Guglielmo MALIZIA - Vittorio PIERONI - Antonia SANTOS FERMINO
Individuazione e raccolta di buone prassi
mirate all’accoglienza, formazione
e integrazione degli immigrati
CIOFS/FP
La ricerca è stata affidata dal CNOS-FAP e dal CIOFS/FP al CENSIS.
L’indagine è stata realizzata da un gruppo di lavoro coordinato da Claudia Donati e
composto da: Luigi Bellesi, Sergio Vistarini e Vittoria Coletta.
L’équipe ha operato sotto la responsabilità di Claudia Donati (CENSIS) d’intesa con i
Presidenti del CNOS-FAP e del CIOFS/FP.
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INTRODUZIONE
Il progetto nel suo complesso mirava a qualificare la rete integrata degli inter-
venti che favoriscono l’accoglienza degli immigrati (adolescenti, giovani e adulti)
ai fini di un loro inserimento nella FP e nella vita sociale e attiva.
L’obiettivo ultimo dell’indagine quali-quantitativa consisteva quindi nella ste-
sura di un report che nel raccogliere le buone prassi arrivasse poi ad indicare le
linee-guida da mettere a disposizione delle figure di sistema per sperimentare mo-
delli d’intervento finalizzati ad accogliere ed operare con la sempre maggiore pre-
senza nei CFP di questa categoria di soggetti. In pratica si è trattato di predisporre
una specie di “cassetta degli attrezzi”, che possa servire a chi lavora in questo set-
tore lungo il processo di accoglienza, formazione e integrazione di allievi immi-
grati ai fini di un loro inserimento/integrazione nella vita sociale e attiva;
A seguito di questo obiettivo generale vi era poi quello di arrivare a definire un
quadro normativo della problematica sottesa all’attività con queste categorie di
soggetti (capitolo 1).
Per poter operare con soggetti appartenenti ad altre culture/etnie/religioni oc-
correva predisporre, in base ai recenti studi, un quadro concettuale dei fattori che
favoriscono la costruzione dell’identità negli adolescenti di origine migratoria, e
conseguentemente anche il processo di integrazione nei sistemi formativi e nella
vita attiva (capitolo 2).
Un ulteriore obiettivo consisteva nella raccolta di buone prassi per lavorare
con queste categorie di soggetti, allo scopo poi di diffonderle/socializzarle (capitoli
3 e 4).
A seguito della raccolta delle buone prassi veniva infine la ricostruzione di un
modello d’intervento per favorire l’integrazione nei sistemi formativi e nella vita
dei giovani immigrati, e su cui era affidata l’ipotesi di una successiva sperimenta-
zione (capitolo 5).
Per realizzare questi obiettivi si è fatto ricorso a metodologie di ricerca quali-
quantitative. La dimensione quantitativa aveva come obiettivo primario quello di
individuare i bisogni formativi espressi/inespressi de queste particolari categorie di
soggetti. In questo caso il contributo è stato assicurato appoggiando il progetto ad
un’indagine in atto nel Comune di Latina, territorio per eccellenza di vocazione mi-
gratoria e da tempo ormai nel focus della mobilitazione di variegate popola-
zioni/etnie.
Per la dimensione prettamente qualitativa si è fatto ricorso invece ai focus
group mirati a far emergere – da parte di un congruo numero di professionisti che
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lavorano nel settore (direttori dei Centri, docenti/formatori, psicologi, rappresen-
tanti delle amministrazioni locali, dei servizi socio-assistenziali, delle associazioni
di categoria…) – le diverse sfaccettature dell’esperienza in atto e le possibili stra-
tegie d’intervento.
All’atto pratico l’indagine qualitativa si è svolta in 7 CFP scelti sulla base di
una provata esperienza nel lavorare con queste categorie di soggetti:
1) CNOS-FAP - Roma “T. Gerini”
2) CNOS-FAP - Bologna
3) CIOFS/FP - Emilia Romagna (Bologna)
4) CIOFS/FP - Lazio (Ginori, Togliatti, Morrone, Ladispoli, Ostia, Colleferro)
5) ENAIP - Veneto (Dolo, Mirano, Noale)
6) Fondazione Clerici - Pavia
7) Casa di Carità Arti e Mestieri - Torino
Nella distribuzione delle attività per tempi/fasi si è partiti in un primo mo-
mento (primavera/estate 2007) dalla elaborazione dei primi due capitoli relativi al
quadro teorico. Nell’autunno successivo si è passati quindi a visitare uno per uno i
7 Centri riportati sopra, attività che si è prolungata fino a gennaio 2008. Una volta
sbobinati gli interventi che sono stati fatti dai vari protagonisti durante i focus,
nella primavera successiva è stata ricostruita l’attività di ogni Centro sulla base
delle buone pratiche messe a punto per l’accoglienza, la formazione e l’integra-
zione degli immigrati e poi si è passati a ricostruire le linee-giuda per allestire mo-
delli d’intervento da sperimentare a favore degli immigrati, nell’ipotesi di una pro-
seguimento del progetto.
Un doveroso ringraziamento va a tutti coloro che hanno collaborato a questo
lavoro partecipando alle varie attività, e in particolare a:
– CNOS-FAP - Roma “T. Gerini”
– CNOS-FAP - Bologna
– CIOFS/FP - Emilia Romagna (Bologna)
– CIOFS/FP - Lazio (Ginori, Togliatti, Morrone, Ladispoli, Ostia, Colleferro
– ENAIP - Veneto (Dolo, Mirano, Noale)
– Fondazione Clerici - Pavia
– Casa di Carità - Torino
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Capitolo 1
Le politiche dell’immigrazione in Italia.
L’evoluzione recente
Guglielmo MALIZIA
Il capitolo cerca di offrire al tempo stesso un quadro generale della situazione
e approfondimenti specifici per gli aspetti che interessano più da vicino la presente
ricerca: l’approccio è prevalentemente macrostrutturale e la prospettiva politico-le-
gislativa. La prima sezione è dedicata ad esaminare in maniera sintetica le recenti
leggi organiche sull’immigrazione come panorama di sfondo in cui situare la susse-
guente analisi. La seconda parte è articolata in quattro sottosezioni che affrontano
ognuna le politiche riguardanti un ambito particolare direttamente rilevante per
l’oggetto dell’indagine in corso e cioè: la famiglia, il sistema educativo di istru-
zione e di formazione, il mondo del lavoro, i diritti di cittadinanza.
1. IL QUADRO DI RIFERIMENTO: LE RECENTI LEGGI ORGANICHE SULL’IMMIGRA-
ZIONE
Nelle ultime decadi l’immigrazione ha costituito uno dei fattori principali delle
trasformazioni in atto nel nostro Paese (Einaudi, 2007; Bonifazi, 2007; Ferrero,
2007; Bitoka e Gersony, 2007). La presenza consistente di stranieri originari di tutti
i continenti (2,67 milioni di residenti regolari nel 2005, pari al 4,5% della popola-
zione: cfr. Einaudi, 2007, p. V) e il forte calo delle nascite hanno esercitato un im-
patto notevole sul nostro sistema sociale nel suo complesso e sui singoli ambiti
quali il mercato della casa e la famiglia, la scuola e la FP, il lavoro e le professioni,
la cittadinanza e la politica.
Fino alla prima guerra mondiale gli stranieri costituivano un gruppo veramente
marginale della popolazione italiana, raggiungendo appena lo 0.4%, un segno
questo della situazione di grave ritardo economico del nostro Paese; nonostante la
poca consistenza quantitativa, essi occupavano un posto importante nel nostro si-
stema produttivo in qualità di finanziatori, imprenditori e commercianti (Ibidem).
L’avvento del fascismo con il suo seguito di nazionalismo, totalitarismo e razzismo
ha comportato il progressivo allontanamento di questa sparuta pattuglia di stranieri
per cui l’Italia ha assunto nel secondo dopoguerra i caratteri di una società così
omogenea da impedirle di capire che presto sarebbe stata coinvolta nell’immigra-
zione exrtraeuropea, come gli altri Paesi del vecchio continente.
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L’industrializzazione e il conseguente “boom” economico degli anni ’60 che
hanno portato l’Italia su livelli comparabili con quelli del Nord dell’Europa hanno
cambiato la nostra condizione da Paese di emigrazione a Paese di immigrazione.
Lo sviluppo produttivo ha determinato un dislivello notevole in rapporto alle na-
zioni dell’Africa, dell’Asia, dell’Europa centro-orientale e dell’America Latina che
ha reso conveniente lo spostamento di un numero consistente di persone verso i no-
stri lidi. L’innalzamento dei livelli di educazione e di guadagno degli italiani, ele-
vando le loro attese occupazionali e sociali, hanno reso sempre meno appetibile
una serie di lavori manuali quali la pesca, l’agricoltura, la collaborazione familiare,
l’edilizia e le attività industriali meno qualificate. La crescita delle possibilità di la-
voro in nero hanno favorito l’inserimento occupazionale precario di stranieri privi
delle necessarie autorizzazioni.
Alla fine del millennio la provenienza dagli ex-Paesi comunisti dell’Europa è
divenuta di gran lunga prevalente e la crescita esponenziale dell’emigrazione verso
il nostro Paese è dipesa soprattutto al crollo della natalità interna. Gli stranieri che
sono arrivati numerosi in Italia hanno impedito il calo della popolazione globale e
hanno contribuito all’aumento degli occupati e al mantenimento dei livelli tradizio-
nali del PIL e delle nostre capacità competitive.
Solo con molto ritardo le politiche pubbliche hanno affrontato questa trasfor-
mazione epocale dell’Italia. Il dibattito si è concentrato su tre nodi fondamentali.
Il primo ha riguardato la regolazione dei flussi di entrata dei lavoratori stranieri in
modo da conciliare la solidarietà verso le nazioni meno fortunate, le insufficienze
settoriali di manodopera del nostro Paese e le possibilità di lavoro degli italiani. Il
secondo nodo si riferisce al problema della sicurezza, cioè del controllo delle fron-
tiere e del fenomeno degli arrivi clandestini mediante il ricorso a strategie efficaci
di espulsione, che si dovrebbe però gestire in modo da non contravvenire ai diritti
umani, in particolare d’asilo, di difesa, all’unità familiare e dei minori. Un terzo
dilemma va identificato nella questione dell’integrazione che richiede al tempo
stesso di inserire gli immigrati alla pari con gli autoctoni, assicurando il manteni-
mento della loro identità culturale, e di evitare le derive di un’assimilazione for-
zata, la costituzione di “riserve indiane” e tensioni pericolose tra gli autoctoni e i
cittadini.
Non si può dire che trenta anni di dibattiti siano riusciti a far emergere solu-
zioni capaci di bilanciare in maniera pienamente soddisfacente le esigenze in gioco,
anche se non si può negare che progressi siano stati fatti. Inoltre, la contrapposi-
zione politica tra i poli, che è stata dura durante la decade ’90, sembra che negli ul-
timi anni sia diminuita a motivo della crescente accettazione della immigrazione e
di una più diffusa convinzione di realizzare una integrazione non conflittuale. Mi
limiterò a illustrare questo dibattito, concentrando la disamina sulle prime due leggi
organiche dell’immigrazione, cioè la Turco-Napolitano e la Bossi-Fini, e sul di-
segno di legge Amato-Ferrero (Codini, 2007b; Zanfrini, 2007c; Fredo, Bergama-
schi e Parisi, 2007).
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1.1. La legge Turco-Napolitano
Benché il percorso del provvedimento sia stato relativamente breve, poco più
di un anno dal 31 gennaio 1997 al 19 febbraio 1998, tuttavia esso costituisce la
conclusione di otto anni di tentativi per completare la legge Martelli, n. 39/90, che
avevano impegnato tutti i governi che si erano succeduti nel periodo citato (Ei-
naudi, 2007; Turco e Tavella, 2006; Bonifazi, 2007; Ferrero, 2007). Il testo norma-
tivo n. 40/1998 che porta i nomi degli on. Turco e Napolitano rappresenta certa-
mente il dispositivo di più ampia portata che fosse stato emanato fino a quella data
nel nostro Paese sull’immigrazione e la condizione dello straniero e mirava a con-
ciliare le esigenze tra loro non sempre facilmente armonizzabili della solidarietà,
della apertura e della sicurezza.
Venendo alle normative principali, la legge che si applicava ai cittadini di Stati
non appartenenti all’Unione europea e agli apolidi, indicati nel testo come stranieri,
riconosceva a questi ultimi i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle
norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali e dai principi di diritto in-
ternazionale generalmente ammessi; inoltre, gli stranieri regolari fruivano di tutti i
diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano per cui partecipavano alla vita
pubblica locale e godevano di parità di trattamento riguardo alla tutela giurisdizio-
nale dei diritti e degli interessi legittimi, nei rapporti con la pubblica amministra-
zione e nell’accesso ai pubblici servizi. La regolamentazione dei permessi rilasciati
per lavoro, famiglia o studio assumeva carattere di maggiore flessibilità e poteva
consentire lo svolgimento di attività differenti da quelle inizialmente stabilite, com-
preso il lavoro. La disciplina dell’integrazione era potenziata in quanto veniva pre-
visto un fondo speciale per le politiche dell’immigrazione ed erano introdotte
nuove disposizioni contro la discriminazione e per la realizzazione delle pari op-
portunità nell’accesso alle case popolari, alla salute e all’istruzione. Ulteriore im-
pulso a un andamento regolato dei flussi di entrata in Italia doveva venire dall’ado-
zione del documento programmatico triennale che era chiamato a stabilire i criteri
generali per la determinazione delle entrate nel nostro Paese.
La legge Turco-Napolitano ha proceduto anche a riorganizzare sostanzialmente
il sistema delle quote per i lavoratori immigrati. Annualmente un decreto interve-
niva a stabilire un limite massimo che doveva tenere in adeguata considerazione le
entrate per ricongiungimento familiare e per la richiesta di asilo. Comunque, l’in-
novazione principale era rappresentata dalla previsione di quote riservate o privile-
giate a favore di quegli Stati legati all’Italia da accordi che consentivano il con-
trollo dei flussi e il ritorno in patria degli stranieri allontanati o respinti. Per evitare
periodi di iniziale clandestinità e facilitare da subito l’incontro tra domanda e of-
ferta di lavoro, è stato consentito di entrare nel nostro Paese per lavoro senza un
contratto a condizione che un cittadino italiano fornisse garanzie circa il sostenta-
mento, l’alloggio e le spese sanitarie; inoltre, è stata introdotta la possibilità di au-
tosponsorizzazione per gli stranieri privi di un garante in Italia a condizione che de-
positassero una somma che potesse assicurarne il mantenimento nel nostro Paese.
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Nella stessa linea di facilitare i flussi per ragioni di lavoro era previsto un permesso
di soggiorno per occupazioni stagionali di durata più lunga. Inoltre, tutta la materia
della programmazione nell’ambito del lavoro era affidata alla competenza della
presidenza del consiglio al fine di evitare negoziazioni defatiganti tra più ministeri.
Un’altra novità notevole consisteva nell’allungamento progressivo dei per-
messi di soggiorno: la ragione che giustificava tale orientamento andava ricercata
nell’intenzione di rendere stabili le presenze degli stranieri in Italia in modo da rea-
lizzare una integrazione crescente nel tempo. Lo sbocco finale era costituito dal ri-
lascio di una carta di soggiorno che doveva sancire il passaggio da una condizione
di immigrato temporaneo a quella di immigrato permanente. All’iter di progressiva
stabilizzazione degli straniere si affiancava ovviamente l’attribuzione di una
gamma sempre più ampia di diritti.
La normativa sulle espulsioni era rafforzata e resa più incisiva in quanto erano
previste nuove modalità di diniego dell’ingresso, di respingimento alla frontiera o
nelle immediate vicinanze o di allontanamento. Per equilibrare questi inasprimenti,
la legge Turco-Napolitano stabiliva casi di inespellibilità che erano identificati con
le fattispecie dei minori di 16 anni, delle donne incinte, dei possessori di carta di
soggiorno, dei parenti di cittadini italiani, di richiedenti l’asilo in attesa che il loro
status venisse chiarito. Al fine di ovviare alle difficoltà che si erano avute circa
stranieri privi di documenti non identificabili immediatamente, era previsto la pos-
sibilità di trattenimento coatto nei cosiddetti centri di permanenza temporanea, i
CPT, per il tempo richiesto – e comunque non superiore ai venti giorni estendibili a
trenta – per identificarli ed eventualmente conseguire i documenti e i nullaosta
degli Stati di origine in vista del rimpatrio. Correttamente la legge n. 40/1998 ha
mirato a potenziare l’attività repressiva nei confronti dei trafficanti di persone e
degli sfruttatori della immigrazione clandestina. Al fine di tutelare le vittime di
queste azioni delittuose e convincerle a denunciarle poteva essere rilasciato un per-
messo speciale di soggiorno della durata di sei mesi rinnovabile, che offriva la op-
portunità di un percorso di reinserimento.
Passando a una valutazione di merito del dispositivo, non credo che si possa
negare che esso segni un progresso notevole in tema sia di programmazione dei
flussi, sia della sicurezza, cioè del controllo delle frontiere e del fenomeno degli ar-
rivi clandestini, sia dell’integrazione; al tempo stesso si deve riconoscere che esso
rappresenta un compromesso tra esigenze contrastanti tra le quali non si è sempre
riusciti a trovare un punto di incontro soddisfacente sul piano giuridico e applica-
tivo (Einaudi, 2007; Bonifazi, 2007; Ferrero, 2007). Inoltre, nonostante l’ampia
gamma di tematiche regolate dalla legge e il suo carattere organico, la normativa
non è intervenuta a disciplinare alcuni ambiti di rilievo: infatti, sono stati affidati a
dispositivi separati la riforma della cittadinanza, le problematiche dell’asilo, la que-
stione del diritto di voto e, malgrado i tentativi effettuati, i governi dell’Unione non
sono riusciti a varare dei provvedimenti in nessuno dei tre ambiti. Certamente le
critiche maggiori sono pervenute dalla destra che ha denunciato la inadeguatezza
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soprattutto sul piano del contrasto all’immigrazione clandestina, ma anche il peri-
colo di conflitti sociali e religiosi, di una guerra tra poveri in competizione per ri-
sorse pubbliche insufficienti e di una solidarietà troppo ampia, mentre si sarebbe
dovuta limitare l’entrate in Italia solo a chi poteva contare su lavoro e casa. A sua
volta, la sinistra ha contestato la estensione eccessiva delle espulsioni e l’insuffi-
ciente riconoscimento del diritto di difesa. Anche il giudizio delle associazioni è
stato piuttosto articolato nel senso che in positivo hanno riconosciuto che la legge
n. 40/98 garantisce i diritti fondamentali della persona umana e prevede strategie
valide per la programmazione dei flussi, ma nello stesso tempo hanno lamentato
che essa non assicura opportunità di ricorso effettivo contro le misure restrittive
della libertà personale e che etichetta gli immigrati in condizione di povertà con
una valutazione presuntiva di elevata pericolosità sociale.
Venendo all’applicazione del dispositivo in relazione ai tre nodi fondamentali
messi in risalto sopra, la programmazione dei flussi ha sì segnato un miglioramento
rilevante rispetto al passato, ma la sua incidenza non è stata tale da ridurre in ma-
niera consistente le entrate clandestine in quanto le domande di regolarizzazione
hanno superato del doppio gli ingressi programmati nel periodo 1998-2001
(700.000 contro 282.000) (Einaudi, 2007, p. 265). Le ragioni dello scarto sono
molteplici e vanno dalla inadeguatezza delle stime dei fabbisogni, alla lentezza
delle procedure amministrative, alla problematicità di conciliare le diverse esigenze
politiche e sociali, alla forte crescita dell’immigrazione nel periodo 1996-2001 ri-
spetto al quinquennio precedente per effetto dell’aumento della pressione degli
Stati poveri o a medio reddito, del crollo della natalità nel nostro Paese e del conse-
guente invecchiamento e del miglioramento della situazione del mercato del lavoro
italiano.
Quanto al problema della sicurezza, i dati mettono in evidenza un aumento
dell’efficacia dell’azione repressiva tra il 1998 e il 2001 in quanto cresce il numero
sia degli stranieri rintracciati in condizione di clandestinità o di irregolarità sia delle
espulsioni con accompagnamento alla frontiera e si osserva un calo degli sbarchi il-
legali sulle nostre coste (Einaudi, 2007, pp. 272-273). A proposito del secondo an-
damento va notato che esso è principalmente il frutto di una politica particolar-
mente innovativa che aveva portato alla conclusione di una serie di accordi con i
Paesi vicini per ottenere la loro cooperazione a fermare le partenze e a contrastare
le organizzazioni criminali che operavano nel traffico e nel contrabbando delle per-
sone. Nonostante ciò, i due fenomeni della irregolarità e della clandestinità sono
cresciuti negli anni 1998-02 più rapidamente che non nel periodo precedente.
Questo andamento è dovuto agli effetti congiunti del calo consistente della disoccu-
pazione nel nostro Paese e del notevole aumento della domanda di lavoro straniero
e si connette con il mutamento della provenienza della immigrazione, non più dal-
l’Africa, ma dall’Europa centro-orientale, e con la trasformazione delle strategie di
entrate che utilizzavano il regime di esenzione dal visto per i candidati all’ingresso
nell’UE o i visti di breve periodo per turismo a cui faceva seguito un periodo di
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permanenza irregolare. Inoltre, benché non si possa parlare di una crescita genera-
lizzata della criminalità nel nostro Paese durante la decade ’90, tuttavia, va ricono-
sciuto il rilevante incremento della presenza degli immigrati in queste attività; al
tempo stesso si deve sottolineare con forza che la più gran parte della popolazione
straniera non vi era coinvolta in quanto le percentuali dei detenuti stranieri con per-
messo di soggiorno e dei detenuti con cittadinanza italiana in paragone ai rispettivi
universi di riferimento erano sostanzialmente equivalenti.
Il terzo nodo, quello dell’integrazione, ha iniziato a suscitare in misura signifi-
cativa l’interesse dell’opinione pubblica solo nell’ultimo periodo della legislatura,
quando cioè il numero degli immigrati nel nostro paese ha raggiunto una consi-
stenza quantitativa non più trascurabile e soprattutto ha assunto le caratteristiche di
una maggiore stabilità e per una gran parte anche della lunga durata. La problema-
tica si presentava più complessa di quella degli altri due nodi perché la sua solu-
zione richiedeva il coinvolgimento di più attori a partire dai vari livelli di governo
per passare ai corpi intermedi e soprattutto ai cittadini italiani e agli stranieri stessi,
e si sapeva che sulla questione mancava un consenso di tutte le parti interessate.
D’altra parte i modelli possibili erano diversi: la gamma delle soluzioni oscillava
tra l’assimilazionismo, il multiculturalismo, la presenza temporanea dell’immigrato
e l’intercultura. Quest’ultimo pare certamente il più adeguato perché consiste nel
“costruire un equilibrio tra la tensione all’universalismo dei diritti e il riconosci-
mento delle differenze individuali” e consente di individuare “percorsi di inclu-
sione dei cittadini stranieri sulla base dell’affermazione di diritti e doveri di tutte le
parti in causa (stranieri, nazionali, enti, associazioni) e nel rispetto delle specificità
culturali e religiose” (Einaudi, 2007, p. 305) per cui in sintesi si propone una iden-
tità arricchita, fondata sulla conoscenza dell’identità del Paese in cui si risiede, sul
consenso ai valori che la definiscono e sulla valorizzazione delle culture delle co-
munità straniere; inoltre esso consentiva di evitare le carenze delle altre imposta-
zioni quali: la imposizione di un unico modello e la pretesa di annullare la diversità
in nome di una laicità assurta al rango di nuova religione; la creazione di riserve in-
diane e la conseguente utopia di una convivenza tra comunità chiuse; la proposta di
una soluzione del tutto insufficiente nella situazione italiana. Questa a sua volta ap-
pariva comunque abbastanza lontana dal modello interculturale: il mercato del la-
voro sembrava avviato a una integrazione subalterna degli stranieri, sul piano abita-
tivo un terzo circa degli immigrati si trovava in una condizione di grave disagio e
in materia di cittadinanza le ambizioni iniziali del centrosinistra non avevano tro-
vato attuazione se non in alcuni modesti progressi a livello locale.
1.2. La legge Bossi-Fini
La campagna elettorale che nel 2001 ha portato al potere il centrodestra era
stata lunghissima, essendo di fatto iniziata nel 1999, e aveva permesso ai partiti
della coalizione di elaborare un insieme di ipotesi sul tema dell’immigrazione,
anche se con varie differenziazioni all’interno (Einaudi, 2007; Bonifazi, 2007). Una
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volta vinte le elezioni, la preparazione di una legge in materia divenne una priorità
del governo. Il relativo disegno di legge fu approvato dal Consiglio dei Ministri a
metà settembre del 2001, con alcune modifiche venne presentato al Senato nel no-
vembre del medesimo anno e l’adozione definitiva si ebbe nel luglio del 2002: in
pratica il dibattito parlamentare era durato meno di un anno.
La legge Bossi-Fini del 30 luglio 2002, n. 189, ha mantenuto l’impostazione
complessiva del precedente testo, n. 40/1998, in quanto ha conservato le quote, le
espulsioni amministrative e le strategie per l’integrazione, cioè le coordinate del
dispositivo Turco-Napolitano (Einaudi, 2007; Mantovani, 2007; Bonifazi, 2007;
Ferrero, 2007; Bellagamba e Cariti, 2005; Zanrosso, 2007). Al tempo stesso ha pro-
ceduto con sistematicità a cambiare l’impianto globale in maniera restrittiva: “ac-
corciamento della durata dei permessi, limitazione dei ricongiungimenti familiari,
estensione dell’accompagnamento alla frontiera da parte della polizia, allunga-
mento del trattenimento nei Cpt (Centri di permanenza temporanea e di acco-
glienza) e del numero di anni necessario per ottenere la carta di soggiorno” (Ei-
naudi, 2007, p. 311).
Gli assi principali su cui poggia la legge n. 189/02 possono essere identificati
in tre orientamenti. Anzitutto, si intendeva contrastare con più impegno e serietà il
fenomeno dell’immigrazione clandestina e della criminalità che vi era strettamente
connessa. Un’altra finalità centrale del dispositivo è mirata a diminuire in misura
consistente i flussi in ingresso dei lavoratori, facendo ricorso a strategie alternative
per cercare di soddisfare la domanda di manodopera in aumento, specialmente da
parte delle aziende del Settentrione: in particolare si puntava a stimolare gli sposta-
menti di disoccupati del Meridione verso il Nord e a incentivare il ritorno in Italia
dei discendenti degli emigranti del nostro Paese. Un altro caposaldo può essere
visto nella tendenza a favorire l’immigrazione temporanea in modo da evitare che
la presenza degli extracomunitari potesse assumere in misura crescente il carattere
della permanenza.
Venendo a una valutazione globale, si può cominciare proprio dall’ultimo asse
della legge n. 189/02 (Einaudi, 2007; Bonifazi, 2007; Ferrero, 2007; Mantovano,
2007): infatti, il calo della natalità e il conseguente invecchiamento del nostro
Paese non erano problemi da affrontarsi con una immigrazione temporanea, priva o
quasi di incentivi a integrarsi, ma rinviava a delle politiche capaci di assicurare dei
flussi in aumento di stranieri desiderosi di insediarsi stabilmente in Italia e di inse-
rirsi permanentemente nel tessuto della nostra società. Più in generale, si deve de-
nunciare il velleitarismo di varie disposizioni e la loro limitata incidenza effettiva
sulla prassi, come si vedrà meglio nel prosieguo. Tenuto conto del principio sotto-
stante alla legge di limitare l’immigrazione a pochi stranieri, unicamente per lavoro
e solo per il tempo strettamente necessario dopo il quale l’auspicio era il ritorno
immediato a casa, era totalmente legittima la denuncia del pericolo di una crescita
del fenomeno della clandestinità che richiedeva naturalmente per essere sanato il
ricorso a regolarizzazione di massa.
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Passando all’applicazione della legge Bossi-Fini in relazione ai tre nodi fonda-
mentali della immigrazione richiamati all’inizio della sezione n. 1, già nel 2002 il
decreto di programmazione dei flussi si discostava profondamente dagli orienta-
menti del centrosinistra per conformarsi allo spirito delle politiche del nuovo go-
verno (Einaudi, 2007; Bonifazi, 2007; Ferrero, 2007; Mantovano, 2007). Le quote
di ingressi stabili autorizzati e quelle privilegiate erano ridotte in misura sostan-
ziale, mentre quella per la ricerca di lavoro era stata eliminata in toto dalla 189. A
sua volta in conformità alle novità previste dalla Bossi-Fini venivano previste faci-
litazioni per il rientro dei discendenti di emigranti italiani in Argentina e iniziative
per la formazione all’estero in vista dell’ingresso in Italia; tuttavia, i risultati del-
l’applicazione di queste strategie furono modesti. Pertanto, per effetto di questi
provvedimenti la programmazione dei flussi divenne assolutamente insoddisfa-
cente e rischiava anche di compromettere la cooperazione con i Paesi mediterranei
a causa dello svuotamento di fatto della strategie delle quote privilegiate
Riguardo al nodo della sicurezza, le strategie di confronto in mare e le poli-
tiche aggressive verso i Paesi della riva meridionale del Mediterraneo non hanno
ottenuto risultati molto soddisfacenti (Einaudi, 2007; Bonifazi, 2007; Mantovano,
2007). Gli esiti non furono migliori sul piano europeo nel senso che non trovarono
accoglimento le proposte, sostenute anche dall’Italia, di cancellare gli aiuti allo svi-
luppo in favore delle nazioni che non cooperavano a impedire la immigrazione
clandestina e di esternalizzare i controlli, creando campi di transito furori dell’Eu-
ropa. Questi insuccessi convinsero il Ministro dell’Interno in carica a riprendere le
strategie del governo dell’Ulivo mirate a realizzare accordi di collaborazione con
gli Stati della sponda Sud del Mediterraneo, dimostrando piena disponibilità a for-
nire delle contropartite. In aggiunta, anche le strategie di inasprimento delle espul-
sione hanno inaspettatamente rivelato un livello basso di incidenza soprattutto per
tre ragioni: all’inizio la regolarizzazione realizzata dal governo di centrodestra
aveva ridotto in misura consistente il numero dei clandestini e degli irregolari per
cui era diminuito di molto il bisogno di provvedere ad allontanamenti; la moltipli-
cazione dei rinnovi cartacei dei permessi di soggiorno di cui era stata diminuita la
durata media non solo si era dimostrata nociva dal punto di vista dell’integrazione,
ma aveva comportato uno spreco di risorse che unito alla riduzione dei fondi per
l’immigrazione si era tradotta in una diminuzione degli allontanamenti; in ag-
giunta, alcuni interventi della Corte Costituzionale a difesa dei diritti degli immi-
grati aveva ridotto l’asprezza delle misure di espulsione volute dalla maggioranza
di centrodestra. In coerenza con lo spirito delle politiche di contenimento dell’im-
migrazione clandestina, il governo in carica si è impegnato a potenziare i CPT, una
strategia di azione molto costosa e controversa, anche se non si può negare ad essa
una certa efficacia. In proposito il confronto tra le parti politiche è stato certamente
molto aspro anche se non sembra sia mancata al termine una certa convergenza tra
i moderati di ambedue gli schieramenti su una linea d’azione volta a riformare e a
umanizzare i CPT, ma non ad abolirli.
13
Il governo della Casa delle Libertà si orientò a ridurre drasticamente le poli-
tiche dell’integrazione sia eliminando organismi a ciò deputati, sia sopprimendo il
fondo destinato specificamente a questo fine, sia affidando sempre più la realizza-
zione di tali strategie agli Enti locali (Einaudi, 2007; Bonifazi, 2007). Al tempo
stesso le preoccupazioni suscitate dagli attacchi terroristici hanno sollecitato i Paesi
dell’Europa ad affrettare la revisione già in atto dei modelli di integrazione: Dani-
marca e Olanda hanno deciso di rivedere le politiche multiculturali seguite nel pas-
sato perché avevano portato a trascurare i fenomeni dello sviluppo dell’estremismo
religioso islamico e dell’autosegrazione degli stranieri e vi hanno apportato corre-
zioni importanti nel senso di sottolineare maggiormente i doveri degli immigrati ri-
spetto ai diritti, di adottare strategie di assimilazione e di definire sul piano giuri-
dico nuovi obblighi in tema di apprendimento della lingua, delle norme sociali,
della normativa dello Stato ospitante e di introdurre cerimonie di adesione al nuovo
Paese; anche la Francia si è posta il problema di ripensare la propria politica assi-
milazionista di fronte alla rivolta delle “banlieues“ nel 2005; solo la Gran Bretagna
sembra rimasta sostanzialmente fedele alla tradizionale impostazione multicultu-
rale.
In Italia il timore del terrorismo ebbe un’incidenza più teorica che reale: si dif-
fuse una certa ostilità culturale verso l’Islam, non mancarono preoccupazioni per il
mantenimento dell’identità italiana, i provvedimenti di polizia si focalizzarono sui
musulmani con esiti alterni e la tesi dello scontro di civiltà ebbe una breve fiam-
mata di sostegno pubblico. La maggior parte del governo di centrodestra, dopo un
primo periodo di scontro, assunse un orientamento più conciliante, una specie di
doppio binario da una parte di attenzione e severità verso ogni estremismo e dal-
l’altra di tolleranza e di dialogo verso il mondo islamico. Ancora più aperta si pre-
sentava l’impostazione del centrosinistra che, pur non volendo rinunciare alle pro-
prie tradizioni, si dichiarava pronto ad andare alla scoperta, all’incontro, all’acco-
glienza. Inoltre, tra gli operatori della immigrazione l’idea dell’interculturalità gua-
dagna terreno ed evolve verso una concezione sempre più matura: “L’intercultura-
lità richiede di accettare una sorta di doppia identità degli immigrati, che coniuga
quella di origine a quella di adozione, senza chiedere di abbandonare elementi della
cultura originaria se non quelli definiti dalla cultura costituzionale del Paese di ac-
coglienza. Richiede una forma di adattamento reciproco che identifica nella per-
sona piuttosto che nello Stato o nella comunità il fattore essenziale, che non classi-
fica le persone con stereotipi, pretendendo di cristallizzarne a priori identità e ap-
partenenza a seconda di religione, razza o nazionalità, esasperando le differenze”
(Einaudi, 2007, p. 354).
Da ultimo va sottolineato che durante la XIV legislatura le politiche dell’immi-
grazione del governo di centrodestra hanno subito una graduale evoluzione silen-
ziosa. Alcuni segnali di cambiamento sono stati già evidenziati sopra; la grande re-
golarizzazione del 2002, che ha riguardato ben 646.000 stranieri su 705.000 do-
mande, mettendo in risalto la forte pressione migratoria verso l’Italia, anche per ef-
14
fetto della elevata domanda di lavoro domestico e per le imprese, aveva sancito
l’insuccesso delle strategie di restrizione migratoria verso l’Europa, anche se non
nei confronti dell’Africa. Ma la svolta si è prodotta riguardo ai flussi legali dei la-
voratori perché in tre anni, dal 2003 al 2006, si è passati da un regime molto restrit-
tivo ad uno tra i più aperti d’Europa con un balzo da soli 11.500 ingressi di lavora-
tori extracomunitari compresi gli stagionali a 120.000, oltre a un numero altissimo
(170.000) di lavoratori provenienti da Paesi che avevano aderito all’UE nel 2004.
Le ragioni di questo andamento sono complesse: si va dagli effetti dell’amplia-
mento dell’UE verso gli Stati dell’Europa centro-orientale, alla accettazione
sempre più ampia dell’immigrazione da parte della opinione pubblica italiana, fino
alle pressioni crescenti del sistema economico e sociale sul governo.
1.3. Il disegno di legge delega Amato-Ferrero
Nel 2006 con le elezioni generali ritorna al potere il governo di centro-sinistra
che avvia una profonda riforma della Bossi-Fini (Ufficio Stampa e Comunicazione
del Ministero degli Interni, 2007). Infatti, a suo parere tale legge non avrebbe ri-
solto i problemi della immigrazione nel nostro Paese dovuti alla ricettività limitata
per il suo intenso popolamento, all’alto livello di clandestinità, alle difficoltà nella
realizzazione delle espulsioni, alle pressioni e agli intralci provocati dalla crimina-
lità organizzata; essa, inoltre, non avrebbe saputo valorizzare le potenzialità del fe-
nomeno che può assicurare il ricambio demografico a un’Italia con una natalità in
forte calo, risorse importanti alle imprese attraverso l’apporto dei lavoratori immi-
grati, una crescita economica significativa e uno strumento di competitività me-
diante il contributo di una immigrazione caratterizzata da elevata professionalità.
La riforma è incominciata subito con l’approvazione di alcune misure che
hanno riguardato i ricongiungimenti familiari, la carta di lungo-soggiorno, la lotta
allo sfruttamento, l’abolizione dei permessi di soggiorno sotto i tre mesi; in ag-
giunta, è stato presentato un disegno legge sulla cittadinanza. Un impegno partico-
lare è stato dedicato al cambiamento del testo unico sull’immigrazione che ha tro-
vato un primo sbocco nel disegno di legge delega al governo per la modifica della
disciplina dell’immigrazione e delle norme sulla condizione dello straniero, comu-
nemente intitolato dai nomi del due primi firmatari, i ministri Amato e Ferrero (Uf-
ficio Stampa e Comunicazione del Ministero degli Interni, 2007; Codini, 2007a;
Ferrero, 2007; Mantovano, 2007).
Le finalità generali del provvedimento sono mirate a sciogliere i tre nodi fon-
damentali dell’immigrazione, che ho già indicato sopra: regolare in modo razionale
i flussi della immigrazione legale, soprattutto quella dei lavoratori stranieri; com-
battere il fenomeno degli arrivi clandestini; realizzare l’integrazione (Ufficio
Stampa e Comunicazione del Ministero degli Interni, 2007). Gli obiettivi più pun-
tuali consistono: nel facilitare l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro stra-
niero, adottando forme di collegamento tra soggiorno e occupazione più realistiche
e conformi ai bisogni delle aziende e delle famiglie; nel rendere la durata del per-
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messo di soggiorno più rispondente alle necessità del sistema economico, cercando
anche di semplificare le procedure; nel prevedere un percorso preferenziale per
l’ingresso di immigrati qualificati; nel garantire maggiormente l’esecuzione dei
rimpatri, favorendo la cooperazione dell’immigrato; nel realizzare una riforma ra-
dicale dei CPT.
Allo scopo di perseguire la finalità di governare in modo razionale l’immigra-
zione regolare, una prima strategia del disegno di legge consiste nella programma-
zione triennale della quota di stranieri da ammettere (Ufficio Stampa e Comunica-
zione del Ministero degli Interni, 2007; Codini, 2007a). Inoltre, le quantità sono
stabilite in base ai dati sulla reale domanda di lavoro, preparati dal Ministero della
Solidarietà Sociale e completati dalle indicazioni fornite dai Consigli territoriali per
l’immigrazione esistenti presso le Prefetture, in modo da assicurare che gli ingressi
siano proporzionati alle realtà economiche e sociali e alla capacità di assorbimento
dei contesti locali. Infatti, la normativa esistente in tema di programmazione dei
flussi ha mostrato varie carenze: lungaggini procedurali per la redazione dei de-
creti; ritardi seri nella loro approvazione; necessità di continui ampliamenti delle
cifre fissate; eccessiva subordinazione alle domande dei datori di lavoro e ai bi-
sogni della comunicazione politica. Pertanto, la proposta di passare a una program-
mazione triennale che tenga conto delle capacità di assorbimento della società ci-
vile è condivisibile anche perché l’immigrazione ha ormai assunto un carattere
strutturale nel nostro Paese e gli immigrati mirano a inserirsi stabilmente in Italia.
La previsione però di un adeguamento annuale delle quote potrebbe annullare in
tutto o in parte la produzione degli effetti benefici appena richiamati
Ai fini sia di accrescere la capacità competitiva del nostro sistema produttivo
sia di trasmettere una immagine differente di migrante come soggetto non necessa-
riamente destinato ad occupare i livelli più bassi della gerarchia professionale, il di-
segno di leggere prevede un percorso privilegiato per l’immigrazione altamente
qualificata. Quanto ai lavoratori generici, la riforma mantiene la norma della legge
Bossi-Fini sulla chiamata per conoscenza diretta, ma verrà anche realizzato un si-
stema di liste, distribuite per nazionalità e disponibili su internet, alle quali possono
iscriversi i migranti che vogliono venire nel nostro Paese per motivi di lavoro,
anche se da alcune parti si fa osservare che queste assunzioni a distanza non sono
molto appetibili né per gli immigrati, né per i datori di lavoro. Nel presentare le
loro domande questi ultimi possono far ricorso agli uffici per l’immigrazione op-
pure a soggetti abilitati a svolgere la funzione di sponsor-garante quali per esempio
Regioni ed Enti locali, associazioni imprenditoriali e professionali, sindacati e isti-
tuti di patronato; tale figura può far entrare per lavoro in Italia stranieri inseriti
nelle liste, ma sempre nei limiti previsti dalle quote, offrendo assicurazioni di na-
tura patrimoniale, per cui si permette al migrante di venire nel nostro Paese regolar-
mente per trovare una occupazione e al tempo stesso al datore di lavoro di proce-
dere all’assunzione solo dopo una prova positiva. La riforma reintroduce una forma
limitata di autosponsorizzazione per una ridotta porzione di stranieri, soprattutto
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qualificati, che dimostrano di disporre delle risorse adeguate al periodo di perma-
nenza in Italia oppure che siano richiesti nominativamente da un cittadino italiano
o dell’UE che goda di un reddito sufficiente a offrire la garanzia patrimoniale ri-
chiesta; il sistema era già previsto nella legge Turco-Napolitano e aveva provato
nella sua breve applicazione di funzionare bene. Anche a motivo dell’insuccesso
dell’attuale dispositivo che pone un vincolo rigido tra disponibilità di un lavoro ed
entrata in Italia, la riproposizione dell’istituto dello sponsor appare accettabile sem-
prechè venga completata dalla introduzione di strategie che possano garantire glo-
balmente la riuscita della procedura.
Passando al tema del soggiorno, il governo di centrosinistra ha inteso evitare
permessi troppo brevi in quanto costringono lo straniero a una corsa ostacoli per il
rinnovo e implicano per l’amministrazione un eccesso di burocratizzazione delle
procedure. Pertanto, si è provveduto ad abolire il permesso per soggiorni inferiori a
tre mesi e il disegno di legge ha stabilito un allungamento della durata. In aggiunta,
il rinnovo è stato previsto per un tempo pari al doppio di quello del primo rilascio
e, se la domanda è stata avanzata nei termini fissati, il permesso scaduto continua a
mantenere la sua validità in attesa del rinnovo. Sono stati allungati anche i tempi
per cercare un nuovo lavoro nel caso dello straniero che perde il posto ed è possi-
bile assumere immigrati, già titolari di un permesso per il lavoro subordinato, che
non dispongano più di un soggiorno regolare in seguito alla conclusione dell’ul-
timo rapporto di lavoro.
2. AMBITI SPECIFICI DI ATTENZIONE
Dopo aver delineato il quadro generale di riferimento, in questa seconda se-
zione la disamina si sofferma sulle aree specifiche della condizione degli immigrati
in Italia (Ambrosini, 2005). In proposito si opererà una selezione delle tematiche
nel senso che ci occuperemo soltanto di quegli ambiti che sono direttamente rile-
vanti ai fini dell’approfondimento delle problematiche oggetto di questo studio.
2.1. Le famiglie dei giovani di origine migratoria
Incomincio con precisare le tendenze più importanti a livello quantitativo (Ma-
razzi, 2005). In base ai dati ISTAT (14° Censimento della popolazione, risultati de-
finitivi, 16 giugno 2004), crescono in Italia le famiglie di stranieri e con stranieri
nel senso che la percentuale del totale dei cittadini stranieri residenti in Italia che
vive in famiglia era passata tra il 1991e il 2001 dal 95,6% al 97,9% e il numero
delle famiglie con almeno un membro di cittadinanza non italiana è aumentata di
tre volte quasi (Marazzi, 2005, pp. 9 e 16-19). Del secondo gruppo il 61.8% si ca-
ratterizzava per la presenza all’interno di tutti stranieri: rispetto al totale il 41.4%
erano famiglie unipersonali e il 17.5% comprendeva due persone. A loro volta le
famiglie che includevano tre o quattro membri costituivano quasi il 30%, mentre
17
solo il 4.2% poteva vantare 6 o più componenti; in ogni caso cresce nel tempo il
numero dei membri stranieri per famiglia. Inoltre, le Regioni che totalizzano più
del 50% delle famiglie con almeno un componente straniero comprendono Lom-
bardia, Lazio, Veneto ed Emilia-Romagna. In aggiunta, i due terzi circa della fami-
glie con un membro straniero presentano un solo nucleo familiare; al contrario, ap-
pena il 3% ne segnala più di uno. Da ultimo, sul piano più qualitativo si può dire
che all’interno del gruppo dei maschi che hanno dato vita a una famiglia “tradizio-
nale”, cioè composta da genitori e figli, la decisione di migrare può essere conside-
rata nel 46% dei casi come il risultato di una scelta che si è fatta strada all’interno
della coppia o dell’intero nucleo familiare; al contrario, per il 54% il progetto mi-
gratorio viene deliberato autonomamente o entro la famiglia di origine.
In generale la famiglia straniera gode all’interno della nostra legislazione della
medesima tutela giuridica che è prevista per le famiglie italiane (Marazzi, 2005).
Al tempo stesso va segnalato che la Carta Costituzionale precisa l’ambito della pro-
tezione accordata in quanto questa viene riconosciuta in maniera piena solo alla fa-
miglia intesa come società naturale fondata sul matrimonio, cioè il termine di rife-
rimento è costituito dalla famiglia naturale composta dai coniugi e dai loro figli,
basata su una relazione eterosessuale, monogama, relativamente stabile e qualifi-
cata dall’eguaglianza tra i coniugi che risultano titolari di reciproci diritti e doveri.
Questo significa che la famiglia straniera viene protetta entro determinati paletti nel
senso che si deve configurare come un’unione che presenti alla base un matrimonio
per cui la tutela si limita al gruppo formato dal coniuge, i figli e i genitori e per-
mette il ricongiungimento con un coniuge. Va però aggiunto che siccome i nostri
tribunali attualmente offrono un qualche riconoscimento anche alla famiglia di
fatto, tale estensione ha valore anche per le convivenze tra stranieri, tranne che si
tratti di una situazione poligamica perché in questo caso la condizione della donna
sarebbe in contrasto con il principio costituzionale della parità uomo-donna. La so-
stanziale eguaglianza tra famiglia straniera e famiglia italiana trova alcune ecce-
zioni che sono considerate ragionevoli; in ogni caso, i giudici sono intervenuti per
proteggerla da inammissibili discriminazioni. Non mancano in aggiunta aspetti pro-
blematici che si celano nei particolari della normativa e della prassi come gli osta-
coli di natura burocratica o di carattere socio-economico che si frappongono al ri-
congiungimento familiare.
Nonostante l’eguaglianza in linea di principio che si riscontra sul piano normati-
vo, non si può non essere d’accordo con quanto afferma L. Bindi, cioè che “[…] una
politica per la famiglia, e per la famiglia immigrata in particolar modo, nel nostro Pae-
se è ancora di là da venire nella sua forma più organica”1 (2005a, p. 60). Pertanto, nel
prosieguo si concentrerà l’attenzione sugli aspetti principali della condizione della fa-
miglia immigrata con particolare riguardo alla socializzazione dei figli.
1 La sottolineatura è nostra.
18
Incomincio con il segnalare i cambiamenti che la famiglia subisce per effetto
del contesto migratorio nel quale va ad inserirsi: sottolineo ancora una volta che la
prospettiva di questo rapporto ci impone di focalizzare la nostra disamina sull’inte-
grazione degli adolescenti (Bindi, 2005a; Baldassarre e Verderosa, 2005). Il nuovo
ambiente influisce anzitutto avviando processi di profonda ridefinizione dei ruoli
all’interno e nelle relazioni con l’esterno. In qualche caso si arriva fino a situazioni
dolorose di separazione dei genitori a motivo di un diverso percorso migratorio o in
ragione di una sopravvenuta condizione di insostenibilità della convivenza. Più fre-
quentemente sono le madri a mutare la loro condizione in positivo nel senso che,
mentre prima si trovavano chiuse all’interno della famiglia in una situazione di
subalternità, ora hanno una occupazione all’esterno, producono e gestiscono una
parte consistente delle entrate familiari, conoscono la lingua del Paese di acco-
glienza meglio dei mariti e diventano le rappresentanti privilegiate della famiglia
verso le autorità pubbliche e i privati. Questo contribuisce ad abbassare l’autorità
del padre, anche se non è il solo fattore, in quanto pesa soprattutto la condizione di
subalternità in cui egli si trova nel mondo del lavoro e nel contesto sociale. La po-
sizione subordinata riguarda anche le madri, benché in misura minore, per cui l’au-
torevolezza dei genitori finisce per erodersi fortemente nei confronti dei figli che si
rendono conto della loro collocazione al fondo della scala sociale e della condi-
zione emarginata della famiglia.
Il modello più individualistico e focalizzato sulla sola famiglia nucleare che
caratterizza il nostro Paese, come in generale tutti i sistemi sociali avanzati, mette
in crisi l’immagine di famiglia che gli immigrati si portano dai loro contesti di ori-
gine e che si caratterizza come una comunità unica a cui subordinare anche le ca-
ratteristiche identitarie del singolo. In aggiunta, la tendenza delle famiglie immi-
grate a risiedere nella stessa casa in più gruppi in contrasto con le modalità proprie
della vita familiare nella nazione ospitante costituisce occasione per valutazioni ne-
gativi da parte del vicinato autoctono che possono giungere fino a una vera e pro-
pria stigmatizzazione e accrescere l’emarginazione delle famiglie immigrate e, in
particolare, dei giovani. Di riflesso ne soffrono le relazioni intergenerazionali e le
relative modalità di comunicazione anche perché si fanno sentire gli effetti del con-
fronto con la disinvoltura e l’informalità dei rapporti tra le generazioni che contrad-
distinguono i Paesi sviluppati, in particolare quelli occidentali.
In questo contesto, l’esperienza migratoria rappresenta uno “sradicamento
traumatico” non solo per gli adulti, ma anche e soprattutto per i giovani (Bindi,
2005a, p. 51). Poiché sino al ricongiungimento familiare i figli sono vissuti anche
per lungo tempo nei Paesi d’origine con uno dei genitori o con i nonni o con la rete
allargata delle parentele, quando giungono nella società di accoglienza, per effetto
della separazione che si è consumata rispetto a entrambi i genitori o a uno dei due
essi trovano piuttosto complesso riavviare un rapporto a lungo interrotto e superare
la rottura dei legami con le persone a cui erano affidati in patria. Una volta ricon-
giunti con la famiglia, essi continuano ad usare in tale contesto la lingua madre,
19
mentre l’ambiente sociale li sollecita ad imparare il più rapidamente possibile la lin-
gua locale che alla gran maggioranza dei giovani risulta completamente estranea.
Il figlio non mette molto tempo a capire che la situazione di vita della famiglia
nella nazione di accoglienza si caratterizza per il disagio, l’emarginazione e la sub-
alternità. Questo si riflette sui processi di integrazione dei giovani immigrati presso
i coetanei autoctoni che corrono il pericolo di essere compromessi anche per i molti
pregiudizi che i giovani del posto nutrono nei loro confronti (Valtolina e Marazzi,
2006). “Al senso di sradicamento traumatico, dunque, si affianca un certo grado di
sconforto circa le possibilità concrete di integrazione , la delusione verso il genitore
o i genitori immigrati, di cui, sino ad allora, si è vagheggiato il destino nel Paese di
accoglienza, e un complessivo senso di disagio, rispetto a una situazione nuova
che, a volte, sembra aprirsi con i peggiori auspici” (Bindi, 2005a, p. 51). La consa-
pevolezza che i giovani immigrati acquisiscono della situazione svantaggiata in cui
essi si trovano insieme con la loro famiglia sarebbe all’origine di molte conflittua-
lità nelle relazioni intergenerazionali e anche di veri e propri disagi psicofisici.
Sulla conflittualità appena evocata pesa anche la contrapposizione segnalata
sopra tra l’immagine tradizionale piuttosto autoritaria e rigida della famiglia che i
figli hanno elaborato nel Paese d’origine e la rappresentazione più flessibile e per-
missiva che di essa recepiscono nella società di accoglienza. Tutto ciò ingenera una
forte confusione nell’immaginario di adulti e giovani; soprattutto, i secondi ten-
dono a sottrarsi alle norme stabilite dai padri in tema di scelte residenziali, matri-
moniali e professionali. Da qui emerge il bisogno di una mediazione competente da
parte dei servizi sociali, sanitari, scolastici e giudiziari che sia capace di mettersi in
posizione di ascolto per capire i problemi e di elaborare proposte originali di conci-
liazione.
Il problema dell’integrazione assume contorni diversi riguardo agli immigrati
che sono nati da genitori stranieri in Italia e che comunemente vengono designati
con l’espressione “seconde generazioni”. Questi giovani sono senz’altro avvantag-
giati in quanto conoscono la lingua del nostro Paese, avendola appresa da subito,
presentano una scolarizzazione pienamente svolta e possono usufruire di reti diffuse
di solidarietà. Pertanto, la loro integrazione è un processo più semplice, sebbene an-
che loro si trovino in una condizione caratterizzata dalla “doppia appartenenza”. Un
problema reale e serio va visto nella garanzia di pari opportunità per le seconde ge-
nerazioni: infatti, se è vero che per molti di loro l’integrazione dopo il diciottesimo
anno di età presenta un percorso carente, se non fallimentare, è anche vero che per
un gruppo consistente risulterà positiva riguardo ai processi di scolarizzazione e di
socializzazione, mentre l’esito tenderà ad essere negativo nell’accesso al lavoro.
Sul lato positivo, va sottolineato che i giovani immigrati che frequentano la
moschea, le parrocchie o i gruppi di preghiera tendono a riuscire meglio a scuola,
godono di una rete di rapporti più soddisfacenti, dimostrano propensione a rima-
nere in Italia con attese di miglioramento. Al contrario, l’intenzione di adottare in-
condizionatamente la cultura gli stili di vita del Paese di accoglienza può portare a
20
delusioni, creare ostacoli all’integrazione e soprattutto destina molti a una assimila-
zione al ribasso che è destinata ad alimentare la marginalità urbana. In questi casi
ciò che fa la differenza in senso positivo è il capitale sociale e culturale che le gio-
vani generazioni ereditano dalla rete familiare.
Sulla integrazione familiare influisce anche la questione abitativa (Einaudi,
2007; Caritas, 2007). Negli ultimi anni si osserva una crescita significativa della
presenza degli immigrati sul mercato immobiliare italiano. Nonostante questa ten-
denza positiva, tuttavia la grande maggioranza delle famiglie straniere vivono in
condizioni precarie, in luoghi di emergenza, sovraffollati o degradati. Inoltre, fi-
nora si è riusciti ad evitare in Italia la ghettizzazione di immigrati a motivo della
grande dispersione dell’immigrazione tra comunità differenti; tuttavia, questa situa-
zione potrebbe non durare per sempre per cui sono necessari interventi dell’autorità
pubblica per evitare la concentrazione maggioritaria di stranieri in aree particolari.
2.2. Le politiche della scuola e della FP
Sul piano quantitativo gli alunni con cittadinanza non italiana ammontano nel-
l’anno scolastico 2006-07 a 501.494 e rappresentano il 5.6% del totale (Giovan-
nini, 2007, pp. 132-135)2 (cfr. Tav. 1). La crescita è stata sostenuta rispetto al 2000-
01 quando la percentuale era l’1.8%: concretamente la presenza degli studenti stra-
nieri si è più che triplicata in sette anni. Le femmine rappresentano il 47% del dato
complessivo e tale percentuale si conforma pienamente con la distinzione di genere
riscontrabile presso gli stranieri che soggiornano in Italia (cfr. Caritas, 2007, p.
166). L’andamento sta a provare che i genitori non mostrano alcuna remora a iscri-
vere le figlie femmine a scuola, come risulta confermato anche dal tasso della loro
presenza nella secondaria di 2° grado che tocca il 49.8%. In proposito va aggiunto
che la presenza delle ragazze cresce quando esse risultano originarie dell’Europa.
Tav. 1 - Alunni con cittadinanza non italiana (totali; 2000-2007; in VA e %)
Anni scolastici VA % sul totale
degli iscritti
2000-01 147.406 1.8
2001-02 181.767 2.3
2002-03 232.766 3.0
2003-04 282.683 3.5
2004-05 351.576 4.2
2005-06 424.683 4.0
2006-07 501.494 5.6
VA = Valori assoluti
Fonte: ISMU, 2007
2 Il dato è provvisorio e pertanto potrebbe essere oggetto di variazioni, anche se di poca entità.
Una conferma del carattere non definitivo della cifra viene dalla Caritas che fornisce un totale legger-
mente inferiore, 500.512, benché la percentuale sul complesso degli iscritti sia la stessa, 5.6% (Caritas
e Migrantes, 2007, pp. 165-166).
21
Se si passa a considerare i singoli ordini e gradi di scuola, va anzitutto osser-
vato che la partecipazione degli alunni con cittadinanza italiana è aumentata a tutti
i livelli (cfr. Tav. 2). Emerge in particolare il dato della primaria con il 6.8%, se-
guito dalla secondaria di 1° grado (6.5%) che registra l’aumento maggiore tra i due
anni presi in considerazione nella Tav. 2: +1%. La scuola dell’infanzia si colloca
sul 5.7% con una percentuale senz’altro discreta, anche se più bassa dei bambini
autoctoni, mentre in un certo senso sarebbe più importante che venisse frequentata
dagli alunni stranieri che ne hanno maggiormente bisogno in vista dell’apprendi-
mento della lingua italiana e della socializzazione fra pari. All’ultimo posto si situa
la secondaria di 2° grado, 3.8%, che però può vantare un numero di iscritti con cit-
tadinanza non italiana superiore in valori assoluti a quello della scuola dell’in-
fanzia. Non è possibile, invece, collocare la formazione professionale in questa
classifica perché i dati relativi sono parziali nel senso che si dispongono informa-
zioni solo su alcune Regioni: qui può essere citato il caso della Lombardia dove nel
2004-05 la percentuale degli stranieri iscritti ai corsi del diritto-dovere raggiungeva
l’11.6% con un aumento notevole rispetto all’anno precedente, 8.9% (Ambrosini,
2007. p. 39; Colasanto, 2007, p. 26).
Tav. 2 - Percentuale degli alunni con cittadinanza non italiana sul totale degli iscritti
(per ordine a grado di scuola; 2005-06/2006-07; in VA e %)
Ordine e grado % sul totale
di scuola VA degli iscritti
Dell’infanzia 5.0 5.7
Primaria 6.0 6.8
Secondaria di 1° grado 5.5 6.5
Secondaria di 2° grado 3.1 3.8
Totale 4.8 5.6
VA = Valori assoluti
Fonte: ISMU, 2007
Se si approfondisce l’analisi relativa al secondo ciclo, emerge che la secon-
daria superiore, pur presentando la percentuale più bassa di studenti con cittadi-
nanza non italiana, tuttavia è il grado scolastico che fa sperare l’incremento mag-
giore: infatti, nel 2006-07 evidenzia una crescita di quasi un quarto (24.9% che su-
pera di molto il dato medio, 18%) e nel 2005-06 aveva registrato un vero balzo in
avanti con il 40% circa (38.2%) (Caritas, 2007, pp. 168-169). Al tempo stesso va
notato che lo sviluppo appena messo in risalto si presenta alquanto disomogeneo
per tipo di istituto nel senso che gli alunni stranieri si collocano al di sotto del 2%
nei licei classici, scientifici, leggermente al di sopra nei licei linguistici e nei licei e
istituti magistrali, raggiungono quasi il 3% negli istituti d’arte e nei licei artistici,
mentre la percentuale si raddoppia negli istituti tecnici (4.1%) e sale al 7.5% negli
istituti professionali: in concreto, intorno all’80% degli studenti con cittadinanza
non italiana frequenta gli ultimi due tipi di secondaria superiore (cfr. Tav. 3). La
preoccupazione è che questa distribuzione riproduca semplicemente la condizione
22
sociale di questi giovani. Inoltre, se a livello di secondaria superiore mancano i dati
sulla evasione dal diritto-dovere di istruzione e di formazione; tuttavia, si possiede
quello sul ritardo scolastico che fa registrare una situazione allarmante nel senso
che nel 2005-06 si raggiunge la percentuale del 75% degli alunni stranieri (Caritas,
2007, p. 169).
Per quanto riguarda la formazione professionale, i corsi per gli immigrati com-
prendono un ventaglio notevole di iniziative (Ambrosini, 2007). Si va dalla forma-
zione per il rientro a quella legata alle esigenze di politica sociale (per esempio le
offerte per i minori non accompagnati), a quella connessa con percorsi di promo-
zione, quali i corsi per mediatori interculturali, a quella per l’avvio di attività auto-
nome, a quella che viene effettuata nei Paesi di provenienza. Vi sono inoltre inizia-
tive che sono utilizzate in misura grandemente maggioritaria da immigrati come la
formazione per operatori socio-assistenziali. Ovviamente vanno aggiunti i corsi
formazione professionale iniziale del diritto-dovere di cui ho appena parlato sopra.
Tav. 3 - Studenti con cittadinanza non italiana secondo il tipo di scuola secondaria superiore
sul totale degli iscritti (2006-07; in VA e %)
Tipo di secondaria superiore VA % sul totale
degli iscritti
Licei classici 3.596 1.2
Licei scientifici 10.212 1.7
Ex istituti e scuole magistrali 5.300 2.4
Istituti professionali 41.893 7.5
Istituti tecnici 38.498 4.1
Istituti d’arte e licei artistici 2.936 2.9
Licei linguistici 394 2.3
Totale 102.829 3.8
VA = Valori assoluti
Fonte: ISMU, 2007
La presenza degli alunni con cittadinanza non italiana aumenta nel tempo sia
nelle scuole statali che in quelle non statali; tuttavia, essa è percentualmente supe-
riore nelle prime come anche l’incremento per cui lo scarto fra i due sottosistemi
tende a crescere nel tempo (Giovannini, 2007, p. 134). Venendo ai particolari, tra il
2005-06 e il 2006-07 la percentuale degli studenti stranieri sale nelle scuole statali
dal 4% al 5.6%, mentre nelle non statali si va dal 3.8% al 4.2%, cioè il guadagno è
solo dello 04% (cfr. Tav. 4); l’andamento è comprensibile se si tiene conto che la
parità effettiva non è stata raggiunta in nessuno degli ordini e gradi del nostro si-
stema di istruzione. Inoltre, le differenze maggiori si riscontrano nelle scuola pri-
marie (3.9%) e nella secondaria di 1° grado (3%).
In conformità all’andamento degli ultimi anni, sono i Paesi dell’Europa
centro-orientale ad essere i più rappresentati e il dato corrisponde alle tendenze ri-
scontrate nella crescita della popolazione straniera complessiva (cfr. Giovannini,
2007, pp. 134-135 e Caritas, 2007, pp. 167-168). In linea con questi dati, le cittadi-
23
nanze più numerose sono da qualche tempo l’albanese (15.5%) e la rumena
(13.6%), oltre a quella marocchina (13.5%): i loro studenti raggiungono global-
mente la cifra di 214.047 nel 2006-07 e costituiscono oltre il 40% (42.7%) del dato
complessivo degli alunni con cittadinanza non italiana. Un peso non trascurabile
registrano anche Cina, Jugoslavia, Ecuador, Tunisia, Perù, Filippine e Macedonia la
cui presenza si colloca tra il 4.9% e il 2.5%. Differenze, anche se non molto rile-
vanti, si riscontrano in relazione ai singoli ordini e gradi di scuola in quanto gli al-
banesi e i marocchini dimostrano una consistenza maggiore nella scuola dell’in-
fanzia, i marocchini e i rumeni nella primaria, mentre i rumeni scendono nella
scuola dell’infanzia e i marocchini nella secondaria di 2° grado.
Tav. 4 - Studenti con cittadinanza non italiana nei diversi ordini e gradi di scuola secondo il
tipo di gestione (2005-06/2006-07; in %)
Ordine e grado Scuole statali Scuole non statali Scuole statali Scuole non statali
di scuola 2005-06 2005-06 2006-07 2006-07
Dell’infanzia 5.3 4.6 6.1 5.2
Primaria 6.2 2.7 7.1 3.2
Sec. di 1° grado 5.7 2.8 6.7 3.7
Sec. di 2° grado 3.2 2.1 3.9 2.3
Totale 5.0 3.8 5.8 4.2
Fonte: ISMU, 2007
Un andamento che va sottolineato è quello che emerge dalla concentrazione
per aree geografiche in corrispondenza alle tendenze generali dei processi migra-
tori nei diversi contesti territoriali su cui a loro volta incidono la condizione socio-
economica e le caratteristiche del mercato del lavoro (cfr. Giovannini, 2007, pp.
135-137 e Caritas, 2007, pp. 165-166). Infatti, i due terzi circa (65.7%) frequentano
gli studi nell’Italia Settentrionale dove è presente solo il 40.8% del totale degli
iscritti al sistema nazionale di istruzione (più precisamente si tratta del 37.1% nel
Nord Ovest e del 28.6% nel Nord Est); seguono il Centro con il 24.1%, il Meri-
dione con il 7.3% e le Isole con il 2.9%. La Regione che si contraddistingue per
l’incidenza più elevata di studenti stranieri è l’Emilia-Romagna (10%), mentre la
Lombardia si caratterizza per la cifra più alta in valori assoluti (121.520). Tra le
province emergono sul piano quantitativo Milano, Roma e Torino; al tempo stesso
va sottolineato che nella classifica si collocano a poca distanza province medie. Lo
stesso andamento si ripete riguardo alle città capoluogo perché la presenza degli
studenti stranieri è diffusa non solo in quelle grandi, ma anche nelle medie; inoltre,
l’incidenza percentuale si fa maggiormente sentire in alcuni piccoli comuni. La
concentrazione territoriale riguarda anche le scuole nel senso che il 35% non anno-
vera nel corpo studentesco alcun alunno con cittadinanza non italiana, il 62% ne
conta meno del 20% e il 3.4% supera il 20%; inoltre, la presenza più numerosa di
scuole con almeno il 20% di studenti stranieri si registra nell’infanzia e nella pri-
maria.
24
Fino all’inizio degli anni ’80 risultano sostanzialmente assenti dalla politica
scolastica provvedimenti specifici che riguardano gli immigrati in conformità con
l’immagine tradizionale dell’Italia, come Paese di immigrazione (Besozzi, 2004).
Durante la decade ’80 il governo prende coscienza dei fenomeni migratori sempre
più consistenti che coinvolgono il nostro territorio nazionale e decide di intervenire
anche in campo educativo al fine di favorire i processi di inserimento nel nostro si-
stema scolastico, cercando di assicurare l’accesso e la permanenza. Alla fine degli
anni ’80, ma soprattutto nei ’90 la preoccupazione principale diviene la diversità
linguistica e culturale per cui le politiche scolastiche si interessano soprattutto di
educazione interculturale. La legge Turco-Napolitano, n. 48/98, e il conseguente
testo unico, Dlgs. n. 286/98 attribuiscono rilevanza speciale al diritto dei minori
stranieri all’istruzione, alla definizione dell’obbligatorietà della frequenza scola-
stica e alle relative misure di sostegno, agli aspetti organizzativi della scuola, all’in-
segnamento dell’italiano come lingua seconda e al mantenimento della lingua d’o-
rigine per la formazione dei docenti: il modello di integrazione che viene delineato
risulta pertanto fondato sul rispetto e sullo scambio reciproco. Comunque, rimane
urgente l’esigenza di una normativa di riferimento in tema di secondaria superiore
e di formazione professionale in vista dell’attuazione del diritto-dovere alla istru-
zione e alla formazione e dell’elevazione del relativo obbligo di istruzione fino ai
16 anni.
Parlando di politiche scolastiche non ci si può fermare al solo ambito nazio-
nale, ma è d’obbligo anche il riferimento al piano regionale e locale (Besozzi,
2004). A questo livello si è assistito in anni recenti a un crescendo rilevante di
provvedimenti in tema di immigrazione che hanno cercato di risolvere i problemi
connessi con l’incremento sostenuto dei flussi verso le differenti aree territoriali
dell’Italia con particolare riguardo alla consistente domanda educativa avanzata dai
singoli, dalle famiglie e dalla diverse comunità etniche. Le politiche adottate in
questo campo a livello regionale e locale hanno puntato soprattutto alla creazione
di osservatori e consulte provinciali principalmente nelle aree geografiche con più
elevata presenza di immigrati, alla costituzione di centri di studio e di ricerche e
alla promozione graduale del lavoro di rete tra scuole, associazioni ed enti di varia
natura. L’integrazione sociale e professionale degli stranieri e la lotta ai pregiudizi
nei loro confronti hanno rappresentato il nucleo centrale dell’iniziativa UE “Equal”
che ha consentito l’attuazione nel nostro Paese di circa 700 progetti durante il pe-
riodo 2000-06 (Isfol, 2006).
In questo quadro si inserisce una serie di interventi concreti mirati a realizzare
l’integrazione degli studenti con cittadinanza non italiana (Giovannini, 2007). Si
può incominciare con il mettere in evidenza un gruppo di azioni più consolidate
quali: le pratiche di accoglienza alla cui messa a punto e diffusione hanno contri-
buito in particolare i centri interculturali e rispetto alle quali la normativa più re-
cente indica come prioritario il criterio dell’età dell’alunno e non più quello della
scolarità precedente in modo da ridurre in quanto possibile il tasso di ritardo scola-
25
stico che tende a penalizzare gli studenti con cittadinanza non italiana (Bindi,
2005b); gli interventi per l’insegnamento dell’italiano che includono la redazione e
la diffusione di sussidi, la formazione degli insegnanti, l’acquisizione di adeguate
strategie educative e didattiche; iniziative a favore delle famiglie soprattutto nel
campo delle problematiche linguistiche e di orientamenti da effettuare in partico-
lare mediante l’intervento di mediatori culturali e linguistici; i corsi di formazione
dei dirigenti organizzati dal Ministero. A sua volta, la formazione professionale ha
offerto opportunità per certificare almeno parzialmente diplomi e competenze nei
casi di titoli ottenuti all’estero che non trovano in Italia riconoscimento, per creare
attraverso corsi specifici occasioni di impiego a categorie di immigrati istruiti, per
fornire luoghi di incontro, dialogo e scambio culturale e per facilitare il recupero di
giovani che altrimenti correrebbero un grave pericolo di essere emarginati (Ambro-
sini, 2007).
Oltre a questa serie di azioni consolidate che ho appena elencato, va richiamata
una serie di interventi di natura più contingente (Giovannini, 2007). La manovra di
bilancio relativa al 2007-10 prevede la sperimentazione di forme congiunte di atti-
vità tra Stato, Regioni e gli altri Enti locali mirate ad assicurare un’attribuzione
delle risorse finanziarie più rispondente ai bisogni delle diverse realtà territoriali e
all’evoluzione della popolazione. A sua volta il CCNL del Comparto Scuola riguar-
dante il periodo 2006-09 ha mantenuto la decisione di allocare personale specifico
alle aree geografiche dove l’immigrazione è maggiormente concentrata e il rischio
educativo risulta più elevato. Inoltre, il Fondo per l’inclusione sociale degli immi-
grati, istituito presso il Ministero della Solidarietà Sociale, prevede l’attribuzione di
risorse finanziarie a progetti di insegnamento della lingua italiana come seconda
lingua, di impiego dei mediatori linguistici, per la promozione della partecipazione
delle famiglie immigrate nelle attività scolastiche e di orientamento. Va anche se-
gnalata la creazione dell’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni
stranieri e per l’educazione interculturale a partire dal dicembre 2006. La nuova
struttura che è stata istituita presso il Ministero della Pubblica Istruzione è chiamata
a svolgere una funzione di studio e di orientamento. In un primo documento ha evi-
denziato quattro principi generali che avrebbero guidato in questi ultimi anni le ini-
ziative di educazione interculturale più efficaci: in concreto si tratterebbe dell’uni-
versalismo cioè dell’attribuzione ad ogni bambino del diritto all’istruzione e all’e-
guaglianza delle opportunità, della scuola comune, cioè della scelta di ammettere
gli alunni con cittadinanza non italiana nella scuola di tutti, della centralità della
persona e della intercultura, cioè della promozione del dialogo e del confronto delle
culture. Sul piano concreto vengono raccomandati interventi per favorire l’attua-
zione del diritto allo studio, l’integrazione fuori e dentro la scuola, gli aspetti rela-
zionali e l’approccio interculturale all’insegnamento.
Dopo aver fornito un quadro sintetico dei dati e una visione generale delle po-
litiche scolastiche e formative e degli interventi concreti, si cercherà di mettere in
risalto le problematiche più rilevanti che emergono e le prospettive maggiormente
26
significative che sembrano delinearsi in questo momento. In corrispondenza con
l’elenco delle attività in atto che è stato presentato sopra, si può senz’altro indicare
come una prima priorità il consolidamento ulteriore di quanto si riscontra già pie-
namente condiviso e legittimato in parecchi contesti locali (Giovannini, 2007).
Un’area problematica e prospettica di particolare rilevanza è costituita dalle
azioni per l’intercultura che negli ultimi anni hanno registrato globalmente un mi-
nore impegno concreto (Giovannini, 2007; Bindi, 2005b). Se è un ambito in cui
certamente non sono mancati progressi rilevanti, è anche vero che si registrano ca-
renze tutt’altro che marginali, anche perché il cammino percorso finora è attribui-
bile più alla buona volontà dei singoli insegnanti e di qualche dirigente che non a
iniziative di natura istituzionale. Infatti, è lo stesso concetto di educazione intercul-
turale che può risultare vago e vuoto alla prova dei fatti; a ciò si aggiunge che è
stata più spesso concepita come un’appendice dell’attività scolastica tradizionale e
non come un modello nuovo di insegnamento apprendimento la cui applicazione ri-
chiedeva cambiamenti profondi nell’impostazione dei processi pedagogici e didat-
tici; inoltre, non è mancato che tutta l’operazione si sia tradotta in attività di “mar-
keting” o di “maquillage” realizzata dagli istituti per accrescere le iscrizioni e rima-
nere competitivi. Venendo poi alla programmazione concreta, va riconosciuto che
questa appare focalizzata più sul docente che non sullo studente singolo e sulla
classe; a sua volta, l’insegnamento si riduce spesso a riferimenti occasionali alla
cultura degli altri e, quindi, non fornisce contenuti che siano in grado di interessare
al tempo stesso sia gli studenti stranieri sia i loro colleghi autoctoni; non va nep-
pure dimenticata una certa improvvisazione come il ricorso a strumenti didattici
non particolarmente verificati, la carenza di formazione specifica dei docenti, la
discontinuità delle iniziative.
Inoltre, non infrequentemente l’offerta di educazione interculturale si è ridotta
a pura informazione curiosa. A ciò ha contribuito un eccesso di ricorso in classe al-
l’uso della testimonianza autobiografica che viene richiesta agli alunni di cittadi-
nanza non italiana (Bindi, 2005b). Questa strategia didattica è di per sé valida in
quanto costituisce una occasione significativa per la reciproca conoscenza tra gli
studenti, per lo sviluppo di modalità personali di espressione, per la elaborazione di
memorie comuni e per la denuncia di esperienze negative che si sono sofferte. La
testimonianza autobiografica tende frequentemente a concentrarsi su argomenti di
tipo tradizionale come usi, costumi, feste, cerimonie, manifestazioni gastrono-
miche, musica e danza per cui si assiste a una specie di “folklorizzazione” dell’im-
migrato che si trova pertanto in una posizione di svantaggio di fronte ai compagni
autoctoni ormai affrancati da una cultura arcaica. La troppa piaggeria, lo sforzo ec-
cessivo dimostrato nell’accoglienza, la sovraesposizione del problema dell’origine
culturale tendono a distinguere nettamente l’alunno con cittadinanza non italiana
dai suoi colleghi italiani con degli effetti non voluti di “etnicizzazione” della condi-
zione dello studente straniero.
Pertanto, un’altra priorità delle politiche scolastiche e formative in tema di
27
immigrazione riguarda il consolidamento dell’educazione interculturale. Un mi-
glioramento veramente sostanziale consisterebbe senz’altro in un ripensamento del
sistema educativo di istruzione e di formazione in una chiave veramente intercultu-
rale (Bindi, 2005b). In ogni caso un processo di insegnamento apprendimento ispi-
rato a tale modello strategico dovrà realizzare un esercizio reale del dialogo tra le
diversità, evitando di limitarsi con semplice gusto “museografico” agli elementi più
eclatanti e curiosi degli usi propri degli studenti immigrati. “L’approccio preferibile
sembra […] quello di un’educazione critica e consapevole rispetto all’apparte-
nenza, che sappia mettere in luce il carattere necessariamente negoziale di ogni
identità e il potenziale straordinario messo a disposizione dalla mediazione cultu-
rale” (Bindi, 2005b, p. 121). In particolare, la programmazione dovrà mostrarsi
pronta a continui adattamenti e puntare decisamente ad esser focalizzata sull’a-
lunno e sulla classe e non sugli orientamenti prescelti a priori dal docente; inoltre,
essa dovrebbe tener conto della composizione sociale ed etnico-nazionale della
classe per cui si richiede a monte da parte del corpo docente la competenza di lavo-
rare in gruppo e grande capacità di ascolto e di coinvolgimento della famiglia. Il
rafforzamento della educazione interculturale è necessario anche per contrastare
due derive pericolose, una che sostiene la convenienza di classi culturalmente omo-
genee e l’altra che in nome di una supposta laicità vorrebbe eliminare tutti gli ele-
menti di confessionalità, di specificità e di differenziazioni linguistica, non accor-
gendosi di attribuire alla scuola un ruolo di consolidamento della centralità nazio-
nale nei confronti di qualunque altra forma di appartenenza.
Un ulteriore nodo problematico è costituito dall’inserimento linguistico degli
studenti con cittadinanza non italiana in quanto implica non solo risvolti linguistici,
ma anche organizzativi, di equipollenza delle classi e di valutazione che tra l’altro
si configurano diversamente a seconda dei Paesi considerati (Bindi, 2005b; Caritas
e Migrantes, 2007; Giovannini, 2007). La questione non è primariamente quella del
bilinguismo, ma riguarda soprattutto la tendenza a trascurare il mantenimento e la
valorizzazione della lingua di origine dello studente straniero e a puntare invece su
un apprendimento rapido della cosiddetta “lingua 2”, cioè della lingua del Paese di
accoglienza, nel nostro caso l’italiano: in tale situazione questo viene imparato in
maniera sommaria, stabilizzando alcuni sbagli e limiti linguistici e contribuendo a
far dimenticare gradualmente la lingua di origine. In proposito va tenuto presente
che si tratta di alunni che si inseriscono a percorso scolastico già iniziato e che per-
tanto sono costretti a recuperare rapidamente lo scarto nei confronti della classe che
li accoglie. A ciò si aggiungono difficoltà di tipo relazionale e culturale nei rapporti
con i compagni italiani che aumentano l’ansia e il disagio; né bisogna dimenticare
che il corpo docente non è spesso adeguatamente formato ad offrire un insegna-
mento efficace di “lingua 2”.
Una soluzione che di fatto viene non infrequentemente adottata in proposito
consiste nel retrocedere di una o due classi l’alunno con cittadinanza non italiana
nella speranza di avvantaggiarlo ai fini dell’apprendimento della lingua italiana e
28
anche di non danneggiare troppo la classe accogliente (Bindi, 2005b). Tale stra-
tegia, se può sembrare apparentemente del tutto giustificata, tuttavia va incontro a
molti pericoli e rischia di trasformarsi in un’esperienza traumatica: infatti, essa può
creare o rafforzare il senso di inadeguatezza e di estraneità nei confronti dei com-
pagni italiani, potrebbe essere vista come una grave ingiustizia perpetrata dalla
scuola del Paese di accoglienza e tende a spingere alla demotivazione e all’abban-
dono in quanto la differenza di età rispetto ai colleghi della classe è sentita in ma-
niera particolarmente negativa dagli adolescenti.
Sul piano prospettico, un’ipotesi di soluzione andrebbe anzitutto cercata nella
elaborazione di un piano pluridimensionale di integrazione dello studente con citta-
dinanza non italiana in cui inserire in modo coerente la questione linguistica
(Bindi, 2005b; Albiero, 2007; Ioana Jeler, 2007). In particolare si dovrebbe puntare
sul mediatore linguistico-culturale la cui presenza dovrebbe essere estesa a tutte le
scuole interessate tramite l’intervento delle Regioni; questi eserciterebbe la fun-
zione di aiutare gli studenti stranieri durante le lezioni a seguire l’insegnamento del
docente. Al tempo stesso l’istituto organizzerà una offerta di doposcuola per aiutare
gli alunni con cittadinanza non italiana a superare lo scarto linguistico, evitando
che l’apprendimento dell’italiano si limiti all’acquisizione di un linguaggio scarno,
d’uso comune e sgrammaticato. Questi interventi vanno accompagnati dall’im-
pegno del corpo docente a ricostruire in maniera adeguata il percorso formativo che
lo studente straniero ha compiuto nel suo Paese d’origine, cercando di delineare le
tradizioni educative, i contenuti curricolari e i contesti di provenienza; in proposito
la difficoltà del compito viene accresciuta dalla scarsa propensione degli studenti
stranieri a parlare delle proprie esperienze di vita e dai problemi che le scuole in-
contrano a coinvolgere stabilmente i genitori di tali ragazzi. Comunque, la strategia
principale consisterebbe nel realizzare un vero bilinguismo perché questo offri-
rebbe una formidabile opportunità formativa.
Un altro nodo problematico di grande rilevanza è costituito dalle relazioni
scuola-famiglia (Bindi, 2005b). Una prima difficoltà proviene dalla tendenza delle
famiglie immigrate a delegare completamente agli insegnanti il percorso scolastico
e formativo dei figli in quanto si considerano del tutto impreparati a tale compito
per cui si affidano totalmente al giudizio competente dei docenti e dell’istituto, evi-
tando di avanzare proposte e, a maggior ragione, critiche o contestazioni. A ciò si
aggiunge che i rapporti delle famiglie con le istituzioni scolastiche e formative
sono spesso caratterizzati da ansia che può essere un retaggio dei sentimenti inte-
riorizzati nel Paese d’origine verso un modello fortemente autoritario di insegna-
mento e che comunque si alimenta dal senso di inadeguatezza che i genitori pro-
vano nei confronti del proprio compito in questo ambito. Pertanto, risulta partico-
larmente problematico coinvolgere le famiglie nei processi decisionali delle scuole
e in particolare nelle scelte didattiche e di aiuto che riguardano gli interventi per su-
perare lo svantaggio dei loro figli.
È essenziale che la scuola cerchi di stabilire relazioni feconde con le famiglie
29
immigrate (Bindi, 2005b). Queste permettono di conoscere con maggiore facilità e
più adeguatamente i percorsi scolastici e formativi dei figli, come si è accennato so-
pra, costituiscono anche una risorsa fondamentale per combattere la dispersione
scolastica e l’abbandono e consentono di adeguare l’offerta formativa ai bisogni
reali degli studenti con cittadinanza non italiana. Ne segue che la comunicazione tra
la famiglia e la scuola andrebbe potenziata al massimo, ricorrendo ad opuscoli in-
formativi, a brevi questionari, agli aspetti non verbali delle relazioni e all’opera dei
mediatori linguistico-culturali. I docenti dovranno essere formati a stabilire rapporti
non conflittuali con le famiglie, evitando tra l’altro sterili polemiche circa l’insegna-
mento della religione e l’alimentazione delle mense. Sarà poi necessario arrivare a
una vera corresponsabilità educativa tra la scuola e la famiglia, prevedendo anche
una partecipazione adeguata di quest’ultima agli organismi decisionali.
Di due gruppi di questioni si è già parlato sopra, illustrando i dati: si tratta cioè
del ritardo scolastico e della concentrazione degli studenti stranieri a livello di se-
condaria superiore negli istituti tecnici e professionali (Bindi, 2005b; Caritas e Mi-
grantes, 2007; Giovannini, 2007). In questi due ambiti la soluzione va ricercata
nelle direzioni che sono state già evidenziate sopra, cioè della realizzazione piena
di una vera educazione interculturale, di una impostazione adeguata della questione
linguistica e della instaurazione di relazioni soddisfacenti tra la famiglia e la
scuola. Un riferimento va anche fatto al problema della valutazione sia degli alunni
con cittadinanza non italiana che, iscrivendosi ad anno scolastico iniziato, incon-
trano difficoltà linguistiche e di adattamento, sia di quelli che hanno percorso gran
parte della loro carriera scolastica e formativa nel nostro Paese. Per superare queste
difficoltà si potrebbero prevedere criteri di giudizio diversi da quelli dei loro com-
pagni italiani, come nel caso dei disabili o concedere la possibilità di usare la
lingua madre durante gli scritti o di avvalersi in fase di esame di un mediatore. Da
ultimo, se la formazione professionale soprattutto iniziale soffre di un trattamento
diseguale rispetto alla scuola, ne segue che le prospettive vanno ricercata nel ri-
equilibrio di questa situazione e anche nella realizzazione di un’offerta alla quale
partecipano ragazzi immigrati e ragazzi italiani (Ambrosini, 2007).
Quanto alle seconde generazioni, i problemi sono di natura differente da quelli
fin qui delineati perché i ragazzi coinvolti sono nati e cresciuti o arrivati nel nostro
Paese molto tempo prima dell’iscrizione scolastica (Bindi, 2005b). Le questioni
importanti riguardano il rapporto con il resto del gruppo classe, le relazioni con le
proprie famiglie, preoccupate della distanza nei confronti della cultura di origine e
la riscoperta della lingua madre che la famiglia di origine non è in grado di soddi-
sfare. In questo caso è la scuola che deve rispondere come comunità educante alle
sfide degli alunni stranieri di seconda generazione.
2.3. Le politiche del lavoro
Negli ultimi dieci anni l’Italia è divenuta uno dei Paesi più importanti di desti-
nazione di movimenti migratori per motivi occupazionali e a ciò hanno contribuito
30
sia lo sviluppo del suo sistema produttivo che si è dimostrato capace di attirare forza
lavoro in grande quantità, sia la presenza di flussi consolidati (Zanfrini, 2007b e
2004). I dati stanno a dimostrare che diverse centinaia di migliaia di stranieri sono
arrivati nel territorio nazionale sulla base dei decreti di programmazione fino a rag-
giungere quasi le 700.000 entrate nel 2006. Questo significa che il nostro dispositi-
vo che regola gli ingressi, sebbene sia configurato spesso come restrittivo, tuttavia
ha reso l’Italia uno dei primi importatori ufficiali di forza lavoro dall’estero.
Tale andamento si accompagna ad un altro che sembra in contraddizione con il
primo: i lavoratori con cittadinanza non italiana che pervengono nel nostro terri-
torio nazionale risultano per una percentuale consistente privi di un titolo adeguato
e vengono impiegati in misura non marginale nell’economia sommersa che con-
serva una estensione eccessiva rispetto ai livelli di crescita della nostra economia.
Ne segue che gli arrivi sono in gran parte indipendenti dalla normativa pertinente
ma soprattutto che non riescono ad essere imbrigliati in un’azione programmatoria
che si proponga mete di competitività economica e di coesione sociale. Si capisce
anche perché l’opinione pubblica tenda a vedere nei flussi migratori un segno evi-
dente della incapacità dei governi di svolgere un controllo serio sui propri confini e
non si renda conto che essi sono in primo luogo una testimonianza della vitalità del
nostro sistema produttivo.
Pertanto, pur essendo l’Italia uno dei poli maggiori di destinazione delle “la-
bour migrations”, tuttavia essa non appare impegnata in politiche di importazione
di forza lavoro di elevata qualificazione diversamente da altri Paesi che per molti
versi si trovano nella medesima condizione come per esempio in Europa la Francia
e l’Inghilterra. Al contrario, le modalità prevalenti di inserimento occupazionale
degli stranieri consistono in processi marcati di etnicizzazione dei flussi e di inclu-
sione nell’economia sommersa. Infatti, dai dati emerge chiaramente la tendenza dei
datori di lavoro a concentrarli nei gradini inferiori della gerarchia professionale, a
utilizzarli per occupare i mestieri disertati dagli italiani, a impiegarli nei lavori ti-
pici da immigrati o peggio a inserirli nell’economia sommersa.
Nel primo semestre del 2007 i lavoratori stranieri raggiungevano complessiva-
mente secondo la rilevazione ISTAT3 la cifra di un milione e mezzo circa (più esat-
tamente 1.475.000), suddivisa a sua volta tra il 60% di maschi e il 40% di femmine
(Zanfrini, 2007b, pp. 110-115; Caritas e Migrantes, 20074 ). Il tasso di attività del
totale tocca ben il 72.1%, quello degli uomini l’87.2% e quello delle donne il
57.1%; le tre percentuali sono notevolmente superiori a quelle della popolazione
complessiva (+10.2%, +13.4% e +7.1%) ed evidenziano la tendenza consistente
degli immigrati a offrirsi sul mercato del lavoro che però per le femmine costituisce
3 Per i criteri utilizzati, la rilevazione sulle forze di lavoro compiuta dall’ISTAT tende a sottosti-
mare il numero dei lavoratori stranieri (Zanfrini, 2007).
4 I dati della Caritas riguardano la Rilevazione sulle forze di lavoro dell’ISTAT relativa all’anno
2006 (Caritas e Migrantes, 2007).
31
il risultato di comportamenti molto differenti nel senso che mentre le filippine pre-
sentano una propensione pari al 90%, per le marocchine il dato si abbassa al 26%
circa (cfr. Tav. 5).
Tav. 5 - Tassi di attività, di occupazione e di disoccupazione degli stranieri e del totale della
popolazione (1° trimestre 2007; per M/F e circoscrizione geografia; in %)
Circoscrizioni Dati riferiti agli stranieri Dati nazionali
geografiche M F Totale M F Totale
Tassi di attività 15-64 anni
Nord 89.1 56.1 73.2 78.2 59.1 68.8
Centro 86.4 61.5 73.4 74.9 54.7 64.7
Sud 78.4 53.3 64.6 67.6 36.0 51.7
Totale Italia 87.2 57.1 72.1 73.8 50.0 61.9
Tassi di occupazione 15-64 anni
Nord 83.7 47.6 66.2 75.8 56.3 66.1
Centro 81.0 51.0 65.3 71.9 50.5 61.1
Sud 72.7 48.1 59.2 61.1 30.6 45.7
Totale Italia 81.8 48.5 65.1 69.9 46.0 57.9
Tassi di disoccupazione
Nord 6.1 15.1 9.4 3.1 4.7 3.8
Centro 6.2 17.1 11.0 3.9 7.7 5.5
Sud 7.3 9.9 8.5 9.5 15.0 11.4
Totale Italia 6.2 15.0 9.7 5.3 8.0 6.4
Fonte: ISMU, 2007
A loro volta, gli occupati con cittadinanza non italiana assommano a 1.331.000
e il relativo tasso raggiunge la percentuale del 65.1% nel caso del totale,
dell’81.8% dei maschi e del 48.5% delle femmine: si tratta di cifre senz’altro supe-
riori a quelle della popolazione complessiva (+7.2%), degli uomini (+11.7%) e
delle donne (+2.5%) (cfr. Tav. 5). Quanto alle occupate straniere, è necessario pro-
cedere ad alcune distinzioni: nell’Italia settentrionale lo scarto tra il dato delle im-
migrate e quello complessivo delle donne occupate risulta molto consistente e
tocca -8.7%, mentre nel Sud il divario risulta a favore delle immigrate con ben
+17.5%. Inoltre, i due terzi circa degli occupati (63%) risiede al Nord, appena più
di un quarto (25.4%) al Centro e l’11.6% al Sud.
Passando al livello di istruzione degli immigrati che lavorano, mi servirò dei
dati della Caritas (Caritas e Migrantes, 2007, pp. 231-232) piuttosto che di quelli
dell’Ismu (Zanfrini, 2007b, p. 112) perché mi sembrano più completi dei secondi,
anche se si riferiscono solo al 2006. Il 40.4% può vantare un titolo universitario e
l’11.1% uno di secondaria superiore per cui più del 50% possiede un’istruzione di
livello superiore. La percentuale scende a più di un terzo (35.2%) per la secondaria
inferiore e a poco meno del 15% (13.2%) nel caso delle elementari. Nel complesso
si può dire che le differenze tra occupati stranieri ed occupati italiani, pur rilevanti,
non risultano particolarmente consistenti.
32
I dati Caritas sui tipi di lavoro in cui sono impiegati gli stranieri mettono in ri-
salto che nella misura di circa tre su quattro gli immigrati sono operai o esercitano
un lavoro non qualificato (Caritas e Migrantes, 2007, pp. 232-233 e Zanfrini,
2007b). Tra i mestieri degli operai si segnalano quelli di carpentiere, di elettricista,
di falegname, di camionista, di addetto alle macchine meccaniche, mentre nel per-
sonale non qualificato si riscontrano soprattutto categorie come i collaboratori do-
mestici, gli assistenti familiari, i braccianti agricoli, gli operai delle imprese di pu-
lizia e i portantini dei servizi sanitari. Gli stranieri sono inseriti primariamente in un
ventaglio di lavori da immigrati che si collocano negli scalini inferiori della gerar-
chia e che presentano orari disagevoli e con ridotte possibilità di carriera. In se-
condo luogo, il 20% quasi degli stranieri svolgono mestieri che si situano nell’am-
bito della attività commerciali e dei servizi, come cuochi, camerieri, baristi, magaz-
zinieri e commesse. Da ultimo appena il 10% può essere annoverato tra le profes-
sioni qualificate, mentre nei Paesi europei la percentuale di tale categoria raggiunge
il 40% del totale degli occupati.
L’85% degli immigrati che sono occupati svolgono un lavoro subordinato;
inoltre intorno al 13% è impiegato a tempo determinato e la cifra di coloro che usu-
fruiscono di un contratto a termine si situa su percentuali non molto diverse da
quelle che si riscontrano sul totale degli italiani. Un altro dato comparabile riguarda
il lavoro a tempo pieno che coinvolge otto stranieri su dieci come anche si registra
nel complesso degli occupati, mentre per il tempo parziale riguarda il 18% circa.
Le percentuali si alzano nel Meridione sia riguardo al tempo determinato che al
parziale. Discriminante è pure la variabile di genere nel senso che la quasi totalità
dei maschi esercita un mestiere a tempo pieno, mentre tra le donne sono ben
quattro su dieci a essere impegnate nel lavoro a tempo parziale.
Passando alla ripartizione per comparti, l’agricoltura accoglie appena il 4%
dell’occupazione straniera, anche se la percentuale si eleva al 13% quasi nel Sud
con un impatto che è quasi doppio rispetto a quello riscontrato fra gli autoctoni. Se
ci si sposta nell’industria, la cifra sale al 40% e qui si registrano 11 punti in più in
confronto degli italiani. L’andamento opposto si riscontra nel terziario che presenta
una percentuale inferiore a quella autoctona: più precisamente si tratta del 55% ri-
spetto al 66%. Più preoccupante è la distribuzione interna a questo comparto nel
senso che la partecipazione degli immigrati è molto ridotta nel terziario avanzata,
mentre è molto ampia in altre direzione disertate dagli italiani come il settore dei
servizi alle famiglie. Sempre nel terziario va osservato che una donna immigrata su
due che sono occupate operano nei servizi domestici e di assistenza; inoltre, se la
percentuale complessiva degli occupati nel commercio, nel settore alberghiero e
nella ristorazione non è molto diversa nel confronto fra stranieri (intorno al 20%) e
autoctoni, tuttavia non bisogna dimenticare che la prima si concentra quasi esclusi-
vamente nelle attività manuali a bassa qualifica.
Ritornando ora ai dati della rilevazione del 1° trimestre del 2007, un altro
aspetto della situazione di disparità in cui si trovano gli immigrati riguarda i tassi di
33
disoccupazione che sono superiori tra gli stranieri sia nel totale (+3.3%), sia tra i
maschi (+0.9%), ma soprattutto tra le femmine (+8.6%) (cfr. Tav. 5) (Zanfrini,
2007b, pp. 113-114). Riguardo all’ultimo gruppo citato va sottolineato che le donne
immigrate si distinguono per un dato più elevato rispetto tanto alle italiane quanto
agli uomini anch’essi immigrati. Venendo poi ai valori assoluti, la rilevazione di
cui si è parlato sopra, mette in evidenza che sono 143.000 gli stranieri residenti in
Italia in cerca di occupazione di cui ben 88.000 femmine, cifre che, oltre ad essere
sottostimate secondo l’ISTAT, risultano in aumento rispetto al 2006. In proposito il
rapporto Ismu osserva che il dato è consistente e dovrebbe far riflettere tutti coloro
che chiedono un ampliamento delle quote ammesse (Zanfrini, 2007b).
Non possediamo informazioni esaustive a livello nazionale sugli stranieri che
sono lavoratori irregolari e l’ISMU, nel tentativo di offrire qualche indicazione
precisa in proposito, si serve dei dati della regione Lombardia che sarebbero stati-
sticamente affidabili (Zanfrini, 2007b, pp. 114-115; Idos-Punto nazionale di con-
tatto dell’EMN, 2005). In sintesi si può dire che tre irregolari/clandestini su quattro
lavorano in modo irregolare alle dipendenze, il 15% è disoccupato e la percentuale
degli inattivi è molto ridotta e ciò sta a dimostrare che l’entrata nel nostro Paese è
dettata soprattutto dall’attesa di reperire una qualche forma di occupazione; sette
stranieri occupati irregolarmente su dieci risultano irregolari/clandestini a riprova
che il lavoro nero tende a relazionarsi sempre più frequentemente a una situazione
di irregolarità sul piano del soggiorno; invece, la percentuale del lavoro irregolare
scende ad appena l’8% tra quanti possono contare su di un permesso di soggiorno e
in questa stessa direzione va sottolineato che gli stranieri in possesso di carta di
soggiorno e i naturalizzati presentano una percentuale di lavoratori in proprio che è
il triplo di quella degli immigrati regolari. Pertanto, si può concludere che non-
ostante la stabilizzazione occupazionale in atto, l’economia sommersa mantiene an-
cora una forza attrattiva molto rilevante di nuova immigrazione irregolare e che
una politica di contrasto della immigrazione irregolare è destinata al fallimento se
si fonda soltanto sui controlli ai confini e sulla imposizione di condizioni rigide ai
datori di lavoro, mentre si dovrebbe puntare soprattutto sulla lotta all’economia
sommersa e al lavoro nero.
Per sfatare pregiudizi e luoghi comuni, una parola va anche spesa circa l’ap-
porto dei lavoratori stranieri alla produzione di ricchezza nel nostro Paese. Il contri-
buto alla creazione di valore aggiunto è stato stimato intorno all’8.8% e la cifra si
eleva oltre il 10% nelle Regioni in cui si concentra maggiormente la presenza degli
stranieri (Zanfrini, 2007b, pp. 121-124). In proposito si può anche richiamare il fe-
nomeno della esplosione della imprenditorialità tra gli immigrati per cui il numero
dei titolari di impresa che provengono dall’estero sono raddoppiati tra il 2000 e il
2005 e sono cresciuti da 200.000 del 2005 ai 230.000 del 2006; tra l’altro questa
crescita ha permesso alle microimprese di restare competitive in Italia. Sul lato ne-
gativo, va osservato che le imprese degli immigrati risultano sovrarappresentate in
quei comparti che sono stati gradualmente abbandonati dagli operatori autoctoni a
34
riprova che anche in questo ambito è in corso un processo di etnicizzazione delle
attività sulla falsariga di quanto avviene più ampiamente nel lavoro dipendente.
Entro questo quadro di dati, appare con sempre maggiore evidenza che il la-
voro degli stranieri ha assunto in Italia due ruoli importanti: uno sostitutivo che co-
stituisce una risposta al fenomeno dell’invecchiamento della popolazione originaria
del Paese; e un altro complementare che contribuisce al superamento degli scarti
tra domanda ed offerta. Al tempo stesso non mancano forme di discriminazione che
non si limitano alla concentrazione degli stranieri nei lavori da immigrati, ma che
comprendono anche: “Basse retribuzioni (il salario medio mensile è pari a 785
euro), sottoinquadramento in rapporto al livello di professionalità e alla stessa tipo-
logia delle mansioni svolte, irregolarità contributive, utilizzo improprio dei con-
tratti atipici, mancata corresponsione di parte del salario pattuito, sistematica asse-
gnazione dei compiti più gravosi e/o pericolosi […]” (Zanfrini, 2007b, p. 125). Per
una valutazione più completa di tale situazione va detto che essa non è esclusiva
solo dell’Italia, ma la si riscontra diffusa sul piano europeo e internazionale.
Quanto al nostro Paese, essa può essere ricondotta alla debolezza dell’offerta, ai
pregiudizi e all’attitudine discriminatoria dei datori di lavoro e anche a carenze ri-
scontrabili nella stessa legislazione.
Riguardo all’aspetto normativo, gli studiosi hanno puntato le loro critiche so-
prattutto sui permessi di soggiorno di breve durata – in particolare se vincolano il
lavoratore a un comparto specifico o a un datore di lavoro determinato – e sul con-
tratto di soggiorno per la rigidità che introduce nel governo del lavoro immigrato e
nel legame stretto che esso stabilisce tra il diritto al soggiorno e l’obbligo di dimo-
strare di avere un lavoro, che pone gli immigrati in una situazione di particolare de-
bolezza di fronte alla richieste dei datori di lavoro (Scevi, 2006; Coco, 2006). Per-
tanto, come si è ricordato nella prima parte di questo capitolo, il recente disegno di
legge Amato-Ferrero ha previsto l’abolizione del contratto di soggiorno e un allun-
gamento della durata dei permessi anche per quanti sono alla ricerca di un lavoro.
Inoltre, tale normativa ha introdotto una serie di provvedimenti mirati a favorire
l’incontro tra domanda e offerta di lavoro immigrato, adottando una programma-
zione triennale, forme semplificate per l’entrata di personale destinato al lavoro di
cura e meccanismi di sponsorizzazione che intervengono sulla rigidità del rapporto
tra ingresso e posto di lavoro al fine di renderlo più flessibile; in questa maniera si
dovrebbe ovviare all’insuccesso del sistema delle quote annuali.
Tra le problematiche importanti che andrebbero affrontate dal futuro governo
va sottolineata l’esigenza di trovare riguardo al lavoro nei servizi domestici e di
cura un equilibrio corretto tra i bisogni delle famiglie, i diritti dei lavoratori, la qua-
lità delle prestazione e il contrasto al lavoro nero e all’evasione fiscale. Sarebbe op-
portuno anche elaborare strategie che permettessero di superare le situazioni di dif-
ficoltà occupazionale che colpiscono settori rilevanti dell’offerta di lavoro di natura
autoctona e anche di quella immigrata già presente, prevedendo tra l’altro misure
che facilitino il loro inserimento o reinserimento professionale. Si dovrà cercare di
35
combattere con interventi adeguati la tendenza ad utilizzare gli immigrati in attività
logoranti e in comparti destinnati al declino; in una ottica più vasta, non si può con-
tinuare ad incoraggiare l’entrata degli stranieri, interessati a sistemarsi definitiva-
mente nel nostro Paese, senza cercare di offrire adeguate prospettive di mobilità
professionale nel quadro di un impegno ad assicurare loro una vita umanamente
degna. Maggiore attenzione sul piano delle misure concrete dovrebbe essere dato al
problema della disoccupazione che, per effetto della stabilizzazione della presenza
straniera e della crescita dei ricongiungimenti familiari, sta aumentando anche tra i
lavoratori stranieri. Andrebbe inoltre ridotto l’eccesso di potere che è stato attri-
buito ai datori di lavoro sulle decisioni da prendere riguardo alle persone concrete,
alle categorie e alle condizioni per gli ingressi nel territorio nazionale. Rimane es-
senziale l’esigenza di un’azione capillare di contrasto all’economia sommersa che
costituisce un prerequisito per il successo degli altri provvedimenti.
2.4. Le politiche della cittadinanza
Se è vero che, come tra l’altro lo dimostrano i dati analizzati nella precedente
sottosezione, l’Italia è divenuto uno dei poli principali di destinazione dei flussi mi-
gratori, in altre parole si à trasformato in un grande Paese di immigrazione, al
tempo stesso va osservato con rammarico che essa continua a presentarsi come una
nazione di emigranti per quanto riguarda il tema della cittadinanza; infatti, tale lo-
gica ispira fondamentalmente la legge n.91/92 che è il caposaldo della nostra nor-
mativa (Caritas e Migrantes, 2007). La cittadinanza può essere ottenuta primaria-
mente secondo due modalità: sposando un cittadino italiano oppure risiedendo in
maniera continuativa in Italia per un determinato periodo di anni. Riguardo alla
prima strada va osservato che sono sufficienti sei mesi di residenza nel nostro
Paese a partire dalla data delle nozze; la seconda si distingue per condizioni più se-
vere come dieci anni di residenza (quattro per i Paesi dell’UE) e la prova della dis-
ponibilità di un reddito adeguato. A loro volta i figli degli immigrati nati in Italia
possono ottenere la cittadinanza se siano stati registrati tempestivamente all’atto di
nascita e se abbiano risieduto nel nostro Paese legalmente e ininterrottamente sino
alla maggiore età.
Un primo limite di questa legislazione viene messo in evidenza proprio dai
dati sulle concessioni e i respingimenti di cittadinanza (Caritas e Migrantes, 2007,
pp. 114 e 116-118). Infatti, anche se tra il 1991 e il 2005 si è registrata una crescita
consistente da poco più di 3.500 casi ai 19.226 del 2005, tuttavia l’ultima cifra sta a
testimoniare il carattere abbastanza marginale del fenomeno come emerge chiara-
mente dalla percentuale sulla popolazione straniera residente: solo lo 0.6%. Altre
carenze emergono da un esame più dettagliato dei dati, in questo caso riferiti unica-
mente al decennio 1995-05. Nel periodo considerato sono state inoltrate 213.047
domande per il conseguimento della cittadinanza e l’accoglimento si è avuto per
125.335, pari al 60% circa (58.8%) che però ha riguardato nella gran maggioranza
dei casi le richieste avanzate per avvenuto matrimonio: più precisamente, delle do-
36
mande presentate per questa ragione è stato accettato il 70% quasi (68.3%) e di
quelle per residenza poco più di un terzo (34.6%). “Appare, anzitutto, lampante una
certa disparità di trattamento: valgono più sei mesi di matrimonio con un italiano
che anni e anni di regolare residenza e lavoro, con relativo pagamento di tasse e
versamento di contributi previdenziali” (Caritas e Migrantes, 2007, 119).
Un altro motivo molto importante per cambiare le modalità di acquisizioni
della cittadinanza in Italia va ricercato nella condizione dei minori di origine stra-
niera che potrebbero rappresentare una opportunità molto significativa da valoriz-
zare ai fini dello sviluppo dell’Italia, ma che al tempo stesso si potrebbero trasfor-
mare in un serio pericolo se il loro senso di appartenenza al Paese dovesse trovare
degli impedimenti ad essere riconosciuto alla pari con quello dei loro coetanei au-
toctoni. I minori con cittadinanza non italiana “erano 665.625 al 31 dicembre 2006,
di cui quasi 400.000 nati in Italia. Studiano nelle nostre scuole, frequentano le no-
stre parrocchie e gli annessi oratori; condividono con i bambini e i ragazzi della
loro età gli impegni, i desideri, i problemi, i sogni, le mode e le angosce di una cit-
tadinanza in formazione; parlano l’italiano meglio della lingua del paese di origine,
che in molti casi nemmeno conoscono; e l’Italia è l’unico paese nel quale possono
identificarsi, a condizione che non ne siano tenuti ai margini. Corrisponde dunque
al comune interesse di tutti che la loro appartenenza di fatto alla comunità nazio-
nale sia rafforzata e confermata dal riconoscimento pieno e formale della cittadi-
nanza” (Caritas e Migrantes, 2007, 119-120; Zanfrini, 2007a).
In aggiunta, la riforma del dispositivo sulla concessione della cittadinanza per-
metterebbe al nostro Paese di seguire gli orientamenti che caratterizzano la legisla-
zione nelle altre grandi nazioni europee meta di immigrazioni, come la Francia, la
Germania e l’Inghilterra, al tempo stesso impegnandosi a migliorarli in vista di un
vita umanamente degna degli stranieri e della promozione del bene comune della
nostra società civile (Cellamare, 2006). Sarebbe anche una grande occasione per
realizzare al pieno i valori fondamentali della nostra Costituzione secondo la quale
la Repubblica si basa non tanto su un legame di sangue quanto sul lavoro di chi vi
risiede stabilmente e contribuisce alla sua crescita.
Ai fini del superamento della normativa attuale che non sembra in grado di
soddisfare adeguatamente i bisogni di cittadinanza che provengono da una società
di stabile e spesso definitiva immigrazione, potrebbero rappresentare una buona
base di lavoro per la futura legislatura i principi del recente testo unificato di di-
ciannove proposte di legge, predisposto dalla Commissione Affari Costituzionali
(Caritas e Migrantes, 2007; Giulia, 2007). Pertanto, dovrà essere prevista l’ado-
zione del principio dello “jus soli”, però in forma attenuata nel senso che non sarà
sufficiente la nascita in Italia, ma si richiederà o la residenza regolare di almeno
uno dei genitori da non meno di quattro anni o la nascita di almeno uno dei genitori
in Italia e la residenza regolare alla nascita del figlio da almeno un anno. Un altro
principio da introdurre è quello dello “jus domicilii” per cui l’ottenimento della cit-
tadinanza dovrebbe aver luogo in seguito all’inserimento prolungato e positivo nel
37
nostro Paese fin dalla minore età. Sempre per naturalizzazione la cittadinanza sarà
concessa: allo straniero che risiede in Italia da almeno cinque anni (e non dagli at-
tuali dieci), in possesso di un reddito annuo non inferiore a quello richiesto per ot-
tenere il permesso di soggiorno; al cittadino comunitario residente legalmente da
almeno tre anni; al rifugiato politico e all’apolide. In tutti i casi di naturalizzazione
verrebbe richiesto un buon livello di conoscenza della lingua, della cultura e della
storia italiana e dei principi fondamentali della legalità costituzionale. Dovrebbero
invece essere previste delle restrizioni per il caso del matrimonio per evitare i ma-
trimoni di comodo o di convenienza che, oltre a sollevare gravi questioni morali,
costituiscono occasione per un vero e proprio mercato.
La speranza è che le nuove norme facciano uscire gli stranieri dalla condizione
di “eterni migranti”. Affinché possano divenire agenti attivi dello sviluppo del no-
stro Paese e portare alla nostra società il contributo di energie nuove, è necessario e
urgente che si inseriscano nella nostra società come cittadini alla pari con gli ita-
liani di origine.
39
Capitolo 2
Adolescenti di origine migratoria:
il contributo dei sistemi formativi alla costruzione
dell’identità e al processo di integrazione
Antonia SANTOS FERMINO1
PREMESSA: “CHE CI FA QUI?” - “CHE CI FACCIO QUI?”
La prima domanda, “Che ci fa qui?”, è quella che in genere si pongono un po’
tutti coloro che si trovano a dover condividere il proprio spazio con altri individui
non sempre “riconosciuti” nella diversità di cui sono portatori, e che in questo
studio vanno individuati negli adolescenti/giovani di origine migratoria2. Domanda
che a sua volta all’interno dei sistemi formativi si pongono talora sia gli inse-
gnanti/formatori che i compagni di classe autoctoni, e che può essere decodificata
nei seguenti termini: “Che ci sta a fare tra i banchi di scuola questo immigrato e
non se ne sta invece al suo Paese”?
In realtà è proprio questo “perché sto qui?” che scandisce la vita di ogni immi-
grato, nel suo perenne altalenarsi tra il “qui” e il “là”, tra lo “stare-qui” con il corpo
e “stare-là” con la mente, tra il “vicino” e il “lontano”, tra processi di “in”-cultura-
zione e di “a”-cculturazione, tra l’essere fatto carico di una “e” (-migrante) quando
se ne va via e di una “i” (-mmigrato) quando è nel nuovo Paese, al punto che “emi-
grante” ed “immigrato” diventano due entità nella stessa persona.
Un perché, quindi, che l’immigrato si pone egli stesso prima ancora che lo fac-
ciano quei “vicini”-autoctoni con cui convive quotidianamente, e che forse non
avrà mai una risposta definitiva.
Quando poi questo immigrato è un adolescente che “occupa un preciso spazio”
tra i banchi di scuola, all’interrogativo “che ci fa qui?” la risposta si fa ancor più
complessa, dal momento che vi potrebbero essere anche buone probabilità che co-
stui sia a tutti gli effetti cittadino dello “stesso Paese” dei suoi compagni di banco
autoctoni. E allora rimane difficile stabilire a quale Paese lo si vorrebbe rispedire.
1 Questo capitolo è composto da alcune parti di una pubblicazione della stessa autrice: Identità
trans-culturali. Insieme nello spazio transizionale, Tirrenia (Pisa), ed. Del Cerro, 2008.
2 Sotto questo termine vengono considerati sia gli adolescenti nati nel Paese di origine dei geni-
tori e successivamente emigrati per ricongiungimento familiare, sia coloro che sono nati nel Paese di
arrivo dei genitori.
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I figli degli immigrati seppure presentino “radici” e tratti di personalità che at-
testano della loro provenienza dall’“altrove”, in realtà sono ormai diventati a tutti
gli effetti i “nuovi autoctoni”, indipendentemente dal fatto di essere nati o no nel
Paese di immigrazione; nel senso che sono uguali ai loro coetanei autoctoni nel ve-
stire nello stesso modo, nell’amare le stesse musiche, nel seguire le stesse mode,
nell’appassionarsi agli stessi idoli, nell’assumere gli stessi atteggiamenti, nell’avere
a che fare con le stesse problematiche fatte di incertezze e di paure nel coltivare le
speranze per il futuro.
E tuttavia spesso la società continua a considerarli ancora degli “stranieri”.
Il problema di fondo quindi è un altro e fa capo al presupposto che occorre an-
zitutto imparare a spazzar via lo stereotipato sospetto di uno spazio occupato abusi-
vamente dal compagno di banco che è un “diverso”, per “riconoscerlo” nel suo
farsi portatore di una domanda formativa. Per cui la stessa presenza tra i banchi di
scuola di un compagno di origine migratoria andrebbe letta anzitutto non solo per
farsi portatore di una diversa cultura, etnia, religione, lingua, tratti somatici e colore
della pelle…, ma in quanto attraverso questa domanda personifica un diritto uni-
versale all’educazione.
È un dato di fatto che l’adolescente di origine migratoria con cui occorre
sempre più abituarsi a condividere lo spazio formativo rappresenta comunque il
concretizzarsi di un “progetto” di realizzazione di sé, operato in prima persona o
prodotto di scelte che vengono da lontano nel tempo e nello spazio, per cui oltre a
“riconoscere” e a rispettare la sua presenza bisogna anche farsi trovare preparati ad
“aggiungere un posto a tavola” a chi ha scelto proprio questo “spazio transizionale”
come luogo di realizzazione di sé.
1. ADOLESCENTI NEI/DEI PROCESSI MIGRATORI: FATTORI PROTETTIVI DELL’IDEN-
TITÀ ETNICA
In un’epoca caratterizzata da traiettorie migratorie sempre più intenzionate a
ricercare “altrove” il proprio “ben-essere/bene-stare” è indispensabile che le intera-
zioni avvengano all’insegna di processi che permettono di stare “Insieme nella di-
versità”, come sollecita appunto lo slogan dell’Anno Europeo 2008, dedicato al
dialogo interculturale.
Una reale integrazione tra culture e appartenenze plurime tuttavia si potrà veri-
ficare soltanto se si darà la possibilità a ognuno di fare un proprio percorso alla
scoperta di “chi sono io” e “da dove vengo”, sapendo poi “autocollocarsi” in rap-
porto costruttivo in relazione a tutti quei “diversi” con cui sta facendo “un viaggio
insieme”.
Questo compito di lavorare alla costruzione di una propria identità, ricucendo
l’unità del sé e sapendo integrare al tempo stesso la propria “etnicità” con la “mul-
ticulturalità” delle proposte, oggi spetta in particolare ai figli di immigrati della se-
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conda generazione, ossia a coloro che, proprio per trovarsi nel periodo prettamente
deputato alla costruzione del sé ed essendo stati coinvolti nei processi migratori
non sempre per propria scelta, hanno bisogno di essere adeguatamente preparati ad
assolvere i compiti di sviluppo in un equilibrato rapporto tra un sé-etnico ereditato
ed un sé-sociale prodotto della “coabitazione”, convivenza, interazione, condivi-
sione dello spazio con i “molti-sé” delle culture plurime.
Tutto questo richiede di partire anzitutto da uno studio sul significato del mi-
grare e di quei fattori protettivi che contribuiscono a costruire l’identità etnica negli
adolescenti di origine migratoria, per passare poi ad analizzare come i sistemi for-
mativi possono dare anche loro un contributo in tal senso.
1.1. Il “mito di Ulisse”, ovvero il significato del migrare alla ricerca di una
“terza sponda”
Per comprendere le difficoltà che gli adolescenti immigrati incontrano nell’au-
tocollocarsi nel nuovo contesto è importante capire come essi definiscono se stessi
in base alla propria appartenenza etnica. Un contributo significativo a questo ri-
guardo viene dal fare riferimento al “mito di Ulisse”. Come riportato nello studio di
Mancini (1999, 146), esso è un chiaro esempio che aiuta a capire quali sono le reali
difficoltà che gli adolescenti incontrano nel collocarsi nel Paese di arrivo dei geni-
tori. Sentirsi “non riconosciuti” in un Paese straniero, stare in esilio rappresenta il
dramma di chi vive in prima persona lo sradicamento e la crisi d’identità che si
porta dietro chi sta nei processi migratori. Questa disintegrazione dei legami affet-
tivi e sociali ostacola il sentimento di appartenenza accentuando quello di non-ap-
partenenza. Una condizione che il più delle volte è all’origine di stati di disorganiz-
zazione psichica in cui prendono il sopravvento angosce, sensi di abbandono, paura
di essere sopraffatti da un’altra cultura, con il rischio della depersonalizzazione. Si-
tuazioni che alcuni autori (Algini-Lugones, 1999, 25) hanno tradotto nelle seguenti
espressioni: “Che ci faccio qui? Qui io non sono nessuno”, oppure “Mi sento fuori
posto” o “Chi sono io? Mi sento perso”.
Emigrare vuol dire infatti abbandonare la “sponda dove si è nati” per andare su
“un’altra sponda”. Per capire meglio il perché di questa tendenza a traghettare tra
sponde diverse viene ancora in aiuto il mito di Ulisse, in quanto il mare rappresenta
un elemento catalizzatore del desiderio di partire, di sapere “cosa ci sta” al di là
dell’orizzonte, sull’altra sponda. Come tale, quindi, il mare mentre fa da catapulta
all’impulso del migrare al tempo stesso diviene anche elemento di congiunzione tra
terre lontane: è causa dell’isolamento, e perciò invita ad uscire dalla terra-madre
per andare sull’altra sponda, ma al tempo stesso è sempre il mare che fa da legame,
a chi in diaspora, avverte un irresistibile bisogno di ritornare nella terra-madre.
Tutto questo porta a “sognare” chi rimane, di poter emigrare, così da superare il
dramma della fame, malattie, povertà, guerre; e, chi sta nell’emigrazione, di poter
ritornare nella propria terra. Come su un tavolo da ping-pong, questo rimbalzare
del “sogno migratorio” tra le due sponde porta ad un permanente stato di disso-
42
nanza emozionale: “dover partire e voler ritornare”, “voler rimanere e dover par-
tire”.
Se questo vale per chi ha fatto in prima persona la scelta del migrare, per l’a-
dolescente della seconda generazione tuttavia queste due sponde tra il Paese d’ori-
gine e quella d’accoglienza non sono più sufficienti, occorre che si interponga un
terzo spazio che gli permette di separare e unire al tempo stesso le altre due, così da
permettergli di conquistare una propria identità e quindi anche il senso di apparte-
nenza. È questa invisibile e tutta da elaborare “terza sponda” che permetterà anzi-
tutto all’adolescente di superare l’angoscia del “che ci faccio qui?” e quindi di tro-
vare poi una “propria” collocazione all’interno di quello spazio transizionale, inter-
medio/interstiziale che offre a valori tra loro differenziati la possibilità di incon-
trarsi, di integrarsi e di essere condivisi, contribuendo così in maniera determinante
alla costruzione della sua identità.
1.1.1. Lo spazio transizionale come approdo alla “terza sponda”
Algini-Lugones (1999, 29ss.) hanno affrontato il concetto di spazio transizio-
nale sviluppato da Winnicott (1974, 23), il quale lo definisce come un “luogo” di
esperienza e contemporaneamente un processo psichico, tra soggetto e oggetto per-
cepito, tra dentro e fuori, e che al tempo stesso non è del tutto né l’uno né l’altro;
rappresenta il luogo d’incontro tra un’esperienza interna soggettiva e una oggettiva,
esterna e, come tale, è in grado di mettere in rapporto spazi tra loro eterogenei. In
altri termini, lo spazio transizionale fa parte di un’esperienza umana condivisa: tutti
noi infatti passiamo la vita a fare dei passaggi, dalla nascita alla morte, ad attraver-
sare delle frontiere tra paesi e tra lingue, a spostarsi, a migrare.
È chiaro quindi che questo spazio transizionale rappresenta quell’auspicata
“terza sponda” su cui dovranno approdare gli adolescenti di origine migratoria, e di
cui non è possibile tratteggiarne i contorni proprio perché “transizionale”, ossia in
quanto prodotto di transizioni tra culture e valori etnici tra loro differenziati, la cui
condivisione porterà gli adolescenti a darsi “quelle identità” meticce, trans-culturali
che nell’attuale momento storico non si possono prevedere. Uno spazio in cui i
conflitti di appartenenza dovuti al divario culturale presente nei processi di accultu-
razione possono essere affrontati al fine di trovare quegli elementi interstiziali che
accomunano e/o legano tra loro più parti/componenti: cultura d’origine e cultura
d’accoglienza, modernità e tradizione, lingua materna e lingua sociale, processi
psichici intra e interpersonali.
Per cui il problema non starà nella difesa dell’uno o dell’altro valore ma l’o-
biettivo sarà quello di permettere a tanti “mondi diversi” di darsi uno “spazio”
entro cui le inevitabili differenze possano convivere, “riconoscersi” ed esprimersi
con tutte le proprie caratteristiche e potenzialità, avendo come comun denomina-
tore l’obiettivo del reciproco arricchimento. Uno spazio che mentre ammette la plu-
ralità del “noi” al tempo stesso facilita il passaggio e la comunicazione aperta,
senza discriminazione, da un “noi” a un altro, accomunati dal fatto che il signifi-
43
cato del “migrare” sta sempre all’origine dell’incontro con l’altro, chiunque sia
nella sua condizione di diverso.
Nel come riuscire a realizzare questo “spazio”, nel come arrivare a definire
quella “terza sponda” verso la quale ci stiamo dirigendo consisterà perciò la sfida a
cui tutti noi, nell’era della globalizzazione caratterizzata da traiettorie migratorie
sempre più intenzionate a ricercare “altrove” il proprio “ben-essere/bene-stare”,
siamo chiamati a confrontarsi.
Algini-Lugones (1999, 27ss.) sostengono che in un’epoca in cui l’identità va-
cilla a causa di culture in continua trasformazione, l’eredità culturale di cui parla a
Winnicott non basta di per sé per assicurare la continuità. Essi interpretano quindi
questo “terzo spazio” come il prolungamento dello spazio potenziale tra individuo
e ambiente, uno spazio intermedio/interstiziale in funzione del rapporto che inter-
corre tra “io” e “non-io”, tra i due mondi, tra l’interno (il gruppo di appartenenza) e
l’esterno (il gruppo di ricezione), tra passato e futuro3.
Gli adolescenti di origine migratoria hanno bisogno perciò proprio di questo
spazio intermedio o, tornando alla metafora, di una “terza sponda” che, se adegua-
tamente accompagnati, permetterebbe loro di elaborare la crisi aiutandoli a stac-
carsi dalla “sponda originaria” senza tuttavia rinnegarne i valori, e a vivere senza
sensi di colpa l’”altra sponda”, quella del Paese dove investono il loro futuro. Si
tratta in altre parole di offrire loro la possibilità di giocare tra le due sponde in
modo che possano arrivare ad elaborarne una terza investendovi le proprie
energie/risorse e liberando le proprie capacità creative.
1.1.2. L’integrazione tra codici comunicativi nell’esperienza migratoria
Chi emigra deve affrontare una terra straniera, quindi è costretto a compiere un
viaggio all’interno del proprio mondo psichico verso luoghi e stati della mente che
richiedono di essere abbandonati o, come nel caso degli adolescenti, di attraversare
momenti di passaggio e di ri-strutturazione del sé.
Camilletti-Castelnuovo (1994, 47) sostengono che l’esperienza migratoria
negli adolescenti spesso risente inevitabilmente delle condizioni problematiche ed
esistenziali che derivano dall’uso di codici e linguaggi diversi e che quindi possono
alterare profondamente i processi di comunicazione tra le persone, al punto da
comportare possibili danni alla costruzione dell’identità.
A questo riguardo l’esperienza migratoria negli/degli adolescenti rappresenta
uno degli eventi più disturbanti nei processi relazionali. La produzione di codici
comunicativi dell’immigrato va considerata in stretta relazione ai processi sui quali
poggia la formazione dell’identità individuale e sociale; essa si evolve e si sviluppa
dinamicamente mediante la relazione e lo scambio tra la persona e l’ambiente cir-
3 Winnicott (1974, 23) ha sviluppato il concetto di spazio transizionale quale spazio tra soggetto
e oggetto percepito, tra dentro e fuori, e che non è del tutto né l’uno né l’altro, ma luogo dove si
svolge comunque un’esperienza interna soggettiva.
44
costante. Questo complesso processo può realizzarsi solo quando si danno condi-
zioni ottimali tali da permettere agli adolescenti di realizzare la crescita delle ri-
sorse interne; viceversa, quando queste condizioni non si danno si provocano inevi-
tabilmente dei disturbi lungo il processo di acquisizione dell’identità.
Questo spazio simbolico è la sintesi di un delicato equilibrio nella crescita del-
l’individuo, in quanto permette all’adolescente di trovare i suoi valori culturali; ma
quando nell’esperienza migratoria esso viene ad essere alterato si provocano lace-
ranti fratture di distacco e separazione, accompagnate spesso da un senso di preca-
rietà nei confronti dei nuovi spazi ove inserirsi. Tutto ciò produce notevoli diffi-
coltà nel vissuto profondo degli adolescenti, i quali in questa fascia d’età investono
essenzialmente nella sfera delle emozioni esperienziali di appartenenza.
La condizione di immigrazione e le difficoltà nel ritrovare elementi analogici
spesso sono all’origine dell’incapacità che manifesta l’adolescente di origine migra-
toria di tradurre segni e simboli elaborandoli poi in nuovi significati, con conse-
guente difficoltà di adattamento verso il nuovo Paese; inoltre questi atteggiamenti
gli vengono talvolta trasmessi inconsciamente dai genitori all’interno del nucleo fa-
miliare, provocando ulteriori disagi comunicativi. Le difficoltà si verificano in parti-
colare quando chi nasce nel Paese di arrivo dei genitori non viene sufficientemente
avviato all’apprendimento e all’uso della lingua materna o paterna. La perdita o la
parziale acquisizione di uno strumento così importante quale è appunto il linguag-
gio per la trasmissione dei significati contribuisce in gran parte alla chiusura reale e
metaforica dell’adolescente, provocando un disorientamento che, per essere com-
pensato, richiede spesso di essere esternato mediante altri canali comunicativi, tra i
quali la corporeità viene a costituire un fattore simbolico altamente espressivo.
Queste profonde e paradossali contraddizioni non portano l’adolescente immi-
grato ad essere né simile agli autoctoni né ai genitori; e non sono neppure supera-
bili mediante la competenza formale della lingua del Paese d’accoglienza, in
quanto questa da sola non assicura la possibilità di padroneggiare le funzioni comu-
nicative legate all’espressione dei vissuti affettivi e mentali di chi li ha sperimentati
nella cultura di origine. Tutto questo può provocare nell’adolescente di origine mi-
gratoria durante la fase evolutiva non poche situazioni conflittuali, che possono ar-
rivare a mettere a rischio la costruzione stessa della propria identità e a compromet-
tere di conseguenza il ruolo da svolgere nella vita sociale/attiva.
1.2. Il conflitto di ruolo nei processi migratori alla ricerca di una propria
identità
Grinberg e Grinberg (1990, 137) definiscono il sentimento d’identità negli im-
migrati come il risultato di un processo di interazione continua tra tre dimensioni
tra loro strettamente connesse: spaziale, temporale e sociale.
L’immigrato infatti nei primi periodi di permanenza nel Paese d’accoglienza
sperimenta in genere stati di disorganizzazione più o meno profondi che quasi sem-
pre provocano ansie primitive come la paura di essere “divorati” o di essere “fatti a
45
pezzi” dalla cultura locale, situazione che ovviamente mette l’individuo in un stato
di disagio. Nel Paese di arrivo l’immigrante non ha più i ruoli e le funzioni che oc-
cupava nella terra madre; di fatto egli ha perso molto: gli amici, la casa, la lingua
materna, tutto il suo mondo circostante. Contemporaneamente nel nuovo Paese non
è ancora riuscito a costruire radici, legami affidabili e duraturi. La rottura dovuta al-
l’immigrazione mette dolorosamente in causa la continuità del sé, l’organizzazione
del proprio processo di identificazione e dei propri ideali, la coerenza nel proprio
modo di pensare e di agire, l’affidabilità dei legami di appartenenza a un gruppo et-
nico, l’efficacia del codice di riferimento etico-culturale. Tutto questo ostacola il
sentimento di appartenenza e accentua quello di non appartenenza.
Questi vissuti che l’adolescente immigrato sperimenta e affronta possono deri-
vare dal conflitto tra il desiderio di confondersi con gli altri per non sentirsi “di-
verso” (ciò che provoca stati/momenti confusionali), oppure momenti di deperso-
nalizzazione (non sentirsi più se stesso). In particolare chi si trova in tale situazione
spesso è portato a chiedersi: “dove sono?”, “cosa sto facendo qui?”. In questi
disagi il vincolo spaziale corrisponde al sentimento di individuazione (la relazione
tra le varie parti del sé); invece nel vincolo temporale ossia nella rappresentazione
di sé nel tempo il disagio si può manifestare per la confusione tra i ricordi e la si-
tuazione che si sta vivendo.
Ancora Grinberg e Grinberg (1990, 138) affermano che quegli adolescenti che
per un periodo significativo della propria vita sono cresciuti nel Paese di origine,
per non sentirsi abbandonati hanno bisogno di portare con sé degli oggetti familiari
affettivamente significativi, conservando così una continuità con il passato. Tali
“oggetti” hanno la funzione di consolidare le tre dimensioni (spaziale, temporale,
sociale) che fanno capo al proprio sentimento di identità, contrapponendole alla di-
versità che trovano negli autoctoni. Indipendentemente dal fatto che tali oggetti
siano indispensabili per riaffermare il sentimento di identità, essi tuttavia compor-
tano il pericolo di impedire l’assimilazione del “nuovo”, lasciando così l’immigrato
ancorato al passato. Ma il sentimento di identità che negli adolescenti viene colpito
in modo più rilevante è quello rappresentato dal vincolo sociale, in quanto rappre-
senta la relazione che intercorre tra sé e gli altri; nel caso dell’adolescente immi-
grato, infatti, i cambiamenti maggiori avvengono in relazione all’ambiente circo-
stante in cui tutto è nuovo, tutto o quasi tutto è sconosciuto; di conseguenza, “an-
dare” o “vivere” in un nuovo Paese/ambiente dove non si conosce nessuno e dove
non si appartiene ad alcun gruppo non può che provocare una condizione destabi-
lizzante.
1.2.1. Alla ricerca di se stessi tra più mondi culturali
Proprio a questo riguardo Demetrio-Favaro (1992, 55ss.) hanno affrontato la
questione dell’identità tra gli adolescenti immigrati chiedendosi cosa significa co-
struire un’identità in un contesto sociale che non è quello di origine, in un am-
biente dove si realizza l’incontro-scontro tra culture spesso contrapposte. Essi
46
hanno quindi cercato di rispondere a questo interrogativo prendendo in considera-
zione le diverse problematiche legate all’attuarsi di questo processo.
1) Significa anzitutto vivere questo processo in mancanza di forti modelli di iden-
tificazione. In via generale, infatti, il modello identitario familiare risulta de-
bole, rappresenta valori e tradizioni diversi da quelli della cultura dominante,
che per di più occupano una posizione marginale nel nuovo contesto di inseri-
mento. Spesso il minore di origine migratoria è portato a svalutare le figure ge-
nitoriali e la propria origine; al tempo stesso la cultura autoctona, che certa-
mente esercita una forte attrattiva sul ragazzo, non è in grado di colmare del
tutto il suo bisogno di identificazione e di certezze poiché può rivelarsi ostile o
semplicemente poco conosciuta.
2) Significa poi vivere questo processo in modo decisamente differente dal gruppo
dei pari autoctoni, dal momento che i cambiamenti somatici, psichici e sociali so-
no in qualche modo marcati etnicamente e culturalmente. Ciò che rende ulterior-
mente difficile questa fase di crescita per i minori immigrati è le concomitanza
tra la “crisi” adolescenziale e il processo di elaborazione dell’esperienza migra-
toria dovuta al contemporaneo senso di appartenenza a più mondi. L’impatto con
la nuova realtà e con i relativi valori e codici comportamentali e sociali trova in-
fatti i minori immigrati quasi sempre impreparati, se messi a confronto con i co-
etanei autoctoni. Tutto questo provoca una condizione conflittuale profonda di ti-
po culturale che s’innesca su un vissuto psicologico fatto già di abbandoni e di
estraneità rispetto ai differenti contesti socio-culturali sperimentati lungo la fase
della crescita evolutiva. L’adolescente vive così in una posizione di debolezza e di
vulnerabilità: una personalità ancora in costruzione unitamente ad una cultura
d’origine che non è né radicata né assimilata lo rendono privo di quelle difese per-
sonali e culturali che in via generale permettono di affrontare il mutamento cultu-
rale senza particolari traumi e alterazioni dell’identità individuale. Ne consegue
che nella maggior parte dei casi questi adolescenti rimangono nell’impossibilità
di padroneggiare la nuova realtà e l’esperienza che stanno vivendo, condizionati
da una serie di ostacoli a livello socio-culturale oppure, qualora si schierino dalla
parte dalla cultura dominante, aderendovi mediante adeguamenti acritici e mec-
canismi di mantenimento. Ne deriva così una posizione personale e culturale con-
fusa, in bilico tra due culture, senza che né l’una né l’altra contribuiscano effica-
cemente alla costruzione di una propria identità e, quindi, della personalità.
3) Significa inoltre affrontare la crisi adolescenziale con pochi o nessun aiuto
esterno, data la difficoltà a comunicare i propri disagi e le proprie difficoltà sia
in famiglia che nel gruppo dei pari e con gli adulti di riferimento, in genere
“esponenti” della cultura autoctona (insegnanti, educatori…).
4) Infine significa elaborare e collocare il proprio percorso di vita, compreso
quello che nell’esperienza migratoria viene definito shock culturale (il primo
reale incontro con l’ambiente degli autoctoni), in una condizione di precarietà
e incertezza non solo rispetto al presente ma anche rispetto al futuro.
47
Ne consegue, concludono gli autori, che la crescita psicologica degli adole-
scenti di origine migratoria dipende soprattutto dalla loro capacità di saper nego-
ziare una grande quantità di stimoli. Se attraverso un processo di integrazione tra
due o più culture essi riusciranno a comprendere, ad accettare e a padroneggiare le
situazioni, essi si troveranno con una maggiore ricchezza culturale, poiché grazie a
questo processo di elaborazione essi potranno mantenere un rapporto attivo sia con
il Paese d’origine che con quello di accoglienza, arrivando in tal modo a produrre
quella sintesi culturale che avrà una ricaduta diretta sulla costruzione di una propria
identità. Viceversa, nel caso in cui questi adolescenti non si trovano nelle condi-
zioni di farcela, rischiano di venire schiacciati tra più culture che possono essere
percepite inconciliabili, contrapposte, se non addirittura conflittuali, nei cui con-
fronti appare arduo esercitare un ruolo di mediazione data la posizione di debolezza
di chi si trova tuttora in una fase di crescita evolutiva.
1.2.2. Tra “terremoto identitario” e ricomposizione degli equilibri
Crescere come figlio di immigrati non è un compito facile sia per gli adole-
scenti che per i genitori. Questi ultimi hanno di fatto un ruolo educativo piuttosto
impegnativo e difficile poiché, oltre ad integrarsi o meno nella nuova cultura, de-
vono affrontare l’insieme di fattori legati ad una condizione economica de-
bole/precaria, a cui si accompagna spesso anche l’emarginazione sociale. Dal canto
suo l’adolescente di origine migratoria, specie se nato nel Paese di arrivo dei geni-
tori, si trova a gestire una scelta che non ha fatto, quindi la subisce come scelta
degli “adulti”, nei confronti della quale si trova a non essere sufficientemente “at-
trezzato” per gestirla psicologicamente.
A questo riguardo tuttavia Mazzetti (1996, 119ss.) fa la distinzione tra due ti-
pologie di adolescenti immigrati: quelli nati nel Paese di origine dei genitori e suc-
cessivamente arrivati nel nuovo Paese per ricongiunzione familiare, e quelli nati
nel Paese dove i genitori sono immigrati.
1) Nel primo caso, gli adolescenti giunti in tenera età nel nuovo Paese il pro-
blema del collocarsi all’interno dello stesso risulta ancor più complesso,
poiché non hanno sperimentato una condizione precedente ed inoltre vengono
a trovarsi proprio nel periodo di costruzione dell’identità per cui si considerano
ancora come facenti parte della cultura di origine, mantenendone il senso di
continuità. Al tempo stesso la loro condizione si presenta assai differente da
quella dei genitori: non hanno scelto loro di emigrare, la migrazione l’hanno in
qualche modo subita; di conseguenza non hanno avuto l’opportunità di far cre-
scere dentro di sé quelle motivazioni che hanno alimentato la scelta migratoria
dei loro genitori. In altri termini, non hanno ancora elaborato/maturato quel
progetto di vita che ha trainato i loro genitori a “scommettere” il proprio fu-
turo”altrove”. Succede così che questi adolescenti si trovano a vivere una posi-
zione di “cerniera” tra più culture, col rischio di rimanerne schiacciati per es-
sere, per un verso, portatori di tradizioni culturali e familiari estranee a quelle
48
locali e, per l’altro verso, per essere pressati da richieste di integrazione nel
nuovo ambiente (a scuola, dal gruppo di amici, nell’impatto con gli eventi
della quotidianità…), le quali spesso sono in aperta contraddizione con il loro
patrimonio culturale. Tutto questo ha un costo che può portare alla chiusura e
all’isolamento: il fatto stesso di non aver fatto in prima persona la scelta di
emigrare li pone in condizione di debolezza e/o di minore autonomia in merito
alle scelte sul loro futuro. Il Rapporto sulla condizione dell’Infanzia e
dell‘Adolescenza in Italia (1997, 382) ha definito questa condizione un “terre-
moto identitario” e, in quanto tale, non può non avere una ricaduta diretta sul
processo di “ri-aggiustamento identitario” con cui prima o poi dovranno con-
frontarsi gli adolescenti immigrati.
2) Per quanto riguarda invece quegli adolescenti che sono nati nel Paese dove i loro
genitori sono immigrati, effettivamente essi sono da considerare degli autoctoni a
tutti gli effetti, soprattutto dal punto di vista psicologico; il Paese di arrivo dei ge-
nitori è di fatto la “loro terra”, perché qui sono nati e cresciuti, e non è raro che
parte di essi non conoscano neppure il Paese d’origine dei genitori se non attra-
verso i loro racconti. Si tratta di una problematica che non va affatto trascurata,
in quanto aiuta a delineare il processo di integrazione tra questi mondi/culture al-
l’interno di un quadro più complesso. Per questi “immigrati-autoctoni” infatti il
dramma nasce quando arrivano a scoprire (attraverso vari eventi della vita, in ge-
nere nella fase della socializzazione secondaria) che il mondo che gira intorno a
loro non li riconosce più come “autoctoni” in quanto si sentono trattati in modo
diverso sia sul piano relazionale (dal gruppo dei pari), che su quello civile (spesso
dovuto alla mancanza di cittadinanza) e culturale (insegnanti ed altre figure dei
sistemi formativo-educativi…). È allora che scoprono di essere “diversi” da quei
loro coetanei che finora hanno sempre considerato alla “pari”; è allora che pren-
dono coscienza di avere la pelle di un altro colore, che scoprono di avere meno
cose dei coetanei e che la loro abitazione è più povera. A questo punto lo spazio
relazionale intorno a loro si fa sempre più ristretto, si sentono emarginati e perfino
“stranieri” a casa propria. Questa esperienza il più delle volte fa sì che essi ten-
dano a chiudersi in se stessi, ad emarginarsi dai compagni autoctoni e a ripiegarsi
unicamente sul gruppo etnico di appartenenza.
1.2.3. Sentirsi “stranieri” a se stessi
Dopo aver distinto le due tipologie di adolescenti immigrati, per completare
l’analisi della problematica sull’immigrazione è necessario soffermarsi ad analiz-
zare anche la profonda differenza che c’è tra chi decide di emigrare e chi è costretto
a farlo. Questa ultima è spesso la situazione che vivono gli adolescenti che si tro-
vano ad emigrare senza avere fatto la scelta. La differenza tra queste due situazioni
è sostanziale: chi ha scelto volontariamente di emigrare lo ha fatto in base ad una
motivazione che in qualche modo è all’origine di un progetto di vita; mentre gli
adolescenti, nati e cresciuti nel Paese di arrivo dei genitori o arrivati lì in tenere età,
49
spesso si trovano nella condizione di coloro che non hanno scelto di emigrare e una
tale condizione esercita indubbiamente un peso nelle scelte e nell’esperienza di vita
attuale e futura.
Algini-Lugones (1999, 82ss.) fanno osservare che quegli individui che in età
adolescenziale hanno lasciato il proprio Paese d’origine per ricongiungersi ai fami-
liari parlano di un vissuto di estraneità, di un’ipoteca sulla propria vita e dell’im-
possibilità di poter intravedere un futuro diverso. È come una sorta di impotenza
che colpisce alla base le funzioni vitali della propria esistenza. Gli autori rappor-
tano questa condizione a quanto riteneva Freud, secondo il quale l’inconscio è in
rapporto con l’estraneo che c’è in noi, la parte di noi sconosciuta che abbiamo dif-
ficoltà a vivere. Sembra che colui che emigra si trovi a sperimentare questa parte
estranea di sé nel Paese in cui in qualche modo è stato costretto a vivere. L’immi-
grato infatti parla spesso del sentimento di estraneità che lo invade, di una nostalgia
che non si ferma mai. Questa nostalgia di stare “là” mentre sta “qui” è paragonabile
al lutto, perché viene per rievocazione dell’oggetto perduto.
Il termine nostalgia viene dal greco ed è la combinazione di due termini: no-
stos (il ritorno) e algos (il dolore), dolore per il ritorno. Sebbene la parola rievochi
un forte desiderio della patria, nel caso di chi si trova nei processi migratori si può
ritenere che in essa si nasconda il dolore per un conflitto insolubile tra l’essere qui
e il voler stare là. Essa è quindi espressione di un mondo interiore composto da due
sponde, confinanti e al tempo stesso invalicabili in quanto, come è stato affermato
precedentemente, spesso viene a mancare quello spazio transizionale che è frutto
della ri-elaborazione di una propria identità nell’orientarsi verso una “terza
sponda”.
Gli autori fanno ancora osservare che gli adolescenti possono sentirsi “stranieri
a se stessi” in quanto l’oggetto dello spostamento di un legame perduto li porta alla
ricerca di un qualcosa che in qualche modo possa ricondurli alle proprie ra-
dici/origini; scaturisce da qui appunto il senso di nostalgia, ossia il bisogno di rin-
forzare continuamente la memoria, poiché si teme che l’oggetto del desiderio possa
andare perduto anche nel ricordo. Si tratta di una perdita temporanea per un lutto
che ha bisogno di alimentare continuamente il ricordo dell’oggetto perduto, poiché
la speranza di ritrovarlo non gli permette di introiettarlo e la paura di dimenticarlo
gli si prospetta come un vuoto incolmabile. Ne consegue quindi che nell’emigrato
non si può dare un’identificazione del tutto stabile né con la cultura del paese d’ori-
gine né con quella del Paese d’arrivo, poiché l’oggetto del desiderio è introiettato
nell’io come memoria precaria.
Anche altri autori (Bracalenti-Rossi, 1998, 81) hanno descritto l’immigrazione
come un processo di elaborazione del lutto avendo come base un processo suddi-
viso in tre fasi:
– nella prima fase, l’immigrato non comprende bene il significato dell’abbandono
della sua terra di origine e questa confusione gli provoca uno stato di shock cultu-
rale e di stupore;
50
– nella seconda fase, tende ad avere nostalgia e a idealizzare il Paese di origine e, di
conseguenza, soffre per l’avvenuto distacco;
– nella terza fase, l’immigrato comincia ad accettare il Paese di arrivo e a fare pro-
getti, tende cioè ad organizzarsi per costruire una nuova vita.
In precedenza si è detto che emigrare significa soprattutto perdere luoghi,
odori, suoni, contatti originari che costituiscono una sorta di involucro acquisito
con la nascita. Secondo Brunori-Tombolini (2001, 78), l’insieme di questi elementi
rappresenta l’esperienza sensoriale che facilita la costruzione della struttura e del
funzionamento psichico. L’apparato psichico, infatti, si organizza nella propria au-
tonomia soltanto mediante l’interazione sensoriale continua con l’ambiente che
mantiene e garantisce il senso di identità psichica e culturale dell’individuo.
Quando questo involucro culturale viene abbandonato si crea una separazione tra il
sé ed il contenitore; l’individuo rischia di non sapere più dove depositare ciò che
sperimenta, né a cosa legare l’identità soggettiva e la capacità di un corretto funzio-
namento mentale, in quanto viene meno la base del pensiero e del linguaggio, al
punto che una tale esperienza può essere paragonata a quella della depersonalizza-
zione.
Così pure il passaggio da un sistema di valori ad un altro può provocare
momenti molto difficili che possono costituire un fattore di rischio che a sua volta
può portare a esiti patologici; ed anche quando ciò si verifica solo parzialmente,
rimane pur sempre una frattura che lascerà un segno indelebile nella storia
dell’immigrato, costringendolo ad una relazione discontinua con l’ambiente e con
la sua storia. In questa situazione la persona entrerà in crisi quando non riuscirà ad
integrare modelli culturali tra loro distanti e si dimostrerà incapace di dare senso
alla nuova condizione in cui verrà a trovarsi. Il fallimento di questa integrazione
produrrà a sua volta una inevitabile lacerazione nella psiche e una crisi d’identità,
con conseguenti disturbi sul processo di identificazione e di sviluppo della
personalità.
E tuttavia man mano che il senso di appartenenza al Paese di arrivo diventa più
forte l’immigrato può riuscire a superare lentamente il lutto dovuto al distacco, so-
prattutto se elabora tale lutto diventando consapevole di ciò che prova e dei senti-
menti che inizialmente aveva represso. In questo modo mentre incomincia il gra-
duale e lento processo di integrazione egli sarà in grado di tornare a relazionarsi
con il proprio passato, rivisitando il Paese d’origine idealizzato con una visione più
realistica. Ciò gli faciliterà il superamento dallo stadio di lutto permettendo di con-
ciliare dentro di sé i diversi mondi.
1.3. L’adolescente immigrato tra crisi e ricerca d’identità
Alla luce di quanto finora analizzato, è indubbio che il rapporto tra l’età evolu-
tiva e l’origine migratoria presenta aspetti e sfaccettature assai complesse, ai fini
del processo di costruzione dell’identità nell’adolescente di origine migratoria. La
51
risposta all’interrogativo “chi sono io” e “chi voglio essere” dipenderà quindi del-
l’acquisita capacità di lettura e di valutazione nei confronti dei mondi con i quali è
in contatto, ma anche dalla capacità dei genitori di integrarsi, di contenere e filtrare
“il nuovo” per trasmetterlo ai figli.
Possiamo quindi comprendere le difficoltà che un tale processo implica nel
corso dell’adolescenza, se si considera che egli non solo deve fare un grande sforzo
sul piano della realtà per integrarsi nel nuovo Paese con culture, costumi, lingua
differenti dalla propria, ma deve inoltre lavorare sul piano intrapsichico per reinte-
grare il proprio mondo interno destabilizzato dal “nuovo mondo”. Nel suo tentativo
di essere se stesso, l’adolescente di origine migratoria dovrà perciò fare i conti non
soltanto con forti esperienze emozionali del passato, ma soprattutto con le espe-
rienze attuali che possono contribuire ad integrare o a disintegrare la sua mente
che, in piena fase del processo evolutivo, vive già di per sé un momento di “crisi”,
la cosiddetta crisi adolescenziale, quale passaggio indispensabile per la progressiva
acquisizione di una propria identità.
1.3.1. Tra “sradicamento” e “sfida” per elaborare il cambiamento
Al centro della storie e dei vissuti migratori è certamente rilevante il tema del
viaggio e della “transizione”da un luogo all’altro, da una cultura all’altra, da un
contesto identitario all’altro. Nel presente caso si tratta di adolescenti soggetti ad
una altalena di identificazioni, destinati ad incassare i colpi della vita poiché
spesso si trovano in un luogo e/o in uno “spazio” del tutto nuovo senza averlo
voluto, senza aver potuto fare una scelta né un progetto, motivo per cui la ricerca
di una propria identità potrebbe rimanerne segnata in maniera profonda.
“Appartenenze pendolari” nell’identificarsi talora con la cultura di origine, talora
con quella degli autoctoni, talora con altre culture con cui entrano in contatto,
esasperando il senso di estraneità nei confronti di un po’ tutte; disagio espresso
anche attraverso manifestazioni di ritardo scolastico e di assunzione di comporta -
menti a rischio.
Alla luce di queste dinamiche gli adolescenti di origine migratoria possono es-
sere definiti dei viaggiatori perenni di un viaggio iniziato però da altri. A questo ri-
guardo Favaro (1998, 9) fa osservare che un tale passaggio si colora di connota-
zione e accenti differenti a seconda della generazione dei padri o dei figli:
– per gli adulti e/o i genitori, la direzione del viaggio si delinea in modo preciso in
senso sia spaziale che temporale, in quanto è scandita dai momenti della partenza,
dell’arrivo, dell’andare e venire tra due luoghi connotati da riferimenti, eventi,
“pezzi” di storia personale, da un prima e un dopo ben delineati, che scandiscono
le tappe della biografia e del progetto di vita all’interno di un vissuto fatto di no-
stalgia e che, pur attenuandosi nel tempo e diventando da ferita cicatrice, restano
un compagno di cammino sempre presente;
– invece per gli adolescenti l’emigrazione più che una esperienza vissuta diventa
una dimensione esistenziale; sullo sfondo vi è un “altrove” che per alcuni può re-
52
stare per molto tempo sconosciuto, indefinito, inesplorato; per altri, un luogo im-
maginario da idealizzare/vivere come premio (“se vado bene a scuola farò le ferie
al Paese d’origine dei miei genitori…”); mentre per altri ancora può rappresenta-
re un luogo di rifugio e/o di contenimento nel quale andare/tornare a vivere.
Ora affinché questi adolescenti diventino essi stessi protagonisti del “loro”
viaggio occorre che arrivino ad integrare la “frattura” che si è prodotta nella loro
storia ripercorrendo a ritroso il progetto familiare al fine di modificarlo o anche tra-
dirlo, se necessario; in pratica, per ricomporre la frattura diventando protagonisti
della propria storia occorre che questi adolescenti riescano a far riconciliare la
storia migratoria familiare con la traiettoria della propria vita.
Nel caso in cui gli adulti non abbiano ancora elaborato il distacco e la loro per-
manenza nel nuovo Paese resti contrassegnata da rimpianti e dalla nostalgia, sa-
ranno i figli a dover compiere il cammino di separazione per poter appartenere,
senza però negare la storia e le radici familiari, al Paese nel quale stanno crescendo
e costruendo il loro futuro. Per questi adolescenti, infatti, qualunque sia la causa
della loro presenza nel nuovo Paese il momento dell’accoglienza si rivela fonda-
mentale, in quanto rappresenta una sorta di “imprinting” sul quale modellare quelle
rappresentazioni che segneranno le successive tappe del progressivo inserimento
verso l’integrazione. È chiaro a questo punto che l’inserimento nella nuova realtà
richiede all’adolescente di mobilitare grandi risorse di adattamento per far fronte
alle sfide che si impongono.
L’intreccio tra sfide e risorse costituisce quindi lo sfondo su cui costruire ed
elaborare il cambiamento. Esso va individuato in tutto ciò che tende a rompere l’e-
quilibrio precedente e a spingere verso l’assunzione di nuove responsabilità e com-
petenze, per rispondere al nuovo e all’incognito che emerge dall’orizzonte della
propria storia familiare e personale.
Le risorse o i cosiddetti “fattori protettivi” in questo caso sono costituiti dalle
capacità di cui uno dispone, dalle riserve spirituali che possiede, dalle attitudini a
reagire adeguatamente alle difficoltà, dalle forme di aiuto messe in moto dalla fa-
miglia e dal contesto sociale di riferimento (istituzioni, gruppi, appartenenze…).
Sfide e risorse si presentano così indissolubilmente connesse nella vita degli adole-
scenti/giovani di origine migratoria. Il rischio e la vulnerabilità possono emergere
laddove la relazione tra sfide e risorse non trova un sufficiente equilibrio, ossia
quando la portata delle sfide è troppo elevata e l’adolescente per trovare risposte
adeguate non usufruisce di ancoraggi in grado di integrare le risorse individuali con
quelle collettive provenienti dal contesto di appartenenza.
Le sfide a cui gli adolescenti immigrati devono far fronte mediante risposte
adattive almeno in parte sono le stesse dei loro coetanei e riguardano anzitutto i
compiti di sviluppo connessi al diventare adulti, alla ricerca di autonomia, alla co-
struzione di identità a partire da molteplici contesti di appartenenza. Tuttavia Fa-
varo (1998, 9ss) fa presente che agli adolescenti di origine migratoria si richiede
più specificamente di:
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– inserirsi nel nuovo Paese/contesto senza “perdersi”, ossia ricercando l’unità del sé
nelle diverse situazioni;
– imparare una nuova lingua e, insieme ad essa, un nuovo modo di rappresentare il
mondo e la realtà circostante;
– sapersi ri-orientare nel tempo e nello spazio;
– arrivare a mantenere dentro di sé un equilibrio tra le aspettative esplicite ed im-
plicite della scuola e della famiglia, spesso divergenti, se non apertamente con-
flittuali;
– saper fronteggiare le forme più o meno marcate di rifiuto, esclusione, categoriz-
zazione sociale sfavorevole;
– essere in grado di affrontare l’ambivalenza dei sentimenti tra il “qui” e l’“altrove”,
l’incerto senso di appartenenza tra il Paese di origine e quello di immigrazione;
– saper gestire eventuali conflitti familiari ed intergenerazionali causati dai diversi
modi di vivere nella pratica valori e rappresentazioni proprie della cultura di ori-
gine;
– trovare il proprio posto nel mondo/ambiente circostante senza cedere al-
l’“illusione del gruppo” e senza assoggettarsi ad essere “come gli altri vogliono
che sia”, negando identità e differenze;
– progettare il futuro senza farsi sommergere dalla provvisorietà e dalle difficoltà
del presente.
Sfide molteplici, quindi, che implicano una forte dose di risorse e di energia e
a cui questi adolescenti devono rispondere quasi sempre in grande solitudine, tra
una famiglia che chiede loro “di rimanere fedeli” alla tradizione familiare e una so-
cietà che viceversa chiede di appartenere al “qui e ora”, svalorizzando di fatto la
cultura di appartenenza. A questo riguardo Favaro (1998, 16ss.) fa ancora osservare
che la soluzione a tali sfide dipende da fattori, quali:
– il processo di elaborazione del lutto;
– il tipo di relazione che esiste tra famiglia immigrata e i servizi offerti dalla società
di accoglienza;
– l’attenzione che viene riservata a questi adolescenti dalle istituzioni pubbliche;
– e in particolare i progetti di formazione destinati a questi nuovi cittadini.
1.3.2. Alla ricerca di meccanismi compensatori di fronte allo sradicamento
Sono molti gli adolescenti sradicati dai propri Paesi per le ragioni più dis-
parate; nel presente studio l’attenzione viene concentrata soprattutto sul disagio
psichico che provoca lo sradicamento e come il soggetto risponde mediante rea-
zioni tipiche di difesa e/o di attacco.
In precedenza si è visto come il processo di sradicamento collochi l’adole-
scente in una condizione di difficoltà sia in relazione a se stesso sia con il nuovo
mondo. Per fare fronte a questa situazione egli deve mettere in atto tutta una serie
di strategie e di risorse individuali, quali: imparare la nuova lingua, riorientarsi nel
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tempo, nello spazio, nella nuova realtà, saper gestire eventuali conflitti familiari ed
intergenerazionali, affrontare l’ambivalenza, che è una delle caratteristiche princi-
pali delle migrazioni. La realizzazione di tutto ciò richiede di investire molte
energie e risorse personali. Di conseguenza occorre individuare quali possono es-
sere quei meccanismi compensatori che aiutano gli adolescenti a far fronte a questo
processo di sradicamento.
L’adolescente che vive un processo di sradicamento cercherà infatti delle stra-
tegie per porre fine/rimedio al dolore derivante dal vivere in prima persona il
dramma della scissione.
Alcuni studiosi (Brunori-Tombolini, 2001, 78; Demetrio et al., 1990) ritengono
che il processo di estraniazione provocato dallo sradicamento può condurre gli ado-
lescenti a non essere più se stessi, rendendo così la loro esistenza disarticolata e im-
plosa all’interno di una specie di “limbo” dove non sentono di appartenere né ad
una cultura né all’altra. Il sentimento di perdita, separazione e lacerazione sembra
costituire lo sfondo inespresso della condizione interiore dell’immigrato, il quale la
manifesta attraverso un rapporto complesso e contradditorio con la propria me-
moria e con il proprio presente.
Rapportando questo stato interiore al vissuto di quegli adolescenti che sono
stati “strappati” dall’ambiente/cultura di origine nel pieno della fase evolutiva, De-
metrio (Demetrio et al., 1990, 151) sostiene che essi, una volta giunti nel nuovo
Paese, sembrano andare incontro a maggiori difficoltà nel processo di identifica-
zione. Nei loro confronti si evidenziano, infatti, incapacità di autodefinizione,
dubbi e sfiducia in se stessi, ansia dovuta alla mancanza di identificazione; tutti fat-
tori che portano poi alla ricerca di modelli di riferimento eteronomi, di posizioni
culturali confuse, di prospettive future incerte. L’autore spiega un tale disorienta-
mento in base alle seguenti motivazioni:
a) influisce la lunga separazione dai genitori durante l’infanzia e la preadolescen-
za, periodi considerati decisivi per arrivare successivamente ad autodefinirsi ri-
spetto alle figure parentali; gli adolescenti che hanno subito questa separazione
hanno avuto modelli deboli di riferimento e, di conseguenza, hanno investito i
genitori di sentimenti conflittuali per il senso di abbandono provocato; dopo es-
sere arrivati nel nuovo Paese ha preso sopravvento in loro un processo di svalo-
rizzazione dell’immagine ideale che avevano dei genitori, motivo per cui questi
ultimi non vengono più a rappresentare un punto di riferimento significativo e
autorevole nella successiva fase di crescita/maturazione della personalità;
b) risulta determinante inoltre il processo di acculturazione veicolato/
condizionato dagli stili di vita presenti nella nuova società, in genere acquisiti
attraverso i canali della scolarizzazione obbligatoria e, in particolare, attra-
verso il gruppo dei pari e altri ambiti della socializzazione secondaria.
Altri studiosi (Mazzetti, 1996, 24; Besozzi, 1999, 146) vedono nello sradica-
mento un fenomeno vissuto dall’immigrato in modo ancora più traumatico, per cui
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si chiedono se il soggetto che subisce questa frattura non vada incontro prima o
poi ad una situazione patologica. Tra le diverse emozioni e rappresentazioni dello
sradicamento psicologico (ad esempio il blocco della capacità di rappresentazione,
la confusione nei confronti del tempo e dei luoghi, la nostalgia…), è il sentimento
di “estraneità a se stessi” a caratterizzare particolarmente la condizione di “sradi-
cato”. Lo sradicamento infatti inficia la riorganizzazione dell’io, provocata dalla
rottura del processo di continuità nella costruzione dell’identità, rafforzando il
senso della scissione e facendo emergere di conseguenza in colui che subisce
questa specie di “mutilazione” il sentimento di “estraneità a sé stessi”. In altri ter-
mini, una parte del sé viene percepita come non-io, rimane in ombra e non identi-
ficabile col resto del proprio sé, per cui si preferisce ignorarla, anche perché può
risultare difficile tollerarla a causa del senso di disagio e di sofferenza che una tale
lacerazione provoca.
Più precisamente Mazzetti (1996, 71ss.) si chiede cosa significhi in pratica per
un giovane di origine migratoria costruire una propria identità in un ambiente che
non è quello d’origine, in un contesto dove si realizza l’incontro e il confronto tra
due e più culture spesso in contrapposizione. L’autore ha cercato di rispondere a
questo interrogativo partendo dal presupposto che il processo di “sradicamento” è
dovuto essenzialmente alla mancanza di forti modelli di identificazione. Tale man-
canza a sua volta va attribuita alla “debolezza” del modello familiare di riferi-
mento, in quanto rappresenta valori e tradizioni differenti da quelli della cultura do-
minante, e occupa una posizione marginale nel nuovo ambiente di inserimento. Di
conseguenza l’adolescente di origine immigrata il più delle volte è portato a svalu-
tare le figure genitoriali e la propria origine. Ma può anche succedere che la cultura
maggioritaria, che inevitabilmente viene ad esercitare una certa attrattiva sul ra-
gazzo, non è capace a sua volta di colmare il bisogno di identificazione di cui ne-
cessita in questo particolare momento dello sviluppo, anche perché poco cono-
sciuta e/o considerata talora ostile. Ne consegue che questo senso di estraneità a se
stessi tenderà ad aumentare ulteriormente.
Inoltre l’autore fa ancora presente un altro elemento fondamentale nel mondo
dell’immigrazione che consiste nel bisogno di essere riconosciuti. Il bisogno di ri-
conoscibilità, che caratterizza ogni essere umano, indipendentemente dalla cultura
di appartenenza, risulta essere assai problematico negli adolescenti in generale,
dato il loro ingresso nei processi di socializzazione secondaria, ma lo diviene ancor
più tra quelli della seconda generazione di origine migratoria, i quali si trovano
nella necessità di dover risolvere quanto prima il complicato rapporto-conflitto tra
il proprio passato (e/o con il Paese di origine) e il presente (e/o con il Paese ove ri-
siedono). Il bisogno di essere riconosciuti implica infatti un certo livello di consa-
pevolezza della propria appartenenza ad un gruppo etnico (autodefinizione etnica)
e chiama in causa soprattutto i processi della categorizzazione sociale. In quanto
tale, costituisce un presupposto indispensabile per lo studio dell’identità etnica. Gli
adolescenti di origine migratoria infatti lungo il percorso di riconoscimento vanno
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inevitabilmente incontro ad un certo stress trans-culturale, e per poter colmare
questa situazione hanno bisogno di imparare a convivere e a saper negoziare tra
una grande varietà di stimoli. Essi crescono all’interno di più culture e, qualora ri-
escano a padroneggiare la situazione, si ritrovano con una maggiore ricchezza cul-
turale, assumendo dall’una e dall’altra; al contrario se non sono in grado di nego-
ziare rischiano di venire schiacciati tra due o più culture, percepite inconciliabili e
talora in conflitto tra loro.
L’insieme di tutti questi fattori porta pertanto a ritenere che per l’adolescente
di origine migratoria la difficoltà maggiore che incontra nell’inserirsi nel nuovo
contesto sociale consiste proprio nella capacità di saper gestire il confronto tra le
diverse culture e/o stili di vita. Non basta che apprendano una nuova lingua e/o
nuove conoscenze tramite il processo di scolarizzazione, essi hanno bisogno di ac-
quisire nuovi parametri comportamentali, devono adattarsi a norme sociali il più
delle volte sconosciute e talora difficili da comprendere, in particolare nei primi
tempi. Lo stress trans-culturale può condurlo perciò ad una forma di disorienta-
mento in quanto, mettendo in discussione i suoi valori tradizionali, lo costringerà a
cercare un “adattamento” partendo da una posizione di debolezza, sentendosi
ospite in casa d’altri (e il più delle volte ospite poco gradito), e avendo perso per di
più lo status sociale che possedeva prima.
1.4. Le quattro ipotesi di ricerca di una propria identità negli adolescenti di
origine migratoria
In che modo gli adolescenti/giovani di origine migratoria cercano di rispon-
dere alle sfide imposte dalla loro condizione puntando a costruirsi una identità
tutta propria?
Questa domanda se la sono posta alcuni studiosi (Favaro, 1999, 19; Besozzi,
1999, 28), partendo dal presupposto secondo cui gli adolescenti/giovani di origine
migratoria sono sottoposti ad un duplice processo di inculturazione e di accultura-
zione che, di fatto, determina una lacerazione dell’Io, diviso tra istanze culturali e
affettive di cui sono portatori i genitori e quelle presenti nel Paese di residenza,
spesso tra loro in conflitto. Questi adolescenti infatti sperimentano in prima per-
sona una certa contrapposizione tra la famiglia e la società in cui vivono (quasi
sempre in contrasto); si tratta di uno scontro tra mondi differenti per lingua, cultura,
valori e tradizione, tra i quali la comunicazione e lo scambio sono ridotti al mi-
nimo, oppure segnati da reciproci pregiudizi. In pratica, agli adolescenti viene affi-
dato l’arduo compito di mediare tra questi mondi lontani che, tra l’altro, tendono a
proporre modelli di identità assai diversi tra loro: la famiglia rischia di proporre
un’etnicità simbolica e talora mummificata e la società di accoglienza invece un’et-
nicità folklorica ma talora di esclusione.
Di conseguenza questi autori hanno individuato quattro possibili percorsi di ri-
cerca di identità negli adolescenti di origine migratoria.
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1) La prima soluzione può essere definita di resistenza culturale. L’adolescente di
origine migratoria fa riferimento prevalentemente o esclusivamente alla cul-
tura e all’identità etnica originaria di cui sono portatori i genitori, accettandone
i molteplici aspetti e riducendola all’indispensabile al momento dello scambio
e del confronto con l’esterno, mantenendo invece all’interno della famiglia
aspetti tradizionali molto radicati. Questo tipo di atteggiamento può, per un
verso, rafforzare l’identità originaria permettendo così all’adolescente di svi-
luppare una migliore autostima e di prevenire i processi di marginalizzazione;
ma per un altro verso può far sentire questi adolescenti ancora e/o comunque
stranieri nel Paese di residenza anche dopo che vi hanno trascorso diversi anni
della loro vita. Si tratta di un atteggiamento cosiddetto di resistenza culturale,
manifestato dagli adolescenti neoarrivati e/o che in genere viene adottato da
coloro che hanno sperimentato difficoltà e discriminazioni durante la prima
fase di inserimento. In questo caso più che una scelta la soluzione di chiusura
sembra essere obbligata e autodifensiva. Tale resistenza culturale si manifesta
inoltre in quegli adolescenti immigrati che hanno un forte attaccamento alle fi-
gure parentali oppure hanno vissuto per diversi anni nel Paese di origine con-
servando un legame affettivo con i familiari e con la gente del posto.
2) La seconda soluzione è opposta alla precedente e viene definita di assimila-
zione. In questo caso gli adolescenti di origine migratoria aderiscono piena-
mente alle proposte identitarie che vengono loro offerte dagli autoctoni e rifiu-
tano, anzi rinnegano tutto ciò che ha a che fare con la cultura di origine dei ge-
nitori (lingua, costumi, valori, tradizioni…), ritenendola residuale, inadeguata
e marginale rispetto alla cultura del Paese di arrivo, che invece viene interpre-
tata come sinonimo di cambiamento, libertà, emancipazione, investimento fu-
turo. Questo processo di assimilazione può presentare una rottura e un rinnega-
mento della propria cultura di origine; in ogni caso comporta comunque una
perdita di riferimento, con la conseguente momentanea crescita del senso di in-
sicurezza. È il caso, ad esempio, di quegli adolescenti di origine migratoria che
cercano di diventare il più possibile simili agli autoctoni, aderendo ai loro va-
lori e regole e uniformandosi acriticamente ai loro comportamenti. Un tale at-
teggiamento corrisponde a ciò che viene definito “adattamento omologante”,
con la conseguente adesione cieca ad una cultura dominante, che talora può ar-
rivare perfino ad interiorizzare certi stereotipi negativi pur di farsi accettare
dalla cultura dominante e di appartenere al gruppo dei pari. In tal caso si veri-
fica una sorta di “assimilazione verso il basso”, in cui il minore straniero ac-
cetta e/o può arrivare a giocare un ruolo che non gli è proprio quale prezzo da
pagare per sentirsi inserito in un sistema sociale che si presenta culturalmente
chiuso in quanto manca lo scambio e la reciprocazione (il nuovo arrivato deve
solo prendere e non può dare niente della propria cultura).
3) La terza soluzione viene definita di marginalità, ed è propria di chi si colloca
ai margini sia della cultura d’origine che di quella di arrivo. Davanti a proposte
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e ad aspettative identitarie in questi adolescenti di origine migratoria prevale
invece uno stato confusionale che si esprime, ad esempio, nella situazione del
semilinguismo, nella mancata padronanza del codice valoriale sia familiare
che di quello sociale del Paese di residenza. Si tratta della posizione dei cosid-
detti giovani immigrati “senza patria”, aggravata dal fatto di avere dei genitori
che vivono in una altrettanta condizione di forte precarietà, provvisorietà e in-
certezza progettuale, incapaci di decidere se vivere “qui” o tornare “laggiù”, da
dove sono venuti. Questa situazione di “stallo” si traduce a sua volta nei figli
in una dimensione psichica di smarrimento rapportabile all’immagine dantesca
di “color che son sospesi”.
4) La quarta soluzione del percorso di acculturazione viene definita della doppia
etnicità o dell’identità bilocata. Di solito è il risultato di un lento, graduale e
profondo processo di confronto tra due e più mondi, confronto che però non
implica risoluzioni definitive bensì è sinonimo di un adattamento e/o del ri-
comporsi di un certo equilibrio tra “chi sente il peso di troppa patria” e chi al
contrario vive la condizione del “senza patria”. In questo modo l’adolescente
arriva poco alla volta a costruirsi un’identità formata dall’integrazione delle
differenti culture e appartenenze.
2. IL CONTRIBUTO DELLA “SCUOLA” E DEI SISTEMI FORMATIVI NEI PROCESSI DI
INTEGRAZIONE DEGLI ADOLESCENTI DI ORIGINE MIGRATORIA 4
Per gli adolescenti della seconda generazione di origine migratoria la scuola
diventa il luogo centrale della relazione quotidiana con i coetanei, con il gruppo-
classe e con gli insegnanti. In questa relazione si giocano rapporti reciproci e talora
ambivalenti che oscillano tra accettazione, curiosità e rifiuto, tra rafforzamento
degli stereotipi e scoperta della ricchezza dei valori di ciascuno.
Favaro (1999, 21) osserva che è all’interno di questi rapporti che scaturisce
negli adolescenti di origine migratoria il bisogno di essere “riconosciuti”, ascoltati,
tenuti in considerazione, orientati, valutati, di conoscere quelle regole del gioco che
portano a percepire la scuola come uno “spazio transizionale” determinante ai fini
della realizzazione di sé.
Dal canto suo Cesareo (2004, 267) prende in considerazione il fenomeno pret-
tamente dal punto di vista educativo e interculturale: per gli insegnanti è una re-
sponsabilità nuova, che implica l’acquisizione di nuove competenze necessarie a
capire e a gestire la complessità dell’approccio. In questo senso, la formazione dei
docenti alla dimensione interculturale si presenta come un passaggio fondamentale
nel costruire una scuola aperta alla diversità e orientata a rispondere ai bisogni di
4 Si fa presente una volta per tutte che sotto il termine “scuola” si intende l’insieme dei sistemi
formativi, compresa ovviamente la Formazione Professionale.
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una società complessa. Trattare la differenza senza trasformarla in disuguaglianza
diventa la vera sfida di una scuola dove sono sempre più presenti alunni prove-
nienti da Paesi diversi per culture ed etnie. Viene così posta al centro la capacità da
parte degli insegnanti di assumere la dimensione socio-antropologico-culturale
come parte integrante del lavoro educativo.
Al tempo stesso l’autore non manca di evidenziare anche alcuni aspetti di criti-
cità; egli sostiene infatti che la scuola italiana ha affrontato impreparata l’arrivo
degli alunni immigrati a partire dalla metà degli anni ottanta, per cui oggi è urgente
rivisitare i propri modelli di gestione della didattica. Nonostante il fenomeno abbia
prodotto un inevitabile “effetto-specchio”, l’accoglienza del pluralismo culturale è
un processo che non si è ancora realizzato.
2.1. Scuola e vissuto relazionale
Favaro-Napoli (2003, 57ss.) hanno analizzato il fenomeno dell’inserimento
scolastico degli adolescenti immigrati facendo osservare che ancora oggi e soltanto
a loro viene richiesto uno sforzo di adattamento a nuove persone, ambienti, modi di
comunicare nel momento stesso in cui devono rinunciare agli amici e alle abitudini
familiari della cultura di appartenenza. Cosicché non sempre e/o non tutti sono in
grado di affrontare il cambiamento, con il rischio di alimentare processi di esclu-
sione e di marginalizzazione.
Per questi autori costruire delle relazione efficaci all’interno della vita quoti-
diana del gruppo-classe significa presentare attenzione a tre aspetti: ai valori, alle
informazioni, alle emozioni.
1) Attenzione ai valori. In pratica si tratta di dare significato alle esperienze di mi-
grazione, mentre in genere si pensa che chi emigra è un individuo che non ap-
partiene a nessuna comunità e quindi può essere facilmente inculturato, assimi-
lato alla cultura dominante. La scuola dovrebbe invece sottolineare la duplice
ricchezza che viene dal fatto di poter prendere il meglio da mondi culturali di-
versi e riconoscere il sano desiderio di emancipazione/sviluppo/cambia mento
che induce l’individuo ad emigrare. Questo bisogno di dare un significato posi-
tivo all’emigrazione infatti è particolarmente sentito negli adolescenti di origi-
ne migratoria ai fini di un loro peculiare percorso nel processo di costruzione
dell’identità. Il problema a questo punto consiste nel come tradurre in pratica
queste attenzioni. L’adolescente di origine migratoria può vivere la sua situa-
zione di bilingue come un limite o come una ricchezza, a seconda del tipo di
messaggio che la scuola e la società autoctona gli trasmette. Spesso per gli
alunni che devono apprendere la lingua italiana la lingua materna o di origine
viene considerata solo come un handicap, come uno svantaggio da superare ra-
pidamente. Ai genitori viene suggerito di parlare solo in italiano, nella convin-
zione di facilitare nel figlio l’apprendimento della nuova lingua. La lingua del
Paese di origine dovrebbe essere considerata invece come un risorsa che favori-
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sce uno sviluppo intellettivo armonico, in quanto chi impara l’italiano usa, per
tale apprendimento, le competenze metacognitive del linguaggio sviluppate
nella prima. Pertanto se lo sviluppo linguistico-cognitivo nella lingua materna
viene bloccato, in quanto lingua svalutata, ciò può influire negativamente anche
sullo sviluppo cognitivo generale. E’ importante quindi riconoscere il valore
anche della lingua di origine, che non deve sparire per fare posto alla lingua de-
gli autoctoni, quanto invece costruire l’ancoraggio, le fondamenta sulle quali
far crescere le nuove cognizioni acquisite. L’adolescente deve percepire che la
scuola non disprezza la sua lingua, che nessuno gli chiede di dimenticarla. Tale
aspetto è molto significativo soprattutto per coloro che arrivano con un percor-
so scolastico già compiuto nel Paese d’origine. Valorizzare la lingua materna
diventa in sostanza un messaggio molto importante, di disponibilità e acco-
glienza, ma soprattutto di “riconoscimento” del suo valore culturale.
2) Attenzione alle informazioni. Scambiare informazioni, all’interno di una rela-
zione positiva, diventa un momento importante per ridimensionare stereotipi e
pregiudizi e permettere la crescita di entrambi gli interlocutori in interazione,
soprattutto quando lo scambio avviene tra persone che crescono all’interno di
un ambiente deputato a “fare cultura”. In questo caso prestare attenzione al-
l’informazione significa perciò costruire un ponte comunicativo tra culture che
si riconoscono alla pari, per cui l’interscambio diventa fondamentale perché dà
il segnale di come si potrà sviluppare in seguito anche la relazione tra i sistemi
formativi e la famiglia.
3) Attenzione alle emozioni. Riconoscere e legittimare le proprie emozioni e
quelle degli altri è il primo passo per costruire una relazione autentica. Si tratta
di allenarsi a riconoscere le proprie emozioni e il significato che esse hanno
nella relazione con l’altro. Prestare attenzione alle emozioni può diventare un
esempio di attività didattica integrata, dove l’obiettivo è quello di sviluppare le
competenze nell’uso della struttura comunicativa della lingua scritta. Ad
esempio, agli alunni di origine migratoria si può chiedere di raccontare se
stessi (interessi, progetti, storia personale, amici, famiglia, il proprio Paese…)
attraverso l’uso di immagini, fotografie, musiche, suoni, testi, cibi, feste,
danze…; in questo caso si provoca un intervento di tipo interattivo, in quanto
consente la comunicazione tra insegnante e alunno di origine migratoria e tra
quest’ultimo e gli alunni autoctoni anche quando le competenze nell’italiano
sono ancora molto scarse. Nel raccontare se stessi i ragazzi ricostruiscono il
proprio passato, le radici strappate alla propria terra, e al tempo stesso condivi-
dono con adulti e compagni quelle emozioni che le immagini e i racconti evo-
cano.
Tutto questo, fanno ancora presente gli autori, induce a riflettere se e come tra-
sformare l’incontro tra culture diverse nella scuola partendo dal problematizzare il
concetto stesso di relazione. In primo luogo si tratta di impegnarsi reciprocamente
nel superare una rappresentazione “distorta” che potrebbe avere la famiglia immi-
61
grata nei confronti della scuola e viceversa. Le famiglie immigrate, infatti, elabo-
rano aspettative e speranze per le crescita e l’inserimento dei loro figli, palesano
esigenze, rivolgono alla scuola delle richieste che a volte possono essere percepite
dagli insegnanti/formatori fuori luogo, estranee al proprio compito. Di conseguenza
spesso i genitori si sentono confusi, “sperduti” nel contatto con regole che non co-
noscono e non padroneggiano, quindi vulnerabili nella difficoltà di accompagnare
il passaggio del figlio dal mondo familiare al mondo della scuola, a loro stessi
estraneo. Per cui l’attenzione all’informazione, alla comunicazione e alla forma-
zione costituiscono all’interno dei sistemi formativi tre passaggi fondamentali per
acquisire le competenze necessarie e per capire e gestire la complessità in un ap-
proccio interculturale.
Per Demetrio-Favaro (1992, 16) un altro elemento da ponderare è quello della
simmetria dei rapporti, fare in modo cioè che queste differenze non si traducano in
disparità. Configurandosi la scuola come spazio di ascolto e di mediazione educa-
tiva, bisogna imparare a valorizzare le differenze in modo che si traducano in una
fonte di scambio e di arricchimento reciproco. In altre parole, l’interazione strate-
gica all’interno della scuola deve fare in modo che il confronto tra mentalità di-
verse dia luogo ad in innalzamento della conoscenza reciproca al fine di indivi-
duare forme di interpretazione e di comprensione del mondo al di là degli stereotipi
e dei pregiudizi su cui spesso si fondano.
Anche Luatti (Favaro-Luatti, 2004, 74) concorda che è tra i banchi di scuola,
in definitiva, che si gioca un reale processo di integrazione degli alunni immigrati;
una sfida che coinvolge tutti, docenti, studenti autoctoni e immigrati e relative fa-
miglie. Per questo sono stati fatti numerosi studi mirati alla comprensione dei modi
più significativi per inserire gli adolescenti nella vita della scuola, dal momento che
il sistema educativo è il luogo privilegiato e in un certo senso “anticipatore” delle
trasformazioni culturali in atto nei Paesi di arrivo degli immigrati.
2.2. Accogliere “chi”, accogliere “come”
In questi ultimi anni l’attenzione prevalente si è orientata soprattutto a definire
le modalità di accoglienza, nei sistemi educativo-formativi, dei figli di immigrati
nati o venuti successivamente nel Paese di arrivo dei genitori. Al punto che alcuni
(Favaro-Luatti, 2004, 78) sostengono che l’accoglienza deve diventare una vera e
propria “metodologia” nel facilitare l’inserimento dell’adolescente di origine mi-
gratoria, così da favorire il consolidarsi di una “cultura” disponibile e aperta al con-
fronto con l’alterità sia in termini solidaristici che dialettici.
Riguardo a questa tematica viene a proposito una recente indagine del CENSIS
(2008) sulla scolarizzazione dei minori di origine immigrata, circa 500.000, prove-
nienti da 191 nazioni, i quali costituiscono il 6% della popolazione scolastica italia-
na. L’indagine permette di ricostruire il quadro attuale nel modo in cui questi alunni
vengono accolti e inseriti nella scuola italiana e le problematiche al seguito. Secon-
do i ricercatori, infatti, l’ingresso in massa degli alunni stranieri ha portato ad acu-
62
tizzare i problemi endemici di cui soffre da sempre la scuola italiana, che vanno dal-
le carenze della formazione degli insegnanti, alla mancanza di attrezzature tecniche
e di supporti adeguati, alla prevalenza di una cultura “italo-centrica” e libresca, alla
debolezza di modelli innovativi, come l’autonomia scolastica e le forme di parteci-
pazione sociale delle famiglie. Un contributo positivo (se così si può definire) nel
fronteggiare il fenomeno viene invece dalla messa in atto di interventi cosiddetti
“volontaristici”, dove il singolo insegnante o, in qualche raro caso, la singola scuola
affronta in totale isolamento le problematiche con cui hanno a che fare per la sem-
pre più numerosa e variegata presenza degli immigrati nel gruppo-classe.
In merito a questa avvertita esigenza di cambiamento sono intervenuti ancora a
suo tempo Demetrio-Favaro (1992, 34), i quali hanno classificato l’accoglienza
come:
– una modalità di “pronto soccorso”, quando agisce per rendere meno gravoso il
primo impatto con il nuovo Paese;
– uno “stile professionale”, quando invece gli operatori che entrano in contatto
con adolescenti di origine migratoria si preoccupano di lasciare al nuovo ve-
nuto un’immagine “rassicurante” circa i compiti che li attendono;
– una “strategia” comunitaria riconducibile alle scelte delle forze rappresentative
della comunità civile di appartenenza.
Un clima di accoglienza si realizza nel momento in cui l’utente ritrova se
stesso nel servizio fornito dalla struttura in cui è inserito senza perdere i legami con
la propria biografia, lingua d’origine, esperienza accumulata, valori, tradizioni,
storia di vita. Iniziative mirate a formare all’accoglienza dovranno perciò essere in-
serite nella rete dei servizi dove sono presenti adolescenti/giovani di origine migra-
toria. Nella maggior parte dei casi succede invece che al neo arrivato si chiede di
adattarsi in fretta, di apprendere velocemente l’italiano ed i contenuti delle materie
studiate e di trovare senza troppi preamboli il proprio posto all’interno del gruppo-
classe. Di conseguenza a questi adolescenti non rimane altro che cercare di attivare
tutte le risorse possibili per rispondere a queste richieste, al fine di un rapido e ade-
guato inserimento nella struttura che espleta il servizio. Cosicché molte emozioni
restano senza voce sullo sfondo di questo “viaggio simbolico” che attraversa i con-
fini e scompone gli affetti; i vissuti di perdita e le nostalgie non trovano perciò
quasi mai il modo di esprimersi fino in fondo perché sono relegate nel silenzio e
nella solitudine e costrette a essere rinchiuse entro brevi spazi temporali.
E tuttavia dovrebbe essere proprio all’interno dei contesti scolastico-formativi
che si gioca prioritariamente la sfida interculturale, dal momento che è ad essi che
viene richiesto di costruire condizioni favorevoli perché qui trovino spazio anche i
bisogni e le aspettative degli alunni e della famiglie immigrate. Per dirla con Fa-
varo (1999, 22), accogliere significa perciò fare in modo che gli alunni, indipen-
dentemente dalla loro appartenenza etnica, diventino a tutti gli effetti membri cor-
responsabili della comunità educativa e che la relazione educativa a sua volta sia
63
una dimensione costitutiva della vita della scuola. Pertanto accogliere le persone di
differenti etnie significa costruire nella scuola un clima ottimale in cui tutti possono
ritrovarsi bene, senza ignorare le differenti appartenenze e soprattutto senza avere
complessi di inferiorità.
Partendo dal presupposto che l’accoglienza è una dimensione interculturale
Favaro-Luatti (2004, 79) fanno presente che essa non si esaurisce in dichiarazioni
di principio e neanche in atteggiamenti affettivi e comportamenti personali più o
meno spontanei, ma costituisce una scelta educativa e pedagogica con importanti e
significativi risvolti sul piano didattico e organizzativo. Ne consegue che la scuola
affinché possa considerarsi “accogliente” deve cercare di riconoscere e di dare ri-
sposte, per quanto è possibile, a bisogni e aspettative specifiche dei suoi alunni,
nella consapevolezza che lo sviluppo e l’evoluzione della loro identità dipendono
anche dalle opportunità che essa offre nel renderli protagonisti.
Al tempo stesso Favaro (1999, 28) si chiede come fare effettivamente acco-
glienza, nella scuola di/per tutti, senza negare le storie e le appartenenze di cia-
scuno, come costruire orizzonti e progetti comuni a partire da radici e biografie dif-
ferenti. In risposta l’autrice riassume in tre parole chiave le attenzioni pedagogiche
da promuovere per far sì che l’inserimento degli adolescenti di origine migratoria
all’interno dei sistemi formativi rappresenti il primo passo per l’integrazione e lo
scambio interculturale: esse riguardano l’accoglienza, l’attenzione allo sviluppo
linguistico e l’approccio interculturale. Pertanto secondo l’autrice una scuola che
accoglie:
– è attenta alle modalità comunicative, alle qualità relazionali e al “clima” della
classe;
– si relaziona con la famiglia, informa i genitori immigrati utilizzando là ove
possibile anche la loro lingua, promuove momenti di incontro tra i genitori;
– cerca di rimuovere gli ostacoli burocratici che rendono difficile l’accesso;
– opera per dare pari opportunità a tutti;
– rende esplicite le sue regole ed è disponibile a negoziare.
Inoltre l’autrice fa presente che l’apprendimento e lo sviluppo della seconda
lingua in questi adolescenti deve stare al centro dell’azione didattica e prevedere
modifiche nelle modalità organizzative; così pure è di fondamentale importanza
che la scuola promuova in questi alunni le capacità di narrare, di raccontare e di
esprimersi, favorendo il loro sviluppo cognitivo nel riconoscere e valorizzare le
loro risorse linguistico-culturali. Soltanto allora si può dire che l’approccio inter-
culturale è attento alla valorizzazione delle differenze, alla relazione con l’altro, a
promuovere il confronto, la scoperta e lo scambio fra storie e culture diverse.
2.3. Il ruolo della formazione nel processo di “stabilizzazione”
Demetrio-Favaro (1992, 35-40) fanno ancora presente che per gli adolescenti
di origine migratoria la formazione rappresenta la sintesi tra accoglienza e stabiliz-
64
zazione. Con il concetto di “stabilizzazione” essi intendono la ricerca di ricostru-
zione di un tessuto bi-psicologico, bi-linguistico, bi-etnico. In altri termini, l’immi-
grato che sceglie la stabilità opta per un duplice status: accetta di far convivere
dentro di sé due psicologie (ciò che si è stati e ciò che è necessario diventare
adesso); due lingue (quella d’origine e quella acquisita nel nuovo Paese); due cul-
ture (i riti e le mentalità precedenti con i costumi e le richieste del nuovo am-
biente). Il risultato sta nel ricomporre un puzzle, un bricolage prodotto da differenti
interazioni simboliche.
Chi accetta di riconciliare le opposte tendenze pone infatti le condizioni per
stabilizzare la propria integrazione; chi, al contrario, si oppone o non favorisce l’in-
tegrazione tra queste dimensioni, vive nella sofferenza, rischia di permanere nella
condizione di straniero, di “senza patria”, di “apolidismo psichico”. L’alunno im-
migrato che invece è capace di integrarsi ha buone probabilità di una qualità di vita
psicologicamente più ricca e sana; la gestione del duplice status è certo difficile,
ma sancisce il percorso di ogni opzione stabilizzante, che contagerà e/o tenderà
inevitabilmente ad allargarsi anche ad altri membri della famiglia/gruppo/comunità
di appartenenza.
In pratica la stabilizzazione si manifesta come risposta alle strategie e alle
azioni di accoglienza, è il corollario di quell’equilibrio tanto desiderato e perse-
guito dall’alunno immigrato, nel convivere nella sua duplice condizione. In questo
caso il percorso formativo dà inizio ad un processo di re-identificazione linguistica,
socio-culturale e professionale, in quanto l’individuo sa che non può continuare a
vivere a lungo nel nuovo Paese utilizzando soltanto la propria lingua e cultura. Di
conseguenza va alla ricerca di quelle sicurezze che la formazione gli può trasmet-
tere per realizzare questo processo di re-identificazione.
In sintesi, accoglienza, stabilizzazione e formazione sono indicatori di un cam-
biamento sociale irreversibile, in quanto ogni elemento è in connessione con
l’altro, in un rapporto dialettico che è in grado di produrre, per gli immigrati, “an-
coraggi” significativi sul piano psicologico e psicosociale e, per gli autoctoni, “ric-
chezza” da interscambiare.
2.4. Il processo di integrazione scolastico-formativo
In questa prospettiva occorre prendere in considerazione il delicato tema del-
l’integrazione nei sistemi formativi degli alunni di origine migratoria, quando e a
quali condizioni essi possono essere considerati “positivamente integrati”.
Per quanto riguarda il primo aspetto, Favaro (1998, 52) sostiene che l’integra-
zione è anzitutto un processo e un progetto; in altri termini, è una dinamica che si
sviluppa tra sistemi aperti, disponibili a creare uguali opportunità e a scambiare sa-
peri e riferimenti. Inoltre l’integrazione è un processo bilaterale, in quanto richiede
un movimento da entrambe le parti, una responsabilità condivisa e si definisce
quindi come un rapporto tra soggetti in interazione. Infine l’integrazione si realizza
quando l’individuo mantiene la propria cultura e identità e al tempo stesso cerca
65
un’interazione quotidiana con l’altra cultura partecipando attivamente ad una vasta
rete di relazioni, per cui può essere definita una strategia che cerca di ottenere “il
meglio da entrambi i mondi”.
Favaro-Luatti (2004, 101-102) riportano una serie di indicatori per percorrere
in modo giusto ed efficace la strada dell’integrazione all’interno dei sistemi forma-
tivi. In base a tali indicatori l’integrazione:
– è un concetto multidimensionale che ha a che fare con l’acquisizione di capa-
cità linguistiche, con la relazione, la ricchezza e l’intensità degli scambi con
gli adulti e con i pari, sia a scuola che nell’ambiente extrascolastico;
– richiede di fare riferimento all’integrità del sé, che a sua volta si esprime me-
diante la possibilità di ricomporre la propria storia in un processo dinamico di
cambiamento e di confronto che consente ad ognuno, da un lato, di non essere
“ostaggio” delle proprie origini e, dall’altro, di non dover negare riferimenti,
differenze, componenti della propria identità per poter sentirsi “riconosciuto” e
accettato;
– è un processo che si costruisce quotidianamente attraverso balzi in avanti e ri-
torni indietro, nostalgie e speranze, timori ed entusiasmi;
– fa parte di un progetto intenzionale che non avviene per caso, per inerzia, ma
deve essere voluto, seguito, sostenuto con attenzione, cura e competenza da
tutti i protagonisti dell’incontro.
Questi elementi a loro volta implicano altri indicatori di integrazione che pos-
sono essere utilizzati per l’inserimento di ciascun adolescente nel suo percorso di
integrazione, e che prendono in considerazione:
– la situazione al momento dell’inserimento scolastico/formativo (alla pari o in
ritardo), che permette di progettare la prosecuzione degli studi con opportunità
più o meno equivalenti a quelle dei compagni autoctoni;
– la competenza nel possesso della lingua italiana, che deve risultare funzionale
ed efficace sia per la comunicazione interpersonale che per lo studio, dando
così la possibilità di raccontare aspetti della propria cultura, del Paese d’ori-
gine, della propria storia;
– la qualità e quantità delle relazioni in classe con i compagni e la possibilità di
partecipare alle attività di gruppo, in quanto permettono all’alunno di origine
migratoria di essere accettato e accolto nei momenti di aggregazione e delle
scelte elettive;
– la qualità e la quantità degli scambi nel tempo extrascolastico, le occasioni di
partecipazione e di inserimento nelle attività ludiche e sportive, le opportunità
di stabilire e mantenere scambi e amicizie, di “abitare il territorio” percepen-
dolo come “luogo di appartenenza”; tutti elementi da considerare come altret-
tanti momenti condizionanti il processo di integrazione dell’alunno di origine
migratoria;
– la condizione di autostima, di fiducia in sé e nelle proprie possibilità, la capa-
66
cità di accettare/sostenere sia le sfide che sono comuni ai compagni autoctoni
sia quelle specifiche della propria storia di migrazione; tutti fattori che si tra-
ducono poi nella capacità di prefigurare il proprio futuro e di progettarlo, fa-
cendo fronte ai vissuti di provvisorietà e di non appartenenza.
In tutti questi casi l’accettazione da parte del gruppo dei pari gioca un ruolo
assai positivo nell’inserimento degli alunni di origini migratoria, in quanto rappre-
senta un mezzo efficace in grado di facilitare l’inserimento sia nel gruppo-classe
sia in quello dei pari, grazie all’opportunità che viene data loro di esprimere e di
condividere con altri queste esperienze.
A completamento di quanto riportato sopra sui fattori di integrazione scolastica
i due autori hanno ricostruito il seguente quadro:
Difficoltà
nell’ integrazione
- ritardo di due o più anni
- risultati scolastici
insufficienti
- difficoltà linguistiche sia
per comunicare che per
studiare
- isolamento relazionale
dovuto o ad
autoesclusione o a clima
della classe di non
accettazione e di chiusura
- non richiama l’attenzione
per chiedere aiuto
solitudine nel tempo
extrascolastico
esclusione dalle iniziative
promosse dai compagni di
classe
nei confronti della propria
lingua, storia e del Paese di
origine esprime chiusura,
difesa eccessiva, vergogna
è spesso apatico e
scoraggiato, oppure
manifesta il disagio con
aggressività e non rispetto
delle regole
presenta mancanza di
motivazione ad apprendere
non riesce a esprimere
desideri e progetti
Problematiche
- ritardo di un anno
- risultati scolastici
accettabili e tendenti al
miglioramento
- si dà una buona capacità
comunicativa ma
persistono difficoltà
nell’italiano (lettura,
scrittura, contenuti
disciplinari)
- talvolta è isolato
- ha un numero ridotto di
scambi con i pari e di
scelte da parte dei
compagni
- sollecita raramente
attenzione e aiuto
è inserito in scambi e
relazioni con i pari nel
tempo extrascolastico, ma
in misura e intensità ridotte
fa riferimento alla “L1”
solo se sollecitato
alterna momenti di fiducia
in se stesso ad altri di
scoraggiamento
esprime desideri e progetti
solo se sollecitato e
sostenuto
appare motivato in maniera
discontinua
Integrazione positiva
- alla pari
- risultati scolastici buoni o
sufficienti
- competenze sia per la
comunicazione
interpersonale che per lo
studio
- ben inserito e accettato
negli scambi con i pari
- richiede e richiama
attenzione
- richiede spiegazioni,
esprime dubbi, fa
domande
partecipa ad attività
ludiche, sportive, di
aggregazione
viene invitato dai
compagni di classe e li
invita
mantiene e sviluppa la
“L1” a casa e con i
connazionali
parla volentieri del proprio
Paese, racconta, fa
confronti
ha fiducia nelle proprie
capacità e si confronta con
le “prove” e i compiti del
quotidiano
esprime desideri e progetti
è motivato ad apprendere e
a seguire il curricolo
comune
Indicatori
1. Modalità
dell’inserimento
scolastico e
risultati scolastici
2. Competenza
linguistica in
italiano
3. Relazione in
classe
4. Relazione con i
pari nel tempo
extrascolastico
5. Lingua di
origine e storia
personale
6. Autostima e
fiducia in se stesso
Indicatori positivi e problematici di integrazione scolastica e/o nei sistemi formativi
Fonte: Favaro G.-L. Luatti, 2004, 103
67
Tuttavia possono essere ancora più numerosi i fattori (di ordine economico, so-
ciale, relazionale…) che interferiscono, favorendola o ostacolandola, sulla riuscita
scolastica degli alunni immigrati. E comunque un po’ tutti i risultati degli studi sui
processi di integrazione scolastica concordano nel richiedere fin dall’inizio della
scuola dell’obbligo di prestare maggiore attenzione alle modalità di inserimento e ai
processi di integrazione degli alunni di origine migratoria, poiché è in quegli anni
che si progetta il loro futuro e con esso il processo stesso di formazione di un’iden-
tità integrata. Inoltre oggi più che mai spetta in particolare al sistema di istruzione e
formazione secondaria superiore, in quanto solo di recente è stato interessato da una
presenza sempre più rilevante di studenti di origine migratoria, dotarsi dei dispositi-
vi organizzativi e delle competenze necessarie per accogliere positivamente questi
nuovi alunni e garantire loro pari opportunità di successo scolastico.
Concludendo, in quest’ultimo punto ci si è limitati a rilevare come la scuola e
più in generale i sistemi formativi rappresentino indubbiamente le principali istitu-
zioni che debbono farsi carico dei nuovi arrivati, in quanto si configurano come
luogo privilegiato di incontro, confronto, accoglienza, integrazione e costruzione di
nuove identità e appartenenze, un luogo dove le differenze linguistiche, culturali,
religiose fanno sempre più parte del vissuto quotidiano e che richiedono di essere
affrontate mettendo a punto sempre nuove metodologie/strategie d’intervento.
Le buone prassi per l’integrazione dei giovani di origine migratoria nei sistemi
formativi verranno prese in considerazione nell’ultima parte, tuttavia prima di chiu-
dere sulla problematica pare opportuno riportare il contributo di precedenti studi.
Favaro (1999, 25) infatti fa presente che fin dagli anni ’90 gli insegnanti che hanno
avuto a che fare con l’inserimento di alunni di origine migratoria si sono scontrati
con i problemi e con quella impreparazione sul piano logistico-organizzativo pur-
troppo presenti e/o che caratterizzano ancora oggi i sistemi formativi e che sono
stati così riassunti:
– difficoltà linguistiche, ritenute le cause principali del “ritardo” scolastico e
degli insuccessi;
– fattori di ordine relazionale e di socializzazione, individuati nel “clima” della
classe, negli atteggiamenti di diffidenza/non accettazione/rifiuto da parte dei
coetanei autoctoni e/o di chiusura/apatia/aggressività da parte degli adolescenti
immigrati;
– difficoltà di comprensione del “mondo culturale” della struttura formativa,
spesso incapace di mediare conflitti e malintesi fra codici comunicativi e ap-
partenenze culturali diverse;
– forte mobilità degli allievi con improvvisi spostamenti geografici da un luogo
all’altro e/o da una scuola all’altra in seguito alle migrazioni effettuate dalla fa-
miglia;
– inserimento nel corso durante l’anno scolastico già cominciato, fenomeno che
poi si traduce nella mancanza o impossibilità di effettuare un programma di ac-
coglienza per i nuovi inseriti;
68
– mancata o incompleta documentazione del percorso scolastico precedente del-
l’alunno immigrato, alla quale si ripara con un’autocertificazione dei genitori,
che non sempre sono in grado di dare precise indicazioni in merito;
– diffusa condizione di disagio dovuta all’inserimento degli adolescenti immi-
grati in classi inferiori rispetto all’età anagrafica;
– difficoltà di passare da un livello scolastico a quello superiore a causa dell’ele-
vato tasso di abbandoni, in particolare nei primi anni della scuola superiore;
– impreparazione dei docenti a fronte dei nuovi compiti da assolvere, per la
mancanza di adeguate risorse e di sostegno per affrontare la problematica (sus-
sidi didattici inadeguati, mancanza di figure di mediazione…).
Per cui si può concludere affermando che la presenza degli adolescenti di ori-
gine migratoria nel sistema educativo italiano non solo riapre in modo dirompente
il problema del diritto allo studio, ma problematizza quella che può essere conside-
rata a tutti gli effetti una vera sfida per la scuola italiana attuale. In pratica ancora
oggi si pone il dilemma cruciale di come affrontare il contrasto tra condizioni pro-
fondamente differenti e talora divergenti che si verificano all’interno dei sistemi
formativi: da un lato l’esigenza di offrire agli immigrati pari opportunità di tratta-
mento degli autoctoni e, dall’altro, voler realizzare nei loro confronti percorsi di
crescita e di realizzazione personalizzati in base a quei bisogni specifici (di ordine
psicologico, cognitivo, affettivo, culturale.…) di cui sono portatori.
69
Capitolo 3
L’indagine quantitativa:
i giovani di origine migratoria di Latina
Vittorio PIERONI
PREMESSA - LE RAGIONI DI UN APPOSITO STUDIO SUI GIOVANI DI ORIGINE MIGRA-
TORIA 1
Questa indagine è in effetti il prodotto “ritagliato” da due più ampi progetti
d’indagine riguardanti l’uno, la presente ricerca del CNOS-FAP e del CIOFS-FP fi-
nalizzata a rilevare le buone prassi adottate all’interno dei sistemi formativi per
l’integrazione dei giovani di origine migratoria, e l’altro come parte integrante di
un’inchiesta a vasto raggio finanziata dal Comune e dalla Provincia di Latina per
verificare la condizione giovanile del territorio che, appunto, si caratterizza anche
per la presenza di un’ampia concentrazione di immigrati.
Al tempo stesso è anche il prodotto della combinazione di due metodologie
d’indagine, quantitativa e qualitativa, dove i risultati statistici cumulativi conse-
guiti, con la prima, nelle aule scolastiche intervistando 139 studenti di origine mi-
gratoria, vengono poi ulteriormente specificati/rispecchiati nelle risposte date nel-
l’indagine qualitativa, intervistando 30 giovani sempre di origine migratoria che in-
vece sono stati raggiunti singolarmente per strada o nei luoghi di ritrovo.
1. CHI SONO
1.1. L’indagine nelle scuole
Come anticipato, i 139 giovani di origine migratoria sono stati “ritagliati” da
una più ampia indagine sulla condizione giovanile del Comune di Latina, la quale
ha coinvolto circa un migliaio di giovani presenti all’interno delle scuole scelte su
base campionaria.
Per selezionare dal campione i giovani di origine migratoria si è fatto ricorso a
una particolare elaborazione statistica che teneva conto del Paese di nascita di uno
o di entrambi i genitori.
1 Si fa presente una volta per tutti che con questo termine si intendono sia coloro che sono nati a
Latina o comunque in Italia sia chi è nato nei Paesi di emigrazione.
70
Passando ad analizzare alcuni dei principali dati anagrafici (Tav. 1), questi gio-
vani si caratterizzano per essere un numero leggermente superiore di femmine
(54.7%, contro il 44.6% dei maschi) e di preadolescenti (54.7%, contro il 45.3%
che va dai 16 fino ad oltre 20 anni); circa la metà di loro sono nati a Latina (46.8%,
in particolare i preadolescenti), mentre la quota residua si divide tra chi è nato in
altri Comuni del Lazio o dell’Italia (24.5%) e chi è nato all’estero (28.8%), questi
ultimi provenienti quasi tutti da Paesi dell’Europa dell’Est.
Tav. 1 - Alcuni dati anagrafici (base = 139; in Fq. e %)
Fq. %
Sesso Maschi 62 44.6
Femmine 76 54.7
Età Preadolescenti (fino a 15 anni) 76 54.7
Adolescenti/giovani (16-17enni e oltre) 63 45.3
Luogo di nascita Latina 65 46.8
altrove 74 53.2
Nel ricostruire il pregresso percorso scolastico (Tav. 2) il dato più interessante
viene dal constatare che una netta maggioranza (attorno all’80%) non ha mai avuto
a che fare con fallimenti scolastici, e in un certo senso ciò potrebbe essere messo in
correlazione con l’alto numero di genitori dotati di titoli di studio superiori
all’obbligo; quel 18.7% che invece ha sperimentato una o più bocciature appare già
gravato da problemi di integrazione nel tessuto sociale della città per aver segnalato
l’esistenza di situazioni conflittuali nei rapporti tra italiani e immigrati e di
comportamenti a rischio (azioni trasgressive, vicinanza al mondo degli
stupefacenti…).
Tav. 2 - Caratteristiche del percorso scolastico e scelte al seguito (base = 139; in Fq. e %)
Fq. %
Frequenta: Secondaria I gr. 48 34.5
Secondaria II gr. 82 59.0
CFP 4 2.9
Bocciato: Mai 113 81.3
Una/più volte 26 18.7
Al termine di questi studi prevede di: Continuare a studiare 69 49.6
Andare a lavorare 44 31.7
Non sa 26 18.7
Allo stato attuale circa due su tre di questi giovani frequentano la secondaria di
II grado (59%), per lo più negli Istituti tecnico-professionali e solo in parte nei
Licei scientifici; mentre un terzo sta facendo l’ultimo anno della secondaria di I
grado (34.5%), mentre soltanto il 2.9% è iscritto nell’unico Centro di Formazione
Professionale presente a Latina.
71
A questo punto era d’obbligo cercare di entrare nel loro spazio prospettico nel
tentativo di verificare quali scelte faranno al termine dell’attuale ciclo di studi:
– la metà (49.6%) è intenzionata a continuare gli studi in una scuola superiore o
all’università, a seconda dei livelli in cui è iscritto attualmente; tra costoro si
ritrovano, oltre ovviamente al gruppo dei più giovani, le ragazze e chi non è
stato mai bocciato;
– l’altra metà è distribuita su tre distinte posizioni: il 14% ha già deciso che si
metterà subito alla ricerca di un lavoro, da reperire possibilmente nel settore
turistico-alberghiero o dei servizi, coerentemente all’attuale indirizzo degli
studi (si distinguono i maschi e chi ha un’età più avanzata); il 18% intende stu-
diare e lavorare al tempo stesso, mentre un altro 18% non riesce ancora a pre-
vedere quale scelta farà (in entrambi i casi si mettono in evidenza le ragazze e
chi ha subito insuccessi scolastici).
Dall’incrocio tra sesso, età e percorso scolastico pregresso si evince inoltre che
i maschi risultano leggermente più presenti nella fascia al di sotto dei 15 anni e le
femmine in quella superiore; inoltre i maschi hanno riportato un maggior tasso di
bocciature lungo il percorso scolastico e al termine dell’attuale ciclo di studi prefe-
riscono andare subito a lavorare, mentre la maggior parte delle femmine ha dichia-
rato di voler continuare a studiare.
Passando ad analizzare la famiglia di estrazione, circa tre su quattro (74.1%) vi-
vono con entrambi i genitori, solo in una minoranza dei casi si parla di famiglie mo-
noparentali (15.8%) o ricostruite (6.5%), situazioni dovute entrambe per lo più a se-
parazioni. Un dato a sorpresa viene poi dal costatare che oltre tre su quattro dei loro
genitori (77.7%) presentano un titolo di studio che va oltre la scuola dell’obbligo; il
fenomeno può essere più facilmente spiegato se si tiene conto del fatto che buona par-
te dei genitori provengono da Paesi dell’Europa dell’Est (44%). A proposito del luogo
di nascita dei genitori, troviamo che oltre alla prevalente provenienza dai Paesi del-
l’Est seguono, in rapporto di circa un terzo (33%), i genitori di origine africana e, in
misura ancor più ridotta, quelli di origine latino-americana (15%) e asiatica (8%).
1.2. I protagonisti delle interviste qualitative
Oltre a questi studenti presi all’interno delle aule scolastiche sono stati avvici-
nati per strada e/o nei luoghi di ritrovo, per essere intervistati attraverso una griglia
di domande semistrutturate, 30 giovani di origine migratoria, i quali presentano le
seguenti caratteristiche:
– il rapporto tra maschi e femmine è di due a tre (11 e 19, rispettivamente);
– l’età copre un arco di tempo che va dai 15 ai 29 anni, con una media che si at-
testa attorno ai 20;
– una netta maggioranza (18) proviene anche in questo caso dai Paesi dell’Est
(Romania, Albania, Ucraina…), 10 dall’Africa (Nigeria, Tunisia…) e 2 dal-
l’Asia (Bangladesh);
72
– circa la metà (14) ha un’occupazione, 8 studiano nelle scuole superiori e alcuni
all’università, mentre altri 8 al momento non studiano né lavorano.
In genere un po’ tutti loro si esprimono bene o comunque parlano corretta-
mente l’italiano, alcuni arrivano anche a usare toni gergali. La maggior parte ha vo-
glia di raccontarsi e/o di raccontare la propria storia migratoria, alcuni invece pre-
feriscono non farlo perché significa rivivere momenti penosi e difficili.
Una minoranza ha già costruito una propria famiglia, tutti gli altri vivono con i
genitori; la coppia genitoriale tuttavia è al completo solo in una metà dei casi, nel-
l’altra metà o manca un componente o si ha a che fare con conviventi.
L’appartenenza etnica in genere si combina con la religione che, per chi pro-
viene dai Paesi dell’Est, in genere è quella ortodossa e per gli africani e gli asiatici
mussulmana, con la differenza che gli ortodossi si dichiarano per lo più non prati-
canti, mentre i mussulmani ci tengono a dimostrare la loro osservanza.
Nell’aspetto esteriore si presentano tutti ben vestiti, con abbigliamenti ricer-
cati, alla moda, sportivi o comunque di marca, conformemente allo standard medio
dei coetanei autoctoni; nessuno veste abiti tradizionali del proprio Paese.
Anche in ciò che possiedono tendono a conformarsi agli standard dei ragazzi
italiani che frequentano a scuola o nel tempo libero, quindi sono dotati dei soliti
cellulari, alcuni anche di ultima generazione, dicono di avere a casa il computer, i-
pod, MP3 e altre “attrezzature” tipiche di queste generazioni; sono pochi quelli che
invece presentano tatuaggi e piercing.
2. LA PERSONALITÀ DEI GIOVANI IMMIGRATI: CONCETTO DI SÉ E SENSO DI APPAR-
TENENZA AL GRUPPO ETNICO
L’indagine mirava anzitutto a verificare “chi sono” effettivamente, quali valori
portano con sé questi giovani di origine migratoria, come si considerano e/o si au-
todescrivono dal punto di vista delle doti di personalità che sostengono di avere e
come si comportano nel loro vissuto socio-relazionale.
Nel procedere in tal senso non c’era niente di meglio che farlo dire dagli stessi
intervistati. Con una prima serie di domande il giovane di origine migratoria è stato
posto di fronte al compito di definire “chi sono io” e “da dove provengo”, in quanto
la risposta a questi interrogativi permette di comprendere anche il proprio modo di
autocollocarsi contemporaneamente nei confronti di se stesso e dei differenti mondi
con cui è in contatto, così da permettere di individuare la volontà o meno di inte-
grarsi, contenere, filtrare ed elaborare il “nuovo” con il “prassato”.
In questo modo sono emerse numerose definizioni di sé e del proprio modo di
vivere la differenza nel contesto socio-ambientale di Latina dove questi giovani ca-
lano l’esperienza della quotidianità dei rapporti; definizioni gran parte delle quali
di senso positivo, ma non mancano anche espressioni più portate a sancire gli ef-
fetti critici e/o negativi dell’esperienza migratoria.
73
2.1. L’indagine nelle scuole
Nel definire se stessi i giovani si autoattribuiscono alte qualità quanto a gene-
rosità, accettazione della “diversità”, capacità di dialogo; inoltre si considerano
anche persone gioiose, motivate, responsabili e piene di ideali; al tempo stesso non
possono fare a meno di far evidenziare alcuni lati deboli della propria personalità in
fatto di insicurezza, dipendenza e talora anche di ribellione. Dal punto di vista reli-
gioso quasi tutti si dichiarano credenti, tuttavia oltre la metà non pratica alcuna re-
ligione.
Nel passare ad analizzare se si lasciano andare a comportamenti a rischio si è
partiti da una domanda provocatoria circa l’eventualità di poter compiere azioni
trasgressive: in circa il 40% è scattato un meccanismo di difesa che li ha indotti a
non rispondere; nella quota residua i più ammettono di poter arrivare a ubriacarsi e
in qualche caso anche a fumare uno spinello o al limite a compiere atti di vanda-
lismo.
Attraverso una seconda domanda, più diretta, si è cercato allora di sapere quali
azioni trasgressive e/o reati hanno effettivamente compiuto: in questo caso la quota
di chi ha evitato di rispondere è salita ulteriormente ed ha riguardato più della
metà; quei pochi che hanno ammesso le proprie colpevolezze si sono limitati a re-
stringere il campo ancora sugli atti di vandalismo, a cui fanno da cornice in questo
caso pestaggi a scuola e/o tra bande.
A questo punto non poteva mancare anche una domanda sui possibili rischi de-
rivanti dalla frequentazione di amici che fanno uso di sostanze stupefacenti e sul-
l’eventualità di aver sperimentato la droga che fosse stata offerta loro: appena poco
più di un terzo ha ammesso la presenza all’interno del proprio gruppo di amici con
problemi di droga e di essere stati invitati a provarla, ciò che è avvenuto nella metà
dei casi.
Si è colto l’occasione per verificare quale fosse al tempo stesso il loro atteggia-
mento verso la droga, chiedendo anzitutto quali possono essere quei fattori “predit-
tivi” che portano i giovani a farne uso: in questo caso l’intero gruppo ha contribuito
ad evidenziarne un po’ tutte le ragioni elencate nella domanda, a partire dalla fre-
quentazione di amicizie equivoche, alla curiosità e all’emulazione fra compagni,
fino a quelle riguardanti la propria personalità (mancanza di autostima, di un pro-
getto di vita…), per passare poi alle problematiche di ordine familiare (disgrega-
zione, mancanza di affetto…).
Dai fattori predittivi si è passati quindi ai fattori “protettivi” dal rischio di ca-
scare nel circuito della droga: essi sono stati individuati nelle dimensioni opposte a
quelle precedentemente segnalate, ossia nel circondarsi di amicizie affidabili, nel-
l’avere fiducia in se stessi, dotati di alte aspirazioni per la realizzazione di sé, nella
presenza di genitori che sanno educare e di altre figure di adulti positivi. La scuola
tuttavia è stata considerata da quasi tutti una istituzione che non sa preve-
nire/affrontare le problematiche connesse all’uso delle droghe. Ed è questo il dato
più critico/negativo emerso finora dall’indagine.
74
Per chiudere era importante verificare, ai fini dell’integrazione di questi gio-
vani nel più ampio tessuto socio-relazionale, se essi partecipano alle varie attività
promosse dalle associazioni presenti a Latina: al riguardo ha risposto affermativa-
mente oltre la metà (52%), quasi tutti indicando tuttavia il settore sportivo, solo una
ristretta minoranza ha fatto presente la propria aderenza anche all’associazionismo
a scopo religioso.
2.2. I protagonisti delle interviste qualitative
1) A seguito della domanda: “Se tu dovessi descrivere ‘chi sei’, come ti definiresti?”,
sono stati fatti vari “autoscatti” che vanno dalla propria immagine fisica (“del mio
aspetto fisico non cambierei nulla, mi accetto così come sono”; “le differenze del-
la pelle non mi comportano disagi, mentre l’essere straniera mi ha fatto stare
molto male; del mio aspetto fisico però non cambierei nulla”; “per quanto ri-
guarda il mio aspetto fisico vivo tranquillamente la differenza, non mi mette a
disagio”), ai differenti attributi/aspetti interiori della propria personalità:
- “sono semplicemente un ragazzo simpatico, dolce e allegro, mi piace tutto
ciò che mi fa divertire e mi sento in forma”;
- “sono estroverso, gentile, disponibile”;
- “mi reputo una ragazza molto calma e serena, sincera e solare, che ascolta
gli altri ed è pronta ad aiutare gli altri, mi piace parlare di me e delle mie
esperienze e condividerle con i miei amici”;
- “sono un po’ egocentrica, mi piace mettermi in evidenza, sono un po’ vani-
tosa”;
- “curiosa di scoprire e conoscere i lati belli di nuove culture”;
- “mi piace viaggiare e leggere molto”;
- “ci metto del tempo ad aprirmi sulle mie questioni personali”;
- “socievole e con molta voglia di lavorare”;
- “sono una persona molto semplice, umile e molte volte triste”.
2) Nel provocarli sull’appartenenza, distinguendo se si sentono più italiani op-
pure più vicini alla cultura di origine della propria famiglia, se si prescinde da
quei pochi che hanno ben chiaro il senso di appartenenza (“mi sento molto più
italiano, sono nato e cresciuto qui”), la maggior parte ha saputo “dribblare” la
dissonanza che scaturisce dalla “scissione” del proprio “Io” (o/o) per manife-
stare un senso di appartenenza integrata (e/e):
- “mi sento sia italiana sia del mio paese, non cambierei comunque né il mio
paese di origine che quello dove sto vivendo”;
- “non ho mai incontrato difficoltà a conciliare la mia cultura con quella ita-
liana e a rapportarmi con ragazzi italiani”;
- “non avverto problemi di integrazione culturale, mi integro facilmente
perché vedo le differenze culturali non come una barriera ma come una ri-
sorsa”;
75
- “essere straniero non mi ha mai causato problemi e non me li sta causando.
Non penso che cambierò paese”;
- “le differenze le ho conciliate abbastanza bene, sto cercando di imparare
meglio la lingua”;
- “in quanto straniero non ho il colore della pelle diverso, forse mi si rico-
nosce dalla lingua; sono molto orgoglioso della mia etnia, ma mi ritengo
italiano, non noto più differenze tra me e loro, ora vivo qui e le mie usanze
sono quelle di qui”;
- “non sono religioso e quindi non ho dovuto conciliare molte cose delle mie
usanze con quelle italiane”;
- “ho quasi conciliato le differenze, non sono religiosa e per questo ho avuto
meno problemi”;
- “vivo bene le differenze culturali, anche perché sono arrivato in Italia a 20
anni, con un cervello da ragazzo e tanta voglia di conoscere, per cui mi sono
integrato facilmente”.
3) Al tempo stesso non manca di far sentire il proprio disagio anche chi vive male
le due appartenenze per aver sperimentato forme di razzismo a causa di una in-
compiuta quanto poco curata integrazione tra le differenze culturali:
- “le mie differenze fisiche non mi hanno dato problemi, mentre essere di un altro
paese me ne hanno dato di più: le persone ti guardano in modo diverso, non si
fidano di te, se la prendono con gli stranieri qualunque cosa succeda”;
- “ho avuto momenti di disagio: quando sono arrivata alcune persone mi
guardavano in modo diverso, che mi faceva sentire a disagio”;
- “essere di una cultura e religione diversa mi crea dei disagi che è difficile
superare”;
- “cerco di adottare le tradizioni italiane ma mi riesce difficile integrarle
perché ho molti limiti imposti dalla mia religione e dalla mia famiglia”;
- “non conosco bene la storia del mio paese, non ascolto musica etnica e non
ho filmati o immagini particolari della mia vita passata e non mantengo i
contatti con i parenti che sono rimasti là”;
- “è difficile integrare la cultura italiana con quella del mio paese, le diffe-
renze sono tantissime; inoltre come straniera non posso pretendere che gli
altri si adeguino a me, sono io che mi devo adeguare, però non mi sento in-
feriore agli altri”.
4) In merito poi all’orgoglio di appartenere al proprio gruppo etnico e al modo di
vivere la differenza, sono scattate differenti affermazioni:
- “mi sento orgoglioso di appartenere al mio gruppo etnico, ciò che mi diffe-
renzia è la mia religione islamica; parlo la lingua della mia famiglia e co-
nosco la cultura e le usanze legate alla tradizione e alla mia religione. Le
vivo bene soprattutto nella religione, non trovo difficoltà, ma non cerco di
integrarle e nemmeno di conciliarle”;
76
- “mi sento molto orgogliosa di essere straniera, vuol dire avere culture e
usanze che ti differenziano dagli altri e quindi mi fanno sentire più sicura e
mi danno molta forza per andare avanti”;
- “mi sento molto orgogliosa: ora che sono qui sento nostalgia, il richiamo
della terra natale”;
- “stando in Italia sono molto orgoglioso del mio gruppo etnico, mentre
quando stavo nel mio paese di origine non lo ero perché era popolato da
persone molto povere”;
- “appartenere al mio gruppo etnico mi fa sentire più sicura per affrontare il
futuro qui in Italia”.
5) Ma non tutti la pensano o vivono il senso di appartenenza nello stesso modo:
- “non sono orgoglioso di appartenere al mio gruppo etnico perché affrontare
il futuro in Italia mi fa sentire più sicuro dal momento che ci sono molte op-
portunità di trovare lavoro e quindi anche di costruirmi una famiglia”;
- “non mi sento orgogliosa, anzi mi crea molto disagio, mi ha fatto stare male,
al tempo stesso non mi sento molto italiana e non so se mi piacerebbe es-
serlo, ci sono persone che mi hanno trattato molto male solo perché stra-
niera”.
3. VALORI, BISOGNI E ASPIRAZIONI GIOVANILI
L’emigrazione è l’espressione più concreta/tangibile di una volontà mirata ad un
cambiamento che porti a migliorare se stessi realizzando le proprie aspirazioni e pro-
getti di vita. Scaturiscono da qui appunto le domande mirate a verificare se e quanto
queste progettualità sono presenti nel loro sistema di significato esistenziale.
3.1. L’indagine nelle scuole
La serie di domande presenti in quest’area iniziava con una provocazione di
non poco conto: la sensazione di sentirsi o meno realizzati lungo il sentiero della
vita finora percorso. L’ago della bilancia in questo caso non si è assestato proprio
del tutto sul polo positivo dell’autoispezione: circa la metà (46.8%) ha ammesso di
aver conseguito finora un soddisfacente stato di realizzazione, cui si aggiunge
anche un 10% di coloro che provano piena soddisfazione per la vita che stanno
conducendo (in entrambi i casi si distinguono i maschi, i preadolescenti, chi non è
stato mai bocciato, chi ha già pensato o scelto cosa fare al termine dell’attuale ciclo
di studi). Al tempo stesso non ha mancato di far sentire il proprio peso anche la
quota di coloro che hanno segnalato una scarsa realizzazione di sé (40.3% - le ra-
gazze, i più avanzati in età, chi è stato bocciato, chi non sa o non ha ancora deciso
cosa fare al termine dell’attuale ciclo di studi), tuttavia nessuno ha dichiarato di vi-
vere una vita completamente insoddisfacente.
77
Restando sempre in tema di scelte, con un’ulteriore provocazione si è cercato
di penetrare nel segreto mondo che fa da scenario alle loro future scelte/aspettative
chiedendo di indicare “come prevedono che saranno” tra 10-15 anni. A questo ri-
guardo gli immigrati hanno ancora una volta sorpreso, dal momento che nel prefi-
gurare la scelta che faranno tra breve, al termine dell’attuale ciclo di studi, un po’
tutti hanno già proiettato la propria immagine in un spazio “ideale” nel tempo dove
ritengono che potranno occupare ruoli professionali di un certo rilievo ed inoltre
avranno già una propria famiglia e beni di proprietà. Questi sono gli obiettivi che,
una volta raggiunti, li faranno sentire realizzati nella scelta di vivere in Italia e/o a
Latina, e sono in particolare le ragazze a superare agilmente i maschi nel fare i
conti con l’avvenire.
Dietro questa prospettiva si avverte infatti la presenza di un bagaglio esisten-
ziale basato su una serie di principi considerati fondamentali per riuscire nella vita
e che fanno capo a valori di personalità (saper assumersi responsabilità, avere stima
di sé, darsi degli ideali…), relazionali (amare, sentirsi amati, avere amicizie
vere/affidabili…) e familistici (formare una famiglia unita, saper educare i figli…).
A riprova di quanto ammesso nella domanda precedente ha fatto seguito l’af-
fermazione secondo cui quasi nessuno di loro intende cambiare qualcosa della pro-
pria vita, a significare una piena coerenza con le scelte finora effettuate (emigrare,
vivere in Italia, studiare, lavorare…); quei pochi che hanno segnalato l’esigenza di
un cambiamento lo hanno riferito al proprio aspetto fisico (tipico di questa età di
passaggio dall’adolescenza alla giovinezza) e in parte anche alla propria situazione
economica.
A questo impianto esistenziale si contrappongono tuttavia le preoccupazioni
che incombono attualmente su queste giovani generazioni di immigrati. Quelle che
sembrano condizionare maggiormente i loro ideali e sistema di vita afferiscono es-
senzialmente a due tipologie: l’incognita che grava sul futuro delle loro scelte e la
manifestazione della violenza in seno alla vita sociale nelle sue differenti forme
(ingiustizie sociali, inquinamento, droga, povertà, disonestà…).
3.2. I protagonisti delle interviste qualitative
1) In merito al sentirsi soddisfatti per la vita che conducono attualmente, in
questo secondo gruppo di intervistati si osservano tre distinte posizioni di
fondo: c’è chi ha ammesso di sì, chi sente di avere le capacità per realizzarsi,
ma non sa se ci riuscirà e chi invece al momento vede tutto nero.
2) Le maggiori preoccupazioni/difficoltà che incontrano in questo momento, ri-
guardano:
- la scuola (“non andare bene a scuola”; “il momento più difficile è stato l’in-
serimento nella mia scuola: non parlavo bene l’italiano e i miei compagni
mi prendevano in giro o mi trattavano male perché ero straniera e gli stra-
nieri per loro sono tutti cattivi; quando spariva un cellulare in classe dice-
78
vano che era colpa mia, che lo avevo preso io; mi gettavano per terra le
cose che avevo sul mio banco…, tornavo a casa e piangevo molto”);
- il lavoro (“la mancanza di opportunità di lavoro, non riuscire a trovare la-
voro”; “senza lavoro diventa tutto più difficile”);
- l’integrazione (“sono nato qui e per me è stato tutto più difficile, mi sono in-
tegrato da solo”);
- la solitudine/isolamento (“rimanere da solo, dover contare solo su me stesso
e sulle proprie forze”; “sentirmi molto sola, isolata e non amata”);
- i limiti imposti dalla famiglia e dalle usanze religiose (“i miei compagni
vanno alle feste ed io non ci posso andare”);
- fino a manifestare quella paura della morte che è tipica nell’immigrato e
l’accompagna quando si sente schiacciato dall’impatto con una nuova realtà-
cultura (“paura di morire in giovane età”; “la presenza della violenza e
della droga”).
3) Al tempo stesso i sogni che covano nel cassetto afferiscono a vari aspetti carat-
teristici di questa età e della realizzazione di sé, e riguardano:
- “finire gli studi”;
- “contare soprattutto su me stessa”;
- “trovare un altro lavoro”;
- “arrivare alla laurea”;
- “essere messo in regola sul lavoro”;
- “trovare un lavoro che dà sicurezza”;
- “affermarmi, essere qualcuno in questa società”;
- “essere felice”.
4) Nell’immaginare di aver realizzato questi sogni fra 10-15 anni, quasi tutti si
sono concentrati sulla dimensione familistica:
- “essere a capo di una famiglia, sposata e con dei figli”;
- “avere una casa tutta mia”.
5) Tra i loro progetti c’è anche quello di tornare a vivere nel proprio Paese? Anche in
questo caso sono state assunte tre precise posizioni, tra chi pensa di sì (“voglio
tornare a lavorare al mio paese”), chi non sa (“dipende tutto se trovo lavoro qui”)
e chi ha già deciso di rimanere (“mi piace l’Italia e voglio vivere e lavorare qui”;
“ormai mi ritengo italiana e voglio continuare a vivere in Italia”).
4. IL RAPPORTO CON I GENITORI
Tra i membri delle famiglie immigrate occorre fare una precisa distinzione tra
genitori e figli nel modo di vivere l’esperienza migratoria e, di conseguenza, sulla
ricaduta che una tale esperienza può avere sul processo di costruzione dell’identità
di questi ultimi. La differenza va individuata nel fatto che per i genitori la direzione
79
del viaggio si delinea in modo preciso in senso sia spaziale che temporale, in
quanto è scandita dai momenti della partenza, dell’arrivo, dell’andare e venire tra
due luoghi connotati da riferimenti, eventi, “pezzi” della storia diversi, da un prima
e un dopo ben delineati, che scandiscono le tappe della biografia e del progetto di
vita all’interno di un vissuto fatto di nostalgia e che, pur attenuandosi nel tempo e
diventando da ferita cicatrice, resta un compagno di cammino sempre presente. In-
vece per gli adolescenti l’emigrazione più che una esperienza vissuta diventa una
dimensione esistenziale; sullo sfondo vi è un “altrove” che può restare per molto
tempo sconosciuto, indefinito, inesplorato: luogo immaginario da idealizzare, per
tornare o nel quale cercare protezione o, viceversa, luogo da “scotomizzare”, con
cui non si ha nulla a che fare, in modo da nascondere le proprie radici e/o da non
cadere in complessi di inferiorità.
Alla luce di queste dinamiche gli adolescenti di origine migratoria possono es-
sere definiti dei viaggiatori perenni di un viaggio iniziato però da altri. Di conse-
guenza, affinché essi stessi diventino protagonisti del “loro” viaggio occorre che ri-
escano ad integrare la “frattura” nella propria storia ripercorrendo il progetto fami-
liare, per continuarlo, modificarlo o anche trasgredirlo, se necessario; ossia occorre
che riescano a far riconciliare/ricostruire il filo della storia familiare con la traiet-
toria della propria vita.
4.1. L’indagine nelle scuole
Nel relazionarsi con i genitori le dimensioni che accomunano il rapporto con
entrambi sono basate sulla “fiducia”, il “rispetto” e la “collaborazione”; dopodichè
nei confronti del padre un tale rapporto assume anche la caratteristica di essere te-
muto e amato al tempo stesso, talora al limite della conflittualità, mentre nei con-
fronti della madre si evidenziano punte di maggiore tenerezza, attenzione, com-
prensione.
I genitori immigrati non sembrano dare molte regole ai figli, ma quelle poche
appaiono ferree e/o comunque devono essere rigidamente rispettate, stando all’in-
tensità con cui sono state segnalate da oltre il 60%. Tali regole fanno capo essen-
zialmente al circuito delle amicizie frequentate, nei cui confronti i genitori si pre-
muniscono richiedono preventivamente ai figli di indicare chi sono, di evitare di
frequentare chi fa uso del fumo e delle sostanze stupefacenti e di rientrare negli
orari stabiliti
In genere questi giovani vanno d’accordo con i loro genitori e almeno una
metà sostiene di non avere problemi nei loro confronti. Nell’altra metà si ammette
di avere qualche contrasto, dovuto per lo più alla differenza generazionale (“hanno
idee diverse dalle mie”); in una ristretta minoranza tale contrasto scatta soprattutto
là dove si verificano problemi scolastici. Per il resto non sussistono particolari ra-
gioni di litigio.
Nel rapporto con il più generale mondo degli adulti (insegnanti, educatori…)
si ripropongono le stesse parole-chiave già evidenziate nel rapporto con i genitori,
80
ossia “fiducia”, “rispetto” e “comprensione”, alle quali si aggiungono in questo
caso, con il particolare contributo delle ragazze e dei preadolescenti, l’“ascolto” e
l’“incoraggiamento”.
4.2. I protagonisti delle interviste qualitative
1) Anche questo gruppo di giovani ha ammesso di sentirsi assai fiero, orgoglioso
di appartenere alla famiglia che ha:
- “sono contento di avere una famiglia come la mia”;
- “io sono fiera di loro e loro sono fieri di me”;
- “sono molto fiera di mia madre che si preoccupa per me e che mi ha portato
in Italia per farmi avere un futuro migliore”.
2) La famiglia per queste generazioni viene ancora percepita come il luogo ideale
per vivere felici, dove si sentono amati e dove i genitori si prendono cura della
loro educazione:
- “sono contenti di come sto crescendo”;
- “credono nelle mie potenzialità”;
- “sono le mie persone di riferimento, è su di loro che posso contare molto”;
- “hanno sempre creduto in me”;
- “loro si fidano di me”;
- “mi amano così come sono”;
- “non ci sono limiti nelle nostre relazioni interpersonali”;
- “con loro è tutto OK”.
3) Ma la famiglia immigrata dà anche delle precise regole che occorre rispettare:
- “mi dà delle regole molto ferme che devo rispettare anche se mi pesano
molto perché fanno parte della mia cultura”;
- “le regole ci sono, ma sono abbastanza autonoma e indipendente”.
4) Al tempo stesso c’è stato anche chi ha evidenziato aspetti conflittuali nel rap-
porto tra la famiglia e la cultura della società in cui sono inseriti, provocati ta-
lora dal progetto migratorio stesso:
- “non ho grande stima di mia madre perché mi ha fatto crescere al mio paese
presso delle mie zie; infatti io chiamo mia zia “mamma” e mia madre con il
suo nome”;
- “non mi hanno dato molto, da piccola mi hanno lasciata da mia nonna per
andare a lavorare in Italia”;
- “a casa litigo molto spesso e per le ragioni le più diverse”;
- “non so se credono in me e non penso si siano preoccupati troppo del mio
futuro”;
- “non mi fanno stare con i miei compagni e per questo spesso litighiamo”;
- “mi danno molte regole ma io non le rispetto e a loro importa fino a un
certo punto”.
81
5. IL RAPPORTO CON GLI AMICI
L’amicizia e il gruppo dei pari costituiscono la platea reale della rappresenta-
zione di sé dell’adolescente. È soprattutto in questa fascia d’età che l’amicizia
viene ad assumere un’importanza determinante nella costruzione dell’identità dal
momento che entra a far parte, viene introiettata e “coltivata” in quanto nucleo cen-
trale del sé. In altri termini, l’amicizia non viene intesa dagli adolescenti come una
pura e semplice relazione, ma in questo stadio dello sviluppo rappresenta un ele-
mento costitutivo del contesto da cui il sé trae significato, motivo per cui si viene a
creare uno stretto legame di interdipendenza, una specie di “santa alleanza” tra im-
pegno nell’amicizia e crescita del sé. All’interno del gruppo l’amicizia è improntata
ad un senso di reciprocità e di uguaglianza; le conversazioni riguardano una grande
condivisione di argomenti, di spiegazioni e di reciproca comprensione. Sembra che
nel circoscritto mondo degli amici gli adolescenti trovino una specie di “utero so-
ciale”, un microcosmo intermedio al riparo dai rapporti diretti con gli adulti, che
consente loro di aprire un capitolo inedito nella propria biografia. Lo stare o il fare
insieme agli amici, in particolare se di differenti etnie (come è facile si verifichi al-
l’interno delle strutture scolastico-formative), costituisce di conseguenza un vero e
proprio “spazio transizionale” 2 dove per la prima volta è possibile sperimentare in
concreto quell’incontro-confronto con l’“Io- dell’altro” e con quella “diversità” che
servirà poi a preparare e ad affrontare meglio i successivi passaggi nell’inserimento
nella vita sociale/attiva.
È nel gruppo dei pari infatti che prendono avvio buona parte di tali processi,
non più mediati dalla famiglia, anzi talora in contrapposizione con quanto proposto
dai genitori; ed è ancora il gruppo dei pari che si pone all’adolescente come
sostegno e momento di confronto soprattutto nel processo di “scoperta” di quel
mondo esterno che da un lato lo attrae e dall’altro lo intimorisce. Durante
l’adolescenza il ragazzo si trova di fronte a tante incertezze, ed è proprio in
momenti critici di questo tipo che è in atto una vera e propria riorganizzazione del
sistema di sé grazie a questa fitta rete di relazioni e di scambi in cui gli adolescenti,
consapevoli del mutamento che li riguardano, verificano il proprio valore e
riflettono su se stessi. Cosicché quando devono prendere decisioni importanti che
riguardano gli aspetti che hanno maggiori implicazioni con il proprio futuro
bisogno d’identità, tendono a preferire il consiglio dei pari, mentre il ruolo dei
genitori resta fondamentale e autorevole per quel che concerne le questione più
ordinarie della vita.
2 Winnicott (Gioco e realtà, Roma, Armando, 1974, 23) definisce lo “spazio transizionale”
quello spazio intermedio/interstiziale che offre a valori tra loro differenziati la possibilità di incon-
trarsi, di integrarsi e di essere condivisi, e che nel presente caso fanno capo all’esperienza del “mi-
grare” in quanto essa è sempre all’origine dell’incontro/confronto con l’“altro” nel suo farsi portatore
di “diversità”.
82
5.1. L’indagine nelle scuole
Chi sono gli amici dei giovani di origine migratoria? Come da copione, nella
quasi totalità dei casi si tratta di compagni di scuola; minoranze frequentano anche
gruppi di amici che si ritrovano in spazi aperti (nel parco, sul muretto… - i preado-
lescenti) o al chiuso nei locali pubblici (bar, discoteche…- i maggiori di età). Infine
genitori e amici, messi a confronto con un’eventuale richiesta di consiglio e/o di
aiuto, vengono considerati parimenti validi, come a dire che a quest’età è possibile
“coabitare” contemporaneamente in due famiglie, una di origine e una di adozione,
che dal punto di vista affettivo ormai si equivalgono.
5.2. I protagonisti delle interviste qualitative
1) Anche buona parte di questi intervistati hanno dichiarato di avere amicizie
miste, composte sia da italiani che da quelli della propria etnia o di altre etnie,
ricavate per lo più all’interno delle aule scolastiche (“siamo diventati amici
perché stiamo in classe assieme”) o comunque perché nati e cresciuti nello
stesso vicinato (“siamo cresciuti assieme sia con italiani che di altre naziona-
lità”; soltanto alcuni hanno ammesso di fare una selezione delle proprie ami-
cizie (“tranne gli italiani che frequento non ho rapporti con giovani di altre
etnie”).
2) Inoltre frequentare gli amici significa stare con persone che ti fanno sentire
bene, con cui è possibile confidarsi ed essere ascoltati:
- “se e quando mi trovo in difficoltà è a loro che posso chiedere aiuto e con-
sigli”;
- “l’amicizia è sicurezza, solidarietà e serenità nella mia vita”;
- “il mio atteggiamento è di aiuto nei confronti del gruppo”;
- “ho un paio di amici intimi con i quali parlo di cose personali e chiedo con-
siglio”;
- “li frequento anche perché ci sosteniamo a vicenda”;
- “significa uscire, andare a divertirmi”.
3) Ma sono proprio tutti amici-amici? Non tutti la pensano nello stesso modo:
- “non c’è nessuno in particolare a cui mi rivolgo se ho dei problemi”;
- “dato che conto molto su me stessa non sempre vado a chiedere loro aiuto”;
- “poche delle amicizie che ho le sento vere”;
- “ho trovato che qui in Italia c’è un modo diverso di intendere l’amicizia: al
mio paese essere amici è come essere fratelli, mentre qui non solo non ti aiu-
tano ma non fanno neppure quel che promettono”;
- “in Italia si definisce amici che per la mia cultura è appena un conoscente”
- “non mi fido di nessuno del gruppo”.
4) E qualora il gruppo di amici si comportasse in modo piuttosto trasgressivo?
- “mi allontanerei da loro, non li seguirei ma non gli direi niente”;
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- “a loro capita di fare cose illecite e sono in quei momenti che io mi allon-
tano dal gruppo”;
- “generalmente ci diciamo tutto in faccia”;
- “sono una persona che dice quello che penso ai miei amici se stessero per
fare cose illecite”.
5) Si confidano più con i genitori o con gli amici?
- “se mi devo confidare perché ho dei problemi lo faccio con gli amici”;
- “sono gli amici che possono capire tutti i miei problemi”;
- “io mi confido con i miei compagni di scuola perché l’educazione che mi
viene data a casa è molto restrittiva nei miei confronti”;
- “se mi danno dei consigli che reputo buoni li seguo, non do molto peso a
quello che dice mia madre”.
6) Infine fanno presente che i luoghi dove incontrano gli amici sono quelli soliti
dei loro coetanei (il parco, il muretto, i bar…), alcuni tuttavia hanno segnalato
di frequentare “l’oratorio salesiano, dove ci sono tanti giovani, sia italiani che
stranieri”.
6. VALUTAZIONE DEL PERCORSO SCOLASTICO-FORMATIVO
Gli insegnanti, i compagni di scuola e gli adulti in generale costituiscono una
rete relazionale con cui l’adolescente interagisce quotidianamente. In questi casi
l’autostima dell’adolescente viene messa alla prova per essere costantemente in-
fluenzata dalle reazioni che le altre persone hanno nei suoi confronti, dal grado in
cui questi contatti avvengono in modo positivo e dalla capacità di raggiungere
obiettivi tramite interazioni sociali. Ne consegue che l’adolescente si sentirà a pro-
prio agio con il concetto che ha di se stesso tanto in quanto rimarrà soddisfatto
delle sue interazioni e dei rapporti che ha con il gruppo dei pari e con il più ampio
contesto di appartenenza, che in genere a questa età è rappresentato dalle strutture
scolastico-formative.
In particolare la relazione con i compagni di classe fornisce molteplici oppor-
tunità per osservare le strategie sociali adottate dagli altri, per verificare in che mi-
sura esse sono efficaci e offrono un contesto dove l’adolescente può imparare le
abilità di autopresentazione e la capacità di giustificare le proprie azioni.
6.1. L’indagine nelle scuole
Nel segnalare i principali aspetti che caratterizzano la propria scuola gli stu-
denti hanno evidenziato soprattutto la preparazione che dà a “proseguire gli studi”,
la valorizzazione delle “proprie capacità” e l’attenzione a “saper collaborare” con
gli altri; mentre nel passare a valutare i propri insegnanti hanno sottolineato soprat-
tutto la capacità di “insegnare con chiarezza ed efficacia” e di “saper dialogare con
84
gli studenti”. Sui rimanenti aspetti non si sono riscontrate posizioni critiche, si sono
limitati piuttosto a dare dei giudizi “abbastanza” soddisfacenti.
Rovesciando i termini, è stato chiesto di indicare anche le eventuali carenze
che presenta la propria scuola. In questo caso il dito è stato puntato soprattutto sulla
scarsa presenza di personale specialistico (psicologi, medici…) e sulla carenza di
attrezzature; seppure in misura minore è stata rilevata inoltre anche la presenza di
situazioni conflittuali tra docenti e studenti, tra studenti e tra classi, e l’isolamento
della scuola rispetto al resto del territorio (assenteismo delle autorità e del sistema
imprenditoriale, scarso coinvolgimento dei genitori…).
Inoltre per i giovani immigrati andare a scuola significa essenzialmente essere
interessati ad acquisire una formazione che li prepari all’esercizio di una profes-
sione, a cui si aggiunge ovviamente il piacere di stare assieme agli amici; tuttavia
una minoranza ha ammesso di fare fatica e di avere una certa preoccupazione per
gli esiti futuri.
Non poteva mancare perciò anche una domanda mirata ad indagare sulle diffi-
coltà che questi giovani incontrano nella vita scolastica. A sorpresa, appena uno su
cinque ha manifestato di avere difficoltà, che in sostanza si concentrano quasi esclu-
sivamente sulle materie di studio e sul proprio metodo di studio; solo in qualche ca-
so si accenna ancora a situazioni conflittuali con i docenti e/o con i compagni. Diffi-
coltà che però la scuola o gli insegnanti aiutano solo in parte a fronteggiare.
6.2. I protagonisti delle interviste qualitative
1) I giovani intervistati hanno dichiarato che il rapporto con gli insegnanti in ge-
nere sono buoni o normali o in certi casi anche ottimi, mentre con altri è “così
e così”; in genere si tiene comunque a precisare che:
- “non mi sento trattata diversamente, non ho mai incontrato atteggiamenti di
diffidenza”;
- “gli insegnanti mi hanno aiutato molto quando ero in difficoltà”.
2) Nei confronti dei compagni si tende invece ad evidenziare esperienze discrimi-
nanti:
- “non ho un buon rapporto con i compagni, alcuni non mi accettano perché
diversa”;
- “con i compagni non c’è un rapporto di amicizia, sono molto diffidenti”;
- “sono maleducati e indisciplinati”.
3) Le maggiori difficoltà che incontrano a scuola riguardano l’apprendimento
della lingua e le materie scientifiche; inoltre qualcuno si lamenta di non essere
stato aiutato all’inizio nell’apprendimento della lingua (“all’inizio tutto era dif-
ficile, leggevo o ascoltavo le spiegazioni senza capire”).
4) Quei genitori di origine migratoria che vengono a scuola per informarsi sull’an-
damento del figlio sono una vera rarità, ma qualcuno ha cercato di giustificarli
85
assumendosi responsabilità in prima persona (“mia madre è difficile che si fa ve-
dere a scuola perché ha sempre pensato che la scuola e lo studio servono a me,
per cui me ne devo occupare io e devo essere responsabile per questo”).
5) A fronte della richiesta rivolta anche a loro di indicare cosa sceglieranno di
fare al termine dell’attuale ciclo di studi, alcuni hanno affermato di voler an-
dare all’università, altri di continuare a studiare e lavorare al tempo stesso, per
altri ancora “studiare non mi piace o penso che non serve, per cui non mi ri-
mane che andare a lavorare….”.
6) Sono numerosi i settori nei quali vorrebbero trovare lavoro; i più segnalati ri-
guardano il turismo, l’informatica, l’arte, l’insegnamento; ma c’è anche chi si
accontenta delle opportunità del momento.
7. IL RAPPORTO CON LA CITTÀ DI LATINA
Nell’inchiesta non poteva mancare un’area tutta destinata a valutare il rapporto
che i giovani di origine migratoria hanno con la città.
7.1. L’indagine nelle scuole
Un forte apprezzamento per la qualità della vita di questa città riguarda oltre
due studenti su tre (62.8%) ed è stato espresso in egual misura tanto da chi vi è nato
come da chi ha scelto di venire a viverci provenendo da altri Comuni del Lazio o
d’Italia o dall’estero; mentre quel terzo circa che ha dato una valutazione meno po-
sitiva, manifestando il proprio senso di insoddisfazione nel vivere a Latina, è com-
posto prevalentemente da maschi, da chi ha segnalato la presenza di situazioni dif-
ficili e talora conflittuali e da coloro che non sanno ancora che decisione prendere
al termine dell’attuale ciclo di studi.
Nel chiedere a questi ultimi il perché della propria insoddisfazione sono state
fatte presenti ragioni legate anzitutto allo spaccio di droga e ai pregiudizi razziali,
cui hanno fatto seguito anche quelle legate alle opportunità formative e di carriera
professionale.
A questo punto si è entrati direttamente sul tema delle migrazioni nel tentativo
di captare la percezione che ha del fenomeno chi vive il processo migratorio in
prima persona. Nel procedere in questo senso si è partiti ovviamente dall’analizzare
il tipo di rapporto che esiste a Latina tra immigrati ed italiani. Al riguardo l’in-
chiesta purtroppo ha portato ad emergere un ulteriore segnale negativo: non arri-
vano al 10% coloro che hanno segnalato una convivenza pacifica; per un terzo il
rapporto avviene all’insegna dell’indifferenza e della estraneità; mentre a circa la
metà dei giovani immigrati (48.2% - in particolare a quelli più avanzati in età) ha
dichiarato che un tale rapporto avviene all’insegna dell’intolleranza (28.8%) e della
conflittualità (19.4%).
86
Anche le prospettive future di questa convivenza non appaiono tra le più rosee:
se si prescinde dal fatto che sia l’occupazione come il benessere e la qualità della
vita secondo questi immigrati rimarranno pressappoco “come adesso” e, quindi, ri-
specchieranno l’attuale situazione critica, sulle rimanenti alternative si prospetta sì
una crescita, ma purtroppo essa va nella direzione di accentuare unicamente gli
aspetti più negativi; ossia tra le loro previsioni non compaiono segnali di cambia-
menti in positivo bensì vengono avanzate ipotesi pessimistiche sull’intera gamma
delle affermazioni riguardanti la convivenza civile, quali l’uso delle droghe, la pre-
senza di conflitti razziali, la devianza/delinquenza giovanile/minorile, la criminalità
organizzata, l’inquinamento ambientale.
7.2. I protagonisti delle interviste qualitative
1) Una parte di questi giovani trova che Latina è tranquilla, i servizi sono buoni e
la gente in genere è gentile e accogliente, non dà fastidio agli stranieri:
- “non ho riscontrato indifferenza nei miei confronti”;
- “non ho incontrato gente ostile nei miei confronti, quelli che lo fanno sono
degli individui isolati”;
- “quando esco per Latina non avverto di essere un immigrato”;
- “la gente non è ostile, anche quella che non gli importa niente di te”;
- “sto meglio qui a Latina che al nord Italia, perché la gente è più calorosa”.
2) Ma non tutti la pensano nello stesso modo; per un’altra quota di giovani invece
ciò che provoca maggiore disagio nel vivere a Latina è proprio la gente, unita-
mente a varie altre difficoltà di ordine logistico:
- “per l’esperienza che ho avuto c’è gente diffidente e aggressiva nei confronti
degli stranieri”;
- “le persone diventano diffidenti quando non capiscono la lingua o i compor-
tamenti tipici di altre culture”;
- “se c’è un immigrato che ha commesso crimini pensano che tutti noi com-
mettiamo dei crimini”;
- “le poche opportunità di entrare nel mercato del lavoro”;
- “mancano le opportunità per appagare le esigenze di noi giovani”;
- “ottenere un titolo di studio che mi permetta poi di lavorare”
- “i tempi troppo lunghi per avere i documenti in regola”.
3) Infine si è voluto sapere anche come/dove i giovani immigrati vivono il tempo
libero a Latina:
- “metà a scuola e metà a casa per fare i compiti”;
- “esco con gli amici”;
- “vado a giocare al pallone”;
- “vado all’oratorio”;
- “il sabato andiamo a mangiare dai cinesi”;
- “vado in palestra”;
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- “spesso alcuni miei amici mangiano da me o io da loro”;
- “dopo pranzo giochiamo al computer o alla play station”.
8. PROPOSTA DI INTERVENTI A FAVORE DEI GIOVANI DI LATINA
Le proposte inserite nell’ultima parte del questionario afferiscono a varie aree
d’intervento (scolastica, formativa al lavoro, culturale, educativa, socio-assisten-
ziale e del tempo libero) e sono già state adottate anche in altre inchieste su giovani
appartenenti al vicino contesto metropolitano della capitale 3:
1) nell’area scolastico-formativa le proposte che sono state fatte oggetto di mag-
giore interesse vanno dai corsi di lingue e di informatica al recupero scola-
stico;
2) nell’area della formazione al lavoro le segnalazioni si concentrano particolar-
mente sull’esperienza di stage, sulle visite guidate ai luoghi di produzione e
sugli incontri con esperti del mercato del lavoro;
3) nell’area culturale e civica godono un’attenzione del tutto particolare le inizia-
tive che, coerentemente all’interesse per l’apprendimento delle lingue, pro-
muovono soggiorni-studio all’estero;
4) nell’area educativo-ricreativa viene evidenziata l’esigenza di poter usufruire di
strutture per il tempo libero dei giovani, dove essi possono dare il meglio della
loro creatività in campo musicale (festival…), culturale (seminari di studio
sulle problematiche giovanili…) ed espressivo-artistico (mostre fotografiche,
difesa dell’ambiente…);
5) infine nell’area socio-assistenziale l’interesse si è particolarmente concentrato
sui soggetti svantaggiati e a rischio di devianza, richiedendo di promuovere
iniziative che vanno dalla formazione di particolari figure operative (educatori
di strada, animatori del tempo libero…), alla creazione di associazioni e di
gruppi di auto-aiuto.
3 Cfr. a cura di MALIZIA G. et al., Il minore a-lato. Bisogni formativi degli adolescenti dei Muni-
cipi Roma 6 e 7: vecchie e nuove povertà, Milano, Angeli, 2003; Fondamenta di futuro. Bisogni for-
mativi di preadolescenti e giovani del IX Municipio di Roma, Roma, Tipografia Pio XI, 2007.
89
Capitolo 4
L’indagine qualitativa:
analisi dei contenuti emersi dai focus group
Vittorio PIERONI
In questa parte dell’inchiesta vengono riportati in sintesi i principali contenuti
emersi nei 7 Centri dove sono stati fatti i focus, preceduti da una breve presenta-
zione dei dati della scheda relativamente alle attività formative promosse a favore
degli immigrati.
1. IL CNOS-FAP “T. GERINI” DI ROMA
1.1. I dati della scheda
Nell’anno formativo 2006-07 il totale degli allievi di origine migratoria iscritti
al Centro assomma a 37, pari al 7.9% del totale, ma già agli inizi dell’anno succes-
sivo sono passati a oltre il 10%, per cui si prevede un sempre maggiore incremento
di questo bacino d’utenza.
Tornando all’anno in osservazione, i 37 allievi sono tutti maschi, al di sotto dei
18 anni e provengono i più dai Paesi dell’Est (19), seguono i latinoamericani (11),
quindi gli asiatici (4) e gli africani (3).
Al termine dell’anno si sono qualificati in 32, mentre 5 sono venuti meno
lungo il percorso. Della più parte di loro si è persa ogni traccia, e comunque si è
venuti a sapere che 2 sicuramente hanno trovato subito lavoro e altri 2 hanno conti-
nuato nel sistema di istruzione.
Passando in rassegna l’attività formativa a partire dall’a.f. 2002-03 ad oggi,
durante questi ultimi 5 anni gli immigrati si sono iscritti ad entrambi i corsi di mec-
canica ed elettro-elettronica gestiti dal Centro. Così pure nello stesso periodo è
stato offerto costantemente un pacchetto di supporto che riguarda un po’ tutte le at-
tività presenti nella scheda, ossia informazione, accoglienza, orientamento, bilancio
di competenze, counseling agli allievi, ai formatori e alle famiglie. Per queste atti-
vità di supporto si è sempre fatto ricorso a personale specialistico (orientatori, psi-
cologi, mediatori culturali).
Per quanto riguarda infine le metodologie utilizzate per la loro formazione, du-
rante tutti questi anni si è fatto sempre ricorso allo stage e all’educazione intercul-
turale.
90
1.2. Analisi dei contenuti del focus
Al focus hanno partecipato 6 persone: 1 formatore, 2 figure deputate alle atti-
vità di orientamento, di cui una con compito di coordinamento, 1 docente di ita-
liano per stranieri affiancato da due collaboratrici del Servizio Civile Volontario.
1.2.1. Premessa
La discussione ha preso subito avvio col far presente che il Centro sta pas-
sando un particolare momento di emergenza per la concomitanza tra l’incremento
degli allievi di origine migratoria e le difficoltà che intervengono nell’apprendi-
mento della lingua italiana. Queste ultime derivano soprattutto dal non trovare un
giusto collocamento per svolgere tale attività in quanto, se messe al mattino, spesso
si sovrappongono ad altre attività corsuali, mentre se svolte nelle ore pomeridiane
la partecipazione degli utenti risulta quasi inesistente poiché questi ragazzi devono
lavorare per contribuire al mantenimento della famiglia.
Per superare queste difficoltà il Centro ha chiesto la collaborazione e fatto l’ac-
cordo con un CTP (Centro Territoriale Permanente), limitandosi a curare solo l’or-
ganizzazione.
1.2.2. Le buone prassi di supporto all’inserimento e alla riuscita del percorso for-
mativo degli immigrati
Nel descrivere come si svolgono le attività il gruppo ha preso in considera-
zione in primo luogo l’insegnamento dell’italiano, facendo presente che:
– anzitutto viene fatto un test d’ingresso ad ogni nuovo arrivato, così da valutare
il livello di competenza dell’italiano;
– per svolgere le lezioni di italiano il docente ricorre oltre ad un normale testo
anche a vari altri sussidi didattici (cassette, cd, fotocopie, esercitazioni…);
– inoltre le volontarie del servizio civile integrano l’attività del docente di ita-
liano per stranieri offrendo lezioni individualizzate due pomeriggi alla setti-
mana durante i quali, per facilitare l’attenzione e promuovere l’interesse, pro-
pongono la visione di film, la lettura di fumetti e quant’altro porta ad invo-
gliare la partecipazione.
Passando ad analizzare le altre attività, si fa osservare anzitutto che il servizio
di orientamento si colloca come intermediatore, facendo da trait d’union tra il CFP,
l’EdA e il Servizio Civile, e assumendosi il compito di gestire le relazioni organiz-
zative sia all’interno che all’esterno del Centro.
Affrontando quindi il tema dell’integrazione degli immigrati all’interno del
Centro e del gruppo-classe, si fa presente che essi sono talora più motivati degli au-
toctoni nell’apprendimento di una professionalità; il fatto stesso di non conoscere i
termini tecnici li incuriosisce e li sprona ad apprenderli, in quanto vogliono andare
a lavorare presto. Per cui succede anche che talora si instaura una gara con gli au-
toctoni a chi si impegna di più.
91
Al tempo stesso viene fatto presente che il processo di integrazione non è di
facile soluzione; all’inizio lo straniero viene visto male, quasi un intruso e se potes-
sero gli autoctoni li manderebbero via. Dal canto suo il sistema preventivo sale-
siano ovviamente fa il possibile per scoraggiare questi atteggiamenti facendo affi-
damento su un corpo docente che per primo dà l’esempio di come arrivare a supe-
rare i processi discriminatori offrendo maggiore aiuto e sostegno proprio a coloro
che vengono discriminati in quanto hanno maggiori difficoltà di apprendimento.
E comunque a lungo andare si è visto che questi atteggiamenti discriminatori
si sono attenuati grazie al fatto che gli immigrati, oltre a dimostrarsi più motivati,
si sono dimostrati anche quelli più disponibili per fare qualsiasi lavoro, più
generosi nel prestarsi a qualsiasi richiesta, e in base a questo si sono fatti rispettare
un po’ da tutti (docenti e allievi) anche perché hanno saputo dimostrare di saper
fare i lavori meglio degli altri. Una riprova è venuta dall’esperienza di stage, dove
perfino gli stessi datori di lavoro hanno apprezzato abbastanza il rendimento degli
immigrati.
Una ulteriore buona prassi mirata a favorire i processi di integrazione e ad ab-
battere contemporaneamente le discriminazioni più consolidate è stata messa a
punto quando sono stati accolti e inseriti nei corsi 8 ragazzi Rom. Ciò è stato possi-
bile grazie alla collaborazione tra il Centro e la Comunità di Capo d’Arco la quale,
dopo una serie di colloqui orientativi mirati a valutare la fattibilità dell’inserimento
anche dal punto di vista della preparazione culturale e della professionalità da con-
seguire, hanno fatto la proposta al CFP. Nell’accogliere questi soggetti il Centro ha
adottato le normali prassi riguardati i colloqui iniziali con il servizio di orienta-
mento e l’affiancamento ad un tutor, ma in più per un ulteriore sostegno i ragazzi
Rom sono stati seguiti e affiancati anche dagli stessi operatori di Capo d’Arco. Allo
stato attuale l’esperienza con questo tipo di utenza ci dice che quando riescono a
mantenere una certa frequenza conseguono anche loro ottimi risultati. Tuttavia il
vero problema sta proprio nella frequenza assidua la quale, più che dalla loro vo-
lontà spesso dipende da fattori contingenti, quali l’organizzazione stessa dei campi,
gli spostamenti dei genitori, gli interventi delle Forze dell’Ordine che non permet-
tono di uscire dal campo nomadi. E comunque allo stato attuale l’esperienza attesta
che una volta che vengono presi in carico dal Centro questi ragazzi possono conse-
guire gli stessi successi di tutti gli altri.
1.2.3. Altre attività di supporto offerte dal Centro
In questo momento il Centro sta anche promuovendo accordi con i Servizi per
l’Impiego del Comune di Guidonia, il quale presenta a livello provinciale il più alto
tasso di residenti immigrati. I ragazzi con l’età dell’obbligo di istruzione e forma-
zione, ossia tra 14 e 16 anni, che risiedono in questo Comune sono circa un mi-
gliaio, per cui il Centro ha promosso un protocollo d’intesa con questi Servizi al
fine di cercare di inserire questi ragazzi nei corsi del CFP.
Quanto poi a verificare se al termine del ciclo formativo gli immigrati possono
92
trovare lavoro, i partecipanti al focus affermano che la differenza non sussiste, chi
sa farsi valere viene preso indipendentemente dall’essere immigrati o no, anche
perché in questo giocano i risultati delle esperienze di stage.
Anche le famiglie degli immigrati vengono seguite e coinvolte nelle attività
del Centro, nonostante che l’integrazione per esse risulti ancor più difficile a causa
di quei condizionamenti e stereotipi che caratterizzano maggiormente gli adulti, in
particolare nei confronti dei Rom. Questi ultimi tuttavia hanno chiaramente fatto
intendere agli operatori del Centro che per uscire dalla loro situazione puntano sul-
l’inserimento scolastico e lavorativo dei figli.
E comunque le attività di supporto da parte del servizio di orientamento del
Centro sono assicurate a tutti, anche a chi ha problemi di tossicodipendenza; per af-
frontare la problematica (che però tocca essenzialmente gli allievi autoctoni piut-
tosto che gli immigrati) è stato fatto un accordo anche con il CEIS di don Picchi
per attività di counseling per soggetti a rischio di dipendenza, ed inoltre una volta a
settimana viene fatta psicoterapia familiare gratuita per tutti.
Il Gerini fa anche parte di una rete o meglio di un patto territoriale promosso
dal Comune di Roma in base al quale il Centro gestisce uno dei tanti sportelli peri-
ferici per l’informazione e l’orientamento, aperto a tutte le possibili utenze.
Per quanto riguarda poi il rapporto con il sistema delle imprese il CFP sta in
contatto con 150 piccole e medie aziende del territorio, con le quali si sono istaurati
precisi accordi scritti per svolgere lo stage.
Infine il Gerini fa parte di un patto territoriale presente nel V Municipio, fir-
mato da più di 30 istituzioni pubbliche e private (scuole, associazioni di categoria,
Forze dell’Ordine, CTP, EdA, ASL…), i cui rappresentanti costituiscono come la
cabina di regia per progetti d’intervento a favore dell’inserimento scolastico e pro-
fessionale degli immigrati e per la gestione dei centri di servizio (EdA, CPT…).
L’ottica del Servizio di Orientamento del Gerini è infatti quella non di una struttura
privata ma pubblica, in quanto anche i finanziamenti sono pubblici; e il riconosci-
mento in quanto servizio pubblico rappresenta per il CFP una carta vincente in
quanto permette di stare alla pari con qualsiasi altra istituzione.
1.2.4. Aspetti critici rimasti irrisolti e da migliorare
Prima di chiudere il focus i partecipanti hanno segnalato una serie di aspetti
che andrebbero migliorati:
– in primo luogo occorrerebbe dare ai formatori una formazione specifica e fina-
lizzata a prevenire le forme di discriminazione e a saper utilizzare metodologie
più adeguate nel dare sostegno agli allievi immigrati (affiancamento, apprendi-
mento cooperativo…), rendendoli consapevoli che spesso il vero problema sta
nel fatto che non capiscono e non perché non stanno attenti o non hanno voglia
di studiare;
– una maggiore adeguatezza riguarda inoltre anche i programmi e la loro distri-
buzione per tempi fasi, in quanto il loro svolgimento nei confronti di questa
93
particolare utenza richiederebbe di essere più flessibili e/o tempi più lunghi, in
considerazione del loro ritardo culturale e linguistico;
– infine anche i contatti tra il Centro e le famiglie degli immigrati e le associa-
zioni delle comunità etniche a cui appartengono dovrebbero essere maggiori e
più approfonditi.
2. L’ENAIP - VENETO
Il focus è stato realizzato presso il CFP ENAIP di Dolo, ma ad esso hanno par-
tecipato i rappresentanti di tre Centri ENAIP del Veneto, Dolo, Mirano e Noale, co-
ordinati da un unico direttore; oltre a quest’ultimo erano presenti tre tutor (uno per
Centro), due figure di RUO (Responsabile Unità Operativa), un docente e un ope-
ratore dell’orientamento.
2.1. Dati complessivi dei 3 Centri
Anche la scheda che è stata compilata riporta i dati complessivi di tutti e tre i
Centri, in base alla quale si evince che la presenza degli allievi immigrati relativa-
mente all’a.f. 2006-07 varia dal 15 al 20%, è composta in parti simili da maschi
(53.6%) e da femmine (46.4%), i quali presentano un’età media piuttosto elevata
(tra 18 e 25 anni); provengono per lo più dai Paesi dell’Est (42.4%) e dall’Africa
(39.1%), mentre i latinoamericani e gli asiatici costituiscono una minoranza (9.9 e
8.6%, rispettivamente).
I maschi si inseriscono preferibilmente nei corsi del settore elettrico e mecca-
nico e le ragazze nel settore estetico, amministrativo, dei lavori d’ufficio e della ri-
storazione. Le attività di supporto che i Centri offrono agli immigrati riguardano
soprattutto l’accoglienza, l’orientamento ed il bilancio di competenze.
2.2. Analisi dei contenuti del focus
2.2.1. Logistica organizzativa nel trattamento degli allievi immigrati
L’esperienza con allievi di origine migratoria ha avuto inizio dall’anno 2000 in
poi, ed è cresciuta parallelamente al complessificarsi delle diverse presenze per
estrazione geografica ed etnica.
Si fa subito osservare che la maggioranza di questa utenza è nata in Italia, per
cui il problema della lingua qui non è stato molto avvertito, semmai il bilinguismo
a cui fanno ricorso questi allievi è un fenomeno che si caratterizza per utilizzare, a
fianco della lingua madre, preferibilmente il dialetto veneto piuttosto che l’italiano.
I 3 Centri usufruiscono di una figura definita “Responsabile delle Unità Opera-
tive” (RUO), finalizzata a risolvere i casi più gravi, mentre in via normale i contatti
con gli immigrati vengono tenuti/affidati al tutor formativo in quanto è a lui che si
rivolgono quando hanno dei problemi. Di conseguenza anche i colloqui con gli al-
94
lievi e le famiglie avvengono prevalentemente attraverso questa figura operativa;
soltanto se si verificano casi che il tutor non è in grado di risolvere da solo allora
interviene il RUO.
Il tutor formativo si relaziona con gli allievi sia all’interno della classe che
negli spazi extracurricolari, rileva i loro problemi ed in tal modo ha l’opportunità di
osservare il formarsi di quei gruppi e sottogruppi che spesso sono all’origine di dis-
ordini (che talora si presentano trasversali alle classi). In particolare nei confronti
degli immigrati spetta al tutor appurare fin dai colloqui iniziali da quanto tempo
sono in Italia loro ed i loro genitori, qual è la composizione familiare, come si rela-
zionano in famiglia, insomma capire il loro retroterra di esperienze ed in partico-
lare il background culturale. In questo modo si riesce ad ottenere delle informa-
zioni che poi vengono utilizzate nei successivi colloqui per sapere in che stato si
trovano; non solo, ma il profilo di ogni ragazzo viene poi messo a disposizione e
socializzato all’intero corpo docente.
Oltre a queste figure di intermediazione i Centri usufruiscono di un servizio di
mediazione culturale attivato dalla Provincia di Venezia e affidato ad una coopera-
tiva di servizi sociali, la quale tuttavia si occupa anche di altri casi difficili (disagio
minorile, inserimento lavorativo, carceri….). Per attivare il servizio di mediazione
della cooperativa i Centri hanno predisposto una scheda-utente attraverso la quale
vengono offerte le informazioni necessarie a predisporre poi l’intervento. A seguito
della richiesta interviene la figura di mediazione specializzata per affrontare il caso,
la quale opera attraverso una serie di colloqui con l’allievo ed il tutor al fine di in-
dividuare la strategia da mettere in atto. Questa prassi ha dato in certi casi risultati
positivi.
Al riguardo è stato riportato un caso di inserimento in classe di una ragazza
mussulmana che non veniva accettata perché indossava gli abiti tradizionali e che
poi è stato risolto positivamente sia per la ragazza che per la classe grazie all’inter-
vento del mediatore che è andato a beneficio
Coerentemente ai dati riportati nella scheda dei Centri, i partecipanti al focus
hanno fatto osservare che gli immigrati maschi si inseriscono preferibilmente nei
corsi del settore elettrico e meccanico e le ragazze nel settore estetico, amministra-
tivo, dei lavori d’ufficio e della ristorazione. E mentre per i primi non ci sono pro-
blemi nel trovare lavoro, queste ultime trovano più difficoltà già a partire dalla fase
stessa di partecipazione allo stage, in quanto soprattutto le piccole aziende manife-
stano una certa diffidenza nei loro confronti. Tale diffidenza scaturisce da pregiu-
dizi che riguardano non tanto il possesso dell’italiano quanto piuttosto afferiscono
a vere e proprie forme di razzismo soprattutto nel campo della ristorazione e dell’e-
stetica, ossia là dove entra in gioco soprattutto il colore della pelle; in questi casi
l’operatore che fa la richiesta all’azienda si trova di fronte ad un rifiuto mascherato
da:: “sa, io non sono razzista, ma ho una certa clientela che farebbe dei problemi
per farsi massaggiare da una ragazza di colore…”. Tuttavia in parte la diffidenza
viene provocata anche da queste ragazze, in quanto provengono da culture dove
95
mancano alcuni valori deontologici legati all’attività lavorativa femminile, quali il
rispetto dell’orario di lavoro, l’assunzione di responsabilità sul lavoro ecc. Inoltre
per le famiglie che queste ragazze hanno alle spalle il fatto che possano arrivare ad
ottenere una qualifica non è molto importante e questo viene a pesare sulla loro
continuazione del percorso, rendendo così meno sicuro di poterlo portare a termine.
2.2.2. Buone pratiche messe a punto per fronteggiare determinati fenomeni
1) Uno dei problemi più gravi che i Centri si trovano ad affrontare è l’abbandono
del corso per andare a lavorare. In Veneto il mondo del lavoro esercita una
forte attrattiva sulla condizione giovanile, e di questa cultura sono rimasti in-
fluenzati anche gli immigrati, in quanto talora è la famiglia stessa che fa pres-
sione sul ragazzo al fine di aumentare il reddito familiare. Tuttavia l’abban-
dono comporta, al di là della debolezza professionale causata dalla mancanza
di qualificazione, anche pericoli di sfruttamento e di rapido licenziamento in
caso di esuberi. Per evitare di cadere in queste trappole i Centri si sono orga-
nizzati facendo in modo che i qualificati possano entrare nel mondo del lavoro
attraverso il tirocinio formativo, ossia sfruttando la normativa prevista dal co-
siddetto “Pacchetto Treu” il quale prevede che l’allievo sta ancora a carico del
Centro, e quest’ultimo fa un contratto di tirocinio formativo con aziende che
ricercano personale qualificato. In questo modo i qualificati ottengono un la-
voro all’interno di un progetto formativo, ossia hanno una borsa-lavoro per un
periodo che va da 3 a 6 mesi. L’esperienza fatta attesta che nel 99% dei casi il
tirocinio si è trasformato poi in un contratto vero e proprio di lavoro a tempo
determinato. Al punto che in certi casi si è assistito ad una chiusura anticipata
del tirocinio in quanto l’azienda ha subito assunto la persona che si è dimo-
strata particolarmente preparata.
2) Un’altra strategia utilizzata dal Centro contro il problema dell’abbandono è
quella del patto formativo, firmato dai responsabili delle attività di accoglienza
e di orientamento oltre che dall’allievo e dai genitori. In questi casi viene riser-
vata una particolare attenzione e cura ai genitori degli allievi del primo anno
per coinvolgerli maggiormente fin dall’inizio nel cammino che i figli stanno
intraprendendo, attraverso frequenti incontri e colloqui; mentre negli anni suc-
cessivi i genitori vengono interessati di più sui problemi di comportamento del
figlio. In questi incontri sono presenti anche tutti i docenti: ognuno si presenta
e dice quel che fa; quindi si apre il dialogo e si lascia che ognuno intervenga in
rapporto a precise tematiche/problematiche di volta in volta oggetto di tratta-
zione a seconda degli eventi che si sono verificati nel Centro o delle attività o
decisioni che si intendono prendere.
3) La famiglia immigrata diventa un grosso ostacolo e/o diventa un vero pro-
blema quando vuole ritirare i figli dal Centro per mandarli subito a lavorare (a
certe famiglie non interessa più nulla della scuola quando trovano un lavoro
per il figlio). In questi casi si è visto che la strategia vincente è stata quella di
96
mettere i genitori a confronto con giovani della stessa etnia che invece hanno
conseguito con successo la qualifica. In considerazione della stima che da
parte del Centro viene a godere un loro concittadino, anche la famiglia ac-
quista una maggiore fiducia nella struttura.
4) Un altro problema è quello dell’assenza della famiglia nel contatto con il CFP.
Tale problema si pone anzitutto quando si ha a che fare con delle assenze o dei ri-
tardi o delle uscite anticipate degli allievi. In questi casi non si riesce a capire le
giuste ragioni anche quando si manda a chiedere ai genitori di giustificare questi
comportamenti in quanto non si sa poi come i figli traducono queste richieste ai
genitori o anche perché i genitori spesso, a seconda delle situazioni, fanno finta di
non capire; quindi anche la giustificazione che viene mandata indietro in realtà
non si sa bene da chi sia stata firmata. Un altro problema ancora è con i genitori
dei ragazzi cinesi in quanto gli adulti non parlano l’italiano per cui non si riesce a
sapere se gli adulti presso cui vivono questi allievi sono effettivamente i genitori o
chi altro; ma, anche nel caso di veri genitori non si riesce mai ad avere la loro pre-
senza per colloqui individuali negli incontri comuni.
In tutti questi casi ed altri ancora si è visto che l’unica via è quella di far inter-
venire il mediatore culturale perché parli direttamente con i genitori andando lui
stesso a casa loro. Il fatto che questo mediatore parlando la stessa lingua faccia
comprendere il caso-problema è determinante per il Centro per poter mantenere un
canale di comunicazione con la famiglia.
5) Un’ulteriore strategia è stata quella di formare una rete per l’accompagna-
mento al lavoro. Si è visto infatti che nel tempo i tre Centri si sono strasformati
poco alla volta in una vera e propria agenzia di collocamento in quanto sono
diventati il punto di riferimento di molti degli ex-allievi qualificati i quali,
dopo aver fatto inutilmente il giro dei vari Centri per l’Impiego presenti nel
territorio, sono poi ritornati qui per cercare un supporto all’occupazione. In
questi casi si è visto che il tirocinio formativo diventa una vera e propria for-
mula di accompagnamento al lavoro.
6) Ai fini dell’integrazione nel territorio delle comunità etniche il CFP di Dolo ha
messo a disposizione ogni anno il parco interno della villa dove è collocato per
fare la Festa dei Popoli, a cui partecipano tutte le associazioni degli immigrati
e dove vengono messi in mostra i prodotti tipici artigianali e per degustare
quelli delle varie cucine etniche.
2.2.3. Esempi di strategie d’intervento finalizzate all’integrazione nel gruppo-
classe
Nell’elencare le buone pratiche messe a punto nell’attività finora svolta a so-
stegno degli allievi immigrati, i vari partecipanti al focus hanno riportato anche al-
cuni esempi pratici di come sono intervenuti a fronte di determinati fenomeni che
si sono provocati, in particolare all’interno del gruppo-classe.
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1) In una classe dove era presente un gruppo di ragazzi italiani borderline si è
creata un’alleanza tra questi ultimi e un altro gruppo di immigrati al fine di
esercitare marcate forme di discriminazione e di bullismo nei confronti di al-
lievi cinesi. In questo caso si è fatto ricorso alle seguenti strategie:
- nel programma di storia si è partiti dal far conoscere la storia dell’emigra-
zione italiana ed anche veneta nei vari Paesi del mondo, presupponendo che,
rovesciando i ruoli, si producesse una maggiore apertura e sensibilità verso i
compagni di banco immigrati;
- un mediatore culturale fatto venire appositamente dalla cooperativa di servizi
sociali ha fatto vedere una serie di documentari sull’immigrazione a cui ha
fatto seguire una discussione nella classe-problema.
2) Per quanto riguarda in particolare l’integrazione degli alunni cinesi nel gruppo-
classe (che l’esperienza insegna essere particolarmente difficile non solo per la
lingua ma anche per lo stigma di cui sono portatori e per la loro stessa chiu-
sura) si è visto che buoni risultati sono stati ottenuti quando nell’accogliere dei
nuovi arrivati si è fatto ricorso e sono stati opportunamente coinvolti gli al-
lievi più grandi e/o già da tempo presenti nel Centro.
3) Un altro momento di forte integrazione emotiva è avvenuto quando un ragazzo
del Centro, di origine mussulmana, si è suicidato; in questo caso l’aver accom-
pagnato alla cerimonia funebre, che era di rito mussulmano, tutti gli allievi del
Centro ha provocato un momento di forte coesione in cui tutti si sono sentiti
coinvolti al di là delle provenienze, delle etnie, dei pregiudizi. A seguito di
questo lutto è partito il programma di intercultura e si è dato avvio anche ai
lavori di gruppo sull’integrazione.
2.2.4. La formazione della rete
I tre Centri ENAIP fanno parte di un’azione di rete formata dai rappresentanti
della Provincia e di tutti i Comuni dell’area, più le ASL, i SERT, i Servizi per l’Im-
piego, la Croce Rossa, la Caritas ed altre associazioni che si occupano dell’educa-
zione di strada. La rete funziona attraverso la messa in atto di determinati progetti
(all’ENAIP sono affidati soprattutto quelli sull’orientamento): di fronte ad un pro-
blema che emerge, su sollecitazione di un partner della rete o delle stesse istituzioni
si comincia ad elaborare un progetto al quale ogni partner aderisce in base alle
competenze. Tali progetti riguardano indistintamente sia gli autoctoni che gli immi-
grati. Questo modo di fare permette di non sentirsi più soli di fronte all’insorgere di
problematiche sociali.
Inoltre l’ENAIP fa parte della Consulta Provinciale per l’immigrazione, che è
un organo di consultazione promosso dall’Assessorato Provinciale al Lavoro con il
compito di intervenire su progetti di integrazione sul lavoro degli immigrati con
particolare riferimento alle donne e al problema delle badanti, in quanto la Pro-
vincia presenta il più alto tasso di anzianità del Veneto. Nella Consulta sono pre-
senti ovviamente anche le associazioni degli immigrati (l’Associazione delle
98
Donne Ucraine, l’Associazione di Comunità professionali gestite da immigrati,
l’Associazione dei Maghrebini, ecc.).
I Comuni della Riviera del Brenta hanno una rete estesa di sportelli rivolti in
particolar modo alle donne immigrate, ed anche questa attività è il prodotto di un
progetto per le pari opportunità. Per cui in pratica si può dire che in questi ultimi
anni le amministrazioni Regionali, Provinciali e Comunali partecipano attivamente,
assieme alle scuole, ai Centri di Formazione Professionale e ad altre istituzioni
pubbliche e private alla rete dei servizi rivolti alle fasce deboli della popolazione.
Questa rete diventa un interlocutore privilegiato in vista dell’attività progettuale e
del varo di leggi e delibere varie a sostegno di queste fasce, il cui coordinamento è
stato affidato a FORMA Veneto.
3. IL CNOS-FAP E IL CIOFS/FP DI BOLOGNA 1
Al focus hanno preso parte 11 persone, in rappresentanza di 6 Enti/Istituzioni.
Va subito fatto notare che per quanto riguarda la Famiglia salesiana, oltre al CNOS-
FAP era presente anche un rappresentante del CIOS/FP. Per il CNOS-FAP presen-
ziava la dirigenza al completo nelle persone del direttore dell’Opera e del CFP, più
alcuni docenti responsabili di particolari settori.
Inoltre erano presenti un Consigliere comunale, due rappresentanti della Con-
fartigianato, uno per i Centri per l’Impiego, uno per la Caritas e uno per l’AECA.
3.1. I dati della scheda
Contestualmente all’anno a cui si richiedeva di fare riferimento (2005-06), gli
allievi di origine migratoria iscritti nei corsi del Centro erano 51 su 220 (circa uno
su quattro), quasi tutti maschi e sotto i 18 anni, provenienti soprattutto dai Paesi
asiatici e in parte dall’Est europeo, qualcuno anche dall’Africa e dall’America La-
tina.
Essi hanno frequentato sia i corsi biennali sull’obbligo formativo che quelli
post-diploma nei settori meccanico, grafico, termoidraulico e falegnameria (questi
ultimi due nella sede distaccata di Castel de’ Britti). Al termine di questi corsi si co-
stata tuttavia che soltanto due su tre sono riusciti ad ottenere la qualifica mentre la
quota residua ha abbandonato il corso.
Inoltre in calce alla scheda si fa notare che il CNOS-FAP di Bologna ha realiz-
zato con successo un corso specificatamente rivolto a un aula composta esclusiva-
mente da 12 immigrati adulti (over 25 anni) extracomunitari disoccupati, in regola
con il permesso di soggiorno: Corso P.A. 2006-0159/Rer PIN “Percorsi di Inclu-
1 A seguito dell’incontro di Bologna, il Centro ha redatto un report a parte sulla situazione degli
immigrati, che è stato riportato per intero in Appendice n. 1.
99
sione socio-lavorativa per le persone immigrate”, il quale fa parte di un progetto
integrato più ampio finanziato dalla Regione E/R con delibera di G.R. n. 06-
001156 del 05/08/2006 ob.3 B1.
Infine nell’analizzare il supporto offerto in questi ultimi 5 anni agli immigrati
durante i percorsi formativi vengono dappertutto segnalate attività di informazione,
accoglienza, orientamento, alfabetizzazione linguistica, sostegno all’inserimento,
educazione interculturale e alla cittadinanza democratica, partecipazione ad attività
extracurricolari. A loro volta le metodologie a cui si è fatto ricorso nello svolgi-
mento di tali attività riguardano in particolare l’apprendimento cooperativo, il tuto-
ring tra pari e lo stage; inoltre fin dall’a.f. 2003-04 è stata inserita nel Centro la fi-
gura del mediatore interculturale.
3.2. Analisi dei contenuti del focus
3.2.1. Logistica organizzativa nel fronteggiare l’emergenza
Nella fase di apertura del dibattito un po’ tutti i partecipanti al focus sono par-
titi dal segnalare che in questo momento Bologna sta attraversando un particolare
periodo di emergenza dovuto all’arrivo in massa di giovani immigrati provenienti
soprattutto dall’Iran, dall’Afganistan e dall’Eritrea, dotati di permesso di soggiorno
per motivi umanitari, i quali pur avendo il permesso di lavorare tuttavia non possie-
dono la lingua e nei cui confronti si richiedono anzitutto interventi di prima neces-
sità (buoni pasto, gettone per la mobilità…).
In questi casi, è stato fatto subito osservare, è difficile stabilire il “che fare” in
termini di attività formative da progettare nei loro confronti. In ogni caso tutti con-
cordano sul fatto che nel rispondere a questi bisogni emergenti occorrerebbe pro-
porre/attivare corsi brevi, flessibili e il più possibile rispondenti ai bisogni e alle at-
tese dell’utenza, aggiustando il tiro di volta in volta. (“non si può pensare a per-
corsi di 5-600 ore quando l’immigrato ha urgente bisogno di lavorare…”, è stato
osservato).
Sempre a questo riguardo è stato fatto notare che non è necessario che tali per-
corsi arrivino subito alla qualifica, la normativa regionale prevede infatti una serie
di “pacchetti” composti da unità di competenze da certificare e che, assommati di
volta in volta, portano poi a conseguire una qualifica relativa ad un profilo speci-
fico. Questa potrebbe essere nel tempo una strategia da adottare nei confronti di chi
non può seguire i normali percorsi formativi tutto in una volta.
È chiaro che in questo caso si sta parlando di persone migrate adulte con esi-
genze particolari, che sono prevalentemente quelle di lavorare, di mantenersi, di
mantenere la famiglia, Tuttavia questa premessa è risultata opportuna per invitare
successivamente i partecipanti ad affrontare la problematica nel suo più ampio
aspetto. Ossia il tentativo di voler affrontare l’emergenza attraverso i cosiddetti
“corsi destrutturati”, brevi, flessibili, mirati, si richiede di tener conto di volta in
volta e/o di caso in caso la fascia di utenza, a quale tipologia di destinatari ci si sta
100
indirizzando nel diversificare l’offerta, a quale esigenze prioritarie si intende far
fronte attraverso l’allestimento di questi corsi.
A seguito di questa prima puntualizzazione è emersa poi l’esigenza di distin-
guere anche tra immigrati uomini e donne nell’indirizzare la proposta formativa.
Contestualmente all’indotto produttivo territoriale si tiene a precisare che per l’u-
tenza maschile le proposte formative si articolano prevalentemente nel settore della
meccanica, dove c’è una fortissima richiesta e le percentuali di inserimento lavora-
tivo sono molto elevate, fino a garantire sbocchi occupazionali al 100%.
Diverso è invece attivare percorsi formativi per le donne. Alcuni esponenti
sono partiti dal far notare subito che, sulla base dell’esperienza maturata all’interno
del proprio Ente, raggiungere le donne immigrate è molto difficile, è un processo
lungo, complicato, per cui quando si riesce ad organizzare dei percorsi formativi ri-
volti alle donne extracomunitarie è già un grandissimo successo, poiché c’è tutta
una serie di problematiche e di elementi critici da affrontare: le donne anzitutto non
vengono lasciate libere di rivolgersi ai servizi presenti sul territorio per informarsi
sulle opportunità formative, per cui è già difficile prendere contatti diretti con loro;
inoltre anche quando ciò è possibile spesso vengono accompagnate dagli uomini i
quali ovviamente condizionano le scelte.
A seguito di questa premessa tutti comunque concordano nel ritenere che nei
confronti delle donne la proposta formativa va indirizzata prevalentemente nel set-
tore dei servizi alla persona: badanti, servizi di cura, operatori sanitari; mentre per
altri settori, come quello ad esempio dell’addetto alle vendite nel settore alimentare
per certe donne di origine islamica ad esempio non va bene, per cui bisogna avere
tutta una serie di attenzioni al momento di progettare l’offerta.
Di questa differenza di genere si è fatto particolarmente interprete il
CIOFS/FP, grazie ad una consolidata esperienza a realizzare attività formative per
donne immigrate fin dagli inizi degli anni ’90. Facendo nuovamente riferimento
alla normativa regionale che permette di conseguire una qualifica attraverso pac-
chetti formativi composti da unità di competenze, si conferma che la differenza di
genere è un elemento assolutamente imprescindibile per lavorare con le donne im-
migrate, in quanto richiede precise scelte che nello specifico hanno riguardato de-
terminati settori quale quello socio-sanitario e dei servizi alla persona; inoltre si fa
ancora osservare che lavorare con e per le donne comporta un’attenzione in più,
ossia che la struttura faccia da epicentro, divenga per loro un costante punto di rife-
rimento nell’accompagnarle lungo l’intero ciclo di attività promosse a loro favore.
Prima di chiudere sull’aspetto organizzativo l’attenzione è stata rivolta anche a
quella componente di immigrazione femminile che arriva già dotata di titoli di
studio che attestano di acquisite competenze linguistiche e formative e/o che co-
munque appare dotata di esperienze professionali pregresse. Nei loro confronti po-
trebbero essere offerti, ai fini di un rapido inserimento lavorativo, percorsi persona-
lizzati che permettano di valorizzare l’esperienza passata rafforzandone le compe-
tenze attraverso tirocini pratici.
101
3.2.2. Suggerimento di buone pratiche, per quanto riguarda:
1) Saper affrontare l’emergenza:
“Bisognerebbe avere a disposizione un pacchetto di corsi da attivare subito
come “pronto soccorso” nella fase dell’emergenza: per esempio, nel momento
in cui questi arrivano bisognerebbe farglieli fare subito, prima che entrino in
un determinato punto di emarginazione sociale, ma non solo i grandi, ma
anche i piccoli, fino a che non vengono a scuola, se non vogliamo che riman-
gano sulla strada; ammettiamo che arrivano in agosto e le nostre scuole co-
mincino in settembre: quest’anno abbiamo organizzato un corso per quelli che
sono appena arrivati perché poi possano inserirsi; la vedo come un’esigenza
forte…”.
“Bisogna innanzitutto secondo me lavorare per fare del mix di formazione
subito di italiano, perché senza sapere l’italiano non si va da nessuna parte, e
subito un percorso di accompagnamento, più che per qualifiche, ma del tipo di
accompagnamento personalizzato, di tirocini formativi che in qualche maniera
li inseriscono a fare esperienze di lavoro, perché da soli con questi pochissimi
strumenti che hanno in mano non potranno far nulla se non ingrossare le fila
dell’emarginazione e le strade”.
2) Attività di sportello e di accompagnamento:
“Fin dal 1998 è stato sperimentato dal CIOFS-FP uno sportello rivolto alle
donne immigrate all’interno di un’iniziativa comunitaria: questa esperienza è
stata rielaborata e trasferita poi in altri territori ovviamente assumendo carat-
teristiche specifiche rispetto al territorio dove andava ad essere trasferita
questa buona pratica”.
“Azioni di accompagnamento all’inserimento lavorativo per coloro che
hanno già delle competenze spendibili”.
3) Sostegno alla genitorialità:
“Un percorso formativo per le mamme dei ragazzini con l’obiettivo di avvi-
cinare le mamme al contesto scolastico, perché molti di questi ragazzini sono
abbandonati nel contesto scolastico, per cui i genitori magari non sanno nulla
di quello che accade là dentro… Noi abbiamo fatto questo percorso, che era
un percorso ovviamente di orientamento, di conoscenza del territorio, ab-
biamo affrontato il discorso dell’informatica per dare loro qualche elemento
di informatica, però l’obiettivo finale era quello di far conoscere alle mamme
il contesto nel quale i loro figli passano la maggior parte del tempo…”.
4) Progetti di tutoraggio/affiancamento alle scuole:
“Il progetto ‘Sei Più’ è un’azione di tutorato di tipo più scolastico cioè non
tanto fare dei corsi di italiano per stranieri, che ci sono comunque nell’offerta
scolastica, quanto di avere un qualcuno che si affianchi e che aiuti a stare nel
percorso scolastico, perché poi il problema non è solo la lingua ma la lingua
102
applicata alle materie, non è solo il problema dell’italiano ma il problema di
conoscere l’italiano applicato alle discipline; è lì infatti che poi cadono tutti,
perché c’è un discorso tecnico, c’è un discorso di non essere abituati a studia-
re, di non essere abituati a fare i compiti, allora in questi casi un tutoraggio, un
affiancamento, come sostegno all’apprendimento, alla motivazione”.
5) Iniziative varie mirate a favorire la partecipazione delle donne immigrate ai
percorsi formativi:
“Per l’inserimento delle donne immigrate nei corsi regolari nella nostra
esperienza si è fatto ricorso a strategie/metodologie trasversali ai vari per-
corsi formativi:
- creare un ambiente accogliente; questa è la cosa principale dall’inizio
alla fine del percorso, significa voler far stare bene l’utente nel contesto for-
mativo. Ciò è possibile grazie alla presenza di un Tutor che non ha funzione di
docenza ma piuttosto quello di accompagnare, che a volte vuol dire anche fisi-
camente telefonare quando non vengono, capire i motivi, aiutare a trovare una
sistemazione per i bambini durante il percorso formativo, vuol dire proprio
mettere nelle condizioni di poter partecipare a un percorso formativo;
- un altro elemento importante del percorso è lo stage in azienda, quindi il
fatto di poter avere l’opportunità di fare un’esperienza comunque in un con-
testo lavorativo, come esperienza formativa; a questo riguardo si può dire che
nel corso degli anni sono progressivamente diminuite le problematiche: i primi
anni dei corsi per signore anche inserire in una struttura protetta, in contesto
protetto non è stato subito immediato, adesso con il passare degli anni anche
il contesto lavorativo è più facilmente accessibile… c’è più possibilità.
- un altro elemento che funziona nella logica di consentire la partecipa-
zione è il gettone di presenza, cioè la possibilità che vien data dal Fondo So-
ciale Europeo di poter usufruire di una certa quota giornaliera;
- infine è risultato determinante, sempre ai fini della partecipazione, il so-
stegno alle mamme attraverso il babysitteraggio, ossia mettere a disposizione
una persona pagata per tenere i bambini durante il corso”.
3.2.3. Interventi di rete
Dopo aver portato esempi di buone pratiche sulla base delle esperienze matu-
rate, l’attenzione dei partecipanti al focus si è spostata quindi sulla consistenza e
qualità dell’offerta formativa presente nel territorio a favore degli immigrati.
Per quanto riguarda la consistenza, si ritiene che l’attuale offerta dei corsi sia
più che sufficiente a fronteggiare il fabbisogno, semmai quello di cui si avverte il
bisogno è di arrivare a ricostruire un’esatta mappatura soprattutto in funzione della
qualità dell’offerta erogata. Queste perché a fronte di quelli che stanno funzionando
bene in quanto vengono fatti con metodologie e con moduli che vanno incontro alle
esigenze degli immigrati (come si è visto nel caso della presenza di tutor, dell’ac-
compagnamento, del babysitteraggio…), si danno alcune realtà che riescono ad ot-
103
tenere i finanziamenti per attivare i corsi ma non analizzano a priori il fabbisogno,
il rapporto domanda-offerta formativa ed occupazionale.
Di conseguenza è stato avvertito come prioritario il bisogno della formazione del-
la rete tra tutti i soggetti, quindi oltre agli Enti che fanno capo ai sistemi formativi, oc-
corre coinvolgere nella rete le amministrazioni locali, le associazioni di categoria, i
centri per l’impiego ed altri attori del privato sociale (Caritas, associazioni di volonta-
riato, ecc.). Importantissimo è soprattutto il raccordo con il tessuto imprenditoriale e
con il sistema delle imprese per raccogliere quelli che sono i possibili sbocchi occu-
pazionali agli immigrati e fornire loro il percorso formativo più adatto.
Infine è stato fatto osservare che nelle politiche migratorie talora si sono create
divisioni all’interno degli Assessorati di una stessa amministrazione pubblica, mo-
tivo per cui oggi si avverte l’urgenza di istituire una rete che dia coerenza e omoge-
neità agli interventi.
4. IL CIOFS/FP DEL LAZIO
Il focus è stato realizzato a Roma, presso la sede nazionale del CIOS/FP, e ad
esso hanno preso parte due rappresentanti dell’Ente, una per la sede nazionale e
una per quella regionale, e un rappresentante di un’agenzia di incubazione d’im-
presa e in parte anche della Caritas.
4.1. Dati complessivi dei 6 Centri
Il CIOFS/FP attraverso la scheda informativa sulle proprie attività ha prodotto
una documentazione relativa a tutti e 6 i Centri del Lazio, in base alla quale emerge
il seguente quadro, contestualmente all’utenza oggetto di trattamento:
– la presenza degli immigrati in 5 Centri varia tra il 10 e il 15% degli iscritti, ma
in un CFP (Ginori) raggiunge quota 33%;
– si tratta in maggioranza di donne (ma anche i maschi costituiscono una quota
di tutto rispetto - 43%), e di minorenni (87%);
– provengono soprattutto dai Paesi dell’Est (46%) e dall’America Latina (35%)
e in parte anche dall’Africa (11%) e dall’Asia (8%);
– durante gli ultimi 5 anni si sono iscritti prevalentemente a corsi nei settori ter-
ziario-informatico, turistico-alberghiero e aziendale-amministrativo.
Dal canto suo il CIOFS/FP ha attivato a favore degli immigrati, in tutti i Centri
e negli a.f. che vanno dal 2002 al 2007, un po’ tutte le attività di supporto elencate
nella domanda, coinvolgendo anche figure specialistiche oltre quelle di sistema,
ossia: informazione, accoglienza, orientamento, bilancio di competenze, accompa-
gnamento al lavoro e counseling individuale e di gruppo per gli allievi, i formatori
e le famiglie. Così pure le metodologie utilizzate dappertutto, e con riferimento
sempre all’arco di tempo contemplato, sono state lo stage, i LARSA e l’e-learning.
104
4.2. Analisi dei contenuti del focus
Anche nel trattare i vari argomenti della griglia in genere si è fatto riferimento
all’insieme delle attività promosse nei 6 Centri.
Il focus ha preso avvio focalizzando l’attenzione nella prima parte sull’attività
di rete in cui è coinvolto l’Ente per svolgere azioni formative a favore degli immi-
grati.
4.2.1. Attività promosse in partnership
1) Un progetto integrato con la Caritas prevede un ampio spettro di azioni forma-
tive:
a) un’azione di ricerca che va ad interloquire non soltanto con gli immigrati
ma anche con chi lavora con gli immigrati e con le aziende per cercare di
capire che tipo di incrocio può esserci tra domanda e offerta la dove si ha a
che fare con persone immigrate;
b) per quanto riguarda le azioni formative, sono stati dati:
- 2 corsi di formazione superiore per mediatore culturale e per operatore di
sportello agli stranieri, aperto sia a cittadini italiani che a cittadini stra-
nieri;
- 2 invece a profilo di qualifica: uno per assistente familiare, e l’altro corso
totalmente finalizzato all’integrazione di chi per vari motivi, pur avendo
ottenuto il permesso di soggiorno, non riesce tuttavia ad integrarsi con la
comunità;
c) una grossa azione orientativa che ha previsto:
- uno sportello di accoglienza;
- azioni di mediazione culturale, pari opportunità, counseling, bilancio di
competenze e, per chi ne aveva bisogno, l’assistenza specializzata di una
psicologa clinica;
2) Attraverso una convenzione specifica con l’Incubatore “Imprese senza Fron-
tiere”, è stata attivata una fase di accompagnamento al lavoro, sia dipendente
che mirato alla job-self creation, dedicata agli immigrati. La convenzione con
l’Incubatore prevedeva l’apertura a tutte le tipologie d’impresa, individuali, so-
cietarie e cooperativistiche. Quelle finora realizzate sono soprattutto nel campo
artigianale (sartorie, collane/rosari di perle, articoli di bigiotteria…) e della ge-
stione di servizi (manutenzione, ristrutturazioni, agenzia per le pratiche degli
immigrati quali la regolarizzazione, i permessi di soggiorni, i passaporti…).
Ovviamente in questo caso si è avuto a che fare con giovani adulti e adulti.
3) L’Ente inoltre è in contatto con numerose scuole del territorio provin-
ciale/regionale:
- sia le superiori, per quei qualificati della FP che intendono completare gli
studi fino al diploma;
- sia con le scuole di EdA, per i rientri in formazione di giovani adulti e
adulti.
105
4) Inoltre nella rete sono presenti agenzie e strutture varie: di assistenza sociale,
di difesa dei diritti, di avvocatura, ecc.; in particolare trattandosi di attività in
favore delle donne in generale e delle donne immigrate, il rapporto è con la
Casa Internazionale della Donna che ha al suo interno la “Casa dei Diritti”,
anche se si ammette che in questo caso si tratta di un rapporto di non sempre
facile collaborazione.
4.2.2. Strategie d’intervento
La seconda parte dell’intervento si è concentrata nel riportare le differenti stra-
tegie a cui si è fatto ricorso a seconda delle problematiche emergenti.
1) Per l’integrazione
Una problematica fortemente avvertita ha riguardato, come dappertutto all’in-
terno dei sistemi formativi, l’inserimento e l’integrazione degli allievi nel
gruppo-classe. Nel fronteggiare la problematica sono state riportate le seguenti
buone pratiche:
a) è stata data una forte attenzione alla formazione delle risorse umane, ossia
nel formare i formatori o l’équipe d’aula a saper gestire le dinamiche pro-
vocate dall’effetto-stigma verso lo straniero; all’atto pratico questa forma-
zione è consistita in: 90 ore sulle dinamiche, 90 ore sui problemi dell’immi-
grazione e del disagio, 90 ore il tutoring, 90 ore per i percorsi personaliz-
zati, 90 ore di gruppo misto su tutte le problematiche dell’organizzazione
della comunicazione interna, 90 ore sull’autovalutazione;
b) a seguito di questo primo intervento è stata data attenzione alla dimensione
relazionale, elevando/migliorando il livello di comunicazione tra docenti,
tra docenti e allievi, tra docenti e famiglie, tra famiglie e direzione e tra do-
centi e altro personale (con particolare riferimento alla collaborazione con
psicologi, orientatori e altro personale specialistico);
c) inoltre si è dimostrato fondamentale, per integrare gli immigrati nel gruppo-
classe, lavorare molto sulle dinamiche di gruppo, quale ricaduta della for-
mazione offerta ai formatori;
d) a completamento degli interventi formativi è stato attivato (a spese del-
l’Ente, in quanto non previsto nel badget finanziario pubblico) un servizio
di counseling individuale sia per gli allievi che per le famiglia, ed inoltre
sono stati coinvolti nelle attività didattiche istituzioni e associazioni varie
per promuovere lezioni laboratoriali e/o seminari di studio a scopo informa-
tivo-preventivo, quali il CEIS, i Vigili del Fuoco, le Forze dell’Ordine per i
servizi antidroga ed altre ancora.
Inoltre le attività finalizzate all’integrazione non hanno riguardato solo gli al-
lievi ma anche gli stessi genitori e le famiglie. A questo riguardo vengono promossi
incontri formativi di auto-mutuo aiuto per aiutare la genitorialità ad integrarsi e a
crescere i figli di fronte alle problematiche tipiche dell’adolescenza, al comporta-
mento e rendimento scolastico, all’integrazione nel gruppo-classe.
106
Infine è stata riportata una interessante esperienza fatta con e tra genitori: in
questo caso sono stati i genitori immigrati che hanno “interculturato” i genitori ita-
liani facendo conoscere e apprendere la cultura, la culinaria, la musica, la danza, la
letteratura ed altre tradizioni dei diversi Paesi di provenienza.
2) Per il recupero
Per svolgere l’attività di recupero è stata adottata una strategia non di attesa:
non si è aspettato, cioè, che gli immigrati venissero nel CIOFS/FP, ma si è an-
dati da loro, direttamente sul posto.
“Primo: abbiamo offerto servizi on demand, non siamo partiti dalle inda-
gini per dire di questo hanno bisogno, siamo partiti dai bisogni e abbiamo co-
struito sulla domanda l’offerta.
Secondo: stiamo facendo micro-attività in varie sedi con un forte dispendio
di energie, che vuol dire: non sono loro che devono venire al CIOFS, chi vuole
venire al CIOFS ci viene, gli altri glielo andiamo a fare a casa loro. Allora ad
esempio, è il condominio di piazza Vittorio, dove frequentano in 300 in mezzo
al cortile; è la comunità evangelica nigeriana africana che sta a Ottavia, si va
a Ottavia; è l’altra comunità che sta dietro a Porta Maggiore, nei locali della
parrocchia protestante. Le attività sono molteplici: si fanno laboratori di ita-
liano, si fa il segretariato sociale, quindi educazione ai diritti e doveri, leggi,
mappatura dei servizi sul territorio, nome e cognome della persona a cui ti
devi riferire, accompagnamento dalla persona.
Durante questi incontri si va a finire che con alcuni c’è un counseling vero
e proprio individualizzato perché esce fuori il problema: uno ce l’ha della
casa, uno del lavoro, uno del ricongiungimento, uno della malattia.
Attenzione: sta diventando un problema gravissimo fra gli adulti e anche
dei giovani adulti, tra i 18 in su, la depressione fino al suicidio e alla morte,
morte magari per malattia ma malattia indotta dalla depressione, perché lo
stato di apolide in Italia non è riconosciuto, per cui loro non esistono, sono dei
morti viventi e loro sanno di non esistere, cosicché finiscono in uno stato di
depressione e di privazione e nessuno fa niente per loro. Allora l’intervento a
questo punto diventa quasi clinico: cioè io ti accolgo, ti prendo e cominciamo
a vedere il problema…”.
Un’altra attività di recupero a cui si sta lavorando attualmente riguarda un pro-
getto a favore delle cosiddette “vittime della strada”. Per poterle raggiungere si pre-
vede di fare delle convenzioni direttamente con le ambasciate dei singoli Paesi di
provenienza, in modo che siano loro ad inviarle presso i Centri. Dal momento che
il loro principale problema sta nella non conoscenza dei loro diritti, si prevede di
attivare nei loro confronti le seguenti azioni formative: un corso di alfabetizzazione
per apprendimento della lingua, un servizio legale per l’apprendimento dei diritti e
dei doveri, un corso di alfabetizzazione informatica.
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4.2.3. Proposte per migliorare il servizio
Nell’ultima parte del focus sono emerse varie proposte a sostegno e migliora-
mento dei progetti d’intervento a favore degli immigrati.
Si è partiti dal mettere in evidenza l’estrema disaggregazione dei servizi. Il
problema non è la mancanza di servizi a favore degli immigrati, al contrario ce ne
sono tantissimi sul territorio: il vero problema sta nel fatto che sono sparpagliati,
disaggregati, manca un coordinamento e per di più per certi aspetti risultano ridon-
danti, nel senso che molto spesso offrono solo certi servizi e mancano invece di
altri.
Inoltre un ulteriore disservizio risulta dall’attuale normativa circa il diritto of-
ferto agli immigrati di proseguire di un anno l’attività formativa, in quanto pena-
lizza tutti gli irregolari peggiorando di fatto la loro posizione rispetto alla prece-
dente normativa:
“Se sei diventato clandestino non puoi richiedere il permesso perché dovresti
richiederlo al tuo paese, ma tu se nel tuo paese non puoi tornare, e allora questa
che doveva essere una chance di fatto non lo è”.
E comunque l’Ente prevede di ampliare/intensificare il proprio operato attra-
verso le seguenti proposte:
a) “Arrivare ad avere in ogni CFP un equipe stabile fissa di supporto ai forma-
tori, perché ormai le dinamiche sono tali che non se ne può fare a meno, ossia
le figure non possono essere isolate non possono essere saltuarie. Ci dovrebbe
essere una task force di sistema sempre presente all’interno dei CFP; oggi è
indispensabile dare ai formatori gli strumenti per affrontare questa nuova
utenza, ma anche avere figure specialistiche; occorre arrivare ad avere una
equipe che è a sostegno psicologico anche per le risorse umane a full time”.
b) “Inserire in ogni Centro la figura del mediatore culturale ‘scolastico’: si av-
verte il bisogno che stia all’interno della struttura formativa, proprio perché
lavora con una particolare utenza e quindi deve affrontare problematiche
assai specifiche rispetto ai compiti che svolge in generale la figura del media-
tore culturale, per cui deve essere preparato dal punto di vista del diritto sco-
lastico, della formazione e poi deve avere competenze di pedagogia, di età
evolutiva, di psicologia…”.
c) “Orientare l’attività formativa non solo agli immigrati giovani e regolari ma
anche verso quella fascia molto ampia di immigrati e in particolare di immi-
grate che hanno più di 18 anni (mediamente dai 22 ai 26 anni), che per di più
hanno il problema della regolarizzazione e che vorrebbero seguire un corso di
formazione professionale; dobbiamo fare in modo che la formazione professio-
nale arrivi anche a loro, perché sono tantissimi, sono la maggior parte”.
d) “Infine occorre intensificare la collaborazione con i CSI (Centro Servizi per
l’Immigrazione) della Provincia di Roma, con l’obiettivo di creare una rete
che di fatto non c’è: una persona con un problema deve sapere a chi rivol-
108
gersi; per esempio, gli apolidi hanno diritto ad un passaporto italiano, ma
non tutti lo sanno e in questura non te lo dicono, allora chiami il coordinatore
del CSI il quale ti dice cosa fare. E questi Centri sono tanti, appartengono
alla Provincia di Roma e sono collocati dove sono i Centri per l’impiego”.
5. LA CASA DI CARITÀ ARTI E MESTIERI DI TORINO
Va premesso che in questo caso più che di un vero e proprio focus si è trattato
di un incontro con alcuni responsabili della sede nazionale dell’Ente, i quali hanno
presentato e riportato in sintesi i contenuti di un’ampia gamma di “prodotti cultu-
rali” da essi elaborati in funzione dell’accoglienza e integrazione nei sistemi forma-
tivi degli immigrati, sia giovani che adulti.
La peculiarità di questa relazione sta quindi nel riportare di volta in volta (ta-
lora nel testo e talora in allegato 2) i vari documenti a cui essi hanno fatto riferi-
mento durante l’incontro, così da rimanere fedeli ai contenuti e per di più ci per-
mettono di conoscere direttamente e di usufruire di materiali preziosi da diffondere
e utilizzare come buone pratiche.
5.1. Presentazione delle attività dell’Ente a favore degli immigrati
Per quanto riguarda l’insieme delle attività svolte a favore degli immigrati al-
l’interno dei 18 Centri che su scala nazionale fanno capo all’Ente, è stata stesa una
relazione annuale dove vengono riportati dati quantitativi degli utenti immigrati
iscritti nei CFP dell’Ente relativamente alla loro provenienza e al tipo di corsi fre-
quentati. In questa relazione viene riportata anche una descrizione dettagliata delle
attività svolte e relative valutazioni sull’operato (allegato 2).
5.2. La formazione dei formatori e della figura del mediatore interculturale
L’Ente ha cominciato a lavorare con gli immigrati allestendo esclusivamente
per loro dei corsi destrutturati, brevi, di preparazione al lavoro, che avevano la ca-
ratteristica di alternanza: metà ore di teoria e metà di pratica e di stage.
Questa prima esperienza ha portato poi a far avvertire l’urgenza di formare i
formatori e poi a creare dei corsi per i mediatori culturali, etnici, di tutte le prove-
nienze. Questa attività ha portato nel 2001 a standardizzare a livello regionale la fi-
gura del mediatore interculturale.
Nel progettare questi corsi per mediatori si è partiti rovesciando i termini del
percorso: non più dagli obiettivi ai contenuti, ma si è partiti dalle azioni che il me-
diatore deve svolgere per tradurle poi in termini di competenze da acquisire 2.
2 Sintesi della scheda relativa alle competenze e attività standard attribuite al mediatore intercul-
turale.
ELENCO COMPETENZE
Valorizzare le identità dei singoli
nel rispetto delle differenze
Individuare vincoli e opportunità
dei contesti interculturali
Favorire contesti di
collaborazione/ integrazione
Relazioni con i servizi
ELENCO ATTIVITÀ
Coinvolgere l’utente straniero e i
soggetti autoctoni
Sostenere l’interlocutore nel
processo di integrazione culturale
Partecipare alla programmazione
degli interventi rivolti
congiuntamente agli immigrati e
agli autoctoni
109
5.3. La metodologia e il percorso personalizzato
A completamento dell’attività dell’Ente a favore degli immigrati ci è parso
assai utile riportare sempre in allegato, anche altro materiale che ci è stato conse-
gnato durante l’incontro, in quanto rappresenta delle buone pratiche messe a punto
dall’Ente per lavorare con cittadini (giovani e adulti) immigrati.
Nell’allegato è stato riportato un “collage” di metodologie adottate nei percorsi
formativi, completati da tutta una serie di schede per documentare i vari passaggi.
Tuttavia in questa sede è possibile riassumere le principali fasi in cui è stato proget-
CAPACITÀ
- identificare l’interlocutore attraverso la sua storia
- identificare i bisogni di base e le attese dell’interlocutore
- potenziare le risorse individuali dell’interlocutore
- identificare le potenzialità e le aree di fragilità dell’interlocutore
- garantire l’identità dell’interlocutore
- analizzare flussi comunicativi
- correlare dinamiche relazionali e comportamentali ad elementi
culturali
- identificare modalità di mediazione utilizzabili nei diversi contesti
- agevolare azioni di interculturalità
- promuovere azioni di mediazione
- facilitare azioni di prevenzione del disagio
- identificare le principali procedure operative dei servizi di
riferimento
- riconoscere le opportunità offerte dai servizi in relazione alle loro
prestazioni
- identificare le potenzialità (interne/esterne) dei servizi
AZIONI
- accompagnare i soggetti nel processo di integrazione
- raccogliere informazioni
- informare su opportunità di stabilizzazione nel tessuto sociale e
culturale
- stimolare al confronto
- evidenziare gli effetti positivi dell’integrazione
- accompagnare l’interlocutore al rinforzo della propria identità
culturale e linguistica
- accompagnare l’interlocutore al rispetto delle altre identità
culturali e linguistiche
- costruire azioni per la stabilizzazione dell’interlocutore nel tessuto
economico-sociale
- mappare i servizi del territorio
- attivare i servizi per singole iniziative/progetti
- attivare relazioni con gli operatori del contesto di riferimento
- realizzare iniziative e prassi operative
110
tato un percorso personalizzato che va dall’accoglienza all’orientamento, la sua du-
rata ed il sistema di verifiche 3.
1) Fasi del percorso:
Fase 1: accoglienza. L’utente viene accolto nel Centro, vengono presentate le
modalità e le finalità del percorso e, contestualmente, viene effettuata una prima ri-
cognizione della sua storia personale e delineata una prima mappa dei servizi con i
quali ha avuto contatto.
Fase 2: primo bilancio di competenze. L’utente, guidato dal tutor orientativo e
coadiuvato dal mediatore culturale, procede ad un’analisi, sia pure approssimativa
e provvisoria, delle proprie competenze conseguite nel paese d’origine e all’estero,
interessi, desideri, potenzialità. Propedeutica a questa fase è il confronto tra usi, co-
stumi, tradizioni, modi di vita, di organizzazione del sapere e del lavoro nella cul-
tura d’origine e in quella d’arrivo. In tale fase l’approccio sarà in parte collettivo, in
parte individuale.
Fase 3: presentazione dei profili professionali. Vengono presentati i profili
professionali previsti dai corsi di preparazione al lavoro nei vari Centri associati in
rete. Tale attività dovrà evidenziare i vincoli, i pre-requisiti e le prospettive colle-
gati allo svolgimento della mansione prevista dal profilo professionale presentato.
Al termine di questa fase ciascun soggetto effettuerà una prima scelta dell’indirizzo
che intende seguire. In subordine è prevista la possibilità di orientare e accompa-
gnare nella ricerca del lavoro quei soggetti che presentano già una sufficiente pro-
fessionalità per l’entrata nel mondo del lavoro.
Fase 4: stage orientativo. Vengono presentate attraverso una serie di visite
guidate le reali opportunità di formazione professionalizzante offerte dal territorio.
Inoltre gli utenti avranno l’opportunità di visitare centri territoriali che si occupano
di mettere in contatto domanda e offerta di lavoro (CILO, Orientamento Lavoro
Migranti, Sportello O.L.M., Agenzia per l’impiego…) e una serie di realtà produt-
tive selezionate in base ai possibili sbocchi professionali individuati.
Fase 5: progetto personale e contratto. È previsto un nuovo colloquio fra
utente, tutor orientativo e mediatore culturale. Alla luce di quanto emerso dal per-
corso di orientamento verrà formulato un progetto personale o patto formativo che
conterrà la scelta di indirizzo formativo finale da intraprendere.
2) Durata: 30 ore
3) Equipe: è composta da diversi tutor (tutor orientativo, tutor dello sportello,
mediatore culturale, insegnanti che si occupano dell’orientamento…) dal coordina-
tore professionale, dai differenti rappresentanti della rete (scuola, ufficio politiche
del lavoro, sportelli per migranti, imprese…).
3 Cfr. BONICA L. (a cura di), Migranti e reciprocità nella rete e nella formazione, Torino, Casa di
Carità Arti e Mestieri, 2000, 263.
111
4) Verifiche:
– in itinere, per evidenziare le modificazioni che intervengono nella rappresen-
tazione del sé nel rapporto con le diverse agenzie con cui l’utente viene a confron-
tarsi e registrarle all’interno della scheda personale;
– finale, rappresentata dalla stesura del progetto personale di formazione e
dalla adesione ad un successivo percorso formativo e lavorativo.
Stando sempre all’interno dell’attività curricolare ci pare interessante riportare
inoltre in allegato il materiale elaborato per il dialogo inter-religioso con i mussul-
mani.
5.4. Il progetto “Milieu Innovateur”: il rapporto col territorio e la rete
Con il maturare dell’esperienza nel lavorare con gli immigrati si è avvertito
poco alla volta il bisogno di strutturare tutto un progetto d’intervento, definito Mi-
lieu Innovateur, il locale che si rinnova. Il progetto prevede tutta una serie di rap-
porti con il territorio per la formazione della rete: in particolare il rapporto con le
imprese e con l’università per promuovere indagini, da cui sono scaturite diverse
pubblicazioni e siti web 4.
Tutto questo lavoro fatto di produzione culturale come di rapporto diretto con
l’utenza colloca l’attività dell’Ente su un piano di qualità totale sia sotto il profilo
pedagogico che di programmazione dell’intervento formativo.
6. LA FONDAZIONE CLERICI DI PAVIA
La Fondazione Clerici nell’insieme delle attività formativo-professionalizzanti
si occupa anche dei fattori che complicano e rendono difficoltoso il rapporto degli
immigrati con il mercato del lavoro locale sia nella ricerca di occupazione e nel-
l’inserimento lavorativo sia nella capacità/possibilità di costruirsi competenze e
professionalità spendibili e valorizzanti.
Di conseguenza l’Ente e l’attività da esso promossa sono stati selezionati e co-
involti nella presente indagine sulla base del peculiare apporto che offrono ai pro-
cessi migratori:
4 COMUNE DI TORINO, A scuola a San Salvareo. Un’indagine fra gli operatori della scuola e la
popolazione del quartiere per conoscere, riconoscersi e migliorare, Torino, 2006. OLIVERO F. (a cura
di), Migranti in Piemonte, Torino, Assessorato alla Solidarietà Sociale, 2005. REGIONE PIEMONTE, Suc-
cesso formativo: tre sistemi per un unico Obiettivo. Analisi dell’impatto delle azioni di orientamento
rivolte ai giovani in età di obbligo formativo tra il 2002 e il 2005, Torino, Agenzia Piemonte Lavoro,
2007. BONICA L. (a cura di), Migranti e reciprocità nella rete e nella formazione, Torino, Casa di Ca-
rità Arti e Mestieri, 2000. CUSIMANO A. - M. SCERRA, Imprenditoria giovanile. Autoimpiego e auto
imprenditorialità, Roma, Buffetti ed., 2006. www.casadicarità.it - www.agenziapiemontelavoro.net -
www.carmes.it
112
a) nell’indirizzarsi ad un’utenza formata prettamente da giovani adulti e adulti
immigrati;
b) nell’aver messo a punto un progetto d’intervento 5 mirato a fare da trait d’union
tra gli immigrati e il mercato del lavoro:
- mediante un circuito integrato di interventi che mette in comunicazione
l‘insieme dei servizi (sociali e per il lavoro) e degli enti che si interfacciano
con gli immigrati;
- coinvolgendo direttamente gli utenti immigrati attraverso le organizzazioni
e le reti di cui sono partecipi, nonché le strutture a cui fanno riferimento;
- attuando percorsi e soluzioni innovative, ragionate e condivise tra attori e
soggetti, definite in relazione a situazioni concrete, a partire da esperienze
già avviate a livello territoriale;
c) nel migliorare l’occupabilità attraverso:
- la messa in trasparenza e validazione dei saperi acquisiti nei diversi contesti
di apprendimento (formali, non formali e informali), anche per facilitare
l’incrocio domanda-offerta e la mobilità geografica e professionale degli in-
dividui;
- lo sviluppo delle competenze introducendo gli immigrati in percorsi forma-
tivi flessibili e personalizzati, in grado di rispondere alle esigenze degli in-
dividui ed al tempo stesso alle richieste del mercato del lavoro; fra gli im-
migrati si registra infatti un limitato livello di accesso alla formazione e ai
servizi di orientamento/accompagnamento al lavoro, a causa di barriere lin-
guistiche, inadeguata informazione e rigidità e complessità del sistema del-
l’offerta;
- la valorizzazione delle esperienze delle donne immigrate, in particolare nel-
l’area del lavoro di cura;
- lo sviluppo dell’auto-imprenditorialità all’interno di segmenti del mercato
potenzialmente in grado di creare nuove prospettive occupazionali.
6.1. Contestualizzazione del progetto EQUAL “CIVES”
– EQUAL: Progetto a favore dell’inserimento lavorativo;
– “CIVES”: sta per Cittadino Immigrato Valore e Sviluppo; risponde all’esi-
genza, da parte di un gruppo di soggetti, di mettere in campo una serie di stru-
menti condivisi, compartecipati, negoziati, valutati, verificati, scambiati, che
mettano nelle condizioni di creare una rete territoriale di accoglienza, orienta-
mento e inserimento lavorativo a favore di cittadini immigrati;
– va precisato: non è un progetto per dare lavoro ma per preparare al lavoro;
– destinatari: la tipologia a cui è rivolto è composta da immigrati regolari, stabi-
lizzati, con permesso di soggiorno, formati almeno già al livello del diploma,
5 Progetto EQUAL “CIVES”; cfr. www.equalcives.it
113
con alcuni anni di immigrazione in Italia, che vogliono fare un salto di qualità
e/o che vogliono reinserirsi perché disoccupati;
– a livello territoriale il progetto si sviluppa in tre province: Pavia, Lodi e Lecco;
– alla realizzazione del progetto contribuisce una rete formata da vari partner: i
centri di formazione, due cooperative sociali, un istituto di ricerca sociale
(IRSEA) di Genova, ELEA, che è specializzato nella gestione di pacchetti
FAD, la cooperativa Europolis che è un partner tecnico ed il CNA (Confedera-
zione Nazionale Artigianato) di Pavia; inoltre costituiscono parte della rete di
sostegno del progetto tutte quelle realtà che sul territorio si occupano di immi-
grazione o in termini di volontariato o in termini di associazioni, sindacati ed
altro ancora.
6.2. Descrizione delle tappe/attività sottese al progetto
1) La fase iniziale prevede:
a) la presa in carico del beneficiario, la quale viene gestita anche dal punto di
vista dei dati in modo condiviso attraverso un portale, che è uno dei pro-
dotti del progetto;
b) quindi grazie al fatto di condividere le informazioni sul portale le persone
sono prese in carico da un Ente che fa l’accoglienza e l’orientamento;
c) vengono proposti dei percorsi che sono assolutamente individualizzati,
ossia tanto la durata del percorso che l’insieme degli strumenti utilizzati
vengono scelti in base alle caratteristiche e alle necessità del beneficiario;
d) nel momento in cui entra all’interno del progetto il soggetto viene inserito
in quella che viene chiamata la “fase 1” la quale prevede l’accoglienza,
dove si spiega alla persona che cosa andrà a fare all’interno del progetto e
si concorda se questa persona è d’accordo, di vedersi ancora alcune volte
per definire il livello del bisogno, per ragionare insieme su quali potrebbero
essere gli interessi e le necessità in termini orientativi e di sostegno.
2) Le fasi successive prevedono:
a) o si dà la possibilità di continuare una sorta di orientamento per stabilire se
questa persona immigrata possa seguire il percorso senza avere bisogno
degli strumenti specifici presenti all’interno del progetto e poi viene accom-
pagnato;
b) o, se essa non presenta questi prerequisiti, allora gli viene applicato il
MTVA (messa in trasparenza validata degli apprendimenti); in pratica si
tratta di uno strumento finalizzato a valorizzare, validare e valutare i saperi
acquisiti; si propone alle persone di raccontare sostanzialmente la loro
storia professionale: quindi che percorso scolastico ha fatto, quali compe-
tenze ha acquisito durante tale percorso, se ha già fatto anche esperienze la-
vorative e quali competenze ha acquisito;
c) in seguito viene elaborato un documento di trasparenza che ha due finalità:
una prima finalità è quella di definire che pezzo gli manca per raggiungere
114
una certa competenza dal punto di vista formativo; l’altra riguarda il rico-
noscimento dei crediti formativi acquisiti altrove, anche attraverso il la-
voro; in pratica si tratta di arrivare a stabilire quali pezzi di formazione
mancano ancora per avere una qualifica professionale; in questo modo la
persona quando entra in contatto con il mondo del lavoro può presentare il
proprio curricolo non più attraverso un’auto-dichiarazione ma attraverso un
documento garantito da una struttura formativa (anche se non si tratta di
una vera e propria certificazione in quanto non rientra tra gli obiettivi del
progetto);
d) all’interno di questa formazione flessibile e individualizzata sono state spe-
rimentate anche altre strategie, come la formazione a distanza (data la forte
mobilità degli immigrati) e gli stage definiti come formazione on the job; in
questo modo si dà quindi la possibilità che una volta contattato un datore di
lavoro attraverso un periodo di stage, lo stesso datore possa non solo verifi-
care le reali capacità di una persona ma anche avere un tempo congruo per
fare una formazione su alcuni aspetti specifici che non erano ancora in pos-
sesso della persona inserita;
e) qualora invece l’orientamento porti a validare l’ipotesi di sviluppo del-
l’auto-impiego e/o della creazione d’impresa immigrata, in questo caso il
progetto prevede di andare alla ricerca di forme di credito ad hoc, perché
spesso la possibilità di creare un’impresa si scontra con la necessità di
avere a disposizione un accesso al credito che non sia quello normalmente
consentito dalle banche, perché queste persone non hanno beni immobili,
non danno garanzie, non hanno uno stipendio che possa consentire di avva-
lersi di un credito.
Riassumendo i vari punti riportati sopra, si parte da un’accoglienza iniziale e
un orientamento di base al primo approccio che poi dopo direziona verso le fasi
successive. Il punto nodale di tutto questo modo di operare sta nell’attività orienta-
tiva; questa fase ha come obiettivi: per l’operatore, di arrivare a capire quali sono i
reali bisogni della persona che ha di fronte; per l’immigrato, di arrivare a capire di
che cosa ha veramente bisogno per entrare nel mondo del lavoro.
Dal congiungimento di questi due obiettivi si dovrà arrivare poi ad una scheda
finale nella quale vengono definiti: quali sono i reali obiettivi della persona dal
punto di vista professionale; cosa vuole fare; e cosa è in grado di fare per inserirsi
nel mondo del lavoro.
Tutto questo a sua volta potrà essere documentato sulla base di un provato pos-
sesso di quattro domini cognitivi applicando il MTVA (messa in trasparenza vali-
data degli apprendimenti): conoscenza degli strumenti che si sa utilizzare; capacità
relazionali; capacità gestionale a livello delle risorse economiche; aver dimostrato
di essere “professionali” nello svolgimento dell’attività produttiva che si intende
svolgere.
In pratica si viene a certificare che la persona ha seguito un certo percorso. Nel
115
momento in cui viene proposta ad un’azienda una persona che può essere inserita
perché risponde al profilo, dall’altro lato l’imprenditore deve essere sicuro che tutto
il lavoro di verifica è già stato compiuto e sulla quale non deve più tornare, perché
altrimenti la selezione se la fa lui, mentre in questo caso c’è un’istituzione che ga-
rantisce.
A questo riguardo si è lavorato anche sul tessuto imprenditoriale creando un
“Club delle Imprese Sensibili”, ossia di imprese disposte ad assumere persone con
svantaggio potendo contare sul fatto che sono state inserite in un percorso dove
sono state formate e orientate attraverso particolari strumenti che danno affidabilità
e costituiscono una garanzia per l’imprenditore.
A fare poi da collegamento tra i vari partner della rete è un portale grazie al
quale è possibile monitorare e/o ricostruire le varie tappe di ognuno di coloro che è
inserito nel percorso, a seconda delle esigenze del momento (per entrare nel mer-
cato del lavoro, per cambiare, per reinserirsi dopo averlo perso…). Riassumendo, il
MTVA orienta in funzione delle varie macrofasi, il portale mette in rete tutte le in-
formazioni relative a ciascun utente e da quel momento la persona viene costante-
mente accompagnata in tutte le fasi.
Va precisato che il portale è uno strumento costruito appositamente attraverso
il progetto, in quanto permette ai vari partner di interfacciarsi per offrire all’utente
una risposta integrata. Può essere considerato una vera e propria banca dati, di pro-
prietà di tutti i partner, in base alla quale è possibile estrarre numerose informa-
zioni, anche di tipo statistico. Cosicché anche quando il progetto EQUAL sarà ter-
minato rimangono comunque gli strumenti costruiti per poterli utilizzare nella nor-
male programmazione delle attività.
6.2.1. Obiezioni
a) È parso necessario anzitutto chiarire se chi entra nel percorso deve percorrere
l’intera filiera delle azioni per ottenere l’attestato che serve per inserirsi nel
mondo del lavoro. In pratica tutto dipende dalle necessità dei singoli: può es-
sere che uno rimanga in carico 40-50 ore (ma poi bisogna vedere se è costante
per tutta la durata del percorso…), ma può essere anche che con 20 ore di col-
loquio fatto bene scopra quali sono le sue potenzialità e sia pronto per entrare
nel mondo del lavoro.
b) Inoltre è importante sapere anche se il progetto è in piena sintonia con le poli-
tiche sociali del territorio. L’obiettivo di Equal è anche quello di arrivare a sol-
lecitare, a trovare una forte integrazione tra politiche del lavoro e politiche so-
ciali, perché se una persona non ha casa, non ha una rete sociale difficilmente
riesce a entrare in un posto di lavoro e a mantenerlo, perché ha altri problemi,
se dorme sotto i ponti, come fa ad andare a lavorare. È necessario quindi che ci
sia anche una rete di sostegno sociale, cioè che entrino in gioco un’insieme di
servizi che non sono solo di inserimento lavorativo ma anche di sostegno so-
ciale, abitativo e addirittura terapeutico.
116
6.2.2. Punti di criticità
a) A livello nazionale: in termini istituzionali legislativi il cittadino immigrato ha la
possibilità di restare in Italia solo in quanto risorsa lavorativa; quindi con la legis-
lazione attuale il cittadino immigrato è benvenuto solo in quanto forza-lavoro.
b) A livello regionale: manca una programmazione di sostegno sociale all’immi-
grazione perché viene tutto demandato a livello comunale.
c) A livello delle istituzioni locali: bisogna evitare che l’immigrato faccia un per-
corso di “nomadismo interistituzionale”: dapprima va alla Caritas per trovare
risposte a certi suoi problemi, quindi per trovare lavoro si rivolge al Centro per
l’Impiego, poi per l’insorgere di ancora altri problemi va da altre istituzioni…;
tutto questo migrare il più delle volte porta verso percorsi non garantiti, mentre
la persona potrebbe trovare risposte unitarie/unificate qualora venisse immessa
in un percorso gestito da una rete di istituzioni i quali erogano differenti servizi
in risposta ad altrettante differenti domande. Il problema quindi adesso è
quello della diffusione delle metodologie sperimentate e relativi strumenti, e
questo dipende dalla volontà delle istituzioni/amministrazioni locali/regionali a
fare in modo da valorizzare l’esperienza a livello territoriale/nazionale. Per cui
il vero problema sta nel verificare quanto esse siano interessate a far proprio e
a promuovere questo know how.
Il valore aggiunto di questo progetto sta nel fatto che mentre negli altri Paesi
della UE sono state messe in atto delle politiche che permettono di filtrare la ri-
sorsa-uomo che immigra per lavorare, in Italia manca del tutto la selezione della
manodopera e quindi il livello d’ingresso è per attività di basso profilo. Di conse-
guenza la peculiarità del percorso previsto dal progetto sta nel fare in modo che le
persone che già posseggono delle risorse possano accedere a posti di lavoro con-
gruenti alle loro risorse e capacità.
7. SINTESI DEI CONTENUTI EMERSI DAI FOCUS
Volendo ricostruire anzitutto un quadro complessivo delle attività promosse al-
l’interno dei vari Centri a favore degli immigrati, dai dati delle schede è emerso che:
– la presenza degli immigrati all’interno dei Centri è apparsa negli anni in pro-
gressivo/sensibile aumento, fino a raggiungere attualmente quote tra il 20 e il
30% dell’utenza complessiva;
– l’utenza presenta un’età variabile che va dall’adolescenza alla giovinezza e in
alcuni Enti (con particolare riferimento al CIOFS/FP, alla Fondazione Clerici e
alla Casa di Carità) certe attività sono indirizzate prettamente a categorie di
adulti per un rapido inserimento nei sistemi produttivi;
– gli allievi immigrati provengono in maggioranza dai Paesi dell’Est, cui fa se-
guito l’Africa, l’America Latina e l’Asia;
117
– di essi i maschi si inseriscono preferibilmente nel settore meccanico ed elet-
trico e le ragazze nel settore estetico, aziendale-amministrativo, dei lavori
d’ufficio, turistico-alberghiero e della ristorazione;
– quasi tutti alla fine si qualificano, in quanti ritenuti in genere più motivati dei
loro coetanei autoctoni e maggiormente apprezzati durante lo stage;
– in tutti i Centri che hanno compilato la scheda, a partire almeno dagli ultimi 5
anni è stato messo a punto un pacchetto integrato di servizi e di attività di so-
stegno composto da: accoglienza, informazione, orientamento, bilancio di
competenze, counseling agli allievi, ai docenti, alle famiglie, e in più si rileva
presenza di figure specialistiche: tutor, psicologi, figure di intermediazione.
Passando quindi ad analizzare i contenuti emersi dai focus, l’attenzione si è
particolarmente concentrata sui percorsi formativi, evidenziandone il contributo of-
ferto alle diverse fasi di attuazione.
a) Nelle attività finalizzate al reclutamento e alla formazione in ingresso:
- inserimento in una rete per informare sulle attività del Centro;
- apertura di sportelli a scopo informativo-orientativo con la presenza di me-
diatori etnici e/o di allievi ed ex-allievi etnici per motivare all’inserimento;
- corsi di italiano con l’utilizzo di vari sussidi didattici (cassette, cd, foto-
copie, esercitazioni, visione di film, la lettura di fumetti …);
- altri servizi di affiancamento come azioni di mediazione culturale (con i
giovani, con le famiglie…) e di assistenza specializzata per affrontare casi-
problema a livelle comportamentale, di salute fisica e mentale;
- elaborazione di materiali quali test d’ingresso e di schede-utente per
ognuna delle seguenti azioni: accoglienza, orientamento, bilancio di com-
petenze, patto formativo, percorso personalizzato, verifiche in itinere, finali
ed ex-post, i cui contenuti vengono messi a disposizione di tutti i compo-
nenti l’équipe degli operatori.
L’insieme di tutte queste azioni in ingresso ha avuto come obiettivo di arrivare
a puntualizzare quali sono i reali interessi della persona dal punto di vista profes-
sionale, cosa vuole fare e cosa è in grado di fare per inserirsi nel mondo del lavoro.
Ossia di portare l’operatore a capire quali sono i reali bisogni della persona che ha
di fronte e, l’immigrato, a capire di che cosa ha veramente bisogno per entrare nel
mondo del lavoro.
b) Nelle attività curricolari e di programmazione:
- è stata data particolare attenzione anzitutto alla promozione e attuazione di
percorsi formativi mirati all’inclusione di soggetti in qualche modo porta-
tori di un qualche svantaggio; quindi corsi possibilmente brevi, flessibili,
“destrutturati, personalizzati, in grado cioè di rispondere alle esigenze degli
individui tenendo conto di volta in volta e di caso in caso a quale tipologia
di destinatari ci si sta indirizzando nel diversificare l’offerta e a quale esi-
118
genze prioritarie si intendeva far fronte attraverso l’allestimento di questi
corsi, e al tempo stesso anche delle richieste del mercato del lavoro; scen-
dendo nei dettagli, affinché tali corsi potessero essere considerati adeguati
si è tenuto conto della particolare tipologia di utenza (diverso se indirizzati
agli adolescenti/giovani in età formativa, oppure alle donne, oppure agli
adulti…), degli interessi emersi attraverso schede/test in ingresso e colloqui
orientativi ed il livello culturale e delle abilità/capacità riscontrate attra-
verso il bilancio di competenze; inoltre per venire incontro alla domanda
formativa e occupazionale spesso si è fatto ricorso ad azioni di ricerca nel-
l’intento di interloquire non soltanto con gli immigrati ma anche con chi la-
vora con gli immigrati e con le aziende, al fine di capire che tipo di incrocio
poteva esserci tra domanda e offerta;
- inoltre sono state attivate altre azioni formative a sostegno, dando una forte
attenzione anche alla formazione delle risorse umane, ossia a formare i for-
matori o l’équipe d’aula a saper gestire le dinamiche provocate dall’effetto-
stigma verso lo straniero; ulteriori corsi sono stati dati per la formazione di
mediatori culturali e di operatori di sportello, aperto sia a cittadini italiani
che a cittadini stranieri.
c) Per quanto riguarda le figure di sostegno/intermediazione sono state utilizzati:
- psicologi e orientatori, per l’integrazione nel gruppo-classe attraverso col-
loqui individuali e di gruppo a utenti, formatori e famiglie;
- mediatori etnici, per i rapporti con gli utenti e le famiglie non solo nei
Centri ma anche per contatti/interventi direttamente presso le abitazioni e
con le comunità etniche/Associazioni di appartenenza.
d) Per quanto riguarda la formazione della RETE, si è assistito a un circuito inte-
grato di interventi che mette in comunicazione l’insieme delle strutture e dei
servizi a cui gli immigrati fanno riferimento (formativi, sociali, amministrativi,
per il lavoro e numerosi altri enti che si interfacciano con gli immigrati), ossia:
scuole, altri Enti di Formazione Professionale, associazioni di categoria, Forze
dell’Ordine, CTP, EdA, ASL, SERT, Servizio civile, Amministrazioni locali,
associazioni di volontariato, ONLUS, Comunità Terapeutiche, Caritas, asso-
ciazioni presenti all’interno delle varie comunità etniche, Consulta lo-
cale/provinciale per l’immigrazione, CSI (Centro Servizi per l’Immigrazione).
Infine i vari partecipanti ai focus si sono soffermati ad evidenziare certi aspetti
del lavoro con gli immigrati che appaiono particolarmente critici e ad avanzare al
tempo stesso alcune proposte.
e) Per quanto riguarda i punti di criticità:
- in generale si avverte un’estrema disaggregazione dei servizi; non c’è man-
canza di servizi a favore degli immigrati, al contrario ce ne sono tantissimi,
mentre il vero problema sta nel fatto che sono sparpagliati, disaggregati,
manca un coordinamento e per di più per certi aspetti risultano ridondanti,
119
nel senso che molto spesso offrono solo certi servizi e mancano invece di
altri;
- a livello nazionale in termini istituzionali legislativi il cittadino immigrato
ha la possibilità di restare in Italia solo in quanto risorsa lavorativa; quindi
con la legislazione attuale il cittadino immigrato è considerato solo in
quanto forza-lavoro;
- a livello delle istituzioni locali bisogna evitare che l’immigrato faccia un
percorso di “nomadismo interistituzionale”: alla Caritas per trovare risposte
a certi suoi problemi, quindi per trovare lavoro si rivolge al Centro per
l’Impiego, e così via…; tutto questo migrare il più delle volte porta verso
percorsi non garantiti, mentre la persona potrebbe trovare risposte uni-
tarie/unificate qualora venisse immessa in un percorso gestito da una rete di
istituzioni i quali erogano differenti servizi in risposta ad altrettante diffe-
renti domande.
f) Per quanto riguarda le proposte:
- in primo luogo occorre dare ai formatori una formazione specifica e finaliz-
zata a prevenire le forme di discriminazione e a saper utilizzare metodo-
logie più adeguate nel dare sostegno agli allievi immigrati;
- a questo riguardo bisognerebbe arrivare ad avere in ogni CFP un equipe sta-
bile fissa di supporto ai formatori, una specie di task force di sistema;
- inserire all’interno di ogni struttura formativa la figura del mediatore cultu-
rale ‘scolastico’, il quale si diversifica dal mediatore etnico proprio perché
lavora con una particolare utenza e quindi deve essere in grado di affrontare
problematiche tipiche del gruppo-classe;
- una maggiore adeguatezza deve riguardare inoltre anche i programmi e la
loro distribuzione per tempi fasi, in quanto il loro svolgimento nei confronti
di questa particolare utenza richiederebbe di essere più flessibili e/o tempi
più lunghi, in considerazione del ritardo culturale e linguistico che riguarda
la maggioranza di loro;
- inoltre occorre orientare l’attività formativa non solo agli immigrati giovani
e regolari ma anche verso quella fascia di immigrati e in particolare di im-
migrate che hanno più di 18 anni, con problemi di regolarizzazione e che
oggi costituiscono una maggioranza all’interno dei processi migratori;
- infine anche i contatti tra il Centro e le famiglie degli immigrati e le asso-
ciazioni delle comunità etniche a cui appartengono dovrebbero essere mag-
giori e più approfonditi.
121
Capitolo 5
Linee-guida per modello/i sperimentale/i
d’intervento a favore degli immigrati
Vittorio PIERONI - Antonita SANTOS FERMINO1
Nelle politiche per l’integrazione la leva del cambio è essenzialmente la cul-
tura. E investire nel capitale-cultura significa anzitutto prendere in considerazione
la scuola e più in generale i sistemi formativi (nel presente caso il riferimento va
ovviamente alla Formazione Professionale), quale primo laboratorio interculturale
a partire dai programmi fino alle attività espressivo-ricreative extracurricolari. Oggi
non è più possibile infatti pensare di istruire senza educare. Educare significa af-
frontare l’insieme delle dimensioni (affettiva, etica, relazionale, sociale…) che
fanno capo alla personalità globale di un soggetto in formazione.
A fronte di una pluralità di “presenze” che all’interno della scuola/FP fanno ca-
po ad altrettante culture, il suo ruolo diviene fondamentale nel promuovere l’educa-
zione interculturale, nel fare da cerniera per proporre/facilitare l’integrazione di quel-
le pluri-appartenenza che segnano il futuro di ogni società “nodale”, integrandole in un
concetto di società in permanente processo di sviluppo multiculturale. In questo senso
gli individui non possono più essere considerati appartenenti ad una “monocultura”
ma piuttosto parte di un contesto multiculturale, portatore di molteplici sviluppi iden-
titari prodotto dell’intreccio con altrettante plurime/multi-etniche culture.
Spetta quindi alla scuola/FP il principale ruolo di fare da ponte tra più culture,
rispettando anzitutto la “diversità” (culturale, linguistica, etnica, religiosa…) del-
l’alunno e portandolo al tempo stesso a prendere coscienza del ruolo attivo da svol-
gere in quanto cittadino con tutti i diritti ma anche con tutti i doveri. Da questo pro-
cesso di integrazione, e quindi dal ruolo fondamentale che i sistemi formativi
hanno nel promuoverla, dipenderà il futuro delle società plurali/mulltietniche.
1. LO SCENARIO
In sostanza i sistemi formativi dovrebbero farsi catalizzatori delle strategie di in-
clusione delle differenti etnie presenti nel territorio, diventare cioè veri e propri “la-
boratori di cittadinanza interculturale”. Ora, affinché la scuola/FP sia in grado di pro-
1 Anche all’interno di questo capitolo vengono riportate alcune parti del citato testo dell’autrice:
Identità trans-culturali. Insieme nello spazio transazionale, Tirrenia (Pisa), ed. Del Cerro, 2008.
122
durre un servizio di qualità in tal senso occorre che sappia mettere in atto, come evi-
denziano un po’ tutti gli studi che si richiamano all’argomento, una serie di strategie di
base, quali: l’integrazione delle azioni tra informazione, consulenza, orientamento e
formazione; la flessibilità nel dare risposte diversificate ad un’utenza sempre più va-
riegata; la presenza di équipe multidisciplinari in grado di condividere obiettivi, pro-
getti, programmi; la valutazione della coerenza tra gli obiettivi proposti e quelli rea-
lizzati; il sostegno alla elaborazione di itinerari formativi ed educativi personalizzati;
la capacità di dare risposte “calibrate” sulla base delle caratteristiche dell’utenza; il
saper attivare servizi specialistici in funzione delle caratteristiche del territorio.
A loro volta le buone pratiche per realizzare un tale servizio di qualità vanno
individuate: nella sperimentazione di metodologie/modelli d’intervento flessibili e
innovativi; nel monitoraggio dei bisogni formativi e occupazionali del territorio; in
un’offerta formativa mirata a sviluppare nuove professionalità da combinare con
nuove professionalità; nel portare i soggetti ad acquisire competenze trasversali;
nell’apporto offerto da più figure specialistiche di supporto; nella realizzazione di
progetti finalizzati alla realizzazione di percorsi formativi integrati; nel saper met-
tere in rete una catena di servizi informativo-formativi.
A fare da trait-d’union all’insieme delle buone pratiche sottese ad un servizio
di qualità che i sistemi formativi intendono offrire vi è il concetto di “educazione
interculturale” considerato nelle tre dimensioni che lo caratterizzano e tra loro
strettamente interconnesse: culturale (alterità, interdipendenza, responsabilizza-
zione ai diritti-doveri…), sociale (uguaglianza, giustizia…), ambientale (interdi-
pendenza tra la specie umana e l’ecosistema per la conservazione della specie).
Di conseguenza per fare in modo che anche gli adolescenti di origine migra-
toria passino da “stranieri” a “cittadini riconosciuti” come appartenenti a tutti gli
effetti ad una società multietnica in trasformazione occorre innovare/mobilitare il
percorso formativo allargandolo alla sfera educativa globale della personalità.
Questo cambiamento di rotta tuttavia dovrebbe coinvolgere tanto l’allievo im-
migrato che tutti i componenti della struttura formativa indistintamente, a partire
dai compagni di classe autoctoni, alle famiglie di tutti gli alunni, ai docenti, ai
quadri dirigenti e amministrativi. Tutto questo comporta la presenza (e, ancor
prima, la formazione) di figure specialistiche in grado di educare all’alterità, di
orientare ad un modello di democrazia partecipativa, di formare cittadini capaci di
adattarsi alle nuove convivenze in maniera costruttiva, arrivando così a predisporre
quello “spazio transizionale” al cui interno potranno prendere forma/svilupparsi
percorsi/processi identitari originali/innovativi.
2. LINEE-GUIDA SOTTESE AL MODELLO SPERIMENTALE D’INTERVENTO
A completamento dell’insieme dei contributi offerti nell’ultima parte di questo
studio vengono riportate qui di seguito delle linee-guida sulla cui base poter realiz-
123
zare poi modelli d’intervento e/o progetti formativi a favore di adolescenti/giovani
di origine migratoria.
Per la messa in opera di progetti mirati a favorire l’inclusione/inserimento di
giovani di origine migratoria in programmi/progetti a scopo formativo e finalizzati,
conseguentemente, al loro inserimento nella vita attiva si richiede anzitutto di im-
postare l’intervento su alcune “condizioni generali” che dovrebbero fare da piatta-
forma all’intero impianto progettuale.
Nel caso presente l’impostazione comporta la messa in atto di un ampio venta-
glio di azioni che tenga conto di tutti i possibili fattori intervenienti, ossia del feno-
meno su cui si vuole intervenire, delle “attese” rispetto al cambiamento prefigurato,
dei destinatari del progetto, delle “risorse” disponibili, delle metodologie d’inter-
vento e del sistema di valutazione da attuare a garanzia dei risultati conseguiti.
Sulla base di questa piattaforma sarà poi possibile estrarre quelle azioni che
serviranno a costruire modelli/progetti mirati, a seconda cioè della particolare tipo-
logia di utenza (diverso se indirizzati agli adolescenti/giovani in età formativa, op-
pure alle donne, oppure agli adulti…), degli interessi emersi attraverso schede/test
in ingresso e colloqui orientativi ed il livello culturale e delle abilità/capacità ri-
scontrate attraverso il bilancio di competenze.
2.1. Fase preliminare: analisi e contestualizzazione del fenomeno
Risponde all’obiettivo di individuare nel territorio in osservazione:
1) quali problemi si intendono affrontare attraverso l’attuazione del progetto;
2) quali e quante sono le comunità etniche interessate da questi problemi nel-
l’area geografica in osservazione da coinvolgere nel progetto;
3) quali sono i principali fattori che coinvolgono i soggetti-attori a livello: forma-
tivo; psicologico; socio-relazionale, di integrazione nella vita della comunità
locale; occupazionale; sanitario.
A seguito dell’analisi della domanda di contesto, per attivare l’intervento si ri-
chiede di stabilire:
1) la “fattibilità” del progetto che si intende attuare;
2) chi sono i committenti;
3) chi sono i finanziatori;
4) chi sono i realizzatori;
5) chi collabora al progetto (quali altri gruppi sociali del territorio sono coinvolti:
strutture analoghe, Enti, altri servizi, associazioni…);
6) se questa collaborazione prevede di poter “lavorare-in-rete” e, in caso afferma-
tivo, di verificare in che rapporto stanno Enti promotori/finanziatori, gruppi
coinvolti nella realizzazione del progetto e risorse disponibili;
7) qual è la mappa delle “risorse” disponibili, in termini di: risorse umane (pro-
fessionalità, ruoli e competenze degli operatori…); investimenti finanziari
(pubblici, privati, per quanto tempo, per quanti utenti…); spazi/infrastrutture.
124
Infine occorre stabilire definitivamente chi sono i destinatari/beneficiari del
progetto, ossia:
1) da chi è composto il target degli utenti (nel caso degli immigrati se si tratta di
adolescenti/giovani in obbligo o comunque in età formativa, oppure di sole
donne, oppure di adulti…);
2) quali sono i fattori per la loro selezione (nel caso degli immigrati il livello cultu-
rale, il possesso di determinate capacità, le esperienze lavorative pregresse…);
3) quali sono le prerogative per il loro inserimento nel progetto;
4) quali sono le modalità per contattarli, reclutarli, motivarli;
5) quali sono gli obiettivi specifici che si intendono conseguire, per quanto ri-
guarda in particolare i fattori protettivi e quelli preventivi da condizioni di ri-
schio/emarginazione.
2.2. Prima fase operativa: disponibilità di risorsa-uomo adeguatamente for-
mata
Per uscire da interventi approssimativi e superficiali a favore di utenti dei si-
stemi formativi già di per sé in stato di debolezza sociale e/o, nel caso di immigrati,
portatori di “diversità” varie in seno alla comunità educativa, la promozione di stra-
tegie sottese ad un modello sistemico d’intervento non potrà realizzarsi se non pas-
sando attraverso l’investimento anzitutto in attività di formazione-dei-formatori,
secondo la logica della strategia formativa “per effetto moltiplicatore”. Tale attività,
finalizzata alla riqualificazione della struttura formativa grazie all’ottimizzazione
delle proprie risorse, oggi più che mai si configura come un lavoro di équipe che
comporta la presenza di più figure abilitate all’interazione e alla collaborazione di
gruppo nell’espletare un servizio che richiede adeguate competenze nello svolgi-
mento di quelle funzioni attraverso cui si intende rispondere ad un ventaglio
sempre più differenziato di attese.
I programmi di formazione continua a loro volta dovrebbero includere il ruolo
svolto dalla comunità educativa in particolare nel sapersi relazionale con gli alunni di
origine migratoria, facendosi interprete dei loro bisogni e attese, e nel proporre ade-
guate strategie al fine di coinvolgere/ottenere una più ampia partecipazione dei loro
genitori alla vita della scuola/FP. In quanto tale, l’attività di formazione dei formatori
rappresenta perciò la “conditio sine qua non” per chi opera in strutture finalizzate a
realizzare percorsi educativo-formativi della personalità globale, se si vuole ottenere
un effettivo cambiamento/miglioramento nella qualità del servizio erogato, arrivan-
do così a svolgere il proprio ruolo di educatori prima ancora che di professionisti.
Per svolgere l’intervento occorre quindi poter disporre di: personale apposita-
mente formato (età, titolo di studio, esperienze pregresse…); formazione specifica
da offrire in ingresso; presenza di doti/qualità “ad hoc” (vocazione ad educare, a
stare “con” e non “per”…); criteri per la selezione degli operatori; processi di for-
mazione da offrire ex-ante ed in itinere.
125
2.2.1. La formazione in servizio
Ora affinché gli insegnanti possano sentirsi all’altezza nel confrontarsi con la
presenza all’interno della propria struttura di portatori di differenti appartenenze
(per cultura, etnia, lingua, religione…) occorrerà che venga offerta loro una forma-
zione basata su una serie di competenze (“di base”, “specialistiche” e “trasversali”)
che dovrebbe permettere loro di operare in modo uniforme e condiviso. Compe-
tenze che alcuni autori (Caliman-Pieroni, 2001, 213) hanno cercato di sintetizzare
nel seguente quadro sinottico.
2.2.2. La capacità di lavorare in équipe
Questa metodologia di lavoro si caratterizza per la condivisione di obiettivi e
metodi tra i diversi attori in interazione.
Lavorare in équipe non significa ridimensionare le competenze individuali cer-
cando l’uniformità ad ogni costo, ma sta ad indicare piuttosto la presenza al suo in-
terno di una piattaforma comunicativa e di interazione tra ruoli e competenze diver-
sificate, mirate ad arricchire il bagaglio metodologico-pedagogico che fa capo alle
strategie da cui attinge la comunità educativa nell’insieme delle attività d’inter-
vento. In quest’ottica anche una buona iniziativa promossa dal singolo se non viene
condivisa dal gruppo dei docenti non potrà passare come “buona pratica”. Il sog-
Quadro sinottico delle competenze di base, specifiche e trasversali
per la formazione in servizio dei docenti/formatori
di BASE
Bilancio di competenze
Capacità di lavorare in gruppo,
interdisciplinarietà
Competenze di prevenzione
primaria e secondaria
Competenze di dinamica di
gruppo e/o di conduzione di
piccoli gruppi
Competenze nel saper condurre
colloqui individuali e/o centrati
sulla persona
Elaborazione di percorsi
formativo-educativi personalizzati
Etica professionale
COMPETENZE
SPECIALISTICHE
Tecniche di auto-aiuto
“Orientamento al cliente” e/o ad
un progetto di vita personalizzato
Saper programmare interventi
specifici, in considerazione della
diversa tipologia dell’utenza
(giovani, famiglie, soggetti
svantaggiati e/o a rischio…)
Documentazione delle esperienze
Confronto delle esperienze e
collegialità nel trattamento dei
casi
Dare risposte “calibrate” in
rapporto a ciascuna utenza
Monitoraggio e valutazione degli
interventi
TRASVERSALI
Normative nazionali e locali sui
processi migratori
Conoscenza dei fenomeni
migratori presenti nel territorio
Conoscenza almeno
approssimativa delle singole
comunità etniche presenti
all’interno della scuola/FP
Conoscenza dei nuovi processi
formativi da agganciare a
specifici interventi
Conoscenza di metodologie
didattiche innovative
(“apprendimento cooperativo”…)
Saper progettare e
animare/coordinare strategie di
lavoro di rete
Collaborazione con altre strutture,
servizi, Enti
Fonte: Caliman-Pieroni, 2001, 213
126
getto da formare e integrare infatti ha il diritto di vivere in un contesto fatto di
scelte che non sono il frutto dell’estemporaneità di un singolo insegnante ma piut-
tosto il prodotto della condivisione di tutte le parti in causa. L’impresa di gestire “in
comunione” tale contesto, per quanto possa sembrare ardua e complessa, in realtà
rappresenta il “cuore”, il centro propulsore di una comunità educativa e degli inter-
venti/azioni formative che promuove.
Viceversa, l’insegnante/educatore dall’approccio tipico del “protettore-com-
plice” (“ti curo io”, “a te ci penso io”…) dovrà fare molta attenzione ai rischi che
provoca l’adozione di un tale atteggiamento per le ripercussioni che avrà inevitabil-
mente nei confronti della relazione tra l’alunno, il gruppo-classe e gli altri inse-
gnanti. Non è difficile infatti che il verificarsi di un caso-problema diventi ostaggio
delle rivalità fra quegli insegnanti che non sanno rendere compatibile il loro ap-
proccio personale con la dinamica d’équipe nel suo insieme. Al contrario, il lavoro
di gruppo serve proprio, da una parte, a mediare il controllo dell’affettività del sin-
golo insegnante nel suo porsi come “salvatore” di fronte al soggetto portatore del
problema e, dall’altra, a garantire che i risultati ottenuti siano il prodotto dell’inter-
vento dell’équipe nel suo complesso.
Tutto questo mentre per un verso farà da protezione nei confronti delle inevita-
bili forme di “burn-out” a cui va incontro chi lavora nel campo della formazione e
dell’insegnamento, al tempo stesso contribuirà a cambiare la “cultura” degli inter-
venti, orientandola verso quella dimensione “sistemica” mirata a coinvolgere nel
problema tutti gli attori e al tempo stesso a fare in modo che ciascuno assuma le
proprie responsabilità nell’organizzazione e distribuzione degli interventi.
2.2.3. Presenza di figure di intermediazione
Tra le strategie applicate al “capitale-cultura” e alla “risorsa-uomo”, una pro-
posta che intenda essere innovativa dovrebbe prevedere di formare e di rendere
sempre più operative figure professionali che in qualche modo assomigliano al
“tutor” e che nel caso specifico, avendo a che fare con alunni di origine migratoria,
potrebbero assumere il ruolo di “tutor etnici”. In quanto tali, queste figure non do-
vrebbero assolvere semplicemente al compito di intermediazione, ma si distin-
guono dallo stesso “mediatore culturale” in quanto hanno una funzione prettamente
psico-pedagogica, ossia dovrebbero dedicarsi prettamente a dare sostegno al pro-
cesso di costruzione dell’identità negli adolescenti/giovani di origine migratoria, la-
vorando a difesa dei fattori protettivi della propria cultura e prevenendo per quanto
possibile i fattori di disagio/rischio nell’esporsi al contatto con altre culture.
Alcuni compiti specifici del tutor etnico sono già stati riportati nel capitolo
precedente 2. Si tratta cioè di accompagnare e di supportare il giovane nei principali
“momenti di passaggio” che riguardano da vicino le problematiche circoscritte ai
processi di integrazione tra “mondi” culturali diversi e che sono destinate ad in-
2 Al paragrafo 5.2 del capitolo 4.
127
fluenzare poi il processo di costruzione dell’identità: mantenimento dei co-
stumi/valori della tradizione da un lato e, dall’altro, inserimento nella nuova cul-
tura, partecipazione attiva alla vita della scuola/FP, educazione alle scelte e agli
orientamenti di vita, sostegno alla progettualità e alle prospettive future. Tutti fat-
tori che spesso la famiglia immigrata si trova a dover gestire da sola, senza alcun
sostegno e talora anche in assenza di adeguate competenze, con evidenti conse-
guenze sul percorso identitario del figlio.
Alcuni autori (Pagano-Nosenghi, 2005, 104ss.) hanno definito queste figure
operative dei veri e propri “costruttori di ponti” tra sponde culturali differenziate.
Ad essi viene affidato il delicato compito di far diventare i sistemi formativi un “la-
boratorio di convivenza democratica”, capace di rispondere all’obiettivo dell’inte-
grazione delle pluri-appartenenze mediante competenze:
– pedagogico-relazionali: capacità comunicative, empatia, accoglienza, ascolto
attivo, capacità di vedere il problema anche da parte del punto di vista del-
l’altro, capacità di collaborare;
– vocazionali: mission educativa, capacità di dare significato esistenziale al pro-
prio operato, rispetto/stima/attenzione all’altro e alla sua diversità;
– culturali: conoscenza delle lingue e culture, gestione delle informazioni, ri-
corso alle normative e alle risorse istituzionali del territorio;
– tecnico-professionali: analisi dei bisogni, capacità nel saper orientare, tecniche
di colloquio, tecniche di animazione/conduzione di gruppi, gestione dei conflitti;
– organizzative: saper lavorare in gruppo, progettare, formare e gestire reti for-
mative.
Non mancano tuttavia elementi di criticità nei confronti di un certo modo di
gestire i processi di mediazione, in quanto vi è anche il rischio che tali attività, se
riversate solo sul “caso”, non fanno altro che accentuare la differenza tra l’alunno
immigrato ed i suoi compagni di classe, per cui riproducono esclusione anziché in-
clusione; invece le azioni di mediazione dovrebbero essere in grado di attivare una
circolarità di relazioni fra allievi immigrati e autoctoni, fra insegnanti, fra allievi e
insegnanti, fra insegnanti e genitori; così pure le prove di accesso e il patto forma-
tivo se non coinvolgono anche la famiglia invece dell’integrazione fanno dell’a-
lunno immigrato un “caso a sé”, solitamente oggetto di trattamento differenziato.
Mentre la figura del tutor etnico, se adeguatamente formata, interviene soprat-
tutto sul processo piuttosto che mirare direttamente al prodotto; come tale, il suo
compito rientra nell’ottica di quella “pedagogia dell’accompagnamento” che in-
tende aiutare il soggetto nella scoperta di se stesso portandolo ad individuare bi-
sogni, aspirazioni, attitudini, valori, capacità/abilità. Questa attività di accompagna-
mento inoltre va prevista non solo nella fase iniziale ma attraversa trasversalmente
l’intero percorso/processo d’intervento formativo.
Tutto ciò significa innescare nei percorsi formativi un processo di mediazione
permanente basato sui seguenti obiettivi: favorire l’accoglienza dell’alunno di origi-
128
ne migratoria e il suo inserimento nella classe; favorire la relazione tra scuola/FP e
famiglia; valorizzare le culture delle differenti etnie di immigrati presenti nella
scuola/FP; promuovere progetti interculturali; partecipare alle iniziative/manifesta -
zioni promosse anche da parte di altre strutture/istituzioni (amministrazioni locali,
enti e associazioni varie…) a favore degli immigrati.
Per quanto riguarda poi le aree d’intervento, la formazione per svolgere attività
di mediazione dovrebbe essere indirizzata:
1) agli insegnanti, per: contribuire a risolvere difficoltà comunicative nella fase di
inserimento/integrazione nel gruppo-classe; usufruire di quelle informazioni sulla cul-
tura degli alunni di origine migratoria che permettano di superare/oltrepassare gli
eventuali stereotipi; acquisire informazioni utili sulla biografia e sul percorso forma-
tivo dell’alunno quando stava nel Paese di origine; favorire una maggiore compren-
sione della condizione psichica che vive l’alunno immigrato lungo il suo percorso for-
mativo; proporre/promuovere azioni e progetti finalizzati all’interculturalità;
2) all’alunno di origine migratoria, per: sostenere il suo rapporto con i com-
pagni, con i docenti e con le varie altre figure operative all’interno della scuola/FP;
favorire la partecipazione alle attività del gruppo-classe; favorire l’accesso ai ser-
vizi della scuola/FP, con particolare riferimento a quelli di ordine orientativo e psi-
cologico, in modo da ridurre il disagio provocato dallo sradicamento e/o dal suo
farsi comunque portatore di una diversità; dare valore e legittimità alla lingua e alla
cultura di origine; prevenire la dispersione scolastica (provocata da problemi lin-
guistici, di apprendimento, comportamento…) mediante interventi socio-educativi
mirati e programmati in più tempi durante il percorso formativo;
3) all’alunno autoctono, per: coinvolgere il gruppo-classe nel discutere su
“cosa si deve fare” quando arriva un nuovo compagno di origine migratoria; pre-
sentare/far conoscere/valorizzare all’interno della classe le diverse culture di appar-
tenenza degli allievi; proporre progetti/programmi di animazioni interculturale;
promuovere attività/azioni formative col fine specifico di educare alla mondialità,
alla pace a sapersi accettare nella diversità;
4) alle famiglie autoctone e immigrate, per: orientare i genitori fornendo infor-
mazioni per conoscere il funzionamento della scuola/FP ed i diritti/doveri degli
alunni e delle famiglie; facilitare l’accesso all’uso dei servizi educativi, intra ed
extra scuola/FP; sensibilizzare i genitori al PEI o ad altri progetti educativi adottati
dalla struttura formativa.
Tutto questo richiede anzitutto che la figura del mediatore o del tutor etnico
venga prevista e quindi adottata e inserita non solo all’interno dei sistemi formativi
ma anche nelle politiche socio-assistenziali degli enti locali. Di conseguenza la sua
funzionalità andrebbe attivata in luoghi particolarmente significativi oltre la
scuola/FP, quali i consultori familiari, i centri di ascolto e di orientamento, le que-
sture, le strutture socio-assistenziali e, più in generale, i centri di accoglienza e/o
quei centri di ritrovo dove si riuniscono le comunità etniche.
129
2.3. Seconda fase operativa: le strategie formative a sostegno/accompagna -
mento
Ai fini di una adeguata integrazione degli adolescenti/giovani di origine migra-
toria nei sistemi educativo-formativi si richiede che tali sistemi promuo-
vano/favoriscano lo svolgimento di programmi d’intervento mirati a coinvolgere,
far partecipare questi alunni ad attività a favore sia della comunità etnica di appar-
tenenza che del più ampio contesto sociale dove vivono (quartiere, territorio, am-
bienti del tempo libero…), facendo in modo che questi diversi mondi possano poco
alla volta dialogare e integrarsi. Ciò permetterà a questi alunni uno sviluppo armo-
nico tra più culture che avrà una ricaduta nel promuovere le proprie potenzialità a
favore di sempre nuove e più ricche forme di convivenza sociale, al punto da poter
dire che l’“integrazione” è il prodotto proprio delle diversità di cui ciascuno è por-
tatore e la diversità a sua volta è ciò che ne fa da collante.
Per quanto riguarda le metodologie a cui fare riferimento, per la messa in
opera di un progetto d’intervento in linea generale si richiede di indicare: su quali
ipotesi è fondato il problema che si intende affrontare; quale metodologia si in-
tende applicare al modello interpretativo adottato e a quali fonti fa riferimento;
quali sono gli obiettivi generali del progetto (prevenire, cambiare, promuovere…);
quali sono invece gli obiettivi specifici che si intendono conseguire attraverso
l’applicazione del modello; come è stata pianificata l’attività per tempi/fasi a
breve/medio/lungo termine; quali sono i risultati attesi; come si prevede di verifi-
care il rapporto tra gli obiettivi programmati ed i risultati realizzati (metodi, stru-
menti per le verifiche…).
2.3.1. Buone pratiche per l’inserimento nel gruppo-classe degli alunni immigrati
Scendendo invece nei dettagli di un progetto mirato all’accoglienza/integra -
zione/accompagnamento nel gruppo-classe degli alunni di origine migratoria, un
percorso iniziale di inserimento nei Centri di Formazione Professionale è stato
messo a punto da Bonica (2000, 263) e riportato nel capitolo precedente 3.
Oltre alle pratiche ormai convalidate bisogna tener conto anche di specifici in-
terventi nei confronti di quei soggetti particolarmente a rischio per la loro apparte-
nenza alla categoria dei cosiddetti “senza-patria”, ossia di coloro che si vergognano
o comunque non sono mai stati nel Paese di origine dei propri genitori (portando
con sé il “complesso di Calimero”), per cui non ne condividono affatto cultura e
tradizioni ma al tempo stesso non si sono mai integrati nella cultura e nella società
del Paese dove sono nati e/o dove attualmente risiedono. Costoro si possono consi-
derare di conseguenza dei veri e propri “apolidi”, dalla mancata o non ben definita
appartenenza, per cui sono portatori anche di un’altrettanta debole o mancata iden-
3 Al paragrafo 5.3 del capitolo 4.
130
tità e/o di un sé disintegrato. Come tali possono essere considerati ad alto rischio di
vulnerabilità sociale; fenomeno che a sua volta appare strettamente collegato al fal-
limento scolastico, alla deprofessionalizzazione, alla disoccupazione e che potrebbe
avere come capolinea la caduta nell’emarginazione e nella devianza.
Ai fini dell’integrazione nel gruppo-classe di questi particolari alunni Zoletto
(2007, 147ss.) suggerisce le seguenti azioni.
1) Stilare assieme una “carta sull’integrazione” che faccia da sfondo a tutte le
attività interculturali promosse da ciascuno o comunque a partire dalla quale
progettare iniziative condivise di educazione/integrazione scolastica e sociale;
ed inoltre permetta di acquisire nuove competenze e dimensioni culturali nel
partecipare in prima persona alla co-costruzione di una “casa comune”.
2) Favorire il protagonismo di tutti gli attori sociali:
- promuovendo forme di rappresentanza delle diverse comunità/gruppi etnici;
- favorendo l’associazionismo delle comunità immigrate;
- sostenendo la dimensioni interculturale tra le differenti forme di associazio-
nismo etniche ed autoctone presenti nel territorio (a scopo sportivo, cultu-
rale, espressivo…);
- promuovendo la partecipazione alla vita della scuola/FP (negli organi colle-
giali…) delle rappresentanze di diverse etnie (genitori, associazioni, gestori
di servizi vari…).
3) Arrivare ad elaborare un “patto interistituzionale”, al fine di promuovere un
modello di integrazione partecipata e di progettualità condivisa.
4) Rinnovare/rivisitare la scuola/FP, intesa quale “servizio” in funzione dei bi-
sogni formativi e culturali delle comunità locali, mediante:
- la partecipazione al POF/PEI di tutti gli attori sociali;
- la realizzazione di percorsi/progetti mirati alla partecipazione delle fami-
glie, rendendole soggetti attivi nel processo educativo dei figli;
- la realizzazione di attività finalizzate all’integrazione tra famiglie autoctone
e immigrate;
- l’alfabetizzazione degli adulti con particolare attenzione alle fasce deboli
delle comunità immigrate;
- la valorizzazione delle culture di appartenenza e delle lingue delle diverse
etnie ai fini di una crescita condivisa che porti a considerare la differenza
un’opportunità di arricchimento reciproco;
- la concezione di una scuola/FP quale luogo di convivenza plurale e demo-
cratica, fondata sul riconoscimento di tutte le differenze, secondo quanto
suggerisce uno dei principi-cardine della società della conoscenza, il quale
invita a “imparare a vivere insieme e a muoversi alla scoperta dell’altro ten-
dendo verso obiettivi comuni” (J. Delors);
- l’adozione del principio secondo cui la conoscenza, i saperi e le culture
sono un valore ed una ricchezza solo in quanto sono “plurali”, ossia sono in
grado di tenere assieme identità e differenza.
131
2.3.2. La scuola/FP come “laboratorio delle differenze” contro le forme di discri-
minazione
La scuola/FP oltre ad essere un luogo di confronto culturale e di incontro rela-
zionale, dove più facilmente si è portati a fare amicizia, talora può dare adito anche
a conflitti; quando poi si aggiungono altre differenze, quali il colore della pelle,
l’abbigliamento, l’insegnamento della religione…, allora è possibile che diventi un
luogo di scontro per l’assunzione di atteggiamenti discriminatori, incomprensioni,
dibattiti accesi.
Alcuni autori (Portera-Dusi, 2005; Portera, 2006, 77) hanno fatto osservare che
nel settore della didattica e della pedagogia interculturale non bisogna mettere in ri-
lievo solamente le differenze culturali, ma occorre centrare gli interventi soprattutto
sulle possibili “interazioni” che si dovrebbero realizzare tra i soggetti appartenenti
a culture diverse. Nel sottolineare solo le differenze si rischia infatti di descrivere
l’identità del portatore di “diversità” in maniera rigida/statica, perpe-
tuando/accentuando di fatto le disuguaglianze. Per di più, se l’alunno di origine mi-
gratoria viene percepito in classe come un “problema” finirà per sentirsi tale e
quindi anche per comportarsi tale, ossia da “straniero in/alla classe”. Al contrario
l’integrazione potrà avvenire se lo si porterà ad essere e a sentirsi una “risorsa”, un
“compagno alla pari” all’interno del gruppo-classe.
La scuola/FP infatti può diventare anche un luogo dove si riproducono e si molti-
plicano cortocircuiti relazionali basati su stereotipi/pregiudizi nei confronti delle “dif-
ferenze” e/o dei portatori di svantaggi di varia entità e che, in quanto tali, possono sfo-
ciare in aperte discriminazioni. In particolare è l’ambiente del gruppo-classe, quale si-
stema microsociale, che si presta più facilmente a produrre e a conservare le differen-
ze di status degli allievi. Se a tutto questo si aggiunge poi una didattica in grado di raf-
forzare tali differenze a seconda delle aspettative dei docenti, esse potrebbero arrivare
a provocare una ricaduta tra gli alunni in rapporto sia alla percezione che i compagni
hanno di chi ne è portatore sia nei confronti della percezione che viene ad avere di sé
l’alunno discriminato. Quando poi il discriminato è l’alunno immigrato, il bagaglio
di differenze (culturali, linguistiche, religiose, somatiche…) di cui è portatore all’ini-
zio del percorso il più delle volte (anche per l’intervento di vari altri fattori quali la de-
bolezza linguistica e culturale, la classe sociale di appartenenza…) le mancate perfor-
mance si sommano e si stabilizzano in uno stigma di incapacità di prestazione che ta-
lora può perdurare lungo l’intero percorso scolastico-formativo.
La sfida che l’appartenenza etnica dell’adolescente immigrato pone alla logica
delle pari opportunità nei sistemi formativi riguarda l’esigenza di armonizzare le
forme di fruizione dei diritti fondamentali con i percorsi individuali di crescita e di
realizzazione di sé. La scuola/FP multiculturale dovrebbe perciò abbandonare i me-
todi didattici tradizionali, pensati per gruppi culturalmente omogenei, per poter la-
vorare con efficacia con gruppi culturalmente eterogenei. Una metodologia che in-
tenda definirsi interculturale infatti non mette al centro il diverso ma parte dal met-
tere a confronto su uno stesso piano di parità tutti i differenti portatori di diversità.
132
Tutto questo comporta di formare gli insegnanti ad utilizzare metodologie di-
dattiche innovative per far sì che le relazioni nel gruppo-classe non siano conflit-
tuali ma si crei piuttosto un clima collaborativo. Lo stesso impianto curricolare do-
vrebbe perciò essere coniugato in termini interculturali di dialogicità (capacità di
porsi in relazione e in ascolto dell’altro) e decentramento (presentazione di ciascun
punto di vista tra pari). Al riguardo i lavori di gruppo ed altre attività similari pos-
sono essere utilizzati quali ottimi strumenti didattici ai quali far ricorso, oltre che
per i processi di apprendimento, anche per quelli finalizzati all’ integrazione. Non
si tratta di cambiare i contenuti quanto la forma mentis, insegnando le varie disci-
pline in un’ottica interdisciplinare.
Pagano-Nosenghi (2005, 106ss.) per facilitare il superamento delle problema-
tiche scolastiche di ordine discriminatorio hanno messo a punto le seguenti buone
pratiche.
BUONE PRATICHE PER IL SUPERAMENTO DELLE DISCRIMINAZIONI
1 - Promozione della memoria storica nelle prassi interculturali della scuola/FP: in altri termini si
tratta di dare sempre più spazio al metodo autobiografico. Le memorie legate all’immigrazione fanno
parte del patrimonio culturale; per la loro ricostruzione si possono allestire appositi laboratori dove
genitori e figli ripercorrono la loro traiettoria attraverso testi scritti, musiche, foto e filmati…, che poi
presentano in aula. Il materiale prodotto anno dopo anno a sua volta potrebbe poi entrare a far parte
di un manuale da utilizzare nell’attività interculturale della scuola/FP e/o di un archivio che docu-
menta la storia dell’immigrazione, patrimonio dell’intera comunità scolastica e della comunità locale
di appartenenza.
2 - Laboratori per la costruzione di percorsi interculturali: gli insegnanti lavorano per gruppi interdi-
sciplinari, cercando di individuare quali saperi/competenze possono essere trasversali alle varie disci-
pline; successivamente devono cercare di elaborare, attraverso decisioni condivise, percorsi trasver-
sali evidenziandone le implicanze interculturali.
3 - Procedure/suggerimenti per la soluzione dei conflitti nel gruppo-classe:
- fare in modo da evidenziare negli alunni immigrati doti/qualità/abilità anche in altri settori oltre a
quelle prettamente di ordine scolastico-formativo (sport, mass media, musica, danza…);
- role playing: far sperimentare al bullo la parte della vittima;
- coinvolgere tutti gli alunni nel discutere “cosa fare” quando in classe si provocano aperti conflitti
con compagni di origine migratoria su questionai razziali, religiose, culturali;
- far descrivere all’alunno vittima di discriminazioni il problema o l’evento che ha provocato il con-
flitto e i sentimenti che ha provato; preventivare le azioni/strategie che intende promuovere in rela-
zione al problema; far valutare l’impatto che avrebbe l’applicazione di tali azioni/strategie; infine
fare in modo da socializzare e discutere tutto questo all’interno del gruppo-classe e/o tra più classi
e/o tra più scuole.
4 - Interventi antidispersione scolastico-formativa per giovani immigrati in particolari situazioni di
difficoltà:
a) obiettivo degli interventi è quello di promuovere:
- attività finalizzate a sviluppare le capacità di lettura delle proprie risorse e limiti attraverso l’auto-
valutazione correlata con le possibilità di accesso al mercato del lavoro;
- attività finalizzate alla crescita culturale e della personalità;
- strumenti finalizzati alla riduzione degli abbandoni scolastico-formativi e per consentire di effet-
tuare scelte consapevoli;
- competenze trasversali per rendere spendibile il percorso svolto sul mercato del lavoro;
- attività finalizzate a favorire la conoscenza di percorsi formativi alternativi alla scuola/FP e a mi-
sura del proprio fabbisogno formativo-professionalizzante;
133
2.3.3. L’apprendimento cooperativo: apprendere per mezzo di altri, con gli altri
L’apprendimento cooperativo può essere considerato come uno dei più efficaci
metodi di mediazione tra culture diverse e tra individui con livelli culturali diversi,
in quanto: valorizza le diverse capacità all’interno del gruppo-classe; recupera gli
alunni poco motivati allo studio; educa all’accettazione del diverso; insegna a lavo-
rare in gruppo.
In via generale l’efficacia dell’apprendimento e la qualità dell’impegno cre-
scono nella misura in cui si dà agli studenti l’opportunità di ricercare soluzioni in
un contesto di condivisione e collegialità. In questo caso le attività vengono pianifi-
cate e poi realizzate attraverso un’organizzazione che prevede la distribuzione dei
compiti e delle responsabilità. Un esercizio di apprendimento in gruppo si qualifica
come cooperativo se sono presenti i seguenti elementi:
– positiva interdipendenza: gli alunni si devono sentire responsabili del loro per-
sonale apprendimento e di quello degli altri membri del gruppo; se qualcuno
non fa la propria parte anche gli altri subiscono lo svantaggio;
– responsabilità individuale: ognuno deve rendere conto del lavoro svolto tra-
smettendo al gruppo quanto ha appreso;
– uso appropriato delle abilità nella collaborazione attraverso lo sviluppo delle
proprie capacità, sapendo prendere adeguate decisioni e sapendo gestire even-
tuali conflitti nelle relazioni interpersonali.
Quando poi si ha a che fare con un alunno immigrato neo-arrivato l’apprendi-
mento cooperativo ed il tutoring fra pari consentono fin dall’inizio di poterlo far
partecipare alla vita del gruppo-classe per svolgere quelle attività che richiedono
conoscenze e prestazioni che lui non ha ancora acquisito. Tutto questo sulla base
del principio secondo cui più frequentemente e intensamente essi comunicano con i
loro pari in merito ai compiti da svolgere in comune e più imparano, compresa la
lingua degli autoctoni.
Inoltre i gruppi cooperativi linguisticamente non omogenei possono costituire
una strategia positiva se promuovono attività di problem solving e di scoperta di
b) modalità di progettazione degli interventi antidispersione:
- accoglienza: iniziative per l’integrazione scuola/FP/formazione/lavoro;
- orientamento: attività integrate con la partecipazione dei vari attori del sistema (scuola/FP, CFP,
centri per l’impiego, sistema produttivo…) mirate a sostenere/orientare i giovani alle scelte future;
- sviluppo delle competenze di base e trasversali: abilità relazionali e cognitive mirate a rimotivare i
singoli proponendo modelli personalizzati di apprendimento;
- sviluppo di competenze organizzative mirate a lavorare in gruppo.
5 - Promozione di attività extrascolastiche: la scuola/FP dovrebbe promuovere anche la partecipazione
dell’adolescente immigrato ad attività extracurricolari e del tempo libero, in quanto giocano un
ruolo determinante al fine di farlo sentire accettato da parte del gruppi dei pari; è proprio attraverso
la partecipazione degli adolescenti immigrati alle attività sportive ed espressive promosse nel terri-
torio (come in una squadra sportiva, nell’attività associativa, in un gruppo musicale, in un laboratorio
teatrale…) che gli adolescenti si sentono accolti, accettati, riconosciuti e valorizzati nelle loro capa-
cità.
134
contenuti valorizzando le differenti abilità di cui ciascuno è portatore nella cultura
di appartenenza, in modo tale che esse si trasformino in risorse per il gruppo.
Così pure il tutoring fra pari costituisce un’altra modalità organizzativo-didat-
tica che coinvolge gli alunni stranieri nell’apprendimento e nella socializzazione
con i compagni di classe. In questo modo, mentre gli alunni immigrati neo-arrivati
acquisiscono nuovi contenuti/competenze, il compagno che si è assunto il compito
di “tutor” impara che si possono adottare diversi modi e strategie per apprendere.
In tema di apprendimento cooperativo Zoletto (2007, 66ss.) propone le se-
guenti strategie.
BUONE PRATICHE PER L’APPRENDIMENTO COOPERATIVO
1 - Lavoro di gruppo nell’ottica dell’apprendimento cooperativo:
1) quando gli studenti lavorano in gruppo ognuno diventa corresponsabile del proprio coinvolgi-
mento/apprendimento e di quello dei compagni;
2) dal canto suo l’insegnante diventa una figura che progetta, organizza, osserva, facilita, valuta…, de-
legando così agli allievi una parte del proprio ruolo;
3) è in questo contesto che le differenze di cui ciascun allievo è portatore (tra chi sa di più e meno o tra
chi sa una cosa e chi un’altra, tra autoctoni e immigrati, tra un punto di vista e l’altro, tra culture e
culture…) possono trasformarsi in “risorsa” a beneficio di tutti.
2 - Tutoring fra pari: l’alunno straniero viene affiancato da un compagno-tutor che ha il compito di aiu-
tarlo nell’apprendimento linguistico e nei lavori che riguardano l’intera classe; tale funzione di tuto-
raggio potrebbe essere svolta a turno da vari componenti la classe sulla base delle disponibilità e
competenze di ciascuno.
3 - Formare la rete per l’integrazione scolastica: per lo svolgimento di tale attività si richiede che l’é-
quipe formata da docenti, operatori, figure specialistiche si attivi secondo strategie predeterminate e
strutturate in fasi, tenendo conto dei seguenti parametri:
- presenza di professionalità differenti all’interno dell’équipe;
- definizione degli obiettivi rispetto alla formazione dell’équipe e innesco di processi di valutazione
finalizzati alla sua crescita;
- capacità di utilizzare strumenti vari e differenziati per il perseguimento degli obiettivi educativi e
socializzanti;
- capacità di collaborare e/o di coordinare gli interventi predisposti per l’utente anche da parte di altri
servizi/enti;
- capacità di progettare modelli articolati di intervento a vasto raggio sul territorio per preve-
nire/arginare i processi di emarginazione;
- distribuzione degli interventi secondo una logica consequenziale e programmatica che tenga conto
della loro realizzazione a breve, medio e lungo termine, e conseguentemente verifichi gli obiettivi
conseguiti all’interno di altrettante fasi;
4 - Accompagnamento: nell’attuale sistema di istruzione e formazione una quota variabile di alunni (tra
cui anche quelli di origine migratoria) riporta insuccessi. Ora affinché un alunno demotivato a conti-
nuare possa riprendere il proprio percorso educativo occorrono figure di adulti (insegnanti, educatori,
tutor…) in grado non solo di incoraggiare ma soprattutto di rafforzare l’autostima e la sicurezza del
giovane; per ottenere risultati coerenti con le aspettative e le esigenze del giovane occorre arrivare
cioè ad elaborare programmi personalizzati, coinvolgendo l’alunno nelle decisioni, nel tentativo di
individuare gli ambiti a cui è più interessato; valorizzare le sue abilità/capacità di base e/o dove si di-
mostra più competente; aiutarlo ad assumersi sempre più responsabilità. Tutto questo richiede a sua
volta di promuovere percorsi il più possibile individualizzati, affiancati da misure di accompagna-
mento, quali: analisi delle aspettative, motivazioni, orientamenti/interessi professionali; identifica-
zione delle competenze, abilità, risorse; identificazione e definizione di un progetto/percorso forma-
tivo personalizzato, che ponga l’adolescente al centro di tutto il processo.
135
2.3.4. Attivazione di “laboratori interculturali” e/o buone pratiche per l’intercultura
Infine occorre uscire dal ricorso a metodologie didattiche rigide/stereotipate
per progettare/sperimentare curricoli disciplinari in prospettiva interculturale se-
condo una logica che invita a superare un concetto univoco di “intelligenza” nel
valutare la capacità di apprendimento degli alunni per adottare quello di “intelli-
genze multiple”. A tale scopo, per mettere in atto buone pratiche nel campo dell’in-
tercultura alcuni autori hanno suggerito una serie di metodologie ad hoc, riassumi-
bili nei seguenti punti (Nanni-Curci, 2005, 59ss.).
5 - Quando il problema è la lingua: l’apprendimento e lo sviluppo della seconda lingua (L2) da parte
degli adolescenti stranieri sta al centro dell’azione didattica. Tutto ciò comporta modificazioni nelle
modalità organizzative interne alla scuola/FP. Al tempo stesso è importante che essa promuova negli
alunni non italiani le capacità di narrare, di raccontare/raccontarsi e di esprimersi, favorendo così lo
sviluppo di entrambe le lingue, quella materna e quella da acquisire. Il riconoscimento, la conserva-
zione e la valorizzazione della lingua materna degli allievi immigrati, infatti, vanno considerati non
un ostacolo da rimuovere ma piuttosto come un risorsa che favorisce uno sviluppo intellettivo armo-
nico, in quanto chi impara una seconda lingua usa, in tale apprendimento, le competenze metacogni-
tive del linguaggio sviluppate nella prima (astrarre, classificare ecc.). Tutto questo richiede di:
- analizzare la domanda di L2: occorre l’apporto di più figure (insegnanti, mediatori, genitori, asso-
ciazioni…) per discutere la risposta più adatta da dare; a un problema interculturale la risposta in-
fatti non può che essere di ordine interculturale, nel senso di tener conto di tutti i punti di vista;
- prestare attenzione alle modalità comunicative, alle qualità relazionali e al “clima” della classe:
agli alunni stranieri si può chiedere di raccontare se stessi (interessi, progetti, storia personale,
amici, famiglia, il proprio Paese…); in questo caso l’uso dell’immagine, delle fotografie, di mu-
siche e suoni e la produzione di testi brevi è di tipo interattivo, in quanto consente la comunica-
zione tra insegnante e alunno e tra quest’ultimo e il gruppo-classe anche quando le competenze nel-
l’italiano sono ancora molto scarse; inoltre nel raccontare se stessi i ragazzi ricostruiscono il pro-
prio passato, le radici strappate alla propria terra, e al tempo stesso condividono con adulti e com-
pagni quelle emozioni che le immagini e i racconti evocavano.
BUONE PRATICHE PER L’INTERCULTURA
1) Metodo narrativo: senza l’ascolto dell’altro non si dà interculturalità. È necessario che anche l’altro
racconti se stesso, comunichi/manifesti chi è; la pedagogia narrativa è una via privilegiata per l’inter-
cultura perché permette ad ogni soggetto di partire da se stesso e di confrontare la propria cultura con
quella degli altri, alla ricerca di comunanze e differenze. Occorre di conseguenza arrivare a proget-
tare un laboratorio narrativo, ossia un luogo che si presti a far dialogare tra loro persone di culture
diverse e che serva a:
- valorizzare il vissuto degli alunni di origine migratoria, in quanto ricostruisce la storia personale o
della propria famiglia, mantiene il legame con le proprie origini per non diventare “stranieri” ri-
spetto al gruppo/cultura di appartenenza, ed inoltre porta a sviluppare l’identità e la coscienza di sé;
- modificare l’immagine del compagno-straniero all’interno del gruppo-classe, in quanto permette di
conoscere la sua esperienza di vita e quindi anche la capacità di saper cogliere il punto di vista del-
l’altro.
2) Metodo comparativo: mette a confronto due o più persone, oggetti, narrazioni, versioni, al fine di al-
largare/arricchire di maggiori particolari il proprio punto di vista, spesso frutto di un’educazione uni-
laterale/unidimensionale, evitando al tempo stesso di far credere che esiste una sola verità e/o una
sola rappresentazione fedele di una stessa realtà. L’obiettivo di questa metodologia è quello di edu-
care alla relatività, al pluralismo e alla complessità. La didattica comparata rende più ricca la com-
prensione degli oggetti di studio, stimola la problematizzazione e l’osservazione critica, promuove la
ricerca di nuove categorie concettuali, sollecita la curiosità e l’interesse per la scoperta, invita a non
fissarsi su schemi rigidi e/o tradizionali ma ad aprirsi al nuovo e al diverso.
136
Tutto questo comporta di arrivare a superare la dicotomia tra insegnante e al-
lievo, tra teoria e pratica, oltrepassando il concetto stesso di disciplina e facendo ri-
corso a metodologie in grado di integrare più discipline accomunate da saperi e
contenuti tra loro assai vicini.
3) Metodo costruire-decostruendo: la decostruzione nasce quando l’individuo del mondo occidentale,
inteso come modello di sviluppo dominante, guarda in senso critico al proprio sistema culturale (filo-
sofico, economico, politico, etico, religioso…); di conseguenza si tratta di riequilibrare quei rapporti
di forza asimmetrici che si istaurano tra soggetti appartenenti a culture diverse e che portano a creare
una scala valoriale tra quelle che sono considerate dominanti e quelle inferiori. A questo si arriva de-
costruendo pregiudizi, stereotipi, categorie etnocentriche interpretate attraverso immagini defor-
manti. Per realizzare questo processo di decostruzione, occorre quindi:
- partire anzitutto dal presupposto che normalmente nel confronto con la diversità ci si richiama ad
una memoria dominante che è etnocentrica;
- quindi cominciare a mettersi in discussione, rivisitando/rivedendo/smontando le proprie idee pre-
concette/prevenute e gli schemi dogmatici (ortodosso/eretico), noicentrici (noi/loro), gerarchici (su-
periore/inferiore), evoluzionisti (primitivi/civilizzati);
- mettere in conto la volontà di posizionarsi su un asse simmetrico di confronto tra pari, di dialogo
improntato alla costruzione del bene comune pur partendo da punti di vista differenziati.
4) Metodo del decentramento (quando “gli altri” siamo noi): occorre imparare a considerare il proprio
punto di vista non come l’unico legittimo o possibile ma come uno fra tanti, uscendo dalla spirale
dell’etnocentrismo; occorre cioè imparare ad accettare la parzialità della propria verità, consapevoli
dei propri limiti e del fatto che per raggiungerla abbiamo bisogno di scoprire/riconoscere i punti di
vista degli altri e che ciò richiede di rendersi disponibili all’ascolto, alla collaborazione e soprattutto
al confronto. In questo senso i sistemi formativi devono caratterizzarsi come luogo di confronto,
strutturando attività e percorsi che privilegiano l’attività di gruppo piuttosto che il lavoro individuale,
l’ascolto reciproco piuttosto che la lezione frontale, percorsi flessibili di apprendimento piuttosto che
rigidamente strutturati. Siamo stati abituati a studiare le culture degli altri dal nostro punto di vista,
ma non la nostra cultura dal punto di vista degli altri. Non dobbiamo dimenticare che anche noi
siamo “altro” dal punto di vista dell’altro; quindi decentrandoci possiamo vederci come in uno spec-
chio chi/come siamo attraverso il punto di vista dell’altro. La didattica dei punti di vista dell’altro è
una palestra che contribuisce ad avere una visione più allargata ed obiettiva della visione delle cose,
è una nuova alfabetizzazione delle forme di relazionalità di cui si devono far carico i sistemi educa-
tivi.
5) Metodo dell’azione: si tratta di educare attraverso azioni pratiche finalizzate alla cittadinanza attiva,
quali:
- organizzare una festa dei popoli (con musiche, danze, prodotti artigianali e culinari…);
- promuovere scambi di letteratura, filmati, foto, musiche, prodotti artigianali… tra scuole/classi ge-
mellate;
- fare viaggi interculturali;
- organizzare visite guidate a moschee, sinagoghe, templi di altre religioni;
- adottare, da parte di una scuola/FP/classe, monumenti, parchi, siti archeologici…
In pratica occorre valorizzare tutti quegli elementi positivi che la normativa scolastica, il POF/PEI, i
curricoli disciplinari di ogni singola scuola/FP o altra struttura formativa già prevedono, coinvol-
gendo tutti coloro che in essa operano (insegnanti, alunni, famiglie, associazioni, operatori di servizi
vari…) per mettere in pratica le potenzialità educative di ognuno.
6) Metodo della restituzione: si tratta di scoprire, riconoscere e apprezzare il debito culturale che la
propria cultura ha nei confronti di altre culture. Di fatto numerose realtà presenti nella propria cultura
di appartenenza (dall’uso di certe parole, ai prodotti alimentari, alle piante, agli animali…) sono il
prodotto di scambi, ibridazioni, incorporazioni, mescolanze tra popoli e culture diverse da cui tutte
hanno tratto vantaggi e arricchimento.
7) Metodo ludico: incidere in profondità sul vissuto relazionale attraverso una via ludica che privilegia
il coinvolgimento diretto, il mettersi in gioco mediante simulazioni, giochi di ruolo, drammatizza-
zioni, giochi di conoscenza di sé e degli altri, di cooperazione, di fantasia…
137
In ogni caso il processo di integrazione delle minoranze etniche nel gruppo-
classe non potrà verificarsi senza una adeguata/mirata formazione dei docenti.
2.4. Fase ex-post: valutazione e diffusione dei risultati
Un qualsiasi progetto d’intervento non potrà considerarsi completato se non
verranno messe in atto strategie mirate a valutarne i risultati conseguiti in rapporto
agli obiettivi prefissati e quindi anche a diffonderli/socializzarli affinché le buone
pratiche possano essere messe a profitto da altri e/o trasferite anche ad altri con-
testi. A questo riguardo quindi, il modello prevede una serie di azioni da mettere in
atto a seguito delle fasi prettamente operative.
2.4.1. Pianificazione della valutazione
Da applicare: a) al progetto nel suo complesso (ex-ante, in itinere, ex-post - a
distanza di tempo -); b) alle diverse componenti sottese alla realizzazione del pro-
cesso, relativamente agli utenti e agli operatori, al programma, alle metodologie
d’intervento utilizzate, alle attività svolte, alla adeguatezza delle “risorse” utiliz-
zate, alla funzionalità dell’organizzazione; c) ai risultati conseguiti, in riferimento
agli obiettivi di volta in volta realizzati in rapporto alle diverse fasi/tempi in cui è
strutturato il progetto (a breve/medio/lungo termine), alla coerenza tra obiettivi
programmati e quelli effettivamente conseguiti, al rapporto costi-benefici, alle rea-
zioni/impatto che ha avuto sui destinatari e nell’ambiente circostante, al sistema di
efficienza/efficacia nel rapporto risultati attesi/conseguiti; d) alle procedure di veri-
fica, in merito a chi valuta, che cosa si vuole valutare (variabili, indicatori…),
come si intende valutare (metodi, strumenti di osservazione…).
E, a questo riguardo un po’ tutti gli studiosi concordano su una serie di strategie comuni da adottare per
rinforzare/ottimizzare la formazione dei docenti a livello interculturale:
- sviluppare programmi scolastici pensati ed elaborati in funzione della diversa provenienza ed eticità
degli alunni, così da promuovere l’uguaglianza di opportunità sia a livello dell’apprendimento che
dell’autostima e della costruzione del sé;
- creare interscambi frequenti tra scuola/FP, famiglie immigrate e associazioni presenti all’interno
delle comunità etniche di appartenenza;
- interscambio con docenti di altre scuole al fine di organizzare lavori di gruppo per elaborare pro-
grammi comuni su cui confrontare i risultati conseguiti da ciascuna scuola/FP;
- creare interscambi con scuole dei Paesi di origine degli alunni immigrati;
- utilizzare laboratori linguistici per compensare le lacune linguistiche e per implementare l’educa-
zione bilingue;
- adottare testi, libri e altro materiale che si relazioni con gli alunni di ciascuna etnia (storia, tradizioni,
musica, letteratura…), così da far conoscere/promuovere/divulgare i valori etici e gli stili di vita che
fanno capo alle differenti culture;
- portare gli alunni delle diverse etnie a produrre documenti, elaborare banche dati, raccogliere mate-
riale (disegni, musica, monografie, fotografie, articoli, proiezioni…) che possa far conoscere le po-
tenzialità della propria cultura di origine ai compagni di scuola/FP, coinvolgendo anche i familiari, le
associazioni ed altri membri della comunità di appartenenza;
- realizzare esposizioni a tema (artigianato, fotografia, documenti…);
- fare ricerche nel campo delle tradizioni del Paese di origine (degli alunni o dei genitori);
- analizzare in équipe i lavori degli alunni;
- far uso di tecniche espressive e multimediali.
138
2.4.2. Valutazione degli esiti sui destinatari
Occorre riportare: quanti erano i destinatari all’inizio del programma e quanti
hanno portato a termine il programma; di questi ultimi, quanti sono risultati positivi
e su quanti il programma si è rivelato inadeguato/inefficace; quale spiegazione
viene data degli eventuali effetti negativi emersi; quali sono le motivazioni di co-
loro che si sono ritirati e/o non sono riusciti a portare a termine il programma (indi-
care anche le caratteristiche socio-demografiche…); se coloro che hanno portato a
termine il programma possono essere considerati “rappresentativi” di un particolare
gruppo/popolazione e in base a che cosa (indicare anche qui le caratteristiche
socio-demografiche…); se il programma d’intervento si è dimostrato efficace nei
confronti dei destinatari per quanto riguarda le motivazioni a partecipare attiva-
mente alla sua realizzazione, la modifica degli atteggiamenti/comportamenti (indi-
care in che modo e fino a che punto), l’acquisizione di capacità personali (indicare
quali e in che modo), il modo di rapportarsi al contesto socio-relazionale di riferi-
mento (comunità, famiglia, amici…).
2.4.3. Valutazione del programma nel suo complesso
Quindi occorre verificare: se il programma d’intervento nel suo complesso sta
bene così o va modificato/riprogettato (del tutto, in parte…); chi e quanti hanno
partecipato ai processi di valutazione; se la valutazione dei risultati è stata realiz-
zata attraverso la verifica delle ipotesi, la descrizione degli eventi, la somministra-
zione di questionari, test; quali sono complessivamente i punti di forza e di debo-
lezza del programma; se il programma ha subito modifiche e, in tal caso, quante, di
che tipo, che impatto hanno avuto sull’andamento generale dell’intervento; quali
suggerimenti si possono dare per modificare/migliorare il programma o eventual-
mente realizzare ulteriori protocolli di valutazione; come le informazioni raccolte
sugli utenti sono state utilizzate (archiviazione, banca dati…); se è possibile con-
frontare i risultati ottenuti con quelli di altri interventi analoghi; se i risultati otte-
nuti sono riconducibili/identificabili come “buone pratiche”.
2.4.4. Divulgazione dei risultati
Infine occorre indicare: se era previsto un piano per la divulgazione dei risul-
tati e se è stato realizzato; chi dovrebbe venire a conoscenza dei risultati ottenuti
dal progetto; se i risultati ottenuti sono estendibili/applicabili anche ad altri contesti
e di che tipo; a quale tipo di informazioni sono interessati i diversi destinatari della
divulgazione; quali forme di comunicazione si pensa di utilizzare per la divulga-
zione dei risultati (convegni/seminari di studio, pubblicazioni scritte, processi in-
formatici/multimediali…).
139
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INDIVIDUAZIONE E RACCOLTA DI BUONE PRASSI
MIRATE ALL’ACCOGLIENZA, FORMAZIONE E INTEGRAZIONE DI IMMIGRATI
E DI ALTRE CATEGORIE DI SOGGETTI SVANTAGGIATI.
Report sul territorio di Bologna, provincia e Regione Emilia Romagna
A cura di Enzo Pancaldi e Moretta Sartori
Novembre 2007
ALLEGATO 1
Report elaborato dal CNOS-FAP
“Beata Vergine di S. Luca” di Bologna
144
SOMMARIO
Presentazione
Capitolo 1
Quadro di riferimento del fenomeno immigrazione in Emilia Romagna e a Bologna
1.1. Osservazione del fenomeno migratorio: aspetti quantitativi e qualitativi
1.2. Quadro Normativo in Emilia Romagna
1.3. Le politiche della Regione
1.4. Scuola e formazione professionale
1.5. Flussi e politiche per il lavoro
1.6. Lavoro autonomo e imprenditorialità
1.7. Politiche sociali
1.8. Partecipazione e rappresentanza a livello regionale e locale
1.9. Fonti e link
Capitolo 2
Interventi in rete in Emilia Romagna e a Bologna
2.1. Il Focus Group del 18 ottobre 2007
2.2. Il progetto Scuola di Accoglienza
2.3. La Consulta Permanente per la Lotta all’Esclusione Sociale, del Comune di Bologna
2.4. AECA
Capitolo 3
Buone prassi: progetti formativi e di integrazione socio lavorativa attuati
3.1. AECA: PIN - Percorsi di INclusione sociolavorativa per le persone immigrate
3.2. Centro di Formazione Professionale CNOS FAP Bologna: PIN - Percorsi di INclusione
sociolavorativa per le persone immigrate
3.3. VIDES, Volontariato Internazionale Donna Educazione Sviluppo: Progetto “Corso di ita-
liano gratuito per stranieri”
3.4. CNOS FAP Bologna: Stranieri inseriti nei corsi di Formazione Professionali
3.5. Confartigianato di Bologna, Associazione Seneca: Sportelli di orientamento per immi-
grati
3.6. Confartigianato di Bologna: Gli assesment center
Appendici
Appendice 1. Statistiche a cura dell’Osservatorio sul fenomeno migratorio della Regione Emi-
lia-Romagna e del Dossier Statistico Caritas
Appendice 2. Popolazione straniera residente al 31/12/2006 nella provincia di Bologna per
cittadinanza e sesso. Fonte: elaborazione dell’Ufficio di Statistica della Provin-
cia di Bologna su dati delle Anagrafi comunali, modello P3
Appendice 3. Popolazione residente totale e straniera in provincia di Bologna per comune, al
31/12/2006
Appendice 4. Elenco e dati partecipanti al focus Istituto Salesiano Bologna
145
PRESENTAZIONE
Nella elaborazione del presente report si è cercato di rispettare la struttura proposta, in
tre parti.
Nella prima parte del report, relativa al quadro generale di riferimento del fenomeno
dell’immigrazione sul territorio in oggetto, le fonti consultate, seppur risalenti a solo (!) un
anno fa, risultano, comunque, provvisorie e lacunose, poiché, come diceva la responsabile
della Caritas bolognese, al forum del 18 ottobre 2007 tenutosi all’Istituto salesiano, il feno-
meno migratorio è in costante mutazione e, frequentemente, sfugge alle quantificazioni ana-
grafiche istituzionali.
Nella seconda parte, relativa agli interventi in rete attuati sul territorio, sono stati indi-
viduati un paio di casi, oltre a quanto emerso nel focus group suddetto; si tratta del progetto
“Scuola di accoglienza” e della “Consulta contro l’Esclusione Sociale”, del Comune di Bo-
logna. Di quest’utlima, va detto che le informazioni ritrovate sono abbastanza generiche e
richiederebbero un ulteriore approfondimento. Per quanto riguarda, invece, gli elementi
emersi al focus group, si rimanda direttamente al lavoro di schedatura elaborato dai proff.
Pieroni e Cullman, promotori e coordinatori del focus stesso e della relativa raccolta di dati.
Relativamente alla terza parte del report, riferito alle buone prassi attivate sul nostro
territorio, ne sono state individuate e sviluppate sei, promosse da Centri di Formazione Pro-
fessionale, dalla Confartigianato locale o da associazioni di volontariato, con il supporto
delle istituzioni pubbliche. Tra esse non figura l’importante e variegata attività del
CIOFS/FP poiché, su di essa, i proff. Pieroni e Cullman hanno già svolto una propria elabo-
razione.
La stesura del report ha costituito, per il sottoscritto, una gradita occasione di appro-
fondimento di questa tematica, nella convinzione che ogni contributo in questo settore
possa consentire una migliore e più dignitosa convivenza per tutti e, in particolare, per le
persone più deboli.
La stesura del report è stata possibile grazie al fondamentale e vasto lavoro svolto
dalla dott.ssa Monica Diazzi alla quale vanno i miei più sentiti ringraziamenti.
Enzo Pancaldi
146
Capitolo 1
QUADRO DI RIFERIMENTO DEL FENOMENO IMMIGRAZIONE
IN EMILIA ROMAGNA E A BOLOGNA
1.1. Osservazione del fenomeno migratorio: aspetti quantitativi e qualitativi
1.1.1. Dati dal “Rapporto annuale Caritas-Migrantes 2006”
Gli stranieri in Emilia-Romagna, nel 2005, crescono del 12,5% – 312.123 di cui
67.627 minori – rispetto all’anno precedente. Una percentuale fra le più basse degli ultimi
anni perché si stanno affievolendo gli effetti dei ricongiungimenti familiari e della regola-
rizzazione del 2002-2003.
Complessivamente, le stime parlano di una popolazione emiliano-romagnola composta
per il 7,5% da immigrati, una percentuale in linea con la media europea. L’Emilia-Romagna
continua ad essere la Regione italiana prima per numero percentuale di giovani immigrati
che frequentano il sistema educativo e scolastico.
Sono alcune cifre e statistiche contenute nel “Rapporto annuale Caritas-Migrantes
2006”, i cui dati relativi al territorio emiliano-romagnolo sono stati presentati a Bologna nel
corso di una conferenza stampa organizzata da Caritas Italiana e Regione Emilia-Romagna
(Osservatorio regionale sul fenomeno migratorio).
Tabella 1 - Stranieri residenti in Emilia-Romagna all’1.1.2006
e incidenza sulla popolazione residente per Provincia
Provincia Stranieri residenti Incidenza % stranieri
M F Totale M F Totale
Piacenza 11.320 10.268 21.588 8,4 7,2 7,8
Parma 15.892 14.906 30.798 7,9 7,0 7,4
Reggio Emilia 22.814 19.990 42.804 9,4 8,0 8,7
Modena 29.599 25.489 55.088 9,1 7,5 8,3
Bologna 30.817 30.764 61.581 6,7 6,3 6,5
Ferrara 6.350 7.094 13.444 3,8 3,9 3,8
Ravenna 12.298 10.974 23.272 6,9 5,8 6,3
Forlì-Cesena 12.296 10.616 22.912 6,7 5,5 6,1
Rimini 8.630 8.896 17.526 6,1 6,0 6,0
Totale 150.016 138.997 289.013 7,4 6,5 6,9
Fonte: Servizio controllo di gestione e sistemi statistici - RER
In 33 Comuni della Regione Emilia Romagna i residenti stranieri superano il 10%.
I Comuni emiliano-romagnoli che superano il 10% dei residenti stranieri passano così
da 22 a 33, con Galeata (FC) e Luzzara (RE) in cima con il 15,77%.
147
Tabella 2 - Incidenza stranieri residenti su popolazione residente totale all’1.1.2006
nella regione Emilia-Romagna. Primi 50 comuni. Valori percentuali
Comune % stranieri
1 Galeata (FC) 15,77
2 Luzzara (RE) 15,77
3 Rolo (RE) 14,32
4 San Possidonio (MO) 13,35
5 Boretto (RE) 12,41
6 Monghidoro (BO) 12,33
7 Grizzana Morandi (BO) 12,09
8 Castel San Giovanni (PC) 11,87
9 Vergato (BO) 11,65
10 Agazzano (PC) 11,62
11 Guiglia (MO) 11,54
12 Castel del Rio (BO) 11,48
13 Fabbrico (RE) 11,38
14 Novellara (RE) 11,31
15 Fornovo di Taro (PR) 11,22
16 Zocca (MO) 11,00
17 Sarmato (PC) 10,98
18 Loiano (BO) 10,94
19 Campagnola Emilia (RE) 10,92
20 Novi di Modena (MO) 10,90
21 Reggio nell’Emilia 10,89
22 Mezzani (PR) 10,85
23 Civitella di Romagna (FC) 10,85
24 Serramazzoni (MO) 10,70
25 Borgo Tossignano (BO) 10,65
26 Borgonovo Val Tidone (PC) 10,57
27 Colorno (PR) 10,57
28 Galliera (BO) 10,56
29 Crevalcore (BO) 10,24
30 Calestano (PR) 10,19
31 San Prospero (MO) 10,17
32 Bazzano (BO) 10,08
33 Torriana (RN) 10,04
34 Spilamberto (MO) 9,92
35 Premilcuore (FC) 9,92
36 Cadelbosco di Sopra (RE) 9,76
37 Modena 9,75
38 Palagano (MO) 9,72
39 Villanova sull’Arda (PC) 9,57
40 Conselice (RA) 9,48
41 Sassuolo (MO) 9,36
42 Piacenza 9,36
43 Rio Saliceto (RE) 9,34
44 Mirandola (MO) 9,33
45 Castello di Serravalle (BO) 9,33
46 Dovadola (FC) 9,33
47 Langhirano (PR) 9,32
48 Castelnovo di Sotto (RE) 9,30
49 Guastalla (RE) 9,23
50 Savignano sul Rubicone (FC) 9,22
Regione Emilia-Romagna 6,90
Fonte: Elaborazione Osservatorio sul fenomeno migratorio -
RER su dati Servizio controllo di gestione e sistemi statistici - RER
148
I dati suddetti, risultano ulteriormente evoluti nel rapporto elaborato dalla Provincia di
Bologna, al 31/12/2006. Nella Provincia di Bologna, la popolazione residente straniera corri-
sponde, in quella data, al 6,9% rispetto al 6,5% dell’anno precedente (riportato nella tabella 1).
Tabella 3 - Popolazione residente totale e straniera in provincia di Bologna per comune,
al 31/12/2006
Comuni Popolazione Popolazione Variazione % Minori Nati Acquisizioni
totale straniera % stranieri stranieri stranieri cittadinanza
residente residente di stranieri 2005-2006 al 31/12/2006 nel 2006 italiana
31/12/2006 31/12/2006 nel 2006
Anzola dell’Emilia 11.490 884 7,7% 12,3 268 30 24
Argelato 9.350 471 5,0% 5,8 110 9 15
Baricella 6.124 425 6,9% 4,9 107 8 9
Bazzano 6.445 699 10,8% 7,7 185 15 20
Bentivoglio 4.805 239 5,0% 8,1 65 6 2
Bologna 373.026 30.319 8,1% 7,9 5.765 501 444
Borgo Tossignano 3.227 334 10,4% -3,7 105 11 8
Budrio 16.393 941 5,7% 1,6 246 15 19
Calderara di Reno 12.770 738 5,8% 3,9 167 14 14
Camugnano 2.097 110 5,2% 3,8 25 2 5
Casalecchio di Reno 34.524 2.033 5,9% 3,9 400 39 36
Casalfiumanese 3.241 155 4,8% 7,6 41 2 0
Castel d’Aiano 1.977 125 6,3% -6,0 37 7 0
Castel del Rio 1.254 139 11,1% -4,8 44 4 1
Castel di Casio 3.318 175 5,3% -3,8 54 2 0
Castel Guelfo di Bologna 3.894 222 5,7% 1,8 50 2 10
Castello d’Argile 6.086 385 6,3% 8,5 103 15 7
Castello di Serravalle 4.518 414 9,2% -0,2 96 10 11
Castel Maggiore 16.706 722 4,3% -0,7 181 12 14
Castel San Pietro Terme 20.020 1.015 5,1% 10,6 229 26 12
Castenaso 13.769 455 3,3% 11,5 100 15 5
Castiglione dei Pepoli 5.896 384 6,5% 0,0 107 11 2
Crespellano 8.821 655 7,4% 6,3 175 14 17
Crevalcore 12.821 1.419 11,1% 9,4 463 49 16
Dozza 6.012 380 6,3% -1,0 82 7 17
Fontanelice 1.868 129 6,9% -11,0 32 6 4
Gaggio Montano 4.988 387 7,8% 8,4 115 4 4
Galliera 5.577 614 11,0% 4,2 168 13 15
Granaglione 2.251 179 8,0% 13,3 49 6 0
Granarolo dell’Emilia 9.567 389 4,1% 13,7 84 6 6
Grizzana Morandi 4.043 487 12,0% 1,2 134 14 8
Imola 66.658 3.407 5,1% 11,3 819 83 50
Lizzano in Belvedere 2.305 88 3,8% -5,4 10 0 0
Loiano 4.452 489 11,0% 0,2 150 16 3
Malalbergo 8.149 436 5,4% 4,3 109 9 10
Marzabotto 6.550 626 9,6% 12,8 181 15 8
Medicina 15.326 824 5,4% 5,9 211 24 23
Minerbio 8.530 409 4,8% 16,5 83 9 4
Molinella 15.060 995 6,6% 10,2 281 26 19
Monghidoro 3.890 459 11,8% -4,6 142 16 14
Monterenzio 5.598 369 6,6% 13,2 67 10 5
149
Monte San Pietro 10.882 523 4,8% 5,7 120 6 6
Monteveglio 5.066 374 7,4% 13,0 103 6 4
Monzuno 6.155 473 7,7% 2,4 127 15 6
Mordano 4.403 266 6,0% 5,1 50 6 4
Ozzano dell’Emilia 11.813 480 4,1% -3,2 103 8 17
Pianoro 16.676 785 4,7% 9,0 170 19 10
Pieve di Cento 6.877 490 7,1% 2,3 141 8 5
Porretta Terme 4.729 340 7,2% -6,1 111 6 2
Sala Bolognese 7.641 335 4,4% 13,2 87 7 11
San Benedetto Val di Sambro 4.505 299 6,6% 10,7 76 7 1
San Giorgio di Piano 7.354 454 6,2% 6,6 110 8 6
San Giovanni in Persiceto 25.685 1.371 5,3% 12,7 332 36 27
San Lazzaro di Savena 30.228 1.342 4,4% 5,0 268 14 23
San Pietro in Casale 11.104 860 7,7% 8,6 233 22 24
Sant’Agata Bolognese 6.728 623 9,3% 10,9 151 6 11
Sasso Marconi 14.420 676 4,7% 0,0 176 14 16
Savigno 2.716 199 7,3% -11,9 36 5 1
Vergato 7.412 864 11,7% -0,2 238 30 16
Zola Predosa 16.892 911 5,4% 9,5 216 17 14
Provincia di Bologna 954.682 65.790 6,9% 6,9 14.688 1.323 1.085
Fonte: elaborazione dell’Ufficio di Statistica della Provincia di Bologna su dati delle Anagrafi comunali, modelli P2 e P3
I principali Paesi di provenienza che si rilevano dai dati sulla residenza anagrafica
sono il Marocco (17,3%), l’Albania (13,8%) e la Romania (6,5%). Appare in decisiva cre-
scita il dato della Romania e dell’Est europeo in generale.
Tabella 4 - Residenti in Emilia-Romagna all’1.1.2006. Prime venti nazionalità
Paesi di cittadinanza %
1 Marocco 17,3
2 Albania 13,8
3 Romania 6,5
4 Tunisia 6,2
5 Cinese, Rep. Popolare 5,2
6 Ucraina 4,3
7 Pakistan 3,3
8 India 3,0
9 Moldova 2,9
10 Filippine 2,8
11 Ghana 2,5
12 Senegal 2,4
13 Macedonia (ex Rep. Jugos.) 2,1
14 Polonia 2,0
15 Nigeria 1,9
16 Serbia e Montenegro 1,4
17 Bangladesh 1,2
18 Sri Lanka (ex Ceylon) 1,2
19 Turchia 1,1
20 Egitto 0,9
Altri Paesi 18,0
Totale 100,0
Fonte: elaborazione Osservatorio sul fenomeno migratorio - RER
su dati Servizio controllo di gestione e sistemi statistici - RER
150
Per quanto riguarda la frequenza scolastica dei giovani immigrati, l’Emilia Romagna
risulta essere la Regione italiana con la più alta percentuale di giovani immigrati che fre-
quentano le scuole: rispetto al 2004 la percentuale è salita al 9,54%.
Nell’anno scolastico 2005/2006, gli alunni con cittadinanza non italiana sono stati
50.999 (su 534.337 iscritti totali). La percentuale è salita al 9,54% mentre nell’anno scola-
stico 2004/2005 era del 8,4. In particolare, si evidenzia un significativo incremento nella
scuola primaria dove la percentuale degli alunni stranieri è dell’11,38%.
Tabella 5 - Scuola statale e non: alunni con cittadinanza non italiana
iscritti per anno scolastico e sesso.
Regione Emilia-Romagna
Scuola Scuola Scuola Scuola % Totale
statale statale non statale non statale scuole
%MF %F %MF %F MF
a.s.1997/1998 (**) 2,03 0,91 1,64 0,79 1,97
a.s.1998/1999(***) 2,58 1,11 2,01 0,91 2,49
a.s.1999/2000 3,40 1,53 1,85 0,81 3,16
a.s.2000/2001 4,06 1,87 2,44 1,12 3,82
a.s.2001/2002 5,16 2,35 2,75 1,27 4,80
a.s.2002/2003 6,29 2,84 3,84 1,83 5,93
a.s.2003/2004 7,46 3,41 4,39 1,99 7,01
a.s.2004/2005 8,96 4,15 5,19 2,44 8,40
a.s.2005/2006 10,23 4,77 5,67 2,58 9,54
Fonte: Elaborazione - Osservatorio sul fenomeno migratorio - RER su dati Sistema Informativo e D.G. Studi e Programmazione
del Ministero della Pubblica Istruzione
(*) I dati riportati in questa sezione fanno riferimento ad alunni con cittadinanza non italiana e provengono
dalle rilevazioni integrative delle scuole statali e non statali acquisite dal Sistema informativo del Ministero
della Pubblica Istruzione. I dati riferiti all’a.s. 2004/2005 provengono dalla base informativa originaria
senza alcun tipo di trattamento del dato. La voce “scuola non statale” comprende le scuole di enti locali ter-
ritoriali, di altri enti pubblici, di enti religiosi e di soggetti privati laici.
(**) I dati riferiti alla scuola secondaria di II grado sono fonte ISTAT a.s. 1997/98.
(***) I dati riferiti alla scuola secondaria di II grado sono fonte ISTAT a.s. 1998/99.
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152
Tabella 7 - Distribuzione dei lavoratori subordinati (*)
per area di provenienza nella regione Emilia-Romagna. Anno 2005
Area di provenienza N. %
Italia 1.234.280 85,56
UE 27.127 1,88
Extra UE 181.254 12,56
Totale 1.442.661 100,00
Fonte: Elaborazione Osservatorio sul fenomeno migratorio - RER su dati INAIL
(*) I lavoratori riportati in tabella si riferiscono alle persone, contate una sola volta, che nel corso del 2005
hanno lavorato almeno un giorno.
Tabella 8 - Distribuzione dei lavoratori subordinati extracomunitari (*)
per provincia nella regione Emilia-Romagna. Anno 2005
Provincia Extra UE %
Bologna 39.678 21,89
Ferrara 6.667 3,68
Forlì 17.107 9,44
Rimini 15.435 8,52
Modena 32.966 18,19
Parma 16.024 8,84
Piacenza 11.865 6,55
Ravenna 17.540 9,68
Reggio Emilia 23.972 13,23
Regione Emilia-Romagna 181.254 100,00
Fonte: Elaborazione Osservatorio sul fenomeno migratorio - RER su dati INAIL
(*) I lavoratori riportati in tabella si riferiscono alle persone, contate una sola volta, che nel corso del 2005
hanno lavorato almeno un giorno.
I lavoratori extracomunitari si concentrano prevalentemente nei settori dell’industria
(31,6%), delle costruzioni (15,5%), alberghiero (12%), servizi alle imprese (8,9%) e agricoltura
(6,7%).
153
Tabella 9 - Distribuzione dei lavoratori subordinati extracomunitari (*)
per settore economico nella Regione Emilia-Romagna. Anno 2005
Settore d’impiego (**) Extra UE %
Agricoltura 12.115 6,68
Pesca 47 0,03
Estrazione di Minerali 136 0,08
Industria 57.215 31,57
Elettricità, gas, acqua 182 0,10
Costruzioni 28.046 15,47
Commercio 12.847 7,09
Alberghi e ristoranti 21.741 11,99
Trasporti 10.027 5,53
Intermediazione finanziaria 491 0,27
Informatica e servizi alle imprese 16.045 8,85
Pubblica amministrazione 1.388 0,77
Istruzione 469 0,26
Sanità e assistenza sociale 5.291 2,92
Servizi Pubblici 6.385 3,52
Attività svolte da famiglie 5.587 3,08
Attività non determinate 3.242 1,79
Totale 181.254 100,00
Fonte: Elaborazione Osservatorio sul fenomeno migratorio - RER su dati INAIL
(*) I lavoratori riportati in tabella si riferiscono alle persone, contate una sola volta, che nel corso del 2005
hanno lavorato almeno un giorno.
(**) La voce Industria comprende le seguenti voci: Industria alimentare, tessile, conciaria, del legno, della carta,
del petrolio, chimica, della gomma, di trasformazione, dei metalli, meccanica, elettrica, dei mezzi di tra-
sporto, altre industrie. La voce Commercio comprende le seguenti voci: Commercio e riparazioni di auto,
Commercio all’ingrosso, Commercio al dettaglio.
In Appendice al presente report, seguono le tabelle complete con i dati e le statistiche
sul fenomeno immigratorio della Regione Emilia Romagna e dell’Osservatorio della Pro-
vincia di Bologna e i dati statistici Rapporto Caritas-Migrantes.
L’immigrazione tende verso caratteristiche di stabilità comprovate da un costante pro-
cesso di ricongiunzione familiare e conseguentemente da una crescita della componente
femminile che ha superato i centomila permessi di soggiorno . Si tratta in particolare di una
presenza di giovani donne, nella fascia dell’età fertile, che da un lato ci aiutano a compren-
dere il progressivo incremento delle nascite di bambini stranieri registrato negli ultimi anni
nella Regione (19% nel 2004), e dall’altro pongono tendenzialmente una serie di problema-
tiche connesse alla salute sessuale e riproduttiva.
Mentre negli anni Novanta la maggior parte degli stranieri erano persone sole, oggi la
maggioranza vive all’interno di un nucleo familiare. Cresce anche il numero di matrimoni
misti e di immigrati “di seconda generazione” le cui aspettative di promozione sociale sono
destinate a svilupparsi nei prossimi anni. Anche i dati relativi alla presenza di bambini stra-
nieri nelle scuole risultano essere un chiaro indicatore di stabilizzazione insediativa.
Dopo la regolarizzazione, l’analisi delle nazionalità presenti registra una rilevante mo-
difica della situazione: anche in Emilia-Romagna, il gruppo continentale più numeroso di-
venta quello europeo, che supera quindi il contingente africano.
154
Questo mutamento è dovuto soprattutto all’arrivo delle donne dell’est Europa come as-
sistenti familiari. Nella classifica delle nazionalità (vedi tabella 4) la Romania si insedia al
terzo posto, l’Ucraina al quinto, la Polonia (Paese neo-comunitario) al settimo, la Moldavia
al decimo.
Il processo di regolarizzazione ha accentuato un dato già risaputo: cioè che è il mer-
cato del lavoro il motore fondamentale dell’immigrazione in Emilia-Romagna.
In questa fase sembrano consolidarsi due poli principali dell’immigrazione regionale:
il primo composto da donne prevalentemente dell’Europa dell’est, attive nei servizi alla
persona ed il secondo di uomini prevalentemente africani, attivi nelle industrie soprattutto
metalmeccaniche.
Particolarmente interessante risulta la correlazione tra immigrazione e mercato del la-
voro su scala provinciale, resa evidente dal confronto tra percentuale di immigrati e tasso di
disoccupazione provinciale: la consistenza numerica degli immigrati risulta inversamente
proporzionale al tasso di disoccupazione.
1.2. Quadro normativo in Emilia Romagna
L’Emilia-Romagna è la prima Regione che ha legiferato in materia di politiche per
l’integrazione dei cittadini stranieri immigrati dopo la Riforma del Titolo V della Costitu-
zione e dopo la modifica della normativa nazionale (approvazione del D.lgs. 286/98) e delle
sue successive modifiche previste dalla L. 189/2002.
L’approvazione di una nuova normativa regionale (LR 5/2004) si è resa necessaria per
almeno tre ragioni:
a) l’evidente obsolescenza della precedente legge regionale in vigore, LR 21.02.1990, n.
14, che sostanzialmente nasceva nel solco dell’impostazione emergenziale causata dai
primi consistenti flussi migratori nel nostro Paese;
b) un forte processo di cambiamenti quali-quantitativi nel corso degli anni ‘90 riferibili
alla progressiva crescita numerica delle presenze di persone straniere a cui si associano
crescenti indicatori di stabilizzazione;
c) un forte processo di innovazione e modificazione legislativa avviato a livello nazionale
a partire dalla emanazione del D.lgs. n. 286 del 25.07.1998 e successive modificazioni.
Le ragioni e gli obiettivi che la Regione Emilia-Romagna si è data con la approvazione
di una nuova Legge regionale per l’integrazione sociale dei cittadini stranieri (LR n. 5 del
24.03.2004, “Norme per l’integrazione sociale dei cittadini stranieri immigrati. Modifiche
alle leggi regionali 21 febbraio 1990, n. 14 e 12 marzo 2003, n. 2”) e con la definizione degli
indirizzi in materia di immigrazione previsti dal “Patto per la qualità dello sviluppo, la com-
petitività, la sostenibilità ambientale e la coesione sociale”, (sottoscritto il 18.02.2004 dalla
Giunta regionale, dalle Parti sociali e le Associazioni sindacali), vanno dunque ricondotti ad
una domanda di fondo: crescendo costantemente la presenza di cittadini stranieri che risie-
dono e lavorano nella nostra Regione, come l’Ente regionale può intervenire per assicurare
una maggiore coesione sociale tra nuovi e vecchi residenti, nel rispetto delle regole, del prin-
cipio di pari opportunità e accesso ai servizi, e per facilitare la rimozione degli ostacoli che
impediscono il pieno inserimento sociale, culturale e politico per i cittadini stranieri?
Una coesione sociale che deve puntare sulla qualità delle politiche in ogni settore.
Con la approvazione della LR 24.03.2004, n. 5 la Regione Emilia-Romagna ha inteso
innovare il proprio impianto normativo al fine di assicurare una maggiore coesione sociale
tra nuovi e vecchi residenti, nel rispetto dei diritti e dei doveri, del principio di pari oppor-
tunità e accesso ai servizi, e di contrasto al razzismo e alla xenofobia.
155
Tra le principali novità della nuova normativa regionale, l’art. 3 comma 2 introduce un
nuovo strumento di programmazione denominato Programma triennale per l’integrazione
sociale dei cittadini stranieri; avente il compito di definire le linee di indirizzo per la realiz-
zazione delle iniziative previste dalla LR 5/2004.
Il programma triennale deve intendersi quale strumento di programmazione “trasver-
sale” che mira a promuovere un’integrazione delle politiche di settore per rispondere in
modo unitario ai bisogni e alle esigenze dei cittadini stranieri immigrati; tenendo conto del-
l’attività di osservazione del fenomeno migratorio, nonché delle indicazioni contenute nel
Piano Sociale e Sanitario 2005-2007 in fase di definizione.
Il Programma triennale 2006-2008 per l’integrazione sociale dei cittadini stranieri
(art. 3 comma 2 della LR 5/2004), quale documento di indirizzo politico-programmatico
per l’integrazione delle politiche regionali finalizzate all’inclusione sociale dei cittadini
stranieri immigrati ha come obiettivo di fondo quello di porre al centro delle programma-
zioni di settore il tema della crescente presenza di migranti nel territorio regionale, nella lo-
gica di un approccio complesso ed unitario, che non intende semplicemente “aggiungere”
uno specifico per “gli immigrati” in ciascun ambito settoriale, bensì richiama l’insieme
delle politiche ad un riflessione costante sui bisogni emergenti e sulle risposte individuate.
Programma triennale, programmazione regionale e locale
Il Programma triennale 2006-2008 per l’integrazione sociale dei cittadini stranieri
(art. 3 comma 2 della LR 5/2004) è uno strumento di programmazione e progettazione ad
approccio integrato, teso a valorizzare i collegamenti tra politiche settoriali rivolte alle me-
desime categorie di destinatari, tenendo conto degli effetti reciproci di tali politiche.
In questo senso, il Programma triennale si inquadra nell’ambito degli strumenti di
programmazione previsti al secondo comma dell’art. 9 della LR 24.03.2004, n. 6, “Riforma
del sistema amministrativo regionale e locale. Unione europea e relazioni internazionali. In-
novazione e semplificazione. Rapporti con l’Università”.
Il Programma triennale fornisce un quadro generale di obiettivi strategici di valore
pluriennale che dovranno essere recepiti nei singoli atti di settore regionale e dagli Enti lo-
cali nell’ambito delle loro competenze. La traduzione delle indicazioni del Piano dovrà
dunque interessare anche la programmazione locale e in generale i provvedimenti e gli atti
amministrativi di settore posti in essere dagli Enti Locali (Comuni e Province) o da altri
Enti pubblici (Aziende USL, Aziende pubbliche di servizi alla persona) nonché coinvolgere
le azioni e gli obiettivi perseguiti dai soggetti privati, con particolare riguardo al mondo
non-profit, all’associazionismo promosso dai cittadini stranieri, e alle rappresentanze delle
categorie produttive e dei lavoratori. Dal punto di vista regionale, appare necessario intro-
durre una funzione di costante monitoraggio tecnico al fine di verificare che le indicazioni
contenute nel Programma triennale trovino concreta e specifica attuazione negli atti di pro-
grammazione regionale settoriale e negli interventi di settore conseguenti.
1.3. Le politiche della Regione
Già dalla primavera del 2000 la Regione Emilia-Romagna ha impostato la propria pro-
grammazione di interventi sull’integrazione sociale dei cittadini stranieri, il cui quadro è
stato sorretto dalla LR n. 5/2004 e da un Programma triennale (2006/2008) approvato nel
febbraio scorso.
Le criticità possono essere così riassunte: un crescente disagio abitativo e dunque la ne-
cessità di nuovi strumenti che facilitino nuove soluzioni abitative, come le agenzie per l’incon-
tro domanda/offerta; la necessità di potenziare politiche di accoglienza e di inserimento scola-
156
stico rivolte ai minori, con il coinvolgimento delle famiglie straniere e una forte attenzione al
tema delle “seconde generazioni”; la necessità di potenziare e consolidare attività informative
e formative e inserimento lavorativo, di tutela legale, di alfabetizzazione alla lingua italiana,
di formazione degli operatori e di mediazione interculturale, in grado di raggiungere un target
più ampio di beneficiari; la necessità di promuovere maggiori occasioni di partecipazione alla
vita pubblica locale sviluppando le tematiche dei diritti civili dei cittadini.
Infine, molte zone sociali hanno segnalato una crescente presenza di cittadini stranieri
in situazione di irregolarità, che rappresenta una oggettiva difficoltà di intervento per i Co-
muni.
1.4. Scuola e formazione professionale
I principi di uguaglianza di accesso al sapere, di integrazione ed inclusione sociale
promossi dalla LR n. 12/2003 pongono i cittadini stranieri in una condizione di parità, ri-
spetto ai cittadini italiani, nella partecipazione alle attività di istruzione e formazione.
Le attività sono garantite ai cittadini stranieri adulti residenti in Italia o aventi regolare
permesso di soggiorno, nonché ai rifugiati politici e richiedenti asilo. Nel caso dei minori
stranieri, il diritto all’istruzione e alla formazione viene ovviamente garantito indipendente-
mente dalla regolarità della posizione in ordine al loro soggiorno.
La presenza dei ragazzi stranieri nella scuola è in costante aumento – nell’a.s.
2004/2005 ha rappresentato infatti l’8,4% della popolazione scolastica, con la tendenza ad
un aumento progressivo costante – e la strategia per garantire loro eque opportunità di inte-
grazione scolastica e successo formativo alla pari dei cittadini italiani è una delle priorità
individuate dalla Regione nella linee di indirizzo per i finanziamenti del diritto allo studio
per il triennio 2004/2007.
Gli interventi realizzati nell’ambito del diritto allo studio (LR n. 26/2001) durante il
triennio 2001/2004 hanno contribuito sostanzialmente a mantenere alto il tasso di scolarità
degli studenti stranieri in Emilia-Romagna; il tasso di dispersione scolastica per l’a. s.
2002/2003, si attesta intorno al 10%, contro la media nazionale del 30%.
Una “indagine sugli esiti degli alunni con cittadinanza non italiana” effettuato dal
MIUR sull’a. s. 2003/2004 vede ben collocata l’Emilia-Romagna per numero di alunni stra-
nieri promossi rispetto agli studenti italiani, con un saldo positivo di promossi superiore alla
media nazionale in ogni grado di scuola, soprattutto nella secondaria di primo grado. Tutte
le città capoluogo della Regione, entrano nelle classifiche delle prime dieci città con i mi-
gliori tassi di promozione degli studenti stranieri scrutinati nei diversi gradi e ordini di
scuola in rapporto agli scrutinati italiani.
L’attribuzione dei benefici individuali per il diritto allo studio, ha registrato, nel
triennio finanziario 2001/2004, un progressivo e significativo ampliamento del numero dei
destinatari delle borse di studio in generale, e in particolare dei destinatari stranieri.
Nell’ambito della formazione professionale, le programmazioni delle attività rivolte ai
cittadini stranieri avvengono: a livello regionale, tramite azioni di sistema (anche com-
plesse) volte al potenziamento qualitativo e quantitativo della rete dei servizi, nonché degli
interventi finalizzati all’orientamento, ai bilanci di competenze, alla formazione e all’inseri-
mento lavorativo, con particolare attenzione alle donne immigrate impiegate nell’ambito
del lavoro di cura; a livello provinciale, ove vengono invece prevalentemente privilegiate le
attività formative.
La Regione, inoltre, ha fornito e sta fornendo linee di indirizzo ed indicazioni, per
orientare le programmazioni sia proprie che provinciali, su tematiche specifiche quali la
qualificazione dell’assistenza familiare privata a domicilio e la mediazione interculturale.
157
Gli utenti stranieri della formazione professionale – complessivamente 6.697 nell’anno
2003 e 5.793 nell’anno 2004 – prediligono aree professionali quali la meccanica metallurgica,
i servizi socio-educativi, la distribuzione commerciale, l’industria alberghiera e l’edilizia.
Il tema dell’immigrazione viene altresì ampiamente trattato nell’ambito dell’Iniziativa
Comunitaria EQUAL, più generalmente finalizzata, nel quadro della strategia europea per
l’occupazione e delle linee guida definite dal Piano Nazionale per l’Inclusione, alla promo-
zione di nuovi strumenti per combattere tutte le forme di discriminazione e disuguaglianza
presenti nel mercato del lavoro, anche attraverso la cooperazione transnazionale.
L’iniziativa si sviluppa in due fasi, nel periodo dal 2000 al 2006, e prevede, in tema di
immigrazione, azioni dirette verso i cittadini stranieri (che privilegiano l’inserimento lavo-
rativo in settori quali i servizi socio-educativi, il lavoro di cura a domicilio, l’edilizia, ecc.)
ed azioni di sistema che coinvolgono la rete territoriale dei servizi e delle imprese, al fine di
favorire l’inserimento sociale e lavorativo dei cittadini stranieri, giovani ed adulti. La prima
fase ha già visto la conclusione della maggior parte dei progetti.
Nell’ambito delle attività nell’istruzione, anche in integrazione con la formazione pro-
fessionale, permangono alcuni aspetti critici: il rischio della segregazione scolastica e della
concentrazione di presenze di stranieri nelle scuole di alcuni territori; la formazione del per-
sonale; l’individuazione di strumenti didattici; il rapporto con le famiglie; la polarizzazione
degli alunni stranieri verso certe scuole; la difficoltà da parte delle famiglie dei bambini ita-
liani ad esprimere concretamente una cultura dell’incontro con le persone appartenenti a co-
munità straniere; un’adeguata funzione di orientamento nella scuola; un’adeguata funzione
di mediazione culturale che non si limiti alla traduzione linguistica; il riconoscimento dei ti-
toli acquisiti.
Nell’ambito della formazione professionale in senso stretto e rivolta ai giovani ed
adulti stranieri, permane a tutt’oggi il problema legato al riconoscimento dei titoli, soprat-
tutto di quelli provenienti dai Paesi extra UE, nei confronti dei quali in alcuni casi si ri-
chiede, non essendovi una precisa normativa nazionale in materia, la traduzione giurata e/o
la dichiarazione di valore. Ovviamente, ciò comporta notevole disagio per il cittadino stra-
niero, sia in termini temporali che economici.
Un ulteriore aspetto riguarda la progettazione delle attività formative. In relazione alle
specificità dei soggetti – che possiedono livelli diversificati di scolarizzazione e istruzione,
di conoscenza e padronanza della lingua e cultura italiana, nonché modelli sociali e cultu-
rali e progetti migratori differenti – è necessario prevedere spesso percorsi formativi mag-
giormente flessibili e personalizzati, preceduti e/o accompagnati da moduli di orientamento,
di apprendimento a vari livelli della lingua e della cultura italiana.
In considerazione delle specifiche esigenze dei cittadini stranieri, minori, giovani e
adulti, che possiedono livelli diversificati di scolarizzazione e istruzione, di conoscenza e
padronanza della lingua e cultura italiana, nonché modelli sociali e culturali e progetti mi-
gratoti differenti, la Regione intende attivarsi per promuovere e rafforzare l’adeguamento
dell’offerta di istruzione e formazione nelle modalità organizzative, nelle metodologie e nei
contenuti, personalizzando i percorsi e valorizzando le attitudini individuali.
Sono previste pertanto azioni a vari livelli.
1) Il biennio integrato (scuola-formazione professionale) al termine della scuola
media
I percorsi di istruzione secondaria superiore integrati con la formazione professionale
rappresentano una delle priorità di attuazione della LR 12/2003. Nel contesto dell’integra-
zione fra istruzione e formazione professionale, si colloca infatti la proposta innovativa –
158
che si basa tuttavia su alcune esperienze già diffuse nel territorio regionale – di un biennio
integrato che può essere scelto dai ragazzi al termine della scuola media, al momento in cui
si conclude la fase dell’obbligo scolastico.
Il percorso integrato (la cui utenza, va ricordato, vede una maggiore presenza di alunni
stranieri e di studenti in situazione di handicap, quindi con una possibile incidenza più alta
di fattori di rischio e disagio), all’interno delle scuole superiori, ha una forte valenza orien-
tativa ed è finalizzato a consolidare nei ragazzi le conoscenze di base e a rafforzare conse-
guentemente la capacità di scelta per proseguire in percorsi successivi fortemente differen-
ziati e che si attuano nell’ambito dell’istruzione o nella formazione professionale o nell’e-
sercizio dell’apprendistato.
2) Diritto allo studio (LR 26/01)
Il finanziamento di progetti per la qualificazione scolastica è prioritariamente destinato
a favorire l’integrazione delle fasce di utenza particolarmente deboli, quali i ragazzi in si-
tuazione di handicap e i ragazzi stranieri – che presentano difficoltà di inserimento dovute
alla recente immigrazione – a favore dei quali si è ritenuto opportuno intervenire con pro-
gettualità specifiche e con servizi dedicati.
3) La promozione della cultura della cittadinanza europea
Diffondere un approccio didattico che apre al sociale, alla comunità, per una progetta-
zione e un lavoro comune e per una pratica quotidiana di integrazione vissuta, è l’obiettivo
che Ufficio Scolastico Regionale e Regione condividono nel compartecipare a progettazioni
integrate, in cui sono coinvolti gli Enti locali, l’Università, il privato sociale, l’Istituto Re-
gionale di Ricerca Educativa.
4) I centri risorse per le scuole
I centri sono strutture con finalità informative, formative, di ricerca, di documenta-
zione e di consulenza sulle esperienze di integrazione di ragazzi in situazioni di diversa dif-
ficoltà nella scuola, nell’extrascuola, nella formazione professionale, nel lavoro e nella so-
cietà. Sono centri ben radicati nel proprio territorio, spesso di ambito provinciale, che cer-
cano di organizzare la molteplicità delle informazioni e degli interventi educativi, sociali,
sanitari e riabilitativi in un quadro unitario, sistematico e non frammentario.
In attuazione di quanto previsto all’art. 22 della LR 12/2003 in merito ai Centri di Ser-
vizi e Consulenza alle istituzioni scolastiche (CSC), la Regione sta mettendo a punto le
linee guida relative agli aspetti caratterizzanti di tali centri, al fine di valorizzarne l’operato
in un quadro di riferimento più organico, di dar loro visibilità e di potenziarne la presenza
nei territori.
5) Educazione degli adulti
L’offerta formativa in tale ambito è costituita da percorsi di apprendimento finalizzati
sia al recupero e al completamento degli studi, sia all’aggiornamento professionale dei la-
voratori, in tal caso operando attraverso l’integrazione fra l’istruzione e la formazione pro-
fessionale.
6) L’orientamento scolastico, formativo e professionale
L’orientamento è una funzione strategica che attraversa in modo trasversale le azioni
regionali di contrasto alla dispersione scolastica, di rafforzamento dell’autonomia delle isti-
tuzioni scolastiche, di sostegno alla maturazione di una scelta formativa e professionale con-
159
sapevole. La qualificazione della funzione di orientamento è una delle priorità regionali, in
particolare per le situazioni, come quelle degli studenti stranieri, che più facilmente possono
scivolare verso la scelta della qualifica professionale, anche laddove si riveli impropria.
7) Azioni formative e di sistema
Vanno previste prioritariamente azioni formative e di sistema al fine di favorire: l’inte-
grazione tra le politiche educative, scolastiche e formative e le politiche sociali e sanitarie,
prevenendo il disagio giovanile, favorendo i percorsi di accompagnamento ai ragazzi in dif-
ficoltà e favorendo l’inserimento sociale dei cittadini giovani e adulti immigrati (oltre che
delle persone in condizione di disagio); l’implementazione e il consolidamento di un si-
stema integrato di servizi e di azioni a supporto dell’inserimento lavorativo di persone im-
migrate; il potenziamento qualitativo e quantitativo della rete dei servizi e interventi pub-
blici e privati per l’orientamento, i bilanci di competenze, la formazione e l’inserimento la-
vorativo delle donne immigrate nel mercato del lavoro, con particolare attenzione all’am-
bito del lavoro di cura e al tema della conciliazione; percorsi di “riallineamento” per l’ac-
cesso alla formazione, consistenti in azioni di alfabetizzazione e di conoscenza della cultura
italiana, non solo per i minori, ma anche per gli adulti e le fasce non automaticamente coin-
volte nei percorsi scolastici (ad esempio gli adolescenti che giungono a seguito di ricon-
giungimento familiare); attività formative per la figura del mediatore interculturale; la pro-
mozione presso i servizi coinvolti della cultura dell’accoglienza e dei diritti umani.
1.5. Flussi e politiche per il lavoro
Che il mercato del lavoro sia il motore del fenomeno migratorio è indubbiamente con-
fermato da un’analisi del rapporto tra distribuzione territoriale degli immigrati e situazione
dei mercati del lavoro provinciali.
Abbiamo già visto come l’incidenza degli immigrati residenti in percentuale rispetto
alla popolazione veda al primo posto la Provincia di Reggio Emilia e all’ultimo quella di
Ferrara.
Se rapportiamo la presenza degli immigrati (esclusi i minori) ai tassi di disoccupazione
provinciali vediamo come esista tra i due valori un rapporto quasi perfetto di inversa pro-
porzione.
Anche se ormai i dati ufficiali dell’ISTAT sulla disoccupazione esprimono valori tal-
mente bassi che le differenze provinciali tendono a sfumare.
Province RER RE MO PC PR BO RA FC RN FE
Percentuale
immigrati residenti 6,9 8,7 8,3 7,8 7,4 6,5 6,3 6,1 6,0 3,8
Tasso
di disoccupazione 3,8 3,2 3,7 4,4 4,1 2,7 4,2 4,3 4,7 5,8
Minore è il tasso di disoccupazione (Reggio Emilia e Bologna), maggiore è la pre-
senza di immigrati.
Dalle Province economicamente più forti della Regione l’immigrazione si sta gradual-
mente estendendo a quelle più deboli. Questo dato è importante perché pare confermare la
tesi secondo la quale non esiste (almeno in prevalenza) una diretta concorrenzialità tra il la-
voro degli italiani e quello degli immigrati, ma questi tendono piuttosto a ricoprire ruoli che
gli emiliano-romagnoli ormai rifiutano come faticosi e poco remunerativi.
160
Per la prima volta nel corso del 2002 inoltre, la percentuale di presenza di immigrati
ha superato il tasso regionale di disoccupazione.
Il sistema economico regionale ha di fatto raggiunto la piena occupazione – per inciso
il tasso di disoccupazione regionale al primo trimestre 2005 è al 4,5% contro l’8,2% del li-
vello nazionale – pur in presenza di una crescita economica che teoricamente non sarebbe
in grado di garantire aumenti occupazionali.
Questo dato, estremamente positivo e rassicurante, lancia paradossalmente un’ombra
sulle possibilità di sviluppo futuro.
Il mercato del lavoro registra infatti, con molto ritardo, gli andamenti che hanno inte-
ressato la popolazione, in altri termini i comportamenti della popolazione avvenuti circa
venti, venticinque anni fa interessano il mercato del lavoro solo ora. Il forte calo delle na-
scite e il permanere di un saldo naturale negativo (la differenza tra nati e morti) hanno eroso
la consistenza della popolazione in età da lavoro, ovvero è calato il cosiddetto bacino dei
potenziali lavoratori. L’aumento delle nascite che si sta registrando in questi anni produrrà i
suoi effetti solo fra 15-20 anni e, in ogni caso, tale aumento non ha ancora annullato la di-
stanza con i decessi.
La crescita economica regionale, quindi, ha potuto contare su un apporto demografico
della popolazione residente che già ora è insufficiente a mantenere il trend di sviluppo e
quindi risulta fondamentale l’apporto dei lavoratori stranieri. Tale apporto è tanto più fon-
damentale se si considera che le nuove leve “emiliano-romagnole”, avendo un livello di
istruzione molto elevato, sono portate a non accettare un lavoro qualsiasi, ma a ricercare
un’occupazione gratificante e con possibilità di accrescimento professionale. La forte ri-
chiesta regionale di manodopera straniera non comunitaria si evince direttamente dalle
stime dell’occupazione futura.
Uno scenario del genere indica la direzione per il mantenimento degli attuali livelli di
benessere dell’Emilia-Romagna: governo e integrazione dei flussi migratori da un lato, una
strategia complessiva che incentivi l’ingresso di profili professionali rispondenti alle neces-
sità del mondo produttivo regionale dall’altro lato.
Tali obiettivi possono essere meglio perseguiti attivando sinergie tra Regione, Enti lo-
cali, Organizzazioni imprenditoriali e sindacali, in linea con le priorità strategiche indicate
nel Patto per lo Sviluppo dell’Emilia-Romagna del 18 febbraio 2004.
Non è solo l’occupazione dipendente a crescere, in quanto oltre 25.000 stranieri nel
2004 risultano amministratori, soci o titolari di imprese con una crescita del 14% rispetto
all’anno precedente ed addirittura una crescita del 87% rispetto al 2000. Il conseguente
peso percentuale sul totale dei titolari stranieri è del 7,6%.
Nel 2004, ogni cento assunzioni di non-comunitari a livello nazionale, nove avven-
gono in Emilia-Romagna; considerando, invece, il totale delle assunzioni a livello regio-
nale, l’incidenza dei lavoratori non-comunitari arriva al 20%, mentre è solo al 16% nell’am-
bito nazionale.
Lo scenario demografico precedentemente delineato, pur in presenza di un tasso di
crescita economica poco sostenuta, spinge le imprese dell’Emilia-Romagna a prevedere di
assumere quote consistenti di lavoratori stranieri.
Le professioni richieste si concentrano per circa un terzo su figure non qualificate, per
un terzo sugli operai specializzati, e la restante quota sulle professioni relative alla vendita e
ai servizi alle famiglie, con una particolare specificità nel settore delle costruzioni ove si
prevedono oltre il 10% delle assunzioni complessive. Si registra inoltre un fabbisogno cre-
scente di figure professionali straniere sempre più specializzate.
Nonostante queste forti richieste, dettate da un mercato del lavoro regionale in forte ten-
161
sione con una continua carenza, ormai strutturale, di manodopera, qualificata e non, le asse-
gnazioni del Ministero del Lavoro non hanno mai coperto le necessità manifestate dal sistema
economico emiliano-romagnolo, rimanendo sempre al di sotto delle richieste. Infatti, nel 2003
gli assegnati furono poco più del 70% dei richiesti mentre nel 2004 non sono arrivati al 60%.
Le previsioni per il prossimo triennio continuano ad evidenziare, per l’economia regio-
nale, la necessità di manodopera straniera anche se risulta difficile stimare in maniera diffe-
renziata l’apporto dei non-comunitari da quello dei comunitari e neo-comunitari. Anche nel
territorio regionale, in una fase di incertezza economica come l’attuale, sono tuttavia nume-
rosi gli immigrati stranieri che trovano un lavoro tra le pieghe della economia sommersa:
esiste una preoccupante area che comprende fenomeni di neo-caporalato illegale degli immi-
grati, di fatto sottratti a tutele di carattere normativo e sindacale, che vanno contrastate con
un’azione congiunta di facilitazione per l’emersione dal sommerso, accesso legale al merca-
to del lavoro, attraverso in particolare l’individuazione di efficaci e tempestivi meccanismi
di incontro tra domanda e offerta di lavoro, e repressione da parte degli organi competenti.
Un’ulteriore attenzione va posta al pericolo della crescente disoccupazione tra gli im-
migrati, anche perché questa condizione incide direttamente e repentinamente sulla natura
giuridica della condizione di soggiorno.
La Regione ribadisce il proprio impegno di previsione del fabbisogno di manodopera
straniera annuale ai sensi dell’art. 21 del D.lgs. 286/98 e dell’art. 3 della LR 5/2004 e in
questo senso conferma la scelta di confronto preventivo con le Parti sociali e gli Enti locali,
finalizzata all’obiettivo strategico di una gestione attiva dei flussi migratori rivolta a defi-
nire il fabbisogno quali-quantitativo e ad attrarre dall’esterno le competenze non presenti
sul territorio, nonché la collaborazione e il confronto con le strutture periferiche del Mini-
stero del Lavoro e delle Politiche Sociali in materia di ripartizione provinciale delle quote.
Un’opportunità interessante al riguardo è costituita dalla possibilità di attivare percorsi
formativi nei Paesi d’origine, prevista tra l’altro dal Regolamento attuativo della L.
189/2002 (art. 29 D.P.R. 334/2004) in materia di formazione all’estero, possibilità da rac-
cordare con le politiche sociali e da effettuarsi attraverso un forte controllo pubblico, onde
favorire l’arrivo di lavoratori già qualificati e formati non solo rispetto ai fabbisogni del
mercato del lavoro, ma anche con adeguate competenze linguistiche e conoscenze della
normativa in materia di lavoro e sicurezza.
Dal punto di vista del sistema dei servizi, i cittadini migranti, provenienti da Paesi
extra UE o di nuovo ingresso nell’Unione Europea hanno rappresentato in questi anni una
quota consistente degli utenti dei Centri per l’impiego e, in generale, dei servizi per il la-
voro della nostra regione.
I Centri per l’impiego in Emilia-Romagna si sono contraddistinti per l’offerta dei ser-
vizi tradizionali di politica attiva del lavoro (informazione e accoglienza, orientamento, ac-
compagnamento all’inserimento lavorativo, preselezione e incontro tra domanda e offerta)
organizzati per l’insieme degli utenti piuttosto che in un’organizzazione dei servizi per
target specifici (donne, stranieri, over 45, ecc.).
Questa scelta operata dalle Province per i propri Centri ha consentito, dunque, l’espri-
mersi di un’offerta di servizi che fosse adattabile all’estrema eterogeneità dell’utenza e, al
tempo stesso, sono stati affiancati, almeno embrionalmente, da supporti specifici.
Nel caso degli utenti stranieri, a parte i servizi di informazione, che hanno anche il
compito di mettere in relazione l’utente con la rete complessiva di servizi (sociali, sanitari,
educativi, previdenziali, formativi, ecc.), si sono sviluppate, in particolare in alcune Pro-
vince, azioni di supporto ai servizi che facilitano l’erogazione degli stessi ai cittadini stra-
nieri (mediatori linguistici e culturali).
162
Nel prossimo triennio, pur mantenendo un’impostazione strategico-organizzativa dei
Centri per l’impiego, orientata all’erogazione di servizi specializzati per funzione e non per
target, è necessario attrezzare in modo più organico i Centri per l’impiego pubblici e tutto il
sistema dei servizi per il lavoro per offrire supporti specifici ai cittadini migranti, in partico-
lare i supporti di mediazione linguistica e culturale.
Il sistema di accreditamento di servizi per il lavoro dovrà prevedere, per i soggetti che
intendono farne parte, requisiti idonei a garantire il più facile accesso dei cittadini stranieri
ai servizi erogati. Le esperienze delle associazioni di rappresentanza possono svolgere un
utile ruolo di raccordo.
Un’attenzione particolare, sul versante dei servizi di consulenza e di informazione al
lavoratore, nonché su quello di incontro domanda-offerta, va anche posto sulla categoria
delle assistenti familiari, in buona parte cittadine straniere, sviluppando quanto previsto dal
protocollo d’accordo tra Regione e Organizzazioni sindacali in tale materia dell’aprile
2003, aggiornato all’aprile 2004, auspicando la condivisione del protocollo dei soggetti del
terzo settore, e dando maggiore consistenza a quei primi positivi interventi predisposti, in
questo senso, da alcune Province.
Su questo tema è necessario attivare, con i servizi del collocamento e con la collabora-
zione operativa del terzo settore, luoghi di incrocio domanda e offerta e servizi di assistenza
per le famiglie che necessitano di questo tipo di supporto. Infine per quanto attiene le ini-
ziative di rientro nei Paesi di origine dei cittadini stranieri immigrati, le modalità di attua-
zione saranno definite nel Documento di indirizzo programmatico triennale per gli inter-
venti di cooperazione internazionale previsto dalla LR n. 12/2002, “Interventi regionali per
la cooperazione con i Paesi in via di sviluppo ed i paesi in via di transizione, la solidarietà
internazionale e la promozione di una cultura di pace”.
Nel futuro occorrerà stabilire un più organico collegamento tra la programmazione
delle politiche e dei flussi migratori e le politiche di cooperazione internazionale, in partico-
lare con alcuni Paesi.
In ogni caso è corretto affermare che oltre due terzi degli stranieri maggiorenni ha
un’occupazione regolare, in quanto la forza lavoro tra i soggiornanti è composta da 158.400
unità, pari al 64,8% dei permessi di soggiorno.
Questo dato regionale continua ad essere superiore al valore nazionale a conferma del
fatto che il sistema produttivo emiliano-romagnolo sia un motore fondamentale nell’attiva-
zione dei flussi migratori.
1.6. Lavoro autonomo e imprenditorialità
Una quota non secondaria di cittadini stranieri è occupata in proprio come titolare di
impresa.
Dai dati Infocamere al 31.12.2005 risultano 20.109 titolari di impresa individuale non
nati in Italia presenti nella Regione Emilia-Romagna. Di questi 17.305 (pari al 86,1%) sono
maschi e 2.804 (pari al 13,9%) sono femmine.
La distribuzione provinciale di queste imprese appare abbastanza omogenea sul terri-
torio dell’Emilia-Romagna con il 19,60% di esse in Provincia di Reggio Emilia, il 17,92%
in Provincia di Bologna, e il 14,71% in Provincia di Modena. Ma nel peso percentuale sul
totale delle imprese l’incidenza maggiore è a Reggio Emilia (7,49% di imprese con titolare
straniero), seguita da Parma (5,76%) e da Ravenna (5,05%).
Le 20.109 imprese con titolare straniero rappresentano il 4,73% delle 425.225 imprese
emiliano-romagnole.
Rispetto ai Paesi di origine la Cina risulta prima solo nella Provincia di Reggio Emilia,
163
seconda nelle Province di Bologna e Modena. A livello regionale il primo Paese rappresen-
tato è il Marocco, il secondo l’Albania e il terzo la Tunisia.
Rispetto ai settori, le costruzioni risultano al primo posto con il 46% seguite dal com-
mercio con il 24,96%.
Da notare come l’incremento del numero dei cittadini stranieri titolari di impresa indi-
viduale sia cresciuto molto rapidamente negli ultimi cinque anni: essi risultavano infatti
9.309 nel 2001 e appunto 20.109 nel 2005; nel quinquennio sono più che raddoppiate.
In un contesto di crescente presenza di cittadini stranieri, appare fondamentale assicu-
rare continuità e sviluppo agli interventi volti a facilitare effettivi percorsi di integrazione e
di regolarizzazione nel contesto del mercato del lavoro della Regione, in particolare nei set-
tori del commercio, dei servizi, dell’artigianato e dell’agricoltura.
In tali settori va evidenziata la crescente attitudine, da parte delle persone straniere, a
intraprendere iniziative imprenditoriali; questo costituisce certamente uno degli elementi di
maggiore evoluzione del rapporto tra immigrazione e inserimento lavorativo.
A una prima fase caratterizzata da una presenza di cittadini stranieri occupati prevalen-
temente in ruoli di lavoratori subordinati, ne fa seguito un’altra, l’attuale, che vede una pre-
senza sempre più numerosa, nel sistema produttivo locale, di micro imprese di immigrati
stranieri. A tale proposito il dato nazionale (elaborato dalla CNA) evidenzia che l’imprendi-
toria promossa da persone straniere rappresenta il comparto più attivo e dinamico dell’im-
prenditoria nazionale.
Anche in Emilia-Romagna il numero delle imprese individuali di immigrati è cresciuto
notevolmente (ad esempio +22% rispetto al 2003). I settori di attività economica che ve-
dono la maggiore presenza di imprenditori stranieri sono le costruzioni, il commercio e l’at-
tività manifatturiera, che complessivamente rappresentano l’80% circa del totale.
In armonia con i precedenti programmi adottati dalla Regione nel campo degli inter-
venti rivolti all’integrazione dei cittadini stranieri immigrati, si ritiene opportuno confer-
mare una metodologia di azione che preveda la promozione, da parte degli enti locali, di
progetti finalizzati a sviluppare le possibilità di avvio, di regolarizzazione e qualificazione
di attività imprenditoriali degli immigrati.
L’obiettivo deve essere la regolarizzazione, la promozione, la qualificazione e il pro-
gressivo consolidamento delle attività svolte dai cittadini stranieri immigrati. Si individuano
i seguenti obiettivi prioritari verso i quali tendere: a) garantire pari opportunità di accesso al-
le attività di lavoro autonomo e imprenditoriale e tutelare le differenze; b) assicurare un’ade-
guata formazione professionale; c) promuovere l’avvio delle attività imprenditoriali da parte
di cittadini stranieri immigrati, sia in forma individuale che in forma associativa; d) garanti-
re pari opportunità di accesso alle attività di lavoro autonomo e imprenditoriale.
Per il raggiungimento dell’obiettivo indicato si ritiene importante mettere in atto inter-
venti che possano garantire un accesso paritario alle attività di lavoro autonomo, curando in
particolare i percorsi di apprendimento della lingua italiana, comprensivi di riferimenti alle
leggi e regolamenti che disciplinano nella nostra Regione l’esercizio delle attività imprendi-
toriali. Per tutelare le differenze, gli interventi dovranno essere destinati prioritariamente ai
soggetti socialmente più deboli quali le donne.
In particolare risultano da attivare prioritariamente i seguenti interventi: interventi
volti a costruire percorsi integrati tra formazione linguistica e informazione, orientamento e
formazione professionale, finalizzati ad agevolare l’ingresso nel mercato del lavoro; inter-
venti finalizzati a conseguire un consolidamento delle relazioni tra associazioni e istituzioni
nonché a incrementare nei cittadini stranieri immigrati il livello di conoscenza e di sensibi-
lizzazione in merito al funzionamento della Pubblica Amministrazione regionale e locale.
164
Risultano pertanto prioritari gli interventi destinati a promuovere l’avvio o il consolida-
mento delle associazioni e la definizione di reti di servizi per le imprese, promosse dalle as-
sociazioni imprenditoriali.
Assicurare un’adeguata formazione professionale
Per tale obiettivo risulta importante promuovere interventi di formazione volti ai citta-
dini stranieri immigrati ai fini di un adeguato e corretto svolgimento delle attività imprendi-
toriali. In particolare nei settori di attività commerciale e industriale in sede fissa, e per
quanto attiene il settore alimentare, dove risultano di particolare importanza le conoscenze
inerenti gli aspetti igienico-sanitari.
Devono inoltre essere previsti corsi che consentano lo sviluppo della necessaria pro-
fessionalità nel comparto dei pubblici esercizi (attività di bar, ristoranti, ecc.).
Anche nel comparto non alimentare si rende opportuno promuovere la necessaria qua-
lificazione degli imprenditori e degli addetti con particolare riferimento alle leggi di settore
e alle abilitazioni per le varie tipologie di attività merceologiche.
Promuovere l’avvio delle attività imprenditoriali da parte di immigrati, sia in forma
individuale che in forma associativa
Al fine di promuovere l’avvio di regolari attività nel commercio, nei servizi, nell’arti-
gianato, nel lavoro autonomo da parte di immigrati, sia in forma singola che associativa, si
ritiene opportuno confermare azioni di incentivazione e sostegno all’avvio di attività im-
prenditoriali già previste all’art. 15 della LR 14/90 ora abrogato dalla LR 5/2004.
Per quanto concerne gli ambiti territoriali per la predisposizione dei piani si ritiene op-
portuno individuare nella Provincia la dimensione di riferimento.
All’Amministrazione provinciale è pertanto demandata l’individuazione, da realizzare
tramite la concertazione con le rappresentanze delle forze economiche e sociali e delle asso-
ciazioni di promozione sociale, delle priorità di intervento e conseguentemente la riparti-
zione delle risorse in relazione ai progetti che dovranno essere realizzati nel territorio di
competenza, sulla base di specifici bandi.
1.7. Politiche sociali
Accanto ad una crescita quantitativa, il fenomeno migratorio evidenzia una crescita di
complessità rispetto alla condizione sociale dei cittadini stranieri, ai bisogni che essi espri-
mono e alle traiettorie migratorie perseguite da ciascuno di essi; anche in ragione di un con-
testo normativo che storicamente si è dimostrato incapace di offrire un adeguato accesso le-
gale (si pensi ai successivi e costanti provvedimenti di regolarizzazione) e che impone alla
Regione e agli enti locali di mantenere un’attenzione costante anche verso persone in situa-
zione di presenza non regolare, specie donne e bambini, spesso in condizione precarie di sa-
lute e accoglienza. In taluni casi, la persona straniera può concentrare una serie di criticità
(malnutrizione, condizioni di vita usuranti già nei Paesi di origine, precarietà occupazio-
nale, inadeguatezza abitativa legata a sovraffollamento e/o carenze igienico sanitarie, as-
senza di supporto familiare e sociale, difficoltà di fruizione dei servizi, ecc.) che necessi-
tano di risposte specifiche ed integrate tra loro.
L’elemento della pluralizzazione delle tipologie di immigrazione rappresenta dunque
una tendenza da tenere costantemente in considerazione nei prossimi anni.
Il fenomeno migratorio ha una doppia dinamicità: crescono gli stranieri di lunga durata
e crescono parallelamente gli arrivi di nuovi migranti, tale per cui si articolano le aspetta-
tive ed i bisogni.
165
Accanto al fattore temporale, si intrecciano altre variabili: cresce la presenza di gio-
vani figli di immigrati espressione di inediti mix culturali, assistiamo ad una stabilizzazione
di “famiglie” perché tanti sono i modelli sociali e culturali d’origine, mantengono una loro
presenza i lavoratori singoli di entrambi i sessi (vedi ad esempio la significativa regolariz-
zazione delle assistenti familiari), si pongono con forza nuovi bisogni che necessitano di un
elevato livello di attenzione e di carico assistenziale: le donne sole con figli, i minori stra-
nieri non accompagnati, i richiedenti asilo, le persone straniere in situazione di povertà
estrema, ex detenuti che necessitano di percorsi di reinserimento sociale.
Con l’approvazione della LR n. 5 del 24.03.2004 in materia di politiche per l’integra-
zione sociale dei cittadini stranieri, legge che affronta trasversalmente in ogni settore
(scuola, sanità, formazione, lavoro, casa, ecc.) il tema dell’immigrazione straniera secondo
un approccio universalistico, teso a garantire l’effettivo esercizio dei diritti sociali di cittadi-
nanza nell’ambito dei servizi pubblici esistenti, la Regione Emilia-Romagna ha inteso affer-
mare il principio strategico che i sistemi integrati di interventi e servizi sociali, ad ogni li-
vello di programmazione, devono considerare le politiche rivolte ai cittadini stranieri come
programmazione ordinaria e strutturale, abbandonando un approccio occasionale, tempo-
raneo ed emergenziale.
Dal punto di vista del sistema integrato dei servizi di welfare, la presenza di un’utenza
multiculturale va considerata una sfida verso la innovazione: un servizio pubblico capace di
servire meglio gli stranieri, di capirne i bisogni e individuarne le soluzioni, esprime una dis-
ponibilità costante a riflettere su sé stesso, a rimettersi in gioco, e ciò va inteso come una
caratteristica capace di migliorare anche le risposte verso le esigenze dei cittadini italiani.
Si tratta altresì di introdurre e consolidare politiche che adottano nel loro fare un approccio
interculturale, ovvero lavorano sulla ricerca dei punti di contatto come terreno comune di
incontro, a partire dagli elementi distintivi culturali ascrivibili ai gruppi etnici e alle singole
persone; politiche comunque fondate sui bisogni del singolo, che evitino di reintrodurre at-
traverso la variabile culturale, nuovi stereotipi omogeneizzanti nelle letture dei bisogni e
nelle risposte dei servizi, politiche che hanno la consapevolezza della frequente natura in-
terrelata dei bisogni, nel senso che è facile che il migrante sia portatore di un bisogno com-
plesso/completo (casa, lavoro, disagio sociale, salute, ecc.) a cui occorre rispondere con
una medesima progettazione integrata intersettoriale, sulla base dei bisogni e delle aspetta-
tive dell’utenza, rafforzando negli operatori le competenze di lettura globale del problema
presentato.
Esistono questioni trasversali che necessariamente solleciteranno nei prossimi anni la
rete dei servizi pubblici alla individuazione di nuove risposte: la prospettiva di genere, e
dunque la necessità di interventi che abbiano al centro il tema dell’effettivo inserimento so-
ciale e lavorativo delle donne straniere; il tema della condizione legale del migrante, della
sua permanenza nel nostro Paese fortemente legata alla necessità di possedere un lavoro e
quindi posto in una condizione costante di potenziale espulsione. Si tratta di un contesto
normativo di sfondo che rende problematica una progettazione sociale graduale e duratura
con la persona straniera e richiede agli enti locali di mantenere una forte attenzione anche
verso una possibile presenza di persone in condizioni di soggiorno non regolare, specie
donne e bambini, spesso in condizione precarie di salute e accoglienza; la crescente do-
manda di mobilità sociale da parte dei cittadini stranieri, che richiede al sistema dei servizi
sociali una risposta promozionale orientata alla valorizzazione delle competenze per cia-
scuno di essi; il tema della qualità complessiva della vita del migrante, e quindi la necessità
di considerarlo un cittadino che ha aspettative legate alla socialità, alla cultura, alla mu-
sica, all’attività sportiva; dimensioni queste, alle quali gli Enti locali devono prestare atten-
166
zione attivando forme di collaborazione con il vasto tessuto associativo presente ad ogni li-
vello (comunale, distrettuale, provinciale), e che possono rappresentare un fondamentale
valore aggiunto rispetto alle politiche istituzionali di integrazione sociale.
Per i soggetti pubblici e del privato sociale che compongono il sistema locale dei servi-
zi sociali, si tratta dunque di promuovere politiche integrate di consolidamento e sviluppo di
interventi prioritariamente nell’ambito delle seguenti aree tematiche: la messa in campo di
una serie di azioni in ambito scolastico rivolte ai minori e alle loro famiglie, riconducibili in
particolare al sostegno all’apprendimento della lingua italiana e allo sviluppo di relazioni di
fiducia con gli operatori scolastici, nonché alla attivazione di interventi laboratoriali a va-
lenza interculturale anche in ambito extra-scolastico, in raccordo con le istituzioni scolasti-
che; la realizzazione ed il consolidamento di centri e interventi informativi specialistici in
materia di immigrazione, finalizzati a garantire per i cittadini stranieri adeguate forme di co-
noscenza e di tutela dei diritti e di conoscenza dei doveri, previsti dalla normativa regionale,
nazionale ed europea; il consolidamento e lo sviluppo della attività specifica di mediazione
interculturale in particolare nei servizi sociali, sanitari e scolastici, finalizzata ad accompa-
gnare la relazione tra persone straniere e servizi pubblici e privati, a facilitare la rimozione
delle barriere linguistico-culturali e a promuovere la conoscenza e la valorizzazione delle
culture d’appartenenza; azioni volte alla facilitazione di accesso ai servizi riassumibili in al-
meno tre tipologie di interventi: azioni di orientamento, azioni formative interculturali per
gli operatori posti a contatto con l’utenza straniera e la realizzazione di strumenti informati-
vi plurilingue; attività specifiche di alfabetizzazione alla lingua italiana rivolte agli adulti;
attività volte a promuovere la conoscenza e il confronto tra punti di vista e culture presenti
nella società regionale attraverso lo svolgimento di iniziative di comunicazione, informazio-
ne e orientamento sui temi connessi all’immigrazione, la predisposizione di iniziative in am-
bito artistico, culturale e sportivo e la realizzazione di centri interculturali; il sostegno e
confronto con associazioni e comunità di cittadini stranieri; interventi informativi, di acco-
glienza ed integrazione sociale rivolti a specifici target di popolazione socialmente vulnera-
bile: richiedenti asilo e rifugiati, donne, minori stranieri non accompagnati, detenuti ed ex
detenuti stranieri che necessitano di percorsi di reinserimento sociale.
In questo contesto risultano notevoli le occasioni d’integrazione con le previsioni della
LR 20 del 2003, relativa a “Nuove norme per la valorizzazione del servizio civile. Istitu-
zione del servizio civile regionale. Abrogazione della L.R. 28 dicembre 1999, n. 38”.
Le sperimentazioni del servizio civile regionale attivate nel corso del 2005 offrono in-
novative opportunità per l’integrazione sociale dei cittadini stranieri immigrati, in partico-
lare nei progetti di servizio civile regionale che vedono il coinvolgimento attivo dei citta-
dini immigrati d’età compresa tra i 18 e i 28 anni.
Questo protagonismo positivo a favore della comunità locale in cui vivono, studiano o
sono alla ricerca di un lavoro, rappresenta un importante laboratorio di cittadinanza attiva e
di responsabilità positiva.
L’integrazione dell’esperienza proposta ai giovani immigrati con l’analoga opportunità
del servizio civile nazionale vissuta dai loro coetanei autoctoni, che si realizza attraverso la
condivisione dei momenti di servizio, di formazione, di rielaborazione e verifica, rappre-
senta inoltre una reciproca opportunità di conoscenza e di crescita interculturale.
Questo protagonismo giovanile vissuto nell’ambito del servizio civile – quando viene
proposto o indirizzato verso alcuni target socialmente più vulnerabili: richiedenti asilo, rifu-
giati e titolari di protezione umanitaria, donne sole con figli, ma anche minori e minori stra-
nieri non accompagnati – risulta poi essere uno strumento di coesione sociale e di risposta
ai bisogni dei territori.
167
1.8. Partecipazione e rappresentanza a livello regionale e locale
Il tema della partecipazione e del protagonismo dei cittadini stranieri immigrati nella
definizione delle politiche pubbliche, costituisce certamente uno degli elementi fondamen-
tali per un effettivo processo di inclusione sociale. A livello regionale, gli art. 6 e 7 della LR
5/2004 hanno introdotto la “Consulta regionale per l’integrazione sociale dei cittadini stra-
nieri immigrati”, luogo preposto a favorire il dialogo, la conoscenza e la promozione di po-
litiche efficaci in tema di integrazione sociale dei cittadini stranieri.
La Consulta è un organismo composto da rappresentanti degli stranieri, degli enti lo-
cali, delle parti sociali, del terzo settore e di organismi periferici dello Stato, e dovrà essere
chiamato ad esprimersi sugli atti più significativi di competenza regionale, atti che abbiano
un impatto o un qualche interesse per i cittadini stranieri immigrati secondo un approccio
trasversale (politiche scolastiche, abitative, culturali, sociali, sanitarie, ecc.).
L’insediamento della Consulta regionale, avvenuto il 17 febbraio 2005, può rappresen-
tare un punto di riferimento e l’occasione per avviare percorsi di partecipazione e di rappre-
sentanza dei cittadini stranieri anche in quei territori della Regione che ancora ne sono
sprovvisti.
In questo senso, l’art. 8 della LR 5/2004, esplicita la volontà della Regione di favorire,
nel rispetto delle competenze proprie degli enti locali, la realizzazione di percorsi partecipa-
tivi in ambito locale (Consulte, consiglieri aggiunti, forum di associazioni, ecc.) ponendo
particolare attenzione al percorso a carattere elettivo che dovrebbe caratterizzare la compo-
nente dei cittadini stranieri immigrati.
La Regione intende monitorare le esperienze locali di partecipazione e la loro operati-
vità. Nondimeno, la Regione favorisce, ove consentito dal quadro normativo nazionale, l’e-
stensione del diritto di voto ai cittadini stranieri residenti così come espresso nell’ordine del
giorno del Consiglio Regionale del 17.03.2004.
Il rafforzamento e sostegno alle associazioni promosse da cittadini stranieri, rappre-
senta altresì un’azione importante da mantenere nei prossimi anni, in quanto va intesa come
preziosa occasione per valorizzare forme di impegno sociale e di partecipazione alla vita
della comunità locale da parte dei “nuovi cittadini” emiliano-romagnoli.
Gli Enti locali sono chiamati a promuovere le capacità di comunicazione di queste
forme associative, garantendone diffusione territoriale e promozione di forme di coordina-
mento a livello locale.
1.9. Fonti e link
26a Seduta della VIII Legislatura -Estratto dal resoconto integrale della seduta pomeri-
diana del 7.02.2006. Presiede la presidente dell’Assemblea legislativa Monica Donini.
– Anno 2007 Numero 1, Giugno 2007, www.provincia.bologna.it/immigrazione/
documenti
– Dati Osservatorio Regione Emilia Romagna su immigrati www.emiliaromagnasociale.it
– Dossier Asilo-Ricerca sui rifugiati, richiedenti asilo e titolari di protezione umanitaria
a Bologna e provincia
– ISTAT, Bilancio demografico e popolazione straniera residente per sesso e cittadinanza
– risultati della rilevazione annuale “Movimento e calcolo della popolazione straniera
residente”: serie storica dal 1998 al 2004 della popolazione straniera residente in
Emilia-Romagna per sesso e cittadinanza all’1/1 di ogni anno, nel sito statistico della
Regione Emilia-Romagna; anni dal 2003 al 2005, per l’intero territorio nazionale, nel
sito ISTAT “Demografia in cifre” (http://demo.istat.it/).
168
– Legge regionale n. 5/2004 recante Norme per l’integrazione sociale dei cittadini stra-
nieri immigrati. Modifiche alle leggi regionali 21 febbraio 1990
– Progr. n. 45 Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna
– Rapporto annuale Caritas-Migrantes 2006. Dossier Statistico Immigrazione
www.dossierimmigrazione.it
– Rapporto su immigrazione straniera in Regione Emulai Romagna - CLUEB febbraio
2007
– Regione Emilia-Romagna, Rilevazione della popolazione straniera residente per sesso
ed età e per sesso e cittadinanza, all’1/1 del 2005 e 2006, nel sito statistico della Re-
gione Emilia-Romagna, curato dal Servizio Controllo strategico e statistica
(http://www.regione.emilia-romagna.it/statistica/).
– Ufficio di Statistica della Provincia di Bologna su dati delle Anagrafi Comunali.
169
Capitolo 2
INTERVENTI IN RETE IN EMILIA ROMAGNA E A BOLOGNA
2.1. Il Focus group del 18 ottobre 2007
L’incontro “Focus group” svoltosi il giorno 18 ottobre 2007 all’Istituto salesiano di Bolo-
gna, con lo scopo di confrontare le “buone pratiche” mirate all’accoglienza-formazione e inte-
grazione sociale e lavorativa degli immigrati, ha visto la partecipazione dei seguenti soggetti e
istituzioni: Paola Vitello della Caritas Centro Ascolto Immigrati di Bologna; Lina Delli Quadri,
Consigliere del Comune di Bologna e responsabile per la Parrocchia Sacro Cuore di Bologna;
Maria Sabatini del centro per l’Impiego di Bologna (in sostituzione di Maria Lena Bigoni);
Morena Sartori dell’associazione AECA dell’Emilia Romagna; Massimo Peron dell’Associa-
zione CIOFS/FP di Bologna; don Tarcisio Sgariboldi e don Fabrizio Bonalume dell’Associa-
zione CNOS-FAP di Bologna; Ptrizia Lelli e Tiziana Carrella dell’associazione Confartigia-
nato di Bologna; Enzo Pancaldi dell’Istituto Salesiano di Bologna. L’incontro è stato coordi-
nato dal prof. Vittorio Pieroni dell’Università Pontificia Salesiana di Roma, dalla dott.ssa Ma-
riapaola Cullmann della Sede Nazionale del CNOS-FAP, e dal prof. Don Sandro Tinozza, di-
rettore dell’Istituto Salesiano di Roma.
La finalità dell’incontro è stata quella di analizzare e confrontare esempi e buone prati-
che, riferite a progetti o esperienze concrete, realizzate per supportare i bisogni delle persone
immigrate in termini di integrazione sociale e lavorativa.
Gli esempi forniti durante il “laboratorio”, riguardavano risposte messe in atto sia da cia-
scuno dei presenti nei rispettivi ambiti di appartenenza e competenza, sia riferiti ad interventi di
lavoro in rete tra i soggetti presenti.
Le esperienze emerse sono state registrate direttamente dai professori di Roma, al fine
della ricerca in atto.
Durante il focus è emersa buona disponibilità da parte di tutti i partecipanti a proseguire la
collaborazione comune ed in rete, per il futuro.
Le esperienze presentate hanno avuto come oggetto:
– la formazione rivolta agli immigrati e le risposte del sistema formativo (accoglienza,
orientamento, metodologie, tipologie di corsi, esiti della formazione);
– educazione interculturale e alla cittadinanza democratica;
– attività di accoglienza e assistenza alla ricerca dell’alloggio, del lavoro e servizi sociali;
– inserimento lavorativo delle persone immigrate e risposte del sistema produttivo locale;
– integrazione sociale-relazionale-etica e risposte delle Associazioni di volontariato e della
Chiesa;
– una modalità di interventi in rete tra soggetti del territorio con particolare riferimento al-
l’inserimento sociale e lavorativo degli immigrati: la Consulta contro l’esclusione sociale,
del Comune di Bologna.
2.2. Il progetto Scuola di Accoglienza 1
II progetto Scuola di Accoglienza è una rete di soggetti che intendono promuovere il
ruolo del volontariato come strumento di partecipazione capace di favorire la creazione di
1 La presentazione di questa rete è contenuta in “Comune, Provincia, Prefettura UTG di Bo-
logna: Osservatorio delle Immigrazioni (www.provincia.bologna.it/immigrazione/documenti), anno
2005, numero 1, agosto 2005 (cfr il capitolo 3 del presente report, al paragrafo 3.3).
170
un luogo di incontro e di costruzione di relazioni tra le persone in un’ottica di reciprocità.
Interesse di questo progetto è quello di mettere in rete il mondo del volontariato, le istitu-
zioni, le associazioni del territorio coinvolgendo la romanità.
Scuola di Accoglienza nasce sotto l’impulso della Caritas Diocesana di Bologna. Parte-
cipano alla sua rete: Caritas, CISL, CGIL, Agorà dei Mondi, Aprimondo Centro Poggeschi,
Forum Metropolitano delle Associazioni degli Immigrati, singoli soggetti del volontariato.
Hanno aderito successivamente: le cooperative Campi D’Arte, Arca di Noè, La Piccola Ca-
rovana, Siamo Qua e CIM, il CDH-Centro Zefiro, il CIOFS e l’associazione italiano.it.
2.3. La Consulta Permanente per la Lotta all’Esclusione Sociale, del Comune di Bo-
logna 2
La Consulta Permanente per la Lotta all’Esclusione Sociale nasce, con Delibera del
Consiglio Comunale di Bologna, l’1 febbraio del 1999 al fine di realizzare un tavolo co-
mune che, oltre alla funzione di confronto, iniziativa ed approfondimento, abbia un ruolo di
impulso sulle politiche comunali e sia punto di riferimento istituzionale anche per le altre
amministrazioni cittadine.
Le funzioni della consulta sono: favorire le relazioni e il confronto tra diverse espe-
rienze e competenze, impegnate nella lotta all’esclusione sociale; favorire la promozione di
iniziative e di azioni, concertate tra i diversi soggetti istituzionali e non; sviluppare l’osser-
vazione delle dinamiche socioeconomiche, attraverso il confronto e l’analisi delle informa-
zioni ed organizzando sistemi di monitoraggio permanente; promuovere programmi e pro-
getti, che siano anche di impulso per le politiche delle istituzioni e in particolare del Co-
mune; promuovere occasioni di confronto pubblico, al fine di costruire una cultura attiva
dell’accoglienza che orienti i comportamenti della comunità; promuovere relazioni con altri
soggetti ed esperienze, anche su area vasta; esprimere pareri su piani e progetti dell’Ammi-
nistrazione comunale.
La Consulta è formata dalle organizzazioni di volontariato, le associazioni senza fini di
lucro, le cooperative sociali e dai loro coordinamenti e aggregazioni che chiedano di aderire
alla Consulta e da un rappresentante dell’Amministrazione comunale.
Ai lavori della Consulta sono invitati i Presidenti di Quartiere e potranno partecipare –
senza diritto di voto – i Consiglieri comunali. La Consulta potrà invitare ai propri lavori
tecnici e rappresentanti degli Enti locali e delle istituzioni pubbliche.
A oggi, alla consulta aderiscono: 71 organizzazioni, la stessa opera con momenti di in-
contro assembleari (almeno tre all’anno), un comitato di rappresentanza che si incontra al-
meno una volta al mese (formato da 10 rappresentanti degli enti eletti ogni due anni e coor-
dinati da un portavoce e dal rappresentante dell’amministrazione), diversi gruppi di lavoro
che approfondiscono le tematiche in oggetto (al momento: lavoro, casa, sicurezza, carcere,
donne, psichiatria, gravi marginalità).
A Bologna sono attive anche la Consulta per l’handicap e la Consulta della famiglia.
2 Relazione trasmessa da Teresa Marzocchi, membro della Consulta. Il suo nominativo è stato
fornito dalla d.ssa Delli Quadri, consigliere del Comune di Bologna e responsabile della Parrocchia
del Sacro Cuore, di Bologna.
171
2.4. AECA - Associazione Emiliano Romagnola Centri Autonomi
Sede regionale: Via Bigari, 3 - 40128 Bologna BO (Italy)
Tel. +39.051.37.21.43 Fax: +39.051.35.51.74 - P.IVA 04195640372 - sito: www.aeca.it
Nella Regione Emilia Romagna, l’AECA associa 24 Centri di Formazione Professio-
nale, promossi da Enti di ispirazione cristiana, molti dei quali hanno origini secolari. Attra-
verso loro attività, AECA contribuisce allo sviluppo sociale, favorisce l’ingresso nel mondo
del lavoro ai giovani e a quanti appartengono a fasce sociali deboli o emarginate; permette
inoltre di conseguire una più alta e aggiornata professionalità a coloro che, pur avendo un
lavoro, devono adeguarsi ai rapidi mutamenti dei processi produttivi e della società.
Costituitasi nel 1973, AECA opera sul territorio regionale, basandosi su un progetto
educativo integrale per la persona, un progetto capace cioè di intrecciare le acquisizioni di
abilità professionali con lo sviluppo di tutte le potenzialità della persona (il carattere, gli at-
teggiamenti sociali, l’apertura culturale), portando il soggetto in formazione a fare sintesi
tra una dimensione etica, culturale e ecologica.
La nostra attività nasce perciò in risposta alle esigenze individuali di orientamento, di
costruzione di abilità professionali, di valorizzazione delle risorse personali, di accompa-
gnamento nell’inserimento lavorativo.
L’associazione AECA ha promosso e realizzato, mediante alcuni dei propri Centri as-
sociati, il progetto PIN del quale si narra al paragrafo 3.1.
Inoltre, nel focus group del 18 ottobre 2007, sono state presentate delle attività di
orientamento e di formazione rivolte a donne e uomini stranieri.
172
Capitolo 3
BUONE PRASSI: PROGETTI FORMATIVI E DI INTEGRAZIONE SOCIO-LAVORATIVA
3.1. AECA: PIN - Percorsi di INclusione sociolavorativa per le persone immigrate 3
Dati identificativi progetto:
Ente titolare del progetto e della sua realizzazione:
Associazione Emiliano Romagnola Centri Autonomi, AECA. Sede regionale:
Via Bigari, 3 - 40128 Bologna (Italy).
Titolo del progetto:
Progetto Integrato “PIN - Percorsi di INclusione sociolavorativa per le persone immi-
grate”. I.29, 2006, Obiettivo 3 B.1. Regione Emilia Romagna. Approvato con delibera di
G.R. n. 06001156 del 05.08.2006.
Descrizione sintetica progetto in termini di finalità e obiettivi; destinatari del progetto
(n. degli immigrati/e coinvolti, nazionalità, sesso, titolo di studio ecc.).
Il progetto integrato PIN nasce con la finalità di contribuire all’inserimento socio-lavo-
rativa di cittadini immigrati presenti nel territorio dell’Emilia-Romagna. AECA ha proposto
un’iniziativa vista come contributo per favorire una maggiore coesione sociale tra nuovi e
vecchi residenti, nel rispetto delle regole, del principio di pari opportunità e accesso ai ser-
vizi, e per facilitare la rimozione degli ostacoli che impediscono il pieno inserimento so-
ciale, culturale e politico per i cittadini stranieri.
Questa iniziativa si è posta nella logica di un approccio complesso ed unitario teso a per-
mettere l’effettivo esercizio dei diritti sociali di cittadinanza, come indicato nella LR 5/2004, e
in linea con le finalità che ispirano l’insieme delle politiche regionali: la rimozione degli osta-
coli al pieno inserimento sociale, culturale e politico; il reciproco riconoscimento e la valoriz-
zazione delle identità culturali, religiose e linguistiche; la valorizzazione della consapevolezza
dei diritti e dei doveri connessi alla condizione di cittadino straniero immigrato.
Obiettivi:
Sulla base di un’esperienza ormai pluriennale, con il progetto PIN si è proposto un
modello consolidato e “funzionale” di integrazione che è stato studiato e valutato positiva-
mente nel corso dei precedenti anni con gli integrati Voci, Ieri Stranieri, Gentes e Clè.
In tal modo si è data continuità alle sperimentazioni avviate e si sono segnalate le buone
pratiche identificate e riconosciute nei diversi contesti e territori provinciali. In altre parole, si è
consolidato un sistema integrato di servizi, attività formative (di tipo personalizzato), sportelli
(di informazione e orientamento) e azioni di supporto all’inserimento lavorativo e di orienta-
mento dedicati alle persone immigrate presenti sul territorio dell’Emilia-Romagna.
Rispetto ai beneficiari diretti dell’iniziativa, perseguendo le proprie finalità statutarie,
l’associazione AECA anche in questa programmazione ha inteso offrire una proposta for-
mativa tesa allo sviluppo integrale della persona accolta nella sua totalità/complessità. I per-
corsi progettati offrono ai destinatari un accompagnamento nella transizione verso una ri-
3 Il progetto PIN dell’AECA è stato fornito da Marcello Coppertino e da Morena Sartori, e-mail:
sartori@aeca.it. Il sito dell’AECA è www.aeca.it.
173
collocazione dell’individuo in primo luogo sul piano lavorativo ma, di conseguenza, anche
nella globalità della propria situazione esistenziale.
Destinatari:
Il progetto è rivolto a cittadini stranieri residenti nella nostra Regione. I dati specifici
sono presentati nelle tabelle relative alla descrizione delle attività progettuali.
Analisi bisogni formativi e socio-occupazionali degli immigrati
Entità e consistenza numerica dei bisogni formativi/sociali e occupazionali degli immi-
grati a cui il progetto intende dare risposta. Il progetto si è rivolto principalmente ai cittadini
stranieri sprovvisti degli strumenti adeguati per l’inserimento nel tessuto socio-lavorativo del-
la nostra Regione. I percorsi formativi sono stati rivolti a persone disoccupate mentre nessun
vincolo d’accesso è stato posto per l’ingresso agli sportelli informativi e orientativi. I bisogni
espressi sono stati principalmente la ricerca di un lavoro e l’individuazione di percorsi forma-
tivi adeguati per un miglioramento/adeguamento delle proprie competenze.
Esiti del progetto in termini di soluzioni concrete: risposte fornite nelle seguenti aree
di difficoltà incontrate dagli immigrati: accoglienza, formazione strutturate e destrutturata,
integrazione sociale, inserimento lavorativo nelle aziende del territorio. Fedele alla sua ot-
tica di sistema, e a una visione globale del fenomeno migratorio, l’iniziativa promossa
vuole garantire l’integrazione tra le attività formative proposte e tra esse e i servizi offerti
dalle altre realtà operanti nel territorio regionale a favore dell’inclusione socio-lavorativa
dei cittadini immigrati. Gli interventi attivati sono finalizzati all’orientamento, ai bilanci di
competenze, alla formazione e all’inserimento lavorativo.
Composizione e attivazione della rete locale coinvolta nel progetto: attori lo-
cali/partnership coinvolta nel progetto e ruoli operativi (autorità locali, scuole CFP, parti so-
ciali, aziende, Chiesa, associazioni di volontariato, utenti, ecc.).
Partner di progetto: CNOS-FAP Bologna; EDSEG Modena; ENAC Fidenza (PR);
ENDO FAP Borgonovo V.T. (PC)
Organismi promotori: Ass. Casa delle donne contro la violenza – Modena; Comune di
Fidenza (PR); Caritas diocesana di Piacenza-Bobbio; Comune di Sarmato (PC); Comune di
Ziano Piacentino (PC); Comune di Nibbiano (PC); Comune di Borgonovo Val Tidone (PC);
Comune di Gragnano Trebbiense (PC); Comune di Aguzzano (PC); Comune di Castel San
Giovanni (PC).
Modalità di interventi in rete: modalità di coinvolgimento degli attori locali nel proget-
to; modalità di creazione gestione promozione della rete; strategie ottimali di comunicazione
e concertazione/partecipazione al progetto; interventi messi in atto in rete; ricadute del lavo-
ro effettuato dalla rete/partnership nel progetto a livello: territoriale, sistema produttivo, so-
ciale, culturale, etico; sulle esigenze delle persone immigrate, con particolare riferimento al-
l’inserimento sociale e lavorativo; eventuale realizzazione di protocolli di lavoro in rete.
Il progetto si è voluto inserire in maniera funzionale e integrata nell’intervento di sviluppo
locale. Esso tende a valorizzare le risorse disponibili tenendo conto in particolare dell’impor-
tanza del fattore risorse umane e della sua qualificazione per favorire un processo di sviluppo
locale, creare processi di innovazione nelle competenze e opportunità occupazionali.
I soggetti partner del progetto agiscono in stretta collaborazione con gli altri attori ter-
ritoriali i quali forniscono un aiuto prezioso nella fase di assistenza e di sostegno sociale dei
beneficiari, di segnalazione degli utenti dei percorsi, di inserimento lavorativo al termine
dei percorsi stessi.
174
Fase formativa dei progetti AECA, CNOS-FAP di Bologna e Castel dè Britti
Il Progetto integrato, non ancora concluso, ha interessato i territori delle province di
Bologna, Modena, Parma e Piacenza, con svolgimento, tra il settembre 2006 e il mese di di-
cembre 2007.
Esso si compone di un’azione di sistema, realizzata dalla sede regionale mediante atti-
vità di supporto alla realizzazione del progetto integrato e allo sviluppo e diffusione delle
buone prassi; tre azioni di aiuti alle persone, consistenti in percorsi di orientamento lavora-
tivo e di formazione professionalizzante: al CFP EDSEG di Modena con possibilità di rila-
scio di certificato di Qualifica di “Costruttore di macchine utensili”; al CFP CNOS-FAP di
Bologna con rilascio di attestato di frequenza; al CFP ENDO FAP di Borgonovo Val Tidone
con rilascio di attestato di frequenza; tre azioni di accompagnamento, miranti a fornire stru-
menti orientativi verso l’inserimento lavorativo mediante gli sportelli dell’EDSEG di Mo-
dena e il percorso di orientamento ad esso collegato e lo sportello dell’ENAC di Fidenza.
DETTAGLIO DELLE ATTIVITÀ
ATTIVITÀ CORSUALI
2006-0164/ AP tip. Percorso ENDO FAP 13 31 Operatore generico
Rer 9.1 formativo Borgonovo febbraio maggio d’officina meccanica
nell’ambito V.T. (PC) 2007 2007 e carpenteria
meccanico
Attestato di frequenza
ATTIVITÀ
Ore d’aula realizzate 120
Ore in azienda in rapporto al totale delle ore 160 (su un totale di 280)
N. di aziende in cui si è svolto lo stage 6
DESTINATARI FINALI
ISCRITTI 13
RITIRATI 3
IDONEI
SESSO N
F
M 13
ETÀ N
15/19 anni 1
20/24 anni 1
25/29 anni 3
30/34 anni 1
35/44 anni 4
Oltre 45 anni 3
TITOLO DI STUDIO N
Obbligo scolastico SMI 3
Diploma SMS
Laurea
Nessun titolo di studio 10
CITTADINANZA N
Italia
Stati UE
Stati extra UE 13
175
2006-0159/ AP tip. Percorso CNOS FAP Marzo Giugno Costruttore su
Rer 9.2 formativo Bologna 2007 2007 macchine utensili
Attestato di frequenza
ATTIVITÀ
Ore d’aula realizzate 240
Ore in azienda in rapporto al totale delle ore 160 su 400
N° di aziende in cui si è svolto lo stage 12
DESTINATARI FINALI
ISCRITTI 12
RITIRATI
IDONEI
SESSO N
F
M 12
ETÀ N
15/19 anni 1
20/24 anni 3
25/29 anni 7
30/34 anni
35/44 anni 1
Oltre 45 anni
TITOLO DI STUDIO N
Obbligo scolastico SMI 9
Diploma SMS 3
Laurea
Nessun titolo di studio
CITTADINANZA N
Italia
Stati UE
Stati extra UE 12
STATO OCCUPAZIONALE (avvio attività) N
Occupato
Disoccupato 12
Inoccupato
PERSONALE ADDETTO
Docenti
Coordinatori 1
Tutor 1
STATO OCCUPAZIONALE (avvio attività) N
Occupato
Disoccupato 13
Inoccupato
PERSONALE ADDETTO
Docenti
Coordinatori 1
Tutor 1
176
2006-0161/ AP tip. Percorso
Rer 9.2 formativo per
la Qualifica EDSEG 18 30 Percorso formativo per la
professionale Modena settembre aprile Qualifica professionale:
Costruttore su 2006 2007 Costruttore su macchine
macchine utensili
utensili
ATTIVITÀ
Ore d’aula realizzate 150 (sottopr 1) + 266 (sottopr 2)
Ore in azienda in rapporto al totale delle ore 184 su 450 del 2° sottopr,
totale ore del progetto 600
N. di aziende in cui si è svolto lo stage 11
DESTINATARI FINALI
ISCRITTI 19
RITIRATI 5
IDONEI
SESSO N
F
M 19
ETÀ N
15/19 anni 6
20/24 anni 2
25/29 anni 6
30/34 anni 2
35/44 anni 3
Oltre 45 anni
TITOLO DI STUDIO N
Obbligo scolastico SMI
Diploma SMS
Laurea
Nessun titolo di studio 19
CITTADINANZA N
Italia
Stati UE
Stati extra UE 19
STATO OCCUPAZIONALE (avvio attività) N
Occupato
Disoccupato 19
Inoccupato
PERSONALE ADDETTO
Docenti
Coordinatori 1
Tutor 1
177
Lo Sportello ha registrato N. 148 persone e instaurato contatti complessivi utenti N.
230, considerati come Ritorni allo sportello delle persone iscritte al servizio. Sono prove-
nienti principalmente dalle seguenti 4 aree geografiche:
Fra questi utenti si contano:
Utenti Uomini Donne
N. 148 N. 67 N. 81
Divisi per le seguenti classi di età:
Fruitori per 15/19 anni 20/24 anni 25/29 anni 30/34 anni 35/44 anni Oltre 45 anni
classe di età
N. 148 10 19 28 30 46 15
Area
Geografica
Nazioni di
provenienza
(in ordine per
gruppo di appar-
tenenza)
N. Totale 148
Africa
Etiopia * 25
Marocco 19
Tunisia 8
Eritrea 4
Nigeria 4
Senegal, Kenya
Egitto, C.Avorio,
Sudan, S.Leone,
G.Bissau, Ghana,
Algeria 13
75
Est - Europa e
area balcanica
(Ex-Yugoslavia)
Albania 10
Moldavia 8
Romania 8
Ucraina 4
Russia 4
Ex-Yugoslavia,
Bosnia 1
35
Sud- America
Ecuador 15
S. Domingo 5
Colombia 4
Brasile 2
Perù 1
27
Medio
Oriente/Oriente
India 5
Cina 3
Bangladesh 2
Pakistan 1
11
NB - Essendo l’attività ancora in corso mancano i dati complessivi relativi ai destinatari finali
ATTIVITÀ NON CORSUALI
2006-0160/ AA tip. Sportello EDSEG 12 ottobre 15 dicembre 44 settimane
Rer 57 Centro Modena 2006 2007 3 ore/giorno per 2 giorni/sett
Risorsa per donne immigrate
3 ore/giorno per 1 giorno/sett
per uomini immigrati
NB - Essendo l’attività ancora in corso mancano i dati complessivi relativi ai destinatari finali
2006-0160/ AS tip. Orientamento EDSEG 12 ottobre 15 dicembre 2 ore di colloquio
Rer 1.0 professionale Modena 2006 2007 350 ore totali
per immigrati 200 ore di front office
100 ore di coordinamento
50 ore di back office
NB - Essendo l’attività ancora in corso mancano i dati complessivi relativi ai destinatari finali
2006-0160/ AA tip. Sportello ENAC 14 settembre 30 luglio front office 372 ore
Rer 1.0 immigrati Fidenza (PR) 2006 2007 (10 ore settimanali su 3 giorni
lavorativi per 37 settimane)
back office 621 ore + 80 ore
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Presentazione delle attività (ancora in corso di svolgimento)
2006-0160/ AS tip. Attività di supporto alla realizzazione del progetto AECA - sede regionale
integrato e alla diffusione delle buone prassi
I. Fase di governo e coordinamento del progetto
Il Comitato di Coordinamento AECA ha compiti specifici che riguardano prioritariamente:
- il recepimento delle politiche regionali e la promozione del confronto di queste con gli scopi statutari
dell’Associazione AECA secondo quanto è stato indicato dal Consiglio direttivo dell’Ente;
- il presidio dell’accompagnamento al progetto integrato e ai singoli progetti che lo compongono, per
tutta la durata del progetto stesso;
- l’attivazione di misure di assistenza metodologica, gestionale e amministrativa, di pianificazione, di
valutazione e di coordinamento generale a garanzia dell’integrazione delle attività;
- la promozione di azioni di diffusione delle buone pratiche nell’ambito delle strutture associate e nei
confronti dell’esterno.
Ad esso partecipano i responsabili delle seguenti funzioni:
I. Funzione direzionale;
II. Funzione assistenza tecnica e accreditamento;
III. Funzione progettazione e coordinamento dei progetti;
IV. Funzione amministrativa;
V. Funzione gestione e sistema informativo.
Il Comitato Tecnico Scientifico è composto da esperti operanti “sul campo”, vale a dire professionisti
che possono vantare un’esperienza significativa nei confronti della tipologia di utenti a cui viene rivolta
l’attività formativa.
II. Fase di integrazione delle attività che compongono il progetto integrato.
Sono stati realizzati 2 incontri di approfondimento rivolti agli operatori coinvolti, denominati Tavoli di
lavoro tematici, finalizzati alla realizzazione di interventi sempre più rispondenti al mutare delle neces-
sità formative e dei bisogni sociali degli immigrati e che risultano strategici per l’integrazione e per il
miglioramento della vita delle persone immigrate. Tali incontri hanno fornito utili indicazioni per le
prossime programmazioni. Per arricchire ulteriormente questo momento di lavoro ci si è raccordati con
le altre attività rivolte a persone immigrate, favorendo la partecipazione degli operatori e delle operatrici
che stanno lavorando all’interno di altri progetti, in modo da favorire il confronto, la discussione, il tra-
sferimento di metodologie di lavoro, ecc. Complessivamente, il percorso, distribuito su 4 progetti rivolti
all’utenza straniera, si è snodato su 8 incontri da febbraio a luglio 2007 e ha visto una partecipazione
media di circa 15 persone.
L’attività di monitoraggio si divide in due tipologie: il monitoraggio quantitativo fa riferimento al moni-
toraggio fisico e a quello finanziario. Il monitoraggio qualitativo, si sostanzia in azioni di individuazione
degli aspetti eminentemente contenutistici delle azioni finanziate attivate nei diversi contesti, al fine di
garantire la valorizzazione e l’ottimizzazione di parametri qualitativi, nonché il sostegno ai progetti, per
favorirne l’impatto sul territorio, l’attività di mainstreaming e per rafforzare il ruolo delle reti di partena-
riato.
Quest’ultimo aspetto è collegato strettamente alla fase di valutazione, per cogliere gli aspetti qualitativi
ed innovativi, ma anche per individuare in tempo reale gli elementi di criticità che possono emergere. In
relazione a questa attività, AECA sta utilizzando il sistema predisposto che si compone di apposite
schede suddivise sia per tipologia di attività (AS, AA, AP), che per scansione temporale (ex ante, in iti-
nere, ex post).
III: Fase di supporto alla realizzazione del progetto e alla diffusione delle buone prassi
1. Azioni di supporto
Si è dato continuità ad un servizio, chiamato HI-mail che consiste in una sorta di newsletter telema-
tica, da intendersi come un vero è proprio strumento di comunicazione gestito direttamente dal pro-
ject leader.
L’identificazione e la diffusione di un’immagine/logo del progetto ha consentito di rendere immedia-
tamente riconoscibile l’attività dagli utenti stessi ma anche verso “l’esterno” contribuendo alla diffu-
sione dei risultati e dei prodotti realizzati.
AZIONE DI SISTEMA
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3.2. Centro di Formazione Professionale CNOS-FAP Bologna: PIN - Percorsi di INclu-
sione sociolavorativa per le persone immigrate 4
Il CNOS-FAP di Bologna ha realizzato con successo un corso specificatamente rivolto
a un’aula composta esclusivamente da 12 immigrati adulti (over 25 anni) extracomunitari
disoccupati, in regola con il permesso di soggiorno, Corso P.A. 2006-0159/Rer PIN Per-
corsi di Inclusione socio-lavorativa per le persone immigrate (parte di un progetto integrato
più ampio finanziato dalla Regione E-R con delibera di G.R. n. 06-001156 del 05.08.2006
ob. 3 B1).
Per quanto riguarda le finalità e i motivi fondanti del progetto, essi sono in linea con
quelli esposti nel precedente paragrafo 3.1, poiché l’azione qui descritta fa parte del PIN or-
ganizzato dall’AECA, ivi presentato.
Dati identificativi progetto:
n. sottoprogetto PA 2006-0159/RER del 05/08/2006 - Ob.3 B1
Titolo del percorso PIN, Percorsi di INclusione socio-lavorativa per le persone immigrate
Anno formativo 2007
Ore previste 400
Di cui stage 160
Data di avvio 19.03.2007
Data di termine 20.06.2007
Certificazione rilasciata Attestato di frequenza
Partecipanti 12
Descrizione del gruppo-classe e modalità di gestione.
Termine iscrizione lunedì 12 marzo 2007 ore 12 con n. 48 preiscritti.
Selezione.
Alle ore 14, del 12 marzo 2007, in presenza del coordinatore e di un docente di area
professionale, si sono svolte le formalità di identificazione dei soggetti candidati.
Si sono presentati in 46 candidati.
Dalle ore 15.00 alle ore 16.00, è stato somministrato un test scritto, per valutare la co-
noscenza del livello di italiano e di calcolo matematico.
Il giorno 15 marzo 2007, dalle ore 9, in presenza del direttore del corso, del tutor e del
coordinatore, si sono svolti i colloqui orali. Si sono presentati in 42 candidati che avevano
partecipato al test di selezione scritto.
La direzione, dato l’elevato numero di iscritti “over 25”, ha fatto richiesta di una varia-
zione del progetto relativo agli utenti, ottenendo la possibilità di inserire il 30% degli utenti,
con età inferiore al venticinquesimo anno di età.
2. Azioni di diffusione delle buone prassi
È stata aperta una sezione del sito AECA dedicata al progetto. Tale sezione contiene, oltre a una sin-
tesi del progetto stesso, i materiali prodotti nel corso delle attività.
Si intende inoltre proseguire nella redazione del Bilancio Sociale per il quale è iniziata la raccolta dei
dati utili. Tale strumento si è rivelato estremamente efficace nella diffusione sia interna che esterna
delle attività, ma anche dei risultati conseguiti. Come ultima attività prevista, sarà realizzato un docu-
mento finalizzato ad elaborare la “buona prassi” di lavoro sperimentata nel corso di questi ultimi
anni nei confronti delle donne immigrate.
4 Fonte: Informazioni tratte dalla Relazione finale redatta dal coordinatore e dal tutor, datata
27.06.2007.
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Sono state formate due graduatorie: la prima relativa agli over 25 anni, dalla quale
sono stati inseriti i primi otto allievi (pari al 70% di presenza nel corso su 12 candidati); la
seconda relativa agli under 25, dalla quale sono stati inseriti i primi quattro (30 % di pre-
senza nel corso su 12 candidati).
È stata stilata una lista di 12 candidati, affissa presso la segreteria.
I candidati aventi diritto a partecipare al corso, sono stati invitati a presentarsi il giorno
16.03.07, dalle ore 10.30 alle ore 12.30, per le indicazioni relative al corso che ha avuto
inizio il lunedì 19 marzo 2007.
Il tutor, con ogni partecipante al corso, ha redatto il “Patto formativo”, sottoscritto tra
utenti e Associazione CNOS-FAP.
Il gruppo classe si è presentato abbastanza eterogeneo dal punto di vista motivazionale
e delle competenze linguistiche, ma con una base comune di comprensione della lingua ita-
liana sufficiente.
I corsisti si sono sempre dimostrati molto attenti e interessati all’apprendimento dei
contenuti trattati, si è cercato di favorire la forma orale e il colloquio, in quanto la produ-
zione scritta risultava per alcuni particolarmente difficoltosa.
La convivenza tranquilla e il rispetto delle principali norme dello stare insieme, che un
contesto formativo richiede, ha reso buono l’apprendimento e il clima di rapporti interper-
sonali.
Durante lo stage i corsisti sono stati seguiti costantemente dal tutor e dal coordinatore
con telefonate e visite aziendali settimanali, per verificarne eventuali problemi che si pote-
vano creare.
Durante questo periodo non si sono verificati problemi particolari, anzi, i corsisti sono
stati contenti del rapporto di aiuto/sicurezza, che si è venuto a creare tra loro, il tutor e il co-
ordinatore.
Il corso è terminato il 20 giugno 2007 con un rientro in aula di due ore, nel quale i cor-
sisti hanno redatto un test di gradimento del corso.
Si sono raccolte le schede di presenza e di valutazione dello stage, compilate dalle ditte.
Si è discusso sulle proposte lavorative fatte e possibilità future.
Il tutor e il coordinatore si sono resi disponibili per attivarsi e dare loro un aiuto per
una ricerca di un’occupazione.
Non si sono verificate problematiche di abbandono. Al termine del corso tutti i dodici
partecipanti hanno frequentato un numero di ore superiore al 70%, con una media ore
corso/allievo uguale al 91%.
Articolazione del percorso formativo.
– Modulo 1, ore 30: Cultura italiana e orientamento al lavoro. Il sistema economico ita-
liano e il mercato del lavoro pari opportunità.
– Modulo 2, ore 210: Formazione al ruolo di “Costruttore su macchine utensili”. Lavora-
zione meccaniche (ore160); Tecnologia e lettura del disegno (ore 40); Sicurezza sul la-
voro e tutela all’ambiente (ore 10).
– Modulo 3, ore 160: Stage in azienda.
– Modulo 4, Accompagnamento e transizione al lavoro.
Metodologie della formazione. Materiali didattici, prodotti laboratori usati.
– Lezioni frontali in aula utilizzando dispense e appunti, inerenti gli argomenti trattati.
– Uso di lucidi e lavagna luminosa, filmati (VHS/DVD) e CD ROM.
– Lavori di gruppo. Esercitazioni pratiche.
– Verifiche di apprendimento in itinere dei singoli moduli.
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– Aula didattica attrezzate di lavagna luminosa, e proiettore.
– Aula attrezzata di informatica (una postazioni per allievo, una postazione docente, un
videoproiettore).
– Aula attrezzata con macchine utensili CNC (tornio, fresatrice).
– Laboratorio con attrezzature meccaniche e macchine utensili.
Visite guidate
Sono state programmate due visite.
La prima il 20 aprile 2007 presso il Museo del patrimonio industriale di Bologna.
Obiettivo della visita è stato quello di illustrare il moderno distretto industriale e le storie di
piccole e medie imprese del territorio, le tipologie e le caratteristiche dei prodotti bolognesi
innovativi, soprattutto meccanici ed elettromeccanici, che hanno aiutato a costituire il pro-
cesso di formazione del distretto industriale bolognese e la sua articolazione nei comparti
delle macchine automatiche per il packaging e della motoristica.
La seconda il 4 maggio 2007 presso la ditta SIPLA s.r.l. di Crespellano (Bologna).
Obiettivo della visita è stato conoscere il processo di lavorazione di un prodotto, dalla pro-
gettazione, alla lavorazione alle MU, all’assemblaggio.
Aziende coinvolte in Stage
Lo stage si è svolto dal 23 maggio 2007 al 19 giugno 2007 per un totale di 160 ore. Le
ditte presso le quali si è realizzato lo stage sono state 12, una per ogni corsista, tutte del set-
tore meccanico del territorio bolognese.
Descrizione di eventuali altri progetti realizzati a sostegno dell’attività.
Nel modulo 1, si è riscontrata la necessità di approfondire la lingua italiana per tre cor-
sisti, dando loro un sostegno linguistico di dieci ore. Obiettivi dell’intervento sono stati: mi-
gliorare l’espressione orale, scritta e della comprensione; conoscere le regole basilari del
genere e del numero, della costruzione del presente indicativo e del passato prossimo; mi-
gliorare la pronuncia e l’uso degli aggettivi, la formula di cortesia e la formula confiden-
ziale nell’interlocuzione; sapersi presentare in maniera sufficientemente corretta e compren-
sibile; stilare un curriculum vitae in formato europeo.
Modalità di pubblicizzazione del corso
Attraverso volantini inviati ai CIP della Provincia di Bologna. Il corso è stato pubbli-
cizzato sul nostro sito, www.salesianibologna.it, CNOS-FAP Formazione Professionale e
presso la segreteria.
Ruoli, modalità, funzioni del coordinamento e tutoraggio
L’attività svolta dal progettista è stata tipo progettuale di dettaglio, organizzativa, di
controllo. Il progettista ha avuto la responsabilità del corso. Egli è altresì stato il referente
con gli uffici preposti per la parte organizzativo-burocratica dell’attività.
Il Coordinatore del corso ha seguito la direzione del progetto per eventuali problemi
sorti in itinere. Il coordinamento è stato di tipo didattico e del processo di apprendimento.
Ha curato gli acquisti del materiale di consumo essendo il punto di riferimento dei docenti.
Il tutor è la figura più vicina agli allievi. Si è fatto portavoce degli allievi verso il
gruppo docenti e verso il coordinatore del corso per ogni problematica sorta in seno al
gruppo.
Ha elaborato con i corsisti il patto formativo e ha proposto nuove strategie all’interno
dell’intervento formativo, in collaborazione con i docenti.
Ha operato in stretta collaborazione con il coordinatore per la realizzazione degli
stages.
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3.3. VIDES, Volontariato Internazionale Donna Educazione Sviluppo: Progetto
“Corso di italiano gratuito per stranieri” 5
Nel 2003 “Scuola di Accoglienza”6 ha realizzato un monitoraggio delle scuole di
lingua italiana per adulti immigrati attive in Bologna e provincia. Da tale ricerca sono state
rilevate circa cinquanta realtà attive7.
Attraverso questi dati si è verificata e scoperta la molteplicità di scuole presenti e la
loro diversità per utenza, modalità di insegnamento, strategie di lavoro utilizzate8.
Tutto questo ha spinto “Scuola di Accoglienza” a interessare l’Osservatorio provin-
ciale delle Immigrazioni di Bologna e a formare una équipe di lavoro composta da alcune
scuole: “Scuola di Accoglienza”, Associazione Centro Poggeschi, VIDES (Volontariato In-
ternazionale Donne Educazione Sviluppo), SIM (Scuola di Italiano per Migranti), “Trama
di terre” di Imola e Associazione Parapagal.
Di queste iniziative per la conoscenza della lingua italiana, figura quella del VIDES
presentata nel presente paragrafo.
Dati identificativi del progetto
L’associazione VIDES è una ONG, riconosciuta dal Ministero degli Affari Esteri (DM
1991/128/01017/6) ed iscritta nel registro provinciale delle organizzazioni di volontariato
(LR n. 12 del 21.02.2005 - art. 25, comma 2 con deliberazione n. 12/2007) e opera in
campo internazionale e a livello sociale con iniziative a favore dello sviluppo e dell’educa-
zione della persona, con speciale attenzione per la donna. L’associazione nasce dallo spirito
e dall’esperienza educativa salesiana dell’istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice.
Qui a Bologna da ormai quattordici anni il gruppo VIDES locale ha attivato una scuola
di italiano per stranieri per rispondere alle loro esigenze di istruzione, conoscenza della
lingua ed integrazione.
Descrizione sintetica del progetto
Il Progetto “Corso di italiano gratuito per stranieri” è un’azione volta all’apprendi-
mento della lingua italiana e all’integrazione di cittadini stranieri.
Nel corso degli anni si sono registrati i seguenti iscritti: nell’anno scolastico
5 La fonte di questo paragrafo è il Progetto del corso medesimo, fornito dalla prof.ssa suor Gra-
ziella Pezzotta, coordinatrice del corso ed esperta del settore. Recapito: Via Jacopo della Quercia, 5 -
Bologna, Tel. 051.35.69.77.
6 Il progetto “Scuola di Accoglienza” è un gruppo di soggetti che intende mettere in rete il
mondo del volontariato, le istituzioni, le associazioni del territorio coinvolgendo la comunità locale.
Di essa si parla nel capitolo 2 del presente report.
7 Alcuni esempi per Bologna-città: CGIL (Centro Lavoratori Stranieri), Centro Poggeschi,
VIDES (Volontariato Internazionale Donne-educazione-sviluppo), CISL, CIDIS/Alisei, SIM (Scuola
Italiano Migranti), corsi del Comune di Bologna (presso l’Istituto Aldini Valeriani), Punto d’Ascolto,
CD/LEI, Polo Interetnico/AIPI, Famiglie Insieme Gruppo di volontariato. Per la provincia di Bo-
logna: Che la Festa Continui (Casalecchio di Reno). Trama di Terre (lmola), Comune di Monzuno,
Arc En Ciel (Castel San Pietro T.), Centri Territoriali Permanenti (CTP) di Bologna, Centro EDA
presso Scuola media Besta, Istituto Comprensivo Dozza. Centri Territoriali Permanenti della pro-
vincia di Bologna: Centro EDA presso la Scuola media Mameli (San Giovanni in Persicelo), altri
Centri Territoriali Permanenti nei Comuni di Minerbio, Imola e Castiglione dei Pepoli.
8 La ricerca menzionata, intitolata “NonSoloItaliano. Le scuole di italiano per migranti adulti a
Bologna e provincia” è stata pubblicata su “Comune, Provincia, Prefettura UTG di Bologna: Osserva-
torio delle Immigrazioni (www.provincia.bologna.it/immigrazione/documenti), anno 2005, numero 1,
agosto 2005.
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1997/1998 n. 240; nel 1998/1999 sono stati 500, nel 1999/2000 circa 630, nel 2000/01 n.
648, nel 2001/02 n. 680, nel 2002/03 n. 500, nel 2003/04 n. 450, nel 2004/05 n. 430, nel
2005/06 n. 480 e nel 2006/07 n. 400.
Le loro provenienze sono le più svariate: Marocchini, Nigeriani, Ruandesi, Somali,
Eritrei, Egiziani, Cinesi, Indiani, Croati, Russi, Cechi, Polacchi, Ucraini, Slovacchi, Paki-
stani, Cingalesi, ecc.
Il corso si prefigge di fare acquisire una buona conoscenza della lingua italiana scritta
e parlata, attraverso un livello sempre più approfondito di integrazione e socializzazione.
Il gruppo, che si viene a formare, infatti, essendo di pluriappartenenza sia linguistica
che culturale, mira a divenire luogo di amicizia, di scambio, di confronto e opportunità di
istruzione.
Oltre alle lezioni organizzate, come si dirà più sotto, sono previsti momenti di festa,
escursioni insieme e visita turistica a qualche significativa città italiana.
Frequenza e durata del corso
Il corso si tiene due volte alla settimana: il martedì dalle 18,30 alle 20,30 e il sabato
dalle 15,00 alle 17,00, dal mese di ottobre al mese di maggio.
Volontari presenti
I volontari, che prestano servizio al corso come insegnanti, o in altre forme (accompa-
gnamento, preparazione materiale, coordinamento) sono circa 25.
Articolazione del corso
Il corso si articola in quattro livelli di conoscenza della lingua italiana.
All’arrivo, gli iscritti permangono per alcune lezioni in un gruppo d’accoglienza nel
quale gli insegnanti determinano il livello e mettono a punto la preparazione degli allievi
affinché possano entrare nel primo livello.
Nel livello 0 vengono inseriti gli iscritti che non hanno alcun tipo di scolarizzazione,
perché imparino a leggere e scrivere le cose fondamentali della nostra lingua, oltre che ad
esercitare le competenze di ascolto e produzione orale della lingua.
Il primo livello è seguito da coloro che devono apprendere la fonetica della nostra
lingua, lettura e scrittura.
Il secondo livello è seguito da coloro che comprendono il linguaggio parlato e devono
appropriarsi della produzione del linguaggio verbale e scritto. Approfondiscono le compe-
tenze di lettura, scrittura e produzione orale, perfezionando le proprie basi grammaticali e
sintattiche.
Per ogni gruppo di livello (solitamente del livello 0 si formano due o tre gruppi) sono
presenti tre insegnanti per le caratteristiche particolari che il gruppo stesso presenta.
Metodologia e materiali didattici. Ambienti
Alcuni volontari hanno competenze didattiche e di insegnamento derivate dalla loro
personale formazione scolastica e professionale, comunque per tutti sono previsti incontri
di confronto e di formazione per trovare le metodologie più adeguate per costruire le ore di
lezione.
Di fondo tutti i volontari seguono un metodo definibile come funzionale-comunica-
tivo, basato sull’approccio alla lingua viva, preoccupato del rinforzo grammaticale solo
dopo o durante l’apprendimento della espressioni linguistiche indispensabili per lo sviluppo
delle varie funzioni della lingua. Oltre ai libri di testo vengono usati materiali autentici,
scelti tra quanto gli iscritti incontrano nella loro vita reale: formulari, moduli da compilare,
cartelli pubblicità, annunci di giornale, ecc.
Altre tematiche essenziali sono: la conoscenza degli usi e costumi della nostra tradi-
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zione, le abitudini dei giovani, delle famiglie, nella nostra società, il confronto con i loro
stili di vita e modi di pensare.
Per lo svolgimento del corso, vengono utilizzati: libri di testo per stranieri, libri per le
classi del primo e del secondo ciclo delle classi elementari, libri per le classi medie, riviste,
quotidiani, opuscoli, schede didattiche per le valutazioni. Vengono inoltre impiegate foto-
copie di materiali (dialoghi, esercizi preparati dai volontari), audiocassette, videocassette,
diapositive, lucidi, registratori, proiettore, televisore, ecc.
Le verifiche parziali sono fissate ogni due mesi e tengono conto del percorso forma-
tivo complessivo della persona.
La verifica finale permetterà di dare una valutazione sommaria del corso stesso che
sarà riscontrabile nella costante frequenza degli allievi e nel raggiungimento degli obiettivi
minimi e massimi. Viene rilasciato un attestato di frequenza.
Gli ambienti, nei quali si tiene il corso, sono quelli della Scuola Primaria “Maria Ausi-
liatrice” di via Jacopo della Quercia 5.
Sono a disposizione dell’Associazione le sei aule completamente attrezzate, una sala
attigua per riunioni, la fotocopiatrice, la lavagna luminosa, un televisore con videoregistra-
tore, registratori.
Esperienze extra corsuali
Nel corso degli anni, l’esperienza di gruppo si è maturata e ha sentito l’esigenza di tro-
vare altri tempi e spazi di incontro. I primi, nati spontaneamente, sono i momenti di festa
(compleanno, Natale, Pasqua...) ai quali sono seguiti momenti di aggregazione attorno al
gioco e allo sport.
Ogni domenica pomeriggio dalle 15.00 alle 19.00, in numero di 15 circa, i giovani fre-
quentanti il corso con gli animatori VIDES si incontrano presso l’Istituto delle FMA per or-
ganizzare partite di calcio, pallavolo e basket.
Prospettive future
Ogni anno si potenzia lo sviluppo del servizio di accoglienza e di orientamento degli
iscritti.
Molti infatti necessitano, oltre che dell’apprendimento della lingua italiana, anche di
informazioni e di indicazioni riguardanti il lavoro, i documenti, la scuola per i figli, la sa-
lute.
La nostra associazione vuole quindi porsi come anello di congiunzione tra questi im-
migrati e le altre realtà presenti sul territorio che si occupano di cittadini stranieri, spesso da
loro non conosciute o troppo complicate da avvicinare.
Tale servizio viene svolto anche in collaborazione con il CFP CIOFS/FP di via Jacopo
della Quercia, 4 Bologna, per gli immigrati in possesso del permesso di soggiorno.
3.4. CNOS-FAP Bologna: stranieri inseriti nei corsi di Formazione Professionali 9
Dati identificativi
I dati riportati fanno riferimento ai corsi avviati nell’anno formativo 2005-2006 e rea-
lizzati negli anni formativi 2005-2007; essi appartengono a due diverse tipologie formative
(Obbligo Formativo e formazione post diploma), che hanno avuto una presenza in aula di
9 Il testo fa riferimento alla Scheda riepilogativa delle attività di FP svolte nell’anno 2005-2006,
nel Centro di Formazione Professionale CNOS-FAP di Bologna e di Castel de’ Britti.
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giovani immigrati/e. Essi sono 5 corsi biennali di Obbligo Formativo avviati nel periodo ot-
tobre 2005 e conclusi a giugno 2007, finanziati dalla Provincia di Bologna; 2 corsi post di-
ploma realizzati nell’anno formativo 2005-2006, finanziati dalla Provincia di Bologna.
Destinatari
Il numero totale degli allievi iscritti nel CFP nell’anno formativo 2005-2006 è di 220;
di essi gli allievi immigrati sono stati 51 (42 maschi e 9 femmine).
Distribuzione degli allievi immigrati in base all’età: fino a 18 anni: n. 48; 18-25 anni:
n. 1; oltre 25 anni: n. 2.
Distribuzione degli allievi immigrati in base alla provenienza: Africa: n. 4, America
Latina: n. 2, Asia: n. 19, Europa dell’Est: n. 12.
Esiti dell’intervento formativo
Tra gli immigrati iscritti nell’anno formativo 2005-06: si sono qualificati 33 allievi
(pari al 65%); hanno abbandonato il corso, durante l’anno, 18 allievi (35%); nessun allievo
è stato respinto al termine del corso.
Descrizione delle attività formative
Tipologie di corsi frequentati dagli immigrati negli ultimi 5 anni:
Attività di supporto alla formazione degli immigrati negli ultimi 5 anni:
Corsi nel settore: 02-03 03-04 04-05 05-06 06-07
Meccanico
Sedi CNOS-FAP di Bologna e Castel dè Britti x x x x x
Grafica multimediale
Sede CNOS-FAP Bologna x x x x x
altri corsi: falegnameria
Sede CNOS-FAP di Castel dè Britti x x x x x
altri corsi: termoidraulica e saldatura
Sede CNOS-FAP di Castel dè Britti x x x x x
altri corsi (per adulti, per occupati, per disoccupati...)
Attività di supporto agli immigrati 02-03 03-04 04-05 05-06 06-07
Informazione x x x x x
Accoglienza x x x x x
Orientamento x x x x x
Bilancio competenze
Counseling allievi
Counseling formatori
Counseling famiglie
altri servizi: alfabetizzazione/recupero linguistico x x x x x
altri servizi: sostegno all’inserimento lavorativo x x x x x
altri servizi: educazione allo sport, alla salute,
affettività e benessere x x x x x
altri servizi: educazione interculturale x x x x x
altri servizi: educare alla cittadinanza democratica x x x x x
altri servizi:
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3.5. Confartigianato di Bologna, Associazione Seneca 10: sportelli di orientamento per
immigrati 11
La presente attività fa parte del progetto “Equal S.C.I. - Sostenere la Competitività In-
dividuale”, finanziato dalla Regione Emilia Romagna nell’ambito dell’Iniziativa Comuni-
taria Equal - Fase II.
Le attività del progetto S.C.I. sono sviluppate da cinque partners: Confartigianato Fe-
derimprese di Bologna; Seneca Agenzia Formativa; BBJ Consult AG Rappresentanza Ita-
liana; Università di Bologna Dipartimento di Scienze Statistiche; Forum Metropolitano Fe-
derazione Associazioni Cittadini Immigrati Bologna e Provincia.
Obiettivo del progetto è utilizzare la leva dell’apprendimento per combattere le discri-
minazioni e le disuguaglianze nel mercato del lavoro, intervenendo sulla professionalità dei
lavoratori immigrati in Emilia Romagna.
II progetto ha una durata di 24 mesi e si articola in diverse attività. Tra queste, figu-
rano 4 sportelli di orientamento per fornire informazioni su lavoro, scuola, casa, sanità e
permesso di soggiorno.
Esistono, così, a Bologna e Ravenna, gli sportelli di orientamento del Progetto Equal
S.C.I., strumenti pensati per favorire i processi di integrazione della popolazione straniera
residente attraverso la fornitura di informazioni su lavoro, scuola, casa, sanità e permesso di
soggiorno agli stranieri, agli italiani, alle imprese, alle Istituzioni e alle Associazioni.
Il progetto nasce dalla collaborazione tra Confartigianato Federimprese Bologna, As-
Metodologie utilizzate nella formazione degli immigrati negli ultimi 5 anni:
Metodologie 02-03 03-04 04-05 05-06 06-07
E-learning
FAD
Stage x x x x x
LARSA
Apprendimento cooperativo x x x x x
Peer tutoring
Educazione Interculturale x x x x x
Altre: Tutoring di sostegno linguistico,
e di supporto stage e inserimento lavorativo x x x x x
Personale di sostegno impegnato con gli immigrati negli ultimi 5 anni:
Personale di sostegno 02-03 03-04 04-05 05-06 06-07
n. formatori di sostegno
n. mediatori interculturali x x x x
n. personale specialistico (psicologi...)
10 Seneca è un’associazione senza fini di lucro che svolge la propria attività nel settore della for-
mazione professionale dal 1988 con l’obiettivo di lavorare per lo sviluppo e la riqualificazione delle
risorse umane. È certificata UNI ENI ISO 9001:2000 ed è accreditata per tutte le tipologie formative,
ad eccezione dell’obbligo scolastico e dell’handicap. Seneca realizza progetti i cui obiettivi sono
quelli di creare nuove prospettive occupazionali a giovani e adulti. www.Senecabo.it.
11 Il progetto, qui riportato, è tuttora operativo, con buona affluenza di utenti. Le informazioni
qui riportate sono state trasmesse dalla Dott.ssa Patrizia Lelli, presente al forum del 18 ottobre 2007
all’Istituto salesiano di Bologna.
187
sociazione Seneca, BBJ Italia, Forum Metropolitano delle Associazioni dei Cittadini non
comunitari di Bologna, Dipartimento di Scienze Statistiche dell’Università di Bologna e
vede la collaborazione di: Assessorato all’immigrazione del Comune di Ravenna, AGCI-
Bologna, Cooperativa Nuova Sanità, CTP Dozza, Sindacato UIL.
Lo scopo del progetto è quello di agire sull’attuale situazione in cui molti cittadini extra-
comunitari sono oggetto di discriminazione nell’accesso al mondo del lavoro in posizione qua-
lificate mentre il settore delle PMI trova difficoltà a reperire mano d’opera qualificata da in-
serire immediatamente in organico: un evidente caso di domanda e offerta che faticano ad in-
contrarsi anche per difficoltà burocratiche e organizzative che gli sportelli contribuiranno ad
eliminare.
In ognuna della due città sono stati creati uno sportello per lavoratori stranieri ed uno
per aziende che hanno come scopo la creazione di una rete tra mondo imprenditoriale e
mondo della solidarietà finalizzata all’inserimento degli immigrati nel contesto lavorativo e
sociale attraverso un preciso percorso formativo.
Il progetto vuole individuare i punti di forza e di debolezza rispetto alle competenze
dei lavoratori immigrati per coniugarli con le esigenze delle imprese: per questo sono stati
creati anche percorsi individuali a favore dei lavoratori a rischio di espulsione per favorirne
la riconversione professionale in sintonia con le vocazioni del mercato del lavoro. Non
mancano poi progetti volti ad accrescere l’adattabilità della forza lavoro in alcuni contesti
produttivi quali: PMI e distretti industriali, a seguito dei cambiamenti necessari per affron-
tare la competizione tecnologica e la globalizzazione dei mercati.
Il progetto avrà una ricaduta sul sistema consentendo: l’accesso facilitato dei cittadini
extracomunitari al mondo del lavoro grazie all’incremento delle competenze linguistiche, di
base e tecnico professionali; maggiore facilità nel reperimento di mano d’opera da parte
delle imprese; inserimento di una metodologia formativa innovativa che permette una per-
sonalizzazione degli interventi.
Due sportelli si trovano a Bologna: Sportello lavoratori stranieri, in via Sacco 14 c/o
sede Forum Metropolitano (operatore Ahmad Namaki Eraghi); Sportello aziende, in via
Majorana 2/e c/o Confartigianato (operatrice Isa Carpi). Altri due sportelli sono ubicati a
Ravenna: Sportello lavoratori stranieri, in via Alberoni 16 c/o Unità Operativa Politiche per
l’Immigrazione (operatrice Laura Giorgini); Sportello aziende, in via Classicana 313 c/o
A.G.C.I. (operatrice Serena Brunelli).
“Con questa iniziativa - ha dichiarato il Segretario provinciale di Confartigianato Fe-
derimprese Bologna Agostino Benassi - vogliamo fornire agli immigrati un servizio che sia
loro realmente utile nella vita di tutti i giorni, un luogo in cui non sarà offerto un lavoro ma
sarà loro detto cosa fare per accedere al mercato del lavoro, non daremo loro una casa ma
gli verrà detto cosa gli serve per cercarla e dove farlo. Si tratterà di un orientamento af-
finché possano superare le difficoltà burocratiche che ogni giorno si trovano ad affrontare
senza avere gli strumenti per farlo. Sarà poi un servizio utile anche alle nostre imprese che
hanno già alle loro dipendenze lavoratori immigrati, o che intendono assumerli in futuro,
per la soluzione dei piccoli e grandi problemi dovuti alle diversità culturali”.
3.6. Confartigianato di Bologna: gli assesment center 12
La presente attività, come quella presentata nel precedente paragrafo, fa parte del pro-
getto “Equal S.C.I. - Sostenere la Competitività Individuale”, finanziato dalla Regione
12 Le informazioni qui riportate sono state trasmesse dalla Dott.ssa Patrizia Lelli.
188
Emilia Romagna nell’ambito dell’Iniziativa Comunitaria Equal - Fase II. Le attività del pro-
getto S.C.I, sono sviluppate da cinque partners: Confartigianato Federimprese di Bologna;
Seneca Agenzia Formativa; BBJ Consult AG Rappresentanza Italiana; Università di Bo-
logna Dipartimento di Scienze Statistiche; Forum Metropolitano Federazione Associazioni
Cittadini Immigrati Bologna e Provincia.
Obiettivo del progetto è utilizzare la leva dell’apprendimento per combattere le discri-
minazioni e le disuguaglianze nel mercato del lavoro, intervenendo sulla professionalità dei
lavoratori immigrati in Emilia Romagna.
II progetto ha una durata di 24 mesi e si articola in diverse attività: sono già stati aperti
4 sportelli di orientamento a Bologna e Ravenna per fornire informazioni su lavoro, scuola,
casa, sanità e permesso di soggiorno.
In questo caso, è sperimentata la metodologia dell’Assessment Center al fine di rico-
noscere le esperienze e le competenze dei lavoratori stranieri, attraverso 8 sessioni di asses-
sment che coinvolgeranno 96 utenti complessivi.
L’Assessment Center (letteralmente: centro di valutazione) è una metodologia innova-
tiva per la diagnosi delle competenze chiave e delle potenzialità dei lavoratori immigrati co-
munitari e non comunitari occupati.
Il modulo standard dell’Assessment Center ha una durata di 4 giorni per un totale di 12
ore, che possono variare a seconda delle caratteristiche degli utenti. I candidati, individual-
mente o suddivisi in piccoli gruppi, devono svolgere una serie di esercizi pratici durante i
quali vengono osservati da operatori con formazione specifica. Seguono dei colloqui indivi-
duali, nei quali si individua, con la partecipazione dell’interessato, un profilo delle compe-
tenze, che funge da base per i percorsi formativi e professionali successivi.
I criteri di osservazione fondamentali riguardano: la capacità di lavorare in team, la co-
municazione, la produttività, la capacità di risolvere problemi, la tolleranza alla frustra-
zione, la sistematicità di lavoro, la motivazione, l’esattezza, il reperimento e la gestione
delle informazioni, la responsabilità, la capacità di risolvere conflitti, l’autonomia, l’auto-
responsabilità, le tecniche di conversazione.
189
Appendice 1
Statistiche a cura dell’Osservatorio
sul fenomeno migratorio della Regione Emilia-Romagna
e del Dossier Statistico Caritas
1. Permessi di soggiorno
Tav. 1.1. Stima dei soggiornanti stranieri in Emilia-Romagna
per province e in Italia al 31.12.2005
Province Stima 2005 di cui minori
v. a. %
Bologna 69.793 14.781 21,2
Ferrara 14.841 2.681 18,1
Forlì-Cesena 26.298 5.169 19,7
Modena 57.022 13.812 24,2
Parma 30.999 6.696 21,6
Piacenza 20.687 4.878 23,6
Ravenna 27.202 4.839 17,8
Reggio Emilia 45.796 11.407 24,9
Rimini 19.485 3.364 17,3
Regione Emilia-Romagna 312.123 67.627 21,7
Italia 3.035.144 586.483 19,3
Fonte: Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes.
Elaborazioni su dati del Ministero dell’Interno e dell’ISTAT
2. Residenti
Tav. 2.1. Residenti stranieri per comune all’1.1.2006 nella regione Emilia-Romagna.
Primi 50 Comuni
Comune V.a. %
1 Bologna 28.112
2 Modena 17.593
3 Reggio nell’Emilia 17.133
4 Parma 14.630
5 Ravenna 10.442
6 Piacenza 9.301
7 Rimini 8.959
8 Forlì 6.847
9 Carpi (MO) 5.350
10 Ferrara 5.014
11 Cesena (FC) 5.003
12 Sassuolo (MO) 3.899
13 Faenza (RA) 3.223
190
14 Imola (BO) 3.063
15 Mirandola (MO) 2.150
16 Castelfranco Emilia (MO) 2.055
17 Vignola (MO) 2.030
18 Riccione (RN) 1.990
19 Casalecchio di Reno (BO) 1.957
20 Correggio (RE) 1.786
21 Lugo (RA) 1.754
22 Cento (FE) 1.749
23 Formigine (MO) 1.547
24 Cervia (RA) 1.544
25 Castel San Giovanni (PC) 1.526
26 Savignano sul Rubicone (FC) 1.491
27 Salsomaggiore Terme (PR) 1.490
28 Novellara (RE) 1.479
29 Fidenza (PR) 1.438
30 Cesenatico (FC) 1.411
31 Luzzara (RE) 1.407
32 Guastalla (RE) 1.347
33 Crevalcore (BO) 1.297
34 San Lazzaro di Savena (BO) 1.278
35 Bellaria-Igea Marina (RN) 1.268
36 Argenta (FE) 1.241
37 Scandiano (RE) 1.229
38 San Giovanni in Persiceto (BO) 1.217
39 Novi di Modena (MO) 1.196
40 Pavullo nel Frignano (MO) 1.148
41 Fiorenzuola d’Arda (PC) 1.146
42 Spilamberto (MO) 1.135
43 Nonantola (MO) 1.018
44 Finale Emilia (MO) 1.013
45 Rubiera (RE) 989
46 Cadelbosco di Sopra (RE) 936
47 Budrio (BO) 930
48 Castel San Pietro Terme (BO) 928
49 San Mauro Pascoli (FC) 925
50 Colorno (PR) 917
Totale 188.531 65,23
Altri Comuni 100.482 34,77
Regione Emilia-Romagna 289.013 100,00
Fonte: Elaborazione Osservatorio sul fenomeno migratorio su dati
Servizio controllo di gestione e sistemi statistici - RER
191
Tav. 2.2. Incidenza stranieri residenti su popolazione residente totale all’1.1.2006 nella regione
Emilia-Romagna. Primi 50 Comuni. Valori percentuali
Comune % stranieri
1 Galeata (FC) 15,77
2 Luzzara (RE) 15,77
3 Rolo (RE) 14,32
4 San Possidonio (MO) 13,35
5 Boretto (RE) 12,41
6 Monghidoro (BO) 12,33
7 Grizzana Morandi (BO) 12,09
8 Castel San Giovanni (PC) 11,87
9 Vergato (BO) 11,65
10 Agazzano (PC) 11,62
11 Guiglia (MO) 11,54
12 Castel del Rio (BO) 11,48
13 Fabbrico (RE) 11,38
14 Novellara (RE) 11,31
15 Fornovo di Taro (PR) 11,22
16 Zocca (MO) 11,00
17 Sarmato (PC) 10,98
18 Loiano (BO) 10,94
19 Campagnola Emilia (RE) 10,92
20 Novi di Modena (MO) 10,90
21 Reggio nell’Emilia 10,89
22 Mezzani (PR) 10,85
23 Civitella di Romagna (FC) 10,85
24 Serramazzoni (MO) 10,70
25 Borgo Tossignano (BO) 10,65
26 Borgonovo Val Tidone (PC) 10,57
27 Colorno (PR) 10,57
28 Galliera (BO) 10,56
29 Crevalcore (BO) 10,24
30 Calestano (PR) 10,19
31 San Prospero (MO) 10,17
32 Bazzano (BO) 10,08
33 Torriana (RN) 10,04
34 Spilamberto (MO) 9,92
35 Premilcuore (FC) 9,92
36 Cadelbosco di Sopra (RE) 9,76
37 Modena 9,75
38 Palagano (MO) 9,72
39 Villanova sull’Arda (PC) 9,57
40 Conselice (RA) 9,48
41 Sassuolo (Mo) 9,36
42 Piacenza 9,36
43 Rio Saliceto (Re) 9,34
44 Mirandola (Mo) 9,33
45 Castello di Serravalle (Bo) 9,33
46 Dovadola (Fc) 9,33
47 Langhirano (Pr) 9,32
192
48 Castelnovo di Sotto (Re) 9,30
49 Guastalla (Re) 9,23
50 Savignano sul Rubicone (Fc) 9,22
Regione Emilia-Romagna 6,90
Fonte: Elaborazione Osservatorio sul fenomeno migratorio - RER su dati
Servizio controllo di gestione e sistemi statistici - RER
Tav. 2.3. Stranieri residenti in Emilia-Romagna all’1.1.2006
e incidenza sulla popolazione residente per Provincia
Provincia Stranieri residenti Incidenza % stranieri
M F Totale M F Totale
Piacenza 11.320 10.268 21.588 8,4 7,2 7,8
Parma 15.892 14.906 30.798 7,9 7,0 7,4
Reggio Emilia 22.814 19.990 42.804 9,4 8,0 8,7
Modena 29.599 25.489 55.088 9,1 7,5 8,3
Bologna 30.817 30.764 61.581 6,7 6,3 6,5
Ferrara 6.350 7.094 13.444 3,8 3,9 3,8
Ravenna 12.298 10.974 23.272 6,9 5,8 6,3
Forlì-Cesena 12.296 10.616 22.912 6,7 5,5 6,1
Rimini 8.630 8.896 17.526 6,1 6,0 6,0
Totale 150.016 138.997 289.013 7,4 6,5 6,9
Fonte: Servizio controllo di gestione e sistemi statistici - RER
Tav. 2.4. Residenti in Emilia-Romagna all’1.1.2006. Prime venti nazionalità
Paesi di cittadinanza %
1 Marocco 17,3
2 Albania 13,8
3 Romania 6,5
4 Tunisia 6,2
5 Cinese, Rep. Popolare 5,2
6 Ucraina 4,3
7 Pakistan 3,3
8 India 3,0
9 Moldova 2,9
10 Filippine 2,8
11 Ghana 2,5
12 Senegal 2,4
13 Macedonia (ex Rep. Jugos.) 2,1
14 Polonia 2,0
15 Nigeria 1,9
16 Serbia e Montenegro 1,4
17 Bangladesh 1,2
18 Sri Lanka (ex Ceylon) 1,2
19 Turchia 1,1
20 Egitto 0,9
Altri Paesi 18,0
Totale 100,0
Fonte: elaborazione Osservatorio sul fenomeno migratorio -
RER su dati Servizio controllo di gestione e sistemi statistici - RER
193
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194
4. Mercato del lavoro
Tav. 4.1. Distribuzione dei lavoratori subordinati (*)
per area di provenienza nella Regione Emilia-Romagna. Anno 2005
Area di provenienza N. %
Italia 1.234.280 85,56
UE 27.127 1,88
Extra UE 181.254 12,56
Totale 1.442.661 100,00
Fonte: Elaborazione Osservatorio sul fenomeno migratorio - RER su dati INAIL
(*) I lavoratori riportati in tabella si riferiscono alle persone, contate una sola volta, che nel corso del 2005
hanno lavorato almeno un giorno
Tav. 4.2. Distribuzione dei lavoratori subordinati extracomunitari (*)
per Provincia nella Regione Emilia-Romagna. Anno 2005
Provincia Extra UE %
Bologna 39.678 21,89
Ferrara 6.667 3,68
Forlì 17.107 9,44
Rimini 15.435 8,52
Modena 32.966 18,19
Parma 16.024 8,84
Piacenza 11.865 6,55
Ravenna 17.540 9,68
Reggio Emilia 23.972 13,23
Regione Emilia-Romagna 181.254 100,00
Fonte: Elaborazione Osservatorio sul fenomeno migratorio - RER su dati INAIL
(*) I lavoratori riportati in tabella si riferiscono alle persone, contate una sola volta, che nel corso del 2005
hanno lavorato almeno un giorno
Tav. 4.3. Distribuzione dei lavoratori subordinati extracomunitari (*)
per settore economico nella Regione Emilia-Romagna. Anno 2005
Settore d’impiego (**) Extra UE %
Agricoltura 12.115 6,68
Pesca 47 0,03
Estrazione di Minerali 136 0,08
Industria 57.215 31,57
Elettricità, gas, acqua 182 0,10
Costruzioni 28.046 15,47
Commercio 12.847 7,09
Alberghi e ristoranti 21.741 11,99
Trasporti 10.027 5,53
Intermediazione finanziaria 491 0,27
Informatica e servizi alle imprese 16.045 8,85
Pubblica amministrazione 1.388 0,77
Istruzione 469 0,26
Sanità e assistenza sociale 5.291 2,92
Servizi Pubblici 6.385 3,52
Attività svolte da famiglie 5.587 3,08
Attività non determinate 3.242 1,79
Totale 181.254 100,00
Fonte: Elaborazione Osservatorio sul fenomeno migratorio - RER su dati INAIL
(*) I lavoratori riportati in tabella si riferiscono alle persone, contate una sola volta, che nel corso del 2005
hanno lavorato almeno un giorno
(**) La voce Industria comprende le seguenti voci: Industria alimentare, tessile, conciaria, del legno, della carta,
del petrolio, chimica, della gomma, di trasformazione, dei metalli, meccanica, elettrica, dei mezzi di tra-
sporto, altre industrie. La voce Commercio comprende le seguenti voci: Commercio e riparazioni di auto,
Commercio all’ingrosso, Commercio al dettaglio
195
Appendice 2
Popolazione straniera residente al 31/12/2006
nella Provincia di Bologna per cittadinanza e sesso
Fonte: elaborazione dell’Ufficio di Statistica della Provincia di Bologna su dati delle Anagrafi comunali, modello P3.
Popolazione straniera residente al 31/12/2006
nella Provincia di Bologna per cittadinanza e sesso. Dati provvisori
Cittadinanza Maschi Femmine TOT
153 TOTALE 32.808 32.982 65.790
1 Marocco 6.909 5.383 12.292
2 Albania 3.239 2.618 5.857
3 Romania 2.416 2.883 5.299
4 Filippine 1.834 2.281 4.115
5 Tunisia 2.373 1.252 3.625
6 Pakistan 2.357 923 3.280
7 Cina, Rep. Pop. 1.653 1.534 3.187
8 Bangladesh 1.996 1.013 3.009
9 Ucraina 451 2.363 2.814
10 Moldavia 731 1.551 2.282
11 Polonia 310 1.214 1.524
12 Sri Lanka 856 606 1.462
13 Serbia-Montenegro 672 631 1.303
14 Perù 357 538 895
15 Eritrea 298 379 677
16 Nigeria 253 382 635
17 Senegal 476 156 632
18 India 377 244 621
19 Egitto 434 158 592
20 Macedonia 317 273 590
21 Francia 200 321 521
22 Brasile 141 343 484
23 Germania 171 280 451
24 Russia 68 366 434
25 Regno Unito 190 239 429
26 Ghana 230 183 413
27 Grecia 221 156 377
28 Cuba 65 292 357
29 Croazia 145 199 344
30 Spagna 74 256 330
31 Turchia 184 140 324
32 Iran 184 140 324
33 Stati Uniti d’America 149 170 319
34 Camerun 190 126 316
35 Ecuador 129 171 300
36 Algeria 180 84 264
37 Argentina 83 142 225
38 Etiopia 78 146 224
39 Dominicana, Rep. 70 153 223
196
40 Bosnia-Erzegovina 100 107 207
41 Bulgaria 64 135 199
42 Costa d’Avorio 78 115 193
43 Slovacchia 75 112 187
44 Colombia 64 108 172
45 Paesi Bassi 72 82 154
46 Giappone 42 112 154
47 Capo Verde 48 100 148
48 Somalia 35 111 146
49 Israele 72 55 127
50 Thailandia 13 112 125
51 Congo 63 55 118
52 Congo, Rep. Dem. 65 53 118
53 Angola 62 52 114
54 Bielorussia 16 94 110
55 Maurizio 46 50 96
56 Svizzera 56 38 94
57 Siria 52 42 94
58 Ceca, Rep. 15 74 89
59 Slovenia 44 45 89
60 Giordania 52 34 86
61 Svezia 27 58 85
62 Austria 15 66 81
63 Cile 32 49 81
64 Ungheria 16 63 79
65 Libano 57 15 72
66 Belgio 29 37 66
67 Venezuela 19 46 65
68 Messico 15 49 64
69 Portogallo 23 36 59
70 Sudan 27 25 52
71 San Marino 21 27 48
72 Irlanda 16 28 44
73 Canada 15 27 42
74 Danimarca 15 25 40
75 Tanzania 3 34 37
76 Lituania 3 33 36
77 Lettonia 5 27 32
78 Paraguay 4 27 31
79 Finlandia 4 19 23
80 Indonesia 5 17 22
81 Kenia 7 14 21
82 Tagikistan 13 8 21
83 Burkina Faso 16 4 20
84 Australia 6 14 20
85 Benin 13 5 18
86 Libia 13 5 18
87 Uzbekistan - 18 18
88 Norvegia 6 10 16
89 Iraq 13 3 16
90 Togo 8 7 15
91 Laos 6 9 15
197
92 Nepal 11 4 15
93 Guinea 8 6 14
94 Nicaragua 6 8 14
95 Uruguay 9 5 14
96 Kazakistan 5 9 14
97 Vietnam 3 11 14
98 Ruanda 8 4 12
99 Bolivia 2 10 12
100 Malaysia 6 6 12
101 Niger 3 8 11
102 El Salvador 4 7 11
103 Corea del Sud 1 10 11
104 Georgia 2 9 11
105 Apolide 9 2 11
106 Seicelle 5 5 10
107 Guatemala 1 9 10
108 Afghanistan 10 - 10
109 Taiwan 4 6 10
110 Islanda 3 6 9
111 Burundi 4 5 9
112 Estonia - 8 8
113 Liberia 5 3 8
114 Madagascar 1 7 8
115 Costa Rica 2 5 7
116 Mali 3 3 6
117 Bhutan 5 1 6
118 Kirghizistan 1 5 6
119 Gabon 3 1 4
120 Guinea Equatoriale 3 1 4
121 Uganda 1 3 4
122 Dominica - 4 4
123 Giamaica 2 2 4
124 Haiti 2 2 4
125 Singapore - 4 4
126 Mozambico 1 2 3
127 Sierra Leone 3 - 3
128 Sudafricana, Rep. 1 2 3
129 Zambia 1 2 3
130 Honduras 3 - 3
131 Armenia 3 - 3
132 Azerbaigian 1 2 3
133 Palestina 2 1 3
134 Yemen 3 - 3
135 Cipro 1 1 2
136 Malta - 2 2
137 Centrafricana, Rep. 1 1 2
138 Zimbabwe 1 1 2
139 Panama 2 - 2
140 Turkmenistan - 2 2
141 Lussemburgo - 1 1
142 Ciad 1 - 1
143 Gambia 1 - 1
198
144 Gibuti 1 - 1
145 Guinea Bissau - 1 1
146 Mauritania - 1 1
147 Trinidad e Tobago - 1 1
148 Arabia Saudita 1 - 1
149 Cambogia 1 - 1
150 Corea del Nord - 1 1
151 Mongolia - 1 1
152 Figi - 1 1
153 Nuova Zelanda 1 - 1
154 Andorra - - -
155 Liechtenstein - - -
156 Monaco - - -
157 Santa Sede - - -
158 Bostwana - - -
159 Comore - - -
160 Lesotho - - -
161 Malawi - - -
162 Namibia - - -
163 Sao Tomé e Principe - - -
164 Swaziland - - -
165 Antigua e Barbuda - - -
166 Bahamas - - -
167 Barbados - - -
168 Belize - - -
169 Grenada - - -
170 Guyana - - -
171 Santa Lucia - - -
172 S.Kitts e Nevis - - -
173 Saint Vincent e Grenadine - - -
174 Suriname - - -
175 Bahrein - - -
176 Brunei - - -
177 Emirati Arabi Uniti - - -
178 Kuwait - - -
179 Maldive - - -
180 Myanmar (Birmania) - - -
181 Oman - - -
182 Qatar - - -
183 Timor Orientale - - -
184 Kiribati - - -
185 Marshall - - -
186 Micronesia - - -
187 Nauru - - -
188 Palau - - -
189 Papua Nuova Guinea - - -
190 Salomone - - -
191 Samoa - - -
192 Tonga - - -
193 Tuvalu - - -
194 Vanuatu - - -
199
Appendice 3
Popolazione residente totale e straniera
in provincia di Bologna per comune, al 31/12/2006
Comuni Popolazione Popolazione % di variazione % Minori stranieri Nati stranieri Acquisizioni
totale straniera stranieri stranieri al 31/12/2006 nel 2006 cittadinanza
residente residente 2005-2006 italiana nel 2006
31/12/2006 31/12/2006
Anzola dell’Emilia 11.490 884 7,7% 12,3 268 30 24
Argelato 9.350 471 5,0% 5,8 110 9 15
Baricella 6.124 425 6,9% 4,9 107 8 9
Bazzano 6.445 699 10,8% 7,7 185 15 20
Bentivoglio 4.805 239 5,0% 8,1 65 6 2
Bologna 373.026 30.319 8,1% 7,9 5.765 501 444
Borgo Tossignano 3.227 334 10,4% -3,7 105 11 8
Budrio 16.393 941 5,7% 1,6 246 15 19
Calderara di Reno 12.770 738 5,8% 3,9 167 14 14
Camugnano 2.097 110 5,2% 3,8 25 2 5
Casalecchio di Reno 34.524 2.033 5,9% 3,9 400 39 36
Casalfiumanese 3.241 155 4,8% 7,6 41 2 0
Castel d’Aiano 1.977 125 6,3% -6,0 37 7 0
Castel del Rio 1.254 139 11,1% -4,8 44 4 1
Castel di Casio 3.318 175 5,3% -3,8 54 2 0
Castel Guelfo di Bologna 3.894 222 5,7% 1,8 50 2 10
Castello d’Argile 6.086 385 6,3% 8,5 103 15 7
Castello di Serravalle 4.518 414 9,2% -0,2 96 10 11
Castel Maggiore 16.706 722 4,3% -0,7 181 12 14
Castel San Pietro Terme 20.020 1.015 5,1% 10,6 229 26 12
Castenaso 13.769 455 3,3% 11,5 100 15 5
Castiglione dei Pepoli 5.896 384 6,5% 0,0 107 11 2
Crespellano 8.821 655 7,4% 6,3 175 14 17
Crevalcore 12.821 1.419 11,1% 9,4 463 49 16
Dozza 6.012 380 6,3% -1,0 82 7 17
Fontanelice 1.868 129 6,9% -11,0 32 6 4
Gaggio Montano 4.988 387 7,8% 8,4 115 4 4
Galliera 5.577 614 11,0% 4,2 168 13 15
Granaglione 2.251 179 8,0% 13,3 49 6 0
Granarolo dell’Emilia 9.567 389 4,1% 13,7 84 6 6
Grizzana Morandi 4.043 487 12,0% 1,2 134 14 8
Imola 66.658 3.407 5,1% 11,3 819 83 50
Lizzano in Belvedere 2.305 88 3,8% -5,4 10 0 0
Loiano 4.452 489 11,0% 0,2 150 16 3
Malalbergo 8.149 436 5,4% 4,3 109 9 10
Marzabotto 6.550 626 9,6% 12,8 181 15 8
Medicina 15.326 824 5,4% 5,9 211 24 23
Minerbio 8.530 409 4,8% 16,5 83 9 4
Molinella 15.060 995 6,6% 10,2 281 26 19
Monghidoro 3.890 459 11,8% -4,6 142 16 14
Monterenzio 5.598 369 6,6% 13,2 67 10 5
Monte San Pietro 10.882 523 4,8% 5,7 120 6 6
Monteveglio 5.066 374 7,4% 13,0 103 6 4
Monzuno 6.155 473 7,7% 2,4 127 15 6
Mordano 4.403 266 6,0% 5,1 50 6 4
Ozzano dell’Emilia 11.813 480 4,1% -3,2 103 8 17
Pianoro 16.676 785 4,7% 9,0 170 19 10
200
Pieve di Cento 6.877 490 7,1% 2,3 141 8 5
Porretta Terme 4.729 340 7,2% -6,1 111 6 2
Sala Bolognese 7.641 335 4,4% 13,2 87 7 11
San Be.tto Val di Sambro 4.505 299 6,6% 10,7 76 7 1
San Giorgio di Piano 7.354 454 6,2% 6,6 110 8 6
San Giovanni in Persiceto 25.685 1.371 5,3% 12,7 332 36 27
San Lazzaro di Savena 30.228 1.342 4,4% 5,0 268 14 23
San Pietro in Casale 11.104 860 7,7% 8,6 233 22 24
Sant’Agata Bolognese 6.728 623 9,3% 10,9 151 6 11
Sasso Marconi 14.420 676 4,7% 0,0 176 14 16
Savigno 2.716 199 7,3% -11,9 36 5 1
Vergato 7.412 864 11,7% -0,2 238 30 16
Zola Predosa 16.892 911 5,4% 9,5 216 17 14
Provincia di Bologna 954.682 65.790 6,9% 6,9 14.688 1.323 1.085
201
1. Resoconto annuale cittadini immigrati
Dati quantitativi e qualitativi riferiti alla utenza dei cittadini immigrati iscritta alla
Casa di Carità Arti e Mestieri - anno formativo 2006/2007.
2005/2006 2006/2007
Numero allievi in riserva 270 180
Numero allievi iscritti e frequentanti 534 615
TOTALE 804 788
Donne 241 353
Uomini 293 262
Minori 148 117
Dei 117 minori: 48 del 1989, 46 del 1990, 23 del 1991, 4 del 1992
Presenze:
F M minori F minori M
Sede centrale TO 163 26% 72 91 1 21
Città dei Ragazzi 135 22% 79 56 5 39
Grugliasco 50 8% 30 20 2 7
Verbania 42 7% 11 31 4
Susa 36 6% 17 19 - -
Ivrea 34 6% 32 2 - -
Bassano del Grappa 32 5% 27 5 25 3
Giaveno 28 5% 18 10 1 4
Ovada 28 5% 17 11 - -
Novi ligure 23 4% 19 4 3
Lanzo 19 3% 15 4 - -
Venaria 12 2% 9 3 1 1
Castelrosso 6 1% 4 2 - -
Nuoro 4 0,6% 4 - -
Crescentino 3 0,5% 3 - -
Totale 615 353 262 38 79
ALLEGATO 2
Il materiale elaborato dall’Ente Casa di Carità di Torino
per l’accoglienza, orientamento, formazione e inserimento lavorativo
di giovani e adulti immigrati
202
Numero di presenze di 2005/06 2006/07
stranieri non comunitari
CTR 101 163
CCR 80 135
CGR 35 50
CVN 03 12
CCS 18 6
CGV 18 28
CLZ 19
CCT 3
CVB 23 42
CIV 17 34
CSU 12 36
COV 23 28
CNL 25 23
CBG 26 32
CNU 32 4
Totale 534 615
Corsi specifici per migranti approvati e finanziati sono stati i seguenti:
Mediatore interculturale 1
EMERGENDO - EQUAL 1
JOY - JOB OPPORTUNITIES FOR YOU Individualizzato 10
Servizi di ristorazione di base 1
Addetto ai piani 1
Ufficio Pio Pulizie e Piccola Ristorazione 3
Costruzioni alle Macchine Utensili 2
Elementi di Assistenza familiare 1
Tecnico di sostegno alla persona 1
Provenienza
N. Nazione Totale %
1. Romania 141 23%
2. Marocco 135 22%
3. Perù 74 12%
4. Albania 44 7%
5. Nigeria 36 6%
6. Ecuador 17 3%
7. Tunisia 12 2%
8. Polonia 11 2%
9. Moldavia 11 2%
10. Costa d’avorio 9 1%
11. Congo 8 1%
12. Cina 7 1%
13. Brasile 7 1%
14. Senegal 5 1%
15. Russia 5 1%
203
16. Rep. Dominicana 5 1%
17. Macedonia 5 1%
18. Ghana 5 1%
19. Eritrea 5 1%
20. Ucraina 4 1%
21. Pakistan 4 1%
22. Camerun 4 1%
23. Afghanistan 3 0,5%
24. Venezuela 3 0,5%
25. Sudan 3 0,5%
26. Paraguay 3 0,5%
27. Colombia 3 0,5%
28. Burkina 3 0,5%
29. Thailandia 2 0,3%
30. Somalia 2 0,3%
31. Slovacchia 2 0,3%
32. Serbia 2 0,3%
33. Rep. del Congo 2 0,3%
34. Rep. Ceca 2 0,3%
35. Non specificata 2 0,3%
36. Filippine 2 0,3%
37. Cuba 2 0,3%
38. Bosnia Erzeg. 2 0,3%
39. Argentina 2 0,3%
40. Uruguay 1 0,2%
41. Ungheria 1 0,2%
42. Taiwan 1 0,2%
43. Svizzera 1 0,2%
44. Spagna 1 0,2%
45. Mozambico 1 0,2%
46. Mali 1 0,2%
47. Libia 1 0,2%
48. Iugoslavia 1 0,2%
49. Indonesia 1 0,2%
50. India 1 0,2%
51. Guinea 1 0,2%
52. Grecia 1 0,2%
53. Germania 1 0,2%
54. Georgia 1 0,2%
55. Gambia 1 0,2%
56. Etiopia 1 0,2%
57. El Salvador 1 0,2%
58. Cile 1 0,2%
59. Bielorussia 1 0,2%
60. Belgio 1 0,2%
61. Bangladesh 1 0,2%
62. Bolivia 1 0,2%
63. Totale 615
204
Gruppo tecnico migranti
Attualmente a Torino e Provincia i regolarizzati sono 120.000 e i clandestini, nuovi ar-
rivati, sono tra i 30.000 e i 50.000.
Positiva è stata l’evoluzione, in corso, del Gruppo tecnico migranti della Provincia di
Torino che ha assorbito al suo interno il modello della Casa di Carità. Si consiglia ai Centri
di entrare nel sito nuovo della Provincia che è suddivisa in due parti:
1) Sito pubblico – www.provincia.torino/fidati/reti
Nel suddetto sito sono pubblicati questionari degli Enti della Provincia di Torino, le
pubblicazioni – molto lavoro è della Casa di Carità
2) Sito riservato (entrare con Grisoni migrante)
Nel suddetto sito riservato c’è una parte di discussione finalizzata ad orientare le
agenzie sulle politiche condivise, sulle problematiche complesse e le possibili risposte
di orientamento e quando è possibile “certificate”.
Inoltre nella parte riservata c’è il dibattito e le comparazioni in merito ai due sotto-
gruppi creati:
- Gruppo L2: insegnamento della lingua due (occorre specializzare docenti in grado di
conciliare la lingua italiana con aspetti antropologici e culturali del Paese di partenza
dei nostri utenti). Didattica e interdisciplinarietà;
- Gruppo rete: di sistema - per governare una utenza che per definizione è al confine
tra cittadinanza e non cittadinanza. Lavoro di reciprocità e strategie condivise con
la complessità del mondo dei servizi: istituzionali e del terzo settore.
La progettualità interculturale è molto avanzata; negli ultimi anni è riuscita a diffon-
dere la propria presenza all’interno di servizi quali la Questura, il Centro di Giustizia Mino-
rile, la Caritas, l’Arcidiocesi, la Prefettura, gli ambulatori, le ASL, gli ospedali, il Comune,
il Settore periferie, gli Agenti di Sviluppo locale, l’Università di Psicologia e di Antropo-
logia, gli etnopsichiatri, il privato sociale, le scuole, i C.P.I., i Consolati, gli Organismi in-
ternazionali quali l’O.I.M., il BIT e non per ultimo lo sviluppo del dialogo interreligioso
con Corsi specialistici o materie che vedono coinvolti l’Ufficio Pastorale Migranti della
Diocesi di Torino, l’università, le associazioni, gli operatori di servizi; tutto questo ha
un’immediata ricaduta positiva su tutta l’utenza immigrata presente in ogni sede della Casa
di Carità Arti e Mestieri e in particolar modo nelle sedi con una forte presenza del disagio e
in cui la sperimentazione interculturale avviata deve rimanere a livelli molto avanzati e co-
raggiosi al punto che, in questo ambito siamo considerati trainanti nelle politiche di recu-
pero e di integrazione nella diversità. Alcune cose si possono già sostenere quale l’équipe
inter/Centro per apportare quelle procedure, quella pianificazione, quella condivisione tra
gli operatori in grado di supportare i Direttori ad una visione allargata che va ben oltre agli
interessi specifici del proprio Centro. Oramai anche la concorrenza ma la stessa Provincia
richiede questo orientamento e non per nulla è stato somministrato un questionario alle
varie agenzie. Nell’anno formativo 2006/2007 l’offerta di corsi per migranti è stata infe-
riore alla domanda di corsi richiesta dai cittadini immigrati e dalla rete territoriale.
Il numero di utenza, rispetto all’anno formativo 2005/2006, risulta superiore di una ot-
tantina di unità.
Interessante ed efficace è stata l’ esperienza del modulo O.S. aperto solamente ai citta-
dini immigrati e agganciato ai moduli intermedi degli anni precedenti: la risposta è stata po-
sitiva se pensiamo che queste povere assistenti, spesso chiuse dentro le mura domestiche a
svolgere sostegno agli anziani senza aver mai avuto la possibilità di avere riconosciuta la
loro professionalità (si calcolano in 80.000 le donne cittadine immigrate in Piemonte che
205
svolgono questo lavoro che scorrettamente chiamiamo “badanti”) hanno l’opportunità di
emergere grazie a corsi che ridanno dignità e valore ad una professione che negli anni andrà
sempre più crescendo. Occorre rimettere in rete il settore attivando la figura del supervisore
migranti (come previsto dall’Ente e pubblicato nel sito della Provincia) e dell’utilizzo dei
modelli e dei dispositivi sperimentati e condivisi dagli esperti della Casa di Carità Arti e
Mestieri. Aver sperimentato nei Centri la figura del mediatore interculturale è stato ele-
mento di innovazione perché ha facilitato l’interscambio di esperienze con buona capacità
di conformare le azioni, le procedure, la dialettica tra i Centri. Le cause di eventuali abban-
doni che quest’anno sono stati minimi sono connesse all’insorgere di problemi di sussi-
stenza (mantenimento, casa, ecc.), di problemi burocratico-legali (regolarizzazione, per-
messi, ecc.) e di disagio antropologico-psicologico-interculturale. L’insorgere di problemi
di tale natura sono spesso così pressanti da indurre l’utente a rivolgere ad essi l’intera atten-
zione, abbandonando improvvisamente il percorso formativo intrapreso (fra l’altro, gli
stessi problemi si riscontrano in sede di avviamento al lavoro). Tali abbandoni potrebbero
essere di massa se i Centri non si attrezzano nell’organizzazione e nei riferimenti professio-
nali riconosciuti. Molti nostri giovani entrano nella formazione dopo aver lasciato il loro
Paese tra i 12 e i 16 anni, ragazzi che non riescono ad inserirsi nel circuito scolastico ordi-
nario e che comunque hanno uno sradicamento che ben difficilmente potrà essere recupe-
rato nel breve tempo e tutto questo richiede cura, attenzione, esperienza, empatia e profes-
sionalità che non è patrimonio solo del singolo operatore ma è di squadra, di Centro, di
Ente. Pensiamo anche ai figli delle coppie miste o ai figli nati in Italia da genitori immigrati
ma che spesso, almeno per uno dei due coniugi, il codice culturale d’origine è dominante
perché privo di strumenti di analisi del contesto nuovo del Paese ospitante. Da una parte di-
venta fondamentale l’azione del coordinatore dei tutor e dei mediatori interculturali in
grado di prevedere e prevenire l’insorgere di un problema di questo tipo, di mediare fra isti-
tuzioni e immigrati e fra esigenze immediate e esigenze in prospettiva e dall’altra focaliz-
zare con più attenzione, specialmente nella fase di pre-iscrizione e di monitoraggio, le pro-
blematiche dell’utenza straniera disoccupata che comunque deve trovare una forma di so-
stentamento. Occorre predisporre misure preventive e strategie di consolidamento partico-
larmente incisive finalizzate alla creazione di un rapporto privilegiato con l’utenza che in
forma sperimentale si è attivata in alcuni Centri (anticipo reddito, distribuzione pacco-
pasto, individuazione ottimale aziende con strategie di inserimenti, orientamento comunità,
dormitori, consulenza aziende…).
Le possibilità di successo nel caso in cui un utente migrante partecipi a percorsi forma-
tivi brevi e/o specifici è legata alla corrispondenza fra il livello linguistico richiesto dal pro-
filo e il livello linguistico posseduto dall’utente. Questo richiede la definizione di livelli lin-
guistici sufficientemente precisi e condivisi fra strutture diverse o, in subordine, la prepara-
zione di prove linguistiche in ingresso sufficientemente testate.
Sono in aumento i cittadini immigrati che decidono di partecipare a corsi di forma-
zione di livello medio alto: la maggior parte delle persone partecipa a percorsi di forma-
zione di primo livello e in seguito richiede di rientrare in formazione dopo il primo ingresso
nel M.d.L. Il sistema però non è ancora sufficientemente flessibile nel raccogliere questa
loro esigenza.
Nella fase di prer-iscrizione occorre predisporre una raccolta dati che visualizzi le
eventuali criticità quali: tipologia del permesso di soggiorno, livello di competenza lingui-
stica, tipo di mantenimento compreso quello residenziale.
Michele Grisoni
206
2. La metodologia ed il percorso personalizzato
Con il presente documento intendiamo presentare come l’Ente di Formazione Profes-
sionale Casa di Carità Arti e Mestieri conduce le attività rivolte alla popolazione migrante.
Come potrete rilevare, i “cardini” che cerchiamo di garantire nei corsi di formazione
per utenza migrante consistono essenzialmente nei seguenti punti:
1) attenzione a monitorare, per quanto possibile, il contesto di riferimento dell’allievo/a,
oltre all’andamento formativo;
2) stretta collaborazione con i Servizi del territorio;
3) impostazione didattica interdisciplinare;
4) lavoro di squadra.
Ciò che segue consiste in un “collage” di opzioni metodologiche, che adottiamo nei
vari percorsi rivolti ad utenza straniera, tra i quali, a titolo esemplificativo:
– preparazione al lavoro – indirizzo macchine utensili (per minori), 800 ore in alternanza
– attestato di frequenza;
– addetto/a ai piani (per maggiorenni); 600 ore in alternanza – attestato di qualifica;
– addetto/a alle macchine utensili; 600 ore in alternanza – attestato di qualifica.
Realizziamo inoltre percorsi modulari per l’acquisizione della qualifica di Operatore
Socio Sanitario, ma preciso che vista la brevità di tali moduli, tra le 240 e le 400 ore, e visto
anche un livello di maggiore “stabilità” del migrante, i supporti metodologici previsti esu-
lano da quanto propongo nel presente documento.
Oltre a quanto potrete rilevare, quindi in aggiunta ai quattro punti precedenti, si sotto-
linea l’attenzione a prevedere all’interno di tutti i corsi alcune possibilità di accompagna-
mento ai servizi del territorio.
Generalmente si offre agli adulti la possibilità di svolgere una visita didattica presso i
locali Centri per l’Impiego dove è operativo un mediatore interculturale e anche ad altri
punti di informazione e orientamento (a seconda delle specificità territoriali in cui sono
operativi i nostri centri); per i minori si ricerca annualmente la collaborazione con associa-
zioni (tra cui il Centro Interculturale della Città di Torino) che gestiscono laboratori tema-
tici sul tema dell’immigrazione e della legalità; per entrambi è ormai consuetudine la visita
ad un’azienda specifica del settore di formazione prescelto.
Parte prima: il quadro generale
La necessità di utilizzare una didattica specifica per i corsi rivolti ad un’utenza mi-
grante adulta è dettata soprattutto da due tipi di considerazioni.
1) La nostra decennale esperienza ci suggerisce la necessità di andare oltre una logica
di emergenza nell’affrontare i problemi legati al mondo della migrazione: il nostro intendi-
mento è quello di fare un passo verso la creazione di “opportunità stabilizzanti”. Si tratta di
perseguire la capacità del sistema territoriale di individuare, valorizzare, dare peso e dignità
alle competenze, conoscenze, esperienze maturate dal migrante nel suo Paese di origine,
orientandolo verso un percorso formativo, lavorativo e di inserimento sociale il più possi-
bile coerente con quelle.
2) I dati che emergono da recenti ricerche hanno sottolineato come nella maggior parte
dei casi l’abbandono scolastico e formativo di utenti migranti sia da ricondurre a cause
esterne all’ambito formativo (problemi legali, di sussistenza, di trasferimenti, di intoppi bu-
rocratici, ecc.), o a cause collegate all’insorgere di problemi di misunderstanding culturale
(specialmente nel periodo di stage e nel successivo inserimento al lavoro).
Tutte queste considerazioni ci hanno indotto a muoverci nel tentativo di trasformare la
207
modalità formativa “corso” in un sistema personalizzato, individualizzato e integrato di in-
terventi fondati sulla logica della “metodologia di valorizzazione personale”, mediante la
quale la persona diviene corresponsabile del proprio processo di apprendimento. Inoltre non
va dimenticato quanto possa rilevarsi problematico l’inserimento formativo di un soggetto
migrante, se non si tiene conto del suo bagaglio culturale collegato alla realtà di prove-
nienza.
Proprio per questa complessità in questi ultimi anni sono stati sperimentati vari ap-
procci e strumenti operativi che poggiano sul concetto di “ecologia didattica” e si basano
sull’imprescindibilità del legame tra l’individuo e l’ambiente di vita (famiglia, scuola, la-
voro...) in cui si è formato. Nel caso di un migrante la programmazione formativa non può
quindi trascurare una riflessione sulle possibili ricadute formative del bagaglio culturale
pregresso.
Parte seconda: implicazioni operative
A livello generale la progettazione dei percorsi prevede il seguente impianto:
– una parte della formazione in aula riguarda l’acquisizione di competenze che noi chia-
miamo “competenze per la stabilizzazione”; si tratta di un nucleo di unità formative
(Lingua italiana/Competenze trasversali/Legislazione della cittadinanza e del la-
voro/Orientamento/Accoglienza/Pari opportunità) che da un lato sono uno spazio di
confronto interculturale (fra etnie diverse fra loro e/o nel confronto con la cultura ita-
liana), dall’altro sono di sostanziale importanza per l’inserimento al lavoro;
– l’altra parte della formazione in aula è centrata sulla preparazione di base tecnico pro-
fessionale che, per essere efficace, deve mutuare dalla parte precedente almeno le indi-
cazioni linguistiche e relativamente all’orientamento al lavoro;
– un’ultima parte (che però “pesa” per il 50% sul percorso formativo) è caratterizzata
dall’inserimento in azienda per l’esperienza di stage; la nostra esperienza ci insegna
che questa è possibile, prima ancora che efficace, solo se le acquisizioni provenienti
dal percorso di stabilizzazione sono state assimilate e vengono monitorate in modo
specifico dall’ente di formazione.
Come descritto dal titolo, le tre parti vengono accomunate da un’impostazione didat-
tica di fondo comune: la didattica ecologica, che mette al centro dell’azione non solo la per-
sona ma anche il contesto culturale e sociale che la permea.
A tal fine le parti descritte precedentemente sono sviluppate attraverso un approccio
didattico suddiviso nelle fasi qui sintetizzate:
a) la valorizzazione ai fini didattici della fase dell’accoglienza e dell’orientamento;
b) il recupero della memoria ed esplicitazione del progetto migratorio personale;
c) la gestione delle unità formative collegate all’acquisizione delle competenze per la sta-
bilizzazione;
d) gestione delle interferenze extraformative;
e) gestione ecologica dell’esperienza di stage.
Fase a: valorizzazione ai fini didattici della fase dell’accoglienza e primo orientamento
Un intervento individualizzato correttamente applicato deve necessariamente prendere
l’avvio da un momento nel quale vengono raccolte in modo puntuale tutte le informazioni
che potranno essere utili per individualizzare e contestualizzare l’intervento. In questa fase
vengono raccolte, analizzate, rese disponibili per gli operatori tutte le segnalazioni riguar-
danti gli interventi effettuati dai diversi organismi territoriali e che costituiscono il retroterra
storico, culturale, sociale del soggetto in ingresso (anche l’eventuale anamnesi psico-me-
208
dica che lo riguarda): non raccogliere e non tenere conto di tali informazioni può ridurre di
molto le possibilità di successo. Alla base di un percorso professionalizzante si trova il mo-
mento dell’accoglienza, che rappresenta la fase del primo contatto e del primo possibile
confronto con l’utente. Le modalità con cui avviene il primo approccio sono fondamentali
per determinare la fiducia del soggetto migrante nei confronti dell’Agenzia formativa. L’o-
biettivo è di supportare l’allievo a individuare l’orientamento formativo e professionale fat-
tibile e spendibile nella realtà territoriale d’arrivo. L’analisi dei risultati dell’accoglienza ri-
sulta essere fase particolarmente importante poiché permette di delineare il quadro di riferi-
mento dell’azione di sostegno che inizia dal primo contatto attraverso l’ascolto e si sviluppa
individuandone, da una parte, i bisogni e le necessità reali e, dall’altra, le risorse territoriali
interessate e funzionali al processo di integrazione e al più ampio progetto di vita: il so-
stegno, quindi, non è solo un atto applicativo, ma una vera e propria “cura” che sa tradurre
il potenziale dell’utente, affrontare gli imprevisti e tradurre le opportunità in risorsa.
La fase in oggetto è pertanto strutturata come segue.
1) Primo contatto
L’operatore dello sportello accoglienza inizierà a raccogliere le prescrizioni per l’a.f.
successivo e, indicativamente dal mese di febbraio, gli orientatori inizieranno ad analizzare
le schede di preiscrizione e la relativa “Scheda personale”. Questa ha una duplice funzione:
da una parte consolidare la stabilità dell’utente nella propria scelta orientandolo nel terri-
torio per rinforzare i pre-requisiti indispensabili (legalità, conoscenza della lingua) in rela-
zione alla scelta manifestata; dall’altra parte filtrare, rispetto alle opportunità formative, i
candidati che verranno convocati per il test e il colloquio dal mese di settembre.
Per una ragione di sintesi e leggibilità le informazioni raccolte nel primo colloquio
vengono utilizzate per assegnare un punteggio complessivo che “pesa” le condizioni di sta-
bilità del candidato. Attraverso una griglia contenente diversi item (che vengono valutati
uno per uno) si ottiene un punteggio complessivo che viene preso in considerazione per va-
lutare l’opportunità di iscrizione al corso.
2) Valutazione del livello linguistico per l’inserimento ai corsi
Nell’ambito dei corsi di formazione professionale per cittadini stranieri è necessario
stabilire criteri chiari di individuazione dei prerequisiti linguistici per l’ammissione ai corsi.
A seconda della tipologia del corso sono stati definiti prerequisiti minimi di alfabetizza-
zione nella lingua seconda, che devono essere tenuti in considerazione per garantire un
esito formativo positivo. È quindi importante prevedere un test di ingresso che valuti, oltre
agli aspetti psico-attitudinali e al bagaglio di esperienze passate, anche il grado di padro-
nanza linguistica dell’italiano.
3) Colloquio relativo alla fase di iscrizione e stesura della scheda di percorso persona-
lizzato ed individualizzato
A partire dai risultati conseguiti nel test e nel colloquio, sintetizzati nella “Scheda di
sintesi dei dati essenziali emersi dai colloqui e dai test”, il team manager e il referente per le
attività con migranti convocano gli utenti per la fase di vera e propria iscrizione e conse-
guente presa in carico. Un apporto significativo per la ricostruzione del percorso di migra-
zione dalla scelta della partenza alla realtà di arrivo è fornito dalla “Scheda di percorso per-
sonalizzato ed individualizzato” volta a porre in luce diverse dimensioni di vita di cui ogni
singolo individuo è espressione (identità sociale, educativa, professionale, culturale) nei
contesti vissuti. Proprio per la delicatezza delle dimensioni personali affrontate, questo stru-
mento deve essere gestito da un esperto del target (referente attività con soggetti migranti),
eventualmente supportato dalla presenza di un mediatore culturale a testimonianza di un
clima di accoglienza e di disponibilità reale del Centro formativo. Nel caso di minori o di
209
adulti seguiti dai servizi sociali (ad esempio per le donne uscite dalla tratta della prostitu-
zione), un contributo importante nella raccolta dei dati viene garantito da un colloquio con
le famiglie/parenti e/o con i responsabili delle strutture territoriali coinvolte.
Fase b: recupero della memoria ed esplicitazione del progetto migratorio personale
In un percorso formativo che veda la presenza di utenti provenienti da diverse culture,
è importante valorizzare gli elementi di eterogeneità che caratterizzano un gruppo-classe di
migranti, partendo dal presupposto che ogni soggetto è espressione di una storia unica e ir-
ripetibile. Questa eterogeneità (di provenienza, di titoli di studio, di identità religiosa e poli-
tica) rischia di diventare problematica se non si gestisce con approcci e strumenti operativi
opportuni. Bisogna evitare il crearsi di situazioni di disagio nel migrante; questi deve sen-
tirsi riconosciuto come portatore di un patrimonio di esperienze di vita che lo hanno portato
ad investire in un progetto personale complesso, che parte dalla sua propria storia di migra-
zione e tende ad un progetto di stabilizzazione e di inserimento professionale e sociale nel
Paese di accoglienza. In particolare si avrà cura nel rispettare il diritto delle persone ad “au-
todefinirsi”, ovvero rispettare la transizione di identità che spesso porta ad affermare
“Come ero non lo sono più, come sono ora non lo so”.
Le attività formative previste ruoteranno e si avvarranno, oltre a strumenti didattici tra-
dizionali, di alcuni strumenti operativi sempre aperti e che verranno utilizzati per contestua-
lizzare nella storia passata e nel contesto socio-culturale attuale gli elementi che verranno
via via affrontati:
– il recupero della memoria;
– la mappa geografica di classe;
– la compilazione condivisa del libretto della cittadinanza attiva.
L’unità formativa denominata “Legislazione della cittadinanza”, in integrazione con le
unità di “Orientamento” e “Comunicazione interculturale” (competenze trasversali), diventa
il momento attorno al quale ruota il percorso che, prendendo spunto dalla storia passata di
migrazione, arriva all’acquisizione della dimensione di cittadino, aggregando attorno a
questo nucleo le esperienze formative e quelle extraformative.
Azione 1: il recupero della memoria
Affinché la transizione ecologica abbia un ruolo di promozione dello sviluppo e veda
l’annullamento almeno di una parte delle implicanze negative, è necessario che esistano dei
collegamenti di sostegno tra le situazioni primarie in cui si sono consolidati certi schemi e
la situazione nuova, in modo da controbilanciare gli ostacoli dell’inserimento. Il percorso
qui descritto ha questa finalità. Si tratta di un percorso interattivo volto a ricostruire e valo-
rizzare le esperienze passate e la storia migratoria del soggetto, a partire da un confronto tra
il Paese d’origine e il Paese d’arrivo. Nella nostra esperienza il migrante sembra chiedere
alla formazione di essere “supportato” ad orientarsi nel futuro, partendo sì dai propri
drammi e disagi, ma anche dai propri punti di forza e dalle proprie capacità di iniziativa,
che lo vedono vivo e impegnato nel cambiamento. Ciascun allievo ricostruirà la propria
storia migratoria a partire dagli item proposti in un’apposita scheda, relativamente al
viaggio (Come è maturata la scelta di partire?, Perché hai scelto Torino?, Le attese, le spe-
ranze e i sogni del viaggio, Quali i timori, Chi ti ha aiutato e ti è stato vicino nella par-
tenza?, Come ti sei attrezzato per partire e che cosa hai provato?, Quando sei partito ti sen-
tivi preparato? Ad oggi lo rifaresti? Se sì, perché?) e all’arrivo (Dove sei arrivato?, Le
prime difficoltà che hai incontrato, Come le hai superate?, Come sei stato accolto:? Ti
sembra di essere in cammino verso la stabilità?). L’elaborazione individuale viene condi-
210
visa, sia perché questo serve a dare importanza al “viaggio” personale, sia perché molti
degli elementi rilevati possono fornire spunti per il lavoro di compilazione condivisa del li-
bretto della cittadinanza attiva. Il percorso di recupero della memoria viene avviato nelle
prime settimane dell’avvio del corso ma rimane un’attività aperta, sia perché interagisce
con altre unità formative (in particolare con quelle collegate a quelle che abbiamo chiamato
“competenze per la stabilizzazione”), sia perché elementi che vengono via via affrontati
nello sviluppo del percorso possono suggerire chiarimenti e/o integrazioni alla rielabora-
zione del percorso migratorio effettuato in prima battuta.
Azione 2: la costruzione della mappa geografica di classe
È un’attività strettamente collegata alla precedente. Nel momento della esposizione al
gruppo classe del percorso migratorio individuale, attraverso la preparazione di tabelloni e
l’utilizzo di carte geografiche, si rende stabile la storia di ciascuno, con l’intento di non dis-
perdere gli elementi fondanti l’identità culturale dei corsisti; il materiale elaborato rimane
esposto in classe per la durata dell’attività formativa in quanto, come detto, la rielabora-
zione dell’esperienza migratoria rimane uno spazio aperto fino al termine del percorso.
Azione 3: la compilazione condivisa del libretto della cittadinanza attiva
Le attività didattiche con relative modalità sono supportate da interventi di educazione
attiva nella classe che si realizza con un approccio interculturale inteso come pratica quoti-
diana in forme interattive (contatto con i servizi attraverso l’uso del telefono, esperti, ecc.)
su tematiche di interesse pratico richieste dal gruppo classe. Tale procedura accompagna
tutto il percorso formativo nelle varie fasi e permette al gruppo classe di acquisire, per imi-
tazione, un modello di approccio simile a quello che troveranno sul territorio locale. Per-
tanto l’educazione attiva della cittadinanza ha la duplice funzione di rispondere ai bisogni
che potrebbero presentarsi in un futuro e di rinforzare la capacità di soluzione usando stru-
menti e seguendo un metodo efficace di cittadinanza. L’intento è di trasformare questo
spazio formativo in uno spazio di apprendimento situato, in cui i contenuti previsti in
questa attività formativa nulla hanno di teorico ma si confrontano concretamente con le si-
tuazioni e le storie.
L’intera unità formativa di “Legislazione della cittadinanza” sarà strutturata come
segue.
Ad inizio attività (dopo le attività previste dall’azione 1 e 2) il tema presentato alla
classe sarà: “Cosa significa passare da una condizione di migrante ad una condizione di cit-
tadino straniero”. Al gruppo classe verrà chiesto di individuare gli ambiti sociali attorno ai
quali si aggregano i diritti di cittadinanza per uno straniero. Il lavoro produrrà una mappa
condivisa (mappa degli ambiti dei diritti di cittadinanza); ovviamente quella allegata è un
modello, ma il gruppo partirà dal foglio vuoto, in modo da arrivare ad un lavoro costruito
dai partecipanti e non mutuato da una proposta. A seguito di questa condivisione, tutta l’at-
tività formativa di questa unità formativa aggregherà storie personali, situazioni concrete,
esperienze dirette o udite, in modo che i temi trattati siano vivi, di diretto interesse per i par-
tecipanti. Il recupero e l’elaborazione di queste situazioni avviene in diversi modi: i parteci-
panti vengono sollecitati a presentare situazioni ed esperienze reali connesse a questi am-
biti; qualcuno dei partecipanti si trova di fronte ad una situazione che deve essere risolta;
nell’ambito delle altre unità formative collegate a quelle che abbiamo chiamato “compe-
tenze per la stabilizzazione” emergono spunti, osservazioni, problemi che richiedono un ap-
profondimento. Il tema emerso viene descritto in classe, il caso proposto viene ricollegato
211
ad uno degli ambiti condivisi elaborando la mappa, vengono individuati i servizi di riferi-
mento, le mediazioni effettuate per ottenere il risultato desiderato, il lessico relativo al tema
ed eventuali altri appunti che il gruppo classe ritiene fondamentali. È compito del docente
garantire che nello sviluppo del percorso i diversi casi affrontati (e le relative schede elabo-
rate) coprano sia tutti gli elementi della mappa elaborata, sia i temi previsti per l’unità for-
mativa di legislazione. Al termine del percorso formativo la mappa e l’insieme delle schede
elaborate congiuntamente andranno a costituire il “Libretto di cittadinanza attiva”, che
verrà stampato e consegnato agli allievi.
Fase c: gestione delle unità formative collegate all’acquisizione delle competenze per la
stabilizzazione
Le competenze per la stabilizzazione sono contenute nelle unità formative Lingua ita-
liana, Competenze trasversali, Legislazione della Cittadinanza, Orientamento, Pari opportu-
nità. L’approccio complessivo viene improntato ad una forte interdisciplinarità. Tutte le at-
tività didattiche previste in queste unità formative seguono lo stesso schema di lavoro, che
pone grande attenzione da un lato a recuperare la storia e la situazione dei partecipanti al
corso, dall’altro a contestualizzare gli elementi emersi in vista del progetto personale di sta-
bilizzazione.
Lo schema di lavoro può essere così sintetizzato:
– introduzione da parte del docente dell’argomento di sua competenza;
– ricerca dei punti di contatto tra la parte strettamente teorica e la reale esperienza degli
allievi in relazione ad un tema o a più temi ad esso correlati;
– elaborazione e stesura dei concetti partendo dal substrato culturale degli allievi;
– accompagnamento ad un uso corretto del linguaggio, attraverso l’individuazione di pa-
role chiave e del loro significato;
– interazione con l’unità formativa legislazione della cittadinanza.
L’interazione avviene nel momento in cui in una delle altre unità formative emerge
un’esperienza, una necessità che è riconducibile ad uno degli ambiti condivisi nella mappa
degli ambiti dei diritti di cittadinanza (che, ricordiamo, è appesa al muro, quindi è un riferi-
mento per tutti gli allievi, e per i diversi docenti, che interagiscono nell’aula di formazione).
L’elemento emerso nelle altre unità formative diventa un input da elaborare nell’ambito del-
l’unità “Legislazione della cittadinanza” e, come le altre, la scheda elaborata congiunta-
mente andrà a costituire il “Libretto di cittadinanza attiva”.
Interazione con l’unità formativa “Lingua italiana”
Oltre all’impostazione generale condivisa con le altre unità, la formazione alla lingua
italiana richiede da parte del formatore un’impostazione didattica attiva, in quanto le eserci-
tazioni proponibili prevedono che il soggetto sia impegnato a fare, a comunicare, a cercare
informazioni e confrontare/valutare le differenze tra il proprio Paese e l’Italia: a partire da
una visione sistemica, si pone come prerogativa metodologica la tensione costante a conte-
stualizzare i contenuti linguistici rispetto alle peculiarità del sistema territoriale di riferi-
mento, in modo tale che le persone acquisiscano progressiva famigliarità con il sistema so-
cioculturale di riferimento e in particolare con le strutture locali alle quali rivolgersi per
usufruire di diritti e/o assolvere i doveri contemplati dalla legge. Inoltre l’unità in questione
interagisce con le altre perché ha la funzione specifica di aiutare i partecipanti ad utilizzare
la lingua italiana per esprimere la propria storia e il proprio progetto. L’interazione avviene
soprattutto attraverso le seguenti modalità: nelle diverse schede di educazione alla cittadi-
nanza attiva è prevista una parte di glossario: il fissare e approfondire i termini collegati
212
alla questione trattata permette un arricchimento lessicale che ha forte valenza motivazio-
nale, in quanto collegata ad un bisogno rilevato di interazione con il territorio; l’insegnante,
via via che riceve le schede di cui sopra, si attiva per cercare articoli, documenti, materiale
attinente al tema in oggetto: in questo modo la lettura diventa significativa per chi legge. In-
fine nell’ambito dell’unità è prevista la stesura di una tesina di gruppo, che sarà oggetto di
una prova interdisciplinare, sotto descritta.
Elaborazione di una prova interdisciplinare
Sulla base degli input arrivati attraverso le successive schede di educazione alla citta-
dinanza attiva, il gruppo di insegnanti individua un testo che serva da stimolo. La classe
viene divisa in gruppi, prevalentemente composti da allievi/e di diverse culture di prove-
nienza. I gruppi discutono in particolare rispetto ad alcune parole chiave contenute nel testo
ed elaborano un testo di gruppo nel quale saranno contenuti elementi relativi alla propria
cultura di origine (es. il significato nelle diverse culture dei componenti del gruppo di al-
cuni concetti) e del vissuto percepito nella cultura di accoglienza. Il testo elaborato viene
condiviso con la classe, in modo che ciascuno abbia modo di raccogliere informazioni sul
lavoro degli altri e avviare un confronto interculturale nel gruppo.
Fase d: rilevazione e gestione delle variabili esterne all’intervento didattico
Nell’ambito di un intervento formativo rivolto a soggetti migranti diventa perciò ne-
cessario procedere ad un monitoraggio molto dettagliato della situazione personale in modo
da poter costantemente agire sul territorio sia per trovare soluzioni rapide ai problemi di cui
sopra, sia per cogliere rapidamente le opportunità che le strutture offrono in misura consi-
stente, ma spesso, per molti motivi, si presentano in maniera improvvisa e poco coordinata.
L’attività qui descritta diviene una funzione aggiunta alle usuali funzioni di un tutor di
corso, ma ha anche dirette ricadute sulla gestione complessiva del percorso formativo.
La fase si avvale degli strumenti operativi qui di seguito descritti.
1) Scheda di percorso personalizzato ed individualizzato
La scheda sintetizza inizialmente i dati generali di ciascun allievo, principalmente pro-
venienti dai dati raccolti nell’ambito delle attività di Fase a. La scheda ha la funzione di
rendere immediatamente disponibili una serie di informazioni che possono diventare fonda-
mentali sia per la soluzione di problemi collegati all’ambiente esterno alla formazione, sia
per avere un quadro di sintesi. La scheda viene compilata inizialmente per ciascun allievo/a
e viene aggiornata se alcuni dei dati registrati (in particolare quelli relativi alla situazione
residenziale) vengano a variare, cosa piuttosto frequente nell’utenza che partecipa ai per-
corsi formativi ai quali questa innovazione è collegata.
2) Scheda di presa in carico del problema insorto
Questo strumento serve fondamentalmente a fissare con precisione i termini di un pro-
blema insorto che richiede un intervento per evitare che l’evento provochi l’abbandono.
Nella scheda vengono registrati: la descrizione del problema emerso (cosa che permette,
nell’interazione con l’utente stesso, di dimensionare con precisione anche nell’immaginario
del migrante, i termini esatti del problema); gli estremi del servizio territoriale che occorre
coinvolgere; la strategia di mediazione e di intervento che si intende mettere in atto. In
molti casi, se il fatto non viola elementi di privacy, a questa scheda si accompagna una
scheda di educazione alla cittadinanza attiva (con tutta la procedura di gestione descritta
precedentemente), in modo che il fatto diventi patrimonio di esperienza comune.
3) Scheda di rilevazione degli atteggiamenti professionalizzanti
La scheda viene compilata in classe, nel corso delle unità formative professionalizzanti
e con l’apporto del docente esperto di professione. Questa scelta permette di collegare stret-
213
tamente nella percezione del migrante l’atteggiamento professionale e personale. La scheda
è finalizzata a rilevare dati importanti sia per monitorare l’evoluzione delle acquisizioni non
professionali (la compilazione della scheda avviene almeno due volte nel corso delle atti-
vità, in modo da cogliere anche i progressi o il permanere di comportamenti non adeguati al
lavoro), sia per individuare la tipologia di azienda nel quale è opportuno effettuare l’inseri-
mento lavorativo.
Fase e: gestione ecologica dell’esperienza di stage
La fase di organizzazione dello stage risulta essere un momento molto delicato nei casi
di corsi specifici per migranti. La ricerca dell’azienda sede di stage, il monitoraggio e il tutora-
to richiedono quindi una particolare attenzione. L’obiettivo è di inserire l’allievo in un percor-
so di tirocinio che rappresenti davvero un bagaglio di conoscenze aggiuntive, un momento di
valorizzazione del soggetto. Inoltre per il soggetto migrante l’ingresso in azienda spesso rap-
presenta un primo confronto diretto con il mondo lavorativo italiano, scandito da orari e ritmi di
lavorazione precisi e da relazioni sociali interne differenti dalla realtà di provenienza. Nel con-
testo di una didattica ecologica considera, inoltre, la variabile legata all’incontro/confronto tra
diverse appartenenze culturali che possono mal conciliarsi con le richieste di uno specifico
luogo di lavoro o di una mansione (ad esempio l’uso di indossare il velo in un’attività di servi-
zio catering). Lo strumento utilizzato è un’apposita scheda, di semplice concezione ma che
permette di rilevare con puntualità e rapidità lo svolgersi dell’esperienza di stage e di recupe-
rare gli input anche di origine interculturale che è bene affrontare per non rischiare che tali pro-
blemi portino all’abbandono. Se gli eventi rilevati non richiedono un intervento immediato, la
scheda viene utilizzata per la discussione nei rientri periodici dallo stage.
1) Gestione dei rientri durante lo stage
Proprio per la complessità di questa tipologia di corsi per migranti diventa fondamen-
tale individuare forme di monitoraggio dell’andamento dello stage, attraverso una calenda-
rizzazione periodica dei rientri presso il Centro formativo, dedicati alla “verifica e ricalibra-
zione stage”. Come già ribadito nel punto specifico dello stage, il rientro serve ad affrontare
le eventuali situazioni conflittuali o incomprensioni, che possono nascere durante il per-
corso di tirocinio. Durante il rientro è importante effettuare una valutazione degli obiettivi
concordati prima dell’inizio del periodo di stage, per verificare e analizzare modalità di svi-
luppo di abilità sociali o professionali del soggetto. Come strumento di valutazione si uti-
lizza una griglia di osservazione che definisce alcuni parametri di cambiamento: la capacità
di stabilire relazioni professionali; la capacità di comunicazione del proprio punto di vista;
la capacità di confronto con i colleghi di lavoro; la capacità di comprensione e di adegua-
mento alle regole del contesto di lavoro; la capacità di percezione delle distinzioni del con-
testo formativo da quello lavorativo. L’obiettivo è di orientare il soggetto a definire il pro-
prio ruolo, la propria posizione all’interno del contesto di lavoro, in coerenza con le regole
stabilite, e nello stesso tempo aiutarlo a valorizzare la dimensione dell’ascolto attivo e ricet-
tivo rispetto agli interlocutori e agli input ricevuti. Questa attività di verifica viene struttu-
rata attraverso la costruzione di tabelloni di classe, in cui vengono specificati i parametri di
cambiamento, la situazione del “prima” e del “dopo” rispetto al periodo di stage conside-
rato, coinvolgendo il gruppo-classe nel mettere in comune le considerazioni, gli obiettivi
raggiunti, i punti di forza o di debolezza. Sono coinvolti in tali attività sia i docenti tecnici
sia il tutor, i quali dovranno avvalersi del documento elaborato in sede di “riunione staff”.
Con questo termine si intende lo svolgimento di un incontro periodico (per i minori ogni
settimana, per gli adulti ogni quindici giorni circa) tra il tutor di classe, il team manager, il
direttore e i docenti tecnici volto a socializzare l’andamento delle varie esperienze di tiro-
214
cinio, analizzare le criticità e definire in comune accordo: strategie di fronteggiamento; re-
sponsabili delle medesime; tempi di intervento.
Il team di formatori ed esperti (generalmente mediatori interculturali, educatori e psi-
cologi anche con una preparazione antropologica) che consentono la realizzazione dei per-
corsi formativi contraddistinti dalle attività in precedenza descritte, è caratterizzato dal
ruolo del “Tutor di classe”, il quale svolge principalmente le seguenti funzioni:
– collaborare con i servizi territoriali per avviare un’azione di orientamento efficace
(tesa cioè a individuare i soggetti che possiedono interessi, motivazioni e competenze
in ingresso che si accordano con l’offerta formativa, in modo da ridurre il rischio di
abbandoni dovuti a cause esterne) e concordare i modi ed i vincoli della presa in carico
dell’utente in formazione;
– prevedere colloqui individuali con l’allievo (il primo entro un mese dall’inizio del per-
corso formativo, quelli successivi sulla base di esigenze che emergono via via) per ri-
levare e gestire sistematicamente tutti i segnali che possono far supporre l’insorgenza
di problemi interni o esterni che possono mettere a rischio la permanenza dell’allievo
in sede formativa;
– costituire un dossier personale per ogni allievo in vista della definizione del progetto
personale di inserimento lavorativo e di sviluppo professionale. Di questo dossier
fanno parte tutti i documenti collegati alla fase denominata “Rilevazione e gestione
delle variabili esterne all’intervento didattico”;
– gestire in maniera integrata con i colleghi formatori i dati emersi dall’applicazione del
modello degli “atteggiamenti professionalizzanti” per effettuare l’abbinamento al-
lievi/azienda (fase di stage);
– concordare l’intervento di mediatori culturali qualificati nei casi in cui se ne registri il
bisogno;
– predisporre interventi, come convenzioni e contratti di tirocinio individualizzati e per-
sonalizzati, le formalità amministrative, la visibilità della presa in carico del soggetto
migrante;
– predisporre incontri individualizzati con il corsista durante il periodo di stage, preve-
dendo eventuali modalità di rientro nell’arco dello stage.
Equipe di inter-centro
In considerazione dell’ampliarsi della proposta formativa per migranti su più Centri
della Casa di Carità si è attivato un gruppo di lavoro finalizzato a costituire una “cinghia di
trasmissione” tra i Centri che gestiscono percorsi formativi per migranti, volta a consentire
un agevole scambio di informazioni ed interagire a diversi livelli d’intervento, ovvero: pro-
gettazione, l’obiettivo non è la standardizzazione totale dei corsi attivi su Centri differenti,
magari localizzati in territori connotati da peculiarità ed esigenze differenti (si consideri che
la Casa di Carità Arti e Mestieri opera nelle province di Torino, Alessandria e Verbano
Cusio Ossola), piuttosto di uniformare, avendo ben chiari obiettivi, approcci, modelli, me-
todologie e strumenti (dispense, testi, prove di verifica, ecc.) riferiti alle unità formative di
ordine culturale/trasversale; accoglienza, uniformare i dispositivi relativi alla presa in ca-
rico degli/delle allievi/e (test di orientamento e/o selezione, schede raccolta dati, dossier
personali), al loro accompagnamento in itinere e, dove necessario, al termine del percorso.
215
Colloquio con _____________________________________ Punteggio complessivo in centesimi: ___
COLLOQUIO ORIENTAMENTO- SCHEDA PERSONALE
Cognome: Nome:
Corso:
Tipologia del permesso di soggiorno e sua costruzione
Situazione personale/familiare e stabilità residenziale
Sostentamento e gestione dei figli
Esperienze pregresse rispetto corso scelto
Motivazioni alla scelta del corso
Disponibilità ad essere flessibili finalizzata allo stage
Disponibilità alla frequenza di un altro corso di formazione
(altri Centri della C.D.C. o altre agenzie formative)
Se favorevole la c.d.c. Propone le varie opportunità
Scelta da parte del candidato
Padronanza della lingua italiana (parlato e in ascolto)
GRIGLIA PER L’ASSEGNAZIONE DEL PUNTEGGIO
IN CENTESIMI A SEGUITO DEL COLLOQUIO
SCHEDA DI SINTESI DEI DATI ESSENZIALI EMERSI DAI COLLOQUI E DAI TEST
Corso:
Sufficiente Discreto Buono Ottimo
N. Nome allievo Dati sensibili Test Italiano Colloquio Punteggio
complessivo
216
Tipologia del Permesso di soggiorno e sua durata:
Indica la motivazione e la prospettiva della permanenza in Italia. La rete di soste-
gno nei casi in cui il P.S. è debole o il P.S. è in fase di costruzione, di definizione. In
Casi particolari come avviene a Città dei Ragazzi la ricerca di stabilità legale stret-
tamente legata al diritto di cittadinanza il punteggio varia da 20 a 40 punti.
Livello di appartenenza culturale:
Indica il modello culturale di riferimento e quanto il migrante concepisca l’ele-
mento culturale come ostacolo o come opportunità verso l’ambiente esterno
Titolo di studio:
Indica il livello di congruenza tra il corso di formazione e la preparazione del mi-
grante
Conoscenza della lingua italiana:
Indica Capacità di esprimersi correttamente in lingua italiana in riferimento
anche all’esito del test scritto, con particolare attenzione a frequenza presso
C.T.P. o a corsi di italiano del privato/sociale
Progetto migratorio e motivazione:
Indica quanto il migrante intenda investire nel corso in relazione al suo progetto
migratorio
Reti familiari e sociali:
Indica quanto oggettivamente il migrante possiede in termini di gruppi fami-
liari/amicali ed eventualmente professionali, utili alla gestione per la frequenza al
corso ( gestione figli, lavoro part-time…)
Conoscenza dei servizi territoriali:
Indica il livello di inserimento e utilizzo da parte del migrante dei vari servizi.
Esperienze formativo/lavorative nel Paese di origine e in Italia
Indica il trascorso del migrante prima dell’arrivo in Italia e l’eventuale partecipa-
zione a percorsi formativi e alle varie esperienze lavorative
Flessibilità:
Indica la capacità della persona ad adattarsi alle varie situazioni
Iniziativa personale:
Indica la capacità di cercare autonomamente le informazioni e/o di far riferi-
mento ai vari servizi presenti sul territorio
Max Min
217
GLOSSARIO
APPUNTI
SCHEDA - EDUCAZIONE ATTIVA ALLA CITTADINANZA
218
Ambito di Presa in carico Mediazione attivata Orientamento
riferimento - data di con procedura di proposto e
rilevamento contatto con il servizio risultato ottenuto
Ambito:
Data:
219
PROVA INTERDISCIPLINARE
AREA SAPERI:
– Comunicazione interculturale
– Legislazione alla cittadinanza
– Competenze trasversali
– Pari opportunità
– Orientamento
– Officina
– Area tecnico-scientifica
N.B. quella riportata è un esempio utilizzato in uno specifico corso dell’area mecca-
nica. Il testo e l’articolazione specifica della prova viene concordato dai docenti anche sulla
base degli elementi emersi attraverso gli strumenti precedenti.
Casa di carità arti e mestieri
Ente di formazione professionale
220
Modalità di esecuzione della prova interdisciplinare
La prova è svolta secondo modalità innovative che vede coinvolti più formatori che da
una parte interagiscono tra di loro nei vari saperi all’interno e nel confronto esterno della
classe a sostegno del gruppo/i classe di allievi, e dall’altra dalla costituzione di allievi suddi-
visi in gruppi di tre, possibilmente in grado di interagire non solo a livello di saperi ma so-
prattutto di confronto interculturale nelle loro diversità culturali. L’obiettivo è quello di far
emergere la cultura del lavoro secondo le richieste del mondo del lavoro di oggi e soprattut-
to nel saper governare i processi produttivi e occupazionali emergenti rivolto ad una popola-
zione migrante precaria. Le modalità di lavoro saranno seguite e guidate dai formatori dalla
fase precedente lo stage, durante lo stage e nella parte conclusiva precedente l’esame. Il la-
voro terrà conto dell’analisi autobiografica comparata tra i gruppi di lavoro, della compara-
zione degli atteggiamenti professionalizzanti durante la fase precedente lo stage, della indi-
viduazione delle aziende e relativo abbinamento con l’allievo/i ufficializzato dalla stipula
della Convenzione/Presa d’Atto/Progetto formativo finalizzato alla ricerca delle opportunità
lavorative coerenti con la professionalità acquisita, dei rientri dallo stage nelle fasi di ricali-
brazione e di aggiustamento di tipo tecnico-professionale e relazionale-comunicativo.
LEGGERE E COMPRENDERE IL BRANO CON IL SOSTEGNO DELL’INSEGNANTE
Quando arrivai in Italia per vivere meglio mi accorsi che il primo modo di lavorare era di accettare la-
vori precari senza tutela e senza difesa.
Man mano che il tempo passava mi accorgevo che non potevo continuare con questi lavori precari, non
sicuri ed allora decisi di informarmi attraverso gli amici che conoscevano di più la città e i servizi che
danno informazioni e sostegno agli stranieri non comunitari.
Un po’ alla volta mi accorsi che bastava rispondere positivamente a queste opportunità che mi venivano
offerte dagli amici stranieri e dagli amici italiani.
Senza che io me ne rendessi conto, la mia vita un po’ alla volta cambiava e, da una condizione di emar-
ginazione e di isolamento, mi trovai sempre di più integrato e capito nel Paese che mi ospitava.
Ebbi la fortuna di incontrare un Centro di formazione professionale qual è la Città dei Ragazzi ed ebbi
modo di condividere con i miei amici di classe tante esperienze nuove legate alla mia futura professione
e alla mentalità che bisogna avere per lavorare a Torino.
Ora, nel gruppo costituito da me e altri compagni/e posso confrontarmi e scrivere la mia e le nostre cre-
scite professionali rispondendo alle seguenti domande:
1. CHI SIAMO (biografia personale utile per il lavoro: comportamenti, atteggiamenti, risorse);
2. LE NOSTRE MOTIVAZIONI (prerequisiti fino ad arrivare ai requisiti per essere un bravo lavora-
tore);
3. L’ESORDIO (i primi giorni a scuola e l’incontro con l’officina);
4. EVENTI (la comprensione, la stesura del profilo professionale);
5. INCONTRI (con l’officina, i datori di lavoro, il capo squadra, il tutor d’azienda, i colleghi di lavoro)
6. LE ATTIVITÀ (di lavoro imparate: procedure, calcolo, precisione, esecuzione);
7. L’APPARTENENZA (alla categoria dei lavoratori: nell’officina che è simile all’azienda, nella ri-
cerca lavoro);
8. I CAMBIAMENTI (professionali che ho avuto in questi ultimi tempi);
9. LE EMOZIONI (cosa ho provato in questa avventura);
10. I PENSIERI CHE HO NEL PROSSIMO FUTURO (uscendo da Città dei Ragazzi);
11. Inventa uno slogan dall’esperienza di questo anno.
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223
PROGETTO DIR - Dialogo Inter-Religioso come fatto culturale
Ideato da:
Maria Giuseppina Conti, Presidente associazione La Casa di Thérèse
Michele Grisoni, Supporto metodologico Migranti – Casa di Carità Arti e Mestieri
Torino, 4 Gennaio 2005
Il Dialogo Inter-Religioso (DIR) riguarda tutti gli aspetti delle relazioni interpersonali,
diventando addirittura la premessa per evitare e, nel caso, risolvere i conflitti fra le persone.
Il DIR si realizza proprio dove s’incontrano persone con convinzioni religiose diverse. Ne
deriva perciò uno scambio: non solo di teste ma di cuori che presuppone la disponibilità ad
accettare gli altri nel quotidiano, a rispettarli. Accettare e accogliere l’altro significa in
primo luogo prestare ascolto a chi ha una convinzione religiosa diversa dalla mia e cercare
di capirlo e, in secondo luogo, farsi incontro all’altro con simpatia e fiducia. Il mediatore
interculturale, non solo deve avere una buona preparazione sulle problematiche etniche (an-
tropologiche e sociologiche), ma anche sulla conoscenza di sé, del proprio vissuto, delle
proprie credenze. Deve, in qualche modo diventare ed essere cittadino del mondo, costrut-
tore di comunione e di ponti nella libertà di espressione della cultura e della credenza reli-
giosa di ciascuno. Lo slancio dato dal dialogo tra le religioni non deve arenarsi tra le buone
maniere e le buone parole, ma diventare un fatto culturale permanente. Ecco perché nasce
questo progetto, di portata mondiale, che si situa tra le pari opportunità che ciascuno deve
avere e deve favorire per la crescita di ogni popolo, di ogni credenza e per il definitivo ri-
fiuto di ogni forma di violenza ideologica. Credere che sia possibile questo, vuol dire cre-
dere che la nostra società possa finalmente abbattere i muri di divisione, le barriere di riti e
di credenze. Riti e credenze che sono sfumature del multiforme volto dell’umanità. Il 27 ot-
tobre 1986 ad Assisi, Giovanni Paolo II realizzava un vero dialogo tra le religioni. In quel
fine ottobre, 124 rappresentanti di Chiese cristiane e di non cristiani si riunivano ad Assisi,
insieme al Vescovo di Roma, tutti sullo stesso piano, tutti con l’unico intento di pregare per
la pace. Non è forse questo il superamento dei conflitti? Conflitti non necessariamente fatti
con l’uso delle armi, ma conflitti interpersonali che viviamo ogni giorno, sul luogo di la-
voro, di ricreazione, di fede. Seppur diverse nella forma, nella sostanza sono simili le lo-
giche dei conflitti che avvengono tra Stati oppure nei nostri condomini e/o quartieri. Ricor-
diamo, inoltre, la Dichiarazione per un’etica mondiale (Chicago 1993) e il Manifesto per il
dialogo delle culture “Ponti verso il futuro” (2001 Kofi Annan) che intendono stimolare un
cambiamento di conoscenza individuale e collettivo nell’interesse della sopravvivenza del
nostro Pianeta.
Per dare efficacia ed efficienza a quanto descritto in precedenza, il nostro tentativo è
quello di valorizzare quanto già si sta producendo nella Città di Torino e nella Provincia, ad
opera dell’Ufficio Pastorale Migranti (UPM). Si tratta di sistematizzare e di incanalare le
esperienze prodotte coinvolgendo la Formazione Professionale che in questo caso può pro-
muovere azioni innovative spendibili nei contesti interculturali da un osservatorio concreto
e pratico qual è quello del mondo del lavoro. La Casa di Carità Arti e Mestieri ha negli anni
prodotto da una parte una vasta ed articolata rete di connessioni tra servizi che si occupano
di integrazione, e dall’altra ha perfezionato le politiche e la didattica di orientamento, di
percorso, di accompagnamento di migranti nel tessuto sociale e lavorativo.
Pertanto si prevede:
1) di inserire nel Corso dei Mediatori interculturali dell’a.f. 2005/2006, 6 ore di forma-
zione sul dialogo inter-religioso finalizzato a: far conoscere quanto si svolge su questo
tema nel nostro territorio; sensibilizzare i corsisti e promuovere buone prassi di acco-
224
glienza, di sostegno e di orientamento con particolare attenzione a quei settori della
popolazione straniera (la maggioranza) che non hanno punti fermi di riferimento; indi-
viduare i nodi critici che comunque occorre affrontare (interreligiosità, agnosticismo,
secolarizzazione, ignoranza, classi multietniche ingestibili, difficoltà di comprendere);
2) di realizzare un corso di 60 ore di dialogo e mediazione inter-religiosa da presentare
nella prossima Direttiva provinciale. Si ipotizza la creazione di un Tavolo di DIR com-
posto dall’UPM (supervisore e elaborazione), dall’Agenzia formativa Casa di Carità
Arti e Mestieri (coordinamento e elaborazione), dai referenti di staff sul dialogo inter-
religioso (Maria Adele Roggero, Don Fredo Olivero, Maria Giuseppina Conti), dai re-
ferenti Chiese e religioni (cristiani evangelici-cattolici-ortodossi, ebrei, musulmani,
buddisti, induisti, religioni africane), dal Milieu innovateur che rappresenta l’evolu-
zione e la trasformazione del territorio con la presenza reale di servizi e di Centri ag-
gregativi che ne sono più o meno direttamente coinvolti.
ORGANIGRAMMA DELL’ENTE/RETE DI SERVIZI/CONTATTO CON IL TERRITORIO
Finalità
Gli assiomi irrinunciabili dei contesti interculturali sono i seguenti:
1. operatori in grado di essere lettori della complessità;
2. operatori in grado di essere viaggiatori leggeri e capaci di cogliere le “differenze senza pregiudizi o
schemi mentali precostituiti”;
3. operatori che siano in grado di essere costruttori di ponti e saltatori di muri;
4. trasformare il dissidio, che è il non condiviso, in conflitto, vale a dire trovare le parole che permet-
tano la traduzione dell’uno nell’altro. Nel momento in cui si trovano le parole per esprimere il dis-
sidio, si è già sulla via della metamorfosi: il dissidio diventerà conflitto, sarà comprensibile alle parti
e si aprirà uno spiraglio di trasformazione, per arrivare così ad un reciproco riconoscimento. Questo
processo è alla base della mediazione, della conoscenza dei codici culturali, della gestione dei con-
flitti e del percorso d’aiuto.
Le azioni che l’operatore svolge all’interno della FP hanno lo scopo prioritario di facilitare e fluidificare
la complessità, intervenendo su di un’utenza migrante i cui i codici culturali e la gestione dei conflitti
appartengono a delle dinamiche che mai si devono improvvisare in condizioni emergenziali e dilettanti-
stici; occorre sistematizzare promuovendo linee condivise di prevenzione che scaturiscono da supporti
metodologici e da modelli e dispositivi sperimentati e non per ultimo dall’utilizzo e rispettivo intervento
di mediatori e/o servizi guidati e selezionati per gli interventi sul campo; questo perchè l’operatore au-
toctono che non ha vissuto il percorso migratorio e non appartiene alle culture e alle lingue “altre” diffi-
cilmente è in grado di cogliere e di promuovere una comunicazione funzionale ai propri interventi.
Progettare mediazione pratica in contesti interculturali
A.F. 2007/2008
225
Michele Grisoni
La definizione del lavoro di mediazione pratica all’interno della FP comporta alcune particolarità e al-
cune attenzioni:
– la consapevolezza che gli operatori e i mediatori e/o servizi svolgono, all’interno dei propri compiti,
azioni di mediazione; ciò a volte facilita il lavoro ma altre alimenta sentimenti di competizione sul
ruolo da assumere;
– la necessità di inserire l’intervento in un progetto, di impostarlo, monitorarlo in itinere e conclu-
derlo. Il lavoro di mediazione va quindi pensato, progettato, intrecciato al contesto della FP e dei
servizi selezionati attraverso la cura dell’operatore incaricato e professionalmente preparato e in
grado di leggere la realtà territoriale in tutte le sue specificità; ciò richiede un alto grado di chiarezza
da parte degli operatori circa gli obiettivi, le competenze, le modalità da utilizzare. Si fa riferimento
a quanto sviluppato negli anni e trascritto all’interno del sito della Provincia di Torino. Le figure co-
involte sono il Direttore, il supervisore metodologico per migranti, il referente di Centro di forma-
zione per migranti, i team manager, i tutor di classe;
– la contestualizzazione derivante dal luogo e dal servizio dell’intervento (setting) , che definisce
ancor di più le caratteristiche delle azioni e facilita o meno la possibilità di mediazione.
La mediazione che si utilizza è ritenuta essenziale e vincente quando:
esiste un problema di comunicazione e trasmissione di concetti e di regole di funzionamento: codici cul-
turali, conflitti;
– si verificano incomprensioni ed incidenti interculturali dovuti a differenti interpretazioni, a letture
stereotipate, a non conoscenza dei sistemi di riferimento reciproci;
– la modalità di presentazione delle richieste, da parte di migranti, viene vissuta dagli operatori come
incomprensibile, inadeguata, aggressiva;
– è necessario fluidificare la comunicazione, “fare un passo indietro” per poter proseguire e prevenire
conflitti o definire la natura di quelli in corso, per arrivare a stabilire il terreno negoziabile;
– la non conoscenza dei servizi territoriali, dei loro obiettivi, del loro funzionamento porta gli utenti e
gli operatori a farne un uso scorretto che può danneggiare lavori di anni; in questo se non si è for-
mati gli operatori e gli utenti migranti esprimono differenti concezioni su temi importanti (nascita,
genitorialità, relazioni affettive…), entrando così in attrito relativamente alle possibilità/obblighi di
intervento dei servizi.
Testi di riferimento di base sono:
– “Migranti e reciprocità nella rete e nella formazione” (cap. 3: “Per un modello di comunicazione
fondato sulla reciprocità”; dispositivo grafico n. 7 del cap. 6 “Percorsi di rete ed aree d’intervento”;
“Migranti in Piemonte “ cap. di Michele Grisoni);
– “Atlante della mediazione linguistico culturale” nei capitoli suggestivi di Anna Raffaella Belpiede,
Marianella Slavi, Massimiliano Fiorucci, Marta Castiglioni, Manuela Fumagalli, Lucine Hounkpatin
e Claude Mesmin, Pietro Barbetta.
226
227
Michele Grisoni
228
1. Premessa
Il CIOFS/FP Emilia Romagna (E-R), in piena coerenza con la propria mission indi-
vidua come destinatari privilegiati della propria azione formativa e orientativa, i giovani e
le donne, con particolare riferimento a coloro che hanno maggiori difficoltà e problema-
tiche sia di carattere personale che di inserimento sociale e lavorativo. La sede di Bologna
si è specializzata nel corso degli anni nell’offerta di servizi formativi ed orientativi rivolti a
donne immigrate che nella realtà bolognese fin dagli anni novanta hanno cominciato ad es-
sere presenti in forma strutturata, impegnate inizialmente nel settore dei servizi alla persona
(in particolare anziani) in forte crescita in quegli anni. La scelta del CIOFS/FP E-R di spe-
cializzarsi in questo ambito risale a quegli anni e non è frutto del caso, ma l’incrocio tra:
coerenza con la propria mission educativa centrata sulla promozione della donna, soprat-
tutto nei casi in cui ne viene calpestata la dignità; lettura attenta dei bisogni del territorio,
che esprimeva già la necessità di intervenire in maniera mirata e specifica per favorire i pro-
cessi di inserimento sociale e lavorativo delle donne immigrate, impegnate già allora in un
difficile compito di conciliazione tra compiti di cura familiare e necessità lavorative. È così
che il CIOFS/FP E-R negli anni è stato riconosciuto sul territorio per questa sua specificità,
ha potuto quindi attivare una rete di collaborazione tra i soggetti che si occupano delle te-
matiche dell’immigrazione e nello stesso tempo è riconosciuto dalle comunità di immigrati
come punto di riferimento per le problematiche del lavoro e della formazione. L’esperienza
maturata sul campo nel corso degli anni ha consentito di: disporre di personale preparato
nel lavoro con immigrati; strutturare un’importante rete di relazioni con le aziende del terri-
torio per l’inserimento lavorativo delle donne immigrate; strutturare percorsi formativi e
orientativi mirati e personalizzati; attivare percorsi e servizi con una certa continuità e
quindi riconoscibilità sul territorio. L’elemento centrale che abbiamo riscontrato in questi
anni, e che caratterizzerà il lavoro nei prossimi, è rappresentato dalla necessità di offrire
con una certa continuità alla popolazione immigrata una serie articolata di servizi che pos-
sano rispondere in maniera personalizzata e non standardizzata ai bisogni di cui sono porta-
trici le donne immigrate, in un’ottica di rete e di collaborazione con altri servizi del terri-
torio (sociali, sanitari, per la casa, ecc.).
Riteniamo quindi importante: proporre corsi brevi e finalizzati all’inserimento lavorati-
vo immediato (quasi sempre nel settore dell’assistenza anziani) per quelle donne che espri-
mono la necessità di dover lavorare in tempi brevi per mantenersi o per problemi legati al
permesso di soggiorno; attivare servizi di orientamento ad accesso individuale per offrire ri-
sposte immediate, individuali e in tempi brevi alle diverse esigenze e bisogni non aggredibi-
li attraverso le tradizionali attività formative; favorire l’inserimento delle donne immigrate
nei percorsi “ordinari” rivolti a diplomati e/o disoccupati, al fine di valorizzare le competen-
ze e le esperienze maturate nei Paesi d’origine e che difficilmente possono trovare espressio-
ne nel nostro mercato del lavoro. Questo tipo di attività formativa può meglio rispondere al-
ALLEGATO 3
Il CIOFS/FP Emilia Romagna e le attività con le donne immigrate
229
le esigenze delle donne che hanno titoli di studio e conoscenze professionali, tempo da dedi-
care alla formazione, buona conoscenza della lingua italiana; percorsi formativi personaliz-
zati centrati sull’esperienza di stage e finalizzati all’inserimento lavorativo attraverso un for-
te tutoraggio e una forte collaborazione con le aziende ospitanti. Anche questa tipologia di
percorsi può offrire buone opportunità a chi già ha delle esperienze e conoscenze da valoriz-
zare e che ha bisogno di attivare un contatto mirato con le aziende del territorio, non avendo
molto tempo disponibile per percorsi formativi tradizionali e strutturati.
Come evidenziato da queste poche righe riteniamo quindi che nel lavoro con questa ti-
pologia d’utenza non ci si possa improvvisare, ma che occorra una forte motivazione e vo-
cazione, nonché la possibilità di poter diversificare al massimo i servizi per rispondere in
maniera efficace ai bisogni complessi di cui sono portatrici le donne immigrate. Riteniamo
che oggi sia irrealistico pensare di offrire percorsi standardizzati per tutti, magari solo nel
settore dei servizi all’anziano che non possono valorizzare il patrimonio personale, di espe-
rienza e personale del quale sono portatrici le donne immigrate che oggi si presentano nel
mercato del lavoro e che hanno caratteristiche molto differenti rispetto alle donne immi-
grate di 5-10 anni fa.
Vediamo di seguito i servizi e le azioni che il CIOFS/FP E-R ha attivato a Bologna in
questi anni e che sono riconducibili alla prospettiva generale appena descritta. Si comincia
con le attività più di carattere tradizionale, le prime realizzate sul territorio, ma che ancora
oggi offrono delle concrete opportunità lavorative, si passa poi alla descrizione della pro-
spettiva multiculturale che cerchiamo di proporre trasversalmente nelle attività formative e
orientative realizzate, per finire con la descrizione di un servizio di orientamento/lavoro at-
tivo fin dal 1998 con una certa continuità e che rappresenta un punto di riferimento impor-
tante sul territorio in un’ottica di rete.
2. Le attività di formazione professionale dedicate
Le attività di formazione professionale con le donne immigrate si sono realizzate fin
dall’apertura del Centro di Bologna nel 1993 e costituiscono una delle linee d’intervento
strategiche del CIOFS/FP, in un settore, quello dell’assistenza alle persone anziane, in
grande sviluppo nei termini di prospettive occupazionali.
Fino al 1998, l’attività realizzata, è stata prevalentemente di tipo corsuale con finanzia-
menti Regionali FSE; dal 1998, grazie ai finanziamenti europei di Iniziativa Comunitaria
Occupazione, lo spettro di azioni si è ampliato con la realizzazione di una ricerca a livello
comunale, la produzione di strumenti di orientamento ad hoc per donne immigrate e l’aper-
tura sperimentale di un Centro di Orientamento/Lavoro Donne Immigrate presso la sede di
Via San Savino, 37, tuttora attivo e al quale si recano mediamente 300/400 persone al-
l’anno. Dal 2001, le attività formative nel settore dell’assistenza alla persona sono finan-
ziate con regolarità sui Piani Provinciali. I principi che stanno alla base dell’approccio al
tema dell’immigrazione sono tutti strettamente collegati alla mission dell’ente, nella pro-
spettiva di realizzare percorsi di inserimento sociale e lavorativo rispettosi della persona,
ma nello stesso tempo concretamente realizzabili nel contesto economico e produttivo lo-
cale. Tra i punti di riferimento troviamo quindi: focalizzazione degli interventi sulle proble-
matiche di tipo formativo e lavorativo, non invadendo campi di competenza “altri” (pro-
blema dell’abitazione, regolarizzazione documentale, ecc.); stretta collaborazione con la
rete dei servizi e del volontariato che si occupano a diverso livello del problema immigra-
zione; scelta preferenziale per la donna, in relazione al carisma specifico dell’ente; forma-
zione integrale e non solo professionale della donna immigrata; attenzione alla persona in
tutti i suoi aspetti; attenzione alla dimensione orientativa intesa come formazione non solo
230
centrata su aspetti tecnico pratici, ma anche sulla facilitazione dell’impatto dell’immigrata
con la nostra realtà culturale; accompagnamento al lavoro, per le donne realmente disponi-
bili all’inserimento, attraverso un servizio di tutoraggio personalizzato; perseguimento di
una logica di sistema interna ed esterna e non solo di interventi sporadici di tipo formativo:
interna per quanto riguarda la formazione e la specializzazione del personale impegnato,
ma anche la strutturazione di materiali per l’orientamento ad hoc per questa utenza, esterna
con la creazione di un polo di attenzione riconosciuto (CODI) sia dalle utenti che dai ser-
vizi del territorio.
Riteniamo che l’esperienza maturata in questi anni sia fondamentale sotto diversi
punti di vista e sia il prerequisito per l’organizzazione e la promozione di attività formative
innovative, che così possono poggiare su di un know how e una struttura collaudate. Tra
gli elementi più significativi e che brevemente richiamiamo, a nostro avviso meritano par-
ticolare attenzione: essere riconosciuti dalle stesse donne immigrate come CFP in grado di
erogare servizi formativi ad hoc per loro e rispondenti alle loro aspettative; presenza
presso il CFP di professionalità specifiche per l’erogazione di attività formative per donne
immigrate quali: coordinatori, docenti di lingua, orientatori, tutor, tutor stage, docenti
esterni preparati e abituati a lavorare con persone che hanno conoscenze linguistiche molto
differenziate; disponibilità presso il CFP di strumenti per l’apprendimento della lingua e
per l’orientamento già sperimentati più volte con successo nelle attività formative; sistema
di relazioni e di collaborazioni sul territorio ben collaudate e che consentono, a partire
dalla valorizzazione della specificità di ciascun soggetto, di offrire servizi integrati ed effi-
caci alle utenti.
Particolarmente rilevante è stata l’esperienza realizzata nel corso del 2003/2004 dal
CIOFS/FP E-R nell’ambito del progetto “Io apprendo, io lavoro: noi creiamo impresa” rea-
lizzato in collaborazione con Caritas diocesana di Bologna, Confcooperative e AECA.
Il progetto, finanziato all’interno della Sovvenzione Globale B1 gestita dal Consorzio
“Noi Con”, ha portato alla costituzione di una cooperativa di donne immigrate di servizi ri-
creativi e domiciliari per l’infanzia. Questa esperienza, estremamente positiva dal punto di
vista del risultato (apertura della cooperativa che eroga direttamente i propri servizi a par-
tire dal gennaio 2004), è a nostro avviso molto importante per il CIOFS/FP E-R a livello di:
maturazione di un know how specifico nel settore della formazione per l’imprenditoria; ve-
rifica della possibilità per le donne immigrate di affrontare con successo anche percorsi for-
mativi impegnativi; verifica dell’autoimprenditorialità come concreta opportunità di svi-
luppo personale per le donne immigrate; attivazione di un sistema locale di relazioni con
soggetti del territorio per il sostegno all’autoimprenditorialità delle donne immigrate.
Altrettanto rilevante è il progetto realizzato in collaborazione con il Comune di Bo-
logna nel corso del 2005 dal titolo “Percorsi sperimentali di orientamento e preprofessiona-
lizzazione delle donne rumene seguite dal Servizio Immigrazione del Comune di Bologna”.
L’obiettivo del progetto era quello di sviluppare nelle destinatarie del percorso formativo
(donne rumene in carico al Servizio Immigrazione del Comune di Bologna) competenze di
base e preprofessionalizzanti per il loro inserimento sociale e lavorativo nel territorio bolo-
gnese, attraverso la sperimentazione di un modello di intervento centrato su 3 aree: Analisi
del potenziale individuale; Orientamento sociale e lavorativo; Orientamento professionale e
sviluppo di competenze preprofessionalizzanti.
Il risultato del progetto è stato quello di individuare e validare un interessante modello
di intervento per verificare la possibilità di creare delle precondizioni per l’inserimento la-
vorativo di una fascia molto difficile e complessa (donne rumene rom) che dal punto di
vista culturale e sociale ha molte difficoltà ad inserirsi nel tessuto sociale delle nostre città.
231
3. L’approccio multiculturale
Il CIOFS/FP E-R sede di Bologna realizza da diversi anni attività di formazione e di
orientamento per donne immigrate, e quindi ha avviato una riflessione e sperimentato pra-
tiche formative che tengono conto della dimensione interculturale.
Nell’organizzazione e nella gestione dei corsi, si tiene conto trasversalmente delle dif-
ferenze (piuttosto profonde soprattutto nei confronti della cultura musulmana) e i docenti
stessi organizzano le attività formative favorendo il confronto, la comunicazione e lo
scambio, in un’ottica di valorizzazione delle differenze.
L’approccio interculturale trova poi espressione concreta in alcuni aspetti che breve-
mente descriviamo:
– Favorire lo scambio e il confronto culturale come metodo generale di lavoro utilizzato
dai docenti, nella logica della valorizzazione delle culture di appartenenza, ma anche
nella conoscenza e accettazione della cultura italiana nella quale vivono.
– Lingua italiana: attraverso la conoscenza della lingua le donne immigrate possono
realmente confrontarsi, comprendere e accettare la cultura della società nella quale
hanno deciso di vivere. Questo è molto importante perché senza una buona conoscenza
linguistica i messaggi che arrivano loro possono essere travisati e non dare il giusto
peso ad aspetti importanti nella loro cultura.
– Contratti di lavoro: in tutti i corsi per donne immigrate affrontiamo il tema del lavoro
e delle modalità con le quali è organizzato in Italia e in particolare nel nostro territorio.
Questo al fine di fornire loro strumenti per affrontare più attivamente il problema del
loro inserimento lavorativo attraverso la comprensione di meccanismi che nei Paesi
d’origine hanno dinamiche diverse.
– Gestione dello stage: è uno dei momenti più importanti dei percorsi formativi per immi-
grati. Nello stage la donna immigrata entra a contatto con la nostra realtà lavorativa e
quindi è preparata dai coordinatori e dai tutor ad affrontare la realtà del lavoro in tutte le
sue dimensioni (rapporto con “i clienti”, rapporto con i datori di lavoro, rispetto degli ora-
ri, i tempi del lavoro, ecc.), così come al termine dello stage è aiutata ad elaborare le in-
formazioni e le esperienze realizzate. Nell’area dei servizi alla persona, il tema della cura
dell’altro viene affrontato tenendo conto delle differenze culturali, ma soprattutto delle
resistenze e difficoltà che possono essere presenti in donne di culture diverse.
– Orientamento sociale: in quasi tutti i corsi per donne immigrate è presente un modulo
specifico di orientamento sociale alla nostra cultura. Attraverso lo scambio e il con-
fronto, le donne sono aiutate a comprendere alcuni aspetti della nostra cultura che sono
fondamentali per potersi inserire attivamente nella società. Tra gli aspetti che vengono
tematizzati sottolineiamo i seguenti: le relazioni interpersonali, l’organizzazione dei
principali servizi (sanitario, scolastico, di assistenza), le regole comuni di convivenza
(orari, come ci si rivolge a un datore di lavoro, a persone sconosciute, il ruolo della
donna, i rapporti familiari, ecc.).
– La festa e il tempo libero: di norma al termine dei corsi per donne immigrate è orga-
nizzato un momento di festa e di scambio, finalizzato alla conoscenza e alla scoperta
delle culture. In genere, il focus è sul cibo: le signore sono invitate a portare o a cuci-
nare piatti della loro cultura, presentarli alle altre e assaggiare i prodotti delle altre. È
un momento molto bello, in cui comunque le culture di appartenenza sono valorizzate.
– Moduli di cucina: nei corsi per assistenza agli anziani, l’apprendimento della nostra cuci-
na è un momento importante di conoscenza della nostra cultura. Attraverso la preparazio-
ne del cibo, gli insegnanti spiegano le nostre abitudini, i prodotti utilizzati e consentono al-
le donne immigrate di conoscere aspetti del nostro modo di vivere che spesso ignorano.
232
4. Il servizio CODI (Centro Orientamento Donne Immigrate)
Il CODI è un servizio di orientamento al lavoro strutturato e permanente, rivolto esclu-
sivamente a donne immigrate gestito da orientatici esperte soprattutto nell’ambito del sup-
porto ai processi di transizione lavorativa. È ad accesso libero e l’utente può usufruire in
maniera personalizzata dei diversi servizi che in esso vengono erogati e che di seguito bre-
vemente vengono descritti.
Accoglienza
Il servizio di accoglienza, dal quale passano tutte le utenti CODI, ha tre compiti fonda-
mentali: 1) accogliere la persona nella struttura, cercando di metterla a proprio agio in un
ambiente non conosciuto; 2) leggere il bisogno esplicito e implicito della persona e indiriz-
zarla ad altri servizi del territorio se il bisogno espresso non è affrontabile dal CODI, op-
pure concordare il percorso all’interno del Codi, se il bisogno afferisce all’area forma-
tivo/lavorativa; 3) aprire formalmente la pratica personale dell’utente, che lo accompagnerà
durante tutta la permanenza al servizio.
Informazione (consultazione autonoma o guidata)
Un primo livello del servizio è di tipo informativo. Si ipotizza che alcune (non molte
donne immigrate) abbiano essenzialmente bisogno di alcune informazioni (sui corsi di for-
mazione, quelli di italiano, le modalità per l’iscrizione a scuola, ecc.) per attivare autono-
mamente un percorso di inserimento formativo o lavorativo. Sono possibili due modalità di
consultazione: 1) consultazione autonoma, presso un ambiente appositamente attrezzato,
nel quale le informazioni sono rese disponibili all’utenza senza l’intermediazione dell’ope-
ratore. Le informazioni sono opportunamente organizzate e aggiornate dagli operatori; 2)
consultazione guidata con l’aiuto dell’operatore. In questo caso l’utente è aiutata dall’ope-
ratore per il reperimento dell’informazione e per una sua utilizzazione concreta.
Colloquio
Un primo livello di colloquio, parallelo alla fase dell’accoglienza e dell’informazione,
ha come obiettivo principale quello di introdurre la tematica dell’orientamento in un’utenza
che probabilmente non percepisce come importante questa problematica. Infatti l’orienta-
mento è un concetto ancora lontano per questa fascia di popolazione impegnata soprattutto
nella soluzione di problemi primari legati alla sopravvivenza (una casa, un lavoro che
faccia guadagnare, ecc.). L’ipotesi non è quella di sviare l’attenzione dai problemi che loro
ritengono pressanti, quanto quello di ampliare, attraverso un colloquio, le possibilità, al-
meno a livello cognitivo di avviare un processo di integrazione sociale e lavorativa mag-
giormente dignitosa nel corso del tempo. L’obiettivo di fondo del colloquio è quindi quello
di ampliare l’orizzonte progettuale delle utenti, non dimenticando comunque di sostenerle
nella soddisfazione dei bisogni più pressanti (il lavoro).
Colloquio orientativo
Per una fascia molto più ristretta di utenti, il CODI è in grado di attivare percorsi di
consulenza orientativa individuale per l’accompagnamento alla costruzione e persegui-
mento di un progetto professionale articolato. Questo servizio è rivolto a persone che in
qualche modo hanno già risolto i problemi fondamentali della loro presenza in Italia e aspi-
rano a professionalità e a un inserimento lavorativo qualitativamente migliore.
Costruzione del curriculum
Uno dei servizi legati all’ambito più strettamente lavorativo è la costruzione del curri-
culum. L’idea è quella di aiutare l’utente nella definizione e traduzione delle precedenti
esperienze formative e lavorative che costituiscono le competenze che la donna immigrata
233
offre sul mercato del lavoro. La costruzione del curriculum non è quindi un’operazione me-
ramente formale, ma rappresenta un’occasione preziosa per l’utente di ricostruzione di un
potenziale lavorativo spesso sottovalutato o non riconosciuto. È la base di partenza per
qualsiasi tentativo di inserimento lavorativo.
Accompagnamento alla ricerca attiva del lavoro
Per tutte le utenti è comunque offerto un servizio di accompagnamento alla ricerca at-
tiva del lavoro. L’utente può usufruire del servizio solo dopo aver redatto il curriculum
presso il Centro. L’operatore dell’inserimento lavorativo organizza con le utenti campagne
individualizzate di ricerca del lavoro, utilizzando tutti gli strumenti oggi disponibili (libri,
giornali, tecniche di ricerca attiva, ecc.). L’obiettivo di questi percorsi di gruppo o persona-
lizzati è proprio quello di fornire strumenti concreti e accompagnare l’utente nella delicata
fase di ricerca del lavoro.
Back Office
Oltre alle normali attività di front office rivolte al pubblico, sono realizzate ore di back
office per permettere il corretto funzionamento del servizio. Tra le azioni per il back office
evidenziamo: raccolta, organizzazione, gestione e manutenzione delle informazioni; predi-
sposizione di schede informative ad hoc; contatti con le aziende per rilevare il fabbisogno
lavorativo nel settore dei servizi alla persona; creazione di una banca dati del CODI, con
particolare attenzione all’integrazione con altre banche dati esistenti.
Percorso tipo per la utente del servizio
Per la donna immigrata che si presenta al servizio, sono a disposizione diverse possibilità
in relazione al bisogno espresso direttamente o indirettamente all’operatore. Un primo filtro
viene svolto nell’accoglienza che ha il compito fondamentale di aiutare l’immigrata ad esplici-
tare il proprio bisogno e a definire i servizi interni o esterni al Centro più adatti al soddisfaci-
mento del bisogno. Se il bisogno espresso non è di tipo orientativo o lavorativo, si cerca di indi-
rizzare l’utente al servizio più rispondente alle sue necessità. Se invece il bisogno può essere
soddisfatto all’interno del CODI, l’operatore concorda con l’utente il percorso interno, presen-
tando inizialmente i servizi disponibili. È in questa fase che inizia la compilazione del dossier
personale utente con la raccolta dei dati principali e del percorso svolto all’interno del servizio.
L’accoglienza è sempre accompagnata da un colloquio, nel quale comunque l’operatore cerca di
introdurre la tematica dell’orientamento per donne immigrate, nell’ottica di miglioramento nel
tempo della collocazione lavorativa e sociale del soggetto (ampliamento delle possibilità per il
soggetto). Se il bisogno espresso dalla donna immigrata riguarda poi problematiche orientative,
e quindi non solo legate ad un bisogno immediato e contingente di lavoro, si possono attivare di-
versi servizi: informazione; colloquio orientativo approfondito per la definizione di un progetto
professionale. Per l’utente che esprime invece un bisogno prettamente lavorativo, il percorso
può svolgersi nell’ambito di uno spazio dedicato più espressamente al lavoro. Per tutte il per-
corso all’interno dello sportello lavoro comincia con la costruzione del curriculum, inteso non
solo come documento formale, ma come processo di definizione e presa di coscienza delle abi-
lità e competenze da offrire sul mercato del lavoro. A partire dalla compilazione del curriculum,
l’utente può invece usufruire di uno spettro di servizi di accompagnamento alla ricerca attiva
del lavoro. Nell’ambito di questo servizio, l’operatore mette a disposizione delle utenti una serie
di strumenti utilizzabili concretamente nella ricerca attiva, accompagnando direttamente le im-
migrate nello svolgimento di questo compito. Tra le possibili attività promosse in quest’ambito
ricordiamo: compilazione di lettere di accompagnamento; individuazione di strategie persona-
lizzate di ricerca attiva; consultazione offerte di lavoro dei principali giornali; telefonate di ri-
sposta ad annunci; invio di lettere di autocandidatura; accompagnamento a colloqui.
235
INDICE
INTRODUZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3
Capitolo 1
Le politiche dell’immigrazione in italia. l’evoluzione recente . . . . . . . . . . . . . . . . 5
1. Il quadro di riferimento: le recenti leggi organiche sull’immigrazione . . . . . . . . . 5
1.1. La legge Turco-Napolitano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
1.2. La legge Bossi-Fini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10
1.3. Il disegno di legge delega Amato-Ferrero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14
2. Ambiti specifici di attenzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16
2.1. Le famiglie dei giovani di origine migratoria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16
2.2. Le politiche della scuola e della FP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20
2.3. Le politiche del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29
2.4. Le politiche della cittadinanza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35
Capitolo 2
Adolescenti di origine migratoria: il contributo dei sistemi formativi
alla costruzione dell’identità e al processo di integrazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39
Premessa: “Che ci fa qui?” - “Che ci faccio qui?” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39
1. Adolescenti nei/dei processi migratori: fattori protettivi dell’identità etnica . . . . 40
1.1. Il “mito di Ulisse”, ovvero il significato del migrare alla ricerca di una “terza
sponda” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41
1.1.1. Lo spazio transizionale come approdo alla” terza sponda” . . . . . . . . . 42
1.1.2. L’integrazione tra codici comunicativi nell’esperienza migratoria . . . 43
1.2. Il conflitto di ruolo nei processi migratori alla ricerca di una propria identità 44
1.2.1. Alla ricerca di se stessi tra più mondi culturali . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45
1.2.2. Tra “terremoto identitario” e ricomposizione degli equilibri . . . . . . . 47
1.2.3. Sentirsi “stranieri” a se stessi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48
1.3. L’adolescente immigrato tra crisi e ricerca d’identità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50
1.3.1. Tra “sradicamento” e “sfida” per elaborare il cambiamento . . . . . . . . 51
1.3.2. Alla ricerca di meccanismi compensatori di fronte allo sradicamento 53
1.4. Le quattro ipotesi di ricerca di una propria identità negli adolescenti di origine
migratoria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56
2. Il contributo della “scuola” e dei sistemi formativi nei processi di integrazione
degli adolescenti di origine migratoria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58
2.1. Scuola e vissuto relazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59
2.2. Accogliere “chi”, accogliere “come” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61
2.3. Il ruolo della formazione nel processo di “stabilizzazione” . . . . . . . . . . . . . . 63
2.4. Il processo di integrazione scolastico-formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 64
236
Capitolo 3
L’indagine quantitativa: i giovani di origine migratoria di Latina . . . . . . . . . . . . 69
Premessa: Le ragioni di un apposito studio sui giovani di origine migratoria . . . . . . 69
1. Chi sono . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69
1.1. L’indagine nelle scuole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69
1.2. I protagonisti delle interviste qualitative . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71
2. La personalità dei giovani immigrati: concetto di sé e senso di appartenenza al
gruppo etnico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72
2.1. L’indagine nelle scuole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73
2.2. I protagonisti delle interviste qualitative . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74
3. Valori, bisogni e aspirazioni giovanili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76
3.1. L’indagine nelle scuole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76
3.2. I protagonisti delle interviste qualitative . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77
4. Il rapporto con i genitori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 78
4.1. L’indagine nelle scuole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79
4.2. I protagonisti delle interviste qualitative . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80
5. Il rapporto con gli amici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81
5.1. L’indagine nelle scuole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82
5.2. I protagonisti delle interviste qualitative . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82
6. Valutazione del percorso scolastico-formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83
6.1. L’indagine nelle scuole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83
6.2. I protagonisti delle interviste qualitative . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84
7. Il rapporto con la città di Latina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85
7.1. L’indagine nelle scuole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85
7.2. I protagonisti delle interviste qualitative . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86
8. Proposta di interventi a favore dei giovani di Latina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87
Capitolo 4
L’indagine qualitativa: analisi dei contenuti emersi dai focus group . . . . . . . . . . 89
1. Il CNOS-FAP “T. Gerini” di Roma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89
1.1. I dati della scheda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89
1.2. Analisi dei contenuti del focus . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90
1.2.1. Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90
1.2.2. Le buone prassi di supporto all’inserimento e alla riuscita del percorso
formativo degli immigrati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90
1.2.3. Altre attività di supporto offerte dal Centro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91
1.2.4. Aspetti critici rimasti irrisolti e da migliorare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92
2. L’ENAIP-Veneto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93
2.1. Dati complessivi dei 3 Centri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93
2.2. Analisi dei contenuti del focus . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93
2.2.1. Logistica organizzativa nel trattamento degli allievi immigrati . . . . . 93
2.2.2. Buone pratiche messe a punto per fronteggiare determinati fenomeni 95
2.2.3. Esempi di strategie d’intervento finalizzate all’integrazione nel
gruppo-classe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 96
2.2.4. La formazione della rete . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97
237
3. Il CNOS-FAP e il CIOFS/FP di Bologna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 98
3.1. I dati della scheda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 98
3.2. Analisi dei contenuti del focus . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99
3.2.1. Logistica organizzativa nel fronteggiare l’emergenza . . . . . . . . . . . . . 99
3.2.2. Suggerimento di buone pratiche, per quanto riguarda: . . . . . . . . . . . . 101
3.2.3. Interventi di rete . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102
4. Il CIOFS/FP del Lazio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103
4.1. Dati complessivi dei 6 Centri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103
4.2. Analisi dei contenuti del focus . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 104
4.2.1. Attività promosse in partnership . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 104
4.2.2. Strategie d’intervento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105
4.2.3. Proposte per migliorare il servizio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 107
5. La Casa di Carità Arti e Mestieri di Torino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 108
5.1. Presentazione delle attività dell’Ente a favore degli immigrati. . . . . . . . . . . . 108
5.2. La formazione dei formatori e della figura del mediatore interculturale . . . . 108
5.3. La metodologia e il percorso personalizzato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 109
5.4. Il progetto “Milieu Innovateur”: il rapporto col territorio e la rete . . . . . . . . 111
6. La Fondazione Clerici di Pavia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111
6.1. Contestualizzazione del progetto EQUAL “CIVES” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112
6.2. Descrizione delle tappe/attività sottese al progetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113
6.2.3. Obiezioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115
6.2.4. Punti di criticità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 116
7. Sintesi dei contenuti emersi dai focus . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 116
Capitolo 5
Linee-guida per modello/i sperimentale/i d’intervento a favore degli
immigrati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 121
1. Lo scenario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 121
2. Linee-guida sottese al modello sperimentale d’intervento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 122
2.1. Fase preliminare: analisi e contestualizzazione del fenomeno . . . . . . . . . . . . 123
2.2. Prima fase operativa: disponibilità di risorsa-uomo adeguatamente formata . 124
2.2.1. La formazione in servizio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125
2.2.2. La capacità di lavorare in équipe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125
2.2.3. Presenza di figure di intermediazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 126
2.3. Seconda fase operativa: le strategie formative a sostegno/accompagnamento 129
2.3.1. Buone pratiche per l’inserimento nel gruppo-classe degli alunni
immigrati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 129
2.3.2. La scuola/FP come “laboratorio delle differenze” contro le forme
di discriminazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 131
2.3.3. L’apprendimento cooperativo: apprendere per mezzo di altri, con gli
altri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133
2.3.4. Attivazione di “laboratori interculturali” e/o buone pratiche per
l’intercultura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 135
2.4. Fase ex-post: valutazione e diffusione dei risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 137
2.4.1. Pianificazione della valutazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 137
2.4.2. Valutazione degli esiti sui destinatari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 138
238
2.4.3. Valutazione del programma nel suo complesso . . . . . . . . . . . . . . . . . . 138
2.4.4. Divulgazione dei risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 138
Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139
Allegato 1
Report elaborato dal CNOS-FAP “Beata Vergine di S. Luca” di Bologna . . . . . . 143
Allegato 2
Il materiale elaborato dall’Ente Casa di Carità di Torino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 201
Allegato 3
Il CIOFS/FP Emilia Romagna e le attività con le donne immigrate . . . . . . . . . . . 228
Indice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 235
239
Pubblicazioni nella collana del CNOS-FAP e del CIOFS/FP
“STUDI, PROGETTI, ESPERIENZE PER UNA NUOVA FORMAZIONE PROFESSIONALE”
ISSN 1972-3032
1. Nella sezione “studi”
1) CIOFS/FP (a cura di), Atti del XIV seminario di formazione europea. La formazione professio-
nale per lo sviluppo del territorio. Castel Brando (Treviso), 9 - 11 settembre 2002, 2003
2) CIOFS/FP (a cura di), Atti del XV seminario di formazione europea. Il sistema dell’istruzione e
formazione professionale nel contesto della riforma. Significato e percorsi, 2004
3) CIOFS/FP (a cura di), Atti del XVI seminario di formazione europea. La formazione professio-
nale fino alla formazione superiore. Per uno sviluppo in verticale di pari dignità, 2005
4) CIOFS/FP (a cura di), Atti del XVIII seminario di formazione europea. Standard formativi nell’i-
struzione e nella formazione professionale. Roma,7-9 settembre 2006, 2007
5) CIOFS/FP SICILIA (a cura di), Opportunità occupazionali e sviluppo turistico dei territori di Ca-
tania, Noto, Modica, 2004
6) CIOFS/FP SICILIA (a cura di), Vademecum. Strumento di lavoro per l’erogazione dei servizi
orientativi, 2003
7) CNOS-FAP (a cura di), Gli editoriali di “Rassegna CNOS” 1996-2004. Il servizio di don Ste-
fano Colombo in un periodo di riforme, 2004
8) COLASANTO M. - R. LODIGIANI (a cura di), Il ruolo della formazione in un sistema di welfare at-
tivo, 2007
9) D’AGOSTINO S. - G. MASCIO - D. NICOLI, Monitoraggio delle politiche regionali in tema di istru-
zione e formazione professionale, 2005
10) DONATI C. - L. BELLESI, Giovani e percorsi professionalizzanti: un gap da colmare? Rapporto fi-
nale, 2007
11) MALIZIA G. - D. NICOLI - V. PIERONI (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione
della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto finale, 2002
12) MALIZIA - G. - V. PIERONI (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI
secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto sul follow - up, 2003
13) MALIZIA G. - V. PIERONI, Le sperimentazioni per la formazione iniziale del diritto-dovere nei
CFP del CNOS-FAP e del CIOFS/FP della Sicilia. Rapporto di ricerca, 2007
14) MALIZIA G. - V. PIERONI, Le sperimentazioni per la formazione iniziale del diritto-dovere nei
CFP del CNOS-FAP e del CIOFS/FP del Lazio. Rapporto di ricerca, 2007
15) MALIZIA G. - V. PIERONI, Follow-up della transizione al lavoro degli allievi/e dei percorsi trien-
nali sperimentali di IeFP, 2008
16) MALIZIA G. (coord.) - D. ANTONIETTI - M. TONINI (a cura di), Le parole chiave della formazione
professionale, 2004
17) MALIZIA G. (coord.) - D. ANTONIETTI - M. TONINI (a cura di), Le parole chiave della formazione
professionale. II edizione, 2006
18) MALIZIA G. et alii, Diritto-dovere all’istruzione e alla formazione e anagrafe formativa. Pro-
blemi e prospettive,2007
19) MALIZIA G. et alii, Stili di vita di allievi/e dei percorsi formativi del diritto-dovere, 2007
20) NICOLI D. - G. MALIZIA - V. PIERONI, Monitoraggio delle sperimentazioni dei nuovi percorsi di
istruzione e formazione professionale nell’anno formativo 2004-2005, 2006
21) NICOLI D. - R. FRANCHINI, Costruzione dell’identità personale e sociale negli adolescenti e nei
giovani. La proposta dell’Istruzione e formazione professionale, 2007
22) NICOLI D., La rete formativa nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP, 2007
23) PELLEREY M., Processi formativi e dimensione spirituale e morale della persona. Dare senso e
prospettiva al proprio impegno nell’apprendere lungo tutto l’arco della vita, 2007
240
24) PIERONI V. - G. MALIZIA (a cura di), Percorsi/progetti formativi “destrutturati”. Linee guida per
l’inclusione socio-lavorativa di giovani svantaggiati, 2005
25) RUTA G., Etica della persona e del lavoro, 2004
26) RUTA G., Etica della persona e del lavoro, Ristampa 2007
2. Nella sezione “progetti”
27) ASSOCIAZIONE CIOFS/FP PIEMONTE (a cura di), L’accoglienza nei percorsi formativo-orientativi.
Un approccio metodologico e proposte di strumenti, 2003
28) ASSOCIAZIONE CIOFS/FP PIEMONTE (a cura di), Le competenze orientative. Un approccio meto-
dologico e proposte di strumenti, 2003
29) BALDI C. - M. LOCAPUTO, L’esperienza di formazioni formatori nel progetto integrazione 2003.
La riflessività dell’operatore come via per la prevenzione e la cura educativa degli allievi della
FPI, 2008
30) BECCIU M. - A.R. COLASANTI, La corresponsabilità CFP-famiglia: i genitori nei CFP. Espe-
rienza triennale nei CFP CNOS-FAP (2004-2006), 2006
31) BECCIU M. - A.R. COLASANTI, La promozione delle capacità personali. Teoria e prassi, 2003
32) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati.
Comunità professionale alimentazione, 2004
33) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati.
Comunità professionale aziendale e amministrativa, 2004
34) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati.
Comunità professionale commerciale e delle vendite, 2004
35) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati.
Comunità professionale estetica, 2004
36) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati.
Comunità professionale sociale e sanitaria, 2004
37) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati.
Comunità professionale tessile e moda, 2004
38) CIOFS/FP (a cura di), Un modello per la gestione dei servizi di orientamento, 2003
39) CIOFS/FP BASILICATA, L’orientamento nello zaino. Percorso nella scuola media inferiore. Dif-
fusione di una buona pratica, 2004
40) CIOFS/FP CAMPANIA (a cura di), OrION tra orientamento e network, 2004
41) CIOFS/FP PIEMONTE (a cura di), L’accoglienza nei percorsi formativo-orientativi. Un approccio
metodologico e proposte di strumenti, 2003
42) CIOFS/FP PIEMONTE (a cura di), Le competenze orientative. Un approccio metodologico e pro-
poste di strumenti, 2003
43) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati.
Comunità professionale elettrica e elettronica, 2004
44) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati.
Comunità professionale grafica e multimediale, 2004
45) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati.
Comunità professionale legno e arredamento, 2005
46) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati.
Comunità professionale meccanica, 2004
47) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati.
Comunità professionale turistica e alberghiera, 2004
48) CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e
guida alla compilazione delle unità didattiche, 2003
49) CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e
guida alla compilazione dei sussidi, II edizione, 2006
50) CNOS-FAP (a cura di), Proposta di esame per il conseguimento della qualifica professionale.
Percorsi triennali di Istruzione formazione Professionale, 2005
51) COMOGLIO M. (a cura di), Prova di valutazione per la qualifica: addetto ai servizi di impresa.
Prototipo realizzato dal gruppo di lavoro CIOFS/FP, s.d.
241
52) D’AGOSTINO S., Apprendistato nei percorsi di diritto-dovere, 2007
53) FONTANA S. - G. TACCONI - M. VISENTIN, Etica e deontologia dell’operatore della FP, 2003
54) GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo, 2003
55) GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo. Una proposta di percorsi per la
creazione di impresa. II edizione, 2007
56) MARSILII E., Dalla ricerca al rapporto di lavoro. Opportunità, regole e strategie, 2007
57) MARSILII E., Guida per l’accompagnamento al lavoro dipendente, 2003
58) NICOLI D. - G. TACCONI, Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello
stato dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. I volume, 2007
59) NICOLI D. (a cura di), Il diploma di istruzione e formazione professionale. Una proposta per il
percorso quadriennale, 2005
60) NICOLI D. (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’i-
struzione e della formazione professionale, 2004
61) NICOLI D. (a cura di), Sintesi delle linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel si-
stema dell’istruzione e della formazione professionale, 2004
62) POLACEK K., Guida e strumenti di orientamento. Metodi, norme ed applicazioni, 2005
63) RUTA G. (a cura di), Vivere in… 1. L’identità. Percorso di cultura etica e religiosa, 2007
64) RUTA G. (a cura di), Vivere… Linee guida per i formatori di cultura etica e religiosa nei percorsi
di Istruzione e Formazione Professionale, 2007
65) TACCONI G. (a cura di), Insieme per un nuovo progetto di formazione, 2003
66) VALENTE L. - D. ANTONIETTI, Quale professione? Strumento di lavoro sulle professioni e sui per-
corsi formativi, 2003
67) VALENTE L. (a cura di), Sperimentazione di percorsi orientativi personalizzati, 2005
3. Nella sezione “esperienze”
68) ALFANO A., Un progetto alternativo al carcere per i minori a rischio. I sussidi utilizzati nel
Centro polifunzionale diurno di Roma, 2006
69) CIOFS/FP PUGLIA (a cura di), ORION. Operare per l’orientamento. Un approccio metodologico
condiviso e proposte di strumenti, 2003
70) CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 1. Guida per l’accoglienza, 2003
71) CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 2. Guida per l’accompagnamento in
itinere, 2003
72) CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 3. Guida per l’accompagnamento fi-
nale, 2003
73) CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 4. Guida per la gestione dello stage,
2003
74) COMOGLIO M. (a cura di), Il portfolio nella formazione professionale. Una proposta per i per-
corsi di istruzione e formazione professionale, 2006
75) MALIZIA G. - D. NICOLI - V. PIERONI, Una formazione di successo. Esiti del monitoraggio dei
percorsi sperimentali triennali di istruzione e formazione professionale in Piemonte 2002-2006.
Rapporto finale, 2006
76) NICOLI D. - COMOGLIO M., Una formazione efficace. Esiti del monitoraggio dei percorsi speri-
mentali di Istruzione e Formazione professionale in Piemonte 2002-2006, 2007
77) TONIOLO S., La cura della personalità dell’allievo. Una proposta di intervento per il coordina-
tore delle attività educative del CFP, 2005
Tip.: Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma
Tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - E-mail: tipolito@pcn.net
Novembre 2008