerelle; • misure di accompagnamento volte a favorire l’inserimento professionale dei giovani tenendo conto delle peculiarità occupazionali locali; • percorsi formativi personalizzati, anche con moduli e servizi di sostegno ad hoc, attenti alla specificità del soggetto con particolare riferimento alle esi- genze dei soggetti portatori di handicap; • “passerelle” per coloro che provenivano dal sistema scolastico superiore o dal canale dell’apprendistato e viceversa, dal predisporre in ogni momento del percorso formativo; • moduli propedeutici per offrire una formazione specifica a coloro che hanno bisogno di azioni di rimotivazione ed un apprendimento per esperienze; • un’offerta formativa successiva alla qualifica, la specializzazione, in coerenza con la continuità formativa; • un sistema di valutazione della qualità dell’offerta formativa erogata e perce- pita nei suoi esiti da parte degli organismi formativi. 210 2. LE FINALITÀ SPECIFICHE DEL PROGETTO Le finalità del progetto, che si collocava nella prospettiva di integrare l’ob- bligo formativo e l’obbligo scolastico e di introdurre nei Centri della Federazione la prassi dell’Orientamento, della valutazione e dell’azione del tutor, erano così delineate: • realizzare progressivamente una sperimentazione riguardante il percorso del nuovo obbligo formativo nel sistema della formazione professionale regio- nale; • creare un’esperienza formativa nella famiglia salesiana che sappia porre le basi di una nuova stagione della formazione professionale; • sperimentare per il CNOS-FAP e per il CIOFS-FP, su tale ambito specifico, un modello di formazione professionale dotato di indicatori della qualità forma- tiva, da estendere progressivamente ai diversi ambiti; • sperimentare su tale ambito specifico un modello di accreditamento interno, da estendere progressivamente ai diversi ambiti fino a delineare il modello di accreditamento del Centro polifunzionale dei servizi formativi. 3. IL MODELLO DI RIFERIMENTO Il progetto individuava innanzitutto delle figure professionali,rifacendosi ai sistemi correnti di analisi e standardizzazione delle figure professionali (Excelsior, OBNF, ErgonLine, Isfol, Unione Europea…). Per ogni figura professionale erano indicati degli standard di apprendimento che definivano, in pratica, gli obiettivi educativi e formativi che dovevano guidare la progettazione del percorso. Gli standard erano articolati in • saperi di base, comprendenti, oltre ai “minimi formativi” (leggere, scrivere, far di conto), anche le nuove necessità (informatica, economia/amministra- zione, cultura sociale); • competenze, distinte in “specifiche” e “trasversali” (competenze comuni ai differenti processi di lavoro); • capacità personali, ovvero caratteristiche proprie della persona (significative e rilevanti in relazione al suo processo di maturazione specie nell’età evolu- tiva) e quindi non “oggettivabili” ma legate sostanzialmente alla proposta for- mativa nel suo insieme, e quindi assolutamente da non ridurre a discipline/ma- terie/aree. Per l’acquisizione dei saperi di base, delle competenze e delle capacità perso- nali, erano previste delle unità formative, specificate per cicli formativi. Per ogni unità erano specificati obiettivi, risultato atteso, contenuti, contenuti, prerequisiti, modalità formativa, modalità di valutazione. 211 In sintesi, ogni unità formativa (unita al graduale inserimento nell’attività professionale con relativa esperienza) doveva permettere di raggiungere deter- minati standard di apprendimento richiesti da una specifica figura professio- nale. L’esito di questo processo era il credito formativo. 4. L’ORGANIZZAZIONE E LA METODOLOGIA FORMATIVA Il progetto intendeva perseguire un approccio peculiare della formazione pro- fessionale, centrato sulla scoperta e sull’aiuto alla realizzazione del progetto perso- nale di ogni destinatario intorno ad una identità lavorativo-professionale e sulla base di una proposta educativo-formativa. Questo significava che il progetto si discostava sia da modelli centrati solo sui contenuti sia da modelli di tipo addestrativo. Le competenze che il progetto si proponeva di far maturare erano la piena pa- dronanza della persona rispetto ai saperi, alle tecnologie ed ai processi dell’ambito lavorativo di riferimento. I saperi di base non erano dunque da intendere come aree a sé stanti, ma come risorse per la formazione nella persona di competenze (personali, lavorative e so- ciali). Le capacità personali non erano intese come disciplina né materie ma risulta- vano dalla vita complessiva del Centro e dalla piena espressione della proposta formativa dell’Ente. In questo senso, il progetto prevedeva una forte e sostanziale circolarità di sa- peri, competenze e capacità personali. Per essere realizzato, il progetto richiedeva pertanto il ricorso ad una metodo- logia operativa ➢ attiva, ➢ centrata sulle competenze, intorno alle quali realizzare nuclei di apprendi- mento comprendenti saperi, abilità e capacità, ➢ che valorizzasse l’esperienza dei destinatari come entità centrale del processo di apprendimento, ➢ imperniata sul metodo induttivo per ricerca e scoperta, ➢ attenta agli ostacoli tipici che i destinatari incontrano, ➢ che cercasse di avvicinare il più possibile le materie di area culturale con quelle di area tecnico-professionale, ➢ volta a creare un clima relazionale cordiale e amichevole e a stimolare in ogni persona l’espressione delle proprie potenzialità, secondo l’approccio della pe- dagogia del successo. Dal punto di vista del curricolo, il modello formativo adottato prevedeva una impostazione modulare 212 ➢ articolata in cicli formativi secondo la vigente legislazione, ovvero quattro cicli di non più di 600 ore ciascuno (durata massima di 2.400 ore); ➢ centrata sul destinatario (personalizzazione) e non sul Centro; ➢ imperniata sui “nuclei di apprendimento” consistenti composti da un’area omogenea di competenze, conoscenze e capacità personali; ➢ con aree didattico-formative accorpate, evitando frammentazioni; ➢ con un quadro orario flessibile e mutevole, pur all’interno di un percorso for- mativo fortemente unitario; ➢ che privilegiava nel primo anno l’area culturale, compatibile con il percorso secondario superiore, in vista di eventuali passaggi – passerelle; ➢ dotata di flessibilità (15% delle ore del curricolo) per realizzare attività forma- tive finalizzate alla personalizzazione del percorso: recuperi, approfondimenti, accompagnamenti; ➢ che prevedeva, prima dell’avvio del percorso, moduli di orientamento per stu- denti che frequentano l’ultimo anno dell’obbligo scolastico, in collaborazione con le rispettive scuole di iscrizione e/o con gli sportelli territoriali di orienta- mento; ➢ che avviava il percorso con un modulo di orientamento ed accoglienza com- prensivo di un servizio per l’accertamento di conoscenze, capacità e compe- tenze acquisite e per il riconoscimento di eventuali crediti formativi; ➢ che attuava, a conclusione di ciascun ciclo, la certificazione delle acquisizioni dei destinatari con valore di titolo di accesso ai cicli successivi e credito per il passaggio a cicli diversi o per la transizione nel sistema di istruzione o nell’e- sercizio dell’apprendistato; ➢ che inseriva anche lo svolgimento di attività motorie in convenzione con strut- ture sportive del territorio; ➢ che inseriva diverse tipologie di stage / tirocini: orientativo, formativo, di pre- inserimento lavorativo; ➢ che prevedeva un sistema di valutazione. Negli anni successivi all’introduzione dell’obbligo formativo in Italia sono state introdotte due nuove riforme: la riforma del Titolo V della Costituzione (legge 3/01) e la riforma del sistema educativo di Istruzione e Formazione nel suo complesso (legge 53/03). Le principali ricadute sul tema che stiamo affrontando sono state le seguenti: • La prima questione riguarda l’abrogazione della legge 9 del 20 gennaio 1999, che aveva elevato di un anno l’obbligo di istruzione rispetto a quello costitu- zionale (art. 34 della Costituzione). Ciò significa che immediatamente si ri- torna a quell’obbligo di istruzione della durata di otto anni, coincidente con la licenza media. I ragazzi che hanno acquisito tale titolo, non saranno più obbli- gati ad iscriversi al primo anno di una qualsiasi scuola secondaria superiore. • Chi ha conseguito la licenza media è sottoposto, in secondo luogo, al nuovo “diritto-dovere di istruzione e di formazione” per almeno dodici anni o, co- 213 munque, sino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di età (quindi anche a diciassette anni, ma non prima). Tale dovere è legislativa- mente sanzionato. Ma tale diritto-dovere obbliga anche le Regioni e le Pro- vince autonome a non predeterminare l’offerta ma a rispondere alle preferenze degli utenti. • I quattordicenni possono accedere direttamente alla Formazione Professionale nel percorso triennale che consente anche la continuazione diretta verso il di- ploma di formazione (un anno) e successivamente verso il diploma di forma- zione superiore (da uno a tre anni), in una prospettiva di “filiera formativa”. Ciò rende immediatamente obsoleto il percorso biennale classico, poiché non presenta le caratteristiche necessarie a garantire un percorso “verticale” a ca- rattere progressivo. • L’attuazione di tale diritto si realizza secondo livelli essenziali di prestazione definiti su base nazionale a norma dell’articolo 117, secondo comma, lettera m della Costituzione. Anche i pochi cenni sono sufficienti per mettere in evidenza i lineamenti del nuovo scenario della formazione professionale: un percorso che inizia a 14 anni e termina a 21, articolato in tappe scandite dal rilascio di titoli: la qualifica profes- sionale dopo il primo percorso di durata triennale (a tempo pieno o in alternanza a partire dai 15 anni); il diploma di formazione dopo un eventuale successivo anno di formazione (a tempo pieno o in alternanza); il diploma di formazione superiore dopo un eventuale ulteriore percorso formativo di durata triennale (a tempo pieno o in alternanza). Quali saranno le caratteristiche salienti dal punto di vista pedagogico, metodo- logico, didattico, contenutistico del nuovo percorso formativo? In linea generale riteniamo che le principali caratteristiche dovrebbero essere le seguenti: • La nuova FP dovrà tenere conto del profilo educativo, culturale e professio- nale che indica – in linea generale e specificamente per ogni comunità profes- sionale prevista – le competenze attese alla fine dei percorsi previsti, cioè ciò che ogni allievo, alla fine del secondo ciclo deve sapere (le conoscenze disci- plinari e interdisciplinari) e fare (le abilità operative o professionali) per essere l’uomo e il cittadino che è lecito normalmente attendersi che sia, a 18-19 anni. Ogni percorso di qualifica si collocherà in una “comunità professionale” entro cui si delineano più figure professionali aventi una cultura del lavoro comune. • In secondo luogo dovrà fare riferimento alle future Indicazioni regionali – specifiche per le diverse comunità professionali previste – concernenti gli obiettivi generali del processo formativo, gli standard professionali, gli obiet- tivi specifici di apprendimento, taluni vincoli (es.: tecnologici ed organizza- tivi). • Confermerà l’adozione della strategia pedagogica della personalizzazione, già ampiamente sperimentata, che consiste nel costante riferimento del percorso 214 educativo-formativo alla specifica realtà personale dell’allievo. Personalizzare significa delineare differenti percorsi di trasferimento-acquisizione delle cono- scenze, abilità e competenze, in base alle caratteristiche personali degli allievi: stili di apprendimento, metodi di studio, caratteristiche peculiari. La persona- lizzazione così intesa permette di trasformare le capacità (ovvero le potenzia- lità della persona) in vere e proprie competenze agite e valutate che consen- tono alla persona di realizzare tendenzialmente il suo progetto di vita/di la- voro. • I percorsi si svilupperanno mediante unità di apprendimento – disciplinari e in- terdisciplinari – che vengono concordate dall’équipe dei formatori. Valorizzerà, secondo la peculiarità maturata in questi decenni di attività, la metodologia at- tiva, centrata sulle competenze e sul profilo personale e sociale del destina- tario. Ciò significa realizzare il più possibile laboratori di apprendimento (cul- turali, sociali, professionali), specificati in compiti che richiedono una integra- zione delle diverse discipline o aree formative coinvolte. La metodologia attiva permetterà di realizzare un approccio amichevole che valorizza l’esperienza dei giovani e conduce in modo induttivo verso traguardi di sapere soddisfacenti orientati a compiti concreti, valutati sulla base di specifiche performance. • La nuova FP si doterà di una organizzazione flessibile , prevedendo la figura del coordinatore-tutor in grado di favorire l’intesa nell’équipe, delineare i piani formativi personalizzati, sviluppare una costante attività di sostegno ed accompagnamento degli allievi, realizzare una coesione con le imprese e con gli altri soggetti coinvolti nel progetto formativo, monitorare costantemente l’attività ed intervenire nei momenti critici ai fini del miglioramento della stessa. • Farà riferimento ad una prassi di valutazione “autentica” che mira a verifi- care non solo ciò che uno studente sa, ma ciò che “sa fare con ciò che sa”, fon- data su una prestazione reale e adeguata dell’apprendimento che risulta così significativo, poiché riflette le esperienze di apprendimento reale ed è legato ad una motivazione personale. Scopo principale della valutazione autentica è far agire tutti in regime di qualità. Ciò comprende l’autovalutazione ed il mi- glioramento del processo di insegnamento/apprendimento. Essa mira pertanto alla dimostrazione delle conoscenze tramite prestazioni concrete, stimolando l’allievo ad operare in contesti reali con prodotti capaci di soddisfare precisi obiettivi. • Introdurrà, infine, il “portfolio/libretto formativo ” ovvero – accanto alla do- cumentazione che illustra il percorso dell’allievo – la raccolta significativa dei lavori dell’allievo che racconta la storia del suo impegno, del suo progresso o del suo rendimento: si tratta pertanto di materiali che documentano ad altri una serie di prestazioni eseguite nel tempo e di cui l’allievo è orgoglioso. Il presente disegno si sta attuando lentamente ed in modo disomogeneo attra- verso varie sperimentazioni in atto nelle Regioni. 215 Il Progetto nazionale del CNOS-FAP è basato sul concetto di competenza ri- preso da G. Le Boterf1: Non è uno stato od una conoscenza posseduta. Non è riducibile né a un sa- pere, né a ciò che si è acquisito con la formazione. La competenza non risiede nelle risorse (conoscenze, capacità) da mobilizzare, ma nella mobilizzazione stessa di queste risorse. Qualunque competenza è finalizzata (o funzionale) e contestua- lizzata: essa non può dunque essere separata dalle proprie condizioni di ‘messa in opera’. La competenza è un saper agire (o reagire) riconosciuto. Qualunque com- petenza, per esistere, necessita del giudizio altrui. Prova a confrontare la definizione di G. Le Boterf con il testo che propone Pellerey2: 1 G. LE BOTERF, De la compétence , 1994. 2 M. PELLEREY , Educare. Manuale di pedagogia come scienza pratico-progettuale, pp. 164-166. 5. CONCLUSIONE Come detto all’inizio della presente lezione, il progetto del CNOS-FAP e del CIOFS-FP sta subendo una profonda revisione a seguito dell’introduzione delle nuove norme sia costituzionali che legislative. Non siamo in grado al momento di prefigurare con certezza quali saranno le caratteristiche della formazione professionale inserita nel più ampio processo di ri- forma. Le sperimentazioni in atto in varie Regioni saranno certamente utili per la stesura del nuovo progetto. Ci sembra tuttavia possibile concludere che il patri- monio pedagogico, metodologico e didattico maturato in questi anni sia presente nel nuovo scenario in maniera consistente. 6. RIFERIMENTI Il progetto e le documentazioni successive allo stesso si trovano nel sito della Federazione CNOS-FAP: www.cnos-fap.it EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE 216 Occorre…chiarire le diverse accezioni che quest’ultimo termine (“compe- tenza”) può assumere in contesto educativo. a) La prima concettualizzazione non si discosta da quella di comportamento o pratica osservabile. È questo l’approccio che ad esempio è stato spesso adot- tato dalla cosiddetta pedagogia per padronanza o mastery learning, cioè da una pedagogia diretta a promuovere la padronanza di abilità o capacità facil- mente identificabili. Sono già stati segnalati gli eccessi di questa imposta- zione: comportamentismo sommario, tassonomie interminabili, frazionamento eccessivo degli obiettivi, organizzazioni dell’insegnamento per obiettivi fram- mentati (Perrenoud, 1998, 23). b) La seconda accezione considera le diverse prestazioni che si è in grado di mo- strare o portare a termine in un ambito particolare del sapere, del saper fare, del saper essere o del sapere stare insieme con gli altri come indicatori di competenza. Questa, per sua natura è invisibile, ma può essere individuata at- traverso una famiglia di prestazioni che permettano di inferirla. c) Una terza accezione vede la competenza come facoltà generica, una potenzia- lità propria di ogni spirito umano. È l’approccio preferito da N. Chomsky quando tratta della competenza linguistica, vista come capacità di produrre un numero infinito di frasi. Tale potenzialità va però sviluppata attraverso un processo di apprendimento, la capacità di produrre frasi specifiche relative a una lingua particolare non deriva da maturazione spontanea. Né si sviluppa nella stessa maniera presso ogni essere umano. Ognuno è geneticamente ca- pace di parlare, ma deve imparare a farlo. In questo contesto è preferibile utilizzare la seconda accezione, ma per appro- fondire il concetto di competenza è importante utilizzare anche quello di schema. Per Piaget lo schema è una “struttura invariante di una operazione o di un’azione”, che consente accomodamenti minori di fronte a una varietà di situazioni che si rife- riscono alla stessa struttura. Esistono diversi tipi di schemi e differenti livelli del loro sviluppo. Le abitudini sono certamente degli schemi d’azione, ma in questo caso si tratta di schemi semplici e rigidi. Così lo schema “bere da un bicchiere” si adatta alle diverse forme, ai diversi pesi, volumi, contenuti. Tali schemi si appren- dono dalla pratica, ma ciò non significa che non si appoggiano su nessuna teoria. Uno schema può costituirsi poi in “abito”: “un piccolo insieme di schemi che permettono di generare un’infinità di pratiche adattate a situazioni sempre rinno- vate, senza mai costituirsi in principi espliciti” (Bourdieu, 1972, 209); “sistema di disposizioni durature e trasportabili che, integrando tutte le esperienze passate, funziona in ciascun momento come una matrice di percezioni, di apprezzamenti e di azioni, e rende possibile il portare a termine compiti infinitamente differenziati, grazie a trasferimenti analogici di schemi che permettono di risolvere problemi della stessa forma” (Ibidem 178-179). Una competenza può essere in generale caratterizzata dalla orchestrazione di un insieme di schemi, ciascuno dei quali è una totalità costituita, che sottende 217 un’azione o un’operazione relativa a un campo operativo particolare. Una compe- tenza di una certa complessità mette in opera più schemi di percezione, di pen- siero, di valutazione e d’azione, che implicano inferenze, anticipazioni, trasposi- zioni analogiche, generalizzazioni, stime di probabilità, diagnosi a partire da un insieme di indici, ricerca di informazioni pertinenti, formazione di una decisione, ecc. D’altra parte, all’inizio della loro genesi molte competenze hanno origine da ragionamenti espliciti, decisioni coscienti, tentativi e incertezze. Questo funziona- mento può a poco a poco automatizzarsi e costituirsi secondo uno schema com- plesso, nuova componente stabile di una “pratica incosciente”. Confronta anche la seguente definizione di Bertagna: La competenza… evoca non tanto il sapere qualcosa (si spera riconosciuto importante per tutti), ma la capacità di ciascuno di impiegare questo sapere per agire bene, come si deve, in una situazione reale… La competenza è, perciò, per natura, non solo la dimensione conoscitiva (la theoria); non solo quella tecnico- operativa (il fare bene della techne), ma anche quella pratica in senso classico (phronesis): legata all’abilità del fare bene le cose che si devono fare e del farle come si deve per risolvere problemi al meglio possibile, nelle circostanze date e te- nendo conto di tutti gli aspetti in gioco (G. Bertagna, in “Scuola e didattica” 15/9/1999, La scuola editrice) Che similitudini e che differenze noti? Annota sul tuo quaderno le tue osserva- zioni in proposito. 219 Modulo 2: MODELLI DI PROGETTAZIONE GIUSEPPE TACCONI Il ruolo del formatore professionale, un tempo centrato sulla funzione di inse- gnamento o di istruzione/addestramento, si scopre oggi come centrato sulla media- zione e l’accompagnamento in percorsi-processi di apprendimento sempre più di- versificati e complessi. L’insegnante come formatore non è più soltanto colui che trasmette cono- scenze e competenze, ma si trasforma in un organizzatore di idonei ambienti del- l’apprendimento, che deve predisporre le condizioni più propizie per imparare (Rapporto Isfol 1998, p. 38), superando la sequenza tradizionale lezione – studio individuale – interrogazione . I suoi compiti consistono anche nel consigliare, faci- litare, confrontare, intervenire, concepire e realizzare… Molte sono quindi le competenze richieste al formatore professionale; tra queste, quella metodologico-didattica assume particolare importanza, dal momento che l’azione formativa del docente/formatore spazia dalla progettazione, alla pro- grammazione, alla docenza, allo svolgimento di compiti tutoriali nei confronti dei singoli allievi o di gruppi, alla valutazione continua dei processi di insegna- mento/apprendimento, alla messa in opera e all’adeguamento di programmi e me- todi, all’inserimento in attività di ricerca-azione. Il modulo intende aiutare i formatori a comprendere come la “progettazione didattica” possa essere strumento per compiere un’azione formativa personale e di gruppo, per intrecciare relazioni e gestire processi comunicativi, per dar vita a co- munità di discenti e docenti impegnati collettivamente nell’analisi e nell’approfon- dimento degli oggetti di studio e nella costruzione di saperi condivisi. Infatti, solo l’elaborazione, la sperimentazione e la diffusione di nuove metodologie può realiz- zare una formazione professionale effettivamente rinnovata nello spirito e nei tempi. Pertanto, si dovrà ricorrere a metodi di insegnamento capaci di valorizzare si- multaneamente gli aspetti cognitivi e sociali, affettivi e relazionali di qualsiasi ap- prendimento. Tutto ciò comporta un forte investimento sui formatori, sul gusto per la forma- zione, sul piacere che viene dal far conoscere, far discutere, far costruire, far sa- pere. La formazione professionale può diventare un luogo di vita e di apprendi- mento per formatori e utenti! 221 PRIMA LEZIONE MODELLI DI PROGETTAZIONE OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ conoscere i principali modelli didattici; ❏ prendere coscienza delle caratteristiche del modello praticato; ❏ individuare percorsi di approfondimento e di sperimentazione di efficaci modelli di progetta- zione formativa. ESERCITAZIONE DI APERTURA 1. Pensi alle occasioni in cui, da solo o con altri colleghi, progetta l’attività formativa da svolgere con gli alunni di un corso, a breve-medio termine. In parti- colare, per rappresentarsi con puntualità le operazioni compiute, pensi a: - che cosa farà - con chi - come farà - in quale ordine - dove - con quali strumenti 2. Appunti sul suo quaderno di lavoro i risultati delle sue riflessioni. 3. Quali, tra le “mosse” ripensate, sono costanti del suo modo di progettare? Le scriva nel diagramma a blocchi che segue, che rappresenterà il suo stile di pro- grammazione. Il diagramma completato le servirà per le riflessioni che seguono. Diagramma a blocchi per rappresentare il personale stile di progettazione IN OUT Liberamente tratta da: DAMIANO Elio, Guida alla didattica per concetti, Juvenilia. 222 MODELLI DIDATTICI Un modello è una rappresentazione semplificata e finalizzata della realtà. Svolge la funzione di una sorta di mappa e permette di orientarsi rispetto alle di- verse variabili in gioco. Un modello didattico è la rappresentazione semplificata e finalizzata dei pro- cessi di insegnamento e apprendimento. I modelli si differenziano l’uno dall’altro in base alle priorità che individuano e alle diverse accentuazioni che danno ai vari aspetti che caratterizzano il processo di insegnamento/apprendimento: - la concezione di “soggetto in apprendimento” e il ruolo che gli viene attribuito, - il modo di intendere il ruolo e i compiti dell’insegnante/formatore, - il modo di definire gli obiettivi di apprendimento - le operazioni di insegnamento/apprendimento - le esperienze didattiche che vengono proposte… Un modello non esiste mai in maniera pura. Nelle pratiche concrete, si po- tranno rilevare delle dominanze di un modello rispetto ad un altro, delle coerenze tra i modelli dichiarati e quelli agiti. L’importante è notare che, in modo esplicito od implicito, un certo modello didattico è sempre presente nella “testa” del forma- tore e viene ad informare ogni sua azione. È un “modello didattico” anche quello trasmissivo, secondo il quale la mente dell’allievo sarebbe una sorta di contenitore vuoto, nel quale il formatore può depositare il sapere, disciplinare o tecnico-pro- fessionale, di cui egli è il detentore. Non si tratta di confrontare tra loro i vari modelli per sceglierne o proporne uno come migliore degli altri. Il problema non è di applicare un modello o un altro, ma di rendersi consapevoli dei modelli impliciti contenuti nelle nostre azioni. La rifles- sione sui modelli è dunque importante perché ciascun formatore possa acquisire tale consapevolezza nel proprio agire e sappia costruire un proprio modello didattico e un proprio stile educativo, in una prospettiva dinamica, sempre rivedibile. È questa consapevolezza infatti che ci permette di relativizzare il nostro (e qualsiasi altro) modello e di renderci flessibili a cambiare a seconda dei soggetti e delle situazioni. Tentiamo di raggruppare i modelli didattici in alcuni filoni che ci sembrano rappresentare quelli principali. Didattica per obiettivi Questo modello si rifà ad un approccio di tipo comportamentista che intende l’apprendimento come fenomeno del tutto prevedibile e controllabile. La principale caratteristica di questo modello è quella di portare l’attenzione sull’insegnamento inteso come: - azione tecnico-razionale, - orientata a produrre i cambiamenti attesi nel soggetto in apprendimento, - condotta in modo da autoregolare l’intervento mediante correttivi continui sul processo. 223 La capacità di previsione e di controllo è la competenza principale dell’inse- gnante che è tenuto a - formulare gli obiettivi in termini di prestazioni e comportamenti (competenze, capacità) visibili e misurabili, - chiarire quali siano i processi mentali necessari per raggiungere tali risultati, - organizzare l’insegnamento secondo una scansione logica e programmata di tappe didattiche che permettano di ridurre al minimo il rischio di disperdersi, - ad individuare gli strumenti adeguati che permettano di esercitare quei com- portamenti e quelle abilità che sono state definite come obiettivo da raggiun- gere. Importante, in questo modello, è l’accertamento del prodotto come esito di una precisa azione di insegnamento. L’attenzione è infatti posta sul controllo degli interventi, che vengono in parte riorganizzati dopo le fasi di monitoraggio. I tempi di lavoro e i risultati attesi sono definiti con precisione e costantemente monitorati. La verifica del lavoro svolto avviene sia in fase iniziale (per individuare i prerequi- siti posseduti dagli allievi) sia in itinere sia alla conclusione, facendo ricorso a me- todi quantitativi (valutazioni in scale ampie e graduate) perché si presume che sia possibile una valutazione oggettiva di conoscenze e abilità. Il soggetto in formazione è tenuto ad assorbire una quantità elevata e com- plessa di indicazioni, di materiali di lavoro, di esercizi e di schemi di comporta- mento, secondo metodologie di apprendimento che richiedono uno scarso livello di riflessione critica. Si ispirano a questo modello formativo molti dei fautori dell’uso di moderne tecnologie informatiche (istruzione programmata), la pedagogia per obiettivi di Skinner o le tassonomie (conoscenze, abilità, comportamenti, ecc.) di Bloom , che procedono dal semplice al complesso. I meriti della didattica per obiettivi sono costituiti innanzitutto dal fatto che i contenuti vengono orientati in senso didattico-educativo. L’insegnamento cioè non si riduce ad un travaso di contenuti, ma utilizza i contenuti in funzione degli obiet- tivi comportamentali che intende raggiungere (e di questi, la conoscenza dei conte- nuti è solo un aspetto). Inoltre, il modello evidenzia le responsabilità del formatore sul successo o meno del soggetto in formazione e sottolinea la valutazione come strumento continuo per adeguare la propria didattica. Infine, questo modello è molto attento ai percorsi individuali. In allegato, inseriamo una griglia che può essere utilizzata per la programma- zione delle Unità didattiche secondo questo modello. Molte sono però anche le critiche che sono state mosse a questo modello che sembra eccessivamente ottimista riguardo al processo di insegnamento. Spesso si rimprovera al modello della didattica per obiettivi un eccesso di sem- plicità. Tra insegnamento ed apprendimento sembra stabilirsi infatti una rela- zione di causa-effetto, mentre non è automatico che l’insegnamento produca ap- prendimento. 224 Didattica della ricerca Questo modello si rifà ad approcci psicosociali e presenta una decisa propen- sione per il metodo, inteso come procedura di pensiero riflessivo da privilegiare nella formazione. Il metodo diventa oggetto di insegnamento e permette agli allievi di fare diretta esperienza dei procedimenti di ricerca e di scoperta (problem po- sing, problem solving). Il formatore diventa un animatore, un consigliere accorto e amichevole, un facilitatore che accompagna le esplorazioni dei ragazzi e privilegia le metodologie della ricerca-azione e del laboratorio. Si accorda preferenza agli argomenti desunti dall’attualità (in nome della continuità con l’esperienza concreta e diretta dei ragazzi). Si enfatizza la congruenza psicologica delle proposte con gli interessi e le attese degli allievi. Si è attenti alle dimensioni di processo, alla densità emotiva ed affettiva del lavoro in classe, alla qualità delle esperienze soggettive, nonchè al benessere relazionale e al clima complessivo della comunità educa- tiva. La valutazione si esercita sui processi, cioè sui dinamismi di interesse, di co- involgimento e di condivisione di un’attività scolastica. Si valorizzano gli itinerari di cambiamento, gli esiti formativi non previsti e si fa ricorso a strumenti di valu- tazione di tipo qualitativo (metodi descrittivi e comprensivi). Sono inscrivibili in questo modello, ad esempio, le forme non direttive di in- tervento educativo sollecitate da C. Rogers, ma anche: - la didattica per progetti: http://www.manitese.it/cres/stru898/spunti1.htm http://www.weblab900.it/tuttaunaltra storia/Percorsi/propro.htm - la programmazione per “sfondo integratore”, che, sebbene diffusa preva- lentemente a livello di scuola dell’infanzia e di scuola elementare, può essere utilizzato anche in altri contesti http://www.funzioni obiettivo.it/glossa did/sfondo_integratore.htm - il Cooperative learning http://www.scintille.it (un portale interamente dedicati al cooperative learning) http://www.soc.unitn.it/circle/modelli.htm (i diversi modelli di cooperative learning) http://www.bdp.it/adi/CoopLearn/cooplear.htm Didattica costruttivista Questo modello si rifà prevalentemente agli approcci di tipo cognitivista e co- struttivista (Piaget, Ausbel, Bruner, Damiano, ecc.). Secondo questo modello, la conoscenza si struttura in reti, in schemi mentali che formano una trama mentale. L’intelligenza organizza il mondo organizzando se stessa (Piaget). Il processo di apprendimento significa entrare in contatto con questa rete e andare a modificarla per complessità. L’apprendimento è dunque un processo attivo e costruttivo, un la- voro produttivo del soggetto. Il formatore può intervenire soltanto indirettamente, sull’apprendimento del 225 soggetto in formazione, operando sull’ambiente in cui si compie l’attività (sulle strutture mentali, semantiche, percettive di chi si pone in condizione di apprendi- mento). Per questo alcuni approcci di questa categoria possono essere anche defi- niti come approcci ecologici (Bateson). Le nozioni hanno la loro importanza, funzionano come “utensili disciplinari” e fungono da amplificazione delle strutture cognitive del soggetto in apprendi- mento (Piaget, Bruner). La specificità di questo modello sta nella mediazione tra i due processi dell’insegnamento e dell’apprendimento, che convergono su un com- pito comune: l’analisi degli “oggetti culturali” (nozioni, concetti disciplinari, epi- stemologie, logiche, teorie, procedure…) che possiedono di per se stessi un poten- ziale formativo e possono modellare il soggetto, che con essi interagisce. L’oggetto diventa allora mediatore nella costruzione di conoscenze. Il formatore, dopo aver individuato la sua mappa concettuale (la mappa è la rappresentazione grafica delle relazioni logiche tra concetti), individua quali ele- menti della mappa concettuale della disciplina trasportare nella mappa concettuale dell’allievo, che naturalmente ha già delle preconoscenze e quindi non è un vaso vuoto da riempire. Le modalità e gli strumenti attraverso i quali il formatore crea le condizioni opportune perché si costruisca apprendimento, sono i diversi linguaggi e i media- tori didattici, che devono tener conto del contesto socio-affettivo dell’allievo e del suo stile cognitivo. I linguaggi possono essere: - verbali (scritti e orali), - visivi, - musicali, - audiovisivi - informatici… I mediatori didattici possono essere quello - pratico (imparo facendo), - iconico (imparo vedendo), - analogico (imparo giocando), - simbolico (imparo leggendo). Rientrano in questo modello: - lo strutturalismo didattico di Jerome Bruner, - la didattica per concetti di Elio Damiano, http://www.funzioniobiettivi.it/glossadid/Concetti%20e%20mappe%20concet- tuali.htm http://www.weblab900.it/tuttaunaltrastoria/Percorsi/concet.htm - la Didattica Breve http://kidslink.bo.cnr.it/irrsacer/db/db0.html 226 Didattica metacognitiva1 La didattica metacognitiva2 è un orientamento didattico che si basa sui pro- cessi metacognitivi spontanei di ciascun allievo, ne valorizza l’importanza nell’e- spletamento delle attività di studio e di apprendimento, ne provoca o ne sollecita, da una parte, un ampliamento delle circostanze d’uso e, dall’altra parte, un miglio- ramento delle modalità di attuazione. Lo scopo diretto è quello di consentire ad ogni allievo di conseguire capacità di autocontrollo cognitivo, di partecipazione personale all’acquisizione delle proprie competenze, di individuazione e di scelta delle strategie di apprendimento più adeguate; lo scopo ultimo è, di conseguenza, quello di migliorare, in generale, le capacità di apprendimento degli allievi e di dare un decisivo contributo al loro sviluppo cognitivo. Alcune delle ragioni in grado di giustificare didatticamente la presenza nella formazione professionale di itinerari per lo sviluppo, negli allievi, della capacità di “metacognizione”, ovvero della “conoscenza della conoscenza” sono: a) rendere sempre più efficace l’intervento didattico, scommettendo sulla possi- bilità di miglioramento degli esiti formativi degli allievi, mediante lo sviluppo delle loro capacità di conoscere e controllare se stessi mentre apprendono; b) stimolare il soggetto a conoscere ciò che sa e che sa fare e come lo sa e come lo sa fare; c) sostenere l’allievo, di fronte alla complessità del mondo contemporaneo, nel- l’acquisizione di efficaci abilità e consuetudini mentali; d) rispettare e sviluppare, nel vivo dell’esperienza di apprendimento e di studio, la diversità cognitiva degli allievi (le molteplici intelligenze) e) favorire la messa in disparte e l’abbandono di modalità stereotipate e adulto- centrale di intervento didattico, grazie ad una considerazione del soggetto che apprende quale costruttore autonomo di conoscenze e abilità. Sarà, poi, com- pito dell’allievo, all’interno di una globale ambientazione didattica metacogni- tiva (dall’osservazione del repertorio di risposte mentali dell’allievo, alla tra- duzione metacognitiva delle attività e dei curricoli di studio, alla sollecita- zione verso strategie di lavoro più efficaci, eccetera), cercare autonomamente la sua strada cognitiva. In particolare, egli dovrà: - cercare di conoscere le conoscenze che possiede e lo stile cognitivo che prefe- ribilmente attiva; - indagare e valutare, regolare e rettificare le strategie e le modalità di lavoro che adotta; - mettere alla prova le proprie capacità di memoria, attenzione, linguaggio e ra- gionamento, rilevandone eventuali insufficienze, rendendosi disponibile alla modifica operativa delle stesse; 1 Liberamente tratto da: http://www.funzioniobiettivo.it/glossadid/didaconc.htm. 2 C. GUIDO, G. MONDELLI, Didattica e metacognizione, Anicia, Roma, 1999. 227 - rilevare la presenza delle operazioni metacognitive adottate durante un com- pito cognitivo, rendersi conto della loro importanza, attivarle con continuità e nelle maniere più opportune. In generale, è, quindi, possibile distinguere diversi tipi di obiettivi metacogni- tivi, tra di loro, comunque, collegati: a) di metaconoscenza, perseguiti per aiutare l’allievo nella conoscenza dei “con- tenuti” e del “funzionamento” della propria mente; b) metacognitivi di controllo e di regolazione, rivolti al conseguimento di com- petenze specifiche di autocontrollo cognitivo; c) di sviluppo delle strategie di apprendimento e di studio (da privilegiare, in modo particolare, il tentativo di elevare la cifra di strategicità globale delle operazioni cognitive e conoscitive); d) di potenziamento e di adeguamento degli stili cognitivi individuali. Per perseguire lo scopo di fondo che è quello di aiutare l’allievo ad acquisire consapevolezza circa la necessità di riflettere su quello che fa e di assumere un “atteggiamento strategico” nei confronti delle attività cognitive, vengono uti- lizzate una serie di tecniche specifiche ovvero vengono introdotti, nelle nor- mali attività didattiche, degli accorgimenti in grado di esaltare la componente metacognitiva dei processi mentali. EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE Esercizio n. 1 Provi, se lo ritiene utile ed opportuno, a completare la tabella riportata sotto (TABELLA SINOTTICA PER L’ANALISI E IL CONFRONTO DI MODELLI DI- DATTICI) indicando sinteticamente come i vari aspetti riportati nella colonna di si- nistra si declinano nei vari modelli didattici. Esercizio n. 2 Nella lezione, sono stati presentati sinteticamente alcuni modelli didattici. Ora si tratta di individuare, nel materiale prodotto nella esercitazione di aper- tura, le tracce dei modelli didattici presi in esame nella lezione. Ovviamente non si tratta di classificare il proprio elaborato assegnandolo nel suo complesso ad un preciso modello didattico. L’eventualità che ciò sia possibile è piuttosto remota ed irrilevante per il lavoro. Si tratta invece di individuare nel pro- prio stile di programmazione gli elementi che possono essere assegnati ai diversi modelli. 228 Le domande da porsi sono sostanzialmente le seguenti: - Che cosa del mio stile personale di programmazione può essere ascritto ad un modello per obiettivi? - Che cosa al modello della ricerca? - Che cosa al modello costruttivista? - Che cosa al modello metacognitivo? Esercizio n. 3 Secondo Lei, questa lezione, secondo quale dei modelli presentati è stata pen- sata e programmata? Bibliografia ELIO DAMIANO, Modelli didattici e lavoro in aula, in: Nuova secondaria, settembre 1998, n° 1, pp. GUGLIELMO MALIZIA (a cura di), Cultura organizzativa nelle azioni di formazione professionale: arti- colazione del profilo del formatore, CNOS/FAP, Roma, 1993. BEAU FLY J ONES, PLAUDETTE M. RASMUSSEN e MARY C. MOFFITT, Didattica per problemi reali: ren- dere significativi gli apprendimenti, Erickson, Trento 1997. NICOLI DARIO, La progettazione formativa nella formazione professionale, in: Cortellazzi Silvia, Ni- coli Dario, Vergani Alberto, La formazione professionale. Problemi e prospettive, La Scuola, Brescia 1994. http://www.vivoscuola.it/insegnareimparare/didattica/programmazione.asp. http://www.funzioniobiettivo.it/glossadid/index.htm (glossario di didattica molto utile nella scuola ma interessante anche per chi si occupa di formazione professionale). 229 230 3 È b en e ch e, tr a i p as sa gg i, si an o pr ev is te a nc he a tti vi tà d i v er if ic a e va lu ta zi on e de gl i a pp re nd im en ti .. 231 SECONDA LEZIONE L’APPRENDIMENTO BASATO SU PROBLEMI REALI1 OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ conoscere le caratteristiche principali dell’approccio metodologico basato sui problemi reali; ❏ acquisire elementi base per progettare un percorso formativo secondo la metodologia basata sui problemi reali. Nella lezione precedente, abbiamo visto alcuni modelli didattici secondo i quali ciascun formatore costruisce le sue programmazioni. Spesso, anche nella for- mazione professionale, le strategie di insegnamento si rifanno ancora oggi a mo- delli tradizionali e rispecchiano logiche “scolastiche”. Il corso è spesso impostato secondo una strategia di apprendimento lineare, fondata sulla sovrapposizione di singoli mattoni (le discipline). Ai fini di un apprendimento efficace, bisognerebbe invece predisporre dei moduli trasversali in cui alcune conoscenze (di carattere fi- sico, tecnologico, antropologico…) sono disperse orizzontalmente e rappresentano delle finestre che si aprono all’interno di problemi specifici. In questa lezione, cercheremo dunque di presentare un modello che, a nostro avviso, si adatta meglio al contesto della formazione professionale. Si tratta del modello della “didattica per problemi reali”, secondo il quale tutte le attività si in- tegrano attorno ad una situazione reale, un problema da risolvere. Si tratta inoltre di un metodo che guarda all’apprendimento non come ad un fenomeno freddo, ma come ad un processo cognitivo strettamente intrecciato ad emozioni, aspettative, interessi, desideri… e dunque orientato a creare delle situazioni che favoriscano la motivazione degli allievi. 1 Il testo della presente lezione è liberamente tratto da: Didattica per problemi reali, di BEAU FLY J ONES, PLAUDETTE M. RASMUSSEN e MARY C. MOFFITT, Erickson, Trento 1999. 232 1. IL MODELLO Nel contesto della formazione professionale, più ancora che nella scuola, si avvertono i limiti di un insegnamento basato su libri di testo, per cui si avverte una grande esigenza di strategie ed approcci educativi che contemplino l’interdiscipli- narità, la cooperazione, che implichino la soluzione di problemi posti dagli allievi, che si concentrino su vere e proprie attività e su progetti interattivi. Un metodo che può venire incontro a tali interrogativi è l’apprendimento interdisciplinare basato su problemi reali. Esso offre ai formatori i mezzi per rendere l’apprendimento e l’insegnamento più interessanti per se stessi e per i propri utenti. L’apprendimento basato su problemi reali (ABP) prevede che formatori ed al- lievi, nell’affrontare un problema lavorativo o un problema della vita reale, inte- grino concetti e capacità legate ad una o a più discipline. È infatti a partire da pro- blemi reali che si attivano i vari saperi. Le caratteristiche dell’ABP sono state così definite da Blumfeld: a. le attività di classe sono determinate e definite in base a questioni o problemi reali; b. tali attività portano alla realizzazione di vari prodotti, i quali a loro volta cul- minano in un prodotto finale, come ad esempio una relazione o una presenta- zione in pubblico, che si riferisce alla questione principale affrontata. Il modello di apprendimento basato su problemi reali con elaborazione con- giunta (ABP-EC) è stato elaborato da B.F. Jones, C.M. Rasmussen e M.C. Moffitt, in collaborazione con formatori, esperti di comunicazione ed altri esperti, ed è ba- sato sulle più recenti ricerche nel campo dell’apprendimento. Esso promuove l’ap- prendimento tramite metodi specifici e prevede l’elaborazione congiunta di idee e di materiali, da parte di formatori ed allievi. 2. I FONDAMENTI DELL’APPRENDIMENTO BASATO SU PROBLEMI REALI Gli studiosi individuano tre livelli di applicazione del ABP: cognitivo, motiva- zionale, funzionale. Livello cognitivo Imparare in maniera meccanica può risultare efficace a breve termine per molti compiti di routine, ma non è efficace per una comprensione profonda, né per la memorizzazione di informazioni complesse o per la risoluzione di problemi. Gli psicologi cognitivi ritengono che gli allievi debbano interagire attivamente con le idee in esame, in modo da capire i problemi, devono lavorare in modo attivo per dare significato alle cose, attraverso un dialogo interno e processi attivi di pensiero oppure attraverso l’interazione con gli altri, così da raggiungere una comprensione profonda. 233 Brooks e Brooks (1993) hanno sintetizzato la ricerca cognitiva con i loro prin- cipi della didattica costruttivista. Secondo questi autori, il costruttivismo tiene conto di: a) un programma di formazione che muova dal globale al particolare, enfatiz- zando i grandi concetti e quegli esercizi formativi che utilizzano dati desunti da fonti primarie e materiali manipolabili direttamente; b) un soggetto in apprendimento come “soggetto che pensa”, ha una sua visione del mondo e lavora in collaborazione con altri; c) l’assunzione, da parte dei formatori, di ruoli che li portino ad interagire con l’ambiente di apprendimento e a tenere conto delle domande e dei punti di vista degli allievi; d) una valutazione continua e integrata dell’apprendimento degli allievi che si concentri sulle osservazioni dei formatori, sui lavori degli allievi e sul port- folio. In effetti, nell’ABP, l’attenzione si concentra su un problema reale e sui suoi vari aspetti; le domande degli allievi sono gli incipit per definire il campo di la- voro; i formatori si fanno mediatori dell’ambiente di apprendimento, aiutando gli allievi ad effettuare esperimenti e a migliorare la comprensione di un problema; formatori e allievi effettuano continue valutazioni su elementi reali. Un altro filone di ricerca, quello delle intelligenze multiple di Gardner, sugge- risce che i metodi formativi tradizionali non si accordano con ciò che sappiamo a proposito della natura e dello sviluppo dell’intelligenza. Secondo questa teoria, i tipi di intelligenza che vengono prevalentemente sviluppati a scuola – ragiona- mento verbale-linguistico e matematico-deduttivo – non rappresentano esattamente ciò che serve per aver successo nella vita. È opinione di Gardner che esistano al- meno altri cinque tipi di intelligenza di cui la società tiene conto: cinestesica, spa- ziale, musicale, interpersonale e intrapersonale. L’ABP sviluppa le capacità sociali e interpersonali in più modi: - in genere gli allievi lavorano in gruppi; - le frequenti interazioni che intrattengono con i loro compagni, con i formatori, con gli esperti e con membri della comunità stimolano lo sviluppo di capacità di comunicazione e di risoluzione di problemi; - inoltre, poiché gli allievi vengono spesso coinvolti in attività manuali e realiz- zative e in rappresentazioni grafiche di quanto hanno imparato, vengono raf- forzati l’apprendimento cinestesico e spaziale. L’apprendimento basato su problemi reali fa sì che il lavoro in genere sia più coinvolgente e che sia percepito il meno possibile come una minaccia, poiché gli alunni si aiutano l’un l’altro, il formatore funge da collaboratore e compagno di studio, le valutazioni sono per l’alunno più significative e servono in primo luogo per seguire l’andamento dei progressi conseguiti. Inoltre, l’ABP mette in risalto l’i- deazione di categorie ad opera degli allievi e la formulazione di problemi, di ipo- tesi, di soluzioni. 234 Livello motivazionale L’ABP costituisce una grande fonte di motivazione sia per gli allievi che per i formatori. Una delle principali cause di non-motivazione negli allievi è il fatto che il lavoro che si richiede loro non ha senso per loro. Sin dalla nascita, il bambino trae un senso dal viso della madre e da tutto ciò che gli capita intorno. Si tratta di una ri- cerca incredibilmente vasta che lo porta a costruire innumerevoli conoscenze. In realtà, tutto è senso e non si può vivere senza senso. D’altro canto, il non riconoscere il senso di una stimolazione può essere angosciante (ci si blocca, ci si tira indietro). La Formazione propone spesso solo un susseguirsi di situazioni ripetitive, molte volte prive di senso (ad es.: il ripetersi della medesima procedura per ogni attività), togliendo così senso alla situazione didattica. Anche la puntualizzazione della svo- gliatezza di alcuni allievi andrebbe esaminata alla luce del senso che ha per loro ciò che viene loro richiesto. Un ragazzo non è mai “svogliato”: è “svogliato in una data situazione”. Pensiamo agli sforzi che certi “cattivi” scolari fanno per raggiungere un obiettivo che si sono prefissati in contesti diversi da quello scolastico: sport, mu- sica... L’ABP dà senso all’apprendimento poiché l’impegno degli allievi si concentra su problemi, tematiche, questioni che loro stessi hanno posto. Gli allievi rivestono un ruolo importante nel condurre la ricerca e nello stabilire le fonti e le valutazioni: per questo il lavoro è coinvolgente, spesso entusiasmante, e porta allo sviluppo delle capacità di ognuno. Inoltre, lavorare a fianco di esperti e di membri della comunità educativa, che diventano punti di riferimento, dimostra agli allievi come il loro la- voro e la loro formazione siano tenuti in considerazione da persone significative. Livello funzionale L’ABP è in stretto rapporto con i bisogni di oggi, poiché è costituito da pro- blemi e progetti ideati in modo da simulare contesti del mondo reale o da far parte- cipare gli allievi a situazioni e interazioni che si verificano effettivamente del mondo reale, così da far loro acquisire le competenze richiese dal lavoro in un’eco- nomia globale in continuo cambiamento. Ne consegue che l’ABP avvicina forma- zione e lavoro e questo risulta particolarmente utile, in un contesto in cui le occu- pazioni richiedono lo sviluppo delle capacità di risoluzione dei problemi, delle ca- pacità concernenti azione, tecnologia, comunicazione, leadership e lavoro di gruppo e delle abilità relazionali. In passato, la maggior parte delle esperienze di apprendimento avevano luogo all’interno del contesto domestico, comunitario o lavorativo, in maniera informale, sotto forma di tirocinio. Tutto questo rendeva au- tentico il lavoro, poiché c’era l’interesse di un interlocutore, e ciò motivava i ra- gazzi a imparare. I membri della famiglia e della comunità costituivano importanti punti di riferimento, e facevano capire ai ragazzi quanto il loro lavoro fosse ap- prezzato. Con lo sviluppo della scuola, quale noi la conosciamo, tali legami si sono persi. Abbott (1995) ha sottolineato l’importanza di ricreare dei legami tra am- biente formativo e contesto. Questo significa ricreare dei legami tra gli allievi, l’ambiente formativo, il mondo della vita e del lavoro nel contesto territoriale. 235 3. APPROCCI DELL’APPRENDIMENTO BASATO SU PROBLEMI Esistono vari modelli di apprendimento basato su problemi. I più significativi sono i seguenti: Apprendistato cognitivo Gli psicologi cognitivi sostengono che l’apprendimento dà i suoi massimi ri- sultati se il lavoro degli allievi si svolge in contesti reali. In tali contesti, il lavoro si concentra su problemi della vita reale e su valutazioni basate sui risultati, e si ri- volge a interlocutori autentici. Il concetto di apprendistato cognitivo è stato utiliz- zato per cogliere l’essenza dei nuovi ruoli assunti da formatori e allievi, e del nuovo rapporto che deve instaurarsi tra loro quando l’apprendimento avviene in contesti reali. Ciò significa che i formatori non si limitano a comunicare informa- zioni che gli allievi ricevono passivamente. Al contrario, i formatori diventano guide e modelli, mentre gli allievi si fanno “apprendisti cognitivi” che impararno concetti e abilità dai formatori all’incirca come gli apprendisti imparano dai mae- stri delle arti. Progetti tecnologici Le possibilità di utilizzo delle nuove tecnologie nella formazione sono svariate (cfr. Area 4, Modulo 3) e costituiscono uno strumento importante per raggiungere obiettivi formativi e sociali di comunicazione e collaborazione. Un esempio di ABP che si serve del contributo tecnologico è quello di un gruppo di studio che presenta problemi complessi e interessanti tramite filmati narrativi nei quali sono stati inseriti dei dati. Gli allievi, in seguito, fanno costantemente riferimento al fil- mato per poter recuperare le informazioni richieste. In questo modo, la narrazione rappresenta l’ancora concettuale del problema e dell’indagine che viene condotta. Per compiti di questo genere gli allievi e i formatori possono spesso scaricare informazioni da siti, condurre un’analisi dei dati e comunicare via computer con i partecipanti ad altri progetti. Ricerca sulla competenza Alcuni studiosi (Bereiter e Scardamalia) dichiarano che la competenza con- siste in un processo di progressiva risoluzione dei problemi in cui si ripensano e si ridefiniscono continuamente i propri compiti. Per chi è competente, la risoluzione progressiva dei problemi diventa un atteggiamento mentale continuo, per cui si sente la necessità di migliorare i propri risultati, di fornire un contributo originale, di crescere. Lo sviluppo della competenza negli allievi implica, tra le altre cose, un processo in cui la conoscenza acquisita viene costantemente resa pubblica. Si può infatti sviluppare la competenza rendendo pubblico il proprio pensiero, mettendo le proprie idee e le proprie ipotesi alla prova di altri punti di vista e di diverse si- tuazioni e condizioni. Per definire le condizioni da creare nei gruppi di apprendi- 236 mento, Bereiter e Scardamalia prendono a modello il lavoro scientifico, in cui la presentazione dei risultati svolge un ruolo fondamentale. Tramite la pubblicazione del proprio lavoro, gli scienziati rendono pubblici il proprio pensiero e la propria conoscenza e apportano contributi al lavoro della comunità scientifica; ciò signi- fica che favoriscono la costruzione del sapere. Analogamente gli allievi traggono beneficio dallo svolgimento di ricerche, da una maggior attenzione rivolta ai pro- blemi piuttosto che a categorie astratte di conoscenza, dalla risoluzione progressiva dei problemi e da un’accentuazione degli obiettivi comuni. L’apprendimento basato su problemi (ABP) Bridges e Hallinger distinguono tre tipi di insegnamento: 1. l’insegnamento tradizionale; 2. gli “studi di casi” che si potrebbero classificare come una via di mezzo tra l’ABP e l’insegnamento interdisciplinare classico; 3. l’ABP che essi definiscono a partire da cinque categorie: • il punto di partenza è costituito da un problema; • il problema è tale che i partecipanti possano affrontarlo in qualità di futuri professionisti; • le conoscenze che essi dovrebbero acquisire sono organizzate a partire dai problemi anzichè dalle discipline; • i partecipanti si assumono, individualmente e collettivamente, la responsabi- lità circa la propria formazione; • la maggior parte della formazione ha luogo in piccoli gruppi. ABP con elaborazione congiunta È il modello che qui viene presentato nelle sue linee essenziali. Tale modello si fonda sulla convinzione che la competenza nella didattica e nell’apprendimento basati su problemi si ottenga tramite il coinvolgimento nella risoluzione progres- siva di problemi. Tale processo viene descritto come una serie di cicli in cui il pro- prio sapere viene esposto agli altri e il proprio pensiero viene perfezionato. Il ciclo di base ripete quattro fondamentali processi di pensiero: a) comprendere e pianificare; b) agire e condividere; c) riflettere; d) ripensare e perfezionare. I formatori si impegnano nella risoluzione progressiva dei problemi seguendo i tre principali stadi del modello di sviluppo professionale: a) nel corso della pianificazione preliminare del programma; b) durante la pianificazione e applicazione all’interno del gruppo-corso; c) durante il perfezionamento del programma di ABP. 237 I formatori e gli allievi fanno uso del ciclo di risoluzione progressiva dei pro- blemi nel corso dell’insegnamento e dell’apprendimento all’interno del gruppo- corso, allorchè: a) individuano problemi specifici; b) elaborano un piano di indagine o di lavoro; c) conducono l’indagine e l’analisi; d) mettono a punto ed espongono le scoperte dell’indagine; e) discutono sul lavoro svolto, consolidando così le proprie conoscenze. 4. CARATTERISTICHE DELL’APPRENDIMENTO BASATO SU PROBLEMI REALI CON ELABORAZIONE CONGIUNTA L’apprendimento basato su problemi reali con elaborazione congiunta presenta otto caratteristiche chiave: 1. Affronta questioni complesse e domande o problemi aperti. Le domande aperte costituiscono per loro natura una sfida, perché non hanno un’unica solu- zione corretta o una risposta semplice. Inoltre ogni domanda presenta punti di vista multipli ed è abbastanza estesa da toccare più discipline. Le domande aperte stimo- lano gli allievi a ricorrere a varie fonti e a vari metodi di indagine. 2. All’interno del modello ABP-EC, è importante che l’apprendimento av- venga in un contesto di compiti autentici. Tale principio è comune a tutti gli ap- procci costruttivisti. Tali approcci prevedono che gli incarichi, gli argomenti, i pro- blemi assegnati agli allievi siano in linea con gli incarichi, gli argomenti, i pro- blemi del mondo reale, comprese tutte le complessità, i dati confusi, i punti di vista multipli, le soluzioni potenziali. Questo è uno degli aspetti che li rende autentici. Un altro aspetto riguarda gli interlocutori. Se al formatore o all’allievo il lavoro in- teressa solo in vista di un voto, allora non si tratta di un incarico autentico. I com- piti autentici richiedono interlocutori e contesti che rivestano importanza per l’al- lievo. 3. Altra caratteristica del modello riguarda la risoluzione progressiva dei pro- blemi da parte di allievi e formatori. La risoluzione progressiva dei problemi com- prende quattro fondamentali processi di pensiero che abbiamo già visto: - comprendere e pianificare - agire e condividere - riflettere - ripensare e perfezionare I formatori e gli allievi compiono questo ciclo di risoluzione progressiva dei problemi svolgendo indagini all’interno del gruppo e del CFP. Per fornire una plu- 238 ralità di punti di vista, controllo della qualità e autoanalisi, è opportuno inserire il processo di revisione dell’amico critico. In ogni gruppo, ognuno dovrebbe assu- mere il ruolo di amico critico dell’altro, in modo da fornire feedback sotto forma di domande di chiarimento, critiche utili, difesa delle proprie idee. 4. L’ABP-EC prevede che gli incarichi autentici e i compiti basati su pro- blemi reali siano valutati in base al risultato. Un metro di giudizio adeguato per un lavoro autentico non può essere rappresentato soltanto dalle verifiche tradizionali. Un tipo di valutazione che consideri sia il processo che il prodotto finale di un compito fornisce maggiori informazioni sui progressi conseguiti, su ciò che si è imparato e sui motivi per cui l’apprendimento è risultato rilevante. 5. Uno degli obiettivi principali del modello ABP-EC è quello di coinvolgere in un processo di elaborazione congiunta formatori, allievi e altre persone in qua- lità di membri di una comunità di praticantato. L’ABP-EC prevede che l’elabora- zione congiunta si svolga in diversi modi: tra formatori, tra formatori e allievi e tra formatori, allievi e contesto. I formatori conducono il processo di elaborazione congiunta in qualità di autori, coinvolti nell’ideazione di programmi di ABP e nel- l’esposizione ai colleghi. Elaborazione congiunta significa per i formatori consul- tare gli allievi sui problemi, gli argomenti e le questioni che sono di loro interesse; sugli obiettivi, gli esperimenti e i metodi di indagine che ritengono più appropriati per affrontare i problemi; sui tipi di valutazione e di criteri che ritengono adatti per un lavoro di qualità. Di conseguenza, il ruolo del formatore è quello di coindaga- tore, coelaboratore e compagno di ricerca, e non quello di dispensatore di informa- zioni. Il formatore e gli allievi fanno parte di una comunità di praticantato che, in molti casi, si estende oltre i confini del CFP. 6. Come per la maggior parte dei modelli costruttivisti e di quelli basati su problemi, anche nell’ABP-EC, il processo di insegnamento e di apprendimento vede per più aspetti l’allievo come punto centrale. Quando vengono coinvolti dai formatori nella definizione dei compiti, dei problemi e degli argomenti, gli allievi si sentono più padroni di ciò che apprendono e si sentono maggiormente motivati. Non è cosa semplice collegare le scelte degli allievi alla serie di obiettivi forma- tivi, di esiti formativi e di valutazioni istituzionalmente richieste, ma si gioca qui in buona parte la professionalità del formatore. 7. Rispetto a numerosi approcci di tipo costruttivista, il modello ABP-EC de- dica grande attenzione all’uso di rappresentazioni grafiche del testo in vari mo- menti del processo. Esse comprendono vari tipi di grafici, come tabelle, schemi, diagrammi, mappe concettuali, così come le tradizionali reti semantiche. 8. Infine l’ABP-EC vuole ricreare un legame tra i CFP da una parte e la co- munità locale, la comunità imprenditoriale, le altre agenzie formative e i politici dall’altra. 239 5. PROGETTAZIONE DELL’APPRENDIMENTO BASATO SU PROBLEMI REALI Gran parte del tempo necessario per la creazione di un programma ABP do- vrebbe essere dedicato alla pianificazione. Si parte da considerazioni generali fino ad arrivare a decisioni specifiche, dalla proposta di una vasta gamma di idee fino alla scelta e alla definizione di compiti e problemi. Qui di seguito, viene riportata la proposta di un itinerario per la progettazione: 1. Inizio e definizione delle caratteristiche del programma Il punto di partenza più naturale per i formatori per definire il programma è la selezione delle discipline oggetto di studio per l’ABP. Spesso, una sola materia funge da base di studio, mentre le altre discipline vengono integrate in essa. Tal- volta più discipline vengono integrate equamente. Allo scopo di pianificare un pro- gramma ABP, è necessario scegliere due o più aree per uno studio interdiscipli- nare. Devono essere presi in considerazione gli standard di apprendimento, anche se l’ABP non va definito in base ad essi o ai risultati. Tutto ciò definisce piuttosto il campo per una significativa integrazione successiva degli standard all’interno del programma. Il modello ABP ha anche messo in primo piano i dati della ricerca psicopedagogica: è importante individuare gli aspetti teorici di particolare rile- vanza ai quali fare riferimento nelle scelte. È inoltre importante considerare le ri- sorse disponibili, umane, materiali e tecnologiche. Dopo aver scelto le aree disci- plinari, considerato i possibili standard, i presupposti teorici e le risorse, si può ini- ziare a discutere i possibili problemi. Non è raro infatti che la scelta delle disci- pline susciti suggerimenti riguardo a problemi rilevanti. 2. Elementi da considerare prima della scelta del problema oggetto di studio. Prima di definire il problema, è opportuno individuare gli elementi essenziali per la formazione scolastica e l’insegnamento in ogni area disciplinare, e creare dei le- gami tra di essi, iniziando da concetti e capacità specifici. Questa attenzione rivolta alle singole discipline coinvolte e ai legami tra di esse assicura che il vero motore che muove il programma ABP è l’oggetto culturale e non il semplice interesse momen- taneo o le risorse disponibili. Un’altra considerazione importante riguarda gli allievi: è auspicabile che si instauri una discussione sulle conoscenze già possedute, sui punti di forza, sugli interessi degli allievi. È opportuno considerare quali questioni assu- mano per loro rilevanza e quali siano le necessità particolari che hanno. Una discus- sione su tali bisogni può risultare utile per l’individuazione dei potenziali ruoli degli allievi, con l’effetto di diminuire spesso i problemi di comportamento e di far emer- gere risorse nascoste. È molto proficuo individuare strategie e capacità trasversali, compresi pensiero critico e capacità generali di risoluzione (ma anche di individua- zione) dei problemi, abilità cognitive e sociali necessarie per la collaborazione e per la formazione di conoscenze, strategie di studio e abilità tecniche. Può risultare utile esporre in modo visivo tutte le idee che vengono in mente in modo che le connessioni tra di esse risultino evidenti, e in seguito aggiungervi ulteriori elementi. 240 3. Scelta del problema Durante l’analisi descritta sopra in genere emergono temi e argomenti signifi- cativi; il lavoro di questo momento del processo consiste nell’andare oltre l’indivi- duazione di un tema o di un argomento interdisciplinare, per arrivare a delineare uno o più compiti e problematiche potenzialmente reali. È importante che il com- pito e la problematica siano ampi per permettere che gli allievi individuino pro- blemi propri per indagini successive in piccoli gruppi. Possono essere d’aiuto, per facilitare il passaggio da un argomento rilevante ad un problema significativo, le domande elencate nello schema 1. Schema 1 Domande per trasformare argomenti di studio in problemi reali Per quali motivi questi compiti e problemi sono degni di interesse per gli allievi? In che modo il compito e il problema: rappresentano compiti autentici del mondo reale? comprendono in sé finalità multiple? rispondono agli interessi degli allievi? incoraggiano la creazione di problemi da parte degli allievi? conducono a compiti multipli e ad attività di indagine? stimolano gli allievi all’azione? 4. Coerenza tra compito e programma Una volta che ci si è accordati su un tema generale come problematica e com- pito, è bene che ci si assicuri che ci sia coerenza tra il compito e la problematica da un lato e gli elementi fondamentali del programma educativo e scolastico dal- l’altro. Compito e problema possono suggerire l’integrazione di ulteriori elementi. 5. Feedback È di grande utilità testare le idee emerse e ricevere feedback dagli altri, ossia da altri formatori, dirigenti, esperti del settore. In questo approccio, i gruppi assu- mono anche il ruolo di amici critici l’uno con l’altro. Le linee guida per condurre il processo di amicizia critica sono riportate sotto. - Il gruppo decide quali risultati ottenere dall’incontro. - Il gruppo di amici critici pone delle domande per chiarire i risultati desiderati e l’esercizio. - Il gruppo di amici critici fornisce feedback su ciò che sembra rilevante dell’e- sercizio. - Il gruppo di amici critici fornisce feedback costruttivo, solleva questioni o dà 241 suggerimenti per guidare il gruppo a considerare obiettivi più alti, a vedere le cose da un punto di vista diverso o a rendere più efficace il processo. Gli amici critici cercano di trovare una soluzione ad ogni problema riscontrato op- pure lavorano con il gruppo per giungere ad una soluzione. - Tutti riflettono e poi scrivono. Gli amici critici scrivono suggerimenti per far ottenere al gruppo il risultato desiderato. Il gruppo stende delle note sull’in- contro. In generale, ciò di cui il gruppo di formatori ha bisogno è che il gruppo di amici critici fornisca un feedback costruttivo, senza che formuli un giudizio. 6. Perfezionamento Dopo essersi assicurati che il problema sia coerente ed avere ottenuto il feed- back dagli altri, può essere utile ripensare al problema o al compito in modo da perfezionarlo. Potrebbe essere necessaria qualche correzione (è meglio operare delle correzioni in questo momento piuttosto che quando il programma è in corso di svolgimento). 7. La collaborazione degli allievi Formulare l’argomento nei termini di una domanda aperta rende più facile prevedere i possibili problemi sollevati dagli allievi e i compiti di loro interesse, in modo da ottenere una loro collaborazione per l’elaborazione congiunta. Può essere utile fare riferimento ai precedenti elenchi di conoscenze, punti di forza, interessi. Lo scopo di questo autointerrogarsi non è quello di definire i problemi secondari, ma di iniziare a pianificare dei metodi per fornire agli allievi il supporto necessario per l’individuazione e l’indagine dei problemi secondari e dei compiti. 8. Ruoli, valutazioni, logistica Interrogarsi sui possibili problemi ideati dagli allievi per una successiva inda- gine in piccoli gruppi mette in grado di prevedere i ruoli, le valutazioni e la logi- stica necessari per il programma. Per aiutare gli allievi nella elaborazione con- giunta, è utile prendere in considerazione in che modo i ruoli degli allievi e dei for- matori potrebbero cambiare. I formatori, come già detto, diventano fonte di aiuto, guida e spesso compagni di lavoro. Gli allievi si cimentano nelle indagini, nelle valutazioni, nell’insegnamento e nella progettazione. Lo sviluppo dei ruoli degli allievi e dei formatori, così come dei ruoli di altre persone, è di aiuto nell’indivi- duazione delle risorse e di luoghi di apprendimento dentro e fuori dall’ente di for- mazione. Questo permetterà di provvedere in anticipo a ciò che è necessario, dimi- nuendo gli ostacoli durante il lavoro. Conta molto anche pensare in anticipo al modo migliore per registrare i progressi conseguiti dagli allievi nel corso del pro- gramma. Benchè sia importante coinvolgere gli allievi nell’elaborazione di criteri e di strumenti specifici di valutazione, è essenziale che il piano complessivo di valu- tazione venga elaborato dai formatori. 242 Esercizio n. 1 1. Comprendere e pianificare. Per rendere più significativi l’insegnamento e l’apprendimento all’interno del corso, Vi invitiamo a individuare ulteriori necessità educative facendo riferimento alla vostra esperienza passata. Utilizzate la seguente serie di domande per capire meglio i vostri alunni e i loro bisogni e interessi. Prendete in considerazione il corso nel quale operate. Quali sono gli allievi e le esperienze degni di essere ricordati, sia in senso positivo che negativo? Quali riflessioni, preoccupazioni e domande hanno suscitato? Come avete agito in proposito? Prendendo atto del fatto che il cambiamento è un processo continuo e perso- nale, quali delle vostre attività siete veramente pronti a cambiare? 2. Agire e condividere. Pensate a come sia possibile rendere le vostre attività maggiormente interdisciplinari e basate su problemi reali. Illustrate qui di seguito le vostre idee. Pensate anche alla natura di questi cambiamenti e a come vi sia pos- sibile portarli a compimento. Condividete le vostre idee e i vostri sentimenti con un amico critico. 3. Riflettere. Riflettere sulle idee e sui sentimenti vostri e dei vostri amici cri- tici. Provate ad elencarli sinteticamente. 4. Ripensare e perfezionare. Quali sono le conseguenze per voi e per i vostri colleghi? Come intendete rendervi più aperti ai bisogni degli allievi? In che modo i cambiamenti apportati alla vostra pratica rispecchieranno attività più interdiscipli- nari e basate su problemi reali? Esercizio n. 2 1. Comprendere e pianificare. Scegliete una unità formativa che vi sembra centrale. Provate a stendere un breve piano per rendere tale unità più interdisciplinare e attinente ai problemi reali, secondo le caratteristiche dell’apprendimento basato su problemi con elaborazione congiunta (ABP-EC): - Domande/problemi aperti - Compiti autentici - Risoluzione progressiva dei problemi - Valutazioni basate sui risultati - Elaborazione congiunta EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE 243 - Ruoli degli allievi - Ruoli dei formatori 2. Agire e condividere. Condividete con uno o più amici critici le vostre ana- lisi e i vostri piani per una ulteriore elaborazione del vostro programma. Discutete del potenziale impatto che questi cambiamenti possono determinare sugli allievi, sui colleghi, sui genitori e su altri membri della comunità educativa. Il processo di dialogo con un amico critico dovrebbe comprendere i seguenti elementi: - comunicare i risultati che intende ottenere dalla conversazione; - chiedere all’amico critico di ascoltare attentamente e di porre domande di chiarimento; - chiedere all’amico critico un feedback costruttivo, che non implichi la formu- lazione di giudizi. 3. Riflettere. Riflettete sulle analisi e sui piani che avete esposto al vostro o ai vostri amici critici. Provate ad elencarli sinteticamente. 4. Ripensare e perfezionare. Quali conseguenze comporta tutto ciò per un ul- teriore perfezionamento del vostro programma? 6. ABP-EC: PROGRAMMAZIONE E APPLICAZIONE DEL PROCESSO DI INSEGNA- MENTO E DI APPRENDIMENTO La seconda fase del modello ABP-EC consiste nel programmare e applicare l’effettivo programma giornaliero di insegnamento e apprendimento. C’è da consi- derare che la programmazione tradizionale è completa quando tutto o quasi viene previsto dall’insegnante: materiali, strategie educative, criteri di valutazione. Nel- l’ABP-EC la programmazione va “in direzione dell’ignoto”, che consiste nel con- tributo degli allievi al processo di risoluzione dei problemi. Integrazione del ciclo di risoluzione progressiva dei problemi Il ciclo di risoluzione progressiva dei problemi, unito a strategie educative idonee, permette ai formatori di raggiungere l’obiettivo primario relativo agli al- lievi: coinvolgerli nella risoluzione progressiva dei problemi riguardanti una problematica e un compito autentici. I processi di pensiero fondamentali per la comprensione di una problematica, di una questione, di un argomento, così come pianificare un’attività, mettere in pratica un progetto, lavorare in direzione di un ri- sultato desiderato, condividere il lavoro, riflettere sul lavoro svolto, ripensarlo e perfezionarlo, sono gli obiettivi della pianificazione nel corso delle cinque fasi di un programma ABP. In seguito all’assegnazione dell’incarico generale e alla domanda aperta, i 244 gruppi di allievi si impegnano nella risoluzione progressiva dei problemi in questo modo:  Individuando problemi specifici per loro rilevanti;  Elaborando un piano di lavoro per esplorare un problema di grande interesse;  Conducendo l’indagine e l’analisi;  Preparando e presentando le scoperte a interlocutori autentici;  Discutendone e successivamente consolidando quanto hanno imparato. I formatori dovranno elaborare e attuare adeguate strategie per sostenere le cinque fasi del processo di insegnamento e apprendimento, come nei suggerimenti qui riportati. Prima fase Per facilitare agli allievi la comprensione del compito e della problematica ge- nerale, per guidarli nell’individuazione di problemi specifici e per incoraggiarli a dedicarsi allo studio i formatori possono:  Presentare il compito generale e porre la domanda aperta con l’apporto di tutte le informazioni necessarie (l’ideale sarebbe riuscire a catturare la curiosità dell’alunno, così da creare in lui il desiderio di sapere di più riguardo al pro- blema);  Stabilire ciò che gli allievi già sanno ed esaminare la problematica da punti di vista diversi;  Elaborare con gli allievi problemi specifici per indagini ulteriori;  Formare dei gruppi di indagine intorno a domande e problemi secondari aperti;  Individuare insieme agli allievi le capacità di collaborazione necessarie. Seconda fase Per aiutare gli allievi nell’elaborazione di un piano di indagine o di lavoro per problemi specifici, i formatori possono mostrare loro come si svolge il processo di programmazione e guidarli nel momento in cui essi:  Fanno previsioni, ipotesi e teorie per affrontare il problema;  Individuano obiettivi di apprendimento;  Esplorano potenziali fonti di informazione per i processi di indagine;  Stilano un piano di lavoro;  Individuano interlocutori adatti;  Elaborano con il formatore dei processi per seguire e valutare il proprio lavoro. Terza fase Per aiutare gli allievi mentre conducono l’indagine e analizzano le loro sco- perte, i formatori:  Incoraggiano gli allievi a riflettere sulla propria ricerca, a condividere le sco- perte e a ricercare un feedback sia all’interno del gruppo che tra un gruppo e l’altro; 245  Incoraggiano gli allievi a rivedere le ipotesi e le previsioni nel corso della pro- pria indagine;  Verifica con gli allievi se l’indagine fa progressi e se c’è la necessità di nuove risorse;  Elaborano insieme agli allievi dei piani per specifiche valutazioni basate sui ri- sultati. Quarta fase Per aiutare gli allievi nella preparazione e presentazione delle loro scoperte, i formatori, rivestendo i diversi ruoli di istruttore e consigliere, possono incorag- giare gli allievi a:  Consolidare teorie e scoperte e riesaminare ciò che hanno capito;  Rivedere e finalizzare i piani per l’esposizione delle scoperte;  Valutare le realizzazioni e le presentazioni in base ad un livello qualitativo di riferimento e al feedback da parte degli altri;  Condividere le scoperte con interlocutori autentici. Quinta fase Per favorire le discussioni e il consolidamento di quanto appreso sia da parte dei gruppi cooperativi che dell’intera classe, i formatori, mentre orientano e valu- tano gli allievi, possono lavorare con loro per:  Ricercare feedback da parte degli interlocutori;  Individuare ciò che si è appreso riguardo a contenuto, capacità e tecnologia;  Mettere in relazione ciò che si è appreso in ogni piccolo gruppo con quanto hanno appreso gli altri e con il problema e il compito generali dell’intero gruppo;  Riesaminare le precedenti previsioni, ipotesi e teorie, e apportare le dovute correzioni;  Considerare le conseguenze, le applicazioni e i possibili passi successivi. Nella lezione successiva, si potrà trovare un elenco di strategie mirate alla for- mazione della conoscenza, alla collaborazione, alla rappresentazione dei concetti, alla riflessione e alla valutazione che possono essere utilizzate nelle varie fasi sopra descritte. Bibliografia BEAU FLY J ONES, PLAUDETTE M. RASMUSSEN e MARY C. MOFFITT, Didattica per problemi reali. Ren- dere significativi gli apprendimenti, Erickson, Trento 1999. http://www.ispfp.ch/scp2/ipertesti/problemi_reali/default.html 246 TERZA LEZIONE DISPOSITIVI DIDATTICI OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ descrivere le implicazioni didattiche del principio della centralità dell’utente nella forma- zione professionale; ❏ confrontare il proprio personale repertorio di metodi e dispositivi didattici con il repertorio proposto. CENTRALITÀ DELL ’UTENTE Abbiamo più volte sottolineato l’importanza che, per la pedagogia salesiana, ha la centralità dell’allievo. Ma che cosa significa questo dal punto di vista della didattica? Mettere al centro l’allievo significa: • offrire esperienze e costruire situazioni che attivino in lui motivazioni affet- tive; • introdurre il rapporto didattico con un contratto pedagogico e formativo con gli allievi, definendo insieme a loro, dopo un’analisi delle loro aspettative ed un confronto realistico con la fattibilità e con le finalità istituzionali del CFP: - obiettivi del processo formativo, - scadenze e metodologie del lavoro, - tempi e modi della verifica formativa e della valutazione sommativa, - ruoli giocati e loro gestione, - le regole dello stare insieme; • proporre al corso momenti di attivazione: applicazione, sperimentazione, messa in pratica, ricerca, progettualità, … alternati a momenti formativi (la- voro individuale, di sottogruppo, di tutto il gruppo), riflessivi (ascolto, lettura, visione), alla lezione frontale (di cui è sempre bene fare un uso limitato!); • facilitare l’apprendimento anche attraverso il ricorso ai saperi comuni che l’al- lievo fa propri nella vita quotidiana; si parla anche di “rappresentazioni men- tali spontanee della realtà” e di apprendimento socio-culturale del vissuto quo- 247 tidiano, che ha valenze fortemente positive, poiché motiva e fa sentire “al centro” il soggetto in apprendimento; • tenere presente il personale stile cognitivo che caratterizza ciascun allievo (cfr. teoria dell’intelligenza di Gardner); • evitare, nelle fasi di verifica e di valutazione, atteggiamenti giudicatori e/o di colpevolizzazione; evitare, in particolare, giudizi sulla personalità degli allievi. PER UNA PEDAGOGIA DEL SUCCESSO È vero che dagli errori si impara, ma ciò che più conta, per imparare (e far im- parare), è sperimentare (e far sperimentare) successi. Sono questi infatti che potenziano nei ragazzi la fiducia in se stessi e la capa- cità di mobilitare energie, valorizzano le competenze che i ragazzi hanno acquisito in passato o in altri contesti e li orientano a pensare di poter influire, orientare e modificare le cose che li riguardano. In questo senso, l’espressione “pedagogia del successo” dice qualcosa di molto simile a quanto viene sottolineato dall’approccio dell’empowerment nella formazione. A questo riguardo, è utile consultare BRUSCAGLIONI MASSIMO/GHENO STEFANO, Il gusto del potere. Empowerment di persone ed azienda, Franco An- geli, Milano 2000, libro che, pur tagliato sui contesti aziendali, consiglio calda- mente a tutti i formatori. Una didattica centrata sui successi è una didattica capace di costruire situa- zioni in cui gli utenti si sentano incoraggiati a “buttarsi”, a provare, e possano fare esperienze gratificanti. Può trattarsi anche di esperienze e azioni piccole (a basso rischio di fallimento, reversibili nei loro effetti) ma significative: - simulazioni, - azioni (anche simboliche) che alludano al superamento di una difficoltà, - ricerca operativa di nuove informazioni, - affrontare un problema reale… DISPOSITIVI DIDATTICI Nella formazione professionale, spesso, è il lavoro stesso che diventa “stru- mento didattico”, oltre che obiettivo formativo. Il laboratorio quindi diventa uno dei principali “momenti attivanti”. È un ambiente di esperienza di per se stesso at- tivo, che può essere vissuto come simulazione molto vicina ad un contesto lavora- tivo reale. Ma il laboratorio non è solo “laboratorio”; se si riducesse a questo, ci si muoverebbe in una prospettiva solo addestrativa e non formativa. Il laboratorio può diventare anche un momento riflessivo, in cui esplorare il rapporto dei singoli col lavoro che stanno facendo e con i saperi che stanno sviluppando. 248 Spesso, l’attivazione di un contesto motivante è più difficile per quei forma- tori che hanno a che fare con altre aree (lingua, “cultura generale”, discipline teo- riche…), che talvolta sono giustapposte ai momenti “pratici” e non integrate con essi. Preparando un’unità formativa, un formatore non ha problemi a farsi un’idea sul tema o sull’argomento che vorrebbe affrontare o sugli obiettivi formativi che vorrebbe raggiungere. Egli però avverte spesso l’esigenza di cambiare gli stru- menti di lavoro che utilizza col gruppo, per non limitarsi a ricorrere all’abusato “ragazzi, oggi parleremo di…” e constatare con rassegnazione che l’attenzione del corso verso i temi proposti risulta essere tutt’altro che vigile. Nella didattica, infatti, in questi ultimi decenni, si è passati da una prospettiva che sottolineava unilateralmente l’insegnamento (“cosa dico…?”), ad una prospet- tiva che invece pone l’accento sull’apprendimento (“cosa faccio e cosa faccio fare per favorire apprendimento…?”)1. La prima prospettiva metteva al centro il forma- tore-insegnante e i suoi saperi da trasmettere, la seconda mette al centro i soggetti che apprendono e che costruiscono attivamente la propria conoscenza, a partire da una molteplicità di stimoli e di situazioni. È pertanto necessario che i formatori, sia quelli impegnati nelle aree più “teo- riche”, sia quelli che hanno a che fare con apprendimenti più “pratici”, sappiano fare ricorso ad una pluralità di strategie, di strumenti educativi e di attività didat- tiche che possano costituire ambienti opportuni di costruzione dell’esperienza e della conoscenza e permettano di valorizzare al meglio ciò che i ragazzi già sanno, sperimentano e vivono. Può allora essere utile per il formatore l’utilizzo di una check-list , del tipo di quella che segue, da scorrere velocemente, per vedere se qualcuna delle idee pre- sentate possa adattarsi a predisporre condizioni che incoraggino e facilitino l’ap- prendimento. Si tratta di una sorta di “cassetta degli attrezzi” che non intende certo ridurre il discorso sul metodo all’utilizzo nella didattica di tecniche di animazione, ma offre ai formatori una rassegna di strumenti e di dispositivi, da inserire in stra- tegie didattiche più complesse e da calibrare sulle specificità dei contesti, sulle esi- genze dei soggetti a cui si rivolgono, sul tempo a disposizione e sugli obiettivi che si prefiggono di raggiungere. Prima di presentare la lista, sono necessarie alcune ulteriori precisazioni. In- nanzitutto va osservato che le tecniche che verranno presentate prevedono un uti- lizzo a livello di gruppo – corso (15-20 unità). È questo infatti il luogo più adatto per permettere ai membri di esprimersi, confrontarsi, approfondire, scegliere, col- laborare. A volte, perché siano facilitati l’ascolto, la comunicazione e la fiducia re- ciproca e tutti possano partecipare attivamente, può essere utile articolare ulterior- mente il gruppo – corso in sottogruppi più piccoli (5 o 6 partecipanti). La maggior parte delle esercitazioni che verranno presentate possono prevedere la seguente ar- ticolazione: 1 Cfr.: CALVANI ANTONIO, Elementi di didattica. Problemi e strategie, Carocci, Roma 2000, pp. 9 sq. 249 - un momento comune (stimolo iniziale, ingresso nel tema…), - un’attività individuale, per favorire la riflessione personale, - un confronto in sottogruppi, - un momento comune per la condivisione del lavoro dei sottogruppi, l’appro- fondimento di alcune tematiche e la sintesi. La lista di strumenti didattici per il lavoro con i ragazzi si riferisce ad una scansione dell’apprendimento che prevede sostanzialmente tre passaggi: Un primo passaggio, in cui sia possibile: - creare il clima relazionale adatto ad un lavoro produttivo, - individuare temi o problemi significativi o evidenziare la significatività dei temi o delle attività scelte (cioè il punto in cui il tema o l’attività proposti ag- ganciano gli interessi e l’esperienza dei ragazzi), - esplicitare gli obiettivi e i risultati che si intendono raggiungere, - dare spazio all’espressione delle attese e dei timori dei ragazzi in relazione al tema, al problema o all’attività proposta. Un secondo passaggio in cui sia possibile mettere i ragazzi in grado di: 1. esprimere la propria versione del tema-problema, esplorare le proprie idee, co- noscenze o precomprensioni, dare voce ai propri vissuti e alle proprie emo- zioni in riferimento ad una certa tematica o ad una certa attività, 2. analizzare ed approfondire una determinata tematica o un determinato pro- blema, guadagnare una certa distanza critica rispetto al proprio campo percet- tivo, ampliare le proprie convinzioni e riflettere criticamente sulle proprie idee, sui propri stati d’animo e sui propri atteggiamenti, 3. interiorizzare, assimilare e riesprimere ciò che si è elaborato ed appreso. Un terzo passaggio in cui sia possibile verificare e valutare il percorso svolto e le acquisizioni raggiunte. Riservando il tema della verifica e della valutazione ad una prossima tratta- zione specifica, ci concentriamo qui sui passaggi precedenti. Tecniche per creare il clima, esplorare le attese, individuare temi signifi- cativi • Giochi di conoscenza o di interazione2. • Realizzare delle “carte di identità” (con le caratteristiche specifiche dei sin- goli: gusti, hobby, caratteristiche fisiche, interessi…). 2 Cfr.: VOPEL K LAUS, Giochi di interazione per adolescenti e giovani, 4 voll., LDC, Torino 1991. Nel primo volume di questa collana, un intero capitolo raccoglie esercizi e giochi di intera- zione che possono aiutare gli adolescenti a confrontarsi con temi legati all’esperienza formativa e al- l’apprendimento. 250 • Operare delle associazioni di idee, libere o in risposta ad uno stimolo verbale o visivo. • Esplorare le attese e le paure in riferimento ad un tema o ad una attività (le at- tese e le paure vengono scritte su dei cartoncini colorati, messe in un conteni- tore, estratte a turno e commentate). • Ascoltare rumori o suoni (magari di un contesto lavorativo) ed esprimere le proprie impressioni (dopo averle eventualmente annotate). • Esercizi di comunicazione3. • Dare e ricevere feedback positivi. Tecniche per facilitare l’espressione, da parte dei ragazzi, della propria versione del tema, delle proprie conoscenze, idee, precomprensioni, espe- rienze, emozioni in riferimento ad una determinata tematica e/o attività • Costruire delle metafore, completando frasi del tipo: “Per me, il lavoro (o il computer o la matematica…) è come...”. • Scegliere, tra una gamma di immagini (tratte da riviste) o di oggetti simbolici, quelli che colpiscono maggiormente e discutere sui motivi della scelta4. • Brainstorming5 o espressione di libere associazioni (idee e parole) che ven- gono in mente su un determinato tema. • Cartoncini colorati (o post-it) su cui scrivere associazioni o idee e da appen- dere poi, con del nastro biadesivo, su un cartellone6. • Costruire una “mappa delle idee” relative ad un determinato tema, mettendo al centro una parola e unendo con delle linee altri termini e concetti ad essa col- legabili e ramificando i collegamenti da un termine all’altro. • Costruire dei racconti a partire da suoni, rumori o brani musicali. • Costruire un plastico o un oggetto (“il mondo che vorrei”, “il CFP che vorrei”, “una azienda”...) con materiali poveri (cartoncini, materiali di scarto, scatole di cartone...). 3 Cfr.: NOVARA DANIELE, Scegliere la pace. Educazione ai rapporti, Edizioni Gruppo Abele, To- rino 1987. 4 In una prima fase del lavoro, le foto o gli oggetti – sparsi su un tavolo o sul pavimento, al centro della stanza, oppure fatti girare tra i banchi – vanno analizzati in silenzio dai singoli compo- nenti del gruppo. In una seconda fase, ciascuno sceglie la foto o l’oggetto che più l’ha colpito (op- pure la foto o l’oggetto che maggiormente collega ad un aspetto del tema preso in esame). In una fase successiva, ciascuno verbalizza i motivi della propria scelta. Su questo primo scambio si può attivare la discussione del gruppo. 5 Utilizzando questa tecnica, occorre che l’insegnante incoraggi la produzione del maggior nu- mero possibile di associazioni e vigili affinché non vengano manifestati giudizi o valutazioni sulle idee espresse. Si permette così l’espressione di idee e vissuti che probabilmente verrebbero censurati, perché ritenuti inutili o non inerenti al tema. In un secondo momento, l’insegnante aiuta il gruppo ad analizzare gli elementi emersi e a riflettere sul tipo di associazioni scaturite. 6 L’utilizzo del post-it facilita la costruzione di connessioni e raggruppamenti differenti. 251 • Compilare cronache e diari (ad esempio, un “diario di bordo” sull’andamento del gruppo o un diario dell’apprendimento: “oggi ho imparato che…”). • Rispondere individualmente ad una serie di domande (stampate su un modulo predisposto dal formatore) che aiutino a far luce su atteggiamenti e comporta- menti relativi a certi ambiti (ad es.: il rapporto con i genitori, con gli amici, con il lavoro, con le norme...), decidendo poi che cosa si intende comunicare agli altri. • Gioco delle carte (carte – stimolo, con domande su un tema, da pescare a turno)7. • Esprimere accordo o disaccordo rispetto ad una serie di affermazioni, moti- vando la propria scelta (Si potrebbero predisporre delle schede con una serie di affermazioni che rispecchino opinioni abbastanza diffuse tra gli adolescenti, ricavate dall’esperienza diretta con i ragazzi/e o da ricerche e studi sull’adole- scenza8). • Attribuire un ordine di importanza o di priorità ad una serie di elementi (ad. esempio foto o immagini o frasi o testi brevi), motivando la propria scelta (gli elementi potrebbero essere riportati singolarmente su dei cartoncini, da siste- mare poi in ordine di importanza, oppure elencati su una scheda, con la possi- bilità di indicare a fianco una valutazione da 1 a 10). • Posizionarsi, in piccolo gruppo, rispetto ad una serie di slogan. • Raccogliere storie di vita di adolescenti (magari scorrendo le “lettere dei let- tori” su riviste per adolescenti). • Lettura e discussione in sottogruppo di storie di vita (con eventuale rielabora- zione dei finali)9. • Ricostruire dei ricordi. • Esercizi di meditazione per richiamare alla mente particolari esperienze10. • Scegliere degli aggettivi per definire una particolare realtà o esperienza. 7 Si possono predisporre delle carte simili a quelle da gioco, ciascuna delle quali contenga un’affermazione su un dato argomento, una parola-chiave, un’immagine. Le carte possono essere uti- lizzate in vari modi: a) l’intera classe ha un unico mazzo di carte: ciascun ragazzo, a turno, ne estrae una, la legge e la commenta (se qualcuno non desidera intervenire su quel tema, va lasciata la possibilità di rimet- tere la carta nel mazzo); b) si divide la classe in due cerchi, in modo che le persone si trovino a coppie, una di fronte al- l’altra. Ogni coppia possiede un mazzo di carte; a turno, ognuno/a estrae una carta, la legge e la commenta con il/la compagno/a. Su questa tecnica cfr.: MARMOCCHI PAOLA, RAFFUZZI LORETTA, Le parole giuste. Idee, giochi e proposte per l’educazione alla sessualità, NIS, Roma 1993, p. 38. 8 Cfr.: COSPES, L’età incompiuta. Ricerca sulla formazione dell’identità negli adolescenti ita- liani, LDC, Torino 1995. 9 Storie di adolescenti sono contenute, ad esempio, in: GILLINII G. - Z ATTONI M., Dalla loro parte. Storie vere di figli adolescenti alle prese con i genitori, Ancora, Milano 1995. Esperienze di questo tipo, molto vicine a quelle che i ragazzi stessi potrebbero vivere, offrono la possibilità di esprimere contenuti personali, senza necessariamente esporsi in prima persona, ma attribuendo ai personaggi i propri sentimenti e le proprie scelte. 10 Cfr. ad esempio: VOPEL K LAUS, Giochi di interazione… , op. cit., vol. 1, pp. 49-51; pp. 75-77. 252 • Costruire e sperimentare una specie di gioco dell’oca in cui, alle varie caselle, corrispondono dei racconti o delle prove significative11. • Racconti autobiografici. Tecniche per l’analisi, l’approfondimento e l’ampliamento di convinzioni • Cercare, inventare, cambiare i titoli di brevi testi (articoli o racconti), per indi- viduare la dinamica centrale del testo considerato. • Trovare dei sottotitoli per un brano o per un testo che narra un proprio ricordo. • Dividere un testo in episodi. • Accostare testi ad immagini. • Commentare con testi o con musiche delle sequenze di diapositive. • Ascoltare favole e racconti fantastici12. • Confrontare diversi testi o diverse versioni e pareri su un fatto. • Confrontare immagini (specie se accostate per contrasto). • Evidenziare o sottolineare delle frasi o delle parole in un testo. • Generare domande su un argomento svolto (a coppie, a coppie di coppie…). • Impiegare strumenti multimediali13: CD con ipertesti da consultare, naviga- zione in Internet… • Ricercare documentazione su determinati temi. • Realizzare delle inchieste. • Elaborare, applicare, tabulare dei questionari. • Osservare. • Invitare e incontrare degli ospiti o dei testimoni significativi (anche del mondo del lavoro o delle professioni). • Realizzare/ascoltare/elaborare un’intervista a personaggi reali (genitori, cono- scenti, passanti..., magari con l’aiuto di un registratore) o immaginari (gioco del reporter). • Curare delle raccolte. • Rievocare o visionare degli spezzoni di programmi televisivi conosciuti, da analizzare criticamente. • Visitare una località o una realtà / esperienza significativa. • Visitare una mostra. • Letture. • Visione di film o di videocassette. 11 Cfr.: DEMETRIO DUCCIO, Il gioco della vita, Guerini e associati, Milano 1997. 12 Se ben scelti, questi racconti permettono ai ragazzi di accedere al mondo della fantasia e del- l’immaginazione e di entrare in contatto con le loro emozioni, in modo indiretto, proiettandole sui personaggi. 13 Questi strumenti sono estremamente motivanti per i ragazzi, perché non hanno affatto odore di scuola e danno loro il senso di disporre di risorse per il sapere e per il saper fare. Inoltre, consen- tono di non disperdere, ma di valorizzare, in un quadro intellettuale maggiormente strutturato, forme di intelligenza intuitiva, empirica, immaginativa, assai diffuse tra i giovani. 253 Tecniche per favorire l’assimilazione e la riespressione • Cambiare / analizzare / comporre il testo di una canzone. • Cambiare / riscrivere da un altro punto di vista un racconto. • Continuare / completare un racconto. • Proseguire una storia esemplare aperta (con invenzione di un finale possibile). • Comunicare un contenuto senza parole (linguaggio dei segni, statua umana…). • Dialogare per iscritto, a piccoli gruppi, con l’utilizzo di un cartellone al centro del quale sia riportata una parola o una domanda. • Analisi di casi: a partire da una situazione reale o verosimile (presentata dal formatore o ricostruita dai ragazzi stessi) formulare possibili alternative e va- lutarle. • Giochi di ruolo14. • Giochi di simulazione15. • Realizzare un giornale murale. • Completare frasi o immagini • Impiegare strumenti multimediali: chat, news group, costruzione di presenta- zioni animate o di ipertesti… • Inventare degli slogan o creare un’immagine pubblicitaria, che invitino a pren- dere posizione su un determinato argomento. • Realizzare uno spot pubblicitario (“pubblicità progresso”) per reclamizzare un particolare atteggiamento. • Realizzare gemellaggi e/o scambi - reali o virtuali (a distanza) - con altre classi o gruppi. • Scrivere lettere a se stessi (Ad es.: “Caro...., oggi ho appreso che...”). • Realizzare lucidi da proiettare con la lavagna luminosa. • Realizzare delle sequenze di fumetti (con disegni anche stilizzati e il testo in- serito nelle nuvolette). • Realizzare un cartellone. • Realizzare cartelloni con fogli adesivi e diversi strati di lettura. • Costruire un collage con diversi materiali (immagini tratte da riviste, foto- grafie o stoffe…) che sintetizzi aspetti significativi del tema trattato. 14 Si tratta di invitare i ragazzi a drammatizzare una situazione (proposta dal formatore o scelta dai ragazzi stessi): alcuni membri recitano il “ruolo” dei protagonisti della situazione, mettendosi “nei loro panni”, mentre gli altri svolgono la funzione di osservatori. Alla fine della drammatizza- zione, gli “attori” esprimono come si sono sentiti e gli osservatori commentano l’interazione ed espri- mono come avrebbero a loro volta affrontato la situazione. 15 L’esigenza di alleggerire il carico culturale e materiale dei nostri insegnamenti va inteso anche come un invito a proporre, tutte le volte che ciò sia possibile, contesti didattici all’interno dei quali apprendere sia un’esperienza piacevole e gratificante. Cfr.: AA.VV., I giochi di simulazione nella scuola, Zanichelli, Bologna 1987; F ERRACIN LINO, GIODA PIERA, LOOS SIGRID, Giochi di simu- lazione per l’educazione allo sviluppo e alla mondialità, LDC, Torino 1993. 254 • Realizzare un plastico. • Realizzare un libro. • Realizzare un video. • Realizzare una pagina di giornale. • Organizzare una mostra. A molti, la lista che abbiamo presentata potrà essere sembrata poco più che un indice di possibili attività. Del resto, alcune di queste tecniche saranno già cono- sciute da parte dei partecipanti, per alcune abbiamo inserito delle brevi note che ne chiarifichino lo svolgimento e per altre dei rimandi a testi utili. Ciò che ci premeva qui era rendere possibile a ciascun formatore la rapida consultazione di una ras- segna di umili strumenti o dispositivi, capaci di sostenere e coadiuvare la loro pra- tica. La lista di dispositivi riportata sopra contiene anche un invito, quello a speri- mentare alcune di queste idee, ad integrarle con osservazioni personali e varianti suggerite dall’esperienza, per costruire una personale “cassetta degli attrezzi”, un proprio repertorio di idee e di esperienze da arricchire continuamente e da confron- tare con altri. EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE Quali delle tecniche e dei dispositivi sopra elencati conoscete già o avete avuto modo di sperimentare? ..……………………………………………………………………………… ..……………………………………………………………………………… ……………………………………………………………………………….. Pensate che sarebbe possibile utilizzare più spesso questi metodi nella normale didattica? Illustrate qui di seguito le vostre idee. Se lo ritenete opportuno, condivi- dete le vostre idee e i vostri sentimenti con gli altri partecipanti al corso. ..……………………………………………………………………………… ..……………………………………………………………………………… ……………………………………………………………………………….. 255 Modulo 3: DIDATTICA E NUOVE TECNOLOGIE FRANCESCO DE PASCALE In questo modulo affronteremo alcuni aspetti della didattica multimediale. Ci sono posizioni e competenze molto divergenti in questo campo, che vanno da chi non ne vuole affatto sapere a chi fa un uso minimo degli strumenti informatici fino a coloro che, oltre ad avere buone competenze tecnologiche e progettuali, hanno sperimentato con successo percorsi didattici basati sulle NT. È difficile quindi de- cidere a priori cosa possa interessare a chi. Le tematiche su cui propongo di lavo- rare sono queste: - didattica multimediale: ne possiamo fare a meno? - usare Internet in aula: ne vale la pena? - costruire un progetto con la rete. Considerate comunque queste proposte come punti di partenza per entrare nel tema e per individuare eventuali nuovi interessi o bisogni di approfondimento. L’o- biettivo non è né quello di convincere della bontà di questi strumenti né quello di propinare dall’alto teorie e ipotesi di lavoro. L’intento è invece quello di utilizzare l’opportunità di interazione che lo strumento (il fatto che questo corso verrà preva- lentemente erogato in rete) e il tema ci offrono, per riflettere insieme su questa nuova risorsa, per costruire un canale di dialogo che vada non solo nella direzione uno-molti, ma anche in quella molti-molti. Non si tratta di trasmettere conoscenze, ma di costruire insieme conoscenze. Mi piacerebbe che l’attività di formazione non fosse vissuta in “isolamento”, ma che si ricreasse una sorta di “classe virtuale” in cui recuperare la dimensione sociale dell’aula, anche se attraverso i canali di comunicazione e di interazione te- lematici. Spero quindi che ci sia un forte uso degli strumenti di interazione (forum, bacheca, chat) anche e soprattutto per favorire lo scambio di esperienze tra tutti voi. È quella che può crearsi tra noi (non tanto quella che si crea col computer) la relazione più importante. 257 PRIMA LEZIONE DIDATTICA MULTIMEDIALE: POSSIAMO FARNE A MENO? OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ riconoscere gli aspetti positivi e quelli problematici derivanti dall’uso delle nuove tecnologie informatiche nella didattica; ❏ riflettere sui cambiamenti a livello metodologico, didattico e organizzativo che le NT richie- dono. “Non è detto che le cose migliorino se si cambia, ma se vogliamo che migliorino dobbiamo provare a cambiarle”. Georg Christoph Lichtenberg ESERCITAZIONE DI APERTURA Didattica multimediale e apprendimento Quale di queste affermazioni si riferisce a quale approccio didattico? Perché? Lezione Approccio Perché tradizionale costruttivistico L’insegnamento avviene in maniera lineare e ricettiva L’insegnante facilita il processo di apprendimento La trasmissione del sapere è al centro L’apprendimento si realizza all’interno di un processo sociale Gli alunni vengono guidati e controllati L’attività didattica è un’azione attiva dell’allievo I risultati dell’attività didattica sono aperti L’insegnamento avviene attraverso l’interazione I risultati dell’attività didattica sono prevedibili L’apprendimento avviene in un ambiente di apprendimento aperto Il risultato del processo didattico è la riproduzione Il risultato del processo didattico è la produzione 258 Viviamo in un’epoca multimediale. La nostra è la “medi@-età”, ovvero un’età contrassegnata dai media e dalle nuove tecnologie della comunicazione. Non pos- siamo illuderci di poterne non tenere conto. Dopo Gutenberg, avremmo potuto evitare di confrontarci con l’invenzione della stampa e continuare a trasmettere in- formazioni utilizzando solo carta, penna, inchiostro e calamaio? Se come formatori chiudessimo gli occhi di fronte alla realtà multimediale in cui viviamo, rischieremmo di allontanare ancora di più i nostri allievi, di non ri- spondere più alle concrete esigenze di formazione e istruzione dei nostri giorni. La scuola già da tempo non riesce più a essere il luogo principale in cui i ra- gazzi vengono formati. Anche noi insegnanti ce ne siamo oramai resi conto. Uno studio tedesco del 1996 (Allenbach-Studie), che indagava su chi o cosa esercitasse un’influenza sugli studenti, riportava i seguenti risultati: gruppo di amici 66%, media 60%, compagni di classe 24%, genitori 17%, scuola 5%, insegnanti 3%, chiesa 1%. I media risultavano 20 volte più influenti degli insegnanti. “Viviamo in un ambiente che è già multimediale. In un certo senso, lo è sempre stato. Ma la rivoluzione digitale permette di integrare e coordinare lin- guaggi, strumenti e progetti comunicativi in maniera per molti versi nuova, spesso più efficace. Una eventuale chiusura del mondo scolastico a questa realtà avrebbe l’effetto di allontanare la scuola da prassi comunicative (e conoscitive) che fanno ormai parte dell’ambiente sociale e culturale di ogni cittadino, e in particolare dei giovani. In ultima analisi, avrebbe l’effetto di allontanare la scuola dalla vita… Il mondo dei nuovi media costituisce l’ambiente comunicativo e conoscitivo del do- mani, e per certi versi già dell’oggi”1. Certo non possiamo essere ingenui al punto dai pensare che queste innova- zioni tecnologiche offrano solo vantaggi, chiudere gli occhi di fronte ai rischi che invece essi portano con sé. È meglio “...ottimizzare gli sforzi per accompagnare l’innovazione e non lasciarla morire lungo la strada della sua crescita. Non basta indirizzarla bene all’inizio. Per restare con i piedi per terra, conviene considerare, con molta freddezza, le difficoltà alle quali si va incontro, sia quelle generali - esterne al nostro campo, ma che si riflettono al suo interno - sia quelle specifiche, legate all’area della multimedialità. Sottovalutarle all’inizio porterebbe a rincon- trare dopo le une e le altre, ma in modo incontrollato, magari forti, capaci di dis- fare quanto si è faticosamente costruito”2. È necessaria una attenta riflessione sui cambiamenti che le nuove tecnologie richiedono a noi docenti, per adeguare la nostra azione formativa, per individuare le metodologie didattiche e organizzative e le competenze progettuali di cui ab- biamo bisogno per integrare in modo ottimale i nuovi strumenti all’interno della nostra disciplina. 1 Da: F. CIOTTI E G. RONCAGLIA, Il mondo digitale – Introduzione ai nuovi media , Laterza 2000, consultabile al seguente indirizzo: http://www.educational.rai.it/corsiformazione/multimediascuola/ lezione01/materiali. 2 Cfr.: Tecnologia nella mia classe? Aiuto! , in: http://www.comune.jesi.an.it/jesicentro/ADS/ AIUTO/aiuto.htm. 259 Sono però convinto, che insieme alle difficoltà e ai problemi che queste inno- vazioni portano con sé, esse rappresentino un potenziale notevole di rinnovamento della nostra attività didattica, che potrebbe, se usato nel modo e nei tempi giusti, permetterci di riconquistare l’interesse dei nostri studenti e trasmettere un bagaglio di competenze anche trasversali, facilmente spendibili nel mondo del lavoro. 1. PERCHÉ NO ? I PROBLEMI “Cosa si insegna con il computer? ….Stare fermi davanti a uno schermo per ore… accettando senza controbattere ciò che il computer ci dice. Un luogo pas- sivo…, dove un click del mouse ci dà la giusta risposta, con contatti superficiali e transitori via e-mail, con il rischio di frustrazioni... Senza pensiero analitico o rap- porti umani…” (Stoll, 1995, p. 218). L’introduzione delle Nuove Tecnologie nella didattica non è semplice né priva di aspetti problematici. Qui di seguito, ne indicherò alcuni: 1. Necessità di formazione3 finalizzata non solo all’acquisizione di compe- tenze tecniche di base, ma anche a competenze didattiche nell’uso delle tecnologie informatiche. “Non è sufficiente saper formare in presenza e avere conoscenze tec- niche. La formazione degli insegnanti è il problema fondamentale. Essa deve indi- rizzarsi soprattutto verso l’acquisizione di metodologie e tecniche che permettano di sfruttare al meglio questi strumenti a fini didattici”. Capire quando utilizzarli, come, con quali obiettivi, quanto, quando? Il progetto ADS Apple Distinguished School: http://www.comune.jesi.an.it/jesicentro/ADS:ADS.htm ha dimostrato come “nella scuola il problema non sia di acquisizione di tec- niche ma squisitamente didattico: l’insegnante si avvicina alle tecnologie se ne scopre il valore negli apprendimenti potenziati degli alunni. La formazione tecno- logica degli insegnanti va perciò guidata da insegnanti e non da ‘tecnici’. 2. Integrazione tra tecnologie e curriculo4: “Introdurre le NT nella didattica comporta un cambiamento profondo. Molteplici dimensioni della professionalità vengono toccate: funzioni, concezioni, poteri, percezioni di sé, ecc. Insomma: cambia lo svolgersi del quotidiano. Chi con le proprie spinte incide su questi terreni delicati, disturba i costumi precedenti: crea malessere e controspinte... di difesa”. 3. Difficoltà a trovare documentazione e materiali di qualità: Materiali sul tema ormai ne esistono tanti, ma non sempre ciò di cui abbiamo bisogno è a por- tata di mano o di facile reperibilità. In rete esiste una quantità infinita di risorse, 3 Cfr.: http://www.comune.jesi.an.it/jesicentro/TDC/inizio.htm. 4 Cfr.: http://www.edulab.it/edu/soci/corsisti/ctridenti/strumen/index.htm. 260 però a volte la ricerca richiede energie e tempo eccessivi. Avere un catalogo ragio- nato di indirizzi può rappresentare a volte la soluzione al problema? 4. Paura delle innovazioni tecnologiche, che talvolta porta a ritenere che i nuovi media possano ridurre l’importanza del ruolo del docente. Il ruolo del do- cente cambia ma resta fondamentale sia nella fase progettuale che in quella di rea- lizzazione delle attività. 5. Il lavoro di preparazione di una lezione risulta più faticoso e compli- cato. Qualcuno sostiene che ciò succede soltanto all’inizio; in seguito, tale sforzo viene ripagato sia in termini di interesse, perché l’attività didattica risulta più pia- cevole e motivante, sia in termini di tempo, perché i materiali preparati una volta possono tranquillamente essere riutilizzati o riadattati facilmente. 6. Il pensare che le nuove tecnologie offrano una risposta specifica e ade- guata a ogni problema o esigenza didattica. Non è vero! La didattica supportata dalle nuove tecnologie rende più ricco e piacevole il nostro lavoro, ma non può so- stituire completamente l’attività didattica tradizionale. 7. Problemi organizzativi, di budget e burocratici . Ci sono senz’altro, ma la situazione non è omogenea e comunque è in evoluzione. 8. Paura che si tratti di una didattica più povera e meno partecipativa . In- trodurre le NT permette di fare un salto di qualità notevole e di proporre una didat- tica più ricca, più motivante ed efficace. Gli studenti vengono stimolati a parteci- pare in modo attivo, a costruirsi e ad organizzarsi il proprio apprendimento in prima persona, anche se il ruolo dell’insegnante resta fondamentale. 9. Paura del rischio di un impoverimento delle competenze linguistiche . Alcune indagini svolte in Francia e Germania hanno dimostrato che anche questa paura può essere considerata infondata. È tutto così complicato? È il caso di rinunciarci? Ne vale davvero la pena? Qual è la tua opinione o la tua esperienza a riguardo? 2. PERCHÉ SÌ ? I VANTAGGI In una intervista rilasciata a Webscuola, il direttore dell’INDIRE, Giovanni Biondi, sostiene che le nuove tecnologie possono servire a migliorare la qualità dell’insegnamento. Esse sono, afferma, “un’importante opportunità di ripensa- mento della didattica tradizionale e possono contribuire all’elaborazione di meto- dologie innovative ed efficaci”5. 5 Cfr.: http://www.webscuola.it/jumpNews.asp?&idLang–IT&idUser–0&idChannel–191 &idNews–7802. 261 In merito all’uso delle Nuove Tecnologie nella didattica, ci sono pareri molto diversi, a volte assolutamente contrastanti. Molte sono però le voci di coloro che concordano con il direttore dell’INDIRE. Vorrei proporvi alcune di queste voci: R. Maragliano, rispondendo in una intervista a una domanda su come si possa usare la multimedialità nella scuola afferma: “La multimedialità mette la scuola in rete con il mondo, consente alla scuola di partecipare alla vita del mondo, consente alla scuola di uscire dalla sua chiusura. Bisogna partire da quello che i ra- gazzi sanno, da quello che vivono, da quello che i bambini sono, grazie anche alla multimedialità. È una nuova dimensione dell’oralità, vista anche in senso metafo- rico. I ragazzi e noi stessi, quando ascoltiamo, stiamo in un rapporto di totale con- divisione ed immersione nel suono. La multimedialità consente di creare lo stesso tipo di rapporto con le conoscenze, non come una forma di sapere critico, distac- cante, ma come una forma di sapere condiviso, partecipante, immersivo”6. Aggiunge Domenico Torretta: “L’apprendimento mediante l’uso delle tecno- logie informatiche favorisce l’acquisizione di abilità operative (uso del computer, ricerche su internet, organizzazione dei materiali, uso di software gestionali, ecc.) che probabilmente saranno richieste al momento della ricerca del lavoro… Le Tec- nologie dell’informazione consentono l’accesso ad una mole notevole di materiali adatti a scopi didattici prodotti da esperti altamente qualificati; il loro utilizzo può pertanto migliorare l’apprendimento sia in termini di qualità che di quantità… Tali tecnologie consentono estrema flessibilità, poiché permettono di selezionare e or- ganizzare materiali didattici ‘su misura’ sia rispetto all’obiettivo della lezione, sia rispetto alle esigenze dei singoli studenti... La possibilità di presentare materiali in modalità multimediale (testo, audio, video, immagini fisse, grafici, ecc.) permette di migliorare la qualità dell’insegnamento/apprendimento… Internet inoltre è rela- tivamente economico e semplice da usare”. Anche la paura di coloro che pensano che il PC possa ridurre l’interesse per la lettura e produrre un abbassamento delle competenze a livello linguistico è supe- rata: “Gli errori di ortografia sono in grande aumento. Molti pensano che, per colpa delle nuove tecnologie, i bambini e ragazzi leggono meno/poco e predili- gono altri media come tv, telefonino e computer. Invece l’uso corretto di un pc può aiutare le nuove generazioni a riscoprire la lettura e a fare meno strafalcioni. Al- cune indagini in Francia e Germania, hanno dimostrato che, a differenza della tv, che viene guardata passivamente, ipertesti, internet e persino i videogiochi, hanno fatto riscoprire ai giovani il piacere della lettura e li aiutano a esplorare il mondo del sapere. Allo stesso modo i software di correzione dell’errore hanno aiutato i ra- gazzi a migliorarsi in ortografia. Il computer ha una grande valenza ludica, e grazie al gioco si possono imparare un sacco di cose, anche a prima vista noiose. I word- processor più diffusi (a cominciare dal WinWord) hanno correttori anche in altre lingue (soprattutto l’inglese)”. 6 Cfr.: http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/m/marag103.htm; http://www.emsf.rai.it/scripts/documento.asp?tabella–trasmissioni&id–224. 262 “Uno studente dovrà in futuro sempre più gestire il proprio sviluppo intellet- tuale, ne sarà il primo responsabile… Egli si sceglierà l’insegnante secondo i suoi bisogni… misurerà i propri progressi nella pratica. E scambierà spesso i ruoli. Chi oggi impara, potrebbe essere domani un moderatore… per altri.” (Reimann & Schult, 1996, p. 186). 3. COSA CAMBIA Le Nuove Tecnologie nella didattica non richiedono un Centro di formazione completamente nuovo, ma solo un nuovo modo di concepire la didattica e l’am- biente di lavoro. Esse non si sostituiscono alla didattica tradizionale, ma la inte- grano e la arricchiscono. La realtà scolastica viene modificata, ma in maniera pia- cevole e creativa e costruttiva7. Usando le NT in classe, cambia completamente la prospettiva della nostra azione didattica. Cambiano il ruolo del docente e quello dell’allievo, cambiano le modalità di costruzione delle conoscenze8. Una didattica di tipo tradizionale non è pensabile se usiamo le nuove tecno- logie: Non didattica lineare ma didattica multimediale. Non formazione ma costruzione di conoscenze. Non aula ma laboratorio di apprendimento. 3.1. La prospettiva Le lezioni frontali con il web sono inimmaginabili, c’è bisogno di nuove forme di interazione sia tra allievi e docenti che tra gli allievi. È necessario orga- nizzare le attività orientandole verso un progetto, se possibile con una durata che vada al di là di una sola ora di lezione, perciò magari coinvolgendo più discipline: “La struttura ipermediale delle nuove tecnologie/media permette fasi di una didat- tica che è ampiamente indipendente dall’insegnante con cui gli studenti sperimen- tano una “modalità di apprendimento autonoma, attiva, costruttiva, cooperativa, vi- cina alla vita e contestualizzzata” (Weinert 1996, p. 26). La formazione nella società dell’informazione richiede strategie e competenze che non servono soltanto all’interno del centro, ma che, a livello metodologico, possono essere utilizzate nella formazione professionale, durante l’università o nel mondo dl lavoro. Gli strumenti multimediali rappresentano una realtà quotidiana per i ragazzi9 e di solito suscitano un interesse maggiore dei materiali cartacei e degli strumenti 7 Cfr.: http://www.carbon.cudenver.edu/~mryder/itc_data/constructivism.html. 8 Cfr.: http://www.comune.jesi.an.it/jesicentro/TDC/DOCUMENT/schecono.htm. 9 Cfr.: http://www.formare.erickson.it/giugno/editoriale.html. 263 tradizionali della didattica. Nel Centro e non solo, essi non devono però essere pensati solo come semplici strumenti per fare, un ausilio più che altro per il do- cente; devono diventare un mezzo per liberare la creatività, per costruire cono- scenze in modo più autonomo e partecipato. “Noi non pensiamo che il computer dia qualcosa al bambino. Per fare un’ana- logia: se si vuole imparare la musica, è bene suonare uno strumento. Cosa può dare un pianoforte a qualcuno, che non gli può dare un libro? È la stessa risposta. Il pia- noforte consente di fare qualcosa con la musica, di renderla propria, di esprimere se stessi. Nel libro si può leggere qualcosa sulla musica, ma non è la stessa cosa. Con la conoscenza [....], il computer è come il pianoforte. Consente di suonare la conoscenza; il libro ce la può solo dare”10. Non vuol dire che il processo di apprendimento debba diventare solo costrutti- vistico-individuale e che non esista un livello di condivisione, perché una ricerca con internet o qualunque altra attività didattica supportata dalle tecnologie deve comunque prevedere una fase comune di preparazione e una restituzione in classe dei risultati del lavoro svolto. Per coinvolgere quanto più possibile tutti gli studenti rispetto ad un apprendimento motivato, bisogna organizzarlo in modo che “siano tenute in considerazione le differenze a livello di prerequisiti e siano evitate e su- perate difficoltà di apprendimento” (Weinert, 1996) 11. Se si vuole attivare un apprendimento autonomo e basato sull’esperienza e la scoperta e una acquisizione di saperi soggettivo-costruttivistica, il luogo di appren- dimento distante e estraneo rappresentato dal centro deve essere completamente ri- organizzato. “L’aula deve diventare un laboratorio di apprendimento12 in cui l’al- lievo scopre da solo il contenuto dell’apprendimento.” Questo modo di apprendere e quello deciso dall’esterno, dall’insegnante, in modo rigido nei programmi e attra- verso i libri di testo, si daranno sempre più spesso il cambio, anche perché sempre più negli ultimi decenni i saperi stabili e fissi nel tempo sono diventati sempre più rari e libri e insegnanti non possono averne il monopolio. R. Donath, benché parli dello studio delle lingue straniere, sintetizza bene questo cambio di prospettiva13: La didattica nella società dell’informazione è orientata all’azione – comunicativa ed anche orientata alla produzione e al processo e permette processi di apprendimento autonomi; di conseguenza cambiano: 10 http://www.mediamente.rai.it/biblioteca/biblio.asp?id=2601&tab=int; http://www.mediamente.rai.it/biblioteca/biblio.asp?id=261&tab=int. 11 http://www.englisch.schule.de/literatu2.htm. 12 http://www.englisch.schule.de/werk1.htm. 13 http://www.englisch.schule.de/pers.htm. 264 in un ambiente di apprendimento adeguato orientato all’allievo – motivante – autentico con diversi strumenti libro di testo – internet – materiali di stampa – film ecc. e adeguati metodi projekt work – lavoro libero/programma settimanale – lavoro in coppia o di gruppo e tecniche di apprendimento scopo conoscenze e competenze interculturali – linguistiche - metodologiche. 3.2. Il ruolo del docente14 Qual è il ruolo che l’insegnante deve svolgere all’interno di una attività didat- tica orientata alla costruzione dei saperi? Il ruolo dell’insegnante è più ampio di quello tradizionale e viene ben descritto da van Lück: “Gli insegnanti offrono agli studenti occasioni di discussione per la soluzione dei problemi e li aiutano a con- frontarsi tra di loro in modo regolato e costruttivo, così come a organizzare in modo efficace ed efficiente un lavoro in team. Essi moderano e …aiutano l’adole- scente ad imparare ad imparare, a trovare informazioni utili/utilizzabili, ad analiz- zare e giudicare informazioni multimediali, a creare lavori multimediali… Natural- mente gli insegnanti sono coloro che offrono le informazioni e predispongono i materiali di studio e di lavoro” (van Lück 1996) 15. Benché il sapere non venga più trasmesso soltanto dall’insegnante agli stu- denti, ma costruito insieme e condiviso, il ruolo del docente è fondamentale e inso- stituibile, perché è lui il regista “multi-mediale e multi-culturale” del processo edu- cativo. L’allievo non può essere lasciato solo, soprattutto nelle fasi iniziali. Il docente, deve insegnargli a “viaggiare”, deve sostenerlo e aiutarlo ad affrontare i problemi e le difficoltà, a predisporre il soggetto e la sceneggiatura delle attività didattiche, a controllarne il processo di realizzazione e ad assicurare e gestire il momento finale di restituzione alla classe del lavoro svolto da ognuno. 14 http://www.english.schule.de/didlehr.htm. 15 http://www.englisch.schule.de/literatu2.htm. il ruolo del docente il ruolo dell’allievo facilitatore autonomo nell’apprendimento coach impara ad imparare moderatore, mediatore impara tecniche di apprendimento 265 L’insegnante viene dunque definito in modo diverso: - facilitatore - regista - coach - moderatore & mediatore. 3.3. Il ruolo dell’allievo16 Anche il ruolo degli allievi cambia. Non più fruitori passivi di informazioni e saperi trasmessi dall’alto, ma soggetti attivi del proprio percorso di apprendimento Le teorie della psicologia dell’apprendimento di tipo costruttivistico attribui- scono un ruolo centrale all’allievo: “L’apprendimento viene visto come un’attività che viene svolta in modo attivo e autonomo dall’allievo. Questi si costruisce il suo sapere partendo dalle informazioni offerte”. L’apprendimento come “processo di costruzione creativo”. Per questa costruzione di saperi l’allievo ha bisogno però di strumenti, attrezzi, vale a dire strategie e tecniche. La riuscita di un processo di apprendimento, così insegna la psicologia del- l’apprendimento, “dipende dalla disponibilità di un repertorio il più possibile ampio di strategie di apprendimento e dalla capacità di utilizzarle in modo ade- guato”. Naturalmente questi strumenti di lavoro devono essergli forniti dall’inse- gnante. L’allievo deve quindi essere in grado di: 1. lavorare in modo autonomo e attivo per costruirsi le proprie conoscenze, 2. lavorare in gruppo in modo costruttivo, collaborativo ed organizzato, 3. valutare il proprio percorso di apprendimento. 3.4. Dove/quando/quanto 17 Allora, non studio dei muovi media, ma studio con i nuovi media. Dove collo- chiamo le attività didattiche sostenute dai nuovi media nell’ambito del curriculum didattico? Ritengo che il modo migliore di usare le nuove tecnologie sia quello di intro- durle in modo trasversale all’interno delle singole discipline. Non bisogna dimenti- care infatti che “i nuovi media non forniscono solo strumenti didattici ma veri e propri ambienti cognitivi all’interno dei quali è possibile prevedere una pluralità di pratiche didattiche diverse”18. La rete, infatti, rappresenta un ambiente di apprendimento estremamente ricco e stimolante. Lavorare con internet su progetti costituisce una delle strade più inte- 16 http://www.englisch.schule.de/didschue.htm. 17 Cfr.: http://www.educational.rai.it/corsiformazione/multimediascuola/lezione01/materiali. 18 Cfr.: http://www.spbo.unibo.it/pais/giovgraz/td3.htm. 266 ressanti e produttive tra quelle che si possono seguire quando si usano le tecno- logie informatiche nella didattica. Ciò vuol dire: 1. che non debbono essere usate soltanto in modo strumentale, 2. che le attività didattiche sostenute dalle nuove tecnologie devono essere ben programmate, 3. che esse vanno utilizzate soltanto quando le attività che abbiamo programmato ne permettano o ne consiglino l’uso, 4. che il modo migliore per lavorare con le nuove tecnologie è quello di lavorare secondo una logica di programmazione progettuale e che quindi è il caso di usarle per attività strutturate su una durata che vada al di là di una singola ora di lezione, 5. che non è pensabile costruire un curricolo annuale tutto basato sull’uso delle nuove tecnologie. EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE ➢ Leggere uno dei testi contenuti nella bibliografia o navigare esaminando i link relativi ai temi trattati in questa prima unità. Scegliere le pagine che sembrano più interessanti e sintetizzarne il contenuto. ➢ Costruire un proprio personale archivio di siti, di articoli, di libri che si cono- scono e che non sono inseriti nell’elenco dei link e condividerlo con qualche collega. Per far questo può essere utile la griglia riportata sotto. Titolo Autore Breve sintesi del contenuto Considerazioni personali Metafora o dettaglio particolarmente significativo 267 SECONDA LEZIONE USARE INTERNET IN CLASSE. PERCHÉ FARLO, COSA FARNE, COME FARLO OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ riconoscere vantaggi e aspetti problematici legati all’uso di Internet in classe; ❏ individuare strategie e tecniche utili al lavoro didattico con Internet; ❏ analizzare risorse di rete funzionali alla didattica multimediale anche disciplinare. Si discute molto sul rapporto tra Internet ed educazione1. Potrebbe essere inte- ressante approfondire questo tema, ma non è l’obiettivo di questa lezione. Ci limi- tiamo ad osservare che la rete offre enormi opportunità alla didattica. È una fonte enorme di risorse interattive e multimediali, le quali, opportunamente selezionate e adeguate all’obiettivo didattico che si vuole perseguire, possono migliorare la no- stra attività didattica rendendola più ricca, divertente e “aggiornata”. 1. PERCHÉ UTILIZZARE LA RETE The World-Wide Web represents a new concept in technology, the library on your desktop, the dictionary at your fingertips, the sound at your ear. There is no- thing that we hear or see that will not be available through WWW. Cosa è Internet? 1. uno strumento di approfondimento e di ricerca2 che permette l’accesso imme- diato a fonti di informazione attuali ed aggiornate, 2. uno strumento per comunicare3, che permette contatti autentici ed intercultu- rali, 3. uno strumento per pubblicare4 e pubblicizzare il proprio lavoro, 4. un mezzo per liberare la creatività, 5. uno strumento di interazione, che permette di collaborare anche a distanza. 1 http://www.formare.erickson.it/archivio/giugno/editoriale.html. 2 http://www.geocities.com/Athens/Troy/9910/proposta.html. 3 http://www.edulab.it/edu/soci/corsisti/ctridenti/strumen/index.htm. 4 http://www.educational.rai.it/corsiformazione/multimediascuola/lezione09/index.htm. 268 Oltre ad essere la fonte di “materiali didattici tradizionali”5 più grande che si possa trovare (Maria Gasperotti, Corsera 7 febbraio 2002), Internet può servire a: 1. svegliare l’interesse degli alunni rispetto al lavoro didattico, 2. stimolare l’insegnante stanco di utilizzare soltanto procedimenti e materiali di tipo tradizionale, 3. costruire percorsi individualizzati di recupero di competenze, 4. costruire percorsi mirati allo sviluppo di determinate competenze, 5. costruire moduli a tema, sostenuti dagli strumenti informatici, 6. educare a distanza, educare attraverso la rete, 7. chiarire meglio i contenuti didattici (con l’aiuto di immagini, filmati, suoni ecc.), 8. trovare materiali didattici già strutturati in forma multimediale, oltre ad infor- mazioni di ogni genere, non ultime quelle inerenti il nostro lavoro di docenti (normativa ecc.), 9. scambiare esperienze per la realizzazione di progetti su temi specifici, in col- laborazione con altre classi, scuole, cfp, 10. conoscere direttamente realtà lontane e stabilire contatti interculturali (Internet è uno dei pochi luoghi dove la razza, il colore, la religione, l’età e il sesso non hanno importanza), 11. trovare aiuto nello svolgimento di compiti, 12. organizzare progetti web per varie materie e con partner anche a distanza (esempio progetti E-Mail; scambio di classi, viaggi d’istruzione ecc.), 13. organizzare percorsi per l’autoapprendimento, 14. aggiornamento degli insegnanti6, 15. proporre esercitazioni aperte. Naturalmente bisogna: 1. Aggiornare le proprie conoscenze disciplinari e tecniche. 2. Ridefinire gli obiettivi dell’apprendimento e l’approccio didattico: un progetto web deve essere inserito in un contesto didattico chiaro e coerente, in modo da permettere un percorso graduale e efficace. Quindi gli obiettivi devono trovare riscontro nella programmazione curricolare annuale del docente. 3. Lavorare quanto più possibile per progetti7. 4. Costruire percorsi didattici e attività ben definiti e strutturati. Nella prepara- zione e nella realizzazione di un progetto basato sull’uso di internet, il ruolo dell’insegnante non è molto diverso da quello che egli svolge in un’attività di- dattica tradizionale. Anche nel caso di forme diverse dalla lezione frontale, l’insegnante è chiamato a spiegare, proporre, coordinare, organizzare le fasi in 5 Cfr.: http://www.educational.rai.it/corsiformazione/multimediascuola/lezione03/index.htm. 6 Cfr.: http://www.educational.rai.it/corsiformazione/multimediascuola/home/index.htm; http://www.mediamente.rai.it/mediamentetv/learning/corsi/index.asp; http://www.jesicentro.it/TDC/inizio.htm. 7 http://www.educational.rai.it/corsiformazione/multimediascuola/lezione09/index.htm. 269 plenum, procurare materiale, assistere e consigliare i singoli alunni o i gruppi nella realizzazione del compito. Quando si parla di progetti web, bisogna che il docente pensi a tutta una serie di attività: a. un uso del web basato su un compito sensato e coerente con le tematiche e i contenuti della propria programmazione, b. un lavoro preliminare per predisporre il lavoro in rete, individuando per esempio indirizzi internet utili al lavoro da svolgere, in modo da non essere sommersi da un’inutile e gigantesca quantità di informazioni inutili e non costringere gli alunni a perdere tempo in ricerche inutili, c. un momento finale di condivisone del lavoro svolto, d. una valutazione delle attività svolte con la classe per verificare l’effettiva utilità di utilizzare internet con il tema trattato, ovvero se ciò ha portato a risultati sensati e utili, e. un aiuto nella rielaborazione linguistica e contenutistica dei materiali tro- vati oltre che nella predisposizione della presentazione. 5. Trasformare il materiale grezzo disponibile in materiale didattico 6. Selezionare tra l’eccessiva varietà di materiali in rete 7. Utilizzare una metodologia che favorisca l’acquisizione di tecniche di appren- dimento e lavoro autonomi. Bisogna infatti fornire agli alunni i necessari at- trezzi di lavoro, ovvero strategie e tecniche di apprendimento e di lavoro auto- nomo. I ragazzi possono e devono imparare a progettare, scegliere, elaborare creativamente, piuttosto che immagazzinare passivamente nozioni. Lo stru- mento d’elezione di questo modello di apprendimento attivo è proprio il com- puter, che mette in grado il discente non solo di esplorare, ma di “costruire” la realtà, strutturandola in modo coerente con il progredire del proprio percorso formativo. 2. FAR LAVORARE GLI ALUNNI Un progetto basato sull’uso della rete non può funzionare senza una diretta e costruttiva partecipazione da parte degli alunni. Succede spesso che gli alunni siano molto poco coinvolti nel processo didattico, che durante una lezione tradizionale essi partecipino in modo passivo. Gli insegnanti lavorano tanto per cercare di smuo- verli, ma quasi sempre con scarsi risultati. E si prendono sempre tutta la responsabi- lità di questo insuccesso. “Una lezione è come l’assunzione di cibo, che viene ser- vito, ingoiato, digerito e dimenticato”. Per il 60-80% della lezione è l’insegnante che “istruisce” i propri alunni e gli alunni fingono di stare ad ascoltare. È dimo- strato che i giovani apprendono soprattutto attraverso una partecipazione attiva; un ascolto passivo è il modo meno efficace: “Quante volte mi capita di dire ad uno stu- dente: accidenti, ora stammi ad ascoltare. Ed è proprio questa la cosa che lui fa di meno”. Non è pensabile un uso didattico delle nuove tecnologie secondo una logica didattica di lezione frontale, durante la quale l’unico a lavorare è l’insegnante. È ne- 270 cessario far lavorare di più gli alunni. Heinz Klippert 8 sostiene che il cambio della scuola passa non attraverso la costruzione di una scuola nuova, ma attraverso il mi- glioramento di quella esistente. E questo avverrà soltanto se gli alunni lavoreranno di più e gli insegnanti di meno. In realtà, egli afferma, esiste un “enorme dispendio di energie e risorse”, perché da un lato c’è un enorme potenziale degli alunni che non viene attivato, dall’altro gli insegnanti sono costretti a un superlavoro e a un su- perinvestimento di energie. È un circolo vizioso, perché gli alunni di oggi rifiutano i sistemi formativi tradizionali, e ciò porta l’insegnante ad una sensazione di insuc- cesso, che arriva fino alla “Burn-out-Syndrom”. Bisognerebbe allora investire nella “salute degli insegnanti”. Questo significa sviluppare negli alunni la capacità di la- vorare in maniera autonoma, la disponibilità a lavorare in gruppo e di comunicare e confrontarsi in modo costruttivo con gli altri. Queste capacità vengono richieste oggi più che mai sia nella vita lavorativa che in quella personale e sociale. Gli alunni devono imparare a cavarsela nel mondo di oggi anche senza l’aiuto di un insegnante, a scegliere il modo migliore per gestire il proprio tempo e a valu- tare il risultato del proprio lavoro. Heinz Klippert chiama questo EVA (Eigenve- rantwortliches Lernen), vale a dire apprendimento autoresponsabile. Un progetto didattico basato sull’uso della rete è un ottimo strumento per aiu- tare gli alunni a raggiungere questi obiettivi, perché possiamo spingere gli alunni a partecipare in modo non passivo all’attività didattica, a discutere sui contenuti, a svilupparli in modo personale e a presentare il risultato del proprio lavoro, in- somma a costruirsi i propri saperi. Tutto ciò ha tanto più senso ed è tanto più efficace quanto più numeroso è il grup- po di insegnanti che lavorano secondo queste strategie. Ogni tanto si sperimentano tec- niche di animazione nuove, ma solo per qualche attività estemporanea. Appena que- sta è conclusa si ritorna alla “normalità”. Il risultato non può che essere deludente. Naturalmente non basta fare un buon lavoro di macroprogettazione. È neces- sario fornire agli alunni gli strumenti idonei a lavorare in modo autonomo e co- struttivo. 3. TECNICHE DI APPRENDIMENTO E DI LAVORO Internet è un ambiente di apprendimento ricco di contenuti attuali e autentici, ma perché il lavoro in rete sia davvero efficace, perché gli alunni possano essere in grado di lavorare in modo autonomo, devono avere a disposizione tecniche di la- voro e di apprendimento coerenti. Altrimenti rischiamo di avere un successo solo iniziale e poi un gran rifiuto da parte egli alunni. Queste tecniche rendono gradual- mente l’allievo sempre più autonomo e capace di costruirsi le proprie conoscenze. Lavorando con gli alunni usando Internet possono essere esercitate molte tec- niche di lavoro e di apprendimento, in tutte le fasi di lavoro, ponendosi obiettivi come: 8 http://www.englisch.schule.de/Klippert. 271 a. la ricerca di informazioni b. la comunicazione orale e scritta c. la comprensione e produzione testuale che possono essere perseguiti in tutte le discipline. Oltre alle conoscenze e competenze informatiche e delle discipline coinvolte nel progetto sono necessarie: a. tecniche di lavoro di gruppo: mind-mapping, prendere appunti, tecniche di discussione b. tecniche di lettura, tecniche di selezione delle informazioni c. tecniche e strategie di scrittura e di comunicazione, conoscenze linguistiche d. tecniche di presentazione in pubblico9. 9 ttp://www.educational.rai.it/corsiformazione/multimediascuola/lezione02/materiali/index.htm. EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE Esercizio 1 Tra i tanti usi possibili di Internet, quale pensi che sia il più utile e il più fun- zionale alle tue esigenze? Quali aspetti dell’uso di Internet ti piacerebbe approfondire? Quali risorse di rete potrebbero esserti di aiuto? Quali sono le tue esperienze con la rete? Esercizio 2 Per quale argomento tra quelli previsti nella tua programmazione annuale pensi che Internet possa esserti di aiuto? In che modo? Quale attività didattica da te programmata potrebbe essere progettata preve- dendo l’uso di Internet e prevedendo una attiva partecipazione degli alunni sia nella fase di definizione dei contenuti che nella fase di realizzazione del lavoro? Esercizio 3 Naviga visitando i link proposti. Prova a descrivere i contenuti dei siti visitati, fornendo indicazioni che possano esser utili ad altri docenti. Nome del sito Indirizzo web Tipologia del sito Descrizione e valutazione dei contenuti Chiarezza e navigabilità 272 TERZA LEZIONE LAVORARE IN RETE PER PROGETTI OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ sviluppare competenze nell’ambito della progettazione di attività didattiche sostenute dalla rete; ❏ sviluppare competenze di lavoro collaborativo in rete; ❏ apprendere collaborando e cooperando in rete. “La lezione frontale con il web è impensabile, sono necessarie attività proget- tuali più lunghe dei soliti 45 minuti, che siano anche il più possibile pluridiscipli- nari. L’introduzione di Internet modifica la realtà scolastica in maniera piacevole e divertente”1. Organizzare un’attività basata sull’uso di Internet e delle NT richiede da parte del docente un attento lavoro di preparazione preliminare, ma permette poi di arrivare a buoni risultati facendo lavorare gli alunni. “L’uso di tecnologie di- dattiche avanzate, informatiche e telematiche, capaci di simulare ambienti azien- dali e in generale contesti professionali reali, ha prodotto concreti benefici dal punto di vista formativo, tali da determinare conseguenze anche sull’inserimento professionale dei giovani…” (Assessore alla Programmazione e gestione dell’Of- ferta formativa della Provincia di Genova, Prof. Eugenio Massolo, Fiera di Ge- nova, Informazioni – Speciale scuola). “Le nuove tecnologie sollecitano la scuola a un profondo ripensamento circa i propri ruoli e le proprie competenze. Occorre un radicale cambiamento di prospet- tive e modalità operative, uscire dal mortificante recinto della autoreferenzialità per affrontare il rischio di un confronto vivificante con il territorio, ovvero con gli enti e le aziende che vi operano. Si è costretti a ripensare e riorganizzare la didat- tica e l’intera attività della scuola a partire dalla concretezza di problemi reali: e la capacità di fornire ad essi soluzioni praticabili fornisce la misura della nostra capa- cità formativa. Questo processo (lavorare per progetti condivisi con enti e aziende, didattica del fare centrata sui bisogni degli allievi e del territorio; atteggiamento imprenditoriale; aggiornamento in servizio degli insegnanti; uso di nuove tecno- 1 http://www.englisch.schule.de/wwwver.htm. 273 logie a fini didattici e operativi) è certo faticoso, ma i vantaggi che se ne ricavano lo rendono un percorso obbligato...” (Wladimiro Iozzi, Dirigente scolastico ITSCG di Chiavari). 1. LAVORARE IN RETE PER PROGETTI Il primo passo è quello di offrire attività basate sull’uso della rete molto strut- turate, che permettano lo sviluppo di conoscenze e competenze secondo un per- corso di lavoro già costruito e definito nelle diverse fasi dall’insegnante. Ad esempio: una lezione disciplinare che preveda un approfondimento guidato attra- verso la rete. Successivamente sarà possibile prevedere progetti basati su un lavoro di ri- cerca e di rielaborazione molto più libero ed aperto, coinvolgendo gli allievi in prima persona già nel momento della definizione dei contenuti e dell’articolazione delle attività, quindi con soluzioni aperte e diversificate al problema proposto. In questo caso, l’allievo è responsabile non solo del processo di costruzione, non solo delle proprie conoscenze, ma anche di quelle dei suoi compagni. Un esempio po- trebbe essere la costruzione di una pagina web del centro realizzata partendo dalle esigenze e dal punto di vista degli allievi stessi, magari in lingua straniera. 2. LE FASI Un progetto che preveda l’uso della rete dovrebbe essere realizzato in questo modo: • in gruppo o a coppie, • in un ambito tematico ben definito, • con un obiettivo chiaro e compiti precisi, • con una descrizione, un diario delle attività2 svolte da parte dell’allievo, • con una valutazione e una riflessione sul percorso di apprendimento, • con una rielaborazione personale sia a livello linguistico che di contenuto dei risultati, • con la presentazione finale dei risultati di fronte alla classe, • con una valutazione del prodotto e un’autovalutazione del lavoro svolto. Come ho già detto, il lavoro di ricerca e di costruzione di conoscenze attra- verso Internet deve diventare gradualmente sempre più aperto e meno strutturato. Perché ciò sia possibile, gli allievi devono avere acquisito competenze metodolo- giche che permettano loro di essere in grado di lavorare al meglio in gruppo e di utilizzare la rete in modo sensato rispetto al processo di apprendimento. 2 http://www.englisch.schule.de/lernerprot.doc. 274 Prima di cominciare è utile prevedere un momento di organizzazione e rifles- sione; 1. fare delle ricerche preliminari visitando pagine in rete dello stesso tipo in modo da valutare ciò che funziona e ciò che non funziona, 2. identificare gli obiettivi didattici del proprio lavoro, 3. pianificare con cura le attività. Perché un progetto abbia una struttura informativa unitaria, dovrebbe conte- nere questi elementi: a. Titolo del progetto, b. Categoria del progetto (per es.: pagina web, documentazione di attività didat- tiche, ecc.), c. Breve descrizione, d. Obiettivi, e. Fasi, f. Modalità di lavoro, g. Numero ore, h. Periodo di svolgimento, i. Referente, j. Alunni partecipanti, k. Modalità di verifica, l. Docenti coinvolti. Prima fase: Predisposizione del progetto e definizione delle fasi di lavoro Un progetto web ha senso se inserito nel percorso didattico programmato dal- l’insegnante. All’inizio è consigliabile che la proposta di lavoro con la rete sia le- gata direttamente alle attività e ai contenuti del proprio programma e magari sia collegata a uno di temi trattati nel libro di testo in adozione. Bisogna poi essere si- curi che lo strumento scelto per il lavoro di approfondimento sia quello giusto e che non ci siano alternative più convenienti, oltre ad assicurarsi che gli allievi ab- biano un sufficiente grado di conoscenze tecnologiche rispetto al lavoro da svol- gere. Questa fase prevede: a. presentazione del progetto e del percorso metodologico b. discussione del tema e di possibili sottotemi c. costituzione dei gruppi d. suddivisione dei compiti e. programma di lavoro. Seconda fase: Realizzare la ricerca Lavoro in rete per selezionare le informazioni che siano utili e coerenti con le nostre esigenze/obiettivo. 275 Terza fase: Rielaborare i risultati della ricerca sul web a. rileggere e trasformare i testi, riassumere le informazioni, integrarle con cita- zioni, riscrivere il testo per produrre un testo finale personale basato su diverse fonti di informazioni; b. rivedere i risultati, confrontarli, discuterli, valutarli. Eventualmente integrare il lavoro in classe con ricerche in biblioteca, lavoro a casa… Quarta fase: Presentare i risultati Concordare la forma di presentazione. Preparare la presentazione (Forme di presentazione: tabellone, tesina/relazione scritta /orale, file word, con PP, con una pagina web ecc.). Eseguire la presentazione3. Quinta fase: Valutare i risultati Autovalutazione e valutazione dei risultati4. 3. Q UALI PROGETTI: ALCUNI ESEMPI Possibili progetti web - Organizzare un soggiorno all’estero, - Simulare la creazione di una ditta, - Cercare lavoro, - Organizzare uno scambio di classi, - Sviluppare un tema letterario, - Sviluppare temi di attualità da giornali online, - Informazioni su una città/regione, - Programmazione di un viaggio, - Recuperare informazioni su ditte, prodotti, possibilità di lavoro e di studio. Esempi di Progetti online Dall’ambiente libro all’ambiente informatico: proposte per un percorso che sfrutti l’interazione tra le potenzialità della didattica metacognitiva e le risorse del- l’informatica (http://www.iwn.it/vecchiosito/a99n03/Betti.htm). Come costruire un sito: http://www.vivoscuola.it/Strumenti/manuali/sito.asp 3 Cfr.: http://www.educational.rai.it/corsiformazione/multimediascuola/lezione02/materiali/ index.htm. 4 Cfr. esempi in: http://www.uni-giessen.de/anglistik/tefl/seminarP/cele99/projectResults/seva- luat.html; http://www.uni-giessen.de/anglistik/tefl/seminarP/cele99/projectResults/sobserv.html. 276 Materiali didattici in rete: http://www.far.unito.it/home.htm Moduli didattici per la scuola: http://www.istruzione.it http://www.isfol.it http://www.edscuola.it http://www.cnos-fap.it 4. PROGETTO COLLABORATIVO5 Adesso tocca a noi. L’obiettivo è quello di lavorare in gruppo usando gli stru- menti di interazione (e-mail, web forum, chat) su un progetto mirato, basato sul- l’uso della rete e funzionale alla nostra attività didattica. Cosa facciamo? 1. Individuazione di possibili temi su cui strutturare un progetto collaborativo in rete 2. Definizione delle modalità di organizzazione dei gruppi 3. Realizzazione in gruppo dei progetti 4. Stesura finale attraverso una scrittura collaborativa 5. Discussione attraverso la partecipazione al Web forum sui risultati dei lavori di gruppo. Ognuno di voi può indicare un tema su cui è interessato a costruire un pro- getto in rete. Successivamente potranno essere costruiti i gruppi con altri formatori 5 Cfr.: http://www.educational.rai.it/corsiformazione/multimediascuola/lezione09/index.htm. 277 5. APPROFONDIMENTO: PRESENTARE I RISULTATI DI UNA RICERCA O DI UN LAVORO INDIVIDUALE CON PP (Power Point) Questa forma di presentazione ben si adatta a concludere un progetto di lavoro basato sull’uso di Internet, per varie ragioni: a. PP costringe l’alunno a strutturare il contenuto prima della presentazione; b. la forma di presentazione viene sorretta a livello visivo, sia per chi presenta come per chi ascolta; i contenuti vengono invece spiegati a livello orale; c. tutti i prodotti del lavoro con il computer, sia file di testo che pagine web, pos- sono essere facilmente ripresi in PP, conservando gli elementi grafici e multi- mediali e quindi permettendo di creare una presentazione unitaria dal punto di vista estetico; d. anche l’aspetto estetico della presentazione dovrebbe essere un obiettivo: sul design e sul layout si potrebbe discutere prima e definire alcuni criteri comuni; inoltre il confronto tra tutta una serie di presentazioni può portare a indivi- duare alcune “golden rules” per una presentazione adeguata e gradevole da un punto di vista estetico e. gli alunni imparano così metodi di presentazione con cui computer e schermo possono essere introdotti in modo funzionale, ma loro restano al centro (perché importanti sono il linguaggio del corpo, la posizione, il rapporto con i destinatari). (da: http://www.englisch.schule.de/didpower.htm). Titolo Motivazioni Obiettivi Discipline coinvolte Classi interessate Durata Fasi e tempi dell’attività Metodologia Competenze disciplinari Competenze tecnologiche Contenuti Verifica e valutazione SCHEDA PER IL PROGETTO del CNOS-FAP. Ogni gruppo dovrà produrre un piccolo progetto didattico basato sull’uso del web nel tempo concordato con il tutor e metterlo a disposizione compi- lando in rete la scheda seguente. 278 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. Il costruttivismo e le sue radici Costruttivismo: collezione di link a siti Web e articoli Costruttivismo, progettazione didattica e nuove tecnologie Costruttivismo e apprendimento auto- nomo (in tedesco) Un viaggio nel costruttivismo e sul co- struzionismo (in inglese) L’evoluzione dei modelli cognitivi: dal comportamentismo al costruttivismo Comportamentismo Cognitivismo: elenco ragionato di ri- sorse in rete Centro di formazione degli insegnanti sull’integrazione delle tecnologie infor- matiche nella didattica Teorie dell’apprendimento; Costruttivismo: un approccio vincente per l’online learning Comunità di pratica: apprendimento e innovazione Collaborative learning La didattica collaborativa Che cos’è l’apprendimento collabora- tivo? Il gruppo di lavoro e l’apprendimento cooperativo Apprendimento cooperativo Apprendimento cooperativo e forma- zione in rete Link sul Cooperative learning Risorse didattiche per la formazione in rete, con siti e banche dati e un ottimo glossario multilingue Materiali teorici e materiali didattici TD Rivista quadrimestrale di tecnologie didattiche Multimedia@scuola Didaweb, una comunità di educatori in rete che operano per l’apprendere ad ap- prendere cooperativo, libero e gratuito MediaMente: la biblioteca digitale di Rai Educational Progetto di didattica a distanza, - per fornire brevi corsi di introduzione a specifici aspetti del mondo dei nuovi media. Vedi in particolare il Corso 4: “Il computer per insegnare ed appren- dere” http://www.oikos.org/voncostrutt.htm http://carbon.cudenver.edu/~mryder/itc_data/con- structivism.html http://www.scform.unifi.it/lte/allegati/2/Costruttivi- moeprogettazione.doc http://www.englisch.schule.de/didaktik3.htm http://dougiamas.com/writing/constructionism http://www.intermedia.sa.it/logo/teorie/ http://www.ticino.com/usr/atpp/comportamentismo.h tml http://www.pol-it.org/ital/cogsit.htm http://www.comune.jesi.an.it/jesicentro/TDC/inizio.h tm http://www.logo2000.it/IT/index.htm http://cepad.unicatt.it/formazione/didattica/down- load/2000-11-06-didattica_collaborativa.ppt http://helios.unive.it/%7epe2000/lez08/pa- gine/08_07.htm http://web.tiscali.it/tenerezza/integra/incontri/in- contro2/incontro2.html http://www.allegroweb.it/coopera2.htm http://helios.unive.it/~pe2000/lez08/materiali/m08.do c http://www.edulab.it/edu/link/didattica.htm http://www.far.unito.it/ http://www.itd.ge.cnr.it/td/ http://www.educational.rai.it/corsiformazione/multi- mediascuola/home/index.htm http://www.didaweb.net/index.php http://www.mediamente.rai.it/biblioteca/ http://www.mediamente.rai.it/mediamentetv/lear- ning/corsi/index.asp Webgrafia 279 23. 24. 25. 26. 27. 28. 29. Nascita e sviluppi delle Tecnologie Di- dattiche Tecnologie dell’istruzione e dell’ap- prendimento: alcuni cenni storici La telematica nella didattica: come e quando Rete come paradigma: serie di link Educazione & Scuola Riflessioni su multimedia, internet e altro Didattica e nuove tecnologie: serie di link http://www.itd.ge.cnr.it/td/td1/nascita1fr.htm http://hal9000.cisi.unito.it/wf/DIPARTIMEN/Scienze _de/FAR/Gruppi-di-/Tecnologie/primo.doc_cvt.htm http://www.spbo.unibo.it/pais/giovgraz/td3.htm http://www.edulab.it/edu/link/rete.html http://www.edscuola.com/index.html http://www.onlynx.it/article.php?titolo=Editoriale http://www.edulab.it/edu/link/tecnodida.html Bibliografia M. GRÜNER - T. H ASSERT, Computer im Unterricht, Goethe Institut. AA.VV., Compütergestützter Fremdsprachenunterrich t, Langenscheidt. CALVO, CIOTTI, RONCAGLIA, Z ELA, Internet 2000. Manuale per l’uso della rete , Laterza. ANTONIO CALVANI, MARIO RIOTTA, Comunicazione e apprendimento in Internet. Didattica costruttivi- stica in rete, Erickson, Trento 1999. AA.VV., Neue Wege im computerunterstützten Fremdsprachenunterricht , Langenscheidt. F. CIOTTI e G. RONCAGLIA, Il mondo digitale. Introduzione ai nuovi media, Laterza, Bari 2000. 281 AREA TEMATICA 5 L’ORIENTAMENTO NELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE UMBERTO FONTANA Modulo 1: CRESCITA PERSONALE E ORIENTAMENTO La Formazione Professionale (FP) è già nella sua struttura interna una situa- zione “formativa”. La sua definizione può essere così espressa: un’azione su per- sone (di solito giovani), mediante la quale e all’interno della quale l’individuo viene avviato e condotto verso le due mete principali della vita, cioè divenire se stesso ed entrare nel mondo del lavoro (il mondo dei grandi, degli adulti) mante- nendo la sua valenza individuale. Tutto questo può essere incluso anche nel concetto di Orientamento a caratte- rizzarlo nella maniera più piena, perché “orientamento” significa proprio accompa- gnare il giovane a ricercare il corso migliore della propria crescita e guidarlo a ri- manere se stesso anche quando si inserisce nel lavoro e nei processi di continuo cambiamento a cui questo introduce. È sull’orientamento come crescita personale che si incentra questo modulo che cercherà di guidare ad una prima esplorazione di questa articolata costella- zione. 283 PRIMA LEZIONE LE FASI DELLO SVILUPPO UMANO OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ descrivere le caratteristiche principali delle varie fasi evolutive della crescita di un soggetto; ❏ riconoscere gli indicatori di una crescita corretta. ORIENTAMENTO COME GUIDA AD UNA CRESCITA CORRETTA Crescere bene non è un optional ma una meta basilare per ogni uomo. Il punto di partenza di ogni professionalità (è intuitivo questo concetto per chiunque) è la crescita corretta dell’individuo: è la costruzione fondamentale (del corpo e dello spirito) che mette ogni essere umano nelle condizioni di poter essere ed operare. Non è dunque un optional, ma una meta senza la quale non si può partecipare au- tonomamente a nessuna attività umana. Il raggiungimento della pienezza di sé è il fine naturale di ogni sviluppo. Ogni educazione deve iniziare da questo punto, che diventa così il pilastro sul quale poggia qualunque costruzione successiva. Crescere correttamente è un processo che implica intesa tra famiglia e istitu- zioni formative. Il bambino passa di solito i primi anni in famiglia e qui intesse la primissima struttura che lo porterà a divenire se stesso. La famiglia è la matrice na- turale di ogni divenire: fornisce al bambino gli strumenti primissimi di espressione di sé, di partecipazione al rapporto con gli altri, di riflessione su quello che capita attorno a lui e dentro di lui, di adattamento alle circostanze, di giudizio morale… Mette insomma nel bambino le abitudini di base sia a livello fisico che a livello co- gnitivo. Nella famiglia il bambino impara a mangiare, a parlare, a riposarsi quando è stanco, ad organizzarsi il tempo (mediante l’esplorazione istintiva prima e attra- verso il gioco poi), a partecipare emozionalmente con gli altri (la socializzazione), a distinguere quello che è bene e quello che è male, a fidarsi e a non fidarsi di sé. Mette le basi insomma di molteplici comportamenti cognitivi e pratici sui quali più avanti fonderà la sua capacità di apprendere e di lavorare. In famiglia si inizia quel lungo processo di formazione individuale che costruisce in ogni persona le “abi- 284 lità”, le “disposizioni di base”, le “competenze”, i cui risultati sono gli “stili perso- nali” nell’apprendimento e nel lavoro... È esperienza comune che chi non ha avuto una buona crescita, che si manifesta con gratificazione e partecipazione alla vita di famiglia non ha in seguito gratificazione e buona partecipazione alla vita di gruppo nella scuola… Genitori e insegnanti sono figure “significative” nella formazione di ogni in- dividuo. Spesso gli insegnanti della scuola di base non tengono presente che per il bambino essi sono figure importanti, che con la loro presenza partecipano alla sua vita, completando il modello di “persona grande” che il bambino sperimenta a casa sua. Per tutto l’arco della crescita perdurerà questo influsso pedagogico-evolutivo che gli insegnanti e i formatori avranno sui loro allievi. Essi sono figure sostitutive dei genitori. In altre parole: per il bambino la maestra (o la professoressa o la for- matrice) è una mamma diversa dalla propria mamma, il maestro (o il professore o il formatore) è un papà diverso dal proprio papà. Ma per tanti aspetti questi “adulti” si interessano di lui come i propri genitori, ma con modalità diverse – spesso in modo più positivo –, esigono da lui comportamenti e prestazioni che i genitori stessi giudicano importanti e fondamentali per la vita. Gli insegnanti e gli educatori hanno presso i ragazzi la stessa autorità morale che hanno i genitori, diceva un grande Educatore – don Bosco – che spese la vita per orientare i ragazzi del suo tempo all’inserimento nel mondo professionale. LE TAPPE DI UNA CRESCITA BUONA Le tappe di una crescita corretta non vengono poste a priori dagli educatori, ma vengono scandite dai ritmi evolutivi che ogni allievo percorre con modalità proprie e che raggiunge, in tempi quasi standardizzati, ma certamente entro i primi due decenni della vita. Imparare ad essere uomo è un processo lungo che va di pari passo con gli apprendimenti e con l’assunzione di una identità diversa da quella in- fantile. Per poter diventare se stesso, ognuno deve imparare l’appartenenza ad uno dei due sessi (sulla base della propria identità biologica), le modalità del vivere civile che nei vari momenti della crescita hanno richieste diverse, gli apprendimenti di base, le nozioni fondamentali delle discipline scientifiche e le conoscenze princi- pali della cultura, divise in curricoli standardizzati per ogni corso scolastico… Al- cune abilità, pur costruite nei primi anni di apprendimento, si utilizzano in seguito in tutto l’arco della preparazione e per questo si dicono “trasversali”: così ad esempio sono competenze trasversali il saper leggere e capire un testo, il saper esprimersi in lingua corrente, il saper ragionare logicamente su avvenimenti e si- tuazioni, il saper utilizzare nozioni già possedute per interpretare situazioni nuove ecc. La Formazione Professionale (FP) è, in quanto tale, una pista che orienta i giovani verso il loro futuro, che li guida ad assumere abilità e conoscenze speci- 285 fiche che utilizzeranno nel lavoro, basate però sopra abilità di base e competenze trasversali. La FP è un percorso evolutivo, oltre che un percorso di apprendimento e, in quanto ha a che fare con giovani, deve orientarli a diventare se stessi dall’in- terno di una identità sessuale e di una identità professionale raccordata con il grande mondo del lavoro e della vita. Logicamente, le tappe della crescita e dello sviluppo personale sono state stu- diate e razionalizzate dai trattati di psicologia evolutiva. TUTTI DEVONO RAGGIUNGERE LE TAPPE FONDAMENTALI DELLA CRESCITA Una sintesi telegrafica, che vale per ogni tipo di educazione, si può fare a par- tire dalle nozioni di adulto e immaturo, proprie della Psicologia evolutiva. Adulto è l’individuo cresciuto, che sa fare da solo, che sa decidere in modo autonomo, che sa cooperare a progetti comuni, che sa partecipare alla vita degli altri (e alla vita sociale), che sa mantenere gli impegni presi… Immaturo (mal cresciuto, o adolescente o infantile) è invece all’opposto l’in- dividuo nei primi anni di vita, che non ha ancora assunto le funzioni di base, che quindi ha bisogno di assistenza e di aiuto… ma anche l’individuo che è cresciuto solo fisicamente, che non ha gli strumenti cognitivi per esprimersi, che rimane sempre in attesa di ordini, che non mette nel lavoro la sua creatività, che si lamenta continuamente e non ha raggiunto quegli atteggiamenti di autonomia proporzionati alla sua crescita. Le caratteristiche dei vari stati di crescita, come presentate dalla riflessione psicologica, si possono riassumere così: Bambino : è l’individuo “piccolo”, dipendente dalle cure materne e dal volere dei genitori, incapace di impegni stabili e di capacità ragionata; Adolescente: è l’individuo che ha acquisito una certa crescita (e ha inserito nel suo corpo la capacità di procreare), è ormai indipendente sul piano fisico, ed è in grado di apprendere e programmarsi un futuro. L’adolescente è alla ricerca di sé: è in grado di utilizzare parte delle proprie energie sopra impegni collegati con il presente e con il futuro, è capace di sentimenti sessuali, capace di ami- cizie ecc. Adulto: è l’individuo cresciuto fino a maturazione, che ha di sé un’esperienza posi- tiva e gioiosa. Si sente centro di operatività, capace di attività cosciente e mo- tivata, di convivenza con altre persone (con le quali ha relazioni soddisfa- centi), e capace di partecipazione ad un progetto sociale. Adulto mal cresciuto: è la persona che fisicamente ha raggiunto la maturazione de- finitiva (compresa la capacità procreativa), ma psichicamente non ha rag- giunto l’identità di sé, e ha profonde lacune su tutto quel settore di attività considerato tipico degli adulti. 286 TUTTI DEVONO INSERIRSI CON RUOLO ADULTO NEL MONDO DEI GRANDI Tutti gli individui nascono bambini e diventano grandi mediante un corso di anni abbastanza lungo, passando per relazioni sempre più specializzate quanto agli apprendimenti istituzionalizzati e quanto alle capacità di fare da soli. Non esiste un termine fisso per stabilire tempi e date nella crescita. Importante rimane il punto di arrivo che si concretizza quando l’individuo è in grado di distaccarsi dalle figure che lo hanno allevato e si inserisce nel mondo dei grandi in modo indipendente e autonomo: quando sa fare da solo. Questa è la meta finale del processo di preparazione alla vita che deve sfociare nell’inseri- mento nel mondo degli adulti, secondo due grandi piste: la realizzazione di una fa- miglia propria e l’inserimento nella società con un ruolo lavorativo soddisfacente. Il ruolo lavorativo in sé viene considerato funzionale al vivere in modo auto- nomo, e precede, di solito, la costituzione di una famiglia propria. Ma non tutti considerano (specie nel mondo industriale) che il lavoro detiene anche una grossa valenza funzionale alla crescita spirituale e alla serenità di chi è chiamato a passare la vita in un contesto sociale. Molte reazioni personali sono legate proprio alle re- lazioni con il lavoro, ed è esperienza comune che un lavoro piacevole, per il quale ci si sente portati, risulta molto più utile alla crescita e alla salute spirituale che un lavoro di routine che non piace e stanca. Possiamo quindi a ragione ritenere quanto segue: - L’inserimento lavorativo è un criterio valido, forse fondamentale, per valutare lo stato “adulto” di una persona. - L’inserimento lavorativo è però solo un elemento dello stato adulto, e non tutta la vita dell’uomo si può determinare sulla base del ruolo lavoro (per quanto ben remunerato). - Il ruolo lavorativo va preparato nel corso della crescita e che certi ruoli lavora- tivi sono preceduti da studi di routine e da tirocini specifici, che dunque non si possono improvvisare o inventare. - Il ruolo lavorativo deve lasciare spazio anche ad una vita familiare e sociale tanto gradita e tanto necessaria al benessere dell’uomo… 287 Webgrafia www.quipo.it/pertini/index1.html (è un sito molto interessante e completo che permette di farsi un’idea complessiva di cosa significa fare orientamento) www.europalavoro.it/orientamento/normativa.asp (raccolta e analisi di tutta la normativa nazionale, regionale e comunitaria in materia di orientamento) www.provincia.venezia.it/smac/sorie.html (elenco completo dei siti sull’orientamento scolastico e professionale) www.orientamento.it (sito dedicato agli operatori di orientamento) www.europalavoro.it/orientamento/link.asp www.rete.toscana.it/sett/orient/linkorient.htm www.quipo.it/orientanet/home.htm http://www.isfol.it/orientaonline/ http://www.set-mi.net/ofi/aree/orientam/orientam.htm (link utile, con rimandi ad una interessante banca di documentazioni, a norme specifiche e ad ulteriori link). Bibliografia AJELLO A.M. et al., Orientamento Dentro e Fuori la Scuola, La Nuova Italia, Roma 2000. CASTELLI CRISTINA (a cura di), Orientamento in età evolutiva, Franco Angeli, Milano 2002. CASTELLI C., VENINI L. (a cura di), Psicologia dell’orientamento scolastico e professionale, Franco Angeli, Milano 1998. DI FABIO A.M., Psicologia dell’Orientamento, Giunti, Firenze 1998. FRISO G., TASSAN SOLET L., Orientamento Scolastico-Professionale, Erickson, Trento 1998. MANCINELLI M. R., L’orientamento in pratica. Guida metodologica per insegnanti di scuola supe- riore, orientatori, psicologi, Alpha Test, Milano 1999. PEDRIZZI T. - CASTROVILLI E., Dalla scuola al lavoro. Manuale operativo per una formazione effi- cace, La Nuova Italia, Firenze 2001 (cfr. soprattutto il cap. 1: “L’orientamento scolastico e pro- fessionale e i compiti della scuola”, pp. 28-54). POMBENI M.L., Orientamento Scolastico e Professionale, Il Mulino, Bologna 1996. 288 SECONDA LEZIONE LA CONOSCENZA DI SÉ E DEL PROPRIO CONTESTO COME ESITO DI UNA CRESCITA CORRETTA OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ descrivere i compiti di crescita tipici delle varie fasi evolutive di un soggetto; ❏ definire il concetto di orientamento come come azione che mira a porre l’individuo in grado di prendere coscienza di sé e di progredire. SAPER FARE DA SOLI, SAPER PROGETTARE UN FUTURO Se l’orientamento è chiamato a favorire lo sviluppo della personalità e a soste- nere l’inserimento del singolo nella dinamica sociale, all’interno della quale av- viene anche la conoscenza di sé, l’orientamento deve misurarsi con i compiti evo- lutivi dei soggetti nelle varie fasi della loro crescita personale e sociale. La crescita che ogni individuo deve raggiungere si misura logicamente dalle mete evolutive raggiunte: • Nella fase infantile : - saper riconoscere le figure familiari, - saper rispondere agli stimoli, - saper muoversi, - saper parlare e mangiare da solo, - controllare gli sfinteri…, - costruire apprendimenti di base per leggere, scrivere, calcolare, - orientarsi nel mondo domestico e fuori casa, - incontrare persone senza ansietà…ecc. 289 • Nella fase adolescenziale : - sapersi comportare secondo gli standard dell’età in pubblico ed in privato (abitudini di base nel sonno, nel nutrirsi, nel rapportarsi agli altri, nel parte- cipare alla vita sociale…), - apprendere le nozioni legate al proprio curricolo scolastico senza stiracchia- menti, senza ansietà, senza continui ripensamenti, - essere responsabili di se stessi e del proprio modo di apprendere, - scoprire le proprie capacità e le proprie inclinazioni, - progettare un futuro, sapendo collegare le nozioni apprese al futuro lavora- tivo e al futuro relazionale… • Nella fase adulta : - sentirsi chiaramente uomo o donna capace di entrare in sintonia con altre persone in vista di relazioni gratificanti e costruttive, - saper lavorare nel settore dove ognuno si è inserito, - saper rimanere se stesso anche nella realtà extra familiare, mantenere fede agli impegni presi, - saper vedere il presente come supporto del futuro…. Logicamente non esiste una fase di adulto mal cresciuto, perché questa è una patologia della crescita, e nessun educatore dovrebbe mirare a formare adulti in- completi. È tanto se li comprende e li accetta quando li incontra. Abbiamo delineato sopra i compiti evolutivi di ogni fase della vita e questo si- gnifica che l’orientamento – come azione che mira a porre l’individuo in grado di prendere coscienza di sé e di progredire – va collocato all’interno di una pro- spettiva educativa, destinata ad abbracciare tutto l’arco della vita, segnato da con- tinui cambiamenti. ORIENTARSI ED ORIENTARE ORIENTARSI significa allora realizzare scelte formative, professionali, lavo- rative nella direzione più utile a se stessi e alla società e ORIENTARE vuol dire fornire agli individui strumenti e supporti perché siano in grado di scegliere auto- nomamente i percorsi formativi e professionali più idonei a valorizzare la propria personalità. Il che non significa mettere le persone nella condizione di fare la scelta giusta una volta per sempre. I continui cambiamenti della realtà produttiva e so- ciale mettono infatti tutto in movimento e i soggetti dovranno sapersi orientare continuamente. L’azione di orientamento dovrà allora aiutare le persone a - sviluppare strategie di crescita personale, - individuare criteri per realizzare nella propria vita una pluralità di scelte, - mantenere in continuo allenamento la propria intelligenza e la propria motiva- zione. 290 Esercizio 1 Cerca su un dizionario della Lingua italiana il significato usuale del termine “orientamento” e confrontalo con quello che emerge nella lettura del testo della le- zione. Esercizio 2 Descrivi un’attività di orientamento o a valenza orientativa che hai potuto os- servare o a cui hai potuto partecipare nell’ambito di un CFP: - chi erano i soggetti coinvolti? - quali gli elementi caratterizzanti dell’attività? - quali gli obiettivi? - che impressione ne hai tratto e che valutazione ne faresti? EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE 291 TERZA LEZIONE ORIENTAMENTO COME ACCOMPAGNAMENTO DELLA CRESCITA PERSONALE OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ descrivere le caratteristiche degli strumenti di osservazione che l’educatore può utilizzare per guidare processi di orientamento; ❏ precisare le caratteristiche di un’azione di orientamento inteso come auto-orientamento. L’EDUCATORE È ATTENTO ALLO STILE DI CRESCITA DI OGNUNO Importantissimo per la conoscenza dell’individuo in crescita è lo strumento di osservazione che si utilizza, che deve essere basato su analisi guidate rivolte a tratti di personalità (come il ragazzo reagisce a determinate situazioni, come ri- sponde a stimolazioni verbali sui doveri scolastici, su avvenimenti sociali, su parti- colari situazioni a cui assiste o partecipa, come si relaziona con i compagni e con gli insegnanti, con i genitori in famiglia ecc.) e rivolte a comportamenti comuni (che cosa fa di fronte a compiti nuovi, di fronti ad offese o provocazioni, in situa- zione di bisogno o di stress, come reagisce al caldo, al freddo, alla fame, agli sti- moli sessuali…ecc.) Queste conoscenze degli individui, raccolte in modo empirico ma intelligente da insegnanti, educatori (o da genitori attenti alla crescita dei figli), permettono di guadagnare una visuale personalizzata del ragazzo ed introducono in ogni situa- zione a rapporti educativi e formativi anche in contesti di vita diversi, in espe- rienze lavorative e persino in situazione di relax o di gioco (le situazioni di cortile tanto care allo spirito salesiano!). ORIENTAMENTO COME AUTO-ORIENTAMENTO Orientare significa indirizzare verso il futuro, accompagnare nel processo della crescita, illuminare e sostenere quando è necessario e poi …sapersi ritirare 292 opportunamente perché l’individuo cammini da solo, scoprendo dentro di sé le energie e le motivazioni che lo porteranno a divenire grande secondo un suo stile di vita. Anche se questo stile di vita non piace all’educatore o viene da lui consi- derato minimale rispetto alle possibilità del soggetto, deve prevalere lo stile di chi è il soggetto della crescita che deve infilare la propria strada nella vita… L’educa- tore (l’insegnante, l’orientatore, l’istruttore…) può solo aiutare, non sostituirsi con le proprie motivazioni. Per questo è necessario che l’educatore aiuti a “scoprire” i valori che ognuno porta dentro di sé e aiuti l’interessato a definirli, per ricercare poi la strada o l’op- portunità di raggiungerli. Ciò significa in parole scientifiche “motivare”, cioè illu- strare i motivi per cui varrebbe la pena che ognuno raggiungesse quelle particolari mete. Ognuno cammina poi con le proprie gambe e a modo suo raggiunge le mete che intravede. L’orientamento va cioè inteso principalmente come auto-orientamento. Questo significa che la presa di coscienza dei caratteri complessi della propria per- sonalità va realizzata in prima persona dal soggetto e non è delegabile. EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE Esercizio 1 Leggi questo brano, tratto da una recente pubblicazione, e verifica se le idee espresse dagli autori concordano o meno con le idee espresse nel testo delle lezioni del modulo: “Un primo obiettivo consiste nel superare la contrapposizione tra orientamento predittivo/vocazionale e orientamento informativo così come quella tra orienta- mento esplicito e implicito, che rischiano di produrre frizioni negative nelle varie metodologie dell’orientamento, quando invece occorre pensare a percorsi integrati e a pratiche complete. L’orientamento predittivo o vocazionale è poggiato sulla convinzione che in ogni individuo esistono delle predisposizioni naturali, anche di natura ereditaria, a compiere determinate attività. In quest’ottica, l’orientatore deve aiutare l’adole- scente a effettuare una ricognizione su se stesso che gli consenta di svelare quali sono le sue vere attitudini. Venute alla luce le vere attitudini, si possono predire con ragionevole margine di errore le scelte professionali più opportune. I test attitudinali e i colloqui sono strumenti obiettivi che misurano la sintonia della propria personalità nei confronti delle diverse attività lavorative e aiutano la predizione delle proprie vocazioni. 293 L’orientamento informativo ha invece il compito di offrire agli studenti una massa critica di conoscenze sul mercato del lavoro, sulle professioni, sui Corsi di formazione professionale post-diploma e sui corsi di laurea. Una ricca messe di in- formazioni è essenziale perché l’allievo abbia tutti i dati indispensabili tra i quali scegliere la strada più adatta alle proprie capacità, evitando di trascurare un’op- zione adatta a sé a causa della mancanza di conoscenze su quell’ipotesi di studio o di professione. In realtà, queste due diverse angolature sono entrambe statiche. I limiti princi- pali dell’orientamento predittivo consistono nell’impossibilità di determinare una volta per tutte le vocazioni di un giovane, quando invece le attitudini cognitive e professionali sono mutevolmente determinate da un processo dinamico costituito dal percorso individuale di ognuno, costellato da molti momenti di scelta. Inoltre è assai problematico affermare che le abilità di cui sembra dotato un adolescente oggi siano integralmente compatibili con le professioni e i lavori di domani. Ma anche offrire una massa critica di informazioni non è di per sé in grado di muovere le intelligenze a compiere il percorso migliore per l’individuo. Anche la differenziazione tra orientamento implicito ed eplicito va superata nella pratica orientativa. La prima metodologia (orientamento implicito) consiste nel valorizzare nella didattica tutti i momenti di crescita delle capacità di autorientamento. Questa cre- scita avviene quando gli allievi sviluppano competenze decisionali e riflettono sulla propria propensione e su come essa possa trasferirsi nelle diverse professioni o essere sviluppata negli studi universitari. La seconda metodologia (orientamento esplicito) consiste nella realizzazione di specifici momenti o moduli curricolari o extracurricolari espressamente dedicati all’orientamento, come le attività di counselling, lo svolgimento di test attitudinali, l’apertura di sportelli per l’orientamento, gli incontri con esperti del mercato del lavoro e delle professioni, la consulenza di psicologi dell’orientamento”. (Da: PEDRIZZI T. - CASTROVILLI E., Dalla scuola al lavoro. Manuale operativo per una forma- zione efficace, La Nuova Italia, Firenze 2001, pp. 36-39). Esercizio 2 Al termine di questo modulo, prova a riflettere attentamente su questi temi e, in base alla tua esperienza di formatore - “educatore”, esprimi quello che ti sembra giusto e vero: 1. Che significa l’espressione: crescere non è un optional ma un’esigenza legata alla natura umana? Secondo te ognuno può crescere come vuole? Ognuno sce- glie il proprio modo di crescere? Ci sono degli standard nella crescita umana, sui quali valutiamo la crescita?…. Quali sono? 2. Ti sei mai imbattuto (nel tuo lavoro di educatore) in ragazzi “non ben cre- sciuti”?. Che caratteristiche presentano quanto agli apprendimenti, quanto ai 294 comportamenti, quanto agli interessi? … (prova a descriverle e a racco- glierle…). 3. Ti sei mai imbattuto in adulti “non cresciuti”? Quali caratteristiche presentano: quanto al modo di ragionare, quanto al modo di comportarsi, quanto all’affi- dabilità e alla partecipazione… 4. Osservando i tuoi allievi, riesci a renderti conto delle loro caratteristiche per- sonali…? Fondi su queste il tuo modo di rapportarti con ognuno/ognuna di loro così da essere un poco più “individualizzato”, o tratti tutti (anche le ra- gazze!) allo stesso modo? Tieni conto nella valutazione delle caratteristiche personali, differenti per ognuno di loro? 295 Modulo 2: APPRENDIMENTI E ORIENTAMENTO UMBERTO FONTANA Sembra inutile accennare che la dinamica di apprendimento è la dinamica base della crescita, senza la quale l’individuo rimane “ignorante”, cioè senza gli stru- menti personali necessari alla conoscenza del suo ambiente e senza le nozioni ne- cessarie alla convivenza con gli altri. In questo senso la dinamica di apprendi- mento è simile a quella dei piccoli degli animali che devono “imparare” le cose ne- cessarie alla vita. Troppo spesso noi dimentichiamo che l’apprendimento è una dinamica fonda- mentale per poter divenire grandi e che ogni individuo umano che abbia il sistema nervoso integro è in grado di imparare le cose necessarie al vivere. Orientare all’apprendere è dunque la prima grande dinamica sociale che in- serisce un individuo nel circuito di vita: nei primissimi anni la figura principale è la madre e quindi i familiari, negli anni successivi la figura delegata all’apprendere diventa una persona esterna alla famiglia, una persona istituzionale e l’apprendi- mento diventa un impegno che coincide con il concetto di “maestro” e con il luogo chiamato “scuola”. L’apprendimento dei primi anni non è quasi mai inceppato o difficoltoso: con- serva un qualche cosa di spontaneo e di gioioso per cui i bambini apprendono senza fatica e con piacere perché le relazioni nelle quali l’apprendimento avviene sono naturali e protettive in modo giusto. In seguito invece l’apprendimento si sbi- lancia e viene caricato di tensioni che sono legate alle relazioni, vale a dire alle “pretese” che gli adulti hanno nei confronti di chi deve apprendere nozioni e me- todi di studio e l’apprendimento comincia a coincidere con il concetto di “dovere”. Lo studio perde spesso la spontaneità della scoperta e l’individuo si disadatta al processo che lo dovrebbe abilitare allo studio personale. All’esplorazione di queste dinamiche è dedicato il presente modulo. 297 PRIMA LEZIONE LO SVILUPPO COGNITIVO OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ descrivere cosa si intende per “sviluppo cognitivo”; ❏ esplicitare la differenza tra processi di assimilazione e processi di accomodamento secondo le teorie di Piaget; ❏ descrivere accuratamente le tappe dello sviluppo cognitivo; ❏ elencare i vari tipi di intelligenza e le relative caratteristiche. Di solito, si accetta come un dogma che ogni bambino per imparare debba an- dare a scuola e frequentare anno dopo anno i curricoli che sono necessari a defi- nirlo “istruito”, il che equivarrebbe a dire che egli ha imparato e quindi “sa”. Nelle società civilizzate avviene di solito così e le scuole hanno assunto un’importanza grande quasi come le famiglie, ma nelle società in via di sviluppo (dove le scuole non esistono o non sono ancora del tutto organizzate) gli apprendi- menti avvengono in altro modo, legati ad altre istituzioni (o forse a nessuna istitu- zione dedita all’insegnamento) ma basate innanzitutto sullo sviluppo cognitivo, fuori da ogni modalità di insegnamento. Un individuo ha in sé le capacità di imparare e, appena ha inserito le dina- miche di apprendimento - che coincidono in parte con le dinamiche di crescita e in parte la sollecitano - impara “nonostante i maestri” o anche “senza i maestri”. Il punto di arrivo dello sviluppo cognitivo è quello di saper apprendere dall’espe- rienza, senza essere costretto, in base agli interessi personali, secondo le opportu- nità... SI DIVENTA “INTELLIGENTI” A TAPPE ( CRESCITA COGNITIVA) Lo sviluppo cognitivo (o dell’intelligenza) è una dinamica spontanea nell’in- dividuo umano: consiste in ultima analisi nell’esplorare da prima il proprio am- biente per farsene una prima idea, la quale diviene poi il contenitore di nuove in- 298 formazioni. Un “contenitore” dentro il quale viene inserita di continuo informa- zione nuova, che serve ad allargare lo schema che è il contenitore stesso. Per questo, negli esseri umani, si parla di comportamento intelligente, inten- dendo per comportamento un “insieme stabile di azioni e reazioni di un organismo a una stimolazione proveniente dall’ambiente esterno (stimolo) o dall’interno del- l’organismo stesso (motivazione)…”1, e si ritiene che questo comportamento sia regolato da una facoltà specifica dell’uomo chiamata intelligenza. L’intelligenza non si può definire perché coincide con l’uomo stesso che, a differenza degli ani- mali, assume progressivamente comportamenti intelligenti e riesce ad applicare in modo intelligente le cose che sa a situazioni nuove. L’intelligenza non si può definire, ma si può descrivere attraverso le sue mani- festazioni e si può seguirne la crescita osservando i comportamenti tipici delle varie tappe di crescita2. DINAMICA INNATA O ACQUISITA ? L’intelligenza ha sempre qualche cosa di innato, cioè di legato alla natura umana, ma ha molto di acquisito, cioè legato alle stimolazioni e al colorito del- l’ambiente. È nello stesso tempo organica e spirituale. Tanto è vero che un grande psicologo J. PIAGET (1896-1980) 3 soleva dire che l’intelligenza del neonato è sensomotoria (cioè di risposta agli stimoli), mentre quella del bambino è concreta (cioè espressa su situazioni concrete ben precise) e solo in adolescenza diventa astratta (cioè capace di tirare conclusioni logiche da premesse diverse). Egli concepiva lo sviluppo mentale (e dopo i suoi studi ogni studioso ha accet- tato le sue tesi) come un adattamento sempre più preciso alla realtà, che poteva ve- nire descritto come una dialettica funzionale sintesi di due processi: quello di assi- milazione (cioè “tirar dentro” materiale nuovo) per il quale i dati empirici vengono ricondotti a schemi di comportamento o di spiegazione già posseduti, e quello di accomodamento (cioè l’adattamento della realtà inserita secondo gli schemi già interiorizzati), ossia di modificazione di schemi interpretativi della realtà, già pos- seduti mediante l’adeguamento a nuovi dati. L’intelligenza, o meglio il comportamento intelligente dell’uomo, mantiene qualche cosa di biologico e qualche cosa di relazionale. Lo spirituale è sempre le- gato al biologico, anche se raggiunge risultati molto diversi da quelli biologici e non può mai essere ridotto al puro biologico. 1 GALIMBERTI U., Enciclopedia di Psicologia, Garzanti, Torino 1999, alla voce comportamento, p. 219. 2 Per la conoscenza di nozioni base in uno schema adeguato alla professionalità degli insegnanti rimando al seguente manuale: FONTANA D., Manuale di psicologia per gli insegnanti, Erickson, Trento 1995. 3 Cfr.: www.dubladidattica.it/dizpiagt.html. 299 Seguendo i concetti di bambino, adolescente, adulto, possiamo legare alcune caratteristiche di intelligenza ad ogni tappa. L’intelligenza del bambino è prima di tutto legata agli stimoli materni e quindi è una risposta a questi; da questa risposta però si intuiscono il gradimento o il disagio interiore che il bambino manifesta. Un bambino che sorride e che ri- sponde con gesti in sintonia con lo stimolo è “intelligente”. Man mano che riesce a rispondere in modo più concreto e preciso esprime se stesso e manifesta la sua “in- telligenza”; man mano che impara a fare o dire cose nuove riusciamo ad accorgersi che è sempre più progressivamente “intelligente”… L’intelligenza infantile è stata descritta e studiata e nelle scuole di psicologia e pedagogia è oggetto di insegnamenti specifici. Sintetizzando al massimo possiamo dire che l’intelligenza infantile ha le se- guenti caratteristiche: • è un processo progressivo di risposte agli stimoli sempre più differenziate e sempre più “comandate” dall’interno; • coincide con il processo di crescita che avviene secondo due caratteristiche: comportamento sempre più stabile nel tempo e nelle intenzioni (quello che ho fatto ieri lo so fare anche oggi…) e sempre più canalizzato verso obiettivi con- creti (mangiare, muoversi, fare qualche cosa di preciso, volere qualche cosa specifico…); • diventa la base di coordinamento di ogni attività fino a divenire pienamente “cosciente” cioè della quale il bambino sa in precedenza il che cosa e il pro- cesso per ottenere questo qualche cosa; • rende il bambino capace di “operazioni” concrete, cioè di ragionamenti che mettono insieme realtà diverse, simbolizzate nel cervello con codici concreti (seriazioni, misure di spazio e tempo, raffigurazioni ecc.), e di partecipare alla vita cognitiva con argomenti ingenui ma logici, basati su cose essenziali; • è strettamente collegata con il mondo emotivo e relazionale, in modo tale che si attiva di preferenza (per non dire soltanto) in seguito a stimoli emozionali percepiti come gratificanti… L’intelligenza dell’adolescente è qualitativamente diversa da quella infantile. È capace di operazioni più complete di quelle infantili, basate sul processo di astrazione che gli psicologi cognitivisti chiamano operazioni formali. Questa con- cezione dell’intelligenza (nata in questi ultimi decenni sulle premesse poste da Piaget) considera l’intelligenza come un vero e proprio elaboratore mentale che di continuo verifica la “congruenza” tra i comportamenti interiori e le condizioni og- gettive esterne, filtrando le informazioni e guidando i processi secondo le corre- zioni ricavate da questo confronto. Le operazioni formali dell’intelligenza sono ca- paci di rielaborare le informazioni che provengono dall’esterno mediante processi interiori basati sulla capacità di confronto astratto e sul riconoscimento di nessi 300 analoghi tra elementi diversi. Il ragazzo adolescente impara a ragionare su cose nuove, utilizzando i processi interiori e passando da premesse analoghe a situa- zioni logiche che nulla hanno a che fare con il concreto. I nessi esistenti analoghi tra elementi sono i rapporti che vengono sistemati in ragionamenti nuovi, adulti. La capacità di pensare diventa la caratteristica fondamentale e diventa una vera “attività mentale che comprende una varietà di fenomeni come ragionare, riflettere, immaginare, fantasticare, prestare attenzione, ricordare… (in modo da) permettere di essere in comunicazione con se stessi e con gli altri, nonché di costruire ipotesi sul mondo e sul modo di pensarlo”4. Ognuno costruisce il proprio modo di pensare e di preferenza usa questo che gli diventa caratteristica personale. Così esistono vari modi di pensiero: pensiero intuitivo, pensiero logico, pensiero produttivo, pen- siero realistico… L’intelligenza dell’adolescente ha alcune caratteristiche: • assomiglia molto a quella degli adulti, ma si differenzia da essa per una mag- giore vulnerabilità e per una certa incostanza; • differisce dall’intelligenza infantile, dato che tra le due esiste una differenza sostanziale espressa dal fattore astrattivo e dalla diminuizione del fattore fan- tastico: l’adolescente diviene capace di capire ragionamenti e di riportare ri- flessioni personali; • permette nell’adolescente lo stabilizzarsi di una maggiore completezza ri- spetto all’intelligenza infantile, di una maggiore varietà di argomenti e di una modalità specifica che detiene un colorito personale (che già fa presagire la ti- pologia di ognuno); • permette ad ogni individuo di avvicinarsi al proprio tipo di intelligenza: le mo- dalità di utilizzo sono personalizzate di molto con l’aggiunta di una partecipa- zione emotiva particolare, adeguata alla personalità di ognuno… L’intelligenza adulta, nella concezione attuale della psicologia cognitiva, è considerata come un vero e proprio elaboratore che opera tra realtà interiore (pro- grammi) e realtà esteriore (dati da inserire). È completa e adeguata a tutte le situa- zioni: comprende cose nuove, confronta con le cose già conosciute, utilizza nessi logici comuni ad oggetti diversi e imposta relazioni tra nessi. Insomma guida l’uomo a muoversi in modo intelligente, in modo autonomo tra le varie vicissitu- dini della vita. Per questo spesso viene considerata come il problem solving di una situazione o come il meccanismo di adattamento all’ambiente, o come la guida in- teriore che aiuta a comprendere, a valutare, a ripensare la vita, a proporre soluzioni “nuove” migliori di quelle già esistenti ecc. La grande massa di studi su questo argomento non hanno finora prodotto una definizione completa di intelligenza, per cui ognuno può descriverla e considerarla 4 GALIMBERTI U., op. cit., p. 751. 301 come crede, purché inserisca in questo concetto tutte le funzioni a cui l’intelli- genza partecipa5. Interessante è piuttosto ritenere che ogni essere umano è intelligente e che l’intelligenza sua è sufficiente a fargli risolvere i problemi della vita. Ogni essere umano ha le capacità di comprendere la propria situazione di vita, di modificarla, di migliorarla, di trasformarla in modo che il rapporto con l’ambiente gli sia piace- vole… L’intelligenza di una persona adulta possiede alcune caratteristiche: • come l’intelligenza dell’adolescente, è assai differente da quella infantile: si basa sui processi di astrazione, classificazione di concetti, analogici, analitici e sintetici; si stacca dal concreto e spazia nel mondo dei concetti; • comprende ogni situazione legata all’esistenza, trova nessi relazionali tra si- tuazioni e tira conclusioni logiche, utili alla risoluzione di problemi; • sa applicare teorie e metodologie frutto di esperienza altrui a situazioni contin- genti (capacità di pensare); • sa fare analisi parziali e sa confrontare queste con situazioni dove già ha avuto risultati positivi, per decidere poi se vale la pena cambiare strategie o mante- nere quelle già utilizzate; • è stabile nel suo modo di valutare le cose e sa attingere sicurezza e forza dalle proprie motivazioni; • mantiene in ogni situazione un colorito umano che si può a ragione dire “emo- tivo”6 che le permette di comprendere in una luce umana ogni problematica anche tecnica... Esistono però molte variazioni individuali nell’ambito dell’intelligenza, per cui ogni persona comprende e realizza in modo diverso i vari compiti: si comporta in modo diverso nelle stesse situazioni, comprende in modo più o meno approfon- dito i problemi del lavoro e dell’esistenza, si accontenta di analisi più o meno ade- guate… Non si può pensare con facilità che una persona abbia meno intelligenza di altri. Bisogna piuttosto pensare che non tutti sono portati a risolvere il problema della vita allo stesso modo, e non si può valutare l’intelligenza di una persona dal modo in cui “apprende”. Nel mondo del lavoro attuale si cerca di limitare l’intelligenza del lavoratore in quanto lo si fissa a lavorare in modo assai parziale ad un processo tecnologico che non comprende mai del tutto e il lavoratore deve spesso limitarsi a quella pic- 5 Per convincersene basta approcciare un manuale di psicologia dello sviluppo: VIANELLO R., Psicologia dello sviluppo, Ed. Junior, Bergamo 1995. Cito ancora il monumentale lavoro di B OSCOLO P., Psicologia dell’apprendimento scolastico. Aspetti cognitivi e motivazionali, UTET, Torino 1997, dove sono raccolte molte notizie sulle teorie che descrivono oggi l’intelligenza e l’apprendimento. 6 Molto interessante è a questo proposito il volume di GOLEMAN D., Intelligenza emotiva. Che cos’è e perché può renderci felici , Rizzoli, Milano 1999; ID., Lavorare con l’intelligenza emotiva, Rizzoli, Milano 2000. 302 cola parte che gli è stata affidata. Non si dovrebbe mai ridurre il lavoratore a forza lavoro e pretendere da lui quello che si pretende da una macchina. Esistono vari tipi di intelligenza e la ricerca attuale ne ha teorizzato l’esistenza e le ha descritte. Sostanzialmente si ritiene esistano tre tipi di intelligenza entro i quali convergono tutte le sfumature e le caratteristiche individuali. AD OGNUNO LA SUA INTELLIGENZA: TEORIA DI STERNBERG La teorizzazione di R. Sternberg non fu fatta a tavolino, ma sul campo, stu- diando le modalità di comprensione di migliaia tra uomini e donne americani degli anni 80/90 del secolo appena chiuso. Ha concluso che l’intelligenza umana, pur unitaria nelle sue attività, si realizza nella pratica in tre tipi: intelligenza analitica, intelligenza creativa, intelligenza pratica. I tre tipi hanno pari dignità perché mani- festano una presenza equilibrata tra l’elaborazione di tipo analitico, creativo e pra- tico delle informazioni, ma ogni persona si sente più o meno in sintonia con un tipo piuttosto che con un altro. Ragione per cui i risultati dell’attività intellettiva sono quasi “specificati”, certo in sintonia con il tipo, e le modalità di apprendi- mento e di lavoro tra i tre tipi sono sostanzialmente diverse. In altre parole, si può dire che nell’uomo esiste una capacità “intelligenza” unica, che può manifestarsi nella triplice direzione definita analitica, creativa e pratica; ognuno si sente più portato verso uno dei tre tipi e utilizza di preferenza quella modalità sia nell’apprendere cose nuove, sia nel risolvere i problemi della vita. Lo stesso Sternberg lo espresse nella teoria triarchia7 del pensiero umano e ri- tiene che ogni persona abbia la possibilità, maturando, di utilizzare tutte e tre le modalità, ma l’esperienza insegna che ognuno si fissa sul proprio tipo di rielabora- zione. “L’intelligenza implica la presenza di un equilibrio tra l’elaborazione di tipo analitico, creativo e pratico delle informazioni…il pensiero analitico comprende la capacità di analizzare, giudicare, valutare, di stabilire dei confronti e dei contrasti da esaminare. Il pensiero creativo si realizza nella capacità di creare, scoprire, pro- durre, immaginare e supporre. Il pensiero pratico comprende invece la capacità di usare strumenti, applicare ed attuare programmi e piani…”8. Ognuno ha dunque un suo tipo di intelligenza (o qualche cosa che si avvicina ad uno dei tipi) che sente come una specie di configurazione intellettuale propria, per fare un esempio come un vestito che gli è conforme... Ognuno si trova bene se può utilizzare il suo tipo di intelligenza ed è facilitato ad apprendere quelle stra- 7 Gli studi originali risalgono al 1985 e vennero ripresi negli anni successivi 1988, 1996. Non mi consta vi siano traduzioni italiane. Per un approfondimento di questo argomento rimando al vo- lume: STERNBERG R.J, S PEAR-SWERLING l., Le tre intelligenze, Erickson, Trento 1997. Nel volume la teoria è esposta per gli insegnanti con una metodologia pratica molto apprezzabile. 8 STERNBERG, op. cit., p. 18. 303 tegie di rielaborazione che sono in sintonia con il proprio tipo. Anche nell’appren- dimento scolastico (istituzionalizzato) dovrebbe venire rispettato in queste sue mo- dalità e se ne dovrebbe anche tenere conto nella valutazione dei suoi apprendi- menti. Purtroppo nella scuola non è quasi mai così: si pretenderebbe che un vestito unico vada bene e soddisfi tutti… Ognuno sceglie anche il proprio corso di studi superiori e il proprio lavoro se- condo il proprio tipo, come ha ipotizzato Holland 9 già verso la fine del secolo ap- pena chiuso. Intelligenza di tipo critico-analitico È una intelligenza che si trova a proprio agio con i concetti e con i nessi lo- gici: sa sintetizzare e analizzare quanto viene espresso con parole e sa memoriz- zare secondo schemi che risultano poi chiari e apprezzati. È l’intelligenza sulla quale è basato l’insegnamento della scuola in Italia. Chi ha intelligenza analitico- critica si trova a proprio agio a rielaborare concetti e a trovare le differenze che tra essi esistono. Sono abili nel trovare le incongruenze (i difetti, gli errori) delle idee. Questo tipo di intelligenza lavora di preferenza secondo strategie verbali e ottiene buoni risultati agli esami e buoni voti a scuola perché sa riportare esattamente quanto il professore ha spiegato. Sono sempre bene inseriti nella classe e fanno ri- sonanza buona all’insegnante. È questo il tipo di intelligenza che regge bene un corso di studi umanistici, classici, letterari, storici. Difficilmente nelle scuole professionali, dove l’insegnamento è su cose pra- tiche e con l’uso di macchine, questo tipo di intelligenza si trova a suo agio: sente sempre che le mancano premesse “teoriche” per poter capire e sentono il rapporto con la macchina e con le tecnologie fisse molto limitante. Intelligenza di tipo creativo-sintetico Questo tipo di intelligenza ha molte caratteristiche con la precedente, ma ca- ratterizza ogni apprendimento per una coloritura personale a scapito dell’oggetti- vità, aggiunge un tocco di creatività che disturba la presentazione esatta degli schemi altrui. In compenso questo tipo di intelligenza rielabora bene i contenuti, aggiungendovi però altre connessioni che ne allargano la comprensione e tira con- clusioni originali. L’intelligenza creativa regge bene studi artistici, di scienze natu- rali, di critica a situazioni e teorie, di ricerca ecc. Questo tipo di intelligenza lavora bene con strategie scientifiche e con teorie diverse, dalle quali coglie l’elemento fondamentale per utilizzarlo in modo originale. I tipi creativi non hanno buoni ri- 9 Anche questo autore non è ancora stato tradotto ed è conosciuto in Italia attraverso la presenta- zione del prof. Polacek della Università Salesiana di Roma. Cfr: P OLACEK K., Descrizione dei tipi nella teoria e sulla scelta professionale, in: Orientamento Scolastico e professionale 18 (1978), 72, p. 7410-7428. 304 sultati a scuola: rendono quel tanto che basta per superare gli esami, ma approfon- discono di propria iniziativa, senza costrizioni; allargano i temi e si sentono limi- tati dalle spiegazioni e dagli schemi degli insegnanti. Reggono bene studi scientifici e artistici, studi a sfondo commerciale e rela- zionale. Nelle scuole professionali questi tipi non si adattano a tecnologie fisse e a schemi operativi precisi. Si stancano della routine e si distraggono dietro i loro pensieri. Di una macchina guardano il design, non la funzionalità! Intelligenza di tipo pratico-contestuale Questo tipo di intelligenza ha poche caratteristiche con i due tipi precedenti. Coglie di una situazione l’aspetto pratico e trova subito soluzione ad un problema. Comprendono al volo il ragionamento tecnico della macchina e godono nel ripro- porre schemi esatti basati su precisione meccanica e numerica. Manifestano grande buon senso in tutte le cose e sanno “organizzare” senza fatica situazioni e compiti. Si accontentano però di aver eseguito lo schema e non si domandano su quale filo- sofia si basi il processo. Accettano le tecnologie e le prassi consolidate e non ri- schiano sul nuovo... se il vecchio va bene. A scuola si annoiano e non si inseriscono. Amano le cose pratiche e i labora- tori. Sono sempre informati sulle modalità di funzionamento di macchine e si in- formano accuratamente sulle novità tecnologiche. Nelle scuole italiane spesso ven- gono classificati “incapaci” perché non colgono dall’insegnamento verbale le suf- ficienti notizie che li possono interessare e si stancano. Questo tipo di intelligenza regge bene studi di tipo tecnico-operativo, studi pragmatici basati su tecnologie fisse. Dei Centri di formazione professionale sarebbero i veri utenti perché hanno interessi e propensioni adeguate. Riescono bene nel lavoro pratico e garantiscono risultati. EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE Leggi attentamente il brano riportato nella sottostante tabella, tratto dal se- guente indirizzo: www.sussidiario.it/psicologia/magazine/intelligenze.shtml Noti differenze, analogie o contrasti tra l’impostazione di H. Gardner e quella di H.J. Sternberg, presentata nel testo della lezione? 305 Studiando per anni il cervello, Howard Gardner, professore di psicologia al- l’Università di Harvard e insegnante di neurologia alla School of Medicine del- l’Univerità di Boston, ha scoperto l’esistenza di otto diversi tipi di intelligenze, sei in più rispetto a quelle analizzate dai test standard per la valutazione del Q.I. Gardner è del parere che il temine intelligenza venga utilizzato per designare un tipo di intelligenza standard con la quale si nasce e che non può essere cam- biata. Il Poeta greco Archiloco affrontava tale problema proponendo la distinzione tra ricci e volpi. Ricci erano coloro i quali consideravano l’intelletto come un tutto unico, una capacità singola, inviolabile, speciale caratteristica dell’essere umano, definibile in termini di quantità che consenta un ordine gerarchico dal più al meno, dal più intelligente al meno intelligente; quindi un quantum immodificabile, sopra il quale nessun intervento sarebbe possibile. Volpi erano quelli che tendono a fram- mentare la mente in tante componenti. Howard Gardner ha ripreso tale distinzione per evidenziare la differenza tra il suo concetto di intelligenze e la definizione standard di intelligenza. Vediamo le otto forme di intelligenza elencate dal grande ricercatore: linguistica: padronanza nell’uso del linguaggio logico-matematica: valutazione e confronto di oggetti e astrazioni spaziale: percezione del mondo visivo musicale: distinzioni di brani musicali in relazione all’altezza, al ritmo, al tempo cinestesica: controllo dei movimenti del corpo personale : *intrapersonale (riconoscimento e valutazione di propri sentimenti), *interpersonale (interpretazione dei sentimenti e stati d’animo altrui) naturalistica: riconoscimento nella categorizzazione di oggetti naturali esistenziale: cogliere e riflettere sui quesiti fondamentali dell’esistenza I test di nuova concezione dovrebbero coinvolgere tutte le intelligenze indi- viduate e poiché se ne ribadisce la distinzione, i programmi scolastici dovrebbero cercare di stimolare l’apprendimento stimolando ogni tipo di intelligenza. Ogni individuo possiede queste diverse intelligenze anche se, naturalmente, qualcuno è più forte nell’intelligenza linguistica, qualcuno in quella spaziale, altri in quella naturalistica; ognuno dovrebbe essere avvantaggiato in base alle proprie potenzialità. 306 SECONDA LEZIONE CONOSCENZE, COMPETENZE E ABILITÀ PER DECIDERE OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ descrivere il significato dei seguenti termini, distinguendoli tra loro: risorse umane, interessi, attitudini, abilità, capacità, competenze; ❏ definire il concetto di stile di apprendimento. Sull’intelligenza si potrebbero dire altre cose: come è stata concepita nel corso del secolo passato, quali strumenti sono stati realizzati per tentare di “misurarla”, quali sono le teorie interpretative sulle quali sono basati gli strumenti di misura- zione (i test mentali così detti e le batterie basate su fattori, i questionari di auto- valutazione ecc.)… ma per l’insegnante-formatore è sufficiente sapere che tutta questa “tecnologia” è di competenza dello psicologo1, il quale può sempre affian- care, a richiesta, ogni attività che la scuola organizza per la conoscenza dei ragazzi. Qui è necessario invece entrare decisamente in un altro settore che riguarda lo sviluppo cognitivo degli allievi, sul quale sono competenti la scuola ed ogni altra agenzia formativa, quello di aiutare gli allievi ad assumere competenze e abilità. Non è facile dire in poche parole il senso di questo compito al quale sono chiamati gli insegnanti e i formatori, dall’interno del loro ruolo educativo, aspetto importante del divenire, per il quale la personalità in crescita costruisce le capacità di comprendere sempre meglio, di fare sempre in modo più personale, di miglio- rare sempre di più le proprie prestazioni, avvicinandosi a quelli che, nel mondo degli adulti, sono considerati standard base per ogni attività. 1 Per una informazione approfondita rimando al manuale in uso in tante università italiane: BONCORI L., Teoria e tecniche dei test, Bollati Boringhieri, Torino 1997. 307 ALFABETO DEI CONCETTI BASE Per inoltrarci in questo aspetto educativo bisogna mettere ordine fra alcuni ter- mini che esprimono attività umana e divenire: risorse, predisposizioni, capacità, abilità, competenze, tutte parole che hanno assunto in psicologia significati speci- fici. Bisogna porre innanzitutto una distinzione precisa: assai diverso è utilizzare questi concetti tra gli adulti nel mondo del lavoro e utilizzarli nel ruolo educativo, in riferimento al mondo dei ragazzi in evoluzione. È già difficile parlarne tra gli adulti perché i concetti stessi non sono del tutto univoci e ben definiti e non tutti danno agli stessi i medesimi significati. Nel mondo della scuola, suonano addirittura come imprecisi e non affidabili in quanto esiste una inveterata abitudine a valutare le persone solo in base a risultati di ap- prendimenti proposti. Risorse umane • È un termine onnicomprensivo di tutte le capacità che un individuo (o un’a- zienda) può mettere a disposizione del processo lavorativo o della sua attività personale. Nel concetto di risorsa c’è sempre incluso un significato di ric- chezza potenziale, di “riserva” alla quale si può attingere in caso di bisogno, di patrimonio che può essere utilizzato al meglio, di possibilità forse non ancora del tutto messa in atto o a disposizione di un progetto… Così si parla di ri- sorse intellettuali, di risorse affettive, di risorse operative ecc. • Le risorse che una persona possiede hanno tutte una valenza genetica e una valenza acquisita, dato che la personalità si costruisce attraverso un processo di interazione tra fattori genetici ed ambientali. Si deve ritenere che tutti ab- biano risorse sufficienti per entrare da adulti nella vita e per poter utilizzare al meglio la propria esistenza. • Le risorse al maschile o al femminile hanno una ripartizione assai differente che spesso viene strumentalizzata dal mondo del lavoro. Le risorse investono evidentemente il fisico e lo spirituale ma sono espressione di tutta la persona. • Il rapporto educativo deve mirare logicamente a valorizzare al meglio le ri- sorse individuali: deve aiutare, di conseguenza, ogni persona a conoscere le risorse sulle quali deve contare e a manifestarle nel modo migliore. • Le risorse sono un patrimonio personale che può essere utilizzato o rimanere inerte. Interessi • In psicologia si ritiene che l’interesse sia un fattore dominante collegato alla motivazione, che in ultima analisi ha a che fare con i bisogni e con la ricerca di soddisfazione personale. L’interesse non ha carattere coercitivo ma man- tiene sempre una valenza di gioiosa spontaneità. Per questo già il bambino 308 “manifesta interessi” che lo portano ad esplorare il mondo secondo una linea di piacevole partecipazione. Negli adulti si assiste spesso al “risveglio degli interessi” che rendono la vita extra lavorativa più gioiosa. Gli interessi spin- gono alla curiosità scientifica, alla ricerca, ad interessarsi. • Esistono molti centri di interesse nella società per permettere agli individui di canalizzare i propri interessi verso qualche cosa di organizzato socialmente. Così sono nati un po’ dovunque i centri sportivi, i centri di cultura, i centri di svago, i centri di conversazione ecc. • Gli interessi sono nell’uomo segno di salute e di vitalità, mentre la mancanza di interesse è sempre segno di stanchezza, di depressione, di chiusura ed è in ultima analisi patologica. • Bene sarebbe che nella scuola venissero presentati gli argomenti disciplinari secondo schemi di interessi che alcuni ragazzi (spinti dal loro personale modo di apprendere) possono accettare senza troppo sforzo. Attitudini • La differenza tra interessi e attitudini non è chiara. Certo dall’interesse con cui il bambino esplora il suo ambiente nascono le attitudini a fare o a pensare in un determinato modo. Aver attitudine significa che l’individuo è adatto a fare qualche cosa: attitudine all’esattezza, alla pittura, alla riflessione, all’organiz- zazione di concetti… • Le attitudini si rivelano precocemente e vengono manifestate appunto negli in- teressi che vengono messi in atto e fanno assumere capacità. Le attitudini spin- gono verso un apprendimento orientato verso il proprio tipo di intelligenza. • Le attitudini si sogliono distinguere in fisiche in quanto si riferiscono a pro- cessi motori (coordinazione di movimenti, resistenza fisica, velocità di rea- zione…) e psichiche in quanto si riferiscono a processi mentali (disposizioni di memoria, chiarezza di percezione, rielaborazione di contenuti, capacità di cogliere aspetti artistici…). • Spesso le attitudini vengono “misurate” da strumenti diagnostici atti a cogliere la quantità e la qualità dei processi che sottostanno a tali apprendimenti: per questo scopo sono nate le batterie di test attitudinali in uso nei processi di orientamento e di selezione del personale. Abilità/capacità • Anche il concetto di abilità non si differenzia chiaramente da quello di attitu- dine. Molto spesso è usato come sinonimo di capacità. Abilità si riferisce più alle attitudini messe in atto che comportano un saper fare, all’aver assunto già un comportamento automatizzato su certi processo operativi. Così si parla di abilità senso motorie, di abilità manuali, di abilità intellettuali (a comprendere, a ripetere, ad esprimersi, a cogliere nessi logici…) e abilità sociali (destrezza nelle relazioni, ad adattarsi a situazioni nuove, a dare risposte adeguate ecc.). 309 • Nel linguaggio comune un individuo “abile” è un individuo che sa fare, che sa destreggiarsi, che sa cavarsela, che sa sopravvivere, che ha la destrezza suffi- ciente per non soccombere a situazioni nuove. • Le abilità possono venire insegnate e sviluppate mediante training specifici. Se sono impostate su attitudini ed interessi rendono l’individuo veramente vincente. Il lavoratore abile dovrebbe essere giunto a quel lavoro sulla base di vere attitudini realizzate sopra interessi. Allora si parla di “vocazione” iniziale verso quel mestiere (o professione) e l’abilità dice perfezione professionale e soddisfazione. • Tra i vari modelli che hanno ottenuto un consenso largo tra gli studiosi di psicologia è quello dei sei fattori esprimenti le abilità o capacità: abilità per- cettive (P), abilità inventive (G), abilità di concentrazione (K), abilità elabo- rative, abilità numeriche (N), abilità verbali (V). Queste particolari abilità nelle tecniche testologiche vengono messe in rapporto con gli indirizzi scola- stici. Competenze • È forse fra tutti i concetti sopra esposti il più vago e il più complesso perché in questi ultimi anni ha assunto significato di un contenitore onnicomprensivo per il quale, nel mondo del lavoro, una persona si presenta come “capace”. Capace di che cosa? Essa stessa specifica di che cosa si sente “capace” e do- vrebbe poter presentare la documentazione (cioè la certificazione) delle pro- prie competenze acquisite. Nel mondo del lavoro francese è nato in questi ul- timi anni uno strumento valutativo detto bilancio di competenze che sta impo- nendosi in parecchi paesi2. Ciò ha contribuito a confondere il concetto di “competenza” perché il bilancio è solo uno strumento, mediante il quale ogni lavoratore ha l’occasione di verificare il suo potenziale di “impiegabilità” sul mercato del lavoro esistente. • Il concetto di competenza come usato oggi in psicologia (e in pedagogia) non è del tutto intuitivo anche se mantiene del significato originario il senso di “conoscenza lavorativa”, “abilità nel campo professionale”, “capacità di com- prendere un compito complicato”… È basato indubbiamente sul concetto del Sé che si valuta abile a fare qualche cosa e motivato a fare senza bisogno di ulteriori apprendimenti su quel settore. • “Competenza” è dunque prima di tutto una “autovalutazione” emessa dal sog- getto su di un settore professionale o su qualche capacità specifica. Ogni per- sona emette in qualche modo una valutazione sulle capacità che ha costruito in se stessa, delle quali si sente “abile”, sente di averle a disposizione e che per 2 Per inserirsi in questa problematica rimando a: SELVATICI A., D’ANGELO M.G. (a cura di), Il bi- lancio di competenze, Franco Angeli, Milano 1999. Per la comprensione del concetto: DI FABIO A.M., Il bilancio di competenze, in: Orientamento scolastico e professionale, n. 4, ottobre/dicembre 1999. 310 questo “si piace”, è “valida”, quindi “spendibile” in qualche settore del lavoro umano. Evidentemente si sente “competente in…” non competente in tutto! • La competenza è sempre collegata con la stima di sé e con una connotazione positiva verso qualche settore dell’agire: comporta un sapere, un saper fare, un saper utilizzare la conoscenza per risolvere il caso che si presenta, quindi il saper scegliere il meglio e il saper decidere in modo adeguato alla situazione. • Nelle analisi fatte dal 1970 ad oggi, il concetto di “competenza” comprende una rete di conoscenze integrate e funzionali (a uno scopo), che include com- ponenti cognitive e procedurali, motivazionali e sociali, tali da mobilitare le risorse (o le energie) verso la risoluzione corretta di una situazione problema- tica sulla quale si ottiene prestazioni buone addirittura nuove… Gli elementi essenziali di “competenza” sono su due direzioni: una rete di conoscenze in relazioni tra di loro, suscettibile di integrazione e di miglioramento continuo; sulla base di queste conoscenze una persona sa utilizzare queste per la risolu- zione di una serie di problemi collegati tra di loro (e collegati con il lavoro o con la vita). • Le competenze si possono considerare i punti di arrivo (terminali) dell’ap- prendimento e diventano il criterio di valutazione dell’apprendimento in ter- mini pratici. • È invalso l’uso in Italia di distinguere le competenze con i seguenti nomi: •• Competenze di base o elementari: quelle necessarie per esplicare una qual- siasi attività (come alfabetizzazione informatica, conoscenze base di inglese, nozioni di economia, capacità di muoversi nel mondo della informa- zione…); •• Competenze tecnico-professionaili: quelle competenze legate al compito specifico che ognuno deve espletare (tecnologie varie necessarie ad un la- voro, uso basilare di macchine o di strumenti, nozioni basi di chimica o fi- sica ecc.); •• Competenze trasversali: quelle che si riferiscono alle capacità della persona umana necessarie nel lavoro e nella relazione (saper collaborare e comuni- care con gli altri, saper ascoltare senza rigidità di opinione, saper informarsi con i mezzi a disposizione, saper sopportare la frustrazione, saper rielabo- rare i propri tempi di lavoro…). Le competenze trasversali (o personali) vengono, di solito, rilevabili sopra tre aree della personalità (o del divenire umano): consapevolezza di sé, padronanza di sé, motivazione3. • Le competenze specifiche sono evidentemente collegate più con l’ambiente del lavoro e dell’azienda che le richiede, quelle trasversali sono invece colle- gate più con l’insegnamento e riservate più alla famiglia e alla scuola. 3 Per un approfondimento rimando al manuale: ISFOL, Competenze trasversali e comporta- mento organizzativo, F. Angeli, Milano 1994. 311 OGNUNO APPRENDE SECONDO UNO STILE PERSONALE Dai concetti sopra esposti, si deve passare ad un altro concetto che nell’orien- tamento professionale si è ormai imposto, quello di stile personale di apprendi- mento o stile cognitivo. Lo stile sarebbe una modalità soggettiva di rielaborare gli stimoli offerti dall’ambiente, sistemandoli – per così dire – in strutture coerenti e significative. Si potrebbe anche dire stile una modalità individuale di percepire, ri- cordare, pensare, pensare, apprendere e organizzare le informazioni. Logicamente uno stile ha aspetti positivi e aspetti negativi, ma esprime abba- stanza bene la condizione iniziale in cui avviene l’apprendimento spontaneo e anche istituzionalizzato. Certo alcuni stili sono più apprezzati socialmente e altri meno, ma tutti hanno una loro dignità e possono portare la persona a risultati buoni sia nell’apprendimento che nel lavoro. Chi accompagna la crescita di un ragazzo come insegnante o come educatore non dovrebbe mai trascurare lo stile personale che ognuno manifesta, ma dovrebbe indirizzare l’interessato al miglioramento del proprio stile… • Si è imposto nella psicologia e nella pedagogica una triplice ricerca di stili: ri- guardo alla comprensione, riguardo all’ apprendimento, riguardo alle modalità di esecuzione. La ricerca sopra gli stili è assai ricca e presenta parecchie tipo- logie di stili che possono permettere all’insegnante e all’allievo un riscontro proficuo. • Cornoldi e la sua équipe (che sintetizzano gli studi in schemi pedagogici) ne presenta cinque4: •• Stile sistematico intuitivo: riguarda essenzialmente la maniera di classificare e formulare ipotesi: descrive bene la sottile interazione fra processi cognitivi e di personalità; •• Stile globale analitico: concerne nella percezione la preferenza nella consi- derazione dell’insieme o del dettaglio; •• Stile impulsivo riflessivo: riguarda soprattutto i processi decisionali e com- porta una certa modalità nel pianificare e porre una risposta agli stimoli. •• Stile verbale visuale: concerne la percezione, la visualizzazione, la me- moria, la preferenza di risposta. La memoria appare come il riferimento es- senziale dello stile in quanto le risposte fanno presumere la modalità di im- magazzinamento delle informazioni apprese. •• Stile di pensiero convergente o divergente: il pensiero convergente è quello che tende a svilupparsi verso mete logiche consequenziali su cui conver- gono le catene di pensiero; il pensiero divergente è quello che sviluppa per- corsi autonomi che producono soluzioni originali e creative. 4 Sintetizzato da: CORNOLDI C., DE BENI R., GRUPPO MT, Imparare a studiare, Erickson, Trento, 1993, pp. 14-15. 312 • Nel concetto di “stile” si ha a che fare con un nocciolo legato al sistema biolo- gico in interazione con un nocciolo legato al sistema di relazione. Per questo uno stile può essere completato e modificato, in quanto la persona in crescita è in grado di cambiamenti. Bisogna però mettersi ormai nell’idea che lo stile personale detiene sempre per l’individuo un fascino speciale, mantiene un qualche cosa di innato che specifica, come detto sopra, l’intelligenza e sod- disfa la modalità di operare. EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE Esercizio 1 Risorse umane, interessi, attitudini, abilità, capacità, competenze sono termini spesso usati in vari contesti e con diversi significati. Cerca su un vocabolario il loro significato usuale e poi confrontalo con quanto affermato nel testo di questa le- zione. Esercizio 2 Identifica un insieme di attività e di dispositivi pedagogici che possano pro- muovere il raggiungimento dei seguenti obiettivi: l’allievo • riconosce il proprio stile di apprendimento • individua strategie di miglioramento del proprio stile di apprendimento Bibliografia BONCORI L., Teoria e tecniche dei test, Bollati Boringhieri, Torino 1997. SELVATICI A., D’ANGELO M.G. (a cura), Il bilancio di competenze, Franco Angeli, Milano 1999. DI FABIO A.M., Il bilancio di competenze, in: Orientamento scolastico e professionale n. 4, ottobre/di- cembre 1999. ISFOL, competenze trasversali e comportamento organizzativo, Franco Angeli, Milano 1994. CORNOLDI C., DE BENI R., GRUPPO MT, Imparare a studiare, Erickson, Trento 1993. 313 TERZA LEZIONE APPRENDERE … AD APPRENDERE OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ descrivere gli obiettivi principali a cui dovrebbero tendere i servizi di formazione; ❏ cogliere il nesso tra questi obiettivi e gli obiettivi dei servizi di orientamento. Già gli antichi pensavano che il buon maestro è quello che mette gli allievi nella condizione di saper fare da soli e non avere più bisogno di lui. Un allievo che non ha più bisogno del suo maestro è chi ha imparato a fare da solo, ad informarsi dalle comuni fonti di informazione (media, riviste specializzate, libretti guida che accompagnano ogni prodotto tecnico..), a consultare gli esperti o i tecnici in caso di necessità e a mettere la propria intelligenza alla base di ogni informazione nuova che acquisisce. Il Rapporto fatto nel 1998 all’UNESCO dalla Commissione dell’Educazione così si esprimeva: “…Ciascun individuo deve essere messo in grado di cogliere ogni occasione per imparare nel corso intero della sua vita, sia per ampliare le proprie conoscenze, abilità e attitudini, sia per adattarsi ad un mondo mutevole, complesso e interdi- pendente. Per riuscire nei suoi compiti, l’educazione deve essere organizzata attorno a quattro tipi fondamentali d’apprendimento che, nel corso della vita di un indi- viduo, saranno in un certo senso i pilastri della conoscenza: imparare a conoscere, cioè acquisire gli strumenti della comprensione, imparare a fare, in modo tale da essere capaci di agire creativamente nel proprio ambiente; imparare a vivere in- sieme, in modo tale da partecipare e collaborare con gli altri in tutte le attività umane; imparare ad essere, un progresso essenziale che deriva dai tre precedenti. Ovviamente questi quattro percorsi della conoscenza formano un tutt’uno, perché vi sono tra loro molti punti di contatto, di incrocio e di scambio. Eppure l’educa- zione formale si è accentrata tradizionalmente soprattutto, se non esclusivamente, sull’imparare a conoscere e, in minor misura, sull’imparare a fare. Gli altri due 314 apprendimenti sono lasciati per lo più al caso o ritenuti come il prodotto naturale dei due precedenti…”1. Aver imparato ad imparare è senza dubbio l’ambizione di ogni professionista (e di ogni esperto) che ha finito il proprio corso di studi, ma continua a sentire di non aver finito mai di “aggiornarsi” perché la società presenta sempre cose nuove (tecnologie nuove, processi lavorativi nuovi, modalità lavorative e posizioni inter- connesse con altre…) che la scuola non ha insegnato perché ancora non esiste- vano... Nascono quindi spontanee alcune considerazioni riguardo alle finalità a cui dovrebbero tendere le attività formative e di orientamento. Imparare a conoscere • La Formazione Professionale primaria (come ogni altra scolarizzazione) è de- stinata a fallire se non mette come pilastro, a base di ogni programma proprio questo principio: imparare ad apprendere le cose nuove (collegate alle cose tradizionali) come una continuazione del proprio processo di crescita profes- sionale. • Chi rimane nella stessa posizione professionale tutta la vita senza aggiornarsi è inadeguato a continuare nella società attuale e spesso viene respinto come “non capace”, come “inadeguato”, come “superato” nella posizione lavorativa. • L’ampliamento personale dei saperi, che permette a ciascuno di comprendere gli aspetti del proprio ambiente e le interconnessioni del proprio lavoro con il lavoro altrui, favorisce il risveglio della curiosità intellettuale, stimola il senso critico, e consente di decifrare il reale acquisendo autonomia di giudizio. • Imparare a conoscere presuppone che si impari ad imparare, attraverso l’eser- cizio della concentrazione, della memoria, della riflessione. La troppo rapida successione delle informazioni impedisce una corretta comprensione e una normale codificazione di conoscenze. L’uso della memoria è importante perché nessun magazzino di nozioni informatizzate può supplire alla facoltà umana del “ricordare” che permette sempre di accedere sempre al data basis che ognuno porta con sé, e permette di utilizzare le informazioni altrove im- magazzinate. La capacità di riflettere (tanto cara alla tradizione pedagogica) comporta metodo e sforzo, ma è la base per poter sviluppare e rendere poi au- tomatico il passaggio dal mondo esterno al mondo interno e viceversa dal mondo esterno al mondo interno. • L’acquisizione di conoscenze è un processo senza fine e può essere arricchito da tutte le forme di esperienza. 1 DELORS J., Nell’educazione un tesoro, Rapporto all’UNESCO della Commissione sull’Educa- zione per il Ventunesimo Secolo, Armando Editore, Roma 1998, p. 79-80. Di questa fonte mi servirò sintetizzando il materiale dei prossimi paragrafi. 315 Imparare a fare • Il fare è sempre stato collegato alla Formazione Professionale, ma solo in questi ultimi anni si comincia a capire che “fare” è anche intrinsecamente col- legato a “conoscere”. Il fare senza conoscere non è tipicamente umano, ma è forza-lavoro tipica dell’animale (nelle società pre- industriali) o della mac- china (nelle società industriali). • “Imparare a fare” non può più rimanere nella prospettiva di forza-lavoro, di un compito che potrebbe anche venire espletato da una macchina, ma entrare nella prospettiva che è nella premessa di ogni uomo: diventare se stesso e rea- lizzare se stesso mediante quella attività lavorativa. La Formazione Professio- nale non può essere ridotta a trasmissione di semplici pratiche tradizionali (magari superate anche dal punto di vista tecnologico) di routine, ma deve portare il lavoratore che “impara” ad assumere abilità e competenze sulle quali l’uomo si sente valorizzato e nella condizione di operare intelligentemente. • La creatività di ogni uomo non può venire mortificata o “macchinizzata” dalla struttura lavorativa, perché tutta la persona umana ne risentirebbe e ne sca- drebbe nella sua crescita in quanto non realizzerebbe gli altri due nuclei: im- parare ad essere e imparare a vivere insieme. Imparare a vivere insieme • Oggi molti servizi vengono definiti in base ai rapporti interpersonali che ogni lavoratore riesce ad intessere con gli altri e il lavorare insieme detiene una va- lenza educativa fondamentale per la completezza della vita. • Il lavoro artigianale (che pur aveva una chiara connotazione umana legata alla creatività individuale) tanto caro ai secoli passati ha perso la sua “modernità” ed è stato soppiantato dall’organizzazione industriale. Il cambiamento avve- nuto nel corso del ventesimo secolo ha portato con sé però una spersonalizza- zione del lavoratore, che ora l’uomo non sopporta più. Il luogo di lavoro deve rimanere un luogo di vita con alcune caratteristiche “umane” che permettano al lavoratore di completare la sua formazione e di non perdere le relazioni con i colleghi. La violenza intrinseca alla situazione spersonalizzante del lavoro industrializzato (con tempi e standard di produzione, con spazi personali ri- dotti al minimo, con relazioni praticamente nulle, con turni irragionevoli per il singolo ecc…) comincia a venire alla luce e solo un’educazione a vivere con gli altri può correggere tale dinamica. • La Formazione Professionale deve mirare a far scoprire “l’altro” nel collega di lavoro. Importante risulta quindi insegnare la tolleranza e la comprensione ri- guardo ad alcuni temi attuali: la diversità della razza, i valori connessi ad ogni cultura, la valorizzazione e il rispetto del diverso, la comprensione del dolore altrui, la fraternità cristiana di tutti gli uomini, la reciprocità tra maschile e femminile, la partecipazione alla società, l’utilità dei progetti comuni verso i quali la cooperazione è la linea che si impone… 316 Imparare ad essere • L’educazione deve avere come mira ultima lo sviluppo totale di ciascuna per- sona: spirito e corpo, intelligenza, sensibilità, senso estetico, responsabilità personale, e valori spirituali. “Tutti gli esseri umani devono essere messi in grado di sviluppare un pensiero autonomo e critico e di formarsi un proprio giudizio, per poter decidere da soli ciò che, a loro parere, debbono fare nelle diverse circostanze della vita…”2. • Solo se arriva a sentirsi se stesso l’uomo si sente contento dentro la propria pelle. Ciò comporta potersi esprimere come vuole (a livello spirituale e reli- gioso), potersi indirizzare nel corso della propria vita verso quelle mete che sente in sintonia con le proprie capacità, potersi allargare nella propria perso- nalità secondo i ritmi che gli sono congeniali, potersi interessare ad un lavoro che sente sufficientemente adeguato a sé per rimanervi buona parte della sua giornata, poter avere spazi per i propri affetti e per la propria famiglia… • Essere se stessi permette anche l’inserimento nella vita sociale senza astio e senza troppi pregiudizi, significa rimanere creativi e in grado di pensare in modo autonomo, significa essere in grado di decidere quello che è il meglio per sé e per i propri figli. Un grande Santo, che del lavoro fece lo strumento educativo per tanti ragazzi del popolo, scrisse nel Regolamento (1877) per i laboratori da lui fondati ormai due secoli fa: “(…) pensi ognuno che l’uomo è nato per lavorare, e che solamente chi lavora con amore e assiduità ha la pace nel cuore e trova lieta la fatica”3. 2 Idem, p. 87. 3 BRAIDO P., Scritti sul Sistema Preventivo nell’educazione della gioventù, La Scuola, Brescia 1965, p. 441. 317 A conclusione di questo modulo, prova a riflettere onestamente sulle tue idee riguardanti l’intelligenza e gli apprendimenti, senza difenderti se hai riscontrato idee “nuove”. 1. “Apprendere” o “imparare” sono modalità naturali di crescita, perché? L’ap- prendimento umano è simile a quello degli animali: cioè un cane “impara” in base alle stesse dinamiche per le quali impara un bambino?… Ti meraviglia? Che vuol dire “motivare” in vista dell’apprendimento? Capisci la differenza tra imporre, proporre e motivare? 2. Quando si dice che una persona è “intelligente” quali parametri valutativi ven- gono usati (molte conoscenze, resa scolastica, sapersela cavare nelle proble- matiche della vita, saper imparare cose nuove, aver avuto buona riuscita ai test…)? Tu quali parametri usi di solito per valutare intelligente un tuo al- lievo? E se dovessi valutare un tuo figlio, quali parametri useresti? 3. Perché è meglio parlare (e tra gli studiosi di solito si parla) di “comporta- mento” o “condotta” intelligente , non di intelligenza astratta? Come si cerca di misurare l’intelligenza di una persona?… A quale tipo di intelligenza tu senti di appartenere? Sei più vicino a: Intelligenza di tipo critico-analitico, In- telligenza di tipo creativo-sintetico, Intelligenza di tipo pratico-contestuale…? Quali processi usi di più? 4. Ti sei fatto un’idea di quale tipo di intelligenza siano maggiormente dotati i tuoi allievi? Hai appreso in questo modulo che le competenze si fanno di so- lito in base al proprio tipo di intelligenza…Ognuno se le fa secondo interessi e opportunità: secondo te si possono insegnare le competenze? Come? Bibliografia DELORS J., Nell’educazione un tesoro, Rapporto all’UNESCO della Commissione sull’Educazione per il Ventunesimo Secolo, Armando Editore, Roma 1998. EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE 319 Modulo 3: LAVORO E AUTOREALIZZAZIONE UMBERTO FONTANA Il mondo del lavoro è sempre stato pieno di contraddizioni e di tensioni e ha sempre costituito uno zoccolo duro per la concezione del divenire umano: mondo esigente, senza cuore, senza preoccupazioni verso chi soffre o verso chi ha bi- sogno, retto puramente da leggi produttive e di guadagno... Eppure l’uomo che vi si inserisce mantiene tutti i suoi bisogni e tutti i suoi valori umani e non si lascia mai “ridurre a macchina” o a “variabile produttiva”. In questi ultimi decenni ab- biamo assistito a vari cambiamenti tutti rivolti a umanizzare le strutture del lavoro, a recuperare la persona del lavoratore e a mettere l’uomo in condizione di coope- rare con il processo produttivo in modo intelligente e partecipato. Il concetto di autorealizzazione del lavoratore è emerso con forza e alla For- mazione Professionale si è dato il compito di “formare” uomini per il lavoro, non di “addestrare” uomini a compiti lavorativi. La distinzione (che sembra a prima vista superficiale) è invece sostanziale perché recupera il senso della natura del- l’uomo, lo mette sopra il profitto ottenuto mediante il lavoro e lo dice capace di partecipare in modo intelligente al progresso del mondo. Un autorevole assemblea come il Concilio Vaticano II dice del lavoro testualmente così: “Il lavoro umano che viene svolto per produrre e scambiare beni e per mettere a disposizione servizi economici, è di valore superiore agli altri elementi della vita economica, poiché questi hanno solo natura di mezzo…(il lavoro) procede infatti dalla persona la quale imprime nella natura quasi il suo sigillo e la sottomette alla sua volontà. Con il lavoro l’uomo abitualmente provvede alle condizioni di vita proprie e dei suoi familiari, comunica con gli altri e rende servizio agli uomini suoi fratelli…(…) Occorre dunque adattare il processo produttivo alle esigenze della persona e alle sue forme di vita; innanzitutto alla sua vita domestica, particolarmente in relazione alle madri di famiglia, sempre tenendo conto del sesso e dell’età di ciascuno. Ai la- voratori va assicurata inoltre la possibilità di sviluppare le loro qualità e di espri- mere la loro personalità nell’esercizio stesso del lavoro. Pur applicando a tale atti- vità di lavoro, con doverosa responsabilità, tempo ed energie, tutti i lavoratori debbono però godere di sufficiente riposo e tempo libero che permetta loro di cu- rare la vita familiare, culturale, sociale e religiosa. Anzi debbono avere la possibi- 320 lità di dedicarsi ad attività libere che sviluppino quelle energie e capacità, che non hanno forse modo di coltivare nel loro lavoro professionale…”1. Su questa linea si sono mossi gran parte dei datori di lavoro cristiani e non che, nei decenni passati, hanno prodotto una legislazione del lavoro molto più vi- cina alle esigenze della persona umana2. Si può affermare ormai che: • Il lavoratore è riconosciuto come persona, e come tale deve poter crescere fino a maturazione e usufruire di tutte le opportunità per migliorare la sua persona. Deve in altre parole immettersi in quella linea chiamata di Educazione Perma- nente che copre tutto l’arco della vita dall’infanzia alla vecchiaia, sta diven- tando una caratteristica delle società moderne, verso la quale sono incammi- nate tutte le istituzioni educative (compresa la FP). • La preparazione al lavoro è solo parte della formazione dell’uomo e come tale deve seguire, senza forzare, le dinamiche di crescita e di formazione della per- sona, in base alle quali gli educatori (insegnanti, formatori ecc.) debbono porre obiettivi e seguire i ritmi di crescita individuali... • Preparare al lavoro significa preparare l’uomo a partecipare intelligentemente al lavoro, mettendo a disposizione della società, delle imprese e della produ- zione parte di se stesso, mediante un rapporto retribuito e proporzionato alle sue prestazioni. • Aiutare l’uomo a realizzarsi nel lavoro e giungere a maturazione significa aiu- tarlo a comprendere le trasformazioni del mondo in cui vive, a parteciparvi come meglio può per motivazione personale (non per costrizione), a vivere e lavorare insieme agli altri, a rimanere se stesso nelle varie vicissitudini della vita. • La FP, anche grazie alla sua valenza orientativa, è una grande opportunità edu- cativa che serve la persona e la società in quanto facilita la crescita e l’inseri- mento nel mondo del lavoro. È sull’esplorazione di questa opportunità che si incentreranno le trattazioni del presente modulo. 1 VATICANO II, Gaudium et Spes, 67. 2 Per convincersene rimando ad un manuale di qualche anno fa: BORGHESE S., Diritto del la- voro, Pirola ed., Milano 1978, dove in calce mette lo Statuto dei Lavoratori (LEGGE 20 maggio 1970, n. 300). 321 PRIMA LEZIONE FORMAZIONE AD INSERIRSI NEL MONDO DEL LAVORO OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ esplicitare il rapporto esistente tra evoluzione del mondo del lavoro ed evoluzione della qua- lità della formazione. FORMAZIONE PROFESSIONALE E MONDO DEL LAVORO Ogni lavoro ha evidentemente la propria specificità e le proprie tecnologie ad esso adeguate. Di fronte ai cambiamenti tecnologici del lavoro, non resta che ade- guarvisi e accettarli per non rimanere al di fuori. La struttura delle professioni (gli antichi mestieri o i lavori organizzati nei primi decenni del 900) è in continuo ra- pido mutamento, a seguito di innovazioni tecnologiche, organizzative, sociali ed anche per l’attuazione di disposizioni a carattere normativo. Nella FP non si possono più “insegnare” i lavori, come si faceva nei decenni passati, con cicli di produzione e tecnologie che vanno in fretta mutando nelle in- dustrie attuali: bisogna tener presente che alla base di gran parte delle tecnologie attuali è stata messa l’elettronica e che strumenti computerizzati regolano i pro- cessi ai quali il lavoratore partecipa solo se ne è capace, non in qualche modo. L’o- peraio o l’impiegato del futuro in quasi tutti i settori (specie nel settore dell’edi- lizia, nel settore meccanico, nel settore chimico, nel settore tessile, manifatturiero ecc.) non assomiglia più ormai al lavoratore dei decenni passati. Esistono è vero ancora industrie artigianali basate su metodologie antiche (su macchine utensili ad es., e su altre macchine “guidate” dalla manualità dell’uomo), ma nel grande cir- cuito industriale queste modalità sono sempre meno presenti e sono destinate a venir tralasciate ben presto. È la legge del mercato. Compito della FP oggi non è solo quello di curare la formazione di un lavora- tore sì da metterlo in grado di inserirsi in un settore lavorativo, ma quello di ac- compagnare lo sviluppo delle personalità mature (anche perché è di questo che ha bisogno il mondo del lavoro!). 322 Per questo la FP è stata delegata dal Legislatore1 a preparare e a svolgere per- corsi formativi adatti ad introdurre un giovane (o riciclare un operaio che già la- vora) nelle realtà lavorative attuali e a promuovere l’individuo nella sua integralità: a) mediante la formazione di base (fascia di ragazzi dopo la scuola dell’obbligo e fascia di giovani che vogliono espletare l’obbligo formativo) b) mediante la formazione superiore (giovani post-diploma) c) mediante progetti per utenze speciali (portatori di handicap, disabili di vario tipo, fasce deboli ecc.), d) mediante proposte e progetti di formazione continua… L’uomo, concepito come una risorsa per il mondo del lavoro e non come una va- riabile produttiva, deve venire preparato dunque, nel corso della sua formazione, ad assumere l’attività lavorativa per la quale si sente portato e nella quale deve inserirsi in “modo intelligente”, cioè con piena comprensione della realtà lavorativa stessa, con capacità relazionali, per lavorare insieme agli altri, con la maggior creatività personale possibile, in modo da offrire prestazioni soddisfacenti per se stesso e per l’azienda… Di fronte alle esigenze della persona umana, la FP deve essere in grado di esercitare, più che una preparazione tecnica, una profonda “mediazione” tra i va- lori o bisogni dell’azienda e i valori o bisogni della persona umana. • Deve saper attingere al serbatoio delle risorse umane che ognuno ha a disposi- zione e indirizzarle almeno in parte verso realtà professionali adatte all’uti- lizzo di esse, secondo le modalità attuali in uso nelle aziende; • Senza potersi scegliere gli utenti, deve aprire le porte ad accogliere anche la realtà di ragazzi disadattati che hanno bloccato le proprie risorse nel corso dell’obbligo scolastico e che sperano di trovare comprensione e indirizzo più facile nel mondo della FP (oltre il resto, obiettivo specifico della mentalità sa- lesiana e di tante altre Istituzioni religiose!); • Dovrebbe poter utilizzare al meglio le modalità e le tecniche di Orienta- mento in modo da indirizzare per il meglio ogni persona che va alla ricerca della propria identità professionale (magari anche per rafforzare la propria identità umana per tanti aspetti sofferente). • Nella realtà lavorativa attuale, la FP deve mantenere una duplice interfaccia: con le Aziende del mondo del lavoro, per non percorrere sentieri divergenti che non collimano con le realtà lavorative, e con i Servizi per l’impiego (di re- cente istituzione), per monitorare i ragazzi che sfuggono all’obbligo forma- tivo, contribuendo a mantenerli nell’alveo degli obblighi istituzionali ma of- frendo un miglioramento della loro posizione di “lavoratore”. 1 Va ricordato che la FP in Italia fu demandata alle Regioni con DPR n. 10 del 15 gennaio 1972 e con Decreto attuativo n. 616 del 24 luglio 1977. Da allora è compito delle Regioni controllare, or- ganizzare e proporre FP. Non è qui il caso di seguire tutto l’iter di modifiche; accenno solo che in questo momento si vanno realizzando in tutte le regioni gli accordi siglati con il Ministero del Lavoro per l’accreditamento delle sedi formative. 323 NUOVA QUALITÀ DEL LAVORO - NUOVA QUALITÀ DI FORMAZIONE Lo scenario disegnato sopra interpella dunque la formazione professionale a combinare l’attenzione alle domande e ai bisogni formativi delle aziende e del con- testo sociale, con l’attenzione alla persona e alle sue aspirazioni. Il mercato del lavoro chiede una nuova qualità di lavoratori e centrale diventa la valorizzazione delle risorse umane. Più che di “manodopera”, il mondo del la- voro ha oggi bisogno di “mentopera”, di lavoratori che, ad ogni livello, sappiano pensare, riflettere, prendere decisioni, assumere responsabilità. In sintesi, si può dire che le imprese oggi hanno bisogno di personale che • alle competenze di base (non solo i classici saper “leggere, scrivere, far di conto”, ma anche: i saperi legati alle nuove tecnologie, la conoscenza di sé, buone competenze sociali, autonomia, curiosità, iniziativa, investimento, im- pegno…) e • alle competenze tecnico-professionali (capacità di analisi, di diagnosi, di pro- gnosi, di intervento, ma anche capacità di autovalutazione e di autocorrezione, capacità di costruire un sapere professionale dinamico ed autoalimentantesi, capacità di assumere iniziative autonome di fronte ai problemi individuando soluzioni…) • sappiano accompagnare delle capacità “plus” (capacità relazionali, compe- tenze comunicative, capacità di lavoro cooperativo, apprendere ad appren- dere…) e • delle autentiche virtù lavorative (senso di identificazione, responsabilità ed af- fidabilità, valorizzazione dell’altro, capacità di perseguire un progetto sapendo affrontare e gestire l’incertezza). La formazione non ha dunque più bisogno di “mendicare” attenzione: si pone al centro di ogni strategia di sviluppo, come azione indispensabile. La grande sfida è quella di elevare non solo la quantità, ma anche la qualità della formazione, in modo che sia possibile accompagnare lo sviluppo di personalità umane da immet- tere nel mondo del lavoro. Bibliografia BORGHESE S., Diritto del lavoro, Pirola ed., MI, 1978. VATICANO II, Gaudium et Spes, 67. AA.VV., Un futuro da formare. Verso un nuovo sistema di formazione professionale: tendenze, valu- tazioni e proposte, La Scuola, Brescia 2000. 324 SECONDA LEZIONE PROGETTO DI SÉ E RESPONSABILITÀ SOCIALE OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ elencare gli elementi che costruiscono il progetto di vita di una persona; ❏ esplicitare in che senso un progetto di vita professionale investa tutte le dimensioni della personalità. DIVENTARE ARTEFICI DEL PROPRIO FUTURO Sembra ormai accettato da chiunque che ogni persona deve diventare respon- sabile e gestire la propria formazione: anche i giovani devono quindi essere educati ad assumere in prima persona la guida o almeno l’interessamento alla propria cre- scita e alla propria culturizzazione. Anche se comunemente si ritiene che “ognuno fa nella vita quello che può”, il proverbio antico affermava che “ognuno è artefice del suo avvenire” e intendeva dire che ognuno deve avere un proprio progetto per la vita, almeno il proprio “sogno nel cassetto”, le proprie aspirazioni… Perciò è necessario che ogni Istitu- zione formativa aiuti i ragazzi a diventare artefici del proprio destino. “L’educazione nel corso della vita è un processo continuo attraverso il quale ciascun essere umano aumenta e adatta le proprie conoscenze e abilità, le proprie facoltà di giudizio e le proprie capacità di azione… È un’esperienza che si matura di giorno in giorno, sottolineata da periodi di intenso sforzo per capire dati e fatti complessi, ed è il risultato di una dialettica multidimensionale. Anche se implica la ripetizione o l’imitazione di azioni e di pratiche, è anche un modo tutto particolare di apprendere e di realizzare qualche cosa di personale e creativo. Essa combina l’apprendimento formale con quello formale, e lo sviluppo delle abilità innate con l’acquisizione di nuove competenze. Essa richiede sforzi, ma produce anche la gioia della scoperta”1. 1 DELORS J., Nell’educazione… , op. cit., p. 94. 325 IL FUTURO POGGIA SU BASI IDEALI E SU COMPETENZE REALI Il progetto della propria vita non lo si acquista nei primi anni, quando il bambino è totalmente dipendente dalle figure genitoriali, ma solo nel corso degli anni successivi e passa attraverso la relazione che insegnanti e formatori riescono ad instaurare con gli allievi e attraverso i modelli che essi presentano. Anche il luogo del lavoro costituisce un eccellente “spazio di educazione”, perché il lavoro implica tutta una serie di apprendimenti indiretti che vanno a rinforzare la struttura delle abilità trasversali che ogni individuo deve mettere alla base della propria atti- vità. Un progetto personale è come un “luogo del futuro”, collegato con la verità della persona, nel quale si possono immagazzinare aspirazioni, fantasie, aspetta- tive, conoscenze e competenze. Senza un progetto non c’è futuro: solo negli strati più bassi della popolazione, dove il livello socioeconomico è subumano, il pro- getto futuro rischia di rimanere precluso, perché gli orizzonti sono limitati ai bi- sogni immediati. Il progetto personale realizza l’uomo e lo spinge a valutarsi nella completezza della sua dimensione materiale e spirituale. Il progetto personale si realizza nel tempo, con l’utilizzo di un materiale assai vario che ogni persona “raccoglie” dalla propria esperienza. Analizzando i progetti personali – espressi o realizzati – da varie persone, tro- viamo che sono intessuti da contenuti di facile intuizione ma difficili ad espri- mersi. In essi entrano: • I valori che la famiglia ha trasmesso in modo naturale nei lunghi anni della prima socializzazione, i valori che le altre istituzioni formative hanno per- messo di elaborare mediando valori sociali diversi, ma allargati rispetto a quelli familiari, le convinzioni personali (anche purtroppo quelle difensive!) maturate da ognuno in concomitanza con gli apprendimenti, i sogni irrealiz- zati e spesso vagheggiati senza poter giungere alla coscienza… • Le aspettative umane collegate a bisogni affettivi (come il matrimonio, la fami- glia, la procreazione, il costruirsi un reddito patrimoniale, l’interessarsi di pro- blemi più ampi di quelli immediati…) sono programmate nel progetto e poi realizzate in modo più aderente alla realtà sulla falsa riga però del progetto. • Il bagaglio di nozioni teoriche e tecniche sulle quali si sono indirizzati gli sforzi di apprendimento dei vari curricoli scolastici e formativi finalizzati a ri- sultati. Hanno senso e trovano supporto solo in vista di qualcosa di proprio che ognuno può costruire su quelle basi. Forse i giovani non comprendono su- bito dove arriveranno, ma il sapersi in ricerca è positivo ai fini della forma- zione di un progetto. • Tutte le “competenze” che una persona accumula nel corso della propria for- mazione (competenze umane nel sapersi rapportare con gli altri, nel sapersi re- lazionare con tutti…, come pure le competenze tecniche relative ad apprendi- menti specifici) hanno valore agli occhi di chi le acquisisce solo in rapporto ad 326 un progetto che le finalizza verso qualche meta. Anzi, si può dire che l’acqui- sizione di competenze sempre più varie viene sollecitata da un progetto perso- nale, quasi che in quel progetto si potessero visualizzare prima ancora che esi- stano. Questo sforzo inserisce la motivazione a realizzare qualche cosa per davvero. Non per nulla il proverbio popolare dice: “Impara l’arte e mettila da parte… per il domani”. Recenti innovazioni legislative stimolano a rendere vi- sibile e formalizzabile il progetto di vita in termini di certificazione delle com- petenze acquisite. UN PROGETTO DI VITA PROFESSIONALE INVESTE TUTTA LA PERSONALITÀ Il progetto personale che ogni persona riesce in qualche modo ad elaborare non nasce in poco tempo: è sintesi di una lunga gestazione e dice un periodo di prove ed errori nel quale l’individuo visualizza le proprie capacità, le lascia cre- scere e infine le indirizza verso una meta realizzativi. Coincide dunque con la cre- scita del soggetto e termina con una realizzazione umana e professionale che sod- disfa tutta l’ampiezza della personalità. A ragione si può dire che il progetto perso- nale esprime tutto lo sforzo della crescita e “misura” in un certo senso tutta la per- sonalità. L’educatore entra in qualche modo nel progetto personale solo con le modalità che gli sono consentite dalla relazione che egli ha instaurato con il suo allievo. La relazione gli consente una comunicazione “vera” da parte dell’allievo: una comu- nicazione che lo rende partecipe delle cose importanti e che lo autorizza a discu- tere con lui le cose della vita che il ragazzo reputa vere, importanti, personali e per questo spesso segrete. Sono in fondo le stesse condizioni per cui un ragazzo mette l’amico al cor- rente delle proprie relazioni affettive e delle relazioni con i propri genitori. Le “confidenze” sul piano professionale si possono proprio a buon conto dire “comu- nicazioni sul proprio progetto personale”, in quanto l’interessato comunica valori ideali, verso i quali orienta le proprie energie, sforzi che egli deve fare per mante- nere la direzione corretta con i propri motivi, difficoltà che incontra e che impedi- scono di guardare lontano per “sbirciare” almeno le proprie realizzazioni, le strade che intende percorrere per raggiungere quelle mete ecc... In questo contesto si capisce che entra tutta la personalità di un ragazzo e nello stesso tempo anche, se non proprio tutta, almeno la parte fondamentale della per- sonalità dell’educatore. Su questo “dialogo esistenziale” l’educatore non può ba- rare ma deve mettere in gioco la verità di se stesso e impegnarsi come uomo (o donna) a confrontarsi con la personalità in divenire del proprio allievo. Per tali ragioni si può dire che il discorso del progetto personale è il discorso esistenziale del futuro, il discorso che investe tutta la personalità di un individuo, che caratterizza e connota la maturazione raggiunta e che comprende la globalità del divenire. 327 TERZA LEZIONE “ACCOMPAGNAMENTO” AL LAVORO E ALLA REALIZZAZIONE DI SÉ OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ esplicitare il significato dell’orientamento come accompagnamento alla realizzazione di sé; ❏ elencare alcune modalità possibili per attivare esperienze orientative nell’ambito di un CFP. ORIENTAMENTO COME ACCOMPAGNAMENTO ALLA REALIZZAZIONE DI SÉ Che cosa comporta per l’educatore accompagnare (tramite scuola o lavoro, o comunque tramite la formazione) un allievo alla realizzazione di sé? La domanda è alla base di ogni intervento pedagogico, formativo e di orientamento. Comporta un interessamento continuativo e una relazione positiva che equivalgono a percorrere con l’allievo un certo tratto di strada, nel rispetto e nella fiducia reciproci: senza cioè, da parte dell’insegnante, porre all’allievo condizionamenti riguardanti la dire- zione che egli deve prendere, senza forzare i ritmi del cammino e senza imporre le modalità del divenire. Il percorso di accompagnamento attiva e utilizza sempre le energie del dive- nire: propone modelli alla dinamica di identificazione, offre informazioni precise sul divenire umano, permette confronti e valutazioni, sostiene il processo di cre- scita… L’educatore non può manipolare questi elementi: deve confidare nelle leggi naturali di identificazione, per le quali i ragazzi “accolgono”, se il modello è buono e se i contenuti proposti sono di valore1. Importante per ogni educatore è proporre mete e contenuti dall’interno del proprio modo di essere uomo o donna e control- lare i propri impulsi negativi e i propri difetti più evidenti… Essere guida pedagogica significa essere nello stesso tempo guida oculata, 1 Rimando per un approfondimento al recente volume: FONTANA U., Relazione segreto di ogni educazione, LDC, Torino 2000. 328 compagno fidato e forse testimone di successi e insuccessi, compagno di viaggio che amichevolmente comprende, sostiene, scusa ma anche ammonisce e indirizza. • Percorrere un pezzo di strada insieme ad un giovane che si avvia nella vita a divenire se stesso comporta spesso indicare la strada giusta, nei momenti in cui il ragazzo non la vede più o quando è stanco e si ferma. Allora l’incorag- giamento amichevole e partecipativo può sbloccare situazioni di stallo (anche negli apprendimenti che educatore ed educando affrontano insieme, dall’in- terno di un ruolo docente/discente!) e può permettere la ripresa. Che cosa ha operato in quel momento? Non lo si può dire con precisione, ma si può rite- nere in base agli effetti di cambiamento che la “forza morale”, insita nella re- lazione positiva, abbia avuto il sopravvento sulle forze negative all’interno del soggetto (disistima, scoraggiamento, difensività varie, rabbie, bisogno di espe- rienze nuove ecc.) ed abbia attivato il processo naturale di crescita, ottenendo un risultato “terapeutico”… • Presentare un modello di uomo o donna contenti della propria realizzazione e del proprio lavoro significa permettere ad un allievo la visualizzazione del proprio futuro, collegata magari a quella “professionalità” vagheggiata, che in quel momento vede realizzata nella persona che lo accompagna. È la dinamica del modello che opera fuori dalle leggi di coscienza: crea motivazioni (cioè raccolta di energie) verso la realizzazione del proprio modello, schiarisce dubbi e incertezze, inserisce nuove informazioni e confronta modalità di rea- lizzazione incomplete con modalità complete… • Tutto ciò significa partecipazione attiva al processo di crescita – proprio come fanno dall’interno del loro ruolo naturale i genitori – sia che l’educatore lo sappia (e lo utilizzi per il meglio), sia che non lo sappia (e rimanga difensiva- mente al di fuori sprecando un’occasione pedagogica). • Essere insieme a qualcuno che cammina e sostiene e “tiene per te” è, forse, l’esperienza più bella che un ragazzo possa fare nel corso della propria cre- scita. È un’esperienza “naturale”, non traumatica, simile a quella che, senza saperlo, fa con i propri genitori, con i propri fratelli, con i propri amici. Che l’insegnante (istruttore, formatore, allenatore sportivo…) venga associato a queste figure è una “scoperta pedagogica” di questi ultimissimi decenni, ma fu anche l’intuizione carismatica di grandissimi educatori. Questo essere insieme è anche la base del Sistema Preventivo di Don Bosco, il quale già nel 1877 scriveva nel Trattatelo famoso: “…Il sistema Preventivo rende avvisato l’al- lievo in modo che l’educatore potrà tuttora parlare col linguaggio del cuore sia in tempo della educazione, sia dopo di essa. L’educatore guadagna il cuore del suo protetto, potrà esercitare sopra di lui un grande impero, avvisarlo, consi- gliarlo ed anche correggerlo, allora eziandio che si troverà negli impieghi, negli uffizi civili e nel commercio…”2. 2 In: BRAIDO P., Scritti sul Sistema Preventivo, op. cit., pp. 293-294. 329 Ripensando i risultati ottenuti con il suo sistema di educazione Don Bosco stesso scriveva nel 1878 in un promemoria al Ministro degli Interni Francesco Crispi: “… Poggiato sopra l’esperienza di trentacinque anni (di utilizzo di questo sistema) si può constatare che: 1. Molti ragazzi usciti dalle carceri con facilità si avviano ad un’arte con cui guadagnarsi onestamente il pane della vita. 2. Molti che versavano in estremo pericolo di diventare discoli, cominciando a causare molestia agli onesti cittadini, e già dovevano non leggeri disturbi alle pubbliche autorità, co- storo si ritrassero dal pericolo e si posero sulla strada dell’onesto cittadino. 3. Dai registri consta che non meno di centomila giovanetti assistiti, raccolti, educati con questo sistema, imparavano chi la musica, chi la scienza letteraria, chi arti o me- stieri, e sono divenuti virtuosi artigiani, commessi di negozio, padroni di bottega, maestri insegnanti, laboriosi impiegati, e non pochi coprono onorifici gradi nella milizia. Molti anche forniti dalla natura di non ordinario ingegno, poterono percor- rere i corsi universitari, e si laurearono in lettere, in matematiche, medicina, leggi, ingegneri, notai, farmacisti e simili”3. Funzionerà anche per il secolo appena iniziato questo Sistema Preventivo che nelle comunità educative guidate dai Salesiani è ancora la carta costituzionale del- l’educatore? Dalla documentazione prodotta in queste lezioni sembrerebbe decisamente di sì perché tale sistema risulta basato su leggi psicologiche e su principi pedagogici ben fondati e sicuri. ORIENTAMENTO IN CONCRETO Oggi, l’Orientamento sta assumendo un’importanza sempre maggiore: sia i documenti dell’Unione Europea sia i più recenti testi normativi italiani (obbligo formativo, integrazione tra i sistemi della scuola, della formazione professionale e del lavoro, politiche di sviluppo occupazionale, Istruzione e Formazione tecnica superiore, Educazione degli adulti…) ne dilatano la funzione e lo presentano come dispositivo fondamentale per il buon esito dei processi formativi, per lo sviluppo socio-economico e per la lotta contro l’esclusione sociale. Abbiamo già visto che, nell’attuale contesto sociale (società della cono- scenza), con l’aumento della complessità, aumentano anche le opportunità. Le maggiori opportunità offerte dal quadro sociale generano però anche incertezza. L’orientamento va allora inteso come un processo formativo complesso che in- veste tutto l’arco della vita degli individui e va finalizzato a sviluppare capacità di auto-orientamento. Vivere e lavorare nella società della conoscenza richiede citta- dini attivi, in grado di gestire autonomamente il proprio percorso personale e pro- fessionale. 3 Idem, p. 303. 330 Non si può o non ha senso “orientare” ad una scelta professionale, come se questa fosse fatta una volta per sempre. Le scelte, infatti, non si concentrano più in un periodo, sia questo il passaggio da una scuola all’altra o dalla scuola al mondo del lavoro. Non esiste un momento di scelta unico e definitivo, ma piuttosto una serie di decisioni successive; occorre pertanto possedere gli strumenti indispensa- bili per saper effettuare delle scelte ogni qualvolta se ne presenti l’occasione nel- l’arco della vita. Si tratta cioè di “orientare ad orientarsi”, ad individuare dei criteri per realizzare una pluralità di scelte in un contesto in continuo mutamento. Oggi dunque il tema dell’orientamento si sta sviluppando in riferimento a tutte le fasce di età, con particolare attenzione per gli adulti. Per questo abbiamo presentato qui l’orientamento in una prospettiva educativa (pensando l’educazione come processo che dura per tutto l’arco della vita), come supporto allo sviluppo di strategie di crescita personale, come allenamento e ap- prendimento continuo. È questo, in concreto, ciò che un’azione di orientamento deve garantire, configurandosi come servizio offerto a tutti. Ciò implica necessa- riamente un’integrazione tra i vari soggetti che sono istituzionalmente chiamati a svolgere un ruolo nel campo dell’orientamento (Scuola, Università, Enti di forma- zione, Servizi per l’impiego, Aziende…). Tale integrazione potrebbe rendere ac- cessibile a tutti la fruizione del servizio di orientamento e migliorare la qualità e l’efficacia dell’offerta orientativa. Questa concezione dell’orientamento è alla base della direttiva 487/97 che ha riconosciuto l’orientamento quale attività istituzionale delle scuole di ogni ordine e grado, parte integrante dei curricoli di studio e più in generale del processo edu- cativo e formativo sin dalla scuola dell’infanzia. Esso si traduce in un insieme di attività che mirano a formare e a potenziare le capacità degli utenti di: ➢ conoscere se stessi, l’ambiente in cui vivono, i mutamenti culturali e socio- economici, le offerte formative presenti sul territorio… ➢ diventare protagonisti di un personale progetto di vita, ➢ partecipare alla propria formazione e alla vita familiare e sociale in modo at- tivo, paritario e responsabile. (Cfr.: http://www.set-mi.net/ofi/aree/orientam/orientam.htm) Non possiamo sviluppare qui le strategie operative (che potranno essere og- getto di uno scambio di pratiche tra i partecipanti al corso). Diciamo soltanto che i formatori di CFP operano in un contesto regolato dall’accreditamento degli organismi che erogano servizi formativi e di orientamento e, in questo contesto, vengono richiamate tre dimensioni dell’orientamento (e dei servizi di orienta- mento): ➢ la dimensione informativa, ➢ la dimensione formativa e ➢ la dimensione consulenziale. 331 L’esigenza di fondo è comunque quella di passare da un approccio statico (l’approccio diagnostico-predittivo o l’approccio puramente informativo) ad ap- procci dinamici, • che disegnino percorsi complessi e integrati, - nei quali l’eventuale utilizzo di test e di consulenze orientative si collochi dentro una strategia complessiva e non come momento isolato - il momento informativo si leghi a percorsi formativi sulla decisione e sul progetto personale - l’inserimento nel curricolo di moduli specifici di orientamento (orienta- mento esplicito) venga integrato dalla riscoperta della valenza orientativa di tutto il percorso formativo offerto (orientamento implicito) • che coinvolgano diversi soggetti: genitori, formatori, allievi, esperti, testimo- nials,… • che sappiano raccordare le varie agenzie e le istituzioni presenti sul territorio, i vari mondi produttivi… Tra le STRATEGIE E I DISPOSITIVI possiamo elencare i seguenti: • inserimento nella normale didattica di momenti orientati alla conoscenza di sé e del contesto, • valorizzazione di tutti i momenti che favoriscono la crescita della capacità di autorientamento: assunzione di responsabilità nell’organizzazione della vita del corso, possibilità di scelta…, • test attitudinali, • attività di counselling di orientamento, • sportelli informativi per l’orientamento, • incontri con esperti del mercato del lavoro e delle professioni, • consulenza di psicologi esperti in orientamento (ai singoli allievi, ai gruppi, alle équipe dei formatori…), • attività di stage formazione-lavoro, • tirocini di orientamento, • visite guidate…, • servizi di accoglienza orientativa. 332 Esercizio 1 Al termine di questo modulo, una riflessione sugli argomenti che ti propo- niamo dovrebbe aver valore anche per te, non solo per gli allievi che attualmente hai accanto a te nelle aule o nei laboratori. 1. Si dice che il lavoro realizza (o deve realizzare) l’uomo. Che cosa si intende dire? Perché l’uomo mette tante energie sul lavoro, a volte, fino a dimenticare la vita di famiglia o la propria vita spirituale? Quante dovrebbe metterne, se- condo te? 2. Vita personale e vita professionale interagiscono sempre (e spesso interferi- scono fortemente): quale delle due deve prevalere nella vita di un uomo? In che senso si dice che il lavoro “realizza”? Quando il lavoro realizza l’uomo, quando realizza la donna? Nella vita i valori e le proporzioni sono uguali per l’uomo e per la donna? Nella vita di una donna si dà lo stesso peso al lavoro, alla professione, alla famiglia, agli amici….? 3. Nella FP è più redditizio puntare sulla formazione dell’uomo (la crescita della personalità, gli apprendimenti di base, le competenze…) o sulla “spendibilità” (efficienza professionale, apprendimento di tecnologie, conoscenze tecniche, mobilità di ruoli…) nelle Aziende che assumeranno? 4. Tu che oggi sei “formatore” in una scuola professionale, cosa avresti voluto diventare? Coincide il lavoro che fai con il “progetto” della tua vita? Che cosa vorresti (e potresti) ancora fare per sentirti “realizzato”?… 5. Pensa che ognuno dei tuoi allievi può avere (e dovrebbe averlo!) un progetto per la sua vita: come lo aiuti a scoprirlo e come contribuisci a realizzarlo? Esercizio 2 Al termine di questa area, prova a definire con parole tue il concetto di Orien- tamento? Quali sono, a tuo avviso, gli elementi fondamentali che dovrebbero caratteriz- zare questa dimensione dell’offerta formativa di un CFP? Bibliografia FONTANA U., Relazione segreto di ogni educazione, LDC, Torino 2000 ISFOL, Modelli e strumenti a confronto: una rassegna sull’orientamento , Franco Angeli, Milano 2002. MANCINELLI M.R., L’orientamento in pratica. Guida metodologica per insegnanti di scuola supe- riore, orientatori, psicologi, Alpha Test, Milano 1999. MONTEDORO CLAUDIA, Orientamento degli adulti, Franco Angeli, Milano 2002. EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE 333 AREA TEMATICA 6 CULTURA ORGANIZZATIVA E PROCESSI DI SELF-EMPOWERMENT GIUSEPPE TACCONI Modulo 1: ORGANIZZAZIONE E SOGGETTIVITÀ Quando affrontiamo i problemi più urgenti relativi allo sviluppo delle nostre comunità educative e ci interroghiamo sulla qualità delle nostre relazioni, del no- stro apprendimento e delle nostre strutture, ci rendiamo conto che non è possibile comprenderli isolatamente. Questo significa che non li possiamo affrontare solo come i “nostri” problemi, perché essi sono di natura “sistemica”, interdipendenti e interconnessi. Ma se accettiamo di passare da un paradigma di pensiero lineare ad uno com- plesso, occorre prima che siamo disposti a porci domande più radicali rispetto a quelle che ci hanno fin qui accompagnato, ed essere disposti a mettere in discus- sione quello che ci è apparso come pietra angolare. Fra gli elementi che possono essere oggetto di discussione vi è quello “orga- nizzativo”. Anche il tema dell’organizzazione infatti deve essere sottoposto ad una verifica alla luce del metodo della complessità, vale a dire alla luce di un’interpre- tazione non meccanicistica ed attenta alle esigenze dell’istituzione come a quelle delle singole soggettività. È così che potremo cogliere che l’educazione e la forma- zione non sono giocate solo a livello di rapporti tra il formatore e il formando: l’or- ganizzazione stessa possiede una sua valenza educativa e formativa (ambiente edu- cativo). 335 PRIMA LEZIONE IL CONCETTO DI ORGANIZZAZIONE OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ interpretare il fenomeno organizzativo come fenomeno eminentemente culturale; ❏ generare delle metafore per rappresentare la propria organizzazione di appartenenza; ❏ descrivere il fenomeno organizzativo, evidenziando l’esito sempre approssimativo di ogni descrizione; ❏ definire il concetto di organizzazione. LE ORGANIZZAZIONI: STRUMENTI PER AGIRE O MODI DI PENSARE? Spesso, ci si accosta alle questioni di carattere organizzativo considerandole solamente dal punto di vista strumentale, magari con un certo grado di diffidenza, e si mette l’accento sulle disfunzioni organizzative: - la fatica di costruire un progetto condiviso, - la difficoltà di responsabilizzare i laici e i religiosi, - la difficoltà di rivedere gli assetti organizzativi e gestionali e di dar vita ad or- ganismi di partecipazione, - la problematica circolazione delle informazioni, - la tendenza di molti a procedere da solitari, - la paralisi decisionale, - la mancanza di strategie e di visione, - la difficoltà di gestire instabilità e contraddizioni sempre presenti nel sistema, - la tendenza a ricercare semplificazioni rassicuranti, anziché adottare soluzioni complesse. Ma non è solo la constatazione che le cose non funzionano bene a suggerirci di focalizzare l’attenzione sul tema dell’organizzazione. Alla radice di queste disfunzioni possiamo collocare le dotazioni culturali, il modo in cui i soggetti pen- sano se stessi e il rapporto con i contesti di appartenenza (l’opera, il contesto so- ciale, quello ecclesiale…). Dovremo dunque sforzarci di leggere le questioni organizzative non solo come strumentazioni per agire, ma anche – e soprattutto – come modalità di pen- sare e di pensarsi. 336 Oggi si sente a tutti i livelli l’esigenza di una riflessione di secondo livello sul- l’organizzazione, che permetta di cogliere il nesso esistente tra le idee di organiz- zazione e i modelli concreti che si costruiscono. METAFORE PER DIRE L’ORGANIZZAZIONE Franca Olivetti Manoukian, adottando un approccio psicosociologico all’orga- nizzazione, tenta di esplorare la realtà dell’organizzazione a partire dal punto di vista di singoli individui e di gruppi, di capire come vedono l’organizzazione co- loro che vi sono inseriti e come se la rappresentano alcuni testimoni privilegiati che hanno avuto modo di accostare una realtà organizzativa1. L’autrice parte dal presupposto che, a fronte di un sapere teorico sempre approssimativo e parziale sulle organizzazioni che si esprime in una enorme varietà di approcci e di studi, l’osservazione della vita quotidiana delle organizzazioni fa emergere tutta una serie di “...rappresentazioni mentali, stabilizzate, aventi quindi una certa forza, ten- denti a permanere nel tempo e a riproporsi in situazioni diverse”2. Per conoscere l’organizzazione risulta perciò utile esplorare l’idea che ciascuno ha dell’organiz- zazione in cui è inserito – idea che si deposita nelle sue azioni – e come questa idea interagisca con gli altri punti di vista. Gareth Morgan propone un approccio simile, un accostamento alle organizza- zioni che metta a fuoco le immagini e le metafore che si hanno dell’organizzazione stessa. Egli parte dal presupposto che le organizzazioni sono “fenomeni complessi, ambigui e paradossali”3 e che le nostre spiegazioni della vita organizzativa sono fondate su metafore che ci inducono a vedere e a concepire le organizzazioni in modi sempre parziali. È importante esplicitare queste metafore e imparare a leg- gere la situazione organizzativa con flessibilità, collocandosi da diversi punti di vista. A nostro avviso, nell’approccio di Morgan, è centrale l’assunzione che “...il nostro modo di concepire l’organizzazione influenza il modo di organizzarsi”4, cioè che esiste uno stretto legame tra i modi consolidati di pensare e pensarsi come organizzazione e la concreta realtà organizzativa che si costruisce. Nelle metafore, colorate di tonalità emotive, si depositano le prospettive teo- riche e i modelli secondo i quali ci si pensa. Anzi, il ricorso all’uso di metafore per descrivere le proprie rappresentazioni e i propri modelli può diventare “...un tram- polino da cui lanciarsi o da cui tuffarsi per esplorare acque più profonde, terreni ignoti, per avventurarsi su aspetti incogniti o anche soltanto per rendersi conto, per 1 MANOUKIAN OLIVETTI FRANCA, I saperi sull’organizzazione, in: K ANEKLIN CESARE, MANOU- KIAN OLIVETTI FRANCA, Conoscere l’organizzazione. Formazione e ricerca psicosociologica, NIS, Roma 1990, pp. 29-105. 2 Ibid., p. 30. 3 MORGAN GARETH , Images. Le metafore dell’organizzazione, Tr. it., Franco Angeli, Milano 19988, p.390. 4 Ibid., p. 406. 337 dare propri significati a quel che accade nell’organizzazione”5. Le metafore, pro- prio perché sono “...una sorta di invito a vedere l’organizzazione come qualche cosa d’altro”6, aprono i significati e permettono di cogliere sfumature di significato e risonanze emotive che altrimenti rimarrebbero nascoste. I problemi organizzativi, spesso, hanno più a che fare con le modalità attraverso cui ci si pensa che non con “dati” presunti oggettivi. Più che nelle rassegne di tali dati, nelle diagnosi e nelle ricette, allora, la soluzione di tali problemi sarà da ricercare proprio nella direzione di un lavoro formativo sulle menti, che permetta di trasformare i modi di guardare i problemi stessi, inserisca i problemi in più ampi scenari, apra nuove possibilità di lettura e nuovi significati da attribuire a tali dati. 5 K ANEKLIN CESARE, MANOUKIAN OLIVETTI FRANCA, Conoscere l’organizzazione..., op. cit., p. 41. 6 Idem. EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE Visioni di organizzazione 1; Prova a completare le frasi che trovi nella tabella che segue, utilizzando una metafora. 2. Proponi l’esercizio a qualche tuo collega. 3. Confronta la tua metafora con quella dei tuoi colleghi Per me, il Centro di formazione professionale in cui sono inserito è come… ................................................................................................................... ................................................................................................................... ................................................................................................................... ................................................................................................................... In questa immagine, io sono come… ................................................................................................................... ................................................................................................................... ................................................................................................................... ................................................................................................................... 338 ORGANIZZAZIONE: COS’È ? Un tempo si pensava che organizzare significasse ordinare, regolare, rendere più semplici le cose. E talvolta ancora oggi ci accostiamo ai temi dell’organizza- zione con aspettative di questo genere e ne restiamo delusi, perché le cose conti- nuano a restare complesse7. Il problema allora forse non è tanto l’organizzazione ma le aspettative sbagliate ed illusorie che riponiamo nel tema dell’organizzazione. I CFP resteranno delle realtà complesse, nonostante l’organizzazione. Orga- nizzare non significa ridurre al semplice, ma abituarsi alla complessità, imparare a vivere e a valorizzare la complessità come ricchezza e varietà. Il problema è allora quello di come i/le formatori/trici possano apprendere ad organizzare, ad organiz- zarsi e a cambiare. Abbiamo visto che il tema dell’organizzazione ha a che fare con le strutture ma anche con le culture, con i modi di vedere e di pensare le cose, con i modi di sentire e di relazionarsi, con l’atmosfera generale che si respira all’interno di una comunità educativa. È estremamente importante allora portare la riflessione ad un secondo livello, quello dell’interrogazione sulle proprie dotazioni culturali, sui mo- delli che inconsapevolmente si tende ad assumere, sui significati, ed esercitare una vigilanza critica sui modelli, rivisitare la propria conoscenza “repressa, inibita, at- tenta solo ad alcuni aspetti dei problemi, orientata e disorientata dalle proprie at- tese”8, per poter attuare processi di cambiamento delle culture organizzative. Prima che un problema di progettazione e di cambiamento, infatti, quello organizzativo è un problema specificamente culturale. La rappresentazione che ci si costruisce di quell’organizzazione che è il pro- prio CFP – i modelli teorici condivisi, le metafore – costruisce in qualche modo l’organizzazione stessa o quantomeno orienta le azioni e i comportamenti dei sin- goli e dei gruppi. Queste concezioni dell’organizzazione influenzano anche le con- cezioni e le pratiche formative. D’altra parte, se la dimensione cognitiva e culturale è così determinante sulla configurazione dell’organizzazione, l’esplicitazione e l’analisi di queste rappresen- tazioni, di ciò che i singoli pensano riguardo alle proprie organizzazioni può diven- tare terreno privilegiato per la formazione. La Manoukian, a conclusione di una sua esplorazione del mondo delle orga- nizzazioni, afferma: “in qualsiasi modo ci si accosti all’organizzazione c’è sempre qualcosa che non si conosce, ci si trova comunque di fronte a qualche cosa che non può essere chiarito, decifrato, reso del tutto intelligibile e dominabile”9. L’accosta- mento a qualsiasi organizzazione è sempre approssimativo e parziale. Questo po- 7 Cfr. SPALTRO Enzo - DE VITO PISCICELLI PAOLA, Psicologia per le organizzazioni. Teoria e pra- tica del comportamento organizzativo, NIS, Roma 1990, p. 219. 8 K ANEKLIN CESARE, MANOUKIAN OLIVETTI FRANCA, Conoscere l’organizzazione..., op. cit., p. 26. 9 Ibid., p. 104. 339 trebbe sembrare un limite: ci si accosta ai tanti problemi organizzativi anche e so- prattutto per trovare delle soluzioni, individuare dei percorsi da seguire. Scoprire che ci è preclusa anche solo una conoscenza esatta dei problemi può essere delu- dente. A questo riguardo è invece utile la riflessione con cui la nostra autrice pro- segue: “È vero che è scoraggiante, che può essere deprimente trovarsi sempre di fronte a un non finito, un non certo, sperimentare la mancanza, l’insufficienza della propria competenza, del proprio sapere: ma è anche questa la condizione che consente di applicarsi giorno per giorno, anche nel lavoro quotidiano, a ricercare, a pensare per scoprire, capire, trovare ciò che non si sa; è da questa condizione che nascono nuove possibilità di definizione dei problemi in gioco e nuove possibilità di conoscenza dell’organizzazione”10. La possibilità di adozione di nuovi comportamenti è strettamente intercon- nessa a modificazioni nel modo di rappresentarsi e di considerare l’organizzazione, in particolare alla capacità di rinunciare a tendere verso il modello “ideale” di or- ganizzazione e alla capacità di apprendere a riflettere sulle immagini con cui ci si rappresenta l’organizzazione, di creare nuove rappresentazioni e nuovi scenari, che aprano a sempre nuove possibilità di azione. DEFINIZIONE DEL TERMINE “ORGANIZZAZIONE” Da un punto di vista etimologico, il termine “organizzazione” viene fatto risa- lire al greco organon, cioè “strumento” ( in particolare strumento musicale). Assume un significato biologico, nella lingua italiana, fin dai tempi di Dante, essendo usato per indicare il “formarsi degli organi”, per poi significare “ordi- nare”, “disporre”. Ancora all’inizio di questo secolo, il verbo “organizzare” era considerato un neologismo, per introdurre soprattutto concetti mutuati dalla lingua francese (or- dine, riordinamento, accomodamento…). Negli ultimi anni, con il termine organizzazione si designa sia l’attività volta a definire in modo normativo le relazioni tra persone, in vista del raggiungi- mento razionale di uno scopo sia l’entità sociale orientata al raggiungimento di fini specifici (impresa, scuola, ospedale, opera sociale…). Esiste un uso del termine organizzazione anche in psicoanalisi, per designare i processi che permettono il coagularsi dell’energia libidica grazie all’identifica- zione di nuovi obiettivi, o zone erogene, su cui concentrare il desiderio. In questo senso, organizzazione è l’aggregazione definita e riconoscibile intorno ad un elemento dominante in vista del raggiungimento di uno scopo. Se poi questa teoria psicoanalitica viene estesa (come lo stesso Freud fa) per interpretare i feno- meni della vita collettiva, si può comprendere la comunità come la possibilità di organizzarsi a partire da legami affettivi che convergono attorno alla figura del 10 Ibid., pp. 104-105. 340 capo e che assicurano l’integrazione, evitano il rischio della regressione, danno si- curezza e appagamento. Questo uso del termine organizzazione, così lontano da quello precedente, ci permette tuttavia di immaginare che una comunità può sgretolarsi non solo a causa di processi culturali esterni ma anche della rottura di legami interpersonali, che produce una situazione di ansia e di paura. Questo primo approccio all’idea di organizzazione ci permette di individuare un comune denominatore a tutte le definizioni: è il riferimento alla razionalità, all’ordine e alla necessità di stabilire legami intensi tra individui. Ora, questa idea negli ultimi quindici anni è stata più volte messa in discussione, tanto che oggi non esiste un’azione organizzativa razionale concepita come “buona” che si contrap- pone ad un disordine strutturale caotico, concepito come “cattivo”, ma siamo in- dotti a pensare, anche per una singola comunità, a più logiche di azione organizza- tiva possibili, il che equivale a dire, a più criteri di razionalità. Non solo, ma l’idea stessa di organizzazione si è fatta più articolata ed è, come dire, esplosa in almeno tre direzioni che fanno capo a tre scuole di pensiero di- verse: l’approccio razionale, naturale e sistemico. Bibliografia K ANEKLIN CESARE, MANOUKIAN OLIVETTI FRANCA, Conoscere l’organizzazione. Formazione e ri- cerca psicosociologica, NIS, Roma 1990. MORGAN GARETH , Images. Le metafore dell’organizzazione, Tr. it. Franco Angeli, Milano 19988. SPALTRO ENZO - DE VITO PISCICELLI PAOLA, Psicologia per le organizzazioni. Teoria e pratica del comportamento organizzativo, NIS, Roma 1990. 341 SECONDA LEZIONE MODELLI ORGANIZZATIVI PER COMUNITÀ EDUCATIVE COMPLESSE OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ elencare le caratteristiche principali dei principali approcci teorici all’organizzazione; ❏ descrivere le caratteristiche dei modelli chiusi e dei modelli aperti; ❏ individuare quale tipo di modello organizzativo sia prevalente nella propria realtà di prove- nienza. TEORIE E MODELLI DI ORGANIZZAZIONE Il fenomeno organizzativo è un fenomeno complesso e anche il dibattito nel campo della teoria delle organizzazioni si è fatto sempre più ricco ed articolato, so- prattutto in questi ultimi due decenni1. R. W. Scott, nel suo approfondito manuale sulle organizzazioni2, indica tre diverse prospettive che si possono assumere per osservare il fenomeno organizzativo: l’organizzazione come sistema razionale, come sistema naturale e come sistema aperto. Queste tre prospettive teoriche, che riassumono una vasta gamma di approcci e di scuole, hanno in parte contribuito alla costruzione di altrettanti modelli concreti di organizzazione e noi le assu- miamo qui, anche se con una certa cautela, come tipologie organizzative, come de- scrizioni di tipi diversi di fenomeni organizzativi e di complessi organizzati. È vero che, come avverte Stefano Zan 3, bisogna fare attenzione a non confon- dere il fenomeno organizzativo con le teorie messe in atto per analizzarlo e com- prenderlo, ma è anche vero che esiste uno stretto rapporto tra le due dimensioni, tra come si pensa l’organizzazione e come la si attua. Il fenomeno organizzativo, in- fatti, è innanzitutto un fatto di conoscenza: il modo di conoscere e di rappresentarsi 1 Cfr.: Z AN STEFANO (a cura di), Logiche di azione organizzativa, Il Mulino, Bologna 19942. Questa antologia, che presenta una rassegna dei principali filoni di ricerca su come debba essere con- siderato il fenomeno organizzativo e su quali siano gli interessi propri di una teoria dell’organizza- zione, testimonia bene della vivacità e della ricchezza del dibattito, in particolare di come le teorie classiche dell’organizzazione siano andate modificandosi radicalmente in questi ultimi vent’anni. 2 SCOTT W. R ICHARD ,, Le organizzazioni, Il Mulino, Bologna 1994, pp. 50-122. 3 Z AN STEFANO (a cura di), Logiche di azione organizzativa..., op. cit., pp. 15-16. 342 l’organizzazione guida ed orienta l’agire organizzativo dei singoli individui e dei gruppi e costruisce quell’entità sociale dinamica che è l’organizzazione. Vogliamo tentare di accostarci ai modelli teorici con cui si leggono e si con- cettualizzano i processi organizzativi come a tipi particolari di cultura organizza- tiva che informano ed orientano i rapporti tra i soggetti di un’organizzazione e concorrono in modo determinante a costruire modelli concreti di organizzazione e hanno dunque rilevanza sulle azioni formative. Ognuna delle tre prospettive che indicheremo può essere articolata ulteriormente in una grande quantità di approcci teorici e di concreti modelli organizzativi; inoltre, le tre prospettive, per certi aspetti, coesistono, non è che l’una abbia soppiantato del tutto l’altra. 1. La prospettiva razionale Quello razionale è l’approccio organizzativo cosiddetto classico, sviluppato da autori come F.W. Taylor, H. Fayol, M. Weber, H.A. Simon 4. Secondo questa pro- spettiva, che si rifà alla logica del sistema meccanico, l’organizzazione viene defi- nita come “una collettività orientata al raggiungimento di fini relativamente speci- fici che presenta una struttura sociale relativamente formalizzata”5 e si configura, dunque, come uno strumento costruito allo scopo di raggiungere determinati obiet- tivi. Sono proprio l’orientamento al raggiungimento di obiettivi ben definiti e la formalizzazione le caratteristiche che contribuiscono alla razionalità dell’organiz- zazione. La razionalità, che è intesa in senso ristretto, in quanto solo tecnico e fun- zionale, non si riferisce tanto alla scelta dei fini, quanto alla definizione dei mezzi e delle azioni che devono essere messi in atto per realizzare i fini. In quest’ottica, il comportamento di un’organizzazione sarà tanto più razionale quanto più le azioni compiute dai suoi membri si muoveranno, in modo coordinato, verso uno scopo preciso. La specificità dello scopo contribuisce ad accrescere la razionalità del sistema perché diminuisce l’area di ambiguità, fornisce criteri precisi e indiscutibili per scegliere fra attività alternative, guida le decisioni relative alle modalità da seguire per disegnare la struttura organizzativa (quali compiti assegnare a chi) e per distri- buire le risorse. Senza fini precisi, le strutture che si sviluppano non avranno una base solida e risulteranno instabili ed amorfe. La seconda caratteristica che contribuisce alla razionalità delle azioni organiz- zative è, come dicevamo, quella della formalizzazione. La formalizzazione di una struttura comporta che le regole e le procedure operative che governano il compor- tamento organizzativo siano formulate in modo chiaro, preciso ed esplicito; che le azioni complesse siano scomponibili in operazioni elementari, stabili e ripetitive, prescrivibili agli individui e controllabili; che i ruoli e i rapporti fra i ruoli siano 4 Cfr. SCOTT W. R ICHARD , Le organizzazioni..., op. cit., pp. 53 sq. 5 Ibid., p. 43. 343 definiti a prescindere dalle caratteristiche delle persone che occupano le diverse posizioni nella struttura; che la gerarchia sia fissa e centrale; che siano inoltre atti- vati sistemi di controllo per valutare le prestazioni e scoprire i comportamenti de- vianti; che la comunicazione si svolga in senso verticale, dall’alto verso il basso. Tutto questo è ben raffigurabile nell’organigramma che rende il comportamento dei singoli prevedibile, poiché lo standardizza, lo regola e permette il formarsi di aspettative stabili rispetto ai vari membri del gruppo. La formalizzazione consente poi di rendere le strutture indipendenti dalla par- tecipazione di qualsiasi particolare individuo coinvolto. Viene data dunque mag- giore importanza alla struttura che alle caratteristiche dei partecipanti. L’organizza- zione viene intesa come qualcosa di interamente e rigidamente predeterminato ri- spetto ai singoli soggetti e alla loro azione, indipendente dalla loro identità. Il suc- cedersi dei singoli nelle cariche può essere routinizzato e regolarizzato, in modo che una persona opportunamente addestrata possa sostituirne un’altra, senza che il funzionamento dell’organizzazione ne risenta. In questa prospettiva, il funzionamento dell’organizzazione è reso in buona parte indipendente anche dai sentimenti che gli uni hanno verso gli altri. Anzi i le- gami affettivi positivi tra i membri dell’organizzazione vengono scoraggiati, per la paura che essi possano indebolire la disciplina o la facoltà di giudizio e possano ostacolare l’impiego razionale delle persone nel raggiungimento dei fini stabiliti. Per gli stessi motivi, anche il conflitto viene qui visto come patologico e deviante rispetto alla norma e perciò tende ad essere represso. Nel complesso, l’enfasi posta sulle dimensioni oggettive e razionali genera un clima caratterizzato da una certa freddezza affettiva. L’approccio razionale, in definitiva, è centrato sull’idea di adempimento, con- cepisce l’organizzazione come un sistema efficace (capace di raggiungere lo scopo) ed efficiente (capace di raggiungere lo scopo col minor dispendio di energie possibile) e concentra l’attenzione sul funzionamento intra-organizzativo, come se le organizzazioni esistessero indipendentemente dal contesto. 2. La prospettiva naturale Quello del sistema naturale è l’approccio organizzativo sviluppato da autori come Mayo, Selznick e Parson 6. Secondo questo modello, l’organizzazione viene definita come “una collettività i cui partecipanti condividono un’interesse alla so- pravvivenza del sistema e si impegnano in attività collettive, strutturate informal- mente, per garantire tale sopravvivenza”7. Gli studiosi della prospettiva naturale prestano particolare attenzione ai com- portamenti e notano come un’organizzazione sia qualcosa di più di uno strumento per raggiungere obiettivi specifici: spesso esiste una notevole disparità tra gli 6 Cfr.: SCOTT W. R ICHARD , Le organizzazioni..., op. cit., pp. 77 sq. 7 Ibid., p. 45. 344 obiettivi proclamati e gli obiettivi realmente perseguiti; inoltre, molte energie orga- nizzative sono orientate alla sopravvivenza e al mantenimento del sistema stesso. Le organizzazioni, in questo modello, non sono viste tanto come strumenti per raggiungere determinati obiettivi, ma come collettività organiche, governate dal- l’imperativo di sopravvivere, adattandosi all’ambiente, analogamente ai sistemi vi- venti, e diventando dunque fini a se stesse: “Se la loro sopravvivenza è in gioco, le organizzazioni abbandoneranno il perseguimento degli obiettivi espliciti per po- tersi salvare”8. L’organizzazione è qui rivolta innanzitutto a conservare il proprio equilibrio omeostatico interno ed esterno, l’integrazione dei membri nel sistema e l’integrazione del sistema nell’ambiente. Le strutture formali (norme e modelli di comportamento indipendenti dalle ca- ratteristiche dei singoli) contano molto meno delle strutture informali (quelle ba- sate sulle caratteristiche personali di coloro che si trovano in una determinata situa- zione), nel determinare il comportamento dei gruppi e degli individui. Le singole persone infatti sono portatrici di una propria mentalità, di idee, valori e interessi differenziati, di particolari sentimenti e motivazioni e questi elementi vanno a co- struire, nelle interazioni tra le persone, una struttura informale ragionevolmente stabile e influente: concezioni, modelli di comportamento praticati, sistemi di status e di potere, reti di comunicazione. La considerazione delle funzioni positive svolte dalla struttura informale relativizza notevolmente le capacità razionalizza- trici della formalizzazione: i singoli non si comportano come soggetti “razionali”, ma come esseri completi, animati da molteplici sentimenti, motivazioni e valori. Ne segue che diventano importanti il rispetto dei singoli – della loro sensibilità e dei loro valori –, la consultazione reciproca, la continua comunicazione, la flessibi- lità e l’agilità nelle procedure. Un eccesso di formalizzazione, in questa prospet- tiva, porterebbe l’organizzazione all’inefficacia e alla sottovalutazione delle risorse più preziose, quelle umane. I diversi studiosi di questa corrente, assumono generalmente il modello di ana- lisi struttural-funzionalista e dunque analizzano ogni singola struttura dell’organiz- zazione in base alla funzione che svolge nell’assicurare la sopravvivenza del si- stema. La validità di un elemento va giudicata in riferimento alle funzioni che svolge, a come viene percepito il ruolo dai vari attori, a ciò che produce per il buon funzionamento del tutto. In analogia con gli organi di un organismo vivente, i di- versi elementi di un’organizzazione vengono visti come tra loro strettamente inter- connessi ed interdipendenti. È all’interno di relazioni di interdipendenza, che ven- gono gestiti anche i conflitti che la vita organizzativa inevitabilemente genera. 3. La prospettiva sistemica e complessa L’approccio sistemico rappresenta un’evoluzione rispetto agli altri modelli, sia perché approfondisce il concetto di sistema che, nei modelli precedenti, era stato 8 Ibid., p. 78. 345 solo sfiorato, sia perché introduce il concetto di complessità in relazione alle orga- nizzazioni9. Esso si rifà in particolare alla teoria generale dei sistemi sviluppata dal biologo Ludwig von Bertalanffy, che aveva notato come, in varie discipline della scienza moderna, si erano sviluppate in modo del tutto indipendente, concezioni e punti di vista simili: molte delle più importanti entità studiate dagli scienziati, par- ticelle nucleari, atomi, molecole, cellule, organi, ecosistemi, gruppi, società, sono tutti riconducibili alla categoria generale di “sistema”. Un sistema è dotato delle seguenti caratteristiche: - è costituito da un insieme di elementi che sono in relazione tra di loro; - le parti che lo costituiscono sono tra loro interdipendenti, possono avere una struttura più o meno complessa, possono essere più o meno aperte al sistema di cui fanno parte (la complessità e la variabilità delle parti aumenta mano a mano che si passa dai sistemi meccanici, a quelli organici, a quelli sociali e, aumentando la complessità, diminuisce la possibilità di anticipare e prevedere effetti e conseguenze); - è impossibile stabilire dei nessi di causa-effetto tra gli elementi di un sistema; - ogni cambiamento che un elemento subisce si ripercuote, con maggiore o con minore intensità, anche sugli altri elementi del sistema; - ogni sistema è parte di un sistema di ordine superiore ed è circoscritto da con- fini che lo delimitano sia nei confronti degli altri sistemi del suo stesso livello che di quelli di livello superiore; - quando il sistema è aperto, c’è un flusso continuo di informazioni che esce dal sistema e un flusso che entra nel sistema; - passando dai sistemi semplici a quelli complessi, variano anche la natura e l’importanza dei vari flussi tra gli elementi del sistema e fra il sistema e l’am- biente; i tipi principali di flusso sono quelli di materiali, energie ed informa- zioni; nei sistemi più semplici, si avranno soprattutto flussi di materiali, nei si- stemi più complessi, invece, più flussi informativi che materiali. L’approccio sistemico è stato applicato allo studio delle organizzazioni da di- versi autori, in particolare da Jay Galraith e da Karl Weick, e tende a considerare l’organizzazione non come un’entità fissa ma come una serie di processi di azioni organizzative e come un sistema costituito da un insieme di parti che operano in funzione dell’obiettivo globale dell’intero sistema. Della visione sistemica e com- plessa dell’organizzazione si fa portavoce Edgar Morin quando afferma che “...l’organizzazione è la sistemazione di relazioni tra componenti o individui che produce un’unità complessa o sistema, dotata di qualità ignote al livello delle com- ponenti o individui. L’organizzazione connette in maniera interrelazionale ele- menti, o eventi, o individui diversi che di conseguenza diventano componenti di un tutto. Essa garantisce una solidarietà e una solidità relativa a tali legami, e garan- tisce quindi al sistema una certa possibilità di durata, nonostante le perturbazioni 9 Ibid., pp. 105 sq. 346 aleatorie. L’organizzazione dunque: trasforma, produce, connette, mantiene”10. L’organizzazione viene quindi a configurarsi come: - un sistema finalistico, che tende ad orientare l’interazione tra i singoli attori verso il raggiungimento di uno o più obiettivi; - un sistema aperto, che riceve degli input dall’ambiente, li elabora e fornisce degli output che contribuiscono a mutare l’ambiente stesso e quindi a influen- zare gli input successivi; - un sistema sempre cangiante, che si adatta ai mutamenti ambientali, in modo da poter continuare a perseguire i propri obiettivi11. Il concetto di entropia, che indica la perdita di energia che non può essere con- vertita in lavoro, aiuta a distinguere fra sistemi chiusi e sistemi aperti. Per la se- conda legge della termodinamica, ogni sistema, se rimane isolato, tende a degra- darsi, evolvendosi verso uno stato di crescente disordine e dissipando la sua energia. Tutti i sistemi chiusi vanno verso uno stato di entropia. I sistemi aperti in- vece, ricevendo energia dall’ambiente, sono in grado di sostituire quella già utiliz- zata, possono quindi fruire di entropia negativa e ciò comporta un aumento della loro complessità. “L’entropia positiva è dunque indice di disordine e disorganizza- zione, così come l’entropia negativa significa ordine e organizzazione”12. Si possono distinguere due fondamentali processi che differenziano i sistemi chiusi da quelli aperti: si tratta dei processi della morfostasi e della morfogenesi. “La morfostasi comprende tutti quei processi che tendono a preservare la forma, la strut- tura o lo stato di un sistema... La morfogenesi comprende invece quei processi che elaborano o mutano un sistema”13. I sistemi aperti tendono a diventare sempre più differenziati nella forma e più complessi nella loro struttura, adattandosi così alle condizioni ambientali, sempre più complesse e differenziate, e autoproducendosi. La prospettiva sistemica mette dunque in rilievo l’importanza delle relazioni di interconnessione e di interdipendenza tra un sistema organizzativo e il più ampio contesto ambientale, ma pone anche l’accento sui processi, sulle decisioni e sulle azioni organizzative orientate ad uno scopo14, sul sistema di relazioni, intera- zioni, retroazioni sociali, attraverso cui l’organizzazione contemporaneamente pro- duce se stessa (è auto-organizzazione) ed è prodotta dall’ambiente che essa stessa, a sua volta, contribuisce a produrre15. 10 MORIN EDGAR, Il metodo. Ordine disordine organizzazione, Feltrinelli, Milano 19927, p. 133. 21 Cfr.: SPALTRO ENZO - DE VITO PISCICELLI PAOLA, Psicologia per le organizzazioni..., op. cit., p. 48. 22 Idem. 23 SCOTT W. R ICHARD , Le organizzazioni..., op. cit., p. 113. 24 Cfr.: W EICK K ARL E., Processi di attivazione nelle organizzazioni, in Z AN Stefano (a cura di), Logiche di azione organizzativa..., op. cit., pp. 211-244. 25 Cfr.: MORIN Edgar, Introduzione al pensiero complesso, Sperling & Kupfer, Milano 1993, pp. 85 sq. Qui Morin, per definire questo intreccio di rapporti costitutivi dell’organizzazione, parla di “auto-eco-organizzazione”. 347 MODELLI CHIUSI E MODELLI APERTI Ciascuna delle prospettive che, pur con notevoli semplificazioni, abbiamo presentato nei paragrafi precedenti mette a fuoco elementi e caratteristiche di- verse ma altrettanto significative delle organizzazioni. I diversi modelli si sono sviluppati nel tempo, ma questo non ci deve portare ad accostarci a loro in una prospettiva solo cronologica, pensando ad uno sviluppo lineare nel tempo, da modelli organizzativi di tipo razionale, a modelli naturali, a modelli sistemici e complessi. Tantomeno siamo tenuti a cercare di individuare il modello “giusto” o quello “sbagliato”. Tutte e tre le prospettive possono essere ancora oggi conside- rate capaci di sottolineare, in modo plausibile ed ugualmente legittimo, alcuni elementi utili a comprendere le organizzazioni della vita religiosa nella società odierna. Ad esempio, il modello razionale sottolinea la necessità di un coordina- mento e di un orientamento chiaro su obiettivi condivisi; il modello naturale sot- tolinea il senso dell’identità, della tradizione vivente e della qualità delle rela- zioni tra i membri; il modello sistemico sottolinea il senso del cambiamento e dell’apertura al nuovo. Esistono inoltre molteplici combinazioni dei diversi modelli, intesi sia come modelli teorici di riferimento che come modelli organizzativi praticati. Scott, che abbiamo seguito nell’esporre le tre prospettive, tenta di combinarli, incrociando le dimensioni dell’apertura e della chiusura del sistema con quelle della razionalità e della naturalità del sistema. Egli infatti individua, nella transizione da modelli or- ganizzativi chiusi, centrati prevalentemente sulle caratteristiche interne delle orga- nizzazioni, a modelli organizzativi aperti, centrati sull’importanza dei rapporti con l’ambiente, un vero e proprio spartiacque. Egli sostiene infatti che “...i modelli teo- rici dell’organizzazione hanno subito un notevole mutamento intorno al 1960, quando la prospettiva dei sistemi aperti ha preso il sopravvento sui modelli dei si- stemi chiusi”16. Vuol dire che si danno modelli razionali chiusi e modelli naturali chiusi, modelli razionali aperti e modelli naturali aperti. In ciascuno dei due gruppi di modelli – quelli che fanno riferimento al sistema chiuso e quelli che fanno riferimento al sistema aperto – si attivano modi differenti di pensare gli elementi fondamentali dell’organizzazione. Nell’ESERCITAZIONE che conclude la lezione vogliamo tentare di presen- tare, in forma schematica, alcune delle principali caratteristiche organizzative pro- prie dei CFP e di precisare come esse si declinino all’interno dei due gruppi di mo- delli, ricordando che alcune delle caratteristiche saranno maggiormente sottoli- neate dai modelli razionali e altre dei modelli naturali. Ancora una volta notiamo che si tratta di due tipologizzazioni estreme. In realtà, bisogna considerare che la realtà è più complessa di quanto ciascun modello possa afferrare e che spesso i due modelli convivono, soprattutto in questa fase di 26 SCOTT W. R ICHARD , Le organizzazioni..., op. cit., p. 128. 348 transizione che speriamo sia orientata verso l’emergere di un dialogo ermeneutico fecondo tra i due modelli e di una loro integrazione. Il modello a sistema chiuso, che può essere definito anche come modello “semplice”, è il modello consolidato, maggiormente legato agli aspetti istituzionali e normativi. È chiuso in se stesso perché rigido, predefinito, predeterminato e ripe- titivo; “...è il modello che si presenta in apparenza come ‘forte’ perché ben orga- nizzato e comunque ancora dominante; in realtà è il modello ‘debole’ e in crisi, poiché – da sé solo, senza sostanziali cambiamenti – non ha un futuro credibile”17. Il modello a sistema aperto, che è un modello “complesso”, è quello più at- tento ai cambiamenti che avvengono nel contesto sociale e che prevede un alto grado di flessibilità e di continua rielaborazione, sotto la spinta degli elementi di novità e di complessificazione che provengono dalla realtà. È il modello “...che si presenta come ‘debole’, perché faticosamente cerca di emergere, anche se è ancora marginale; in realtà è un modello ‘forte’, perché ha in sé una grande capacità di spiegazione e di interpretazione della realtà, anche se, forse, non ha ancora rag- giunto la sua piena maturità concettuale...”18. Il modello a sistema aperto deve ancora essere sperimentato e verificato sul campo, presenta certamente dei rischi, soprattutto non offre le piste consolidate del modello precedente; ma, a differenza di quello, che rimane chiuso in sé, il modello a sistema aperto, proprio perché aperto, è in grado di assumere in sé e di integrare anche molti elementi del sistema chiuso. 27 LORO DANIELE, Una pastorale scolastica salesiana di qualità. Spunti per una riflessione , Re- lazione tenuta alla Giornata della scuola dell’Ispettoria salesiana “S. Zeno” di Verona dell’11 set- tembre 2000 (dattiloscritto), p. 7. 28 Ibid., p. 8. EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE Date alcune variabili che caratterizzano la cultura organizzativa di un CFP e ripensando alle proprie esperienze e percezioni: a) operi delle scelte di valore, sulla base della maggiore o minore vicinanza del proprio contesto organizzativo a ciascuna delle due polarità indicate per ogni variabile b) motivi brevemente le proprie scelte 349 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Predefiniti dall’autorità e dalla tra- dizione. Definiti partecipativamente, in se- guito ad una costante lettura dei “segni dei tempi”. 1. Obiettivi 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Coordinamento gerarchico con defi- nizione rigida di ruoli e compiti. Sicurezza su ciò che si è e si deve fare (basso livello di tolleranza del- l’ambiguità). Coordinamento per autoregola- zione con flessibilità e capacità di apertura e negoziazione. Instabilità e contraddizioni (alto li- vello di tolleranza dell’ambiguità). 2. Struttura 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Rispetto della volontà del superiore da parte del “suddito” (funzione pri- maria del direttore è il controllo): conta l’esecuzione puntuale del ser- vizio o del ruolo assegnato. Separazione netta tra decisione ed esecuzione. Decisioni trattate come definitive. Corresponsabilità ad un progetto comune (funzione primaria del di- rettore è quella di liberare le energie degli operatori e di inco- raggiare): contano lo spirito di ini- ziativa e la creatività dei singoli. Decisionalità diffusa. Decisioni trattate come ipotesi da verificare. 3. Gestione del potere e processi decisionali 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Comunicazioni unidirezionali, dal- l’alto al basso, orientate all’esecu- zione (attenzione primaria ai com- piti e alle cariche). Comunicazione controllata: fred- dezza, formalità nei rapporti, as- senza di emozioni e di sentimenti. Atmosfera formale e riservata, con sospetto. Conflitto percepito come patolo- gico. Comunicazioni in tutte le direzioni e attenzione ai feed-back (atten- zione primaria alle persone e ai loro bisogni). Comunicazione autentica con espressione di sentimenti, speranze e timori. Atmosfera informale, calda e cor- diale con reciproca fiducia. Conflitto percepito come normale e gestibile. 4. Processi comunicativi e clima relazionale interno 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Riproduzione dei modelli della tra- dizione (conservazione ed ammini- strazione dell’esistente) alla ricerca della sicurezza. Si erogano risposte. Adempimento. Elaborazione di nuovi modelli sulla base di una fedeltà creativa (innovazione e sperimentazione), con assunzione di rischi. Si suscitano domande. Progettualità. 5. Organizzazione dei servizi 350 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Rapporti scarsi con un ambiente visto come tendenzialmente ostile, fonte di problemi (difesa, diffidenza e chiusura). Autoreferenzialità. Interscambio e apertura continui con un ambiente visto come fonte di opportunità (interdipendenza). Estroversione. 6. Rapporti con l’ambiente 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Centralità dei principi giuridici (di- sciplina) e considerazione dell’er- rore come qualcosa da evitare. Unificazione “burocratica”, dettata per decreto. Sottolineatura del principio dell’u- niversalità. Cultura della centralità. Centralità della vita (esperienza) e considerazione dell’errore come fonte di apprendimento. Considerazione dell’unità nella di- versità e viceversa (reciprocità e mutua compenetrazione). Inculturazione. Centralità della cultura. 7. Valori primari 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 È definito ed è possesso esclusivo dei religiosi che sono tenuti a tra- smetterlo ai collaboratori laici. I collaboratori laici sono portatori di un modo nuovo di leggere e in- terpretare il carisma. Sono un dono per il carisma (che cresce) e per la comunità religiosa. 8. Carisma 351 TERZA LEZIONE BIOGRAFIE ISTITUZIONALI E CULTURE ORGANIZZATIVE: L’IMPEGNO SALESIANO NELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ definire il concetto di cultura organizzativa; ❏ indicare quali siano i livelli di analisi della cultura organizzativa secondo la prospettiva di Schein; ❏ descrivere alcuni tratti della cultura interna delle opere salesiane. ORGANIZZAZIONI COME CULTURE Le organizzazioni sono anche ambiti di produzione di cultura ed esprimono un proprio mondo simbolico che incide fortemente sulle dinamiche e sui comporta- menti organizzativi di individui e gruppi. Facendo riferimento alla ormai classica definizione di Schein1, Stefano Zan definisce la cultura organizzativa come un complesso unitario di credenze, di re- gole esplicite ed implicite, di modelli di comportamento e di assunti di base, pro- fondamente radicati nell’organizzazione, frutto di un processo di apprendimento organizzativo2. Essa si identifica col “modo di vedere ‘le cose’ che caratterizza cia- scuna singola organizzazione e che, attraverso i processi di socializzazione, viene interiorizzato da tutti i membri dell’organizzazione”3, con l’insieme delle risposte e delle modalità di azione che l’organizzazione ha elaborato nel tempo, per far fronte sia ai problemi interni sia alle sfide poste dall’ambiente. 1 SCHEIN EDGAR H., Cultura d’azienda e leadership. Una prospettiva dinamica, Guerini e Asso- ciati, Milano 1990, p. 35. 2 Z AN STEFANO, Introduzione, in: ZAN Stefano (a cura di), Logiche di azione organizzativa..., op. cit., pp. 48-52. 3 Ibid., p. 48 352 È sempre Schein che individua tre livelli di analisi delle culture4: a) il primo è costituito dagli artefatti: si tratta dell’ambiente fisico e sociale del- l’organizzazione, dei simboli e dei linguaggi impiegati, dei comportamenti manifesti e di tutte le dimensioni visibili ma non sempre immediatamente de- cifrabili nella loro valenza culturale; b) il secondo livello è costituito dai valori: si tratta delle convinzioni e delle op- zioni di fondo su ciò che è desiderabile nella vita dell’organizzazione, delle credenze e dei significati comuni e condivisi; sono dimensioni meno visibili perché sempre oscillanti tra ciò che viene dichiarato e ciò che viene realmente praticato; c) il terzo livello è quello degli assunti di base: sono le idee alle quali ci si riferisce in modo quasi automatico e che riguardano la concezione di uomo, di realtà e di verità, il modo di rapportarsi all’ambiente, il modo di concepire il tempo e lo spazio, le idee riguardo all’agire individuale e agli stili di convivenza e di rela- zione interpersonale, ecc.; si tratta degli assunti impliciti, di ciò che è dato per scontato e che inconsapevolmente orienta il comportamento e suggerisce come pensare, percepire e comportarsi nella realtà; proprio perché inconsapevoli e la- tenti, gli assunti di base sono particolarmente difficili da cogliere. Queste considerazioni ci spingono a guardare anche ai CFP come ad organiz- zazioni dotate di una specifica cultura organizzativa che impronta il clima organiz- zativo, veicola la consapevolezza della mission e dei significati, orienta il pensare e l’agire di tutti. Sono diversi gli eventi organizzativi che contribuiscono a ribadire o a rinfor- zare una determinata cultura organizzativa, a diffondere determinati stili, norme e valori. Si tratta innanzitutto delle “cerimonie” e dei “riti”, non solo quelli specifi- camente religiosi ma anche quelli secondo cui si svolgono i quotidiani momenti conviviali o i normali incontri. Una determinata cultura organizzativa si trasmette poi attraverso la storia e la tradizione di una congregazione, il racconto delle ori- gini e della fondazione dell’opera, dei suoi momenti critici e delle sue fasi di svi- luppo, il racconto di episodi particolari, spesso avvolti in un alone di mistero (i miti), la narrazione della vita di quei personaggi che hanno particolarmente incar- nato la mission dell’ente e si pongono a modello per tutti i membri. Anche il si- stema dei simboli e il linguaggio utilizzato sono fattori importanti, attraverso i quali la cultura di un’organizzazione si perpetua e di trasmette. DON BOSCO, LE SCUOLE E I CENTRI DI FORMAZIONE PROFESSIONALE La nostra cultura organizzativa si esprime in particolar modo nella biografia istituzionale delle nostre realtà e nella tradizione educativa, scolastica e formativa 4 Cfr.: Ibid., p. 49. 353 della Congregazione salesiana e, in particolare, nell’azione di don Bosco e di Madre Mazzarello. Il confronto con le origini ci restituisce alcuni tratti della cul- tura organizzativa delle nostre realtà nel presente5. Solo da un contatto con le radici primitive dell’esperienza salesiana e dei suoi tratti fondamentali, sarà possibile appropriarci della nostra storia, divenire consa- pevoli della cultura interna alla nostra organizzazione, per farla evolvere e cre- scere. Il discorso su Don Bosco, scuola e formazione professionale attende ancora una trattazione sistematica che lo inquadri nel contesto della storia della scuola e nel contesto della storia della scuola cattolica, soprattutto in Italia. Si può riman- dare ai risultati finora acquisiti in alcuni contributi pubblicati soprattutto in occa- sione del centenario della morte di Don Bosco6. È innanzitutto importante notare che, nella Congregazione salesiana, a comin- ciare da Don Bosco, nasce e si sviluppa una tradizione istituzionale ed educativa di scuola e di formazione professionale. Basti quanto ci ricorda J.M. Prellezo sul pensiero di don Cerruti, primo stu- dioso salesiano di pedagogia, che ha messo in risalto la centralità della scuola e della formazione nel pensiero e nell’azione di don Bosco: “Noi vedemmo e ve- diamo don Bosco, con quell’intuito che comprende i tempi e li padroneggia, con- centrare e volere concentrata sulla scuola e sulla stampa quell’attività, quell’e- nergia immensa, di cui ci dà ancor ora meravigliosa prova e nobilissimo esempio nella grave ed affranta età” (Cerruti, 1886, 11). Tratti specifici della tradizione salesiana Della tradizione salesiana sulla scuola poniamo in risalto i seguenti elementi che costituiscono anche dei tratti specifici della cultura interna: 1. “La preventività attraversa l’intera esperienza delle opere e delle ispirazioni e idee che le animano”7. 2. “Il sistema educativo di don Bosco si è sviluppato ed espresso in numerose istituzioni (oratori, associazioni giovanili, collegi-convitti per studenti e arti- giani, esternati e pensionati, scuole di vario tipo: primaria, secondaria, profes- sionale, seminari-aspirantati, scuola per catechesi, centri missionari, ecc.)”8. 3. “Il sistema preventivo è attuato gradualmente in strutture che non vengono create ex novo da don Bosco: sono tipiche del periodo della restaurazione (molte con radici lontane nell’epoca della Riforma cattolica e dell’ Ancien Ré- 5 Quanto segue sarà liberamente tratto da: “Selenotizie”, supplemento a “Scuola Viva” n. 9, SEI, Torino, Ottobre 1995. 6 Per esempio - G. PROVERBIO, La scuola di Don Bosco e l’insegnamento del latino (1850-1900) in “Don Bosco nella storia della cultura popolare, SEI, Torino 1987, pp. 143-185 - P. STELLA, Don Bosco nella storia economica e sociale (1815-1870), LAS, Roma 1980. 7 P. BRAIDO, Breve storia del sistema preventivo , LAS, Roma 1992, p. 98. 8 P. BRAIDO, L’esperienza pedagogica di don Bosco , LAS, Roma 1988, p. 159. 354 gime) e tuttavia ricevono dal suo sistema una fisionomia nuova, che ne precisa ulteriormente le fondamentali caratteristiche”9. 4. “Per quanto riguarda il corpo insegnante, mano a mano che l’edilizia dell’Ora- torio e la preparazione dei suoi più fidi chierici glielo consentiva, passò dalla utilizzazione di professori esterni di sua fiducia all’istituzione di corsi com- pleti all’interno dell’Oratorio stesso”10. 5. “Don Bosco, come già Rosmini e come molti altri, si muoveva a partire dalla convinzione radicata che non bisognava né rinunciare ai diritti civili, né muo- versi fuori dell’ordine legale”11. 6. Poiché Don Bosco allora si trovava quasi solo a sostenere la sua opera appena avviata, per poterla continuare, l’unica soluzione possibile gli parve quella di educare e di instradare alla vita ecclesiastica alcuni giovani che ne avessero le attitudini, per poter realizzare i suoi progetti. Analogamente, fece per i maestri d’arte. “A garanzia della continuità delle istituzioni educative, vengono fon- dati due istituti religiosi, maschile (1859-1869) e femminile (1872), e una As- sociazione di Cooperatori (1874-1876)”12. 7. Don Bosco fonda varie istituzioni: chierici, sacerdoti, laici-coadiutori della Società Salesiana; suore dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice; uomini e donne del laicato disposti a collaborare nel settore educativo, come Coopera- tori e Cooperatrici. - Per i sacerdoti era previsto il normale curricolo seminaristico e religioso: ginnasio, noviziato, liceo filosofico, quadriennio teologia; - per i laici coadiutori, il corso di formazione professionale, il noviziato e un periodo di perfezionamento religioso e tecnico; - per i Cooperatori e le Cooperatrici, riunioni periodiche di animazione spiri- tuale e apostolica. Ma due fattori possono apparire significativi ai fini della preparazione pedago- gica specifica degli educatori salesiani e delle suore: - l’essere cresciuti e maturati fin dalla adolescenza (e talvolta anche prima) nell’atmosfera plasmatrice dell’una o dell’altra istituzione educativa, soprat- tutto con la partecipazione attiva “allo spirito di carità” da cui ognuna era in- formata, oltre naturalmente, vivente don Bosco, al fascino emanante dalla sua eccezionale personalità; - uno specifico “tirocinio pedagogico” per i giovani educatori. Nel cap. XIV delle Costituzioni (Del maestro dei novizi e della loro dire- zione), redatto e presentato a Roma per l’approvazione definitiva del 1874, ve- niva inclusa questa prescrizione: “Poiché il fine della Congregazione è di istruire nella scienza e nella religione i giovani soprattutto poveri e in mezzo 9 Idem. 10 P. STELLA, Don Bosco nella storia economica e sociale (1815-1870) , LAS, Roma 1980, p. 232. 11 Idem, p. 233. 12 P. BRAIDO, Breve storia del sistema preventivo, LAS, Roma 1992, p. 99. 355 ai pericoli del mondo, guidarli nella vita della salvezza, tutti in questa fase di formazione dovranno esercitarsi seriamente nello studio, nelle scuole diurne e serali, nel fare catechesi ai fanciulli e nel prestare assistenza nei casi più diffi- cili...”. Don Bosco motivava una deroga tanto clamorosa al modo ascetico e giuridico di intendere il Noviziato, richiamando al “fine che si (era) proposto nel fondare l’Istituto, giacché gli enunciati esercizi esibiscono la prova per co- noscere se gli aspiranti hanno attitudine ad assistere ed istruire la gioventù”. Un noviziato di tipo tradizionale, secondo lui, non avrebbe potuto “accomo- darsi alla Costituzioni salesiane che hanno per base la vita attiva dei Soci”. La battaglia, naturalmente, era perduta; ma don Bosco il tirocinio pedagogico l’a- veva realizzato di fatto, al di là del noviziato, come indispensabile comple- mento della formazione spirituale e culturale”13. 8. Riguardo alla presenza attiva nel sociale, vale anche per le scuole salesiane quanto Giorgio Chiosso afferma delle scuole cattoliche in generale, comprese le professionali, che, cioè, la presenza e lo sviluppo della scuola cattolica si situa, tra Otto e Novecento, nel complessivo quadro di presenza nel sociale: “L’evangelizzazione si svolge in stretto rapporto ai bisogni ed alle esigenze della società civile, manifestandosi e concentrandosi laddove le attese sono più acute e dove la presenza pubblica è spesso carente, inadeguata, assente. La di- mensione popolare della scuola cattolica si giustifica, nella fase iniziale ed in un certo senso costituente delle esperienze secondo ottocentesche, proprio per la capacità – come del resto accadeva, in un contesto tuttavia molto diverso, nei secoli precedenti – di adattamento e risposta alle esigenze popolari”14. 9. Anche quella della dimensione popolare delle istituzioni educative è una di- mensione importante della cultura interna delle organizzazioni salesiane: “La centralità della dimensione popolare sembrerebbe poter venire contraddetta o, almeno, limitata dalla presenza anche di numerosi istituti di istruzione secon- daria la cui finalità, come è noto, era chiaramente quella di provvedere alla preparazione di una classe dirigente cristianamente formata. La scuola catto- lica otto-novecentesca risponde, in effetti, anche a questa esigenza. In ognuno dei principali centri del Paese sorge almeno un istituto scolastico confessio- nale che, per tradizioni e prestigio, è in grado di competere con le scuole pub- bliche di pari grado per qualità e stile educativo”15. 10. Rispetto alla sfida attuale della scuola, della formazione professionale e del- l’apprendistato in cui termini di confronto sono soprattutto quelli della qualità, dell’originalità e della coerenza del progetto educativo, quella che ha dovuto affrontare Don Bosco è stata una sfida specialmente della quantità delle ri- sposte ad esigenze, alle quali nessuno, o pochi, ancora pensavano. 13 P. BRAIDO, L’esperienza pedagogica di Don Bosco , LAS, Roma 1988, pp. 174-175. 14 G. CHIOSSO , Libertà e popolarità nell’esperienza storica della scuola cattolica, in CEI, La presenza della scuola cattolica in Italia, La Scuola, Brescia 1992, pp. 102-103 15 Ibid., pp. 103-104. 356 Centralità dei giovani e della relazione educativa La centralità dei giovani in tutta l’azione educativa e pastorale di don Bosco è un fatto talmente scontato, che non riteniamo di doverci soffermare ulteriormente. Tuttavia, una cosa è necessaria: fissare le conseguenze metodologiche di questa centralità del giovane nell’azione educativa e pastorale di don Bosco e dei sale- siani. Per centralità educativa del giovane non intendiamo solamente il suo prota- gonismo in rapporto alla sua educazione e la funzionalità di tutti gli interventi e dell’educazionale alla crescita del giovane stesso, ma anche che don Bosco mirava prioritariamente alla formazione integrale del giovane e alla sua salvezza. Espres- sioni sue caratteristiche sono: - il binomio: buon cristiano e onesto cittadino; - il motto: da mihi animas, coetera tolle; - il tema fondamentale della sua spiritualità: la salvezza delle anime. Queste espressioni di don Bosco vanno attentamente interpretate. A questo scopo rinviamo a contributi specifici16. Resta tuttavia assodato che la pedagogia di don Bosco ha la preoccupazione di una educazione integrale del giovane e ha come caratteristica anche la dimensione religiosa e del senso della vita. Se adesso passiamo dalla finalità dell’intervento di don Bosco alla tipologia dell’intervento educativo, troviamo in quest’ordine: - la relazione educativa; - le istituzioni educative; - la fondazione, a garanzia della continuità delle istituzioni educative, di due istituti religiosi e della Associazione dei Cooperatori. Negli interventi di don Bosco, la relazione educativa risulta prioritaria. Un testo di P. Braido mette in relazione proprio la priorità della relazione educativa – il dialogo con il giovane – con le istituzioni educative create da don Bosco. Il sistema educativo di don Bosco si è sviluppato ed espresso in numerose isti- tuzioni: • associazioni giovanili, • collegi-convitti per studenti e artigiani, • esternati e pensionati, scuole di vario tipo: primaria, secondaria, professionale, • seminari-aspirantati, • scuola per la catechesi, centri missionari, ecc. 16 F. MOTTO, Introduzione alla lettura di un testo della tradizione salesiana, in: Dicastero per la famiglia salesiana, Sentieri della speranza nella spiritualità salesiana, Editrice SDB, Roma 1994, pp. 69-71; R. TONELLI, Tra educazione e evangelizzazione: una rilettura “pastorale” del sistema pre- ventivo, intervento al seminario del 15 marzo 1994. In questo testo si può trovare una puntuale appli- cazione del principio ermeneutico alla Salvezza come chiave del modello culturale di don Bosco. Per una sintesi, si veda poi: P. BRAIDO, L’esperienza pedagogica di don Bosco, LAS, Roma 1988, pp. 122-130. 357 Ma si può affermare che nelle aspirazioni di fondo nasce con il minimo ele- mento “istituzionale”: dal dialogo con un ragazzo (Bartolomeo Garelli): • in una o due stanze al Rifugio, • un Oratorio di fortuna costituito da un prato e il ricorso alla chiesa più vicina, • una rudimentale casuccia. Tutto questo si può riassumere emblematicamente nell’espressione “vita di cortile”. Talora, al di fuori e al di là di qualsiasi istituzione, la “vita di cortile” è uno dei fattori capitali di tutta l’azione educativa di don Bosco ed è difficile misu- rare il valore che ha rispetto agli altri due fattori non meno capitali che sono la pra- tica religiosa e la scuola. Tutto il sistema d’idee educative si origina in don Bosco dalla vita degli Ora- tori e in questi la scuola e la collegialità della disciplina sono assenti dal regime or- dinario; all’infuori e oltre il lavoro essenzialmente religioso, non resta se non quello che si fa nel cortile; fino a quando gli fu possibile, don Bosco lasciava tutto il resto per trovarsi in cortile coi suoi ragazzi; se non consideriamo tutto questo, non potremmo comprendere l’importanza che questo fattore ha ai suoi occhi di educatore e di padre17. Riguardo al contenuto stesso della relazione educativa, si può osservare che: • don Bosco va a cercare il giovane dove si trova e lo accoglie nella situazione nella quale si trova; • la relazione che don Bosco intende instaurare con il giovane, il dialogo che in- trattiene con lui, sono permeati dalla carità soprannaturale, virtù teologale che si fa incontro al giovane e diviene virtù educativa. Le istituzioni educative Le istituzioni educative sono realizzate per rispondere ai bisogni dei giovani. A proposito di scuola, è significativo il confronto-scontro con le autorità scola- stiche del suo tempo per il riconoscimento delle sue iniziative scolastiche e cultu- rali. È importante notare che in don Bosco prima nasce l’attività educativa e pasto- rale, poi le istituzioni, infine la fondazione di istituti religiosi. Lo stesso vale per le FMA: “La prima Casa-madre delle FMA fu scuola prima che casa religiosa propria- mente detta. Madre Enrichetta Dominici, visitando la prima comunità delle FMA a Mornese, prima di inviare due religiose - secondo la richiesta di don Bosco - scri- veva una lettera confidenziale al suo Direttore spirituale che, nonostante la sempli- cità e anche l’ignoranza delle suore, la casa era ben avviata come istituzione scola- stica, ma per casa religiosa manca molto di regolarità e di mezzi per conservarla”. Che cosa significano queste chiarificazioni a livello metodologico? Che la cul- tura interna di un’organizzazione salesiana ha a che fare con una triplice tensione: 17 P. BRAIDO, Magone Michele: una classica esperienza educativa , SEI, Torino 1965, p. 172. 358 1. Il rapporto, da non sciogliere in favore di una delle polarità, tra educazione ed evangelizzazione18. 2. Il rapporto tra vita di cortile e scuola, in altre parole tra didattico ed extradi- dattico. 3. Il rapporto tra comunità educativa e comunità religiosa: le comunità salesiane sono nate prima come comunità educative e successivamente si sono struttu- rate come comunità religiose. Pertanto, la comunità educativa, anche nella scuola e negli enti di formazione, è prioritaria e precomanda la strutturazione della comunità religiosa e la consacrazione è in funzione della missione. La comunità religiosa proviene, come nucleo, da una comunità educativa. La co- munità educativa comprendeva fin dall’inizio sia i titolari del servizio educa- tivo (opera e docenti esterni) sia i titolari del diritto all’educazione (genitori e giovani). La consacrazione religiosa sarà in funzione della missione. 18 Per una breve presentazione di questo rapporto rimandiamo al contributo citato di R. Tonelli, al paragrafo dal titolo: Il problema: tra educazione e evangelizzazione . EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE Primo esercizio Dopo aver letto attentamente il paragrafo: DON BOSCO, LE SCUOLE E I CENTRI DI FORMAZIONE PROFESSIONALE, prova ad riflettere sulla realtà in cui tu operi. Quali caratteristiche tra quelle elencate nel suddetto paragrafo ritrovi come do- tazione culturale della realtà educativa in cui tu operi? Quali caratteristiche sono invece assenti? Secondo esercizio Rileggi attentamente i livelli di analisi delle culture organizzative proposti da Schein (artefatti, valori, assunti di base). In riferimento al tuo contesto di prove- nienza, prova ad indicare tre esempi di indicatori per ognuno dei tre livelli di analisi: ARTEFATTI • • VALORI • • ASSUNTI DI BASE • • 359 Modulo 2: SOGGETTIVITÀ E ORGANIZZAZIONE GIUSEPPE TACCONI Le difficoltà più comuni che si possono riscontrare all’interno di contesti isti- tuzionali, come ad esempio un Centro di Formazione Professionale, possono es- sere interpretate riconducendole al desiderio comune a qualsiasi professionista di poter armonizzare le esigenze personali con le esigenze istituzionali. La possibilità di condividere idee e rappresentazioni in merito al significato di ciò che si fa, il bisogno di ricevere ed offrire riconoscimento e di progredire uma- namente e professionalmente sono elementi che incidono sulla qualità della vita dentro un CFP. Il modulo si propone di aiutare a leggere le dinamiche organizzative dal punto di vista della soggettività del formatore, evidenziando i modi più diffusi di rappre- sentarsi l’ambiente in cui lavora, i bisogni e le istanze che occorre considerare per favorire processi di sviluppo personale e comunitario. 361 PRIMA LEZIONE RAPPRESENTARSI L’ORGANIZZAZIONE OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ descrivere le caratteristiche della visione mono-oculare e della visione pluridimensionale di organizzazione; ❏ indicare come contribuire a costruire rappresentazioni condivise della propria organizza- zione. 1. ORGANIZZAZIONE E RAPPRESENTAZIONE Conoscere le teorie più diffuse circa i fenomeni organizzativi è solo il primo passo verso il cambiamento organizzativo. Mentre infatti cerchiamo di compren- dere le caratteristiche principali dell’approccio razionale, naturale e sistemico, nes- suno di noi può negare di avere già una sua idea molto precisa di organizzazione, costruita attraverso l’esperienza quotidiana, quello che fa, i rapporti che instaura con gli altri, la sua collocazione nel sistema. Spesso manifestiamo questa idea at- traverso metafore. Nella prima lezione del primo modulo abbiamo generato alcune di queste metafore. F.O. Manoukian, nel suo Conoscere l’organizzazione, ne pro- pone altre: - “questo posto è il cimitero degli elefanti”; - “siamo all’asilo infantile”; - “siamo come formichine che continuano ad agitarsi in un grande formicaio: ognuno va giù e su, avanti e indietro, fa una grande fatica a portare i suoi chicchi dalla mattina alla sera e non si ferma mai; una formichina non può avere sott’occhio tutto il formicaio, fa il suo lavoro e basta”; - “questa comunità è come una vecchia signora piena di rughe”; - “qui siamo come un treno che corre su una rotaia: sa che la rotaia è sbagliata, ma per cambiarla bisognerebbe fermare il treno, e nessuno ha il coraggio di farlo, anche se tanti tirano l’allarme;” - “lavorare qui è come stare sotto i bombardamenti: puoi ritornare alla mattina e non trovare più la stanza e la scrivania”1. 1 F.O. MANOUKIAN , Conoscere l’organizzazione, op. cit., p. 42. 362 Ognuno possiede la sua rappresentazione dell’organizzazione in cui è inserito. Questa consapevolezza è molto importante perché, nel momento in cui una comu- nità educativa vuole cambiare qualcosa al suo interno, deve portare prima di tutto alla luce del giorno quello che si sa già o dice di conoscere già dell’organizza- zione. Non c’è dubbio che si tratta sempre di semplificazioni (l’idea che ognuno di noi ha dell’organizzazione in cui è inserito è sempre una semplificazione rispetto alla complessità della realtà) ma spesso corriamo il rischio di tralasciare queste rappresentazioni (che sono invece i presupposti da cui partire) perché ritenute er- ronee, parziali, immotivate. Quando si parla di organizzazione, in vista di un cambiamento, è dunque im- portante partire da chi la vive, la conosce dall’interno, e non parla per sentito dire ma svolge dei ruoli, ha responsabilità e può offrire dati empirici. Le idee che gli in- dividui hanno dell’organizzazione in cui sono inseriti sono fondamentalmente di due tipi: mono-oculari e pluri-dimensionali. 2. LA VISIONE MONO-OCULARE Chi possiede una visione mono-oculare dell’organizzazione vive con un certo fastidio e diffidenza l’ambiguità che si può verificare in certe situazioni, l’esistenza di più variabili che non sempre possono essere tenute sotto controllo, gli intoppi. Si può riconoscere ancora meglio un atteggiamento di resistenza verso il plura- lismo, perché l’articolazione stessa dell’organizzazione, necessaria per il suo fun- zionamento, è vista come non intrinseca alla vita del sistema, e gli elementi di arti- colazione sono considerati più delle sovrastrutture che elementi validi in sé. Ci sono persone, spesso sono coloro che assumono ruoli dirigenziali, che non negano la validità di una struttura articolata all’interno della comunità educativa, ad esempio formata da commissioni, gruppi di lavoro, équipe di progettazione, aree, uffici, ma tutti questi elementi vengono classificati entro la propria visione mai messa in discussione. Ad esempio, può capitare che chi dirige non può evitare di delegare le decisioni o di rendere più democratica la partecipazione attraverso il principio della corresponsabilità, ma queste azioni o sono percepite come conces- sioni, o non incrinano minimamente l’idea di organizzazione sedimentata da tempo, per cui, nonostante i cambiamenti organizzativi, la logica di fondo rimane sempre la stessa (“siamo una grande famiglia”, “chi comanda sono io”, “organiz- zare è permettere l’applicazione della mia volontà”…). Chi non ha mai fatto l’esperienza di parlare con qualcuno del proprio CFP, avendo la sensazione che la sua idea di organizzazione è come un blocco di ce- mento, intaccabile, talmente forte da fare un tutt’uno con la sua identità lavorativa, professionale o personale? In questi casi, chi possiede un’idea mono-oculare così rigida e fissa, non è nemmeno in grado di pensare ad essa, di analizzarla. L’impres- sione a volte, è di parlare con il muro, o di parlare con chi minimizza, banalizza, non capisce perché non ascolta. Più che mai in questo periodo, in cui si assiste ad 363 un’evoluzione verso assetti meno verticistici e meccanicistici nell’organizzare, ci si scontra con visioni cementificate. È interessante notare come queste tipologie di persone non sono contrarie al cambiamento, sono in grado di appassionarsi a nuove idee, a nuovi modelli orga- nizzativi, riconoscono la validità di nuove impostazioni, sono in definitiva disposti a cambiare idea ma non l’attaccamento alla propria idea. Se si deve cambiare, è per qualcosa di certo, non solo, ma per qualcosa di cui io devo essere certo! Alla base c’è un bisogno di sicurezza molto forte, ed anche una certa sfiducia nelle capacità degli altri, dei collaboratori, che potrebbe derivare da una iper-valutazione dell’’immagine di sé (per cui, “è giusto che voi partecipiate e facciate, ma se potessi farlo io, lo farei meglio”; oppure: “finchè posso faccio io, là dove io non posso arrivare, fate voi, ma se potessi, farei io, che faccio meglio”; oppure: “fate voi, che è giusto, ma poi fatemi vedere”…). Molto spesso, chi ha una visione mono-oculare tende a percepire il cambia- mento come una minaccia alla propria persona, e come un giudizio negativo che gli si dà, spesso anche di ordine morale. Accade così che nelle discussioni si senta sempre criticato, quando invece si sta parlando di tutt’altro. In questi casi è diffici- lissimo giungere a decisioni serenamente, a causa di questo processo di personaliz- zazione per cui occorre sempre rassicurare che nessuno c’è l’ha con lui o con lei, che non si voleva esprimere un giudizio sulla persona ma sui fatti, ecc. (l’esempio più chiaro è quando si richiede maggior qualità del flusso di informazioni: ”Sono sempre stato benevolente e aperto nei confronti di tutti, è ingiusto quello che dite…. e poi, sembra che comunicare adesso significhi mettere tutti al corrente di tutto, e siamo sicuri che farete buon uso delle informazioni?”). Un’ultima annotazione: vi sono alcuni individui che tendenzialmente sono più portati ad avere una visione mono-oculare rispetto ad altri: sono i pilastri delle or- ganizzazioni che garantiscono stabilità e continuità ai sistemi. Questa visione è però anche presente in coloro che svolgono ruoli di grande impatto sul piano ope- rativo. Di solito è chi ha il potere di far coincidere il “dire”, o lo “scrivere”, con la realizzazione di ciò che è scritto o detto. 3. LA VISIONE PLURIDIMENSIONALE All’interno di ogni comunità, c’è anche chi è disponibile a ricercare modelli organizzativi che rendano sempre più coerente la propria idea di organizzazione. Avere una visione multidimensionale non significa accettare il disordine e la con- fusione, neppure mettersi sulla strada dell’innovazione senza un margine di sicu- rezza o senza sapere dove si andrà a finire. Significa invece, valorizzando il prin- cipio di razionalità, essere in grado di interpretare le situazioni per garantire ad esse un senso all’interno di una più ampia configurazione. Per fare questo, occorre puntare sulla qualità dei metodi con cui i problemi vengono affrontati, sulla chia- rezza delle soluzioni rintracciate. 364 Di solito, possiede una visione multidimensionale colui che assume un ruolo formativo, di sviluppo, di organizzazione, chi cioè ha il compito di pensare la co- munità educativa più di ogni altro. Queste persone lavorano su tempi lunghi, e non possono verificare il loro lavoro in termini di produttività, anzi sono coloro che spesso vengono accusati di non fare niente, solo perché quello che fanno non si vede. È un approccio, quello multidimensionale, affascinante, ma anche rischioso perché sul piano operativo può risultare penoso, frustrante. Infatti spesso ci si ac- corge che “i problemi non finiscono mai”, e che allora significa “andare avanti al- l’infinito”. Assumere una logica di complessità porta a volte le persone a sentirsi come schiacciate dall’irrompere di sempre nuove sfaccettature del medesimo problema, e si ha l’impressione di arenarsi solo perché non si riesce a valorizzare ciò che si è acquisito in termini di conoscenza. “È azione quella che non è finalizzata all’a- zione?” sembrerebbero dire quelli che puntano il dito verso una concezione com- plessa, multidimensionale ai probemi organizzativi (come se preparare il terreno fosse un’operazione insufficiente, o troppo debole ). 4. VERSO UNA RAPPRESENTAZIONE CONDIVISA DELL’ORGANIZZARE Premesso che non può esistere un’idea di organizzazione valida assoluta- mente, è però anche vero che è possibile giungere ad una rappresentazione collet- tiva, opportunamente negoziata in merito all’organizzazione che sia compatibile, o ancor, meglio, sostenibile per un CFP. Ciascuno di noi è “portatore sano” di una sua idea di opera, di comunità edu- cativa, di CFP. Queste idee influenzano i processi organizzativi. Infatti, i processi e le relazioni all’interno di un CFP sono anche processi di conoscenza, hanno a che fare con il pensiero. Spesso però, constatiamo di usare le stesse parole senza attri- buire alle stesse parole gli stessi significati. La presenza di più culture, di molteplici visioni dell’organizzazione, se tali vi- sioni vengono messe in dialogo tra loro – anche se, anzi forse proprio per il fatto che, si tratta di culture differenti –, è potenzialmente arricchente e generatrice di novità. Si tratta allora di prendere consapevolezza che anche pensando si costruisce comunità educativa, che le idee che informano le nostre azioni non vanno lasciate allo stato latente ma vanno esplicitate. Infatti, se l’organizzazione è pensiero, allora è pensando insieme, negoziando significati, che si costruisce organizzazione. In molte opere c’è invece una sorta di anoressia cognitiva (rigetto di cibi co- gnitivi, rifiuto di ciò che si propone). C’è anche qualche caso di bulimia cognitiva (“non ne possiamo più”), perché si è proceduto secondo una logica di accumulo e non di originale ricomposizione. 365 Possiamo tentare di disegnare un percorso operativo che • parta dall’emersione delle rappresentazioni esistenti, dall’esplicitazione dei si- gnificati, • permetta di costruire una negoziazione di significati sull’opera che porti ad un’idea condivisa di opera, • produca rappresentazioni positive (l’opera, il CFP che vorrei…), • lasci aperte le contraddizioni e le polarità come fattore produttivo, • permetta di cogliere come le diverse posizioni possano proficuamente convi- vere. Sarà così possibile attivare un’organizzazione ecologica, in cui la tensione a costruire significati comuni garantisce al tempo stesso spazio alle differenze. In questo sforzo, ogni approdo sarà provvisorio ma costruirà già organizzazione. EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE Test sulla qualità dell’ambiente educativo Ti presentiamo un semplice strumento per far emergere le rappresentazioni dei soggetti in relazione alla propria organizzazione di appartenenza. Valuta quanto, se- condo te, sono presenti nel tuo ambiente educativo i comportamenti indicati nel test. 366 367 SECONDA LEZIONE RETI DI SUPPORTO NELL’ORGANIZZAZIONE MICHELE VISENTIN OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ descrivere le caratteristiche di una rete sociale e di un supporto sociale; ❏ definire il concetto di empowerment organizzativo e formativo; ❏ individuare aree di approfondimento personale. 1. RETE SOCIALE COME SISTEMA DI COMUNICAZIONE Le difficoltà più comuni che si possono riscontrare all’interno di contesti isti- tuzionali, come ad esempio un Centro di Formazione Professionale, possono es- sere interpretate inserendole dentro un problema più ampio: quello della rete di rapporti interpersonali e della possibilità e della qualità di comunicazione. Per af- frontare questo argomento potrebbe risultare utile alla comunità educativa recupe- rare i concetti di: • rete sociale • supporto sociale Rete sociale Un’immagine ci può aiutare: la rete sociale può essere paragonata alla rete fer- roviaria di un paese. È più o meno estesa e articolata. Ciò influenza la funzionalità della rete ed il numero di treni che la percorrono. Dentro la rete vi sono: 1. linee principali (rapporti istituzionali, rispetto dei ruoli, funzioni…) 2. stazioni di transito (gruppi, persone, commissioni, …) 3. nodi per le informazioni (momenti formativi, formali e informali) 4. stazioni di testa (direttore, dirigenti…) 5. punti di arrivo e di partenza della comunicazione. Ora, la rete, più o meno estesa, ci dice la complessità del sistema di comunica- zione, le possibilità di comunicazione, ma non che cosa ci si dice. La rete cioè si può misurare, ma deve essere solo un punto di partenza. 368 Lasciamo a voi il compito di trasferire l’immagine della rete ferroviaria alla vostra Comunità educativa di appartenenza, ricordandovi che si tratta della strut- tura che permette ad ogni formatore di entrare in comunicazione con gli altri. Un primo interrogativo che ci poniamo allora è questo: se ci immaginassimo i canali di comunicazione che caratterizzano i nostri rapporti (dentro il CFP, tra il CFP e la comunità religiosa salesiana, tra CFP e altre istituzioni…) risulterebbe una rete articolata? E dove ci collocheremmo noi? Ci percepiamo come stazione di transito, di testa, nodo per le informazioni...? Supporto sociale Una cosa però è la rete, un’altra sono i treni che la percorrono. Essi traspor- tano persone, informazioni, con tempi e velocità diversi. Si chiama supporto so- ciale l’insieme di questi treni. Come si esprime un formatore all’interno della propria comunità? È occa- sione di ingorgo, promuove, dà speranza, dà sicurezza, stimola? Si può misurare il supporto considerando ciò che corre nella relazione e quanto essa è frequente. Se, ad esempio, da una stazione-persona partono con mag- giore frequenza treni, è interessante paragonarla ad una altra stazione-persona che è invece spesso punto di arrivo. Le persone che viaggiano sui treni hanno la possibilità di utilizzare itinerari diversi all’interno della rete. Qualcuno è ai margini e riceve pochissime informa- zioni, ma è in grado di attivarsi comunque per svolgere una funzione di supporto; qualcun altro riceve molte informazioni ma non è percepito come nodo significa- tivo. Che cos’è dunque una rete sociale? È uno specifico insieme di legami fra at- tori sociali. Che cos’è il supporto sociale? L’insieme di informazioni che portano una per- sona a sentirsi amata, stimata e valutata, e ad appartenere ad una rete di comunica- zioni e vincoli scambievoli. Che cosa significa essere supporto alla costruzione di reti? Essere supporto implica porsi come presenza che fluidifica la comunicazione, la facilita e agevola l’accesso alle risorse necessarie per integrare bisogni e desideri. Il problema di oggi è l’accesso alle risorse. Ci sono tre aspetti che vanno considerati: • la competenza del formatore nella relazione con colleghi che svolgono una funzione educativa; • lo scambio di risorse; • i vincoli presenti nella situazione di contesto. Se il Centro di Formazione Professionale aumentasse la capacità di sapersi rappresentare la sua vita interna a partire dalla qualità delle comunicazioni inter- personali, riceverebbe molte informazioni sul suo stato di salute. 369 Non è forse vero che il disagio dipende dalla poca chiarezza con cui, a volte, ci si pone, o dalla impossibilità di far giungere informazioni su “come si sta” per la mancanza di “treni” o addirittura di “linee ferroviarie”? Bisognerebbe incamminarsi verso un approccio sistemico nel concepire reti e supporti, puntando ad aumentare il supporto verso tutti coloro che sono coinvolti, a diverso titolo, nell’azione educativa, perché questo avrebbe una ricaduta positiva sul clima comunitario. Se alcuni formatori percepiscono (e la percezione è sempre, in questi casi, soggettiva) che le loro risorse sono minacciate, si può creare una situazione di stress psicologico. Una risorsa, in questi casi, è qualcosa che l’individuo cerca di ottenere, di trattenere o di proteggere perché la considera un valore per sé. Si possono creare, in una comunità educativa, degli eventi - perturbatori delle risorse, per cui una persona sente che le viene a mancare ciò che considera fonda- mentale per il suo benessere. 2. I FILTRI (gatekeepers) CHE PERMETTONO LA TRASLAZIONE DELLE RISORSE Se un Formatore si trova ad esprimere un’esigenza rispetto ad un valore che ritiene importante, (il riconoscimento di una sua competenza professionale, il ri- spetto della sua autonomia decisionale, la necessità di sentirsi responsabile di qual- cosa, il non dover sempre giustificarsi dopo aver fatto una scelta di un certo tipo, la necessità che gli sia accordata fiducia incondizionata…), i meccanismi di acquisi- zione di queste informazioni sono vissuti come sbarramento o come promozione? In altre parole: la comunità possiede necessariamente dei custodi di cancelli (dei filtri) che definiscono i limiti cui deve sottostare una persona e le opportunità che le vengono offerte. • È importante chiedersi fino a che punto la richiesta non prevista di accedere ad una risorsa ha la possibilità di essere soddisfatta e come gli individui percepi- scono il grado di impermeabilità del cancello o del filtro che stabilisce i limiti entro cui doversi muoversi. • È custode di cancello anche il Direttore, il responsabile di settore… e chiunque abbia il potere di condizionare il rapporto tra esigenze soggettive ed esigenze dell’istituzione. 3. ESERCITARE UN CONTROLLO RISPETTO ALLA PROPRIA PROGETTUALITÀ È ormai opinione diffusa che ogni comunità deve maturare in relazione ai meccanismi di depauperamento, di riconoscimento e attivazione di tutte quelle ri- sorse che potenziano le persone, garantendo loro il controllo sulle loro condizioni di vita. Il concetto chiave che va approfondito è dunque quello di Empowerment . 370 L’attenzione del Centro di Formazione Professionale all’elaborazione di iden- tità mature e i supporti psicologici offerti agli allievi lungo questi anni hanno avuto il grande merito di intervenire sugli individui a livello di autostima, motivazione, conoscenza di sé, incremento delle competenze professionali, ecc. Questa atten- zione che ha segnato un’intera stagione formativa, ha manifestato anche un punto di debolezza: lavorare sul particolare, sull’individuale, ha permesso che scivolasse in secondo piano la totalità della persona inserita nel suo contesto di vita. La filo- sofia dell’empowerment si basa sull’idea che l’individuo deve essere formato ad esercitare un controllo, un potere sulle proprie condizioni di vita, fino ad incidere su di esse, e non solo ad acquisire strumenti, spesso psicologici, per starci dentro. Si tratta di due modelli formativi differenti, che vi proponiamo di approfondire nel futuro: • il primo è centrato sull’individuo, il secondo sull’interazione individuo- gruppo-organizzazione-comunità; • il primo migliora alcune caratteristiche individuali, quali il controllo sulla pro- pria vita, l’ottimismo, la speranza, l’autostima, il divertimento, la fiducia, la comunicazione critica e costruttiva; il secondo, pur garantendo questo svi- luppo individuale, presuppone azioni che permettano una base per acquisire consapevolezza del proprio rapporto con il contesto in cui si vive; • il primo è localizzato nel tempo; il secondo è un processo che prevede due fasi: la percezione di una relazione tra il vissuto individuale e le condizioni ambientali e la presa di coscienza delle forze in gioco. Una definizione di empowerment potrebbe essere questa: “L’empowerment è un processo attraverso il quale una persona… prende co- scienza, attraverso azioni concrete, della sua possibilità di esercitare un maggior controllo sulla propria vita e sul contesto sociale in cui è inserita. Questo senti- mento può sfociare in un controllo effettivo ovvero in un sentimento di autoeffi- cacia. Il processo di empowerment ha sovente inizio con una forma di reazione (crisi o rivolta) alle condizioni di vita in cui la persona si trova; questo determina l’ac- quisizione di nuovi vissuti psicologici, che sono alla base dei tentativi, da parte della persona stessa, di influenzare le condizioni ambientali particolari in cui vive” (C. Piccardo, 1996). Un Formatore dunque non deve solo stare bene con se stesso, neppure stare bene con i giovani, ma sentirsi bene perché parte di una Comunità educativa che lo riconosce e verso la quale esercita una funzione efficace. 4. LA FORMAZIONE DEI FORMATORI La riflessione che abbiamo condotto suggerisce di porre al centro di futuri trainings formativi il tema delle abilità relazionali e di approfondire la figura del 371 cosiddetto matchmaker , il moltiplicatore di possibilità (di incontro, di relazione, di apprendimento…). Per questo la formazione dei formatori deve essere tale da ga- rantire competenze relazionali di alto livello. Secondo alcuni studiosi, il vero comunicatore non deve preoccuparsi di ciò che vuol dire, ma delle possibilità di comprensione di chi lo ascolta e della com- prensione del suo vissuto emotivo. In alcune comunità, potrebbero esserci persone incapaci di percepire le cose da più punti di vista, di ristrutturarsi, tali da apparire rigide e dogmatiche. Come perfezionare le capacità umane della comunicazione? La prima area da approfondire potrebbe riferirsi alla capacità che il forma- tore ha di accettare se stesso fino in fondo, riconoscendo i suoi sentimenti e viven- doli come esperienza del proprio esistere. Senza paura e insicurezze, affrontando con libertà ogni situazione personale. Questa competenza porta al riconoscimento dell’altro e alla sua accettazione perché anzitutto abbiamo accettato noi stessi. La seconda area potrebbe concentrarsi sugli stili di comunicazione e cogliere come possibile causa di conflitti nella comunicazione, l’eccessiva generalizzazione o genericità. Un buon comunicatore dovrebbe essere in grado di riconoscere il grado di concretezza dei suoi interventi e richiedere agli altri di fare altrettanto. A volte, la genericità dipende dalla non disponibilità dell’interlocutore ad aprirsi con noi, ma allora il formatore è in grado di cogliere l’indisponibilità dell’altro ad es- sere più chiaro e i motivi di questo comportamento senza forzarlo, anzi accettando il limite di questa comunicazione? La terza area potrebbe abilitare ad un comportamento corretto in presenza di persone che esprimono pareri o posizioni molto diverse dalle nostre. In questi casi, si crea un conflitto tra il dovere essere se stessi e il rispetto che comunque va ac- cordato all’interlocutore. Gli studi in questo campo, dimostrano che di fronte ad una dissonanza cognitiva noi non ci comportiamo sempre allo stesso modo: a volte siamo offensivi, altre volte siamo in grado di esprimere tolleranza ma anche, all’in- terno delle argomentazioni dell’altro, riusciamo ad introdurre informazioni che possono aiutare una riformulazione del problema, più spesso, pur riconoscendo va- lidità all’interlocutore, esprimiamo il nostro dissenso, in altri casi oltre al dissenso esprimiamo anche la certezza che la nostra idea è migliore. La quarta area potrebbe abilitare a rispondere in situazioni in cui chi parla esprime contraddizioni, incoerenze. Spesso, in nome di un non ben identificato spirito di carità, si tace, si minimizza, si giustifica, ma anche a volte si punisce; quasi mai abbiamo la forza di parlare con franchezza manifestando le incon- gruenze dell’interlocutore e chiedendogli cosa effettivamente voglia. 372 Primo esercizio Come suggerito nel primo paragrafo, provi ad applicare la metafora della rete ferroviaria alla Sua comunità educativa di appartenenza. Qual è lo stato di manu- tenzione della rete (linee principali, stazioni di transito, nodi informativi, stazioni di testa, punti di arrivo e di partenza…)? Come si colloca Lei nella rete? Secondo esercizio Ripensando alle aree indicate nel paragrafo quattro e alle competenze che Lei già ritiene di possedere, quali sono gli ambiti in cui sente il bisogno di ottimizzare le sue competenze? Bibliografia BUSSO P., La sfida ecologica del conflitto, in Animazione Sociale 5, 1997, pp. 35-39. COMOGLIO M., Abilitare l’animazione, LDC, Torino 1989. FESTINGER L., La dissonanza cognitiva (1957), tr. it. Angeli, Milano 1973. MANETTI M., Sistemi di protezione e acquisizione di risorse per l’individuo nella comunità , in: Ani- mazione sociale, 10, 1995, pp. 44-52. MARTINI E, Il lavoro nella comunità, NIS, Roma 1988. PICCARDO C., Empowerment. Strategie di sviluppo organizzativo centrate sulla persona, Cortina, Mi- lano 1995. EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE 373 TERZA LEZIONE PROGETTUALITÀ PERSONALE E POTERE NELL’ORGANIZZAZIONE GIUSEPPE TACCONI OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ inquadrare la questione del potere nel quadro delle variabili di ruolo che caratterizzano un’organizzazione; ❏ elencare alcuni requisiti di una leadership autorevole. ATTUALITÀ DI UNA RIFLESSIONE SULL ’ESERCIZIO DEL POTERE Forse il tema del potere e dell’autorità, così intimamente legati alla storia per- sonale di ciascuno, ai modelli di paternità che abbiamo interiorizzato e alle espe- rienze di lavoro, genera un certo pudore che impedisce a volte di esplicitare con franchezza le proprie tensioni, paure, ma anche i propri desideri e aspettative. Forse è per questo che una seria riflessione sull’esercizio del potere difficilmente è presente nei piani formativi per formatori. Ci proponiamo, con l’ausilio di contributi che ci vengono offerti dal filone di ricerca nel campo della progettazione dialogica, di offrire qualche spunto per co- struire una mappa utile in questo senso. Innanzitutto va osservato che il discorso sul potere o sull’autorità non riguarda solo chi copre incarichi di responsabilità. La questione del potere infatti è iscritta nelle persone, nei ruoli e nelle relazioni interpersonali. Come un direttore di CFP esercita il suo potere non dipende solo dalle sue caratteristiche di personalità ma anche da come il suo ruolo viene percepito dagli altri. In un CFP inoltre il potere dovrebbe essere diffuso, cioè tutti dovrebbero essere chiamati ad appropriarsi di spazi di soggettività e a trovare spazi di esercizio del potere. Esercitare potere non è comunque così semplice, e tantomeno lo è relazionarsi con chi ha potere. Entrano in gioco fantasmi e fantasie, aspetti affettivi che non sempre riusciamo a controllare. Nella maggioranza dei casi, ciò che sentiamo è contraddittorio: desideriamo un’autorità forte, ci lamentiamo perché siamo mal ge- stiti, ma quando ci troviamo dentro un Centro guidato con fermezza e sicurezza, ci sentiamo ingabbiati per mancanza di spazio. 374 IL POTERE COME VARIABILE ORGANIZZATIVA Le variabili organizzative sono moltissime e interdipendenti (variabili organiz- zative, culturali, psicologiche…). Tra le diverse variabili, ci sono anche le cosid- dette variabili di ruolo e, tra queste, la variabile “potere” è una delle più impor- tanti. Innanzitutto, sono necessarie alcune chiarificazioni terminologiche: Mansione insieme dei compiti Qualifica termine giuridico contrattuale; corrisponde ad un insieme di mansioni Posizione situazione che un soggetto occupa all’interno di una struttura Ruolo comportamenti, compiti tipici e aspettative nei confronti di chi svolge quei compiti o occupa quella posizione (il ruolo esiste sempre in rela- zione ad altri ruoli). Esistono ruoli formali (es: direttore di CFP, padre e madre in una famiglia...) e ruoli informali (ad es.: il capro espiatorio, chi si accolla tutto, chi entra nel gioco relazionale imperatore - suddito...). Parlando di potere, è utile innanzitutto distinguere tra il ruolo di capo e quello di leader. Il capo occupa un posto formale, il leader è titolare di un potere infor- male, è colui che esercita maggior influenza. Non sempre le due figure coincidono. Anche nei CFP, ci sono direttori che corrono il rischio di occupare una posizione di potere senza riuscire ad esercitare effettivamente potere. Chiunque esercita un ruolo è portatore di determinati bisogni. Un bisogno par- ticolare è quello di potere e tale bisogno è presente in tutti, anche se in quantità di- verse. Si tratta in realtà di un bisogno vitale, dell’esigenza di lasciare un segno di noi nella realtà, di sentire che possiamo influire sul corso degli eventi. Il bisogno di potere è dunque una grande forza di vita. Se questo bisogno, in sé positivo, cresce in modo incontrollato, può trasfor- marsi in bisogno di assoggettare e di dominare l’altro, nell’esigenza di controllo e di manipolazione dell’altro, nel bisogno di cercare qualcuno su cui esercitare il proprio potere. In questo caso, il potere, da forza positiva, si trasforma in elemento negativo e distruttivo. L’importante è comprendere che ogni relazione affettiva implica anche una re- lazione di potere che va equilibrata. Ci sono diverse tipologie di potere: 375 Questi diversi tipi di potere possono essere abbinati oppure scissi. L’impor- tante è che ciascuno sappia valutare le proprie aree di potere. IL POTERE DEL FORMATORE In un contesto formativo, il formatore si trova ad esercitare potere non solo in relazione ai soggetti in formazione, ma anche in relazione ai colleghi e agli altri ruoli. Ma è in particolare nei confronti dei soggetti in formazione che egli è chia- mato ad assumere i tratti del leader autorevole1. È questo il suo modo specifico di “esercitare potere”. Il potere autentico non è infatti un potere che ristagna, che si ferma in un soggetto, ma un potere che passa, che “potenzia” i soggetti nei con- fronti dei quali viene esercitato. Quali sono gli strumenti che il formatore ha a sua disposizione per essere leader autorevole, guida all’apprendimento, che sa incoraggiare i soggetti a riflet- tere, scoprire, sperimentare, costruire… e contribuisce così alla costruzione di un ambiente che apprende? Gli strumenti a disposizione del formatore sono essenzialmente: - l’ascolto - la comprensione - il coinvolgimento Per il formatore, esercitare un potere che potenzi significa soprattutto prestare attenzione all’ascolto e “...accettare su un piano emozionale profondo che chi ap- prende abbia un suo punto di vista sulla realtà che lo riguarda e che l’attività edu- cativa riflette; e che tale punto di vista sia rilevante”2. Questo configura il forma- tore come un “ermeneuta” del gruppo in apprendimento, nel senso di colui che è capace di dare spazio alle parole (ai testi), attraverso cui si esprimono l’esperienza, le rappresentazioni e le emozioni dei soggetti in formazione, e di stimolare un’in- terrogazione sulle parole che produca senso. Il formatore è cioè chiamato a suppor- tare i soggetti in formazione nell’elaborazione personale e comunitaria della loro esperienza. Infine, Giuditta Alessandrini, rifacendosi a David Luther, riporta alcuni altri requisiti di base che una leadership dovrebbe acquisire per contribuire all’appren- dimento dei singoli e dell’organizzazione: 1 Sulle competenze relazionali necessarie per una leadership autorevole, attenta alle dimensioni dell’ascolto, cfr.: BECCIU MARIO, COLASANTI ANNA RITA, La leadership autorevole. La conduzione dei gruppi di lavoro, NIS, Roma 1997. 2 VARCHETTA GIUSEPPE, La conformazione di un mestiere: spunti , in: FORTI Dario (a cura di), Orizzonte formazione. L’apprendere nelle organizzazioni degli anni ‘9 0 , Franco Angeli, Milano 1991, p. 65. 376 - la capacità di creare un ambiente che affermi l’importanza dell’apprendi- mento, - la pazienza di apprendere nel cambiamento e nel caos, - la capacità di tollerare gli errori, - la capacità di coinvolgere tutti nell’assumere responsabilità3. 3 Cfr.: ALESSANDRINI GIUDITTA, Manuale per l’esperto dei processi formativi, Carocci, Roma 1998, p. 140. EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE Prova a rispondere alle seguenti domande: - Quali sono, in relazione al potere, le dinamiche più frequenti che riscontri nel tuo CFP? Puoi anche narrare degli episodi concreti che ritieni significativi sul versante di un esercizio efficace o non efficace del potere. - Come definiresti il tuo rapporto con chi, all’interno del tuo CFP, esercita la re- sponsabilità direttiva? - Quali sono, per quanto riguarda il tuo ruolo di formatore, gli spazi in cui tu senti di esercitare potere? Quali le risorse a cui puoi attingere? Quali i vincoli con cui devi fare i conti? Bibliografia ALESSANDRINI GIUDITTA, Manuale per l’esperto dei processi formativi, Carocci, Roma 1998. AVALLONE FRANCESCO, Psicologia del lavoro. Storia, modelli, applicazioni, Carocci, Roma 1994. BECCIU MARIO - COLASANTI ANNA RITA, La leadership autorevole. La conduzione dei gruppi di la- voro, NIS, Roma 1997. SPALTRO ENZO - DE VITO PISCICELLI PAOLA, Psicologia per le organizzazioni. Teoria e pratica del comportamento organizzativo, NIS, Roma 1990. 377 Modulo 3: L’AUTOSVILUPPO NELLE ORGANIZZAZIONI GIUSEPPE TACCONI Il tema dello sviluppo delle organizzazioni della FP è un tema cruciale, in un tempo in cui siamo travolti dai processi di cambiamento e di integrazione dei si- stemi scuola – università – formazione – lavoro, da una parte, e dei sistemi europei della formazione professionale, dall’altra. Per l’autosviluppo delle organizzazioni della FP, diventa strategico il tema delle competenze professionali dei formatori. È per questo che le recenti normative in tema di accreditamento degli organismi di formazione legano intimamente questi due temi. Il modulo cercherà dunque di guidare ad un approfondimento del tema delle competenze professionali (prima lezione), anche suggerendo percorsi di autovalu- tazione delle proprie competenze (seconda lezione); il tutto in una prospettiva che lega il tema della formazione (e delle competenze del formatore) ai temi dell’orga- nizzazione e dell’apprendimento organizzativo (terza lezione). 379 PRIMA LEZIONE COMPETENZE DEL FORMATORE. UN REPERTORIO OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ individuare le fonti a cui attingere per rintracciare dei cataloghi di competenze per il forma- tore professionale; ❏ identificare un repertorio di competenze professionali per il formatore. COMPETENZE PROFESSIONALI DEI FORMATORI Nell’ambito della formazione professionale, è in atto in Italia un processo di integrazione tra i diversi sistemi: scuola, università, formazione professionale e la- voro. Questa integrazione richiede l’individuazione di standard condivisi per la formazione dei formatori e una ridefinizione delle competenze dei formatori pro- fessionali. In questo sforzo di ridefinizione, nodo centrale del dibattito è il concetto di “competenza”. Numerosi sono i provvedimenti legislativi in materia di occupa- zione e formazione, nei quali, in modo esplicito e implicito, si fa riferimento al tema delle competenze come elemento dinamico di progettazione, analisi, sviluppo dei contesti formativi, lavorativi e delle professionalità degli individui (Cfr: “Stan- dard Formatori”, ISFOL, Roma 1998). Molteplici sono anche i contributi su questo tema (cfr.: Le competenze nella formazione: analisi, valutazione, sviluppo , Ed. Efeso 2000). I modelli concettuali e metodologico-operativi ai quali ci si riferisce sono numerosi, per alcuni aspetti “sovrapponibili”, per altri aspetti divergenti. L’emergere dell’approccio delle com- petenze è riconducibile in buona parte a una progressiva perdita di significatività del tradizionale concetto di profilo professionale (inteso staticamente come in- sieme di mansioni e di compiti ben definiti). Nei moderni approcci alle organizza- zioni, l’accento viene posto sui processi, sulle dinamiche che si creano tra le varie funzioni, sul contributo che le molteplici soggettività possono dare allo sviluppo dell’insieme. 380 I REPERTORI DELLE COMPETENZE Il repertorio ISFOL L’indagine realizzata da ISFOL (progetto Standard Formatori) ha identificato e sistematizzato gli standard formativi e le competenze professionali chiave di co- loro che operano nel campo della formazione professionale, al fine di pervenire a un modello dinamico di standard dei formatori quale punto di riferimento per un dispositivo nazionale di formazione finalizzato al miglioramento della qualità delle risorse umane nel comparto dei servizi formativi anche in una logica di integra- zione europea. La ricerca “Standard Formatori”, conclusasi nel ‘98, ha individuato alcune macro-aree di competenza articolate, nel corso del proseguimento della ri- cerca nel ‘99, in termini di singole “unità di competenza” che le costituiscono. Le figure tipo individuate sono: Formatore Tutor, Formatore Docente, Formatore Orientatore, Formatore Progettista. Cfr.: http://www.isfol.it/. Il repertorio AIF L’AIF, Associazione Italiana Formatori, in questi ultimi anni, ha sviluppato uno specifico lavoro di studio e traduzione applicativa, finalizzato alla certifica- zione delle competenze e alla creazione di un codice deontologico condiviso. Anche se il modello si riferisce prevalentemente alla formazione degli adulti e identifica solo alcuni profili (formatore docente, progettista di formazione, respon- sabile di progetto, responsabile di centro/servizio di formazione), può essere utile un confronto. Collegandosi al sito segnalato, è possibile consultare la scheda de- scrittiva del profilo del Formatore docente proposta da AIF: http://www.aifonline.it/set_frame/certificazione/profili.htm . Il repertorio delle competenze dei formatori per l’accreditamento delle strutture Con l’accordo Stato Regioni del 18 febbraio 2000 e il successivo DM 166/2001 in materia di accreditamento delle sedi formative, le competenze degli operatori della formazione diventano elemento necessario ed integrante per l’ac- creditamento degli organismi formativi. Al fine di giungere all’elaborazione di standard nazionali di competenze, ovvero di “livelli di soglia con i quali misurare e valutare l’accettabilità del know how professionale”, vengono individuate dall’al- legato al DM 166 le competenze necessarie per la realizzazione dei compiti profes- sionali relativi alle varie aree operative e in riferimento alle tre macrotipologie for- mative: obbligo di formazione, formazione superiore, formazione continua. Cfr.: http://www.europalavoro.it/leggi/allegato_dm166_01.PDF Il repertorio del CNOS-FAP Anche il CNOS-FAP ha elaborato un suo repertorio di competenze per chi opera nei Centri di formazione professionale della federazione e sta elaborando un 381 documento dal titolo: “Linee guida per un catalogo di formazione degli operatori alla luce del sistema di accreditamento”. Cfr.: www.cnos-fap.it. UNA PROPOSTA DI SINTESI Ci sembra che lo spazio dato alla tematica della «competenza», nel dibattito sulla figura del formatore professionale, rappresenti un richiamo alla qualità della preparazione specifica del formatore e, contemporaneamente, un appello alla pro- fondità esistenziale che è racchiusa in questo tipo di lavoro. In termini generali, per «competenza» si può intendere l’acquisizione di un comportamento complesso, consolidato nel tempo, che si manifesta nella capacità di agire con efficacia in una determinata situazione, sapendo utilizzare al meglio le conoscenze acqui- site ed assumendo atteggiamenti personali adeguati. La competenza, quindi, deve essere pensata, da un lato, come il prodotto di una sintesi personale, in cui si integrano proficuamente conoscenze teoriche, abilità pratiche e atteggiamenti sog- gettivi; dall’altro lato essa appare come un comportamento funzionale allo scopo, osservabile e valutabile dall’esterno. Si parla di competenza anche in riferimento agli obiettivi formativi da pro- porre agli allievi. Ma innanzitutto la competenza è una realtà da acquisire da parte dei formatori. Si possono distinguere tre livelli di competenza: 1. le competenze “tecniche”, cioè di natura disciplinare e docimologica; 2. le competenze “trasversali” (o “metacompetenze”); 3. le competenze “umanistiche”. 1. Sulle competenze tecniche si può far riferimento ai repertori citati sopra. 2. Le cosiddette competenze “trasversali” (o “metacompetenze”) sono ripor- tate nei manuali dedicati ai processi formativi. Giuditta Alessandrini, ad esempio, definisce le «competenze trasversali» come “capacità cognitiva generale a carat- tere riflessivo, che prescinde da specificità di mansioni in contesti di lavoro”1. Poco oltre, ne dà un’ulteriore precisazione: le metacompetenze sono “risorse della persona che agisce in un contesto lavorativo e professionale”2. Alcune metacompe- tenze “sono prevalentemente legate all’asse della persona, altre all’asse delle abi- lità, altre ancora all’asse del contesto di lavoro”. Sette le metacompetenze indivi- duate dall’autrice: - la capacità di autoanalizzarsi, - la capacità di comunicare, 1 G. ALESSANDRINI, Manuale per l’esperto in processi formativi, Roma, ed. Carocci, 1998, pp. 157-158 (il corsivo è dell’autrice). 2 Ibid., p. 168. 382 - la capacità di apprendere ad apprendere, - la capacità di decidere, - la capacità di interagire in rete, - la capacità di progettare, - la capacità di lavorare in gruppo3. 3. Le competenze di natura “umanistica” sono quelle legate all’esperienza della realtà nelle sue tematiche contenutistiche di fondo. Per fare solo un esempio, riportiamo il testo di un autore statunitense, Gardner, che sostiene quanto segue: “…l’educazione deve ruotare attorno a tre componenti estremamente importanti, i cui nomi e la cui storia si perdono nelle tenebre di un passato molto lontano: c’è la sfera della verità, nella quale rientrano anche i corrispettivi negativi del falso e del- l’indeterminabile; quella della bellezza, e della sua assenza dalle esperienze e dagli oggetti brutti o kitsch; e c’è la sfera della morale, ossia di ciò che consideriamo bene e di ciò che consideriamo male”. “Sostengo che un’educazione rivolta a tutti deve esplorare in modo abbastanza approfondito una serie di grandi conquiste umane che si riassumono nella nobile triade di vero, bello e bene”4. Questo ultimo tipo di competenze del formatore professionale disegna il suo compito come im- pegno per una una nuova “paideia”, per la ricerca del vero, del bello e del buono, per l’apertura di “un orizzonte di senso e di valore, entro il quale far liberamente e onestamente discutere”5. I formatori professionali che operano nei CFP salesiani dovrebbero fare di queste competenze una loro caratteristica peculiare, al fine di garantire il più alto livello di qualità, cioè di efficienza e di efficacia al loro impegno educativo. Una competenza che dovrebbe essere oggetto, non solo di realizzazione ma anche di verifica delle prestazioni realizzate. 3 Ibid., pp. 168-169. 4 H. G ARDNER, Sapere per comprendere. Discipline di studio e disciplina della mente, Feltri- nelli, Milano 1999, pp. 12; 15. Gardner afferma che “è importante che una cultura identifichi le ve- rità, le bellezze e le virtù che apprezza, e dedichi tutte le risorse necessarie alla promozione della loro comprensione nei giovani. Alla fine gli individui devono operare le proprie sintesi personali di questi valori e, come spero, anche impegnarsi ad arricchire il proprio mondo di nuovi valori” (p. 260). 55 E. AGAZZI , Paideia, verità, educazione, La Scuola, Brescia 1999, p. 88. 383 Esercizio 1 ➢ Quali sono i processi e le aree di attività che contraddistinguono l’azione del formatore professionale che opera nel contesto dell’obbligo formativo? ➢ Quali sono le competenze necessarie per svolgere adeguatamente ed efficace- mente i compiti specifici individuati? Esercizio 2 A pagina 45 dell’allegato al DM 166 del 2001 (http://www.europalavoro.it/leggi/allegato_dm166_01.PDF ), è possibile scaricare la scheda con la descrizione dei compiti del FORMATORE e delle competenze che questi dovrebbe possedere per svolgere tali compiti. Riflet- tendo sulle sue esperienze e sul repertorio personale di competenze da Lei posse- dute, quali competenze, tra quelle descritte nell’Allegato, le piacerebbe migliorare? Bibliografia E. AGAZZI , Paideia, verità, educazione, La Scuola, Brescia 1999. G. ALESSANDRINI, Manuale per l’esperto in processi formativi, Carocci, Roma 1998. H. G ARDNER, Sapere per comprendere. Discipline di studio e disciplina della mente, Feltrinelli, Mi- lano 1999. EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE 384 SECONDA LEZIONE IL FORMATORE CHE VORREI ESSERE… MICHELE VISENTIN OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ individuare le fasi secondo cui si forma una competenza; ❏ delineare un progetto di sé come formatore/trice. TRA VINCOLI E RISORSE Spesso, i vincoli, soprattutto di carattere istituzionale, rendono molto diffi- cile convergere su un progetto formativo condiviso e trovare spazi formalizzati di confronto. Spesso i formatori hanno l’impressione di essere all’interno di una macchina e che da loro ci si aspetti solo il funzionamento dell’ingranaggio ben oliato. Ma sempre di più, anche gli enti di formazione dovranno fare i conti con for- matori meno “dipendenti” e più soggetti adulti e protagonisti (anche questo per- corso formativo va in quel senso). Gli stessi processi di accreditamento e di certifi- cazione (se non si ridurranno ad operazioni cosmetiche) renderanno i formatori meno strutturalmente deboli, perché le regole dovranno essere più trasparenti a tutti; inoltre, l’esigenza di personale qualificato e capace di continua crescita pro- fessionale farà aumentare gli spazi di autonomia e discrezionalità. È un’onda lunga che sicuramente incontrerà fisiologiche resistenze ma che, a mio parere, è inarre- stabile. Si tratta di costruire con l’Ente di formazione una vera e propria alleanza, il che non vuol dire eliminare contrasti, divergenze e conflitti, ma arrivare ad un patto chiaro all’interno del quale il formatore mette il suo coinvolgimento e il suo investimento anche emotivo in ciò che fa e l’Ente di formazione mette a disposi- zione le condizioni e le risorse per realizzare gli obiettivi comuni. Sono cambia- menti culturali, che non possono essere immediati. Che questo diventi possibile di- pende anche dall’impegno di noi formatori. 385 ORGANIZZAZIONE E SVILUPPO DELLA PERSONA I Centri di Formazione Professionale, come la maggior parte delle organizza- zioni che erogano servizi formativi, per far fronte alle sfide (anche di tipo competi- tivo), hanno ripensato, negli ultimi anni, le proprie caratteristiche, trasformandosi in realtà differenziate, snelle e funzionanti in modo reticolare, con ruoli fluidi e professionalizzati. È cambiata soprattutto la “visione” che l’organizzazione ha dei cosiddetti “di- pendenti”: l’idea classica di tipo piramidale per rappresentarsi il luogo di lavoro è ormai insufficiente, anche per un Centro di Formazione Professionale. I ruoli che il formatore è chiamato a svolgere sono sempre meno di tipo opera- tivo e richiedono invece comportamenti più simili al “professional” che, nei pro- cessi chiave, esprime competenze che incidono sulla qualità dell’organizzazione. Il problema che un formatore si troverà ad affrontare riguarda la possibilità di inserirsi in percorsi di sviluppo personale che migliorino le sue competenze di base, anche se permane una scarsa predisposizione dell’organizzazione ad occu- parsi delle risorse umane che non siano dirigenti o manager. Diventa importante in questi casi far leva sul principio della responsabilità individuale all’auto-sviluppo, all’automotivazione e al protagonismo dei singoli formatori nelle scelte sul proprio apprendimento. SVILUPPO DI COMPETENZE E POTENZIAMENTO PROFESSIONALE Lo sviluppo delle competenze del formatore è conseguenza di un apprendi- mento complesso, in quanto presuppone l’acquisizione di altri elementi, per così dire originari. La competenza in una determinata attività implica infatti: - il possesso di un insieme di «conoscenze», ossia di informazioni teoriche e metodologiche necessarie per comprendere la situazione e per affrontarla in modo adeguato; - il possesso di determinate «abilità», ossia la capacità di eseguire operativa- mente un determinato compito, alla luce delle conoscenze possedute e della presenza nel soggetto di una certa attitudine (o disposizione) a svolgere un determinato tipo di attività; - la costanza operativa nel tempo, attraverso la quale si consolidano sia le cono- scenze possedute e utilizzate, sia le abilità necessarie all’esecuzione dei com- piti; peraltro, è proprio nel tempo che si distende la capacità di pervenire a li- velli sempre più elevati di competenza. La competenza appare in tal modo come un apprendimento di sintesi, quindi come un apprendimento di secondo livello, in cui emerge visibilmente la connes- sione tra conoscenze teoriche e capacità pratiche. La competenza si distingue dalla semplice capacità - abilità o dalla sola cono- scenza per due motivi: 386 - l’abilità, presa da sé sola, senza l’apporto delle conoscenze, può essere del tutto insignificante e quindi improduttiva; lo stesso si può dire per le cono- scenze che, prese da sé sole, possono essere valide ma del tutto astratte e quindi inefficaci dal punto di vista operativo; - l’abilità può essere una capacità acquisita in modo contingente, che poi viene dimenticata per varie ragioni; lo stesso accade per le conoscenze, che vengono dimenticate non appena non servono più. Se la competenza appare come il raggiungimento di un livello di azione più completo, essa dovrebbe portare con sé anche l’aumento dell’interesse nei con- fronti di ciò di cui si diventa competenti, perché tale realtà apparirà sempre più al soggetto come qualcosa con la quale egli può stabilire rapporti sempre più stretti e di interscambio. In questo senso l’acquisizione di competenze da parte del forma- tore fa da presupposto per un rapporto aperto, positivo e produttivo con la realtà organizzativa del Centro di formazione. 387 Esercizio 1 Provi a scegliere, tra quelle elencate di seguito, le dieci competenze che ritiene più significative per un formatore EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE Orientamento al cliente Orientamento/tensione al risultato Persuasività/Influenza Iniziativa Comunicazione Analisi Sensibilità interpersonale Lavoro di gruppo Visione strategica Costruzione di relazioni Flessibilità Leadership autorevole Conoscenza della società Fiducia in se stessi Orientamento all’aggiornamento continuo Perseveranza Ricerca delle informazioni Apertura al confronto Apprendimento Decisione Gestione della professionalità Integrazione Organizzazione Ascolto Efficacia organizzativa Innovazione Negoziazione/gestione conflitti Pianificazione Problem solving Sensibilità organizzativa Assertività Assunzione del rischio Assunzione delle responsabilità Autoanalisi Efficienza Identificazione con l’istituzione Autorganizzazione Autocontrollo Pensiero sistemico Attenzione all’ordine Autonomia/indipendenza Creatività Energia Pragmatismo Trasparenza/integrità Adattabilità Apertura mentale Atteggiamento positivo Controllo Disciplina expertise Gestione dell’incertezza Individuazione delle priorità Intelligenza sociale Monitoraggio del processo Realizzazione Stabilità emotiva Uso dei concetti Le competenze da sviluppare Esercizio 2 Al termine di questo percorso, provi a stendere un progetto personale su di sé: - come ti vedi in quanto formatore/trice? - che formatore/trice vorresti essere? - cerca di delineare alcune azioni concrete che vorresti sperimentare, in un’ottica di miglioramento e di avvicinamento ai tratti del “formatore/trice che vorresti essere”. 388 1 Questo esercizio è liberamente tratto da materiali AIPRE. Esercizio 31 • Nella tabella riportata di seguito annoti i propri punti forti e i propri punti de- boli, in quanto formatore professionale, in relazione alle competenze che ne caratterizzano la figura e che sono state presentate nella lezione 1 di questo modulo. Annoti tutto ciò che le viene in mente, rimandando ad un momento successivo ogni eventuale valutazione. 389 • Nella tabella che segue, annoti alcuni esempi per ogni punto di forza e per ogni punto di debolezza. Qualora non sia stato possibile rintracciare alcun esempio relativo ad un punto di forza o di debolezza li elimini dall’elenco precedente. 390 TERZA LEZIONE L’APPRENDIMENTO ORGANIZZATIVO GIUSEPPE TACCONI OBIETTIVI Al termine della lezione, i lettori saranno in grado di: ❏ interpretare il proprio CFP come “organizzazione che apprende”; ❏ elencare i fattori che contribuiscono l’apprendimento organizzativo nei CFP; ❏ descrivere le caratteristiche che la formazione professionale viene ad assumere nella prospet- tiva dell’apprendimento organizzativo. ANCHE I CFP POSSONO APPRENDERE Nella letteratura sullo sviluppo delle organizzazioni, in particolare nelle con- cezioni organizzative che ricorrono ad un approccio sistemico e aperto, ha assunto, in questi ultimi anni, un grande rilievo il tema dell’apprendimento organizzativo1. Ma in che senso si può affermare che un’organizzazione pensa ed apprende? L’apprendimento organizzativo è sicuramente un processo a molte dimensioni, non è semplicemente un fatto di quantità, non è la somma dei singoli apprendi- menti individuali, ma “...il risultato cumulativo dei processi di interazione delle persone impegnate nella realizzazione degli obiettivi organizzativi”2; è innanzitutto un problema di qualità di pensiero, riguarda l’uso che si fa del pensiero nelle inte- razioni organizzative. Si può dire che, quando l’apprendimento dei singoli soggetti permea i reticoli e le connessioni che costituiscono il tessuto organizzativo, quando la comunicazione attiva uno scambio di conoscenze ai diversi livelli, anche l’orga- nizzazione “apprende” e muta, facendo crescere quel patrimonio collettivo che è la risorsa cognitiva complessivamente disponibile nel tessuto dell’organizzazione. Ma vale anche il principio complementare, secondo cui l’organizzazione permette od ostacola, in ogni caso, condiziona l’apprendimento dei singoli, che è sempre re- 1 Cfr.: DEMETRIO D., FABBRI D., GHERARDI S., Apprendere nelle organizzazioni. Proposte per la crescita cognitiva in età adulta, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1994, pp. 135-144; pp. 155-208. 2 ALESSANDRINI G., Manuale per l’esperto dei processi formativi, Carocci, Roma 1998, p. 127. 391 lativo al contesto in cui avviene, e si rapporta ai singoli, con una sorta di suo “pen- siero autonomo”, che si traduce in un sistema di norme e di valori che si riproduce nel tempo e determina anche ciò che può essere cambiato e ciò che deve invece re- stare identico. Donata Fabbri, in una prospettiva costruttivista, secondo la quale, in certe occasioni, dire o pensare qualcosa significa attribirle già uno ‘status’ d’esi- stenza, sostiene che l’organizzazione pensa, perché noi le attribuiamo questa capa- cità, così come le attribuiamo simboli, riti, miti e metafore: “L’organizzazione pensa... non perché il suo pensiero sia la somma dei nostri pensieri, ma perché noi, indipendentemente dal contenuto dei nostri pensieri, le attribuiamo (spesso senza rendercene conto) la capacità di pensare. L’organizzazione pensa perché dal mo- mento in cui noi le abbiamo attribuito questa capacità, i suoi ‘pensieri’ hanno ac- quisito vita propria, costituendo un sistema di regole, di norme e di valori che sfugge ormai (molto o poco a seconda dei casi) al controllo totale da parte nostra”3. Questo permette di distinguere tra pensiero organizzativo additivo, formato dal pensiero dei membri dell’organizzazione, e pensiero organizzativo autonomo, che assume una consistenza sua propria. L’apprendimento dei soggetti nelle organizzazioni diventa apprendimento or- ganizzativo quando viene trasferito in modalità operative, diventa cultura, si incor- pora nell’organizzazione e viene trasmesso, istituzionalizzato in forme di sapere trasferibili in una rete di rapporti sociali. Anche per i CFP salesiani quello dell’apprendimento organizzativo è oggi un tema di primaria importanza. Si tratta di chiedersi se anche i CFP possono co- struirsi come realtà che apprendono, che incoraggiano l’apprendimento dei singoli e lo trasformano in risorsa comune, che stimolano la condivisione e lo scambio tra i membri dell’organizzazione e la comunicazione con l’esterno. L’apprendimento a cui ci si riferisce non può ovviamente essere costituito solo da nozioni e da saperi, ma dalla capacità di elaborare le più svariate esperienze, di ridefinire le opzioni e gli orientamenti di un gruppo, i suoi criteri di scelta, i suoi investimenti di energie e di immagine. Si tratta di imparare a valorizzare quella sorta di intelligenza che le istituzioni incorporano e riproducono nel tempo, che va ad aggiungersi in dotazione ai beni comuni e accresce il patrimonio conoscitivo dell’intera comunità educativa4. Progettare le comunità educative come “organizzazioni pensanti” permette al- lora di liberare la capacità di innovare e attiva processi di trasformazione, spazi di libertà anche rispetto al proprio agire istituzionale, per superare quelle forme di tradizionalismo che ogni realtà salesiana si trascina dietro, se non altro per la sua lunga storia. 3 DEMETRIO D., FABBRI D., GHERARDI S., Apprendere nelle organizzazioni… , op. cit., pp. 142- 143. 4 Cfr. DONOLO CARLO, L’intelligenza delle istituzioni, Feltrinelli, Milano 1997, pp. 212-232. 392 FATTORI CHE FAVORISCONO L’APPRENDIMENTO ORGANIZZATIVO NEI CFP Possiamo elencare alcuni fattori che favoriscono l’apprendimento organizza- tivo ricavandoli, in buona parte, da Giuditta Alessandrini, nella sua trattazione sulla learning organization5: - l’analisi dell’ambiente, l’acquisizione delle informazioni dall’esterno e la ri- flessione su di esse; - la diffusione delle informazioni, il trasferimento delle conoscenze tra i compo- nenti e la costruzione di interpretazioni e di visioni almeno in parte condivise; - la consapevolezza dei modelli mentali e delle strategie di pensiero che si adot- tano; - la capacità di disimparare e di cambiare i propri modelli mentali; - la consapevolezza della memoria organizzativa, sparsa negli individui, nella cultura, nel modo in cui l’organizzazione si evolve, negli artefatti e nella strut- tura, e la messa in discussione delle routine cognitivo-comportamentali più consolidate per aprirsi al nuovo; - lo sviluppo delle conoscenze individuali e la loro socializzazione; - la capacità di imparare dagli imprevisti, dai propri errori e dall’osservazione delle altre organizzazioni (“Se nessuno commette errori, significa che non si sta tentando di fare nulla di nuovo... Occorre riconoscere che l’insuccesso può essere una grande occasione per imparare...”. Ibid., p. 144.); - la tensione al miglioramento continuo. Il tratto fondamentale dell’apprendimento organizzativo è costituito dalla compresenza di conoscenza e di azione organizzativa: le dinamiche cognitive na- scono e si strutturano sul terreno concreto del ‘fare’ e delle interazioni che costrui- scono l’organizzazione. Infatti, “tra apprendere e agire c’è un continuum, nel senso che si impara agendo. Il conoscere in azione... è il cuore stesso dell’idea di appren- dimento organizzativo”. Ci sono dei luoghi, nella vita di un CFP, in cui l’apprendimento organizzativo può essere particolarmente facilitato. Sono: - le programmazioni, - gli incontri di équipe, - i momenti di negoziazione dei conflitti, - i momenti di verifica, - i momenti di condivisione. Costruire i CFP come organizzazioni che apprendono e che creano sapere si- gnifica configurare le comunità educative come laboratori in cui 5 Cfr.: ALESSANDRINI G., Manuale per l’esperto dei processi formativi..., op. cit., pp. 130-133. 393 - l’apprendimento viene incoraggiato, - a tutti vengono offerte possibilità di autosviluppo e - ognuno si sente responsabile sia per il proprio apprendimento sia per quello degli altri. Prendendo lo spunto da Carlo Donolo6, che ha riflettuto sull’intelligenza delle istituzioni, possiamo concludere affermando che esiste una correlazione o coevolu- zione tra apprendimento organizzativo e apprendimento individuale: le comunità educative sono “intelligenti” (cioè capaci di apprendere) nella misura in cui ren- dono “intelligenti”, cioè mettono i soggetti nella condizione di apprendere e di co- struire interazioni “intelligenti” tra di loro e con il contesto organizzativo e socio- culturale che li circonda. Vale anche il principio secondo cui le “comunità educa- tive” e le istituzioni in genere possono essere “stupide”, se ostacolano il pensiero. In questo caso, si può creare una sorta di fatale circolo vizioso per cui “cattive isti- tuzioni fanno venire cattivi pensieri, e questi ci deprivano delle risorse più indi- spensabili per correggerle”. LA FORMAZIONE PROFESSIONALE NELLA PROSPETTIVA DELL’APPRENDIMENTO OR- GANIZZATIVO La prospettiva dell’apprendimento organizzativo stimola anche un CFP a comprendersi come luogo di apprendimento continuo. Per attuare un passaggio di questo genere bisogna attrezzarsi mentalmente e culturalmente. È vero che la formazione è sempre legata ad un contesto organizzativo, im- plica ipotesi organizzative e le realizza, ma la formazione ha anche una sua natura progettuale, nel senso che, strada facendo, può prefigurare nuovi modelli e orien- tare i percorsi sia alla preparazione dei cambiamenti che alla progettazione dei cambiamenti dell’organizzazione. Questa possibilità di innovazione si apre, da un lato, se la formazione assume una dimensione strategica, di lungo periodo, dal- l’altro, se riesce a muoversi sul terreno della metacognizione, ad aprire spazi di pensiero su come si pensa, su come ci si organizza, sui modelli che si adottano. La prospettiva “meta” non è solo un obiettivo a cui la formazione deve mirare, ma anche un metodo che chi fa formazione è tenuto ad applicare innanzitutto a se stesso, chiedendosi quale tipo di organizzazione sta contribuendo a costruire con l’attività formativa che svolge. La formazione dovrebbe, in particolare, - stimolare, a tutti i livelli, il “superamento di un fare separato dal pensare”7, - intensificare la componente riflessiva connessa all’agire e - promuovere la creazione e la diffusione di conoscenze tra le persone, nello svolgimento delle azioni quotidiane. 6 Cfr.: DONOLO Carlo, L’intelligenza delle istituzioni..., op. cit., p. 218. 7 ALESSANDRINI G., Manuale per l’esperto dei processi formativi..., op. cit., p. 128. 394 Ci si può chiedere quanto le pratiche e le procedure che scandiscono la quoti- dianità di un CFP stimolino ed aiutino i soggetti a pensare e quali spazi si creino, nelle comunità educative, per sviluppare una comprensione collettiva di come ci si sta costruendo come organizzazione. Tutto ciò che si fa, non solo l’aula o il labora- torio, diventa così luogo di formazione e la formazione professionale diventa tale anche attraverso l’organizzazione stessa. L’importante è che tutti i momenti, quelli formali e quelli informali, siano validi ed efficaci per attivare conoscenza e per promuovere la gestione dei cambiamenti. Questo comporta l’esigenza di collegare il più possibile le pratiche formative – anche quelle dei formatori – alla vita nor- male del CFP, di diffondere in essa la possibilità e la voglia di pensare e di far in- tuire che “ne vale la pena”, perché, così, si scopre la possibilità di vedersi in modo nuovo, di prendere coscienza delle proprie peculiarità, di individuare le risorse di cui si dispone, di scoprire nuovi significati. Inoltre, se uno dei fattori di apprendimento è la diffusione delle informazioni, compito della formazione sarà quello di attivare spazi in cui sia possibile far emer- gere e confrontare apertamente le diverse interpretazioni e ricostruzioni attive che i soggetti e i gruppi fanno delle informazioni che ricevono, al fine di individuare al- meno alcune convergenze essenziali e di costruire significati comuni. Un ruolo im- portante della formazione sarà poi quello di far emergere la consapevolezza dei modelli mentali e delle strategie di pensiero, per lo più nascoste, che vengono adottate e che costituiscono le premesse delle azioni, e di interrogarsi sulla loro va- lidità rispetto alle situazioni attuali. Donata Fabbri sottolinea che spesso, nelle organizzazioni – anche in quelle specificamente formative –, il pensare e l’imparare vengono distinti nettamente, si preferisce l’imparare (orientandolo in genere all’eseguire) e si teme il pensare, perché tutto ciò che è soggettivo, diverso, implicito, emotivo – e che pure fa parte di ogni vero apprendimento – fa paura8. La formazione, invece, che ha il compito di far scoprire il piacere di pensare e di capire, dovrebbe configurarsi come “crea- zione di spazi securizzanti,... in cui l’imparare e il pensare possano convivere senza eliminarsi l’un altro e senza provocare troppa paura”. Ripensare la formazione professionale, chiedendosi quale contributo essa possa offrire allo sviluppo e all’apprendimento organizzativo significa passare da un modello formativo esprimibile con la metafora della nutrizione, in cui è centrale il processo di erogazione del cibo, ad un modello descrivibile con la metafora della propagazione del suono, in cui centrali sono il processo di diffusione dello stimolo e la capacità di risonanza del contesto. Il primo è un modello semplice e lineare, il secondo è un modello complesso, di tipo olistico, che sottolinea l’interazione, il ri- ferimento al contesto e l’importanza del feed-back . In questa prospettiva, la forma- zione non è più da considerare solo come una trasmissione di contenuti ma come 8 Cfr.: DEMETRIO D., FABBRI D., GHERARDI S., Apprendere nelle organizzazioni… , op. cit., pp. 136-138; 156-157. 395 attivazione di condizioni per lo sviluppo di processi di propagazione/diffusione di forme di crescita individuale e di gruppo in un contesto che può essere sociale oltre che organizzativo. EEEE SSSS EEEE RRRR CCCC IIII TTTT AAAA ZZZZ IIII OOOO NNNN EEEE Prova ad analizzare il tuo CFP come organizzazione, utilizzando come indica- tori quelli che vengono elencati di seguito come fattori che favoriscono l’apprendi- mento organizzativo Primo fattore: la circolazione delle informazioni + 2 Le informazioni, sia interne che esterne, sono facilmente acquisibili ed ampia- mente diffuse + 1 I flussi di informazione sono quasi sempre fluidi 0 Le informazioni a volte circolano, altre volte si bloccano - 1 Raramente si ha un flusso scorrevole di informazioni - 2 Le informazioni non vengono ricercate e si bloccano Secondo fattore: la consapevolezza dei modelli mentali e delle strategie di pen- siero che si adottano + 2 I soggetti sono consapevoli della memoria organizzativa, dei modelli mentali e delle strategie di pensiero che si adottano, sono disponibili a “disimparare” e a cambiare i propri modelli mentali + 1 Ci si rende conto dei propri modelli mentali consolidati, ma si fatica a cam- biarli 0 A volte ci si rende conto, altre volte si procede per inerzia, senza riflettere - 1 Prevale “quel che si è sempre fatto” - 2 Le routine cognitivo-comportamentali consolidate non vengono mai messe in discussione e ci si chiude sistematicamente al nuovo Terzo fattore: lo sviluppo e la socializzazione delle conoscenze individuali + 2 Le conoscenze individuali vengono incoraggiate, sviluppate e trasferite tra i componenti dell’organizzazione in modo che diventino patrimonio di tutti; ci si sforza di costruire interpretazioni e visioni almeno in parte condivise + 1 Le conoscenze individuali vengono quasi sempre socializzate 0 - 1 Quasi sempre ci si disinteressa delle conoscenze acquisite dagli altri - 2 A nessuno importa ciò che sanno o apprendono gli altri 396 Quarto fattore: la capacità di imparare dagli imprevisti e dai propri errori + 2 Si riesce ad imparare dagli imprevisti, dai propri errori e dall’osservazione delle altre organizzazioni + 1 Quasi sempre gli imprevisti e gli errori si trasformano in occasioni di appren- dimento 0 A volte si impara dai propri errori - 1 L’insuccesso non è quasi mai visto come un’occasione di apprendimento - 2 L’imprevisto è visto sempre come un ostacolo da sormontare e non si tenta niente di nuovo Quinto fattore: la tensione al miglioramento continuo + 2 La tensione al miglioramento è continua e diffusa + 1 Si cerca di migliorare, per quanto possibile 0 A volte si tenta qualche miglioramento, ma senza grande convinzione - 1 Prevale quasi sempre la gestione dell’esistente - 2 Non ci si preoccupa mai di migliorare Scrivi alcune osservazioni di sintesi sul tuo CFP come organizzazione che ap- prende. Bibliografia ALESSANDRINI GIUDITTA, Manuale per l’esperto dei processi formativi, Carocci, Roma 1998. DEMETRIO DUCCIO, FABBRI DONATA, GHERARDI SILVIA, Apprendere nelle organizzazioni. Proposte per la crescita cognitiva in età adulta, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1994. DONOLO CARLO, L’intelligenza delle istituzioni, Feltrinelli, Milano 1997. LANZARA GIOVAN FRANCESCO, Capacità negativa. Competenza progettuale e modelli di intervento nelle organizzazioni, Il Mulino, Bologna 1993. 397 CONCLUSIONE DANIELE LORO PREMESSA Al termine del corso di formazione appare doverosa una sosta per riflettere sul senso complessivo di quanto è stato fatto. Può trattarsi di una riflessione di natura essenzialmente pedagogica, in grado cioè di individuare le ragioni per le quali ciò che si è fatto può contribuire ad aumentare il livello delle competenze, individuali e collettive e, così facendo, alimentare un’ulteriore opportunità di crescita nei for- matori, anzitutto, e indirettamente anche negli utenti dei CFP. La riflessione può snodarsi tenendo presente che vi è un fattore di continuità che lega tra loro le attese iniziali dei protagonisti, il problema di fondo, gli obiettivi proposti, e che si espli- cita nella formulazione dell’ipotesi di lavoro, intesa come risposta complessiva e chiave di lettura dell’intero percorso formativo. L’ipotesi di lavoro, a sua volta, era stata suddivisa in tre parti: • Istruzione, educazione e formazione: tre concetti che esprimono globalmente il senso della competenza professionale del formatore; • CFP e stile educativo salesiano: un rapporto che è al centro della specificità del CFP salesiano e che impegna ad una fusione tra elemento professionale, elemento pedagogico ed elemento teologico-pastorale; • lo spirito del lavoro e la sua pedagogia: il tema del lavoro come tessuto con- nettivo, sfondo esistenziale, trama concettuale, ragion d’essere di un CFP. 1. ISTRUZIONE, EDUCAZIONE, FORMAZIONE Il problema di fondo, evidenziato all’inizio del corso, riguardava l’acquisi- zione di un più alto livello di competenza, fatta di conoscenze, abilità, atteggia- menti e capacità di operare in un contesto organizzato. Se si vuole realmente cre- scere nella competenza professionale, appare evidente che il formatore deve pre- stare uguale attenzione a tutto ciò che ha a che fare con l’istruzione, l’educazione e la formazione. In questo senso, è necessario che quanti operano nei CFP mettano da parte l’idea che a loro spettino solo i temi che sono propri della formazione pro- fessionale, come alla scuola spetterebbero solo gli elementi dell’istruzione e della formazione in senso “alto”. Il nostro è un tempo di contaminazioni culturali, di passaggi di contenuti e concetti da un universo tematico ad un altro. Se il sistema scolastico è sollecitato a fare spazio al suo interno alla tematica della formazione, 398 al sistema professionale viene chiesto di dare spazio all’istruzione. Ad entrambi, poi, è chiesto di confrontarsi seriamente con la tematica dell’educazione. Il ruolo dell’istruzione (insegnamento/apprendimento) è reso cruciale dal fatto di entrare sempre più in quella che è definita la “società conoscitiva”, si parla anche di «economia fondata sulla conoscenza» (knowledge economy ). All’interno della società conoscitiva, le divisioni sociali non saranno più contrassegnate dalla ricchezza materiale, dallo status sociale e dal potere politico, ma dalla conoscenza. Semplificando di molto: vi saranno «coloro che sanno», ossia che comprenderanno e guideranno i meccanismi evolutivi dei diversi aspetti della realtà; e «coloro che non sanno» e che si troveranno emarginati e costretti a dipendere dagli altri. La sfida che è posta dalla società conoscitiva è di ridurre il divario tra questi due gruppi di uomini, ed è una sfida che tocca tutti, in particolare le istituzioni scola- stiche e della formazione professionale. Istruire, cioè insegnare ed apprendere, assume così una dimensione sociale e politica, non solo economica e culturale. Più alto e diffuso è il livello delle cono- scenze che si insegnano e si apprendono e più è forte il tessuto di significati e di convinzioni su cui si regge la vita comunitaria. Tutto ciò che in questo corso, nelle diverse aree tematiche, è stato oggetto di studio e di apprendimento deve essere considerato come un fattore che incrementa la capacità dei singoli formatori, e dei CFP in generale, di contribuire a tessere la trama dei rapporti sociali e, conseguen- temente, a ridurre il divario esistente tra chi sa e chi non sa. Più conoscenze si danno e più diminuisce il pericolo, per i ragazzi che le apprendono e che spesso sono anche quelli che ne hanno particolare bisogno, di essere emarginati dalla so- cietà. Tuttavia, per quanto possa essere importante, l’istruzione non è sufficiente. Accanto ad essa vi deve essere spazio per l’educazione, intesa nella sua forma ge- nerale di relazione interpersonale, di natura intenzionale, tra educatore ed edu- cando, che ha lo scopo di far maturare la personalità di quest’ultimo e di facilitarne l’inserimento nella vita sociale. L’istruzione non è sufficiente perché l’apprendi- mento (ma ciò vale anche per l’insegnamento) non è solo un fatto cognitivo ma è anche un fatto emotivo (si parla di “intelligenza emotiva”, relazionale, sociale…). In altre parole, la qualità del legame interpersonale che si stabilisce tra alunno e docente, il tipo e la profondità delle motivazioni che animano entrambi, sono fat- tori decisivi nella determinazione del tipo di apprendimento che si andrà a configu- rare. In particolare, è proprio il grado di fiducia che l’alunno mostra di avere nei confronti del docente, e che è speculare al sentimento di stima che egli sperimenta da parte del docente nei suoi confronti, a fargli accettare l’invito di sottoporsi alla severa disciplina dello studio. L’alunno si motiva a studiare, in definitiva, non solo per motivi personali, ma anche perché riconosce l’autorità psicologica, morale e culturale del proprio formatore o insegnante. Pertanto, tutto ciò che va nella direzione di rendere più trasparente e autentica la comunicazione educativa dovrebbe essere perfettamente conosciuto e assimilato da parte di qualunque insegnante e da parte di qualunque formatore. Gli elementi 399 costitutivi dell’educazione dovrebbero essere oggetto tanto di una riflessione teo- rica, quanto di una sperimentazione pratica, in una sorta di circolarità di espe- rienze, che permetta di comprendere la profondità di ciò che avviene all’interno di una relazione educativa. In educazione si può arrivare facilmente, quando essa è autentica, fino all’attivazione di meccanismi psicologici, quali ad esempio l’identi- ficazione proiettiva dell’alunno nei confronti del suo formatore, che sono elementi importanti nel cammino di costruzione di una personalità in crescita, qual è quella dei ragazzi. Sotto questo profilo, gli spunti formativi che il corso può aver dato in questa direzione, acquistano particolare rilevo, anche perché l’aspetto dell’educa- zione può essere considerato come il sostrato su cui s’innalza sia il momento del- l’istruzione, sia quello della formazione. Immaginando i tre concetti come altret- tanti lati di un triangolo equilatero, si potrebbe dire che il lato/educazione è quello di base, da qui dipartono gli altri due lati. Rimane da affrontare il concetto di «formazione», che assume un rilievo del tutto particolare nell’ambito dei CFP. È talmente forte la convinzione che il con- cetto di «formazione» si riferisca interamente alla formazione professionale, da non pensare che tale concetto ha una storia culturale e una stratificazione seman- tica molto più profonda del significato di “formazione finalizzata al lavoro”. Anche nei CFP si dovrebbe essere un momento in cui ci si ferma a riflettere sul concetto di «forma», che non è sempre stato inteso come il rivestimento esterno di un contenuto (la distinzione forma/contenuto è tipicamente moderna e riflette l’im- postazione analitica propria delle scienze), ma è stato pensato anche come «so- stanza», ossia come essenza, vale a dire come “ciò che una cosa è e non è confon- dibile con nessun’altra”. Nel pensiero greco si è tematizzata anche la distinzione tra il “dare forma” a qualcosa attraverso un azione esterna (si pensi all’artigiano che costruisce un oggetto lavorando la materia di cui è fatto), e il “prendere forma”, che è il dinamismo proprio di ogni organismo vivente che è in grado di svilupparsi da sé. Si pensi alla valenza pedagogica di una tale distinzione: formare qualcuno significa dargli dal di fuori una forma, quindi plasmarlo, quasi che questi non fosse in grado di definirsi da sé; oppure significa facilitare lo sviluppo di un dinamismo di formazione che è già presente e attivo all’interno di ogni individuo? Nel primo caso al centro del processo di formazione vi è il formatore, nel secondo caso vi è il soggetto in formazione, con il suo diritto a sviluppare in pienezza la “forma” che è in lui; in altre parole: con il suo diritto ad essere pienamente se stesso. Ancora la cultura greca aveva elaborato la convinzione che lo strumento mi- gliore per la formazione dei giovani fosse la cultura; da qui il concetto classico di «paideia», cioè di educazione/formazione mediante la cultura, mediante il sapere, quindi la conoscenza, ossia l’istruzione! Dunque, nella paideia classica, istruzione, educazione e formazione, praticamente coincidevano nel medesimo significato, avente al centro la preoccupazione della crescita della persona e il suo inserimento nella società del tempo. È con l’inizio dell’era industriale, nella seconda metà del Settecento, che si 400 pone il problema dell’istruzione degli operai ai quali venivano affidate le mac- chine. In quel momento era sufficiente che sapessero leggere, scrivere e far di conto, per avere la preparazione professionale necessaria. Bisognerà attendere la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento per assistere ad un ulteriore pas- saggio, cioè all’idea della formazione professionale come addestramento, ossia come sviluppo di abilità operative specifiche, destinate allo svolgimento di deter- minate mansioni lavorative; si pensi a questo proposito all’addestramento richiesto dal ciclo produttivo della catena di montaggio. È in questa fase storica che si con- solida l’idea della «formazione professionale», distinta dall’istruzione scolastica, e avviene la nascita delle scuole professionali. Negli ultimi decenni del Novecento, con il passaggio dall’età industriale a quella post-industriale, si assiste ad altro passaggio nell’idea della formazione pro- fessionale. Questa non viene più intesa come addestramento di abilità specifiche, ma come sviluppo di competenze più generali (o trasversali), valide in più contesti lavorativi e sempre più legate alle capacità proprie della persona: ad es., la capacità di comunicare, di lavorare in gruppo, di pensare in modo autonomo e flessibile, la capacità di progettare e di affrontare i problemi, ecc... Negli ultimi decenni si è dunque assistito al passaggio dalla formazione di sin- gole abilità operative alla formazione di capacità comportamentali generali. Se- guendo le linee evolutive della società contemporanea (globlalizzazione, multicul- turalità, società mediatica, ecc..) è verosimile pensare che, nel prossimo futuro, la «formazione professionale» tenderà ad espandersi fino a coincidere sempre più con l’idea di una «formazione culturale», fatta di conoscenze, di capacità di agire indi- vidualmente e collettivamente, di atteggiamenti (o stili di vita), di valori e di con- vinzioni. La cultura, intesa nel senso più generale ma non per questo meno appro- fondito, tornerà ad essere il vero, grande strumento di istruzione/educazione/for- mazione, come avevano intuito all’età dei Sofisti, di Socrate e di Platone. 2. CFP E STILE EDUCATIVO SALESIANO Se il trinomio: istruzione/educazione/formazione rappresenta il fulcro tema- tico, cioè contenutistico, relazionale e valoriale della vita di un CFP, che cosa può aggiungervi il fatto che quel CFP sia anche “salesiano”? Vi può essere chi ritiene che, in verità, la caratterizzazione salesiana non apporti nulla di nuovo e che, anzi, sia solo un sovrappiù, un elemento esteriore che si deve accettare più per opportu- nismo che per convinzione. Altri possono pensare, al contrario, che è solo l’ele- mento salesiano ciò che qualifica in modo particolare la vita del CFP, dandogli qualcosa in più che diversamente mancherebbe e priverebbe il CFP della sua iden- tità. Appare evidente che nel primo caso si è di fronte ad una totale sottovaluta- zione e nel secondo caso ad una ipervalutazione della medesima realtà, l’apporto del metodo educativo salesiano, fino a credere che il CFP ha senso solo perché è un CFP salesiano! 401 Per evitare di cadere nei due eccessi interpretativi non è sufficiente pensare ad un accostamento tra la vita del CFP e il metodo salesiano, perché in ogni caso ri- marrebbero due elementi distinti e semplicemente giustapposti, cioè posti l’uno ac- canto all’altro, non l’uno dentro l’altro. Qualunque giustapposizione di elementi fi- nisce, prima o poi, per vedere aumentare la distanza dell’uno dall’altro con la per- dita di uno di essi o addirittura di entrambi. Può anche succedere che i due ele- menti scivolino l’uno sopra l’altro, con la conseguenza del soffocamento dell’ele- mento più forte su quello più debole. Dunque, non ci si può fermare alla semplice giustapposizione, occorre pensare ad un forma di rapporto ben più consistente, quale potrebbe essere, ad esempio, un rapporto di implicazione reciproca, nel senso che gli elementi propri di un CFP (istruzione/educazione/formazione) pos- sano essere compresi e interpretati a partire dagli elementi propri del metodo edu- cativo salesiano, ossia il metodo preventivo. Se questa lettura fosse possibile, ne deriverebbe che nel CFP, applicare il metodo preventivo significa vivere esatta- mente lo spirito del CFP, senza alcuna necessità di aggiunte esteriori, estempo- ranee o strumentali. Non potendo tenere presente, in questa sede, tutti gli aspetti del metodo educa- tivo salesiano, è sufficiente soffermare l’attenzione sul suo nucleo vitale, il cosid- detto trinomio educativo: «ragione» «religione» e «amorevolezza», esposto da Don Bosco nello scritto del 1877, Il sistema preventivo nell’educazione della gio- ventù . I tre principi educativi, sopra enunciati, si possono leggere da diversi punti di vista. Per un verso, possono essere considerati come le «finalità» e i «contenuti» della proposta educativa di Don Bosco; in questo caso si tratterebbe di pensarli come l’invito ad educare all’uso della ragione, a rapportarsi agli altri con amore- volezza, ad accogliere e a praticare la vita religiosa. Per un altro verso, essi pos- sono essere considerati come i caratteri essenziali del «metodo» educativo, quindi: educare in modo razionale, con amorevolezza e con attenzione alla dimensione spi- rituale e religiosa della persona. Una lettura in cui emerga una implicazione reciproca tra l’essenza del metodo educativo salesiano e l’essenza tematica del CFP potrebbe essere la seguente: a) l’aspetto della «ragione» può essere considerato profondamente implicato nella dimensione dell’istruzione; b) l’aspetto della «religione» può essere considerato profondamente implicato nella dimensione della formazione: c) l’aspetto dell’«amorevolezza», può essere considerato profondamente impli- cato nella dimensione dell’educazione. a) Ragione e istruzione Con il concetto di «ragione» D. Bosco intendeva affermare che l’educatore deve apparire equilibrato, aperto, dotato di buon senso e capace di vivere in piena aderenza con la realtà. Inoltre l’educatore deve essere attento ai bisogni e agli inte- ressi degli educandi, saper ciò che serve a loro e individuarne le potenzialità. In- 402 fine, l’educatore deve saper fare proposte chiare, essenziali, funzionali e ben moti- vate, cercando nel contempo di favorire negli educandi, anche attraverso la co- erenza del proprio comportamento, la crescita di un atteggiamento sempre consa- pevole, critico e responsabile. Ebbene, se questo è per sommi capi il senso di «ragione», appare non del tutto fuori luogo ritenere che la dimensione dell’istruzione, ossia dell’attenzione ai con- tenuti conoscitivi da proporre, alla loro attualità e validità per l’oggi, nonché l’at- tenzione a sviluppare un atteggiamento conoscitivo autonomo (apprendere ad ap- prendere) e responsabile (dare ragione di ciò che si fa), possa rappresentare un modo di incarnare nella vita quotidiana del CFP la dimensione della razionalità. È certamente nella linea della pedagogia salesiana anche la fiducia nella capacità della ragione conoscitiva di comprendere la realtà e di trovare la soluzione più ade- guata ai problemi che le si pongono. Nella vita di un CFP tutto ciò che si fa do- vrebbe avere la sua ragion d’essere, cioè la sua razionalità, che a sua volta do- vrebbe essere conosciuta, compresa e valutata positivamente da quanti vivono e operano nel Centro: alunni, formatori, dirigenti. b) Religione e formazione Nel pensiero pedagogico di D. Bosco, la sfera della religione incarna la dimen- sione delle finalità educative, ossia l’orizzonte totale di senso al quale l’educatore invita a guardare. D.Bosco è convinto che i giovani, se motivati razionalmente e se- guiti con affetto e simpatia, sono molto attenti alla problematica religiosa. Sotto questo profilo, appare chiaramente come la tematica della formazione, a partire dalla visione ristretta della “formazione professionale” fino alla visione più ampia di “for- mazione culturale dell’essenza dell’uomo”, abbia a che fare con il senso della vita dell’uomo. Un senso prossimo: quello dell’inserimento nella vita sociale e lavora- tiva; ma anche un senso più remoto: quello della realizzazione del proprio progetto di vita, fino a coinvolgere in questa tensione realizzativa anche l’esperienza reli- giosa. Dunque, più si è attenti al significato globale della formazione e più, in un CFP, si opera nella direzione di una visione finalistica, quindi perennemente trascen- dente della vita, dalla quale non è certamente estranea la componente religiosa. c) Amorevolezza ed educazione Se l’amorevolezza rappresenta l’essenza vitale del sistema preventivo, perché tocca il cuore del rapporto personale tra educatore ed educando, analogamente si potrebbe dire che la dimensione dell’educazione è il centro vitale della vita di un CFP, perché dalla presenza di un buon clima educativo può scaturire la spinta a va- lorizzare i momenti di studio, di esperienza e di conoscenza, e a preparare il ter- reno per una apertura consapevole all’ideale della formazione di sé. Osservazione conclusiva. Il sistema preventivo non è solo una teoria e una pratica educativa; è anche il riflesso di una spiritualità e di un carisma. Ciò signi- 403 fica che, per quanto possa essere realizzato nelle forme più adeguate, rimane sempre un margine di indeterminazione, di non esplicitazione, di ulteriorità, di cui occorre tenere presente per non perdere di vista la carica propulsiva e di innova- zione continua che è insita nella pedagogia salesiana. Occorre quindi distinguere due aspetti nel modo di praticare il metodo educativo salesiano: da una parte, va praticato secondo una logica dell’incarnazione, cioè di immedesimazione con la realtà in cui si opera, nel nostro caso il CFP; dall’altra parte occorre tenere pre- sente la logica della trascendenza, che spinge continuamente al di là e impedisce di considerare come definitiva ogni forma di realizzazione dell’esperienza educativa. 3. LO SPIRITO DEL LAVORO E LA SUA PEDAGOGIA Il tema del lavoro rappresenta anch’esso una tematica globale, un orizzonte di senso che lega ciò che avviene all’interno del CFP con la realtà esterna: il mondo delle aziende e delle professioni. Si tratta di comprenderne a fondo il senso, per ca- pire il valore conoscitivo, educativo e formativo che è presente in esso. • Dal punto di vista della conoscenza: bisognerebbe riflettere sulle modifica- zioni che attraversano il mondo del lavoro, ad esempio il processo di “demate- rializzazione” del lavoro, nel duplice senso di modifica dei materiali, sempre più artificiali e tecnologici, e di mentalizzazione del lavoro (non si parla più solo di manodopera ma anche di mentedopera). • Dal punto di vista educativo: il lavoro educa a causa della sua duplice natura, di fatica e di realizzazione. Il lavoro è fatica, fisica e mentale, richiede disci- plina, sforzo, pazienza. In questo senso educa a sopportare il dolore, la frustra- zione, la logica dei tempi lunghi, l’esperienza dell’attesa. Il lavoro è anche realizzazione di cose (oggetti, progetti, servizi, ecc..) e autorealizzazione di sé; è un prodotto del fare ma anche del sapere e del saper essere. • Dal punto di vista formativo; il lavoro è parte integrante dell’identità del sog- getto, è oggettivazione delle capacità e delle doti del soggetto; è occasione di incontro con il Tu. Il lavoro è professione, cioè attestazione pubblica di ciò che si è in grado di fare; ma è anche vocazione, cioè chiamata ad un compito il cui significato ultimo è la manifestazione di sé in relazione ad una meta, ad uno scopo. Il lavoro è anche missione, ossia consapevolezza di essere inviati agli altri con un compito preciso, quello di contribuire alla costruzione della vita comunitaria. 405 GLOSSARIO Abilità Destrezza nello svolgere un’attività intellettuale o pratica. Essa è sempre asso- ciata ad una conoscenza e si acquisisce tramite imitazione e ripetizione. L’abilità rappresenta – assieme alla conoscenza – una risorsa di cui la persona competente dispone e che mette in opera (“mobilizza”) di fronte ad un compito in un preciso contesto. Accoglienza Prassi pedagogica volta a rendere possibile l’implicazione personale nel gruppo e finalizzata a definire un “contratto pedagogico” consapevole e parteci- pato all’interno dell’azione formativa. Essa si propone i seguenti obiettivi: cono- scenza della persona, valorizzazione del suo “portato” culturale e sociale, integra- zione del gruppo-classe, conoscenza del contesto formativo, dei suoi attori e del progetto formativo, delineazione del “contratto pedagogico”. Accompagnamento Accompagnare significa offrire alla persona un punto di riferimento ed un au- silio nel percorso di formazione e/o di inserimento lavorativo. Alcuni esempi di ac- compagnamento nell’ambito di un percorso formativo: a) possibilità di colloqui degli allievi con gli insegnanti b) presenza tra i formatori di una figura di “referente di classe” per la gestione delle dinamiche emergenti e per la conduzione di momenti di confronto c) aiuti agli allievi in termini di metodo di studio e di recuperi formativi anche in forma individualizzata d) acquisizioni che consentano di attivare strategie di ingresso nel mondo del la- voro nelle diverse possibilità di lavoro dipendente ed autonomo. Accreditamento Attestazione formale, effettuata dalla parte seconda (organismo committente), che attesta la soddisfazione da parte dell’organismo formativo di una serie di re- quisiti relativi alla struttura organizzativa e gestionale nonché ai prodotti/servizi da essa offerti. 406 Accreditamento interno/associativo Processo deciso volontariamente da un’organizzazione (normalmente struttu- rata in forma di rete sia in una logica associativa sia federativa) e finalizzato a ve- rificare il possesso di requisiti prestabiliti e condivisi da parte di unità/nodi dell’or- ganizzazione che lo promuove. Esso ha perciò una finalità differente da quello esterno che è cogente per il richiedente nella misura in cui viene promosso dalla parte seconda /committente dei servizi formativi. Aggiornamento Formazione che mira all’adeguamento del sapere lavorativo-professionale della persona tenendo conto delle novità intervenute nelle tecnologie, nelle norme, nell’organizzazione. Alternanza formativa Strategia metodologica che consente – in riferimento al singolo allievo – di realizzare un percorso formativo coerente e compiuto nel quale si integrano reci- procamente attività formative di aula, di laboratorio ed esperienze svolte nella con- creta realtà dell’organizzazione di lavoro e di impresa. L’alternanza formativa è au- tentica quando le diverse modalità formative che “si alternano” vengono a com- porre un percorso unico e continuo avente al centro la persona in formazione in ri- ferimento al profilo educativo, culturale e professionale ed in stretta relazione con il contesto in cui opera la figura professionale di riferimento. Tale percorso trae inizio da un progetto formativo definito congiuntamente dai due attori in gioco (l’organismo di formazione e l’impresa) e si sviluppa attraverso una cura continua che prevede monitoraggio, verifica ed eventualmente correzione e miglioramento lungo tutto il cammino formativo. Apprendimento Alla luce della prospettiva cognitivista, l’apprendimento va inteso come una acquisizione di conoscenze che avviene sempre all’interno di un contesto sociale ed ha per oggetto contenuti specifici del sapere, caratterizzati in senso storico e culturale. Ci possono essere diversi tipi di apprendimento: meccanico, per conti- guità, per condizionamento, per rinforzo. Lo specifico delle situazioni di apprendi- mento è la costruzione del significato attraverso una serie complessa di attività di elaborazione, di validazione, di confutazione di modelli relativi ad azioni, rappre- sentazioni, pensieri. Apprendistato I ragazzi che hanno compiuto 15 anni possono assolver il diritto – dovere alla formazione anche attraverso l’apprendistato. Il contratto di apprendistato prevede un’ampia integrazione tra formazione ed esperienza professionale. L’azienda ga- 407 rantisce la formazione sul lavoro affiancando l’apprendista a personale qualificato e designando un tutor aziendale con funzioni di raccordo tra formazione sul lavoro e formazione esterna; in compenso la retribuzione dell’apprendista è ridotta ri- spetto a quella di un lavoratore che possiede la stessa qualifica che si vuole conse- guire. L’accesso a questo contratto può avvenire anche tramite contratti diretti con il datore di lavoro, ma è bene comunque che i giovani dai 15 ai 18 anni che inten- dono fare gli apprendisti si rivolgano al centro per l’impiego più vicino, che li potrà assistere nella loro scelta attraverso un’attività di orientamento e di tutorato. La normativa recente fissava in 240 all’anno il monte ore minimo per la for- mazione esterna degli apprendisti dai 15 ai 18 anni; la formazione era dedicata sia al potenziamento delle competenze di base (linguistiche, matematiche, informa- tiche) sia all’approfondimento delle competenze tecnico – professionali. Con l’approvazione della legge 30/2003 (c.d. Legge Biagi) questo limite non viene più sancito a livello nazionale, ma rimarrà comunque in vigore fino a quando le Regioni non avranno definito le nuove norme ed i nuovi vincoli per lo svolgi- mento dell’attività formativa. La durata del contratto non può essere superiore a tre anni, ma può essere ridotta in funzione dei crediti e delle competenze possedute dai giovani, e riconosciuti dai centri per l’impiego. Al termine del percorso l’ap- prendista consegue una qualifica professionale. Attitudine Capacità globale di una persona ad apprendere le competenze necessarie per svolgere una determinata categoria di compiti con particolare riferimento a quelli di natura professionale. Comprende anche la capacità di acquisire le risorse neces- sarie (abilità, conoscenze) a tale scopo. Banca-dati orientativa Sistema organizzato di informazioni riferite ad un particolare ambito tematico, disciplinare, professionale. Esse danno vita ai sistemi informativi dell’orienta- mento, solitamente distinti in: • scuola, formazione professionale ed università • opportunità ulteriori di studio • opportunità di esperienza lavorativa • lavoro • tempo libero formativo. Bilancio di competenze Prassi formativa complessa con l’obiettivo di permettere soprattutto a dei la- voratori di analizzare le proprie competenze professionali e personali, così come le proprie attitudini e motivazioni, allo scopo di definire un progetto professionale e, ove necessario, un progetto di formazione. Si tratta quindi di una modalità di rico- 408 noscimento delle competenze di cui la persona è portatrice, in assenza di titoli for- mali (certificati, diplomi o attestati), acquisiti tramite esperienza diretta. Tale dis- positivo, di origine francese, ha lo scopo di certificare tali competenze e quindi di renderle evidenti socialmente e contrattualmente specie in riferimento a giovani ed adulti a bassa scolarità. Capacità personali Caratteristiche della persona possedute su base innata e appresa che riguar- dano i suoi repertori di base: cognitivo, affettivo-motivazionale, socio-interperso- nale. Esse riflettono i valori ed i contenuti propri dell’educazione che la persona vive specie nell’età evolutiva; si riferiscono quindi alla famiglia di appartenenza, alle agenzie educative e formative ma anche ai legami significativi individuali e di gruppo. Esse rappresentano le potenzialità dell’allievo che richiedono di essere ri- conosciute (innanzitutto a favore del destinatario stesso) e attualizzate. Tali capa- cità, raramente coltivate in modo formale dalle istituzioni formative, sono attual- mente considerate preziose per l’adattamento personale, interpersonale, scolastico e professionale. Carta dei valori dei servizi formativi e dei diritti-doveri dei destinatari Testo di riferimento per la gestione del Centro di formazione professionale che indica i valori di riferimento come pure l’elenco dei diritti e dei rispettivi doveri ri- feriti al destinatario. Essa è alla base della progettazione del servizio, della forma- zione del personale, della definizione della politica della qualità, della elaborazione dei documenti operativi. In particolare, l’attività di monitoraggio e valutazione del servizio si ispira strettamente alla stessa Carta. Centro di Formazione professionale (o Centro di istruzione e formazione pro- fessionale), come viene prefigurato dalla Riforma Moratti Struttura che eroga un’offerta formativa nell’ambito del sistema di istruzione e formazione professionale finalizzata a promuovere il successo formativo di ogni allievo fornendo ad esso un’informazione adeguata ed utile sulle diverse opportu- nità formative, una possibilità di orientamento che gli consenta di riconoscere le proprie potenzialità e competenze parziali, un percorso di formazione personaliz- zato e continuativo, un supporto per il passaggio alla vita attiva ed in ogni mo- mento di transizione in cui si venga a trovare, un’occasione di formazione continua e permanente. Centro della seconda chance Particolare realtà educativa rivolta in prevalenza ad adolescenti e giovani in difficoltà (scolastica e/o lavorativa) che opera secondo un approccio promozionale e valorizzante, teso ad offrire a tali utenti un’alternativa di “successo” che consenta loro di inserirsi positivamente in un ruolo sociale desiderato. 409 Centro di orientamento Struttura, promossa da un Organismo, che interviene nel campo orientativo con servizi differenti distinguibili in tre categorie: • informazione • formazione • counselling. Certificazione delle competenze La questione della certificazione delle competenze occupa un ruolo strategico nella costruzione e valorizzazione del progetto di vita di ciascuno. A partire dalla metà degli anni ’80, il dibattito sulla certificazione a livello europeo si è evoluto, spostando l’attenzione dal tema “riconoscimento e corrispondenza” a quello di “ri- conoscimento e trasparenza” comprendendo: • il riconoscimento e la trasparenza delle qualifiche • l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita • l’integrazione tra i sistemi di istruzione e formazione professionale • il riconoscimento delle competenze individuali acquisite in vari ambiti • la messa a punto di un sistema di riconoscimento dei crediti formativi. La certificazione risponde all’esigenza di rendere leggibili le competenze ac- quisite (trasparenza). Inoltre, l’attestazione delle competenze possedute è determi- nante per favorire la mobilità e la flessibilità e per l’effettivo esercizio di ruoli pro- fessionali in contesto transnazionali. La certificazione, permettendo all’individuo di comporre il proprio “sapere professionale”, gli offre un importante contributo alla definizione del proprio personale progetto di vita, oltre che la possibilità di mantenere, sul mercato del lavoro e lungo tutto l’arco della vita, il valore delle competenze acquisite. L’obiettivo è di dare leggibilità al “sapere” individuale, il cui possesso sarà dimostrabile rendendo trasparenti le esperienze in cui tale sapere è maturato ed è stato utilizzato, e trasformando in bene capitalizzabile l’apprendi- mento che avviene lungo tutto il corso della vita e in tutti i contesti. Il portfolio è il documento che raccoglie tutti gli elementi utili a dare visibilità al percorso forma- tivo e lavorativo e alle competenze acquisite. Certificazione di qualità Documento, solitamente rilasciato da un’autorità terza (rispetto al finanziatore e all’erogatore) attraverso il quale si attesta che l’organizzazione formativa ha posto in atto tutte le azioni tese a rilevare la corrispondenza delle azioni svolte con gli standard dichiarati. Esistono diversi dispositivi di certificazione: la più nota è la norma ISO 9000, ma esistono pure certificazioni associative. Solitamente la certi- ficazione richiede un lavoro preparatorio e di consolidamento delle pratiche riferite al sistema qualità e quindi un audit. 410 Certificazione formativa Documento che attesta l’avvenuta acquisizione da parte dell’utente della for- mazione delle capacità, delle conoscenze, delle abilità e delle competenze previste nel progetto formativo. Tale documento è rilasciato dall’organismo erogatore e può essere: • un diploma o un certificato di valore legale (qualifica professionale, diploma di formazione, diploma di formazione superiore) • un certificato riferito ai crediti formativi acquisiti • un attestato di frequenza e/o profitto. Competenza Caratteristica della persona, mediante la quale essa è in grado di affrontare ef- ficacemente un’area di problemi connessi ad un particolare ruolo o funzione. Per tale motivo, sarebbe preferibile parlare di persona “competente” piuttosto che di competenza. Essa viene dimostrata dalla persona tramite performance rese in un preciso contesto organizzativo di fronte a “giudici” rappresentati da esponenti del mondo professionale di riferimento. La persona competente è in grado di mobili- tare le risorse possedute (capacità, conoscenze, abilità) al fine di condurre ad una sua soluzione un compito-problema. La competenza non è pertanto riducibile né a un sapere, né a ciò che si è acquisito con la formazione. Essa richiede necessaria- mente una prova concreta, nella quale il titolare si impegni in modo autonomo e responsabile. Vi possono essere competenze culturali, sociali, professionali. Queste ultime possono essere intese come competenze in senso proprio, poiché mobilitano un’interazione organica tra soggetti (centro di formazione professionale, persona, impresa) e prevedono una precisa prova professionale definita “capolavoro”. Compito Insieme di attività ed operazioni che si svolgono in un determinato ambito di lavoro aventi caratteristiche di compiutezza. Per svolgere adeguatamente un com- pito occorre possedere una specifica competenza. Compito professionale Insieme delle attività lavorative in grado di fornire risultati significativi ri- spetto al processo e rispondenti alle aspettative del sistema organizzativo di appar- tenenza o di riferimento. Tali risultati rimangono inalterati qualunque sia il grado di automazione e di semplificazione delle attività che implicano l’impiego delle ri- sorse (professionali, informative, tecnologiche, materiali) e che si sviluppano se- condo particolari metodologie e procedure operative all’interno di un sistema di re- lazioni professionali. Per svolgere adeguatamente un compito occorre possedere una specifica competenza. 411 Comunità professionale Aggregato – coincidente volta per volta con il settore (es.: meccanico) o il processo (es.: aziendale e amministrativo) – di più figure, ruoli o denominazioni che hanno in comune una cultura distintiva composta di valori e di saperi pecu- liari, la collocazione organizzativa, i percorsi professionali, le competenze chiave. Le ulteriori articolazioni in figure professionali sono definite all’interno di tali aggregazioni più ampie, mantenendo la dimensione di “cultura professio- nale” comune. Conoscenze Insieme di nozioni strutturate in una materia/disciplina o area culturale. Pos- sono riguardare teorie, modelli, sistemi di azione. Ogni ambito di sapere com- prende nozioni, concetti, nessi, regole. I saperi sono – al pari delle abilità – cogni- zioni che occorre acquisire per poter porre in atto una competenza (di cui sono uno degli ingredienti). Cooperative learning È un metodo didattico che permette di far lavorare gli allievi in gruppo, facili- tando nel contempo l’acquisizione di abilità sociali; permette cioè di apprendere sia contenuti disciplinari che comportamenti sociali di collaborazione e coopera- zione. È un metodo di insegnamento a mediazione sociale di tipo orizzontale (ven- gono strutturati i compiti perché siano gli alunni a lavorare autonomamente tra loro). L’apprendimento infatti è sicuramente un processo attivo individuale ma perché questo possa avvenire è importante che il processo sia condiviso e vissuto socialmente. Richiede al formatore di agire in modo diverso, cioè di assumere un ruolo diverso all’interno del gruppo in formazione. Cfr.: http://www.vivoscuola.it/us/gbrmsm103/cooperative_learning.htm Counselling Dopo la stagione dell’orientamento inteso come competenza scolastica in chiave attitudinale e di verifica delle performance degli studenti nelle varie disci- pline scolastiche, dopo la stagione nella quale si enfatizzava il mercato del lavoro ed il ruolo della domanda a cui l’offerta doveva adeguarsi, si è manifestata una sta- gione nuova basata appunto sull’orientamento in senso di “consulenza” nei con- fronti della persona. Il “consigliere di orientamento “ (counsellor) non è più portatore di una verità e di un potere assoluti (sotto forma di “oracolo”, la prima, e di “prescrizione”, la seconda), ma un esperto che aiuta il soggetto a delineare le scelte più idonee alla sua realtà personale ed al contesto in cui agisce. 412 Costruttivismo Il costruttivismo, nella didattica, è un approccio che intende dare enfasi alla costruzione della conoscenza e non alla sua riproduzione, vuole evitare le semplifi- cazioni offrendo ambienti di apprendimento assunti dal mondo reale, basati su casi piuttosto che sequenze istruttive predeterminate. Questo approccio intende inoltre offrire rappresentazioni molteplici della realtà, alimentare pratiche riflessive e per- mettere la costruzione di conoscenze dipendenti dal contesto. Per approfondire l’evoluzione dei modelli cognitivi, dal comportamentismo al costruttivismo, cfr.: http://www.intermedia.sa.it/logo/teorie/ Credito formativo Documento che attesta il possesso di un determinato requisito (sapere, abilità) da parte della persona, che questa può far valere in un percorso formativo, in modo da svolgere soltanto i moduli formativi mancanti per il raggiungimento di una de- terminata meta formativa, oppure in un percorso di inserimento lavorativo, in modo da accelerare l’acquisizione di una qualifica. Difficoltà di apprendimento Particolari condizioni che ostacolano il processo di apprendimento della per- sona. Esse possono riferirsi a caratteristiche didattico-formative (percorso, metodo- logia didattica, relazioni), oppure orientative (progetto personale e suoi aspetti). Tali condizioni richiedono la necessità di delineare il quadro di riferimento tra cui si collocano gli aspetti personali (motivazione, prerequisiti, integrità psico-fisica), del contesto di vita (famiglia, ambiente, gruppo) e sociali (tipo di “capitale so- ciale” di cui la persona è portatrice). Diritto-dovere di istruzione e formazione Prerogativa di ogni cittadino mediante la quale la Repubblica assicura a tutti il diritto all’istruzione e alla formazione, per almeno 12 anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di età, nel senso di favo- rire pari opportunità di raggiungere elevati livelli culturali e di sviluppare le capa- cità e le competenze, attraverso conoscenze e abilità, generali e specifiche, coerenti con le attitudini e le scelte personali, adeguate all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro, anche con riguardo alle dimensioni locali, nazionale ed eu- ropea” (art. 2, legge 53/2003). A fronte di tale offerta, ogni cittadino ha il dovere di partecipare alle attività formative più idonee mirando ad accrescere il proprio ba- gaglio di acquisizioni in una prospettiva di formazione competente. Disagio Condizione umana che indica, in una forma allusiva, uno stato di sofferenza, ma anche di bisogno o di inquietudine. Non è da intendere necessariamente come 413 condizione patologica: il disagio, infatti, può essere segnale di sensibilità, desi- derio di sapere, creatività. Dispersione scolastica / formativa Insieme dei fenomeni che riducono progressivamente, lungo il corso degli studi, la leva scolastica di ingresso. Esse sono: • insuccesso • ritiro • emarginazione. Educazione degli Adulti Si tratta di un articolato sistema di percorsi formativi che vede coinvolti l’i- struzione, la formazione professionale e i canali dell’educazione non formale, all’interno di un’offerta pianificata a livello regionale. La Conferenza Stato-Re- gioni del 2 marzo 2000 prevede la costituzione di un Comitato Regionale per la programmazione dell’offerta formativa integrata e di Comitati Locali da istituire secondo criteri concertati. In quest’ottica, la nuova direttiva del 6 febbraio 2001 pone in evidenza l’esigenza di rafforzare la programmazione coordinata tra i livelli locali, provinciali e regionali, anche attraverso una progressiva riorganizzazione dei Centri territoriali già previsti dalla O.M. 455/97. L’Educazione degli Adulti in- tende offrire a tutti gli adulti la possibilità di conseguire le conoscenze di base e le competenze necessarie per inserirsi positivamente nella società moderna in forte trasformazione; facilitare il rientro in formazione della popolazione scolastica adulta in un’ottica di lifelong learning; favorire il pieno esercizio del diritto di cit- tadinanza; attivare progetti mirati al completamento del ciclo di studi di base per coloro che non hanno conseguito la licenza media nell’ambito dei percorsi tradi- zionali. Cfr: http://www.set-mi.net/ofi/aree/eda/eda.htm Emarginazione Condizione culturale e sociale di un individuo che non ricopre ruoli sociali so- cialmente sanciti come “integrati” e che, al contrario, intesse relazioni e condivide visioni e comportamenti tipici di mondi stigmatizzati socialmente. Équipe orientativa Insieme delle figure che operano in forma cooperativa nel compito orientativo. Tra di esse ritroviamo: • coordinatore • tutor • psicologo • formatore. 414 Esperienza Rappresenta la modalità più potente di apprendimento. Essa corrisponde ad una prova (o cimento, o “impresa”) nella quale alla persona è richiesto di mettere in gioco le proprie capacità e competenze al fine di perseguire un risultato (perfor- mance). Solitamente, l’esperienza orientativa mira a “mettere in gioco “ la persona in un compito che la ponga in condizione di esprimere alcuni tratti importanti della sua personalità. Formazione professionale iniziale La legge 144 del 1999 e il successivo accordo Stato – Regioni del 2000 ha dise- gnato la formazione professionale iniziale come “obbligo formativo” fino a 18 anni. Tale norma è ancora in vigore anche se la successiva riforma del sistema educativo di istruzione e di formazione (legge 53/03) ha ricondotto i due obblighi (scolastico e formativo) nel “diritto all’istruzione e alla formazione” per almeno 12 anni. La formazione professionale iniziale o obbligo formativo ha le seguenti carat- teristiche: attività formativa che consente l’assolvimento dell’obbligo di frequenza di attività di formazione fino al compimento del diciottesimo anno di età (tale ob- bligo è comunque assolto con il conseguimento di una qualifica professionale). Il percorso di formazione iniziale si articola in cicli formativi di durata complessiva non inferiore ai due anni, salvo il riconoscimento di eventuali crediti. Il consegui- mento della qualifica può dare accesso ad un ulteriore ciclo di specializzazione. Il “diritto all’istruzione e alla formazione” per almeno dodici anni o, co- munque, sino ai conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di età sancito all’art. 2 della legge 53/03, prefigura una riforma del percorso della forma- zione professionale iniziale in un primo percorso di durata triennale (14 -17 anni) che si conclude con il conseguimento della qualifica professionale ed un eventuale successivo anno mirato al conseguimento di un Diploma professionale. Le caratte- ristiche della qualifica professionale e del Diploma professionale saranno specifi- cate dal Profilo educativo culturale e professionale e dalle Indicazioni regionali voluti dalla legge 53/03. Giovani a rischio Persone che, a causa della cultura familiare e sociale di appartenenza, delle condizioni personali di vita, delle relazioni dei pari e delle difficoltà con le varie istituzioni di riferimento (scuola, servizi, pubblica sicurezza...), presentano alta probabilità di “uscire fuori” dai canali di istruzione-formazione e di inserimento la- vorativo, e quindi di “rischiare” l’esclusione sociale e l’emarginazione. Giovani ed adolescenti in difficoltà Persone inserite in ruoli di studio o di lavoro che esprimono uno stato di fatica o di inadeguatezza nei confronti dei compiti loro assegnati. 415 Indicatori di qualità Rappresentano elementi puntuali tramite i quali si osserva sistematicamente un determinato fenomeno; alla luce di precisi criteri e standard o livelli di soglia, essi consentono di misurare e quindi di valutare un’azione. Indicazioni regionali Documento costitutivo del sistema di Istruzione e Formazione professionale che specifica la natura del nuovo sistema ed il suo ordinamento (repertorio delle comunità/profili professionali, durata e articolazione dei corsi, titoli, modalità di certificazione), gli obiettivi generali del processo formativo, gli obiettivi specifici di apprendimento, le modalità per la compilazione del portfolio delle competenze al fine del riconoscimento dei titoli e la gestione dei crediti e dei passaggi, le ri- sorse messe a disposizione degli Organismi accreditati. Individualizzazione Soluzione radicalmente differente da quella della personalizzazione: se lì l’orien- tamento al percorso soggettivo si svolge mantenendo il gruppo di apprendimento, l’individualizzazione del percorso formativo si realizza rompendo i riferimenti tra in- dividuo e gruppo. La formazione è individualizzata quando si svolge in un rapporto 1:1 tra docente/formatore e allievo/utente. Ciò consente di rompere i vincoli spazio- temporali oltre che psicologici e cognitivi che il gruppo porta con sé (anche se in tal modo vengono meno i fattori di facilitazione del processo di apprendimento che pure il gruppo-classe porta con sé). Solitamente, la formazione individualizzata si svolge in presenza di sistemi anche parzialmente di autoapprendimento, spesso con l’ausilio di supporti informatici. Ciò rende possibile anche la formazione a distanza. Informazione orientativa Insieme di nozioni che corrispondono al desiderio di un utente di precisare ed approfondire un ambito di interesse personale a fini orientativi. Tale informazione è efficace quando è già chiaro nella persona il quadro decisionale entro cui agire. Inserimento professionale Inserirsi professionalmente significa trovare una posizione sancita socialmente nel sistema economico. È realizzato nell’impresa, nel luogo di produzione (di beni o di servizi, anche pubblici). La qualità di questo inserimento dipende dal valore delle interazioni tra la persona e l’impresa: esse portano la prima a valorizzare le proprie competenze in modo da operare al suo interno in maniera efficace e dotata di senso. Istruzione e Formazione professionale L’insieme dei percorsi del secondo ciclo degli studi che presentano un carat- tere professionalizzante. Si distingue dai percorsi liceali in base al criterio che sot- 416 tende il carattere dei percorsi. In tal senso, se i licei presentano il carattere di “istruzione” nel senso che forniscono allo studente una visione culturale generale in forza della quale egli può successivamente completare gli studi in sede universi- taria o di formazione superiore, i Centri e gli Istituti di istruzione e formazione professionale mirano a dotare la persona di requisiti di competenza tali da consen- tirle di immettersi nel mercato del lavoro e delle professioni. Istruzione e formazione tecnica superiore (IFTS) Il sistema di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (IFTS), istituito dal- l’art. 69 della Legge n. 144 del 17/05/99, è articolato in percorsi che hanno l’obiet- tivo di formare figure professionali a livello post secondario, connotate da cono- scenze e competenze corrispondenti a quelle previste dal IV livello CEE. I percorsi si configurano come offerta aperta e flessibile per rispondere alla domanda prove- niente dal mondo del lavoro con particolare riguardo ai settori interessati da inno- vazioni tecnologiche e dalla internazionalizzazione dei mercati, secondo le priorità indicate dalla programmazione economica regionale. I percorsi IFTS sono proget- tati e gestiti in integrazione da almeno 4 soggetti formativi tra loro associati in atto formale: scuola, formazione professionale, università, impresa. Accedono ai per- corsi IFTS giovani e adulti, occupati e non occupati, in possesso di diploma di scuola secondaria superiore o che, sprovvisti di tale titolo, abbiano ottenuto l’ac- creditamento delle competenze acquisite in precedenti percorsi di istruzione, for- mazione e lavoro, successivi all’assolvimento dell’obbligo. Cfr: http://www.set-mi.net/ofi/aree/fis/fis.htm Anche l’Istruzione e Formazione Tecnica Superiore viene riformata dalla legge 53/03. Si tratterà di un percorso che punta all’acquisizione di un diploma di formazione superiore, sbocco finale del cammino previsto nella filiera formativa iniziata con la qualifica e proseguita con il diploma di formazione, rispondente alle necessità del sistema economico e del mondo sociale e caratterizzato per un forte livello di competenze. A tale livello la persona, dotata di una cultura superiore, è in grado di svolgere un’attività professionale con rilevanti competenze tecnico/scien- tifiche e/o livelli significativi di responsabilità e autonomia nelle attività di pro- grammazione, amministrazione e gestione. La formazione superiore non è da confondere con le due seguenti soluzioni: a) il “sesto anno” dell’istruzione, inteso come necessario prolungamento di un percorso di diploma che è andato sempre più accrescendo di contenuti a se- guito del noto processo di “liceizzazione” degli Istituti tecnici e professionali; b) una sorta di “laurea professionale” breve, finanziata dai fondi europei e regio- nali, che non si distingue dal percorso universitario. La formazione superiore – al contrario – rappresenta la naturale continuazione del percorso di istruzione e formazione professionale, ponendosi in continuità con il cammino che, iniziando dalla qualifica professionale (triennio), procede poi nel di- ploma di formazione (un anno), per poi giungere al diploma di formazione superiore. 417 Circa la sua durata, si prevedono da uno a tre anni formativi a seconda del set- tore / comunità professionale. I destinatari sono rappresentati da adolescenti e gio- vani in possesso di diploma formativo corrispondente per settore o comunità pro- fessionale. Si tratta del completamento del percorso formativo per i diplomati af- finché acquisiscano le prerogative proprie delle figure di quadro. Laboratorio di recupero e sviluppo degli apprendimenti (Larsa) Strumento formativo dotato di una duplice valenza: a) recupero o sviluppo in discipline e attività previste nel piano di studi tramite azioni personalizzate di compensazione e riequilibrio culturale (con particolare riguardo alle capacità linguistiche e logico-matematiche) allo scopo di rialli- neare la preparazione dello studente ai livelli qualitativi richiesti per l’accesso; b) passaggio da un sottosistema all’altro, mediante la contabilità dei debiti e cre- diti, connesso al portfolio delle competenze e che pertanto assume una fun- zione strutturale molto più solida delle attuali ‘passerelle’. Linea guida Documento che fissa finalità, obiettivi e procedure di una specifica organizza- zione di servizi. Solitamente la linea guida viene elaborata in un contesto di ge- stione della qualità oppure in attività innovative. Livelli essenziali delle prestazioni (Lep) Documento costitutivo del sistema di Istruzione e Formazione professionale, di responsabilità dello Stato e delle regioni, che indica le condizioni organizzative, gestionali e professionali che ogni Organismo è tenuto ad assicurare agli studenti e alle famiglie. Metodologia attiva Modalità didattica che consiste nel presentare i contenuti dell’insegnamento come dei problemi concreti da risolvere fornendo a colui che apprende tutte le in- formazioni ed i mezzi necessari a questo scopo. L’insegnante aiuta l’allievo a sco- prire le soluzioni da se stesso e non gli fornisce risposte a priori. Modello formativo didattico Insieme di dispositivi, modelli e strumenti che permettono di svolgere in modo adeguato programmi formativi prestabiliti. Esse si distinguono in: - metodologie d’aula (lezione, discussione, approfondimenti) - metodologie di tipo attivo (casi di studio, simulazioni, laboratori) - metodologie di compito reale (stage, progetto professionale). 418 Vi è inoltre la distinzione tra: - attività svolte in presenza dei due soggetti (utente, formatore) - attività svolte a distanza. Modulo formativo I moduli sono delle unità di formazione complete, autonome. I moduli possie- dono delle condizioni di entrata (che vanno accertati) e di uscita (queste ultime, de- finite competenze acquisite, sono oggetto di valutazione), ed hanno per caratteri- stica di potersi combinare tra loro in differenti maniere. Una formazione modulare si presenta allora come un gioco di costruzione che permette, a partire da un numero limitato di elementi, di organizzare degli insiemi variati che possono rispondere a dei bisogni differenti. Così delineato, il modulo formativo deve potersi legare ad altri moduli appartenenti sia alla stessa filiera pro- fessionale sia a filiere differenti. Un modulo di formazione (qualificante) mira ad obiettivi professionali corri- spondenti ad una funzione realmente esercitata nel mondo del lavoro, ovvero ad una impiegabilità riconosciuta. Monitoraggio Intervento svolto lungo l’iter del percorso formativo mediante il quale è possi- bile avere la percezione di come l’iniziativa si sta sviluppando in itinere sotto il profilo del perseguimento degli obiettivi formativi e dei riscontri qualitativi. Obbligo formativo Si lascia la presente voce perché l’obbligo formativo è ancora in attuazione in Italia, anche se la legge 53/03 ha delineato una nuova configurazione dell’obbligo formativo (cfr. per questo la voce formazione professionale iniziale). Obbligo di frequenza di attività formative fino al compimento del diciottesimo anno di età, istituito dalla legge n. 144 del 17 maggio 1999, art. 68, e successiva- mente disciplinato con il D.P.R. n. 257 del 12 luglio 2000. Tale obbligo può essere assolto in percorsi anche integrati di istruzione e formazione: a) nel sistema di istruzione scolastica, b) nel sistema della formazione professionale di competenza regionale, c) nell’esercizio dell’apprendistato. L’obbligo si intende comunque assolto con il conseguimento di un diploma di scuola secondaria superiore o di una qualifica professionale. L’obiettivo è quello che tutti i giovani residenti in Italia, anche stranieri, abbiano la possibilità di rag- giungere almeno una qualifica professionale. L’obbligo formativo spinge forte- mente a costruire un’integrazione fra i sistemi scuola, formazione professionale e lavoro, al fine di rendere concrete le opportunità previste dalla legislazione. Inoltre, sono previste opportune iniziative di orientamento, riorientamento, certifi- 419 cazione delle competenze e riconoscimento reciproco di crediti per garantire flessi- bilità al sistema. Obbligo scolastico Sancito dalla Costituzione (art. 34) in una durata di almeno 8 anni, la legge 9 del 1999 ha portato l’obbligo scolastico ad una durata novennale: iniziava al sesto anno e terminava al quindicesimo anno di età. Nell’ipotesi di riordino della prece- dente legislatura, l’obbligo di istruzione si sarebbe concluso con il biennio del ciclo secondario. Nel riordino della legge 53/03 la legge 9/1999 è stata abrogata e il concetto di obbligo scolastico è stato riformulato nel concetto di “diritto all’i- struzione e formazione per almeno dodici anni” (art. 2 della legge 53/03). Obiettivo formativo Risultato di apprendimento perseguito dai formatori, inteso nel senso dei cam- biamento atteso dall’allievo, coerente con il Pecup L’obiettivo formativo rappre- senta quindi un riferimento per l’attività del team di formatori, mentre le compe- tenze indicano l’acquisizione da parte degli allievi. Obiettivo specifico di apprendimento Conoscenza o abilità connessa all’unità di apprendimento (di cui è un ingre- diente indispensabile ma non sufficiente), che costituisce una risorsa messa a dis- posizione dell’allievo al fine di affrontare adeguatamente il compito richiesto in modo da acquisire una o più competenze. Orientamento Prassi educativa attiva volta a favorire la capacità del soggetto di risolvere il problema del suo avvenire professionale, facilitandogli l’assolvimento dei compiti vocazionali relativi alla conoscenza di sé (potenzialità attitudinali, capacità, inte- ressi e valori), alla conoscenza del mondo del lavoro e delle professioni, alla for- mulazione di progetti di vita e di lavoro e alla loro valutazione in funzione della decisione di scelta di un progetto e del modo migliore di realizzarlo. Non si limita ad un atto puntuale d’intervento nei momenti decisionali, ma rappresenta un pro- cesso educativo che si accompagna allo sviluppo evolutivo dell’individuo in con- sonanza con il progressivo variare e arricchimento del concetto di sé in riferimento alle transizioni importanti del suo percorso di vita/di lavoro. Orientatore Figura professionale che presidia le fasi fondamentali del processo di orienta- mento, ovvero: • informazione • formazione • counselling. 420 Patto orientativo-formativo È un patto – formalizzato oppure informale – mediante il quale l’organismo che eroga orientamento o formazione si impegna a fornire all’utente tutti gli stru- menti, i servizi e le relazioni necessarie al raggiungimento di un determinato esito, mentre l’utente, a sua volta, si vincola a corrispondere ai criteri di impegno e di comportamento necessari per potere svolgere in modo adeguato il percorso. Partenza Fase conclusiva del progetto/processo di inserimento della persona in un ruolo sociale positivo. Essa rappresenta il momento in cui la persona è aiutata a “con- durre da sé la propria canoa” ovvero non è solo in possesso di conoscenze, compe- tenze e comportamenti adeguati, ma si dispone positivamente alla gestione auto- noma del proprio ruolo. Passaggio Processo formativo tramite il quale una persona collocata entro un particolare percorso scolastico-formativo può accedere ad un altro vedendo valorizzato il pro- prio bagaglio di acquisizioni. Il passaggio richiede una collaborazione tra orga- nismo inviante ed organismo ricevente e l’attivazione di un apposito Larsa che consenta alla persona di acquisire le conoscenze, le abilità e le competenze neces- sarie al buon fine dell’azione. Il passaggio è l’esito di una volontà dell’allievo e della relativa famiglia; esso si esprime mediante una domanda esplicita che indica il tipo di formazione desiderata e il Centro o Istituto in cui intende transitare. Percorsi formativi destrutturati (seconda chance) Particolare metodologia di intervento educativo rivolta in prevalenza ad adole- scenti e giovani in difficoltà (scolastica e/o sociale) che opera secondo un ap- proccio promozionale e valorizzante, teso ad offrire a tali utenti un’alternativa di “successo” che consenta loro di inserirsi positivamente in un ruolo sociale deside- rato superando precedenti esperienze negative. Percorso formativo Rappresenta il cammino di apprendimento che l’allievo persegue avendo come riferimento il raggiungimento del successo formativo. Esso prevede la cen- tralità della persona, una visione relazionale della formazione come azione genera- trice di senso e di valore, l’utilizzo di approcci e di metodiche coerenti con l’op- zione antropologica di fondo e quindi in grado di sviluppare una formazione perso- nalizzata, contestuale, autentica. Personalizzazione Riferimento del percorso educativo-formativo alla specifica realtà personale dell’allievo. Personalizzare significa delineare differenti percorsi di trasferimento- 421 acquisizione delle conoscenze, abilità e competenze, in base alle caratteristiche personali degli allievi: stili di apprendimento, metodi di studio, caratteristiche pe- culiari. La personalizzazione avviene comunque nell’ambito di un gruppo di allievi che condividono un medesimo percorso di apprendimento, fatte salve le necessarie attività di individualizzazione. Piano dell’offerta formativa Documento a base della attività del Centro di istruzione e formazione profes- sionale che indica: missione dell’organismo, strategia formativa e partnership, target e territorio di riferimento, offerta di formazione e di servizi, criteri metodo- logici, stili professionali e politica della qualità. L’offerta formativa in particolare comprende: - orientamento - formazione iniziale (qualifica professionale + diploma di formazione) - formazione superiore (diploma di formazione superiore) - formazione speciale - servizi formativi. Piano formativo personalizzato Documento elaborato dal team dei formatori che delinea in chiave cronologica le principali attività/prodotti con relative competenze mirate, specificando, in riferi- mento ad ogni attività-prodotto, lo sviluppo degli orari, il personale coinvolto ( tutor coordinatore, scienze umane, area scientifica, area professionale, sviluppo capacità personali) con responsabilità e compiti, le modalità di accesso, le risorse necessarie, le modalità di orientamento e valutazione, l’intesa circa la compilazione del port- folio. Il Piano formativo, che prevede inoltre le occasioni di personalizzazione e le forme in cui queste vengono attivate, non è un programma precostituito, ma si svi- luppa passo passo lungo il percorso tramite le unità di apprendimento realizzate, tanto da risultare completo solo al compimento dell’intero cammino. Portfolio delle competenze individuali Raccolta significativa dei lavori dell’allievo che racconta la storia del suo im- pegno, del suo progresso o del suo rendimento. Tramite esso è possibile capire la storia della crescita e dello sviluppo di una persona corredandola con materiali che permettono di comprendere “che cosa è avvenuto” dal momento della presa in ca- rico della persona fino al momento della partenza, passando per le varie fasi di cui si compone il percorso formativo. Il portfolio è concordato e definito nell’ambito del Centro; esso comprende comunque i seguenti ambiti: anagrafico, orientativo, formativo e valutativo, certifi- cativo. Esso è composto da una parte essenziale – corrispondente al “libretto for- mativo” da consegnare alla persona ed agli eventuali interlocutori (sistema educa- 422 tivo, sistema lavorativo e professionale) – e dagli allegati conservati presso il Centro. Professionalità Insieme di competenze e risorse che consentono alla persona di risolvere in modo soddisfacente i problemi di un particolare ambito di lavoro. Non è solo qual- cosa di esterno, ma è un vero e proprio “vestito” che modella la personalità. La professionalità richiede una partecipazione interiore; essa “viene da dentro” e si esprime in una passione per il proprio lavoro, nella curiosità e nel desiderio di ap- prendere e migliorare continuamente. Profilo educativo culturale e professionale (Pecup) Il Pecup dello studente alla fine del percorso di qualificazione professionale costituisce la «bussola» per la determinazione sia degli «obiettivi generali del pro- cesso formativo» sia degli «obiettivi specifici di apprendimento» (art. 8 del Dpr. 275/99) che saranno contenuti nelle Indicazioni regionali per i piani formativi per- sonalizzati dei singoli Istituti/Centri. Il carattere «di limite ideale» del Profilo é, quindi, esplicito. È compito delle Indicazioni regionali, prima, e, dopo, soprattutto dei Piani di Studio Personalizzati (redatti da ogni gruppo di docenti coordinati dal tutor all’interno del quadro tracciato dal Piano dell’offerta formativa (Pof) di ogni istituzione di IFP) disporre l’adattamento del Profilo alle differenti situazioni am- bientali e personali, e specificarne i percorsi ed i livelli di approfondimento. Progetto Enunciato che definisce gli elementi fondamentali di un percorso, ovvero: obiettivi, contenuti, esperienze, metodologie, successione in fasi o momenti di azione, risorse, tempi, sistema di verifica. Proposta formativa Rappresenta la “carta dei valori” dell’organismo formativo. La buona forma- zione non è solo tecnica; essa implica una visione ideale. Tale visione attribuisce alla formazione un valore che costituisce un elemento cruciale della sua qualità. I valori non esistono in astratto, ma sono resi vitali dalla coesione tra persone che li condividono. La qualità è fatta essenzialmente dalle persone in quanto portatrici di valori (e diffusori degli stessi). Il sistema dei valori è decisivo nel definire il modo in cui si concepisce la qualità e nell’indicare i criteri chiave del sistema organizza- tivo che ne consegue. Psicologia evolutiva La Psicologia Evolutiva è il settore della psicologia che ha organizzato tutte quelle conoscenze sulla crescita che sono il patrimonio base per la conoscenza 423 degli stadi evolutivi e delle manifestazioni di standard raggiungibili ad ogni fase di crescita. Chi vuol approfondire può riferirsi ai manuali specifici, ad es.: MUSSEN H.P., C ONGER J., K AGAN J., Lo sviluppo del bambino e la personalità, Zanichelli, Bologna 1976; CANESTRARI R., Psicologia dello sviluppo, 2 voll., CLUEB, Bo- logna 1984. Repertorio delle comunità/famiglie professionali Documento, connesso alle indicazioni regionali, che comprende la classifica- zione delle comunità e relative figure professionali previste nei titoli rilasciati dal sistema di Istruzione e Formazione professionale. Esso è centrato sui compiti tipici e indispensabili. Qualificazione professionale Insieme delle attitudini, delle conoscenze, delle competenze e delle esperienze acquisite che permette di esercitare una professione o un mestiere determinato. La qualificazione comprende il sapere tecnico necessario per svolgere un lavoro, ma anche le capacità personali, la motivazione alla professione e le capacità di comu- nicazione e di relazione. Qualità della formazione Una formazione è di qualità quando corrisponde agli standard richiesti. Essi solitamente fanno riferimento ai seguenti criteri: • efficacia (capacità di raggiungimento degli obiettivi) • efficienza (capacità di ottimizzare l’uso delle risorse) • congruenza (massima vicinanza al modello professionale di riferimento) • rispondenza (corrispondenza alle attese degli utenti diretti ed indiretti) • rilevanza (presenza di elementi che ne fanno una formazione di eccellenza ri- spetto a quelli presenti nello stesso ambito) • effetto moltiplicatore (capacità di mettere in moto un apprendimento diffuso). Rete orientativa È l’insieme degli organismi e delle strutture che partecipano ad un’attività orientativa. Ad essa possono partecipare: • Istituti e Centri di formazione professionale • centri di orientamento • servizi per l’impiego • enti locali • servizi sociali • associazioni e volontari • imprese, sindacati e loro associazioni. 424 Risorse culturali Saperi e tecnologie che consentono ad un organismo formativo di svolgere in modo adeguato la propria attività in riferimento ad un determinato processo-pro- dotto. Risorse didattico-formative Tali risorse fanno riferimento alla proposta formativa, alle modalità di proget- tazione e programmazione, alle tecniche di insegnamento e di valutazione, agli stili relazionali, infine alle buone prassi, che costituiscono il “mestiere” specifico del formatore. Risorse economico-finanziarie L’ammontare di tali risorse è riferito a parametri di costo che soddisfano le ne- cessità specifiche dell’azione formativa per la quale sono impegnate. Risorse organizzative Insieme dei ruoli, delle funzioni, delle procedure, dei legami e delle strategie che consentono ad un organismo di formazione di svolgere adeguatamente il pro- prio compito. Tutto ciò si riflette in tre indicatori: • il radicamento territoriale ovvero la storia dell’organismo in rapporto ad uno specifico “sistema locale” o settoriale • le esperienze formative svolte • le performance in termini di efficacia-efficienza sia in rapporto agli esiti sia al- l’impatto socio-economico ed al contributo allo sviluppo. Risorse strutturali Sono costituite dagli ambienti (strettamente formativi o di servizio) necessari al corretto svolgimento di una determinata azione formativa. Risorse umane Solitamente, le figure professionali prevalenti indicate nel CCNL e operanti nei contesti formativi sono: a) direttore regionale b) direttore centro polifunzionale c) direttore ricerca e sviluppo d) responsabile valutazione processi formativi e) formatore impegnato in attività diretta f) formatore tutor g) coordinatore area processo h) coordinatore attività di orientamento 425 i) coordinatore attività di progettazione j) coordinatore attività di integrazione k) progettista di sistema l) promotore di attività formative. Situazione di apprendimento (didattica attiva) Esperienza formativa che il team dei formatori è chiamato a “creare” e che ponga l’allievo, nel confronto con problemi di cui coglie il senso, di porsi in modo attivo alla ricerca di una soluzione adeguata, superando gli ostacoli che via via in- contra, mobilitando in tal modo un processo di apprendimento autonomo, perso- nale, autentico. Tale processo è centrato sull’azione; tanto che si può affermare che la conoscenza passa necessariamente per l’azione per poi giungere ad una piena formalizzazione attraverso il linguaggio. Tale metodologia mira a perseguire una visione unitaria della cultura a partire dall’esperienza evitando la meccanica tra- scrizione degli obiettivi generali del processo formativo e degli obiettivi specifici di apprendimento in chiave di didattica disciplinare. Risulta quindi prevalente l’at- tività di laboratorio rispetto a quella di aula. Specializzazione Rappresenta una formazione mirante all’approfondimento di un particolare am- bito di lavoro in modo da acquisire una competenza ulteriore. Essa è pertanto succes- siva alla qualificazione e si acquisisce solitamente dopo un certo periodo di lavoro. Standard professionali e formativi (minimi) Caratteristiche delle prestazioni relative al percorso formativo che indicano la misura minima dei LEP, base dell’accreditamento necessario per poter erogare un’istruzione e formazione compatibile con l’ordinamento, anche al fine del rila- scio del titolo e dell’assunzione di un ruolo corrispondente. L’espressione “mi- nima” è da intendere non in senso programmatico, ma come livello sotto il quale l’apprendimento non è sicuro. Successo formativo Risultato dell’attività educativa mediante la quale la persona è in grado di trasformare le proprie capacità – attitudini, atteggiamenti, risorse, vocazione – in vere e proprie competenze, al fine di ottenere comunque un risultato soddisfa- cente in termini di conseguimento di una qualifica professionale coerente con i principali sistemi di classificazione disponibili, garanzia di un supporto all’inseri- mento lavorativo; possibilità di una prosecuzione della formazione nell’ambito dell’anno di diploma di formazione come pure nell’ambito della Formazione pro- fessionale superiore ed eventualmente nella prosecuzione nell’Istruzione e nel- l’Università. 426 Sviluppo professionale Concezione derivante da un modello teorico di origine canadese (ADVP – Attivazione dello Sviluppo Vocazionale Personale) secondo cui il soggetto orga- nizza il suo progetto personale di vita e di lavoro in base all’immagine che ha di se stesso nei vari stadi del suo sviluppo; il che gli permette di acquisire la matu- rità professionale necessaria a formulare una sintesi delle varie esperienze matu- rate nel decorso evolutivo, tale da renderlo capace di tradurre l’immagine di sé in termini professionali. Secondo questa concezione, le scelte professionali ven- gono elaborate lungo un processo evolutivo segnato da stadi e caratterizzato da compiti che l’individuo deve assolvere per pervenire a scelte soddisfacenti per sé e per la società, in una sequenza di comportamenti vocazionali e di decisioni che gradualmente tessono la trama dello sviluppo della carriera individuale. Stage/ tirocinio Esperienza di formazione realizzata presso una struttura produttiva, pubblica o privata, di beni o di servizi. In tale periodo le persone sono chiamate a lavorare in una precisa posizione di lavoro al fine di verificare, attualizzandole, le acquisizioni ricevute, di completare la loro formazione tecnica, di interagire con le concrete condizioni di lavoro cui si riferisce il loro percorso formativo. Siti salesiani www.sdb.org www.donbosco.it/ www.donboscotriveneto.it/ www.cnos.org/ www.cnos-fap.it/ Tutor-coordinatore Figura indispensabile in ogni azione di istruzione e formazione professionale con il compito di guidare l’équipe dei formatori coinvolti, presiedere alle fasi di progettazione e programmazione (piano formativo), coordinare le attività, facilitare i processi di apprendimento e sostenere il miglioramento continuo dell’attività for- mativa e didattica. Unità di apprendimento (UdA) Struttura di base dell’azione educativa di istruzione e formazione professio- nale. Essa ha valore strettamente contestuale: si riferisce a precise persone, in rela- zione ad uno specifico contesto. Viene elaborata coerentemente con la normativa ed i documenti preparatori – che costituiscono vincoli, criteri e proposte di riferi- mento, ma non certo dei programmi, a partire dalla lettura del preciso contesto in cui l’azione si svolge ovvero i destinatari, il settore / comunità professionale, il ter- 427 ritorio con le sue risorse ed i suoi vincoli. L’UdA prevede la definizione di: obiet- tivi formativi, compito/prodotto, competenze mirate, obiettivi specifici di apprendi- mento correlati, utenti e loro caratteristiche, aspetti metodologici ed organizzativi. Valutazione autentica Metodologia valutativa – collocata entro un approccio formativo coerente – che mira a verificare non solo ciò che un allievo sa, ma ciò che “sa fare con ciò che sa” fondato su una prestazione reale e adeguata dell’apprendimento che risulta così significativo, poiché riflette le esperienze reali ed è legato ad una motivazione personale. Lo scopo principale consiste nella promozione di tutti offrendo opportu- nità al fine di compiere prestazioni di qualità. Tale valutazione, coinvolgendo gli allievi, le famiglie ed i partner formativi, mira pertanto alla dimostrazione delle co- noscenze tramite prestazioni concrete, stimolando l’allievo ad operare in contesti reali con prodotti capaci di soddisfare precisi obiettivi. Particolarmente rilevante è il “capolavoro” che l’allievo esegue al termine del percorso formativo e che docu- menta nelle forme e linguaggio proprio della comunità professionale la sua prepa- razione, giustificando il rilascio della relativa qualifica professionale. Vocazione In termine letterale, significa “chiamata”; in senso diffuso, si intende la dispo- sizione della persona verso una particolare attività lavorativo-professionale, non intercambiabile con nessun’altra, e che, di conseguenza, sancisce la realizzazione della persona. 429 INDICE PRESENTAZIONE.............................................................................................................. 5 INTRODUZIONE (Daniele Loro) ...................................................................................... 7 1. I protagonisti del corso e le loro attese........................................................ 7 2. Obiettivo generale e ipotesi di lavoro.......................................................... 11 3. Indicazioni riguardanti il percorso formativo.............................................. 13 AREA TEMATICA 1: MAPPE, TERRITORI E CULTURE MODULO 1: BUSSOLE E PARADIGMI Prima lezione: Solitudine e globalizzazione (Michele Visentin)............... 21 Seconda lezione: Pensiero semplice o complesso? (Michele Visentin e Daniele Loro) ............................................................................................. 29 Terza lezione: Lavoro e formazione professionale. Le trasformazioni in atto (Giuseppe Tacconi) ......................................................................... 40 MODULO 2: UNA COMUNITÀ CHE SI EDUCA. LA FORMAZIONE PROFESSIONALE SALESIANA E I SUOI PROTAGONISTI (Michele Visentin) Prima lezione: Generazione x, y o z? I giovani immaginati ..................... 59 Seconda lezione: L’educatore salesiano tra formazione professionale e passione per la vita ..................................................................................... 64 Terza lezione: “Preferirei di no”: una nuova cultura della relazione educativa..................................................................................................... 73 MODULO 3: IL CARISMA EDUCATIVO SALESIANO OGGI: COORDINATE DI FONDO (Giuseppe Tacconi) Prima lezione: A partire dalla nostra storia................................................ 83 Seconda lezione: Il carisma salesiano oggi ................................................ 98 Terza lezione: I/Le collaboratori/trici laici/che come “dono” per il carisma 104 AREA TEMATICA 2: I VISSUTI EMOTIVI DEI FORMATORI E DEGLI UTENTI NELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE CHE CAMBIA (Riccardo Tuggia) MODULO 1: LE DIFESE PERSONALI DI FRONTE AL CAMBIAMENTO E ALLE RESPONSABILITÀ Prima lezione: Solitudine e globalizzazione .............................................. 113 Seconda lezione: Le difese dei formatori ................................................... 120 Terza lezione: Le difese degli utenti della FP ............................................ 123 430 MODULO 2: IL FORMATORE TRA PASSIVITÀ ED EROISMO PROFESSIONALE. UNA LETTURA CRITICA Prima lezione: La percezione interpersonale tra pregiudizio e apprendimento ............................................................................................ 129 Seconda lezione: Gli atteggiamenti verso l’autorità e l’organizzazione.... 134 Terza lezione: I comportamenti decisionali e le strategie di coping .......... 137 MODULO 3: LA GESTIONE DEI CONFLITTI Prima lezione: Conflitti e frustrazioni........................................................ 145 Seconda lezione: L’escalation dei conflitti................................................. 148 Terza lezione: Per una risoluzione positiva dei conflitti ............................ 151 AREA TEMATICA 3: LA GESTIONE DELL’AULA COME AZIONE PREVENTIVA ( Riccardo Tuggia) MODULO 1: UN VOCABOLARIO MINIMO Prima lezione: Le rappresentazioni personali ............................................ 157 Seconda lezione: I modelli di conoscenza.................................................. 161 Terza lezione: Per un incontro tra generazioni........................................... 165 MODULO 2: L’ASCOLTO ATTIVO Prima lezione: Le barriere della comunicazione........................................ 171 Seconda lezione: Ostacoli alla risoluzione dei problemi ........................... 174 Terza lezione: L’ascolto attivo.................................................................... 178 MODULO 3: LA COMUNICAZIONE ASSERTIVA Prima lezione: Lo stile passivo .................................................................. 185 Seconda lezione: Lo stile aggressivo.......................................................... 188 Terza lezione: Lo stile assertivo ................................................................. 192 AREA TEMATICA 4: LA PROGETTAZIONE FORMATIVA MODULO 1: PROGETTARE NELLA FORMAZIONE (Giuseppe Tacconi) Prima lezione: La progettazione nel processo formativo .......................... 199 Seconda lezione: Spazi, tempi e soggetti nella progettazione ................... 205 Terza lezione: Il progetto nazionale del CNOS-FAP ................................. 208 MODULO 2: MODELLI DI PROGETTAZIONE (Giuseppe Tacconi) Prima lezione: Modelli di progettazione.................................................... 221 Seconda lezione: L’apprendimento basato su problemi reali..................... 231 Terza lezione: Dispositivi didattici ............................................................. 246 431 MODULO 3: DIDATTICA E NUOVE TECNOLOGIE (Francesco De Pascale) Prima lezione: Didattica multimediale: possiamo farne a meno? ............. 257 Seconda lezione: Usare internet in classe. Perché farlo, cosa farne, come farlo................................................................................................... 267 Terza lezione: Lavorare in rete per progetti .............................................. 272 AREA TEMATICA 5: L’ORIENTAMENTO NELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE ( Umberto Fontana) MODULO 1: CRESCITA PERSONALE E ORIENTAMENTO Prima lezione: Le fasi dello sviluppo umano ............................................ 283 Seconda lezione: La conoscenza di sé e del proprio contesto come esito di una crescita corretta....................................................................... 288 Terza lezione: Orientamento come accompagnamento della crescita personale..................................................................................................... 291 MODULO 2: APPRENDIMENTI E ORIENTAMENTO Prima lezione: Lo sviluppo cognitivo ........................................................ 297 Seconda lezione: Conoscenze, competenze e abilità per decidere............. 306 Terza lezione: Apprendere ad apprendere .................................................. 313 MODULO 3: LAVORO E AUTOREALIZZAZIONE Prima lezione: Formazione ad inserirsi nel mondo del lavoro .................. 321 Seconda lezione: Progetto di sé e responsabilità sociale ........................... 324 Terza lezione: “Accompagnamento” al lavoro e alla realizzazione di sé .. 327 AREA TEMATICA 6: CULTURA ORGANIZZATIVA E PROCESSI DI SELF-EMPOWERMENT MODULO 1: ORGANIZZAZIONE E SOGGETTIVITÀ (Giuseppe Tacconi) Prima lezione: Il concetto di organizzazione ............................................. 335 Seconda lezione: Modelli organizzativi per comunità educative complesse ................................................................................................... 341 Terza lezione: Biografie istituzionali e culture organizzative: l’impegno salesiano nella formazione professionale ................................. 351 MODULO 2: SOGGETTIVITÀ E ORGANIZZAZIONE Prima lezione: Rappresentarsi l’organizzazione (Giuseppe Tacconi)........ 361 Seconda lezione: Reti di supporto nell’organizzazione (Michele Visentin) 367 Terza lezione: Progettualità personale e potere nell’organizzazione (Giuseppe Tacconi)..................................................................................... 373 432 MODULO 3: L’AUTOSVILUPPO NELLE ORGANIZZAZIONI Prima lezione: Competenze del formatore. un repertorio (Giuseppe Tacconi) 379 Seconda lezione: Il formatore che vorrei essere... (Michele Visentin) ...... 384 Terza lezione: L’apprendimento organizzativo (Giuseppe Tacconi) .......... 390 CONCLUSIONE ( Daniele Loro) 1. Istruzione, educazione, formazione ............................................................. 397 2. CFP e stile educativo salesiano ................................................................... 400 3. Lo spirito del lavoro e la sua pedagogia...................................................... 403 GLOSSARIO ............................................................................................................. 405

Guida per l'elaborazione di piani formativi personalizzati. Comunità professionale turistica e alberghiera

Autore: 
Sede Nazionale CNOS-FAP
Categoria pubblicazione: 
Progetti
Anno: 
2004
Numero pagine: 
144
Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati Comunità professionale TURISTICA e ALBERGHIERA A cura di CNOS-FAP - CIOFS/FP CENTRO NAZIONALE OPERE SALESIANE FORMAZIONE AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE Federazione CNOS-FAP Sede Nazionale turistica.qxd 29-11-2004 12:59 Pagina 1 &7�FQRV���SB�B����SGI�� ������������������� Coordinamento scientifico: Dario NICOLI (Università Cattolica di Brescia) Autori del volume: Lucio REGHELLIN (Sede nazionale CNOS-FAP) Elisabetta SERRA (Sede nazionale CNOS-FAP) Francesco MAJORANA (CNOS-FAP Misterbianco) Sandro ORRÙ (CNOS-FAP Selargius) Tommaso FIORDELMONDO (CNOS-FAP Foligno) Stefania CRISPONI (CNOS-FAP Bosa) Sara GONNELLINI (CNOS-FAP Perugia) Hanno collaborato: Daniela ANTONIETTI (Sede nazionale CNOS-FAP) Comunità professionale turistica e alberghiera: Gianluca ARMENI, Enrico COMPAGNINI, Mario GAG- GERO, Francesco GIGLIO GARGANO, Irene GROFF, Orsola IRTI, Giuseppe NICOTRA, Massimo PUGLISI, Massimo SALVATORE Commissione area scientifica: Carlo LUCIS, Michele MARCHIARO, Flavio BORNETO, Stefano CALE- GARI, Cataldo CIURO, Maria C. GIAQUINTA, Francesco E. MASTINU, Luca MOZZATO, Silvano SPANU Commissione area culturale: Piero QUINCI, Roberta R. CARLINI, Cristina BALLARIO, Michelino DAVICO, Mariapia LOCAPUTO, Mario PERINATI, Patrizia SCONAMILA, Angelo L. VILLA, Alessandro VOZZO Commissione area informatica: Massimiliano BORACCHI, Antonino MARAVENTANO, Giovanni PINNA, Mauro TERUGGI Si ringraziano: Tutti i formatori della comunità professionale turistica e alberghiera e delle commissioni dell’area cul- turale, scientifica e informatica per la partecipazione ai gruppi di lavoro sulle unità di apprendimento e per i contributi offerti. turistica.qxd 29-11-2004 12:59 Pagina 2 &7�FQRV���SB�B����SGI�� ������������������� 3 INTRODUZIONE Con la nuova normativa sul sistema educativo (legge cost. 3/01; legge 53/03, legge 30/03), nel secondo ciclo degli studi si prevede (accanto a quello liceale) il sottosistema dell’istruzione e della formazione professionale (IFP), che realizza le mete del “Profilo educativo, culturale e professionale” (PECUP)1 avvalendosi di una metodologia fondata sulla valorizzazione delle culture del lavoro e mediante un approccio basato sulla pedagogia per progetti. 1) Aspetti della nuova offerta formativa I ragazzi che, avendo compiuto il percorso di istruzione obbligatoria per al- meno otto anni (art. 34 Cost.), in forza di quanto specificato dall’art. 68 della legge 144/99 in tema di obbligo formativo, non intendono proseguire gli studi nel con- testo scolastico, necessitano di una nuova offerta formativa che preveda i seguenti aspetti. a) Sviluppo di percorsi formativi conformi con i requisiti della “società della co- noscenza” così come indicati dall’istanza comunitaria, consentendo a tutti l’accesso ad un più elevato livello culturale ed il perseguimento del successo formativo di tutte le persone, nessuna esclusa, valorizzandone gli apprendi- menti formali, non formali ed informali, lungo tutto il corso della vita, garan- tendo il diritto-dovere di istruzione e formazione ed i diritti educativi e forma- tivi comunque intesi. b) Collocazione delle diverse componenti dell’offerta entro un disegno di sistema di istruzione e formazione professionale con carattere di organicità e conti- nuità, che prevede percorsi pluralistici di qualifica, diploma e diploma supe- riore collocati in un organico processo di offerta dal carattere progressivo. Ciò considerando le diverse opzioni possibili (orientamento e bilancio, corsi strut- turati, apprendistato, corsi destrutturati, alternanza formativa, servizi di ac- compagnamento, ecc.) entro un quadro unitario di offerta formativa. c) Sostegno del processo di innovazione dei diversi organismi erogativi verso un modello di servizio aperto alla soddisfazione dei bisogni degli utenti e del ter- ritorio, di qualità, nella logica del partenariato e della rete, in una prospettiva di “servizio della società civile”. 1 Il documento “Profilo educativo, culturale e professionale dello studente alla fine del secondo ciclo di istruzione e determinazione dei livelli essenziali di prestazioni per gli istituti dell’istruzione e della formazione professionale” non è stato ancora pubblicato. I riferimenti che appaiono nel presente volume sono ricavati da bozze dello stesso. turistica.qxd 29-11-2004 12:59 Pagina 3 &7�FQRV���SB�B����SGI�� ������������������� 4 d) Adozione della metodologia della personalizzazione basato su piani di studio e portfolio delle competenze comprendente un sistema di riconoscimento delle acquisizione e loro gestione sotto forma di crediti formativi. e) Qualificazione continuativa dell’offerta puntando in particolare all’eccellenza formativa in stretta connessione tra il sistema di istruzione e formazione pro- fessionale e gli ambiti economico-sociali e culturali che sviluppano un know how di alto livello. f) Garanzia della contestualizzazione del sistema di offerta formativa e dello svi- luppo di una governance territoriale tramite la cura della rete territoriale che veda il coinvolgimento dei diversi attori che insistono nel medesimo ambito di riferimento con attenzione anche al primo ciclo degli studi, al sistema dei licei e all’Università. Per sostenere l’elaborazione dei piani formativi personalizzati, il CNOS-FAP e il CIOFS/FP hanno elaborato delle specifiche “Guide” strutturate per comunità professionali, in coerenza con le “Linee guida” di riferimento (Nicoli, 2004). 2) Scopo della “Guida” La presente “Guida”, dunque, si propone come uno strumento che può aiutare l’équipe dei formatori nell’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Essa si riferisce al PECUP del secondo ciclo degli studi e lo interpreta entro la prospettiva della “cultura del lavoro”, ovvero del modo in cui favorire la formazione integrale del giovane con l’apporto della comunità professionale di riferimento. Tale impo- stazione è alternativa alla prospettiva che concepisce il lavoro come semplice somma di attività pratiche e ritiene che formare ad esso significhi “assemblare le parti distinte di un individuo” (la prova è che, nei processi formativi così impostati, al centro non appare la persona, ma le funzioni che questa deve svolgere). Essa, in- fatti, propone – coerentemente con l’impianto della legge 53/03 – una visione cul- turale ed olistica del lavoro ed inoltre una visione educativa della formazione. 3) Concezione del lavoro presente nelle “Guide” e atteggiamento progettuale Il disegno delle “Guide”, come detto, si riferisce al PECUP del secondo ciclo del sistema educativo e, quindi, sostiene una prospettiva finalizzata alla riflessione critica sul sapere, sul fare e sull’agire, allo sviluppo dell’autonoma capacità di giu- dizio e all’esercizio della responsabilità personale e sociale. In tal senso le compe- tenze identificano non tanto una dotazione data una volta per tutte e predefinita, quanto una disposizione particolare del soggetto ad essere protagonista della cul- tura del lavoro con una partecipazione responsabile e dotata di senso e a vivere un’esperienza di crescita personale e collettiva nell’ambito delle realtà di riferi- mento. Pertanto, si mira a fornire una formazione più profonda e più ricca della turistica.qxd 29-11-2004 12:59 Pagina 4 &7�FQRV���SB�B����SGI�� ������������������� 5 qualifica o del lavoro scelto, superando la prospettiva specialistica per quella più ampia e aggregata della comunità professionale, in modo da essere consapevoli delle trasformazioni, e delle necessarie nuove acquisizioni che consentano di es- sere protagonisti di uno scenario professionale fortemente dinamico. Il disegno formativo proposto prevede, da un lato, la continuità con la formazione in servizio, dall’altro, la continuità con gli ulteriori percorsi formativi di diploma e di diploma superiore. Tale impianto richiede nei formatori gli atteggiamenti professionali della pro- gettazione, della creatività e dell’autonomia. Ciò significa, innanzitutto, perseguire una visione unitaria della cultura a partire dall’esperienza, evitando la meccanica trascrizione degli obiettivi generali del processo formativo e degli obiettivi speci- fici di apprendimento in chiave di didattica disciplinare. Al contrario, i formatori si impegnano a mirare l’azione educativa in riferimento ad obiettivi formativi signifi- cativi e motivanti per gli allievi, nella forma dei piani formativi personalizzati che ogni équipe di formatori è chiamata a realizzare strutturandoli in unità di apprendi- mento. Ciò comprende pure l’adozione del portfolio delle competenze personali, strumento in grado di documentare concretamente i progressi dell’allievo eviden- ziando le competenze acquisite, la storia del suo impegno, e il valore di questo per- corso in termini di crediti formativi (l’utilizzo di tale strumento consente, inoltre, una valutazione “autentica” di taglio fortemente formativo). 4) Comunità considerate La “Guida” si riferisce all’intera filiera formativa, che comprende tre tappe fondamentali: a) Qualifica di istruzione e formazione professionale; b) Diploma di istruzione e formazione professionale; c) Diploma di istruzione e formazione pro- fessionale superiore. Per 11 delle 17 comunità professionali2 previste dalle “Linee guida” (Nicoli, 2004, 39), è stato elaborato il repertorio delle comunità e delle fi- gure professionali di riferimento relative ai tre titoli conseguibili (cfr. tav. 1). Il progetto globale prevede, accanto a ciascuna “Guida” rivolta agli operatori dei CFP, un fascicolo illustrativo destinato agli utenti (ragazzi e loro famiglie). Tale fascicolo, che potremmo definire “orientativo”, mira a presentare la specifica comunità professionale sottolineando gli aspetti educativo-formativi promossi da quella professione, le figure professionali di riferimento, i titolo conseguibili, gli sbocchi lavorativi, ecc. 2 Le comunità previste sono: agricola e ambientale; alimentazione; artigianato artistico; azien- dale e amministrativa; chimica e biologica; commerciale e delle vendite; edile; elettrica ed elettro- nica; estetica; grafica e multimediale; legno e arredamento; meccanica; sanitaria; sociale; spettacolo; tessile e moda; turistica e alberghiera (Nicoli, 2004, 39). turistica.qxd 29-11-2004 12:59 Pagina 5 &7�FQRV���SB�B����SGI�� ������������������� 6 Segue Tavola 1: Repertorio delle comunità e titoli conseguibili Segue turistica.qxd 29-11-2004 12:59 Pagina 6 &7�FQRV���SB�B����SGI�� ������������������� 7 5) Struttura delle “Guide” e logica progettuale proposta Ciascuna “Guida” è stata strutturata in due parti: a) una parte comune a tutte le comunità, costituita da un’introduzione e una impostazione generale (valenza edu- cativa del lavoro nella prospettiva del PECUP, indicazioni circa la valutazione e la gestione del portfolio); b) una parte specifica per ogni comunità professionale comprendente una presentazione della comunità professionale (natura economica, sociale e culturale della comunità; comunità professionale in prospettiva forma- tiva; figure professionali: livelli e continuità); indicazioni su laboratori, stage e al- ternanza; scheda per il piano formativo e sua prospettiva temporale; elenco delle unità di apprendimento (dal primo al terzo anno). Le unita di apprendimento che qui sono proposte corrispondono ai compiti che richiedono una forte interdisciplinarietà, ovvero coinvolgono in modo rile- vante e integrato tutti i formatori e le figure coinvolte nell’équipe di lavoro. Si tratta di una quota del tempo disponibile, che non esaurisce l’intero percorso. Ad esse vanno aggiunte le unità di apprendimento disciplinari e interdisciplinari che l’équipe riterrà necessarie per perseguire le mete del PECUP e gli obiettivi speci- fici di apprendimento previsti, tenendo conto dei caratteri del contesto ivi compresi i destinatari delle attività. In sostanza, si mira a sollecitare l’autonoma capacità progettuale dei formatori, con il coordinatore-tutor, affinché si realizzi una reale formazione personalizzata in modo costruttivo, avendo come riferimento una pista di lavoro che valorizza l’apporto peculiare della comunità professionale e la logica cooperativa dell’équipe. Segue turistica.qxd 29-11-2004 12:59 Pagina 7 &7�FQRV���SB�B����SGI�� ������������������� 8 6) Metodologia operativa Per l’elaborazione delle “Guide” è stata adottata una metodologia impegna- tiva, che ha coinvolto diverse figure coordinate dalle Sedi Nazionali degli enti inte- ressati in un’équipe di lavoro nazionale. Fondamentale è stato il contributo degli operatori, i quali sono stati sollecitati a rielaborare le loro migliori esperienze for- mative fondate su compiti reali in una prospettiva autenticamente interdisciplinare, tenendo conto delle mete del PECUP e degli obiettivi specifici di apprendimento previsti per il triennio; in tal modo, si è potuto realizzare un collegamento forte so- prattutto con quelle progettazioni che nel passato hanno potuto svolgersi secondo il metodo peculiare della formazione professionale. Sono stati poi coinvolti degli esperti3 delle comunità di riferimento che hanno consentito di contestualizzare la proposta entro il quadro normativo, economico, sociale e culturale così come si va delineando nella prospettiva evolutiva della comunità stessa. L’elaborazione delle “Guide” ha previsto le seguenti fasi di lavoro: a) elabora- zione del prototipo della “Guida”; b) discussione e validazione dello stesso; c) co- stituzione di gruppi di lavoro per comunità; d) elaborazione di proposte di “Guida”; e) rilettura e discussione dei risultati ottenuti in appositi seminari di for- mazione e consultazione con gli operatori che prestano la loro opera nel settore sia a livello di progettazione che di formazione. Si è trattato di un periodo forte di progettazione che ha potuto valorizzare il patrimonio educativo e formativo della Famiglia Salesiana, segno di vitalità e di corrispondenza ai bisogni dei destinatari. 7) Conclusioni Quanto elaborato viene reso disponibile per tutti coloro che intendano avvaler- sene, al fine di offrire ai nostri giovani una proposta formativa solida, stimolante, in grado di suscitare le loro migliori risorse affinché possano davvero diventare persone mature e positive, cittadini responsabili, professionisti competenti. Le Sedi Nazionali del CIOFS/FP e del CNOS-FAP ribadiscono la loro gratitu- dine a quanti hanno reso possibile la realizzazione delle “Guide”. In primo luogo, il prof. D. Nicoli, al quale si deve l’impianto progettuale e il coordinamento scien- tifico del lavoro. Si ringraziano, inoltre, tutti gli operatori delle Sedi operative che, a diversi livelli, hanno contribuito alla stesura delle proposte qui presentate. 3 Tali (esperti) poiché appartengono a strutture che hanno esperienza di progettazione e for- mazione nelle comunità specifiche. In tal modo si è realizzata una proficua collaborazione tra strut- ture differenti, attuando quella necessaria intesa che consente di sviluppare una proposta fondata e progressiva. turistica.qxd 29-11-2004 12:59 Pagina 8 &7�FQRV���SB�B����SGI�� ������������������� Parte prima PRESENTAZIONE E CRITERI METODOLOGICI turistica.qxd 29-11-2004 12:59 Pagina 9 &7�FQRV���SB�B����SGI�� ������������������� turistica.qxd 29-11-2004 12:59 Pagina 10 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 11 1. Impostazione generale In questa sezione si intende esplicitare la valenza educativa del lavoro umano nella prospettiva del PECUP, l’impostazione metodologica delle unità di apprendi- mento e le indicazioni generali circa la gestione del portfolio e la valutazione in iti- nere e finale. 1.1. Valenza educativa del lavoro nella prospettiva del PECUP L’elemento cardine del sistema di istruzione e formazione professionale ri- siede nella concezione olistica ed educativa del lavoro. Questo è inteso come una realtà composita che si rivela come opera (prodotto), azione personale e sociale e pensiero dell’uomo, ovvero frutto unitario di tutta la persona e, perciò, di ogni fat- tore che costituisce la realtà umana in quanto cultura. Il lavoro non è concepito come realtà esterna all’uomo, cui esso deve ade- guarsi. È, invece, una condizione privilegiata attraverso cui il soggetto umano si confronta con la storia viva della civiltà, intreccia relazioni significative con gli altri, conosce ed esprime se stesso, agisce sulla realtà apportando ad essa un va- lore, acquisendo in tale dinamica sempre nuove competenze. Per questo il lavoro è concepito come esperienza profondamente umanizzante e quindi occasione per l’e- ducazione integrale della persona umana, proprio perché per produrre al meglio qualsiasi cosa, occorre che la persona agisca e pensi coinvolgendo sempre tutta se stessa, l’intero della propria umanità. Il percorso di istruzione e formazione professionale, di conseguenza, consiste nella possibilità di fare esperienza, sul piano educativo, di un lavoro nel quale sia impossibile separare la teoria dalla pratica, il corpo dalla mente, la ragione dalla volontà e dai sentimenti, l’educazione intellettuale dall’educazione manuale, affet- tiva, sociale, espressiva, morale, religiosa, il rapporto economico da quello etico sociale, l’insegnamento dall’esempio e dalla testimonianza, la ragione strumentale da quella finale, la soggettività autonoma dalla relazione, l’indipendenza dalla di- pendenza, l’istruzione dalla formazione professionale, la cultura generale da quella specifica e, addirittura, specialistica professionale. Così inteso, il lavoro è considerato, dai percorsi educativi dell’istruzione e for- mazione professionale, il giacimento educativo, culturale e didattico privilegiato che si propone all’allievo sotto forma di compiti-problemi che suscitano in esso il desiderio di mettersi alla prova in modo attivo e responsabile, sapendo trovare quelle risposte che consentano di trasformare le proprie potenzialità in competenze che valorizzano conoscenze (sapere) ed abilità (saper fare) consolidate nei saperi turistica.qxd 29-11-2004 12:59 Pagina 11 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 12 disciplinari e interdisciplinari, testimoniando in tal modo il contributo esclusivo, originale e creativo che ciascun essere umano porta anche quando svolge e ripete lo stesso lavoro di un altro. Tale impostazione comporta in primo luogo l’obbligo di organizzare i percorsi educativi dell’istruzione e formazione professionale con un sistematico coinvolgi- mento in sede di progettazione, di svolgimento e di verifica del mondo del lavoro. Inoltre essa implica la considerazione del lavoro, con i suoi compiti e i suoi pro- blemi reali, come oggetto critico di studio, e di verificare se e come e quanto esso contiene, in modo implicito o esplicito, oppure se e come e quanto eccede o nega, le finalità del PECUP, nonché gli obiettivi generali del processo formativo e gli obiettivi specifici di apprendimento dettati nelle attuali “Indicazioni regionali per i piani di studio”. Inoltre, questa impostazione conduce ad una visione del lavoro come realtà viva, non formale, che cresce con la persona, dentro la complessità so- ciale ed economica nella quale si svolge. A causa di ciò, i percorsi dell’istruzione e formazione professionale abituano a considerare mai concluso ed autosufficiente l’apprendimento di qualsiasi lavoro ed aprono alla consapevolezza dell’importanza dell’educazione permanente e ricorrente che deve diventare una costante per tutti nella società e nel lavoro. Infine, quanto affermato conduce ad una visione della competenza come di- mensione della persona umana sempre situata, perciò mai definibile astrattamente a priori, ma, come tale, verificabile solo a posteriori ed inoltre sempre bisognosa, per essere riconosciuta, di persone competenti che la certifichino nel momento in cui viene messa in atto. Nel quadro tracciato dal PECUP, ogni singola tipologia dei percorsi educativi dell’istruzione e formazione professionale promuove nell’allievo, entro la fine del secondo ciclo, la trasformazione dell’insieme delle conoscenze e delle abilità pre- viste dal suo specifico piano di studi in competenze personali e professionali, te- nendo presenti innanzitutto i seguenti obiettivi generali del processo formativo. 1) Passaggio dall’orientamento all’auto orientamento: ogni allievo, facendo espe- rienza delle proprie capacità e verificando le proprie scelte rispetto al progetto di vita e di lavoro, approfondisce la conoscenza di sé e si rende a mano a mano protagonista diretto e responsabile delle proprie scelte. 2) Riscoperta e riaffermazione dell’unità della cultura: l’insieme delle attività educative e didattiche promosse nei percorsi dell’istruzione e formazione pro- fessionale promuove questa consapevolezza dell’unità della cultura e la ela- bora nella riflessione e nell’azione. 3) Promozione dell’interdisciplinarità: si tratta di partire dalla persona dell’al- lievo, dalle sue motivazioni e dai suoi bisogni; di individuare compiti, pro- blemi e progetti (per loro natura complessi e interdisciplinari) che lo coinvol- gono come singolo e come gruppo e scoprire come sia impossibile svolgere i primi, risolvere i secondi e definire i terzi senza superare le partizioni discipli- nari e le segmentazioni professionali. turistica.qxd 29-11-2004 12:59 Pagina 12 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 13 4) Avvaloramento della storicità e della storicizzazione: l’approccio pedagogico indicato nel PECUP consente ai giovani – che vivono solitamente appiattiti sul presente – di vedere la realtà da un punto di vista che non è immediato, ma che si propone loro come patrimonio di civiltà che li riguarda, che in- forma la cultura in tutte le sue manifestazioni, che può cooperare alla loro educazione. 5) Centralità del problema della lingua e dei linguaggi: poiché il fatto linguistico non è esclusivo delle lingue, ma appartiene a tutte le espressioni simboliche della cultura e del lavoro umano, ogni attività educativa dei percorsi dell’istru- zione e formazione professionale è chiamata ad esplicitare i problemi legati al linguaggio ed alla comunicazione all’interno e all’esterno del proprio mondo culturale, sociale e professionale. 6) Consapevolezza dell’analogicità del concetto di scienza: scientificità è “ren- dere ragione” pubblicamente della realtà che si studia e problematizzare logi- camente e socialmente le proprie posizioni e ipotesi rispetto ad essa. Si può essere scientifici, perciò, accostando e risolvendo un problema matematico, ma anche un problema tecnico o un problema estetico. 7) Riconoscimento del valore del conferimento di senso: gli interrogativi esisten- ziali interpellano l’intero dell’esperienza umana. Anche la cultura del lavoro riceve senso dalla libertà e dalla volontà morale di ciascuno. Conferire senso significa scoprire il fine di ciò che si studia e di ciò che si fa; confrontarsi con il perché delle cose, per ciascuno di noi, ma anche per l’insieme della società. 8) Sviluppo della progettualità personale e della cooperazione sociale: una vi- sione culturale ed educativa del lavoro consente alla persona di maturare l’at- titudine alla progettazione di sé e delle proprie esperienze di vita, ricercando gli aiuti e gli strumenti in grado di fornirgli un apporto significativo. 1.2. Impostazione metodologica La presente “Guida” si offre come strumento per dare indicazioni circa possi- bili modalità di strutturare unità di apprendimento interdisciplinari relative alla co- munità professionale specifica. 1.2.1. Modello di apprendimento Il centro della metodologia proposta risiede nel superamento della didattica per trasmissione di saperi e abilità, optando per una concezione formativa centrata sulla cura della relazione educativa e della situazione di apprendimento, in vista di un coinvolgimento dell’allievo come soggetto attivo del processo formativo. Ciò comporta che “i formatori sono chiamati a ‘creare’ esperienze nelle quali l’allievo, confrontandosi con problemi di cui coglie il senso, si pone in modo attivo alla ri- cerca di una soluzione in grado di soddisfare i requisiti del problema stesso, sor- montando gli ostacoli che via via incontra, mobilitando in tal modo un processo di apprendimento autonomo, personale, autentico. Tale processo è centrato sull’a- turistica.qxd 29-11-2004 12:59 Pagina 13 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 14 zione; tanto che si può affermare che la conoscenza passa necessariamente per l’a- zione per poi giungere ad una piena formalizzazione attraverso il linguaggio”1. La logica che muove le unità di apprendimento2, quindi, è quella secondo cui l’apprendimento diventa maggiormente significativo se avviene a partire dall’espe- rienza diretta dell’allievo, il quale, se posto davanti ad un compito da realizzare, può mobilitare le sue competenze personali e incrementarle con nuove conoscenze e abilità in prospettiva della realizzazione di un prodotto. Tale metodologia può essere concretizzata nell’azione educativa attraverso il modello dell’apprendimento esperienziale di Kolb e Fry3 che viene rappresentato nel grafico 1, nella versione adattata da Arto4. Secondo questo modello, riferito ad interventi di tipo disciplinare, ma estensi- bile per analogia alle UdA interdisciplinari, il processo di apprendimento degli al- lievi viene facilitato se essi prendono contatto con i contenuti attraverso un’espe- rienza concreta. Il formatore, quindi, inizialmente propone agli allievi un’esperienza concreta (A) relativa al contenuto che intende spiegare. Questo ha lo scopo di incrementare la motivazione e il coinvolgimento dei ragazzi. Successivamente il formatore pro- pone e guida gli allievi in una riflessione (B) sull’esperienza appena fatta, sul modo in cui l’hanno affrontata e sulla funzionalità di tale esperienza rispetto al contenuto che intende esporre, in modo da promuovere in essi l’autoesplorazione. In seguito il formatore spiega (C) i concetti e i contenuti dell’UdA collegandoli ai dati ottenuti dall’esperienza al fine di poterli estendere ad altre situazioni. Il forma- tore, poi, propone una sperimentazione (D), ovvero una nuova esperienza correlata e simile alla prima, per permettere agli allievi di mettere in pratica i contenuti ap- presi e di farne esperienza in modo più consapevole. Infine, il formatore, attraverso il monitoraggio della seconda esperienza fatta dagli allievi, verifica (E) l’apprendi- mento dei contenuti. 1 NICOLI D. (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema del- l’istruzione e della formazione professionale, Roma, Tipografia Pio XI, 2004, 88. 2 D’ora in avanti verranno indicate con UdA. 3 KOLB D.A. - FRY R., Towards an Applied Theory of Experiential Learning, in: COOPER C.L. (a cura di), Theories of Group Process, London, New York, John Willy & Sons, 1975, 33-57. 4 ARTO A., La persona umana trova la sua ricchezza. Operatori e destinatari: ricchezze a confronto, Roma, AIPRE, 2002, 54. L’adattamento consiste nell’aggiunta della fase E: “Verifica costante”. turistica.qxd 29-11-2004 12:59 Pagina 14 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 15 1.2.2. Struttura delle UdA Le UdA interdisciplinari sono parte essenziale del percorso proposto nella pre- sente “Guida”. Esse si propongono come modelli di azioni educative focalizzate su un compito realizzabile attraverso un approccio interdisciplinare. Per la realizza- zione di queste UdA, quindi, è previsto il lavoro in équipe di diversi formatori, tesi verso la promozione della realizzazione di un unico prodotto, oggetto dell’UdA stessa. La struttura dell’UdA, che prevede la definizione degli obiettivi formativi e degli obiettivi specifici di apprendimento, del compito/prodotto, dei destinatari e delle loro caratteristiche, dei tempi di svolgimento, dei materiali e degli aspetti or- ganizzativi5, è riassumibile attraverso la tabella presentata di seguito, in cui sono descritti tutti i parametri utilizzati per la stesura della scheda relativa. Grafico 1: Percorso di apprendimento Adattato da: ARTO A., La persona umana trova la sua ricchezza. Operatori e destinatari: ricchezze a confronto, Roma, AIPRE, 2002, 54. 5 NICOLI D. (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema del- l’istruzione e della formazione professionale, Roma, Tipografia Pio XI, 2004, 346. turistica.qxd 29-11-2004 12:59 Pagina 15 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 16 1.2.3. Collocazione della “Guida” nel quadro generale delle risorse La presente “Guida” si situa all’interno di un più ampio quadro di risorse edu- cative per l’apprendimento. Infatti, correlate con queste guide vi sono i fascicoli orientativi, da distribuire alle famiglie come spiegazione della comunità professio- nale. Inoltre vi sono le guide per le aree formative, che contengono UdA discipli- nari relative alle competenze di base e alle competenze delle aree professionali ed i materiali per la valutazione, come il modello di portfolio e della prova di qualifica. La collocazione della presente “Guida” all’interno di questo più ampio centro di risorse permette di realizzare il percorso formativo usufruendo di materiali che possono essere un modello per strutturare un percorso formativo che comprenda sia UdA disciplinari che interdisciplinari e che può fornire informazioni per realiz- zare una valutazione coerente con l’impostazione educativa dell’intero impianto. Tavola 2: Modello di UdA UdA n.: Nome del prodotto Scheda descrittiva turistica.qxd 29-11-2004 12:59 Pagina 16 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 17 Sarebbe auspicabile, quindi, che ogni CFP predisponesse un proprio centro ri- sorse, tale da consentire l’accesso a tutto il materiale disponibile. 1.3. Indicazioni circa la valutazione e la gestione del portfolio In questa sezione della “Guida” si intendono offrire alcune indicazioni circa la valutazione, ritenendo che essa sia un aspetto fondamentale del processo formativo e che, quindi, necessiti di una sua collocazione specifica. A tal fine verrà illustrato l’inquadramento di base, l’importanza dell’auto e dell’eterovalutazione, le caratte- ristiche del portfolio come strumento di valutazione e gli aspetti operativi, attra- verso cui rendere concreta l’impostazione illustrata. 1.3.1. Inquadramento di base Prima di presentare gli aspetti operativi, ci sembra importante sottolineare il concetto di valutazione ad essi sotteso e la logica che deve essere seguita perché gli strumenti di valutazione possano essere utilizzati in modo adeguato. Prendiamo come presupposto il fatto che la valutazione a cui facciamo riferi- mento è una valutazione educativa, intesa come “il processo ed il risultato attra- verso i quali sono giudicate le capacità e la corrispondente esecuzione dimostrate da un soggetto (che si trova in una situazione spazio-temporale-evolutiva con- creta), nella risoluzione di un compito”6. Tale valutazione avviene in un contesto relazionale ed è orientata a prendere in considerazione il raggiungimento della ma- turità globale dell’allievo; i risultati della valutazione, infatti, devono essere diretti ad elaborare una programmazione che favorisca la sua crescita e la sua maturità7. Una valutazione così intesa risulta coerente con l’impostazione del PECUP, nel quale è posto in forte rilievo il fatto che “l’istruzione e la formazione che i gio- vani incontrano nel secondo ciclo, al pari di quella maturata già nel primo ciclo, è finalizzata al processo educativo della crescita e della valorizzazione della per- sona”; tale è anche il punto di riferimento fondamentale della “Guida” che presen- tiamo. 1.3.2. Livelli della valutazione: auto ed eterovalutazione Coerentemente con l’impostazione di base presentata, possiamo affermare che al centro dell’azione educativa e come soggetto ed oggetto privilegiato della qua- lità di ogni processo educativo c’è la persona, quindi tanto la persona dell’edu- cando quanto quella dell’educatore, come due protagonisti che si trovano continua- mente in collegamento e in un rapporto di crescita e di apprendimento8. 6 ARTO A., La valutazione educativa: esigenze e presupposti psicologici, in: “Orientamenti pedagogici”, 39 (1992) 621. 7 Ibidem, 629. 8 ARTO A., Psicologia dello sviluppo. I. Fondamenti teorico-applicativi Roma, AIPRE, 2002, 25. turistica.qxd 29-11-2004 12:59 Pagina 17 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 18 Il primo soggetto dell’azione educativa è l’educando, che collabora attiva- mente al suo processo di crescita in una relazione transazionale con l’educatore, essendo quindi responsabile in prima persona del suo processo educativo. L’edu- cando, in quanto persona, è un essere attivo che entra in relazione con l’altro por- tando all’interno del rapporto le sue competenze ed il frutto della sua esperienza. Si propone, quindi, la prospettiva attraverso cui l’educando è considerato come un soggetto responsabile e come il “principale attore della propria vita”9. L’educatore, l’altro grande soggetto dell’azione educativa, ha il compito di es- sere allo stesso tempo guida e mediatore del processo di crescita dell’educando. L’educatore, infatti, è colui che ha a disposizione le nozioni teoriche in base alle quali risolvere i problemi e che si pone come un osservatore attento del comporta- mento e dei bisogni dell’educando, sapendo cogliere i momenti di maggiore dispo- nibilità del soggetto per proporre i passi del cammino di crescita. L’educatore, in quanto mediatore del rapporto educativo, deve saper passare da una comprensione esterna ad una comprensione sempre più profonda della realtà dell’educando, in modo da stimolare in quest’ultimo la capacità di utilizzare le proprie risorse per fronteggiare i problemi, individuando le soluzioni adeguate per uno sviluppo ed una crescita sempre più maturi10. La considerazione della relazione educatore-educando ha un risvolto molto importante rispetto alla valutazione, in quanto non si possono non tenere in consi- derazione entrambi i protagonisti dell’azione educativa anche a questo livello. In conseguenza di quanto detto e per coerenza con l’impostazione generale, riteniamo che la valutazione rispetto alle singole UdA debba essere effettuata a 2 livelli: 1) Autovalutazione: in essa l’allievo verifica il percorso che ha operato ed il li- vello a cui ritiene di situarsi rispetto al raggiungimento degli obiettivi prefis- sati. 2) Eterovalutazione: in essa è l’équipe dei formatori, possibilmente insieme con l’allievo, che esprime la valutazione rispetto a due parametri. Da una parte, valuta il raggiungimento o meno degli obiettivi formativi (che hanno come ri- ferimento il PECUP), cioè valuta la padronanza dell’allievo nel risolvere, in senso generale, il problema davanti al quale è posto e di incrementare e/o uti- lizzare le proprie risorse personali in ordine all’assolvimento del compito, ov- vero la sua competenza. Dall’altra, valuta il raggiungimento delle singole abi- lità e conoscenze il cui apprendimento è richiesto per la corretta soluzione del compito in riferimento alle diverse aree formative. 1.3.3. Portfolio Uno strumento utile per la valutazione così come l’abbiamo intesa è il port- folio delle competenze personali, che rappresenta una raccolta significativa dei la- 9 Ibidem, 28. 10 Ibidem, 28-31. turistica.qxd 29-11-2004 12:59 Pagina 18 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 19 vori dell’allievo capace di raccontare la storia del suo impegno, del progresso e del suo rendimento. Con esso si mira a rilevare il patrimonio di capacità, conoscenze, abilità e competenze del destinatario, utilizzando una metodologia che consente di giungere a risultati certi e validi. Attraverso l’utilizzo di questo strumento si intende superare la modalità tradi- zionale della valutazione del profitto scolastico che risulta dal confronto dei risul- tati ottenuti dagli studenti con i risultati attesi, poiché in tal modo si giunge a regi- strare ciò che una persona “sa”, inteso come ripetizione del contenuto della lezione e del testo scritto o dei gesti lavorativi appresi per addestramento, mentre non si è in grado di rilevare la capacità di “costruzione” della conoscenza e neppure la “ca- pacità di applicazione reale” della conoscenza posseduta. Di contro, la valutazione “autentica” rappresenta una metodologia, collocata entro un approccio formativo coerente, che mira a verificare non solo ciò che un al- lievo sa, ma ciò che “sa fare con ciò che sa” fondato su una prestazione reale e ade- guata dell’apprendimento, che risulta così significativo, poiché riflette le esperienze reali ed è legato ad una motivazione personale. Tale valutazione, coinvolgendo gli allievi, le famiglie ed i partner formativi, mira pertanto alla dimostrazione delle co- noscenze tramite prestazioni concrete, stimolando l’allievo ad operare in contesti reali con prodotti capaci di soddisfare precisi obiettivi. Particolarmente rilevante è il “capolavoro” che l’allievo esegue al termine del percorso formativo e che docu- menta nelle forme e nel linguaggio proprio della comunità professionale la sua pre- parazione, giustificando il rilascio della relativa qualifica professionale. In tal senso, muta la prospettiva dell’intera attività formativa: se la modalità tradizionale di valutazione è intesa come verifica circa l’apprendimento da parte dell’allievo di una conoscenza trasmessa dal formatore, la valutazione autentica si muove in chiave formativa, ovvero in modo da consentire un incremento del pro- cesso di apprendimento e della consapevolezza da parte dell’allievo. In questo modo la valutazione è essa stessa formazione e non un’interruzione del cammino di apprendimento. Da qui l’utilizzo del portfolio delle competenze personali. In questo senso, il cuore della valutazione sta il più possibile nei prodotti e nei processi (relativi alle UdA) di cui l’allievo va orgoglioso, e che segnalano (a se stesso, ai formatori ma anche agli altri attori, compresa la famiglia) le sue acquisi- zioni ed, in particolare, il grado di possesso delle competenze. Tramite il portfolio è possibile capire la storia della crescita e dello sviluppo di una persona corredandola con materiali che permettono di comprendere “che cosa è avvenuto” dal momento della presa in carico della persona (che richiede un’at- tenta osservazione delle sue capacità e acquisizioni previe) fino al momento della partenza, passando per le varie fasi di cui si compone il percorso formativo. 1.3.4. Aspetti operativi Definiamo ora gli aspetti operativi della valutazione: in particolare ci soffer- miamo sui contenuti del portfolio, sulle figure che intervengono nella sua compila- zione e sulla sua struttura. turistica.qxd 29-11-2004 12:59 Pagina 19 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 20 Il portfolio contiene materiali prodotti dall’allievo (individualmente o in gruppo) che evidenziano le competenze acquisite, prove realizzate durante il per- corso, commenti dell’allievo, dei formatori, dei tutor (anche di impresa) e delle fa- miglie sui materiali prodotti e sul percorso formativo e indicazioni sintetiche che emergono dall’osservazione sistematica, dai colloqui insegnanti-genitori, dalle va- lutazioni dei formatori e degli allievi, dai colloqui con l’allievo e anche da questio- nari in ordine alle personali attitudini e agli interessi più manifesti. Le figure che intervengono nella compilazione del portfolio sono: tutor-coor- dinatore, allievo e formatori. Il portfolio è compilato e aggiornato dal tutor-coordi- natore, in collaborazione con tutti i formatori impegnati nel team e con il giovane. In particolar modo, la parte relativa alla raccolta ed “etichettatura” dei materiali prodotti è compilata da ciascun allievo, chiamato così ad essere protagonista con- sapevole della propria crescita. La struttura del portfolio è concordata e definita nell’ambito del Centro; esso comprende comunque i seguenti ambiti: anagrafico, orientativo, formativo e valu- tativo, certificativo. 1) Ambito anagrafico: comprende i dati personali dell’allievo, descrive la sua vi- cenda formativa, eventuali esperienze di apprendistato e, nel caso in cui siano state realizzate, riporta significative esperienze in campo lavorativo. Inoltre, vanno inserite anche le descrizioni di esperienze (in ambito sportivo, artistico, culturale, sociale, hobbies, ecc.) che l’allievo valuta come significative. 2) Ambito orientativo: comprende le attività di orientamento svolte, il progetto personale e le eventuali variazioni incorse. Tale dimensione orientativa è sempre intrecciata con la dimensione valutativa in quanto l’unica valutazione positiva per l’allievo è quella che contribuisce a conoscere l’ampiezza e la profondità delle sue competenze e, attraverso questa conoscenza progressiva e sistematica, a fargli scoprire ed apprezzare sempre meglio le capacità poten- ziali personali, non pienamente mobilitate, ma indispensabili per avvalorare e decidere un proprio progetto di vita. 3) Ambito formativo e valutativo: riguarda la valutazione dei prodotti realizzati nelle UdA. Per tale valutazione è possibile fare riferimento a tre schede, pre- sentate di seguito, che si svolgono sui due livelli precedentemente indicati, ov- vero autovalutazione ed eterovalutazione. La prima (cfr. Tavv. 3 e 4), è una scheda di autovalutazione, correlata di relativa rubrica con parametri di riferi- mento, che si propone come strumento attraverso cui l’allievo può verificare il percorso che ha operato nella realizzazione del prodotto e il livello a cui ri- tiene di fissarsi rispetto al raggiungimento degli obiettivi. La seconda (cfr. Tavv. 5 e 6) e la terza (cfr. Tav. 7) sono schede di eterovalutazione, che si pro- pongono come strumenti di base, da adattare alle singole UdA, attraverso cui il formatore può operare la sua valutazione del percorso dell’allievo. La prima di esse è la scheda di valutazione delle competenze generali, attraverso cui il formatore, facendo riferimento alla rubrica allegata, può valutare il raggiungi- turistica.qxd 29-11-2004 12:59 Pagina 20 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 21 mento o meno degli obiettivi formativi (che hanno come riferimento il PECUP), cogliendo la capacità dell’allievo di risolvere, in senso generale, il problema davanti al quale è posto e di incrementare e/o utilizzare le proprie ri- sorse personali in ordine all’assolvimento del compito e quindi nel diventare “competente”. La scheda di valutazione di abilità e conoscenze, in secondo luogo, è uno strumento attraverso cui il formatore valuta il raggiungimento delle singole abilità e conoscenze il cui apprendimento è richiesto per la cor- retta soluzione del compito in riferimento alle diverse aree formative. In tal senso, valutazione delle competenze e valutazione delle conoscenze ed abilità rappresentano due momenti dello stesso processo valutativo riferito alla stessa sequenza di unità di apprendimento e riferiti alla medesima persona. 4) Ambito certificativo (libretto formativo): comprende i documenti di certifica- zione delle acquisizioni che accompagnano il percorso dell’allievo, con indi- cazione del valore in termini di credito. turistica.qxd 29-11-2004 12:59 Pagina 21 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 22 Tavola 3: Scheda di autovalutazione (a cura dell’allievo) * Compila la rubrica di autovalutazione del prodotto allegata di seguito mettendo una X negli spazi appositi e riporta nella scheda il tuo giudizio sintetico evidenziando quello prevalente. turistica.qxd 29-11-2004 12:59 Pagina 22 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 23 Ta vo la 4 :R ub ric a di a ut ov al ut az io ne (a c ur a de ll’ al lie vo ) turistica.qxd 29-11-2004 12:59 Pagina 23 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 24 * Per indicare il tipo di competenza acquisita e il livello della stessa, è possibile fare riferimento alla rubrica di valutazione delle competenze presentato nella pagina seguente, adattato da: NICOLI D. (a cura di), Linea guida per la realizzazione di percorsi organici di istruzione e formazione professio- nale, Roma, Tipografia Pio XI, 2004, 114. ** In questa colonna si chiede al formatore di precisare i motivi rilevanti che giustificano la valutazione. Tavola 5: Scheda di valutazione delle competenze generali dell’allievo (a cura dei formatori) Esempio relativo all’UdA “Acquisto di un motorino” turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 24 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 25 Ta vo la 6 : R ub ric a di v al ut az io ne d el le c om pe te nz e Se gu e turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 25 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 26 Se gu e turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 26 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 27 Tavola 7: Scheda di valutazione delle abilità e conoscenze dell’allievo (a cura dei formatori) turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 27 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 28 1.4. Indicazioni circa l’esame finale di qualifica In questa sezione della “Guida” si intendono offrire alcune indicazioni circa la strutturazione dell’esame finale di qualifica. A tal fine verranno indicate la defi- nizione, la collocazione all’interno del percorso formativo, la sua natura, la strut- tura delle prove e i punteggi relativi ad ogni prova. 1.4.1. Definizione L’esame finale di qualifica rappresenta la modalità attraverso la quale si ri- scontra nella persona la presenza di requisiti educativi, culturali e professionali che attestino l’assolvimento del diritto-dovere e nel contempo consentano il consegui- mento di una qualifica. 1.4.2. Collocazione La prova si colloca nella parte conclusiva del percorso di formazione, dopo che sono terminate le attività didattiche previste. È possibile ammettere all’esame persone che non hanno seguito l’intero processo ma sono in possesso di crediti for- mativi e lavorativi adeguati. 1.4.3. Natura L’esame finale di qualifica ha il suo centro nella prova professionale, che è la realizzazione di un prodotto e/o servizio significativo e concreto. Essa ha un valore operativo, in quanto rappresenta un servizio in grado di soddisfare i requisiti pro- fessionali interni richiesti, in riferimento ad un ruolo definito nel momento dell’in- gresso lavorativo. Inoltre ha un valore culturale, in quanto consente di rilevare le conoscenze e le abilità che l’allievo ha acquisito durante il suo percorso formativo. Infine, ha anche un valore educativo, in quanto stimola la persona ad una maggiore coscienza di sé e delle proprie risorse nell’atto di porsi di fronte ad un compito. La prova fa, quindi, riferimento ad un processo operativo reale, e prevede un li- vello definito di autonomia, responsabilità, durata e accuratezza. Esempio relativo all’UdA “Acquisto di un motorino” turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 28 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 29 1.4.4. Struttura dell’esame L’esame finale di qualifica può articolarsi in 3 prove: 1) Prova professionale: in essa è richiesto all’allievo di realizzare un prodotto e/o servizio significativo, funzionale a valutare le capacità professionali acquisite durante l’iter formativo. Questa prova può essere suddivisa in 3 fasi: a) Fase di programmazione: in essa è richiesto all’allievo di riflettere e di de- finire le modalità operative di lavoro con cui verrà eseguita la prova profes- sionale b) Fase operativa: in essa è richiesto all’allievo di realizzare concretamente il prodotto e/o servizio c) Fase consuntiva: in essa è richiesto all’allievo di riflettere sul processo che ha svolto per la realizzazione del prodotto e/o servizio, in modo che si possa valutare la consapevolezza del percorso svolto. 2) Prova scritta culturale: in essa è richiesto agli allievi di produrre un testo aperto libero, in forma di riflessione o elaborato. 3) Colloquio: in esso è richiesto all’allievo di saper argomentare su contenuti appresi durante il percorso formativo, sulle esperienze di stage e di formazione vissute e sulle attese e le riflessioni riguardanti il proprio futuro. Obiettivo privilegiato del colloquio è quello di dare l’opportunità all’allievo di riflettere e di prendere consapevolezza del percorso educativo e formativo che ha compiuto. 1.4.5. Punteggi relativi alle diverse prove Il percorso formativo contribuisce a dotare l’allievo delle risorse necessarie al- l’accesso all’esame finale di qualifica. Tale accesso è corredato da un credito valu- tativo pari a un massimo di 55 punti su 100. I rimanenti 45 punti sono così suddi- visi rispetto alle altre prove: 1) Prova professionale: 25 punti 2) Prova scritta: 10 punti 3) Colloquio: 10 punti. L’allievo raggiunge la qualifica con un punteggio minimo di 60 punti. Si ri- corda di avere sempre in considerazione la buona padronanza rispetto al tema della prevenzione degli infortuni sul lavoro. turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 29 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 30 2. Presentazione della comunità professionale In questa sezione della “Guida” viene presentata la natura economica, sociale e culturale della comunità professionale turistica e alberghiera, la prospettiva for- mativa in cui essa si inserisce, le figure professionali che ad essa fanno riferimento e le indicazioni sui laboratori, sullo stage e sull’alternanza. 2.1. Natura economica, sociale e culturale della comunità È da considerarsi turismo “l’insieme dei comportamenti e dei correlati bisogni degli individui nel momento in cui questi si spostano dai loro luoghi abituali di residenza e di vita (casa, ufficio...), per un periodo di tempo limitato” 11. La comunità turistico alberghiera rappresenta una delle più importanti realtà all’interno del bilancio del nostro Paese, sia in termini di occupazione, sia in ter- mini economici. Tale area ha, infatti, una grande incidenza sulle attività produttive dell’Italia e il complesso delle attività legate al turismo genera una grande ric- chezza. Basti pensare che la domanda di beni e servizi riconducili al turismo per l’anno 2001 ha determinato per il nostro Paese una valore aggiunto stimabile al 5,7% del PIL12. I dati del sistema informativo Excelsior dell’Unioncamere,13 aggiornato al 2003, riportano una crescita degli occupati della comunità pari al 4,3%. Tale cre- scita è omogeneamente distribuita nelle diverse aree geografiche e nella suddivi- sione delle aziende per numero di addetti. Considerando invece l’inquadramento dei nuovi assunti, la maggioranza di essi si avrà tra gli operai (nel caso della comu- nità professionale turistica e alberghiera gli operai sono rappresentati dagli opera- tori – commis di cucina, commis di sala/bar, addetti al ricevimento, ecc.), seguiti dai quadri e dai dirigenti. Da notare che le figure dei quadri (responsabili di cucina, sala, ricevimento, segreteria ed amministrazione), corrispondenti ai nostri tecnici ed esperti, dimostrano anch’essi un trend estremamente positivo, seppur di livello leggermente inferiore. Trascurabile la richiesta di dirigenti. Sul piano economico, l’ambito turistico e alberghiero si pone come un’attività di consumo in cui si realizza un trasferimento di quote di mercato da un territorio 11 ISFOL, Isfol orienta: manuale per gli operatori. Area “Turismo, ospitalità e tempo libero”, Milano, Franco Angeli, 2003, 11. 12 ISFOL, Isfol orienta: manuale per gli operatori. Area “Turismo, ospitalità e tempo libero”, Milano, Franco Angeli, 2003, 7. 13 MINISTERO DEL LAVORO E DEL POLITICHE SOCIALI, I principali risultati sulle previsioni delle domande di lavoro in Italia, in: http://excelsior.unioncamere.net/ver4/index.htm, 2004, 1-4. turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 30 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 31 di origine, che è il luogo in cui le persone risiedono, ad un territorio di desti- nazione, che è la meta turistica 14. La classificazione economica di questa comunità si può definire come un fenomeno complesso in quanto vi è sia una domanda di consumo diretta, rivolta alle agenzie turistiche, agli alberghi, ai ristoranti, sia una domanda indotta rappresentata dalla produzione di ciò che occorre per il turismo in se stesso (come, ad esempio, la produzione di navi da crociera o dei prodotti alimentari) 15. Tale definizione necessita comunque di essere ampliata per poter includere quanti, e sono sempre di più, usufruiscono dei servizi turistici della ristorazione (ristoranti, trattorie, bar, pub, ecc.) nel loro tempo libero e nella pausa pranzo. Si tratta di una realtà economica in rapido sviluppo, frutto anche di mutate condi- zioni sociologiche (orario continuato, maggiore predisposizione ad uscire dalle mura domestiche, ecc.) che evidentemente sfugge alla definizione precedentemente citata. Il sistema turistico alberghiero non si identifica in una singola categoria di prodotti o di servizi, ma piuttosto in una pluralità di prodotti e servizi in ragione del contesto in cui vengono acquistati o consumati. Infatti, è collegato con l’ambito turistico e alberghiero tutto un ventaglio di at- tività, molto differenziate tra loro per funzioni e compiti specifici, ma accomunate tutte dall’erogazione del servizio verso il soggetto “turista”. La distanza tra le dif- ferenti figure scompare quando consideriamo che tutte, nella maggior parte dei casi, operano all’interno della stessa azienda (hotel), l’una magari al front-office l’altra in cucina, ma con l’obiettivo comune di soddisfare i bisogni del cliente. Inoltre, è di particolare importanza per comprendere la ricchezza, sotto il pro- filo economico e culturale della comunità turistica e alberghiera, notare come in questi anni sia avvenuta una progressiva proliferazione e frammentazione delle motivazioni che conducono ad entrare nella “dinamica del turismo”. Ancor oggi è possibile distinguere il viaggio “di vacanza” e il viaggio “di lavoro”, ma ad essi si associano motivazioni sempre più variegate, che articolano la domanda rispetto alla comunità turistico alberghiera 16. Ciò che sembra offrire un’importante pista di lettura per comprendere la valenza culturale della comunità turistico alberghiera e che sembra accomunare le diverse motivazioni è il fatto che il turismo offre alle persone la possibilità di muo- versi, di conoscere nuovi luoghi, di incontrare nuove persone e di conoscere nuove culture e tradizioni, a livello artistico ma anche, ad esempio, a livello enogastrono- mico. Questa dimensione di incontro con il nuovo, in una costante prospettiva di ritorno verso la propria origine, consente alle persone di porsi in un atteggiamento di confronto, che incrementa non solo la conoscenza di aspetti nuovi, ma anche la 14 BOLACCHI G., L’alta formazione nel settore turistico, in: www.organization-science.ailun.it/ st/alta_formazione_st.htm, 2004, 1-7. 15 MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI - ISFOL, Alla scoperta delle professioni. Turismo, ospitalità e tempo libero, Roma, 2002. 16 ISFOL, Isfol orienta: manuale per gli operatori. Area “Turismo, ospitalità e tempo libero”, Milano, Franco Angeli, 2003, 15. turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 31 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 32 cura della dimensione relazionale in un’ottica di scambio e di reciprocità. Questa considerazione mette in rilievo in modo particolare l’importanza che ha a livello culturale questo ambito turistico e della ristorazione. La comunità turistico alberghiera si caratterizza inoltre per l’elevato livello di mobilità all’interno del Paese ed in tutta l’Unione Europea incrementando ulterior- mente le già notevoli possibilità di inserimento professionale. Considerando le particolarità che abbiamo descritto della comunità professio- nale turistica e della ristorazione, possiamo desumere brevemente le caratteristiche che dovrebbero avere coloro che intendono entrare a farvi parte. Innanzitutto sembra essenziale una buona capacità di leggere e di interpretare autonomamente eventi, problematiche e tendenze del mondo circostante, buone capacità comunica- tive ed un comportamento improntati alla tolleranza, all’autocontrollo e al senso della misura. Inoltre, possono essere importanti una certa padronanza dei mezzi espressivi ed adeguate doti di precisione, attenzione e concentrazione 17. 2.2. Comunità professionale in prospettiva formativa La comunità professionale turistico alberghiera rappresenta un ambito dotato di una propria cultura umana, tecnica ed esperienziale, di una valenza sociale ed eco- nomica tali da costituire una vera e positiva potenzialità educativa nei confronti degli allievi, i quali sono chiamati a sperimentare un percorso formativo stimolante, basato anche su piani formativi personalizzati, in grado di indicare e valorizzare la loro situazione personale. Nello stesso tempo sono sollecitati ad una promozione in- tegrale della propria persona, e accompagnati nell’affrontare la vita in tutte le sue dimensioni, da quella personale, professionale, a quella etica e religiosa. La comunità turistico alberghiera guida gli allievi nel maturare competenze che arricchiscono la loro personalità e professionalità e li rende autonomi costrut- tori di se stessi in tutti i campi della esperienza umana, sociale e professionale attraverso le conoscenze disciplinari e interdisciplinari (il sapere) e le abilità opera- tive apprese (il fare consapevole), nonché l’insieme delle azioni e delle relazioni interpersonali intessute (l’agire). L’insieme delle competenze che compongono le figure professionali della comunità rappresentano, per i giovani che frequentano i percorsi di istruzione e formazione professionale, non solo il necessario bagaglio per potersi inserire posi- tivamente all’interno del mondo del lavoro, ma significativa occasione di crescita personale, ben integrandosi con quanto appreso e sviluppate nell’area dei saperi di base e delle capacità personali. Pare opportuno riaffermare quanto detto proponendo alcuni esempi concreti. Il profilo professionale del commis di cucina sottolinea l’importanza dell’ac- quisizione di una manualità fine (taglio e preparazione degli ingredienti), di con- centrazione (seguire il processo di preparazione di una determinata ricetta nel ri- 17 S.A., Tecnico dei servizi turistici, in: www.ipsar.it/turi.htm, 2004, 2. turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 32 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 33 spetto dei tempi e delle quantità), di conoscenze culturali specifiche relative agli ingredienti, alle ricette ed agli abbinamenti (nella cucina regionale, nazionale ed internazionale), di creatività (preparazione e presentazione del piatto finito) ed, infine, di una spiccata attitudine al lavoro di équipe (suddivisione della brigata di cucina in partite che cooperano tra di loro nella realizzazione di un menù). Il profilo professionale del commis di sala e bar propone un percorso all’interno del quale si tende all’acquisizione di grosse capacità organizzative (predisposizione e gestione di una sala, di un coffee break, di un banchetto), di eleganza, stile e senso estetico (postura personale, cura della propria persona e dell’abbigliamento, arreda- mento ed abbellimento di un tavolo), di manualità (servizio e sbarazzo, preparazioni particolari in sala, preparazione e servizio di cocktail e bevande) e di una grande at- titudine alle relazioni sia all’interno del gruppo di lavoro (capacità di assumere ini- ziative, responsabilità e cooperazione nel gruppo) sia nella quotidiana interazione con la clientela (empatia, capacità di problem solving, discrezione). In un mondo sempre più piccolo, nel contesto di un’Europa che cresce e si in- tegra, assume grande importanza l’acquisizione di capacità comunicative in lingua straniera. Se ciò è assolutamente vero, nel senso che è applicabile a qualunque pro- fessione e può favorire un positivo inserimento nel mercato del lavoro, diventa conditio sine qua non nella comunità professionale che, per definizione propria, è chiamata all’accoglienza ed all’incontro degli uomini e delle culture. Aldilà della necessità di interloquire in modo soddisfacente con il potenziale cliente straniero, la comunità professionale turistico alberghiera è caratterizzata da grandi opportu- nità di mobilità internazionale. All’interno dei percorsi formativi abbiamo previsto di dedicare parte dello stage ad attività nazionali (durante il secondo anno) ed in- ternazionali (al terzo anno) all’interno di altri centri professionali, che simulano al loro interno il processo produttivo, o presso aziende (alberghi o ristoranti). Rite- niamo che tali esperienze possano avere grande influsso sul processo di crescita personale e professionale dei nostri allievi. In tal senso, il sapere, il fare consapevole e l’agire, secondo la metodologia proposta da questa “Guida”, si concretizzano all’interno di UdA orientate alla pro- gettazione, programmazione, realizzazione e verifica di attività. Esse sono assolu- tamente congruenti con le mansioni normalmente svolte all’interno dei luoghi di lavoro e contribuiscono a far percepire, ai nostri giovani, significative ed utili l’in- sieme delle conoscenze e delle abilità proposte nella “Guida”. Il percorso formativo, che gli allievi seguono per arrivare alla acquisizione di una qualificazione professionale, prevede quindi un insieme omogeneo di saperi, tecniche, sistemi di azione e stili professionali, mediante i quali essi sono solleci- tati a conoscere se stessi, le proprie possibilità e i propri limiti, le proprie inclina- zioni, attitudini, e capacità. Tale percorso si ottiene integrando continuamente il livello dei saperi, quello delle tecniche ed infine quello degli stili di comportamento, confrontandosi da un lato con le problematiche e le opportunità offerte dal settore e dall’altro con il mo- dello rappresentato dai formatori, sia quelli interni al Centro sia quelli appartenenti turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 33 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 34 alle diverse realtà aziendali e sociali con cui gli allievi entrano in contatto in di- versi momenti dell’attività formativa (corso, stage, visite guidate, ecc.). In un quadro di grande evoluzione, non solo nel campo del lavoro ma anche negli usi e costumi, nelle abitudini di vita e nei consumi, che determinano la rapida obsolescenza di nozioni e abilità di ordine esecutivo, ed impongono la necessità di acquisire grande flessibilità e capacità di adattarsi a nuove situazioni, la comunità professionale turistico alberghiera dovrà stimolare negli allievi una piena consape- volezza della necessità di un continuo aggiornamento, una capacità di lettura del- l’evoluzione del settore stesso elevando il livello culturale, per portarli ad avere quello spirito di iniziativa e senso critico oltre a capacità di recepire i cambiamenti e di adattarsi ad essi in tutto l’arco della propria attività lavorativa, per soddisfare le esigenze e le richieste che vengono dal mondo esterno. Segno di tale evoluzione è lo sviluppo, apparentemente contrastante, della cucina regionale da una parte e della cucina etnica dall’altra rappresentano le due facce della stessa medaglia, di quel particolare bisogno, che sentiamo sempre più diffuso, di garantire la nostra cultura, con le sue specificità, e di aprirci al con- tempo al nuovo ed al diverso. 2.3. Figure professionali, livelli e continuità Nella comunità professionale turistica e alberghiera (cfr. graf. 2) la denomina- zione iniziale del percorso di qualificazione è “operatore turistico alberghiero” (cfr. Tav. 8). Si prevedono in uscita tre indirizzi (cfr. Tavv. 9-11): 1) Addetto ai servizi turistici; 2) Commis di sala e bar; 3) Commis di cucina. Le figure del commis di cucina e del commis di sala fanno parte a pieno titolo della comunità professionale turistica e alberghiera per varie ragioni. Innanzitutto la denominazione stessa commis è un termine prettamente utilizzato in ambito turi- stico/alberghiero; inoltre le figure sopra dette sono regolate dal CCNL del settore Turismo. Infine, nella maggior parte dei casi, il soggetto qualificatosi come sopra va ad operare in aziende, le quali vendono il loro servizi a turisti e affini (inten- dendo per tali tutte quelle persone che sia per scopo ludico, sia per lavoro consu- mano i pasti al di fuori dell’ambiente domestico). L’addetto ai servizi turistici è una figura polivalente che ha appreso delle com- petenze utili per lavorare come addetto al ricevimento all’interno di una struttura ricettiva alberghiera o extra alberghiera (villaggi, campeggi, ecc.), oppure come addetto al banco di agenzia di viaggi sia essa incoming che outgoing. Potrebbe aspirare, con le dovute competenze, a divenire tecnico delle attività turistiche o a specializzarsi in settori più particolari come quello dei Tour Operator o nell’area del marketing turistico pubblico o privato (settore della consulenza). turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 34 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 35 Il commis di sala e bar svolge le proprie mansioni in ristoranti e alberghi al- l’interno della brigata di sala o in affiancamento a Chef de Rang o Maître. Colla- bora nella preparazione della sala ed nell’allestimento di buffet e banchetti ed ef- fettua, sempre alle dipendenze del responsabile di reparto, il servizio ai tavoli dei cibi e delle bevande alcoliche e analcoliche. Il commis di cucina svolge le proprie mansioni in ristoranti e alberghi all’in- terno dell’organico di cucina (brigata di cucina), con qualifica di commis di cucina in affiancamento ai cuochi. Identifica e sceglie gli ingredienti, riconoscendone le principali caratteristiche merceologiche, alle dipendenze dirette del responsabile di reparto. Prepara la linea di cucina e collabora nella pulizia, preparazione e cottura degli ingredienti e nella presentazione di pietanze. La qualifica triennale potrà svilupparsi nei diplomi professionali di tecnico dei servizi turistici e di tecnico delle attività ristorative (cfr. Tavv. 12-13) e in succes- sivi percorsi formativi per il conseguimento del diploma professionale superiore (cfr. Tavv. 14-16). turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 35 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 36 Grafico 2: Disegno dell’offerta formativa della comunità professionale turistica e alberghiera turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 36 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 37 OPERATORE TURISTICO E ALBERGHIERODenominazione inizialedel percorso di qualificazione Compiti caratteristici della comunità professionale (livello di qualificazione) Continuità (diploma professionale) Figure professionali previste L’operatore turistico alberghiero rappresenta una figura professionale polivalente in grado di affrontare una varie- tà di compiti: 1) Gestione dei documenti della contabilità di base 2) Collaborazione nell’organizzazione di un punto ven- dita applicando le norme generali di antinfortunistica e le basilari norme della legislazione che regolano i pubblici esercizi 3) Realizzazione del processo di accoglienza e gestione dell’ospite attraverso l’utilizzazione delle elementari tecniche di comunicazione 4) Gestione della conversazione con gli ospiti attraver- so l’utilizzazione corretta di almeno 2 lingue stranie- re scritte e parlate 5) Offerta di informazioni e indicazioni circa le risorse turistico/culturali del territorio 1) Addetto ai servizi turistici 2) Commis di sala e bar 3) Commis di cucina 1) Tecnico dei servizi turistici 2) Tecnico delle attività ristorative Tavola 8: Qualifica “Operatore turistico e alberghiero” turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 37 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� FIGURA PROFESSIONALE Addetto ai servizi turistici 38 Denominazioni equivalenti Operatore turistico; addetto all’accompagnamento dei gruppi; addetto ai servizi di prenota- zione; centralinista; assistente di portineria. Operatore servizi alberghieri; operatore servizi congressuali/promozione eventi e risorse cultu- rali (Obn) Compiti specifici L’addetto ai servizi turistici (m/f), al termine del percorso formativo, è capace di affrontare i seguenti compiti: 1) Facilitazione del rapporto con il cliente attraverso l’utilizzo delle elementari tecniche di comunicazione 2) Realizzazione del processo di gestione di una prenotazione di un servizio offerto dall’a- zienda 3) Realizzazione dell’attività di scrittura delle lettere commerciali 3) Gestione della conversazione con gli ospiti attraverso l’utilizzazione corretta di almeno 2 lingue straniere scritte e parlate 4) Utilizzazione di un sistema informatico di gestione alberghiera e di prenotazione aerea 5) Interazione con enti turistici territoriali per avere informazioni turistico/culturali da co- municare al cliente 6) Gestione delle scritture obbligatorie del settore alberghiero (schedine di notifica, libro arrivi e partenze, statistiche per gli enti turistici locali) Collocazione organizzativa L’addetto ai servizi turistico-alberghieri è una figura polivalente che ha appreso delle compe- tenze utili per lavorare come addetto al ricevimento all’interno di una struttura ricettiva alber- ghiera o extra alberghiera (villaggi, campeggi, ecc.), oppure come addetto al banco di agenzia di viaggi sia essa incoming che outgoing. Il qualificato potrebbe aspirare a divenire tecnico delle attività turistiche o a specializzarsi in settori particolari come quello dei Tour Operator o nell’area del marketing turistico pubblico o privato (settore della consulenza). 1 Tavola 9: Qualifica per l’indirizzo “Addetto ai servizi turistici” turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 38 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 39 FIGURA PROFESSIONALE Commis di sala e bar Denominazioni equivalenti Camerieri e assimilati; esercenti di bar e baristi; addetto di sala bar; commis di sala; addetto ai servizi di sala e bar. Operatore di sala bar (Obn) Compiti specifici Il commis di sala e bar (m/f) è in grado di affrontare i seguenti compiti: 1) Collaborazione nella preparazione della sala e nell’allestimento di buffet e banchetti, alle dipendenze dirette dello Chef de Rang o del Maître 2) Effettuazione, sempre alle dipendenze del responsabile di reparto, del servizio ai tavoli dei cibi e delle bevande alcoliche e non 3) Realizzazione del processo di utilizzazione, in parziale autonomia, e manutenzione delle attrezzature e degli utensili in dotazione 4) Realizzazione di interventi in applicazione delle norme del manuale di autocontrollo HACCP 5) Preparazione e servizio, conoscendo i diversi stili, delle bevande tradizionali e delle be- vande alcoliche, alle dipendenze del responsabile del bar 6) Gestione delle relazioni con la clientela e cooperazione nella brigata di sala e con gli altri reparti Collocazione organizzativa Il commis di sala e bar svolge le proprie mansioni in ristoranti e alberghi all’interno della bri- gata di sala o in affiancamento a Chef de Rang o Maître 2 Tavola 10: Qualifica per l’indirizzo “Commis di sala e bar” turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 39 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 40 FIGURA PROFESSIONALE Commis di cucina Denominazioni equivalenti Esercenti e altri addetti alla preparazione di cibi in alberghi, ristoranti, fast-food e assimilati; addetto cucina; addetto servizi di cucina. Operatore cucina (Obn) Compiti specifici Il commis di cucina (m/f) è in grado di affrontare i seguenti compiti: 1) Identificazione e scelta degli ingredienti riconoscendone le principali caratteristiche mer- ceologiche, alle dipendenze dirette del responsabile di reparto 2) Preparazione linea di cucina 3) Collaborazione nella pulizia, preparazione e cottura degli ingredienti e nella presenta- zione di pietanze 4) Utilizzazione delle attrezzature e degli utensili in dotazione al reparto, curandone la ma- nutenzione ordinaria 5) Realizzazione di interventi in applicazione delle norme del manuale di autocontrollo HACCP 6) Facilitazione della relazione con i componenti della brigata di cucina e con gli altri re- parti con spirito cooperativo Collocazione organizzativa In ristoranti e alberghi all’interno dell’organico di cucina (brigata di cucina), con qualifica di commis di cucina in affiancamento a cuochi, cuochi capo partita o cuochi unici. 3 Tavola 11: Qualifica per l’indirizzo “Commis di cucina” turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 40 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 41 TECNICO DEI SERVIZI TURISTICIDenominazione del diploma di formazione professionale Compiti caratteristici della comunità professionale (livello di diploma professionale) Continuità 2 Continuità 1 (diploma professionale superiore) Il tecnico turistico possiede una preparazione profes- sionale che gli consente di inserirsi nel mondo del lavoro, nell’ambito delle agenzie di viaggi, nelle aziende turi- stiche ricettivistiche e di promozione o come supporto al- le attività direzionali e con funzioni di programmazione. Il tecnico dei servizi turistici svolge le seguenti funzioni: 1) Attività di guida turistica 2) Accompagnamento nei viaggi organizzati 3) Animatore turistico 4) Assistente congressuale 5) Consulente per la fruizione dei beni culturali e am- bientali 6) Assistenza turistica nelle Compagnie aeree, di navi- gazione, delle ferrovie e delle società di trasporto passeggeri e su gomma Tecnico superiore dei servizi turistici Anno di preparazione universitaria Tavola 12: Diploma “Tecnico dei servizi turistici” turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 41 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 42 TECNICO DELLE ATTIVITÀ RISTORATIVEDenominazione del diploma professionale Compiti caratteristici della comunità professionale (livello di diploma professionale) Continuità 2 Continuità 1 (diploma professionale superiore) La figura del tecnico delle attività ristorative trova impie- go come lavoratore dipendente all’interno di differenti atti- vità produttive, sia esse di grandi che di medio/piccola di- mensione. Tali attività possono essere: ristoranti, ristoran- ti d’albergo (Food&Beverage assistant), strutture extra al- berghiere (villaggi turistici, residence), self-service, mense aziendali e di ristorazione collettiva, fast-food, pizzerie, stuzzicherie, wines-bar, aziende fornitrici di servizi cate- ring e banqueting, aziende di consulenza alberghiero/ri- storativa. Il tecnico delle attività ristorative svolge le seguenti fun- zioni: 1) Coordinamento tra l’area preparazione vivande (cucina) e quella della distribuzione (sala) 2) Raccordo tra le aree sopra dette e il livello direttivo e decisionale dell’azienda ristorativa 3) Aiuto nell’indirizzare le scelte strutturali in fase di progettazione, realizzazione o riorganizzazione delle aree di lavoro 4) Collaborazione con l’area amministrativa nella defi- nizione e nel controllo dei costi di produzione (costo pasto) 5) Collaborazione al coordinamento dell’area della pre- parazione delle vivande con l’area della distribuzio- ne 6) Partecipazione regolare a fiere e seminari di settore per essere sempre aggiornato rispetto alle nuove tec- nologie e ai nuovi prodotti Tecnico superiore dell’attività ristorative Anno di preparazione universitaria Tavola 13: Diploma “Tecnico delle attività ristorative” turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 42 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 43 TECNICO SUPERIORE DELLE ATTIVITÀ RISTORATIVE Denominazione del diploma professionale superiore Compiti caratteristici della comunità professionale (livello di diploma professionale superiore) Continuità Il tecnico superiore delle attività ristorative ha le compe- tenze necessarie per ricoprire incarichi con funzioni di- rettive volte all’attuazione degli obiettivi aziendali. Opera nell’ambito di imprese del settore ristorativo con responsabilità di unità aziendali la cui struttura organiz- zativa non sia complessa, o in settori di particolare com- plessità organizzativa in condizione di autonomia deci- sionale ed operativa. A livello contrattuale, potrebbe rientrare tra i quadri aziendali nelle figure specifiche di gerente del ristorante/Food & Beverage manager, cui è affidata la responsabilità e la conduzione e pianificazione di tutti i servizi di ristorazione rispondendo dell’organizzazione dei servizi e formulando standards di qualità, quantità e costo, oppure di capo settore acquisti (economo). In particolari e complesse strutture organizzative con ele- vato livello di servizio ed articolate in vari settori, ha au- tonomia tecnica e amministrativa di gestione, pianifi- cando, in collaborazione con gli altri capo settore interes- sati, alla politica degli acquisti. In generale, ha il compito di pianificare e programmare le attività necessarie al rag- giungimento degli obiettivi: 1) Formulazione di standards di qualità 2) Formulazione di standards quantità e costo (Budgeting) 3) Gestione in autonomia tecnica ed amministrativa di specifici settori 4) Cura i rapporti con i Grandi Utenti 5) Sovrintende alle attività di comunicazione e marke- ting dell’area di competenza 6) Controllo in itinere e a consuntivo delle attività La figura del tecnico delle attività ristorative trova im- piego come lavoratore dipendente, all’interno di rilevanti e complesse realtà quali alberghi e catene alberghiere, ristoranti, strutture extra alberghiere (villaggi turistici, residence), ristorazione collettiva, aziende di consulenza alberghiero/ristorativa Formazione continua Tavola 14: Diploma “Tecnico superiore delle attività ristorative” turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 43 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 44 TECNICO SUPERIORE DELLE ATTIVITÀ ALBERGHIERE Denominazione del diploma professionale superiore Compiti caratteristici della comunità professionale (livello di diploma professionale superiore) Continuità Il tecnico superiore delle attività alberghiere ha le compe- tenze necessarie per ricoprire incarichi con funzioni diret- tive volte all’attuazione degli obiettivi aziendali. Opera nell’ambito di imprese alberghiere o extra alberghiere con responsabilità di unità aziendali la cui struttura organizza- tiva non sia complessa, o in settori di particolare com- plessità organizzativa in condizione di autonomia decisio- nale ed operativa. A livello contrattuale, potrebbe rientrare tra i quadri aziendali nelle figure specifiche: di room-division mana- ger, il quale ha il compito di gestire, con funzioni di su- pervisione, il settore del servizio del ricevimento, porti- neria e piani, guardaroba e lavanderia verificando e deter- minando indirizzi organizzativi atti a coordinare i vari ser- vizi, fornendo proiezioni di dati che possono essere usati per l’attività gestionale; di capo settore commerciale o marketing, con responsabilità relativamente alla direzio- ne esecutiva dell’organizzazione e pianificazione delle at- tività di promozione e vendita; di capo settore attività con- gressuali (P.C.O.). In generale, ha il compito di pianifica- re e programmare le attività necessarie al raggiungimento degli obiettivi: 1) Formulazione di standards di qualità 2) Formulazione di standards quantità e costo (Budgeting) 3) Analisi dei dati storici e formulazione delle previsioni 4) Yield managment 5) Gestione in autonomia tecnica ed amministrativa di specifici settori 6) Cura dei rapporti con i grandi utenti 7) Sovrintendenza alle attività di comunicazione e mar- keting dell’area di competenza 8) Controllo in itinere e a consuntivo delle attività La figura del tecnico delle attività alberghiere trova im- piego come lavoratore dipendente, all’interno di rilevanti e complesse realtà, quali alberghi e catene alberghiere, strutture extra alberghiere (villaggi turistici, residence), aziende di consulenza alberghiero/ristorativa Formazione continua Tavola 15: Diploma “Tecnico superiore delle attività alberghiere” turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 44 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 45 TECNICO SUPERIORE ANIMAZIONE E GESTIONE TURISTICA Denominazione del diploma professionale superiore Compiti caratteristici della comunità professionale (livello di diploma professionale superiore) Continuità Il tecnico superiore in animazione e gestione turistica è un professionista policompetente che interviene nel- l’animazione del territorio, nell’organizzazione di progetti turistici o di interventi promozionali delle risorse culturali locali. Organizza degli avvenimenti (seminari, congressi, spet- tacoli, manifestazioni sportive o culturali) per conto di aziende private, di istituzioni o enti locali. Grazie alla conoscenza delle risorse del turismo del terri- torio, delle strutture amministrative e istituzionali, contri- buisce alla valorizzazione del patrimonio locale. In generale, ha il compito di pianificare e programmare le attività necessarie al raggiungimento dei seguenti obiet- tivi: 1) Creazione, elaborazione e organizzazione di eventi; 2) Progettazione e strutturazione di visite culturali; 3) Gestione delle informazioni turistiche; 4) Assistenza e sviluppo di progetti turistici; 5) Cura dei rapporti con le strutture turistiche e gli enti locali. La figura del tecnico in animazione e gestione turistica trova impiego come lavoratore dipendente, all’interno di rilevanti e complesse realtà quali le agenzie di viaggio, le strutture locali o regionali del turismo, le unità di acco- glienza e ospitalità turistica (villaggi vacanza, agrituri- smo, complessi d’animazione), le aziende (per la gestione di congressi, manifestazioni professionali o spettacoli), le strutture finalizzate alla valorizzazione del patrimonio tu- ristico come musei, parchi naturali. Formazione continua Tavola 16: Diploma “Tecnico superiore animazione e gestione turistica” 2.4. Indicazioni su laboratori, stage e alternanza È opportuno fare alcune considerazioni sui laboratori, con particolare riferi- mento alle attrezzature, e sulle attività formative in collaborazione con le aziende: stage e alternanza. turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 45 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 46 2.4.1. I laboratori Nella progettazione delle attività formative è necessario considerare l’impor- tanza dei laboratori e delle relative attrezzature. Occorre, infatti, tenere presente il carattere polivalente della comunità professionale al fine di formare un operatore qualificato che sia in grado di sviluppare un numero am- pio e vario di competenze, evitando una formazione specialistica che presenterebbe un carattere angusto ed una eccessiva caratterizzazione su un singolo aspetto della profes- sionalità. Per tali motivi, si consiglia la dotazione di laboratori e di attrezzature sintetiz- zata nella tavola 17. Dotazione standard dei laboratori a regime (15 allievi) SALA Spazi Spogliatoio Servizi Strumenti didattici da integrare Indumenti Attrezzature Armadietti, panche Lavabi, doccia, cassetta del pronto soccorso Lavagna, PC, biblioteca di reparto, software specifico in dotazione Proiettore a disposizione Divisa completa Dispensa magazzino Aree di lavaggio Aree di preparazione Aree di cottura Area di distribuzione Spogliatoio Servizi Armadi frigoriferi, scaffalature, strumenti di pesatura, piano di lavoro Lavelli, lavastoviglie, piano di lavoro, scaffalature Lavelli, piani di lavoro, strumenti di pesatura, tritacarne, robot, affettatrice, planetaria, sfogliatrice, piccola attrezzatura, utensileria, D.P.I. (Dispositivi di Protezione Individuale), abbattitore di temperatura, basi e pensili Macchina da cucina, cappa, forno termoventilato, cuocipasta, frytop, friggitrice Pass (banco da lavoro, rechaud), forno a microonde, salamandra Armadietti, panche Lavabi, doccia, ... CUCINA Tavola 17: Attrezzature per i laboratori Segue turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 46 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 47 2.4.2. Lo stage Nella progettazione delle attività formative, va curata la pianificazione dello stage orientativo, formativo e di accompagnamento lavorativo. Nel primo anno, come stage orientativo, si prevede l’organizzazione di una o due visite consistenti in tre momenti essenziali: incontro con testimoni; osserva- zione della realtà; verifica. Nel secondo anno e nel terzo anno, è previsto lo stage di tipo formativo. Nel terzo anno, lo stage assume anche la connotazione di accompagnamento lavorativo in vista di un possibile sbocco nel mondo del lavoro. Queste attività da svolgere presso l’impresa costituiscono un aspetto rilevante del progetto, ragione per cui si definiscono i criteri riportati nella tavola 18. SERVIZI TURISTICI Sala Area office Area cantina Area accoglienza Tavoli, sedie, panadora, impianto diffusione sonora, posateria, cristal- leria, porcellana, tovagliato, lampada, gueridon, carrello, climatizza- zione, piccola attrezzatura, utensileria Tavoli da lavoro, lavelli, lavabicchieri, macchina per il ghiaccio, armadio Frigorifero, ripiani per il vino Appendiabiti, bureau Informatica Linguistico Tecnico professionale Bancone refrigerato e retro banco, macchina espresso, macinacaffè, robot, gruppo multiplo, piccola attrezzatura e utensileria, porcellane e cristalleria, zona cassa, spillatrice, piastra Lavelli, lavabicchieri (a disposizione), macchina per il ghiaccio (a dis- posizione) Tavolini, sedie e sgabelli Postazioni aula, PC, software (Windows, Office). Softwares gestionali amministrativi, Internet (navigazione) Postazioni aula, PC, softwares specifici per l’apprendimento e la co- municazione multilinguistica Postazione/i di ufficio per esercitazione (front office - info point - ufficio di consulenza) corredata di: scrivania, sedia, postazione telefonica, PC, stampante, collegamento internet, libreria con scaffali, materiale cartaceo (libri, riviste, brochure, depliants) promozionale e di consultazione (sia tecnico che riferito al territorio), software specifico per: la redazione di materiale promozionale, la gestione di prenotazioni, la costituzione e la gestione di banche dati, ecc., carte geografiche tematiche del territorio, elenco telefonico, guida Monaci, guida Michelin ed altre guide del settore. BAR Aree di preparazione Aree office Area di distribuzione Segue turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 47 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 48 Ta vo la 1 8: O rg an izz az io ne d el lo st ag e Se gu e turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 48 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 49 Se gu e Se gu e turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 49 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 50 Se gu e turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 50 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 51 2.4.3. L’alternanza La metodologia dell’alternanza riprende ed accentua la didattica dello stage. Essa consente di realizzare un percorso formativo coerente e compiuto, nel quale si integrano reciprocamente attività formative di aula, di laboratorio ed esperienze svolte nella concreta realtà dell’organizzazione di lavoro e di impresa. La sua elaborazione richiede la definizione di un modello formativo che con- senta di conseguire delle qualifiche e dei diplomi di formazione, alternando forma- zione e lavoro basato sull’approccio pedagogico tipico della formazione professio- nale (valorizzazione delle esperienze lavorative, approccio induttivo, ecc.) all’in- terno del quadro di standard definiti per i percorsi formativi. Al fine di garantire che tali aspetti siano presenti, anche l’azienda, così come il Centro, dovrà attivare e mettere a disposizione risorse tecniche, umane e strutturali adeguate attraverso l’attivazione di un apposito presidio formativo aziendale secondo la logica dell’apprendimento organizzativo (learning organization). Ciò deve essere definito garantendo la continuità e l’organicità delle azioni, specie là dove le specificità organizzative e lavorative dell'azienda non consentono di acquisire “naturalmente” una visione ampia del processo di lavoro e delle com- petenze necessarie e il neo-inserito deve lavorare con operatori diversi. Per tutti questi motivi, va realizzata un’intesa tra le parti coinvolte, impresa ed organismo formativo, al fine di determinare lo “status” dei soggetti coinvolti (il giovane in alternanza), il ruolo della struttura formativa e dell’azienda e le modalità di collaborazione, gli aspetti gestionali (il sostegno al reddito dell’allievo, gli incentivi per le imprese e l’assistenza tutoriale), le modalità di certificazione del- l’esito positivo delle attività e di valutazione dei crediti formativi acquisiti dall’al- lievo. Le attività previste nell’ambito dell’alternanza formativa, elaborate entro un piano formativo personalizzato, sono: 1) Visita orientativa 2) Conoscenza dell’impresa e dei ruoli 3) Micro-realizzazione 4) Laboratorio di simulazione 5) Apprendimento in situazione 6) Project work Queste attività verranno realizzate – in forma combinata – secondo un piano formativo coerente con le caratteristiche degli allievi e valorizzando le potenzialità formative dell’impresa. turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 51 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 52 turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 52 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� Parte seconda GUIDA PER IL PIANO FORMATIVO turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 53 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 54 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 55 1. S ch ed a pe r il pi an o fo rm at iv o La s ch ed a pe r i l p ia no fo rm at iv o è un e le nc o cr on ol og ic o di tu tte le u ni tà d i a pp re nd im en to p ro po ste s ud di vi se p er i tre an ni fo rm at iv i. Si tr at ta d i u no sc he m a di ri fe rim en to c he i fo rm at or i c om po ne nt i d el te am di c or so , i ns ie m e al tu to r- co or di na - to re , d ev on o ad at ta re o ri fo rm ul ar e in b as e al l’e sp er ie nz a de l p ro pr io C en tro e a lle o pp or tu ni tà te rri to ria li. P ro po ni am o, c om e es em pi o, u n pi an o fo rm at iv o pe r i 3 a nn i, co n un ità d i a pp re nd im en to c he s ar an no ri pr es e e sv ilu pp at e ne lla te rz a pa rte d el la pr es en te “ G ui da ”. 1. 1. Sc he da p er il p ia no fo rm at iv o de l I a nn o D i s eg ui to ri po rti am o la sc he da p er il p ia no fo rm at iv o de l p rim o an no . Se gu e turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 55 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 56 Se gu e Se gu e turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 56 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 57 Se gu e Se gu e turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 57 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 58 Se gu e Se gu e turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 58 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 59 Se gu e Se gu e turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 59 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 60 Se gu e turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 60 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 61 1. 2. Sc he da p er il p ia no fo rm at iv o de l I I a nn o D i s eg ui to ri po rti am o la sc he da p er il p ia no fo rm at iv o de l s ec on do a nn o. Se gu e turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 61 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 62 Se gu e Se gu e turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 62 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 63 Se gu e Se gu e turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 63 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 64 Se gu e Se gu e turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 64 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 65 Se gu e Se gu e turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 65 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 66 Se gu e Se gu e turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 66 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 67 Se gu e D ur an te il s ec on do a nn o è pr ev ist a, c om e el em en to e ss en zi al e de l p er co rs o fo rm at iv o, l’ es pe rie nz a di s ta ge ,d a sv ol ge rs i in c irc a 16 0 or e, c on le m od al ità in di ca te in p re ce de nz a ne lla p re se nt e “G ui da ”. turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 67 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 68 Se gu e 1. 3. Sc he da p er il p ia no fo rm at iv o de l I II an no D i s eg ui to ri po rti am o la sc he da p er il p ia no fo rm at iv o de l t er zo a nn o. turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 68 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 69 Se gu e Se gu e turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 69 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 70 Se gu e Se gu e turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 70 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 71 Se gu e D ur an te il te rz o an no è p re vi sta , c om e el em en to e ss en zi al e de l p er co rs o fo rm at iv o, l’ es pe rie nz a di s ta ge ,d a sv ol ge rs i i n ci rc a 20 0 or e, c on le m od al ità in di ca te in p re ce de nz a ne lla p re se nt e “G ui da ”. A se gu ito d i q ue sta e sp er ie nz a fo rm at iv a, ri su lta e ss er e im po rta nt e fa r e ffe ttu ar e un a re la zi on e di st ag e at tra ve rs o cu i l ’a l- lie vo a bb ia l’ op po rtu ni tà d i r ifl et te re su ll’ es pe rie nz a re al iz za ta , d i r iv ed er ne le d in am ic he e d i v er ifi ca re il p ro ce ss o di a pp re n- di m en to in e ss a av ve nu to . Q ue sto a l f in e di a iu ta re l’ al lie vo a tr ar re e le m en ti sig ni fic at iv i e g en er al iz za bi li da llo st ag e ch e ha vi ss ut o, in v ist a di u n fu tu ro in se rim en to la vo ra tiv o. turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 71 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 72 2. P ro sp et tiv a te m po ra le d el p ia no fo rm at iv o La v isu al iz za zi on e gr af ic a de l p er co rs o, su dd iv iso n ei tr e an ni fo rm at iv i, pu ò fa ci lit ar e la c om pr en sio ne d el la su cc es sio ne te m po ra le d el le v ar ie u ni tà d i a pp re nd im en to . 1) P rim o an no A qu es te in di ca zi on i s ul l’o rg an iz za zi on e de l p ia no fo rm at iv o è ne ce ss ar io c he v en ga no a gg iu nt i: � In co nt ri pe rio di ci c on le fa m ig lie d eg li al lie vi � LA RS A (d i r ec up er o e di a pp ro fo nd im en to ) � Va lu ta zi on e, a ttu at a ai 2 li ve lli (a ut o ed e te ro va lu ta zi on e) a l t er m in e di o gn i U dA turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 72 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 73 2) S ec on do a nn o A qu es te in di ca zi on i s ul l’o rg an iz za zi on e de l p ia no fo rm at iv o è ne ce ss ar io c he v en ga no a gg iu nt i: � In co nt ri pe rio di ci c on le fa m ig lie d eg li al lie vi � LA RS A (d i r ec up er o e di a pp ro fo nd im en to ) � Va lu ta zi on e, a ttu at a ai 2 li ve lli (a ut o ed e te ro va lu ta zi on e) a l t er m in e di o gn i U dA turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 73 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 74 3) T er zo a nn o A qu es te in di ca zi on i s ul l’o rg an iz za zi on e de l p ia no fo rm at iv o è ne ce ss ar io c he v en ga no a gg iu nt i: � In co nt ri pe rio di ci c on le fa m ig lie d eg li al lie vi � LA RS A (d i r ec up er o e di a pp ro fo nd im en to ) � Va lu ta zi on e, a ttu at a ai 2 li ve lli (a ut o ed e te ro va lu ta zi on e) a l t er m in e di o gn i U dA turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 74 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� Parte terza DESCRIZIONE DELLE UNITÀ DI APPRENDIMENTO turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 75 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 76 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 77 1. Unità di apprendimento per il I anno Per il primo anno vengono proposte le 6 UdA indicate nell’elenco seguente. Ogni UdA viene descritta tramite una scheda. Come strumenti dell’UdA 1 è stata proposta la scheda di informatica 1. turistica.qxd 29-11-2004 13:00 Pagina 77 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 78 UdA n. 1/I Dossier sulla comunità professionale Scheda descrittiva Segue turistica.qxd 29-11-2004 13:01 Pagina 78 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 79 Segue Segue turistica.qxd 29-11-2004 13:01 Pagina 79 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 80 Segue turistica.qxd 29-11-2004 13:01 Pagina 80 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 81 UdA n. 1/I Dossier sulla comunità professionale Strumenti: Informatica 1 Segue turistica.qxd 29-11-2004 13:01 Pagina 81 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 82 Segue turistica.qxd 29-11-2004 13:01 Pagina 82 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 83 UdA n. 2/I Glossario per la presentazione dell’ambiente di lavoro Scheda descrittiva Segue turistica.qxd 29-11-2004 13:01 Pagina 83 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 84 Segue turistica.qxd 29-11-2004 13:01 Pagina 84 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 85 UdA n. 3/I Carro allegorico Scheda descrittiva Segue turistica.qxd 29-11-2004 13:01 Pagina 85 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 86 Segue turistica.qxd 29-11-2004 13:01 Pagina 86 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 87 UdA n. 4/I Simulazione acquisto di un motorino Scheda descrittiva Segue turistica.qxd 29-11-2004 13:01 Pagina 87 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 88 Segue turistica.qxd 29-11-2004 13:01 Pagina 88 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 89 UdA n. 5/I Settimana della cucina regionale Scheda descrittiva Segue turistica.qxd 29-11-2004 13:01 Pagina 89 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 90 Segue turistica.qxd 29-11-2004 13:01 Pagina 90 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 91 UdA n. 6/I Evento finale Scheda descrittiva Segue turistica.qxd 29-11-2004 13:01 Pagina 91 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 92 Segue Segue turistica.qxd 29-11-2004 13:01 Pagina 92 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 93 Segue turistica.qxd 29-11-2004 13:01 Pagina 93 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 94 2. Unità di apprendimento per il II anno Per il secondo anno vengono proposte le 7 UdA indicate nell’elenco seguente (le UdA di tipo professionale sono sdoppiate in riferimento a due diversi indirizzi). Ogni UdA viene descritta tramite una scheda. Come strumenti dell’UdA 1 sono state proposte le schede di informatica 2 e 3, mentre per l’UdA 3 sono elen- cati i moduli di formazione per il conseguimento del certificato di idoneità alla guida dei ciclomotori. turistica.qxd 29-11-2004 13:01 Pagina 94 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 95 UdA n. 1/II Presentazione attività estiva Scheda descrittiva Segue turistica.qxd 29-11-2004 13:01 Pagina 95 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 96 Segue Segue turistica.qxd 29-11-2004 13:01 Pagina 96 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 117 UdA n. 5b/II Gara gastronomica (Commis di cucina) Scheda descrittiva Segue turistica.qxd 29-11-2004 13:01 Pagina 117 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 118 Segue turistica.qxd 29-11-2004 13:02 Pagina 118 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 119 3. Unità di apprendimento per il III anno Per il terzo anno vengono proposte le 4 UdA indicate nell’elenco seguente. Ogni UdA viene descritta tramite una scheda. Come strumenti dell’UdA 1 sono state proposte le schede di informatica 4 e 5, mentre per l’UdA 2 viene pre- sentata una scheda sulla storia di Roma antica e una scheda sulle quattro basiliche maggiori della città. turistica.qxd 29-11-2004 13:02 Pagina 119 &7�FQRV���SB�B����SGI��� ������������������� 120 UdA n. 1/III Dossier sulla squadra del cuore Scheda descrittiva Segue turistica.qxd 29-11-2004 13:02 Pagina 120 &7�FQRV���SB�B����SGI���� ������������������� 121 Segue Segue turistica.qxd 29-11-2004 13:02 Pagina 121 &7�FQRV���SB�B����SGI���� ������������������� 122 Segue turistica.qxd 29-11-2004 13:02 Pagina 122 &7�FQRV���SB�B����SGI���� ������������������� 123 UdA n. 1/III Dossier sulla squadra del cuore Strumenti: Informatica 4 Segue turistica.qxd 29-11-2004 13:02 Pagina 123 &7�FQRV���SB�B����SGI���� ������������������� 124 Segue turistica.qxd 29-11-2004 13:02 Pagina 124 &7�FQRV���SB�B����SGI���� ������������������� 125 UdA n. 1/III Dossier sulla squadra del cuore Strumenti: Informatica 5 Segue turistica.qxd 29-11-2004 13:02 Pagina 125 &7�FQRV���SB�B����SGI���� ������������������� 126 Segue turistica.qxd 29-11-2004 13:02 Pagina 126 &7�FQRV���SB�B����SGI���� ������������������� 127 UdA n. 2/III Visita culturale a Roma Scheda descrittiva Segue turistica.qxd 29-11-2004 13:02 Pagina 127 &7�FQRV���SB�B����SGI���� ������������������� 128 Segue turistica.qxd 29-11-2004 13:02 Pagina 128 &7�FQRV���SB�B����SGI���� ������������������� 129 UdA n. 2/III Visita culturale a Roma Strumenti: scheda sulla storia di Roma antica Riflessioni sulle vere origini di Roma2 (riferimento cronologico: 21 aprile 753 a.C.) La leggenda di Roma, fondata da Romolo, discendente di Enea, tramandataci dagli scritti di Tito Livio e di Virgilio, univa le origini latine alla discendenza greca: un insieme che piaceva molto ai Romani, orgogliosi della loro stirpe latina ma affascinati dalla cultura ellenistica. Ricostruire in modo certo le reali origini di Roma è cosa non facile, ma è si- curo che questa città nacque e si sviluppò in modo progressivo, attraverso una serie di alleanze tra villaggi presenti fin dall’anno 1000 a.C. su alcuni colli della sponda sinistra del Tevere, ed in particolare il Campidoglio, il Palatino, l’Esquilino e il Celio. La maggior parte di questi villaggi era di origine latina, ma non è da escludere che ci fosse già una presenza sabina e, addirittura, etrusca (Roma era al centro delle rotte tra l’Etruria e la Magna Grecia e non bisogna dimenticare che al sud esi- stevano anche colonie etrusche quali Volturnum, l’attuale Capua). Del resto sembra che il Celio derivasse il suo nome dal nobile etrusco Celio Vibenna e lo stesso nome di Roma potrebbe derivare dal termine “Romun” con cui gli etruschi identificavano il fiume Tevere. Altre fonti fanno risalire l’origine del nome Roma, al termine latino “Rumis” che indicava la “mammella”, con chiaro riferimento all’allattamento dei gemelli da parte della lupa o addirittura al latte dei fichi del famoso Fico Ruminale che fornì loro il nutrimento. Un’altra ipotesi ancora attribuisce l’origine del nome al termine greco “Rhome” che indicava la forza ed il coraggio dei suoi primi abitanti. Molti anni più tardi, attraverso calcoli complessi e non esenti da errori, si sta- bilì in modo convenzionale che Roma venne fondata il 21 aprile del 753 a.C. Recenti scavi hanno confermato che sul Palatino era presente una fortifica- zione quadrata risalente all’VIII secolo a.C.; in questo la storia leggendaria di Ro- 2 Tratto da: http://www.storiaspqr.it, 26/07/04. turistica.qxd 29-11-2004 13:02 Pagina 129 &7�FQRV���SB�B����SGI���� ������������������� 130 molo che traccia un solco quadrato per poi edificare una fortificazione trova una conferma nell’archeologia. Scavi ancor più recenti, effettuati sul Campidoglio, hanno portato alla luce tracce di insediamenti risalenti addirittura all’età del bronzo (1400 a.C.). Questo sconvolge ancora di più il quadro della situazione, facendo supporre che il primo colle abitato della zona sia stato proprio il Campidoglio, probabilmente a causa della sua posizione strategica rispetto al Tevere. Nel sito http://www.storiaspqr.it è possibile trovare ulteriore materiale riguar- dante cronologia, mappe, personaggi, luoghi, curiosità. turistica.qxd 29-11-2004 13:02 Pagina 130 &7�FQRV���SB�B����SGI���� ������������������� 131 UdA n. 2/III Visita culturale a Roma Strumenti: scheda sulle quattro basiliche maggiori di Roma3 Le quattro basiliche maggiori di Roma sono: 1) La basilica Vaticana che manifesta la chiesa ‘apostolica’ fondata sull’apostolo Pietro 2) La basilica Ostiense che rappresenta la chiesa ‘cattolica’ perché, come Paolo, non conosce confini alla sua missione 3) La basilica Lateranense che testimonia la chiesa ‘una’ sotto la guida del ve- scovo di Roma di cui è cattedrale 4) La basilica Mariana che esalta la chiesa ‘santa’ scaturita dal fianco di Cristo nato da Maria. Ora faremo una breve descrizione di ognuna di esse. 1) Basilica di San Pietro in Vaticano 3 Tratto e adattato da: www.roma2000.it e www.racine.ra.it/lcaligheri/Giubileo/porte.html. Venti secoli fa, un pescatore di Galilea, Pietro, fu conquistato da Cristo e da lui costituito capo dei suoi apostoli con arcana dichiarazione: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa”. Approdato a Roma, Pietro fu giustiziato presso l’obelisco vaticano e sepolto nella necropoli vicina. turistica.qxd 29-11-2004 13:02 Pagina 131 &7�FQRV���SB�B����SGI���� ������������������� 132 La chiesa sorge nel luogo in cui Pietro e altri cristiani furono suppliziati, sulle fondamenta di una chiesa paleocristiana, che la tradizione vuole costruita sopra la tomba dell’Apostolo. Il porticato esterno alla basilica rappresenta simbolicamente un abbraccio ma- terno per tutti i pellegrini che giungono a Roma. La suggestiva piazza insieme al colonnato del Bernini fanno da cornice alla chiesa più grande della Cristianità, do- minata dalla grandiosa cupola del Michelangelo. La costruzione della basilica si estende attraverso il XVI sec. ad opera di Michelangelo, Giacomo della Porta e Domenico Fontana. L’interno della basilica è armonioso, tutto conduce al suo centro costituito dal baldacchino. C’è uno stretto legame tra la tomba di Pietro, l’altare, la basilica, è una catena spirituale e fisica che attraverso il sepolcro lega la chiesa di Roma a Cristo; il Vati- cano, quindi, diventa una nuova Terra Santa, una nuova Gerusalemme. La reliquia più importante è il “Sudario della Veronica”. 2) Basilica di San Paolo fuori le mura San Paolo, convertitosi sulla via di Damasco alla fede cristiana, fu portato nel 61 d.C. a Roma in catene; fu perseguitato e decapitato presso le “Acque Salvie”. Oggi la località prende il nome di “Tre fontane” perché scaturirono tre sorgenti dai punti in cui cadde la testa del santo. Nel luogo dove Paolo fu sepolto fu eretta un’edicola. Tre imperatori fecero costruire una grande basilica, distrutta in gran parte da un incendio nel 1823 e poi ricostruita grazie a contributi provenienti da tutto il mondo. turistica.qxd 29-11-2004 13:02 Pagina 132 &7�FQRV���SB�B����SGI���� ������������������� 133 Il portico fuori dalla basilica costituisce una cesura con il mondo esterno, le quattro palme evocano Gerusalemme, una statua di S. Paolo invita al silenzio. Il vasto interno appare inatteso; quattro file di venti colonne in marmo aiutano a captare la presenza magnetica dell’instancabile evangelizzatore che vi è sepolto e che riempie gli spazi con la sua parola. Lo sguardo è attirato dal ciborio gotico, sorretto da colonne di porfido rosso, eretto sul sepolcro dell’apostolo. Sulle pareti della chiesa sono raffigurati 262 papi; questi ritratti sono una pre- rogativa della basilica per testimoniare la successione apostolica. I mosaici del- l’arco trionfale risalgono al V sec. d.C. e raffigurano un Cristo benedicente insieme a due angeli; sotto sono rappresentati Pietro e Paolo, quest’ultimo indica la sua tomba. Nell’abside è ritratto Cristo in trono tra i santi Pietro e Andrea, a destra, e Paolo e Luca, a sinistra. La piccola figura ai piedi di Cristo è papa Onorio III. Il chiostro di stile romanico-gotico, risalente al 1200, crea un’atmosfera di pace e tranquillità. 3) Basilica di San Giovanni in Laterano La basilica lateranense è la cattedrale di Roma e rappresenta la madre e il capo di tutte le chiese del mondo. Qui vissero tutti i papi, l’ultimo fu Bonifacio VIII, il quale annunciò qui il primo giubileo. L’edificio fu distrutto più volte: dai barbari nel V secolo, da un ter- remoto nel IX e da due incendi nel 1300. Venne poi abbandonata nel corso del me- dioevo. In occasione del giubileo del 1650, la basilica fu ristrutturata e divisa in dodici edicole, simbolo delle dodici porte della Gerusalemme celeste. La porta in bronzo segna un ideale trapasso tra la Roma pagana e la Roma cristiana. Il presbiterio ospita un abside con mosaici del ‘200 raffiguranti immagini di S. Francesco ristrutturati nel ‘800. turistica.qxd 29-11-2004 13:02 Pagina 133 &7�FQRV���SB�B����SGI���� ������������������� 134 Il chiostro è di gusto raffinato, con richiami all’arte araba. Meta importante dei pellegrinaggii è la “Scala Santa”, identificata con quella salita da Gesù durante il processo. In cima alla scalinata si trova la cappella privata dei papi, che nel medioevo fu detta “Sancta Sanctorum”. 4) Basilica di Santa Maria Maggiore Santa Maria Maggiore è la più grande delle chiese dedicate alla Madonna; è la sola basilica che, nonostante i molteplici interventi decorativi, ha preservato la sua forma originaria. La basilica fu fatta costruire da papa Sisto III nel 432 per esaltare la divina maternità di Maria e rappresenta il primo santuario mariano della cristianità; per questo motivo è anche detta “piccola Betlemme”. All’interno, il colore intenso dell’oro, simbolo regale, dà l’idea dello splen- dore e del calore della luce materna. Nell’abside domina la figura della madre di Dio incoronata dal figlio (Teutokos), immagine voluta da Niccolò IV, primo papa francescano. L’arco trionfale raffigura la nascita e l’infanzia di Gesù. La basilica ha due cappelle nelle quali sono sepolti alcuni papi: Sisto V e Pio V (a destra) e Paolo V e Clemente VIII (a sinistra). La basilica è anche chiamata “Santa Maria del Presepe” perché in essa fu realizzato il primo presepe in pietra. turistica.qxd 29-11-2004 13:02 Pagina 134 &7�FQRV���SB�B����SGI���� ������������������� 135 UdA n. 3/III Guida alle tradizioni gastronomiche Scheda descrittiva Segue turistica.qxd 29-11-2004 13:02 Pagina 135 &7�FQRV���SB�B����SGI���� ������������������� 136 Segue turistica.qxd 29-11-2004 13:02 Pagina 136 &7�FQRV���SB�B����SGI���� ������������������� 137 UdA n. 4/III Il mio capolavoro Scheda descrittiva Segue turistica.qxd 29-11-2004 13:02 Pagina 137 &7�FQRV���SB�B����SGI���� ������������������� 138 Segue turistica.qxd 29-11-2004 13:02 Pagina 138 &7�FQRV���SB�B����SGI���� ������������������� 139 ARTO A., La persona umana trova la sua ricchezza. Operatori e destinatari: ricchezze a confronto, Roma, AIPRE, 2002. ARTO A., Psicologia dello sviluppo. I. Fondamenti teorico-applicativi, Roma, AIPRE, 2002. ARTO A., La valutazione educativa: esigenze e presupposti psicologici, in: “Orientamenti pedagogici”, 39 (1992) 617-642. BOLACCHI G., L’alta formazione nel settore turistico, in: www.organization-science.ailun.it/st/ alta_formazione_st.htm, 2004, 1-7. BOLDIZZONI D. - MANZOLINI L. (a cura di), Creare valore con le risorse umane. La forza dei nuovi paradigmi nella direzione del personale, Milano, Guerini&Associati, 2000. COOPER C. L. (a cura di), Theories of Group Process, London, New York, John Willy & Sons, 1975. GRISOLIA A., MANZOLINI L., Dalle competenze alle professioni aziendali, in: BOLDIZZONI D. - MANZO- LINI L. (a cura di), Creare valore con le risorse umane. la forza dei nuovi paradigmi nella dire- zione del personale, Milano, Guerini&Associati, 2000, 25-69. KOLB D. A. - FRY R., Towards an Applied Theory of Experiential Learning, in: COOPER C. L. (a cura di), Theories of Group Process, London, New York, John Willy & Sons, 1975, 33-57. ISFOL, Isfol orienta: manuale per gli operatori. Area “Turismo, ospitalità e tempo libero”, Milano, Franco Angeli, 2003. Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, in GU n. 248 del 24.10.2001. Legge 14 febbraio 2003, n. 30, Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro, in GU n. 47 del 26.2.2003. Legge 28 marzo 2003, n. 53, Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzio- ne e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale, in GU n. 77 del 2.4.2003. MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA, Il patentino a scuola, in: www.istru- zione.it/patentino/lineeguida.shtml, 2004. MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI - ISFOL, Alla scoperta delle professioni. Turismo, ospitalità e tempo libero, Roma, 2002. MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, I principali risultati sulle previsioni delle doman- de di lavoro in Italia, in: http://excelsior.unioncamere.net/ver4/index.htm, 2004. NICOLI D. (a cura di), Linea guida per la realizzazione di percorsi organici di istruzione e formazione professionale, Roma, Tipografia Pio XI, 2004. REYNERI E., Sociologia del mercato del lavoro, Bologna, Il Mulino, 2002. S.A., Tecnico dei servizi turistici, in: www.ipsar.it/turi.htm, 2004. BIBLIOGRAFIA turistica.qxd 29-11-2004 13:02 Pagina 139 &7�FQRV���SB�B����SGI���� ������������������� turistica.qxd 29-11-2004 13:02 Pagina 140 &7�FQRV���SB�B����SGI���� ������������������� 141 INDICE INTRODUZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 PARTE I: PRESENTAZIONE E CRITERI METODOLOGICI 1. Impostazione generale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 1.1. Valenza educativa del lavoro nella prospettiva del PECUP . . 11 1.2. Impostazione metodologica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 1.2.1. Modello di apprendimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 1.2.2. Strutture delle UdA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 1.2.3. Collocazione della “Guida” nel quadro generale delle risorse 16 1.3. Indicazioni circa la valutazione e la gestione del portfolio . . . 17 1.3.1. Inquadramento di base . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 1.3.2. Livelli della valutazione: auto ed eterovalutazione . . . . 17 1.3.3. Portfolio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18 1.3.4. Aspetti operativi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 1.4. Indicazioni circa l’esame finale di qualifica . . . . . . . . . . . . . . 28 1.4.1. Definizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28 1.4.2. Collocazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28 1.4.3. Natura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28 1.4.4. Struttura dell’esame . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29 1.4.5. Punteggi relativi alle diverse prove . . . . . . . . . . . . . . . 29 2. Presentazione della comunità professionale . . . . . . . . . . . . . . . . 30 2.1. Natura economica, sociale e culturale della comunità . . . . . . 30 2.2. Comunità professionale in prospettiva formativa . . . . . . . . . . 32 2.3. Figure professionali, livelli e continuità . . . . . . . . . . . . . . . . . 34 2.4. Indicazioni su laboratori, stage e alternanza . . . . . . . . . . . . . 45 2.4.1. I laboratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46 2.4.2. Lo stage . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47 2.4.3. L’alternanza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51 turistica.qxd 29-11-2004 13:02 Pagina 141 &7�FQRV���SB�B����SGI���� ������������������� 142 PARTE II: GUIDA PER IL PIANO FORMATIVO 1. Scheda per il piano formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55 1.1. Scheda per il piano formativo del I anno . . . . . . . . . . . . . . . . 55 1.2. Scheda per il piano formativo del II anno . . . . . . . . . . . . . . . 61 1.3. Scheda per il piano formativo del III anno . . . . . . . . . . . . . . . 68 2. Prospettiva temporale del piano formativo . . . . . . . . . . . . . . . . 72 PARTE III: DESCRIZIONE DELLE UDA 1. Unità di apprendimento per il I anno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77 UdA n. 1: Dossier sulla comunità professionale . . . . . . . . . . . . . . 78 UdA n. 2: Glossario per la presentazione dell’ambiente di lavoro 83 UdA n. 3: Carro allegorico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85 UdA n. 4: Simulazione dell’acquisto di un motorino . . . . . . . . . . . 87 UdA n. 5: Settimana della cucina regionale . . . . . . . . . . . . . . . . . 89 UdA n. 6: Evento finale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91 2. Unità di apprendimento per il II anno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 94 UdA n. 1: Presentazione attività estiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95 UdA n. 2a: Buffet di presentazione aziende di stage (commis di sala) . 102 UdA n. 2b: Buffet di presentazione aziende di stage (commis di cucina) . 104 UdA n. 3: Conseguimento della patente per il motorino . . . . . . . . 106 UdA n. 4: Organizzazione di un viaggio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113 UdA n. 5a: Concorso cocktail dell’anno (commis di sala e bar) . . 115 UdA n. 5b: Gara gastronomica (commis di cucina) . . . . . . . . . . . . 117 3. Unità di apprendimento per il III anno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 119 UdA n. 1: Dossier sulla squadra del cuore . . . . . . . . . . . . . . . . . . 120 UdA n. 2: Visita culturale a Roma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 127 UdA n. 3: Guida alle tradizioni gastronomiche . . . . . . . . . . . . . . . . 135 UdA n. 4: Il mio capolavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 137 BIBLIOGRAFIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139 INDICE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 141 turistica.qxd 29-11-2004 13:02 Pagina 142 &7�FQRV���SB�B����SGI���� ������������������� 143 Pubblicazioni 2002-2004 nella collana del CNOS-FAP e del CIOFS/FP “Studi, progetti, esperienze per una nuova formazione professionale” La collana si propone di contribuire al dibattito suscitato in Italia dalla riforma del si- stema educativo proponendo studi, progetti ed esperienze relativi al sottosistema di istru- zione e di formazione professionale. Si riporta l’elenco dei volumi fin ora pubblicati. Studi 1) CIOFS/FP (a cura di), La formazione professionale per lo sviluppo del territorio. Atti del seminario di formazione europea, Castel Brando (Treviso), 9 - 11 settembre 2002. 2) MALIZIA G. - D. NICOLI - V. PIERONI (a cura di), Ricerca azione di supporto alla speri- mentazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto finale. 3) MALIZIA G. - V. PIERONI (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto sul follow-up. 4) MALIZIA G. (coord.) - D. ANTONIETTI - M. TONINI (a cura di), Le parole chiave della formazione professionale. 5) RUTA G. (a cura di), Etica della persona e del lavoro. 6) CNOS-FAP (a cura di), Gli editoriali di “Rassegna CNOS” 1996-2004. Il servizio di don Stefano Colombo in un periodo di riforme. 7) CIOFS/FP (a cura di), Atti del XV seminario di formazione europea. Il sistema dell’i- struzione e formazione professionale nel contesto della riforma. Significato e percorsi. Progetti 8) BECCIU M. - A.R. COLASANTI, La promozione delle capacità personali. Teoria e prassi. 9) CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Pro- getto e guida alla compilazione delle unità didattiche. 10) COMOGLIO M. (a cura di), Prova di valutazione per la qualifica: addetto ai servizi di impresa. Prototipo realizzato dal gruppo di lavoro CIOFS/FP. 11) FONTANA S. - G. TACCONI - M. VISENTIN, Etica e deontologia dell’operatore della FP. 12) GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo. 13) MARSILI E., Guida per l’accompagnamento al lavoro dipendente. 14) TACCONI G. (a cura di), Insieme per un nuovo progetto di formazione. 15) VALENTE L. - D. ANTONIETTI, Quale professione? Strumento di lavoro sulle professioni e sui percorsi formativi. 16) CIOFS/FP (a cura di), Un modello per la gestione dei servizi di orientamento. 17) NICOLI D. (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale. turistica.qxd 29-11-2004 13:02 Pagina 143 &7�FQRV���SB�B����SGI���� ������������������� 144 18) NICOLI D. (a cura di), Sintesi delle linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale. 19) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale alimentazione. 20) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale aziendale e amministrativa. 21) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale commerciale e delle vendite. 22) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale elettrica e elettronica. 23) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale estetica. 24) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale grafica e multimediale. 25) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale legno e arredamento. 26) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale meccanica. 27) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale sociale e sanitaria. 28) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale tessile e moda. 29) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale turistica e alberghiera. 30) ASSOCIAZIONE CIOFS/FP PIEMONTE (a cura di), Le competenze orientative. Un approccio metodologico e proposte di strumenti. 31) ASSOCIAZIONE CIOFS/FP PIEMONTE (a cura di), L’accoglienza nei percorsi formativo- orientativi. Un approccio metodologico e proposte di strumenti. Esperienze 32) CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 1. Guida per l’accoglienza. 33) CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 2. Guida per l’accompa- gnamento in itinere. 34) CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 3. Guida per l’accompa- gnamento finale. 35) CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 4. Guida per la gestione dello stage. 36) TONIOLO S., La cura della personalità dell’allievo. Una proposta di intervento per il coordinatore delle attività educative del CFP. turistica.qxd 29-11-2004 13:02 Pagina 144 &7�FQRV���SB�B����SGI���� ������������������� Tip.: Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma Tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - E-mail: tipolito@pcn.net Dicembre 2004 turistica.qxd 29-11-2004 13:02 Pagina 145 &7�FQRV���SB�B����SGI���� ������������������� turistica.qxd 29-11-2004 13:02 Pagina 146 &7�FQRV���SB�B����SGI���� ������������������� turistica.qxd 29-11-2004 13:02 Pagina 147 &7�FQRV���SB�B����SGI���� ������������������� turistica.qxd 29-11-2004 13:02 Pagina 148 &7�FQRV���SB�B����SGI���� �������������������

Pages