Giuseppe TAcconi
IN PRATICA.2. La didattica dei docentidi area linguistica e storico-socialenell’Istruzionee Formazione Professionale
Anno 2011
Coordinamento scientifico:Dario nicoli (Università cattolica di Brescia)
Hanno collaborato:Matteo D’AnDREA: Segretario nazionale settore Automotive.Dalila DRAzzA: Sede nazionale cnoS-FAP – Ufficio Metodologico-Tecnico-Didattico.FiAT GRoUPAutomobiles.Comunità professionale AUTOMOTIVE: Angelo AliqUò, Gianni BUFFA, Roberto cAVAGlià, EgidiociRiGliAno, luciano clinco, Domenico FERRAnDo, Paolo GRoPPElli, nicola MERli, RobertoPARTATA, lorenzo PiRoTTA, Antonio PoRzio, Roberto SARToREllo, Fabio SAVino, GiampaoloSinToni, Dario RUBERi.
©2011 By Sede nazionale del cnoS-FAP(centro nazionale opere Salesiane - Formazione Aggiornamento Professionale)Via Appia Antica, 78 – 00179 RomaTel.: 06 5137884 – Fax 06 5137028E-mail: cnosfap.nazionale@cnos-fap.it – http: www.cnos-fap.it
SOMMARIO
1. INTROduzIONe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
2. IL PeRCORSO deLLA RICeRCA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15
3. I RISuLTATI deLLA RICeRCA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37
4. CONCLuSIONe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 207
5. BIBLIOgRAFIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 215
INdICe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 219
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1 il progetto, intitolato inizialmente Didattica dell’italiano e della matematica nell’Istruzione eformazione professionale, è stato affidato dalla sede nazionale della Federazione cnoS-FAP (centronazionale opere Salesiane - Formazione e Aggiornamento Professionale) al cred (centro di ricercaeducativa e didattica) del Dipartimento di Filosofia, Pedagogia e Psicologia dell’Università degliStudi di Verona ed è stato condotto, dal 2008 al 2010, principalmente da chi scrive con la supervisionedi luigina Mortari a cui va la mia riconoscenza.
1. Introduzione
“in pratica” abbiamo voluto esplorare come si configura l’azione didattica deidocenti che operano nei centri di Formazione Professionale (cFP) nell’area dei co-siddetti assi culturali, interpellando direttamente circa un centinaio di formatori eformatrici1. Ma il titolo indica anche che ci si è voluti “tuffare” nelle pratiche for-mative, immergere in un’analisi delle stesse che ne consentisse una specifica messaa fuoco, capace di farne emergere tratti essenziali.la parte del progetto relativa alle pratiche didattiche dei docenti di area mate-matica e scientifico-tecnologica è già stata presentata in un primo volume (Tacconi,2011). in questo lavoro darò conto della parte della ricerca che ha coinvolto i do-centi dell’area dei linguaggi e di quella storico-sociale.Due note sul presente volume. questo capitolo introduttivo illustra il quadrodella ricerca: il perimetro, gli obiettivi conoscitivi del progetto, l’epistemologia cheha fatto da riferimento costante, l’approccio metodologico scelto e la valenza for-mativa che il progetto di ricerca ha assunto per le decine di formatori e formatriciche hanno partecipato. il secondo capitolo narra con maggiore dettaglio il percorsocompiuto e le varie fasi in cui si è articolato questo progetto di ricerca. il terzo ca-pitolo, quello centrale, dà conto dei principali risultati emersi. il quarto capitolo,quello conclusivo, propone alcune riflessioni di sintesi e indica alcune questionicruciali su cui può essere utile continuare a pensare.Esprimo fin d’ora particolare gratitudine a tutti i formatori e le formatrici chehanno partecipato al progetto e che, regalando frammenti della loro esperienza e in-trecciando le loro narrazioni, hanno reso possibile questo lavoro.
1. L’OggeTTO e gLI OBIeTTIvI deLLA RICeRCA
È vero che il sapere degli insegnanti è innanzitutto quello disciplinare, che èloro richiesto di coltivare, e che dunque la loro preparazione sui contenuti è deci-siva, ma, facendo quello che fa, il docente inventa, costruisce un sapere che è certa-
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2 I percorsi triennali di Istruzione e formazione professionale (IFP), destinati prevalente-mente a giovani 14-17enni, sono stati attivati in via sperimentale dopo la legge 53/2003 e il succes-sivo Accordo Stato-Regioni del 19 giugno 2003. in seguito, nonostante i vari cambiamenti legislativiche hanno interessato il sistema italiano di istruzione e formazione, questi percorsi hanno continuatoad esistere. la fase sperimentale si è conclusa solo con l’Accordo Stato-Regioni del 29 aprile 2010,che ha sancito il carattere ordinamentale di questi percorsi. Essi rappresentano un canale alternativo aquello scolastico, valido per l’assolvimento dell’obbligo di istruzione e del diritto-dovere all’istru-zione e alla formazione professionale, che mira sia alla formazione culturale generale sia allo svi-luppo di competenze professionali e porta al conseguimento di una qualifica professionale, rilasciatadalle regioni e riconosciuta a livello nazionale. Prevedono dunque sia insegnamenti di area culturale(organizzati secondo i quattro assi culturali definiti dal regolamento per il nuovo obbligo di istruzionefino ai 16 anni) sia insegnamenti di area tecnico-professionale (organizzati secondo gli standard for-mativi relativi alle competenze tecnico-professionali per 21 figure professionali in uscita dai percorsitriennali) ed esperienze di stage in azienda. i percorsi possono essere gestiti da agenzie formative ac-creditate presso le regioni (come i cFP del cnoS-FAP) e/o da istituzioni scolastiche (generalmenteistituti professionali statali) e sono gratuiti per l’utenza, in quanto vengono finanziati da fondi nazio-nali, erogati dal Ministero del lavoro e dal Ministero dell’istruzione, e da fondi regionali. Per inqua-drare meglio le caratteristiche principali del contesto dell’iFP e della sua recente evoluzione, posso ri-mandare ad uno “Speciale” della rivista “Tuttoscuola” (n. 505/2010), intitolato appunto “Tuttoforma-zione”, in cui è inserito anche un mio contributo sull’articolazione del sistema (cfr. Tacconi, 2010a).3 i centri di Formazione Professionale (cFP) salesiani sono rappresentati dalla Federazione na-zionale cnoS-FAP, un’Associazione senza fini di lucro, costituita il 9 dicembre 1977, che coordinatutte le realtà italiane gestite dalla congregazione salesiana, che sono impegnate a promuovere un ser-vizio di pubblico interesse nel campo dell’orientamento, della formazione e dell’aggiornamento pro-fessionale, ispirandosi allo stile educativo di San Giovanni Bosco. Tutti i cFP salesiani sono struttureformative accreditate presso le varie regioni per realizzare interventi di formazione professionale.4 Anche se non vogliamo indulgere ad una visione “assistenziale” della formazione professio-nale, è il caso di sottolineare che questi percorsi intercettano una fascia di giovani considerati scolasti-camente “deboli” e a rischio di abbandono scolastico. il numero di iscritti, per quanto l’offerta non siaomogenea in tutte le regioni (e sia stranamente più debole proprio laddove la dispersione scolastica ri-sulta più alta), è in continua crescita. nell’anno scolastico e formativo 2009/10, gli allievi dei percorsitriennali di iFP erano quasi 166 mila, due terzi dei quali iscritti presso le agenzie formative e solo unterzo presso le scuole (isfol, 2011, p.7). la percentuale di alunni stranieri è notevolmente maggioreche negli altri ordini di scuola.5 nei test cognitivi delle indagini ocSE-PiSA (Program for International Student Assessment),gli allievi quindicenni dei percorsi di iFP conseguono generalmente risultati più bassi rispetto agli al-lievi di altre tipologie di scuola, per quanto molto vicini ai risultati degli allievi degli istituti profes-
mente, ancora una volta, un sapere sui contenuti stessi, che si approfondiscono evengono in qualche modo riscoperti e ricreati nel momento in cui vengono inse-gnati, ma è anche un sapere su quella complessa azione che è l’insegnamento. Pro-prio a questo sapere vorremmo dare parola con la ricerca che viene qui presentata eche ha coinvolto i docenti delle aree culturali (asse dei linguaggi e asse storico-so-ciale) dei percorsi di istruzione e Formazione Professionale (da qui in poi, iFP)2 neicentri di Formazione Professionale (da qui in poi, cFP) salesiani3 in varie regioniitaliane.considerata la particolare tipologia di utenza4, è possibile affermare che le pra-tiche dei docenti dell’iFP sono legate a risultati rilevanti, in termini di riduzione deitassi di dispersione scolastica e di apertura di sbocchi occupazionali (cfr. isfol,2011), ma anche in termini di apprendimento5, soprattutto se consideriamo tutto
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sionali, nonostante una consistente differenza nel monte ore a disposizione delle aree disciplinari inte-ressate. nell’ultima rilevazione, quella del 2009, anche se errori standard piuttosto elevati non con-sentano di differenziare in maniera dettagliata i risultati nelle diverse regioni per tipologia di scuola,emerge che in Piemonte e Sicilia, il rendimento medio degli allievi dell’iFP è superiore a quello degliallievi degli istituti professionali. Buoni risultati si ottengono anche nelle Province autonome di Bol-zano e Trento e in Valle D’Aosta (invalsi, 2011).6 Gli strumenti di rilevazione che scegliamo di utilizzare fanno inevitabilmente emergere certidati e non altri e, come segnalava già qualche anno fa uno studioso tedesco (neuweg, 2002), c’è il ri-schio che, sulla base della rilevazione del loro “saper dire”, ad alcuni allievi si riconosca un “saperfare” che in realtà non possiedono e ad altri non si riconosca quel “saper fare” che invece hanno im-parato a padroneggiare adeguatamente.7 Se consideriamo questi elementi, possiamo affermare che i rendimenti rilevati dall’indaginePiSA riguardo agli allievi dell’iFP, nonostante il forte divario che generalmente li differenzia da quellirelativi ad altre tipologie di scuola superiore, hanno del prodigioso.
questo alla luce di tre aspetti. Primo, agli strumenti di rilevazione utilizzati nelle ri-cerche estensive sui risultati di apprendimento sfuggono inevitabilmente moltidegli apprendimenti legati al “saper fare” che sono tipici della formazione profes-sionale6. Secondo, sulla base delle analisi dei dati delle stesse ricerche estensive, sipuò affermare che il nostro sistema di istruzione e formazione rimane fortementeiniquo e porta ad una forte concentrazione in certi tipi di istituzioni scolastiche eformative di ragazzi con un basso status socio-economico-culturale e livelli bassi dipreparazione, con conseguente diminuzione delle possibilità di reciproco arricchi-mento che un contesto maggiormente eterogeneo potrebbe offrire (cfr. losito,2008; Gentile, Borrione, 2010). Terzo, in molte regioni italiane, i percorsi di iFPsono caratterizzati da strutturale precarietà a livello di organizzazione e di finanzia-mento e sono prevalentemente visti come un canale formativo depotenziato, desti-nato a coloro che, nei confronti della scuola, hanno sviluppato una sorta di rifiuto7.non è questo il luogo in cui approfondire la questione dei risultati degli allievidei percorsi di iFP e sono consapevole che tra insegnamento e apprendimento nonsi dà un rapporto di causazione diretta (cfr. Damiano, 2006, pp. 44-75) e che quindinon è possibile inferire indicazioni sulla qualità dell’insegnamento semplicementea partire da un’analisi dei risultati degli allievi in termini di apprendimento. Mi in-teressa solamente accennare al fatto che gli apprendimenti degli allievi che fre-quentano i cFP (e talvolta la ri-motivazione all’apprendimento, che fa loro intrave-dere come possibile una continuazione del percorso formativo) sono spesso pocovisibili e, specularmente, altrettanto poco appariscenti risultano le pratiche dei do-centi che operano in quel contesto. il fatto che a livello sociale i cFP siano spessoconsiderati una specie di “discarica scolastica”, verso cui indirizzare coloro che inaltri tipi di scuola non raggiungono determinati livelli di competenza, lascerebbepresupporre, soprattutto nei docenti di area teorica, una tendenza ad accontentarsi,a pretendere poco, a ridurre le attese, ad allinearsi verso il basso. invece, quello chespesso abbiamo constatato entrando nei cFP – e che riteniamo di poter documen-tare con questa ricerca – è un lavoro di qualità di docenti che si ostinano ad indi-care mete e traguardi elevati, ma che si accorgono anche che queste mete vanno
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8 il filone di ricerca pedagogica che va sotto il nome di “analisi delle pratiche” è molto svilup-pato (per uno sguardo articolato sul panorama nazionale e internazionale di questo tipo di ricerca, cfr.Damiano, 2006; laneve, 2005; 2010) e riguarda prevalentemente l’ambito scolastico (su questo, cfr.anche la ricerca presentata in Mortari, 2010b, a cui ha collaborato anche chi scrive).9 Per quanto riguarda l’area francese, basti ricordare qui i lavori di Marguerite Altet (compen-diati in Altet, 2003), che è stata tra i fondatori del Réseau open (Observation des pratiques ensei-gnantes) francese. Per quanto riguarda l’area anglosassone, si può citare il lavoro dell’isatt (Interna-tional Study Association on Teachers and Teaching). Tra i lavori più significativi in ambito anglofono,mi piace segnalare i seguenti: Day, 2004; Bain, 2004; Jackson, 2009, che sono stati per me di ispira-zione non solo in questa ricerca.10 Per quanto riguarda l’ambito della formazione professionale, posso citare alcuni miei lavori diquesti anni: Tacconi 2007a; 2007b; 2009. Un insieme di quattro ricerche, ispirate ad un approccio ana-logo a quello seguito in questa ricerca, è stato poi realizzato da chi scrive e da Gustavo Mejia Gomeznel contesto dei cFP del cioFS-FP presenti nella Regione Puglia (cfr. Tacconi, Mejia Gomez, 2010).11 chiedo scusa se d’ora in avanti, in questo lavoro, per indicare i formatori e le formatrici o gliallievi e le allieve, utilizzerò prevalentemente i termini maschili. lo faccio solo per esigenze di bre-vità.
perseguite per vie differenti rispetto a quelle che, in molti casi, vengono seguite inaltri percorsi di istruzione superiore. insomma, l’idea che ci siamo fatti è che l’in-contro con una tipologia di utenza particolarmente sfidante riesca a stimolare neidocenti lo sviluppo di competenze professionali particolarmente elevate. che lapratica porti a sviluppare un sapere specifico è però qualcosa che possiamo affer-mare di tutti i docenti, in ogni ambito scolastico. la ricerca pedagogica se ne è ac-corta da tempo, tanto che l’“analisi delle pratiche educative” risulta essere attual-mente un effervescente cantiere in italia8 e un filone consolidato in ambito interna-zionale, soprattutto in area francese e anglosassone9. Sono invece pochissimi glistudi che si sono occupati delle pratiche dei docenti dell’iFP e in particolare nonesiste ancora una ricerca empirica consistente sulle pratiche dei formatori che ope-rano nel contesto della formazione professionale iniziale10.l’intento di questa ricerca è dunque di individuare alcuni elementi di quel sa-pere sulla formazione che è rinvenibile nelle pratiche di formatori e formatrici11,alle prese con una particolare tipologia di utenza e con specifici ambiti disciplinari(in questo volume, in particolare, l’asse dei linguaggi e quello storico-sociale) nelsistema dell’iFP regionale.i docenti stessi – anche quelli con grande esperienza – spesso faticano a met-tere in parole questo sapere acquisito attraverso l’esperienza e incorporato in quelloche fanno. Eppure si tratta di un sapere vivo e prezioso, spesso molto più ricco diquello astrattamente teorico.Si tratta allora di ridurre, anche in questo ambito, il solco esistente tra prassi eteoria didattica. Se è vero che proprio attraverso l’insegnamento e la formazionecresce la conoscenza sull’insegnamento e la formazione, allora è proprio alle pra-tiche didattiche che la ricerca deve rivolgersi per rinnovare la conoscenza didattica.E qui diventa davvero illuminante una frase di Walter Benjamin: «ciò che importa èforse meno un rinnovamento dell’insegnamento, della didattica, da parte della ri-
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12 Sulla distinzione tra “conoscenza didattica” e “conoscenza disciplinare”, cfr. Damiano, 1996,in particolare le pp. 3-55.13 Un sincero ringraziamento va a tutti/e i/le formatori/trici che ci hanno dedicato un po’ del lorotempo per raccontarci del loro lavoro.
cerca, che quello della ricerca da parte della didattica» (1973, pp. 138-139, cit. inArmellini, 2008, p. 19).Un’ulteriore precisazione va fatta per circoscrivere il campo. non si tratta diuna ricerca interna alle discipline e alle loro epistemologie, anche se inevitabil-mente con queste correlata, ma di una ricerca pedagogico-didattica sulle pratichedei docenti delle varie discipline12.Scopo della ricerca è innanzitutto offrire una descrizione, la mappa di un terri-torio, che sia il più vicina possibile alla natura del fenomeno, alla sua “autodescri-zione”, a come il fenomeno stesso si descriverebbe se ne avesse la possibilità. ilsenso di questo lavoro non è dunque tanto quello di prescrivere quanto quello didescrivere le pratiche didattiche così come si è avuto modo di osservarle e di sen-tirle raccontare13. Si intende analizzare come i formatori e le formatrici intervistatiagiscono nei fatti, non come bisognerebbe che agissero. ne consegue che il com-pito che ci assumiamo non è quello di regolamentare o irreggimentare la didatticadell’italiano nell’iFP, ma solo quello di capire quali sono le pratiche didattiche chei formatori e le formatrici ci dicono aver constatato essere efficaci nella loro espe-rienza e di darne una rappresentazione quanto più possibile adeguata e per questoutile per i pratici. questo non significa che dalla rappresentazione complessiva nonemergano indicazioni e principi o logiche di azione che possano ispirare l’agire earrivare a delineare non solo un repertorio di attività, ma anche una sorta di “teoriadell’azione didattica” nell’iFP. Solo che si tratterà di una teoria “umile”, che non hapretese di assoluta generalizzabilità, ma si presenta come specifica forma di cono-scenza, e qui il discorso introduttivo richiede di precisare la cornice epistemolo-gica.
2. L’ePISTeMOLOgIA dI RIFeRIMeNTO
le premesse epistemologiche di questa ricerca sono già state esplicitate daluigina Mortari nel saggio apparso come introduzione del primo lavoro previstodal progetto (Mortari, 2011; cfr. anche Mortari, 2007) e vengono riprese anche nelprossimo capitolo, come elementi ispiratori delle concrete scelte operate nel corsodella ricerca. Per questo, qui di seguito, mi limiterò ad offrire qualche ulteriorespunto che aiuti a precisare la cornice all’interno della quale ho inteso muovermi.la legittimazione epistemologica di una ricerca empirica di tipo qualitativosulle pratiche formative non consiste nella pretesa di afferrare “oggettivamente” lapratica “effettiva” e di valutarla alla luce di una teoria predefinita, ma nell’apertura
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14 Se, nella ricerca quantitativa, il passo decisivo per la generalizzabilità dei risultati è costituitodalla scelta del campione, che deve rispondere a criteri di rappresentatività e dunque avvenire primadella raccolta dei dati, nella ricerca qualitativa, il passo decisivo per una certa generalizzabilità dei ri-sultati avviene solo in fase di analisi dei materiali raccolti e dunque durante e dopo la raccolta stessa.
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con cui il ricercatore si accosta alla testimonianza dei pratici, prevalentemente nelcontesto naturale in cui essi operano: attraverso la loro testimonianza, infatti, i pra-tici riferiscono qualcosa della loro esperienza, così come l’hanno vissuta. Sono loro– e non il ricercatore – i garanti dell’attendibilità e della validità di ciò di cui hannofatto esperienza. la ricerca qualitativa in campo formativo mira dunque ad unacomprensione approfondita e “originaria” della pratica formativa, in cui – almenotendenzialmente – nessun elemento estraneo o teoria venga a frapporsi tra i praticie la loro esperienza. la riflessione a cui orienta il metodo fenomenologico, che,come vedremo nel prossimo paragrafo, si inserisce pienamente in questa corniceepistemologica, serve appunto a mettere tra parentesi l’attività colonizzatrice dellamente, carica di costrutti teorici, perché la pratica possa essere esplicitata attraversola pratica stessa.Esiste tuttavia la possibilità di una comprensione della pratica che non si ri-duca alla trasmissione testimoniale della pratica vissuta. c’è quello che potremmochiamare uno spazio, insieme fenomenologico ed ermeneutico, di comprensibilitàdella pratica, che è il fondamento di una sua comunicabilità più generale, che, purradicandosi nella e avendo inizio dalla dimensione della testimonianza (cfr. lackey,Sosa, 2006), non si risolve completamente in essa e si apre ad una comprensibilitàpiù generale. questo spazio intermedio non va confuso con la spiegazione teorica,ma è il frutto di un sapere vivo ed esperienziale, che ha il compito di comunicare etrasmettere l’esperienza personale piuttosto che sottoporla al giudizio della raziona-lità critica. ne nasce una nuova forma di razionalità, che rifugge dalla razionalitàteorica completamente dispiegata, senza temere di rendere comprensibile a livellotestimoniale l’esperienza pratica.Anche una ricerca che intenda collocarsi all’interno di un paradigma naturali-stico (cfr. Mortari, 2007) mira dunque ad una certa generalizzabilità dei risultati,aspira ad una validità che vada oltre il più o meno ristretto gruppo dei testimoni-partecipanti. questa generalizzabilità però non si basa, come nella ricerca empiricadi tipo quantitativo, sulla rappresentatività del campione e dunque sulla possibilitàdi estendere all’universo della popolazione interessata le conclusioni a cui sigiunge indagando sul campione, ma sulla significatività dei testimoni che, sullabase della domanda di ricerca, vengono via via interpellati14 e sulla qualità e il ri-gore dell’analisi che viene condotta sui dati progressivamente raccolti.ciò che consente di passare dalla descrizione o dal racconto delle specifichepratiche narrate dal gruppo di formatori e formatrici che hanno partecipato alla ri-cerca (gruppo consistente, ma non rappresentativo) ad una considerazione appro-fondita della pratica formativa più in generale e, in un certo senso, alla costruzione
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di una teoria (è questo ciò a cui, in fondo, deve mirare ogni ricerca), è l’idea che neicasi singoli sia contenuto sia il particolare che il generale (cfr. Beck, Scholz, 1997).nel processo della ricerca, la pratica stessa – la materia viva da cui nascono le storie– si svela e viene tematizzata nelle modalità del suo svelarsi. E qui fenomenologiaed ermeneutica non si contrappongono, anzi si integrano a vicenda, e producono unsapere che può aspirare almeno ad una certa esemplarità, che è anch’essa una formadi generalizzabilità e di comunicabilità più ampia del solo racconto.il processo della ricerca, inoltre, intrecciando le singole storie e attivando a piùriprese una sorta di narrazione collettiva, consente di giungere alla rappresenta-zione di una rete di storie, che può assumere validità anche per gli altri pratici che,leggendo tali storie e sentendole risuonare con la propria esperienza, ne ricono-scono il carattere esemplare. Spesso, nel processo di questa ricerca, è capitato chegli esempi raccolti dal racconto di alcuni formatori, una volta presentati ad altri, fa-cessero riferimento a qualcosa con cui questi ultimi avevano familiarità, che essistessi ri-conoscevano, perché in fondo già conoscevano, ma non sapevano espri-mere o non avevano ancora tematizzato in modo esplicito15. i testi permettono in-fatti una certa generalizzazione – e dunque l’identificazione da parte di chi legge –senza per questo perdere la singolarità della vicenda narrata. Se quello che è suc-cesso a molti dei partecipanti, succederà anche ai lettori di questo libro, penso chesi possa dichiarare soddisfatto il principale criterio di validità di una ricerca empi-rica qualitativa di taglio fenomenologico. i risultati di questa ricerca si potranno al-lora considerare davvero convincenti, se sapranno consentire ai pratici-lettori di en-trare maggiormente in contatto con le loro proprie esperienze e di generare così ul-teriore conoscenza riguardo ad esse.
3. L’APPROCCIO MeTOdOLOgICO
il principale approccio metodologico congruente con la cornice epistemologicasopra delineata è, come si accennava, quello di tipo fenomenologico, che si com-bina però, come vedremo, con altri approcci. come in ogni ricerca qualitativa,quando si parla di metodo non ci si riferisce ad un procedimento predefinito e ri-gido, da seguire passo passo, una formula da imporre sul materiale, ma a linee indi-cative, che si sviluppano a partire dal materiale stesso e vanno di volta in volta a
15 Attingendo ad un altro contesto e prendendo a prestito alcune riflessioni che Baricco fa a com-mento di un famoso testo di Benjamin sul narrare, potremmo dire che, nella prospettiva che abbiamocercato di tratteggiare, il ricercatore, come lo scrittore, è «un semplice terminale di voci» e il fare ri-cerca, come lo scrivere, è «il gesto artigianale che dà permanenza e fisicità al liquido scorrere dellestorie. È poco più che il letto di un fiume colossale. Una scienza degli argini» (Benjamin, 2011, p.10). questa citazione, a mio parere, illustra bene il modo delicato di costruire conoscenza proprio diquesto tipo di ricerca, che non vuole imporsi sulle storie, ma assecondarne il fluire consentendo lorodi acquisire una forma riconoscibile.
16 complessivamente, per la ricerca con i docenti di area linguistica e storico-sociale, sono stateraccolte circa 400 cartelle di materiali trascritti. Tutti i materiali sono disponibili presso la sede delcnoS-FAP nazionale.
configurare percorsi differenti. Per questo la vera e propria presentazione del me-todo qui seguito si avrà solo nel prossimo paragrafo, che descrive le varie fasi dellaricerca effettuata. qui di seguito mi limito a tracciare per sommi capi l’impiantometodologico delle due macro-fasi in cui ogni ricerca si articola: la raccolta e l’a-nalisi dei dati, anche se è opportuno precisare che non si tratta di due fasi separatema di due operazioni che, in buona parte, procedono simultaneamente.Per quanto riguarda la raccolta dei dati, i riferimenti principali sono stati l’inter-vista narrativa focalizzata (Mortari, 2007) e l’intervista di gruppo, appositamente svi-luppata come adattamento della tecnica del Focus Group (cfr. Albanesi, 2004), checomporta una preliminare riflessione individuale ed una successiva raccolta dei rac-conti condivisi in gruppo. i materiali così generati consistono dunque nella trascrizio-ne di testi narrativi, centrati sul racconto di episodi di pratica professionale16. integra-tivamente sono stati raccolti anche altri materiali: note di campo sulle osservazioni et-nografiche di alcune lezioni in aula, materiali elaborati dai docenti, esempi di unità diapprendimento, testi e materiali messi a disposizione dalla sede nazionale del cnoS-FAP. questi materiali non sono stati fatti oggetto di un’analisi sistematica, ma sonostati preziosi come sfondo su cui collocare i racconti dei partecipanti e dunque hannocontribuito ad una migliore comprensione delle pratiche stesse.l’analisi del materiale raccolto è stata effettuata, come si vedrà, già nel corsodella raccolta, inizialmente secondo il meticciamento di grounded theory e metodofenomenologico proposto da luigina Mortari (2007, pp. 193-202); in seguito, ci siè riferiti anche agli strumenti della narrative inquiry (cfr. clandinin, 2007).la grounded theory è un metodo sviluppato da Barney Glaser e Anselm l.Strauss (1967; cfr. anche Strübing, 2008) per consentire nelle scienze sociali la co-struzione di teorie radicate nei dati. Si tratta di un teorizzare che non ha paura di in-corporare ed integrare i dati che provengono dall’esperienza. il suo utilizzo risultaproficuo anche nella ricerca educativa, in cui l’ancoraggio profondo con l’espe-rienza vissuta rende le conoscenze generate per questa via particolarmente utili peri pratici.la fenomenologia, che si rifà al pensiero di Edmund Husserl (1859-1938), so-prattutto nella sua declinazione metodologica, si è dimostrata feconda non solo perla riflessione teoretica, ma anche per la ricerca empirica in ambito sociale (cfr.Schütz, luckmann, 1973) ed educativo (cfr. Bertolini, 2001; Mortari, 2010b) e puòdunque essere considerata un approccio adatto ad investigare anche le pratiche for-mative. Anche la fenomenologia, infatti, come la grouded theory, invita a comin-ciare dal basso, von unten, come direbbe Husserl, e, in forza di una radicale aper-tura al dato, guida ad un lavoro di descrizione e di analisi delle esperienze, cheaiuta a coglierne gradualmente alcune specificità essenziali.
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la narrative inquiry insegna ad attribuire un rilevante valore conoscitivo alletestimonianze dei pratici e ne sollecita la produzione in forma narrativa; guidainoltre nell’individuazione di temi e categorie che emergono dalle storie stesse(clandinin, Murphy, 2007).Grounded theory, fenomenologia e narrative inquiry condividono una fortesottolineatura della componente riflessiva del processo di ricerca. Per la groudedtheory è essenziale accompagnare il processo con annotazioni sulle quali dar formaa pensieri, intuizioni, riflessioni, per fare in modo che siano i dati a parlare e nonteorie precostituite. Anche per la narrative inquiry la riflessione è essenziale perchésiano le storie a parlare. l’approccio fenomenologico consiste proprio nel proce-dere in modo tale che il proprio sguardo, sempre carico di teorie, rappresentazioni epensieri interpretanti, si lasci continuamente provocare dal materiale di ricerca edal dialogo con i soggetti che partecipano alla ricerca. Si tratta spesso di ingaggiareuna vera e propria lotta con i propri pensieri, per non perdere di vista le cose stesse,il fenomeno indagato, e limitarsi a ripetere quello che già si sa o che i saperi accre-ditati affermano. È così che possono essere sviluppate prospettive innovative sulfenomeno indagato.Grounded theory, approccio fenomenologico e narrative inquiry sono dunquecompatibili, se si chiarisce, come abbiamo tentato di fare sopra parlando di genera-lizzabilità e comunicabilità dei risultati di questo tipo di ricerca, il senso dell’opera-zione di costruzione di una teoria. Descrizione o narrazione e concettualizzazionenon vanno contrapposte, ma viste come momenti di uno stesso processo di progres-siva messa in parola della pratica, che può essere chiamato anche costruzione diuna teoria dell’azione, che chiede di essere mostrata più che dimostrata. Si trattaperciò di una teoria che non è data una volta per tutte, ma si costruisce dinamica-mente, nel processo fenomenologico ed ermeneutico di lettura e interpretazionedelle narrazioni dei formatori, ed è messa alla prova dalla significatività e dalla ri-levanza che assume per i pratici stessi.
4. LA vALeNzA FORMATIvA deLLA RICeRCA
il tipo di ricerca che viene qui presentato conduce ad un intreccio di narrazionie di azioni che assumono una valenza sia in ordine alla produzione di nuova cono-scenza, sia in ordine al miglioramento delle pratiche. l’accostamento tra la narra-zione che ciascun docente fa di sé, quella che altri docenti fanno della propria espe-rienza e quella che il ricercatore propone apre ad una visione più profonda dellapratica e nello stesso tempo pone le premesse per un’azione trasformativa dellapratica stessa.narrando la pratica e ascoltando le narrazioni degli altri i formatori attivanouna specifica riflessività sull’esperienza che non può che incidere sulla qualità del-l’esperienza stessa (cfr. Mortari, 2009). la riflessività risulta essere infatti perfor-
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mativa e agisce sulle pratiche: aiuta a sviluppare consapevolezza, abitua ad un’at-tenzione micrologica, amplia il campo visivo, orienta a concentrarsi sul concreto, amettere a fuoco i dettagli, ad accorgersi di ciò che succede, a cogliere le tante di-mensioni che sono implicate nell’azione didattica.inoltre, nel corso del processo, abbiamo spesso sperimentato che l’atteggia-mento di ascolto dei ricercatori rendeva i pratici-interlocutori capaci di attribuirevalore conoscitivo alle pratiche narrate, di riconoscersi co-autori di quella cono-scenza, con un percepibile effetto di empowerment personale e comunitario.Ritengo infine che anche per chi non ha partecipato alla ricerca, la lettura diquesto lavoro possa essere proficua, non solo perché rende accessibile un ricco re-pertorio di pratiche a cui è possibile attingere continuamente, per ricavarne risorseda calare poi nel proprio contesto di azione, ma anche perché aiuta a pensare. Delresto, il ricercatore, come il narratore di cui parla Benjamin, «…prende ciò chenarra dall’esperienza – dalla propria o da quella che gli è stata riferita –; e lo tra-sforma in esperienza di quelli che ascoltano la sua storia» (Benjamin 2011, p. 19).Se il sapere che si genera in questo tipo di ricerca esce dai racconti che ne fanno ipratici e torna a confluire in altri racconti di pratica, perché viene assunto ed inte-grato nell’esperienza di chi legge, può alimentare ulteriormente il pensiero e l’a-zione e restare qualcosa di vivo.
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1 il cioFS-FP (centro italiano opere Femminili Salesiane) è un ente analogo al cnoS-FAP, chefa riferimento alla congregazione delle suore salesiane (Figlie di Maria Ausiliatrice, FMA). Si sonovoluti includere nella presente ricerca anche i dati relativi ad un piccolo gruppo di formatori di uncFP del cioFS-FP di Padova, che erano stati raccolti secondo la stessa metodologia, nell’ambito diuna ricerca analoga, ma che non erano ancora stati adeguatamente utilizzati.
2. Il percorso della ricerca
il percorso di una ricerca empirica qualitativa, come il tragitto di un’escursionein montagna, su sentieri poco o per nulla segnati dalle mappe, può essere analizzatosolo dopo che si è concluso. qui di seguito si tratta allora di dar conto retrospetti-vamente delle scelte operate tra le tante che si presentavano come possibili ad ognibivio. nel racconto, anche i sentieri interrotti smettono di essere vicoli ciechi e di-ventano momenti di quell’esplorazione, che ha fatto trovare una via per giungerealla meta, senza far mai venire meno il gusto dell’andare. Attraverso il racconto ilviandante può diventare maggiormente consapevole del cammino.la ricerca che viene qui presentata, come già accennavamo sopra, si inserisceall’interno di un progetto più ampio, di durata biennale, intitolato “Didattica dell’i-taliano e della matematica nell’iFP” e commissionato nel 2008 dalla Federazionenazionale cnoS-FAP al centro di Ricerca Educativa e Didattica (cred) del Dipar-timento di Filosofia, Pedagogia e Psicologia dell’Università di Verona. questo vo-lume fa seguito ad un primo volume, già pubblicato, dedicato alle pratiche dei do-centi di area matematica e scientifico-tecnologica (Tacconi, 2011), e intende darconto della parte del progetto che ha coinvolto i docenti dell’area dei linguaggi e diquella storico-sociale. È inevitabile che questo capitolo, che ricostruisce il percorsodella ricerca, sia una rielaborazione di quello apparso nel volume precedente (cfr.ibid., pp. 13-25). ovviamente sono stati inseriti gli elementi specifici e le oppor-tune integrazioni.
1. I PARTeCIPANTI
nel corso di un anno e mezzo, dal mese di maggio 2008 al mese di ottobre2009, sono stati coinvolti in questa parte del progetto quarantadue formatori e for-matrici degli assi dei linguaggi e storico-sociale, appartenenti a venti centri di for-mazione professionale (cFP), prevalentemente della Federazione cnoS-FAP (solotre formatori/trici appartengono ad un cFP della Federazione cioFS-FP17), sparsi
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in otto regioni italiane: Emilia Romagna, lazio, liguria, lombardia, Piemonte,Umbria, Veneto e Sicilia.12 formatori (6) e formatrici (6) dei cFP salesiani di Verona, Mestre, Padova eMilano (nove di italiano e storia, due di inglese e una di tecniche di comunica-zione), operanti prevalentemente nei settori meccanico, elettromeccanico e graficodei percorsi della formazione professionale iniziale, e 1 formatore (italiano, storia,cultura etica e religiosa) di catania – 13 in tutto – sono stati intervistati individual-mente. 42 sono stati invece i formatori e le formatrici complessivamente coinvoltiin 4 interviste di gruppo o Focus Group (d’ora in poi, FG). 10 formatori/trici hannopartecipato a più momenti di raccolta, intervista e/o uno o più FG2, in una prospet-tiva che prevede la ricorsività nella raccolta dei dati.Tutti i formatori e le formatrici coinvolti condividono, con l’appartenenza arealtà salesiane3, anche una certa cultura della formazione, pur provenendo da di-versi contesti regionali. la quasi totalità dei formatori intervistati individualmenteha maturato diversi anni (da 5 a 30) di esperienza nell’istruzione e formazione pro-fessionale (iFP) regionale. Tra i partecipanti ai FG invece, erano presenti anche for-matori/trici con meno anni di esperienza.i formatori e le formatrici4 intervistati hanno a che fare con ambiti disciplinaridifferenti per statuto epistemologico, che vanno dall’insegnamento dell’italiano5,con la sua tipica articolazione interna di lingua italiana e letteratura6, all’insegna-mento della lingua inglese, ad insegnamenti come storia, diritto, economia, tec-niche di comunicazione, cultura etica e religiosa. non tutti insegnano tutto questo,ma le discipline insegnate7 sono spesso combinate tra loro in modo diverso da
2 cinque formatori/trici hanno partecipato a due momenti di raccolta; altri cinque hanno parteci-pato a tre o quattro momenti di raccolta successivi.3 Solo una partecipante ad uno dei FG appartiene però in quanto religiosa al mondo salesiano: èuna suora delle Figlie di Maria Ausiliatrice. in tutti gli altri casi, si tratta di personale laico dipen-dente.4 chiedo scusa se spesso, in questo lavoro, per esigenze di brevità, per indicare i formatori e leformatrici utilizzerò il termine maschile.5 le denominazioni stesse di questa materia sono differenti nelle diverse regioni, si va dalle tra-dizionali denominazioni, “italiano” e “storia”, a “lingua italiana”, “linguaggi”, a “cultura, comunica-zione e cittadinanza”. in ogni caso, in questo ambito, l’aspetto dell’insegnamento della lingua è privi-legiato su quello della letteratura.6 Per quanto nell’iFP si insista maggiormente sull’aspetto della lingua, non è assente, come ve-dremo sotto, un’attenzione alla letteratura.7 la ricerca è centrata su come i formatori insegnano più che su che cosa insegnano, per quantosia chiaro che i due aspetti non sono tra loro separabili. Per quanto riguarda i curricoli dei percorsiformativi (il che cosa si insegna), basti accennare al fatto che essi vengono definiti a livello regionale,quindi variano da regione a regione. Gli accordi raggiunti in sede di conferenza Stato-Regioni, in se-guito alla legge 53/03, avevano definito gli esiti formativi dei percorsi di iFP in termini di “Standardformativi minimi” relativi alle competenze di base (che riguardavano le seguenti aree: dei linguaggi,scientifica, tecnologica e storico-socio-economica) e alle competenze tecnico/professionali e trasver-sali (accordo del 5 ottobre 2006). Gli insegnamenti di italiano e di matematica sono stati definiti al-l’interno degli Standard formativi minimi relativi alle competenze di base, nell’Accordo del 15 gen-naio 2004 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 29 del 5 febbraio 2004). Più tardi, il “Regolamento
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come avviene nella scuola. Si tratta di aree diverse ma non prive di collegamenti.coprono i cosiddetti assi dei linguaggi e storico-sociale. Tra tutti coloro che hannopartecipato alla ricerca, i docenti di italiano sono in numero decisamente prevalente(32 su 42).Per quanto riguarda la formazione iniziale, la maggior parte dei docenti di ita-liano è in possesso di una laurea in lettere o in Pedagogia (sei hanno una laureadiversa, tre in Filosofia e tre in Scienze dell’Educazione, e solo tre non hanno un ti-tolo di laurea e sono in possesso di un Diploma di maturità classica o magistrale).Gli insegnanti di inglese (5 in totale) sono in possesso di una laurea in lingue.Sono pochissimi coloro che sono in possesso dell’abilitazione all’insegnamentonella scuola superiore.i partecipanti alla fase delle interviste individuali sono stati prevalentementescelti, su segnalazione dei direttori dei rispettivi quattro cFP da cui la ricerca è par-tita, tra i docenti con più anni di servizio, che i colleghi considerano particolar-mente esperti nel campo della formazione professionale. Ai FG hanno invece parte-cipato docenti provenienti anche da altri cFP e da altre regioni, che, su base elet-tiva, prendevano parte a degli incontri (estivi e autunnali) formativi e informativi,organizzati annualmente dalla sede nazionale del cnoS-FAP per i docenti di areaculturale dei cFP salesiani sparsi in tutta italia.
2. IL gRuPPO dI RICeRCA
la ricerca è stata condotta prevalentemente da chi scrive, con la supervisionecostante di luigina Mortari, coordinatrice del cred (centro di ricerca educativa edidattica) di Verona. Alla riflessione iniziale sull’impostazione da dare alla ricercae a diversi momenti della fase di raccolta dati hanno partecipato anche altri col-leghi, che verranno di volta in volta nominati.l’analisi è stata condotta principalmente da chi scrive e validata con l’aiuto deipartecipanti stessi. l’epistemologia di riferimento e l’approccio scelto, infatti, por-
per il nuovo obbligo di istruzione”, emanato nell’agosto del 2007 dal MPi, in seguito alla legge296/06, ha definito i saperi e le competenze chiave per la cittadinanza che è necessario maturare perl’assolvimento dell’obbligo di istruzione, riferendoli a quattro assi culturali: dei linguaggi, matema-tico, scientifico-tecnologico, storico-sociale. Dato che i percorsi di iFP sono stati riconosciuti validi aifini dell’assolvimento del nuovo obbligo di istruzione (scelta confermata dalla legge 133/2008 e dal-l’accordo Stato-Regioni del 29 aprile 2010), diverse Regioni hanno dovuto rivedere i curricoli deipercorsi di iFP per adeguarli ai nuovi traguardi indicati. Per quanto la normativa di riferimento –anche per i cFP della Federazione cnoS-FAP – sia quella definita a livello regionale, per avere unquadro essenziale dei percorsi previsti per i vari assi culturali, compresi quello dei linguaggi e quellostorico-sociale, si possono consultare i “Traguardi Formativi comuni relativi al Triennio di qualificaProfessionale e al quarto anno di Diploma Professionale”, che vengono presentati nel documento“linee guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale” della Federazione cnoS-FAP(cfr. nicoli, 2008). in ogni caso, si tratta di indicazioni essenziali che generalmente lasciano notevolispazi alla discrezionalità del formatore.
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tano a considerare i partecipanti parte integrante del gruppo di ricerca. il fatto chené chi scrive né chi ha collaborato alla fase di raccolta dei dati della ricerca si oc-cupi operativamente di didattica nel campo dell’iFP, dato che siamo tutti impegnatinella ricerca educativa e/o nella formazione dei formatori, ha reso particolarmenteessenziale, per la qualità del lavoro di ricerca stesso, la costruzione di quella solidae proficua alleanza tra ricercatori e pratici (cfr. Damiano, 2006) che è comunque ilpresupposto di qualsiasi ricerca educativa che intenda essere anche effettivamenteutile ai pratici.
3. Le FASI deLLA RICeRCA
nella sua prima fase, la ricerca si è concentrata su quattro cFP salesiani, quellidi Mestre, Milano, Verona e Padova, i primi tre appartenenti al cnoS-FAP, l’ul-timo al cioFS-FP8. Successivamente, la ricerca si è allargata ad indagare l’espe-rienza di formatori e formatrici provenienti da cFP salesiani sparsi in altre regionid’italia, che si riunivano per partecipare ad uno degli incontri formativi e di rac-cordo che la sede nazionale del cnoS-FAP organizza periodicamente (general-mente all’inizio dell’estate e in autunno) per i docenti di una specifica area o set-tore disciplinare, in questo caso l’area dei linguaggi e quella storico-sociale.i ricercatori9 hanno dapprima contattato personalmente i direttori dei centri co-involti, spiegando loro il taglio della ricerca, i criteri di scelta dei partecipanti econcordando con loro le modalità di gestione di un primo incontro con il gruppodei docenti che i direttori stessi avrebbero indicato come rispondenti alle caratteri-stiche proposte dal gruppo di ricerca (formatori considerati, per la loro esperienza,punti di riferimento da parte dei loro colleghi). il colloquio preliminare con i diret-tori è servito anche a raccogliere elementi utili di conoscenza dei contesti locali.Gli incontri con il gruppo dei docenti coinvolti hanno consentito innanzituttodi esplicitare il senso del lavoro e il tipo di coinvolgimento che sarebbe stato ri-chiesto e poi di concordare un calendario per la realizzazione delle visite in aula,per l’osservazione etnografica, e successivamente per le interviste. Dopo questi in-contri, sono iniziate le fasi di raccolta e di analisi dei dati che sono procedute al-meno in parte simultaneamente e parallelamente10 e che di seguito verranno de-scritte.
8 Va precisato che qui si presenta una parte della ricerca, quella che ha coinvolto i docenti di ita-liano e storia. il lavoro però è proceduto parallelamente anche con i docenti di matematica e scienze.Di questa parte, si è già dato conto in un’altra pubblicazione (cfr. Tacconi, 2011).9 Alla fase iniziale della ricerca – soprattutto la raccolta delle interviste – hanno partecipato, oltrea chi scrive, anche il Prof. Alberto Agosti e il dott. claudio Girelli, sempre dell’Università di Verona,che si ringraziano per il competente e generoso apporto.10 Alcune fasi (quelle di raccolta dei dati) sono successive l’una all’altra, altre (l’analisi, il diario)sono simultanee e trasversali a tutto il processo.
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3.1. L’osservazione etnografical’osservazione etnografica è stata condotta, nei mesi di aprile e maggio 2008,dai ricercatori che hanno partecipato alla fase di raccolta dati, durante alcune ore didocenza tenute dai docenti che sarebbero poi stati intervistati individualmente, neiquattro cFP da cui la ricerca ha preso le mosse. Per le visite, si è rivelato molto im-portante realizzare un colloquio previo con i singoli docenti, per precisare loro ilsenso di tale attività di osservazione e ridurre così l’“ansia da valutazione” che lapresenza di un osservatore esterno in classe inevitabilmente comporta. Altrettantoutile è stato curare in aula una brevissima presentazione di questa azione allaclasse, che consentisse agli allievi di comprendere il motivo per cui eravamo lì e ilfatto che per noi era importante osservare i loro docenti per imparare da loro qual-cosa su come si insegna. Generalmente, dopo pochi minuti, la presenza di un osser-vatore esterno seduto in fondo all’aula veniva dimenticata e, a detta dei docenti, iragazzi assumevano un comportamento molto simile a quello che assumono nor-malmente in classe.i ricercatori che hanno partecipato come osservatori a tali lezioni hanno stesodelle note di campo, ma l’esigenza di fondo di questa azione non era quella di rac-cogliere dati, attraverso un impiego “puro” dei metodi etnografici (cfr. Ronzon,2008), ma quella di costruire uno sfondo che consentisse poi di leggere le pratichenarrate dai formatori. Avendo infatti prevalentemente esperienza di scuola, vole-vamo avvicinarci al lavoro quotidiano dei formatori di cFP non privi di una certasensibilità alla specificità del contesto e raccogliere alcuni elementi per rappresen-tarci le azioni che poi ai docenti sarebbe stato chiesto di narrare. l’utilizzo diquesta tecnica ha avuto un positivo effetto a livello di processo (andando poi ad in-cidere sul clima complessivo in cui si sono svolte le interviste) ed ha consentito airicercatori di calarsi nel vivo delle situazioni didattiche, ma non è servita per racco-gliere dati concretamente utilizzabili nella ricerca.la visita in aula va vista perciò come fase di preparazione alla realizzazionedelle interviste. Dal punto di vista metodologico, un riferimento importante è statal’osservazione ravvicinata di cui parla Max Van Manen (1990), orientata ad entrarenel mondo vitale delle persone a cui poi avremmo chiesto di raccontare aneddoti.contrariamente alle tecniche di ricerca, basate sull’osservazione, che si rifanno adapprocci di tipo sperimentale o comportamentista, l’osservazione ravvicinata, comela intende Van Manen, «...tenta di rompere la distanza spesso creata dai metodi diosservazione. Piuttosto che osservare i soggetti attraverso una finestra ad una solavia o ricorrendo a schemi di osservazione e a checklist, che simbolicamente funzio-nano in un modo non molto diverso da come funzionano gli specchi ad una solavia, il ricercatore in scienze umane tenta di entrare nel mondo vitale delle personele cui esperienze sono assunte come materiale rilevante per il suo progetto di ri-cerca» (ibid., pp. 68-69). Per Van Manen, il ricercatore coinvolto nell’osservazioneravvicinata di situazioni, alla ricerca del loro significato vissuto, è un «raccoglitoredi aneddoti» (ibid., p. 69). l’osservazione si pone così a servizio della raccolta di
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aneddoti perché aiuta a sviluppare «...un acuto senso del punto cruciale o della rile-vanza (point o cogency) che l’aneddoto porta dentro di sé» (p. 69). Se sfuggissequesto punto cruciale, gli aneddoti sarebbero solamente come sabbia smossa nellamano, che si disperde appena dopo essere stata raccolta.
3.2. Le interviste individuali: raccolta e prima analisila prima vera e propria tecnica di raccolta dati impiegata nella ricerca è statal’intervista narrativa focalizzata (cfr. Mortari, 2007). le 13 interviste realizzate ini-zialmente, nei vari cFP dai quali ha preso avvio la ricerca, a formatori dell’area deilinguaggi e di quella storico-sociale, sono state condotte seguendo una traccia indi-cativa ed hanno avuto ciascuna una durata media di circa un’ora. Più che una gri-glia di domande, come intervistatori, abbiamo ritenuto opportuno concentrarci suuna serie di fuochi, lasciando libero corso alla narrazione da parte dei docenti inter-vistati. Più di ogni altra cosa, infatti, ci interessava far emergere storie. l’attenzioneè stata dunque prevalentemente rivolta a far generare descrizioni dense e accurate(cfr. Van Manen, 1990) e racconti di pratica11. Del resto, come abbiamo visto sopra,la pratica difficilmente può essere detta, se non in forma di racconto.
Traccia di riferimento (indicativa) per le intervisteDati- quanti anni hai? Da quanti anni insegni? in quale area disciplinare? in quale Settore? Hai insegnatoanche in altri tipi di scuola?Domande sul fare:- che cosa fai quando insegni? Potresti fare degli esempi?- “Fammi capire come fai questo...”.- quali sono i nuclei di sapere che ritieni essenziali nella tua disciplina?- che cosa ti riesce meglio insegnare? Potresti raccontare un esempio?- che cosa ti riesce meglio insegnando? Potresti raccontare un esempio?- quali unità trovi più difficili? Potresti descriverne una?- quali strategie trovi ti siano più utili?Domanda sui processi generativi della competenza pratica:- Dove hai imparato a fare quello che fai?Feedback sull’intervista:- come ti sei sentito/a in questa intervista?
le interviste nascevano esplicitamente con l’intento di “dar voce” ai formatori(Elbaz-luwisch, 2005), di attribuire loro lo statuto di fonti del sapere sull’insegna-mento, a partire dal presupposto che, nella didattica, il sapere davvero rilevante èquello dell’azione (cfr. Damiano, 2006, pp. 86-124) e che, per accedere a tale sa-
11 Si può distinguere tra descrizione e narrazione o racconto. la descrizione è più puntuale e siriferisce ad una specifica tecnica o routine (“generalmente, faccio così…”); la narrazione o il raccontorappresentano una descrizione distesa nel tempo che fa riconoscere i tratti di un episodio o vicenda(“quella volta, è successo che…”). Al di là di questa distinzione, ci interessava raccogliere descri-zioni e racconti di pratica e non tanto pensieri generali sulla pratica.
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pere, è indispensabile nutrire fiducia nelle storie di cui sono depositari gli attori(cfr. Grassilli, Fabbri, 2003; lackey, Sosa, 2006). Particolare cura è stata perciò de-dicata a creare le premesse (il setting) perché i docenti potessero raccontare dellestorie, un clima in cui le persone potessero sentirsi se stesse, vedersi come porta-trici di una conoscenza davvero rilevante per i ricercatori (autenticamente interes-sati ad apprendere da loro e privi di intenti valutativi) e raccontare le proprie espe-rienze. con tutti i partecipanti si è riusciti a costruire una relazione davvero fidu-ciosa e cordiale12.ci siamo ripetutamente chiesti se una ricerca che si proponeva di analizzare lepratiche a partire dai racconti di pratica potesse davvero consentirci di andare oltrei pensieri dei docenti “sulla” pratica e di accedere ad alcuni elementi di pratica ef-fettiva. Ammesso che esista un qualche metodo per accedere alla pratica “effettiva”(e, attraverso le osservazioni etnografiche, ci eravamo già resi conto che anchequeste producevano “solo” racconti, le nostre versioni della pratica osservata), ab-biamo ritenuto che fosse utile adottare qualche accorgimento, per evitare di racco-gliere solamente pensieri generali sulla formazione professionale iniziale. ci èsembrato che, sollecitando i docenti ad esemplificare, a raccontare con ricchezza diparticolari aneddoti ed episodi realmente accaduti, i racconti avrebbero potuto av-vicinarsi maggiormente alla pratica e restituirne con maggiore densità alcuni ele-menti, pur attraverso la prospettiva soggettiva del pratico narrante.i docenti hanno risposto brillantemente alle nostre sollecitazioni. i loro rac-conti sono ricchi di particolari, tanto da consentirci spesso di “vedere” il coloredella pratica, di sentirne l’odore e il sapore13. ci sono resoconti di pratiche ricor-renti o routine (del tipo: “generalmente faccio così…”), ma più spesso veri e propriracconti (del tipo: “quella volta è capitato che…”). Spesso abbiamo notato che, nelraccontare gli episodi, i docenti avvertivano l’esigenza di riportare frammenti del-l’interazione verbale che essi intrattengono continuamente con i loro allievi (comesi potrà notare, è infatti molto frequente il ricorso da parte loro al discorso diretto),restituendo così qualcosa di quella conversazione che si identifica col processostesso di insegnamento-apprendimento. Per quanto lo scarto tra qualsiasi racconto ela pratica rimanga incolmabile, possiamo dire che i racconti dei nostri formatori ciavvicinano in modo intensivo alla pratica stessa, perché ce ne fanno cogliere aspettiche vanno ben oltre la superficie e, oltre all’azione, danno spesso voce agli statid’animo, ai pensieri incorporati nell’azione (che non sono i “pensieri generali”
12 come afferma E. Wenger: «...bisogna chiedere alle persone cosa fanno nel loro lavoro [...]. lacomunità di lavoro dice: “questo è un posto dove si impara”. Ma dovrai ottenere abbastanza fiduciaperché le persone comincino a parlare dei propri problemi in maniera reale, e non nel modo in cui sa-rebbe meglio presentarli al cospetto dei propri manager (gli stessi che, a fine anno, dovranno valutarele loro prestazioni)» (Wenger, 2006, p. 314).13 Possiamo notare fin d’ora una certa relazione tra il loro approccio “sensibile” alla pratica di-dattica e il loro approccio altrettanto “sensibile” al racconto della pratica.
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sulla formazione a cui accennavamo sopra14) e agli atteggiamenti di fondo che ani-mano il loro agire.i testi delle interviste sono stati audio-registrati in formato digitale e poi accu-ratamente trascritti15. le trascrizioni sono state inserite in una matrice che ne facili-tasse l’analisi. qui di seguito riportiamo la matrice utilizzata con un esempio ditesto16.
intMe1 (codice intervista)Data: 15-05-08, ora: 14.00; luogo: ufficio del direttore; età: 41; anni di insegnamento: 12; discipline in-segnate: italiano; cFP di appartenenza: cFP San Marco, Mestre; durata dell’intervista: 1h 17’.
14 i pensieri generali sono del tipo: “penso che si debba…”, “bisognerebbe che…”; i pensieri in-corporati nell’azione sono del tipo: “è successo questo…; ho pensato… e allora ho deciso di farecosì…”. nell’azione “pensare” e “sentire”, “provare dentro” sono spesso intrecciati. nei racconti deinostri formatori, i pensieri incorporati compaiono più frequentemente che i pensieri generali. E anchequesti compaiono spesso agganciati ad esempi, come ragioni che muovono l’agire.15 nella trascrizione dei testi, abbiamo adottato delle convenzioni che riportiamo qui di seguito:- ...: i puntini di sospensione, senza parentesi, segnalano pause o momenti di attesa nel dis-corso;- il testo tra lineette (- testo -) indica un inciso;- le virgolette alte (“...”) indicano un discorso diretto nel testo oppure la particolare enfasi dataad una certa espressione nel parlato;- il testo normale tra parentesi tonde indica un’aggiunta redazionale, resa necessaria da esigenzedi comprensibilità;- il testo in corsivo tra parentesi tonde (testo) riporta notazioni del ricercatore su elementi nonverbali della comunicazione.16 la matrice utilizzata per l’analisi è ricavata da Mortari, 2010a.
Nr.progr.9.10.
11.12.13.14.15.16.
17.
Parlanti
A.D.
A.D.A.D.A.D.
A.
unità di testo
com’è l’avvio della lezione?di solito, se non è la prima lezione dell’unitàformativa, del percorso, c’è qualcosa cheloro hanno dovuto portare a lezione, o co-munque che hanno portato di proprio, oltreal materialefatto a casa?fatto in proprio, sì,Mi potresti fare un esempio?SìDai delle consegne?Sì, ci sono delle consegne tipo che si ripe-tono; è un metodo strutturato, abbastanza ri-petitivo, quindi, variando un argomento....c’è una specie di schema…
etichettedescrittive etichettecategoriali
23
18.
19.20.
21.
22.
23.24.
25.
26.27.28.
29.30.
31.
D.
A.D.
A.
D.
A.D.
A.
D.A.D.
A.D.
A.
…sì, di solito, quanto viene loro richiesto èuna schematizzazione base, vuol dire unamappa concettuale, detta in parole molto dif-ficili, ma, comunque, uno schema di qual-cosa che è stato elaborato in classe e delledomande che servono per focalizzare gli ar-gomenti principali; quindi lo schema do-vrebbe più servire per immaginarsi in testa,cioè per organizzare in testa delle informa-zioni; le domande invece, per affrontare unpo’, tra virgolette, “criticamente” l’argo-mento; dovrebbero esserci queste due fina-lità differenti in due esercizi di lavoro perso-naleAhe da questo si parte la lezione, però, in unprimo momento, che è anche quello di ri-scaldamento, in cui io, come hai visto lunedìscorso, passo per i banchi e mi avvicino aloro anche fisicamente.....uno per uno anche, ho visto durante lavisitaSì, sì, mi avvicino, guardo, controllo, guardoil loro elaborato, cerco anche di leggere ef-fettivamente quello che fanno, perché mi ac-corgo che per loro è molto importante averequesto riscontroquesta attenzione…questa attenzione da parte del docente che èlegata a quello che effettivamente fanno, unriscontro alla loro fatica, insommaE quando fai questo primo passaggio veloce,entri nel merito di quello che hanno scritto?cerco di entrarecerchi di entrareAllora, secondo le situazioni, sia dellaclasse, sia dei tempi di struttura della le-zione, sia degli allievi singoli, ci sono allieviche sicuramente hanno più bisogno di atten-zione, poi cerco anche di distribuire questaattenzione, perché bisogna calcolare che,mentre io faccio questo percorso qui, il girodei banchi, metà della classe è in attesa, percui devo calibrare anche......i tempi...i tempi; non a tutte le classi lascio glistessi spazi, tanto è vero che, l’altra volta,hai visto in classe, l’ho fatto anche perchéun po’..., ma non lo faccio sempre; mentre iopassavo per i banchi, che può essere un mo-mento un po’ delicato perché la classe puòsaltare per i banchi…creare disordine…
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il processo di analisi dei dati delle interviste ha comportato continue letture eriletture dei testi. inizialmente, ho proceduto intervista per intervista, cercando diindividuare ed evidenziare le unità di testo significative rispetto all’oggetto della ri-cerca, di attribuire loro delle etichette descrittive, di far lentamente emergere leprincipali categorie, in quel processo di progressiva concettualizzazione che è l’a-nalisi grounded oriented. non sono partito da un sistema di categorie predefinito,con cui andare a “pescare” nei dati, ma ho cercato di far emergere temi e categoriedai testi stessi, secondo il principio fenomenologico della fedeltà al dato. in tuttoquesto processo non c’è nulla di automatico. i passaggi sono stati ripetuti varievolte ed essenziali sono stati i momenti di confronto con chi supervisionava il pro-cesso di ricerca e, come verrà illustrato più avanti, con i partecipanti stessi. qui diseguito riporto l’esempio di prima con l’indicazione delle etichette descrittive edelle categorie.
32.
33.34.
D.
A.D.
io, come postura anche, sono vicino all’al-lievo, non davanti a tutta la classe, affiancatoall’allievo: guardo il quaderno dell’allievo evolto le spalle alla classe – situazione un po’delicata –. l’altra volta, in classe, ho fattofare un esercizio mentre io passavo, non sose hai notato; all’inizio dell’ora, io avevodato delle domande che non avevo dato percasa...in maniera che fossero impegnatiimpegnati, per cui, mentre io passavo eguardavo i lavori che avevano fatto, la sche-matizzazione ecc.; su quello schema senzautilizzare il libro, solo utilizzando loschema, ho dato le domande, per verificareanche, per aver modo di fare un’autovaluta-zione di come avevano fatto gli schemi,perché, nel momento in cui si accorge cheuna domanda non riesce perché nel proprioschema non ci sono gli agganci, capisceanche la finalità dello schema; quello è unodegli aspetti principali: io lì poi posso pe-scare per una verifica; e questa è la primafase, diciamo, quella dell’approccio perso-nale; ho visto che le prime volte creano unpoco di imbarazzo, perché si invade lospazio personale – e non sono abituati a ve-dere il docente affiancare, girare per laclasse, mettersi in mezzo ai banchi, ancheperché in certe classi si deve per forza pas-sare in mezzo ai banchi, stare vicino spalla aspalla, invadere lo spazio personale –; inqualche classe, quando non lo faccio, ancheperché poi diventa ripetitivo, mi chiedonocome mai, oppure si accorgono; e questo è ilprimo momento dei cinquanta minuti, di-ciamo, il primo quarto d’ora, il primo mo-mento della lezione.
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intMe1Data: 15-05-08, ora: 14.00; luogo: ufficio del direttore; età: 41; anni di insegnamento: 12; discipline in-segnate: italiano; cFP di appartenenza: cFP San Marco, Mestre; durata dell’intervista: 1h 17’.
Nr.progr.9.10.
11.12.13.14.15.16.
17.18.
19.20.
21.
22.
23.24.
25.
Parlanti
A.D.
A.D.A.D.A.D.
A.D.
A.D.
A.
D.
A.D.
A.
unità di testo
com’è l’avvio della lezione?di solito, se non è la prima lezione dell’unitàformativa, del percorso, c’è qualcosa cheloro hanno dovuto portare a lezione, o co-munque che hanno portato di proprio, oltreal materiale (intMe1/10)fatto a casa?fatto in proprio, sì,Mi potresti fare un esempio?SìDai delle consegne?Sì, ci sono delle consegne tipo che si ripe-tono; è un metodo strutturato, abbastanza ri-petitivo, quindi, variando un argomento....(intMe1/16)c’è una specie di schema……sì, di solito quanto viene loro richiesto èuna schematizzazione base, vuol dire unamappa concettuale, detta in parole molto dif-ficili, ma, comunque, uno schema di qual-cosa che è stato elaborato in classe e delledomande che servono per focalizzare gli ar-gomenti principali; quindi lo schema do-vrebbe più servire per immaginarsi in testa,cioè per organizzare in testa delle informa-zioni; le domande invece, per affrontare unpo’, tra virgolette, “criticamente” l’argo-mento; dovrebbero esserci questi due obiet-tivi differenti in due esercizi di lavoro perso-nale (intMe1/18)Ahe da questo si parte la lezione, però, in unprimo momento, che è anche quello di ri-scaldamento, in cui io, come hai visto lunedìscorso, passo per i banchi e mi avvicino aloro anche fisicamente (intMe1/20)...uno per uno anche, ho visto durante la vi-sitaSì, sì, mi avvicino, guardo, controllo, guardoil loro elaborato, cerco anche di leggere ef-fettivamente quello che fanno, perché mi ac-corgo che per loro è molto importante averequesto riscontro (intMe1/22)questa attenzione…questa attenzione da parte del docente che èlegata a quello che effettivamente fanno, unriscontro alla loro fatica, insomma(intMe1/24)E quando fai questo primo passaggio veloce,entri nel merito di quello che hanno scritto?
etichettedescrittive
assegno delleconsegne tipo, ri-petitive
Assegno l’elabo-razione di unoschema per orga-nizzare le infor-mazioni
Assegno delle do-mande riflessive acui rispondere
Passo per i banchie li affianco
controllo quelloche fanno perdare loro un ri-scontro
etichettecategoriali
Assegnare com-piti per casa: farfare schemi
Assegnare com-piti per casa: do-mande per riflet-tere
Avvicinarsi ai sin-goli per control-lare gli elaborati
Avvicinarsi ai sin-goli per control-lare gli elaborati
Dare un riscontrosu quanto fatto
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26.27.28.
29.30.
31.32.
33.34.
D.A.D.
A.D.
A.D.
A.D.
cerco di entrarecerchi di entrareAllora, secondo le situazioni, sia dellaclasse, sia dei tempi di struttura della le-zione, sia degli allievi singoli, ci sono allieviche sicuramente hanno più bisogno di atten-zione, poi cerco anche di distribuire questaattenzione, perché bisogna calcolare che,mentre io faccio questo percorso qui, il girodei banchi, metà della classe è in attesa, percui devo calibrare anche......i tempi...i tempi; non a tutte le classi lascio glistessi spazi, tanto è vero che, l’altra volta,hai visto in classe, l’ho fatto anche perchéun po’..., ma non lo faccio sempre; mentre iopassavo per i banchi, che può essere un mo-mento un po’ delicato perché la classe puòsaltare per i banchi……creare disordine……sì, io, come postura anche, sono vicino al-l’allievo, non davanti a tutta la classe, affian-cato all’allievo: guardo il quaderno dell’al-lievo e volto le spalle alla classe – situazioneun po’ delicata –. l’altra volta, in classe, hofatto fare un esercizio mentre io passavo,non so se hai notato; all’inizio dell’ora, ioavevo dato delle domande che non avevodato per casa (intMe1/32)...in maniera che fossero impegnati...impegnati, per cui, mentre io passavo eguardavo i lavori che avevano fatto, la sche-matizzazione ecc.; su quello schema senzautilizzare il libro, solo utilizzando loschema, ho dato le domande, per verificareanche, per aver modo di fare un’autovaluta-zione di come avevano fatto gli schemi,perché, nel momento in cui si accorge cheuna domanda non riesce perché nel proprioschema non ci sono gli agganci, capisceanche la finalità dello schema; quello è unodegli aspetti principali: io lì poi posso pe-scare per una verifica; e questa è la primafase, diciamo, quella dell’approccio perso-nale; ho visto che le prime volte creano unpoco di imbarazzo, perché si invade lospazio personale – e non sono abituati a ve-dere il docente affiancare, girare per laclasse, mettersi in mezzo ai banchi, ancheperché in certe classi si deve per forza pas-sare in mezzo ai banchi, stare vicino spalla aspalla, invadere lo spazio personale –; inqualche classe, quando non lo faccio, ancheperché poi diventa ripetitivo, mi chiedonocome mai, oppure si accorgono; e questo è ilprimo momento dei cinquanta minuti, di-ciamo, il primo quarto d’ora, il primo mo-mento della lezione (intMe1/34)
Distribuisco l’at-tenzione agli al-lievi che ne hannopiù bisogno e allaclasse
Affianco l’allievo
Agli altri facciofare un eserciziosupplementare
l’imbarazzo ini-ziale viene gra-dualmente supe-rato
Distribuire l’at-tenzione tra sin-goli e classe
Affiancare i sin-goli
Tenere occupatoil resto dellaclasse con ulte-riori consegne
Rendere ritualel’approccio perso-nale nel controllodei compiti
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nella discussione che ha accompagnato questa prima fase di analisi, ci siamo ac-corti che, se dall’analisi emergevano piano piano temi ricorrenti, questo procedimentorischiava di spezzettare eccessivamente la pratica e di non restituirne la specificità diazione complessa, in cui tutta una serie di elementi concorrono a formare l’azione di-dattica. Separare le varie componenti faceva correre il rischio di “vivisezionare” lapratica, rendendone scarsamente significativa la restituzione17.Abbiamo allora decisodi focalizzare l’attenzione su unità descrittive o narrative, i cosiddetti “racconti” dipratica, trasformando parti delle interviste in piccole storie (che nascevano unendo traloro i brani che nel testo originale erano intervallati dall’interazione dell’intervistatocon l’intervistatore). in riferimento alla parte di intervista riportata sopra, ad esempio,l’unità descrittiva (in questo caso, infatti, non si tratta tanto di una storia in senso stret-to, ma della descrizione di una routine) si configurava come segue18:[...] se non è la prima lezione di un’unità formativa, c’è quasi sempre qualcosa che lorohanno dovuto portare a lezione, oltre al materiale (intMe1/10)19. Di solito, ciò che vieneloro richiesto è una schematizzazione di base, una mappa concettuale […] o comunquelo schema di qualcosa che è stato elaborato in classe, e le risposte a delle domande, cheservono per focalizzare l’attenzione sugli argomenti principali; lo schema dovrebbe ser-vire [...] per organizzare in testa le informazioni; le domande invece orientano ad affron-tare un po’ […] “criticamente” l’argomento [...] (intMe1/18). in un primo momento, cheè anche quello del riscaldamento, [...] passo per i banchi e mi avvicino a loro, anche fisi-camente (intMe1/20), […] controllo, guardo il loro elaborato, cerco anche di leggere ef-fettivamente quello che hanno fatto, perché mi accorgo che per loro è molto importanteavere un riscontro (intMe1/22), un’attenzione, da parte del docente, legata a quello cheeffettivamente hanno fatto, un riscontro alla loro fatica, insomma (intMe1/24). (cerco difarlo) in modo diverso, a seconda, sia della situazione della classe, sia dei tempi in cui èstrutturata la lezione, sia della situazione dei singoli allievi; ci sono infatti allievi che si-curamente hanno più bisogno di attenzione; cerco anche di distribuire questa attenzione,perché bisogna calcolare che, mentre io faccio […] il giro dei banchi, il resto della classeè in attesa, per cui devo anche calibrare bene... (intMe1/28) ...i tempi; non a tutte le classilascio gli stessi spazi [...]. quello in cui io passo tra i banchi può essere un momentopiuttosto delicato [...] (intMe1/30); come postura, sto vicino all’allievo, non davanti atutta la classe, ma affiancato all’allievo; guardo il quaderno dell’allievo e volto le spallealla classe; è una situazione un po’ delicata. l’altra volta, in classe, ho fatto fare un eser-
17 nel brano riportato sopra come esempio, i singoli elementi (assegnare compiti per casa, avvi-cinarsi ai singoli, dare un riscontro su quanto fatto ecc.) sarebbero poco parlanti se isolati. l’origina-lità e la specificità della pratica (comunicare attenzione, attraverso il controllo dei compiti, inclinarsisull’allievo, mettersi spalla a spalla, unire lo sguardo al suo nel guardare il compito, valorizzare ecc.)emerge dalla combinazione di queste componenti, che solo la forma narrativa restituisce. i singoli ele-menti sono intrecciati con gli altri ed è proprio l’intreccio che dà senso al tutto.18 come si può vedere, il testo del brano è leggermente differente da quello originale, anche sene rispetta fedelmente il senso. i puntini tra parentesi quadre indicano che in quel punto è stata toltauna parte di testo (parole o frasi) perché ripetitiva o pleonastica o giudicata non rilevante rispetto alsenso e all’affermazione centrale del testo. A più riprese, come vedremo più avanti (cfr. punto 3.6.),sono tornato sui testi per renderli anche gradevolmente leggibili. qui riporto il “prodotto” finale diquell’operazione lunga e processuale che è la cura formale dei testi.19 come si vede, il codice consente di collocare il frammento nel testo complessivo al quale ap-partiene.
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cizio, mentre passavo tra i banchi [...]; all’inizio dell’ora, ho dato delle domande che nonavevo dato per casa (intMe1/32) (in modo che fossero) impegnati, mentre io passavo eguardavo i lavori che avevano fatto, la schematizzazione ecc.; […] ho dato le domande acui rispondere senza utilizzare il libro, ma solo lo schema, per [...] dare loro la possibilitàdi fare un’autovalutazione di come avevano fatto gli schemi, perché, nel momento in cuici si accorge che ad una domanda non si riesce (a rispondere), perché nel proprio schemanon ci sono gli agganci, si capisce anche la finalità dello schema. [...] È la prima fasedella lezione, quella dell’approccio personale. Ho visto che le prime volte la cosa crea unpo’ di imbarazzo, perché si invade lo spazio personale e non sono abituati a vedere il do-cente affiancare, girare per la classe, mettersi in mezzo ai banchi, anche perché, in certeclassi, si deve per forza passare in mezzo ai banchi, stare vicino spalla a spalla, invaderelo spazio personale degli allievi. in qualche classe, quando non lo faccio [...], mi chie-dono come mai, comunque si accorgono. questo è il primo momento dei cinquanta mi-nuti, il primo quarto d’ora, la prima parte della lezione (intMe1/34).le descrizioni dense o le storie vissute riuscivano, insomma, meglio di singoliestratti, a rendere la pratica vissuta. Dopo aver individuato le unità narrative, ho cer-cato di leggere attentamente e ripetutamente tali descrizioni e tali storie, di lasciarlerisuonare in me, fino a sentire o meglio a vedere emergere temi rilevanti e relative con-nessioni, in grado di illuminare la pratica formativa come un cono di luce, che nonvernicia le cose del suo colore ma fa brillare ciascuna del proprio. in seguito a questarilettura, ho potuto provare a dare alle unità narrative un titolo provvisorio che ne re-stituisse l’elemento cruciale. nel caso che abbiamo visto, ad esempio, il titolo asse-gnato è stato il seguente: “controllare i compiti per comunicare attenzione”. l’analisiè stata compiuta sui testi di tutte le interviste di questa prima fase e ha consentito digenerare una prima raccolta di racconti con relativi titoli e una prima aggregazione deititoli per affinità, con relativa individuazione di macro-categorie, che sono poi serviteper le successive fasi del processo di confronto e di analisi dei dati.
3.3. La raccolta di materiali elaborati dai docenti e dai CFPi formatori, durante le interviste, sono stati invitati a mostrare (e, quando pos-sibile, a procurare in formato elettronico e ad inviare al gruppo di ricerca) vari ma-teriali di lavoro o prodotti tipo degli allievi, ma anche i progetti regionali (i loro“programmi”), le unità di apprendimento da loro elaborate e formalizzate, i libri ditesto. questo ci ha consentito di raccogliere una notevole quantità di materiali, checi hanno aiutato a “leggere” più in profondità i racconti di pratica raccolti.inoltre, presso la sede nazionale della Federazione, è stato possibile acquisirealtri materiali: quelli elaborati nell’ambito di laboratori nazionali per la realizza-zione di unità di apprendimento (centro Risorse Educative per l’Apprendimento -crea), oltre ai vari documenti (ricerche, progetti, raccolte di buone pratiche ecc.)pubblicati negli ultimi anni dalla Sede nazionale20.
20 Per accedere a tutti questi materiali, che sono prevalentemente disponibili in rete, cfr. il sitodella Federazione cnoS-FAP: http://www.cnoS-FAP.it/.
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3.4. I Focus group realizzati nell’estate 2008 (FgIta/1 e 2): raccolta e analisinell’estate del 2008, abbiamo condotto due Focus Group a Roma, della duratadi circa tre ore ciascuno, con circa 10 formatori per gruppo, nell’ambito di un in-contro formativo di formatori di centri cnoS-FAP convenuti a Roma da diverseRegioni italiane. i FG sono stati condotti ciascuno da un ricercatore21, sulla base diuna griglia. Anche qui, la focalizzazione prevalente riguardava la raccolta di narra-zioni, di aneddoti, di episodi di pratica professionale. Anche se il FG rappresentauna tecnica differente dall’intervista (cfr. Albanesi, 2004; zammuner, 2003), perchéil racconto di un partecipante influenza inevitabilmente il racconto degli altri, pro-ponendo associazioni e attivando ricordi, l’attenzione dei conduttori è stata rivoltanon tanto ad animare una discussione sui temi proposti, quanto a stimolare la narra-zione di episodi da parte di tutti coloro che desideravano intervenire. Per farquesto, abbiamo limitato la traccia a tre domande (ancora una volta con la con-segna di generare storie), che abbiamo inizialmente sottoposto ai partecipantiperché ciascuno potesse riflettere. Successivamente si è lasciato spazio agli inter-venti di ciascuno. quello che emerge dai FG è dunque prevalentemente una rac-colta di altri racconti, in qualche modo assimilabili ai materiali raccolti attraversole interviste individuali della prima fase della ricerca.
Traccia (indicativa) per la realizzazione dei FG dell’estate 2008– Pensate ad un contenuto difficile e rilevante, in ordine al vostro ambito disciplinare, e descrivetecome siete riusciti a provocare un buon apprendimento in relazione a questo (si tratta di descrivereanaliticamente le azioni, di raccontare cosa si è fatto per rendere efficaci questi momenti).– Partendo dal presupposto che è importante costruire un collegamento tra asse tecnico-professionale eassi culturali, raccontate degli esempi ben riusciti di raccordo (ossia: come, attraverso l’organizza-zione del momento professionale, siete riusciti a facilitare l’apprendimento di contenuti disciplinari?)– Ritenete di aver inventato qualche strategia particolarmente efficace per risolvere uno specifico pro-blema di apprendimento (ad esempio: per far tenere l’attenzione sul compito, per facilitare l’acquisi-zione di contenuti specifici, per far apprendere modi di pensare...)? Provate a raccontarla.
Anche i testi di queste interviste di gruppo sono stati audio-registrati e accura-tamente trascritti22. le trascrizioni sono state inserite all’interno di una matrice ana-loga a quella utilizzata per analizzare i testi delle interviste individuali. l’analisi deitesti dei FG è stata condotta leggendo e rileggendo i testi stessi, cercando di indivi-duare le unità descrittive e/o narrative significative in ordine all’oggetto della ri-cerca, di titolare i singoli racconti (operazione questa che corrisponde all’etichetta-tura che abbiamo visto sopra) e di raggruppare poi i titoli per affinità, facendo cosìgradualmente emergere anche qui un sistema articolato di categorie capaci di rap-presentare le aggregazioni di racconti. Particolare attenzione è stata dedicata a quei
21 il primo dei FG realizzati nell’estate del 2008 è stato condotto da Gustavo Mejia Gomez, il se-condo da chi scrive.22 la trascrizione di questi file audio è stata svolta da luciana Alessi e da Gustavo Mejia Gomez.
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brani che, almeno a prima vista, sembravano contraddire le caratteristiche dellapratica che andavano emergendo nell’analisi. Ad una considerazione più attenta, in-fatti, spesso proprio quei brani consentivano di guadagnare uno sguardo più com-plesso sulla pratica stessa, capace di illuminarne le tensioni, e comunque suggeri-vano le linee sulle quali approfondire la ricerca.
3.5. La sistemazione dei materiali e la raccolta di dati integrativiPer ogni azione di raccolta dati (interviste e FG), è stato costruito un “testounico”, cioè l’insieme di tutti i testi raccolti nel corso di quell’azione. A questopunto del processo, i testi unici erano i seguenti: interviste realizzate nel cFP di Ve-rona (intVr), interviste realizzate nel cFP di Milano (intMi), interviste realizzatenel cFP di Mestre (intMe) e interviste realizzate nel cFP Padova (intPd)23; primoFG, realizzato a Roma (FGita1); secondo FG, realizzato a Roma (FGita2). Succes-sivamente, si sarebbero aggiunti altri due “testi unici”: terzo FG, realizzato a Ve-rona (FGita3); quarto FG, realizzato a Roma (FGita4).i testi delle interviste e dei FG 1 e 2 sono stati inviati ai partecipanti per e-mail.Solo pochi hanno risposto e inviato per e-mail integrazioni scritte. nei casi in cuiquesto è avvenuto, le integrazioni sono state inserite in fondo al testo della relativaintervista, nel “testo unico” in cui l’intervista era inserita. questo fatto testimoniache non è semplice, per i pratici, mettere per iscritto la propria esperienza o trovareun tempo disteso per farlo. in alcuni dei cFP da cui aveva preso avvio la ricerca,non era stato ancora possibile realizzare tutte le interviste inizialmente previste. Perquesto, nell’ottobre del 2008, sempre approfittando di uno degli incontri che i for-matori di area matematica e scientifico-tecnologica avevano a Roma, sono staterealizzate alcune interviste individuali per integrare i materiali precedentementeraccolti. queste interviste sono confluite o nel testo unico delle raccolte delle fasiprecedenti (se i formatori venivano intervistati per la prima volta e provenivano dauno dei cFP da cui era partita la ricerca) o in un ulteriore “testo unico” (intRoma),se i formatori avevano già partecipato a precedenti fasi della ricerca (ad esempio, ilFG) e venivano ora intervistati nuovamente per approfondire alcuni aspetti rilevantiche erano emersi nei loro interventi precedenti.
3.6. La continuazione dell’analisi e la stesura di un primo report provvisorioTra la fine del 2008 e il mese di marzo del 2009, è stato elaborato un primo re-port che, oltre a dar conto dell’avanzamento del progetto di ricerca e delle azionicompiute, restituisse una prima analisi dei materiali fino a quel punto raccolti. Perrealizzare questo report provvisorio, è stato necessario integrare l’analisi svolta sui
23 i testi unici relativi alle interviste contengono tutte le interviste realizzate nei vari cFP sia coni docenti di area linguistica che con i docenti di area matematica. in questa parte della ricerca vengonoconsiderati ovviamente solo i testi dei docenti di area linguistica e storico-sociale.
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testi delle interviste individuali con quella svolta sui testi dei FG, secondo la moda-lità descritta sopra (cfr. il punto 3.2.).la forma prevalente assunta dalla sezione del report dedicata ai risultati è stataquella di una “raccolta di racconti”, senza alcun commento da parte del ricercatore.nell’analisi però era gradualmente emerso un sistema di categorie, articolato in li-velli (macro-categoria, categoria, micro-categoria). ogni categoria dava il titolo adun raggruppamento di racconti affini per tematica prevalente.Parallelamente alla stesura di questo report, si è provveduto ad una sistema-zione formale dei testi dei racconti: leggeri interventi, attenti a non modificare inalcun modo il senso dei testi, ma orientati a ridurre alcuni elementi tipici del par-lato e a rendere gradevolmente leggibili – e dunque più facilmente fruibili dai pra-tici – i testi stessi24. quest’opera di “carpenteria fine” e di leggera correzione delparlato, la cosiddetta “cura formale del testo” (che è poi continuata anche sui testisuccessivamente raccolti), si è rivelata essere una vera e propria ulteriore azione dianalisi, che in diversi casi ha aiutato a comprendere meglio il senso stesso del testoe talvolta ha comportato una ricollocazione dei racconti all’interno del sistema dicategorie (coding system) che andava emergendo o una modifica del sistema stesso.
3.7. Il Focus group realizzato nell’estate del 2009 (FgIta3): validazione intersog-gettiva dell’analisi dei dati raccolti delle fasi precedenti e ulteriore raccoltail FG realizzato a Verona, nell’estate del 2009, sempre nell’ambito di un incon-tro formativo per formatori di cFP salesiani, provenienti da varie Regioni italiane, èstato condotto in modo differente, rispetto a quelli dell’anno precedente, e ha avutoun’importanza cruciale in tutto il processo di ricerca. Si è potuto infatti realizzarenel contesto di una intera settimana residenziale estiva di lavoro con il gruppo diformatori coinvolti25. con tempi così dilatati e distesi, si è potuto perciò curare unsetting che consentisse una particolare qualità di ascolto reciproco e un clima densa-mente riflessivo. A tutti i partecipanti era inoltre chiaro l’approccio proposto, cheorientava non solo ad attivare una riflessione per migliorare le pratiche (istanza que-sta propria della formazione), ma anche a riflettere sulle pratiche per generare unapiù profonda conoscenza delle pratiche stesse (istanza questa propria della ricerca).Ai docenti era stato consegnato e presentato in precedenza il fascicolo che ri-portava la sezione del report provvisorio contenente i racconti organizzati all’in-terno delle categorie emerse nella fase precedente della ricerca. lo stimolo di par-
24 nei testi, ad esempio, sono state tolte forme che, nel contesto, risultano ripetitive o superflue,come, ad esempio, alcuni connettivi di tipo argomentativo: infatti, dunque, appunto, e poi… Sonostate poi generalmente tolte espressioni del tipo: allora, magari… o espressioni enfatizzanti del tipo“quelli che sono i…”. i puntini tra parentesi quadra sostituiscono i brani tolti.25 la settimana residenziale di ricerca-formazione (perché era il coinvolgimento stesso nel pro-cesso di ricerca che diventava formativo) e di ulteriore raccolta di dati, tutta basata sulla lettura di rac-conti precedentemente raccolti e sulla narrazione, è stata condotta congiuntamente dal sottoscritto eda Gustavo Mejia Gomez.
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tenza per la riflessione e l’ulteriore raccolta di racconti era dunque, in questo caso,costituito dai racconti stessi dei formatori che, ai partecipanti, era stato concesso iltempo di leggere attentamente. circa la metà dei 13 partecipanti al FG realizzatonell’estate del 2009 avevano inoltre avuto la possibilità di partecipare anche ad al-cune delle fasi precedenti della ricerca – interviste individuali e/o FG svolti nell’e-state o nell’autunno precedenti – e dunque potevano facilmente ritrovare frammentidei loro racconti nei testi del report loro consegnato.in particolare, ai partecipanti al FG, è stato possibile proporre due stimoli: unprimo stimolo è nato appunto dalla possibilità di prendere visione, da parte dei par-tecipanti stessi, dei materiali elaborati al termine della fase precedente della ricerca;a questo riguardo, lo spunto riflessivo è stato costituito dalla seguente domanda:
leggendo, cosa pensi? ci interessano le tue impressioni, non ci interessa valutare le pratiche raccontatedai formatori. Ti ritrovi in come sono stati raggruppati i racconti? che cosa si muove nella tua menteleggendo questi racconti?
questo primo giro di riflessioni ha svolto la funzione di validazione intersog-gettiva (member-check), da parte dei partecipanti stessi, dell’analisi e in particolaredelle categorie individuate nell’analisi dei materiali precedentemente raccolti. l’in-terazione è stata verbalizzata dai conduttori e ha prodotto indicazioni che successi-vamente sono state utilizzate per apportare modifiche e aggiustamenti all’analisidei materiali.Un secondo stimolo – questa volta narrativo –, proposto ai partecipanti, ingiornate successive a quelle in cui si era lavorato sull’analisi condivisa dei racconti,è stato il seguente:
quelle che avete visto erano “buone invenzioni” nate dalla pratica. Provate ora a pensarne un’altra edeventualmente a descriverla individualmente per iscritto...
la consegna invitava a pensare a concrete situazioni, a concreti episodi, ana-loghi a quelli già raccolti e analizzati, e ad abbozzarne – se lo si riteneva utile – lascrittura, in una prima fase di lavoro individuale. in questo modo, venivamo in-contro alla difficoltà che avevamo riscontrato precedentemente a dare forma scrittaalla propria esperienza, offrendo comunque a chi desiderava la possibilità – e iltempo necessario – di fare anche questa esperienza di presa di distanza e di rifles-sione sulla propria pratica. Dopo la fase di lavoro individuale, in cui i partecipantipotevano annotare appunti che li aiutassero a ricordare (e che sarebbero rimasti aloro), il conduttore ha invitato i partecipanti che lo desideravano a leggere e/o araccontare agli altri l’episodio che avevano abbozzato per iscritto o a cui avevanosemplicemente pensato. Gli altri partecipanti potevano intervenire con domande dichiarimento al proponente. i racconti e le interazioni sono stati audio-registrati26.
26 Riguardo a questo modo di impostare l’intervista di gruppo e alla differenza tra questa tecnicae quella ormai consolidata del FG, cfr. anche Tacconi, Mejia Gomez, 2010, pp. 17-18.
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È stato così possibile sperimentare come i racconti raccolti nella prima fase ri-uscissero a generare altri racconti e ad attivare una riflessione sia in chi narrava siain chi ascoltava. la densità narrativa e la qualità descrittiva di questi racconti è ri-sultata mediamente più consistente di quella dei racconti raccolti nei FG prece-denti, anche per la cura del setting che, nell’estate del 2009, si è potuta avere, dis-ponendo di tempi distesi, ma soprattutto per la possibilità di sostare su racconti dipratica e di cogliere con maggiore precisione il tipo di contributo atteso dai ricerca-tori. Del resto, è difficile spiegare in che cosa consista una “buona” narrazione. È digran lunga più efficace mostrare narrazioni esemplari e in seguito invitare a raccon-tarne alcune a propria volta.in occasione della settimana di laboratorio con i docenti di italiano, di inglesee dell’asse storico-sociale, all’interno della quale sono stati realizzati i FG, si è rite-nuto opportuno anche offrire la possibilità a chi lo desiderava di raccontare altriepisodi, anche in momenti diversi da quelli delle riunioni ufficiali, approfittandodella residenzialità. ci sembrava opportuno infatti non perdere la ricchezza dei rac-conti di questi partecipanti, limitando la loro narrazione ai tempi del FG. Anchequesti testi sono comunque confluiti nel “testo unico” siglato come FGita3. com-plessivamente, la durata delle interviste registrate nel corso del FGita3 è di 16 ore.
3.8. Il ritorno sull’analisiA questo punto, si avevano a disposizione i testi delle interviste individuali equelli di 3 FG (l’ultimo dei quali davvero molto consistente), realizzati tra l’estatedel 2008 e l’estate del 2009. in una decina di casi, i partecipanti hanno avuto mododi prendere parte a diversi momenti di raccolta e di integrare i propri racconti. laraccolta, in questi casi, era dunque avvenuta in forma ricorsiva.nel corso dell’estate del 2009, dopo la settimana residenziale con i formatori,si è potuto ritornare sull’analisi riflessiva dei testi, anche alla luce delle osserva-zioni che erano emerse dai partecipanti stessi, integrando l’analisi svolta preceden-temente con l’analisi dei nuovi materiali raccolti e introducendo questa volta anchealcune parole del ricercatore, che fossero in grado di ridire le parole dei parlanti. inuna ricerca di carattere fenomenologico sulle pratiche formative, infatti, si tratta dimettere gradualmente a fuoco elementi della pratica, a partire dalle parole dei for-matori, attraverso l’uso di altre parole.
3.9. Il Fg realizzato nell’autunno 2009 (FgIta4)il racconto della pratica non si identifica con il sapere pratico. il passaggio dalsemplice racconto ad una certa formalizzazione del sapere pratico, che ha sempreuna dimensione tacita e implicita, si ha quando, restituendo ai pratici il tentativoche il ricercatore ha fatto di dire fedelmente la pratica narrata, l’effetto che si ot-tiene è una frase del tipo: “Ecco, è proprio quello che intendevo dire!”. A noiquesto è capitato spesso, negli incontri con i formatori, in particolare nel FG realiz-
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zato sempre a Roma, nell’autunno del 2009, anche qui nel contesto di un incontroorganizzativo di un gruppo di 13 formatori convenuti da varie Regioni d’italia. ilFG dell’autunno 2009 (FGita4), oltre a consentire un’ulteriore validazione inter-soggettiva delle analisi compiute precedentemente, ha dato la possibilità di operareun’ultima raccolta di dati, a partire dallo stimolo costituito questa volta dalla letturadi alcuni brani scelti dal ricercatore nei materiali delle fasi precedenti e da un’unicadomanda: “A te sono capitate situazioni analoghe? Prova a raccontarle con ric-chezza di particolari…”.
3.10. L’analisi dell’intero corpus dei dati raccoltiA questo punto, la fase di raccolta dei materiali era completata e giunta a satu-razione. Si trattava ora di tornare ancora una volta sull’analisi dei dati, questa voltadell’intero corpus dei materiali raccolti, comparando l’analisi già compiuta conquella operata sugli ultimi dati, ma inevitabilmente anche interrogando ancora unavolta l’insieme e riorganizzando parzialmente le categorie emerse, i concetti in cuivia via si andava depositando il patrimonio di esperienza con cui ero venuto a con-tatto. Tutto questo è un processo piuttosto faticoso. nel gesto di chi fa ricerca qua-litativa, come in quello dell’artigiano, è del resto richiesta una certa disponibilitàalla pazienza e alla lunghezza, che non tutti i tipi di ricerca conoscono. È questoprocesso che trasforma una raccolta di racconti in ricerca.Un’attenzione importante era quella di dar conto sia degli elementi estesa-mente presenti, nel senso che venivano detti dalla maggior parte dei formatori, siadi quelli nominati magari solo da pochi, ma ugualmente rilevanti e in grado di re-stituire aspetti utili ad illustrare l’essenza del fenomeno indagato, la pratica forma-tiva in queste aree disciplinari (su questo cfr. Mortari, 2010a).
3.11. La scrittura del report finaleDopo l’analisi, si è passati alla scrittura del report finale. la fase della scritturaè il momento maggiormente caratterizzante di questo tipo di ricerca27, quello in cuisi mietono i frutti di tutto il lungo e paziente lavoro di analisi e di validazione pre-cedentemente svolto. È come se tutte le azioni compiute fino a questo punto – laraccolta dei dati, l’analisi ricorsiva, la riflessione continua, la validazione intersog-gettiva, con il contributo dei partecipanti e di altri ricercatori, ecc. – non fossero al-tro che forme di ascolto, azioni che consentono di ascoltare e dunque di far parlareil fenomeno indagato. A tal proposito, si può forse dire che, in questo tipo di ricer-ca, è essenziale praticare una sorta di “ascesi” o “disciplina dell’ascolto”, per lascia-re che il fenomeno si auto-descriva, si riveli. E questo ascolto non può essere soloil frutto dell’applicazione di una tecnica, ma anche l’espressione di un atteggiamen-
27 Scrivendo si tocca con mano la verità dell’affermazione di Van Manen (1990), secondo cui la«…human science research is a form of writing» (p. 111).
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to etico di fondo, richiesto dall’epistemologia stessa. È come dire che il senso mo-rale del ricercatore diventa parte dell’atto stesso del suo ascoltare e del suo vedere28.Spesso, in questa fase, si è sentita l’esigenza di avvicinare altri testi, oltre aquelli prodotti dai docenti e alle note riflessive stese durante il percorso, non peravviare uno studio della letteratura sul tema, ma ancora una volta per avvicinare ilfenomeno della pratica formativa, per lasciarlo parlare29.la scrittura è come un gioco di echi che rimandano ad ulteriori echi: i brani –che tengono dentro l’eco delle pratiche – sono avvicinati tra loro per affinità, cioèperché fanno tra loro eco; i commenti che il ricercatore aggiunge ai brani, nellosforzo di trovare parole per dire ciò che dicono i testi, sono spesso delle riformula-zioni, ancora una volta quasi un’eco ai brani stessi; anche i riferimenti e le citazioniriportate non servono tanto a supportare quanto emerge dalle esperienze dei par-lanti con riferimenti ad altre ricerche, documentate in letteratura, ma a trovare pa-role per dire la pratica dei docenti. la mente del ricercatore infatti è, a questopunto, completamente dentro alla ricerca e tutto ciò che si legge nel periodo in cuisi sta scrivendo conduce in qualche modo lì. Forse si può dire che il sapere dei pra-tici viene davvero a galla quando, cercando di riprodurne i molteplici echi, si notache la voce che ne risulta è una voce insieme ripetuta e nuova.nel capitolo che segue, cercheremo di comprendere a fondo cosa significhi in-segnare nell’iFP, nell’area dei linguaggi e in quella storico-sociale, prendendo aprestito diversi brani estratti dai testi dei parlanti. Per dirla con Van Manen, infatti,«…il senso della ricerca fenomenologica è di “prendere a prestito” le esperienze dialtre persone e le loro riflessioni sulle loro esperienze per essere maggiormente ca-paci di giungere ad una comprensione del più profondo senso o significato di unaspetto dell’esperienza umana, nel contesto del tutto dell’esperienza umana» (VanManen, 1990, p. 62). Talvolta si tratta di estratti di dimensioni modeste, più spessodi unità descrittive o narrative ampie, veri e propri racconti. Sono proprio questiche abbiamo cercato di privilegiare, per la capacità che essi hanno di restituire inmodo ricco la pratica e di farcela quasi toccare con mano.
3.12. La stesura del diario riflessivoRiguardo a tutto il processo, da parte di chi scrive e anche di coloro che hannocollaborato alle prime fasi della ricerca, è stato tenuto un diario riflessivo o diario
28 condivido pienamente l’affermazione di luigina Mortari secondo cui l’eticità, in questo tipodi ricerca, è un’esigenza epistemologica (cfr. Mortari, 2001a, pp. 20-25).29 Su questo specifico modo di avvicinare i testi, nell’investigazione di tipo fenomenologico,sono illuminanti le parole di lester Embree: «Da questo punto di vista, la fenomenologia è come unascienza naturalistica: gli astronomi certamente leggono gli articoli prodotti da altri astronomi ma lofanno fondamentalmente come un mezzo per le loro investigazioni delle stelle o di altre cose delcielo» (Embree, 2011, p. 22). la lettura di altri testi diventa una specie di trampolino di lancio pernuovi pensieri sulle cose. Durante il processo di ricerca mi è capitato di notare che ogni testo che leg-gevo era una parola rivolta al mio interrogare i dati nella ricerca.
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della vita della mente (Mortari, 2007), che ha consentito di conservare traccia del-l’evoluzione del progetto, dei suoi snodi principali, e di esplicitare le idee e i pro-blemi che scaturivano nel processo di ricerca e le ragioni delle scelte che venivanodi volta in volta effettuate. la ricerca qualitativa richiede infatti una costante rifles-sione sui propri pensieri, che aiuti ad esplicitare i presupposti delle scelte. È soloquando riflette accuratamente su se stessa che una ricerca ha la possibilità di dirsirigorosa. Anzi, si può forse dire che il rigore, in questo tipo di ricerca, si identificaproprio con la capacità riflessiva di conservare la memoria della strada percorsa edei pensieri che l’hanno accompagnata. nel dar conto delle fasi e dei risultati dellaricerca, ho attinto ampiamente alle note stese in questo diario, che mi hanno con-sentito di guardare nello stesso tempo dentro di me e dentro i testi e, attraversoquesti molteplici sguardi, di approfondire la conoscenza della pratica formativa.
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3. I risultati della ricerca
in questo capitolo vengono presentati i principali risultati della ricerca: le pra-tiche dei docenti dell’area dei linguaggi (quelli di italiano e quelli di lingua inglese)e di quella storico-sociale (coloro che insegnano discipline come storia ma anchediritto ed economia). Si tratta principalmente di una sorta di raccolta di exempla, didescrizioni e di episodi capaci di descrivere – si spera efficacemente – il saperepratico dei docenti, ciò che essi stessi hanno constatato essere efficace nella loroesperienza e che difficilmente un testo di teoria didattica saprebbe illustrare con al-trettanta vivacità. come accennavamo sopra, questa raccolta ha comunque consen-tito, attraverso il processo di analisi, di individuare delle strutture più generali, omacro-tematiche, caratteristiche della pratica formativa, che qui di seguito vengonorestituite accompagnate da ampi estratti tratti dai testi delle interviste individuali edei FG. il primo raggruppamento di esempi riguarda le azioni che i docenti met-tono in atto per curare la relazione con gli allievi e degli allievi tra di loro e con lacomunità educativa più ampia di cui sono parte. il secondo raggruppamento ri-guarda le azioni che i docenti hanno imparato a mettere in atto nel gestire la lezionein tutte le sue fasi. il terzo gruppo di esempi riguarda le azioni che consentono divalorizzare l’esperienza degli allievi e di far loro vivere esperienze particolari. nelquarto raggruppamento vediamo le azioni messe in atto dai nostri formatori per tra-sformare il leggere e lo scrivere in esperienze piacevoli. nel quinto raggruppa-mento, sono raccolti gli esempi di quelle azioni che valorizzano l’accostamento allavoro e alla pratica professionale per attivare apprendimenti anche nell’area lin-guistica e storico-sociale. il sesto gruppo di esempi raccoglie quelle azioni che i do-centi descrivono come orientate a far svolgere compiti autentici, collocati in scenarivicini a contesti e problemi reali. infine, il settimo raggruppamento comprende leazioni che i nostri docenti nominano in relazione alla valutazione degli apprendi-menti.le attività e le strategie raccolte non vanno viste in maniera isolata, come se sitrattasse di un mucchio di mattoni sparsi; rappresentano le tessere di un mosaicoperché sono tra loro collegate e consentono di intravedere un disegno complessivo.Del resto, ciò che i risultati presentano è una stratificazione di più narrazioni suc-cessive. Si tratta di storie e descrizioni di pratiche che formano tra loro una reteperché ciascuna si riallaccia alle altre. Sono eventi diversi, che si raccolgono in unaspecie di trama collettiva. il lavoro del ricercatore è stato quello di fondere le tantestorie nel racconto più generale che viene qui presentato, evidenziando il fatto che isingoli tasselli compongono appunto una specie di mosaico.
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lavorando soprattutto con storie, saranno inevitabili alcune ridondanze, se nonvere e proprie ripetizioni. le singole componenti della pratica che sono state indi-viduate rimandano del resto a tutte le altre. Ho cercato di indicare tra parentesi i ri-mandi interni ma non sono riuscito ad esplicitarli tutti. cominciamo ad analizzarle.
1. CReARe Le CONdIzIONI ReLAzIONALI PeR LAvORARe
la vita in un cFP è fatta di relazioni, di adulti e giovani che interagiscono traloro. Per poter lavorare in modo armonico e godere di un’atmosfera che favoriscal’apprendimento e la collaborazione, i formatori che hanno partecipato alla ricercaconsiderano importante ricorrere ad una serie di dispositivi e strategie che, delresto, risultano abbastanza diffusi nel contesto dei cFP di ispirazione salesiana1. iformatori dedicano una costante attenzione alla relazione che instaurano con gli al-lievi, consapevoli che su questo piano si gioca la qualità educativa dell’esperienzadi formazione. l’esigenza di curare la relazione – se è importante per i docenti diqualsiasi ambito disciplinare – è essenziale per docenti che, avendo a che fare conl’area dei linguaggi, si occupano specificamente di atti comunicativi e guidano per-corsi la cui efficacia scaturisce proprio dalla qualità del dialogo che si instaura traallievi e tra allievi e docenti. inoltre, in un contesto come quello del cFP, in cui isaperi culturali, agli occhi dei ragazzi che lo frequentano, hanno meno valore deisaperi tecnico-professionali, che vengono appresi in laboratorio, è proprio sullaloro capacità relazionale – la loro disponibilità al dialogo, la loro capacità di gestirepositivamente i conflitti ecc. – che i docenti di area culturale in genere e di italianoin particolare basano la possibilità di essere percepiti come autorevoli e capaci dicostruire un ambiente di apprendimento stimolante e di far accettare la fatica, oltreche il piacere, che accompagna ogni apprendimento. Di questa cura relazionale faparte anche l’esigenza di chiarire alcune regole fondamentali, meglio se negoziatecon gli allievi stessi, per mantenere un certo decoro all’interno dell’aula e consen-tire un clima di rispetto reciproco. Sempre a detta dei formatori diventa infine es-senziale curare lo spazio, per favorire la partecipazione attiva degli allievi.
1.1. Aver cura della relazione, in particolare con chi si trova in difficoltàchi insegna è chiamato ad avere una forte attenzione nei confronti dei propriallievi, dei singoli e dei gruppi, e a curare l’aspetto relazionale, consapevole che
1 le strategie che emergono qui sono, con diversa intensità, le stesse che abbiamo riscontratodiffusamente presenti anche tra i docenti che hanno a che fare con l’asse matematico e scientifico-tec-nologico (cfr. Tacconi, 2011) e tra i docenti che hanno partecipato alle ricerche realizzate nei cFP delcioFS-FP della regione Puglia (cfr. Tacconi, Mejia Gomez, 2010). questo fatto ci fornisce un indiziosulla cultura e sul clima organizzativo delle realtà formative che fanno riferimento al mondo sale-siano.
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questo può influire sull’atteggiamento complessivo che gli allievi arrivano ad assu-mere nei confronti dell’ambiente formativo e dunque sulle possibilità stesse di ap-prendere. Se questo vale per tutti gli allievi (cfr. noddings, 1992), dai racconti deinostri formatori, sembra emergere che avere a che fare con un certo tipo di utenzasfidante, come quella che generalmente abita i cFP, aiuta a sviluppare una sensibi-lità relazionale particolarmente sottile:[…] fondamentale è l’aspetto umano, la cura della persona [...] (intMe4/24): […] “mi ac-collo” persone che hanno un po’ di difficoltà, perché credo che il lato oscuro, il cantone,l’auto-allontanamento fisico siano anche un auto-allontanamento sociale. Una personache tace ed è adombrata non si sa mai cosa pensa. credo che in genere hai la possibilitànon dico di parlare da maestro, da rabbino, […] però di essere una figura di riferimento(intMe4/26)2;ci deve essere un’interrogazione tra i docenti, per avere non solo una didattica, ma unrapporto personale e amicale che coinvolga i docenti e gli alunni, perché credo che unformatore non è solamente un docente, è anche un amico, è anche un confidente, sempreovviamente con dei limiti, perché deve sapere cogliere – e non solo in momenti scola-stici – desideri e problematiche degli alunni, che molto spesso hanno problemi allespalle, vuoi familiari, vuoi fisici o quant’altro. E dunque ribadisco la necessità di avereun’attenzione e una coesione tra noi che vada al di là della semplice [...] didattica(FGita2/309).S. (intMe4)3, ad esempio, durante la prima intervista, afferma che è importantefarsi carico di (“accollarsi”) persone che spesso entrano al cFP con un pesante far-dello di problemi e hanno bisogno di punti di riferimento, che sappiano porsi inmodo amichevole e comprensivo. Partecipando ad uno dei FG successivi, sempreS. (FGita2/309) ha modo di precisare il suo pensiero a questo riguardo, sottoli-neando come la cura relazionale vada assunta non solo dai singoli, ma dall’interacomunità dei formatori, chiamati a costruire anche tra di loro una coesione che ine-vitabilmente incide sull’ambiente e lo rende accogliente. qui di seguito vediamo,attraverso alcuni esempi, come si declini in concreto questa attenzione relazionalenei nostri formatori che sentono di vestire, di volta in volta, i panni dell’amico,confidente, maestro, rabbino4.
2 i brani vengono riportati con un codice che consente di riferire l’estratto al tutto del “testounico” da cui esso è tratto (intVr, intMe, intMi, intPD, intRoma, FGita1, FGita2, FGita3, FGita4).Tutti i “testi unici” sono stati consegnati al committente e sono disponibili presso la sede del cnoS-FAP nazionale. il numero progressivo dopo le interviste indica il numero dell’intervista nel rispettivo“testo unico” (ad es.: intVr1, intVr2, FGita4 ecc.); il numero che segue la barra (/) indica il numeroprogressivo del turno di parola in cui è collocato il brano estratto nel testo unico (ad es., FGita4/17).Per i FG, spesso è riportato l’intervallo all’interno del quale è contenuto il brano estratto. Tutto questoconsente di riandare in qualsiasi momento al testo nella sua interezza e di collocare il brano nel con-testo a cui appartiene.3 Dei docenti coinvolti, per ovvi motivi, si riporta solo l’iniziale puntata del nome. quando, negliestratti riportati, compaiono nomi di allievi, è bene precisare fin da ora che tutti i nomi reali sono statisostituiti con nomi di fantasia.4 qualcosa del genere afferma anche Frank Mccourt, riflettendo sulla sua esperienza di docente:«Ero più che un professore, e meno. nell’aula di una scuola superiore uno diventa un sergente istrut-
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1.1.1. Agganciare gli sguardiUna formatrice, che opera in Piemonte, racconta la sua esperienza con gli uten-ti di un percorso di “scuola-laboratorio”, che mira, attraverso il raccordo con il cFP,a sostenere ragazzi pluriripetenti, con grosse difficoltà scolastiche, a concludere po-sitivamente la scuola secondaria di primo grado. nel suo racconto sono centrali glisguardi e le espressioni del volto che svelano i propri significati nella relazione:la mia esperienza è maturata l’anno scorso, nei progetti di scuola laboratorio […], con idrop-out, cioè con ragazzi che, a quasi sedici anni, sono ancora nella scuola media e nonhanno né motivazione né autostima. […] Mi rendo conto che questa motivazione non èmai nata, perché non c’è stata un’esperienza positiva a monte. non è mai nata in loro laconsapevolezza di sé; si arrabattano. quando sono entrata per la prima volta in aula […],ero terrorizzata – non ho vergogna a dirlo! – perché mi sono chiesta […]: “E io, ora, chefaccio?”. Sono portatrice di una serie di conoscenze, […] ma alle persone che ho da-vanti – questa è una domanda che mi faccio sempre, in qualsiasi corso, con adulti o conragazzi – di quello che io conosco, delle mie esperienze, che cosa può essere utile? qualè il bisogno che posso soddisfare in questa azione? […] questi ragazzi, se li guardi drittinegli occhi […], tendono a sfuggire con lo sguardo […]. quando ho guardato in facciaquesti ragazzi, ho visto una fragilità estrema, […] il fardello che si portano sulle spalle.[…]. Sono rimasta meravigliata dal fatto che, alle sette e mezzo, erano già tutti fuori deicancelli; io pensavo che arrivassero in ritardo, con le solite scuse, del tipo: “Mi è morto ilcane…”, “c’era gelo per strada…” […], e invece no, erano già lì alle sette e mezzo; noiiniziamo alle otto, il progetto diceva alle nove […]; alla fine non volevano mai andarevia: “Possiamo mangiare qui? Stiamo qui…”; “no, vai a casa, basta, è finita!”. Allora misono chiesta: da che cosa scappano? Perché hanno così tanta voglia di venire qua, anchese non siamo molto invitanti? Effettivamente, mi sono trovata questi ragazzi che, nel mo-mento in cui uno li guarda negli occhi, abbassano completamente lo sguardo, e poi hannodelle stazze non da poco: ragazzini di quindici anni alti un metro e ottanta […]. il primopasso è sicuramente entrare in relazione […]. come si può fare per farsi rispettare? Mi-nacciarli di giocare a calcetto con loro: “Guarda che gioco in squadra con te!”. Un ra-gazzo di questi mi ha detto: “Sarà più facile che io prenda la terza media che non che tuvinca una partita!”, ed è vero, lui la terza media l’ha presa, io tutte le volte che chiedo digiocare a calcetto mi sento consigliare di lasciar perdere. Però nei momenti informali siagganciano, senza avere paura di mettersi a nudo, […] con un po’ di ironia, perché l’i-ronia […] è una forma di intelligenza che ti salva in certe situazioni. questi ragazzi, chehanno situazioni più grandi di loro sulle spalle, se non imparano ad essere ironici con sestessi e con gli altri, non riusciranno ad uscire dai loro problemi. noi abbiamo avutoun’esperienza tutto sommato […] positiva; alla fine siamo riusciti ad organizzare ancheuna festa di chiusura del laboratorio: ognuno ha portato qualcosa, ci hanno lasciato il loronumero di cellulare; insomma, si è creato un buon clima. certo gli obiettivi specifici diapprendimento forse non sono stati raggiunti del tutto, ma abbiamo raggiunto cose piùimportanti, come fare in modo che non venissero più a scuola armati, che non sentisserola necessità di tirare un pugno ogni volta che c’era tensione con qualcuno. […] il consi-
tore, un rabbino, una spalla su cui piangere, un cerbero, un cantante, uno studioso di second’ordine,un impiegato, un arbitro, un pagliaccio, un consulente, un censore dell’abbigliamento, una guida, unapologeta, un filosofo, un collaboratore, un ballerino di tip tap, un politico, un medico, un fesso, unvigile urbano, un prete, un padre-madre-fratello-sorella-zio-zia, un ragioniere, un critico, uno psico-logo, l’ultima goccia che fa traboccare il vaso...» (Mccourt, 2006, p. 35; cfr. anche Tacconi, 2008a).
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glio che mi sento di dare è […] di tornare […] ad una relazione basata sul confronto emai sulla superiorità, il che non vuol dire negare l’autorità, ma diventare più che un’auto-rità, un punto di riferimento per loro (FGita4/15).Di fronte a ragazzi che si ritraggono davanti a formatori, che invece tendonoloro una mano, ragazzi che abbassano lo sguardo, appesantiti da un carico di insuc-cessi scolastici e di situazioni di vita difficili, ma che non smettono di lanciare ap-pelli, anche solo attraverso la loro costante presenza, la leva non può che essere lacura della relazione, da coltivare in ogni momento, formale ed informale, ponen-dosi in modo autentico nei loro confronti, considerando attentamente i loro inte-ressi e i loro bisogni (significative, a questo riguardo, le domande che la nostra for-matrice è solita porsi in avvio di percorso: “Alle persone che ho davanti, che cosapuò essere utile di ciò che so e che ho imparato?”), attingendo anche alla risorsadell’ironia, che insegna a guardare in modo diverso e insolito all’esperienza, sco-prendone aspetti inusuali e potenzialità latenti. Tutto questo fa alzare gli sguardi epermette l’accendersi di quel contatto visivo che è indizio di fiducia, condizione in-dispensabile perché nasca il desiderio di intraprendere un cammino in salita, sa-pendo di poter contare su una guida sicura, che alla fine condurrà in un punto dalquale si aprono alla vista panorami più ampi.1.1.2. Rapportarsi con autenticità: verso una relazione motivantela qualità della relazione che si costruisce tra docente e allievi diventa unafonte di energie buone a cui poter attingere e trasforma la classe in una comunità incui ciascuno riceve il rispetto e la cura di cui ha bisogno e, proprio per questo, im-para ad aver cura degli altri. Vediamo un’ulteriore sfumatura della cura relazionale,nell’esempio che segue:[…] non riesco a fare a meno di pensare a tutto ciò che è relazione […]. All’inizio del-l’anno […], in tutte le classi, la prima volta che ci incontriamo, chiedo a che ora si alzanoal mattino, per avere un quadro generale: “A che ore vi alzate? A che ora fate colazione?quando arrivate a scuola?” […] (FGita4/10). Due anni fa ho avuto una giornata interacome terzo insegnante alle macchine utensili: assistevo i miei colleghi che lavoravano inofficina e trovavo ragazzi estremamente motivati. […] Penso che, nel momento in cuil’adulto entra in classe, è accogliente e diventa un modello desiderabile, allora diventamotivante quasi tutto ciò che uno propone. nel momento in cui uno è autentico e dimo-stra concretamente che nella vita ha avuto bisogno di leggere, scrivere, parlare in inglese,compilare un documento, pagare le tasse, compilare un bollettino, nel momento in cuiquesta persona è significativa, è importante per loro, diventano importanti anche i sacri-fici, […] parte la motivazione. non ho mai incontrato nessun ragazzo che dicesse: “Sonoignorante e voglio rimanerlo!” e i cui occhi dicessero la stessa cosa della voce. c’è unaforte motivazione in laboratorio, ma io la ritrovo anche in molti altri momenti […](FGita4/28). nel momento in cui scelgo di essere autentico, le suggestioni me le dannoloro. Stamattina ho fatto l’esempio di chiedere a che ora si alzano, e questo desta curio-sità: “Perché me lo chiedi?”. […] E io gli rispondo: “Mi serve saperlo! c’è differenza trate, che ti alzi alle cinque, e me, che mi alzo alle sette e dieci per venire a lavorare! Tusarai più stanco di me e devo tenerne conto; magari devo tener presente il fatto che tudevi andare in bagno alle otto. io non ho bisogno di andare in bagno alle otto. Tu hai
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fatto colazione più di due ore fa; io l’ho appena fatta!”. nel momento in cui tengo pre-sente questo, riesco anche a far presente al ragazzo alcune esigenze della struttura […],magari a spiegargli perché è meglio non usare la coca cola in aula di informatica. innan-zitutto lui arriva qui e io lo accolgo: “come stai? chi sei? Da dove vieni?”. Poi loro tiguidano. quando hanno saputo che venivo a Roma (per il FG), uno mi ha chiesto il por-tachiavi della Roma; stranamente, in Piemonte, c’è un tifoso della Roma. A questo ra-gazzo posso chiedere se mi scrive dieci righe su perché è tifoso della Roma; sono sicuroche le scriverà. oggi pomeriggio comprerò un portachiavi giallo rosso e domani glieloporterò […] (FGita4/30).F. (FGita4/10; 28-30) insegna italiano a Bra ma ha avuto spesso modo di assi-stere al lavoro dei colleghi di laboratorio, accorgendosi del forte coinvolgimentodegli allievi nelle attività che essi proponevano. interrogandosi su quali fattori inci-dano su tale coinvolgimento, arriva alla conclusione che decisivo è il modo in cuil’adulto educatore si pone, in particolare il suo stile di accoglienza degli allievi, contutte le loro esigenze e diversità, la consistenza personale e l’autenticità con laquale egli si propone come possibile modello da seguire. Se si dà questo atteggia-mento da parte del formatore, i ragazzi sono disponibili ad assumere anche i sacri-fici e lo sforzo che la proposta che viene loro fatta comporta, e mobilitano energieper l’apprendimento che altrimenti rimarrebbero sopite. Anche l’esperienza perso-nale di F., che presta attenzione alle esigenze specifiche di ogni suo singolo allievo,attesta l’importanza del fattore relazione.1.1.3. Curare il clima della classe creando le condizioni per “mettersi a fare”come vedremo più avanti, parlando della lezione, la fase di avvio di un’unitàdi lavoro è un momento cruciale per misurare la temperatura relazionale dellaclasse e costruire un clima che faciliti l’apprendimento:(quando entro in classe) saluto: “ciao ragazzi, come va? Tutto bene?”; cerco di percepire ilclima della classe... (intPd2/234) […] e mi ritengo fortunata quando ho le prime ore, per-ché... (intPd2/236) sono più freschi, [...] hanno più voglia di fare; [...] dopo la terza ora...(intPd2/238), è un’impresa, cioè li tieni solo a bada, calano tantissimo la voglia, l’interesse,la motivazione. li saluto e cerco di sentire come stanno: se ad esempio l’ora precedentehanno fatto un compito di economia, so che dovrò accontentarmi; anche da questo dipendeche cosa in quell’ora possono darmi. [...] Poi continuo a incitarli: “Forza, dai, comincia-mo...”, perché, quando entro, spesso sono in piedi, “ciao, prof”. “no ‘ciao, prof’ma ‘Buon-giorno, prof’...”; poi vengono lì, ti raccontano quello che [...] stanno vivendo: “Sa prof, chel’altra mi ha detto così e colà...”. “Va bene, dai, su…”; io sono anche tutor nella classe incui insegno e […] loro ovviamente mi vedono anche in un ruolo diverso (intPd2/240); [...]rimetto un po’ in ordine, dico loro quello che dobbiamo fare, non quello che devono fare lo-ro, ma che faremo insieme: “Forza, dai...” e ci mettiamo a fare (intPd2/242);prima di tutto, sembrerà banale, ma mi sembra importante il contatto e il rapporto che iostabilisco con loro; essendo poi tutor delle due classi dove insegno, sento che il rapporto èdiverso, nel senso che comunque io conosco le loro storie, conosco bene le loro famiglie,quindi, quando mi trovo in aula, non ho davanti solo il personaggio x, ma anche tutto ilsuo vissuto. Per cui tante volte io sono condizionata anche da questo, soprattutto quandosiamo in sede di verifica; so, ad esempio, che uno non ha potuto studiare perché c’è un
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motivo serio dietro. quando insegno, prima di tutto cerco di avere un rapporto sereno coni ragazzi e loro colgono subito quando magari vengo da un’altra ora e sono stanca o quan-do mi è successo qualcosa e sono un po’ preoccupata; loro hanno proprio delle antennesensibili e lo colgono subito, per cui cerco di mettermi in dialogo con loro e sono proprioloro che spesse volte mi chiedono: “Ma che cos’ha oggi?” [...] (intPd5/24).la qualità umana dei rapporti che si creano tra docente e allievi, ma anche traallievi, è un fattore importante, che incide sulla possibilità di lavorare produttiva-mente insieme. MG. (intPd2), che è anche tutor5 nella classe in cui insegna, sa per-cepire appena entrata che aria tira, dedica qualche minuto all’ascolto e poi cerca diorientare le energie disordinate nella direzione del “fare delle cose insieme”, inco-raggiando tutti a mettersi al lavoro. Anche D. (intPd5) è particolarmente attenta allaqualità del rapporto che si crea; proprio il fatto di essere anche tutor le permetteuna considerazione più articolata e complessa degli allievi che ha davanti a sé. inquesta relazione, l’attenzione diventa reciproca: non solo il docente si accorge dicome sta la classe, ma anche gli allievi attivano le loro “sensibili antenne” e col-gono come sta il docente. È il segno che si è costruito un clima di reciproco ri-spetto, ma anche di reciproca cura.l’ironia e la capacità di sorridere, innanzitutto di se stessi, rappresentano ulte-riori segnali della presenza di un clima sereno e positivo, come ci racconta A.(FGita4/7), che insegna in Umbria:[…] secondo me, il segreto fondamentale per lavorare con i ragazzi è l’ironia. innanzi-tutto, è importante diventare […] autoironici, perché i ragazzi altrimenti ti distruggono[…]. non è facile, qualche volta, rapportarsi con loro, con le battute che fanno. All’inizioero molto sulla difensiva, invece adesso ci gioco, […] sapendo quali sono i limiti […].Allora, magari, fare una battuta […] aiuta il ragazzo a divertirsi dentro la classe e aiutaanche noi a divertirci, perché, se non ci divertiamo, non riusciamo a fare lezione […].quindi io prendo spunto anche da queste cose per fare lezione: […] le battute, l’ironia.questo aiuta ad avvicinarli e quindi, se siamo fortunati, a far loro apprendere qualcosa inpiù (FGita4/7).la costruzione di un clima sereno e caratterizzato da reciproca simpatia nonrappresenta, nel racconto dei nostri formatori, il fine del loro agire – non siamo al-l’interno di un centro di “animazione” o di un “centro benessere” e non ci sonobuone relazioni che tengano, se la qualità dei contenuti e dei metodi è scadente –,ma una delle condizioni essenziali per aiutare i loro allievi ad apprendere meglio,magari anche sorridendo.1.1.4. Gestire le provocazioni basate sul linguaggiol’uso del linguaggio non è solo un problema di lessico e non rimanda solo allaquestione dei diversi orizzonti culturali di insegnanti e allievi, che vedremo più
5 in alcuni cFP, un docente assume nella classe anche la funzione di tutor, accompagnando i sin-goli allievi nel percorso formativo complessivo, curando il coordinamento del gruppo dei docenti cheinteragiscono con il gruppo classe e la relazione con i genitori.
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avanti. il linguaggio si carica di significati eminentemente relazionali e diventa unostrumento per esplorare i confini. È ciò che avviene, ad esempio, con l’area seman-tica legata alla sessualità:bisogna stare attenti anche nell’utilizzo delle parole stesse: poco fa stavamo parlandodella divisione tra cisgiordania e Transgiordania. la cosa che a loro è rimasta in mente èil prefisso “trans”, che loro legano a “sessuale”. Ecco allora la domanda: “Prof, che cosaè un transessuale?” (intMe4/252). io ho aperto il vocabolario e ho letto, senza paura, ilsignificato di “transessuale” (intMe4/254), cosa che ha generato stupore (intMe4/256).[...] ora, [...] questi ragazzi quello che hanno in mente te lo dicono (intMe4/258) e, se tunon sfrutti il momento e ti fai prendere dal loro gioco, puoi chiudere baracca [...]; se in-vece lo sfrutti in senso positivo, lo sai interpretare, hai la possibilità di incidere(intMe4/260);[...] se su “Focus” ogni mese c’è una notizia sul sesso, i ragazzi vanno a prendere propriola notizia sul sesso: è normale, è scontato questo; c’è sempre un approfondimento ses-suale su “Focus”, […] ma anche su altre riviste; i ragazzi scelgono proprio questo e loscelgono come una sorta di provocazione, perché si aspettano che io li blocchi(FGita1/113). io però non lo faccio. l’importante è che il ragazzo affronti il tema in ma-niera seria [...] (FGita1/115). […] in questo, basta dar loro un limite oltre il quale non an-dare (FGita1/118), ma forse il problema non è porre un limite ai ragazzi, il problema èdare corda, perché, se il ragazzo ti parla di sesso in classe e tu dici: “no, no, non par-liamo di sesso!” (FGita1/121), allora la cosa diventa tabù [...] (FGita1/123). invece, se tuspieghi, i ragazzi si dicono: “il professore sta spiegando, quindi vuol dire che non è poiun argomento così proibito!” (FGita1/125);ci sono delle classi nelle quali alcuni ragazzi buttano lì la battuta [...] e questo chiara-mente rovina un po’ il clima all’inizio; però, per esperienza personale, al di là della faseiniziale, anche nella peggiore delle situazioni, se si riesce a lavorare bene e a porre bene itemi, da parte dell’insegnante, dopo si ha una ricaduta didattica efficace […]. in questianni, ho imparato che un conto è il linguaggio che i miei allievi utilizzano, un conto èquello che vogliono davvero dire, nel senso che magari, dietro una battuta iniziale, si celaun bisogno di comunicare e forse un’incapacità di comunicare usando gli strumenti tradi-zionali del linguaggio; quindi in realtà la battuta non significa neanche disprezzo nei con-fronti di ciò che si sta facendo, ma incapacità di trovare gli strumenti adatti; con il pas-sare del tempo noto un miglioramento rispetto a questo (intVr2/19).Tutto ciò che, anche casualmente, si lega alla sfera della sessualità accende ov-viamente un particolare interesse tra gli adolescenti6, e non solo. nei primi due casinarrati, il linguaggio si carica prevalentemente di significati relazionali. Sembra quasiche il soffermarsi dei ragazzi su determinati termini o determinati argomenti sia prin-cipalmente orientato ad esplorare fino a che punto sia possibile spingersi nella rela-zione con il docente. nel terzo caso, la notazione di D. (intVr2) ci aiuta a riflettere sulsignificato delle battute che i ragazzi fanno e che magari possono scoraggiare o indi-sporre un po’ il formatore. in realtà, un conto è il linguaggio – apparentemente disini-
6 A questo riguardo è opportuno notare che, negli indirizzi per meccanici ed elettrotecnici (in cuiinsegnano i docenti di cui sono riportati i brani riportati in questo paragrafo), la maggior parte, se nonla quasi totalità, del gruppo classe è composto da maschi.
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bito – che essi utilizzano, un conto è il significato comunicativo e relazionale – nonprivo di incertezze – che tale linguaggio assume. Un formatore che risponde alle pro-vocazioni verbali senza imbarazzo e attenendosi ad un registro consono all’ambientescolastico è un formatore che si pone in modo autorevole nella relazione e che dun-que può accompagnare gli allievi su percorsi di apprendimento.
1.2. Prevedere regole e confiniSottolineare l’importanza delle regole e dei confini non significa certo imporreuna disciplina fondata sulla minaccia e sul timore, che indurrebbe atteggiamenti dipassivo adattamento. indicare alcune regole essenziali (ad esempio, l’importanzadel rispetto dell’altro, del metodo, dell’ordine in ciò che si fa, di una certa compo-stezza anche fisica ecc.) e aiutare a sviluppare consapevolezza riguardo ad esse ri-sulta, per la quasi totalità dei nostri formatori, un’azione necessaria per garantire lacostruzione di un buon clima di lavoro nell’ambiente classe e per infondere sicu-rezza emotiva negli allievi, soprattutto nella fase iniziale del percorso (primo annodel percorso triennale o fase iniziale di ciascun anno formativo).1.2.1. Far sentire che si è parte di una comunitàciò che fa la differenza, e consente di andare oltre la semplice obbedienza aduna disciplina imposta, sembra essere la sottolineatura del senso di partecipare allacostruzione di una comunità. Vediamo qui di seguito alcuni esempi dei diversimodi in cui i formatori affrontano la questione delle norme in senso educativo,come esigenza che nasce dal fatto di essere parte di una comunità e non in nome diun’astratta autorità calata dall’alto:ho sperimentato l’importanza delle […] regole. Molte volte queste vengono anche primadei contenuti e di quello che tu spieghi in classe. All’inizio dell’anno, le prime soprat-tutto, assomigliano a delle osterie venete; alla fine dell’anno, non dico che diventino unacaserma degli Alpini, però... È utile proprio dare dei rinforzi positivi, quando un ragazzocomprende l’importanza delle regole, perché mi sono accorto che le regole danno sicu-rezza. cioè, quando un ragazzo sa cosa può e cosa non può fare […], impara a compor-tarsi in un certo modo e si tranquillizza. […] A casa, spesso regole non ne hanno o hannogenitori che si comportano diversamente, a seconda delle situazioni. Applicare le regoleè difficile anche per te adulto, perché ti obbliga a ricordare quello che hai detto e ad es-sere coerente. Se però metti delle regole troppo restrittive, non riesci a farle rispettare. cisono cose, anche molto semplici – come alzarsi in piedi quando l’insegnante entra inclasse, non perché l’insegnante sia importate, ma perché è importante dare un saluto, ac-corgersi che l’ora è cambiata, tenere in ordine il quadernone, scrivere all’interno dei mar-gini, mettere la data sugli appunti, gestire la possibilità di utilizzare le giustificazioni[…] – che la scuola a volte dà per scontate e che, per questi ragazzi, non sono per nientescontate. Tutte queste cose li abituano ad avere una struttura, ma anche a sentirsi parte diuna comunità […]; nel mondo del lavoro, tutto questo è apprezzato, perché tu hai un ra-gazzo di cui ti puoi fidare (FGita4/17);[...] quest’anno mi sono trovato meglio con le classi più mature, mentre è stato più diffi-cile, perché avevo un’aspettativa completamente diversa, con le classi prime. Mi aspet-
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tavo che le classi prime, appunto, fossero (FGita2/70) più malleabili, invece con loro hoavuto maggiori difficoltà; forse avevo in mente strumenti più flessibili di approfondi-mento, di coinvolgimento, che in realtà si sono dovuti scontrare con una bassa scolariz-zazione e una scarsa capacità di stare in classe. Ho dovuto allora assumere un sistema dilavoro un po’ più rigido. questo ovviamente d’accordo con tutti i docenti, alle prese conla difficoltà di gestire al meglio 25 ragazzi di prima superiore, che arrivano e che, a volte,sono veramente portatori di scompiglio, disagio, difficoltà, voglia di stare a scuola ma,magari, poco al banco o partecipi alle lezioni [...] (FGita2/72).A. (FGita4/17), di San Donà di Piave, attribuisce alle regole grande impor-tanza, anche in relazione al fatto che non sempre, nel contesto sociale e familiare incui vivono, i ragazzi hanno a che fare con adulti autorevoli, capaci di porre dei li-miti, ma anche di testimoniarne la sensatezza con un comportamento coerente. Ep-pure, nel contesto lavorativo, la consistenza personale e l’affidabilità sono doti ap-prezzate. lo strumento che egli utilizza per educare alle regole è il rinforzo posi-tivo, oltre che l’esempio personale, dato che le regole valgono per tutti, adulti com-presi. Tutto questo fornisce ai ragazzi quella struttura di cui hanno bisogno per cre-scere. Una gestione delle regole non proibitiva o repressiva, ma incoraggiante, chevalorizzi le capacità dei singoli e dei gruppi, apre spazi di azione, mentre la solaproibizione li chiuderebbe, senza mostrare alcuna alternativa praticabile. Analoga-mente ad A., che, dal primo al terzo anno, assiste ad una sorta di metamorfosi, ingrado di trasformare quasi la classe da “osteria veneta” in “caserma degli alpini”,anche F. (FGita2/70-72) riscontra maggiore difficoltà nel gestire le classi del primoanno, rispetto a quelle degli anni successivi. Sottolinea di aver concordato con glialtri docenti la strategia di adottare una modalità di conduzione delle classi primeun po’ più rigida di quanto sarebbe solito o gli verrebbe spontaneo fare, proprio perl’esigenza di “dare struttura” e aiutare i ragazzi ad assumere modalità comporta-mentali consone alla realtà formativa, senza con questo spegnere la loro “voglia distare a scuola” che, attraverso l’insofferenza a “stare seduti ai banchi”, segnala ildesiderio di apprendere facendo attività e non semplicemente ascoltando il forma-tore. Si tratta di indicare con pazienza i margini perché le azioni dei singoli allievirestino compatibili con l’esigenza di tutti di partecipare e di imparare.l’atteggiamento dei formatori nella gestione delle regole all’interno dellaclasse non è sempre lo stesso, cambia in ragione della loro esperienza, delle situa-zioni che vivono gli allievi e dei contesti, e richiede grande elasticità. Sentiamo adesempio le difficoltà segnalate da c. (intVr4), del cFP di Verona, e le strategie dalui individuate come efficaci:dal punto di vista disciplinare, trovo difficoltà [...] soprattutto nella prima parte della le-zione [...], quando si chiede ai ragazzi di stare attenti, concentrati; c’è molta difficoltà daparte di alcuni; qui naturalmente influisce anche il carattere […] di un ragazzo che è piùestroverso, più espansivo, rispetto ad un altro che magari è più timido, più chiuso(intVr4/44); talvolta, la difficoltà raggiunge livelli estremi e devo prendere provvedi-menti. Ad esempio, mi trovo ad avere in una classe un ragazzo ipercinetico; [...] questacosa farà un pochino sorridere, però io lo mando giù in cortile e gli faccio fare un giro dicampo sportivo di corsa; torna su che si è sfogato; altrimenti questo ragazzino, ogni
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cinque minuti, chiede di andare in bagno, [...] non perché ne abbia davvero bisogno, maperché non regge assolutamente i ritmi della scuola (intVr4/46); è un ragazzo certificato,con una situazione un po’ particolare (intVr4/48). in prima, generalmente, abbiamo ra-gazzi che, tranne rarissimi casi, si comportano bene, anche perché, c’è un salto rispettoalla scuola media; arrivano qui un po’ sospettosi, guardinghi, studiano la situazione. Ge-neralmente, con le prime, dal punto di vista disciplinare, si lavora benissimo. i problemicominciano in seconda, anzi direi proprio che esplodono in seconda [...]. nell’estate trala prima e la seconda, i ragazzi cambiano completamente. Mi sono chiesto tante volteperché [...]; ho provato ad immaginare che sia perché si sentono grandi, perché, non es-sendo più in prima, hanno compagni più piccoli di loro, […] conoscono l’ambiente, gliinsegnanti (intVr4/48). Parlare con loro, a volte, è difficile; dobbiamo far capire chesiamo figure di riferimento importanti, ma che comunque siamo degli insegnanti, deglieducatori. qualcuno di loro a volte tende a considerarci come “amici” [...] (intVr4/50).[…] Appena vedo un ragazzo distratto, che chiacchiera, [...] mi fermo e faccio una do-manda proprio a lui: “cosa stavamo dicendo? Ripetimi le ultime cose dette”. lo so, sonobanalità [...]. quando vedi qualcuno che sta chiacchierando, certe volte, basta che tifermi, che non parli; il risultato è il silenzio; solitamente succede così (intVr4/52). […]All’aspetto educativo tengo molto [...]; dico sempre ai ragazzi che, se imparano a com-portarsi bene qui, poi lo faranno tutta la vita e anche sul luogo di lavoro [...] (intVr4/84).A questo tengo tantissimo e ci tiene proprio anche la scuola, il cFP (intVr4/86).c. (intVr4) non ha grandi difficoltà con i ragazzi del primo anno, che anzitrova un po’ inibiti dalla novità dell’ambiente, ma fa fatica a gestire, con gli alunnidel secondo anno (che, nella sua esperienza, nel passaggio di anno, subiscono unasorta di trasformazione peggiorativa, fino a diventare quasi irriconoscibili) la fasedella lezione in cui ha bisogno di chiedere ai ragazzi una particolare forma di at-tenzione. nei confronti di un allievo ipercinetico, trova efficace la strategia di la-sciarlo ogni tanto sfogare con una corsa in cortile. c. inoltre segnala una difficoltàche è abbastanza tipica degli insegnanti ai primi anni di esperienza: la tendenzache alcuni allievi, soprattutto quelli che si muovono ormai con familiarità nell’am-biente formativo, hanno a trattare i formatori come degli “amici”, eliminando ogniasimmetria. Di fronte a comportamenti di disturbo, il nostro formatore suggerisceun interessante quanto semplice espediente: fermarsi, fare una pausa di silenzio –che generalmente sortisce l’effetto di indurre proprio un clima di silenziosa attesada parte della classe – ed eventualmente porre al ragazzo che sta disturbando unadomanda del tipo: “cosa stavamo dicendo?”, oppure semplicemente invitarlo acondividere le sue idee con il resto della classe e non solamente con il suo com-pagno di banco. in ogni caso, anche per c., la dimensione delle regole di compor-tamento è essenziale ed esprime un’istanza avvertita da tutta la comunità educa-tiva del cFP.1.2.2. Attivare processi di negoziazioneAlcuni docenti-formatori hanno sperimentato che, attivando processi di rifles-sione e di negoziazione delle regole, è più probabile che le regole stesse venganopercepite come dettate dal basso, dal fatto di essere parte di un gruppo, di una co-munità, e non imposte dall’alto, ed è più facile che vengano dunque rispettate:
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ho sperimentato che i ragazzi del primo anno del corso di termoidraulica sono veramentemolto vivaci […]. io sono anche l’insegnante di “educazione alla cittadinanza”, oltre chedi italiano, e quindi è necessario che insegni ai miei ragazzi quali sono le regole dellaconvivenza civile e dunque anche le regole di comportamento da tenere in classe. Hofatto questa lezione […] per niente teorica, ma immediatamente pratica, ponendo loro deiquesiti, delle domande, con delle vignette, su come ci si comporta in una partita dicalcio; in queste vignette, erano rappresentati dei ragazzi che si tiravano le magliette e sifacevano gli sgambetti e loro hanno individuato subito quali erano le regole che dovreb-bero essere tenute nel gioco del calcio. Poi ho scritto sulla lavagna: “Regole fondamen-tali da tenere in classe” […] e loro ne hanno subito individuate diverse. Adesso sto cer-cando di far ricordare loro quello che mi hanno detto e che insieme abbiamo scritto sullalavagna, perché in realtà loro si rendono ben conto di quali siano le regole da tenere, peròa volte il loro comportamento è un po’ diverso (FGita4/2);le regole le costruiamo insieme, nel senso che il primo modulo di “capacità personali”7[...] ha [...] come prodotto finale il “decalogo delle regole disciplinari” e queste regole[...] hanno la sensazione di farle loro (FGita2/174). Ad esempio, facciamo scrivere a lorotutte le regole che pensano siano utili, le discutiamo insieme, le valutiamo, con i loro proe contro, e poi, al termine di questo modulo, abbiamo il “decalogo”, che viene affisso intutte le classi (FGita2/176), con regole del tipo: “non è permesso muoversi dalle classisenza autorizzazione”, che si sono fissati loro di mettere sempre. Poi c’è sempre qualcosasulle conseguenze di un determinato comportamento [...]. io chiedo: “cosa possiamofare, se uno fa così?”. Poi le regole le valutiamo [...] e le aggiustiamo noi. Dico sempreche tutte le loro proposte saranno vagliate dal collegio docenti, così loro hanno il sensodi far parte di una comunità più grande [...], di un processo. Perciò le loro proposte an-dranno in collegio docenti [...]; sono in particolare il tutor e il coordinatore che valute-ranno le loro proposte; [...] e poi c’è il ritorno, cioè tutti i tutor vanno nelle classi e spie-gano quello che ha deciso il collegio docenti rispetto alle loro proposte; infine si esponequesto decalogo (FGita2/178);[...] ho sperimentato il discorso delle regole con una classe particolarmente agitata, scri-vendo alla lavagna [...] proprio quello che io avrei voluto come regole e aggiungendo, almomento, quello che loro mi dicevano; poi insieme le abbiamo analizzate, una ad una,cancellando le più assurde; ad esempio, uno [...] non aveva capito la serietà del momentoe [...] aveva sparato: “Se facciamo così…, la prof ci raddoppia i compiti!”; io l’ho scrittoalla lavagna: “…la prof ci raddoppia i compiti” e tutti hanno protestato; ho detto: “Statecalmi, poi, alla fine, ne parliamo”; hanno visto che ho cancellato di brutto quella regola,nel senso che “...non è un’esigenza che io ho quella di raddoppiarvi i compiti”; alla finesono rimaste cinque robettine semplici, semplici, e da lì, fino alla fine dell’anno, inquella classe, tutto ha funzionato alla grande, perché poi le regole sono state sottoscritteda tutti e le abbiamo appese in classe. Ma la cosa che ha stupito è che anch’io avessidelle esigenze come formatrice; le ho scritte alla lavagna; dopo, parlando con loro, le horiviste e alcune le ho anche cancellate. quando hanno visto che [...], da parte mia, preten-devo, ma davo anche quello che loro avevano chiesto – vale a dire: “terminare le lezioniqualche minuto prima”, “fare la pausa”, magari farli uscire un minutino prima, oppure,invece di questo, “fare una pausa in mezzo all’ora di lezione”, oppure “variare le tec-niche”... –, la cosa ha funzionato (FGita2/242). [...] l’interrogazione era appunto su
7 Si tratta di un modulo previsto nei progetti di diversi cFP del cnoS-FAP per aiutare gli allievia sviluppare abilità sociali e personali trasversali ai vari ambiti disciplinari.
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“quali sono le ‘pietanze’ che metto sul piatto della discussione?”, un piatto posto inmezzo al tavolo, dove tutti mettono qualcosa e prendono qualcosa […]; ne vedo la neces-sità, soprattutto ne vedo le potenzialità, proprio [...] in termini di responsabilizzazione in-dividuale, perché poi sei partecipe di un percorso e quindi non puoi fare quello che tipare, e questo [...] si può fare veramente in tante salse [...] (FGita2/331).o. (FGita4/2), che lavora in Sicilia e segue anche il modulo di educazione allacittadinanza, sa che la tematizzazione della questione delle regole ha a che fare conuno specifico oggetto di apprendimento e che alla convivenza civile si educa ancheattraverso la qualità dell’esperienza sociale di convivenza che è possibile far viverenell’ambiente scolastico. Egli pone la questione delle regole di comportamento daosservare in classe in analogia con le regole calcistiche. Richiama cioè un contestosociale e relazionale caro ai ragazzi, in cui le regole sono normalmente accettate. Apartire da questo, attiva un processo di negoziazione, che porta a definire insiemeun corpus di norme condivise anche per la convivenza in classe. Anche c. (FGi-ta2/174-178), che opera in liguria, dà conto di un percorso che coinvolge tutte leclassi del primo anno in un processo di co-costruzione del “decalogo” delle regoleper lavorare bene insieme. Si tratta di un percorso che parte con una sorta di brain-storming nelle classi, per far riflettere sulle regole del convivere e far emergere leproposte degli allievi. le regole generate dal basso vengono poi discusse e vagliate,sia all’interno dei singoli gruppi di allievi, sia all’interno del collegio dei docenti,che è chiamato a varare la versione ufficiale da esporre pubblicamente e alla qualerichiamarsi durante l’anno. questo basta a far percepire anche agli allievi il sensodi contribuire alla definizione delle norme che regolano la vita della comunità allaquale si appartiene. Anche K. (FGita2/242;331), che insegna inglese in un cFP ve-neto ed è tutor di un gruppo, attiva un processo di negoziazione in cui innanzituttoesplicita quelle regole che, dal suo punto di vista, sarebbero importanti per vivere elavorare proficuamente assieme, ma poi sollecita i ragazzi stessi ad indicare le re-gole che sarebbero importanti secondo loro. le varie prospettive vengono innanzi-tutto messe sul tavolo e, in un secondo tempo, analizzate e discusse. in questo pro-cesso avviene un’essenzializzazione delle regole e progressivamente ci si concentrasu quelle – poche – che si considerano davvero fondamentali. inoltre, gli allievi spe-rimentano spazi reali di negoziazione, constatando che anche la formatrice è dispo-nibile a rinunciare a qualcuna delle istanze inizialmente segnalate e ad accogliere leproposte del gruppo. l’effetto di tutte queste strategie, al di là delle modalità adot-tate, che possono essere diverse, è la responsabilizzazione. infine, è utile notare che,nell’ultimo caso, la forma linguistica scelta è più quella dell’indicazione che quelladel divieto. nell’esperienza di K., infatti, le indicazioni, anche semplici, su cosa fa-re sono di gran lunga più utili e vantaggiose, riguardo all’obiettivo di garantire unbuon clima di lavoro, che non un cumulo di divieti che dicano che cosa “non fare”.Un altro formatore, P. (FGita3/58), che insegna in Sicilia, racconta la proce-dura che viene seguita nel suo centro, per la stipula ufficiale di un vero e propriopatto formativo tra cFP, famiglie e allievi:
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[…] il primo giorno, faccio lasciare tutto (in aula); i ragazzi escono con me e fanno ilgiro di tutti i laboratori del centro; hanno la possibilità di visitare […] tutto il nostrocentro, che è abbastanza grande e ha cinque aree professionali; visitano tutti i laboratorie anche gli altri ambienti, gli uffici, la segreteria ecc., e poi concludono questa cono-scenza dell’ambiente, questa familiarizzazione con l’ambiente, con la sottoscrizione delpatto formativo, in aula: i ragazzi firmano alla presenza del direttore, il direttore contro-firma alla loro presenza il patto formativo che è stato, naturalmente, prima presentato,portato a casa e fatto firmare ai genitori e riportato al centro; viene il direttore e firma ilpatto formativo con l’allievo. Anche questo è un altro elemento che permette al ragazzodi avere consapevolezza dell’ambiente e delle regole dell’ambiente (FGita3/58).la conoscenza dell’ambiente comporta la possibilità di familiarizzare con glispazi fisici del centro, ma anche con i contenuti del patto formativo, che esplicitaciò che le varie componenti della comunità educativa si impegnano a fare per con-tribuire al raggiungimento dei traguardi formativi. inoltre, nel racconto di P., co-gliamo anche che apporre la firma sul patto, da parte dei vari soggetti (gli allievi, igenitori, i formatori, rappresentati dal direttore dell’ente), assume le caratteristichedi una sorta di celebrazione: diventa un momento ufficiale, che vincola ed impegnareciprocamente a contribuire al bene comune.1.2.3. Ricorrere ad un sistema di incentivii contesti sociali e culturali in cui i nostri formatori operano, come abbiamogià affermato, sono davvero molto diversi. le strategie che vengono elaborate inalcuni di essi non possono essere utilizzate in altri. nei cFP salesiani della liguriae del Veneto, ad esempio, i docenti raccontano di ricorrere anche ad un complessosistema di incentivi e disincentivi, in relazione al rispetto delle norme, che proba-bilmente non funzionerebbe in altri ambienti formativi8:
8 Può essere interessante riportare qui di seguito l’intervento di o., una formatrice che lavora inun cFP della Sicilia, che, al termine di un FG (FGita2), esprime l’impressione che nasce in lei con-frontando la situazione descritta dai colleghi di alcune regioni del nord italia e quella che si trova leistessa a vivere, in un contesto molto differente, com’è quello siciliano: «...per tutto il tempo (di questoscambio) io ho avuto il sorriso sulle labbra, perché mi piace moltissimo ascoltare i miei colleghi, leloro esperienze [...]; oggi, questo tavolo è stato molto importante per me. Però penso anche ai miei ra-gazzi, che mai potrebbero avere gli atteggiamenti che hanno i ragazzi di cui avete raccontato, chesono proprio perfettini, “da cambridge”. quando do ai miei ragazzi il libretto delle giustificazioni e,dopo un mese, uno fa un’assenza, chiedo: “Hai portato il libretto delle giustificazioni? Hai la giustifi-cazione?”, “no, professoressa, me la sono dimenticata”; [...] dopo un attimo mi dicono: “Professo-ressa, veramente l’ho perso, non so neanche dov’è il libretto”, e quindi inizia un “come l’hai perso?”,“E allora!”. qualcuno di voi diceva che glielo fa pure pagare! Ma i miei non hanno i soldi neancheper... (FGita2/347) [...] per niente! io non potrei mai far pagare loro 15 euro! (FGita2/349). [...] cisono altre cose rispetto alle quali i miei ragazzi mi sfotterebbero alla grandissima, se io dovessi esserecosì, come dire, “schematica” nelle cose. io a volte ho la difficoltà di farli stare in classe, dico: “starein classe”! cioè, [...] ho ripensato alla mia prima di quest’anno: ad applicare uno di questi metodi dicui voi avete parlato voi ci sarebbe stato veramente da ridere, con D. o con altri ragazzi che vera-mente, prima di poterli fare stare buoni, seduti, sono passati tre o quattro mesi; [...] solo per farli stareseduti; altro che “Deve chiedere il permesso, se deve buttare la carta!” (scoppio di risa) […]»(FGita2/352).
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ad esempio, [...] li portiamo in mensa a blocchi, però, se non stai nel blocco, vai in fondoalla fila […]; se non stai in fila, vai in fondo alla sala; […] hai mezz’ora per mangiare eti conviene stare in fila. Se dimentichi il buono pasto che ti do [...], nessuno ti dà da man-giare alla mensa, ti arrangi; la prossima volta ti svegli! [...] (FGita2/189) [...]. Per me, lacosa fondamentale è il rapporto tra allievi e formatori in classe [...]. io ho classi da ven-tuno [...] (FGita2/219), però [...] poi abbiamo qualcuno che viene in codocenza(FGita2/220) […]; G., che fa sostegno, in realtà, fa anche da “cuscinetto”, nel senso cheraccoglie quelli che noi qualche volta siamo costretti ad allontanare dalle classi e pro-pone loro dei lavori specifici (FGita2/222) […]. come premio ci sono (FGita2/232) atti-vità promozionali, in alternativa (FGita2/233). [...] Tutto questo lo facciamo nelle areedei linguaggi, perché in laboratorio sono dei santi; a loro piace il laboratorio! il problemac’è nelle aree culturali, perché portare i ragazzi nei laboratori è come portarli a Garda-land! Allora il premio è, ad esempio, che quelli più bravi, che hanno voti sufficienti nellearee dei linguaggi, nel secondo quadrimestre, possono fare un tot di lezioni con la classeavanzata: quelli di prima vanno in seconda, per cinque lezioni e fanno il pannello o l’a-scensore [...]; oppure possono fare delle attività di approfondimento, ma attività “simpa-tiche”, tipo la visione di un film […], oppure hanno il diritto ad accedere, se si compor-tano bene, […] ai campi da calcio: abbiamo dei campi di calcio al cFP! Tutto è pre-miante. questa rigidità sembra da lager, ma in realtà, lo fai due mesi e poi si adattano,perché comunque sono anche molto premiati e noi siamo sempre con loro, li portiamo aicampi e giochiamo con loro. [...] Abbiamo fatto l’olimpiade e c’è chi ha vinto nell’areadel linguaggio, chi ha vinto nell’area professionale e chi ha vinto nell’area tecnica; ogniclasse, quindi, più o meno, ha vinto qualcosa (FGita2/234). [...] non vinceva solo chiaveva la media più alta, fra tutte le materie […] (FGita2/236); vincevano un po’ tutti. qui[...] siamo parecchio premianti; per farli vincere, più o meno, [...] in qualche gruppoavrai aggiustato qualche punteggio [...]. Abbiamo anche il giornalino interno, che sichiama “intercnos”; chi [...] va bene può prendere la macchina digitale del direttore e,sul prossimo numero, pubblicheremo le sue foto […] (FGita2/238);noi abbiamo due intervalli, uno di 20 e uno di 10 minuti (FGita2/247), nelle sei ore delmattino [...]; nell’intervallo dei 20 minuti, precisamente al diciassettesimo minuto, suonala prima campanella; loro sanno che hanno 3 minuti di tempo per raggiungere la classe,quindi chi deve andare in bagno, o cose di questo tipo, sa regolarsi; quando suona la se-conda campanella, si è tutti in classe e si comincia; a chi arriva in ritardo viene staccatoun tagliandino dal libretto personale, che viene consegnato loro all’inizio anno; dopo, perprenderne un altro, devono pagare 15 Euro (FGita2/249) e ricomprarlo, perché, se aforza di ritardi, consumi tutto il libretto, devi acquistarne uno nuovo. quindi vengono, di-ciamo, incentivati a non fare troppi ritardi inutili, altrimenti ci rimettono. E su questo dis-corso della campanella, i primi giorni, vedi i ragazzi di prima un attimo sconvolti, perchénon sanno..., devono ambientarsi; ma poi, nel momento in cui suona la prima campana,basta che noi insegnanti diciamo: “Ragazzi, si va”, e autonomamente sono su; c’è semprechi si attarda in bagno e fa le corse per arrivare [...], però tutto sta nell’abituarli e nel mo-tivare loro la cosa (FGita2/253).c. (FGita2/189-238), formatrice in un cFP ligure, descrive, con alcuni esempi,un modo condiviso di gestire le norme, attraverso un sistema di premi e punizionial quale ritiene utile ricorrere soprattutto nelle ore degli insegnamenti di area cultu-rale. È interessante infatti notare che l’attività che si svolge in laboratorio non habisogno che si metta in atto tale sistema, perché viene già percepita dai ragazzicome coinvolgente e in sé “premiante”, quasi come se si trattasse di una gita
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premio, appunto. Se è vero che il sistema prevede qualche punizione e, in certi casi,persino l’allontanamento temporaneo di un allievo dalla classe – che pure avvienecon il supporto di una figura “cuscinetto”, che sappia affrontare il caso attraversospecifiche strategie, in particolare il colloquio a tu per tu –, è soprattutto la leva delpremio che viene utilizzata dai nostri formatori, anche a costo di aggiustare un po’le classifiche, perché tutti possano essere premiati almeno per qualche aspetto.1.2.4. Comunicare attenzione e rispettare la libertà dell’allievo: il caso dellacopiaturanel racconto che segue, l’attenzione relazionale, che caratterizza il modo che inostri formatori hanno di trattare le regole, si esprime anche nel normale lavoro inclasse, in particolare nella routine del controllo dei compiti assegnati per casa:passare per i banchi e notare che un lavoro personale è identico ad un altro è un aiuto – ioho la fortuna di avere una memoria visiva molto buona, per cui, su venti quaderni, mi ri-cordo il primo che ho visto, e loro di questo si rendono conto –; non è che io stracci lapagina e dica: “Adesso, me lo rifai!”, però dico: “Mi sembra di avere già visto in un altroquaderno questa cosa, come mai questo...?” e loro si rendono conto di questo; è una co-municazione importante anche per loro, perché li porta a chiedersi: “come mai me lodice? come mai non interviene in un’altra maniera?” [...]. il professore sa, si accorge e tidice: “Avrei preferito vedere un lavoro tuo!”, “Prova a farlo in maniera diversa!”(intMe1/300). Mi sembra che non abbassare il tiro su queste attenzioni sia molto impor-tante per loro, perché, con questo tipo di allievi, si rischia di diventare un po’ dei rullicompressori, abituati a tutto, con la corteccia, come capita agli insegnanti che una voltaerano definiti “da biennio”, quelli che vanno avanti nonostante le montagne e sono comeun caterpillar; è vero che bisogna essere [...] attenti anche ad una certa struttura, però nonbisogna abbassare il tiro sull’attenzione relazionale nei loro confronti. loro se ne accor-gono [...] (intMe1/303). Ad uno che copia, tu fai capire: “non sono d’accordo con le tuescelte. non hai altri metodi?” [...] (intMe1/304). questo problematizzare, secondo me, haun senso. qualcuno mi diceva: “che senso ha? Tanto lo fanno lo stesso”. io non ne sonodel tutto convinto (intMe1/310): può darsi che lo facciano, che copino per l’ennesimavolta, ma poi dicono: “il professore guarda il quaderno, vediamo cosa succede se faccioil mio” [...] (intMe1/312). Vorrei mantenere la libertà dell’allievo di cercare di essere sestesso e di mettersi in gioco (intMe1/314) [...]. Devi prevedere dei binari su cui accom-pagnarli [...]; loro se ne rendono conto e si lasciano accompagnare per mano(intMe1/412). qualche ragazzo fa più fatica a lasciarsi accompagnare. […] io sono unodi quelli che sta male, se uno non si lascia accompagnare […], perché mi piacerebbe co-involgere tutti, ma devo frenarmi, perché mi rendo conto che qualcuno vuole esprimerela libertà di non essere accompagnato (intMe1/418).il controllo dei compiti, come vedremo anche più avanti, serve a D. (intMe1)per comunicare con gli allievi con delicatezza, rispetto e attenzione e per stimo-lare, in modo indiretto, una certa riflessione anche sui propri comportamenti. È unmetodo che, alla lunga, risulta più utile della “strigliata” e della puntuale menda.l’accompagnamento ha bisogno di binari, di norme, di struttura, ma soprattutto dirispetto e di attenzione, ed anche la libertà di non essere accompagnati va rispet-tata.
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1.3. Organizzare lo spazioinfine, alcuni formatori, tra le condizioni per poter lavorare bene, nominano lacura degli aspetti fisici dell’aula e della disposizione nello spazio, che assumonoanche significati relazionali. Ecco, ad esempio, la testimonianza di G. (FGita1/91),che insegna in Sicilia:io la classe la distruggo: formo fondamentalmente dei cerchi, non sto mai alla cattedra,sto sempre seduto con i ragazzi, tranne quando spiego; [...] la cattedra la uso solo per ap-poggiare la borsa oppure qualcos’altro. la cattedra però la utilizzano i ragazzi quandosono interrogati: io sono in mezzo ai ragazzi e loro stanno alla cattedra a spiegare,perché, se sono interrogati, non devo essere solo io che ascolta, ma deve essere la classeche recepisce un po’ il messaggio [...] (FGita1/91).l’organizzazione dello spazio di cui parla il nostro formatore, distanziandosidalla tradizionale collocazione dei banchi in file poste una dietro l’altra, di frontealla cattedra, veicola una certa idea di relazione educativa. i banchi in cerchio sot-tolineano una modalità partecipativa di insegnare e di apprendere. la cattedra di-venta un tavolo di lavoro, come altri, e non lo spazio dall’alto del quale dispensareil sapere ad una assemblea di passivi recettori. la cattedra mantiene la valenza di“pulpito” solo quando a parlare agli altri sono i ragazzi stessi, che presentano aicompagni ciò che hanno appreso. Anche i docenti del cFP di Padova sottolineanola rilevanza che lo spazio può avere sui processi di apprendimento e, in particolare,l’importanza di muoversi nell’aula:una cosa che evito, proprio perché non riesco, è [...] stare seduta in cattedra per tutta l’ora[...]. il fatto, non so, [...] di avvicinarmi, fa magari dire loro: “caspita, se si avvicina,questa cosa è davvero importante, devo stare attenta!” (intPd3/166);sto sempre in mezzo a loro, e quindi mi fermo con chi ha più bisogno, incoraggio ad an-dare avanti con espressioni del tipo: “Bene. Ti vedo abbastanza autonomo, su, continuacosì…” (intPd2/246).la prossemica e i movimenti possono assegnare rilevanza fisica e tonalità spe-cifiche a quello che il docente sta dicendo e comunicare vicinanza e incoraggia-mento. Anche gli altri docenti di cFP generalmente trovano che muoversi nellospazio della classe, piuttosto che stare immobili alla cattedra, faciliti la comunica-zione con gli allievi.
2. ORgANIzzARe LA LezIONe IN MOdO eFFICACe
la particolare tipologia di utenza “educa” i formatori, come rilevato sopra, aduna spiccata attenzione relazionale. Allo stesso modo, orienta ad un particolare ap-proccio metodologico nel gestire la lezione, che aiuti gli allievi a trovare senso inciò che viene loro proposto:bisogna partire dal presupposto (che) i ragazzi che abbiamo [...] sono particolari, perchémolto spesso provengono da un vissuto scolastico di sofferenza, contesti familiari diffi-
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cili, scarsa autostima, scarsa abitudine e preparazione allo studio e grande difficoltà diconcentrazione [...]; è da qui che poi si capisce anche come impostiamo una lezione [...](intVr4/2);(la mia) è una didattica che probabilmente [...], dalla centratura sull’insegnamento, equindi sul docente, è passata alla centratura sull’apprendimento, e quindi sugli allievi, fa-cendo, per esempio, attenzione ai tempi, ai metodi, cercando di legarsi ai bisogni e allecaratteristiche dell’allievo. […] Un’unità-tipo […] parte con un approccio di carattereorientativo, nel senso che cerco di focalizzare comunque brevemente […] gli obiettivi o iriferimenti di base della lezione, ma calcolando anche che i ragazzi vengono da altre le-zioni e vanno verso altre lezioni e mettendomi dal loro punto di vista, considerando laloro difficoltà a calarsi nello specifico della lezione (intMe1/8).È come se i docenti intervistati avvertissero che le modalità di tipo solo tra-smissivo non possono funzionare con questi ragazzi (ammesso che possano fun-zionare con altri) e che con loro è necessario strutturare la lezione in modo più ar-ticolato e complesso di quello che succede quando un docente si limita a “spie-gare” e si attende che la comprensione avvenga semplicemente per il fatto che i ra-gazzi recepiscono passivamente e sanno poi “ripetere” ciò che l’insegnante haspiegato o ciò che si trova sul libro di testo. inoltre, si tratta di organizzare l’ap-prendimento prevalentemente in classe, data la prolungata permanenza nel cFP daparte degli allievi, per i quali risulterebbe piuttosto difficile tornare su compiti sco-lastici a casa, dopo almeno sette ore passate al cFP, tra aule e laboratori. qui di se-guito vedremo le modalità che i formatori hanno individuato per gestire questo es-senziale momento in modo ricco, fruttuoso e soprattutto sensato (cfr. Tacconi,2010b). Tra gli elementi che agiscono sulla qualità della lezione, i nostri formatoririlevano i seguenti: la cura dei due momenti cruciali dell’avvio e della conclu-sione, il ricorso ad attività volte a far emergere il punto di vista degli allievi, lachiarezza espositiva, l’attenzione a rendere vitali i contenuti, la variabilità dei me-todi, il lavoro di gruppo, la cura delle domande e del domandare. Sono attività eattenzioni che, viste insieme, disegnano un’efficace strutturazione della lezione(quasi una sequenza di azioni-tipo che diversi docenti trovano utile seguire9) efanno intuire la ricchezza che possono avere anche pratiche che a prima vista po-trebbero sembrare “povere”.
9 È opportuno precisare che questa sequenza (avvio, attivazione del punto di vista degli allievisul tema, esposizione da parte del docente, elaborazione o discussione, con conseguente ritorno dellaparola agli allievi, raccolta conclusiva dei lavori ecc.) può essere ricavata attraverso lo sguardo di in-sieme che la ricerca offre. non è che nei racconti dei pratici troviamo la sequenza in tutte le sue fasi(per quanto, in diverse interviste, alcuni formatori accennino proprio ad una certa successione ricor-rente di fasi secondo cui essi solitamente organizzano la lezione). nell’analisi, le azioni descritte daiformatori hanno gradualmente composto questo insieme di elementi da essi ritenuti utili per dare qua-lità ed efficacia alla lezione. l’organizzazione delle categorie segue in questo paragrafo un criterio lo-gico (dall’avvio alla conclusione) offrendo pertanto la possibilità di ricavare anche una determinatasequenza di azioni.
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2.1. Curare l’avviol’avvio di una lezione risulta un momento cruciale. Dall’avvio dipendono in-fatti in buona misura il tono e la sostanza che assumerà anche il resto della lezione.Per questo i nostri formatori dedicano, in genere, particolare attenzione a questomomento, anche se con modalità diverse. Per alcuni è utile aprire con una ripresa diquanto svolto nella lezione precedente; per altri l’avvio dovrebbe fornire, in modovivace ed accattivante, un’idea relativa al percorso che si andrà a svolgere; per altriancora è importante curare il contatto emotivo con i propri allievi e adottare conloro uno stile conversazionale; per altri infine, l’avvio di una lezione o di un per-corso va dedicato al metodo.2.1.1. Riprendere il filoAlcuni docenti trovano utile, in avvio di lezione, stimolare la produzione di unbreve “riassunto della puntata precedente” o comunque sottolineare l’aggancio trail lavoro che propongono e quello che avevano svolto precedentemente:ho provato (a fare) un giro di domande per ricostruire il punto a cui eravamo arrivatinelle lezioni precedenti [...]; ad esempio: “Paolo, prova a dirmi dove siamo arrivati l’ul-tima volta, prova ad esporre a parole tue l’idea chiave dell’ultimo lavoro che abbiamofatto” (intVr7/12);chiedo sempre se vedono qualche aggancio tra il tema che ci apprestiamo ad affrontare equello che abbiamo svolto; non so, se stiamo facendo un lavoro sull’ecologia, chiedo:“Ragazzi, in questi giorni è capitato a qualcuno di sentire notizie sull’ecologia?”. […] Ècapitato, ad esempio, che uno mi abbia detto: “Sì, ho visto un film dei Simpson che par-lava di un disastro ecologico!”. in quel caso, me ne faccio raccontare un pezzo e magariscrivo qualche parola chiave sulla lavagna (FGita4/20).M. (intVr7/12), un formatore che opera in Veneto, e F. (FGita4/20), che operain Piemonte, ricorrono a forme colloquiali di avvio, particolarmente efficaci per ri-prendere il filo del discorso, collocare la lezione nel contesto di tutto il percorso eagganciarla all’esperienza degli allievi. in altri casi (vedi più avanti, al punto 2.1.3.b), il docente assegna questa funzione alla correzione dei compiti che erano statidati alla fine della lezione precedente.2.1.2. Fornire un inquadramento relativamente al percorso che si andrà a svolgereAll’inizio di una lezione o di una unità di lavoro, molti formatori trovano utile of-frire un inquadramento generale, che consenta di farsi un’idea complessiva del per-corso che si andrà a svolgere e dei traguardi che il docente intende far raggiungere:dico: “Ragazzi, da qui alle prossime 25 ore, per me è un’Uda10...”; ad esempio, un’Uda[...] dura 25 ore [...] e si intitola: “Regole e codici della comunicazione” [...] (intPd2/20);[…] all’inizio, punto molto sul presentare in maniera chiara l’attività e l’obiettivo al
10 “Uda” sta per “Unità di apprendimento”. D’ora in poi utilizzeremo sempre la sigla.
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quale devono arrivare i ragazzi e dico loro quali strumenti hanno a disposizione [...](intPd2/220); all’inizio dell’attività è molto importante che io indichi loro l’obiettivo eche i ragazzi capiscano cosa chiedo loro (intPd2/224), gli strumenti per lavorare, il me-todo, i tempi; ecco, un’altra cosa molto importante per i nostri ragazzi sono i tempi,perché altrimenti loro perdono tempo... (intPd2/226). Si tratta di dire loro: “Ragazzi, inquest’ora, dobbiamo arrivare qui!” […] (intPd2/228); […] un’altra cosa che faccio, nellafase di presentazione, è dire loro anche come valuterò l’attività; è una cosa importanteper i ragazzi (intPd2/250): devono sapere quali sono i criteri in base a cui verranno valu-tati (intPd2/252);la lezione inizia con l’esposizione agli allievi degli obiettivi del percorso, del lavoro dasvolgere e del metodo da utilizzare (attraverso l’ausilio della lavagna e di una presenta-zione in “Power Point”); a cui segue un breve spazio per domande o feedback da partedegli studenti […] (intMe1/540);in genere, faccio una prima lezione introduttiva, nella quale spiego a grandi linee qualesarà il mio programma e anche i vari punti del mio programma, per cercare di dare unsenso di organicità alla mia materia e al programma formativo; poi introduco i ragazzinelle varie parti del programma (intVr2/8).Si tratta di presentare gli obiettivi, ma anche le risorse, i metodi, i tempi, siadel percorso nell’intera sua articolazione, sia del lavoro che verrà svolto in quellaspecifica unità di tempo che si sta aprendo. MG. (intPd2) trova utile esplicitare, giàin questa fase, anche le modalità e i criteri secondo cui si svolgerà la fase di valuta-zione finale.2.1.3. Stabilire fin dall’inizio un contatto emozionaleSpesso, all’inizio, prima ancora di entrare nello specifico dei temi che ver-ranno affrontati, si tratta, come abbiamo visto sopra (cfr. il punto 1.1.3.), di stabilireun contatto emozionale con i propri allievi, che comunichi attenzione e rispetto.a) Chiedere “Come va?”l’avvio di una lezione è un momento ad alta intensità relazionale. Del resto,nella relazione tra i docenti e gli allievi, esiste un inestricabile intreccio tra elementicognitivi ed elementi affettivi; per questo, molti formatori hanno imparato a decli-nare i primi minuti di una lezione in modo particolarmente attento alla qualità dellarelazione:quando arrivo in classe […] cerco di fare in modo che […] non si alzino. […] non riescoa riconoscere l’utilità di questo alzarsi in piedi […]. Solitamente, la maggioranza dei ra-gazzi sorride quando io arrivo e, se posso, io restituisco questo sorriso, a meno che […]non ci sia qualcuno molto fuori posto o che magari sta mangiando o bevendo. io chiedoquello che offro: durante la lezione non uso il cellulare, non mangio, non bevo, perché ilnostro regolamento dice questo. Entro in classe, appoggio la borsa sulla cattedra e, primadi tutto, quasi sempre, a seconda delle mie condizioni psicofisiche, saluto. Solitamente cisono le tapparelle abbassate, le tende chiuse, l’aria un po’ pesante […]; allora cerco didare aria e luce al locale e poi chiedo loro come stanno […]: “Buongiorno, come state?Dormito bene?”. Sono cose che i ragazzi apprezzano […]. Alla domanda “come state?”,qualcuno risponde “Male!”. Allora io chiedo come mai stanno male e dedico cinque o sei
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minuti a questa forma di aggancio emotivo. Di solito qualcuno fa qualche domanda, diqualunque genere. […] Se uno fa una domanda, vuol dire che ha un vuoto da riempire edio tendo a rispondere. Ho letto da qualche parte che il maestro è chi risponde alle do-mande, non colui che ne fa tante. Allora, se ci sono delle domande, io rispondo. le do-mande possono riguardare vari ambiti della vita: c’è stato il periodo dei funghi – noisiamo in una zona di campagna –, altre volte riguardano la pesca o cose di questo genere.Dopo di che, compilo il mio registro e chiedo ai ragazzi di preparare il materiale. Poi, in-sieme immaginiamo il da farsi (FGita4/20);[…] non è che, appena entrata, io dica: “Buongiorno” e inizi la lezione. Se è un lunedì,chiedo come è andato il fine settimana ecc. Ad esempio, stamattina vedevo che eranomolto ansiosi di raccontare ciò che riguarda la festa di venerdì11, perché è stata una gior-nata in cui loro sono stati protagonisti e avevano proprio voglia di raccontarsi. Ecco, iodo spazio al loro vissuto, perché, si sa, a casa non parlano […] e tante volte non vedonol’ora di arrivare a scuola perché qui trovano un ambiente familiare […]. quindi do spazioa loro. Poi è logico che, passati i 5 minuti [...] in cui si svegliano, io dica: “Bene, ragazzi,allora iniziamo a lavorare!” (intPd3/170).il racconto di F. (FGita4/20) è particolarmente eloquente e descrive una seriedi microazioni che noi abbiamo affrontato o affronteremo anche in altri paragrafima che qui riportiamo tutte insieme perché hanno l’aspetto di una routine consoli-data: il saluto, l’eventuale richiamo, nel caso di comportamenti scomposti (basatosulla coerenza della testimonianza personale), l’apertura delle finestre per arearel’ambiente, la domanda “come va?” e il breve colloquio che ne segue, la rispostaad eventuali domande degli allievi, il disbrigo dei compiti burocratici (firme sul re-gistro ecc.) e il tempo concesso per predisporre il materiale che servirà durante lalezione. Solo a questo punto si passa ad “immaginare assieme” la lezione. Anchen. (intPd3) utilizza, in fase di avvio, un registro personale, diretto e colloquiale: sitratta di “dare spazio al loro vissuto”. in questo modo, garantito il contatto emozio-nale, ci sono le condizioni per mettersi a lavorare proficuamente.b) Controllare i compiti per comunicare attenzioneil controllo dei compiti, nel racconto di D. (intMe1), che avevamo in parteanalizzato anche nel punto 1.2.4., diventa un’azione di riscaldamento che, nellostesso tempo consente di ricollegarsi al percorso precedentemente svolto e di co-municare attenzione, attraverso la costruzione di un contatto emotivo:[...] se non è la prima lezione di un’unità formativa, c’è quasi sempre qualcosa che lorohanno dovuto portare a lezione, oltre al materiale (intMe1/10). Di solito, ciò che vieneloro richiesto è una schematizzazione di base, una mappa concettuale […] o comunquelo schema di qualcosa che è stato elaborato in classe, e le risposte a delle domande, cheservono per focalizzare l’attenzione sugli argomenti principali; lo schema dovrebbe ser-vire [...] per organizzare in testa le informazioni; le domande invece orientano ad affron-tare un po’ […] “criticamente” l’argomento [...] (intMe1/18). in un primo momento, cheè anche quello del riscaldamento, [...] passo per i banchi e mi avvicino a loro, anche fisi-
11 Si trattava della festa di fine anno del cFP, ndr.
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camente (intMe1/20), […] controllo, guardo il loro elaborato, cerco anche di leggere ef-fettivamente quello che hanno fatto, perché mi accorgo che per loro è molto importanteavere un riscontro (intMe1/22), un’attenzione, da parte del docente, legata a quello cheeffettivamente hanno fatto, un riscontro alla loro fatica, insomma (intMe1/24). (cerco difarlo) in modo diverso, a seconda, sia della situazione della classe, sia dei tempi in cui èstrutturata la lezione, sia della situazione dei singoli allievi – ci sono infatti allievi che si-curamente hanno più bisogno di attenzione –; poi cerco anche di distribuire questa atten-zione, perché bisogna calcolare che, mentre io faccio […] il giro dei banchi, il resto dellaclasse è in attesa, per cui devo anche calibrare bene... (intMe1/28) ...i tempi; non a tuttele classi lascio gli stessi spazi [...]. quello in cui io passo tra i banchi può essere un mo-mento piuttosto delicato [...] (intMe1/30); come postura, sto vicino all’allievo, non da-vanti a tutta la classe, ma affiancato all’allievo; guardo il quaderno dell’allievo e volto lespalle alla classe – è una situazione un po’ delicata –. l’altra volta, in classe, ho fatto fareun esercizio, mentre passavo tra i banchi [...]; all’inizio dell’ora, ho dato delle domandeche non avevo dato per casa (intMe1/32) (in modo che fossero) impegnati, mentre iopassavo e guardavo i lavori che avevano fatto, la schematizzazione ecc.; […] ho dato ledomande a cui rispondere senza utilizzare il libro ma solo lo schema, per [...] dare loro lapossibilità di fare un’autovalutazione di come avevano fatto gli schemi, perché, nel mo-mento in cui ci si accorge che ad una domanda non si riesce (a rispondere), perché nelproprio schema non ci sono gli agganci, si capisce anche la finalità dello schema. [...] Èla prima fase della lezione, quella dell’approccio personale. Ho visto che le prime voltela cosa crea un po’ di imbarazzo, perché si invade lo spazio personale e non sono abituatia vedere il docente affiancare, girare per la classe, mettersi in mezzo ai banchi, ancheperché, in certe classi, si deve per forza passare in mezzo ai banchi, stare vicino spalla aspalla, invadere lo spazio personale degli allievi. in qualche classe, quando non lo faccio[...], mi chiedono come mai, comunque si accorgono. questo è il primo momento deicinquanta minuti, il primo quarto d’ora, la prima parte della lezione (intMe1/34).D. (intMe1) è solito assegnare come compito per casa la rielaborazione, informa schematica, delle informazioni date nella lezione precedente e la risposta adalcune domande di comprensione profonda, che consentano agli allievi di espri-mere un parere “critico” sui testi letti o sugli argomenti affrontati. il nostro docenteha introdotto la routine12 del controllo dei compiti, alla quale dedica una quindicinadi minuti, nella fase di avvio della lezione: si muove tra i banchi, si avvicina ai sin-goli, li affianca, prende in mano il loro quaderno, guarda gli elaborati. Pur trattan-dosi di una routine, questa fase non si svolge sempre allo stesso modo, in partico-lare, potrà durare più o meno a lungo, a seconda dei tempi in cui si articola la le-zione. Anche l’attenzione da riservare ai singoli allievi potrà essere differente: pertutti si tratta di offrire un “riscontro alla loro fatica”, un riconoscimento di ciò chehanno fatto, ma alcuni avranno bisogno di un’attenzione più specifica e di untempo più lungo a loro dedicato. interessante è anche lo sforzo di “distribuire l’at-tenzione”, cioè di tenere d’occhio l’insieme del gruppo, nello stesso momento incui si lavora con un singolo allievo. Talvolta è opportuno formulare una consegnadi lavoro per il gruppo classe; il fatto che tutti siano impegnati nel rispondere ad ul-
12 che si tratti di una routine è espresso anche dalla notazione che i ragazzi si accorgono, se perqualche motivo questa azione non viene fatta.
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teriori domande consente, ad esempio, al docente di avvicinarsi ai singoli e di dedi-care loro attenzione, senza la paura che, rivolgendo le spalle al gruppo, la situa-zione della classe sfugga di mano. l’attenzione relazionale è espressa anche dallaconsapevolezza del docente che avvicinarsi fisicamente può rappresentare un’inva-sione dello spazio degli allievi e richiede pertanto tatto e delicatezza. lungi dal tra-sformarsi in controllo fiscale e potenzialmente sanzionatorio, il controllo dei com-piti si declina secondo i registri del riconoscimento e del contatto personale.2.1.4. Educare al metodola centralità del metodo è legata ad una concezione di formazione come ten-sione continua al miglioramento. Un certo metodo di lavoro si insegna anche isti-tuendo fin dall’inizio pratiche che diventino poi abitudini e veri e propri automa-tismi. È quanto emerge ancora una volta dall’esperienza di D. (intMe1):(la ripetitività dell’avvio) è legata anche al tipo di target, cioè l’aver strutturato questomomento (in modo) quasi ripetitivo crea un’abitudine, che non è: “Sì, va beh, tu sei abi-tudinario...”, ma un’abitudine in senso positivo; non sono ragazzi abituati ad approcciarsiad una disciplina teorica, per esempio scrivendo, aprendo la mente a qualche informa-zione che arriva, quindi bisogna che si crei un’abitudine – avere materiale, aprire il qua-derno, essere pronti a – come dire – ricevere qualcosa – e questo si crea anche ricolle-gandosi a quello che si è fatto; quindi queste abitudini servono, dovrebbero servire perabituare a questo e sono abitudini pratiche... (intMe1/38); ...infatti, i risultati poi qual-cuno li vede nel giro di un anno ed effettivamente, nei tre anni del nostro percorso, qual-cuno diventa autonomo anche in discipline come queste, (anche se) [...] era arrivato dascuole medie in cui dicevano di lui: “questo potrà fare solo materie pratiche!”(intMe1/40). […] Sto parlando delle linee di un lavoro di base, che poi hanno inevitabil-mente una certa rigidità […] (intMe1/50) [...]; però il metodo che si ripete aiuta molto[...] (intMe1/58).il lavoro del nostro insegnante mira a dare un po’ di metodo e di struttura al la-voro di allievi, che spesso sono segnalati come “poco adatti” al lavoro scolastico,ma che in realtà sono semplicemente poco adatti ad una scuola che abbia dismessoogni suo rapporto con la vita e con il senso. il metodo si acquisisce anche con la ri-petitività di specifiche azioni, attraverso le quali il docente stimola ad aver cura delmateriale, a disporsi a lavorare con gli altri con una certa tenacia, a ricollegarsi alpercorso fatto in precedenza, a sopportare quella certa dose di fatica che l’appren-dere comporta.l’attenzione al metodo di studio e di lavoro in classe è frequente, nei docentiintervistati, e su questo generalmente si concentra il lavoro nella prima parte del-l’anno scolastico:dedico la prima parte dell’anno al metodo di studio, [...] cosa che per me è assolutamenteindispensabile, perché ricordo che, ai miei tempi […], il metodo di studio alle superioriera ormai acquisito, invece da noi arrivano ragazzi che non sanno neanche che cosa si-gnifichi studiare, […] leggere, comprendere; quindi io dedico un periodo che va almenofino a dicembre, ai primi di gennaio, al metodo di studio: come si fa a leggere, compren-dere e analizzare un testo scritto e, di conseguenza, come si può esporre, che cosa bi-
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sogna apprendere di un testo, per poi esporlo; [...] ho fatto delle presentazioni in powerpoint sul metodo di studio: che cosa vuol dire leggere, che cosa vuol dire studiare; leproietto e le spiego loro; poi, in pratica, do un testo e lo analizziamo; allora dico loro:“cosa ne volete fare di questo testo? Provate ad analizzarlo”; c’è chi dice: “io farei così”,“io farei colà”; c’è gente che [...] sottolineerebbe tutto (intMe7/11), ...perché è abituato asottolineare tutto (intMe7/13); allora bisogna far capire loro che è utile sottolineare sol-tanto le parti più significative: “Dal sottolineato, cosa posso trarre?”, “quali sono i con-cetti chiave?”; grazie ai concetti chiave, riesco a realizzare con loro uno schema, attra-verso il quale essi poi possono studiare o riprendere gli argomenti da ripassare [...]. con-tiamo molto sul metodo di studio, perché è la base in tutte le materie; dico sempre loro:“lo faccio io, perché insegno italiano, però non è legato soltanto alla mia materia(intMe7/15), è trasversale a tutte le materie, perché, quando voi vi troverete a studiare untesto di tecnologia, piuttosto che un brano di inglese, piuttosto che un testo di chimica, viservirà questo metodo di studio” (intMe7/17).Si tratta di competenze trasversali: leggere, analizzare, comprendere un testo,individuare i concetti chiave, costruire uno schema che faciliti la memorizzazione,fare un riassunto. E. (intMe7) ci racconta le fasi di un lavoro su cui insiste in parti-colare nella prima parte dell’anno e che porta all’acquisizione di qualche automa-tismo: dopo un’introduzione, guida gli allievi a misurarsi concretamente con di-verse tipologie di testo, a sottolinearne le parti rilevanti, ad individuare le idee cen-trali, assegnando dei titoli, per arrivare poi alla costruzione condivisa di unoschema. questo lavoro, ripetuto nel tempo e in relazione a diversi oggetti culturali,non solo consente di memorizzare nozioni e concetti, altrimenti labili e destinatisubito a cadere nell’oblio, ma anche di acquisire quelle competenze di base cheaiutano ad affrontare il percorso e insegnano ad imparare.
2.2. esplorare il punto di vista degli allievi dando loro la parolanelle aree di insegnamento dei nostri docenti, i momenti più fecondi sonoquelli che nascono dal dialogo che si crea tra ciò che l’insegnante intende proporre(che spesso corrisponde ai suoi gusti e alle sue preferenze) e le attese, i punti divista, le emozioni degli allievi. È importante allora esplorare attentamente i vissutie le rappresentazioni degli allievi in ordine ai temi che si stanno affrontando e dareloro la parola per raccontarsi o pensare a cosa direbbero se l’avessero. Si tratta diandare a prenderli là dove si trovano per far loro scoprire il gusto di imparare e l’e-mozione che anche il pensare sa dare:cerco di immedesimarmi in chi sta ascoltando, per cercare di capire cosa sta immagi-nando, se si sta creando delle rappresentazioni; credo molto che la mia disciplina sia le-gata a questo (intMe1/138): è una disciplina che crea emozioni, che crea sollecitazionipersonali, è una disciplina particolarmente legata al sentire dentro, insomma, ecco, allariflessione (intMe1/140).D. (intMe1), che insegna italiano a Mestre, sa che i contenuti su cui propone dilavorare sono solo una delle polarità che devono entrare in relazione e si muovepertanto verso quella che, con Guido Armellini, potremmo chiamare una prospet-
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tiva ermeneutica: «…nella comunità interpretativa della classe l’intervento spiaz-zante di uno studente, le svolte determinate dal dibattito interpretativo, i significatiinattesi scaturiti dal confronto tra diversi orizzonti culturali hanno un ruolo centralenel determinare l’andamento e la direzione del percorso didattico» (Armellini,2008, p. 41). Decisiva sarà dunque la capacità di mettersi in ascolto dei punti divista, delle storie, dei pensieri e di ciò che gli allievi sentono dentro, delle loroemozioni, senza liquidare frettolosamente tutto questo come illegittimo o ingenuo.Da questo gesto di ascolto spesso nasce la possibilità di farsi ascoltare e magari diinstillare qualche dubbio o di guidare a complessificare il proprio sguardo sulmondo.2.2.1. I goal delle aspettativeUn modo per dare la parola agli allievi, soprattutto all’inizio del percorso for-mativo, è esplorarne le aspettative, come fa F. (FGita2/72-84), che insegna diritto eche, ogni anno, propone un’analisi delle aspettative e dei timori in relazione alla di-sciplina, su cui costruire poi una sorta di patto formativo:ho tentato [...] di esplorare prima tutte quelle che erano le loro aspettative nei confrontidella materia, per poi arrivare […] ad un patto d’aula, ad un patto formativo, con quelleche potevano essere le linee guide e i contenuti del quadrimestre, per quanto riguarda“diritto” (FGita2/72); ho raccolto le aspettative con dei post-it, all’inizio dell’anno(FGita2/74). [...] Di solito faccio un gioco, il “goal delle aspettative” [...] in tutte leclassi. loro hanno la possibilità di avere due post-it, di due colori diversi, giallo e rosso,a seconda, uno per le aspettative e uno per le ansie e i timori [...]. c’è una porta disegnatasulla lavagna; loro hanno del tempo per pensare; è un lavoro individuale; scrivono primale une poi le altre, comunque [...] in modo distinto: se hanno più di una aspettativa, uti-lizzano più di un post-it dello stesso colore, in modo tale che su un singolo post-it ci siasoltanto una cosa. Poi i post-it vengono raccolti e vengono letti, a turno, [...] anche con lospirito di favorire la conoscenza della classe [...] e come occasione, per me, di osservarele dinamiche all’inizio dell’anno: quelli che possono essere i leader della classe, le per-sone che prendono spesso la parola, chi sta più sullo sfondo; tutto questo mi serve per[…] vedere su chi potrò puntare, all’occasione, o chi dovrò invece tenere un po’ a bada.Possono fare [...] goal, prendere un palo o schizzare fuori, indicando un’aspettativa cheva dritta in tribuna, perché non c’entra niente (FGita2/76). io raccolgo i post-it che scri-vono e poi [...], con me come guida, tutti quanti ascoltano la persona che esce a leggere;a turno, tre o quattro escono a leggere (FGita2/78). Sui biglietti [...] hanno la possibilitàdi scrivere o di non scrivere il proprio nome [...] (FGita2/80). ci sono dei lettori casuali ei post-it vengono attaccati alla lavagna e vanno a creare le aree sulle quali lavoreremonelle lezioni successive; ci sono post-it che entrano direttamente in porta – è goal! –,quelli che, se loro vogliono, [...] con un po’ più di lavoro, esprimono attese che possonoessere soddisfatte, quelli che vanno appena fuori, che prendono il palo, e quelli che inrealtà non c’entrano e che vengono indirizzati su altri percorsi (FGita2/82). Sono io chedico chi fa goal; poi magari il ragazzo si diverte a metterle in porta in modo particolare,[...] con un “tiro ad effetto” [...] o con queste cose un po’ calcistiche. [...] Tutto questo miserve, in realtà, per [...] mettere un po’ di paletti, di confini [...], anche se abbastanza per-meabili, e per dire: “ok, noi lavoriamo su questo campo!”; [...] alcune cose magari glielerimando in seconda, alcune cose gliele rimando in terza e alcune gliele rimando in quarta[...] (FGita2/84).
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la strategia che il nostro formatore mette in atto non lo fa abdicare al doveredi indicare i contenuti più rilevanti del percorso culturale che intende proporre, magli consente di discutere, in avvio di percorso, i temi e i problemi che potranno es-sere affrontati e di esplicitare eventuali difficoltà o resistenze. inoltre, in questoprocesso, il nostro formatore ha la possibilità di cogliere dinamiche e stili di com-portamento nel gruppo classe e tutto questo potrà aiutarlo ad impostare più effica-cemente il cammino. infine, è come se, mentre il formatore procede nel conoscere isuoi allievi, anche questi potessero fare delle scoperte: su di sé, sugli altri, su quelloche andranno a costruire insieme.2.2.2. “Adesso, dite la vostra!”non sempre i ragazzi della formazione professionale hanno le parole per rac-contarsi. nei brani che seguono, vediamo alcuni esempi di attività attraverso cui iformatori cercano di insegnare ai loro allievi a prendere la parola, cercano di partireda loro, facendo emergere il già compreso a cui agganciare le nuove conoscenze, leloro intuizioni sugli argomenti di studio che affrontano o sui vocaboli che incon-trano: l’esperienza è riferita all’area della comunicazione, al primo anno. in genere, al primoanno, seguo questa sequenza di temi sensibili […]: droga, alcool, fumo, aids. “Adesso,dite la vostra” potrebbe essere il titolo dell’attività che presento […]. Un video di trentaminuti, un foglio con alcuni slogan sull’argomento, un opuscolo di poche pagine e…“Adesso, dite la vostra”. l’argomento in questione è la droga, ma si ripete la stessa meto-dologia anche per gli altri temi. […] Andiamo in sala audiovisivi per la visione di unvideo sulle cause e gli effetti della droga; poi ritorniamo in aula per lo scambio di im-pressioni, osservazioni, chiarimenti. Poi viene distribuito un foglio, nel quale vengono ri-portati alcuni slogan sulla droga, formulati dal ministero della salute; per citarne qual-cuno: “la droga ti ruba la vita”; “Se ti droghi, ti spegni”; “Dalla droga puoi uscire…”.Poi distribuisco un opuscolo di poche pagine dal titolo: “quello che dovete sapere sulladroga”, scritto da giovani ex-tossicodipendenti, nel quale sono indicate le principalicause e le motivazioni che portano alla droga e i primi segni che indicano l’inizio di unpericoloso percorso. lascio un piccolo spazio anche qui per i chiarimenti e poi faccioformare piccoli gruppi, di due o tre membri, che si confrontano sui documenti che hoconsegnato; in altre parole, si confrontano sul film, sul foglio con gli slogan e sull’opu-scolo. Finito il confronto, è il momento dell’espressione delle opinioni personali degli al-lievi. Distribuisco un foglio con quattro tracce; nel caso della droga, c’era scritto “Droga:cause ed effetti…, la tua opinione e lo slogan che costruiresti tu per ragazzi, genitori e in-segnanti”. lavorano individualmente, poi consegnano questo lavoro sapendo che c’è unavalutazione per ognuna delle risposte, in termini di completezza e di correttezza dellafrase. Poi c’è la metodologia dell’autocorrezione e, come dire, della sottrazione diqualche punto, se hanno commesso errori di ortografia o di grammatica. questa metodo-logia funziona: i ragazzi sono presi, riportano a casa le opinioni che hanno maturato. Sulfumo, distribuisco un foglio con disegnato un cimitero con le possibili lapidi di alcuni exfumatori e le relative epigrafi: “Fumavo solo poche sigarette” […]. Portano a casa questimateriali e chiedono proprio: “Professore, posso portarlo a mio padre?”. ci sono gli ef-fetti del fumo dopo trent’anni e c’è chi chiede: “Posso portarlo a mia madre?”. È un’atti-vità che, in qualche maniera, li stimola e serve loro per esprimere una loro opinione eanche per formulare qualche proposta per gli altri (FGita3/58);
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cerco sempre di partire da loro: “Secondo voi, che cosa significa questa parola?”, poiraccolgo i loro pensieri e li integro; ecco, stiamo leggendo un testo, e uno fa: “Ma prof,cosa significa questo termine?”. c’è sempre il bello che dice: “Eh, non sai che cosa si-gnifica?”. “Allora spiegalo tu!”, e magari non lo sa nemmeno lui [...] (intPd3/162). Ecco,è importante cercare che la spiegazione venga prima da loro, perché, se sono sempre io acalare la spiegazione dall’alto, alla fine, sono sempre io sopra e loro sotto, che devonoapprendere ed assorbire come spugne [...] (intPd3/164).l’attività raccontata da P. (FGita3/58), formatore in Sicilia, stimola gli allieviad esprimere la propria opinione su temi di grande rilevanza sociale, in un modoparticolarmente articolato e complesso: la proiezione di un breve video costituiscel’ingresso nel tema; alla visione del film, segue una discussione in aula, per attivareun primo scambio di impressioni e pensieri, ma anche per rispondere ad eventualirichieste di chiarimento ed offrire ulteriori informazioni; a questo punto, dopo averdissodato il terreno, il docente fornisce alcuni materiali per l’approfondimento (dueopuscoli, uno frutto di una campagna di sensibilizzazione del ministero della salutee un altro, che raccoglie alcune testimonianze sul tema), che fa analizzare in piccoligruppi; solo alla fine di tutto questo lavoro, il docente propone un esercizio di scrit-tura personale, che viene eseguito, corretto e valutato. la consegna di scrittura per-sonale arriva alla fine di un percorso di riflessione, che ha offerto concreti elementisu cui prendere posizione e ha consentito di costruire, attraverso la discussione inpiccolo o in grande gruppo, le coordinate fondamentali dell’argomento affrontato.il coinvolgimento nell’attività è garantito e reso evidente anche dal desiderio che iragazzi esprimono di comunicare ad altri, fuori del cFP, i risultati del loro lavoro.Anche n. (intPd3) cerca sempre di partire dai propri allievi, stimolandoli adesempio a costruire insieme il significato di termini sconosciuti. Partire da loro,raccogliere le loro idee, per poi magari integrarle e precisarle, risulta molto più ef-ficace che calare dall’alto definizioni preconfezionate.2.2.3. Il brainstormingAlcuni formatori utilizzano la tecnica del brainstorming, che aiuta a far emer-gere dagli allievi associazioni spontanee su un determinato argomento e a costruireidee nuove e definizioni condivise:soprattutto con argomenti che per loro sono nuovi, parto utilizzando la tecnica del brain-storming: magari scrivo sulla lavagna la parola “comunicare” e dico: “Allora, ragazzi,questo verbo cosa vi fa venire in mente? cosa associate alla parola ‘comunicare’?”. ora,si vede che mettono molto della loro vita, nel senso [...] che dicono: computer, internet,radio, chiacchierare, amicizia, di tutto. Da lì mi aggancio per spiegare e dare le defini-zioni dei vari elementi di una comunicazione; ad esempio, non so, ho fatto capire cheanche l’utilizzo del cellulare e gli sms sono una forma di comunicazione; hanno colto ladifferenza tra l’sms e una comunicazione verbale in cui entra in gioco anche il non ver-bale [...] (intPd3/36);un altro esempio è quello di fare iniziare loro, ad esempio, con una definizione di “comu-nicazione”: “Dai una definizione tua personale di comunicazione”, senza sapere nullasull’argomento (FGita1/61); [...] Prima c’è il brainstorming, poi attacco tutti i fogliettini
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sulla lavagna a fogli mobili e poi insieme arriviamo a costruire la definizione di “comu-nicazione”. Riesco in questo modo a focalizzare i punti. [...] Mi è capitato anche chemolti allievi non avessero capito il significato di “feedback”; con questa metodologia econ il fatto che la cosa parte da loro, che sono loro i protagonisti, alla fine arrivano dasoli a dare una definizione di “feedbeak” [...]; è quasi un risultato loro (FGita1/63).Entrambi i docenti – n. (intPd3), del cFP di Padova, e A. (FGita1/61-63), cheinsegna a Perugia – fanno emergere le idee che gli allievi hanno sul tema “comuni-cazione”. n. annota le indicazioni dei suoi allievi, mentre A. fa scrivere le singoledefinizioni su dei cartoncini o su dei post-it, per poterle agevolmente attaccare allalavagna ed eventualmente riorganizzare. le indicazioni arrivano in ordine sparso esono spesso legate all’esperienza diretta degli allievi. i docenti aiutano ad ordinarele indicazioni degli allievi, a sistematizzarle, magari facendole raggruppare per ca-tegorie, le integrano attraverso domande oppure offrendo supplementi di informa-zione. insieme, si giunge alla costruzione di una definizione o ad una chiarifica-zione concettuale che viene avvertita come frutto del lavoro di tutti.2.2.4. Decostruirei docenti intervistati si trovano spesso a guidare discussioni riguardo ad unaserie di argomenti cosiddetti di attualità. il loro sforzo è orientato ad aiutare gli al-lievi ad andare oltre i luoghi comuni e le conversazioni da bar. in questo sforzo, al-cuni di loro trovano utile far emergere l’immaginario degli alunni su tali temi, chespesso lascia trasparire le idee che si respirano nelle famiglie o nei gruppi di appar-tenenza e presenta elementi sbiaditi e confusi:la prima cosa che faccio nell’affrontare un nuovo argomento con i miei ragazzi è smantella-re tutte le notizie errate che hanno sull’argomento. i loro saperi sono spesso frutto del “sen-tito dire”, magari in casa o al bar, che loro assorbono senza alcuno spirito critico e senza ap-profondirne la veridicità; do quindi la parola ad ognuno di loro, perché possano esprimersi li-beramente e riferire ciò che sanno. Spesso dell’argomento da trattare conoscono solo il nome[…], ma non sanno esprimere molto altro. in questo modo partono già partecipi ed interes-sati all’argomento, ben riconoscendo che i loro saperi sono spesso frutto di leggende me-tropolitane; solo dopo aver ascoltato ognuno di loro, spiego il contenuto delle lezioni. in-calzata dalle loro domande, preciso e puntualizzo certi aspetti che, nel loro vissuto, appaionolontani dalla realtà. Ho sperimentato questa strategia per la prima volta, quando ho avuto unallievo che portava delle verità solo per “sentito dire” e che puntualmente, in modo indispo-nente, contestava di fronte all’intera classe ciò che io spiegavo. Una volta ho provato ad in-vertire le parti e, sentita la sua spiegazione, ho ribattuto e corretto ciò che lui sosteneva. lastrategia è risultata efficace sia per quell’allievo sia per i suoi compagni, per cui ho deciso ditrasformarla in una mia particolare metodologia (FGita3/2). in qualsiasi argomento facevaqueste contestazioni, non per cattiveria, ma proprio perché lui sapeva solo quelle cose che glivenivano, diciamo, dal sapere della strada (FGita3/4). Si tratta di […] far parlare prima lorodelle loro esperienze e poi di integrare quello che dicono. in questo modo, ho suscitato mag-giormente l’interesse sull’argomento e dopo erano stati i ragazzi stessi che mi incalzavanocon domande per avere approfondimenti (FGita3/6).È come se, prima di ampliare la gamma dei significati ed approfondirne il li-vello di consapevolezza, fosse necessario problematizzare e qualche volta smontare
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del tutto le idee e i significati acquisiti su un determinato tema. c. (FGita3/2-6), delcFP di Forlì, ha imparato per esperienza diretta che “dare loro la parola”, all’iniziodi un percorso, è una strategia che consente più agevolmente di disturbare rappre-sentazioni ingenue o acriticamente assunte dall’ambiente circostante e di preparareil terreno per andare oltre il sentito dire e approfondire le questioni. nel raccontoche segue, F. (FGita2/100-108) ci offre l’esempio di come ha tentato di decostruirealcune posizioni pregiudiziali dei suoi allievi in relazione alla storia e al presente,espresse con impulsività e radicalità:[…] ogni tanto c’è anche una presa di posizione aprioristica, nei confronti di alcuni fattistorici; sono ragazzi che, ad esempio, [...] non nascondono certe passioni per il fascismoe ne riportano [...] frasi, concetti, slogan. Tutto questo è stato abbastanza difficile da ge-stire; [...] è stato comunque utile conoscere le dinamiche della classe (FGita2/102), adesempio, l’emersione di un certo radicalismo (FGita2/104). [...] il piccolo lavoro che hoproposto era stato preceduto dalla lettura di un testo che metteva a confronto una storio-grafia filofascista e una storiografia antifascista; quindi i ragazzi avevano già lavorato suquesta contrapposizione, [...] attraverso la lettura di un fatto storico da due punti di vista;avevano fatto un lavoro scritto, di sintesi per punti e di raffronto orizzontale tra le tesi so-stenute in un testo e le tesi sviluppate nell’altro [...]. questo però era un lavoro fatto daun punto di vista prettamente cognitivo. Poi in classe queste cose vengono fuori spessocome [...] delle bombe: il ragazzo ti salta su, ti dice le cose ad alta voce e in modo pocoprevedibile. in quei casi..., ho sentito la necessità di non zittirli, cioè di [...] far loro ri-prendere, come dire, una formulazione coerente rispetto al fatto di stare in classe; se citrovavamo fuori, in cortile, piuttosto che al bar, potevamo farne di tutti i colori, però lascuola ha come compito di fornire ai ragazzi una visione il più articolata possibile, attra-verso la presentazione del maggior numero possibile di punti di vista, in modo che loroautonomamente, possano farsi un’idea […]. insomma, […] vedo in questo dei rimandialla loro formazione, […] alle opportunità che hanno di imparare; queste cose servono evedo che anche i ragazzini di prima, […] trattati da adulti o meglio da adulti in divenire,da adolescenti, sentono di avere il bisogno di conoscere, perché, [...] quando poi vieneproposto un documento che magari contrasta con quell’idea che avevano o con quel con-cetto ingenuo, con quello stereotipo che avevano in testa, [...] si zittiscono un po’ e...,come dire, si risiedono sulla sedia; ecco [...] sono in grado di apprendere e di mettere in-sieme delle conoscenze nuove e poi di formulare magari anche delle opinioni proprie, inmaniera un po’ più articolata. quello fatto è stato un piccolo tentativo [...] nello studiodella storia; l’idea era, appunto, di non limitarsi ad uno studio nozionistico di dati edeventi, ma di costruire un percorso formativo individuale, anche attraverso quei concetti.io di solito non li stoppo, cerco di tenere [...] vive queste discussioni; mi piace […] unaclasse che si propone, piuttosto che una classe che sta sulle sue [...] (FGita2/108).l’intenzione del docente è proporre un percorso che aiuti ad affrontare un temacontroverso in modo ragionato. nell’interazione in classe però le espressioni degliallievi si caricano di tonalità emotive ed assumono i caratteri di un’irruenza pernulla prevedibile. la strategia che il nostro docente segue è quella di non censuraregli interventi e di consentire l’espressione di idee personali, invitando solamente aformularle in una maniera consona al contesto scolastico, cioè argomentando e por-tando ragioni, magari utilizzando riferimenti appropriati a testi e dati messi loro adisposizione; a questo punto, è possibile aiutare gli allievi ad analizzare i propri
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punti di vista, a metterli a confronto con quelli degli altri – siano questi il docente, icompagni o gli esperti –, a problematizzarli. l’effetto è che gli allievi “si risiedonosulla sedia”, smorzano i toni del confronto e mettono in moto il pensiero, arrivandonon di rado alla formulazione di idee personali più ricche ed articolate di quantopotevano essere in avvio di percorso.
2.3. esporre (e far esporre) con chiarezzala lezione non è solo un mettersi a “declamare” ciò che si sa davanti allaclasse, un parlare che non comunica. È una forma speciale di comunicazione, incui anche il corpo, i movimenti, i gesti, il contatto visivo possono avvicinare o al-lontanare gli allievi da ciò che si sta comunicando. i docenti sono consapevoli cheil loro modo di parlare – la loro capacità di essere chiari, comprensibili, interes-santi, convincenti ed avvincenti, ad esempio – influenza notevolmente la capacitàdi attenzione e, di conseguenza, l’apprendimento degli allievi. Ma più di ogni altracosa, sanno che la lezione, proprio perché comunicazione, è sempre rivolta a qual-cuno, richiede un particolare coinvolgimento emotivo e relazionale, è un esporsi,un rivelarsi, che ha il segno della sua efficacia nel fatto che anche l’altro si riveli.È la comunicazione di ciò che si è compreso, che realizza anche una nuova com-prensione di ciò che si sta comunicando e crea così le premesse perché anche altripossano partecipare alla stessa esperienza. infine, i formatori sono consapevoli cheuna buona strutturazione della lezione e la chiarezza espositiva non solo sono es-senziali alla comprensione, ma rappresentano anche una forma concreta di atten-zione all’altro (dicono, ad esempio, che si sono dedicati tempo ed energia a prepa-rarsi). Per assicurare questi elementi, i docenti intervistati ricorrono prevalente-mente a quattro forme di attenzione didattica: la vivacità espositiva; la schematiz-zazione – da proporre o da far fare –, l’utilizzo del quaderno, come strumento perfissare i concetti essenziali e per stimolare comunicazione, e il frequente richiamoal punto di arrivo. inoltre, i docenti organizzano forme di apprendimento attra-verso l’insegnamento (learning by teaching), in cui sostengono gli allievi nell’or-ganizzare e realizzare essi stessi esposizioni e presentazioni efficaci per i lorocompagni.2.3.1. Catturare l’interesseGuardare gli allievi in faccia, anziché tenere il proprio sguardo sui propri ap-punti o sullo schermo, accresce l’attenzione. Si tratta di rendersi conto di come gliallievi stanno ascoltando e non solo di prestare attenzione a ciò che si sta dicendo.Più avanti, nel paragrafo dedicato alla valorizzazione dell’esperienza (cfr. punto 3),vedremo alcune strategie che i formatori hanno sviluppato per agganciare l’espe-rienza degli allievi e dunque suscitare il loro interesse. qui ci soffermiamo su al-cune semplici tecniche che vengono nominate dai formatori, come il ricorso al mo-vimento o alla pausa per sottolineare un punto particolarmente importante che si statrattando:
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il fatto di fermarsi un attimo, e magari dire: “Ragazzi, statemi bene a sentire, perchéquesto concetto è un po’ difficile da capire...”, già aiuta (intPd3/166).la pausa consente a n. (intPd3) di dare enfasi a ciò che sta dicendo. F.(FGita4/32), nel brano che segue, racconta di ricorrere talvolta a qualche forma dicomunicazione paradossale, puntando sull’effetto scioccante che questa può gene-rare: mi capita molto spesso di assumere atteggiamenti, posizioni e posture che scioccano unpo’ la platea: magari mi vado a sedere alle spalle di tutti, a volte succede che […], sedutoalla cattedra, mi giri al contrario e cominci a leggere un testo. Alcune cose mi sono ve-nute istintivamente […]. Soprattutto cerco di lavorare molto sulla differenza che c’è traascoltare e sentire; riprendo qualcuno che mi dice: “Prof, guardi che ho sentito!”. Alloraaspetto che quel soggetto abbia una domanda e, a quel punto, mi giro dall’altra parte,guardo dalla finestra, mi guardo le calze. non credo siano invenzioni, mi vengono così,non sono mirate tanto al contenuto specialistico, quanto a ciò che si mette in gioco nellarelazione formativa (FGita4/32).Premessa indispensabile per spiegare in modo efficace è certamente la padro-nanza dei contenuti, ma assieme a questa conta anche la capacità esplicativa: undocente che sa “dare spettacolo”, che si muove nell’aula e che talvolta assume po-sture anche sostenute e inconsuete, che risvegliano l’attenzione o segnalano un og-getto importante della comunicazione, riesce generalmente a catturare l’interessedegli allievi. in tutto questo, gli aspetti non verbali della comunicazione – in parti-colare gli occhi e le espressioni facciali – assumono un ruolo preponderante e pos-sono essere particolarmente utili per educare al reciproco ascolto.2.3.2. Schematizzare e far fare schemiMolti insegnanti usano spesso la lavagna (prevalentemente quella a pennarelli,appesa al muro), in classe, durante la spiegazione, per fissare i concetti chiave, mi-gliorare la chiarezza espositiva, rendere esplicita l’organizzazione concettuale dellalezione o facilitare il dialogo:uso abbastanza spesso schemi e cerco di usare il dialogo con i ragazzi; mentre si com-menta lo schema, lo si amplia (intVr7/2);schematizzo molto; mano a mano [...] risaliamo insieme al concetto e poi io lo fisso allalavagna; per i primi mesi, scrivo proprio tutto alla lavagna, man mano che andiamoavanti; possiamo anche leggere il testo, perché in alcune lezioni dico: “Bene, ragazzi, ab-biamo utilizzato questo, vediamo che cosa ci dice il testo”. Vedo che i ragazzi hannomolte difficoltà a comprendere il testo scritto e non hanno un metodo di studio […] perfissare i contenuti, i concetti e memorizzarli; quindi con loro faccio degli schemi alla la-vagna; faccio leggere a un ragazzo e gli chiedo: “che cosa hai capito di quello che hailetto?”. “Ho capito x”. “Allora, fissiamo alla lavagna e vediamo se è giusto quello chehai capito” […] e andiamo avanti così (intPd2/24);noi abbiamo anche molti ragazzi stranieri; [...] io sono grafomane, nel senso che scrivochilometri di parole alla lavagna; [...] una parola che dico […] la capiscono, se la pro-nuncio lentamente, ma uno straniero la può fraintendere (intPd3/86). quindi devo scri-
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vere tutto [...] (intPd3/88). Ad esempio, ci sono molti ragazzi stranieri che leggono unaparola scritta alla lavagna e li vedi sotto banco che la cercano sul dizionario, oppure mene chiedono il significato (intPd3/92);lascio scritto sulla lavagna quello che dico; se qualcosa sfugge, possono recuperarla(intMe1/116); la lavagna diventa anche un quadernone degli appunti; abbiamo la fortunadi avere lavagne grandi; mi rendo conto che, se avessi la lavagna un po’ più piccola,forse […] avrei qualche problema (intMe1/118), perché sono anche un grafico e dunqueproprio mi piace scrivere, anche disegnare; quelli dei corsi grafici apprezzano moltoqueste icone, questi disegnetti (intMe1/120). Anche questo serve per risvegliare, serve afissare, perché comunque sono ragazzi che sono poco legati all’apprendimento solo udi-tivo o solo tradizionale… (intMe1/122), attraverso la lettura; hanno molto bisogno dellostimolo visivo, dello stimolo uditivo, anche ridondante (intMe1/124).lo schema serve a M. (intVr7) per fissare i principali concetti della lezione,che diventano anche la scaletta della sua esposizione. Da lì prende avvio il dialogoche fa continuamente tornare sullo schema per integrarlo ed ampliarlo. MG.(intPd2) utilizza lo schema per fissare i principali concetti e magari verificarne l’at-tendibilità, dopo aver guidato i propri allievi in un’opera di ricostruzione dei con-cetti stessi. n. (intPd3) ha sperimentato che riportare per iscritto, alla lavagna, leparole più importanti aiuta in particolare gli allievi stranieri. D. (intMe1) scopreche scrivere un breve sommario alla lavagna, aiuta gli allievi, che magari perdonol’attenzione per qualche istante, a riprendere il filo del discorso. Anche il disegno ela cura grafica dello schema possono aiutare a tener desta l’attenzione. Un altro ele-mento che sembra facilitare l’attenzione è la combinazione, anche ridondante, didifferenti media – il linguaggio parlato, il linguaggio scritto, il linguaggio iconico –che trasforma il discorso in azione. Ma lo schema che sembra più utile, come ve-diamo nei brani che seguono, è quello che si fa fare agli allievi stessi, alla lavagnao direttamente sul quaderno:cerco di chiudere (la lezione) – anche se non sempre lo faccio, ma mi rendo conto dell’im-portanza – con una fase dove ci sia già un raccogliere qualcosa sul quaderno; per esempio, ilfare è molto importante, perché ogni momento è legato al cosa fare e la fase finale sarebbebene fosse già legata allo scrivere qualche idea guida, non dico una schematizzazione com-pleta; l’allievo raccoglie sul quaderno il titolo che ci siamo dati, gli aspetti principali; questoserve perché poi ci sia un aggancio con quello che c’è da fare per casa, ad esempio, o conquello che si aggancia conseguentemente […] (intMe1/158); […] questo serve soprattuttoad elaborare una comunicazione, quindi serve a me per vedere cosa pensano, cosa hanno intesta; per esempio, faccio una spiegazione con un passaggio un po’ difficile e chiedo: “mifate la schematizzazione, per favore, sul quaderno?” (intMe1/226); passo per i banchi a ve-dere, mi accorgo dalla schematizzazione che non tutti hanno compreso la spiegazione in ma-niera corretta, perché, per esempio, io ho detto: “guardate, dal rosso adesso io passo al nero,in questa frase qua…” (intMe1/228); e qualcuno ha messo grigio, oppure ha messo una frec-cia sbagliata, oppure non ha colto. questo è un metodo per me importante (intMe1/230),perché nella loro testa non riesco a vedere (intMe1/232) e non tutti hanno il coraggio di dire:“Professore, non ho capito” […] (intMe1/234);[...] faccio sottolineare quali solo le parti importanti, spiego e, a lato e sulla lavagna,faccio trascrivere le mie spiegazioni [...] (intMe4/92), una specie di sintesi [...]; alla fine,su alcuni punti cruciali, faccio un breve passaggio di verifica per vedere se hanno capito;
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su alcuni punti ritorno e spiego. Poi chiedo, faccio ripetere a qualche persona [...] o ai ti-tubanti o a quelli che magari hanno capito di più, per cercare di vedere a che punto è lacomprensione (intMe4/94).D. (intMe1) sente l’esigenza che la lezione si concluda con una schematizza-zione che resti sul quaderno degli allievi, alla quale ci si possa agganciare per even-tuali approfondimenti o per lanciare un ponte verso i temi che seguiranno. Ma laconsegna di elaborare uno schema della lezione sul proprio quaderno consente so-prattutto al docente e ai ragazzi stessi di verificare la comprensione avvenuta. nelbrano che segue, una formatrice della Sicilia, fa elaborare ad un ragazzo un’illu-strazione grafico-pittorica relativa alla lezione che sta svolgendo:un giorno, dovendo fare lezione di cittadinanza, ho pensato di fare disegnare alla lavagnauna scena; la lezione che dovevo tenere riguardava la magistratura, per cui ho cercatouna vignetta in cui venisse rappresentata l’aula di un tribunale in sede penale, in quantoproprio in questa sede, i personaggi che compongono il tribunale sono al completo. Hoaffidato il lavoro al ragazzo più irrequieto il quale non sta mai attento e vuole sempreuscire, ma sa disegnare benissimo, comunque sa copiare un disegno alla perfezione. im-mediatamente lui ha accettato e i compagni sono stati entusiasti nel vederlo alla prova. ioho scritto il titolo alla lavagna e Diego […] ha iniziato il suo capolavoro. i compagnisono stati molto attenti al disegno, che nasceva mano a mano, sotto i loro occhi, cercandodi indovinare quello che Diego stava realizzando, mentre prendevano corpo i vari perso-naggi […]. quello che io ho ottenuto è stato che Diego si è sentito importante e al centrodell’attenzione, impegnato e consapevole di quello che stava rappresentando, ha ricevutoi complimenti dalla classe, mentre la classe ha recepito divertita la lezione teorica in cuiho spiegato i vari personaggi e i loro ruoli nel processo. il giorno successivo, ho fatto unaverifica, ponendo agli allievi delle domande scritte, a cui hanno risposto con molta atten-zione e con ottimi risultati. le risposte, nella maggior parte dei casi, erano anche esau-stive; mi sono così resa conto di aver fatto bingo (FGita3/60).o. (FGita3/60) ricorre alla consegna di far disegnare una scena alla lavagnaprincipalmente per contenere l’esuberanza di un allievo poco propenso a seguire lalezione, ma molto dotato sul piano grafico-pittorico. Si accorge però che lo strata-gemma escogitato è molto utile non solo per valorizzare il singolo allievo, ma ancheper rendere avvincente la spiegazione e consentire a tutta la classe di seguire megliola lezione. la pratica è piena di queste scoperte fatte direttamente sul campo.2.3.3. Far diventare il quaderno occasione di comunicazione educativacome abbiamo visto per gli schemi, la lezione risulta essere un processo cheintreccia parola parlata e parola scritta e sono proprio questo intreccio e la conver-sazione che ne nasce a facilitare la chiarezza dell’esposizione. A questo scopo, di-versi formatori trovano utile valorizzare il quaderno, alternando momenti di spiega-zione a consegne di scrittura individuale. nel racconto che segue, il ricorso al qua-derno consente di valorizzare la “relazionalità del fare”:la prima pratica è l’utilizzo del quaderno, che sembra una banalità ma, insomma, unmucchio di ragazzi che vengono da noi non sono abituati [...] al quaderno [...](intMe1/182). il quaderno è un mezzo di comunicazione; [...] ci sono ragazzi che ven-
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gono dalle medie e mi dicono: “Professore, posso mostrarle il quaderno delle medie,perché la professoressa che avevamo non me lo ha mai guardato!”. che finalità ha il qua-derno in quel caso? Sì, c’è un apprendimento, uno deve scrivere – intanto, quando si usail “deve” così, ho sempre qualche dubbio (ride) –, ma io credo nella relazionalità delfare, perché, se c’è un fare fine a se stesso, le cose non funzionano. Anche in laboratorioi ragazzi hanno bisogno di andare dal professore e mostrare il loro pezzo e sentirsi dire:“bene!”; meglio “bene!” che “bravo!”, perché [...] (intMe1/186) “bene”, effettivamente,significa: “Hai lavorato secondo certi criteri. Magari non sono i miei, magari possono es-sere migliorabili, però hai lavorato spendendoti, impegnandoti”. questo serve molto,perché effettivamente ci si rende conto che il fare è anche un relazionarsi, non è un fareper se stessi, mette in comunicazione, mette in relazione; sul fare si può discutere(intMe1/192). […] quando fanno il lavoro chiamiamolo “per casa” o comunque perso-nale, a seconda della cura che ci mettono, di come lo svolgono, del fatto se tengano pre-sente o meno quello che ho detto, io capisco diverse cose; qualcuno fa dei disegnetti(intMe1/236): è una comunicazione loro nei miei confronti, che trasmette tutto un mondoche hanno messo in gioco facendo quel lavoro, più o meno curato; certe volte si trattaanche solo di richieste di attenzione perché qualcuno, forse più di qualcuno, non mi fa icompiti [...]. c’è anche una ragazza che arrossiva spesso; quando mi avvicinavo, si allon-tanava subito [...] (intMe1/240); [...] mi sono accorto [...] (intMe1/246) che c’è un pro-blema relazionale, perché quando deve mettersi in gioco lei, in questa fase, ha delle diffi-coltà, e certe volte lancia anche delle richieste d’aiuto; pur essendo diligente, a volte nonsvolge completamente i compiti, salta delle domande; all’inizio lo prendevo come un af-fronto personale alla materia, poi mi sono reso conto che poteva essere una richiesta, unmessaggio (intMe1/248). la comunicazione attraverso il quaderno diventa come la co-municazione che si realizza con il pezzo del laboratorio, nel senso che tu hai un tuo qua-derno; ci sono ragazzi che a fine anno ce l’hanno senza copertina; proprio lo hanno di-strutto, e dico: “attenzione, guardate...”; non è che do il voto sui quaderni, però […] sivede molto dei ragazzi anche da come tengono il quaderno (intMe1/256). qualcuno, adesempio, ci tiene molto al proprio quaderno (intMe1/256); all’inizio magari non ci te-neva niente, poi naturalmente il quaderno diventa qualcosa su cui hai lavorato, su cui haispeso tempo (intMe1/258). Secondo me, c’è un cambio di prospettiva (intMe1/260), nelsenso che, all’inizio, (il quaderno) è qualcosa di “altro”, alla fine è qualcosa di “mio”(intMe1/262). E, secondo me, è quello che ti dà anche la cartina di tornasole se hai giàcominciato a fare breccia, perché la materia deve diventare “propria”. Se io entro inclasse e non sento l’ambiente mio, la materia mia, tutto resta estraneo; il professore puòanche spiegare, fare i salti mortali (intMe1/264), ma tutto resta lì resta immobile [...](intMe1/266)D. (intMe1) sottolinea l’importanza che il quaderno offra frequenti occasionidi comunicazione. limitarsi ad assegnare consegne di scrittura, senza poi guardarei lavori dei ragazzi, avrebbe poco senso. il nostro docente stabilisce una relazionetra il modo in cui un ragazzo sente l’esigenza di mostrare al formatore il pezzo rea-lizzato in laboratorio e il modo in cui può avvertire l’esigenza di mostrare al do-cente di italiano il suo lavoro o il suo quaderno. È importante che il quaderno mettain comunicazione. E perché questo accada, il nostro docente indica delle specifichemosse: cogliere e valorizzare tutte le occasioni in cui sono i ragazzi stessi a chie-dere di mostrare il proprio quaderno; valorizzare in modo efficace il lavoro dell’al-lievo (meglio un “bene” che si riferisca al lavoro effettivamente svolto, che un ge-nerico “bravo”); cogliere i messaggi e le richieste d’aiuto contenute nel modo di te-
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nere il quaderno, di fare o non fare gli esercizi assegnati. È attraverso questo pa-ziente lavoro che si aiutano gli allievi ad uscire dall’idea che ciò che si fa a scuolasia fine a se stesso e ad avvicinarsi all’idea che ciò che si fa vada discusso con altrie apra spazi di comunicazione. Allora non c’è da stupirsi che gradualmente il qua-derno si trasformi per gli allievi da oggetto estraneo in qualcosa di “proprio”, che lirappresenta e che sentono il desiderio – e forse anche la fierezza – di mostrare adaltri. Anche altri formatori, sia di italiano che di altri ambiti disciplinari, sottoli-neano l’importanza di far tenere il quaderno in modo tale che esso diventi quasi uncompendio personale e personalizzabile:ci tengo anche che ognuno abbia il suo quaderno di lingua italiana, diviso per settori –lettura, scrittura, comunicazione, grammatica –; parto dall’esempio concreto, [...] dallafrase, arrivo poi a dare la definizione e ci tengo che le abbiano sul quaderno, perché cosìloro si creano la loro piccola grammatica (intPd3/88);chiedo un minimo di elaborazione a casa [...] non so, per esempio, sotto forma di rias-sunto o di commento personale, da fare sul quaderno, cercando così anche di far interio-rizzare, di far dire loro quello che stiamo facendo in aula... (intVr4/4);[…] se si tratta di una lezione di inglese, il materiale lo porto io; se si tratta dell’area sto-rico-sociale, scriviamo qualche appunto e io porto qualche foto da incollare, perché sipossano muovere. chiedo di fare delle cose – ripeto, “chiedo”, perché […] ho imparato acancellare l’imperativo dalle comunicazioni e, a forza di esercitarmi, ci sono riuscito etrovo che questa cosa abbia degli esiti veramente positivi ed evidenti –: “Vi chiederei,gentilmente…”. cerco di dare, quando ci riesco, un tono di gioia, di divertimento aquello che facciamo. […] chiedo di recuperare le due o tre righe di quello che avevamoscritto la volta precedente, […] chiedo a qualcuno – qualcuno volenteroso c’è sempre –di rileggerle […]; poi […] chiedo con un po’ di fermezza che ci sia almeno un periodotra i quindici e i venti minuti di dettatura di appunti, per il semplice fatto che […] ciò chescrivi ti rimane molto più impresso di quello che senti solo dire. Durante la dettatura diquesti appunti, cerco di favorire il sorgere di domande e, se qualcuno fa dei collegamenti,mi fa delle domande e noi le scriviamo. Magari chiedo di sottolineare, di evidenziare al-cuni concetti particolari (FGita4/20).n. (intPd3) cura la stesura, da parte degli allievi, di un quaderno su cui ripor-tare quello che si fa a scuola fino a farlo diventare una sorta di libro di testo perso-nalizzato. c. (intVr4) invita i suoi allievi a scrivere sul proprio quaderno una riela-borazione personale di quanto svolto in aula. F. (FGita4/20), che insegna in Pie-monte, descrive un modo di svolgere la lezione che fa ampio ricorso al quaderno:quasi come nelle lezioni medioevali, il nostro formatore è solito dettare degli ap-punti, per qualche minuto. Sa che la scrittura, meglio del solo ascolto, aiuta la com-prensione (l’imprimersi delle idee nella mente). Ma la scrittura di appunti, su detta-tura dell’insegnante, si inserisce all’interno di un processo più complesso: offrel’opportunità di ritornare su quello che si è fatto in precedenza e di richiamarlo allamente; genera domande e collegamenti, che spesso il docente invita a riportare sulquaderno (in questo modo, il testo che i ragazzi ritrovano sul proprio quaderno nonè più solo il dettato dell’insegnante, ma il frutto della discussione avvenuta in aula);consente di evidenziare visivamente alcuni concetti; può essere accompagnata –
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come il nostro docente ricorda all’inizio del brano riportato – da altre attività (nelcaso descritto, l’associazione di immagini al testo).2.3.4. Richiamare spesso il punto di arrivocome in avvio di lezione, è utile prefigurare la direzione del percorso, così, du-rante lo svolgimento di una unità di lavoro, è utile richiamare spesso il punto di arri-vo. È ciò che, ad esempio, MG. (intPd2) racconta di fare nel brano sotto riportato:non esaurisco quasi mai un’attività in un’ora sola; se posso, chiedo delle ore attaccate,contrariamente a tantissimi che non vogliono ore della stessa materia attaccate. io invecea volte le chiedo proprio; non più di due, perché tre sarebbero eccessive; in due ore ri-esco a completare un’attività. quando presento un’Uda, dico: “Ragazzi, da qui alle pros-sime quattro, sei ore – a seconda di quello che ho preventivato; poi, in realtà, sforiamosempre un po’ – intendo fare questo, questo e questo. che so, dovete arrivare alla finedella quarta ora di questa attività, presentandomi questa tabella completata”. Poi [...] ogniora nuova, richiamo sempre l’obiettivo finale: “Allora, a che punto siamo?”. Fin quandoloro lavorano, giro sempre tra i banchi, li monitoro, li sostengo, dico: “Bene, ma ora vaiavanti!”, “Guarda che questa cosa non va bene, procedi in questo modo!”, non sono maiseduta in cattedra, perché altrimenti perdo la classe completamente. Giro in mezzo aloro, vedo se stanno lavorando, come stanno lavorando e, di volta in volta, ritaro l’obiet-tivo e comunque richiamo sempre il punto d’arrivo e dico: “Dai, ragazzi, forza, sapete ache punto siamo e dove dobbiamo arrivare” (intPd2/216).Una prima notazione può essere fatta sull’organizzazione del tempo. Un’unitàdidattica o unità di apprendimento13 è articolata in più unità di lavoro (le unità ditempo che costituiscono la singola lezione), che sono pensate in modo flessibile(“sforo sempre un po’ rispetto a ciò che ho programmato”). Poter svolgere lezionidi due ore consente a MG. (intPd2) di inserire nella sua didattica elementi di atti-vità. con una sola ora a disposizione, sarebbe infatti piuttosto difficile impostare eportare a termine un’attività e alto il rischio, da parte del docente, di limitarsi aduna presentazione frontale dei temi. l’obiettivo del percorso viene presentato daMG., già in fase di avvio, in termini operativi (“ciò che faremo”) e legato alla rea-lizzazione di un prodotto tangibile (nell’esempio, la tabella da completare). Unavolta impostata l’attività, la docente gira tra i banchi, monitora, offre suggerimentie indicazioni. A lavorare sono gli allievi. Richiamare frequentemente il punto di ar-rivo serve a mantenere una certa tensione e dà direzionalità al lavoro.2.3.5. Far apprendere attraverso l’insegnamentoUn’altra strategia a cui ricorrono molti formatori, soprattutto per far superarela difficoltà degli allievi ad esprimersi in pubblico e abituarli ad esporre in modoappropriato, è accompagnarli a fare loro stessi la presentazione di un argomento,
13 l’una e l’altra espressione indicano un’articolazione del percorso didattico o del curricolo edunque del processo di insegnamento-apprendimento. l’espressione “unità didattica” sottolinea mag-giormente il versante dell’“insegnamento”, mentre l’espressione “unità di apprendimento” (Uda) sot-tolinea il versante del soggetto che apprende, ma in fondo stiamo parlando della stessa cosa.
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individualmente o a piccoli gruppi, davanti al resto della classe. il docente coor-dina, qualche volta interviene con opportune precisazioni, ma sono gli allievi che,in questo caso, “fanno” la lezione:in italiano, in prima, stanno facendo l’unità d’apprendimento (Uda) (intMi1/54) sulla co-municazione orale. Ho detto loro: “Per venerdì prossimo, cinque di voi, a scelta, si pre-parano per parlare alla classe per cinque minuti su un argomento”. Metà della classe miha risposto: “io non ci riesco!”, perché, appunto, per loro è una delle cose più difficili;loro si aspettano che, dopo che hanno parlato, tu gli dica: “Adesso, che cosa succede?” oche tu li bombardi di domande; invece, l’idea è che loro devono stare lì, davanti allaclasse, e parlare per cinque minuti, senza dire: “cioè, no, ce l’ho in mente, ma adesso...,ce l’ho qui...”. la presentazione è una delle cose più difficili […]; è un modo di farescuola che costa molto di più, però è un modo che rende anche a loro più vicino il dis-corso della scuola, perché li coinvolge di più [...] (intMi1/56); [...] sulla comunicazioneorale (intMi1/72) sono molto coinvolti, perché vengono stimolati a parlare su un argo-mento a scelta [...] (intMi1/74);i ragazzi devono presentare una relazione e anche la scaletta, l’indice, il sommario delloro lavoro: “io sono Tizio o caio, ho scelto... o il professore mi ha dato..., abbiamo con-cordato questo argomento, vi parlerò di 1..., 2..., 3..., 4... e 5...” (FGita2/289). questo lofanno davanti a me e alla classe; hanno addirittura un tempo preciso a disposizione, unmassimo di cinque, sette minuti, a seconda dell’argomento; la cosa bella è che, quandofiniscono la relazione, sia io, sia la classe possiamo fare domande. ci ho messo un po’ ditempo a far capire che era possibile farlo, perché a loro scatta po’ il meccanismo della so-lidarietà, quindi: “Se ti faccio la domanda, poi ti metto in difficoltà, se te faccio a bastar-data, poi, magari, tu lo fai a me” […] (FGita2/291);di metodologie in classe ne ho usate diverse […]; spesso vado anche secondo l’input chemi danno loro in quel momento. Una di queste, ad esempio, è far creare la lezione a loro.Siamo in classe, c’è la costituzione come argomento; qualche allievo si propone di stu-diarlo a casa; ovviamente prima ha assistito anche alla mia spiegazione, ha visto come hointrodotto l’argomento; poi la preparano loro per i loro compagni. [...] quando si sentonoprotagonisti, come nel creare una lezione e nel vedere come magari i compagni faccianodelle domande sulla costituzione [...], si sentono anche più interessati e [...] si coinvol-gono (FGita1/61); [...] il ragazzo si offre [...] (FGita1/66) rispondendo un po’ [...] ai mieiinput, però alla fine sceglie lui l’argomento. noi abbiamo una dispensa e io indico dellepagine, [...] dico come orientarsi sull’argomento, sui fondamenti del Diritto; loro fannoqueste ricerche, questo studio a casa, e poi vengono alla cattedra, alla lavagna. General-mente, quando spiego io, per far focalizzare i concetti [...], faccio molti schemi, che loropoi devono riportare sul quaderno; una volta che ho fatto lo schema, faccio ripetere loroquello che è scritto nello schema; lo schema non basta, se tu non hai capito il collega-mento. loro acquisiscono la stessa metodologia, cioè, studiano a casa con la dispensa[…], si fanno lo schemino sul quaderno [...] e poi, quando vengono in classe, prendonolo schema e spiegano i vari passaggi ai compagni; […] imitano un po’ la mia spiega-zione, perché hanno quello come parametro, non perché sia il modo migliore, [...] e sirendono anche conto delle difficoltà che il lavoro di insegnante comporta. Tutto questo èutile perché [...] uno studia e perché questo metodo stimola la curiosità del compagno,che dice: “Adesso, vediamo come spiega”. Però devi [...] creare una certa tranquillità inclasse; questo comunque crea [...] un arricchimento che non è da poco. il ragazzo, [...] inquel momento, si trova a svolgere il ruolo di “piccolo professore”; [...] in quel momento[...] si sentono importanti. Forse è questa la linea guida: [...] far sentire il ragazzo impor-
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tante, [...] protagonista della situazione (FGita1/69). [...] naturalmente poi io faccio delle(FGita1/71) integrazioni o delle correzioni, nel caso che ci siano delle cose che nonvanno, però lo faccio in sordina: magari mi avvicino alla lavagna e dico: “Guarda, questocorreggilo così”; anche se l’allievo fa degli errori grammaticali, non correggo a voce alta(FGita1/73); [...] un’altra cosa che faccio proprio fisicamente è che mi sposto, cioè nonsto più alla cattedra, ma mi siedo al banco, come gli allievi; è una forma per dire: “Siamoalla pari” [...] (FGita1/75); [...] mi siedo io al banco con loro; questo loro lo vedonostrano: “Ma che fa, prof?”, oppure: “Ehi, prof, si siede vicino a me?”; hanno un attimo disorpresa (FGita1/77); [...]; per me, quella vale come interrogazione (FGita1/83); [...] eanche i ragazzi che sono seduti al banco [...] danno la loro valutazione su come il com-pagno ha relazionato (FGita1/85).il coinvolgimento attivo degli allievi in un processo di learning by teachingsollecita il loro protagonismo, stimola motivazione e curiosità. È ciò che speri-menta A. (intMi1) che, in italiano, organizza brevi presentazioni che i ragazzi sonosollecitati a preparare su un argomento a scelta, vincendo il timore di inciampare,nell’esporsi in pubblico, e la paura di non farcela. R. (FGita2/289-291) suggeriscedi far esplicitare anche la scaletta dell’esposizione, per rendere più chiara la strut-tura argomentativa del testo, e di valorizzare le domande che i compagni possonoporre sulla relazione. A. (FGita1/61-85), che insegna Diritto nel cFP di Perugia, sache i suoi allievi imparano facendo. offrendo loro la possibilità di vestire i pannidel “piccolo professore”, li mette nella condizione di scegliere l’argomento da ap-profondire, fare delle ricerche, costruirsi uno schema, organizzare una presenta-zione ben argomentata ai compagni, rispondere alle loro domande ecc. nel suo rac-conto, notiamo anche la cura del setting che è necessaria per un lavoro di questogenere: l’incoraggiamento a cogliere l’opportunità, il supporto offerto in fase dipreparazione, l’attenzione a creare un’atmosfera tranquilla, l’intervento delicato perintrodurre eventuali integrazioni o correzioni alla presentazione dell’allievo14, l’ap-proccio valorizzante, il coinvolgimento di tutti nella riflessione sulla prestazionedel compagno.
2.4. Rendere vitali i contenutiPerché i contenuti culturali che i formatori offrono possano essere percepitidagli allievi come vitali e in grado di accendere un lampo nei loro occhi, è neces-sario innanzitutto che essi siano resi vivi nella mente dei formatori stessi e dunquein qualche modo riscoperti e ricreati sempre nuovamente, nel momento stesso incui vengono insegnati. inoltre, a rendere vitali i contenuti culturali è anche l’in-contro con gli “orizzonti di attesa dei destinatari” (Armellini, 2008, p. 33). Gli al-lievi, infatti, non sono recipienti vuoti, da riempire, sono soggetti imbevuti di una
14 È utile sottolineare questo modo delicato di intervenire, che la docente definisce “in sordina” eche la porta a rinunciare ad interrompere la presentazione dell’allievo per segnalare ogni minimo er-rore o ad incalzarlo ad ogni incertezza, col rischio di inibirlo e di bloccarlo definitivamente.
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loro cultura – «…un sistema di modelli e metafore che costituiscono un orizzonted’attesa attraverso il quale vengono filtrate le esperienze immaginate e vissute»(ibid., pp. 33-34) – che spesso coincide solo in parte con quella dei docenti. l’oriz-zonte culturale dei ragazzi del cFP è in buona misura quello dei loro coetanei, ca-ratterizzato da una particolare familiarità con strumenti ed ambienti digitali e multi-mediali, da specifici consumi estetici extrascolastici e da modalità di funziona-mento cognitivo basate più sulla visione e sull’ascolto che sulla lettura e la rifles-sione (cfr. Simone, 2000). oltre a ciò, l’orizzonte culturale dei ragazzi del cFP ècaratterizzato da una spiccata sensibilità pratica, che fa loro preferire morse, at-trezzi e impianti a libri, pensieri e parole. ora, i formatori che operano nell’area deilinguaggi si trovano ad essere legati anche ad altri orizzonti culturali: sono in parti-colare sensibili al fascino che le opere letterarie del passato esercitano su di loro espesso, a contatto con la cultura dei loro allievi, si sentono come “immigrati” che,per quanto si sforzino di articolare una lingua che non è la loro, faticano a liberarsida un certo impaccio e dal loro inconfondibile accento (Prensky, 2001). la possibi-lità che le loro parole si accendano e che il contatto con i contenuti rappresentiqualcosa di vitale anche per gli allievi è legata alla capacità dei docenti di gettaredei ponti con l’immaginario dei ragazzi che popolano i cFP e di alimentare la con-sapevolezza che «…da un lato gli studenti devono essere messi in grado di acco-starsi agli orizzonti culturali delle opere, riconoscendone la distanza e l’alterità;dall’altro le opere, a contatto con questo pubblico nuovo e per molti versi “illete-rato”, possono caricarsi di significati inattesi, non registrati dalla storiografia lette-raria e dalle antologie della critica» (Armellini, 2008, p. 35). insegnare al cFP, al-lora, per molti formatori rappresenta una sorta di conversione culturale, che apre anuove ed inaspettate scoperte.2.4.1. Insegnare Dante ai meccanicinon è detto che al cFP debbano trovare posto solo conoscenze immediata-mente utilizzabili e spendibili nel mondo del lavoro. l’esperienza dei nostri forma-tori suggerisce a più riprese che, nei percorsi formativi, possono trovare spazioanche Dante e gli altri grandi autori della nostra tradizione letteraria. la questionenon è scegliere se trattare o meno le grandi opere del passato, ma come farlo e so-prattutto come mettere i soggetti nella condizione di trovare senso in ciò che fanno.D. (intMe1), ad esempio, sa che, per insegnare letteratura, il docente deve mettersipienamente in gioco e far trapelare la sua personale esperienza di lettura dei testiche insegna. È necessario che lo faccia, se si vuole che anche i ragazzi arrivino aduna lettura personale di quei testi:una battuta che mi hanno fatto su Dante […] è che “…questo argomento fa molto su-dare!” (ride) (intMe1/388). Per esempio, [...] una volta stavamo spiegando il limbo [...] equalcuno mi ha chiesto: “Ma il limbo, professore, [...] è un ballo?”. Allora ho spiegato illimbo e il limbo dantesco è rimasto inchiodato nella loro testa. [...] Mi rendo conto che ilprimo strumento è il docente (intMe1/392). nel senso che c’è un passaggio di questa di-sciplina attraverso il docente che credo sia inevitabile e il docente dev’essere consape-
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vole di questo [...]. io sono laureato in filologia dantesca (intMe1/394), è una mia pas-sione, ma tu vai ad insegnare Dante ai meccanici [...]; quando spieghi “nel mezzo delcammin di nostra vita”, devi fare un salto particolare, magari qualche capriola, però devifare lo sforzo di renderlo qualcosa di vitale anche per loro; questo, secondo me, è l’a-spetto essenziale. Vitali possono essere i modi, vitale può voler dire far parlare un testovisualizzandolo, legandolo [...] all’esperienza (intMe1/396): “Perché Dante comincia conuna selva oscura? Vi siete mai trovati in un bosco, persi, senza bussola? che impressionevi ha fatto?”, cioè (intMe1/398) [...] loro magari, filologicamente, non sapranno dirmiche “nel mezzo del cammin di nostra vita” è un endecasillabo, che ha un tipo particolaredi accentazione, perché (questi elementi) sono un passo successivo; io non parto daquello – è qui forse il trucco – non creo l’ostacolo; cerco di creare un rapporto, direi, em-patico tra Dante e loro (intMe1/400). credo che sia un trucco, ma credo anche che uno,come docente, possa imparare questo trucco (intMe1/402). c’è qualcuno che dice che,per capire Dante, bisogna partire dalla metrica; se uno non sa la metrica, non può leggereDante; contesto vivamente questo assunto (intMe1/404). Ho visto ragazzi che erano se-gnati alle medie come “quelli che potevano fare solo il meccanico” e che oggi stanno fa-cendo ingegneria meccanica, sono all’università; vorrei farli ritornare alle medie...(intMe1/408).il primo strumento che il docente ha tra le mani è la sua stessa persona e deci-sivo è il rapporto che egli sa creare con ciò che propone e con i soggetti ai quali lopropone. questo comporta anche la capacità di rinunciare a letture magari formal-mente o filologicamente corrette, che potrebbero però risultare astratte e mute per isoggetti ai quali ci si rivolge. Si tratta di articolare una lettura del testo che possaessere parlante, perché viva nella modalità espressiva e agganciata all’esperienza eall’orizzonte culturale dei destinatari. in un recente pamphlet di Davide Rondoni,dedicato all’insegnamento della letteratura, troviamo quasi un’eco alle parole delnostro formatore riportate sopra: «il professorale pascersi del contesto...» – e dellametrica, potremmo aggiungere noi – «…permette di fondare (a basso costo) la pro-pria autorevolezza su una serie di nozioni che si detengono invece che sulla vitalitàe profondità di lettura e di confronto con la provocazione di una poesia o di un ro-manzo» (Rondoni, 2010, p. 33). il “trucco” che sia D. (intMe1) sia Rondoni sugge-riscono è quello di facilitare la creazione di un rapporto empatico tra gli allievi e iltesto, attraverso una lettura esistenziale (“Perché Dante comincia con una selvaoscura? Vi siete mai trovati in un bosco, persi, senza bussola? che impressione viha fatto?”), che porti a chiedersi non solo “che significato aveva quel verso perDante?”, ma anche e soprattutto: “che significato ha quel verso per me, per noi?”15.
15 Troviamo un esempio di lettura esistenziale della commedia dantesca anche in La Città deiRagazzi, libro in cui Eraldo Affinati descrive la sua esperienza di docente nell’istituto professionaleinserito all’interno della famosa opera che, alle porte di Roma, ospita prevalentemente minori non ac-compagnati. A Shafa e Stefan, due dei giovani abitanti della città dei Ragazzi, passeggiando tra le viedell’opera, succede di evocare quasi per gioco la Divina commedia: «il viale d’asfalto che accom-pagna il viaggiatore verso il cuore della città dei Ragazzi, punteggiato da alberi e piante, simile a unagalleria verde, fece presto a diventare, nella fantasia di Shafa, costretto nel limbo essendo lui musul-mano, quindi senza battesimo, la selva oscura, simbolo arcano di chissà che errori e traviamenti forselegati al suo passato di giovane combattente al confine eritreo» (Affinati, p. 75). Un cane un po’ mal-
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Dalle parole di D., capiamo che, in questo modo, per diversi dei suoi allievi, il cFPè o è stato un luogo in cui l’incontro vitale con certi contenuti, che in altre espe-rienze scolastiche era miseramente fallito, diventa finalmente possibile.2.4.2. Far cogliere l’utilità del percorsoRendere vitali i contenuti significa spostare l’attenzione dagli oggetti culturalial rapporto che si crea tra questi e i soggetti in apprendimento. in un certo senso, sitratta di far cogliere l’“utilità” dei percorsi, senza per questo ridurre tutto a qual-cosa di strumentale, ma collocando i testi all’interno di contesti in grado dare lorosenso:una delle critiche che i ragazzi mi muovono più spesso è proprio questa: “questo a che ciserve? A cosa serve quello che stiamo facendo?”. quindi noi insegnanti dobbiamo impa-rare [...] a rendere “utile”, diciamo così, [...] a cercare un’utilità anche per la loro vita diquello che stiamo facendo. non possiamo cavarcela con un generico: “È cultura!” [...],specialmente con i ragazzi del cFP, che sono ragazzi che hanno una mentalità pratica,[...] ragazzi che pensano già al lavoro. insomma [...], con questi ragazzi bisogna essereassolutamente pratici, pragmatici, essenziali, senza divagare troppo e inutilmente(intVr4/4).nelle parole del nostro formatore risuona quanto Marco lodoli osserva in unrecente testo dedicato alla sua esperienza di insegnante di italiano in percorsi scola-stici professionalizzanti: «oggi i ragazzi hanno bisogno di riportare ogni vaga elu-cubrazione sulla terra, debbono per forza trovare la traduzione concreta. chi sicompiace di fumisterie e bizantinismi è perduto, chi crede di ipnotizzare i serpentisolo con il piffero delle frasi verrà inesorabilmente morso. i ragazzi non hannotempo da sprecare, non si fanno incantare dalle parole vuote. A volte questo è un ri-schio, perché non tutto si può convertire in moneta immediatamente spendibilenella realtà, a volte il pensiero fa giri larghi, abbraccia il cielo e le nuvole, rasental’ineffabile e l’invisibile: però è certo che le parole alla fine debbono calarsi nellavita, altrimenti sono solo suoni fastidiosi. i miei allievi hanno qualità che io, spessoebbro di chiacchiere, assolutamente non ho: quelli del Turismo sanno organizzareun torpedone per cinquanta giapponesi che desiderano visitare la città; quelli dellaModa sanno disegnare e confezionare gli abiti più arditi; quelli del Grafico impagi-nano qualsiasi testo, e lo presentano con una copertina che non fa una piega; quelli
messo fa pensare alla lupa di cui parla Dante, il campo da calcio, sprofondato nel fango per le recentipiogge, diventa l’Acheronte, uno degli educatori caronte, il vecchio nocchiero, ed è una mucca che,come Minosse, attorcigliando la coda attorno al corpo, indica i cerchi che i “dannati” devono scen-dere. «Risero e scherzarono, Shafa e Stefan, fingendo che la città dei Ragazzi potesse essere divisaper gironi e bolge; in realtà sapevano bene di averlo piuttosto scampato, l’inferno, nel momento in cuigiunsero qui, avendo ognuno di loro avventure assai poco edificanti alle spalle […]. Mai il grandepoema dantesco, emerso simile a uno spezzone di roccia tra i flutti nell’improvvisato eloquio di dueorfani del mondo, mi parve tanto solenne quanto alla città dei Ragazzi, dove le acque bollenti del Fle-getonte, presenti in ogni parte del pianeta, provvedono a consegnare sulle nostre rive gli scampati...»(ibid., pp. 76-77; cfr. anche Tacconi, 2008c).
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del chimico sanno costruire con i pezzi di una vecchia lavatrice un depuratore per-fettamente funzionante. E quasi tutti sono in grado di riparare il motorino o il com-puter, da quando hanno dieci anni sanno prepararsi una cena, e in città non si per-dono mai, neanche nei quartieri più sconosciuti. la vita per loro è un sudicio mar-chingegno fatto di rotelle, fili, ganci, incroci, un motore oleoso che bisogna sapersmontare e rimontare. ogni discorso deve essere un’istruzione per l’uso, anche itemi più vaporosi alla fine debbono produrre uno schema di funzionamento [...]. Èuna porta stretta dalla quale restano fuori le obesità mentali, i cincischiamenti ideo-logici, l’affettazione di chi perde troppo tempo a pulirsi scarpe e pensieri sullo zer-bino» (lodoli 2009, pp. 64-65). È un invito a mettere in discussione l’enfasi chespesso, nella nostra tradizione scolastica, è stata posta sul sapere nobile, sublime-mente “inutile” e disinteressato o meglio “nobile” proprio perché “disinteressato” enon orientato ad alcuna utilità; questo tipo di sapere, infatti, è pericolosamente a ri-schio di essere percepito come “distaccato” dalla vita e dal senso e dunque difficileda amare16.2.4.3. Utilizzare un registro narrativo nelle spiegazioniAlcuni formatori sottolineano la centralità della narrazione nei processi di co-struzione della conoscenza. Attraverso il ricorso ad un registro narrativo, il docenteriesce ad affascinare e a rendere vivi i testi:questa mattina [...] ho fatto un altro lavoretto: ho raccontato, invece che leggere, LaGiara […]. È stato molto efficace (intMi1/74);[…] ho colto un interesse fortissimo per la storia contemporanea, se questa viene raccon-tata […] in maniera da suscitare emozioni […]. credo che ci sarebbero da rivedere al-cune cose; il programma mi sembra molto sbilanciato sulla legislazione del lavoro […];c’è appunto un approccio iperfunzionalista o utilitaristico […]. io ho trovato ragazzi chevolevano capire meglio i totalitarismi, le varie guerre, le tensioni internazionali, maanche capire l’evoluzione storica del lavoro o delle invenzioni scientifiche […]! con i re-cuperi e gli approfondimenti che sono previsti ho cercato di affrontare questi temi; mipiacerebbe ritrovare questi elementi nel programma (FGita4/24).A. (intMi1), ad esempio, prova a raccontare, anziché far semplicemente leg-gere la commedia di Pirandello. F. (FGita4/24), formatore in Piemonte, rileva comeun approccio narrativo sia davvero essenziale nell’insegnamento della Storia. lastoria – non solo quella arcaica, ma anche quella contemporanea; non solo quellagenerale, relativa ai grandi eventi, ma anche quella specifica, relativa a singoliaspetti (ad esempio, la storia delle scienze e delle tecnologie o del lavoro) – è intes-suta di narrazioni. Raccontandola è possibile ottenere un coinvolgimento emotivo
16 Mi sembra che, in chi fa l’apologia del sapere “inutile” e “disinteressato” agiscano almeno duepregiudizi: una concezione riduttiva dell’“utilità” di un sapere, come se l’utilità fosse solo la spendibi-lità sul mercato del lavoro e non anche, che ne so, il gusto estetico o l’arricchimento personale che pos-sono legarsi all’acquisizione di un determinato sapere, e una concezione altrettanto riduttiva di lavoro,come se questo fosse il luogo della sola applicabilità, deprivato di qualsiasi valenza culturale e morale.
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dei soggetti e così guidarli ad una comprensione profonda degli accadimenti, deinessi che li legano tra loro, delle ragioni e degli effetti. Per questo è importante nonfermarsi a quanto il programma “detta” e trovare spazi e modi per “trasgredire”.2.4.4. Evidenziare i collegamentiRendere vitali i contenuti può voler dire anche contestualizzare e curare i col-legamenti tra i vari ambiti disciplinari, in particolare tra lavoro e letteratura o trapassato e presente, come negli esempi che riportiamo qui di seguito:nel terzo anno si sviluppano alcuni argomenti che, a livello contenutistico, sono un po’più impegnativi; per esempio, viene preso in considerazione a livello storico il periodosuccessivo alla seconda guerra mondiale; [...] do un paio di richiami sul quello che cono-scono già, oppure chiedo loro: “che cosa ricordate della terza media?” [...]. Poi, peresempio, [...] i primi due o tre mesi, si procede in parallelo, tra ore di storia e ore di di-ritto. questo, per esempio, viene fatto anche in seconda [...], quando, ad esempio, siunisce la parte che, in diritto, si riferisce alla costituzione, con la storia, con gli ultimianni della seconda guerra mondiale e con il primo dopoguerra (intMi1/102) e si arriva aparlare del boom economico degli anni ‘60-70, facendo notare alcuni aspetti economici ealcune aspetti legati all’emigrazione [...] dal Sud al nord [...]. questo è funzionale a ciòche si fa in terza, quando trattiamo il flusso dell’immigrazione e consente di far vedereanche i collegamenti: prima eravamo noi ad andare fuori, adesso sono altri che vengonoda noi [...]. in terza, viene ripresa questa impostazione e, nella parte storica, per esempio,trattiamo la guerra fredda. Per quanto riguarda italiano, abbiamo letto [...] alcuni capitolidel romanzo di John le carré, La spia che viene dal freddo, unendo alcuni aspetti relativial muro di Berlino, anche attraverso alcuni filmati [...]. Per quanto riguarda italiano, ab-biamo letto alcune parti del romanzo e abbiamo fatto i soliti lavori che si fanno sullacomprensione del testo. [...] contemporaneamente, in diritto, visto che si parlava dellaguerra, abbiamo portato avanti il discorso sull’italia e la guerra, per vedere come il no-stro paese, nonostante l’articolo 11 della costituzione, risulta impegnato in operazionibelliche, perché è collegato con l’onU e con la nATo; si cerca, anche con l’aiuto di fil-mati, di far capir questi aspetti che intersecano un po’ elementi storici ed elementi di di-ritto, dando così qualche conoscenza [...] per capire il presente e come si sia evoluta la si-tuazione. Per esempio, abbiamo fatto vedere anche La battaglia di Algeri, per spiegarefenomeni come il colonialismo e la decolonizzazione, il fatto che alcuni continenti, tipol’Africa, intorno agli anni ‘60, erano ancora una grande colonia, per cercare di capire chequesto fenomeno si collegava, per alcuni versi, anche all’immigrazione: chiaramente al-cune difficoltà di questi Paesi hanno costretto poi molti ad emigrare. Poi questo il dis-corso si intersecava con diritto: abbiamo trattato, per esempio, nella prima parte del-l’anno, la legge sui flussi, la cosiddetta “Bossi-Fini”. Ecco, tutto questo percorso è possi-bile farlo, perché ci sono quattro ore settimanali, due di italiano e due di storia, e riescoabbastanza bene a giocarci dentro [...], perché sono argomenti strettamente collegati [...](intMi1/104). cerco di fare vedere i collegamenti tra i fatti del passato e il tempo pre-sente; [...] due ore, per esempio, le abbiamo dedicate a vedere un filmato che gira anchein internet sulle torri gemelle, L’inganno globale; [...] è un argomento che li ha interes-sati tantissimo; [...] ognuno ha le sue idee, a me non interessa se uno crede, per dire, aquello che dice Bush, non è questo lo scopo; lo scopo è cercare di capire un fenomenoche comunque ha dei lati oscuri e questo filmato, al di là delle conclusioni, che magarifaceva intuire, mi è sembrato interessante, perché assemblava spezzoni di diversi pro-grammi; c’erano anche alcune parti di Rai uno, dove i piloti Alitalia mostravano come,
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ad esempio, l’attacco al Pentagono abbia diversi punti oscuri e lo spiegavano in formamolto tecnica, cioè non dando interpretazioni, ma facendo vedere come un aereo scende,che cosa fa quando scende, che cosa si è visto, cosa non si è visto. Pur essendo un pro-gramma molto denso, [...] l’hanno visto con molta attenzione [...]. Per quanto riguardaitaliano, oltre al romanzo di John le carrè, abbiamo letto [...] per intero anche Rapida-mente di lucarelli, che è inserito nei medical thriller. Ho scelto quel racconto perché lohanno trasposto in televisione e quindi mi veniva utile far vedere il testo e come è statoreso in televisione, per dare loro un’idea di come sia possibile fare anche un passaggiodall’opera al film e poi perché a me piace lucarelli (intMi1/108);la mia lezione di italiano parte da questo (intMe4/76): divido la lavagna in due parti, dauna parte scrivo “italiano”, da una parte scrivo “storia” (intMe4/80); [...] adesso stiamoleggendo una novella di Verga [...] (intMe4/82); ho scelto “Rosso Malpelo”, perché mipermette di collegarmi con l’ambito storico: il Risorgimento. Approfondisco la biografiadell’autore [...], dando alcune date, che mi permettono un aggancio con il massacro diBronte. Poi passo all’interpretazione letteraria: che cosa è il Verismo, che cosa è il natu-ralismo e che cosa è il Positivismo [...], ma faccio continui richiami al piano storico:nella spiegazione del naturalismo, è giocoforza spiegare la condizione storico-sociale nelmomento in cui nasce il naturalismo, vale a dire la Parigi nel passaggio al 1800. [...]questo ci riallaccia alla rivoluzione industriale, ai ‘moti’, a napoleone iii. Tutto quelloche affronto dal punto di vista letterario ha dei collegamenti ad aspetti che poi si riverbe-rano nella lettura e il fermarsi continuamente su alcuni aspetti fondamentali, vuoi storici,vuoi lessicali o proprio narratologici, è fondamentale [...] (intMe4/88);riesco a fare anche degli agganci interdisciplinari [...]; nelle superiori l’interdisciplinaritàè difficilissima; ognuno ha il suo orticello chiuso e si coltiva quello. Molte volte l’inter-disciplinarità è soltanto a livello di “Tu che cosa fai? Vediamo nel programma un puntoin comune...” [...], cioè non viene stabilita in fase di consiglio di classe, all’inizio del-l’anno; eppure [...] aiuterebbe molto i ragazzi a capire che il sapere non è parcellizzato,non è a compartimenti stagni, come loro credono, perché a volte, non so, tu parli di unacosa, della costituzione, e loro dicono: “Ma questa è Educazione civica”. “no, un mo-mento, c’entra anche la lingua italiana, c’entra anche la storia...” [...]. i ragazzi vedo cherimangono spiazzati, collegano un argomento con una materia, cosa sbagliatissima,perché il sapere è tutto comunicante e, se noi riuscissimo a far vedere [...] questo, il col-legamento diventa un’altra chiave di volta, per fare in modo che i ragazzi si approccinomeglio alle discipline. [...] Per esempio, parlando con una mia collega di disegno grafico– che qui è una materia importante, fondamentale – le dicevo che avevo letto anche al-cuni racconti sui sogni, sui progetti di vita che i ragazzi hanno e la mia collega di disegnoha detto: “lo sai cosa faccio? Faccio loro disegnare i loro sogni” [...]. Ecco, questa cosaè nata così del tutto... (intVr4/28) ...spontanea, senza che fosse stata progettata, però èuna cosa che [...] comporta una competenza di scrittura italiana, perché si tratta di descri-vere il sogno e poi anche di rappresentarlo graficamente (intVr4/30).A. (intMi1) e S. (intMe4) evidenziano, in modo frequente e sistematico, i col-legamenti che esistono tra gli oggetti culturali che vengono affrontati in storia o indiritto e quelli che vengono affrontati in italiano. nel caso di A., c’è anche lo sforzodi collegare alcuni testi letterari alle relative versioni cinematografiche o televisive,per cogliere quello che c’è di simile e di diverso. ciò che conta è che gli allievi im-parino a istituire connessioni, attraverso alcuni degli accostamenti possibili, chel’insegnante propone in base agli specifici soggetti con cui lavora e agli specifici
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oggetti di apprendimento che sceglie di affrontare. Anche nel racconto di c.(intVr4) si coglie come il nostro docente intravveda le potenzialità dell’interdisci-plinarietà ai fini del superamento delle parcellizzazioni tra ambiti disciplinari e del-l’indebita identificazione di determinati argomenti con determinate discipline. nelracconto che segue, P. (intRoma2) cerca di accostare la poesia alla storia contem-poranea e, in questo modo, sortisce l’effetto di aumentare il coinvolgimento degliallievi e di stimolare la loro produzione scritta:[...] molto positiva è la risposta dei ragazzi quando faccio leggere, commentare e ragio-nare sulla poesia legata agli avvenimenti storici, ad esempio Hiroshima e nagasaki; cisono ad esempio, due poesie, collegate al rapporto tra una madre e il bambino che nonc’è più, che è diventato polvere, e tra un poeta che visita nagasaki e commenta ciò chevede, collegando la poesia alla storia che loro avevano fatto […]; ho visto che i ragazzi laseguono e riescono a partecipare non solo dal punto di vista intellettuale, ma anche daquello sentimentale, perché c’è il rapporto con la madre, c’è che cosa provoca la guerraecc. quindi, pur essendo poesia, pur essendo un linguaggio a cui i ragazzi della forma-zione professionale non sono abituati, è stata un’esperienza positiva (intRoma2/2). [...]Avendo prima svolto le Uda sulla storia, sulla seconda guerra mondiale ecc., [...] ho datoloro le fotocopie di una lunga poesia su Hiroshima e di una su nagasaki; ho recitato lapoesia davanti a loro, [...] sceneggiandola, con una voce collegata al dramma che lapoesia rappresentava, e noto che loro ascoltano con grandissima attenzione e partecipa-zione. il lavoro successivo che loro fanno è trascrivere le emozioni, i sentimenti provati eriassumere le idee fondamentali che la poesia trasmette (intRoma2/4): “che cosa dice lapoesia? quali emozioni e quali considerazioni suscita in noi?”; quindi loro sono costrettia rileggersi la poesia, a farne una specie di riassunto breve e a presentare le proprie con-siderazioni; questo serve e dal punto di vista grammaticale e dal punto di vista della ca-pacità di lettura e di interpretazione [...] (intRoma2/6).l’accostamento al testo, anche grazie all’animazione espressiva da parte del-l’insegnante, diventa fisico, sensibile e si trasforma in esperienza, consente di col-legare poesia e storia, passato e presente, esperienza degli altri e vissuto personale.come vedremo più avanti, sono da evidenziare in particolare i collegamenti tralingua, idee ed esperienze lavorativa. Tra le pieghe del fare – non c’è bisogno diandare altrove – sono infatti contenute e rintracciabili concezioni ed idee filoso-fiche e numerose sono le metafore, i proverbi, le allusioni simboliche che si riferi-scono ad attrezzi e lavori.
2.5. giocarsi diverse carte, variando i metodil’esigenza di variare continuamente l’azione didattica, alternando ritmica-mente momenti di spiegazione frontale a momenti di attività, si pone come inaggi-rabile, se non altro per l’eterogeneità del gruppo classe. l’esperienza ha insegnatoai nostri formatori che la lezione non può essere “solo” lezione e deve trasformarsiin esperienza variegata:si rischia di cadere nella lezione classica, me ne rendo conto, per quanto uno ci metta,come dire, le sue capacità istrioniche [...]; c’è una certa passività, fondamentalmente; poi[...] è molto facile che i ragazzi si stanchino in tempi piuttosto brevi: l’attenzione tende a
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calare in tempi abbastanza veloci (intVr7/20); [...] quindi, per non bruciarti le possibilità,[...] devi giocarti carte diverse; effettivamente [...] fare lezione frontale è una cosa che,ho visto negli anni, mostra la corda in maniera evidente; insomma bisogna cercare di at-tivarli (intVr7/22);le mie lezioni si svolgono in parte in maniera tradizionale, con una modalità frontale, cheperò non può durare più di venti minuti, perché dopo un po’ si cominciano a vedere le pri-me facce o le prime espressioni di disappunto o qualcuno che pensa ad altre cose, e si ve-de subito. Solo quattro o cinque – su venti – starebbero attenti più a lungo. non è il casodi continuare! Generalmente mi fermo dopo venti minuti di spiegazione, che può essere,non so, spiegare alla lavagna, piuttosto che dettare [...], oppure faccio quattro domande sucose già fatte; poi mi fermo per un piccolo feed-back, cioè chiedo ai ragazzi che cosa è ri-masto a loro di “quello che abbiamo detto o che abbiamo fatto oggi” (intVr4/2);quello che ho scoperto è che, con questi ragazzi – meccanici, motoristi, elettricisti… –,l’importante è far fare delle cose; cioè concretamente loro devono essere attivi […]. nonso perché, ma o faccio qualcosa di concreto, oppure non funziona; nel momento in cui milimito a dire qualcosa di aereo, non ne esco (FGita4/14);faccio fare loro delle cose, cerco di far fare loro le cose in maniera allegra, a volte anchesenza che si accorgano di farle, che le stanno facendo (intPd2/266).non basta variare le modalità comunicative durante l’ora di lezione, magari at-tingendo al repertorio che un insegnante, come un bravo attore, dopo un po’ diesperienza, riesce a maturare. la lezione frontale, sostiene M. (intVr7), per quantoinevitabile, rischia di agire in senso passivizzante, se si trasforma in modalità unicadi intervento. c. (intVr4), guardando le facce dei suoi allievi, si accorge subitoquando è il caso di cambiare attività. S. (FGita4/14) sottolinea che il problema nonè tanto concentrarsi su cosa dire, ma “far fare attività” e magari, come sottolineaMG. (intPd2), far fare “senza che essi si accorgano di fare”. Vediamo nello speci-fico alcune delle strategie sviluppate dai nostri docenti a questo riguardo.2.5.1. Suddividere bene i tempila centratura sul fare richiede una costante attenzione alle reazioni degli al-lievi, un’accorta suddivisione dei tempi e un effettivo utilizzo del tempo per l’ap-prendimento, analogo a quello che gli allievi sperimentano nelle ore di laboratorio:per esempio, il fare è legato anche alla suddivisione dei tempi, che deve essere co-munque chiara nella testa del docente, perché (intMe1/158) il fare è concreto; un docenteche spiega per mezz’ora, trentacinque minuti, e non si accorge dei tempi, non è adattoper questi ragazzi (ride), perché vuol dire che uno non si è accorto che lo seguono in tresu venti; quel docente non è legato al fare [...]. Se vai in laboratorio, loro vanno a tempo:“Ragazzi abbiamo venti minuti per fare questi buchi”; naturalmente tutto questo sembramolto rigido, e di fatto lo è, sotto certi aspetti, però, ripeto, serve: primo, per essere legatial fare e, secondo, per essere concreti e dare loro un’abitudine alla concretezza anche inqueste materie (intMe1/160) [...]. Tutto sommato, poi, questo vivacizza (intMe1/170). Èvero che non puoi obbligarli ad ascoltare e potresti dire: “Va beh, chi mi vuole ascoltare,mi ascolti!”, però [...] (intMe1/170), nella mera comunicazione, in questo modo tu tra-smetti che, anche se non seguono, tutto sommato non importa (intMe1/172); invece [...]io dico sempre: “A me interessano tutti!” (intMe1/174); cerco di trasmettere questo
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(intMe1/176) e non che quello che va bene mi interessa, mentre quello che va male: “Vabeh, poverino!” (intMe1/178); comunque devono provarci, devono [...] fare del propriomeglio; questo è ciò che passa! (intMe1/182).Utilizzare bene i tempi non vuol dire programmare tutto prima, con rigidità,ma predisporre diversi scenari di azione, che consentano di variare modalità di la-voro anche in corso d’opera, in relazione a ciò che succede in classe. Se nellamente del docente, non è chiara la possibile articolazione della lezione in differentifasi, il rischio di non utilizzare al meglio il tempo a disposizione è davvero elevato.nel racconto di D. (intMe1), si coglie inoltre che anche la suddivisione dei tempiassume una valenza meta-comunicativa. non curarsi dei tempi di attenzione e ras-segnarsi al fatto che un buon numero di allievi smetta di seguire sono azioni checomunicano scarsa attenzione da parte del docente. Suddividere bene i tempi e pre-vedere un’alternanza tra momenti di spiegazione e momenti di coinvolgimento at-tivo sono mosse che comunicano il desiderio del docente che tutti siano coinvolti epossano partecipare effettivamente al percorso di apprendimento.2.5.2. Variare gli approcci e le attività, lasciandosi guidare anche dagli “Uffa, prof…”l’esigenza di diversificare le attività è certamente dettata dalla varietà degliobiettivi da raggiungere, ma anche dalla diversità degli allievi (delle loro intelli-genze e dei loro stili cognitivi), dei gruppi classe e dei momenti del giorno o dellasettimana in cui si svolge la lezione:devo diversificare la metodologia a seconda delle classi, perché i ragazzi sono diversi. Èovvio che l’approccio che ho con i ragazzi di prima è diverso rispetto a quello che ho coni ragazzi di terza, perché i ragazzi di terza hanno imparato a conoscermi, sanno fino a chepunto si può arrivare, quali sono i paletti, mentre con i ragazzini di prima questa cosa èancora difficile [...] (intMe7/11);il livello di rispondenza, in una classe, è maggiore, in un’altra, è minore; c’è il giorno incui non ti riesce proprio un bel niente, perché magari tu pensi di impostare una discus-sione su un argomento e nessuno alza la mano; allora non ti rimane che prendere il branoin mano e leggerlo, perché ti è sfumato il momento; oppure c’è quello che fa casino, cheper un quarto d’ora ti porta fuori la classe, per cui devi mettergli la nota, perdi il filo deldiscorso; ci sono cioè i soliti inghippi che capitano in un cFP. […] Poi, chiaramente sonocosciente che il livello di rispondenza è molto variabile, dipende proprio dalle classi, di-pende dalle giornate, dipende da tanti fattori: la stessa classe ce l’ho la prima e la sestaora e già è una cosa diversa. Per esempio, alle prime due ore, puoi fare dei lavori anchemolto impegnativi, dove la classe lavora veramente bene, dove, anche se li coinvolgi,non fanno gli stupidi; se io tentassi minimamente di fare questo lavoro alla settima ora,dovrei “sparare” loro addosso! Ecco, […] man mano che ci avviciniamo alla sesta, set-tima ora, il picco della loro attenzione si riduce, per cui fai lavori molto scolastici, tipol’analisi del brano, l’esercizio di grammatica, e li fai lavorare, perché chiaramente lorosono stanchi e quello che potevano dare, poco o tanto, lo hanno dato; […] devo fare dellecose molto operative […]. Se in alcune classi posso contare su ore collocate in momentistrategici, i lavori riescono meglio; se, per dire, in quella classe, ho quasi sempre laquinta e la settima ora, prima di tutto io sono già piatto (ridono) e poi anche in loro il li-vello di rispondenza è molto basso. queste variabili per i nostri ragazzi sono [...] vera-
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mente determinanti: tu puoi fare un’ora benissimo e, nella stessa classe, il giorno dopo,hai la quinta ora ed è uno schifo, vieni fuori che bestemmi in cinese! […]. l’ho messo inconto; non è che mi meravigli di questo (intMi1/148).le diversità individuali, degli anni di corso, delle condizioni e dei contesti incui si svolge una lezione, ma anche la varietà delle situazioni, gli imprevisti, l’at-mosfera che si crea in classe, gli stati emotivi ecc. sono tutti elementi che orientanoad adottare approcci diversificati e flessibili nel processo di insegnamento-appren-dimento. inoltre, i docenti trovano utile variare le attività, per dare maggiore viva-cità alle loro proposte:cerco anche di inserire delle variazioni; mi aiuta il fatto che insegno non solo italiano, maanche storia; poi metto dentro anche narrativa e qualche volta ricorro […] all’ausilio diun film; utilizzo diverse metodologie, tenendo presente che qualcosa posso variare,anche per dare una struttura un po’ diversa, un po’ di vivacità; altrimenti diventa tutto unpo’ pesante (intMe1/56);[...] cerco di alternare [...]; per esempio, [...] su argomenti [...] come il lavoro e l’eco-nomia, utilizzo delle schede; [...] faccio mezz’ora di spiegazione e poi li faccio andaresulle schede, che [...] riportano o l’inizio di una frase che loro devono completare o delledomande che si riferiscono alle trattazioni che trovano sul testo. Sono schede […] per ilripasso; in terza [...], oltre a fare il ripasso, [...] metto anche delle righe, per costringerli ascrivere [...] (intMi1/128); oppure, per vedere se hanno capito, chiedo: [...] “abbiamospiegato questa cosa; allora, rispondi a questa domanda…” [...]; in prima e seconda lofaccio oralmente, mentre in terza inserisco questa parte nella scheda e loro devono pro-prio scrivere; questo li costringe a stare sul testo, sull’argomento, a ragionare un po’; seinterrogo uno oralmente, gli altri vanno per i cavoli loro; così invece devono scriveretutti e comunque serve loro come ripasso [...] (intMi1/130).Un docente che opera in diversi ambiti disciplinari può utilizzare la leva del“cambio di materia”. Talvolta, il passaggio ad altro è sufficiente per riattivareenergie sopite. in ogni caso, si tratta di variare gli approcci e le modalità di lavoro,curando un mix adeguato di modalità “frontali” (la classica spiegazione) e modalitàpiù attive (l’esercitazione, la visione e l’analisi di uno spezzone di film ecc.).Spesso sono proprio gli “Uffa, prof…” o i segnali di stanchezza e di vera e propriainsofferenza da parte degli allievi a suggerire l’opportunità di un cambio di attività.Per questo diventa cruciale la capacità che il docente sviluppa di ascoltare e di de-cifrare tali messaggi:mi lascio abbastanza guidare da loro; questo non significa accondiscendere a tutte le loro“voglie” (intPd2/254). Mi sono fatta guidare tantissimo da loro, da quello che loro mi di-cevano e non mi dicevano, tante volte, anche dai loro sbuffi: “Uffa, prof, dobbiamo scri-vere ancora?” (intPd2/262) o dalla percezione del gradimento dell’attività, perché, se aloro una cosa non piace – e non perché siano dei “mascalzoni”, che non hanno voglia difare niente, ma perché, a volte, una cosa o il modo in cui una cosa viene proposta pos-sono non piacere –, si fa fatica ad andare avanti (intPd2/264);devo alternare (intMe7/305), perché poi ti accorgi che, quando spieghi a lungo, in classe,uno comincia ad abbassarsi, l’altro comincia a chiudere le palpebre; in quei casi, devitrovare qualcosa, magari il gossip, che riesca a farti riprendere in mano la classe; allora,
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magari ci cacci dentro l’esempio della costruzione delle strade (intMe7/307), per ravvi-vare un po’ l’attenzione; altrimenti perderesti la platea (intMe7/311): [...] un’ora o cin-quanta minuti di spiegazione storica, di date, di cronologie e di eventi, è impensabile coni nostri ragazzi; ma neanche io riuscirei a sopportarla! (intMe7/313).lo sforzo dei nostri docenti è di guidare lasciandosi anche guidare, come fa-rebbe un’esperta guida alpina su un sentiero di montagna. Si tratta di non andare dicorsa, per conto proprio, ma di prestare attenzione a ciò che succede, alle asperitàdel terreno come alla tenuta dei singoli e del gruppo, di assecondare il loro passo,per non perdere nessuno per strada, di scegliere percorsi magari più lunghi maanche più agevoli e, nello stesso tempo, di far intuire il fascino della meta e dei pa-norami che si aprono. Un ulteriore esempio di cosa possa significare seguire la lo-gica della varietà e variabilità delle metodologie e dei dispositivi ci viene offertonel brano seguente da S. (FGita3/70-72), formatrice nel cFP di Mestre:racconto una lezione introduttiva a Boccaccio, in una classe di grafici […]. Sono entratain classe senza dire quale sarebbe stato l’argomento e ho cominciato disegnando tre co-rone di alloro alla lavagna. questo ha attivato subito la loro attenzione, perché, essendografici, si sono lamentati del mio disegno. Allora ho chiamato un ragazzo, che solita-mente è molto distratto in aula, soprattutto nelle mie lezioni, e gli ho chiesto di correg-gere gentilmente quei disegni. intanto, si erano incuriositi e, in qualche modo, si era rottoil ghiaccio e creato un clima di leggera ilarità e di curiosità. Piano, piano, ho cominciatoad introdurre gli argomenti: ho scritto sotto la prima corona “Petrarca”. quasi nessuno loconosceva. “Dante” lo conoscevano già di più, quindi su questo ho potuto attivare alcuneconoscenze pregresse, seppur sporadicamente presenti […]. infine, ho focalizzato l’at-tenzione su “Boccaccio”. Anche qui ho cercato di attivare eventuali conoscenze del pas-sato: molti ricordavano la cosiddetta Novella della gru ed erano contenti di sapere chel’avremmo letta. in seguito, sono passata alla presentazione della biografia di Boccaccio:l’abbiamo letta brevemente dal libro; ho fornito loro alcune indicazioni, spiegando conparole più semplici determinati passaggi e indicando che cosa sottolineare. Poi, anzichéschematizzare alla lavagna, come faccio di solito, ho incaricato loro di lavorare a coppie,con i rispettivi compagni di banco, e di riportare sul quaderno, sotto forma di schema, leprincipali notizie della biografia, aiutandosi appunto con le sottolineature e cercando didare coerenza a quanto scrivevano. nel frattempo, mentre loro lavoravano, io mi aggi-ravo tra i banchi e loro mi facevano domande; comunque, lavoravano tranquillamente,con un certo interesse; naturalmente io non mancavo di pungolare i più pigri. quandotutti ebbero finito, abbiamo fatto una sorta di correzione alla lavagna; sono usciti dei vo-lontari che hanno riportato il loro schema; ne abbiamo discusso e abbiamo fissato alcunipunti. Verso la fine della lezione, ho fatto ripetere a qualcuno alcune cose semplici e mi èsembrato di cogliere che la varietà delle modalità di lavoro […] e il continuo ripetere al-cuni concetti, fossero serviti; nella lezione successiva, ho potuto verificare che […](FGita3/70) avevano effettivamente appreso gli elementi essenziali […]; il mio intentoera anche di ridurre lo studio pomeridiano e di facilitare l’apprendimento durante la le-zione; molti di loro, probabilmente, tra una lezione e quella successiva, nella quale hoproposto la verifica, non hanno aperto i libri. Ho potuto constatare che, nonostantequesto, quasi tutti avevano in testa le cose principali (FGita3/72).S. (FGita3/70-72) inizia la lezione con un’azione insolita (il disegno approssi-mativo di tre corone alla lavagna), che suscita curiosità e interesse, e consente di te-
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nere sotto controllo, proprio affidandogli un incarico valorizzante, uno dei ragazziche maggiormente hanno la tendenza a distrarsi. create le condizioni emotive peravviare il lavoro, S. attiva in classe una conversazione sui nomi dei tre grandi poetie scrittori italiani che le permette di agganciarsi alle conoscenze pregresse degli al-lievi. Poi presenta la biografia di Boccaccio, facendo riferimento al testo e aiutandoad individuare le parti essenziali del testo. A questo punto, S. propone di elaborarea coppie uno schema della presentazione, fornendo stimoli e supporti e rispon-dendo a domande di chiarimento. infine, propone di socializzare gli schemi alla la-vagna, per poterne costruire uno più ricco e condiviso, e verifica, attraverso alcunedomande di consolidamento, l’avvenuta comprensione da parte degli allievi. Va-riando gli elementi della lezione nel modo descritto (dinamica di avvio e alternanzadi discussione e presentazione), S. si assicura che buona parte dell’apprendimentopossa avvenire già in aula.2.5.3. Inserire degli intermezzi per far “ricaricare le batterie”i docenti intervistati sono consapevoli che il mantenimento dell’attenzione daparte degli allievi ha bisogno di qualche cambio di passo nella conduzione della le-zione. Talvolta basta variare l’attività, altre volte, può essere utile inserire una bat-tuta umoristica o una breve pausa, che consentano di ricaricare le batterie:cerco di intercalare le lezioni con [...] una battuta o magari, se vedo che stanno facendofatica a rimanere concentrati, dico: “Ragazzi, se siete stanchi, facciamo 5 minuti dipausa”; a volte basta la frase per distenderli e per poi riattivare l’attenzione, perché, so-prattutto con questi ragazzi, non è pensabile mantenere la concentrazione ad alti livelliper tutta un’ora di lezione, soprattutto in materie come la lingua italiana, che per alcuniaspetti sono anche molto teoriche; per altri versi, qualcuno può essere annoiato dal fattoche sono cose che ha già sentito [...] (intPd3/154); [...] ecco, ho un occhio che ormai è di-ventato un occhio clinico: se vedo che cominciano a dare segni di cedimento, che guar-dano l’ora e muovono la penna e frugano nello zaino, dico: “Siete stanchi?”. “Sì!”. “Al-lora, nessun problema, facciamo cinque minuti di pausa”. Allora, che ne so, apro le fine-stre, uno va al bagno, passano quei due o tre minuti che a loro veramente, a volte, ba-stano (intPd3/168).non si tratta di perdite di tempo, ma di momenti indispensabili per “riattivarel’attenzione”, che vanno però gestiti con buon senso, lasciandosi guidare dall’“oc-chio clinico”, che permette di cogliere i “segni di cedimento” incombenti.A. (FGita4/7-9), formatrice in Umbria, ricorre ogni tanto alla musica, che uti-lizza come “premio”, dopo un’attività particolarmente impegnativa, o come inter-mezzo o come sottofondo:io uso […] il premio della musica, cioè faccio ascoltare cantautori diversi. […] Se vedoche si impegnano, studiano, hanno voglia di fare lezione, sono particolarmente attivi inquella lezione, come “premio”, metto una canzone. Devo anche dire che far ascoltare del-le canzoni a loro è stato utile per me, perché ho conosciuto meglio il mondo dei ragazzi. ilsegreto è entrare nella loro logica. non è facile […]. Ma capire la loro musica o notare co-me portano il cappellino è importante, perché, ad esempio, dal modo in cui un ragazzoporta il cappellino, capisci se è pop o se fa parte di quelli che ascoltano musica hard o co-
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se del genere. […] (FGita4/7) […] Se i ragazzi, durante l’attività, hanno lavorato bene, ioa fine lezione lascio cinque minuti e ascoltiamo due o tre canzoni di cantautori diversi;parto dalla Banda Bardot o da altri brani che suggeriscono loro e arrivo a Rino Gaetano, aModugno, ma anche alla musica classica – dipende da come è la classe –; la musica clas-sica li aiuta a concentrarsi. loro lavorano bene anche con la musica; se devono fare degliesercizi e metti una musica calma, si rilassano e lavorano meglio (FGita4/9).l’ascolto di brani musicali può rappresentare un’ulteriore occasione per aprirevie di accesso al mondo degli allievi, alle loro preferenze e al loro modo di pensare,oppure per costruire vie di comunicazione, in cui, a partire da ciò che piace a loro,si può giungere ad allargare i territori musicali esplorabili. la musica poi può ser-vire a creare un’atmosfera che aiuta a lavorare.2.5.4. Rendere piacevole l’attivitàDiversi formatori sottolineano l’importanza che lo stare a scuola si trasformi inun’esperienza piacevole per gli alunni; non perché ritengano che si debbano fare solole cose che procurano piacere, ma perché pensano che il fatto di divertirsi non debbanecessariamente essere messo in contrapposizione con la serietà e la qualità del lavoro.Una lezione può essere insomma al tempo stesso piacevole ed impegnativa:[…] faccio molta fatica a rimanere nei programmi che la regione ci invia […]; provo adelineare dei macro-obiettivi da raggiungere e poi […] cerco di perseguirli […], mesco-lando il tutto in una maniera piuttosto personale. i rimandi che ho dai ragazzi e dalle fa-miglie sono positivi, però c’è sempre il rischio di essere approvato perché si fa, come sidice, il “piacione”. (comunque, sono convinto che), […] se i ragazzi non si divertono,quando sono assieme a noi […], la cosa non funziona (FGita4/10). […] Se c’è una cosache cerco di fare nel mio lavoro è far sì che ai ragazzi piaccia il fatto che io arrivi inclasse con loro; mi sembra che questo succeda abbastanza e trovo che questo aiuti.Esempio concreto: io non ho studiato inglese, lo mastico […], mi esercito […]. noi ab-biamo le acconciatrici. l’anno scorso abbiamo fatto una sfilata finale delle varie accon-ciature, realizzate secondo la provenienza etnica. Ho insistito per avere come colonna so-nora il musical “Mamma mia”. la settimana dopo, quando ho lanciato l’idea di tradurreDancing Queen e le altre canzoni del musical, non riuscivo più ad arginare le ragazze. Sierano divertite in quel giorno in cui c’era stata la sfilata, con quella musica in sottofondo;abbiamo tradotto le canzoni che sono loro piaciute (FGita4/10).Per F. (FGita4/10) è importante che i ragazzi possano anche divertirsi a scuola.questo non significa fare i “piacioni”, piegando tutto il percorso a ciò che piaceloro e limitandosi a questo, ma far partecipare gli alunni al proprio piacere, condi-videre i propri entusiasmi, e per questo assumere un atteggiamento flessibile neiconfronti del programma da svolgere. Un’altra formatrice, che insegna a Ragusa,nei brani che seguono, raccolti in due diverse occasioni, ci racconta di fare frequen-temente ricorso a tecniche ludiche, inventate a partire da giochi tradizionali o pren-dendo spunto da giochi televisivi:cerco di dare le basi [...] della grammatica: soggetto, predicato [...]. inizialmente ho pro-prio spiegato alcuni elementi di grammatica, [...] dopo di che ho messo in atto il sempli-cissimo gioco dello stop, in cui chiedevo loro non nome, cognome, città e via dicendo,
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ma elementi di grammatica. Allora [...] chiedevo un nome, un verbo, un pronome [...] cheavessero quelle iniziali (FGita2/16); è il classico gioco dello stop: inizia qualcuno, gi-rando le mani e passando a mente l’alfabeto: “a, b, c, d...”; un altro dice: “Stop”; allora,mettiamo che esca la lettera “c”, i ragazzi devono trovarmi un sostantivo, [...] un verbo,un pronome e via dicendo che inizia con la lettera “c”. in questo i ragazzi hanno mostratomolto piacere [...]; si teneva il conteggio dei punti: a chi trovava [...] il nome, il verboecc. più originali, che nessun altro aveva trovato, si dava un punteggio superiore, rispettoa chi trovava qualcosa di comune a quello che trovavano altri; alla fine, vinceva chiaveva un punteggio più alto rispetto agli altri [...] (FGita2/18);ho utilizzato questa dinamica con una classe del primo anno del corso per serramentisti;[…] gli obiettivi che mi prefissavo erano i seguenti: permettere ai ragazzi di formulareuna frase correttamente e potenziare il loro lessico. Ho tratto questo gioco da un pro-gramma televisivo e l’ho utilizzato in classe, con i ragazzi. il formatore scrive parole di-verse, liberamente scelte, su diversi foglietti; sceglie a turno tre ragazzi, che formerannouna piccola squadra; due saranno messi uno di fronte l’altro e il terzo sarà seduto davantiai due, con le spalle rivolte a loro, senza poter guardare in nessun modo i compagni. ilformatore mostrerà il foglio con una parola scritta ai due ragazzi, i quali, a turno, uno pervolta, potranno dire solo una parola; per esempio, il primo dirà un articolo, il secondo unnome legato all’articolo, il primo di nuovo un aggettivo e così via; uno per volta do-vranno formulare una frase di senso compiuto, in modo da permettere al terzo ragazzo dicapire ciò di cui si sta parlando. la frase dovrà essere formulata in modo corretto edavere un senso; il terzo ragazzo dovrà indovinare la parola scritta dal formatore sul foglioe comunicata ai due compagni. in ogni gruppo, […] il terzo ragazzo avrà a disposizionecinque minuti per cercare di indovinare quante più parole possibili. Se, nella struttura-zione della frase, vengono fatti degli errori grammaticali, se, per esempio, l’articolo nonconcorda con il nome o se il nome è al singolare e l’aggettivo al plurale, se viene usatoun verbo in forma sbagliata ecc., la parola verrà annullata e si passerà ad un’altra, per-dendo quindi del tempo prezioso. Vince la squadra che, in cinque minuti, indovinerà piùparole; contemporaneamente, un alunno volontario, al di là dei tre che formano lasquadra, scriverà alla lavagna la frase che, un po’ alla volta, la squadra avrà costruito perdiscutere poi gli errori commessi (FGita3/30). […] È necessaria la collaborazione,perché […] (FGita3/38) praticamente il numero uno dice l’articolo, il numero due dice ilnome, in numero uno deve, rispetto al nome, concordare, ad esempio, un aggettivo o unavverbio o un verbo. quindi la frase, di fatto, è una sorpresa per tutti (FGita3/39).V. (FGita2/16-18; FGita3/30-39) trova utile il ricorso a dispositivi ludici,anche ricavati da programmi televisivi, per esemplificare le parti del discorso o perstimolare la scoperta di parole e giocare a costruire frasi di senso compiuto17. Sonotutte strategie che aiutano a rendere l’imparare piacevole.
2.6. Inserire momenti di lavoro in gruppoUn’altra modalità per variare attività e, nel contempo, per valorizzare la di-mensione essenzialmente sociale dell’apprendimento è la proposta di lavori digruppo e, in particolare, l’esplicito riferimento al metodo dell’apprendimento coo-
17 Sui giochi verbali, è particolarmente ricco di spunti e suggerimenti il seguente testo: zamboni,2007.
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perativo (cfr. comoglio, 2000), grazie al quale gli allievi possono lavorare su atti-vità di apprendimento in piccoli gruppi, costruendo tra loro un senso di partecipa-zione e di interdipendenze positiva. qui di seguito, oltre alle esperienze esplicita-mente collegate con tale metodo, vedremo in particolare le ricerche di gruppo e ilavori a coppie.2.6.1. Promuovere ricerche di gruppoUn primo esempio di attività che consente di collaborare con altri nel persegui-mento di obiettivi comuni è fornito da E. (intVr6), insegnante di chimica nel cFP diVerona18, che ci racconta un’esperienza di ricerca avviata in classe sull’energia solare:l’anno scorso, ho fatto fare ai ragazzi delle ricerche sulle energie rinnovabili e non rinno-vabili. il nostro settore elettrico ha attivato i panelli fotovoltaici, quindi i ragazzi possonofare il collegamento con il tema del risparmio energetico, delle risorse energetiche rinno-vabili, il solare in particolare, dato che i pannelli sono montati sul tetto del cFP. li hannogià visti e ritorneranno a vederli […] (intVr6/30). Ho fornito i materiali, i testi scritti cheho trovato e anche alcuni riferimenti a siti internet, dove cercare informazioni. Ho costi-tuito dei gruppi di ragazzi e poi ho fornito loro una scaletta con una serie di domande acui rispondere. Andando a cercare sui testi o su internet, dovevano preparare una rela-zione che rispondesse a tali domande (intVr6/40). Ho poi ridotto le risorse online e au-mentato la documentazione cartacea, perché non tutti i ragazzi hanno internet a casa equalcuno aveva difficoltà a cercare risorse in rete. [...] Dividevo il materiale per i gruppidicendo: “non risponderete tutti a tutte le domande; in base al materiale che avete inmano, potrete dividervi il lavoro. Finito il lavoro individuale, vi trovate insieme ed ela-borate una ricerca unica, valutando e mettendo insieme le risposte a tutte le domande”.questa è stata la parte un po’ più difficile da gestire: ho cercato di mettere alcuni ragazziinsieme ad altri che abitavano vicino a loro; alcuni si sono fermati in classe o sono andatia casa di qualche amico e hanno fatto il lavoro insieme, altri no; c’era sempre l’indipen-dente, che amava fare da solo. comunque, tutti hanno portato la ricerca. Poi i ragazzihanno presentato la loro ricerca a tutta la classe, mentre gli altri facevano domande deltipo: “che percentuale copre la produzione di energia da petrolio? quanto costa il pe-trolio?” […] (intVr6/42). Alla fine chiedevo: “Allora, vi siete divisi le domande?” e lororispondevano: “noi sì, lui no!”; qualcuno, nei corridoi, mi veniva a dire: “Sa, professore,noi abbiamo provato a trovarci, ma lui non ha voluto”; qualcuno che si isola c’è sempre(intVr6/44). Ho scelto il lavoro sulle energie perché se ne parla tanto sui giornali; dicevoloro: “A me interessa che voi sappiate leggere o ascoltare una notizia sulle energie […];tutti gli inverni c’è il problema del gas che manca, del prezzo del petrolio che aumentaecc.”; mi interessa che abbiano un approccio critico a queste notizie e che sappiano dicosa si sta parlando. in realtà, potrei anche non fare questa parte, però legare la chimicaall’attualità mi sembra molto utile per loro, perché così possono leggere in maniera unpo’ più critica le notizie che sentono, avendo già una base di conoscenze per poter capiree giudicare quello che sentono […] (intVr6/46). Fornisco del materiale, per esempio, unarticolo trovato su Mondo erre, la rivista per ragazzi dei salesiani [...] o altre risorse: arti-
18 Ho scelto di inserire qui (e non in Tacconi, 2011) la testimonianza di questo insegnante, anchese si tratta di un insegnante di chimica, perché il lavoro che presenta è un lavoro interdisciplinare, ditipo testuale, che offre notevoli spunti per portare avanti lavori del genere anche nell’ambito storico,economico e sociale.
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coli di giornale, pagine stampate da internet, fonti [...] nazionali e internazionali, più chealtro in italiano, perché ho qualche difficoltà a darle loro in inglese […] (intVr6/58). (Doloro) una scaletta di domande (intVr6/60); [...] consegno nove o dieci pagine ad ogni ra-gazzo e, in genere, do quindici giorni di tempo per fare il lavoro individuale; poi c’è il la-voro di gruppo, che consiste nel trovarsi assieme per costruire la relazione valutando cri-ticamente le informazioni raccolte (intVr6/62).A partire da spunti offerti dal contesto (il fatto che il cFP si sia dotato di pan-nelli solari), E. (intVr6) ha proposto ai propri allievi una ricerca di gruppo. Dopoaver costituito i gruppi, con l’attenzione di mettere insieme allievi che abitavano traloro vicini, in modo da facilitare l’eventuale incontro tra loro anche in tempi extra-scolastici, E. fornisce a ciascun gruppo una lista di domande rilevanti, che aiutino acercare19, e una vasta gamma di risorse, in formato cartaceo, ma anche digitale20.offre inoltre una serie di indicazioni procedurali, suggerendo di dividersi i compitiall’interno del gruppo e indicando fasi, tempi e specifiche del prodotto finale at-teso. in particolare, ad una fase di lavoro prevalentemente individuale di raccolta diinformazioni in base alle domande, segue una fase di lavoro in gruppo, per lamessa in comune, l’analisi e la valutazione critica delle informazioni raccolte,nonché per la costruzione di una relazione di gruppo. È questo che aiuta gli allievia collegare la chimica al contesto di vita e a sviluppare la capacità di analizzare cri-ticamente le notizie con cui vengono in contatto. All’interno delle coordinate of-ferte dal docente, anche l’uso di internet risulta proficuo. A conclusione dei lavori,E. invita ciascun gruppo a comunicare al resto della classe i risultati della propriaricerca e stimola una discussione su ciascuna presentazione. l’ultima fase è la ri-flessione sul funzionamento del gruppo, sul contributo di ciascuno al risultato fi-nale e sul livello di collaborazione.2.6.2. Attivare esperienze di apprendimento cooperativoTalvolta, nei racconti dei partecipanti, il lavoro di gruppo si rifà esplicitamenteall’approccio noto come cooperative learning (cfr. comoglio, 2000), che consentedi sviluppare e praticare competenze sociali e metacognitive, essenziali per qual-siasi tipo di apprendimento. naturalmente, non si tratta dell’applicazione di un me-todo tratto dai libri, ma dello sviluppo di un insieme di attività contestualizzate edadattate di volta in volta alla situazione:[...] noi [...] usiamo il cooperative learning, […] nel senso che io presento un argomentoalla classe; poi li divido in gruppi: i più interessati diventano i “docenti”, poi ci sono gli“osservatori”, che devono osservare […] secondo una griglia da me stabilita, e infine i
19 A questo riguardo, cfr., più avanti, anche il punto 2.7.2.20 inizialmente, il nostro docente predispone un certo numero di risorse digitali, in particolarelink a siti, anche in lingua inglese. in corso d’opera, accorgendosi che non tutti gli allievi avevano lapossibilità di connettersi ad internet al di fuori della scuola e che per molti di loro diventava piuttostoproblematico accedere a materiali in lingua inglese, sceglie di aumentare la quantità delle risorse car-tacee e in lingua italiana.
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“discenti” [...] (FGita2/126). Ad esempio: “oggi parliamo della letteratura dell’otto-cento”; io incomincio a presentare il tema, al massimo per mezz’ora; dopo di che, […]divido i gruppi e comunico loro chi farà parte di quale gruppo e con quale ruolo, tipo:“lui sarà il prossimo docente, tu sei discente, […] lei sarà l’osservatrice…”. la voltasuccessiva [...] l’osservatore dovrà osservare il lavoro dei due e compilare una griglia; il“docente” dovrà organizzare il lavoro – in realtà, glielo organizzo io, in sede separata,cioè lo aiuto (FGita2/128), costruiamo insieme una scaletta, sulla quale (FGita2/130) eglipresenterà l’argomento al “discente”; alla fine, quest’ultimo verrà interrogato(FGita2/132). l’osservatore riporterà le sue osservazioni sulla griglia (FGita2/136): “At-tenzione, valuta entrambi: se lui si è spiegato correttamente, se è stato chiaro, [...] se haaiutato, se è stato disponibile eventualmente nel ripetere le cose, se l’altro è stato attento,si è impegnato, si è comportato in maniera adeguata (FGita2/138), ha fatto domande...”.Tutta la classe gira così (FGita2/140). cerco di dire loro cosa faranno (FGita2/142),perché lo devono sapere (FGita2/144). Dopo di che, per circa un’ora (FGita2/146),prendo i miei quattro “docenti”, se sono divisi in quattro gruppi, e li organizzo, magarianche fuori dalla scuola, nel pomeriggio [...] (FGita2/148). l’ora dopo, interrogo, ma lavalutazione sarà su tutti: docenti, discenti, osservatori. chiederò all’osservatore: “com’èandata l’attività? Racconta come si è svolta l’attività” e lui spiegherà [...] (FGita2/150).qualcosa del genere […] lo facciamo anche in laboratorio; ci sono anche lì gli osserva-tori (FGita2/152). la relazione la fanno oralmente [...] in base alla griglia. [...] Poi dico:“Tu parlerai dell’argomento e vediamo come lui ti ha preparato!” (FGita2/154). [...] itempi li vediamo in base agli argomenti, comunque li stabiliamo insieme [...](FGita2/156) [...]. Poi i ragazzi girano; è ovvio che “il docente” non sarà sempre lostesso. […] nel pomeriggio abbiamo dei laboratori facoltativi oppure dei larsa21 di ap-profondimento; [...] quelli che fanno i “docenti” verranno nel mio larsa e io li preparerò.Ma poi girano, [...] sempre così [...] (FGita2/158) [...]. noi usiamo sempre il cooperativelearning che, all’inizio, è molto difficile, ma sostanzialmente parte dal presupposto che iragazzi hanno bisogno di essere autonomi. Se un ragazzo è autonomo, la roba se la trova,non è deficiente; renderli autonomi vuol dire far loro conoscere che cosa implica avereun ruolo e far conoscere un po’ tutti i ruoli, il che [...] vuol dire trovarsi prima in un ruoloe poi in un altro. il primo anno è dura, il terzo anno lavorano praticamente da soli [...]; iofaccio il supervisore, ma la lezione frontale dove io parlo e la gente dorme no, con noinon si fa; almeno proviamo a non farla (FGita2/164). [...] Da noi è tutto così, anchequando siamo nei laboratori [...]; i nostri sono operatori elettronici [...] (FGita2/168); [...]loro sanno già che, essendo divisi in squadre, se finiscono il loro lavoro, con certe re-gole – perché ci sono gli osservatori; cioè io non posso andare là e fare il pannello al miocompagno – [...], possono rivolgersi a quelli della loro squadra che sono più in difficoltàe incominciare a spiegare loro oppure indirizzarli oppure segnalare il guasto oppure dire:“Beh, secondo me se proviamo col tester...”, ma senza mettere mano al pannello del lorocompagno (FGita2/170) perché c’è l’osservatore che lo noterebbe e comunque ci sono iprofessori, ci sono i tutor. lo fanno seguendo regole precise, lo fanno e stanno molto at-tenti […], si autoregolano [...] (FGita2/172);l’attività è nata da una scommessa fatta all’inizio dell’anno con alcuni formatori. Si par-lava della cultura dei ragazzi, della loro ignoranza sulla costituzione, sulle leggi, sui pre-sidenti e io ho detto: “Va bene, quest’anno cerchiamo un po’ di cambiare!”. i miei ra-gazzi acquistano ogni mese una rivista. Per caso, un ragazzo mi portò La macchina deltempo, con un inserto che ricordava l’anniversario della costituzione italiana; c’era la
21 i larsa sono dei “laboratori di recupero e sviluppo degli apprendimenti”.
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storia di tutti i presidenti. Da questo è nata l’idea. Ho staccato l’inserto, l’ho arricchitocon altri materiali e ne ho fatto una dispensa, per le quattro classi; ho distribuito l’insertofotocopiato a tutte le classi. Poi ho chiesto ai ragazzi di imparare a memoria tutti i dati diuno dei presidenti della Repubblica: nome, cognome, data di nascita, periodo di presi-denza e […] idee politiche. […] Abbiamo impiegato una lezione, affinché ciascuno me-morizzasse tutto quello che riguardava uno dei presidenti. Superato lo scoglio, ogni ra-gazzo comunicava ad un altro ragazzo quello che aveva imparato. Era uno scambio reci-proco. ci siamo quindi ritrovati al punto in cui ogni ragazzo conosceva i dati relativi adue presidenti; questo processo è continuato fino a quando ogni ragazzo conosceva per-fettamente quello che era successo a tutti e dieci i presidenti. la scommessa è stata vinta!Ma non è finita qua, perché ci voleva anche la verifica: ho preso il sacchetto che si usaper giocare a tombola, ho messo dei numeri da uno a dieci e, estraendo il numero, ogniragazzo doveva praticamente creare alla lavagna la tessera di un puzzle con la cronistoriadi tutti i presidenti della repubblica italiana. È stato un ottimo risultato […] (FGita3/16).c. (FGita2/126-172), docente di italiano in un cFP ligure, dà conto di un’espe-rienza che, in quel contesto, non rappresenta un caso isolato e sembra far parte diuna strategia condivisa e largamente diffusa tra i formatori e le formatrici di variearee disciplinari. la nostra docente introduce l’argomento a tutto il gruppo classe,con una presentazione della durata di circa mezz’ora. Subito dopo, organizza laclasse in gruppi di tre. A ciascuno dei tre membri dei vari gruppi assegna un ruolo –“docente”, “discente”, “osservatore” – e fornisce delle indicazioni su come svol-gerlo. in particolare, fornisce ai “docenti” risorse e strumenti sull’argomento diquella che sarà la loro “lezione” e agli “osservatori” degli strumenti per osservarein modo mirato. questa preparazione non avviene generalmente in aula, ma in mo-menti specifici, in orario pomeridiano. nella fase successiva, si svolge l’insegna-mento tra pari, mentre gli osservatori analizzano ciò che avviene nelle coppie “do-cente” - “discente”. l’ultima fase è dedicata alla riflessione e alla verifica: gli os-servatori danno conto delle azioni dei “docenti” e dei “discenti” che hanno osser-vato, mentre c. pone ai “discenti” delle domande volte a verificare il livello di ap-prendimento e di comprensione raggiunto. nell’unità successiva, gli allievi ruotanoe si scambiano i ruoli. la fase in cui la formatrice lavora con il gruppo di coloroche assumeranno il ruolo di “docenti” nei sottogruppi che si costituiranno in aulacostituisce una situazione autentica e motivante: gli allievi apprendono proprioanche grazie al fatto che sono investiti del ruolo di “docenti”. la fase di riflessione,a partire dalle note degli osservatori, guida a sviluppare consapevolezza sui pro-cessi attivati. la formatrice, invece di dispensare conoscenze, organizza l’attivitàdegli allievi, li sostiene costantemente nel lavoro e regola la comunicazione molte-plice tra gli allievi. Gli allievi possono crescere nell’autonomia e nella fiducia reci-proca. nel racconto di c., notiamo infine che lo stesso metodo viene utilizzatoanche in laboratorio. questo ci fa intuire che il metodo può essere utile in riferi-mento a vari contenuti.Anche l’esperienza di G. (FGita3/16), un formatore della Sicilia, si rifà al coo-perative learning, in questo caso utilizzato in relazione a contenuti di natura sto-rica. l’enfasi viene posta non tanto sulla memorizzazione meccanica delle cono-
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scenze proposte, quanto sull’interazione e lo scambio reciproco che aiutano a svi-luppare conoscenze proprio nella condivisione. lavorare insieme per una finalitàcondivisa fa sentire ciascuno impegnato per l’apprendimento e la crescita di tutti.2.6.3. Stimolare l’aiuto reciproco a coppieAnche l’esempio tratto dal racconto di c. (FGita2/126-172) e riportato sopra,perché riferito esplicitamente al cooperative learning, faceva ricorso ad una stra-tegia di lavoro che potremmo chiamare “aiuto reciproco tra pari”. ci muoviamosempre all’interno di strategie che promuovono un clima collaborativo e loscambio di informazioni e feedback costruttivi. Vediamo alcuni altri esempi diquesto tipo di attività:[...] aiuta ad esempio, davanti a delle domande, non dare direttamente le spiegazionicome docente, ma farle richiedere ai compagni e alle compagne (intMe1/276). [...] Bi-sogna, per esempio, creare lo stimolo ad aiutarsi [...] a vicenda (intMe1/280): “Hai pro-vato a chiedere al compagno?” (intMe1/282), oppure far fare proprio il lavoro di sche-matizzazione assieme (intMe1/286), anche se non troppo spesso, perché la schematizza-zione è anche un lavoro personale: io (intMe1/290) ho in testa una certa mappa, tu ne haiun’altra [...]; ho visto comunque che è utile stimolare collaborazione, oppure ricorrere acorrezioni incrociate; sono quelle correzioni [...], che possono essere utili anche per viva-cizzare; per esempio posso far fare uno schema e dire: “Bene, ora scambiatevi i quaderni.Vediamo se cambiereste qualcosa nel vostro schema...” (intMe1/290);[...] per esempio, ho tentato a volte in grammatica a farli lavorare a coppie, però […] oc-corre mettere bene assieme i soggetti, nel senso che bisogna scegliere uno che sappia euno che abbia qualche difficoltà […]; poi almeno uno dei due deve essere un pochinomotivato; la grammatica non mi sembra il massimo per motivarli. A volte, se è un com-pagno che spiega o se si deve fare un lavoro con un compagno, la cosa risulta più utile diquando a farlo è l’insegnante, perché l’insegnante lo fa con venticinque e magari cinquefanno e gli altri copiano dalla lavagna e non gliene frega niente. nel rapporto uno ad unocon il compagno, le cose vanno meglio [...] (intMi1/128);nel lavoro a coppie c’è già uno scambio più alla pari (intPd3/50); ad esempio, ho utiliz-zato il lavoro a coppie con la grammatica, parlando dei pronomi o degli aggettivi; [...] hoaffidato degli esercizi alla classe; ognuno li faceva individualmente e poi li correggevanoa coppie; lì c’è un livello paritario, non è l’insegnante che dice: “È sbagliato!”, c’è unconfronto che avviene tra pari (intPd3/52); è un momento bello anche per loro, in cui,magari la persona un po’ più brava può aiutare quello in difficoltà e viceversa, anzi, forseè un momento in cui loro possono anche rendersi conto che non solo esclusivamente l’in-segnante offre delle conoscenze, ma che anche loro ne possiedono e possono darne(intPd3/54).l’aiuto tra pari non risulta utile solo nelle attività progettate in anticipo, maanche nelle situazioni normali, in cui ci si trova confrontati con domande rilevanti.Se il docente, resistendo alla tentazione di fornire subito una risposta preconfezio-nata, avvia percorsi di esplorazione a coppie di vicini, il risultato che ottiene è unlivello maggiore di coinvolgimento attivo da parte degli allievi. certo, a secondadelle tipologie di lavoro, sono necessarie anche specifiche attenzioni nella compo-sizione delle coppie e nel mix tra attività individuali e attività collaborative.
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2.7. guidare discussioni lavorando sulle domandele domande – da proporre o da far generare e su cui, in ogni caso, interrogarsi– sono un elemento essenziale per stimolare partecipazione e coinvolgimento,perché, senza domande, nessun incontro risulta interessante, né con le persone nécon i testi. Ma ci sono domande e domande. classica è ormai, ad esempio, la di-stinzione di Heinz von Foerster tra “domande illegittime”, delle quali il docente co-nosce già la risposta, e “domande legittime”, che vengono formulate davvero perconoscere, per sapere, e di cui il docente non conosce in anticipo la risposta (vonFoerster, 1987)22. ci sono anche le “domande utili”, che aiutano a procedere nelcammino, magari anche su territori diversi da quelli che si intendevano inizial-mente esplorare, e “domande inutili”, che – come ogni docente sa bene – un porta-voce della classe talvolta formula con il chiaro intento di interrompere il cammino.A tutte le domande i nostri formatori cercano, in modi diversi, di dedicare adeguataattenzione, facendo innanzitutto riflettere sulle domande stesse e poi ponendone esuscitandone di autentiche.2.7.1. Far generare domandeSpesso, per avvicinare alla comprensione di un testo letterario o giornalistico,occorre far sostare sulle domande che nascono dalla lettura o dall’ascolto del testoe portare a galla quelle che sono contenute nel testo stesso. Ma anche per formularedomande servono parole e diversi percorsi dei nostri docenti assumono come og-getto rilevante proprio la capacità di generare domande:leggiamo un brano in classe, [...] do dieci minuti per preparare delle domande, singolar-mente e in piccoli gruppi, a cui poi loro proveranno a rispondere e anch’io proverò a ri-spondere [...]; il fatto che già provino ad elaborare delle domande [...] fa sì che essi par-tecipino alla lezione (intVr4/6), ...il fatto [...] di dire: “A proposito di quello che abbiamoletto, secondo voi, quali domande possiamo farci? che cosa ci fa venire in mente questacosa?” (intVr4/8);prendo a prestito la pedagogia di don Milani che diceva che il padrone frega l’operaioperché conosce mille parole, mentre l’operaio ne conosce solo cento. io credo che il nu-cleo di tutta l’area che non è prettamente operativa sia la capacità di esprimere ciò che siè e di interpretare quello che ci sta intorno. Gli strumenti possono essere molteplici. ionon credo alla possibilità di uniformare tutti su degli standard. […] quanto più uno puòmigliorare la capacità di interpretare un testo, un telegiornale, un giornale, quanto piùuno è in grado di esternare ciò che vive, ciò che sa, ciò che non sa e di fare delle do-mande, tanto è meglio. credo che si possa dire così: si tratta di migliorare in generale lecapacità espressive in entrata e in uscita, qualunque sia la disciplina di cui stiamo par-lando. la domanda giusta […] può permettermi di entrare, di andare in soccorso di un ra-gazzo, ma, se lui non riesce a farmi la domanda, diventa difficile interpretare il punto in-terrogativo che ha negli occhi (FGita4/22).
22 Sulla qualità dei quesiti che generalmente vengono proposti agli allievi, cfr. anche Armellini,2008, pp. 125 sq.
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la sequenza proposta da c. (intVr4) potrebbe prevedere i seguenti passaggi: lalettura di un testo; un tempo adeguato perché ciascun allievo generi delle domande;un lavoro sulle domande, a coppie o a piccoli gruppi, per socializzare le domandedi ciascuno e selezionare quelle più rilevanti; un confronto tra le risposte degli al-lievi e quelle del docente. in questo modo, la lezione si trasforma in conversazioneviva tra i soggetti e i testi e la partecipazione si fa attiva. F. (FGita4/22) sa chespesso le domande aprono vie di accesso ai processi di comprensione, che sonosempre singolari e dunque non standardizzabili, e possono offrire al docente lospunto per interpretare correttamente “il punto interrogativo” che talvolta vedestampato sulla fronte dei suoi allievi. la capacità di formulare domande va dunquesviluppata, perché aiuta a superare le difficoltà di comprensione e ad approfondiremaggiormente i temi indagati.2.7.2. Offrire una griglia di domande per cercareAnche M. (FGita1/24-36) trova utile lavorare attraverso delle domande.questa volta è il docente stesso a proporre delle domande e a stimolare un con-fronto sulle risposte:invece di gestire una lezione frontale, [...] ci eravamo messi più o meno in cerchio e [...]un primo lavoro era questo: io davo delle domande – mi ricordo la prima, il punto di par-tenza di questo lavoro, che era: “cosa voglio fare da grande?” [...] – e ciascuno davaprima una risposta personale, per iscritto, e poi la condivideva. […] Un altro modo peraffrontare le domande era quello di lavorare in coppia [...]; il grosso dell’attività erasempre una discussione di gruppo in cui c’era qualcuno che [...] segnava (FGita1/24)quello che veniva detto (FGita1/26); [...] ogni lezione aveva due o tre domande, a cui ap-punto o si rispondeva personalmente, condividendo poi la risposta, oppure si rispondevalavorando in coppia fin dall’inizio; però poi si arrivava sempre alla discussione di gruppo(FGita1/30). [...] Per andare sul concreto [...], il lavoro consisteva innanzitutto nel creareun ambiente, un setting diverso da quello che avevo sempre utilizzato – che poi eraquello normale, cioè: cattedra, banchi, lavagna ecc. –, e quindi nel disporsi in cerchio,senza banchi ecc.; la seconda cosa era appunto lavorare per domande e quindi partire daquello che gli studenti riportavano [...]; la terza cosa era cercare […] di produrre un sa-pere che emergesse dall’esperienza dei ragazzi e che quindi non partisse (FGita1/34) dailibri di testo. la finalità era appunto duplice: da una parte, [...] mostrare che i concettiche trovavano sui libri potevano avere attinenza con la vita concreta di ciascuno, dal-l’altra, provare a indirizzarli [...] o a proporre, per lo meno, un lavoro autobiografico. Ri-porto questo fatto perché, alla fine dell’anno, quando all’ultima lezione ho chiesto un mi-nimo di feedback sulle attività che avevamo fatto durante l’anno, questa era una delle at-tività che erano state valutate più positivamente, credo […] soprattutto per il tipo di la-voro e per l’effetto sorpresa che aveva creato [...] (FGita1/36).il racconto del nostro formatore fa intravedere alcuni elementi cruciali: unprimo elemento è la cura del setting, con la disposizione a cerchio, senza i banchi,che ha un effetto un po’ spiazzante (perché si distanzia dalla disposizione usuale),ma in grado di facilitare lo scambio e la discussione; un secondo elemento è rap-presentato dalla consegna di rispondere individualmente ad una o poche domande,con quella sorta di rallentamento riflessivo che il fatto di rispondere per iscritto
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consente; il docente, nel porre le domande, è attento a far sì che si tratti di domande“legittime” (cioè non domande di cui egli conosce già la risposta, come sonospesso le domande che si formulano a scuola), capaci di far emergere aspetti dell’e-sperienza e della storia personale dell’allievo; inoltre fa in modo che ci sia untempo adeguato per la risposta; il terzo passaggio è costituito da un confronto acoppie sulle risposte e/o da una discussione con tutto il gruppo classe, per arrivarea generare un sapere che parta dall’esperienza e a far cogliere che anche i testidegli autori che si incontrano sui libri cercano di rispondere a domande analoghe eche dunque è possibile intrecciare lettura e autobiografia.2.7.3. L’esperto delle domande “inutili”come dicevamo sopra, qualche docente rileva anche il fatto che talvolta gli al-lievi formulano “domande inutili”: sono, ad esempio, le domande che un allievopone per chiedere un’informazione immediatamente dopo che il docente ha datoalla classe proprio quell’informazione e documentano soltanto che l’allievo era dis-tratto e non stava ascoltando. Far riflettere anche a questo genere di domande, ma-gari in modo creativo, come fa il parlante nel brano che riportiamo sotto, assumeun significato eminentemente relazionale:siccome rilevavo nei miei corsi un eccesso di domande inutili […] e un eccesso di ri-sposte inutili […], da qualche anno ho introdotto la figura dell’”esperto”. in ogni corso,nomino l’“esperto delle domande inutili” che normalmente è proprio il ragazzo che rifàspesso le stesse domande. Per fare un esempio banale, dico: “Si esce alle 12.30”, e lui:“Professore, a che ora si esce?”. Siccome […] in genere ci sono due o tre ragazzi chefanno molto spesso questo genere di domande e interrompono la lezione, allora io, inmaniera formale, prendo il ragazzo che svolge con maggiore intensità questa attività e lonomino “esperto delle domande inutili”; dopodiché, quando c’è una domanda inutile daparte di altri sull’argomento che sto trattando o su qualsiasi cosa, allora io non rispondo,ma dico: “Rivolgiti a carlo23, perché è lui l’esperto” e carlo prende appunti sulle do-mande […]. Dopo due o tre mesi, il livello delle domande inutili si azzera, perché capi-scono che una domanda è inutile, e allora tutti in coro dicono: “carlo, scrivi!” […]. Sicrea una sorta di gioco in cui l’esperto raccoglie quelle domande, su cui ritorniamo allafine dell’ora. c’è anche “l’esperto delle scuse inutili”. Abbiamo un elenco di circa quin-dici scuse: “mia nonna era ammalata”, “l’ho dimenticato”, “non c’ero”, “i carabinieri…”.Allora c’è un vero e proprio repertorio; i ragazzi, prima di rivolgersi a me, si rivolgonoall’esperto che dice ad esempio: “Scusa numero quindici!”, allora io so già che la scusanumero quindici è “la mamma mi ha mandato a…”. Dopo un po’ di mesi, i ragazzi elimi-nano le scuse inutili. Ad esempio, l’esperto dice: “È la scusa numero tre”. io segno il nu-mero tre e vedo quante volte quel ragazzo ha usato quella scusa (FGita4/6).P. (FGita4/6), che insegna a catania, ha nominato un “esperto delle domandeinutili”, al quale affida il compito di annotare quel genere di domande su cui poitornerà alla fine dell’ora. in questo modo, l’insegnante non impedisce che questedomande vengano formulate, ma limita il rischio che esse costituiscano un’inop-
23 i nomi originali sono stati ovviamente modificati.
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portuna interruzione e ottiene l’effetto di diradarle. in altri casi, è possibile dedicarealle “domande inutili” una specifica attenzione, magari incoraggiando gli allievi aporre proprio quelle domande che essi, considerandole “inutili” o “stupide”, esite-rebbero a porre.
2.8. Concludere tirando le somme e raccogliendo eventuali lavoriconsapevoli che il momento conclusivo di una lezione e il commiato sono al-trettanto importanti dell’avvio, alcuni formatori cercano di curare anche questa fasecon particolare attenzione. Si tratta di tirare le fila, qualche volta correggendo iltiro, di raccogliere i vari lavori, di connettere i vari momenti e le varie esperienzevissute durante la lezione stessa:spesso suona la campanella che siamo ancora all’opera (intPd2/248); comunque, general-mente, alla fine dell’attività preventivata, [...] raccolgo i lavori, li correggo e li valuto [...](intPd2/250);in conclusione, [...] faccio un po’ il sommario (intPd3/180), [...] in modo che, se qual-cuno ha perso un passaggio, possa recuperarlo; poi [...] cerco sempre di fare in modo cherimanga qualcosa di scritto; se è un modulo che prevede un certo esercizio a casa, as-segno dei compiti. [...] nella parte finale, tiro un po’ le somme e magari anticipo già l’orache seguirà: “oggi ci fermiamo qui. Domani continueremo con questa cosa…”(intPd3/182);tengo d’occhio l’ora e quando mancano sette o otto minuti al suono della campana, mifermo. Faccio sistemare gli attrezzi di lavoro, ci si rilassa un attimo, qualcuno fa qualchealtra domanda. […] nei miei primi anni, quando suonava la campana, io stavo ancoraparlando ad un pubblico che non mi ascoltava più già da un bel po’. Adesso, di solito, al-meno cinque minuti prima ci si ferma e ci si saluta. non do mai i compiti a casa, perchéi nostri allievi finiscono alle cinque di pomeriggio e ritengo che a quell’ora si debbano ri-lassare, giocare, fare quello che vogliono (FGita4/20).Può capitare che il suono della campanella sorprenda in piena attività, ma ge-neralmente i formatori considerano utile sospendere il lavoro qualche minuto primadella fine dell’ora. questo tempo può essere dedicato alla raccolta e all’analisi deilavori svolti dagli allievi durante l’ora, oppure ad un breve sommario, da proporreo da sollecitare, del lavoro compiuto, oppure ad un breve compito di scrittura sullalezione (“cerco sempre che rimanga qualcosa di scritto”), da condividere in aula,oppure all’indicazione di eventuali consegne da svolgere a casa, per la volta se-guente, oppure ad una breve anticipazione di ciò che avverrà nell’ora successiva,oppure semplicemente alla sistemazione degli “attrezzi di lavoro” e ai saluti.
2.9. La ricchezza di pratiche “povere”concludiamo questo paragrafo dedicato alla lezione con le sintetiche conside-razioni di A. (FGita4/17), formatore a San Donà, che ben esprime il senso di pra-tiche apparentemente povere, ma funzionali a costruire una cornice all’interno dellaquale l’apprendimento possa prendere forma e sedimentarsi:
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[…] il mio modo di far lezione è molto tradizionale; ho visto, ad esempio, che dettare,quando si sono fissate le regole di base, funziona. capiscono che scrivere quello cheviene detto conviene a loro, perché li aiuta a stare attenti e soprattutto capiscono che lamezza pagina di quadernone, con un linguaggio più comprensibile e più immediato, liaiuta anche ad affrontare le quattro pagine di libro. Di solito, anche usare una certa ripe-titività nel fare lezione è utile: la lezione comincia con il riprendere l’argomento prece-dente, correggendo i compiti, poi c’è una spiegazione, poi quello che abbiamo spiegatolo scriviamo nel quaderno, poi lo rivediamo sotto forma di schema, poi per casa ti chiedole stesse cose che ho spiegato a lezione… Ecco questo dà proprio una certa mentalità e lasicurezza di una lezione che si svolge in maniera regolare, tanto che, se tu non fai unacosa, sono gli stessi ragazzi che te lo ricordano: “Ma non facciamo…? non correggiamole domande? Ma oggi non interroga?”. in otto anni di cFP, ho notato che questo mi aiuta.[…] le pratiche povere sono in realtà pratiche ricche; sono quelle che ti permettono difare lezione. quando tu ha impostato la cornice, poi il quadro, l’opera d’arte la fannoloro; è comunque importante che tu dia la cornice in cui inserire le cose (FGita4/17).Strutturare la lezione assegnandole un certo ritmo e seguendo anche una certaripetitività di fasi e momenti, lungi dal mortificare o dal tarpare le ali della liberaespressione degli alunni, consente di guadagnare quella sicurezza che è necessariaper procedere speditamente nei territori della conoscenza ed esercitare l’arte di im-parare. È allora che diventa possibile apprezzare la ricchezza delle pratiche po-vere.
3. vALORIzzARe L’eSPeRIeNzA
come abbiamo già avuto modo di sottolineare, l’esperienza (da valorizzare oda proporre ai fini dell’apprendimento) è al centro dell’azione didattica dei forma-tori che operano in un cFP. centrare l’attenzione sull’esperienza comporta procedi-menti più lunghi di quelli che sembrano puntare dritti alla meta; del resto, in tuttociò che ha a che fare con l’apprendimento, la strada da preferire non è la più breve,ma quella che consente il tragitto più stimolante ed avventuroso ed apre ai pano-rami più affascinanti. ora, l’esperienza privilegiata nelle pratiche didattiche dei no-stri formatori è quella che ha a che fare con l’attività lavorativa e che analizzeremopiù avanti (cfr. il punto 5 di questo capitolo). Ma esistono anche altre forme di at-tenzione didattica all’esperienza, che vanno dalla ricerca di un aggancio alle espe-rienze già vissute dai soggetti, che aiuti ad esempio a cogliere il legame esistentetra letteratura e vita e faccia “toccare con mano” gli oggetti di apprendimento, allapriorità data al far vivere (che è anche un “far fare” e un “far narrare”) sullo spie-gare, alla sottolineatura del valore d’uso delle conoscenze, in particolare di quellelinguistiche, a più complesse forme di predisposizione e di proposta di esperienzeche, per i soggetti in apprendimento, non sempre sarebbe facile vivere al di fuoridel contesto formativo; mi riferisco, ad esempio, a certe esperienze di fruizioneestetica e, in genere, culturale. Sono questi gli elementi che andremo ad esplorarein questo paragrafo.
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3.1. Far toccare con mano gli oggetti di apprendimentoSe gli oggetti di apprendimento su cui si lavora vengono percepiti dagli allievicome astratte enunciazioni teoriche, scisse dalle cose, è difficile che possano essereaccolti e integrati nel loro universo di significati ed è più probabile che vengano in-vece rigettati:quello che [...] mi sembra funzioni meglio è togliere l’insegnamento scolastico da unaspecie di limbo astratto. (il direttore di un tempo) mi diceva: “Attenzione, non puoi, coni nostri ragazzi, pensare di entrare nella loro mente, di avere insomma un dialogo, un col-loquio con loro – che è poi il passpartou per poter “far passare” i contenuti –, standosulle astrazioni, sui massimi sistemi! non esiste proprio, saresti tagliato fuori!”(intVr7/68).Si tratta – come è stato opportunamente suggerito a M. (intVr7) – di uscire dallimbo dell’astrazione, per portare gli allievi a fare l’esperienza di costruire dialogi-camente significati vitali. Del resto, non sembra corretto ridurre l’attività del pen-sare al solo confronto con concetti astratti. Vanno riconosciute anche le forme con-crete del pensare e la conoscenza è chiamata a diventare gesto, azione, pratica. il“luogo” (non tanto fisico ma mentale) deputato alla sua costruzione è principal-mente il laboratorio, da non limitare a quelli professionali (di cui sono, in genere,riccamente dotati i cFP salesiani) e da allargare allo spazio dell’aula normale, incui rendere possibile un confronto pratico e complesso con le cose di cui ci si vuoleimpadronire. Molti sono i modi a cui i nostri docenti ricorrono per far “toccare conmano” gli oggetti di apprendimento e trasformare l’apprendimento in attività. quidi seguito ne riportiamo alcuni.3.1.1. Agganciare i contenuti all’esperienza degli allieviAbbiamo già dedicato un paragrafo a come i nostri docenti gestiscono la le-zione. il racconto di D. (intMe1) ci consente di affrontare il tema della lezione dalpunto di vista dell’esperienza. Anche la lezione infatti rappresenta una specialeforma di esperienza, nella quale un ruolo importante è giocato da elementi quali iltono di voce, il contatto visivo, le espressioni facciali, i gesti, i movimenti. l’a-spetto che viene sottolineato nel brano che segue è l’importanza di agganciare al-cune esperienze pregresse degli allievi con ciò che costituisce l’oggetto principaledella lezione:la lezione prosegue con [...] la spiegazione da parte mia di aspetti su cui magari vogliofocalizzare l’attenzione, anche con una certa vivacità. Mi accorgo che qui si trasmettemolto della motivazione del docente. certe volte, con poche parole, con un appigliogiusto, si risveglia l’attenzione, per cui bisogna saper guardare gli allievi negli occhi e,quando si parla, vivacizzare l’attenzione (intMe1/100). questo aspetto è molto legatoalla conoscenza della propria materia, alla motivazione del docente e, mi rendo conto,alla sua persona: non so se quello che faccio io [...] può essere utilizzato da tutti [...](intMe1/104). […] nel tempo mi sono accorto, per esempio, che è importante legare l’at-tenzione a quello che stai trattando ad aspetti della loro esperienza [...] (intMe1/106). labiografia di un autore, ad esempio, può essere percepita come arida e distante […]
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(intMe1/108). Allora bisogna riuscire a legare alcuni aspetti della biografia ad aspetti chepossono essere propri anche della loro esperienza; ad esempio, gli spostamenti di città edi abitazione sono situazioni che possono stimolare a livello personale: “cosa vuol direspostarsi?” – Verga abitava a catania e si sposta a Firenze, si sposta a Milano –, “Avetepresente? Vi siete mai spostati dalla vostra città?”; questo serve per tenerli svegli. Bi-sogna stare attenti a calibrare bene questo elemento (intMe1/112), a dargli cioè il giustospazio, perché altrimenti il loro pensiero interiore, che è molto vivo, li porta ad allonta-narsi dalla spiegazione; perciò serve lo stimolo giusto, legato [...] a ciò che si sta facendoin quel momento in classe. questo, per esempio, si può fare utilizzando lo stimolo visivoe la parola, nel senso che scrivi quello che ti interessa tenere a mente e lo lasci scritto allalavagna e magari fai a voce questo riferimento, che è più facile e arriva molto più diretta-mente (intMe1/114). […] nella biografia di un autore, si scopre ad esempio che, nellafase adolescenziale, la famiglia, soprattutto in passato, imponeva un certo tipo di per-corso […] – penso a Boccaccio, al percorso mercantile, quando lui assolutamente cer-cava lo studio delle lettere, delle arti – e allora dico: “Pensate alla vostra esperienza. chiè che vi ha fatto scegliere questa scuola? cosa volevate fare?”. qui c’è un vissuto cheemerge, che bisogna anche un po’ addomesticare, perché altrimenti si fa terapia digruppo e questo non è l’ambito adatto per tali cose (intMe1/146). Bisogna pungolare nelmodo giusto e nei momenti giusti, anche dando gli spazi giusti e richiamando poi: “Sì,vedete...”, per ritornare magari sullo scritto, però tutto questo è molto utile, perché ri-mane proprio impresso, diventa un’esperienza personale, come in laboratorio; se il pro-fessore spiega loro come si fa un buco, dice: “Andate al trapano, ragazzi”, e tutti vannoal trapano, perché vogliono provare e quella diventa un’esperienza personale [...]. Mirendo conto che questo è uno sforzo per il docente [...], perché magari certe volte i do-centi di questa disciplina hanno una formazione solamente teorica; la difficoltà è proprioquella che bisogna essere ricchi umanamente, perché con questi ragazzi non si può dire:“Va beh, è così, punto e basta!”; questi ragazzi non sopportano il “punto e basta”(intMe1/150).Perché anche la lezione assuma per gli allievi i caratteri dell’esperienza perso-nale, analoga a quella che possono vivere in laboratorio, e non del rito noioso esubìto passivamente, è importante che il docente riesca a collegare i contenuti dellapropria disciplina all’esperienza degli allievi, a qualcosa di tangibile. in questa ope-razione, il formatore mette in campo tutte se stesso, la sua cultura, il suo modo diessere, la sua professionalità. Si tratta di non rassegnarsi all’idea che la vita deipropri allievi sia irrimediabilmente distante dai contenuti che si vogliono proporree di non limitarsi alla constatazione, priva di speranza, che “le cose stanno così!”. ilproblema non è ribadire il proprio amore per la cultura e la letteratura (“Punto ebasta!”), lamentandosi magari del fatto che questo non sia condiviso dagli allievi,ma ostinarsi a coltivare le menti e i cuori dei propri alunni tramite l’incontro con lacultura e la letteratura24. Per questo è importante trovare accessi al loro mondo,punti di incontro con quel vissuto di cui sono pieni e spesso addobbati gli zaini concui ogni giorno i ragazzi arrivano al cFP. nel racconto di D. possiamo apprezzareanche il modo di farlo: la cura del contatto visivo e del tono di voce; l’intelligenza
24 in questo senso le affermazioni del nostro docente sono molto diverse da quelle espresse daPaola Mastrocola nel suo lamentoso ultimo libro (Mastrocola, 2011).
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di inserire il pungolo giusto al momento giusto, per evitare che l’immaginazionedei ragazzi li porti a vagare a vuoto e per ricondurre la loro attenzione sull’oggetto;l’uso appropriato della lavagna, su cui fissare alcuni concetti chiave, per non allon-tanarli dal focus e visualizzare il percorso e il suo farsi; il ricorso alla narrazione dianeddoti, proposta e sollecitata, per imprimere i concetti; l’“addomesticamento”dei vissuti che emergono, per evitare di spostare tutta l’attenzione sui vissuti, ap-punto, e distoglierla dagli oggetti culturali. la pratica è fatta anche di questi deli-cati micro-equilibri.3.1.2. Selezionare i contenuti con attenzione anche a ciò che può essere signifi-cativo per gli allievil’attenzione agli interessi degli allievi viene fatta funzionare, da parte dei no-stri docenti, anche nella scelta dei contenuti. non si tratta di chiedere agli allievi seun determinato contenuto, ad esempio Dante, sia o meno di loro gradimento o discegliere argomenti facili e alla portata di tutti, ma, come abbiamo visto anchesopra, di avvicinare i contenuti all’esperienza dei soggetti, anche selezionando ciòche più di altro può aiutare in questo:anche su Dante non puoi spiegare tutto (intMe1/420); seleziono [...]. È quello il ruolo deldocente: fare da setaccio (intMe1/422): [...] l’approccio alla Divina commedia [...],come mondo, come struttura, qualcosa dell’inferno, il primo canto, [...] poi mi piacemolto il canto di Paolo e Francesca, che è un mio cavallo di battaglia (intMe1/424), so-prattutto quando arriva “galeotto fu il libro e chi lo scrisse” (intMe1/426); anche quelloserve; di fatto, poi dici: 2Ragazzi, stiamo parlando di un autore di settecento anni fa!”(intMe1/430);nel secondo quadrimestre [...], leggiamo avventure o gialli, così i ragazzi vengono a co-noscenza anche di alcuni generi letterari […] (intVr4/24). Abbiamo letto i gialli classici,Sherlock Holmes, per esempio, o Maigret. Poi ho detto ai ragazzi che anche in italia cisono degli ottimi autori, che vanno anche di moda, come l’autore di Montalbano, Andreacamilleri, o come carlo lucarelli, che però a me personalmente piacciono meno, perché[...] escono un po’ dal giallo classico, dal giallo d’investigazione; lì entrano altri argo-menti come, per esempio, la mafia, nel caso di Montalbano... (intVr4/26). […] Perquanto riguarda le prime classi, [...] ho adottato un’antologia, dove ci sono sia raccontiscritti da ragazzi, sia racconti che trattano tematiche tipiche dell’adolescenza. Ecco, conla tematica, [...] ho trovato la chiave per aprire un po’ i loro cassetti, perché faccio leg-gere e faccio riflettere su problemi che molti di loro hanno e quindi è un gioco facile siafar capire il brano, sia poi farli parlare di loro stessi, delle loro esperienze, perchéchiunque di loro ha qualcosa da dire; non abbiamo ragazzi vuoti! (intVr4/20) […] que-st’anno ho trattato con loro la tematica dell’accettazione degli adolescenti da parte degliadulti e ho letto per esempio [...] un brano di un libro di Giuseppe Pontiggia, da cui èstato tratto il film di Gianni Amelio, Le Chiavi di Casa, in cui c’è un ragazzo disabile[...], Paolo, che ha proprio grossi problemi, grosse difficoltà, legate al rapporto con ilpadre, più che al fatto di essere disabile; la tematica è amplissima, interessantissima,perché riguarda il rapporto genitori e figli, il rapporto dei ragazzi con gli insegnanti e congli adulti in genere. Abbiamo letto alcuni brani tratti da Nati due volte di Pontiggia […],ma anche autori stranieri, per dare ai ragazzi una panoramica più generale [...]. il mio de-siderio è farli riflettere sulla realtà che li circonda, oltre che su loro stessi [...]; opere ce
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ne sono tantissime. nel primo quadrimestre, con la prima, imposto tutto il percorso sulleletture: leggo quattro, cinque opere e li faccio riflettere su questo (intVr4/24). […] con leprime classi [...] ho lavorato sulla lettura e sul farli riflettere su loro stessi, sulla realtà esulla problematicità dell’adolescenza. loro ci si ritrovano pienamente e capiscono che sista parlando di loro (intVr4/54);delicata è la scelta dei brani; cerco argomenti che comunque li interessino; quindi, perdire, [...] si possono inserire anche brani di letteratura, [...] quest’anno abbiamo inseritoanche la Giara di Pirandello, per esempio, [...] o Il gatto nero di Poe [...] (intMi1/66) obrani sui videogiochi di Ammaniti [...] (intMi1/70). […] quest’anno abbiamo puntato sudue nuclei: il primo era legato alla lettura, non integrale ma consistente, di un romanzo,quello di niccolò Ammaniti, Ti prendo e ti porto via: la parte dedicata agli episodi dellascuola, quando i ragazzi entrano a fare disastri nella scuola, [...] anche perché l’annoscorso hanno affrontato il tema del bullismo e comunque le problematiche esistono; lascelta di questo argomento era stata anche dettata dal fatto che si erano verificati com-portamenti a volte a rischio, un po’ problematici. Allora, [...] dovendo scegliere [...] argo-menti che comunque, per certi versi, li potessero catturare, interessare, ho fatto una sceltache è stata apprezzata [...] (intMi1/90). […] cerco di scegliere anche delle cose che piac-ciono a me, perché le spiego sicuramente meglio, ci metto di più anima; a spiegare unacosa che non mi piace farei molta più fatica [...]. cerco di scegliere una cosa che co-munque possa interessare a loro: […] ad esempio, il discorso del terrorismo […] comearma, come metodo di guerra contemporaneo […]; su questi aspetti ho molto insistito,anche attraverso alcuni articoli di Gino Strada, per esempio, che approfondiscono il temadelle mine. cerco di inserire tutte letture che possano essere un po’ stimolanti, che ser-vano così a riflettere e a leggere il presente (intMi1/112). [...] Abbiamo letto dei branitratti da Tre metri sopra il cielo, perché era la moda; a volte ci si lega anche a questiaspetti, perché comunque qualcuno questo romanzo lo aveva dentro lo zainetto, non tuttichiaramente [...], ma c’è qualcuno che legge spontaneamente, per cui a volte lo spuntoper la scelta parte anche da queste cose; vedi che qualcuno è interessato ad una cosa edici: “Va beh, proviamo, magari non va, magari va…” [...], chiaramente tenendo fermidei capisaldi, cioè devi fare il testo argomentativo, devi fare determinate cose [...], però ildiscorso sui personaggi, il discorso sul tempo storico, lo puoi fare con tante cose; [...]certo, si cerca di scegliere brani non banali, non stupidi, che servano per ragionare. l’ag-gancio con il loro vissuto, con le loro esperienze, si cerca sempre di salvarlo(intMi1/142). i brani sui videogiochi che abbiamo letto nelle tre prime [...] erano belli; cen’era uno che mi è particolarmente piaciuto, che parlava di “GTA”, che sinceramentenon so che cosa sia, ma loro lo conoscono tutti, o quasi tutti; [...] io in classe cercavo dispiegare come funzionava questo videogioco e poi mi hanno spiegato loro, mi dicevano:“no, non è così, prof...” [...] (intMi1/142); da lì siamo andati a ragionare, perché poic’era un’intervista allo scrittore Ammaniti, che era videodipendente e non riusciva nem-meno a terminare un romanzo perché era preso da questi videogiochi; abbiamo presoquesta pagina di intervista in internet […] e abbiamo lavorato anche su questo. Tuttequeste cose vengono sul momento, non sono messe in programma; non c’erano sull’anto-logia; […] il brano l’ho trovato dopo, però loro conoscevano già Ammaniti, che avevascritto Io non ho paura; era uno scrittore che loro già conoscevano; poi ho detto: “questoha scritto anche questa cosa”; quando hanno visto GTA, si sono subito attivati..., ma puòessere così, se gli propongo i Promessi Sposi? (intMi1/144).D. (intMe1), come abbiamo già visto (cfr. punto 2.4.1.), non ha paura di pro-porre Dante. Sa che anche Dante “può servire” e che anche a partire dalle opere delpassato è possibile generare particolari vibrazioni in chi legge. c. (intVr4) cerca la
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chiave per “aprire i loro cassetti” e scopre che spesso l’esperienza che è possibilevivere leggendo e immedesimandosi nelle vicende narrate genera il desiderio diraccontare a propria volta le esperienze vissute e dunque a riflettere su di sé e sulmondo. A. (intMi1) nomina diversi criteri di scelta, da contemperare: ciò che puòpiacere ai ragazzi, perché cattura il loro interesse o aggancia il loro vissuto, ciò chepiace al docente e che egli può comunicare con “più anima”, ciò che è di moda, eche magari qualcuno porta già con sé, dentro lo zainetto, ciò che può aiutare a leg-gere il presente e a ragionare. Si possono scegliere diversi testi, il problema è riu-scire a sviluppare specifiche abilità (quella di distinguere le differenti tipologie te-stuali, di riconoscere la struttura interna dei testi stessi, di sviluppare un pensieronon banale ecc.), attraverso tali diversi testi. non è detto che funzioni. A questo ri-guardo, come sempre, bisogna ricorrere al principio didattico fondamentale del“proviamo, vediamo cosa succede se…”.nel brano che segue, K. (FGita4), che insegna inglese in un cFP del Veneto, ciracconta che, per trovare un accesso al mondo dei suoi allievi, ha dovuto impararead amare il calcio:ho tutti maschi in classe e devo dire che ho imparato ad amare il calcio, soprattutto il lu-nedì mattina, le prime due ore, con una classe con la quale non c’era verso di fare un mi-nimo di lezione. in pratica, prima ho fatto loro descrivere un campo da calcio così com’è,in italiano, e li ho sollecitati a raccontare com’era andata la domenica calcistica, secondoloro […]; dopo di che, abbiamo cominciato a buttar giù qualche vocabolo calcistico e atradurlo in inglese, e poi, via, via, ho portato in classe degli spezzoni di partita, per spie-gare il present continuos, oppure il past simple e i vari tempi verbali, però alla fine eranoloro che mi dicevano quello che stava succedendo nello spezzone che stavo facendo ve-dere. Sono partita da quello che amavano loro, il calcio, per riuscire a spiegargli un po’ diinglese (FGita4/11).la strategia di K. è di partire da ciò che i ragazzi stessi amano, di amarlo apropria volta, perché loro stessi arrivino ad amare ciò che l’insegnante ama25. Sele-zionare gli oggetti culturali in base ai criteri nominati sopra comporta una certaflessibilità rispetto al “programma”, come vediamo nel racconto che segue:se io vedo che un argomento interessa, lo amplio anche con altre cose, che non sono pre-senti sui libri di testo, quindi porto articoli o altre cose; questo mi porta a volte a sforaresulla tempistica, però poi questo lo giustifico sul registro, perché è possibile farlo [...], te-nendo conto del tipo di interessi, del tipo di rispondenza che hanno i ragazzi; […] allafine, l’importante è che acquisiscano determinate competenze. Per cui, se vedo che un ar-gomento o un certo nucleo di tematiche, interessano, allora magari preferisco andareavanti per due, tre, quattro ore, rispetto all’impostazione iniziale, e poi, alla fine, sul regi-stro, giustifico questo, proprio facendo riferimento agli interessi della classe; è una cosapossibilissima e lecita, e mi sembra anche logica [...] (intMi1/86); [...] le ore sono poche,quindi si cerca di giocare sulla vicinanza degli argomenti, per costruire un percorso lo-gico, sensato. Gli argomenti non sono scelti in sé, ma cercando di far vedere che co-munque sono collegati e puntano verso un certo obiettivo (intMi1/98).
25 non è un caso che ci troviamo in un ambiente salesiano.
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la professionalità del docente si esprime anche nella libertà responsabile cheesercita nei confronti del programma e nel modo in cui sa dar conto delle scelte checompie. Anche E. (intMe7) sottolinea, con i vari esempi riportati nel brano se-guente, l’importanza di ancorare i concetti a qualcosa di concreto e tangibile:in prima, ho trattato [...] la civiltà egizia, e una modalità diversa che ho utilizzato è stataquella di portare (intMe7/79) le diapositive di un viaggio che avevo fatto in Egitto; hoproiettato loro le diapositive e da quelle sono partita per spiegare la civiltà egizia: mo-strando la civiltà attuale, come le persone vivono oggi, sono passata ai monumenti e, dalì, a ritroso, sono arrivata alla civiltà egizia [...] (intMe7/81); la risposta è stata positiva,perché i nostri ragazzi hanno difficoltà ad ascoltare per tanto tempo, a seguire una le-zione frontale [...] e quindi devi trovare sempre qualcosa che li tenga vivi, che li rendapartecipi; magari la diapositiva, con me vicina al monumento, e il loro: “Ma allora esisteveramente! Tocchiamo con mano…” […] (intMe7/83). […] Da evitare [...] è la sola let-tura del testo: “Bene, ragazzi, oggi spieghiamo Verga: Verga è nato lì, è morto lì, hascritto questo, questo e questo. Studiate da pagina tot a pagina tot...” (intMe7/85). Perspiegare Verga e il verismo, ho portato delle immagini di Fattori (intMe7/89), il pittore;[…] sono quindi partita dalla pittura (intMe7/91), perché il verismo è rappresentazionenuda e cruda della realtà; questa cosa l’abbiamo ritrovata... (intMe7/93) non soltanto inletteratura, ma anche nell’arte in generale: “Vedete questo? Bene, [...] potrebbe essereuna fotografia”. Da lì sono poi arrivata al concetto di “verismo” (intMe7/95), perché lorodevono avere degli esempi, devono capire praticamente; quindi, spiegare il verismo,qualcosa di assolutamente distante, ai nostri ragazzi (intMe7/97) è possibile partendodalla concretezza, da un qualcosa di tangibile. […] in quel modo […] ho introdottoVerga, ho potuto spiegare che cos’è il verismo, ho presentato la biografia di Verga, ricol-legandomi anche alla situazione storica, che avevamo trattato in storia (intMe7/99), al-l’arretratezza economica dell’800 in italia […], durante la rivoluzione industriale [...]; hoconsegnato le verifiche di storia, la settimana scorsa, sulla rivoluzione industriale, e c’erauna domanda sull’italia e alcuni ragazzi hanno inserito Verga e la questione meridionaleall’interno della propria prova di storia. E questi sono ragazzi che non ne volevano sa-pere assolutamente di storia! (intMe7/101). […] in terza, facciamo Ungaretti, in italiano,e, in storia, la prima guerra mondiale, il periodo che va dalla prima alla seconda guerramondiale, il fascismo, il nazismo. [...] Analizzare un autore è sempre difficile: come lopresenti Ungaretti? Allora, glielo presento come poeta soldato (intMe7/105) e quindicome poeta che ha vissuto e scritto nelle trincee. [...] li abbiamo portati a visitare letrincee [...] (intMe7/109) sul Montello; loro hanno vissuto e visto in loco le trincee, checos’era una trincea; c’era la guida che ha spiegato loro come si costruisce una trincea[…]; avevano dunque già un’idea di che cos’era la trincea, perché loro erano stati là, l’a-vevano vista (intMe7/113); non era una cosa che studi soltanto nei libri di storia, nei librid’italiano, c’è, esiste (intMe7/115), ne avevano un’esperienza diretta (intMe7/117). Da lìho potuto dire che Ungaretti è stato un poeta soldato, ha scritto quando era in trincea; [...]abbiamo potuto analizzare la poesia “Veglia”, quando lui vegliava a fianco di [...] uncompagno morto: “cosa vuol dire vegliare un compagno, quando sei in trincea?”. “Sì,perché noi siamo stati in trincea, la trincea era fatta così, era stata costruita così. come siviveva in trincea? quali erano le condizioni igienico-sanitarie? [...]”. (intMe7/119). [...]Da lì siamo partiti anche per la guerra di posizione, la prima guerra mondiale, dove èstata combattuta, nei nostri luoghi; un ragazzo che vive a crocetto del Montello, hadetto: “Eh sì, perché nelle mie zone sono tutte trincee, sono tutti luoghi dove è stata com-battuta la prima guerra mondiale”. È andato là, c’era il museo della grande guerra, haportato delle immagini. Ha preso degli opuscoli. Siamo riusciti ad interessarli, facendogli
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fare un’esperienza diretta. Poi, […] questo ragazzo mi ha detto che conosceva una per-sona, il presidente dell’AnEi, l’associazione nazionale ex internati, mi sono fatta dare ilnome, mi sono messa in contatto, l’ho portato qui a scuola, ha raccontato la sua espe-rienza di internato nei campi di concentramento; abbiamo fatto lezione di storia in aulamagna, con una persona che aveva vissuto la guerra, aveva vissuto la deportazione neicampi di concentramento, dopo l’armistizio di Badoglio […]. Alcuni ragazzi mi hannodetto: “Prof, io questa mano non me la laverò per giorni, perché io ha dato la mano a unapersona che ha combattuto la guerra mondiale, […] che ha vissuto nei campi di concen-tramento” (intMe7/121); e hanno fatto [...] tre ore di lezione di storia – impensabile! –[...] in aula magna, con una persona, un ex combattente che (intMe7/123) ha portato lasua testimonianza, una persona che ha pianto, quando ha raccontato, che ha portato delleimmagini, un filmato dell’epoca da visionare (intMe7/125).Si tratta di creare situazioni che consentano di comprendere praticamente, diaccompagnare cioè la comprensione al fare, di conoscere attraverso canali anchediversi da quello solo simbolico, come quello iconico, percettivo, esperienziale26.3.1.3. Partire da situazioni simulate e/o esempiil ricorso ad esemplificazioni e simulazioni, soprattutto in fase iniziale di le-zione, esprime un approccio pratico ed esperienziale ai vari argomenti, in tutte learee disciplinari, orientato a far sì che i concetti si aprano alla comprensione. Di se-guito, riporto alcuni dei numerosissimi esempi relativi all’asse dei linguaggi e aquello storico-sociale.c. (FGita4/5), che insegna Economia a catania, propone il gioco del Monopolicome simulazione che aiuta a riflettere su diverse dinamiche economiche:con una classe particolarmente complicata, avevo fatto, in “cultura d’impresa” tutto ciòche riguardava il budget, la gestione delle risorse e le scelte economiche. Ho portato ilMonopoli, che ha un massimo di sei giocatori, quindi ho costituito gruppi di tre ragazziche dovevano anche […] riuscire a mediare tra di loro le scelte; io facevo da banca e daosservatore; ho dato delle regole di base, per giocare in modo ordinato. loro si sono di-vertiti tantissimo, hanno giocato a Monopoli; si è arrivati poi al punto del gioco in cuiqualcuno ha fallito, altri hanno vinto. Alla fine di questo gioco, insieme abbiamo vistocome si sono comportati all’interno del gruppo, quindi tra loro, e come ciascun gruppoaveva fatto scelte diverse. concretamente c’era chi, avendo un po’ di soldi, immediata-mente cercava di comprare una casa, chi invece ha aspettato di avere un certo quantita-tivo di soldi e solo alla fine ha cominciato a costruire e quindi poi non si è trovato in dif-ficoltà; hanno fatto proprio delle scelte economiche sulla base della gestione delle ri-sorse. Giocando hanno capito cosa significa programmare le scelte e gestire le risorseche hanno a disposizione. Hanno anche capito […] che il criterio è sempre uno: io cercodi avere il massimo profitto con il minor sacrificio, che poi è una teoria economica; perònella misura in cui io mi ero limitata a dare questa spiegazione loro non avevano capito,poi, quando […] si sono messi a giocare, concretamente hanno sperimentato che cosa si-gnificava e devo dire che stato molto efficace (FGita4/5).
26 in questo intravedo alcuni aspetti dell’apprendimento “percettivo-motorio” di cui parla Fran-cesco Antinucci, distinguendolo da quello “simbolico-ricostruttivo”. cfr. Antinucci, 2001.
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MG. (intPd2), che insegna a Padova, imposta il lavoro sul tema “comunica-zione” proponendo di simulare situazioni ricavate dall’esperienza quotidiana o diosservare un video senza il sonoro, per analizzare gli aspetti non verbali della co-municazione, mentre l. (FGita4/4), che insegna a Gela, propone l’esperienza deltelefono senza fili per far riflettere sulle dinamiche comunicative:in prima, la competenza comunicativa si basa proprio sull’affrontare i contenuti legatialla comunicazione: che cosa sono la comunicazione, il processo comunicativo, gli ele-menti della comunicazione […]; cerco di tradurre tutto a livello molto pratico, anche conpiccole scenette in classe, per cui i ragazzi devono individuare chi è il mittente, chi è ildestinatario e via dicendo (intPd2/18); posso far vedere ai ragazzi la scena di un filmdove c’è un dialogo con delle persone; a volte, per far rilevare l’aspetto non verbale dellacomunicazione, tolgo l’audio e dico: “Ragazzi, che cosa capiamo attraverso questa con-versazione o attraverso la mimica dei personaggi che vediamo?” e, a partire da questoapproccio anche pratico, in cui loro vedono qualcosa, risalgo agli elementi della comuni-cazione. Evito il più possibile di fare la famosa lezione: “Apriamo il libro a pagina 20…:definizione di comunicazione...”, perché so che alla fine non rimane loro proprio niente.Arrivo poi alla definizione di “comunicazione”, ma cerco di arrivarci con i ragazzi(intPd2/24);nell’introdurre “comunicazione” […] io avevo già in mente quello che dovevo fare, ilsenso finale del lavoro, mentre i ragazzi no. Entro in classe con un registratore […]; in-vito cinque ragazzi ad alzarsi; loro sono completamente all’oscuro di tutto, non sannoquello che li aspetta. Escono in quattro, soltanto uno dei cinque resta, quindi si creaquesta suspense. neanche i compagni sanno cosa li aspetti. quelli fuori non devono asso-lutamente sentire né sbirciare. la prima tentazione che hanno infatti è quella di guardaredentro l’aula; poi hanno paura, se passa il tutor, di dover giustificare perché sono fuoridalla porta. il primo che entra lo sottopongo alla lettura di un articolo di giornale, un arti-colo che ho scelto io, piuttosto complicato, dove ci sono vie e date da ricordare e anchequalche nome. il primo legge l’articolo e poi lo racconta ai compagni della classe par-lando al registratore; io registro e poi lo faccio accomodare al suo posto. il secondo – ilprimo di quelli fuori, che entra in classe – non legge l’articolo, ma lo ascolta dal registra-tore, quando poi deve ripeterlo – anche lui davanti al registratore – viene fuori natural-mente che ha omesso un sacco di informazioni. È un telefono senza fili e si va avanticosì, fino al quinto ragazzo. l’ultimo addirittura riesce […] ad inventarsi delle cose, ma-gari indotto a questo dai compagni che suggeriscono; vengono fuori cose abbastanza di-vertenti. […] Poi naturalmente c’è il confronto finale: la classe mi aiuta a tirare fuori […]la nostra incapacità di ascolto: in realtà non siamo in grado di ascoltare gli altri; c’èsempre un’interpretazione […]. l’insegnante dovrebbe essere anche abile nello sceglierecome primo un elemento che abbia buona memoria, perché altrimenti, già alla prima let-tura, il gioco si perde […] (FGita4/4).S. (intMe4) ed E. (intMe7), insegnanti di Storia, raccontano qui di seguito dicome si aggancino ad elementi propri dell’ambito militare o all’esperienza che i ra-gazzi possono quotidianamente fare osservando le vestigia medioevali presenti sulterritorio:posso giocare su tante cose; ci sono alcuni aspetti che possono toccare, non so, l’ambitomilitare, che attira un po’ i ragazzi, e con cui posso giocare: [...], per esempio, nellaprima, [...] da un’immagine riprodotta da un libro sull’utilizzo della balestra, è nata una
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spiegazione sulla balestra, sull’arco, sull’uso dell’arco che ha permesso la vittoria nella“Guerra dei cent’anni” [...] (intMe4/60); [...] è nato un discorso sulla balestra e una spie-gazione sull’armatura, sull’utilizzo della spada, sul tipo di spada, sull’arco gallese [...](intMe4/64);ad esempio, per la spiegazione del medioevo, che inizierò questa settimana, in prima,partirò dalle città medievali che abbiamo qua attorno, quindi, porterò delle immagini(intMe7/273), delle fotografie, oppure li porterò in aula informatica, mi collegherò in in-ternet e farò vedere loro Montagnana, farò vedere loro castelfranco, piuttosto che noale[...]; ecco che ritorna l’esperienza concreta, quella che parte dalle città medioevali pre-senti nelle nostre zone (intMe7/275); parto da quello per spiegare che cos’era la civiltàmedievale, che cosa era la città medievale, e quindi che cosa è accaduto nel medioevo.non andrò a focalizzarmi sulle date, oppure, spiegherò loro alto e basso medioevo, la di-stinzione, la cronologia, non la data fine a se stessa […] (intMe7/277). Secondo me, lacosa migliore è avvicinarli alla civiltà (intMe7/283) agli usi, costumi, abitudini; daquello posso inserire il perché si è arrivati a quello; quindi devo assolutamente inserire(intMe7/285) come si viveva nelle città medievali (intMe7/287). Ad esempio, ho appenaconcluso la civiltà romana (intMe7/287). Allora ho iniziato con la leggenda sulla fonda-zione di Roma, i sette re di Roma, però non ho assolutamente preteso dai ragazzi che miimparassero a memoria quali erano i sette re di Roma (intMe7/289), ...da che anno a cheanno, perché l’avrebbero imparato solo per l’interrogazione (intMe7/291), per la verifica,fino al voto; il giorno dopo se lo sarebbero dimenticato (intMe7/293). Ho puntato [...]sull’evoluzione di Roma, monarchia, repubblica, principato, l’organizzazione del go-verno di Roma; […] ho analizzato la differenza tra monarchia e principato; ho spiegatoloro la civiltà, come si viveva, cosa mangiavano; ho spiegato loro come erano le strade,come era costruita una città romana (intMe7/295), il cardo e il decumano, strade paral-lele e perpendicolari, e quindi li ho fatti ritornare al presente, al graticolato romano chetroviamo qua, a Santa Maria di Sala (intMe7/297): “Ecco, allora, perché sono tuttedritte...” (intMe7/299). quindi come le hanno costruite: ho portato loro la fotocopia diuna ricerca di un ragazzo di qualche anno fa, su come venivano costruite le strade, dallamalta i sassi, da lì poi abbiamo visto l’evoluzione di Roma fino all’estensione del grandeimpero (intMe7/303).Anche A. (intMi1) e K. (FGita2/26-48), nell’ambito del Diritto, imparano cheun lavoro “solo scolastico” non funziona, che è essenziale riuscire a mostrare il “ri-svolto pratico delle cose”, far toccare con mano, agganciare la realtà, partire da si-tuazioni ed esempi concreti, valorizzare l’esperienza di stage o di lavoro, solleci-tare l’incontro con testimoni:in diritto facciamo il discorso dei contratti e le leggi sul lavoro e l’economia […](intMi1/112) […]; la scelta degli argomenti è stata fatta proprio tenendo conto di chisono i ragazzi, per cui ci sono solo alcune ore dedicate ad alcuni concetti teorici [...]; poidiamo la possibilità di comprendere il sistema fiscale [...] concretamente, per esempio:che cos’è l’ici, che cosa vuol dire la parola iRPEF [...]; si cerca di dare loro un minimodi strumenti per capire queste cose; per arrivare a questo, l’ora non può essere impostataalla maniera dell’“Adesso ti spiego l’ici che cos’è!”; bisogna agganciarsi moltissimoalla realtà. questa mattina ho preso il disegno di legge di Bossi sul federalismo fiscale,che conteneva una serie di termini che andavano da iRPEF, a iRAP, a ici, e, quando ar-rivavamo a questi termini, andavamo sul fascicolo a leggerne il significato; […] è statauna lezione sì pesante, perché poi comunque loro intervengono tantissimo e vanno moltoguidati, però è stata anche una lezione in cui penso che un po’ di cose se le siano portate
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via. Per esempio, […] ho fatto loro degli esempi su cosa sono le tasse e cosa sono le im-poste [...]; alcune volte li spingo e dico: “chiedete a casa quanto pagano di ici, quantopagano di..., chiedetele queste cose” […]. Faccio molto leva su articoli di giornale, op-pure [...] su domande. Ad esempio, comincia un’ora di lezione e qualcuno fa una do-manda su un argomento che comunque si avvicina a queste cose; io dedico anche l’oraintera a questo, anche se non ho la pagina specifica del libro su questo argomento; è co-munque un argomento che posso ricondurre a cose che sono state spiegate o che dovròspiegare e che comunque sono collegate al discorso che stiamo portando avanti; cioè, sevedo che la classe è comunque attenta, dedico l’ora a queste domande, perché appunto loscopo è quello di avvicinarli a tematiche che comunque sono importanti, perché questiaspetti, che loro lo vogliano o no, […] che dicano o meno che non gliene frega niente, litoccano: le tasse le pagano e la busta paga ce l’hanno. Poi c’è una parte sulla flessibilità,sui contratti. Per esempio, sulla flessibilità, sto facendo vedere nelle terze il film Mipiace lavorare della comencini, che fornisce una serie di spunti, proprio sulla flessibilitàin generale, sul mobbing, [...] sulle tematiche del mondo del lavoro, tutti aspetti che por-tiamo avanti nella seconda parte dell’anno, quando il discorso si finalizza di più sull’u-scita; si danno quegli strumenti che, dati in prima, non avrebbero molto significato, mo-strando il risvolto sempre molto pratico delle cose; [...] fatti in prima, quando la prospet-tiva del lavoro è molto lontana, neanche ne coglierebbero l’importanza e non avrebberol’interesse di sapere il significato della parola iRPEF, per dire, o i tipi di contratto, checosa vuol dire “contratto a termine”, cosa vuol dire “a tempo determinato”, “a tempo in-determinato”, quel minimo di conoscenze che devono possedere; adesso, dopo lo stage,per esempio, che è importante, perché hanno visto e hanno parlato con i loro colleghi[...], fanno anche alcune domande su questo (intMi1/116), perché sicuramente hanno par-lato tra loro, hanno parlato con i dipendenti che hanno incontrato, hanno visto; peresempio, nella relazione sullo stage, uno degli aspetti che più sottolineano è il rispettodella gente che lavora, il rispetto sul lavoro, perché veramente sono rimasti colpiti da al-cune situazioni che hanno visto in un senso o nell’altro, per cui hanno colto che è moltoimportante far vedere quello che uno sa fare, ma anche il fatto che sul lavoro devi esserecomunque rispettato, trattato da persona; [...] io riprendo questi concetti, dando loro unaveste “giuridica”, cioè sottolineando i diritti e i doveri; ad esempio, insisto molto sui do-veri del lavoratore, sulla diligenza; ti dico un esempio concreto: sono in ritardo – che perloro è sistematico a scuola – “...ciò vuol dire che sul lavoro…”. Ecco queste cose qui,fatte in questa parte dell’anno, [...] hanno qualche ricaduta [...] (intMi1/118). chiara-mente, se gli argomenti […] li coinvolgono […], fanno lavori più significativi e otten-gono anche dei risultati; […] se il lavoro è molto scolastico, o molto teorico, le cose fun-zionano meno [...] (intMi1/122);per i contratti, in terza – diritto del lavoro – [...] è fondamentale l’apporto di chi di lorogià lavora, perché allora confrontano il contratto che [...] (FGita2/26) hanno firmato conciò che viene detto in classe (FGita2/28); ci sono ragazzi di terza che hanno già sedicianni e che magari, il venerdì o il sabato, vanno a lavorare; [...] uno di questi lavora da ungommista [...] (FGita2/30); c’è anche chi lavora [...] tutti i pomeriggi, ma sono pochis-simi, perché appunto le famiglie sentono molto il discorso della scuola [...] (FGita2/32);quando enuncio una teoria, chiedo: “ma tu che lavori già...”; magari [...] saltano fuoridelle novità [...]; per dire, una volta è uscito che un ragazzo, in busta paga, si trovava ca-ricati ogni mese 20 Euro per i DPi, mentre i DPi dovrebbero essere dati gratuitamente[...] (FGita2/36). i DPi sono i dispositivi di protezione individuale, quindi scarpe antin-fortunistiche, cuffie, occhiali, guanti; i costi venivano recuperati dall’azienda con 20Euro ogni mese in busta paga. Allora lì il ragazzo se ne è reso conto, ha parlato con il da-tore di lavoro, siamo subentrati noi con una telefonata e così lui non ha più pagato i 20
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euro (FGita2/38). quindi si tocca un po’ la loro esperienza personale: fargli provare conmano è fondamentale! (FGita2/40). Poi interagivano: “Eh, non è giusto che faccianocosì!”, oppure “Ma guarda che lì c’è scritto che devono fare cosà!”, per cui si è svilup-pata una discussione (FGita2/48).K. (FGita2/20) e RM. (FGita4/12), che insegnano inglese, ricorrono ad esempie proposte centrati sul lavoro, fanno fare simulazioni di dialogo e piccole espe-rienze che rendono i ragazzi consapevoli che è possibile – e bello – imparare:per quel che riguarda inglese, la difficoltà principale è convincerli a parlare [...]. Ho pro-vato a prendere delle macchine utensili piccoline, delle semplici morsette, una che ave-vano creato loro in officina e una che avevano acquistato gli insegnanti, e me le sonofatte descrivere da loro in italiano […]: che differenza c’era tra l’una e l’altra, cosa nota-vano, come era stata lavorata, i vari pezzi della saldatura, cose di questo genere; lì ho di-mostrato la mia, se volete, “ignoranza” nei confronti di queste cose che loro, invece, co-noscevano molto bene. Poi ho messo alla lavagna alcune parole, ovviamente tecniche, ininglese, e loro pian pianino, utilizzando quelle parole, mettendo insieme il verbo, il nomee qualche preposizione, dovevano creare delle frasi che riguardassero ciò che avevamoappena detto in italiano. Anche i più timidi ci hanno provato e sono uscite delle frasi cheabbiamo letto insieme e tradotto e poi confrontato con il testo che avevamo sulla dis-pensa [...]; si sono resi conto che sono stati bravi, hanno descritto anche loro bene o malequello che c’era sul testo, anche se molto più semplicemente, ovviamente. questo li haconvinti ad esercitarsi anche nel parlare; sono partita dalla loro esperienza e, sempre perlo stesso brano, [...], dividendoli in piccoli gruppetti, ho dato delle tecniche di memoriz-zazione per quelli che erano un po’ più in difficoltà; nel momento in cui hanno capitoche, con queste tecniche, facendogliele provare lì sul momento, riuscivano a ricordare epotevano ripetere i punti principali del brano, riassunti, sapendo quello che stavano di-cendo, la cosa era fatta: proprio sono partiti, sono decollati come classe (FGita2/20);sono nel settore della ristorazione, per questo il mio inglese è finalizzato, soprattutto apartire dai secondi anni; nei primi anni […] non si può chiedere di fare grandi cose,perché loro devono non tanto “riabituarsi” all’inglese, ma cominciare ad “amare” l’in-glese, cosa che nessuno mai ha fatto loro fare; hanno incontrato […] insegnanti che lihanno psicologicamente distrutti. Allora che faccio? […]. con la ristorazione, si fanno lericette, la presentazione al cliente in inglese, con il cliente in sala […]. Do loro la possi-bilità di inventare una ricetta usando i primi elementi della lingua inglese […]; è un in-glese sul campo, parlato; ho avuto buoni risultati […]. insegno inglese […] e “napole-tano”, nel senso che i miei ragazzi ascoltano solo musica napoletana. considerate che lamia formazione parte dai Beatles e arriva al rap americano; non sapete la difficoltà cheho avuto e le notti che ho dovuto passare a tradurre in inglese le canzoni di Gianni Vez-zosi e Toni colombo! […] i primi anni, la lezione si basa essenzialmente su dei cruci-verba […] elaborati […] la sera prima o ricavati da internet o preparati da tempo […]. iprimi anni non li puoi mettere di fronte all’inglese, perché ti dicono: “Giliano27, a nuatricosa ci stai cuntanno!” (“Giuliano, cosa ci stai raccontando?”, ndr). Vengono da unarealtà in cui sono stati ignorati, soprattutto nelle scuole medie; hanno subito dei veri epropri “assalti di indifferenza” da parte di molti insegnanti: “Tu non sai l’italiano, quindinon puoi sapere l’inglese!”. […] All’inizio, i loro occhi sono lucidi, perché non sannoche cosa li aspetta, cosa avranno da noi, e quindi la prima cosa che faccio, oltre a leggere
27 il nome è di fantasia.
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dei testi, è un cruciverba; non stiamo parlando di una didattica ortodossa, stiamo par-lando di quello che faccio prima di arrivare ad un altro tipo di metodologia […]. Ultima-mente ho fatto il cruciverba del tempo: tutti i termini che riguardavano il tempo; inquesto cruciverba ho fatto segnare loro le “inglesine”, le chiamo io così, cioè quelle let-tere dell’alfabeto che sono diverse dall’alfabeto italiano: “a, b, c le conosci, ma noi ab-biamo delle inglesine, nell’alfabeto inglese, che sono cinque in tutto; me le andate ad in-dividuare nel cruciverba e le segnate?”; allora loro […], segnando le lettere dell’alfabetoestranee all’italiano, risalivano alla parola; […] tutti hanno cercato e trovato le parole deltempo […]. Fanno anche lavori più impegnativi, sempre in inglese; li devono fare, li vo-gliono fare; nei loro occhi c’è un appello ad essere trattati come tutti gli altri ragazzi:anche loro vogliono salutare in inglese, anche loro vogliono dire due parole in inglese emi vengono a dire: “che significa questa frase?”, mostrandomi il testo di una canzone ininglese. il mio aggiornamento lo faccio ascoltando Rihanna e Shakira, perché loro ven-gono in classe a chiedermi la traduzione dei testi delle canzoni. Voi non sapete quanto èbello far apprendere loro il verbo “like”, “piacere”, attraverso le canzoni; lo sanno usarebenissimo! E lo riproducono, perché la musica li aiuta. naturalmente, alla fine della le-zione, quando hanno un esercizio difficile, io metto come sottofondo, secondo la diffi-coltà dell’esercizio, una canzone […]. Raggiungo risultati ottimi, anche se sono le ultimeore; devo mettere una canzone che non sia proprio lenta, […] che li coinvolga, chesmuova in loro un po’ di adrenalina. nello stesso momento in cui muovono un braccioper fare il tipico movimento di rap o di hip hop […], già hanno fatto la frase dell’eser-cizio, spinti proprio dalla curiosità di sapere (FGita4/12).Ricorrendo ad esempi tratti dalla vita di ogni giorno o dall’esperienza dei ra-gazzi, raccontando aneddoti, proponendo la simulazione di situazioni simili aquelle che gli allievi potrebbero incontrare fuori dal cFP, i formatori assumono untono più confidenziale ed espressivo e i ragazzi tendono ad ascoltare e a parteciparecon maggiore e più vivo interesse. Soprattutto, la concretezza aiuta a comprenderein modo più efficace e ad evitare che le parole rimbalzino su concetti che non vo-gliono sapere di aprirsi.3.1.4. AttualizzareUn altro modo che i nostri formatori hanno per dire l’esigenza di trovare unpunto di aggancio al mondo degli adolescenti di oggi è quello di ricorrere all’i-stanza dell’attualizzazione dei saperi nei loro contesti di vita. Si tratta ancora unavolta di far cogliere nessi, in questo caso tra passato e presente:(Si tratta di) attualizzare alcuni aspetti di quello che esponi (intVr7/62), trovare gli aggan-ci con l’attualità [...] e su questo aprire un dialogo con i ragazzi, in modo che loro stessianalizzino il loro modo di sentire, la loro posizione, come si sentono in questo tipo di“problema” [...]. quindi, agganciare la realtà e trasformare questo in stimolo (intVr7/64);credo che una prima parola d’ordine possa essere attualizzare [...] perché la domanda chefanno più spesso i ragazzi […] è questa: “Perché io devo studiare una cosa che è suc-cessa duemila anni fa, o diecimila anni fa?” (intVr4/14). Allora, loro mi chiedono questo[...] e io rispondo spesso così, che dagli errori che gli uomini hanno fatto nel corso dellastoria noi possiamo imparare, che ci sono molti processi storici che durano tutt’ora; e miviene poi facile, se parliamo di popoli come ad esempio quelli islamici, dire che la que-stione è ancora aperta e attualissima... (intVr4/16).
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l’aggancio alla realtà – che il docente fa e mette in grado l’allievo di fare – nonè solamente una facilitazione dell’accesso, diventa stimolo ad analizzare se stessi ead esprimere ciò che si pensa e ciò che si prova. Del resto, lo stesso atto del leggeree del comprendere si identifica con questa capacità di attualizzare, di trasformareparole antiche in parole d’uso abituale, riconoscendo ed accorciando le distanze.
3.4. Far raccontare esperienzela narrazione, sia orale che scritta, è una delle tecniche a cui i nostri formatori ri-corrono con maggiore frequenza, per accompagnare percorsi centrati sull’esperienza esul contatto personale con la realtà. Più avanti, soprattutto riguardo alla relazione tec-nica (cfr. il punto 5.2.2.), vedremo come questo approccio venga utilizzato in riferi-mento alle esperienze professionali. qui di seguito invece cercherò di illustrare in-nanzitutto le situazioni in cui i docenti di area culturale propongono esperienze ricchedi storia per sollecitarne successivamente una specifica narrazione; vedremo poi quel-le situazioni in cui la narrazione stessa, sottratta allo statuto un po’ arido di compitosolo “scolastico”, si trasforma in esperienza comunicativa ed espressiva, soprattuttonella forma della scrittura e, infine, metteremo a fuoco le delicate sollecitazioni a rac-contare esperienze vissute dai singoli allievi al di fuori del cFP. in tutti i casi, la narra-zione risulta efficace solo se connessa al vivo dell’esperienza.3.4.1. Far vivere esperienze che aiutino a pensarecome abbiamo ricordato sopra, agli allievi va offerta l’opportunità di vivereesperienze che difficilmente potrebbero vivere, al di fuori del contesto formativo, eche li possano aiutare a pensare e magari anche a rivedere criticamente alcune posi-zioni preconcette. M. (intVr7), che insegna italiano e storia nel cFP di Verona, rac-conta diverse esperienze di questo genere che ha proposto ai suoi allievi, in partico-lare viaggi e incontri con testimoni:forse pecco di presunzione, però diventa, secondo me, importantissimo anche far passaredei messaggi che a volte sono un po’ contro-culturali, [...] vista la cultura dominante [...];io, in questo, mi sento un privilegiato proprio perché, tanto per capirci, si può cercare dicontrastare la stupidità dilagante o quelle idee sbagliate che poi si basano su miti e leg-gende metropolitane. non so, penso alla visita a Dachau [...], con quelli di terza: io sa-pevo che qualcuno [...] presume di essere su posizioni di destra; nessuno è mai arrivato,in questi anni, a mettere in discussione l’olocausto, almeno in maniera chiara, però, in-somma, “Mussolini ha fatto anche delle cose positive...” (intVr7/74), dicono loro,“Hitler, beh, insomma, sì, era ‘fuori’, però la Germania si trovava in una brutta situa-zione...” (intVr7/76). Siamo stati a Dachau; lì li ho proprio visti colpiti, ne abbiamo par-lato. quando è successo l’omicidio di nicola28, ne abbiamo parlato; abbiamo visto il
28 M. (intVr7) si riferisce qui, come in altri passaggi, ad un tragico fatto di cronaca, che propriopoche settimane prima dell’intervista aveva sconvolto gli abitanti di Verona e aveva avuto risonanzanazionale: l’omicidio di nicola Tommasoli, un ragazzo di 28 anni, aggredito e ucciso a Verona, lanotte del primo maggio 2008, da un gruppo di ragazzi legati agli Ultras dell’Hellas Verona e vicini amovimenti di estrema destra.
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video di Annozero, lo spezzone con quell’individuo che parla di questa cosa, nel suo ne-gozietto – ad un certo punto bestemmia anche [...] –; ho visto che è un modo per inciderein maniera molto profonda [...]; cioè, li metti in difficoltà veramente; [...] c’è quello chela mette sul ridere: “Ma prof, io ci sono stato in quel negozio, è anche simpatico”. “Pro-viamo a riascoltare; ti rendi conto di quello che sta dicendo questo?” [...]. Diventi una“agenzia di contro-cultura” (intVr7/78). Bisogna trovare qualcosa per passare al “fare”; ildire non basta di sicuro, passa sopra le teste [...]; da una parte c’è una grossissima re-sponsabilità, se vuoi – è il bello di questo lavoro! – [...] nel cercare di essere d’esempio;è pesantissima perché, a volte, [...] nel piccolo, devi esporti personalmente, ti devi met-tere in gioco, nel senso che cerchi di far capire che voler bene alle persone, o provarciper lo meno, ti espone anche a delle fregature, però spesso ne ricevi del bene. Per dire,uno dei messaggi è che la diversità – usando un termine oggi un po’ abusato – è una ric-chezza e che quindi il Rom non è uno da mandar via, e qua ce ne sono tantissimi che tidicono: “Via questi qua! Evviva Tosi che li sta mandando via!”; fanno questi discorsi[...]; in classe, la maggioranza è su questa linea, probabilmente per sentito dire […], al-lora il continuare a far vedere documentari, far fare visite fuori – la visita a Dachau èstata una delle cose che abbiamo fatto, ma io avevo pensato anche […] di contattare e difar venire qualcuno delle associazioni dei Rom – [...] creare situazioni di contatto di-retto – per l’anno prossimo abbiamo contattato alcuni di Emergency –, tutto questo è im-portante. (intVr7/80). l’esempio [...], qualcosa di tangibile, li mette in crisi; ho notatoche è una cosa che li spiazza e li fa pensare; ma non ci pensano solo lì; dopo mesi, avolte [...], ti vengono a dire il risultato delle loro riflessioni; ti pescano in corridoio,quando meno te lo aspetti, e ti dicono: “Però, prof, è vero! Ho visto che mi è venuta adabitare vicino una che insomma fa la badante, ha tre figli da mantenere in Romania, e hovisto che è una buonissima donna”. insomma, queste cose valgono […] proprio nel sensoche vanno oltre il discorso scolastico; sono difficili da valutare, mi rendo conto, però [...]valgono più di nozioni, di date, di schemi... (intVr7/82).la visita a Dachau, l’approfondimento su un episodio di cronaca nera capitatonella loro città, il contatto diretto con testimoni in carne ed ossa, non ultimo l’e-sempio personale (che è ancora una volta un far fare esperienza di un certo tipo direlazione) sono tutte modalità per passare “dal dire al fare” e dare consistenza alleparole che si pronunciano. questa strategia è tanto più importante quanto più gli“oggetti” di apprendimento non sono solo contenuti culturali, ma anche contenutivaloriali29. Attraverso la sua azione, il nostro formatore cerca di offrire elementi sucui esercitare gli strumenti del pensiero e di espressione del pensiero che sonopropri delle sue aree disciplinari.Anche altri formatori collocano le uscite e le visite tra le esperienze significa-tive da far vivere e su cui attivare pensiero. nel brano che segue, MG. (intPd2) rac-conta diverse esperienze di visite proposte ai suoi allievi e le modalità a cui ricorreper far diventare tali esperienze significative dal punto di vista educativo:quest’anno, in prima, ho organizzato un’uscita a Schio, per visitare il laboratorio di tec-nologie industriali, perché loro, [...] nell’area socio-storico-economica, fanno una parte
29 il rischio di limitarsi alle parole e di non passare a qualche forma di esperienza è di scadere nelgenere letterario della predica edificante che spesso produce effetti controproducenti nei ragazzi (cfr.Armellini, 2008, p. 99).
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di storia e una parte di economia e, in prima, affrontano tutto il processo di industrializ-zazione, studiano la rivoluzione industriale e via dicendo [...]. Per prepararsi, hanno fattouna ricerca in internet (intPd2/166). […] (il problema è) come si cerca in internet; [...] iragazzi viaggiano in internet, sono bravissimi, sono più bravi di noi, però dopo non leg-gono quello che trovano. cioè [...], per prepararsi all’uscita a Schio, ho detto: “Ragazzi,scaricatevi del materiale! ovviamente lì [...] avremo una guida, però scaricatevi del ma-teriale, in modo da sapere cosa andremo a vedere”. loro hanno scaricato immagini, testiecc., e io ho detto [...]: “Eh sì, avete passato due ore davanti al computer, avete scaricatoi testi, ma avete letto quello che avete scaricato?”. Mi hanno detto che non lo avevanoletto (intPd2/173). “Dovevate fare voi [...] una sintesi”. [...] Fare la sintesi implica che tulegga il testo (intPd2/174), lo capisca e anche reperisca le informazioni che vanno ripor-tate (intPd2/176). loro fanno “copia e incolla”, senza neanche leggere [...]; in alcunicasi, ti rendevi conto che avevano preso una frase, buttata lì, in questo nuovo contesto,completamente scollegata [...] dal resto del testo; [...] non è detto che quando vanno ininternet per fare queste ricerche, sappiano realmente utilizzare quello strumento; non losanno utilizzare, perché anche internet implica che tu legga, che tu debba un attimo con-centrarti [...] su quello che tu hai davanti (intPd2/178). [...] la seconda uscita è stata lacittà, perché, se dico loro: “Ragazzi, provate ad andare in piazza dei Signori”, (loro sonoin difficoltà), non conoscono se non il tragitto dalla scuola alla stazione. Se tu li fai an-dare a..., si perdono! Sono strani, anche quelli che vivono in città, a Padova: se tu daicome riferimenti, non so, il baretto, piuttosto che il negozio di dischi o il negozio di ab-bigliamento al quale fanno riferimento, allora funziona, ma se tu vai un po’ fuori di lì,basta; magari passano tutte le mattine davanti alla tomba di Antenore [...], per venire ascuola, ma non sanno neanche che cosa sia! (intPd2/178). [...] Allora, andiamo a far vi-sita alla città, al centro storico, e nello stesso tempo siamo andati anche in comune, lasede dell’amministrazione cittadina, e lì, seduti nell’aula consigliare, è stato loro illu-strato quali sono i compiti del comune [...] (intPd2/180). l’ultima uscita è stata quella allago di Garda, quando siamo andati a San Martino della Battaglia, perché avevano stu-diato la seconda guerra di indipendenza e dovevamo vedere questi luoghi, dove si sonosvolte le battaglie più cruente […] (intPd2/182). […] odiano fare una relazione […]dopo un’uscita. Allora, io cerco di camuffarla in modo diverso. normalmente […] de-vono fare uno scritto da inserire nel portfolio […], invece per l’uscita di Garda li ho fattilavorare con i cartelloni. Si sono scaricati del materiale da internet, però […], vista l’e-sperienza precedente, questa volta dovevano, in gruppo, […] fare dei cartelloni… Hodetto loro: “immaginate di essere un’agenzia viaggi; dovete presentare a un turista iluoghi che andremo a visitare…”. quindi con pennarelli e forbici, si sono industriati; hodato loro dei cartelloni e li ho un po’ costretti ad analizzare meglio i testi che andavano ascaricare da internet (intPd2/184) […]. Tutto sommato è venuto fuori un buon lavoro.Poi, dopo l’uscita, non ho fatto fare la relazione, però ho fatto scrivere una pagina didiario […] (intPd2/188). […] Voglio sapere com’è andata la gita, […] che cosa hannovissuto durante la visita, allora dico: “Ragazzi, scrivetemi una pagina di diario sulle […]uscite che abbiamo fatto quest’anno”. (intPd2/190). […] non ho parlato di “relazione”,perché se loro sentono questa parola, dicono: “Ecco, uffa, dobbiamo sempre fare la rela-zione! È troppo!”. (intPd2/192). Gliel’ho fatta fare a distanza di tempo, in forma didiario: “Bene, ragazzi, visto che stiamo affrontando il diario, scrivetemi una pagina sullevisite!” (intPd2/194).MG. racconta diverse visite che ha proposto ai suoi ragazzi nel corso del-l’anno: la visita al laboratorio di tecnologie industriali, per conoscere la storia delprocesso di industrializzazione, la visita alla città, l’uscita in comune, la visita sui
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luoghi della prima guerra di indipendenza. in tutti i casi, si tratta di rendere pro-ficua l’uscita. Perché l’uscita si trasformi in esperienza e generi pensiero, è essen-ziale passare attraverso qualche forma di scrittura, per via del rallentamento rifles-sivo che la scrittura stessa consente. in genere, la docente propone, in fase di prepa-razione alla visita, una ricerca di materiali e informazioni, basata soprattutto su in-ternet. l’esperienza insegna che non basta la consegna di pescare materiali nellarete e di scaricarli. il rischio, in questo caso è di indurre una semplice raccolta diinformazioni “googlate”, che, se non sono soggette ad alcuna rielaborazione, nonservono a nulla e danno solo l’illusione di sapere. Allora, la nostra docente prova aformulare una consegna di carattere autentico: “immaginate di essere un’agenziaviaggi e di dover presentare ad un turista i luoghi che andremo a visitare…”. Unaconsegna di questo genere finalizza la raccolta di materiali ed informazioni allaproduzione di un elaborato concreto, tangibile, e ottiene migliori risultati del sem-plice invito a raccogliere informazioni. Per realizzare la consegna infatti non bastaraccogliere informazioni, bisogna fare delle cose con le informazioni e le cono-scenze che si raccolgono, elaborarle. Anche dopo l’esperienza si torna a scrivere:questa volta, in forma di diario, per dar voce a pensieri, emozioni e vissuti, ed evi-tando accuratamente la troppo scolastica denominazione di “relazione”. È attra-verso la scrittura che queste esperienze diventano evento narrabile, oggetto di pen-siero.nel brano che segue, P. (FGita1/2-18), formatore in Sicilia, racconta l’espe-rienza particolarmente incisiva di una visita di studio nella capitale, che viene accu-ratamente preparata e si accompagna ad esperienze di scrittura:un’azione didattica efficace, produttiva dal punto di vista dei risultati, è stata un’Uda [...]che si chiama “Visita culturale a Roma”, con i ragazzi del terzo anno […], che li porta vi-sitare Roma e a osservare alcuni elementi caratteristici per poi [...] rappresentarli anchenella tesina per l’esame di qualifica. i ragazzi, che hanno studiato Storia e hanno seguitoanche alcuni moduli di “Etica e cultura religiosa”, hanno modo di verificare diversi pas-saggi storici e di esplorare i [...] segni della cultura religiosa, visitando a Roma i luoghidella storia e i luoghi della fede: le quattro basiliche e le catacombe, per quanto riguardail discorso dei segni della cultura religiosa, i vari monumenti per i segni della storia an-tica; ma (dedichiamo attenzione) anche ai segni della storia contemporanea, la storia d’i-talia, il Risorgimento, la formazione dello Stato italiano ecc. quindi, questa unità li portaa toccare con mano, a raccogliere dati, foto, impressioni, sensazioni e ad esprimere poi[...] una sintesi [...] che ha una linea storica, una linea [...] religiosa e una linea politica,che riguarda i palazzi del potere, la formazione dello stato ecc... (FGita1/2). la prepara-zione a questa Uda avviene durante tutto l’anno [...] e si sviluppa nel momento in cuivengono sviluppate le Uda di natura storica; quindi, quando facciamo la formazionedello Stato italiano, loro sanno che ci sono alcune date, alcuni avvenimenti, alcuni aspettisignificativi, che poi dovranno documentare, dovranno trascrivere in un documento dopola visita [...]. Per esempio, la domanda che mi fanno è: “Professore, la breccia di portaPia c’è ancora? l’andiamo a vedere?”. Ecco quindi, durante tutto l’anno c’è questa pre-parazione, come quando vengono sviluppate le Uda [...] di cultura etica e religiosa; [...]faccio vedere loro quattro video-cassette che descrivono la Roma cristiana, i segni dellafede cristiana; loro vedono, si preparano […], sanno già quali sono le quattro grandi basi-
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liche, che cosa significa “catacombe” ecc. [...]. Si preparano sapendo che devono farequesta cosa. lo stesso per quanto riguarda “cittadinanza”, quindi il concetto di “organodello Stato”; [...] noi, per esempio, gli organi dello stato li facciamo non al secondo anno,ma al terzo, con la lettura dei quotidiani; i ragazzi collegano i “palazzi” alle decisioni, alpotere, i titoli di giornale agli organi dello stato ecc., quindi, quando vengono a Roma,devono andare, che ne so, al [...] quirinale [...], al Viminale ecc. Anche nel percorso chefacciamo per Roma, rigorosamente a piedi, vanno nelle piazze e la domanda che iofaccio è: “qui dove siamo?”; [...] in qualche maniera, sono costretti, magari anche scher-zando, [...] a rivedere le Uda già realizzate, a collocarle nel contesto e a imprimerselenella mente; [...], come dire, vedono per la prima volta il quirinale e magari qualcunonon si ricordava che al quirinale c’è il presidente della Repubblica; un altro spara e dice:“qui c’è Berlusconi!”; allora scoppia una risata generale, però c’è un momento [...] di si-stemazione delle idee e l’apprendimento diventa efficace (FGita1/4). [...] Poi, alla fine,faccio fare una relazione scritta: [...] tre domande sono sulla visita, mentre l’ultima, laquarta domanda, è: “Riporta le tue valutazioni sull’esperienza didattica”, e queste sonoestremamente positive, dal punto di vista dell’apprendimento ma anche dal punto di vistadel comportamento, della socialità, della scoperta di una grande città […]. Sostanzial-mente si tratta di un’esperienza positiva e ne ho riscontri anche dopo cinque, sei anni: iragazzi tornano e la prima cosa che ricordano è: “Professore, si ricorda Roma, le cammi-nate ecc.?” [...] (FGita1/6). colpisce l’incisività di queste cose e come alcuni apprendi-menti rimangano impressi perché collegati ad un’esperienza positiva, felice, anche diconvivenza fra di loro; cioè, vanno via in visita alcuni ragazzi che durante il triennioerano stati timidi, non avevano mai parlato, e tornano, alla fine, come ragazzi che sonostati valorizzati, perché durante la visita […], riescono a dare altre espressioni di lorostessi, che vengono apprezzate dai compagni e si crea, come dire, un rapporto diversoalla fine del terzo anno e i ragazzi dicono: “Abbiamo scoperto.., ci siamo ritrovati...”;così si creano legami di amicizia e di stima che vanno al di là del rapporto in aula, che èspesso freddo, molto legato ai contenuti, mentre lì è legato all’esperienza (FGita1/8). [...]la prima domanda riguarda la Roma antica, quindi la Roma imperiale – [...] il colosseo,i Fori imperiali e tutta la parte storica [...]; la seconda domanda è sulla Roma cristiana:quali sono i segni, quali gli elementi, quali le caratteristiche della Roma cristiana? Poic’è la Roma della politica, la Roma del potere, quindi i “palazzi del potere”, dalla con-sulta alla camera dei deputati ecc. questi sono i tre filoni; poi i ragazzi, accanto a questo,sono liberi di aggiungere foto, ricordi ecc.; per ognuna di queste domande costrui-scono… (FGita1/14) una relazione corredata anche (FGita1/16) di esperienze, di imma-gini; l’ultima domanda riguarda invece la loro esperienza personale: le emozioni, le sen-sazioni, l’apprendimento che hanno maturato (FGita1/18).il percorso di studio che, durante l’anno, porta gli allievi ad esplorare i varitemi legati all’asse storico-sociale, al “modulo di cultura etica e religiosa” o al mo-dulo di “educazione alla cittadinanza” sfocia nella visita alla capitale; a sua volta,la visita serve a richiamare concetti e idee esplorati durante l’anno. È come se l’e-sperienza della visita, con il calore relazionale che l’accompagna, servisse ad im-primere nella mente i contenuti avvicinati in aula. Per la scrittura della relazione, ildocente offre ai suoi allievi una traccia, che li aiuti a ricostruire i principali fuochidell’esperienza, ma la consegna invita anche ad esplorare emozioni e pensieri checiascuno collega all’esperienza vissuta e a corredare lo scritto con foto, immagini ericordi. come l’esperienza della visita, che spesso offre l’occasione per una diversaespressione di sé, anche l’esercizio di scrittura che l’accompagna e la segue si ca-
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rica di significati personali e rappresenta un modo per esprimere anche aspetti di sénon sempre noti ai compagni e ai docenti.3.4.2. Proporre l’esperienza di scrivere per comunicareAlcuni formatori trovano utile utilizzare il computer per far scrivere, ma il pro-blema non sembra essere tanto quello di preferire l’uso del computer a quello dellapenna. il problema è far trovare senso nello scrivere e cioè trasformare la scritturada esercizio solo scolastico in narrazione e comunicazione esperienziale. questopuò avvenire in diversi modi:ci sono le Uda che riguardano la produzione di testi: in prima affrontiamo testi tipo le de-scrizioni, i racconti, [...] gli articoli di cronaca, il diario, la lettera personale; in seconda[...] affrontiamo testi espositivi, quindi imparano a scrivere qualcosa di più complesso[...]; in terza, soprattutto le relazioni [...], così li oriento proprio all’esame (intPd2/132).[…] Ho usato molto il computer quest’anno, anche perché [...] li vedo molto più attiviquando hanno una macchina davanti. Ad esempio, [...] Alberto mi dice: “Prof, mi sonoappassionato alla lettura!”; e lui è un patito di computer: se lo porterebbe anche in bagno,se potesse! (intPd2/166). Per esempio, se io gli do un foglio e una penna in mano e glidico: “Alberto, scrivimi il diario di quest’anno scolastico, una pagina di diario dove tuparli del tuo anno passato qui con noi”, […] lui mi scrive cinque righe al massimo, dopodi che mi dice: “Sono stufo!”; quando gli ho messo il computer davanti, mi ha scritto duepagine intere e gli ho detto: “Guarda, Alberto, è proprio un miracolo!” (intPd2/168); [...]lui si è reso conto che si impara a scrivere appunto scrivendo [...], e probabilmente [...] ilmonitor, la tastiera, il mouse, per lui rappresentano qualcosa di concreto; per me è con-creta anche la penna (intPd2/170);solitamente organizziamo […] delle partite di calcio; da qui ho tratto spunto per far fareloro, qualche giorno prima, un’esercitazione nel laboratorio di informatica, in cui potesse-ro mettere insieme sia le loro conoscenze informatiche sia quelle relative alla lingua ita-liana […]. nell’esercitazione che ho proposto ai primi anni – meccanici e serramentisti –,i ragazzi […] hanno lavorato singolarmente, creando, su un foglio di word, un campo dagioco che ho fatto anche colorare […]; ci hanno poi inserito delle caselle di testo, inven-tando loro stessi la formazione della propria classe e inserendo anche lo staff della squa-dra, composto dai docenti; in questo modo, li ho attivati, perché il calcio li prende tantis-simo […]. oltre a questo […], ho fatto scrivere il regolamento del torneo, continuandosulla stessa pagina o su quella successiva. nel regolamento, dovevano scrivere, in italianocorretto, le regole da rispettare, che dovevano essere condivise da tutti. Da un lato c’era lacorrezione automatica di word che li aiutava, perché ovviamente a loro venivano fuoridelle parole in dialetto, […] dall’altro continuavano a chiedere, sia tra loro sia a me, ilmodo più corretto per mettere giù le loro idee. c’è stato un momento in cui loro stessi sisono scambiati idee condividendole tutti insieme. Da un alto, ad esempio, per quanto ri-guarda l’ambito informatico, non hanno più dimenticato come si crea un punto elenco,perché per stilare la formazione calcistica, sono stati costretti a fare un elenco, e dall’altrohanno scritto tramite il computer cose che con una penna in mano, non sarebbero riusciti ascrivere, non perché non siano in grado, ma perché non avrebbero avuto la voglia di farlosu un pezzo di carta e con una penna. l’attività è durata due ore (FGita3/74).in ogni ambito disciplinare, il ricorso alla scrittura è essenziale per apprenderee per chiarificare le proprie idee. il problema è fare in modo che la scrittura vengapercepita come “utile”, in quanto finalizzata al comunicare. Da questo punto di
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vista, MG (intPd2) sa che con certi ragazzi il ricorso al computer è, ad esempio, piùattivante della semplice consegna di scrivere con la penna, forse perché il computerviene da loro immediatamente percepito come strumento per comunicare. E.(FGita3/74) propone di scrivere un testo regolativo che leghi l’utilizzo del com-puter, l’interesse per il calcio e lo sviluppo di una consapevolezza relativa all’esi-genza di esprimersi in modo corretto. Anche in questo caso, il ricorso al computer,l’aggancio ai campi di interesse e la consegna autentica contribuiscono a far perce-pire come utile la scrittura.come ci ricorda ancora MG (intPd2), rilevare l’utilità della scrittura non com-porta sacrificare ogni altra forma di scrittura. Anche il diario e in genere le scritturepersonali vanno esplorate e praticate, per stimolare gli allievi a tirar fuori ciò chehanno dentro e che normalmente non esprimono. in questo senso, anche le scritturepersonali possono diventare “utili”. nei due brani che seguono, vengono descrittidei percorsi che portano a conoscere e sperimentare forme di comunicazione perso-nale basate sulla scrittura:puntiamo sul fatto che loro imparino a manifestare le loro sensazioni, il loro vissuto per-sonale; in effetti, io posso vedere, non so, [...] un ragazzo che durante l’anno non è statomotivato [...] e che, nel momento in cui gli chiedo di scrivere una pagina di diario suuna giornata di scuola o su una cosa che gli è successa, dà molto. [...] Mi rendo conto[...] di come tanti ragazzi abbiano bisogno di avere stimoli che li portino a tirar fuoriquello che hanno dentro e che, in realtà, in altri modi o in altri contesti, non emerge; cisiamo quindi concentrati soprattutto sulla pagina di diario e sulla lettera personale comeforme di testo (intPd3/24); […] sono partita fornendo ai ragazzi la pagina di diario diuna ragazza, un’adolescente, che parlava del rapporto non molto sereno che vive in fa-miglia con i genitori. nel momento in cui vengono attivati su problematiche tipiche del-l’adolescenza, vedi che cambiano espressione, perché sentono la cosa più vicina a loro.non sono andata a prendere una pagina del diario di Anna Frank, che pure è una ragazzagiovane, però magari distante (intPd3/80); cerco degli esempi vicini al loro vissuto. Al-lora, ho preso quel testo come pagina di diario; stessa cosa ho fatto per la lettera(intPd3/82); [...] li prendo da internet o da un libro e faccio le fotocopie, in modo chetutti abbiano la loro copia (intPd3/84); [...] ad esempio, [...] non è che posso dire, che neso: “oggi vi leggo un esempio di testo narrativo, che poi arriveremo a definire letterapersonale”; preferisco che ognuno abbia la sua fotocopia, perché così si possono anno-tare qualcosa a fianco e poi so che tutti, avendo un testo, possono capire (intPd3/92);[…] in effetti, loro sono molto sensibili a tutto quello che parla di loro stessi, forseperché devono ancora in qualche modo capire bene chi sono, qual è la loro personalità[...] (intPd3/154);adesso stiamo vedendo anche la lettera, le lettere personali: li faccio riflettere sulla realtàche vivono, sul fatto che quello che loro vivono è importante per la loro crescita perso-nale: “Adesso mi fate una lettera a una professoressa, a una vostra insegnante, a chi vo-lete, dove la ringraziate di tutto quello che avete vissuto quest’anno”. Devono tornare in-dietro nel tempo e, per i nostri ragazzi, questo ritornare indietro nel tempo è molto diffi-cile; se tu chiedi: “Ad ottobre che cosa abbiamo fatto?”, [...] non si ricordano […], manon ricordano nemmeno che cosa hanno fatto a gennaio [...] (intPd2/194); devono pen-sarci tanto […]: “Ti ricordi che è venuta una compagnia”, “Ah, sì, è vero, hanno fattoteatro!”. Bisogna stimolarli ad elaborare… (intPd2/196) la realtà e le esperienze che vi-vono, per farle diventare bagaglio personale di crescita (intPd2/198).
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Per entrambe le formatrici il senso della scrittura è consentire l’elaborazionedella propria esperienza. nel caso raccontato da n. (intPd3), l’avvio è costituitodalla lettura di un testo – una pagina di diario o una lettera – nel quale gli allievipossano riconoscersi. Analizzando il testo, i ragazzi sono guidati a coglierne le ca-ratteristiche principali. Avvicinare un testo di quel genere facilita nello scrivere untesto analogo, che li aiuti a tirar fuori ciò che hanno dentro e che normalmente nonemerge. nel caso narrato da MG. (intPd2), la consegna è di scrivere una lettera aduna professoressa per raccontare alcune delle esperienze vissute nel corso del-l’anno. Anche qui sono essenziali la pazienza e la qualità dello stimolo.Anche un classico tema, una volta vinta l’ostilità nei confronti della scrittura,può rappresentare un’occasione per raccontare di sé30:sembra che pian pianino accettino il fatto di scrivere; il tema è stato per moltissimi unabestia nera: “Prof, non ci faccia scrivere!”, [...] però quando dico: “Beh, proviamo un at-timo a riflettere, per esempio, sui rapporti genitori-figli…” [...]: negli ultimi decennisembra che siano diventati particolarmente difficili, il salto generazionale c’è semprestato, però ci sono delle questioni che diventano davvero scottanti, [...] difficili da gestireper i genitori: “quali sono le cause di questa cosa?”. lì è venuto fuori di tutto e di più everamente sono rimasto (sorpreso), perché ti comunicano le loro situazioni personali eprovano ad analizzarle [...] (intVr7/68).nel brano riportato sopra, M. (intVr7) si dice sorpreso di scoprire quello che i ra-gazzi sanno comunicare, se solo si offre a loro lo stimolo giusto (generalmente quelloche li orienta a parlare di sé) e il contesto relazionale che consenta loro di aprirsi.3.4.3. Stimolare racconti orali su esperienze vissuteAbbiamo già visto sopra il ricorso a forme di apprendimento attraverso l’inse-gnamento, nelle quali gli allievi sono stimolati a presentare alla classe un argo-mento scelto o concordato con il docente. la comunicazione orale è efficace ancheper raccontare esperienze vissute. nel caso che segue, R. (FGita2/291-293), che in-segna a Roma, stimola a narrare l’esperienza dello stage:quando hanno fatto la relazione orale sullo stage, i ragazzi si sono sentiti molto liberi [...]di fare domande ai loro compagni [...] sulla sicurezza dell’ambiente dove avevano lavo-rato, sugli orari, sull’eventuale danno. Uno dice: “Ma che danno hai fatto?”, cioè “cheguaio hai combinato?”, oppure “qual è la cosa che ti è piaciuta di più?”; la relazione di-venta più interessante. Ho notato che la relazione orale dello stage è completamente di-versa rispetto a quella di storia e di geografia, perché sanno quello di cui stanno par-lando, l’hanno vissuto in prima persona, lo sanno loro e ti dicono anche le loro emozioni!(FGita2/291). Sono loro i protagonisti: “Ti racconto la mia vita, quello che io ho vis-suto…”; questa è una cosa molto importante (FGita2/293).la capacità di raccontare in modo accurato la propria esperienza – il contesto,ciò che si è imparato, anche dagli errori commessi, ciò che è piaciuto di più o di
30 cfr. anche il punto 7.6.3.
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meno ecc. – viene sollecitata dall’insegnante. il ritorno riflessivo sull’esperienzaconsente anche lo sviluppo di una particolare forma di attenzione retrospettiva. ilracconto si trasforma subito in conversazione. i compagni intervengono e pongonodomande sull’esperienza che viene raccontata e questo consente magari di notareaspetti che in un primo tempo erano sfuggiti al narratore stesso. il nostro formatorenota poi che il legame con ciò che si è davvero vissuto rende la narrazione dei ra-gazzi particolarmente densa, perché concreta e impastata di emozioni.
3.5. dare spazio ad esperienze basate su immagini e musicaPer agganciare l’esperienza dei soggetti, ma anche per arricchire le loro espe-rienze, i nostri formatori si muovono verso forme di contaminazione fra i lin-guaggi, alla ricerca di accostamenti fecondi tra letteratura e altre forme estetiche,come il cinema, le arti figurative, la musica. come afferma ivano Gamelli, «noisiamo indubbiamente esseri di parola, ma la parola può assumere uno spessore co-municativo più incisivo se integrata con i codici di altri linguaggi» (2011, p. X).Per questo i formatori cercano di mobilitare linguaggi diversi. in particolare, sensi-bili come sono all’orizzonte culturale dei loro allievi, includono nel loro raggio diattenzione e cercano di valorizzare anche diversi elementi di quella cultura (o sotto-cultura) multimediale di cui i ragazzi sono imbevuti31. Vediamo qui di seguito al-cuni esempi.3.5.1. Valorizzare alcuni elementi della cultura multimediale dei ragazzinella loro didattica, i formatori sanno distanziarsi da un’aderenza passiva aiprogrammi (che, del resto, in questo ambito, pur variando da regione e regione,sono ben poco prescrittivi) o dall’ossequio alla tradizione accademica dei “canoni”e sanno esplorare accostamenti inediti, ricorrendo a differenti forme di linguaggio,anche alla luce del fatto che oggi siamo tutti immersi in un contesto in cui prevaleil linguaggio iconico:i mezzi di comunicazione, con i ragazzi, […] sono le chiavi di apertura delle loro porte[...]; tante volte io uso televisione, cinema, cartoni animati, tipo i Simpson, cose di questogenere... (intMe4/202); ci sono puntate particolari dei Simpson, un cartone animato, chesono da vedere con molti occhi, non solo con i loro occhi, concentrandosi sul perché diuna risata sguaiata, spiegandolo in classe, andando oltre, facendo riflettere su alcuni per-sonaggi e dopo facendo fare anche degli esercizi di scrittura [...] (intMe4/206); [...] sono
31 Su questo, Armellini sottolinea: «Potrà avvenire che […] l’insegnante sia indotto ad accettareo addirittura a promuovere accostamenti irriverenti (il Partenone e i cavalieri dello zodiaco, il toposdel locus amoenus e la pubblicità del Mulino Bianco, Rimbaud e Vasco Rossi, la struttura narrativadei poemi cavallereschi e quella dei serial televisivi…); ma la qualità della sua scommessa culturalenon ne sarà sminuita se, attraverso simili comparazioni, aiuterà i suoi studenti a navigare nell’imma-ginario con crescente consapevolezza, ponendo domande sensate, facendo distinzioni, costruendo unsistema di mappe e di coordinate utili a situare, analizzare, valutare la diversità delle loro esperienzeestetiche» (Armellini, 2008, pp. 36-37).
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tutte cose che loro masticano; ora, è chiaro che, se io [...] butto là un film [...] – amomolto il cinema e faccio parte di un gruppo che segue il cinema d’essai –, non ricavoniente; a me piace moltissimo “la terra trema”77, ma è un genere che non ha senso far ve-dere loro; devi parlare a loro con la lingua che parlano loro [...] (intMe4/210).S. (intMe4) sa che familiarizzare con determinati linguaggi può aprire le portedi accesso al mondo dei suoi allievi e non ha paura di rinunciare a fare riferimentoalle espressioni alte della produzione cinematografica, che pure conosce e ama, peravvicinarsi ad un cartone animato che i suoi ragazzi “masticano” bene e conside-rano un “cult”. Del resto, uno dei principi della pedagogia salesiana, a cui un po’tutti i nostri formatori si ispirano, è che bisogna amare (e dunque guardare con cu-riosità e interesse) ciò che i giovani amano, perché anche loro possano amare ciòche sta a cuore agli educatori (cfr. Braido, 2006, p. 292). l’accostamento che S. osafare risulta fecondo se diventa lo spazio in cui far dialogare prospettive differenti estimolare riflessione.3.5.2. Far analizzare immaginil’arte figurativa e le immagini in genere possono costituire un’importante ri-sorsa didattica anche per l’approfondimento di temi letterari. ce ne offre una testi-monianza S. (intMe4), che insegna a Mestre, in un indirizzo per grafici:ad esempio, abbiamo affrontato carlo Goldoni; [...] ci sono due foto sul libro; faccio de-scrivere la foto che riguarda [...] il periodo storico di Goldoni; poi facciamo assieme l’a-nalisi dei contenuti [...] (intMe4/150): il tipo l’abbigliamento, la postura, l’ambientazione,la tavola, il mobilio e tutto quello che loro riescono ad osservare. [...] Enunciamo gliaspetti più comuni e [...] quelli più rari; dopo [...] la fase descrittiva – “quali sono gli ele-menti che tu vedi, i particolari che spiccano maggiormente nelle immagini?” –, viene lafase argomentativa: “quale delle due foto per te è più significativa e perché?” [...]. Ecco,questo lavoro mi ha permesso di spiegare il Settecento, cioè l’ambientazione storico-cul-turale dell’opera di carlo Goldoni, in modo anche visivo, attraverso una fotografia, unariproduzione, un’incisione. Poi ho affrontato anche la questione di che cosa sia un’incisio-ne, una stampa (intMe4/152). Mentre spiegavo il Settecento [...], in particolar modo quel-lo veneziano, [...] ho portato le riproduzioni di un libro d’arte di Roberto longhi, ho fattoanche vedere un quadro e loro hanno saputo leggerlo. […] Ecco, questo mi ha permessodi far capire meglio che cosa era il Settecento, ma erano loro che lavoravano su delle fon-ti iconografiche che, in questo caso, hanno fornito i libri [...] (intMe4/154).Mostrando alcune immagini, nell’ambito di un percorso sul settecento vene-ziano, S. (intMe4) chiede ai suoi allievi di nominare tutti i particolari che essi rie-scono ad individuare. Soffermarsi su tali particolari consente al nostro formatore difar avvicinare in forma intuitiva alle tracce che di quel periodo storico rimangonoimpresse anche gli oggetti, negli ambienti e nei modi di rappresentarli. Facendo la-vorare su fonti iconografiche, il nostro formatore guida poi ad una discussione che,sollecitando a mettere in campo argomentazioni e a costruire interpretazioni condi-
32 Film del 1948, diretto da luchino Visconti ed ispirato a “i Malavoglia” di Giovanni Verga.
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vise, permette di inquadrare e comprendere meglio anche la produzione letteraria diGoldoni. Da notare è poi il fatto che S. si sofferma anche sulle incisioni e sulle tec-niche di stampa proprie di quel periodo, agganciando così aspetti specifici dellastoria della pratica professionale – quella grafica – propria dell’indirizzo che gli al-lievi stanno frequentando. Anche attraverso accostamenti di questo genere puòdunque essere arricchita l’esperienza culturale degli allievi.le immagini sono spesso più eloquenti delle parole, custodiscono informa-zioni, narrano eventi, suscitano emozioni. K. (FGita2/324-326), docente di inglesein un cFP del Veneto, le utilizza come stimolo a raccontare di sé, in lingua:ho messo a disposizione dei ragazzi delle immagini di vario genere, prese dai giornali eincollate su un foglio bianco, facendone scegliere una a ciascuno di loro; dovevano os-servarla bene, dire alla classe perché l’avevano scelta e, dopo, descriverla in inglese, uti-lizzando l’elemento grammaticale che stavamo studiando. È stato interessante vederecome ciascuno di loro abbia scelto [...], inconsciamente, qualcosa che lo rappresentava inquel momento; per esempio, il ragazzo che voleva prendere la patente, che sentiva la pa-tente come esigenza, ha preso la foto di una macchina, il ragazzo che, in quel momento,si sentiva un po’ isolato dal resto del gruppo ha preso una pubblicità dove c’era un mani-chino in mezzo a dei giocatori di calcio. ciascuno di loro ha tirato fuori [...] inconscia-mente qualcosa di sé (FGita2/324). [...] Ho fatto descrivere [...] l’immagine [...] ed essi,ovviamente in inglese, hanno descritto [...] quello che vedevano sul foglio e la motiva-zione della loro scelta (FGita2/326).il dispositivo che la nostra docente inventa prevede le seguenti fasi: la predi-sposizione di una serie di immagini ritraenti vari soggetti (realistici, simbolici…),prevalentemente tratte da pubblicità o riviste e pazientemente incollate su dei foglibianchi (accorgimento, questo, che consente un loro eventuale riutilizzo); la collo-cazione delle immagini in una posizione che permette ai ragazzi di girare tra le im-magini e di osservarle attentamente; la consegna di scegliere l’immagine che li col-pisce maggiormente; l’invito a descrivere ai compagni, in inglese, il contenuto del-l’immagine e il motivo della scelta. K. fa l’esperienza che, attraverso questa moda-lità, la comunicazione si fa emotivamente più intensa ed espressiva, ed arriva a ri-velare tratti ed aspetti personali.3.5.3. Proporre un ciclo di filmla visione di un ciclo di film può costituire un’esperienza ricca di notevoli possi-bilità di apprendimento, soprattutto se non ci si limita all’aspetto contenutistico (chetende a tradursi in lettura moralistica) e si allarga lo sguardo sulla specificità del lin-guaggio cinematografico. ce ne parla MG. (intPd2), del cFP di Padova:vediamo un ciclo di sei film; i film che ho scelto quest’anno, a cominciare da: “caterina vain città”33, sono legati a tematiche adolescenziali; si tratta di film sulla realtà giovanile. i ra-gazzi hanno dovuto imparare a leggere anche questo tipo di linguaggio e poi hanno prodottodelle schede [...] di analisi del film. Dopo il film, facciamo un dibattito e loro sono chiamati
33 Film italiano del 2003, diretto da Paolo Virzì.
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a parlare; per me sono competenze di italiano (intPd2/44) anche quelle richieste dall’analisiattenta di un film, dall’espressione del proprio punto di vista, nell’ambito di un dibattito,dalla scrittura di una scheda (intPd2/46). [...] All’inizio ho dato a tutti delle fotocopie(intPd2/50), [...] sul linguaggio cinematografico in genere […] e poi – questo l’ho fatto fareal Pc – ho inserito nella loro cartella di corso [...] una scheda in formato elettronico, nellaquale dovevano inserire dei dati: regia, attori e poi anche una sintesi, la narrazione(intPd2/52), le sequenze principali, i luoghi, gli ambienti (intPd2/60) e alcune informazionigenerali: titolo, regia, attori, durata, origine. [...] Prima abbiamo visto il film e via via facevocompletare quelle parti di scheda che loro erano in grado comunque di fare; faccio un esem-pio: la trama, i luoghi, gli ambienti; poi, nella discussione, io tenevo in mano la scheda e an-che i ragazzi ce l’avevano e, mano a mano, andavamo a completare la scheda anche duranteil dibattito (intPd2/62). [...] E così metti in archivio la trama, i luoghi, gli ambienti, il sistemadei personaggi, i personaggi principali e quelli secondari, la descrizione dei protagonisti, leposizioni di protagonista e di antagonista e poi gli elementi cinematografici, ad esempio, sesono state fatte delle scelte particolari per quanto riguarda i piani, i campi, poi qualche indi-cazione sulla colonna sonora; poi l’interpretazione, quindi [...] i temi affrontati, i temi prin-cipali, i temi secondari e un commento personale.Allora il ragazzo doveva, in un primo mo-mento, [...] a mano, completare questa parte; poi io ho fatto una prima correzione che si sonotenuti dentro il loro quadernone; alla fine della visione di tutti i film, li ho fatti andare in au-la informatica [...]; hanno trovato su internet tutte [...] le informazioni generali su regia, at-tori, durata e hanno inserito il logo, cioè l’immagine del film, scaricandosi tutti questi ele-menti; dopo di che, [...] andavamo ad inserire quella parte che loro avevano scritto a mano eche io avevo già corretto e valutato; [...] hanno inserito tutto quanto al Pc, hanno stampato leschede e le hanno inserite nel loro portfolio (intPd2/66). (Per fare questo lavoro) ho preso al-cune ore mie di laboratorio e alcune ore dell’insegnante di informatica, perché, in quel pe-riodo, ad esempio, loro non erano così autonomi nella ricerca in internet, nello scaricarsiimmagini (intPd2/68) e (l’insegnante di informatica) è stata di supporto per questo aspetto.A lei è andata bene, perché stava affrontando il discorso di internet: [...] prendere un’imma-gine e copiarla ecc., e […], invece di fare esercizi campati per aria, ha potuto utilizzare que-sta attività (intPd2/70);il percorso che MG (intPd2) propone è attento ad orientare gli allievi versouna comprensione specifica del linguaggio cinematografico. in questo modo, la vi-sione di un ciclo di film può trasformarsi in autentica esperienza estetica e non ri-dursi a pretesto per ricavare dai film significati didascalici ed edificanti. le schedee gli strumenti messi a disposizione dei ragazzi dopo la visione li aiutano ad analiz-zare criticamente il film e a prendere posizione personalmente, a confrontarsi criti-camente con i compagni e l’insegnante34.3.5.4. Utilizzare un video come stimolo per la scrittura personale e la discussioneDei video ben scelti possono essere incorporati nella lezione ed offrire lospunto per esercizi di scrittura. M., formatore a Verona, ritorna su questo in due oc-casioni (intVr7 e FGita3/56) e descrive il suo procedimento per “successivi amplia-menti”:
34 A questo riguardo, è utile segnalare una rubrica che, da circa due anni, il Prof. Alberto Agostitiene sulla rivista “Rassegna cnoS”, in cui propone l’analisi di diversi film che trattano tematicheche hanno a che fare con il mondo del lavoro.
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con una certa frequenza, utilizzo degli audiovisivi, cassette o DVD, che trovo utili persottolineare alcuni aspetti storici, se stiamo facendo Storia, oppure di attualità, […] chepoi possono diventare spunto per un tema in classe. [...] cerco di individuare quelle che ame sembrano le cose più importanti e che avverto possono essere sentite come tali anchedai ragazzi [...] e da lì cerco di lavorare per successivi ampliamenti. Per esempio, interza, in “Educazione civica”, si fa la parte sui contratti, che è abbastanza ampia: sinda-cati, contratti, busta paga ecc.; su alcuni punti uso degli audiovisivi, ad esempio un videosulla tragedia successa alla Tyssen Group, [...] per approfondire alcuni aspetti; è un modoper marcare in maniera forte alcune cose e ai ragazzi rimane molto impresso (intVr7/2).Solitamente, mi fermo [...] su un punto che considero di particolare importanza, presentoai ragazzi, almeno a livello introduttivo, quello che andremo a vedere, lo vediamo e, seserve, interrompiamo la visione per un breve commento... (intVr7/4). Poi [...] cerco disentire da loro cosa li ha colpiti maggiormente e su questo lavoriamo: prende il via unaspecie di dialogo, un dibattito, che poi, volendo, può essere ripreso [...] attraverso untema in classe. quello che è successo a Verona35, purtroppo, un paio di settimane fa, peresempio, è stato affrontato in questo modo: dovevamo fare un tema in classe con i ra-gazzi di terza; uno dei temi di attualità proposti poteva essere quello e allora abbiamovisto dei filmati su ciò che è avvenuto, anche sui retroscena, [...] sul vuoto nella vita diqueste persone, e da lì è venuto fuori un bel dibattito; i ragazzi sono stati colpiti, non sisono riconosciuti [...] quasi per nulla in come i giovani venivano rappresentati; ne ab-biamo parlato, poi hanno provato a [...] mettere giù un elaborato; ho detto: “ora che ab-biamo riflettuto, provate a mettere giù qualche vostra riflessione scritta”, ho dato un mi-nimo di traccia, di scaletta [...] e li ho lasciati scrivere (intVr7/6);l’argomento scelto è “i diritti dell’uomo”. c’è la possibilità di affrontare questo argo-mento nelle classi prime, agganciandolo con la parte di Storia che riguarda la rivoluzionefrancese […]; con le seconde, l’aggancio si ha con lo studio dell’onU; in terza, […] conil diritto del lavoro o semplicemente […] con altri argomenti di attualità. io affrontoquesto tema in seconda e la cosa si svolge così: lettura di alcune parti della carta dei di-ritti dell’uomo, in particolare di quelle fondamentali, poi visione di un filmato scaricatoda youtube […]. Abbiamo lavorato sulla pena di morte, […] sulla tortura e sui processisenza possibilità di difesa […]. A questo punto, chiedo ai ragazzi di stendere una loro ri-flessione sul filmato che hanno visto, ma soprattutto di evidenziare quei diritti che, se-condo loro, nel mondo e in italia, sono calpestati, di commentarli e poi di leggere il lorotesto ai compagni, presentando loro […] quello che hanno fatto emergere per iscritto. Aquesto punto, apro la discussione e naturalmente cerco di moderare la cosa. Si può an-dare avanti parecchie ore, dipende dai filmati che si decide di vedere, però, l’attività vadalle due alle sei ore. il risultato atteso è far sì che si rendano conto di come in tante partidel mondo, compresa l’italia, questi diritti non vengono rispettati. Per esempio, una voltaè emersa una cosa che mi ha un po’ spiazzato […]: un ragazzo mi ha detto: “Prof, so cheè in corso un processo, qui in italia, per le violenze al G8 di Genova di qualche anno fa”.[…] Gli ho risposto: “Sì è vero, il processo è in corso”. “Possiamo vedere un filmato suquesto?”. Mi ero procurato diversi video sulla morte di carlo Giuliani e sulle violenzealla caserma Diaz, che sono state terribili […]. ne è venuta fuori proprio una discussionee […] la classe si è un po’ divisa, perché c’era chi appoggiava l’azione della polizia e chiinvece diceva: “no, assolutamente […], abbiamo visto come questa sia una cosa assurda;l’italia è finita sull’elenco di Amnesty international, tra i Paesi che utilizzano la tortura. Èuna cosa infame!”. questo fatto mi ha colpito molto, perché i ragazzi si sono attivati e
35 M. si riferisce qui al delitto Tommasoli. cfr. la nota 73.
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hanno messo in campo un sacco di energie e soprattutto hanno illustrato le loro opinionipersonali ai compagni. Hanno scritto, hanno esposto oralmente e hanno riflettuto su coseche secondo me sono importantissime e hanno imparato a guardare un po’ criticamente[…] la realtà che li circonda. […] la questione era piuttosto scivolosa, perché densa diconnotazioni politiche […]. io ho le mie opinioni su questo, naturalmente, e i ragazzi l’-hanno intuito, però bisogna andarci piano: metto in chiaro da subito che l’aula non è unposto per fare comizi politici e che mi interessa soltanto che non guardino il mondo con iparaocchi e che ragionino sulle cose. Alcuni colleghi mi hanno appoggiato, altri no, nelsenso che mi hanno detto: “Guarda, secondo noi, hai sbagliato: carlo Giuliani era unoche tentava di buttare un estintore dentro una gip dei carabinieri!” e allora è nata una dis-cussione dai toni anche abbastanza accesi anche tra di noi. È stato utile anche questo: ilconfronto diretto con i colleghi su questo e sul fatto che secondo loro non era il caso diparlare di queste cose con i ragazzi di seconda superiore. io non sono d’accordo, l’hofatto e lo farò ancora […] (FGita3/56).Sia nel primo che nel secondo brano, il nostro docente descrive una pratica perlui abituale: l’uso di un video, breve ed opportunamente scelto, per avviare una dis-cussione tematica. È opportuno prestare attenzione alla sequenza di azioni che ildocente, pur con qualche variazione, afferma di mettere in atto: innanzitutto il do-cente stesso seleziona (la rete e youtube in particolare possono essere buone fonti),visiona previamente e prende familiarità con i materiali, per individuarne i punticentrali e i possibili agganci con l’esperienza e gli interessi degli allievi; in alcuneoccasioni, egli fa precedere la visione del video da una breve introduzione, che tal-volta fa ricorso anche a testi e ad altri materiali da analizzare (come nel caso dellalettura di alcune parti della dichiarazione dei diritti dell’uomo); la visione del fil-mato, generalmente breve, può essere integrale o interrotta dall’inserimento diqualche commento che aiuti nella comprensione; alla visione segue generalmenteuna consegna riflessiva individuale: scrivere alcune riflessioni personali sul fil-mato, stendere i pensieri e le emozioni che il film ha suscitato, gli aspetti che mag-giormente hanno colpito; a questo punto, qualche volta il docente invita gli allieviche desiderano a presentare in classe ai compagni le proprie riflessioni; segue ladiscussione moderata dal docente; generalmente, il percorso si conclude con la ri-presa, nell’ambito di un elaborato scritto, dei temi fatti oggetto di discussione.Tutto il processo mira a favorire una sorta di immersione nei problemi affrontati e astimolare il pensiero critico attraverso la discussione che, talvolta, non si limita acoinvolgere i ragazzi e si allarga ai colleghi.3.5.5. Partire dall’ascolto di brani musicaliTalvolta è l’ascolto di brani musicali o l’analisi dei testi di alcune canzoni astimolare la produzione scritta o l’accostamento a testi poetici. È quanto viene nar-rato nei brani che seguono:gradito ai ragazzi è il percorso [...] sulla cultura locale: faccio ascoltare loro dei branimusicali in lingua siciliana; [...] do il testo, ascoltano la musica; del testo fanno la tradu-zione in italiano e ricavano poi gli elementi fondamentali del messaggio di quella can-zone e fanno, come al solito, le considerazioni personali; quindi: riassunto del testo e
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considerazioni personali. ora, questo lavoro viene fatto sia su testi musicali, di gruppimusicali siciliani, sia su testi di scrittori siciliani […] (intRoma2/14);un’altra attività è proprio prendere il testo di una canzone. Ascoltiamo il testo di una can-zone con la musica, poi io stampo il testo e insieme lo analizziamo; chiaramente deve es-sere un testo che ha un certo spessore; per esempio, per italiano, al secondo anno, lapoesia la posso far esprimere anche attraverso il testo di una canzone e, siccome è unacosa che mi piace, prendo quei testi che per me hanno spessore poetico. cerchiamo dianalizzarli insieme, di capirne il significato. i testi che abbiamo analizzato sono statiSogni grandiosi della Banda Bardot […] (FGita4/9) […] e poi Non diventare grandi maie Scuola di Eugenio Finardi che sono tutte e due canzoni abbastanza impegnative […].Un’altra fortuna che ho, nel centro in cui lavoro, è di avere un collega del settore mecca-nico che, durante il buongiorno, suona. qualche volta magari faccio analizzare […] lacanzone e poi, con questo collega, cantiamo insieme al buongiorno; quindi avviciniamoproprio tutti i ragazzi e questo è un incentivo in più […] (FGita4/13).la canzone, ascoltata e analizzata, diventa stimolo a pensare e talvolta a scri-vere. P. (intRoma2) invita a distinguere, nella scrittura, una parte riferita al testo,che ne propone una sorta di sintesi, e una parte riflessiva, che viene dedicata all’e-spressione di sensazioni e considerazioni personali. A. (FGita4/9-13), che talvolta,con un suo collega, si improvvisa interprete, propone l’ascolto di testi di canzonidallo spessore poetico. nel brano che segue, E. (FGita3/26-28), del cFP di Este(PD), ricorre allo stratagemma di consentire l’utilizzo dell’i-pod durante la stesuradi un tema:un’altra cosa che ho visto essere efficace […] è fare i temi con l’i-pod. Dopo anni di ten-tativi per solleticare la loro fantasia nello sviluppo della capacità di scrivere, ho notato uneffetto molto positivo dell’i-pod, durante la stesura degli elaborati, ossia i temi, ai qualidedico tre ore. Solo in queste ore possono usare la loro musica per trovare stimolo e pro-durre in maniera più proficua. Funziona (FGita3/26). io programmo il tema ogni trime-stre; consegno loro sette o otto tracce; in classe possono tenere il loro i-pod, ad un vo-lume moderato, che non disturbi me o gli altri, e iniziare la stesura del tema. Però sechiedono a me o ad altri insegnanti di usare l’i-pod oltre lo svolgimento, sanno che nonlo consento; l’i-pod serve a loro solo ed esclusivamente come stimolo alla produzione. cisono meccanici che, con questo sistema, da una mezza pagina che riuscivano a scrivere,sono passati a quattro fogli protocollo (FGita3/28).la nostra formatrice constata che concedere di scrivere ascoltando la propria mu-sica fa sì che i suoi ragazzi scrivano di più e meglio. in questo modo, prende atto che iragazzi sono perfettamente in grado di concentrarsi ascoltando la propria musica.3.5.6. Analizzare messaggi pubblicitari per riflettere sul “senso poetico della vita”nel brano che segue, D. (intVr2), che insegna in un percorso professionale pergrafici, racconta di un progetto didattico su “Poesia e pubblicità”, realizzato in col-laborazione con un collega di area tecnico-professionale e connesso con l’analisi dimessaggi pubblicitari. il percorso, agganciando diversi linguaggi, guida verso am-biziosi risultati di apprendimento specifici dell’area disciplinare coinvolta. lo ri-portiamo, anche in questo caso, quasi integralmente:
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introduco facendo una lezione [...] sul senso della poesia, su che cosa significhi “poesia” esul fatto che bisognerebbe vivere l’esperienza del fare poesia più che insegnarla e chemolto spesso abbiamo bisogno di strumenti per decodificarla. la poesia è molto più [...]di quello che può essere una figura retorica o l’analisi metrica ecc. però, allo stesso tem-po, io voglio che i ragazzi acquisiscano anche questa parte. Per fare questa parte [...] disolito mi avvalgo del libro di testo: partiamo con la lettura di qualche testo poetico, cer-chiamo di analizzarlo insieme; cerco di andare avanti tenendo presenti i due aspetti: l’a-spetto più tecnico – e quindi cerco di fornire loro anche strumenti di analisi metrica, dianalisi di figure retoriche... – e l’aspetto, diciamo, più emozionale, a contatto con la vitadei ragazzi. quindi, ad esempio, riguardo a leopardi: il senso di solitudine, il senso dismarrimento di fronte all’orizzonte, la sofferenza che ha avuto [...], la risposta che ha tro-vato nella poesia, che cosa può dire a noi. oppure, “città vecchia” di Saba, che trova l’in-finito nell’umiltà; o Montale, che dice ai giovani che è ancora possibile fare poesia. cercodi consentire ai ragazzi questo contatto. […] Ho preparato dei documenti, [...] cercando divedere, nell’ambito della pubblicità, […] le figure retoriche e quindi cercando di far capi-re ai ragazzi che la parte più tecnica (l’analisi dei testi poetici) [...], legata alle figure reto-riche, in realtà, è uno strumento di decodifica non soltanto del linguaggio poetico, ma an-che di quello pubblicitario. [...] Ho preparato dei materiali, nei quali c’era una definizionedi “figura retorica” e [...], sull’altro versante, un’immagine pubblicitaria che avevo trova-to [...]; ho proiettato queste cose che poi i ragazzi tenevano come materiale anche con ilmio collega che parlava della pubblicità, delle figure retoriche che vengono utilizzate inpubblicità, dei messaggi che vengono veicolati [...]. con me ci si fermava ad una primaanalisi del testo pubblicitario, invece nel laboratorio grafico si proseguiva anche con l’a-nalisi dei colori, con un dato più tecnico e specifico della materia. questo progetto l’hopoi ripreso in storia – ho cercato dunque di curare anche l’interdisciplinarietà interna allemie due materie –, perché avevo visto anche la nascita del manifesto pubblicitario nellastoria e avevo creato anche qui una piccola dispensa [...] sul linguaggio pubblicitario, sul-la nascita del manifesto pubblicitario a partire dalle prime illustrazioni, dalle prime imma-gini pompeiane [...], per arrivare fino all’ottocento e sostanzialmente fino ai nostri mani-festi, insomma all’età contemporanea. il mio collega, insegnante di tecnologia e progetti-sta grafico, riprendeva anche questi materiali andando poi nello specifico della sua mate-ria, la progettazione grafica. […] il tutto si concludeva con la realizzazione, da parte deiragazzi, di un manifesto pubblicitario “poetico”; c’era quindi la fase finale creativa, moltoimportante per i nostri. questo era un progetto importante, [...] perché legava due aspettidella mia disciplina – l’italiano, la storia e la poesia – con il discorso di decodifica del lin-guaggio contemporaneo (intVr2/8); la rielaborazione più concreta avveniva in laborato-rio, nel senso che dopo, in laboratorio, i ragazzi cercavano di applicare questi strumentianche alla realizzazione finale del loro manifesto. io presentavo questi materiali, poi [...]c’era una prima fase nella quale i ragazzi prendevano appunti, digerivano questi materiali,questi lucidi, e poi [...] avevano una rielaborazione [...] (che) doveva servire per acquisireil senso della metafora [...]. quando poi io continuavo a far vedere le figure retoriche inpoesia, loro sapevano che la metafora era [...] una delle figure più importanti della poesiae si analizzava [...] all’interno della poesia [...]. Molto spesso ponevo delle domande e di-cevo: “Dove possiamo trovare delle metafore?”, “qui troviamo una metafora”, “Vi vienein mente qualche pubblicità o qualche espressione del linguaggio comune dove, secondovoi, si usa una metafora?”. in una seconda fase, lasciavo che fossero loro a fare un po’ l’a-nalisi del testo poetico [...]: leggevamo insieme il testo poetico, poi chiedevo loro dov’erala metafora in quel testo, oppure, se c’erano una similitudine e una metafora; interrogavoi ragazzi e chiedevo perché questa è una similitudine e questa una metafora, che differen-za c’è, oppure che differenza c’è tra analogia, metafora e similitudine: “Potete farmi an-
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che un esempio tratto dal linguaggio quotidiano, dal linguaggio comune!”, magari anchealla luce dei documenti che avevamo visto durante la lezione precedente. [...] in genere[...], nelle prime lezioni di poesia sono io a guidare la lezione; man mano che andiamoavanti, cerco un coinvolgimento maggiore dei ragazzi: [...] leggo il testo poetico, perchécredo molto anche nella lettura e cerco di fare una lettura particolarmente enfatica, per da-re già il senso del messaggio poetico, poi dopo cerchiamo insieme di fare una parafrasiquindi una decodifica del testo; spendo molte parole anche sul senso della parafrasi, licorreggo se, parafrasando, parlano in terza persona, se cambiano troppo il testo poetico. Apartire dalle lezioni successive, c’è un coinvolgimento maggiore, nel senso che dico: “Do-ve possiamo trovare una metafora? Dove possiamo trovare una similitudine? qual è ilmessaggio?”; poi mi sposto chiaramente non soltanto sul piano formale, ma su un discor-so anche artistico e quindi sul messaggio poetico, non so: “È ancora di attualità la poeticadell’umiltà di Saba? che cosa ci dice, se noi la applicassimo ai nostri giorni? quandoMontale ci dice: “codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vo-gliamo”, come l’applichiamo? Secondo voi, ha ragione o no?” (intVr2/10) […]. cerco in-somma di stimolare quanto più possibile una riflessione e cerco di [...] partire da una ri-flessione più semplice e di andare, se è possibile, più in profondità (intVr2/14), anche sulsenso poetico della vita in generale (intVr2/16). […] Posso fare lavori di tipo diverso: la-vori più semplici, di parafrasi del testo poetico o di commento oppure quesiti sul singolotesto poetico, oppure, in una fase successiva, il confronto fra poesie diverse; [...] (adesempio), abbiamo visto “infinito” di leopardi e “città vecchia” di Saba; che differenzac’è tra il concetto di infinito di leopardi e quello di Saba, che dice: “io ritrovo, passando,l’infinito nell’umiltà”?, oppure: “quanto trovo io il senso di infinito nella mia esistenza?”e quindi cerco anche di stimolarli a fare una riflessione ulteriore. c’è stato un momento incui ho anche pensato di assegnare loro, proprio come compito, la composizione di unapoesia; [...] ho assegnato diversi lavori [...]; vado dalle consegne più semplici su un testopoetico ad un lavoro di riflessione, di confronto [...] tra due poesie diverse, di due epochediverse, di due autori diversi; (stimolo) anche una riflessione sulla propria esistenza, op-pure prendo alcuni versi di un poeta, non necessariamente di uno visto in classe, e cercodi farli commentare a loro (intVr2/26). Per me nella poesia è importantissima questa ri-flessione personale; poi magari, nella fase di correzione, leggo io i testi prodotti e, se nonsono lavori troppo personali, c’è un momento in cui in classe analizziamo insieme anchealcuni di questi lavori, sentiamo quello che hanno fatto (intVr2/28). ci sono classi doveriesco a fare delle belle lezioni, (perché) c’è un coinvolgimento molto forte da parte deiragazzi; […] in generale ho avuto buoni risultati e anche [...] non ho notato grandi diffe-renze tra la componente femminile e la componente maschile, anche se spesso sono le ra-gazze che incominciano a rispondere; però ci sono anche dei ragazzi che vengono coin-volti dal discorso e fanno delle riflessioni interessantissime. […] nelle terze del cFP gra-fico [...] (intVr2/19), è la prima volta che i ragazzi hanno la possibilità di parlare di poe-sia, di approcciarsi ad un testo poetico […]. Sarei poco sincera se dicessi che, dalla primalezione, incominciano a discutere; alla prima lezione sentono la curiosità, il bisogno diparlare, però magari con modalità non proprio tradizionali: non hanno sempre la capacitàdi tradurre in linguaggio corretto questo bisogno, nelle prime fasi. Poi dipende molto an-che dalle classi: ci sono classi nelle quali si lavora veramente bene in questo senso, si rie-sce a ragionare, e classi nelle quali appunto c’è qualcuno che magari inizialmente ha delledifficoltà nel recepire (intVr2/20). Tengo moltissimo a questo aspetto e lo dico anche airagazzi perché, senza la poesia, non avrebbe senso neanche la vita; tengo a sottolinearequesto discorso al di là della figura retorica [...]; quanto abbiamo fatto in classe (sviluppa)il senso di profondità, [...] la capacità di non fermarsi alla superficie delle cose [...](intVr2/22).
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D. (intVr2) ritiene importante avvicinare gli allievi del cFP alla poesia edesprime la convinzione che la poesia possa risultare “parlante”, arrivare al cuore, sesi creano le condizioni perché nasca un dialogo autentico tra gli allievi e i testi poe-tici e l’incontro con un testo poetico si trasformi così in autentica esperienza. Da unaparte è importante che gli allievi siano messi in grado di acquisire alcuni strumentiessenziali per decodificare i testi poetici (figure retoriche, metrica ecc.). Dall’altra, èimportante che l’accostamento ai testi sia anche “emozionale” e che ciascun allievopossa scorgere un collegamento tra il testo che legge e la propria vita. Entrando nelvivo del percorso su “Poesia e pubblicità”, D. innanzitutto predispone accuratamen-te dei materiali che consentano agli allievi di legare la struttura linguistica della poe-sia a quella della pubblicità, elemento questo che tocca da vicino l’indirizzo forma-tivo che gli allievi stanno seguendo (quello grafico). in questo modo, D. cerca direndere l’accostamento al testo poetico più interessante per i suoi allievi. A partiredai materiali predisposti, D. avvia una lezione dialogata in cui alterna brevi spiega-zioni, letture espressive di alcune poesie e lo stimolo a produrre personali rielabora-zioni e veri e propri testi poetici (perché la poesia si capisce poetando). Gli stimoliriflessivi che l’insegnante propone orientano prima alla decodifica e all’analisi deltesto e si muovono, in un secondo momento, verso livelli sempre più profondi, allaricerca del significato che il testo esprime, ma anche del significato che il testo assu-me per gli allievi (“cosa significa per me?”), fino a far cogliere la poesia comesguardo sul mondo e sulla vita, che aiutando ad andare in profondità (“al di là dellasuperficie delle cose”) ne disvela “il senso poetico”. in aula, poi, alcuni di questi la-vori, una volta visti dall’insegnante, vengono presentati dai singoli allievi al restodella classe. i ragazzi, generalmente rispondono bene e si lasciano coinvolgere.Molti di loro hanno per la prima volta, nel percorso di istruzione e formazione intra-preso, l’occasione di accostare testi poetici. nell’affrontare il tema, D. cerca di rac-cordarsi al lavoro del collega di area pratica, che approfondisce l’aspetto pubblicita-rio dal punto di vista tecnico. inoltre, cerca di accostare il tema da diverse prospetti-ve, anche valorizzando il fatto di insegnare diverse discipline. Da un punto di vistametodologico, è importante notare che il percorso, che dura parecchie ore, si con-clude con un compito operativo: la realizzazione di un manifesto pubblicitario. È unaspetto che approfondiremo più avanti (cfr. i punti 5.3. e 6.).
3.6. Far vivere esperienze teatralil’esperienza del teatro – sia che si viva da spettatori che da attori – è in gradodi coinvolgere, di emozionare, di entusiasmare, ma soprattutto contiene notevolipotenzialità sul versante dell’educazione linguistica. Sono diversi i formatori cheinseriscono esperienze teatrali nel percorso formativo.3.6.1. Andare a teatroPer molti formatori è importante promuovere un incontro significativo tra gliallievi dell’iFP e il mondo del teatro. Per alcuni di loro, la proposta di andare a
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teatro si è rivelata un jolly che consente di avvicinarsi in modo diverso allalingua:quest’anno li ho portati a teatro; il teatro spagnolo fa (intMe7/67) teatro per ragazzi,quindi tiene a parte dei biglietti con dei prezzi vantaggiosi per i ragazzi [...] (intMe7/69);[...]. li ho portati per alcune commedie di Goldoni, li ho portati a vedere Shakespeare,con l’insegnante di inglese, e loro sono stati entusiasti. È un modo diverso per spiegarecarlo Goldoni: spiegato in classe, con una lezione frontale, Goldoni perde fascino(intMe7/73). [...] loro sono stati entusiasti, perché la maggior parte di loro non era maistata a teatro. Ho detto: “Proviamoci, chissà che...”. infatti l’altro giorno mi hannochiesto se posso portarli alla Fenice: pensa a ragazzi della formazione professionale cheti chiedono di essere portati alla Fenice! (intMe7/77). […] Se devo spiegare carlo Gol-doni (intMe7/239), li porto a teatro (intMe7/241), li porto a vedere una rappresentazioneteatrale; è un modo diverso di fare italiano e questo è ciò che manca a loro: esperienzeche facciano loro trovare motivazione allo studio (intMe7/243); l’hanno persa per varimotivi, perché il percorso scolastico è stato disastroso, perché probabilmente le modalitàerano sbagliate [...] (intMe7/245). quindi provo a giocare il jolly (intMe7/247);una cosa che mi ha davvero entusiasmato è stato l’approccio di due classi, terza elettricae terza termica, verso il mondo del teatro. quando in classe ho cominciato a parlare dicarlo Goldoni e della riforma teatrale, i ragazzi hanno incominciato subito a sbuffare e adirmi che per loro il teatro era “roba da vecchi”. Allora […] ho proposto alle due classidi andare a vedere una rappresentazione teatrale al teatro Verdi di Padova. Subito hannosnobbato l’iniziativa, dicendomi che si sarebbero annoiati, però nessuno di loro era maistato a teatro e io li ho fatti riflettere sul fatto che non si può giudicare una cosa, senzasapere di che cosa si tratti e […] li ho convinti a partecipare all’iniziativa. Abbiamo cosìorganizzato una visita culturale alla città di Padova […]; al mattino abbiamo visitato imonumenti più significativi della città […] e al pomeriggio abbiamo visto la commediagoldoniana L’impresario di Smirne. quando siamo entrati a teatro, i ragazzi sono rimastiesterrefatti: non facevano altro che guardarsi attorno e, quando è iniziata la commedia,tutti erano attentissimi, nessuno fiatava. incredibile, non li riconoscevo! È stata per meuna grande soddisfazione. il giorno dopo, in classe, ho fatto fare una relazione e, per laprima volta, non hanno sbuffato e non mi hanno detto la solita frase: “non so che scri-vere”. Mi hanno anzi detto che è stata una bellissima esperienza […]. la settimana suc-cessiva ho cominciato a parlare di carlo Goldoni e della sua riforma teatrale e tutti sisono dimostrati interessati all’argomento, hanno interagito con me, mi hanno fatto unsacco di domande e hanno fatto riflessioni che mai mi sarei aspettata da loro(FGita3/62).E. (intMe7), formatrice a Mestre, e P. (FGita/62), formatrice a Este (PD), rac-contano esperienze analoghe: accompagnare i loro allievi a teatro (in entrambi icasi, si ha a che fare con Goldoni) si rivela un’occasione ricca di stimoli per ragazzipoco avvezzi alla fruizione di questo tipo di prodotti culturali.3.6.2. Fare teatro in classeSono davvero molti i docenti che utilizzano tecniche teatrali in aula o accom-pagnano i propri allievi ad intraprendere autentiche imprese teatrali. Forse, il mo-tivo di un ricorso così frequente a questo tipo di esperienze sta proprio nel fatto chel’attività teatrale, più di altre, dà forza all’istanza, spesso pronunciata, di rendere i
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soggetti in apprendimento attori protagonisti del proprio percorso. Alcuni docentiinseriscono elementi teatrali nella normale attività didattica:una cosa che a me diverte molto, mi piace proprio, è il teatro, quindi in classe, per la pre-sentazione personale, cosa che si fa al primo anno, gli faccio, tra virgolette, “l’incontro,scontro” a coppie: devono partire dagli angoli opposti dell’aula e la classe deve stare perforza attenta per vedere dove vanno. Devono sfiorarsi, ma, quasi sempre è uno scontro,nel senso che non vedono l’ora di mettersi alla prova; poi, partendo dal “sorry”, quindidal chiedere scusa, dall’attenzione verso l’altra persona, iniziano tutto un dialogo di pre-sentazione. Praticamente, con questa tecnica del teatro in classe, tutti si divertono e nonc’è nessuno che mi sbagli la differenza tra “sorry e “excuse me” o la presentazione. Honotato che farli muovere, farli recitare in classe serve tantissimo (FGita4/11);penso che anche Dante offra diversi spunti. Ricordo una classe di quest’anno, del corsodi gastronomia: ventotto allievi […] “bollenti”, una classe veramente difficile. Si varcava“la porta dell’inferno”, entrando in una classe così. Sono solita far imparare a memoriaalcuni versi della Divina Commedia. la cosa ha certa presa su di loro, nel senso che, rac-contando una frottola, dico loro che mandare le cose a memoria previene l’Alzheimer; daqualche parte l’ho letto […]. Dopo la spiegazione sulla porta dell’inferno, la lezione suc-cessiva, mi avevano preparato un cartello attaccato sulla porta che è ancora là: “lasciateogni speranza o voi che entrate!”, rivolto agli insegnanti e firmato da ognuno degli allievidella prima gastronomia. […] quel giorno ho chiesto loro di entrare in classe secondol’umore, per capire con chi potevo lavorare più attivamente e con chi invece dovevo an-dare più morbida; qualcuno entrava in classe in ginocchio, qualche altro saltando – ed èstato interrogato sulla lezione precedente –, qualcuno strisciando – e l’ho lasciato inpace –. Poi, sempre con Dante, uso il confessionale: i ragazzi “si confessano” a vicendasu quelli che sono non i peccati, ma le loro predisposizioni e, con gli schemi dell’inferno,del purgatorio e del paradiso, devono collocarsi; devono perciò fare lo sforzo, se nonaltro, di imparare termini come “lussurioso”, “accidioso”… e collocarsi a vicenda all’in-terno dell’inferno, del purgatorio o del paradiso (FGita3/26).K. (FGita4/11), che insegna inglese in un cFP del Veneto, utilizza elementi tea-trali per stimolare competenze linguistiche (il chiedere scusa, le forme di presentazio-ne ecc.), facendo simulare situazioni di incontro/scontro. Anche E. (FGita3/26), cheinsegna italiano a Este (PD), raccontando la sua esperienza con una classe particolar-mente difficile, evidenzia il ricorso ad elementi teatrali: non solo la recita di qualchepasso della Divina commedia, che suggerisce ai ragazzi l’idea di appendere all’in-gresso della loro aula la minacciosa scritta che campeggiava al sommo della porta diingresso dell’inferno dantesco, ma anche l’invito ad entrare in aula mimando il propriostato d’animo o l’utilizzo del “confessionale” (parola che ai ragazzi fa pensare più alGrande Fratello televisivo che ai riti della tradizione cristiana) per indicare la propriacollocazione nella geografia dantesca dell’aldilà.Altri docenti intervistati nominano veri e propri progetti teatrali, distesi nel tempo,che talvolta richiedono anche l’aiuto di risorse specialistiche, esterne al centro:il progetto teatro è nato da un’intuizione e da una serata trascorsa con i miei colleghi e imiei amici […]; siamo andati insieme a vedere uno spettacolo di AA; per quanto fosse fa-moso, non ero mai andata a vedere un suo spettacolo, anche […] perché era in dialetto ve-ronese. Uscendo da teatro, abbiamo fatto questa riflessione: “Però, forse, questa forma di
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teatro sarebbe adatta anche per i nostri ragazzi!”. inizialmente sembrava una battuta, mapoi, un po’ per la mia testardaggine […] un po’ per quella degli altri miei colleghi, abbia-mo detto: “Perché non fare un tentativo?”. Allora semplicemente abbiamo contattato que-sto regista, ci siamo incontrati un giorno e [...] gli abbiamo chiesto come lavora nellescuole, perché nel frattempo abbiamo scoperto che effettivamente organizzava anche inaltre scuole questi laboratori di teatro; ci è piaciuto il suo modo di lavorare e quindi in tre,il regista, io e M., un mio collega, siamo diventati una piccola squadra e abbiamo cercatodi costruire questo progetto (intVr2/76). il (mio collega) è di area tecnico-laboratoriale,insegna tecnologia, disegno e progettazione grafica, e (l’idea di collaborare) ci è venutanon solo perché c’è una grande sintonia, ma anche perché ci vuole una persona di areateorica, ma anche una persona che sappia gestire tutto l’aspetto artistico, l’aspetto sceno-grafico […]. quindi ci siamo trovati noi tre, abbiamo iniziato a creare questo progetto che[…] prevedeva un incontro settimanale di due ore con i ragazzi e che poi avrebbe portato,alla fine dell’anno scolastico, alla realizzazione di uno spettacolo su un testo inedito, scrit-to dal regista per noi, in base alle esigenze del gruppo e dei ragazzi che partecipavano alcorso. Abbiamo sostenuto il nostro progetto presso il collegio docenti e, fin dall’inizio,abbiamo voluto che fosse aperto a tutti i settori del nostro cFP. [...] (il progetto) è statoapprovato e quindi siamo partiti con l’incontro settimanale, durante il quale si parte dallaprima fase in cui si cura la capacità espositiva, la dizione – senza fare esercizi di dizione,ma abituando i ragazzi a scandire bene le parole, a parlare di fronte al pubblico –, la ge-stualità, insegnando loro che non ci si esprime soltanto con le parole, ma con tutto il cor-po – quindi anche tutto un discorso legato alla prossemica, al tono della voce, allo sguar-do, all’atteggiamento –; poi facciamo un passo successivo che è quello dell’improvvisa-zione, e lì [...] nascono delle cose straordinarie […]. Poi – ma questo è un lavoro che fa, citengo a sottolinearlo, il regista; io e il mio collega abbiamo imparato e cerchiamo di aiu-tarlo [...] – AA comincia a scrivere il testo teatrale che è sempre inedito, ascoltando anchele idee dei ragazzi, e noi iniziamo a lavorare sul testo teatrale. Perché è un’esperienza bel-la per noi insegnanti? Uno perché lavoriamo con i ragazzi al di fuori dell’aula e ci ponia-mo anche noi nella condizione di chi deve imparare: lì non siamo noi gli insegnanti, è AAl’insegnante, il maestro, allora anche noi insegnanti ci rendiamo conto, facendo teatro, didove sbagliamo nella comunicazione, perché magari io punto tutto o gran parte sulla pa-rola e non curo altri aspetti della comunicazione; i ragazzi apprezzano il fatto che ci met-tiamo in discussione e che anche noi siamo degli “allievi” di AA; e poi perché lavoriamoinsieme a loro e li aiutiamo sostanzialmente, aiutiamo sia il regista che loro a costruirequesto progetto (intVr2/78). il primo anno era [...] anche ridicolo vederci, nel senso chepoteva creare anche dell’imbarazzo; noi qualche esercizio lo facciamo effettivamente coni ragazzi, anche perché AA fa anche dei giochi teatrali e nei giochi teatrali ci coinvolge;[...] poi cerchiamo di aiutarlo anche dal punto di vista molto pratico, materiale ecc., ascol-tando e ponendoci anche noi nella condizione, appunto, di chi sta imparando; qualche gio-co teatrale, qualche esercizio lo facciamo anche noi insieme ai ragazzi; poi invece, nellafase più specifica, quando c’è già il copione, noi ci spostiamo sul versante sostanzialmen-te organizzativo, quindi forniamo un supporto concreto nel reperimento di materiali, unaiuto, un sostegno anche ai ragazzi. in questo secondo anno, AA ci ha coinvolti di più, nelsenso che, se lui arrivava in ritardo, eravamo noi ad iniziare il gruppo; […] eravamo noiad iniziare le prove, la scena, e questo è stato molto importante per me, ma anche per ilmio collega, tanto è vero che, qualche volta, sospetto che il regista sia arrivato in ritardoanche di proposito, nel senso che pian piano ci ha voluto coinvolgere anche in manierapiù diretta (intVr2/80). Ho avuto il caso di una ragazza del cFP che era assolutamente ti-mida, timidissima, a livello patologico, che, prima di iniziare teatro, sostanzialmente, nonparlava durante le interrogazioni, che erano più un monologo da parte mia che un dialogo;
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questa ragazzina, inizialmente, anche a teatro aveva queste difficoltà, soprattutto negliesercizi di improvvisazione; [...] adesso, qualche volta, la devo richiamare perché chiac-chiera e per me questa è una grandissima conquista. Siamo andati in scena due giorni fa elei è stata una delle migliori; [...] prima non parlava, sussurrava; a teatro, sul palcoscenico,tira fuori la voce. Un’altra ragazza, che so che ha avuto delle sofferenze, un vissuto un po’così, riesce a tirar fuori una grinta straordinaria sul palcoscenico. Ho notato che anche iragazzi più vivaci imparano un principio importantissimo: che non sono gli unici sullascena, che devono collaborare con gli altri; [...] uno, in particolare, ha imparato a lavorarein coppia con altri, perché in teatro c’è anche l’esigenza di lavorare in sintonia, in coppia,e questo ragazzo, che ha un carattere difficile da gestire, ha imparato a collaborare con glialtri, ha imparato che non può essere sempre lui il protagonista della scena; questo è im-portantissimo. con una mia classe, nella quale ho due ragazzi coinvolti, ho fatto anche unpassaggio successivo: abbiamo letto insieme, in classe, l’opera, e abbiamo letto anche “lalocandiera” di Goldoni; allora ho coinvolto i miei due “attori” nella lettura espressiva diquesti testi e anche il resto della classe si è incuriosito e ha fatto domande; abbiamo dis-cusso anche del testo di Goldoni, abbiamo detto appunto: “Guardate quale straordinariaforza espressiva ha, perché qua non siamo in teatro, siamo in classe, non abbiamo unascenografia, niente, soltanto quella voce e soprattutto, grazie al testo di Goldoni riusciamoad intuire la fortissima carica espressiva dei personaggi, del testo in generale”(intVr2/82). quest’anno (abbiamo coinvolto nel progetto) 21 ragazzi provenienti preva-lentemente dal settore grafico del cFP; [...] alcuni allievi del settore meccanico sono staticoinvolti non tanto come attori; si sono prestati – e questo è stato molto bello – per aiutar-ci a costruire la scenografia (intVr2/84);il laboratorio [...] più impegnativo è quello di teatro, perché i ragazzi si suddividono; sisvolge con le quattro classi prime; lavorano nelle stesse ore e si mescolano. Allora, c’è uninsegnante che segue gli scenografi, un insegnante che segue i costumisti ecc.; abbiamoanche una regista di professione […], una figura esterna che viene per seguire gli attori, epoi un’altra figura esterna, l’insegnante di danza, che viene a preparare i ballerini [...]. Al-lora, c’è questo lavoro di gruppi (intPd3/138) [...] mescolati tra classi prime, per poi arri-vare alla festa di fine anno. quest’anno abbiamo avuto [...] come tema la multiculturalitàe quindi è stato fatto uno spettacolo che considerasse vari aspetti della vita – la scuola, ilmatrimonio, [...] l’infanzia... –, secondo le varie culture presenti nel nostro centro(intPd3/140). il titolo era “il giardino del mondo”, ma l’abbiamo scritto noi; cioè, l’inten-to era che la scrivessero i ragazzi; in effetti il testo l’hanno scritto i ragazzi, però con mol-to aiuto nostro (intPd3/142); [...] poi c’era un lavoro di applicazioni informatiche, perchéal computer hanno fatto l’invito per i genitori e anche il biglietto di sala, e poi [...], adesempio, la parte di scenografia; lì [...] abbiamo disegnato e dipinto; è una cosa che esulaun po’ da quelle che sono le varie discipline. Sicuramente, [...] in un laboratorio di questogenere, [...] emerge la capacità di delegare, di saper assumersi dei ruoli, per cui, se io oggidisegno questa cosa, tu poi la dipingi, per fare un esempio concreto […]. in effetti, alla fi-ne, sebbene il lavoro sia immane, si crea [...] molto clima di gruppo e, secondo me, è unacosa molto bella questa (intPd3/146); [...] la regista li ha seguiti durante le ore che io e lealtre colleghe avevamo in programma per il laboratorio; veniva la regista, lavorava congli attori e curava, logicamente, la mimica, un [...] minimo di dizione ecc. (intPd3/148);la visita didattica era stata organizzata per le prime e le seconde degli operatori puntovendita nella città di Mantova. Vicino alla città, c’è un outlet Village e l’obiettivo princi-pale era proprio la visita a quest’ultimo, approfittando anche della disponibilità, da partedel responsabile marketing della struttura, di intrattenersi un po’ di tempo con i ragazzi ele ragazze. Pensai […] di coinvolgere le classi anche in un’iniziativa diversa su “Man-tova e il suo poeta”. Mai e poi mai avrei potuto fare una lezione su Virgilio, ma farla fare
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a loro forse sì. Preparai dodici riassunti dei dodici libri dell’Eneide, feci una breve bio-grafia sul poeta Virgilio e affrontai la classe. Ad ogni allievo consegnai una parte del ri-assunto, in modo che tutti potessero partecipare. il loro compito era di impararlo e poi direcitarlo. Ad un’allieva consegnai la biografia. in questo modo, tutti avrebbero cono-sciuto i dodici libri. Preparai poi la scenografia, con una cornice e qualche alloro; i mieiragazzi diventarono attori e recitarono. Ripresi tutto con la videocamera, feci un mon-taggio con effetti speciali e poi regalai ai ragazzi il video. il rivedersi li imbarazzò moltodi più del recitare in sé. Parlammo della comunicazione non verbale, degli atteggiamentie molto anche di Virgilio. loro avevano costruito la lezione. quando arrivammo a Man-tova, si sentivano un po’ più amici del grande poeta (FGita3/8). l’attività dei ragazzi èdurata due ore, un’ora per la preparazione e un’ora per rivedere il video, la mia è duratacirca tre, considerando il tempo a casa, per il montaggio! (FGita3/12). […] Scopo princi-pale della visita era conoscere l’outlet Village, che è un centro commerciale moltogrande […], vicino a Mantova. Poi, una collega ha predisposto una presentazione storica,in power point, con documenti dal punto di vista architettonico; io invece avevo il com-pito di preparare la visita dal punto di vista letterario, e chiaramente, a Mantova, non sipoteva non parlare di Virgilio (FGita3/15);ho fatto questa esperienza con il gruppo dei meccanici di terza […]; erano quattordici al-lievi. Ho spiegato loro L’Orlando furioso e, dopo alcune lezioni in cui li coinvolgevo nel-la magia del racconto, tra anelli che rendono invisibili, fontane del disamore, amori tracristiani e mori, saraceni, li ho messi in campo nel vero senso della parola, in quanto, ar-mati di scopettoni, alias spade, luna costruita con cartoncino bianco, boccetta di profumo,senno di orlando, siamo scesi in cortile e in campo erboso a simulare la battaglia tra sara-ceni e cristiani, la fuga di Angelica (tra parentesi, un meccanico biondo) e la follia di or-lando (tra parentesi, un allievo aveva disegnato per terra un cuore con le iniziali di Ange-lica e Medoro e lo pseudo orlando ha simulato di diventare pazzo, urlando). io facevo laregista, filmavo la scena, trattenendo le risate e l’entusiasmo, vedendoli pieni di caricapropositiva; l’apoteosi c’è stata quando un ragazzo e un suo compagno, Astolfo, hannomesso in moto, come se fosse un vero scooter, l’ippogrifo, che altri non era che un altroragazzo dei meccanici, tarchiatello e corpulento, che li ha portati in groppa sulla luna dicartoncino, a recuperare tra le valli, che erano l’orto coltivato da un salesiano, il sennoperduto dall’eroe cristiano. il video è ancora al centro ed è rimasto una pietra miliare diquello che i ragazzi hanno saputo regalarmi e regalarsi […]. È stato divertente, molto di-vertente (FGita3/24).il progetto teatrale coinvolge un gruppo di ragazzi di diversi settori, si distendelungo tutto l’anno, prevede un’articolazione in fasi e si conclude con uno spettacolopubblico. il racconto di D. (intVr2) è particolarmente interessante anche perché illu-stra il modo in cui nasce l’idea di realizzare il laboratorio: la serata tra amici, il pen-siero agli allievi che fa capolino anche quando non si è a scuola, l’intuizione cheforse qualcosa del genere sarebbe possibile realizzarlo anche con loro, l’esplorazio-ne delle condizioni, la costituzione di una squadra che avesse il necessario affiata-mento e potesse sostenere il progetto anche di fronte agli altri colleghi. il laboratorioteatrale prende forma, i ragazzi partecipano sia alle attività preliminari (gli esercizisulla dizione e la gestualità, gli esercizi di improvvisazione ecc.), sia alla fase ideati-va del testo da rappresentare. c’è un coinvolgimento attivo anche nella fase di alle-stimento dello spettacolo (realizzazione dei costumi e delle scenografie ecc.). la si-tuazione esterna al percorso normale consente la costruzione di un rapporto diverso,
36 Su questo possiamo rimandare anche all’utile e dissacrante lavoro di De Benedetti, che af-ferma ad esempio quanto segue: «così come il libretto di istruzioni di un’automobile spiega come è
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più autentico, tra insegnanti ed allievi. Gli effetti si vedono, sia nel cambiamentoche interessa i diretti partecipanti (i più timidi imparano ad esprimersi in pubblico, ipiù estroversi a contenersi ecc.), sia nella ricaduta che l’attività ha poi sulle classi: iragazzi direttamente coinvolti nel progetto vengono mobilitati come “esperti” anchenell’accostamento ad altri testi, suscitano curiosità nei compagni, aiutano ad intuirela forza espressiva dei testi. Anche n. (intPd3) racconta un progetto di laboratorioteatrale che questa volta coinvolge tutti i gruppi del primo anno di corso, che costi-tuiscono degli intergruppi, si distribuiscono i compiti e realizzano uno spettacolo fi-nale, valorizzando le competenze di ciascuno e tirando fuori il meglio di sé. P. (FGi-ta3/8-15), approfittando di una visita a Mantova, organizza una recita sui libri del-l’Eneide, per aiutare i propri allievi a diventare amici del grande poeta, oltre che aconoscersi meglio e ad imparare ad esprimersi. E. (FGita3/24) propone invece unaccostamento teatrale all’Orlando furioso, dopo averli coinvolti nella magia del rac-conto dell’Ariosto. Entrambe le docenti utilizzano poi la videoripresa per tenere me-moria dell’esperienza e consentire agli allievi di rivedersi. non si tratta di camuffarei testi o di renderli spiritosi e divertenti, ma di avvicinarli in modo fisico, concreto,sensibile e di appropriarsi delle loro storie facendole rivivere.
3.7. Far riflettere sulla lingua d’uso (la grammatica)la priorità data all’esperienza sulla spiegazione caratterizza anche l’approcciodei nostri docenti all’insegnamento della lingua ad allievi generalmente refrattariverso tutto ciò che implica una qualche forma di astrazione concettuale. la linguaha a che fare con tutte le contingenze della vita, da quelle quotidiane a quelle legateai contesti di lavoro. Essa inoltre è il tramite indispensabile per lo studio in ogniambito disciplinare. i percorsi di educazione linguistica nella formazione professio-nale sono dunque prevalentemente orientati a far cogliere le strutture e le conven-zioni grammaticali dentro la lingua che si usa, tenendo conto anche dei cambia-menti che le moderne forme di comunicazione (in primis, gli sms e le altre formeelettroniche di comunicazione) stanno inducendo. Tutto questo si traduce in stimolia descrivere il linguaggio che si utilizza.3.7.1. Rilevare il valore d’uso della linguaPer molti ragazzi della formazione professionale, le parole, più che per le loroforme e modi, importano per il senso di cui si caricano e per i richiami che conser-vano a quello che rimane fuori dalle quattro pareti dell’aula. Allora, per far cogliereai propri allievi il senso di un approfondimento linguistico, i formatori tendono aporre l’accento sul valore d’uso della lingua36, più che su astratte classificazionigrammaticali:
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fatta la vettura ma non è di nessun aiuto quando si tratta di guidarla, i concetti di soggetto e verbosono utili a spiegare come è fatta la lingua ma non servono a nulla nel momento in cui la lingua bi-sogna usarla. ciò significa che quando formulo un pensiero, scritto o orale che sia, la mia primapreoccupazione deve essere quello che voglio dire, non certo se il soggetto o il verbo siano regolar-mente al loro posto» (De Benedetti, 2009, p. 36).
in seconda, in terza, punto anche molto su: “Devi prendere un treno, devi consultare unorario dei treni, come fate a consultare un orario dei treni?” […] (intPd2/104). Ho fattoun’attività in una classe di segreteria: […] ho dato loro in mano tanti strumenti, dagliorari dei treni e degli autobus, ai ricettari, alle enciclopedie, alle guide turistiche; sopra lacattedra ho messo una strage di testi, di tutti i tipi: giornali, quotidiani, riviste, cartine,piantine della città, guide, [...] insomma di tutto e ho detto: “Dovete trovarmi una, due,tre informazioni: devo andare a Milano giovedì e devo prendere.., devo arrivare a quel-l’ora; prendi quello che ti serve da sopra la cattedra e dammi tu l’indicazione, l’informa-zione che ti ho chiesto” (intPd2/204). l’attività è motivante, ma non hai sempre la classeseduta; hai i ragazzi in piedi, che girano per la classe e che cercano gli strumenti che ser-vono loro (intPd2/208). E, se alla fine li trovano, sono contentissimi (intPd2/210);MG (intPd2), ad esempio, punta a far esercitare le abilità di decodifica di di-verse tipologie testuali, in ordine al raggiungimento di uno scopo comunicativopreciso e concreto. Del resto, la lingua è uno strumento trasversale, che in ogni am-bito aiuta a comprendere e a farsi comprendere. Vediamo qualche altro esempio, aquesto riguardo:proprio in questi giorni ho un problema con la collega di matematica, che trova un saccodi errori di ortografia e dice: “Sono stufa! i ragazzi dicono: ‘è matematica, non è ita-liano!’...”. Allora ho dovuto intervenire e spiegare ai ragazzi che un conto è la materia“italiano”, un conto è la lingua italiana e che la lingua italiana serve per tutte le materie,non soltanto quando scriviamo i temi. “Ma quando scriviamo i temi stiamo più attenti!”,dicono i ragazzi (intVr4/40); [...] loro vedono la lingua come una materia a sé stante; ècome se, non so, il compito di matematica per loro non avesse a che fare con la linguaitaliana [...]. questo capita anche perché noi immaginiamo la scuola, le materie, comecompartimenti stagni, ciascuno a sé stante (intVr4/42);abbiamo Simulimpresa qui a scuola (intPd2/152). Praticamente è un’aula nella quale cisono tutti i vari uffici di un’azienda che si chiama Stafila, e i ragazzi simulano il lavoro,dei vari uffici (intPd2/154). c’è la segreteria, c’è l’ufficio amministrazione, c’è l’ufficiomarketing, l’ufficio vendite, il magazzino, cioè ci sono tutti i vari uffici, e loro, a turno,entrano nei vari uffici e svolgono i vari compiti, mettono in pratica […] le conoscenze ele competenze acquisite; in economia aziendale, per esempio, io devo trattare, in labora-torio, una parte che riguarda l’impresa, e allora capita che loro dicano: “Ma lei, prof, è diitaliano? come mai ci fa questo corso sull’impresa?”; e io rispondo: “Ragazzi, è vero,non ho una laurea in economia, però mi sono presa il vostro testo di economia, mi sonofotocopiata il capitolo e me lo sono studiato; è impossibile che un’insegnante di italianocapisca che cos’è un’impresa?”, “Ah no, è vero.., però… lei è di italiano!” […](intPd2/156). Ho studiato e […] qui ho una tabella – uso molto le tabelle – e una schedae, mano a mano che spiego, se do una definizione di “imprenditore”, gliela leggo cosìcome è scritta nel codice, però dopo la dovrò tradurre (intPd2/158). […] Voglio far ca-pire loro che veramente l’italiano è un mezzo attraverso il quale tu interpreti la realtà(intPd2/160), anche se è si tratta di una realtà […] sconosciuta; se hai gli strumenti
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adatti, riesci a capire qualsiasi cosa e, se questi strumenti non li hai, te li puoi procurare...(intPd2/162), te li puoi creare, li puoi acquisire […]. io dico […]: “Ragazzi, quando voisapete leggere e capire quello che leggete, potete capire qualsiasi cosa, se lo volete, ov-viamente, se avete la volontà di acquisire questa conoscenza nuova e sapete usare glistrumenti che vi possono aiutare a capirla” (intPd2/164).c. (intVr4) si trova impegnato a spiegare ai suoi allievi che la lingua italiana haa che fare con tutte le discipline, matematica compresa, e MG. (intPd2), ancora unavolta, fa sperimentare ai suoi allievi che una buona padronanza nella lingua consen-te di esplorare i diversi territori del sapere. Entrambi sono impegnati a superare ri-gidi steccati disciplinari. l’idea di rilevare il valore d’uso della lingua, senza dimen-ticare l’esigenza di correttezza, ma orientando quest’ultima, appunto, all’uso comu-nicativo della lingua, è ben espressa anche da E. (intVr5), insegnante di inglese:partendo dal presupposto che il fine dell’insegnamento [...] della lingua straniera è essen-zialmente comunicativo, che senso avrebbe studiare la lingua come puro studio [...] di fe-nomeni linguistici, quando poi non riuscissi ad utilizzare la lingua ai vari livelli? […]. inquesto contesto, ad esempio, [...] avrebbe poco senso. quindi quello che faccio lo facciopuntando [...] all’uso della lingua come strumento di comunicazione: è questo l’obiettivofondamentale. Allora, ad esempio, parto con l’ascolto di un dialogo che introduce unaunit, oppure [...] dalla lettura e dall’analisi di un brano [...], dove sono contestualizzatideterminati aspetti grammaticali. [...] Si fa uno studio della grammatica e del lessico noncome attività isolate, ma come attività orientate [...] a fini comunicativi. cioè, il fatto cheio sappia che devo usare l’ausiliare nella forma interrogativa – do, does, did – oppure cheil present continuous ha la forma progressiva con il verbo essere e la forma in -ing mi stabene, però, se [...] queste conoscenze sono avulse dall’aspetto comunicativo e funzionale,la cosa serve a ben poco. [...] il lavoro che si fa [...], se si tratta di prime o di seconde, èad esempio chiedere le caratteristiche fisiche di una persona, saper rispondere a questadomanda, saper fare un’offerta, saper fare una richiesta utilizzando funzioni comunica-tive che siano anche utilizzabili in situazioni tipo; parlo del bar, del ristorante, della sta-zione; quindi, ci si focalizza sulla capacità di interloquire, di comunicare. Si parte daquesto, poi naturalmente il tutto viene sfruttato con domande e risposte sul contenuto deldialogo o del brano che si è utilizzato; si fa un’ulteriore lavoro riprendendo con esempidiversi a quello che era stato presentato nel brano. Faccio un esempio: se nel brano [...],attraverso un dialogo, parlano, non so, i componenti di una band, [...] si parla delle carat-teristiche fisiche di queste persone, del loro carattere, poi il tutto viene ripreso esten-dendo la cosa ad altri soggetti; può essere un componente della famiglia, può essere unamico, possono essere tutte queste cose. Ecco, il lavoro che viene fatto è inizialmenteorale; poi naturalmente si passa alla pratica scritta, tenendo presente comunque [...] chequello che prevale è l’aspetto comunicativo, con attenzione, ovviamente, alla correttezzadel tutto, ma tenendo presente che è opportuno e doveroso abitare entrambe le case: lacasa della comunicazione e la casa della correttezza, nel senso che il tutto non può pre-scindere da una acquisizione completa di quelle che sono le strutture grammaticali –perché è fondamentale –, però [...] poi è essenziale saper utilizzare la lingua. questo èper fare in modo che le strutture grammaticali, l’impianto, lo scheletro della lingua, siaacquisito nel miglior modo possibile; è dimostrato ad esempio che chi ha imparato lalingua per strada – si parla di emigranti nostri che sono andati a lavorare all’estero, adesempio in Germania, e che non hanno seguito un corso di lingua tedesca –, una voltaconcluso il periodo lavorativo all’estero, tornati in italia, dopo anni, tendono a dimenti-care completamente la lingua appresa; rimane qualcosa ma è ben poco; chi invece ha ac-
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quisito conoscenze strutturali sulla lingua […] la conserva, magari dimenticando dei vo-caboli, però riuscendo a cavarsela; questo è fondamentale, però, ripeto, lo studio dellagrammatica e del lessico va sempre orientato ai fini dell’esecuzione (intVr5/15).Più che una rinuncia alla grammatica, possiamo dire che i nostri formatori pra-ticano la ricerca di un’altra via alla grammatica e allo studio della lingua, che nonpassi per forza attraverso l’analisi logica tradizionale. imparare a descrivere lalingua che si usa smette di essere un esercizio solo scolastico e comincia a dare ri-sultati operativi, fornendo quell’intelaiatura che consente di inquadrare e utilizzarein modo duraturo ciò che si apprende.3.7.2. Accompagnare percorsi di meta-riflessione sulla lingual’accostamento alla grammatica risulta in genere piuttosto difficile. È vero chela grammatica serve a comprendere come funziona una lingua e a sviluppare capa-cità riflessive e che, come dice c. (intVr4) nel brano che segue, gli “ingranaggi”del pensiero vanno oliati ma, se la riflessione è fine a se stessa, è come un motoreche gira a vuoto:la grammatica italiana risulta un pochino difficile, perché lì si tende ad accentuare l’a-spetto teorico, più che la pratica, quindi i ragazzi qualche volta fanno fatica (intVr4/4);c’è una parte più squisitamente grammaticale che ai ragazzi risulta un po’ pesante, un po’noiosa – mi rendo conto – anche perché li costringe un pochino a ragionare, a riflettere. inostri ragazzi fanno molta fatica a riflettere; io dico sempre: “non è che non abbiate latesta, [...] ma avete delle ragnatele dentro, non siete più abituati ad usarla. Bisogna oliareun po’ gli ingranaggi”; [...] devono riflettere sulla lingua che usano tutti i giorni, [...] cosache poi si ripercuote sulla scrittura e sul [...] parlato [...] (intVr4/38).i docenti intervistati si rendono conto che un’eccessiva insistenza su astratteoperazioni di analisi grammaticale, logica o del periodo andrebbe a detrimento diun’attività ben più importante, come la riflessione metalinguistica. la grammaticaal cFP diventa perciò sostanzialmente una meta-riflessione sulla lingua d’uso, apartire da testi e non da sterili classificazioni o da elementi astratti, quali possonoessere le singole parti del discorso37. Su questo i docenti sono praticamente una-nimi. Vediamo qui di seguito alcuni esempi:
37 quanto possa essere sterile un certo tipo di grammatica, in ogni ordine di scuola, è bene illu-strato, da Andrea De Benedetti, ad esempio, riguardo all’analisi logica che: «mescola un po’ tutto in-sieme, sintassi e semantica, funzioni e significati, proponendo una tassonomia dei complementi tantoimponente e prolissa quanto fine a sé stessa. Se avete ancora a casa la grammatica che usavate alle me-die o avete figli in età scolare, vi consiglio di andare a contare il numero di complementi che vi sonoelencati. Fatto? Scommetto che non ne avete trovati meno di quaranta e sono sicuro che non manche-ranno […] il complemento di colpa e quello di pena, quello di abbondanza e quello di privazione, quel-lo aggiuntivo e quello eccettuativo. non mi costa nulla ammettere che io per primo faccio molta faticaa riconoscerli, e anche quando ci riesco mi capita di chiedermi a che cosa serve distinguere un comple-mento di materia da un complemento di specificazione o un complemento di misura da un comple-mento di estensione […]. come non scorgere in tutto questo un’inutile – e a tratti perversa – frenesiaclassificatoria da parte dei compilatori di manuali scolastici, che sminuzzano la lingua con la stessapassione e la stessa pignoleria dei vivisettori più sadici?» (De Benedetti, 2009, pp. 146-148).
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la grammatica io la tratto sui testi; [...] non insegniamo una grammatica fine a se stessa,quindi “oggi trattiamo i verbi ausiliari” (intMe7/317); non lo facciamo perché è fine a sestessa; allora, quando vado a correggere le relazioni tecniche, dico ad esempio, vediamole ‘ha’ con l’acca e le ‘a’ senza l’acca (intMe7/319); parto da quello per spiegare la gram-matica; [...] mi sembra che, facendo così, l’approccio alla grammatica sia […](intMe7/321) più semplice e più efficace (intMe7/323);leggo delle frasi (intMe4/90), salto il connettivo [...] e dico: “Secondo voi è possibile chequeste frasi siano collegate? Da dove lo capite?”. lo scrivo alla lavagna, riporto le due frasia distanza, lasciando i puntini di mezzo e invito loro a cercare di individuare il connettivo sultesto. Ecco, questo per quanto riguarda il lavoro sintattico-lessicale (intMe4/94).per quanto riguarda […] lo studio della grammatica, siccome, anche confrontandoci tracolleghi, ci siamo resi conto che far studiare la grammatica così come l’abbiamo studiatanoi alle elementari e alle medie – “Studia tutte le coniugazioni dei verbi, studia tutti i pro-nomi e gli aggettivi, ecc.!” –, per l’utenza che arriva qui, [...] è una cosa che sa di sterilità,cerchiamo di partire, non dico dalla vita concreta – perché, insomma partire dalla situa-zione concreta per studiare grammatica [...] non è così semplice – ma magari dall’esem-pio, anziché dalla regola; [...] cerchiamo di partire da una frase che abbia un contesto a lo-ro noto, anziché iniziare con la definizione di pronome ecc. (intPd3/12). Ad esempio, [...]se devo spiegare il verbo, [...] è logico che, se io entro in classe e dico: “oggi, ragazzi, vispiego il verbo!”, loro dicano: “oh, ma dobbiamo studiarli? Dobbiamo fare la gara suiverbi? ci fai il compito sui verbi? Dobbiamo imparare tutte le coniugazioni?”; del restohanno questo retaggio di quando, alle elementari e alle medie, dovevano studiare i verbiproprio a raffica, mentre a noi, alla fine [...], interessa che sappiano distinguere un predi-cato da un soggetto. Allora, che ne so, scrivo alla lavagna la frase: “ieri ho incontrato ilmio amico Marco che andava in centro a bere lo spritz”; già quando sentono la parola“spritz”, si attivano (intPd3/18); magari chiedo: “quali sono le parole che, in questa frase,individuano l’azione che Marco sta compiendo o che il soggetto sta compiendo?”, alloraloro le sanno individuare (intPd3/20) […]; si tratta di fare costantemente riferimento allaloro vita, [...] anche semplicemente a partire dalla frase che utilizzo per l’esempio, cercan-do una frase che rientri nella loro esperienza e riflettendo su di essa (intPd3/152);[...] uno degli argomenti più ostici è sicuramente la grammatica; normalmente [...] sifanno le parti del discorso, l’analisi logica e l’analisi del periodo. Allora io [...], siccomequesta cosa non ha molto successo, provo [...] a fare un lavoro diverso, pensando a unacosa che diceva Dewey: che bisogna partire dalle cose che si incontrano nella vita con-creta e l’analisi farla solo se serve, quando serve e al livello a cui serve. Per cui io pen-savo di partire dall’analisi del periodo, vedere i vari tipi di frase subordinata, poi analiz-zare le singole frasi e quindi vedere la questione dei complementi e, in un terzo mo-mento, vedere le singole parole: nomi, verbi ecc. credo che questo potrebbe aiutareanche nel dare motivazione riguardo allo studio dell’italiano: [...] partire dalle frasi interesignifica partire da testi; partire da testi significa che si può trovare un aggancio mag-giore tra lo studio della lingua e le attività che si fanno in qualsiasi altra materia, perché[...] va bene un testo tecnico, [...] un testo che affronta un’altra materia, ad esempio,anche un testo costituzionale; lavorare in questo modo può far vivere lo studio dell’ita-liano, a mio avviso, come una riflessione sulla lingua [...] intesa come strumento che siusa poi universalmente [...] (FGita1/174); [...] a me sembra che studiare l’italiano par-tendo dai “mattoncini” delle parole, quindi vedendo cos’è il nome, cos’è l’aggettivo,cos’è il verbo ecc., e poi attaccandoli insieme e costruendo la frase, [...] sia un lavoromolto astratto; normalmente non si ha a che fare con il nome o con il verbo, si ha a chefare con una frase; noi conversiamo usando frasi. Allora, più che montare le frasi, bi-
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sogna smontare i testi scritti e orali, con cui normalmente si ha a che fare; [...] io credo,spero, voglio provare a vedere se lavorare in questo modo può avere dei risultati più mo-tivanti e anche dare maggiore concretezza allo studio della lingua (FGita1/178); lo studiodell’italiano significa riflettere sulla lingua e non studiare i nomi, i verbi, gli aggettiviecc., sapendo fare una serie di cose molto analitiche, che servono relativamente, rispettoal lavoro (FGita1/180); io intendo lo studio dell’italiano in un cFP come una riflessioneche porti ad una consapevolezza nell’uso della lingua, più che come uno studio dellagrammatica in sé e per sé, che possiamo lasciare ai linguisti [...] (FGita1/182). [...]quando il direttore mi ha chiesto di fare grammatica italiana, ho avuto serissimi pro-blemi, anche perché io non facevo grammatica da venti anni circa, quindi [...] proprionon ricordavo nemmeno il pronome – non sto scherzando – e poi insegnare ai ragazzi lagrammatica non è facile. quindi ho ripreso i libri di testo, li ho ristudiati [...] e poi hofatto grammatica con i ragazzi; dopo quattro mesi, ho capito che, nonostante il mio im-pegno, nonostante la mia presenza, tutte le cose più svariate, le invenzioni..., i ragazzinon capivano praticamente niente di grammatica. Sapevano a memoria i verbi, perché liobbligavo ad impararli. Poi ho cambiato tecnica. io con i ragazzi ogni anno... scelgo untesto di narrativa; lo scelgo io [...], perché l’anno scorso ho fatto scegliere ai ragazzi ehanno scelto […] il libro [...] di Moccia, “Tre metri sopra il cielo” [...]. Allora, che cosafaccio? ogni settimana [...] (FGita1/184) [...] lascio ai ragazzi un capitolo da leggere; lodevono riassumere [...] e poi piglio io il riassunto e lo correggo. il lavoro è molto più im-pegnativo, perché devo correggere 150 riassunti, però il ragazzo si accorge degli errori evi assicuro che, dopo due o tre mesi, il ragazzo non fa più gli stessi errori; [...] certo, nonsapranno che cos’è il soggetto, cos’è il verbo, o lo sapranno per sommi capi, però è inu-tile somministrare a questi ragazzi grammatica in dosi massicce [...]; secondo me questaè un’azione destinata in partenza alla sconfitta; l’ho toccato con le mie mani. quindi,preferisco utilizzare un testo di narrativa. quest’anno abbiamo utilizzato quello di Twain,“le avventure di Huckleberry Finn”, ma […] loro preferiscono “christiane Effe. noi, iragazzi dello zoo di Berlino”, per la droga, il sesso [...] (FGita1/186).E. (intMe7) guida i suoi allievi a riflettere sulle relazioni tecniche che scri-vono, ad individuare eventuali errori, a comprendere le caratteristiche delle formecorrette. S. (intMe4) propone ai suoi allievi di lavorare a partire da testi e frasi sucui sia possibile ragionare. Anche n. (intPd3) ha imparato che è importante partireda testi e non da definizioni e che i testi funzionano meglio se sono legati all’espe-rienza degli allievi. M. (FGita1/178-186), richiamandosi esplicitamente a JohnDewey, sottolinea l’importanza di partire dal periodo, anziché da singoli elementiscomposti e dunque astratti da un contesto discorsivo. inoltre, egli ritiene che, aifini dell’educazione ad un uso corretto della lingua, sia più utile la pratica del rias-sunto e della successiva riflessione su eventuali errori, che non un accostamentoastratto a singoli elementi. lo scopo infatti è insegnare ad esprimersi corretta-mente, non formare dei linguisti di professione! Almeno questo è quanto M. e glialtri formatori hanno imparato nella loro esperienza. Ma su questo è d’accordoanche un linguista come luca Serianni, quando, a proposito di grammatica ascuola, afferma: «la parte propriamente teorica, tanto nelle grammatiche per lascuola media quanto in quelle per il biennio […], è poco utile per far riflettere sullalingua, perché veicola classificazioni di debole capacità esplicativa, o addirittura ri-calcate sulla sintassi latina e costrette a forza sul letto di Procuste della grammatica
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di una lingua strutturalmente del tutto diversa, seppur derivata da quella» (Serianni,2010, p. 69). l’obiettivo, infatti, è comprendere le strutture linguistiche soggiacentiai testi, non «classificare materiali inerti entro una griglia immutabile» (ibid.,p. 71).3.7.3. Orientare ad una esplorazione autonoma del libro di grammaticaRaramente i libri di grammatica sono davvero utili e molto spesso gli esempiche portano sono poco plausibili. MG. (intPd2) esprime tutta la sua difficoltà di farapprendere le strutture grammaticali della lingua:le Uda dove con i ragazzi incontro più difficoltà sono quelle legate alla grammatica [...],alla sintassi della lingua italiana, che con i ragazzi del cFP è tanto difficile da affrontare.Diciamo, io dedico a questo 20 ore circa [...], però vedo che sono un po’ sprecate [...],perché, se le strutture sintattico-grammaticali non sono acquisite entro i primi dieci annidi vita, a 14, 15, 16, a volte 17 anni [...], (intPd2/28) diventa molto difficile acquisirle, al-meno seguendo un approccio di tipo deduttivo, cioè a partire dalla regola, per poi andaread applicare questa regola su un testo, su una frase, su un esercizio (intPd2/30). Però nonvoglio arrendermi, [...] non è che sia afflitta, [...] che dica: “Ah, boh, lasciamo perdere,tanto ormai non posso recuperare niente!”. io comunque continuo (intPd2/32). […] conquesti ragazzi non puoi partire dall’approccio che i nostri testi ci danno: “il nome – ma-schile, femminile, singolare, plurale –, gli aggettivi, gli avverbi…”; la grammatica o, inseconda, l’analisi logica o, in terza, l’analisi del periodo, per loro è una cosa da extrater-restri (intPd2/76). Ecco, con un modello molto semplice, io ho dato loro una tabella, li hofatti lavorare in gruppo, anche perché, se mi mettevo io a spiegare l’articolo, il nomeecc., questi, [...] dopo trenta secondi […] (intPd2/78), erano già da un’altra parte. Allorafaccio lavorare loro con il testo in mano; ho dato loro una tabella [...] e ho detto: “Guar-date, ragazzi, voi dovete completarmi questa tabella, scrivendomi, [...] una definizione diarticolo, e in quest’altra [...] casella, i vari tipi di articolo”. (intPd2/80). Allora che cos’èun articolo, con una definizione e gli esempi; che cos’è un nome; cos’è un aggettivo;cos’è un pronome e cos’è un verbo (intPd2/96); [...] anche il fatto stesso di andare all’in-terno di un testo a reperire [...] l’informazione che serve è molto utile per i nostri ragazzi(intPd2/98); (il lavoro è) più dinamico: “Prof, dove trovo l’aggettivo?”. “Vai all’indice!”.“oh, mamma, che cos’è l’indice?”. Allora imparano a consultare, imparano che in ognilibro c’è un indice e che, a partire dall’indice... (intPd2/100), ti puoi orientare, vai allapagina e trovi l’informazione che ti serve. Per me questo lavoro, serve anche ad aprire unpo’ la mente... (intPd2/102). […] con questa attività loro hanno dovuto anche impararead usare il loro testo per reperire informazioni [...]; una volta che hanno completato, [...]nell’altra colonna, facevano la classificazione: articolo, che tipi di articoli esistono? E viadicendo; il discorso dei verbi… (intPd2/110) e poi “le parti invariabili del discorso”,quindi l’avverbio, la preposizione, la congiunzione e l’interiezione (intPd2/112).MG. non si arrende davanti alle difficoltà dei suoi allievi. Decide di non adot-tare un approccio tradizionale, deduttivo, ma di fornire gli strumenti per una esplo-razione autonoma del testo di grammatica, introducendoli ad una specie di “cacciaal tesoro”, nella quale, a partire da una griglia di elementi da cercare, i soggetti pos-sono imparare a destreggiarsi sul libro di testo e andare là a cercare le informazioniche cercano. Del resto, utilizzando la lingua non è così importante saperne definirei singoli elementi, quanto saperli riconoscere.
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3.7.4. Guidare all’arricchimento del lessico facendo costruire un personaleglossarioPer i nostri formatori è essenziale contribuire allo sviluppo di competenze les-sicali e semantiche nella lingua italiana. Un lessico povero infatti impedisce dicomprendere la realtà traducendola appunto in linguaggio. Per questo i formatoriorientano i propri allievi a stare sulle parole e a costruire dei glossari personali,come spesso si fa per l’apprendimento di una lingua straniera, con il significato deltermine, i termini collegati (se si tratta di un verbo, anche il sostantivo o gli agget-tivi corrispondenti)38, eventuali sinonimi e contrari, esempi e controesempi:lavoro molto sul lessico, sulla comprensione dei termini, sulla ricerca con il dizionariodel significato dei termini sconosciuti (intPd2/112); [...] questi ragazzi tante volte hannoidee in testa, ma non riescono ad esprimerle, perché non hanno le parole; non hanno pro-prio i termini per esprimere un concetto e non capiscono un banalissimo articolo di gior-nale, perché non conoscono il significato delle parole che sono scritte, e non sto parlandodi editoriali ma di articoli di cronaca, perché in prima affrontiamo questo tipo di testi –[...] (intPd2/114). [...] Se troviamo una parola che non conoscono, cerco di far capire checosa significhi; vedo che non è un lavoro inutile, perché, se loro hanno capito quel pen-siero che abbiamo letto o che è stato comunicato, poi sanno portare avanti un pensiero(intPd5/24). […] Se ho un corso di vendita, gli articoli che propongo ai ragazzi sono le-gati al settore delle vendite, che ne so, il packaging piuttosto che le strategie di marke-ting, oppure [...] faccio loro ricercare, nei siti delle aziende [...], le strategie di marketing,le mission aziendali, e loro imparano i termini e il linguaggio specialistico del loro set-tore (intPd2/118). […] Punto molto sul lessico [...] e faccio fare anche un glossario condelle rubriche, dove loro, mano a mano che trovano un termine nuovo, l’acquisiscono, neimparano il significato e se lo scrivono con tutte le varianti, i contrari e i relativi esempi[...] (intPd2/130);termini che a noi possono risultare assolutamente ovvi non lo sono per tanti ragazzi delnostro centro, e quindi, ecco, […] ho fatto costruire una rubrica con i termini nuovi, chepoi periodicamente anche ritiro, per controllare che [...] questi termini alla fine venganoappuntati; poi ecco, non faccio la classica interrogazione sui termini nuovi, perché altri-menti li imparano a pappagallo, e questa cosa, secondo me, non ha molto senso, però,ecco sono attenta a fare in modo che, nelle mie spiegazioni, comunque, il mio linguaggiosi arricchisca di volta in volta di termini che magari in seguito possono diventare a lorofamiliari [...] (intPd3/24).MG. (intPd2) sente l’esigenza di regalare parole per consentire ai suoi allievidi esprimere le idee che hanno dentro spingendosi oltre le parole abituali e spente.la padronanza del lessico è infatti un passo essenziale per esercitare liberamente ilpensiero, per comprendere la complessità del mondo contemporaneo e per diven-tare soggetti attivi e critici nel confronto politico. Si tratta anche di guadagnare fa-miliarità con i termini, soprattutto quelli astratti, che i ragazzi possono incontrare
38 in termini tecnici, si parla di “parole corradicali” (cfr. Serianni, 2010, pp. 79 sq.), cioè di pa-role che condividono la radice, come ad esempio, “lapidario, lapide, lapidare” o “conscio, co-scienza…” ecc.
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nella lettura di un articolo di giornale, e con i termini tecnici che si possono incon-trare nell’esercizio della propria professione. Sia MG. che n. (intPd3) invitano, aquesto scopo, i propri allievi a tenere sempre a portata di mano un quadernetto ouna rubrica telefonica, su cui annotare in ordine alfabetico i nuovi termini che in-contrano, i loro significati e alcuni esempi. in questo modo, la ricerca dei significatie la riflessione sulle parole possono trasformarsi in avventure avvincenti.
4. CReARe Le CONdIzIONI PeRCHè SI POSSA LeggeRe e SCRIveRe CON PIACeRe
Uno dei compiti fondamentali dei formatori dell’asse dei linguaggi è educarealla lettura e alla comprensione dei testi. Si tratta, come abbiamo visto e vedremo,di qualcosa che ha a che fare con tutti i campi di esperienza, nei quali si incontranovarie tipologie di testo (descrittivo, narrativo, argomentativo, prescrittivo ecc.); maa questo livello si gioca anche la possibilità di un incontro con la letteratura che di-venti autentica esperienza. in questo paragrafo, tra le altre cose, presenteremo le at-tività che i nostri formatori hanno trovato efficaci per creare le condizioni affinchépossano nascere negli allievi il gusto della lettura e una certa attenzione al bello. Èquesto – più che l’approccio storico-letterario – il modo del “fare letteratura” alcFP. il fatto è che, come ci ricorda Armellini, non si può imporre di provare pia-cere nella lettura: «non posso intimare a una ragazza o a un ragazzo: “Prova il pia-cere della lettura!”, “Desidera di leggere un libro!”, “Appassionati per i Promessisposi!”, ed aspettarmi che queste ingiunzioni ottengano l’effetto sperato» (Armel-lini 2008, p. 23). la pragmatica della comunicazione (Watzlawick, Helmik Beavin,Jackson, 1971), infatti, ci insegna che inviti di tal genere costituirebbero “ingiun-zioni paradossali”, del tipo “sii spontaneo!”, alle quali sarebbe impossibile obbe-dire senza, nello stesso tempo, ad esse contravvenire. l’interrogativo che si pon-gono i nostri formatori è allora simile a quello formulato da Rosalba conserva,anche lei insegnante di italiano in percorsi scolastici professionalizzanti: «chefaccio per cambiare le abitudini di questi ragazzi?, di questi, e sono i più, che senon imparano qui non c’è altrove che faccia scoprire loro il piacere di leggere?»(Bagni, conserva, 2005, p. 24). la risposta che possiamo attingere dall’esperienzadi tanti insegnanti (cfr. Armellini, 2008) e da quella dei nostri formatori è che sipossono creare delle condizioni che facilitino lo scoccare dell’interesse e del pia-cere di leggere. “creare le condizioni” significa lavorare indirettamente, coltivandola consapevolezza che non esistono strade che portano a risultati certi, ma anche lasperanza che la letteratura sappia parlare anche ai ragazzi del cFP. Vedremo perciòqui di seguito alcune modalità praticate dai nostri docenti, in particolare la letturaad alta voce, la riflessione su di sé a partire da ciò che si legge, la personalizzazionedel libro. Dato poi che educazione alla lettura ed educazione alla scrittura si intrec-ciano, vedremo in questo paragrafo anche la tecnica di far reinventare e riscrivere ilfinale dei libri letti e altre tecniche di scrittura creativa.
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4.1. Leggere e far leggere ad alta voce, per gli altriUna prima strategia che alcuni formatori utilizzano per creare condizioni favo-revoli al sorgere del piacere di leggere è l’esperienza di una lettura a voce alta,espressiva, quasi teatrale39, proposta dal docente stesso o fatta fare agli allievi da-vanti ai loro compagni, che aiuti a legare il senso al suono di ciò che si legge:se ci sono vari personaggi, assegno le parti e dico: “Tu fai questo, tu fai quello, tu faiquell’altro…” (intMe7/59), perché ho visto che questo è un modo diverso per coinvol-gerli; altrimenti, dopo 10 minuti, un quarto d’ora, hai perso la classe (intMe7/61). questacosa viene benissimo [...] in seconda, quando affrontiamo Goldoni (intMe7/63) e le suecommedie; lì è veramente teatro, show, perché poi loro entrano nella parte (intMe7/65),si divertono, giocano, scherzano; uno degli argomenti che a loro resta più impresso nellamente è proprio questo (intMe7/67); si tratta di un approccio teatrale, nel senso di unalettura non soltanto testuale, ma anche recitata da parte loro (intMe7/75), assegnando aloro i vari personaggi, le varie parti (intMe7/77);per quanto riguarda la competenza nella lettura, leggiamo insieme [...] un testo di narra-tiva [...]; ecco quest’anno, ad esempio – sono davvero felice di questo –, ho adottato untesto molto vicino alla loro realtà adolescenziale, perché, in “orientamento” – che èun’altra area di cui mi occupo –, parliamo del sé, dei propri punti di forza e di debolezza,e quest’anno abbiamo affrontato il tema dell’adolescenza, con tutti i problemi legati aquesta età; per questo ho scelto un testo di narrativa legato a questo tema. i ragazzi l’-hanno accolto molto bene. lo abbiamo letto in classe; ad ognuno assegnavo il compito dileggere un capitolo per la volta successiva: “Tizio, caio e Sempronio si preparano...”, edi proporre una lettura ad alta voce per i compagni di alcuni passi per loro significativi(intPd2/34). il libro era La linea del traguardo di zanoner, che parla appunto di ragazziadolescenti, di un ragazzo in particolare, che, in conseguenza di un incidente in moto, ri-mane paralizzato, in carrozzina, e quindi cambia tutte le prospettive dalle quali vede lealtre persone e anche la sua vita […] (intPd2/36). [...] È stato uno spunto per fare delle ri-flessioni anche sui valori [...]. la competenza nella lettura non è solamente la compren-sione del testo, che si può ottenere attraverso una lettura silenziosa, ma anche la lettura avoce alta, che […] implica un leggere per altri, che è una cosa diversa dalla lettura fattasolo per se stessi; tutto sommato per loro è stato un lavoro impegnativo, che però ha datoanche felicità. Un ragazzo mi ha detto: “Prof, io non avevo mai letto un libro in vitamia!”, ma come lui erano davvero pochi i lettori, in quella classe. All’inizio dell’anno,faccio sempre alzare la mano e chiedo: “Ragazzi, chi ha letto un libro per intero nella suavita?”, alzano la mano in due, non di più (intPd2/38), i coraggiosi, quelli che hanno il co-raggio di dirlo davanti ai compagni. Un ragazzo, alla fine di questa Uda, mi ha detto:“Guardi, prof, mi sono appassionato alla lettura, ho visto che riesco a leggere un librodall’inizio alla fine e questa cosa mi piace!”. Va beh, ha cominciato a leggere i libri diHarry Potter, ma a me va benissimo, perché comunque è un sogno che uno mi dica:“Prof, non vedo l’ora di mettermi a leggere!” […] (intPd2/40).E. (intMe7), per vivacizzare la lettura di un testo narrativo in aula, assegna aidiversi allievi le parti dei vari personaggi di un brano o di un racconto e propone di
39 Ancora una volta appare l’elemento teatrale, che anche sopra abbiamo visto particolarmentevalorizzato dai nostri formatori.
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leggere in modo espressivo, curando le pause e l’intonazione. quando i testi sonoquelli teatrali, come nel caso delle commedie di Goldoni, la strategia risulta parti-colarmente efficace e generalmente ottiene di accendere autentici entusiasmi. MG.(intPd2), che ha scelto un libro di narrativa vicino all’esperienza dei propri allievi,chiede loro di preparare la lettura ad alta voce di un brano del libro. Si tratta di farscoprire che leggere per altri – e non solo per sé – può rendere la lettura un’espe-rienza viva. Anziché somministrare schede di analisi, che potrebbero risultare“mortifere” per il gusto di leggere, MG. stimola semplicemente ciascun allievo acondividere con i compagni la lettura di quei passi del libro che l’hanno maggior-mente colpito e che magari ha evidenziato. la consegna è dunque di scegliere queipassi che ciascuno intende leggere ad alta voce ai compagni, che desidera quasi re-galare loro, con la gioia di farli partecipare alle emozioni provate nella lettura.questo ottiene di trasformare allievi generalmente refrattari a qualsiasi testo scrittoin apprendisti lettori e poco importa se i libri a cui rivolgono la loro attenzione nonfanno parte del canone dei classici40.
4.2. Far riflettere su di sé a partire da ciò che si leggeScoprire il piacere di leggere significa scoprire che ci sono pagine che ci leg-gono, che ci rivelano a noi stessi e ci regalano parole per riconoscere vissuti e sen-sazioni. Per questo alcuni formatori, anziché soffermarsi esclusivamente su letture“strutturali” dei testi (l’individuazione delle strutture interne al testo: la trama, ipersonaggi, le caratteristiche della lingua ecc.), orientano gli allievi a cogliere i rap-porti che si istituiscono tra quel testo e loro che lo stanno leggendo:un’altra (chiave) è [...] far capire ai ragazzi che quello che leggiamo può riguardareognuno di loro [...]. chi scrive lo fa per chi legge – sembra banale la cosa, ma non lo è –scrive pensando a qualcuno che legge; non pensa necessariamente a una persona adulta olaureata, può pensare a chiunque, perché chiunque di noi può leggere qualunque cosa etrarne quello che può trarne. Uno che ha quarant’anni trarrà alcune cose, uno che ne haquindici potrà trarne qualcosa di diverso, comunque qualcosa ne trae [...]. Se leggiamodei versi di una poesia o un brano di un romanzo, io faccio riflettere su [...] tante cose –la tematica, la lingua usata, i personaggi – ma soprattutto dico: “Hai mai conosciuto unpersonaggio con queste caratteristiche? Tu ritieni di avere queste caratteristiche? Ti pia-cerebbe averle…?”. Ecco, a questo punto il ragazzo si confronta con se stesso e io [...]verifico molti obiettivi: la loro conoscenza di sé, le loro analisi del mondo che sta fuori diloro; tutto questo attraverso quello che leggono; le materie [...] sono dei mezzi, dei tra-miti, non sono il fine (intVr4/18). leggo quasi integralmente I Promessi Sposi di Man-
40 Guido Armellini invita a non sottovalutare gli interessi e le curiosità che si accendono per pro-dotti culturali che potremmo definire “paraletterari”: «ci sono prodotti della cultura di massa per noiinsignificanti o addirittura squallidi, attorno ai quali si addensano aspirazioni, paure, rabbie, desideriche ci possono sembrare del tutto sproporzionati: credo che sia importante saper distinguere tra lascarsa qualità degli oggetti di consumo culturale, dai quali può essere utile prendere le distanze, e ilvalore delle emozioni che le ragazze e i ragazzi proiettano su di essi, che meritano di essere conside-rate e accolte con rispetto e simpatia» (Armellini, 2008, p. 25).
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zoni, in seconda, e credo che siamo l’unico cFP in italia a farlo; ci vuole del coraggio[...] per farlo, ma noi ci proviamo [...] cercando, per esempio, di [...] fare in modo che iragazzi si immedesimino nei personaggi e quindi che immaginino di trovarsi al posto diquel personaggio, in quella particolare situazione […]. Pensiamo al caso di Renzo elucia, che si trovano di fronte ad una grandissima ingiustizia: a qualsiasi ragazzo saràcapitato di vivere, di sopportare un’ingiustizia; quindi chiedo: “come hai reagito? comereagiresti?”. non si tratterà di sposarsi, si tratterà di qualcosa d’altro, ma questo fa giàcapire ai ragazzi che le opere che noi leggiamo sono dei grandi classici, perché parlanodi cose che valevano cento, mille anni fa, e credo varranno tra mille anni. Risultano te-matiche eterne, personaggi eterni, perché rappresentano sentimenti come l’amore, l’odio,la paura, l’angoscia, che noi viviamo tutti i giorni; è questo che permette di avvicinareun’opera a un ragazzo [...] (intVr4/20).nel racconto di c. (intVr4), cogliamo come la lettura possa trasformarsi, ancheper gli allievi, in un confronto vivo con se stessi e dunque affinare capacità rifles-sive, oltre che competenze di lettura e di comprensione dei testi. Attraverso lo sti-molo ad immedesimarsi nelle situazioni e nei personaggi, il nostro docente guida ipropri allievi a trovare nei testi che leggono parole per esprimere ciò che essi stessivivono. l’esperienza della lettura si carica così di risonanze emotive ed esistenzialie consente di rivestire di carne ciò che altrimenti sarebbe condannato a restare soloparola.
4.3. Personalizzare il rapporto con il libro e con gli autoriil libro, nonostante l’avvento di nuovi media e di nuovi linguaggi, mantieneuna sua centralità nei percorsi formativi. ne è convinto D. (intMe1), per il quale, illibro non è un oggetto sacro, da rispettare con riverenza, ma uno “strumento di la-voro”, su cui è lecito, anzi consigliato, scrivere e operare:[...], oltre al quaderno [...], c’è il libro, che bisogna avere come strumento di lavoro; [...]io chiedo all’inizio della lezione che loro abbiano questi due oggetti: il quaderno e illibro (intMe1/204). l’utilità del libro sta nelle sottolineature, nelle scritte; il libro diventaun libro proprio: “quello è il tuo e, quando tu guardi quel libro, scritto con i tuoi appunti,a te verranno in mente delle cose!” [...] (intMe1/210). (Si tratta della) personalizzazionedel libro. È un campo vastissimo; il libro sta uscendo dalla vita di molte persone, di tantiragazzi (intMe1/212). Purtroppo, anche la scuola, da un certo punto di vista, ci casca,perché [...] si tende ad utilizzare poco il libro [...] (intMe1/214); (ride) qualcuno dice cheè antiquato (intMe1/216). È vero, il libro va utilizzato con le dovute maniere, a secondadel target, inoltre utilizzeremo anche il computer, utilizzeremo anche il film, però il librova utilizzato (intMe1/218), rimane centrale (intMe1/222).la lettura è dunque anche un fatto fisico. D. (intMe1) invita i suoi allievi a leg-gere non solo con la mente e con gli occhi, ma anche con le mani, utilizzando lapenna (o l’evidenziatore o il pennarello) per sottolineare e scrivere note a marginedel testo. Scrivere sul proprio libro aiuta a leggere, eventualmente a ri-leggere edunque a memorizzare. Attraverso queste operazioni, il libro può diventare qual-cosa di proprio, con cui si istituisce un rapporto unico e personale. Da qui la stra-tegia di far personalizzare il libro.
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Ma può essere personalizzato anche il rapporto con gli autori. Anzi, quando lalettura si trasforma in esperienza, diventa spontaneamente una specie di “conversa-zione” con gli autori. È ciò che esprime S. (intMe4), nel frammento che segue:per una comprensione della figura dell’autore, (è utile) poter allacciare rapporti conVerga, poter allacciare rapporti con Ariosto, conversare con loro (intMe4/208).Si possono allacciare rapporti “personali” con gli autori in vari modi: ponendoloro domande o lasciandosi da loro interpellare, cercando di individuare le do-mande che sono state importanti per loro, immaginando e ricostruendo colloqui einterviste con loro o tra loro, immaginando di scrivere loro una lettera, dopo averletto un brano tratto da una loro opera.
4.4. Far analizzare un testoleggere consapevolmente un testo significa anche «entrare nell’officina delloscrittore» (Serianni, 2010, p. 86) e dunque imparare a “smontare” le parti di un’o-pera, a saperne riconoscere i principali elementi costitutivi, i caratteri strutturali.Ma l’analisi deve restare un mezzo, non può diventare il fine della lettura, e devesvolgersi in modo leggero, per non correre il rischio di rendere insopportabile lalettura, riducendola ad un esercizio, fine a se stesso, di “vivisezione” del testo. M.(intVr7) descrive le azioni che compie e fa compiere quando fa lavorare su unbrano tratto dall’antologia:presentavo prima l’autore, l’opera da cui veniva tratto il brano che leggevamo, poi legge-vamo questo testo e ne facevo due usi: facevo ad esempio dividere (il brano) in se-quenze, facevo dare un titolo alle sequenze, per capire se ci sono dialoghi, se ci sono ri-flessioni, descrizioni...; dal titolo delle sequenze, facevo poi costruire un riassunto delbrano (intVr4/58). cerchiamo di analizzare un minimo i testi: individuazione del sistemadei personaggi, minima divisione in sequenze, ricostruzione della trama (intVr7/50).innanzitutto il nostro formatore inquadra il brano. Poi fa analizzare il testo, perguidare all’individuazione di alcuni elementi formali, e ne fa costruire un riassunto.infine, come abbiamo visto sopra (cfr. il punto 4.2.), stimola i ragazzi a riflettere sudi sé a partire da ciò che leggono. Ecco invece, nel brano che segue, le fasi dell’a-nalisi che descrive D. (intMe1), docente a Mestre, che esplicita anche le ragionidelle sue scelte:[...] c’è poi l’approccio ad un testo; tendo continuamente ad utilizzare testi scritti; loro di-cono: “Ah, professore, noi vediamo poche cassette”. qualcuno viene da percorsi scola-stici, alle medie, dove si usavano molti audiovisivi e film, ed è proprio a digiuno di testoscritto; credo che l’aspetto specifico [...] della mia disciplina sia l’approccio al testo conragazzi che comunque avranno a che fare con dei testi – siano libretti di istruzione, sianocontratti di lavoro – e che appunto dovranno saperli leggere in maniera minimamente cri-tica. quindi usiamo il libro di testo per leggere brevi brani. Anche qui il tutto è legato alfare e [...] il corpo della lezione è strutturato sulla lettura del testo scelto per quella le-zione (intMe1/76): faccio leggere loro a turno; ho fatto leggere in classe anche allievidislessici, tanto che i genitori si sono meravigliati; molto è legato al clima, al sentirsi ac-
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colti, al non sentirsi giudicati (intMe1/78); ho visto che è possibile farlo e loro si sentonoprotagonisti. Subito dopo c’è la sottolineatura, in quello che abbiamo letto, [...] degliaspetti principali indicati da me, soprattutto nel primo anno di corso; [...] poi chiedoanche: “che cosa sottolineereste voi? qual è l’aspetto principale?”. questo serve perchéè la base dell’approccio al testo; loro [...] – lo dico generalizzando – sono allievi non abi-tuati a cogliere gli aspetti principali del testo, quindi, di fronte anche ad un paragrafo, ve-dono solo un blocco di parole scritte, tutte importanti (intMe1/80), non sanno selezio-nare. nella prima fase, dunque, all’inizio dell’anno, ci diamo quattro o cinque punti di la-voro sul testo scritto; il primo passaggio sarebbe quello di chiedere le informazioni(intMe1/82), [...] chiedere le parole che non si conoscono (intMe1/84); lo do come unadelle prime operazioni da compiere, durante il lavoro sul testo scritto, perché molti diloro, se uso, per esempio, la parola “centellinare”, stanno zitti; perciò dico: “Facciamoqueste domande!” (intMe1/86), “chiediamoci come mai c’è la parola ‘centellinare’....”;certe volte li anticipo spiegando cosa vuol dire (intMe1/88); [...] c’è poi la sottolineaturadegli aspetti principali e di solito, a margine, faccio mettere anche dei titoletti, [...], utiliz-zando anche la lavagna per scrivere i titoli (intMe1/96), perché poi questo diventa perloro, nella rielaborazione [...], la struttura della schematizzazione che faranno personal-mente. Dunque, nel passaggio dal testo alle informazioni da organizzare in testa, c’èquesta sottolineatura, ci sono i titoli guida, praticamente gli appigli, insomma gli “attac-capanni” delle informazioni (intMe1/98) […]. il metodo prevede insomma la lettura deltesto a turno, da parte degli allievi, la spiegazione, con possibilità di interventi e di do-mande al docente, la sottolineatura sul testo degli aspetti principali e la suddivisione inparagrafi del testo in questione. la lezione prosegue con la richiesta di produrre sul pro-prio quaderno uno schema personale di quanto preso in esame. Alla conclusione assegnodelle domande a risposta aperta riguardanti gli aspetti affrontati, a cui rispondere sul qua-derno per la lezione successiva. l’incontro successivo, vengono presi in esame i lavorisvolti: l’insegnante passa per i banchi, affiancando gli allievi, chiedendo spiegazioni suquanto prodotto e proponendo, sotto forma di domande, eventuali osservazioni su errorie mancanze. cerco, inoltre, di valorizzare quanto prodotto da ognuno. la lezione pro-segue con la presentazione, da parte mia, di un lucido su lavagna luminosa, per mostrareuno schema del testo in questione, elaborato da me. non ho chiesto agli allievi di sosti-tuirlo al loro, creato e organizzato con criteri personali e liberi, ma di considerarlo as-sieme al loro, copiandolo, discutendone i criteri e l’organizzazione: c’è, così, lo spazioper domande di chiarimento e delucidazioni. in vista del terzo incontro, vengono asse-gnate agli allievi delle domande riguardanti il testo in questione, a cui rispondere periscritto sul proprio quaderno. le domande servono alla rielaborazione personale, sottoaltra forma, di quanto emerso dal testo (intMe1/540).le azioni di analisi del testo che l’insegnante propone non sono aride proce-dure auto-finalizzate: la lettura del testo, con l’attenzione a creare un clima nongiudicante; la ricerca del significato delle parole che non si conoscono; la genera-zione di domande sul testo; la selezione e la sottolineatura degli elementi principalidel testo; l’attribuzione di titoli-guida alle parti sottolineate – gli “attaccapanni”delle informazioni, che vengono anche visualizzati alla lavagna –, la rielaborazionepersonale attraverso la costruzione di uno schema, infine, una riflessione personalesollecitata da opportune domande sulla risposta alle quali attivare, nell’ora succes-siva, una discussione. in tutto questo colpiscono l’approccio che valorizza il contri-buto di ciascuno e lo schema che il docente stesso elabora ed offre alla fine del pro-cesso, non per sostituire quelli elaborati dagli allievi, ma per affiancarli, come ulte-
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riore elemento di riflessione; soprattutto colpiscono il carattere operativo impressoall’analisi (“tutto è legato al fare”) e la possibilità che, attraverso l’analisi, si apre diavvicinarsi criticamente ai testi. Anche Guido Armellini sostiene che l’educazionealla lettura andrebbe pensata alla stregua di un “addestramento pratico”: «si diventalettori leggendo, così come si diventa ciclisti andando in bicicletta o alpinisti sca-lando montagne. questo non significa che la riflessione teorica e l’analisi siano to-talmente da scartare (suppongo che anche il ciclista e l’alpinista ne facciano unqualche uso): significa che esse non possono essere considerate né lo scopo né l’at-tività principale di un insegnante e dei suoi studenti» (Armellini 2008, pp. 69-70).E qualcosa di analogo afferma Davide Rondoni, che riprende anch’egli l’efficacemetafora dell’alpinista: «le annotazioni tecniche su un brano artistico possonoavere la medesima funzione dei ramponi, dei moschettoni e delle corde in mon-tagna. nessun arrampicatore si sognerebbe mai di pensare che scopo della scalata èimparare a usare il moschettone. Gli esercizi all’inizio si intraprendono perché […]da quando hai visto negli occhi la bellezza tremenda e invitante della montagna saiche non ti libererai più di lei» (ibid., p. 34). nei docenti intervistati, troviamo unasensibilità molto vicina a quella espressa da questi autori e l’analisi del testo di-venta in loro uno strumento per gustare.
4.5. Far reinventare il finale dei libri lettiPer rendere attraente l’esperienza della lettura, D. (intVr2), docente a Verona,sente l’esigenza di far fare ai suoi allievi qualche operazione sui libri che leggono.in particolare afferma di ricorrere frequentemente alla tecnica di far riscrivere il fi-nale dei libri letti:ci tengo al fatto di far leggere loro dei libri, durante l’anno scolastico; chiaramente, sonotesti in prosa; tra le varie consegne, do sempre loro (da fare) una riscrittura del finale(intVr2/28); ad esempio, abbiamo letto il libro “io non ho paura”; c’è il finale di Amma-niti [...], che può essere anche aperto a diverse interpretazioni, e allora, tra le varie con-segne, io dico loro: “come ultimo punto, dovete riscrivermi, in maniera creativa, il fi-nale”; allora i ragazzi mi dicono: “in che senso, dobbiamo riscriverlo in maniera crea-tiva?”. E io dico loro: “Avete due alternative: o vi piace il finale e allora siete in sintoniacon l’autore, però anche in quel caso voi siete tenuti a fare una vostra rielaborazione per-sonale, oppure (intVr2/30) (dite): ‘riscrivo io il finale’…”; ci sono due situazioni sostan-zialmente: o io mi sento in sintonia con l’autore – ma anche in quel caso voglio che i ra-gazzi riscrivano il finale [...], secondo un taglio diverso, secondo una sensibilità diversa –oppure, ipotesi che io preferisco, lo riscrivo completamente e quindi posso cambiare pro-prio il finale della storia; lì il lavoro è migliore, nel senso che lo sforzo è maggiore, però,in nome della libertà, in nome della creatività, io non posso vincolarli più di tanto(intVr2/32); ...e poi non posso imporre uno stravolgimento totale, quindi lascio pure cheloro si sentano in sintonia, supponiamo, con l’autore, però, anche in quel caso, voglio checi sia una rielaborazione personale (intVr2/34). c’è la lettura di un libro; loro devonofare una scheda di analisi del libro e i primi punti (della scheda) sono molto tradizionali:il narratore, l’analisi dei personaggi ecc.; poi io amo inserire quest’ultimo punto, [...] lariscrittura creativa del finale. Ho trovato dei lavori molto belli; [...] recentemente, in unaclasse [...], abbiamo lavorato benissimo con “il cacciatore di aquiloni” di Khaled Hos-
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seini; per alcuni ragazzi è stato il primo approccio con la lettura, ma se ne sono letteral-mente innamorati, veramente, mi hanno chiesto di andare al cinema con loro a vedere ilfilm e proprio in quest’ultimo punto di riscrittura del finale hanno fatto dei bei lavori [...](intVr2/36).la riscrittura del finale, sia nel caso che si propenda per la versione dell’autoredel libro, sia nel caso in cui si preferisca discostarsene, diventa un esercizio crea-tivo. la lettura non rimane passiva recezione, diventa attività creatrice. Reinven-tando il testo, i lettori si trasformano anch’essi in scrittori.
4.6. “Adesso tocca a voi!”. Far scrivere creativamenteinvitare gli allievi a scrivere creativamente non rappresenta il cedimento aduna moda passeggera. Rientra nell’insieme più ampio delle strategie che i nostriformatori mettono in atto per far sperimentare ai propri allievi un certo gusto nelleggere e nello scrivere e per consentire loro di appropriarsi di parole. le tecnicheproposte riguardano, ad esempio, la riscrittura o l’attualizzazione di testi classici,ma potrebbero riguardare anche: la scrittura di conversazioni inventate tra perso-naggi reali, del presente o del passato, o immaginari; la scrittura di necrologi; ecc..Generalmente, i formatori sperimentano l’importanza di assegnare consegne pre-cise riguardo agli argomenti, all’approccio e al formato delle scritture. il lorosforzo è quello di predisporre compiti che vengano percepiti dagli allievi come af-frontabili e stimolanti e non come frustranti o inibenti.4.6.1. Far riscrivere testi classicila riscrittura di un testo – nell’esperienza dei nostri formatori – consente diavvicinarsi al significato del testo stesso in modo davvero efficace. È la strategiache viene presentata nel racconto che segue:spiego la novella di Boccaccio, che abbiamo letto – “frate cipolla” – [...] (intMe4/102),[...] ne incoraggio la lettura, la leggo io, ne spiego i contenuti sotto vari aspetti [...] e poidico: “Bene, adesso tocca a voi!”. Allora do una traccia, che può essere: “qual è il temadi cisti fornaio? quali sono le caratteristiche che cisti fornaio ha? [...] quali sono le ca-ratteristiche di chichibio?”, e loro iniziano a creare una novella, a coppie o singolar-mente; una la fanno in classe, così posso controllarli, una la fanno per casa (intMe4/104);io spiego loro le caratteristiche di una novella. Facciamo lo schemino alla lavagna […],spiego un breve esempio e poi invito loro, anche sul modello della novella analizzata, ariproporne una; così sono loro a fare, attraverso la scrittura (intMe4/106) di fantasia, lapiù libera, perché, se io pongo dei paletti, loro potrebbero incespicare e non riuscire(intMe4/110). [...] Si parla della fortuna? Bene deve comparire dentro [...] l’elementofortuna (intMe4/112). la stessa cosa vale per l’Ariosto; abbiamo letto il proemio del-l’orlando. Abbiamo letto Astolfo sulla luna: “Voi siete Astolfo. Fate un viaggio. Dove?Sulla luna. Ve lo immaginate?” [...]; quando ho letto le cose che sono venute fuori, misono sentito veramente appagato, perché ho visto che, liberi da tutte le costrizioni, hannosaputo capire a fondo il significato. Devono essere loro i protagonisti, e lo fanno sia ascuola – così li posso seguire – sia a casa; i compiti stessi sono questi. Ad esempio, innarrativa, stiamo leggendo “i ragazzi della via Pal”, la strategia dei ragazzi dell’orto bo-
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tanico per invadere la segheria che era nei pressi della via Pal; loro, i ragazzi sono stra-teghi, strategia non militare, e hanno a che fare con [...] materiali e prodotti della cucina[...] (intMe4/114). Allora, siamo arrivati al punto in cui i ragazzi dell’orto botanico vo-gliono conquistare la segheria. […] Ho fatto fare una ricerca sull’orto botanico, perchétanti non sapevano che cosa fosse. Vieto categoricamente la ricerca scritta a computer; lavoglio rigorosamente scritta a mano, se no, non la valuto (intMe4/120). copino pure dainternet, ma il lavoro di trascrizione serve, anche perché li obbliga a relazionarsi con iltesto [...]; e poi anche nella copiatura devi stare attento, perché altrimenti copi sbagliato[...] (intMe4/122). cosa sono, cosa servono, dove si trovano? […] Ho spiegato chi è l’au-tore [...] dei giardini di Padova […] e loro mi hanno fatto degli esempi sull’orto botanicodi Padova e sugli orti che hanno visto. Poi arriviamo al tema “strategia”: [...] leggiamo,spiego che cosa è una strategia, prendiamo il vocabolario – io uso spesso il vocabolarioin classe, per la definizione della parola –, si legge che cosa è una strategia, lo rispiego,chiedo se hanno capito, rispiego se non hanno capito; poi loro devono fare, per casa [...]un esercizio: devono inventarsi una strategia di guerra: due nemici, da una parte A e dal-l’altra B. “A – ho spiegato proprio così – deve invadere B, seguendo una strategia. A hal’esercito delle patate e B ha l’esercito dei pomodori. Allora, come usi i pomodori? Sonopomodori o lanciano dei pomodori?”. Devono liberare la loro fantasia e inventarsi unastoria; [...] mi arrivano lavori dove chi mi crea la strategia non è più ancorato alla stra-tegia militare classica, ma è costretto ad andare in cucina, a guardare gli alimenti dellacucina. credo che così ci sia una sorta di comprensione anche del mondo che li circondae, una volta che vanno in cucina, scelgono, discernono: “questo per me va bene per farela battaglia”, “questo non va bene”, allora vedo che ho delle forchette che si muovono inmodo squadrato verso la direzione e lottano per tagliare il formaggio del forte altrui(intMe4/126), retto dai pomodori. [...] Sono rimasto così colpito [...], che me le sono te-nute care queste cose (intMe4/128). cerco poi di fare emergere da loro le caratteristichefondamentali dei temi che affronto, del Verismo, ad esempio. Per questo ho fatto loro de-scrivere una loro giornata, senza mai mettere le loro opinioni e questa loro giornata do-veva essere a punti, con tono discorsivo, non una scaletta, ho vietato la scaletta, la ripeti-zione stantia di un elenco di fatti, ma ho invitato loro a scrivere cioè a cercare di essereloro i protagonisti, di essere loro, in un certo qual modo, i protagonisti della loro opera(intMe4/130);A partire dall’analisi di testi classici – alcune novelle di Boccaccio, il poemacavalleresco dell’Ariosto o il romanzo dello scrittore ungherese Molnár – S.(intMe4) guida i suoi allievi alla riscrittura creativa del testo stesso. il primo passoè la lettura del testo, fatta fare agli allievi o proposta dal docente. Alla lettura seguel’analisi, che aiuta a comprendere il significato di alcune parole, facendo ricorso –quando serve – al vocabolario, e a individuare i temi e le caratteristiche dei perso-naggi, ma anche la struttura sottostante al testo. Talvolta, l’analisi si amplia e dàvita a veri e propri approfondimenti, magari non programmati, come nel caso del-l’orto botanico41. A questo punto, e solo a questo punto, il formatore formula con-
41 Talvolta questi approfondimenti necessitano un ricorso a internet. interessante è la strategiache il nostro formatore ha sviluppato – che si affianca a quelle sviluppate da altri suoi colleghi – perrendere più proficuo questo tipo di ricerca: accettare solamente lavori trascritti a mano. Anche il sem-plice esercizio di trascrizione infatti è in grado di sviluppare processi di confronto con il testo e di ap-propriazione dello stesso.
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segne di scrittura creativa, ad esempio: inventare una novella seguendo la strutturae sviluppando il tema di quella letta e analizzata; immedesimarsi in uno dei perso-naggi del testo letto e riscriverne il viaggio fantastico; inventare una storia ispirataa quella letta. nel fare tutto ciò, gli allievi diventano protagonisti: possono dare li-bero sfogo alla loro fantasia e, allo stesso tempo, riescono a sviluppare una com-prensione non limitata ai testi che leggono e coinvolgente loro stessi e il mondo cheli circonda.4.6.2. Far collegare testi classici a prodotti culturali contemporaneiUn’altra strategia che i nostri formatori utilizzano per “instillare la voglia discrivere” è il collegamento tra testi classici e prodotti culturali contemporanei:tento [...] di far sempre riferimento alla realtà quotidiana che i ragazzi hanno sottomano;una di queste realtà […] è il cartone animato; un’altra è la musica; una terza il film. inbase alla disponibilità che loro mi offrono, mi devo informare per cercare degli agganci.Molti spunti mi sono offerti da un cartone animato molto particolare: i “Simpson” [...].quando, per esempio, [...] ho dovuto introdurre una novella boccaccesca, ho letto la no-vella in classe, l’ho fatta scomporre, individuando i personaggi, l’ambientazione – comesi fa col classico metodo per l’analisi e la comprensione di un testo scritto – e poi hochiesto loro di fare dei confronti con altre cose che avevano letto o visto e i riferimentisono stati, appunto, in particolar modo, [...] ad alcuni episodi dei Simpson, che lorohanno descritto e che insieme abbiamo confrontato, oppure agganci a determinati film,che possono andare dall’action, all’horror o a fumetti. Ho una classe [...] che è assiduafrequentatrice di fumetti e questo mi ha dato la possibilità di agganciarmi al loro mondo.Allora, ho strutturato dei percorsi paralleli di confronto tra gli eroi, i protagonisti contem-poranei, e i protagonisti delle novelle di Giovanni Boccaccio. Alla fine, loro hanno pro-dotto due novelle, seguendo da una parte gli schemi boccacceschi e dall’altra [...] inse-rendo dentro elementi di attualità che loro avevano visto. così ho avuto la produzione didue testi, due novelle che contenevano i significati di fondo della novella boccaccesca,perché i metri erano quelli, e anche una scrittura creativa, una doppia scrittura creativa,che da una parte ha consentito di ragionare sulla terminologia antica, dall’altra di eserci-tare una [...] creatività che va fuori dalla dimensione scolastica (FGita2/110). Allora, unaaveva le caratteristiche della novella boccaccesca, per esempio la descrizione, ma era ov-viamente una produzione di fantasia [...] (FGita2/112); avevano l’ambientazione da cuiprendevano spunto, un’ambientazione medievale; tra l’altro [...] io li ho aiutati con delleimmagini, riproduzioni di pitture e affreschi, in modo che avessero la possibilità di de-scrivere al meglio non solo le ambientazioni degli interni e degli esterni, ma anche deipersonaggi stessi, di come erano vestiti; e così c’era tutta una ricerca a ritroso degli indu-menti e [...] l’uso del vocabolario (FGita2/114). Devo dire, che, sostanzialmente [...] –salvo le difficoltà grammaticali, che sono un po’ una costante di chi vive al cFP – [...],l’acquisizione dei contenuti di una novella e l’abilità di costruire una novella [...] sono ri-sultate molto positive; ho anche instillato in loro la voglia di scrivere [...] (FGita2/120).Alcuni avevano delle difficoltà e ovviamente li ho aiutati, ma sempre cercando di la-sciare il più possibile libera la loro fantasia, perché nella scrittura creativa è la fantasiache domina. [...] Sono uscite così delle piccole produzioni veramente strutturate in modomolto efficace e [...] secondo una certa logica; insomma, non erano scritture campate peraria [...]. con questa metodologia hanno poi riscontrato anche una migliore lettura di de-terminati testi, [...] anche dei film, perché poi, durante il corso del pomeridiano dove ciritroviamo puntualmente e discutiamo di vari argomenti, mi riportavano raffronti [...] tra
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quello che avevano letto e appreso su Boccaccio e quello che avevano visto il giornoprima o la sera prima in un determinato film. Tra l’altro, la dimensione extrascolastica, intaluni casi, è stata ancora più positiva di quella scolastica, perché c’era una libertà difondo che non legava le persone al contesto aula [...] (FGita2/124);la lezione riguardava un tema epico cavalleresco, riferito in particolare a ludovicoAriosto. Ho pensato di suddividere la lezione in blocchi. Sono entrato in classe, ho scrittosulla lavagna il nome di ludovico Ariosto e il titolo del poema; ho riscontrato che pochepersone conoscevano il poeta o il poema e allora siamo andati a leggere la biografia.Dopo aver letto la biografia, ho scritto sulla lavagna i punti salienti della biografia e li hofatti trascrivere sul loro quaderno. Successivamente ci siamo addentrati nell’analisi delproemio; avevo riscontrato una notevole difficoltà nell’apprendimento di cos’era l’ottavae di che cosa era un poema epico cavalleresco, così, dopo aver introdotto, dal punto divista semantico, lessicale e contenutistico, sia l’ottava sia il poema, abbiamo iniziato afare riferimento alla quotidianità. nella mia classe ho una buona parte di lettori di fumettie ho utilizzato i supereroi della Marvel, per fare riferimento sia alle caratteristiche deipersonaggi dell’Orlando furioso e dell’Orlando Innamorato, sia alle storie, dove è giocoforza che tutto quanto sia dominato dalla fantasia. Dopo aver fatto i paralleli – conBatman, per esempio, oppure Joker, per quanto riguarda la pazzia – e averli trascritti allalavagna, ho convinto loro a scrivere una breve ambientazione fantastica, prendendospunto dai fumetti stessi, ma inserendo gli elementi rintracciati nel poema epico cavalle-resco. Alla seconda lezione hanno lavorato a coppie: uno si era preoccupato di costruirel’ambientazione, facendo riferimento a Gotham city, a new York, uno facendo riferi-mento ai supereroi, ma entrambi dovevano inserire le caratteristiche specifiche sia del-l’ottava sia del proemio dell’Orlando furioso e […] di Astolfo che […] erano state tra-scritte precedentemente. È uscita fuori veramente una bella composizione, sia dal puntodi vista della fantasia e dell’invenzione letteraria, sia da quello dell’apprendimento delletematiche specifiche; l’attività complessivamente è durata tre ore (FGita3/73).Per c. (FGita2/110-124), formatrice in liguria, l’esigenza è sempre la stessa:trovare punti di aggancio all’esperienza, alla realtà quotidiana che occupa l’imma-ginario dei suoi allievi. Per questo, dopo la classica analisi di una novella di Boc-caccio, la docente stimola un confronto con alcuni dei prodotti culturali di cui sinutrono i suoi allievi, per far individuare analogie e differenze. A questa fase dianalisi, segue un lavoro di produzione: da una parte la riscrittura di una novella chesegua lo schema e l’ambientazione di quelle boccaccesche, dall’altra la creazionedi una novella che sviluppi il tema della novella analizzata, ma ne trasferisca l’am-bientazione in un contesto attuale, ricavato da cartoni animati, film o fumetti. Attra-verso questo dispositivo, la nostra docente si accorge che i ragazzi giungono a svi-luppare non solo la capacità di produrre testi narrativi, ma anche una più profondacomprensione del testo classico. Soprattutto si attiva un interesse che va in cerca dispazi ulteriori a quelli strettamente scolastici. Sul cambio di ambientazione giocaanche S. (FGita3/73), formatore in Veneto, per avvicinare i ragazzi ai poemi caval-lereschi dell’Ariosto. in Armellini troviamo ben espresse le ragioni di una strategiacome questa: «…l’immaginario contemporaneo può svolgere una funzione di ag-gancio iniziale utile a gettare dei ponti nei confronti della letteratura del passato,conferendo vitalità e interesse a fenomeni letterari che potrebbero rischiare di risul-tare troppo estranei agli orizzonti degli studenti per innescare quella “esperienza di
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sé nell’esperienza dell’altro”, senza la quale non si ha un autentico processo inter-pretativo» (Armellini, 2008, p. 54). Si tratta di portare gli studenti su un terreno perloro vivo e concreto, non per appiattirsi sui modelli televisivi, che spesso abitanoquel territorio, ma per muoversi da lì verso esplorazioni coraggiose.4.6.3. Assegnare consegne di scrittura con specifiche ben definiteTalvolta sono proprio i limiti e le specifiche date dal docente a stimolare lacreatività negli allievi (cfr. Armellini, 2008, pp. 80 ss.). È il caso presentato da c.(FGita2/126), che opera in liguria:[...] in prima, [...] devono scrivere un testo, una storia. non sono abituati a scrivere, al-lora io do loro nove parole, do dei parametri rigidi: lunghezza, numero di parole, righe;poi do loro nove parole che devono utilizzare obbligatoriamente e subito si nota che lorole schiacciano tutte nelle prime tre righe, cioè sperano di dire subito le nove parole e cosìdi arrivare presto alla fine. nel passaggio successivo, do le nove parole obbligandoli peròa non utilizzarle con il loro significato consueto, tipo “1999”, che però non possonousare come data, oppure “Flavio”, che non deve essere il nome di uno dei personaggi;[...] più li alleni e più vedi che riescono a distribuire le parole in maniera uniforme intutto il testo e allungano da soli la storia, cioè capiscono che, se Flavio non è un perso-naggio, non riusciranno a citarlo nella prima riga, quindi Flavio diventa il gatto, piuttostoche il nome del motore della macchina di uno, cose così […]. Più andiamo avanti, piùstrutturiamo e ad esempio mettiamo l’obbligo di presentare la storia al presente, oppuretutta al passato, oppure tutta come flashback; [...] loro lo fanno e questo occupa dieci ore(FGita2/126).c. dà ai suoi allievi delle specifiche sul formato, in particolare indica un certonumero di parole che essi devono utilizzare nel loro componimento. questo vin-colo, al contrario di quello che si potrebbe immaginare, stimola, anziché frenare lacreatività42. È un po’ quello che succede nella musica, in cui l’espressività del musi-cista non solo non può fare a meno, ma ha bisogno dei vincoli dettati dal fatto disuonare uno specifico strumento.
4.7. Quando leggere e scrivere non sono un piacerenon tutti i ragazzi che frequentano un cFP sono in grado leggere speditamenteo di scrivere senza commettere errori. in alcuni casi, i deficit sono certificati (dis-lessia, disgrafia), in altri – i più frequenti – il problema non è tanto il non sapere,ma il non voler leggere o scrivere:mi sono chiesto: “come faccio a fare i Promessi Sposi con dei ragazzi dislessici”, che pe-raltro sono intelligenti, perché la dislessia non ha niente a che vedere con le capacità.Ecco, l’anno prossimo cercherò degli audiolibri, [...] i Promessi Sposi in formato cD [...]
42 A questo riguardo osserva Armellini: «…l’esperienza insegna che, il modo migliore per atti-vare la creatività consiste nel fissare a priori un sistema di vincoli convenzionali, possibilmente arbi-trari e insensati, entro i quali i ragazzi siano costretti a muoversi. contrariamente alle apparenze, ilvincolo, anziché bloccare la fantasia, le fa da trampolino di lancio» (Armellini, 2008, p. 80).
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o i file in MP3 [...], da dare ai ragazzi, come ho già fatto quest’anno con un ragazzo diprima dislessico. […] questo ragazzo dislessico un giorno ho voluto farlo leggere ugual-mente, non so se consapevolmente o perché me ne fossi dimenticato; ho fatto leggereanche altri e ho scoperto una cosa, che in realtà lui è dislessico certificato, ma che ce nesono almeno altri sei o sette, in classe sua, che leggono tale e quale a lui, eppure nonsono certificati. Tanti altri semplicemente non vogliono. […] quindi l’anno prossimodovrò cercare delle strategie per venire incontro a queste esigenze particolari. [...] nelcaso che stavo raccontando, sono arrivato con fatica a farlo leggere, ma, per esempio,nello scrivere di se stesso [...], lui è arrivato ad esprimere benissimo i concetti; ha unmodo suo, che non è quello in cui sono scritti sul libro o in cui li ho detti io [...](intVr4/88). con quel ragazzo mi sono trovato personalmente e ho letto io insieme a lui,a tu per tu, il brano; [...] cioè gli ho dedicato un pochino più di spazio: faccio sottolineareparole o concetti difficili [...]; in realtà poi lui le cose le capisce, soltanto [...] ci mette unpo’ più degli altri, però questo ragazzo ha una forza di volontà incredibile (intVr4/90).c. (intVr4) si interroga costantemente su come fare per insegnare a coloro che,per difficoltà specifiche, certificate o meno, faticano a leggere e scrivere. Si trattadi provare e di vedere cosa può funzionare. Spesso è solo questione di affiancare,di sostenere, attraverso un lavoro a tu per tu, che si adatti ai tempi del ragazzo.nel lungo brano che segue, D. (intVr2) illustra come cerchi di vincere le resi-stenze dei suoi allievi (quell’“io non ce la faccio” interiorizzato, con il quale spessoi docenti di un cFP sono confrontati) nei confronti della scrittura facendoli scri-vere, sostenendoli quanto basta e guidandoli pian piano in un percorso che li aiuti arappresentarsi il compito di scrivere un testo argomentativo come un compito af-frontabile e non sgradevole43:inizialmente, […] in terza, (gli allievi) sono un po’ restii nei confronti della scrittura, so-prattutto se scrittura vuole dire “tema in classe”. Molto spesso, al primo e al secondoanno, i colleghi lavorano sul riassunto, sulla sintesi, sulla grammatica e sull’analisi deltesto narrativo; io invece in terza devo affrontare – e amo affrontare – il tema argomenta-tivo [...]. È evidente che lo scarto, specialmente all’inizio, è fortissimo: passare da un ri-assunto, da una sintesi o comunque dall’analisi del testo narrativo, ad un tema argomen-tativo (comporta) un salto. Allora, in generale, il primo approccio da parte dei ragazzi èdi difficoltà; mi dicono: “io non ce la faccio, non siamo abituati a scrivere, non siamoabituati al tema!”. Parto spiegando, facendo una lezione introduttiva sul tema argomenta-tivo, poi cerco di prendere degli esempi molto concreti: faccio le fotocopie [...] diqualche articolo di giornale, di un editoriale, appunto, di un testo argomentativo, forniscoloro le fotocopie, cerco di dare loro l’idea che il testo argomentativo [...] è, in realtà, unamodalità di scrittura che loro conoscono già o con la quale comunque si sono già con-frontati. Partendo da quegli esempi, cerchiamo di vedere quali sono appunto gli elementiessenziali del testo argomentativo: “che cosa significa argomentare? cosa significa cer-care di convincere la persona che ti legge che hai ragione, che la tua idea è valida?” [...];
43 Per rendere scorrevole la lettura del brano seguente, che, con l’andamento tipico del parlato,procede un po’ a zig-zag, ho dovuto intervenire lievemente sul testo, riorganizzandone alcune parti.Per questo vengono ad esempio anticipati alcuni brani appartenenti a turni di parola successivi. Speroche questa operazione, che ho cercato di fare nel massimo rispetto di quanto narrato dalla nostra do-cente, possa restituire la storia in modo nello stesso tempo fedele e gradevolmente leggibile.
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dico: “Voi cercate comunque di convincere la persona che vi sta ascoltando, anchequando parlate, non solamente quando scrivete” […] (intVr2/42). Fornisco loro ancheuna traccia del testo argomentativo, cerco di guidarli e talvolta cerco di fare con loro an-ch’io un tema; cerchiamo insomma di costruire insieme un tema argomentativo(intVr2/38), […] affrontando, non so, il problema della violenza negli stadi, dell’immi-grazione, [...] della pena di morte [...]. in genere, prima fornisco loro un articolo, perchémi interessa molto la fase di documentazione da parte loro, l’interesse da coltivare neiconfronti di certi fatti; alle volte, proprio concretamente, in classe, facciamo insieme allalavagna una scaletta con l’introduzione al problema, la presentazione della tesi...; primafacciamo insieme una sorta di mappa concettuale, anzi, più che di una mappa concet-tuale, (si tratta di una) raccolta disordinata di idee, che nasce sentendo un po’ le idee ditutti; poi, in una seconda fase, cerchiamo di mettere in ordine le idee (intVr2/40). [...](Ad esempio), sulla pena di morte o sul problema dell’immigrazione, vediamo insiemequali sono le idee che possono emergere e poi le mettiamo in ordine dal punto di vista lo-gico: [...] Da quale idea si può partire? quale idea può rappresentare la tesi? quali argo-menti possiamo portare a sostegno della tesi? Poi c’è la fase in cui ciascuno di loro devefare il proprio tema [...]. la prima fase è guidata, la seconda invece è autonoma. […] Poic’è un’altra fase, in cui i ragazzi leggono, appunto, il loro tema in classe: cerchiamo diimparare l’uno dall’altro, in qualche modo, di vedere quali sono i punti forti e i punti de-boli di questi temi [...]. Poi arriva il primo tema in classe di italiano e io dico sempre,scherzando, che misuro il rapporto con una classe dopo il primo tema in classe, perchésono abbastanza severa e, se superano il primo tema, […] insomma, e si mettono un po’in discussione, vuol dire che avrò un buon rapporto con quella classe [...], perché co-munque sono abbastanza severa nelle valutazioni dei compiti (intVr2/42). nel primocompito in classe, il numero delle insufficienze, in genere, è abbastanza alto (intVr2/44):possiamo arrivare quasi a metà classe che ha un’insufficienza [...] – non soltanto in rela-zione al tema argomentativo, ma anche per problemi molto gravi di ordine morfologico,sintattico, ortografico – e io lì vado giù pesante […]. Già a partire dal secondo tema, lecose vanno meglio; nel secondo tema, riesco a individuare le persone che hanno diffi-coltà e le persone che invece hanno avuto solo delle difficoltà iniziali, ma sono già en-trate o stanno già entrando nell’ottica delle idee che si tratta di un compito possibile. ilterzo tema, che è l’ultimo del primo quadrimestre, mi dà già un quadro un po’ più chiarodella situazione. io ho avuto anche casi di ragazzi che sono partiti dal quattro e sono arri-vati all’otto, altri invece che hanno delle difficoltà più serie e lì sono già contenta se daltre o quattro riescono ad arrivare a fine d’anno al cinque, cinque e mezzo (intVr2/46).cerco di distinguere le difficoltà, nel senso che [...] li divido – anche se non lo dicoloro – in base alle diverse difficoltà: [...] c’è chi prende insufficiente perché non ha la ca-pacità di concentrarsi, di andare in profondità nei contenuti, però ha un tipo di scritturasostanzialmente corretto ed è anche abbastanza autonomo; con lui cerco di lavorare sullaprofondità del contenuto, di invitarlo a leggere, di invitarlo a creare collegamenti tra i pe-riodi, a sviluppare una riflessione successiva; c’è chi invece ha anche una difficoltà ditipo formale o, peggio ancora, oltre ad avere una difficoltà di tipo formale, ha una diffi-coltà di tipo logico, quindi periodi sconnessi, periodi che non riesce a creare, accorpa-menti di causa ed effetto; con questi il lavoro è più impegnativo, perché bisogna lavoraresia sull’aspetto della forma, sia sull’aspetto del contenuto, quindi magari assegno loro deititoli di temi da svolgere a casa, cerco di correggerli, poi dopo restituisco loro i lavoricorretti. in alcuni casi abbiamo organizzato corsi di recupero, durante i quali, con questiragazzi, abbiamo cercato [...] di fare insieme il tema, partendo da una tematica, facendoinsieme la traccia, e di aiutarli, appunto, fino alla fase del riordino delle idee; in alcunicasi inizio io il tema quindi cerchiamo di impostare insieme per lo meno l’introduzione
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al tema, poi loro vanno avanti; se hanno delle difficoltà, intervengo; poi mi restituisconoil tema, io lo correggo; in genere, loro cercano di fare un’altra redazione del tema in basealle mie correzioni; insomma, il lavoro più impegnativo è con questo gruppo, quello deiragazzi che hanno delle difficoltà non solo formali, ma anche proprio a livello logico econtenutistico (intVr2/48).la prima mossa della nostra insegnante è proporre ai suoi allievi un’introdu-zione al testo argomentativo, attraverso un’analisi di testi di questo genere, cheaiuti a coglierne le caratteristiche formali (presentazione della tesi, sviluppo degliargomenti a favore, ripresa della tesi in forma sintetica e riassuntiva) e a compren-dere che il ricorso all’argomentazione è frequente anche nella comunicazione quo-tidiana e in tutti quei casi in cui cerchiamo di convincere qualcuno della validitàdelle nostre idee. Poi la docente, proponendo un’attività a tutta la classe, guida gliallievi nelle varie fasi di costruzione di un testo argomentativo: la documentazionerispetto ad un tema, perché il testo possa poggiare su dei fatti e non su delle im-pressioni personali, la costruzione di un “ideario”, una prima raccolta anche disor-dinata delle idee, l’ordinamento logico delle idee (idea di partenza, tesi centrale, ar-gomenti a favore, argomenti contrari ecc.). Attraverso un processo discorsivo, l’in-segnante accompagna il gruppo nella costruzione collaborativa (quasi un co-wri-ting) di un testo argomentativo. Alla fase collettiva, segue una fase di lavoro indivi-duale, per la produzione di un testo. l’ultima fase del percorso è la presentazione inclasse dei lavori individuali e l’analisi dei punti di forza e dei punti di debolezzadegli stessi. A questo punto si colloca la prova. È abbastanza normale che gli esitidi questa prima prova non siano esaltanti. Si tratta però solo di un punto di par-tenza. in base agli esiti della prova, D. organizza infatti delle attività di recupero,differenziando le strategie rispetto ai tipi di difficoltà che i singoli gruppi incon-trano. È in particolare il gruppo di quei ragazzi che incontrano maggiori difficoltà asollecitare l’inventiva della nostra docente: consegne specifiche di lavoro, accom-pagnamento individualizzato, “spalla a spalla”, corsi di recupero.
5. COLLegARe IL PeRCORSO dI eduCAzIONe LINguISTICAALLA PRATICA LAvORATIvA
Si possono immaginare diversi tipi di rapporto tra pratica lavorativa e lettera-tura44, ma è prevalentemente sul terreno della lingua che i nostri formatori si muo-
44 Sono numerosi gli scrittori che hanno descritto in modo denso esperienze lavorative proprie oaltrui. Pensiamo alla tradizione del realismo letterario italiano e in particolare alla fioritura della “let-teratura industriale” a cui abbiamo assistito negli anni cinquanta e sessanta, con lavori come Metello(1955) di Vasco Pratolini, La vita agra (1962) di luciano Bianciardi, Una nuvola d’ira (1962) di Gio-vanni Arpino, Memoriale (1962) di Paolo Volponi, Donnarumma all’assalto (1959) e La linea gotica(1963) di ottiero ottieri. Possiamo poi ricordare scritture di fabbrica più recenti, come Mammut(1994) di Antonio Pennacchi e Storia della mia gente (2010) di Edoardo nesi, o altre scritture che re-stituiscono efficacemente le trasformazioni del mondo del lavoro, come La dismissione (2002) di Er-
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vono per costruire connessioni con l’esperienza di lavoro che gli allievi vivono, ini-zialmente nelle officine o nei laboratori di un cFP e più avanti nelle esperienze distage in azienda. la lingua infatti riguarda tutte le attività comunicative, non soloquelle che assumono dignità artistica, e il collegamento con i contesti della praticalavorativa è in grado di mobilitare energie per l’apprendimento e di stimolare ad uncostante esercizio di scrittura. Anche la lingua, del resto, come il mestiere, va colti-vata, innaffiata, lavorata con pazienza. Rivolgersi al lavoro non significa per forzadi cose rinunciare alla cultura, ma far cogliere i nessi che legano cultura e lavoro(perché mai il sapere concreto, legato al lavoro, dev’essere solo un sapere povero,basso e servile?), far emergere la cultura che è incorporata nel lavoro, i saperi im-plicati nel fare45. Dalle strategie che i nostri formatori mettono in campo, ricaviamoil tentativo di un approccio operativo (e non di sola fruizione) alla cultura e alla co-noscenza. qui di seguito andremo ad esplorare in particolare i seguenti aspetti:come essi interagiscono con i loro colleghi di laboratorio, per ricavare spunti e ideeche li aiutino ad operare opportuni collegamenti; le strategie che essi mettono inatto perché lo scrivere e il parlare siano percepiti dagli allievi come compiti con-nessi con la pratica professionale o da essa richiesti; la strategia di far realizzarecompiti professionali complessi, che comportino la messa in campo di saperi propridell’area linguistica o storico-sociale; la strategia di far analizzare esperienze lavo-rative per portare alla luce del sole i saperi in esse incorporati.
5.1. Interagire con i docenti di laboratoriocome abbiamo constatato con i docenti di Matematica e Scienze (cfr. Tacconi,2011), anche i docenti di italiano sentono l’esigenza di interagire con i loro colleghidi laboratorio per individuare idee e possibilità di collegare il loro percorso conquello tecnico-professionale. Vediamo due esempi tratti dal cFP di Mestre:per quanto riguarda la mia disciplina, che è tendenzialmente teorica, devo dire che, tro-vandomi a lavorare con questo target, ho cercato di farla diventare più “pratica”, tra vir-golette, più orientata al fare, cosa che non è semplice, perché appunto è una disciplina
manno Rea e Acciaio (2010) di Silvia Avallone. Pensiamo poi alla visione positiva del lavoro cheemerge in La chiave a stella di Primo levi (1978), Il costruttore (1995) di carlo Sgorlon, Scavareuna buca di cristiano cavina (2010), L’ingegnere, una vita (2011) di Paolo Barbaro. E poi l’antologiadi racconti sul lavoro dal titolo Articolo 1 (2009) di Rino camilleri, Ugo cornia, laura Pariani, Er-manno Rea, Francesco Recami, Fabio Stassi. E l’elenco potrebbe continuare. Anche su questi mate-riali si può lavorare per far fare l’esperienza di come la letteratura riesca a dire in modo denso la vitae dunque anche il lavoro.45 Ad esempio: la conoscenza dei venti, delle rotte e dei porti che ha il marinaio; la conoscenzadei trattori, del fieno e della trebbiatrice che ha il contadino; la nozione di cemento armato o di fonda-menta che ha l’ingegnere; la conoscenza dei diversi tipi di farina, di lievito e di forni che ha il panet-tiere. Ho riadattato qui un elenco che viene riportato da Paola Mastrocola (2011, p. 106), per eviden-ziare quante conoscenze siano implicate nei vari lavori e collegare il concetto di “nozione” anche alleattività pratiche, ma l’elenco potrebbe continuare e gli esempi potrebbero davvero essere innumere-voli.
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che tradizionalmente e strutturalmente sarebbe teorica. insomma dovrei riuscire a spie-gare Dante a dei meccanici o parlare de “la sera del dì di festa” con dei ragazzi che,quando vedono una poesia, pensano che sia una cosa da smontare col cacciavite [...](intMe1/8). […] Mi sono sforzato soprattutto di andare in laboratorio a vedere cosafanno (intMe1/442), a parlare con i professori dell’ambito meccanico, più che grafico.[...] Per esempio, sono nati lavori in collaborazione [...], nel momento in cui l’esperienzadi laboratorio diventa oggetto di riflessione nello scritto di italiano; una cosa molto sem-plice (intMe1/444): la descrizione di un lavoro (intMe1/446), una relazione tecnica, peresempio (intMe1/448), di meccanica, fatta nelle ore di italiano, e – qualche volta è suc-cesso – corretta per la parte di italiano da me, per la parte di meccanica dal professore dilaboratorio (intMe1/450), facendo notare che c’è una stima reciproca: “Ma come, leiparla con il professore di meccanica?”. “So anche come avete fatto (intMe1/452) la sca-nalatura, la filettatura, la filettatura inversa”. Ti guardano: “la filettatura al tornio?”.Serve molto questo (intMe1/454). “Da che parte si mette una vite? non sai, meccanico,da che parte si mette una vite?”. Tutto questo serve (intMe1/458);devi sempre metterti in discussione, devi sempre cercare modalità diverse, nuove(intMe7/161), devi inventartele, magari parlando con il collega (di laboratorio): “Ah, ioho fatto così, io potrei fare così... Guarda io devo realizzare questo lavoro in laboratorio,come potrei farlo? Ascolta, io devo realizzare un riassunto, perché non mi dai tu il testoche intanto glielo presento io, così lavoro io dal punto di vista dell’italiano scritto e poi loporto a te?” [...] (intMe7/163).D. (intMe1) e P. (intMe7) visitano i ragazzi in laboratorio e si confrontano coni colleghi di area pratica; questo li aiuta a cogliere collegamenti tra l’attività di la-boratorio e le attività che possono contribuire a sviluppare abilità di lettura e scrit-tura, li attrezza di un linguaggio specifico, legato al fare. Soprattutto li orienta adintrodurre anche nell’insegnamento dell’italiano elementi operativi. Anche E.(intMe7), sempre del cFP di Mestre, per sviluppare la competenza di scrittura e inparticolare di riassumere, concorda la consegna con il collega di laboratorio. Èquanto ci racconta nell’episodio che segue:[...] dovevo spiegare loro come si fa a fare un riassunto. Allora, mi sono accordata con[...] il loro insegnante di laboratorio che, in quel [...] periodo, stava cercando di far realiz-zare l’impianto elettrico di un appartamento e aveva dato loro delle dispense sulle qualitrovare le modalità per realizzare tale impianto [...]; avevo la copia della dispensina; inclasse, abbiamo letto la dispensa e io ho spiegato loro la dispensa, non tanto dal punto divista tecnico, ma dal punto di vista dell’italiano, e ho detto loro di farmi il riassunto diquella dispensa; secondo me, è più semplice per loro affrontare un testo scritto che nonsia un testo antologico, ma la descrizione di un impianto elettrico (intMe7/155); è più co-involgente per loro (intMe7/157) ed infatti io sono riuscita a far fare loro il riassunto diun testo specifico, tecnico, di elettricità [...], perché erano più interessati [...]: “comefaccio concretamente a realizzare un impianto elettrico? Prima devo realizzare [...] lescanalature, poi inserire le cabalette portacavi, poi inserire con la sonda tirafili, i caviecc.”. [...] Spiegare questi aspetti tecnici è più semplice per loro che riassumere un testoantologico; lo scopo è sempre quello: io dovevo far fare loro il riassunto di un testoscritto; perché non cercare di avvicinarli? [...] (intMe7/159) [...]. le modalità le adatto divolta in volta (intMe7/165): il riassunto sulla descrizione dell’impianto elettrico, l’annoscorso, non lo avevo mai preso in considerazione, perché non mi era mai venuto inmente; non si era creata l’occasione […] (intMe7/167); ma quest’anno sì: ognuno ha
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fatto il proprio riassunto (intMe7/169) poi li hanno consegnati (intMe7/171) a me; io leho corretti, li ho riportati loro (intMe7/173) corretti dal punto di vista dell’italiano(intMe7/175) segnalando: errori di ortografia, sintattici, della forma; dal punto di vistatecnico non li ho toccati, perché sono incompetente in materia [...] (intMe7/177); ab-biamo visto insieme quali erano gli errori [...] dal punto di vista ortografico e sintattico(intMe7/179).i docenti concordano di far esercitare l’abilità di riassumere su un testo di ca-rattere tecnico, a cui i ragazzi sono legati da un interesse specifico. la scelta deltesto realizza una riduzione della distanza. la terminologia non pone ostacoli allaloro comprensione e l’attenzione può essere orientata su questioni ortografiche esintattiche.
5.2. Creare situazioni in cui scrivere e parlare siano percepiti come compitivicini alla pratica professionaleSpesso l’esercizio tipico di scrittura che viene proposto a scuola, il componi-mento chiamato “tema”, non ha corrispondenti nella realtà comunicativa quoti-diana, al di fuori della scuola (cfr. De Mauro, Gensini, 1999, p. 163), dove non siscrivono temi, ma eventualmente lettere, relazioni, verbali ecc. questo non signi-fica che il tema non abbia alcun senso. Può essere un utilissimo esercizio, che in-segna ad argomentare e a strutturare il discorso (cfr. Serianni, Benedetti, 2009), mail tema non può essere l’unica forma di scrittura, e non solo al cFP. lo stesso dis-corso può essere fatto per quanto riguarda le varie forme di comunicazione orale.non ci si può limitare alla classica “interrogazione orale”, che fa ripetere stanca-mente quello che gli allievi hanno letto o ascoltato. Si tratta di creare occasioni incui scrivere o parlare siano percepite anche come operazioni legate all’esperienzae, al cFP, in particolare, alla pratica professionale. Ecco allora l’indicazione di undestinatario dei testi da scrivere (semplice dispositivo che già rende più autentica lascrittura), la simulazione di un colloquio di lavoro o di una consulenza tecnica tele-fonica ad un cliente, la scrittura di una relazione professionale sulla realizzazionedi un impianto o sull’esperienza di stage46. la scrittura diventa così uno strumentoper riflettere sull’esperienza lavorativa:per esempio, a parte la banalità di andare a fare un colloquio di lavoro, per dire, c’è (losforzo di far) esporre il proprio lavoro – ci stiamo provando –, per esempio, con delle re-lazioni scritte, ma anche con la presentazione orale su come è andata durante lo stage,per quelli di terza, in particolare, su quello che fanno durante l’anno; mentre a quelli di
46 Si possono immaginare anche altri compiti di scrittura, legati alla pratica professionale: la let-tera ad un amico che segue un diverso percorso formativo, per spiegare una questione tecnica in tonoconversazionale; la lettera al presidente di un’associazione di categoria o ad un politico o ad un am-ministratore o ad un sindacalista, per argomentare contro o a favore di una determinata scelta che po-trebbe avere un impatto sul contesto professionale o per proporre delle soluzioni a determinati pro-blemi; la lettera ad un giornale per segnalare le difficoltà del settore; la scrittura e l’impaginazione diun capitolo del proprio libro di testo per gli allievi di un corso per grafici ecc.
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seconda proponiamo la relazione su come è andata la realizzazione di un impianto(intVr7/70). Per il momento, (lavorano) soprattutto per iscritto: [...] io do uno schema, unminimo di traccia insomma, da seguire, con le cose più importanti da far emergere; poiloro preparano una relazione che correggiamo io e il prof della parte pratica. Dall’annoprossimo, vorremmo fare in modo che esponessero a voce il loro elaborato [...]. È impor-tante cioè che si abituino ad essere coscienti di quello che stanno facendo e delle diffi-coltà eventuali che incontrano e poi che si abituino a dirle proprio, cioè: “Ti spiego qualeè stato il problema...”, perché [...] spesso non riescono ad esprimersi, [...] sembra che nonabbiano le parole, che non trovino le parole! (intVr7/72). […] Per esempio, per quelli diseconda, [...] ci sono le varie fasi di realizzazione dell’impianto e la descrizione se (l’im-pianto) funziona o meno; finora siamo andati sullo scritto, [...] perché [...] uno dice: “Tido lo schema, me la prepari (la relazione), poi te la correggo e ti faccio vedere gli errori”.Bisognerà fargliela esporre in classe, magari, e valutarla; [...] è una delle cose su cuivorrei lavorare quest’estate, anche con quelli degli altri settori, con i meccanici [...]; è co-munque una cosa importante, secondo me, che si rendano conto di quello che stanno fa-cendo, delle difficoltà che trovano, e che riescano ad esprimerle, a buttarle fuori in ma-niera leggibile [...], cioè comprensibile. E credo che questa non sia una difficoltà sololoro [...]: se ti capita di andare [...] in centro e di chiedere ad un ragazzo della loro età unaqualsiasi cosa, [...] di descriverti qualsiasi cosa, scopri che hanno [...] enormi difficoltà(intVr7/76).Descrivendo, in forma scritta o orale, il loro lavoro, l’esperienza di stage, larealizzazione di un impianto, imparando a regalare parole a ciò che fanno, gli al-lievi della formazione professionale possono diventare più consapevoli della loroesperienza, delle difficoltà che incontrano, delle risorse che impiegano per supe-rarle, di ciò che imparano. Da notare sono le attenzioni che M. (intVr7) mette incampo: la traccia per guidare nella stesura della relazione47; la predisposizione di uncontesto in cui esporre l’elaborato; la correzione dei testi condivisa con il collega diarea pratica e con gli allievi stessi.la strategia di creare situazioni comunicative legate all’esperienza lavorativa èripresa anche da E. (intVr5), che insegna lingua inglese e visita i laboratori per farsiraccontare dai suoi allievi cosa stanno facendo:un’occasione di apprendimento è veicolata dal fatto di trovarsi davanti a del materiale ininglese, a termini in inglese, soprattutto nel settore informatico. questa, secondo me, èun’occasione da sfruttare [...] anche per chi non dimostra particolare attitudine per la ma-teria; [...] infatti un’esposizione di un certo tipo c’è sempre, se parliamo, ad esempio, delsettore informatico (intVr5/59); quando insegnavo nelle terze [...] ritenevo utile, pur contutte le difficoltà, a fine anno, fare un giro nei vari reparti e chiedere ai ragazzi, parlandocon loro, di illustrarmi in inglese il loro lavoro, quello che facevano (intVr5/61); la cosarisultava certamente difficile per qualcuno, però [...] un riscontro c’era; credo che questimomenti, [...] in qualche modo, vadano potenziati [...] (intVr5/63); ritengo che di occa-sioni di questo genere, in questo tipo di scuola, ce ne siano [...] parecchie (intVr5/69):[...] si possono utilizzare materiali specifici, ad esempio offerte, ordini ecc. in lingua; ri-tengo che questo materiale possa tornare utile e stimolante per i ragazzi (intVr5/71).
47 i formatori notano che generalmente i risultati sono migliori se la consegna esplicita dei com-piti precisi di scrittura, dei punti da sviluppare, e non solo il tema/argomento da trattare.
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Girare per i laboratori, sollecitare la descrizione del proprio lavoro in inglese,dialogare su materiali in lingua sono pratiche che consentono, ancora una volta, dirilevare il valore d’uso degli apprendimenti, oltre che l’importanza di un’espres-sione corretta ed efficace. È vero che, per lavorare, bisogna imparare a leggere escrivere, ma non si insegna a leggere e scrivere solo per questo motivo; l’intentoultimo è di far sì che i soggetti in apprendimento accedano a idee belle e significa-tive o scoprano che scrivere, innanzitutto, aiuta a pensare. il fatto di esercitare lecompetenze di lettura e scrittura in relazione a compiti professionali è comunqueuna via per rilevare il valore d’uso delle conoscenze e per accrescere la motiva-zione; tutto questo diventa, in questo contesto, la condizione basilare per accedereanche ad altri tipi di apprendimento. qui di seguito vedremo altri esempi di pra-tiche ispirate agli stessi principi.5.2.1. La presentazione della propria azienda simulata o del proprio indirizzoSituazioni autentiche in cui sviluppare abilità espressive sono quelle nominatenel brano che segue da D. (intPd5), che insegna tecniche di comunicazione nelcFP di Padova:un lavoro bello, che abbiamo fatto insieme a “lingua inglese”, è stato presentare la loromission, […] il loro negozio, le loro prospettive di futuro, la pubblicità ecc., traducendoil tutto in inglese (intPd5/20) per un sito, per una e-mail promozionale, per tutti queglistrumenti che il marketing ti permette di utilizzare sul campo (intPd5/22) […]. Un’espe-rienza positiva che loro fanno, legata per alcuni aspetti anche a “tecniche di comunica-zione”, è poi la presentazione all’inizio dell’anno dell’ambiente della scuola e delle atti-vità della scuola ai ragazzi di prima; cioè “tecniche di comunicazione...” diventa funzio-nale proprio [...] (intPd5/42) all’accoglienza dei ragazzi di prima (intPd5/44). Allora, iragazzi di prima si suddividono in piccoli sottogruppi e così anche i ragazzi di terza; disolito sono quelli di terza che presentano il percorso [...], gli ambienti ecc.; ogni gruppoha un itinerario da percorrere: si soffermano nelle aule e, in ogni aula, gli accompagna-tori spiegano cosa succede – questa, ad esempio, è un’aula dove ci sono soprattutto le-zioni teoriche, ma c’è la possibilità di far vedere anche un video della materia –, spie-gano i laboratori, […] spiegano anche alcuni spazi molto semplici della vita quotidiana econcreta dei ragazzi al cFP. [...] ogni sottogruppo è composto da tre o quattro persone, eogni persona ha un settore da presentare; è interessante perché anche loro si ascoltano epoi in classe si dicono: “Ah, ma tu non hai saputo dire quello, ti sei impappinato su quel-l’altro, sei stato imbranato...”, per cui penso sia utile anche a loro vedersi in una situa-zione diversa dall’aula. E poi penso che un’altra esperienza significativa [...] diventa lapresentazione dell’indirizzo ai ragazzi di prima, perché i ragazzi di prima devono sce-gliere il biennio di indirizzo e alcuni ragazzi delle terze sono invitati a presentare il loroindirizzo, quello che stanno frequentando, in quelli che sono gli aspetti più caratteristici,ma anche, magari, più faticosi; e lì vedo che i ragazzi di terza tirano fuori davvero il me-glio di loro; quelli che sono i più “stravaccati” in classe poi sono quelli che invitano al-l’impegno, all’attenzione, alla costanza, sono quelli che poi stupiscono anche quandoparlano, perché non lo avresti mai detto. Ecco queste sono alcune delle esperienze signi-ficative che vivo con loro (intPd5/46).All’interno di un indirizzo commerciale, il contesto offre specifiche opportu-nità di apprendimento. Se i ragazzi simulano la realizzazione di una loro impresa,
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si offre la possibilità di riflettere innanzitutto sull’identità di questa, ma anche sulleprospettive di sviluppo e sui messaggi più adeguati per promuoverne l’attività al-l’esterno. Tutto questo può poi essere tradotto in inglese, in un formato comunica-bile attraverso le nuove tecnologie. Un’ulteriore attività che D. (intPd5) illustra è lapresentazione dell’ambiente formativo ai ragazzi del primo anno da parte di quellidel terzo anno, in fase di accoglienza iniziale, e la presentazione delle caratteri-stiche dei vari indirizzi, in fase di orientamento per la scelta del percorso per l’annosuccessivo48. Anche qui i ragazzi sono stimolati, anche dai giudizi dei compagni, adattivarsi per una comunicazione efficace. Sono tipiche situazioni in cui il leggere elo scrivere – e in genere la disciplina – vengono sottratti alla dimensione artificiosadel compito puramente scolastico e inseriti in uno scenario che dà loro senso.5.2.2. La relazione tecnicail compito di far stendere una “relazione tecnica”, su esperienze legate all’indi-rizzo professionale scelto, è una delle strategie maggiormente praticate dai nostriformatori per collegare la scrittura al contesto lavorativo:se, in prima, devo [...] spiegare loro [...] come si fa a stendere una relazione tecnica,come glielo faccio fare? Sono andati in visita alla fiera dell’elettricità sicura, a Padova, eil giorno dopo ho chiesto a loro di relazionarmi, di spiegami che cosa avevano visto. [...]Erano stati divisi in gruppi, prima di andare in fiera (intMe7/129). ogni gruppetto diquattro o cinque componenti aveva un compito: uno doveva vedere i lED, un altro do-veva vedere i sistemi di allarme; [...] ogni gruppetto ha relazionato su che cosa avevavisto, su che cosa era rimasto loro in mente (intMe7/131). A partire [...] dalla relazionetecnica, che loro mi hanno […] scritto e portato, ho spiegato come si fa, come si realizzauna relazione tecnica [...], del tipo di quelle che loro dovranno consegnare al commit-tente, quando saranno al lavoro, una volta concluso il percorso formativo (intMe7/133).Ho lavorato sui loro testi (intMe7/135). ogni gruppo era composto da quattro persone,però ognuno ha fatto una propria relazione (intMe7/141) personale, perché a me poi inte-ressava anche avere una valutazione personale (intMe7/143) […]. Ho detto loro di farfinta che io fossi il loro committente e che non sapessi niente di elettricità sicura; quindiho detto: “ok, tu devi trovare tutto ciò che serve: le novità per quanto riguarda i lED; midevi scrivere e spiegare che cosa hai visto, che cosa ti ha proposto la fiera, quali lED po-tremmo utilizzare nei prossimi due anni...” (intMe7/145). io ero una persona che dovevarealizzare l’impianto nuovo dell’appartamento (intMe7/147). E quindi mi chiedo: “io chelED metto? che faretti metto?”. “Allora, ho trovato che le novità nel settore sonoqueste...”. loro hanno analizzato, mi hanno scritto quali novità ha presentato loro la fiera(intMe7/149). lo scopo era di informarmi sulle novità del settore (intMe7/151), perchéio dovevo fare una scelta (intMe7/153). […]. Ho spiegato loro come va fatta una rela-zione tecnica: la relazione tecnica deve essere breve, sintetica, coincisa, deve far capireal committente qual è il prodotto, quindi deve descrivere il prodotto in poche parole, inmaniera chiara ed efficace, e deve valorizzare il prodotto, perché poi, se voglio che ilcommittente vada ad acquistarlo, devo promuovere il prodotto (intMe7/179) e cercare diillustrarne (intMe7/181) tutte le qualità, [...] ad esempio, gli aspetti positivi dei lED – separliamo di nuovo dei lED –, i motivi per cui io dovrei comprare questi lED ecc. […].
48 il primo anno di corso è un anno comune, mentre il biennio successivo è di indirizzo.
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Poi le relazioni tecniche io le ho analizzate, ho dato una mia valutazione personale perogni ragazzo, dal punto di vista dell’italiano, non dal punto di vista del contenuto. le hopassate al professore di laboratorio; il professore di laboratorio le ha corrette dal punto divista contenutistico, perché la consegna era stata data anche dal professore di laboratorio,dato che era una visita tecnica per il settore. il professore di laboratorio ha dunque lavo-rato sui contenuti. Ecco che […], utilizzando un’unica visita tecnica, siamo riusciti a […]coinvolgere due aree, quella culturale e quella tecnica (intMe7/183);racconto un’esperienza dei primi anni che è molto semplice ed elementare: la relazionescritta. Si concorda con l’insegnante di laboratorio, che può essere meccanica, elettro-meccanica ecc., una procedura, un’operazione; ad esempio, i tornitori fanno all’inizioun’opera di aggiustaggio, di limatura: il ferro profilato a U; praticamente significa limareun pezzo di ferro e rendere le superfici piane; loro fanno questo; alla fine della proce-dura, fanno una relazione tecnica; chiaramente si spiega un po’ che cos’è una relazione[...], quali sono i parametri di valutazione, proprio per quanto riguarda italiano e comuni-cazione, perché, sullo stesso foglio, metto dei vincoli: le parole da utilizzare e addiritturai bordi; [...] nel foglio A4, che è tutto bianco, metto delle righe, hanno un prestampato,non possono uscire dai bordi. Sono importanti l’ortografia, il lessico, la [...] coerenza deltesto, la chiarezza, il registro linguistico, [...] insomma, tutti quei parametri [...] che sonopropri della materia che provo ad insegnare; dall’altra parte c’è [...] una cosa molto im-portante, che su ogni prova che faccio, i ragazzi sanno su che cosa li valuto, e che pesoha ogni aspetto; [...] la relazione scritta possono farla anche nelle ore del professore di la-boratorio e il professore di laboratorio poi valuterà la relazione in base ai contenuti tec-nici, alla sequenza delle procedure e [...] al linguaggio tecnico che utilizzano(FGita2/265);ho concordato [...], con l’insegnante [...] di stampa e di prestampa quali potevano esserele voci per la creazione di una relazione tecnica; ho fatto costruire una relazione ai ragaz-zi e poi ho cominciato a vedere tutte le molteplici relazioni tecniche e, alla fine, siamo ri-usciti a costruire [...] un piccolo compendio di 6-7 [...] diverse tipologie di relazione, [...]sia per quanto riguarda la relazione tecnica di stampa e prestampa, sia per quanto riguar-da la relazione sull’analisi di un testo o sulla visione di un film (FGita2/309). la dimen-sione della competenza, secondo me, è il saper creare una relazione. come la crei? la creiselezionando determinati punti salienti o determinate fasi di lavorazione o di creazione,che poi sono quelle più utili, perché tu possa rendere trascrivibile e interpretabile il tuolavoro. Allora la relazione […], che ha uno schema ben preciso, l’ho affrontata non tantodal punto di vista dei “contenuti” della relazione, ma dal punto di vista dello “schema”della relazione. così i ragazzi hanno appreso una competenza di analisi di esperienze at-traverso la relazione (FGita2/313). [...] Siamo partiti dall’analisi della scheda tecnica, cheè quella che loro presentano all’esame in terza, ma io sono partito dalla prima, perché siabituassero ad utilizzare questo sistema. Abbiamo analizzato la relazione a partire da di-versi esempi. nel passo successivo sono stati loro ad evidenziare quali erano gli elementifondamentali per una relazione: prima [...] hanno analizzato la relazione del laboratorio[…] (FGita2/315); per esempio, nel formato della scheda per la compilazione della rela-zione tecnica, [...] ci sono [...] quattro comparti e, all’interno di questi quattro comparti,c’erano due domande [...] che erano doppioni; quindi quattro punti erano strutturati, quan-do in realtà ne bastavano due. io l’ho fatto presente ai miei colleghi di laboratorio e lorohanno un pochino rivisto la scheda, togliendo un punto che era effettivamente una ripeti-zione [...] (FGita2/317); [...] ci sono degli spazi; all’interno di questi spazi ci sono quat-tro [...] sottocontenuti che loro devono essere compilati e di conseguenza la scheda si am-plia [...]. questo doppione è stato tolto; dunque i ragazzi hanno preso coscienza che c’era
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effettivamente un errore [...]. Poi, una volta analizzato questo schema di relazione, abbia-mo introdotto la relazione dal punto di vista formale e dal punto di vista della spiegazio-ne tecnica; e poi abbiamo visto le varie tipologie di relazione. Alla fine, dopo aver analiz-zato le varie tipologie, sia in dimensione tecnica, sia in dimensione analitica, hanno crea-to delle relazioni su delle cose anche semplici; per esempio, ho avuto relazioni di tipo de-scrittivo di allievi sul campanile della loro città. Allora descrivere il campanile della lorocittà voleva dire effettivamente andare davanti a questo campanile, cercare di individuar-ne le proporzioni, cercare di individuare come era fatto, l’utilità, i materiali; è chiaro cheè stato sempre uno sforzo continuo, che pian pianino è aumentato; poi io ho [...] appiana-to le varie difficoltà. così ho ottenuto due positività: la prima, lo schema della relazione,che è uno schema adattabile, se [...] ne conosci le parti salienti; in secondo luogo, la di-mensione descrittiva e argomentativa della relazione, che è fondamentale, perché una re-lazione tecnica [...] per la stampa è tipicamente descrittiva, mentre la relazione su unargomento di studio è prettamente argomentativa; e così abbiamo spaziato sulle varie(FGita2/3) tipologie testuali [...] (FGita2/323).la visita ad una fiera di settore, a Padova, offre a E. (intMe7) l’occasione diimpostare un percorso didattico sulla “relazione tecnica”. Anche qui, il suo modo diprocedere è induttivo: innanzitutto fa realizzare agli allievi una relazione sulla vi-sita, con l’unica consegna di descrivere quello che avevano visto. non si tratta diun compito astratto, viene indicato un contesto preciso: “immagina che io sia uncliente interessato a realizzare un nuovo impianto nel mio appartamento…”. Solouna volta che le relazioni sono state consegnate e analizzate dalla docente, si tornasulle caratteristiche di una buona relazione tecnica: brevità e concisione, chiarezza,efficacia espressiva. Si tratta di una competenza essenziale per fornire al clienteelementi utili a prendere una decisione (in questo senso, la competenza si caricaanche di una valenza etica). il confronto con il docente di laboratorio, che sa comestanno le cose da un punto di vista tecnico, diventa essenziale per una corretta valu-tazione degli elaborati. R. (FGita2/265), dopo aver concordato la proposta con ildocente di area pratica e aver introdotto con gli allievi le caratteristiche di unabuona relazione tecnica, propone la consegna di scriverne una riguardo ad una pro-cedura propria del loro lavoro: la limatura di un pezzo meccanico49. nel far questo
49 Può essere utile riportare qui di seguito la descrizione di un’operazione di limatura che Mat-thew crawford inserisce nella ricostruzione del suo apprendistato come meccanico, sotto la supervi-sione di un esperto, alle prese con la riparazione di un motore: «…feci combaciare i collettori con icondotti di aspirazione delle testate. il mio primo compito fu limare con una lima arrotondata la guar-nizione metallica che unisce le due parti, in modo da farle combaciare perfettamente. Poi adoperai laguarnizione fatta su misura come modello per i collettori di aspirazione: dopo aver spennellato il bludi Prussia sulla flangia del collettore, usai la punta di un taglierino per tracciare la sagoma della guar-nizione sulla flangia (il blu rende più visibile la traccia da ricalcare). Poi grattai via il metallo dai col-lettori usando una chiave pneumatica da 25.000 giri al minuto, in modo che la nuova sagoma aderissemeglio al collettore. l’obiettivo è far combaciare le forme dei due condotti nel punto d’incontro, eli-minando le discontinuità che potrebbero apportare turbolenze e compromettere la regolarità delflusso. Volevamo che questo motore respirasse» (crawford, 2011, pp. 89-90). questo brano illustrabene come l’esercizio della descrizione possa allenare delle competenze essenziali anche per lalingua: l’attenzione alla realtà e la competenza meta-cognitiva che fa esplicitare come il pensiero pra-tico affronti i problemi che la realtà presenta.
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è attento a dare delle specifiche precise a cui attenersi (si tratta, ancora una volta, diquella sorta di impalcatura che consente agli allievi di muoversi) e alla formula-zione di chiari criteri di valutazione. nell’esperienza che viene raccontata da S.(FGita2/309-323), formatore nel cFP di Mestre, l’apprendimento relativo alla ste-sura di una relazione tecnica diventa il punto di partenza di un percorso più artico-lato, che porta a sviluppare una competenza di scrittura più articolata e complessa.S. parte facendo lavorare i propri allievi sulla “relazione tecnica”. Si tratta del reso-conto di un’attività di stampa che gli allievi – e futuri grafici – sono tenuti a compi-lare, secondo uno specifico formato, per descrivere il proprio lavoro. Già questo li-vello è importante, perché rende dicibile, “trascrivibile e interpretabile” il propriolavoro in tutte le sue diverse fasi. Ma il nostro docente non si ferma lì. Guida ipropri allievi nell’analisi degli aspetti formali di una relazione: l’individuazione ela selezione dei punti salienti, la descrizione ecc. questo porta gli allievi stessi a in-dividuare delle ridondanze nei punti che il formato utilizzato in laboratorio per lacompilazione di relazioni tecniche chiedeva di sviluppare. inoltre consente agli al-lievi di costruirsi uno schema mentale di relazione adattabile a diverse circostanzee di intraprendere in modo maggiormente consapevole altri esercizi di scrittura,anche sganciati dai contenuti tecnici della relazione di partenza.5.2.3. La stesura del proprio curriculum vitaeUn’altra occasione per legare scrittura e ambito professionale, e far coglierel’importanza che gli apprendimenti di area linguistica assumono anche per il con-testo lavorativo, è la stesura del curriculum vitae su cui insistono diversi docenti:in prima e in seconda c’è un modulo che si chiama “orientamento”, che […] fa scoprireai ragazzi le loro potenzialità, le loro caratteristiche; un percorso personale, insomma,che ogni ragazzo può fare all’interno del cFP. in terza c’è poi un modulo che si chiama“accompagnamento al lavoro” e che diventa un po’ più specifico, perché i ragazzi si met-tono in gioco per quanto riguarda, non so, le loro competenze lavorative: essere in gradodi redigere un curriculum, una lettera di auto-candidatura, saper riconoscere un’aziendaalla quale presentare il proprio curriculum e non, magari, mandarlo chissà dove, saperconoscere anche nel territorio quali sono le risorse; si tratta proprio di un percorso piùspecifico, legato al lavoro (intPd5/82); redigere un curriculum non è molto semplice, seloro non sanno scrivere bene in italiano; io ho fatto vedere loro proprio il gesto che farei,se mi arrivasse tra le mani un curriculum non scritto bene: lo prenderei, lo straccerei e lobutterei nel cestino, perché magari ci sono gli errori di ortografia e di grammatica, non cisono le doppie... (intPd5/86).in terza vanno fuori a lavorare e quindi, in classe, dedichiamo delle ore alla stesura delcurriculum; poi il curriculum è uno di quegli argomenti che in parte è interdisciplinare:viene ripreso anche in inglese e viene ripreso anche in informatica, perché, oltre a quellacartacea, fanno anche una versione informatica; con la chiavetta, se la possono prenderee se lo desiderano la possono ampliare, allargare, estendere, integrare, completare(intMi1/112);ci siamo accorti [...] che non ci si mette molto ad allargare i percorsi al fare [...]: l’insegnan-te di italiano fa un po’ fatica con il computer; lei giustamente vuole far uscire gli allievi di
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qua con un curriculum vitae steso in modo corretto [...].Allora che cosa è venuto fuori? È ve-nuto fuori: “Vieni giù a dare una mano alla terza grafici durante l’ora di italiano?”; da lì alcostruire una Uda insieme il passo è stato breve, perché c’era l’insegnante di informaticacon l’insegnante di italiano a fare il curriculum vitae con questi ragazzi (Mi4/29).nell’ambito di un percorso articolato, a valenza orientativa, arriva il momentoin cui accompagnare gli allievi nella stesura del proprio curriculum vitae. D.(intPd5) illustra bene il fatto che si tratta di un’operazione di scrittura che presup-pone una complessa riflessione su di sé e sugli apprendimenti maturati e richiede losviluppo di una strategia personale all’interno della quale va posta anche la scrit-tura del curriculum. inoltre, la docente è particolarmente efficace nel far coglierel’esigenza di correttezza nella scrittura. A. (intMi1) e S. (intMi4)50 sottolineano lavalenza interdisciplinare di questa attività.5.2.4. L’offerta tecnica in risposta ad una commessa di lavoroUn’ulteriore caso in cui la scrittura diventa un compito professionale, ci vienedescritto da E. (FGita1/135-155), insegnante di inglese a Ragusa, che ha parteci-pato ad un lavoro interdisciplinare che, oltre alla realizzazione di un capolavorotecnico, comportava la stesura di un’offerta tecnica in lingua:un’altra cosa [...] che abbiamo fatto è stato un project-work con gli elettricisti [...] del se-condo anno. Abbiamo ipotizzato una ditta maltese – io sono di Ragusa, quindi il legamecon Malta è abbastanza diretto [...] – e abbiamo creato un project-work interdisciplinare:si proponeva ai ragazzi il lavoro da fare, ovviamente in inglese, perché [...] loro avevanoquesta commessa scritta in inglese; da lì dovevano […] tradurre e quindi capire quello chedovevano fare e poi arrivare a realizzare un prodotto finito, un lavoro finale; avevamocreato, con tutti i professori, una commissione giudicatrice del lavoro finale [...] (FGi-ta1/135). Allora, la prima fase era quella della ricezione del messaggio, dell’ordine prove-niente dalla ditta straniera, e quindi la traduzione della richiesta; poi [...], una sorta di au-tocandidatura da parte dello studente, e la presentazione di un documento su come loropotevano soddisfare l’esigenza della ditta; [...] (FGita1/139): “io sono titolare della ditta –immaginaria – ES [...]; sono in grado di soddisfare la vostra richiesta perché ho a disposi-zione il materiale da voi richiesto…”. Rispondevano alla lettera in questo modo e lo face-vano in parte in inglese e in parte in italiano; [...] la parte più semplice in inglese, perché[...] era un secondo anno e quindi non potevo chiedere loro chissà cosa – non è che al ter-zo possa chiedere una traduzione di Shakespeare, attenzione, però, voglio dire... –; co-munque era già un bel lavoro da fare per loro; [...] poi da lì passavano all’atto pratico, per-ché, sempre ipoteticamente, la ditta accettava la loro candidatura e quindi loro dovevanofattivamente e praticamente creare il prodotto (FGita1/141). io controllavo l’attività perquanto riguarda la lingua, ovviamente, poi i docenti pratici stavano più attenti al lavoroprodotto (FGita1/143); [...] essendo un docente di lingue, ho trattato la prima fase (FGi-ta1/153) [...] poi loro avevano creato un lavoro nel campo elettrico, un pannello, non sonobene; (io ho dovuto cercare) di tecnicizzarmi, perché abbiamo elettricisti, ferramentisti emeccanici, quindi cerco di fare un inglese tecnico in tutti e tre i settori [...], cercando diconfrontarmi con i colleghi e aiutandomi con dizionari [...] tecnici (FGita1/155).
50 S. (intMi4) è un docente di informatica. l’estratto è stato collocato qui (e non in Tacconi,2011) perché si riferisce ad una attività interdisciplinare.
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l’episodio narrato da E. ci introduce già nel punto successivo perché si rife-risce ad un progetto interdisciplinare. E. evidenzia il contributo offerto dalla sua di-sciplina alla realizzazione del lavoro: tradurre la commessa che proviene da un po-tenziale cliente straniero e formulare un’offerta tecnica, e sottolinea l’esigenza dideclinare la lingua in senso tecnico.
5.3. Far realizzare compiti professionali interdisciplinari e complessinel lavoro, anche in quello manuale, è contenuto un grande potenziale cogni-tivo (cfr. crawford, 2011). Per praticare qualsiasi lavoro in modo competente sonoinfatti necessarie diverse conoscenze e abilità51. ora, se questo risulta particolar-mente evidente per conoscenze e abilità di tipo tecnico e scientifico, non lo è altret-tanto per le conoscenze e le abilità proprie dei campi di cui si occupano i nostri do-centi. Eppure, ogni lavoro richiede abilità linguistiche, di codifica e decodifica ditesti, ma richiede anche particolari capacità di osservazione e di descrizione dellarealtà, un certo gusto estetico, la capacità di esercitare una continua autocritica permigliorare la propria prestazione, la capacità di valutare la situazione, la consape-volezza etica circa il valore sociale di ciò che si fa, la conoscenza delle implica-zioni di carattere economico e giuridico del proprio lavoro. Tutto questo non solonon è estraneo, ma rientra pienamente nel campo di attività dei nostri docenti. oltreai tentativi che abbiamo visto sopra, per far percepire che scrivere e parlare sonocompiti vicini anche alla pratica professionale, i nostri formatori progettano dunqueanche specifiche Uda, che spesso sono chiamate “unità in situazione”, centratesulla soluzione di problemi e sulla realizzazione di veri e propri compiti professio-nali, che per essere affrontati richiedono la mobilitazione delle conoscenze e delleabilità sviluppate nelle varie aree disciplinari, e che, al di là dei saperi che impli-cano, esigono sempre uno sforzo di esplicitazione di ciò che nel lavoro di solito ècontenuto implicitamente. E questo è qualcosa che ha eminentemente a che farecon la parola, il linguaggio, il pensiero. nel punto precedente (5.2.), abbiamo giàvisto alcuni esempi. qui di seguito ne riportiamo altri, riferiti a percorsi particolar-mente complessi.5.3.1. Il caso del libro sui diritti umani con i graficiA. (intMi1) e c. (intVr4) raccontano esperienze di “unità in situazione” inter-disciplinari, proposte ad allievi dell’indirizzo grafico, e centrate sulla realizzazionedi un libro, in tutte le sue fasi. Riportiamo quasi integralmente i loro racconti:
51 questo nonostante i pregiudizi attraverso i quali siamo abituati a guardare al lavoro manuale:«…il nostro rapporto con il lavoro manuale è più focalizzato sui valori sottesi al lavoro medesimo chesul pensiero che esso richiede. Si tratta di un’omissione sottile ma significativa […]. È come se nellanostra cultura ci venisse fornita l’immagine del braccio muscoloso con la manica rimboccata strettaintorno al bicipite, ma nessun pensiero che palpiti sul fondo dell’occhio, nessuna immagine che col-leghi la mano al cervello» (Rose, 2005, p. Xiii, cit. in crawford, 2011, p. 23).
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con i grafici sviluppo di più, all’interno di questi percorsi, alcuni argomenti, proprioperché sono grafici; allora questo può essere fatto in collegamento anche con le altre ma-terie di indirizzo, per cui [...] il fatto che approfondiscono alcuni argomenti mi serve percollegarmi poi con il settore specifico [...] (intMi1/10). questo [mostra un libretto] è unesempio che ci serve per capire un po’. l’argomento dei diritti umani, [...] nel settoredella grafica, viene inserito in quelle che sono le “unità in situazione”, cioè quelle unitàin cui è più forte il tentativo di collegarsi con le varie discipline e quindi di costruire unpercorso [...] in aula che tenga conto dei contributi delle diverse discipline. questi lavori,fatti dai diversi insegnanti, confluiscono in un prodotto finale, che, per la grafica, si tra-duce [...] nella stampa di quello che loro hanno prodotto (intMi1/12). in tutti e tre gli in-dirizzi, ad esempio, fanno questo tipo di ricerche (intMi1/12) sui diritti umani, però i gra-fici, proprio per il tipo di profilo e per lo specifico personale che hanno in laboratorio, inquello di prestampa e in quello di stampa, realizzano questo come un prodotto finito; perdire [mostra il libretto], questi sono i nomi, questi sono i lavori che loro hanno prodotto,chiaramente rivisti poi dall’insegnante (intMi1/14). questo lavoro interseca le varie ma-terie; io per esempio ho fatto sia la parte che riguarda l’italiano, sia la parte che riguardail diritto, poi sono intervenuti l’insegnante di inglese e gli altri [...] (intMi1/16). Era unaricerca sui “Diritti Umani” che [...] toccava le varie discipline del secondo anno(intMi1/20). cominciavano dalla lingua inglese, attraverso una canzone; durante l’ora diinglese, ascoltavano la canzone in inglese, cercavano di capirne il testo; l’insegnante liaiutava anche sul versante grammaticale, sul versante dei vocaboli; la canzone era unpretesto per trasmettere meglio alcuni contenuti specifici della lingua inglese, tipo i voca-boli, le forme grammaticali e così via. Però questa canzone non era una canzone casuale;era una canzone degli U2 che parlava dei diritti umani; il titolo era Pace in Terra, unacanzone che presentava una tematica che poi sarebbe stata ripresa; si parla della guerra,della violenza, di tematiche che poi vengono riprese anche dalle altre discipline. quandoil professore di inglese aveva terminato il suo segmento, il discorso passava a italiano.ora, in italiano, per esempio, tornavamo sulla canzone e, con l’aiuto anche di alcune do-mande, si faceva una piccola discussione in classe, che oltre, appunto, a cercare di appro-fondire ancora il testo della canzone, doveva servire anche a far riflettere su questi argo-menti […]. Terminato questo lavoro [...] sulla canzone [...], abbiamo utilizzato alcuni la-vori fatti negli anni precedenti, sempre ricerche [...]; ad esempio, sull’argomento dell’in-fanzia negata, sono stati inseriti alcuni testi elaborati dai ragazzi degli anni precedenti;abbiamo fatto dei ragionamenti [...] su questi testi, che mettevano in luce, appunto, gliaspetti di violenza, prepotenza, sopraffazione, privazione che vivono i ragazzi, peresempio, nell’ambito dei farmaci; poi c’era il discorso del lavoro minorile e qui abbiamoinserito un brano sull’Africa, che parlava di questo, poi c’era il confronto sul testo di unragazzino italiano che lavora, che fa vedere come (intMi1/24) queste sono situazionisiano presenti anche in italia, poi c’era un brano sui bambini soldato (intMi1/26). questoera un lavoro fatto precedentemente, realizzato come base per ragionare, perché lo scopo[…] non è solo di vedere quali sono i diritti umani, ma di vedere quali sono e dove ecome questi non vengono rispettati. Per cui, anche la scelta di questi brani era per met-tere in evidenza certe situazioni dove si vede che i bambini, o di qua o di là nel mondo[...] subiscono delle prepotenze. Poi il discorso passava a “diritto” [...]: ci sono alcunitesti che fanno da riferimento ai diritti umani, per esempio la “carta Universale dei Di-ritti dell’Uomo” dell’onU. qui il discorso passava all’onU, [...] a com’è strutturato,alla sua organizzazione, a come funziona. queste [mostra dei lavori] erano letture [...]successive. inserito in questo percorso c’era anche un capitolo sulla pena di morte, percui questo era [...] un ulteriore approfondimento (intMi1/28). con i grafici, puntandomolto su questo lavoro concreto, questa parte è stata fatta un po’ superficialmente; in altri
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settori, dove non arrivano a tutta questa fase ulteriore, queste letture sono state analizzatein maniera più approfondita. Se rimaniamo sui grafici [...], possiamo dire che i ragazziscelgono un argomento su cui la classe deve lavorare; quest’anno, per esempio, l’argo-mento era quello dei Diversi che vengono considerati ultimi dalla società. Hanno tratti ofisici o comportamentali legati al di tipo di provenienza, di origine, per cui vengono visticome “diversi” e quindi vengono più o meno emarginati [...]. Allora, sono stati indivi-duati alcuni testi – alcuni li ha portati l’insegnante, altri li hanno portati loro –, poi io hoscelto su quali testi lavorare e [...] i ragazzi sono stati divisi in gruppi, hanno letto gli ar-ticoli, poi io ho preparato delle domande che dovevano servire come traccia e loro hannoelaborato degli articoli e me li hanno consegnati. io li ho corretti dal punto di vista dellaforma italiana [...]; poi loro [...] sono passati direttamente in laboratorio. nel laboratoriodi prestampa, li hanno [...] inseriti a livello informatico in una struttura che permettessedi inserire sia il testo che le immagini; anche le immagini le hanno scelte loro; sono statiindicati alcuni siti [...] e loro sono andati a (intMi1/30) cercarle; poi chiaramente glispazi vengono organizzati con l’insegnante di laboratorio, per riuscire a capire benecome impostare, anche graficamente, il tutto, per costruire un lavoro che sia [...] presen-tabile […]. Alla fine, hanno realizzato questo prodotto che comunque rimane loro:ognuno ne avrà una copia. Poi altri insegnanti sono stati coinvolti in questa ricerca: èstato coinvolto [...] l’insegnante di scienze, dato che, all’interno di questo percorso, siparla anche della tortura e quindi, in scienze e in fisica, hanno sviluppato delle ricerchesui materiali che poi venivano utilizzati per le torture [...]. Ecco, per esempio, c’era unaparte inserita sulla pena di morte, sui vari metodi di esecuzione; si parla di elettricità, digas. Dopo questi temi più specifici vengono ripresi dall’insegnante delle materie speci-fiche (intMi1/32) che prende spunto da questa parte per sviluppare [...] meglio questiaspetti; anche l’insegnate di etica ha preso parte [...] a questa ricerca, approfondendo coni ragazzi alcune parti; uno degli articoli su cui abbiamo lavorato di più in classe, peresempio, faceva riferimento a quella ragazzina inglese a cui la mamma voleva rifare lafaccia (intMi1/34); [...] poi, in quei giorni, c’era sui giornali l’articolo su un ragazzo ita-liano down [...] e quindi anche il tema delle diversità è stato ripreso in classe e approfon-dito dall’insegnante di etica e così via, come pure anche un altro tema, quello dei Rom;qui c’erano anche alcuni articoli sui Rom; anche questo è stato ripreso dall’insegnante. Equesto (intMi1/36) sarebbe il capolavoro della seconda grafica (intMi1/38);verso la fine dell’anno, ho fatto anche [...] un’attività di gruppo con le prime classi [...];qui entra in gioco un poco l’interdisciplinarità con il laboratorio. i nostri ragazzi, alla finedella prima, devono sostenere una prova su tutto il programma che hanno svolto in labo-ratorio e, siccome devono costruire un testo che poi impaginano, stampano ecc., facendoinsomma le tipiche operazioni del laboratorio di grafica, prima, in fase di costruzione deltesto, entro in gioco io. i colleghi di laboratorio mi hanno chiesto di riunire i ragazzi ingruppo, di affidare una tematica generale, che per quest’anno erano i “diritti umani” –[...] perché ricorrono i sessant’anni dalla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo[...] – e gli anni scorsi era stato l’Euro, oppure il tema dell’acqua e delle risorse idriche,temi di attualità insomma (intVr4/60). Propongo ai ragazzi il tema, li divido in gruppi epoi cerco di fare in modo che ogni gruppo sviluppi una parte, un aspetto di questo tema.Se il tema è quello dei diritti umani, [...] cerco di impostare il lavoro su tutti i casi cheloro conoscono nella storia – non solo oggi – in cui i diritti umani sono stati clamorosa-mente violati: i campi di concentramento, per esempio; e in questo ci hanno aiutatoanche una gita che abbiamo fatto a Trieste, all’interno della risiera di San Saba e la let-tura di un testo di Primo levi, che ho fatto in classe con i ragazzi (intVr4/62). […] Do-vevano cercare del materiale con un lavoro a casa; oggi con internet sono avvantaggiati,però io avevo chiesto loro di cercare anche su giornali e riviste. oppure, potevano fare
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qualche intervista, se ci fosse stato vivo qualche reduce dai campi di concentramento,che loro conoscevano; però insomma, questa è una cosa un po’ difficile (intVr4/68). Poifanno un lavoro di analisi della documentazione e cercano di mettere insieme, di struttu-rare un testo che abbia un titolo, un sottotitolo, grosso modo. [...] Poi c’è l’impagina-zione: devono stare all’interno di un certo numero di [...] battute e questo è un ulteriorevincolo che hanno; non possono farlo né troppo corto né troppo lungo e devono [...] pen-sare anche alla paragrafatura (intVr4/70). loro costruivano questo testo, poi lo consegna-vano a me, io lo correggevo e loro lo risistemavano; partendo da questo testo poi loro ag-giungevano, nelle ore di laboratorio, [...] delle immagini collegate al tema, aggiungevanola loro foto di gruppo [...]. Alla fine dell’anno [...] sostenevano una prova orale, in cuichiedevo dove avevano reperito il materiale (intVr4/74) ...se era stato difficile reperirlo,quale tipo di fonte avevano utilizzato […]; gli altri insegnanti poi facevano le loro do-mande tecniche sul lavoro di stampa (intVr4/76). […] questa attività mi permette anche[...] di vedere come i ragazzi sanno – e se sanno – lavorare in gruppo; [...] non tutti sannolavorare in gruppo; ho visto molta dispersione tra i ragazzi. i nostri gruppi sono formatida tre o quattro ragazzi e capita che nel gruppo ci siano magari dei ragazzi che non vannomolto d’accordo [...], oppure [...] ci può essere un gruppo dove c’è un ragazzo leader,trainante, che sa poi far lavorare gli altri, e [...] un gruppo invece dove manca un po’questa figura e allora si vede che non riescono proprio a dividersi i compiti, perchéquesto è un lavoro di équipe e quindi è evidente che ognuno deve fare la sua parte(intVr4/80).Entrambi gli esempi si riferiscono a percorsi realizzati con allievi dell’indi-rizzo formativo per grafici. la centratura è sulla realizzazione di un “capolavoro”,un prodotto finito – in questo caso un libro – nel quale i ragazzi possano ricono-scersi. non a caso, sia A. (intMi1), che lavora con i ragazzi del secondo anno, chec. (intVr4), che lavora con quelli del primo, sottolineano che sul libretto realizzatosono riportate le tracce degli autori (i nomi o la foto del gruppo) e A., che mostra illibretto all’intervistatore, afferma che alla fine a ciascun ragazzo viene consegnatauna copia del lavoro realizzato. come grafici, gli allievi si dovranno confrontareprevalentemente con il compito della stampa. qui sono chiamati a vestire anche ipanni dell’autore e a provare il piacere di vedere i loro testi trasformarsi in librostampato. in entrambi i casi, viene proposto agli allievi di realizzare una ricerca digruppo sul tema dei diritti umani e su vari aspetti connessi con tale tema, a partireda una ricca documentazione, in parte fornita dai docenti in parte rintracciata dagliallievi stessi. A. sottolinea in particolare il carattere fortemente interdisciplinare delpercorso: vengono infatti coinvolti i docenti delle varie discipline (inglese, italiano,diritto, scienze, fisica, etica ecc.) e i ragazzi sanno che tutto quello che andranno adanalizzare, discutere, elaborare confluirà nella realizzazione del libro. il compitoconcreto attribuisce unità a tutto ciò che si fa e alimenta una tensione comune versoil prodotto finale. c. evidenzia il carattere cooperativo del lavoro (ogni gruppo ap-profondisce un aspetto diverso del tema e vengono fatte oggetto di specifiche atten-zioni le abilità sociali richieste dal lavoro ecc.). inoltre, sempre c. illustra anche lafase di presentazione del lavoro, nell’ambito di una prova finale, nella quale gli al-lievi vengono sollecitati a riflettere sul lavoro realizzato, sia sulla stesura dei testi el’uso delle fonti, sia sul processo specifico di impaginazione e di stampa.
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5.3.2. Il book di presentazioneil senso del lavoro volto a far realizzare compiti professionali interdisciplinariè ben illustrato da E. (intMe7) in relazione all’allestimento di un book con le pre-sentazioni di tutti gli allievi del secondo anno di corso:l’anno scorso, le seconde [...] hanno realizzato un book [...]; noi abbiamo detto: “Fatefinta che dobbiamo consegnare questo book...” (intMe7/187), “...questo libro, alleaziende grafiche. Da questo libro le aziende potranno scegliere i loro dipendenti. quindivoi vi dovete presentare tramite questo libro alle aziende del settore”. ogni ragazzoaveva una propria pagina; all’interno di questa pagina c’erano la loro immagine fotogra-fica, la loro presentazione personale, gli aspetti biografici, le competenze, le aspettative;la loro presentazione è stata poi tradotta in inglese; ecco che quindi [...] abbiamo fattoentrare all’interno di questo lavoro l’insegnante di grafica (intMe7/189) per la realizza-zione pratica del testo, per l’impaginazione, perché poi ogni ragazzo ha personalizzato lapropria pagina; sono entrati anche l’insegnante di disegno e l’insegnante di prestampagrafica (intMe7/191). Sono tutte discipline differenti: c’è l’insegnante di disegno, l’inse-gnante di grafica, che si suddivide in “prestampa”, quindi quello che organizza, che im-pagina, che prepara l’impaginazione grafica, e “stampa”, che sarà poi quello che andrà agestire i processi di stampa. infatti, i ragazzi […] in prima seguono tutti i laboratori, inseconda scelgono se diventare pre-stampatori o stampatori. […] l’insegnante di italianoè stato coinvolto per la stesura (intMe7/193) e la correzione dei testi e l’insegnante di in-glese per la traduzione della presentazione, l’insegnante di diritto per il copyright(intMe7/197), quello di matematica per i preventivi di vendita di questi libri, nel casoavessimo dovuto venderli. Si è quindi cercato di dedicare un paio di mesi ad un lavoroconcreto, che è stato poi realizzato effettivamente; non lo abbiamo distribuito alleaziende, però loro li hanno, noi insegnanti li abbiamo [...] (intMe7/201). Tutte le pagineerano diverse, perché ogni ragazzo ha personalizzato la propria pagina (intMe7/203);c’erano l’immagine fotografica, [...] la presentazione personale dei ragazzi (intMe7/205):competenze, aspettative, aspetti biografici (intMe7/207); a fianco c’era la traduzione ininglese e [...] tutta l’impostazione grafica realizzata proprio dal ragazzo. questo è unodegli esempi di Uda (intMe7/209): (si tratta di) cercare di fare scuola partendo da un’e-sperienza concreta (intMe7/213), per poi riuscire ad arrivare all’origine e quindi cer-cando di inserire l’italiano, la storia, la matematica, cercando di far capire loro che l’ita-liano, la storia e la matematica, non sono soltanto fine a se stesse, non sono soltanto ma-terie scolastiche, ma ti serviranno poi, quando sarai nel mondo lavorativo (intMe7/215).oltre alla consegna autentica, che comporta non un fare astratto, ma un farequalcosa per qualcuno, la caratteristica emergente da questo lavoro è l’interdiscipli-narità e la possibilità offerta agli allievi di percepire i percorsi disciplinari comeconvergenti verso la realizzazione di prodotti tangibili. inoltre, curare la propria au-topresentazione costituisce, in questo caso più che in altri, un’attività riflessiva sudi sé, la propria storia e i propri apprendimenti.5.3.3. Il libretto delle istruzioni sull’uso di un prodotto di laboratorioUn posto importante, nei percorsi formativi, è occupato dai progetti o dalleUda di ambito tecnico, a cui i nostri docenti accennano, illustrando il contributospecifico che apportano come responsabili dell’asse dei linguaggi. Un caso tipico èrappresentato dalla realizzazione del libretto di istruzioni di artefatti tecnici:
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ad esempio, [...] con la terza, abbiamo l’Uda in cui loro costruiscono un monopattino;noi, oltre a far fare la relazione, facciamo fare anche il libretto delle istruzioni(intMe1/466); do la falsariga di un libretto di istruzione e loro devono inserire: una pre-sentazione dell’oggetto, la componentistica, le istruzioni per il montaggio e la manuten-zione; assieme andiamo in aula di informatica e lo realizziamo anche in un file word, in-serendo le immagini; questo è l’ultimo lavoro di terza in cui ci sia effettivamente unamultidisciplinarità […]; io valuto l’aspetto di italiano, ma non solo, perché c’è unaforma, ma anche un contenuto (intMe1/470), ci sono anche gli aspetti tecnologici dellameccanica, che loro fanno in laboratorio, in tecnologia meccanica (intMe1/472);quelli del settore meccanico ed elettro fanno lavori [...] chiaramente legati al loro profilo,tipo la morsa, tipo l’impianto, dove, per esempio, queste materie culturali non hanno unospazio nello specifico del lavoro, simile a quello che possono avere nei lavori con i gra-fici; [...] sono prodotti strettamente legati al laboratorio e quindi è chiaro che lì materiecome italiano e diritto sono più di supporto; [...] al terzo anno, loro realizzano una speciedi carrello elevatore; devono quindi fare una centralina con i comandi. che cosa fanno diitaliano? Di italiano ci si immagina che questa centralina venga comprata da un cliente eloro realizzano il libretto delle istruzioni, che viene allegato al prodotto [...]. Ecco, du-rante le ore di italiano, loro possono guardare la parte, diciamo, “teorica” del lavoro,quindi il quadro elettrico, offrire alcune indicazioni sui componenti, insomma un minimodi elementi su cui hanno lavorato in laboratorio; [...] guardano i mezzi che sono serviti,quindi il quadro, il disegno e così via e costruiscono [...] questo manuale per l’utente coni seguenti elementi: che cos’è il prodotto, a che cosa serve, come si utilizza, a che cosacorrispondono queste luci, questo comando, a che cosa corrisponde quest’altro. l’ita-liano è meno coinvolto nella realizzazione concreta del prodotto; il prodotto è molto spe-cifico. i meccanici poi fanno dei morsetti, [...] comunque fanno tutti dei lavori molto pra-tici, legati strettamente alla loro professione (intMi1/44). la lingua inglese, per esempio,entra con i vocaboli legati al lavoro, quindi come si dice in inglese questa macchina,questo pezzo; [...] è un inglese che prevede di più un aspetto professionale [...](intMi1/46), comunque sempre legato o a una rielaborazione delle fasi del lavoro [...]:“Se dovessi spiegare a un cliente, a uno che viene ad acquistare questo prodotto, checos’è questo prodotto, come farei? A che cosa serve? come funziona questo prodotto?...Prova a metterti in questa situazione…”. Anche per loro è un modo per ripensare al la-voro che hanno fatto, per capire che non è una cosa fatta così, a caso, ma risponde ad unalogica ecco, perché poi il lavoro deve funzionare: se schiacci questo, s’accende que-st’altro, se fai così, s’accende quello; quindi, è un modo anche per dargli quella visioned’insieme che loro difficilmente hanno, perché vedono le parti molto staccate tra loro(intMi1/48); così vedono il lavoro come un insieme di passaggi legati tra loro, che hannoun fine; quindi si concedono, in un certo modo, una riflessione per arrivare ad un certorisultato [...]; sono più pratici che teorici, che riflessivi; a loro comunque serve questotipo di riflessione (intMi1/52); questo dovrebbe essere, nell’impostazione nostra, il modonormale di procedere [...]; che cos’ha di caratteristico questo percorso? che per funzio-nare bene richiede, per esempio, una sintonia tra i vari insegnanti, una sintonia tra i pro-grammi, [...] che vengano date delle indicazioni generali di competenza e poi che i sin-goli contenuti [...] vengano costruiti dai vari insegnanti adattandoli ai vari percorsi; ilfatto di lavorare assieme in quest’ottica [...] è molto difficile e riesce solo in alcuni mo-menti; ecco perché questi diventano dei momenti particolari durante l’anno. Ripeto chedovrebbe essere il modo normale di lavorare, soprattutto con questi ragazzi, perché sonoragazzi con i quali il classico modello di scuola funziona pochissimo, anche se per certiversi potrebbe essere più comodo per l’insegnante [...], perché hai la classe più sotto con-trollo [...]. Facendoli lavorare in gruppo, per esempio, o introducendo queste diversità –
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nel senso che si passa da una materia all’altra e loro non sono abituati a fare questi pas-saggi – [...] non riescono a cogliere, a volte, neanche perché si fa questo, glielo devi spie-gare continuamente, devi sempre richiamare: “Abbiamo fatto questa cosa in italiano, viricordate?”, “Adesso stiamo ripassando, poi questo lo rivedrete in fisica, poi questi temisaranno ripresi in laboratorio”; cioè devi sempre ricordare loro cosa stiamo facendo, peròquesto è un modo che li coinvolge decisamente di più (intMi1/54);quest’anno, un riscontro positivo l’ho avuto con un terzo anno [...]. con loro siamo riu-sciti a tradurre il manuale di un macchinario che era arrivato dall’estero; quindi loro sisono resi conto dell’utilità effettiva del lavoro svolto, perché sono riusciti poi [...] ad ap-plicarlo in pratica. Ecco, la cosa che più li soddisfa è l’applicazione pratica di quello chefanno (FGita1/135). È arrivata una macchina dalla Germania; hanno portato questo mac-chinario, una dentatrice [...]; il manuale era in tedesco e in inglese; (si trattava di) unafresa, [...] però era diversa, era più... all’avanguardia; è arrivata con il manuale in tedescoe in inglese e noi l’abbiamo tradotto dall’inglese [...]; a loro è piaciuto parecchio. Perchéè piaciuto con il terzo anno? Perché, essendo [...] tutti lavoratori, [...] capitavano lorodelle cose [...] che, per dire, potevano trovare anche (FGita1/159) sul lavoro; anzi eranoloro stessi che mi portavano poi le istruzioni [...]; non so..., ad esempio, gli elettricisti mihanno portato le istruzioni di un rompivetro, [...] glass breaker, in inglese, e quindi vole-vano sapere, erano incuriositi, interessati [...] su questi termini tecnici [...] (FGita1/161),anche perché, sai, a loro, [...] sapere che ci sono tre tipi di futuro nella lingua inglese, allafine, importa relativamente poco; importa invece sapere come si dice “dentatrice”,“tornio” e “fresatrice” (FGita1/167).Sia D. (intMe1) che A. (intMi1) forniscono uno schema guida, con gli ele-menti che è importante inserire in un libretto di istruzioni. che si tratti di un mono-pattino o di un carrello elevatore o di un morsetto, il problema è spiegare com’èfatto e come si usa quell’oggetto. Attraverso questo tipo di consegna, gli allievi, an-cora una volta, sono sollecitati a tornare mentalmente sul lavoro realizzato, a gua-dagnarne una rappresentazione globale e unitaria e a descrivere le caratteristiche eil funzionamento del prodotto realizzato. in questo modo, essi possono riappro-priarsi anche del senso di ciò che hanno realizzato manualmente e quindi progre-dire nel percorso che li porterà a diventare “esperti”. Si tratta inoltre di dislocarsi,di assumere la posizione dell’utente finale, di scrivere un testo che sia chiaro eutile. Per fare questo tipo di lavori è essenziale un’intensa cooperazione tra i do-centi. E. (FGita1/135-167), che insegna inglese a Ragusa, porta degli esempi in cuiil lavoro proposto agli allievi non è stata la scrittura, ma la traduzione del manualedi istruzioni di alcuni macchinari acquisiti dal centro. E anche qui, la constatazioneè quella di sempre: nel momento in cui si affrontano aspetti legati al lavoro, si ac-cende un autentico interesse che fa desiderare di sapere.5.3.4. La guida turistica della propria cittàR. (FGita2/342-344), formatore in un cFP Roma, si rende conto che è moltoimportante centrare l’attenzione dei ragazzi sulla realizzazione di un prodotto, inmaniera analoga a quella che essi sperimentano nel laboratorio di meccanica, in cuimagari progettano e realizzano un utensile utile. così, nell’area dei linguaggi, pro-pone loro di progettare e realizzare una piccola guida della città:
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l’esperienza del prodotto è molto importante [...]; l’anno scorso abbiamo fatto un’espe-rienza nel pomeriggio, con alcuni ragazzi di un progetto [...] – abbiamo un settore che sioccupa di riparazione motoveicoli – [...], in cui, con l’insegnante di laboratorio, i ragazzihanno disegnato, progettato, realizzato un utensile che è utile nei laboratori(FGita2/342). [...] Per l’area linguistica, invece, hanno progettato e realizzato una piccolaguida di Roma, cercando foto su internet, costruendo un testo molto semplice, tradotto daloro anche in inglese […]; c’è ad esempio la foto del colosseo e ci sono un testo in ita-liano e un testo in inglese. Poi [...] sono andati in centro, perché il tema era la Roma re-pubblicana e imperiale, la Roma antica, e praticamente hanno fatto loro da cicerone [...]ad un gruppo di... (FGita2/342) ...altri ragazzi e formatori: “questo è il colosseo ecc.”.Poi hanno fatto anche alcune foto. questo per dire che è molto importante [...] costruire,progettare e condividere insieme. io non ho problemi ad andare nei laboratori, a parlarecon i ragazzi, e non mi fa problema se il professore di laboratorio entra in aula mentrefaccio lezione io...; anzi i ragazzi [...] vedono, sentono e soprattutto vivono questo climadi collaborazione. quindi gli elementi importanti sono da una parte il prodotto, in cui si[...] formano competenze con il contributo di diverse aree disciplinari, dall’altra la com-presenza dei formatori di diverse aree e soprattutto la progettazione e la condivisione delprogetto stesso (FGita2/344).l’attività comporta una fase di progettazione e di raccolta dei materiali e unafase di stesura e traduzione dei testi. Tra le due fasi, viene inserita l’esperienza diun’uscita in cui gli allievi stessi diventano guide turistiche per un gruppo di altri al-lievi e formatori. la collaborazione tra i docenti delle varie aree, anche quando nonsi traduce in uno specifico progetto condiviso, consente processi di reciproca conta-minazione e apre ai ragazzi la possibilità di sperimentare che anche i saperi per loropiù teorici possono essere affrontati secondo un approccio operativo.
5.4. Far analizzare esperienze lavorativele storie di pratica lavorativa, raccolte attraverso interviste a testimoni o docu-mentate, ad esempio, attraverso delle videoriprese, possono essere una fonte impor-tante di apprendimento sia per chi le raccoglie sia per chi è sollecitato a raccontarle(cfr. sopra, il punto 3.4.3.). l’attività riportata nel brano seguente riguarda un labo-ratorio interdisciplinare e interclasse, collegato alla partecipazione ad un concorsosul risparmio energetico, coordinato da E. (intVr6), insegnante di chimica52 nel cFPdi Verona:abbiamo partecipato anche ad un concorso ecologico, sul risparmio energetico, e, dueanni fa, il settore elettro è arrivato secondo in questo concorso e ha vinto un premio. Ave-vamo [...] coinvolto tutte le classi, le prime, le seconde, e le terze. le terze avevano istal-lato dei sensori nelle classi, che permettevano l’accensione e lo spegnimento delle luci inbase alla presenza o all’assenza delle persone all’interno della classe, ottenendo così unrisparmio energetico […]; i ragazzi di prima [...], dopo le lezioni sulle forme di energia e
52 Anche qui, come in altri casi (cfr. la nota inserita al punto 2.6.1.), si è scelto di collocare la te-stimonianza di questo docente, che insegna chimica, in questo lavoro e non in quello dedicato allepratiche dei docenti di area matematica e scientifico-tecnologica (cfr. Tacconi, 2011).
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sul risparmio energetico, hanno realizzato dei cartelloni come spot pubblicitari; quelli diseconda hanno ripreso con la videocamera la preparazione degli impianti e dei cartellonie hanno intervistato i ragazzi di terza che montavano l’impianto; abbiamo prodotto unvideo e con il video abbiamo vinto il secondo posto al concorso (intVr6/30). [...] l’atti-vità principale era quella dell’istallazione di questi apparecchi (intVr6/32). il video, cu-rato da quelli di seconda, ha documentato il lavoro di quelli di prima, che facevano glispot pubblicitari per invitare al risparmio energetico, e di quelli di terza, che montavano isensori (intVr6/34); quelli di seconda, intervistando i professori di laboratorio e i lorocompagni, hanno anche fatto raccontare come funzionano questi sistemi di risparmioenergetico, per esempio il fatto che [...], se nei corridoi passa una persona, le luci si ac-cendono, e che, se non passa nessuno, rimangono spente; oppure hanno documentato ipannelli termici per produrre acqua calda e tutte forme di risparmio energetico che l’isti-tuto attua; i ragazzi, facevano tutto questo intervistando i professori e gli studenti(intVr6/36). nelle mie ore, facciamo tutto un lavoro sulle energie, su che cos’è il ri-sparmio energetico, sulle varie forme di energia; ai ragazzi di prima do queste informa-zioni, per cui i cartelloni che loro hanno elaborato, sono nati da queste lezioni. Mentrequelli di terza puntavano di più sulla parte tecnica [...], non entravano nel dettaglio del ri-sparmio energetico, ma entravano nel dettaglio tecnico di come avviene il montaggio.con quelli di seconda cercavamo, invece, insieme, di trovare le domande giuste, anchese, [...] ovviamente loro non avevano fatto una parte sulle energie, sul risparmio energe-tico; solo quelli di prima avevano approfondito questa parte. quindi, con quelli di se-conda, è stato più un lavoro per generare le domande insieme; con quelli di prima è statoinvece un lavoro un po’ più denso, nel senso sia sulle parti teoriche sia sulla parte grafica,in base alle loro idee; con quelli di terza era più un lavoro da laboratorio e di riflessionesul loro lavoro (intVr6/38).il complesso progetto narrato da E. (intVr6) prevede che un gruppo di ragazzi,quelli del secondo anno di corso, diventi sollecitatore di storie nei confronti deicompagni degli altri anni di corso e di alcuni insegnanti, storie che vengono ripresee montate in un video da presentare ad un concorso. nel caso dei compagni diprima, le storie raccolte sono relative all’attività di realizzazione di spot di una pub-blicità progresso che invita al risparmio energetico, nel caso dei compagni di terzae dei docenti di area pratica intervistati sempre dai ragazzi del secondo anno, lestorie riguardano a tutti gli effetti la “pratica professionale”. in particolare, le inter-viste dei ragazzi di seconda sollecitano, nei docenti e nei loro compagni, una messain parola di pratiche lavorative e procedure tecniche. in questo modo, narrando lapropria esperienza o sentendo narrare quella altrui, gli allievi sono stimolati a ritor-nare sull’esperienza stessa e ad attivare una meta-riflessione che consente loro diformalizzare il sapere in essa contenuto e di passare dal “saper fare” al “saperecome si fa”.
6. ASSegNARe COMPITI AuTeNTICI
A più riprese, nei testi dei nostri formatori, emerge l’esigenza di guidare ad im-parare facendo, realizzando qualcosa di concreto, utile, visibile, e anche dicibile,narrabile ed illustrabile ad altri. il contesto che può dare significato a questo impa-
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rare facendo è la consegna autentica. Sono senz’altro compiti autentici quelli pro-fessionali, legati all’indirizzo del cFP, che abbiamo visto sopra, ma nei testi deiformatori compaiono anche altri compiti autentici che, come quelli professionali,fanno perno su problemi che potrebbero essere incontrati nel mondo reale. Si trattaanche in questo caso di compiti che richiedono di ragionare su un problema, di col-laborare nella ricerca di soluzioni, di valutare possibili soluzioni alternative e dicreare un prodotto finito e tangibile, che comporti l’applicazione delle conoscenzeacquisite (cfr. lombardi, 2007). Affrontando compiti autentici, gli allievi dell’iFPtoccano con mano che i problemi hanno diverse dimensioni e che la vera interdisci-plinarità sta nell’unità del soggetto che, per affrontare il problema, è obbligato acollaborare con altri, attivare diversi punti di vista, istituire connessioni, costruirenuove conoscenze. nei paragrafi che seguono, vedremo alcuni esempi di compitiautentici53 che vengono nominati dai nostri formatori nelle interviste.
6.1. Compiti da giornalistai docenti dell’asse dei linguaggi e di quello storico-sociale ricorrono spesso acompiti autentici tratti dal mondo del giornalismo o aderiscono a progetti nazionalicome “il quotidiano in classe”. non si riscontra infatti in loro alcuna traccia di quelpregiudizio, abbastanza diffuso tra i docenti della scuola, nei confronti della linguadei giornali, che spesso orienta a contrapporre il giornale al libro (cfr. Serianni, Be-nedetti, 2009, p. 144). Vediamo alcuni esempi citati nei racconti raccolti in questaricerca.6.1.1. L’articolo di giornalenon sono pochi i formatori che danno la consegna di scrivere un articolo digiornale, magari dopo averne analizzati alcuni in classe come esempi di testo infor-mativo:sulla lettura dei quotidiani, c’è un’esperienza che viene da lontano […]: abbiamo parteci-pato con i nostri ragazzi dei terzi anni ad un concorso nazionale, […] comprando i giorna-li sia nazionali che locali, imparando a distinguere la prima pagina dalle altre pagine, a ca-pire come si legge un articolo, come si costruisce una pagina ecc. […] Abbiamo anchemandato gli elaborati al concorso nazionale; poi questa esperienza si è interrotta, ma è ri-masta, come dire, la metodologia, per cui io e [...] tanti altri miei colleghi lavoriamo mol-to portando in aula i quotidiani; io, per esempio, raccolgo in un mese una ventina di quo-tidiani diversi, perché compro giornali diversi ogni giorno, li porto in aula e i ragazzi cilavorano (intRoma2/36). Allora do una doppia consegna: la prima è legata alla strutturadella prima pagina; do le prime pagine dei maggiori quotidiani, consegno materialmenteil quotidiano (intRoma2/38) di giorni diversi, perché nello stesso giorno diventa compli-
53 Un elenco molto articolato di compiti ci viene offerto ad esempio da Bernie Dodge, nella suapresentazione del Webquest (Dodge, 1997; cfr. anche Tacconi, 2007c, pp. 41-61). qui però non mi ri-faccio ad alcuna classificazione predefinita di compiti e riporto solamente quelli che sono emersi dalracconto dei nostri insegnanti.
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cato comprare quindici giornali; raccolgo i quotidiani; siccome compro due quotidiani algiorno [...] di testate differenti, in un mese ho a disposizione diversi numeri del Corrieredella sera, della Stampa...; nell’aula porto questi quotidiani e li distribuisco; ogni ragazzone ha una copia […]; sulla prima pagina va ad individuare l’organizzazione e mi deve di-re: dov’è la testata, dov’è l’articolo di fondo, dov’è l’articolo di spalla, che cos’è l’oc-chiello... (intRoma2/40); do una griglia e naturalmente, prima di questo, faccio un inter-vento con alcune slide sul quotidiano: che cos’è, come è formata la prima pagina; poi doloro un quotidiano e loro devono andare ad individuare dove sono gli articoli, quali sonole pagine, quali sono le rubriche. questa è la prima fase. la seconda fase è come scrivere,come leggere, quindi la risposta alle cinque domande: chi, che cosa, dove, come e quan-do; come leggere un articolo: occhiello, titolo, sommario e le prime cinque domande, e lo-ro lo devono fare scegliendo un articolo e dicendo di chi si parla in quell’articolo, dove,come, quando ecc.; quindi loro fanno questo lavoro di analisi del giornale e lo riportanonel loro quaderno dei riassunti. l’ultima fase riguarda la… (intRoma2/42) scrittura di unarticolo; il compito che io do è: “Adesso scrivete un articolo. Scegliete se deve essere unarticolo di divertimento, un articolo di informazione, un articolo di spettacolo ecc. Sce-gliete voi, ma dovete scrivere un articolo [...] che riguardi il cFP, un articolo che riguardii vostri compagni”; può essere qualunque cosa, ma devono costruire un articolo, metten-doci la foto o un disegno o una vignetta, facendo l’occhiello ecc. in genere, lo fanno sulcampionato di calcio, su un artista, sul compagno, sulla scuola (intRoma2/44). Presentanoquesti articoli [...] e io li valuto; do una valutazione sia sul piano dei contenuti, sia sul pia-no della correttezza formale [...] (intRoma2/46). lo fanno sul loro quaderno dei riassunti,che, in maniera molto artigianale, è il loro portfolio (intRoma2/48);adesso stiamo concludendo [...] con l’articolo di cronaca: è importante il fatto che impa-rino non solo a scrivere in prima persona – cosa che fanno con la pagina di diario o conla lettera personale – ma [...] anche ad essere degli osservatori […] esterni di un fatto cheè accaduto; [...] in effetti, magari, loro iniziano a scrivere in terza persona, in modo im-personale, e poi passano alla prima persona [...] (intPd3/26); per esempio, per quanto ri-guarda l’articolo di giornale, come centro, abbiamo aderito al progetto “il quotidiano inclasse”, per cui, tre volte a settimana, riceviamo dieci copie di tre quotidiani nazionali,giusto perché vogliamo sensibilizzare i ragazzi alla lettura del quotidiano (intPd3/32).Per l’articolo di giornale, io sono partita con l’analizzare assieme ai ragazzi degli articolidi cronaca, magari locale, semplici […]; partendo dall’articolo di cronaca, faccio ricono-scere le cinque w: chi, che cosa, dove, quando, perché, cioè proprio i principi della ste-sura dell’articolo; faccio utilizzare i colori [...]; vedo che, quando viene fornito loro unmateriale diverso – che sia la fotocopia, che è diversa dal manuale, che sia il giornale,che è una cosa diversa dagli strumenti a cui sono abituati –, si attivano quelle aree che, avolte, sono un po’ addormentate. Poi cerco di sviluppare in loro un po’ una coscienza cri-tica, perché, quando parlo di quotidiano, allora tirano fuori [...] il Leggo, che è un gior-nale di strada; [...] non è per sminuire i giornali di strada, ma cerchiamo di vedere inmodo concreto quali sono le differenze, perché, non so, il Corriere della Sera lo trovi inedicola, lo paghi, e questo giornale mi viene distribuito ai semafori; cioè [...] qual è ladifferenza dal punto di vista del contenuto, da un punto di vista anche della correttezzadella forma […]; è bene anche che si abituino a una coscienza un po’ critica nei confrontidi ciò che viene offerto loro (intPd3/34). […] nell’ambito di una prova concreta, loro an-dranno a creare un giornalino [...], ognuno per conto proprio. la settimana scorsa hofatto la parte teorica: com’è organizzata la prima pagina di un giornale; ho portato il quo-tidiano; prima, alla lavagna, ho fatto il disegno della pagina. Allora [...], dov’è la “te-stata”, dov’è l’articolo di “fondo”, ecc. [...]; e dopo, dalla teoria – ho anche disegnato, of-frendo quindi un riferimento concreto – siamo passati al riconoscere che, in un quoti-
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diano nazionale, in effetti viene rispettata questa struttura; ho detto: “questo vi serve, ra-gazzi, per andare a costruire il vostro giornale, che sarà un foglio fronte retro... [...]”.“Però – ho detto – dovete pensare al nome da dare al vostro giornale”. Allora ci siamoconcentrati, d’accordo anche con le altre colleghe di italiano, su tre articoli che andrannoa scrivere: una pagina di diario che, proprio sfogliando il proprio diario scolastico, riper-corra l’anno che loro stanno per concludere: gli impegni che hanno avuto, le difficoltà in-contrate in alcune materie, ma anche i momenti di festa, di amicizia. Ad esempio, un ra-gazzo mi fa: “Ah, ma io sul diario ho solo dediche!”. “Eh beh, ti sembra poco? Ancheuna dedica scritta da un compagno è frutto di un momento che comunque vi ha legato!”.Allora una pagina di diario, con questo argomento, una lettera personale ad una professo-ressa o a un professore […] (intPd3/174) e un articolo di cronaca sulla “festa del grazie”,che abbiamo vissuto venerdì scorso (intPd3/170). l’abbiamo fatto proprio stamattina:“Scrivi un articolo di cronaca, che tenga conto della regola delle cinque W […]; ricordatidi scrivere in terza persona”, cosa che io dovrei dare per scontato perché, se la consegnami chiede di scrivere un articolo di cronaca, allora non devo parlare in prima persona; iol’ho scritto perché non sempre è una cosa automatica; poi loro queste tre tracce le scrive-ranno a mano su un foglio protocollo, io farò la correzione e darò anche il voto e poi loroandranno proprio a costruire il loro giornalino, lavorando durante le ore di applicazioniinformatiche, anche con le tabulazioni (intPd3/176);faccio guardare loro i giornali e il telegiornale. Mi riportano le notizie e poi riportano conle loro parole l’approfondimento che il telegiornale fa della notizia (intMe4/132); […]parto da tutte le fonti che loro hanno, perché così riesco a carpire i loro interessi(intMe4/136). Per esempio, leggono molto “leggo”, un giornale che viene distribuitogratuitamente e che prendono sul pullman. Si soffermano, naturalmente, sulle notizie digossip (intMe4/138) […]; dalle analisi che ho fatto, per esempio, quando stavo trattandole diverse tipologie testuali, è inutile che io parli di giornali tipo “il sole 24 ore”, “il cor-riere”, che spaventano solo per la dimensione delle pagine e lo spessore che hanno(intMe4/140). Allora [...] analizzo passo dopo passo tutto quello che loro offrono(intMe4/142), butto via tutto quello che non mi interessa e [...] mi concentro sul far fareun articolo di giornale. che articolo di giornale fanno? leggono la notizia di gossip, lanotizia di moto, la notizia di sport e su quelle lavorano [...] (intMe4/146).P. (intRoma2) organizza un percorso articolato in fasi, attraverso il quale ac-compagna i suoi allievi dall’analisi di prime pagine e di articoli di giornale, alla re-dazione di un articolo. Anche n. (intPd3) propone prima un lavoro di confronto e dianalisi (non solo formale, ma anche critica) di articoli o di differenti tipologie digiornale, per poi procedere con la consegna di scrivere un articolo o addirittura dicomporre la prima pagina di un vero e proprio piccolo giornale. S. (intMe4) nondisdegna i modelli radio-televisivi e i quotidiani gratuiti che si distribuiscono ai se-mafori, perché sono quelli più accessibili ai ragazzi. È a partire dalle notizie che licolpiscono maggiormente che S. chiede loro di misurarsi nella scrittura di un artico-lo. l’utilità di questo tipo di esercizio è sottolineata anche da luca Serianni:«…mette in gioco […] la capacità dell’alunno di individuare gli elementi più signi-ficativi di un episodio, organizzandone la salienza attraverso un’opportuna titolazio-ne, e lo abitua a superare l’autobiografismo effusivo e disordinato di tanti temi in-cardinati sulle proprie emozioni di adolescente; è un’ottima occasione, inoltre, perfar capire che cosa voglia dire “punto di vista”» (Serianni, Benedetti, 2009, p. 144).
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6.1.2. La prima pagina di un giornale del passatoF. (FGita2/86-100) propone ai suoi allievi la variante della realizzazione dellaprima pagina di un giornale del passato, come lavoro preliminare ad un percorso distoria sul fascismo:per quanto riguarda storia, per esempio, [...] su tutto il periodo del fascismo, ho fatto ri-costruire a loro un giornale del tempo; ho recuperato delle prime pagine su tutto il pe-riodo fascista, dalla fine della prima guerra mondiale [...] all’inizio della seconda; [...] eappunto [...] ho fatto costruire in due o tre lezioni, [...] la prima pagina di un giornale diquel tempo; avevano parecchie fotocopie delle prime pagine di un paio di testate, LaStampa e il Corriere della Sera; [...] ho trovato delle pubblicazioni molto grandi che poiho fotocopiato direttamente in A3, e loro hanno fatto tutto un lavoro di ricerca, di ritagliodei pezzi che interessavano di più [...], senza conoscere nel dettaglio l’argomento sto-rico – era un lavoro preliminare –; hanno fatto un po’ di lavoro di analisi, di taglia e in-colla e di sottolineatura e quindi hanno realizzato le prime pagine […] con frontespizio,due o tre articoli principali di cui hanno fatto i riassunti [...]; sottolineando ed eviden-ziando, hanno tirato fuori un riassunto su cui sono stati interrogati (FGita2/86) […]; il la-voro era individuale [...] ma era svolto con una [...] configurazione dei banchi, dellaclasse, non frontale; c’erano tre sotto-gruppi, di sette o otto [...] che lavoravano così,fianco a fianco (FGita2/96); nelle verifiche io metto sempre un paio di domande finali dicarattere [...] personale, di interpretazione: “che cosa ti ha colpito di questa cosa...”, ec’era anche: “come mai hai scelto questi articoli?” (FGita2/100).A partire da documenti del tempo, il docente fa selezionare delle notizie ecomporre la prima pagina di un giornale del ventennio fascista. qui la consegna discrittura si limita al riassunto. Seguendo una modalità analoga, si potrebbe proporreanche l’“intervista impossibile” o immaginaria a qualche personaggio storico delpassato (cfr. Serianni, Benedetti, 2009, p. 144).6.1.3. Piccole recensioni per la pagina culturaleAll’interno di una strategia più ampia, volta a stimolare il piacere della lettura,M. (intVr7) propone la redazione di una piccola recensione ai libri letti:durante le vacanze estive, do loro da leggere qualcosa, con un minimo di sintesi [...]; il com-pito è quello di scrivere una piccola recensione.All’inizio davo solo libri su temi di attualità,i libri di Gino Strada, per esempio (intVr7/32), Pappagalli verdi e Buskashì; questo servivaanche [...] per conoscere l’attività di Emergency [...] e per finanziare un poco l’organizza-zione; […] ho visto che funziona, però, ad un certo punto, ho pensato di allargare un pochinoil ventaglio dei libri aggiungendo [...] (intVr7/34) qualcosa di lucarelli [...]. Hanno diffi-coltà a superare le cento pagine [...]; se gli presenti un testo con più di cento pagine, ti dico-no: “non starà mica scherzando?”, e io: “cavoli, ragazzi, come è possibile? Uno li legge indue sere!”; c’è chi si è appassionato alla lettura e questa è una grossa soddisfazione per me;poi mi sono venuti a chiedere altri titoli […] e questa è una bella cosa; alcuni mi dicono: “Sache non avevo letto mai un libro fino in fondo?”, e io dico: “noo?”. [...] Ho visto che questacosa funziona, insomma, perché poi leggono un po’ di più, imparano meglio l’esposizionescritta e si appassionano un minimo, sviluppano un po’di gusto della lettura (intVr7/36).il compito di stendere una recensione, soprattutto se successivo all’analisi digiornali che recensiscono libri (ad esempio, l’inserto settimanale de La Stampa,
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“Tuttolibri”), può trasformare la scrittura di un commento al libro letto in un com-pito autentico. nel caso di M., anche per la scelta oculata dei libri da proporre, lacosa sembra funzionare.6.1.4. La rassegna stampa o la rassegna tematicaUn ultimo compito legato al mondo dei giornali e delle riviste è quello di farcompilare delle vere e proprie rassegne stampa tematiche. È l’esperienza narrata daMG. (intPd2) nel brano seguente:in seconda [...] lavoro molto sulla stampa; ad esempio, un anno, al corso per segretarie,ho fatto fare proprio la rassegna stampa; [...] era un’attività che mi sono imposta [...] daottobre fino a maggio; [...] ho dato tre argomenti, ad esempio (intPd2/118), legati alla po-litica, e loro, ogni settimana, in un’ora prestabilita, dedicata a questa attività, dovevanoacquistare il giornale, portarlo a scuola, magari a coppie, uno ogni due – giornali anchedi diverso tipo: facevo acquistare il Corriere, la Repubblica e, a volte, [...] il Sole 24ore – [...], raccogliere [...] tutti gli articoli inerenti a quell’argomento e fare una rassegnastampa; quindi dovevano individuare, anche solo da una lettura globale, dal titolo, dal ca-novaccio, alcune informazioni e vedere se l’articolo poteva servire loro; dopo di che, fa-cevano la raccolta e la rassegna stampa degli eventi relativi ai tre argomenti che avevoloro assegnato. È stata dura, anche per me, non solo per loro, ritagliare e incollare, peròalla fine hanno fatto un buon lavoro (intPd2/120). la gestione è un po’ difficile, ancheperché durante la lezione hai caos, non hai una classe ferma ai banchi, buoni, seduti, tuche parli e loro che “non” ascoltano; hai una classe con ragazzi in piedi, ragazzi con ibanchi attaccati, con questo giornale in mezzo, però io preferisco così (intPd2/122);quindi lavorano loro, non sono io che “butto dentro”, ma sono loro che acquisisconostrumenti [...] (intPd2/124)54. […] Mi sento orgogliosa [...] della rassegna stampa(intPd2/200). ci ho investito parecchio tempo ed energia, però è andata bene(intPd2/202); ho avuto dei buoni risultati, soprattutto perché [...] per me un obiettivoforte è che i ragazzi arrivino a capire il giornale, a leggere, ad appassionarsi alla lettura eal fatto di essere informati, di conoscere quello che succede attorno a loro. Dico che èstata dura, perché per i ragazzi alcuni argomenti sono ostici e non ne vogliono proprio sa-pere, anche perché non sempre hanno le conoscenze per capire. Sentirmi dire da una ra-gazza: “Ah, ma allora, sì..”, cioè fare un collegamento “Ma questa cosa è successaperché…, allora…” è stato un successo, proprio perché ha fatto lei questo collegamentomentale tra le sue conoscenze e quelle che aveva acquisito in diritto: “Ah, ma allora, seal Parlamento fanno così, perché nel Parlamento ci sono…”, ha collegato una cono-scenza con la comprensione della realtà, [...] per cui per me è stato veramente [...] il se-gnale del raggiungimento dell’obiettivo al quale miravo; con qualcuno ce la faccio, conaltri mi limito a che riescano a capire lo strumento che gli do in mano, quelle poche in-formazioni che gli servono per arrangiarsi nella vita (intPd2/204).il compito richiede di analizzare con regolarità gli articoli di alcuni quotidianie di selezionare quelli attinenti al tema oggetto di analisi. l’atmosfera è quella delcaos o del disordine generativo – la stessa che si creerebbe in un’officina o in uncantiere polveroso – con i ragazzi che leggono, raccolgono, si muovono, ritagliano,
54 il brano che segue è collegato a quello precedente perché affronta lo stesso argomento, la ras-segna stampa. il brano intermedio, che tratta di una tecnica un po’ diversa, viene riportato sotto.
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incollano, scrivono. il fatto che alcuni arrivino ad operare dei collegamenti in modoautonomo è considerato dall’insegnante indicatore dell’efficacia del lavoro pro-posto.È sempre MR. che, in altre occasioni, propone anche compiti maggiormentesfidanti, come la costruzione di una rassegna di articoli specialistici su temi profes-sionali. questo aiuta gli allievi a cogliere le differenze tra giornali e riviste divulga-tive e riviste specialistiche di settore:[...] qualche volta porto un articolo [...] che possa essere vicino a quello che interessaloro (intPd2/134); ad esempio, se siamo in terza, ad interessi di tipo professionale, [...]un articolo sul packaging, oppure sulla pubblicità; ecco ad esempio [...] ho lavoratomolto bene con il mio collega che fa marketing, perché lì hanno un approccio molto teo-rico al marketing: che cos’è, il discorso della mission [...], le strategie e le politiche dimarketing all’interno delle aziende. ovviamente io, in italiano, do loro degli articoli diriviste specializzate – mi rendo conto che a volte possono essere molto difficili, ma infondo poi, nel lavoro, quelle sono le cose che possono trovare, anche per la loro forma-zione –; [...] da internet scarico degli articoli specifici proprio su quell’argomento e lileggo con loro; do ovviamente a loro anche la fotocopia della documentazione e [...] in-dico loro [...] quali sono le informazioni principali; poi do una traccia, [...] per stendere larelazione sull’articolo; all’inizio dico: “Dovete trattare questo, questo, questo punto”(intPd2/136); dico: “l’autore [...] dà una definizione di packaging” (intPd2/140). Allorail primo punto sarà: che cos’è il packaging; allora io dico: “Prima dovete citare l’articolo,il titolo e la fonte, [...] e il nome dell’autore, e quindi iniziate la vostra relazione scri-vendo: l’articolo tratto da…”. A volte do anche delle formule di apertura [...]: “articoloscritto da..., pubblicato sulla rivista...”; fornisco [...] io stessa anche degli incipit, [...] l’i-nizio di una frase che poi loro devono continuare. questo a volte sta un po’ stretto a chimagari scrive già un pochino meglio, però, per i ragazzi che non sanno scrivere, è fonda-mentale dargli un po’ di spinta. Dopo di che dico: “Primo punto, definizione di packa-ging”, supponendo che ci sia quella, io sto un po’ andando a memoria (intPd2/142); poi,non so, “[...] le funzioni del packaging, secondo punto; terzo: tipologie di materiali...”(intPd2/144), il tutto legato all’argomento dell’articolo [...] (intPd2/150).il percorso prevede un supporto destinato a venire gradualmente meno, con lacrescita dell’autonomia dei soggetti. la prima fase consiste nella raccolta della do-cumentazione rilevante e qui il contributo della docente è consistente. l’analisidegli articoli, tratti da riviste o siti specialistici, può essere un compito sfidante. Delresto è con questo genere di letteratura che gli allievi saranno in futuro confrontati.la seconda fase prevede, per ciascun articolo, la stesura di una breve relazione chene illustri i contenuti essenziali. Particolare attenzione viene dedicata alla citazionecorretta delle fonti e alla struttura del report.
6.2. Compiti di simulazioneUn’altra tipologia di compiti autentici è quella dei compiti di simulazione.Anche questi sono già comparsi in altre parti del volume (cfr. il punto 3.1.3 e ilpunto 5.2.). Si tratta di fornire agli allievi delle situazioni o scenari e dei ruoli, al-l’interno dei quali essi possano improvvisare dialoghi o azioni su cui poter poi ri-
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flettere. qui di seguito presenterò alcuni racconti che forniscono eloquenti esempli-ficazioni di questa strategia.6.2.1. Simulazioni di vendita, televendita o colloquio telefonicoD. (intPd5), che insegna tecniche di comunicazione a Padova, orienta allo svi-luppo di competenze nell’area dei linguaggi55 proponendo ai suoi allievi diverse si-mulazioni:in vetrinistica e in un altro modulo che si chiama visual merchandising […] (intPd5/8), iragazzi fanno, per esempio, tecniche di comunicazione e vendita […] e studiano propriola parte teorica, allora: l’esposizione di un determinato prodotto, in un certo modo, conun certo colore, in una determinata posizione. con riferimento all’area dei linguaggi, siva a sviluppare proprio la loro capacità di comunicazione con il cliente. la prima espe-rienza che fanno è la fase di accoglienza, per cui una sorta di presentazione, non solo dite come commesso, ma anche del tuo negozio, di quello che hai […] come prodotti(intPd5/12). lavoro molto proponendo loro delle situazioni [...]; per esempio, in classefacciamo diverse simulazioni di vendita: loro sono i commessi o i clienti, e quindi, nonso, devono imparare a gestire il saluto e la fase iniziale, che è quella relativa alle infor-mazioni. […] Altri tipi di simulazione si fanno quando il nostro prodotto, per esempio,deve essere presentato ad un pubblico più ampio; lì c’è la difficoltà da parte loro di par-lare per tre minuti di un oggetto da presentare, lì senti che i ragazzi magari faticano adesprimersi in italiano (intPd5/14). È come se fosse una televendita […] e tu devi esserecosì convincente da presentare tutto il ventaglio che puoi di informazioni caratteristichedel prodotto. E poi, va beh, c’è la classica comunicazione telefonica, perché loro devonoimparare anche a gestire delle informazioni, a dare e ricevere delle informazioni per tele-fono. Per cui, andiamo a vedere le caratteristiche della comunicazione telefonica, ma so-prattutto la loro capacità di essere coincisi, perché magari hai un cliente in negozio chechiede, per esempio, la tua presenza. Adesso stiamo facendo un lavoro interessante conl’insegnante di italiano […], per cui i rilievi che io di solito faccio, quando rileggiamol’esperienza che fanno, sono legati proprio agli aspetti tecnici, mentre l’insegnante di ita-liano guarda, non so, gli errori che magari fanno nell’esprimersi, le contraddizioni [...];magari capita che uno abbia presentato benissimo il suo prodotto, però si sia espresso indialetto […]. Una parte interessante è quella che facciamo con gli stranieri, che magaripossiedono benissimo la lingua inglese – cosa che non capita con i ragazzi italiani – mafaticano, ovviamente, con la lingua italiana. lì c’è proprio tutto un altro approccio [...](intPd5/16): […] fanno una parte di simulazione con l’insegnante di inglese, [...]: simu-lano situazioni in cui presentano un determinato prodotto, oppure convincono un clientead acquistare (intPd5/20). [...] Tantissime volte [...] costruisci un’Uda per insegnare ai ra-gazzi la risoluzione di un problema, di una questione concreta... (intPd5/38); [...] l’ultimache stiamo [...] completando è sulla gestione della comunicazione telefonica; [...] è statasuddivisa in tre parti […]: la prima comportava di esplicitare, di far conoscere ai ragazzile caratteristiche della comunicazione telefonica, per cui proprio la parte teorica, moltosemplice, se vuoi, del tipo che la telefonata ha un tot. di fasi da rispettare; la secondaparte presentava alcune cose anche molto tecniche ma semplici, come ad esempio non la-sciare molti messaggi in segreteria, perché poi non riesci a gestirli, avere sempre un bloc-chetto su cui segnare l’appuntamento che ti viene richiesto ecc. la terza parte, quella chestiamo completando adesso, è una simulazione con l’insegnante di italiano; è quella in
55 Si intuisce il tentativo di organizzare il curricolo per competenze e non per discipline.
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cui loro dovranno gestire una vendita al telefono [...], in cui proporre [...] un determinatoprodotto. E lì ho visto che i ragazzi si sono messi veramente in gioco; il fatto proprio disimulare una telefonata, con tanto di telefono, per loro rimane concreto, e forse le Udache riescono meglio sono proprio quelle dove ci sono queste esperienze concrete che loropossono... vivere (intPd5/40).nell’ambito del percorso in “tecniche di comunicazione e vendita”, gli allievidel cFP di Padova hanno la possibilità di esercitare e sviluppare competenze nellagestione della comunicazione con il cliente. Gli apprendimenti linguistici sono ca-lati nel contesto autentico dell’esercizio commerciale. le situazioni che la docentefa simulare riguardano innanzitutto il rapporto tra commesso e cliente, in cui sitratta di imparare a salutare e a fornire informazioni. Un secondo contesto è quellodella televendita e dunque di una comunicazione ad un pubblico più ampio. il terzocontesto di simulazione è la comunicazione telefonica, che ha caratteristiche speci-fiche e richiede specifiche attenzioni. Anche qui decisiva è la cooperazione tra i do-centi delle varie aree, in particolare quella di tecniche di comunicazione e quella diitaliano, ma anche la docente di inglese, che può valorizzare le competenze degliallievi stranieri che, se hanno difficoltà con la lingua italiana, spesso padroneggianol’inglese meglio dei compagni italiani. Ad ogni esperienza di simulazione segueuna fase riflessiva di rilettura dell’esperienza. l’enfasi dei formatori è posta suiprocessi comunicativi, sulle procedure di una comunicazione efficace, ma il con-testo che si crea fa sperimentare agli allievi anche un altro tipo di comunicazione,quella che nasce dal fare delle cose insieme.6.2.2. Conversazioni simulate tra compagni di viaggioG. (FGita1/93-95), formatore a Palermo101, fa simulare delle situazioni di con-versazione a coppie, in occasione di incontri casuali, sul treno, sull’autobus o anchesulla panchina di un parco:[...] faccio molte fotocopie; ogni mese, a turno, i ragazzi devono comprare delle riviste –[...] sono sette anni che insegno e sono sette anni che sono abbonato a otto riviste:“Focus”, “newton”..., perché poi io devo avere un riscontro prima che il ragazzo affrontiil tema [...], per non essere preso (FGita1/93) alla sprovvista – [...]. Siccome hanno moltadifficoltà nell’esprimersi, sono timidi, non riescono a comunicare, allora io faccio sce-gliere e, ogni due settimane, facciamo il gruppo di cultura [...]: ci mettiamo in cerchio e ilragazzo deve spiegare un passo della rivista che più lo ha colpito [...], poi li metto incoppia e dico: “Siete su un treno, per esempio; [...] volete parlare, comunicare con il vo-stro vicino; siccome si parla sempre di convenevoli, con chi si incontra, del calciatore diturno, delle notizie di cui si è a conoscenza, parlate delle notizie che avete appreso dallarivista Focus” – molti ragazzi preferiscono “Focus”, perché ci sono le figure, le imma-gini, ma anche perché costa delle altre […] –; insomma, li faccio incontrare su un treno,
56 Una nota che offre qualche indizio sulla particolarità del contesto, è contenuta nell’osserva-zione del docente, nel brano che segue, riguardo all’invito che egli fa di chiamare “colleghi” i com-pagni di classe.
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su un autobus, sulla panchina [...] e discutere: “Sai, ho visto ieri al telegiornale che leparticelle...”. imparano quasi a memoria l’articolo; non è che lo capiscono sempre perfet-tamente, […] però mi accorgo che si sforzano di usare un linguaggio tecnico e non lousano da sprovveduti, lo usano con naturalezza, con proprietà [...]. Durante l’arco del-l’anno, leggono dieci, quindici articoli; poi faccio fare una relazione finale su tutti gli ar-ticoli che hanno letto. E quest’anno ho avuto una gioia dentro, perché tutti i ragazzi dellaterza elettro B hanno avuto una media dell’otto o del nove, come voto finale. non potevofare diversamente: sono riusciti a ricordarsi tutti gli articoli che avevano comunicato ailoro colleghi di classe – [...] non li chiamo mai “compagni di classe” ma “colleghi”; [...]ho detto: “Voi lavorate insieme, quindi siete dei colleghi”; e loro: “ma noi nun semmusbirri, non semmu.., professù, lei ci..., mi patri è contrariu, non vuole, mi ha rimprove-rato!” –; ogni ragazzo è riuscito in media a ricordarsi otto, nove articoli [...] perché è mo-tivato [...] (FGita1/95).l’oggetto delle conversazioni a coppie sono le informazioni ricavate dalla let-tura di alcuni articoli di riviste di divulgazione scientifica. il docente sollecita aprocurarsi a turno i numeri di alcune riviste da cui sia possibile scegliere qualchearticolo. la consegna è semplice: “immagina di essere sul treno… e di voler con-versare con chi ti siede accanto…”. Tanto basta per stimolare prove di conversa-zione che aiutino a vincere la ritrosia a parlare.6.2.3. Giochi di ruolo e altre simulazioniTra i compiti di simulazione, possiamo collocare anche i role playing, attra-verso cui i docenti assegnano agli allievi dei ruoli da svolgere in situazioni ipote-tiche, sperimentando un particolare coinvolgimento:ho sperimentato il role playing. nel gioco di ruolo, con situazioni che possono essere sti-molanti per i ragazzi, vedo che c’è molto interesse da parte dei ragazzi a lavorare incoppia; sono motivati, hanno il desiderio di lavorare con questa consegna. [...] (ci sono,ad esempio) ruoli assegnati in una situazione in cui uno è il capo-stazione e l’altro inveceè il viaggiatore che chiede informazioni (intVr5/95). lo posso fare soprattutto quandosono state acquisite determinate conoscenze, perché altrimenti risulta difficile [...]; dodelle role cards, in cui ciascuno ha un proprio ruolo; ad esempio, può essere un discorso[...] di offerta /richiesta [...]. Allora, immaginiamo che ci sia l’annuncio pubblicitario diun tipo che vuole vendere una Rolls-Royce Silver shadow, un modello prestigioso, e cheha lasciato i propri dati, il proprio numero di telefono. Allora, un ruolo che viene asse-gnato è quello di sottolineare le caratteristiche della macchina, di non scendere sotto uncerto prezzo, altrimenti non fai l’affare. l’altro naturalmente tira dalla sua parte e cercadi trovare un accordo; questo caso è abbastanza impegnativo e richiede determinate co-noscenze però la stessa tecnica potrebbe essere [...] riferita ad un altro contesto: l’invito acena; c’è il datore di lavoro che vuole invitare a cena il dipendente; il dipendente sa chel’invito a cena è solo per parlare di lavoro, e non ci vuole andare, deve trovare dellescuse per non andare; ecco allora che il ragazzo deve usare delle funzioni comunicative,cioè deve usare l’espressione per [...] essere cortese, però, nello stesso tempo, rifiutarel’invito. questo ingenera tutta una serie di stimoli, di situazioni in cui lo studente deveattingere a quelle che [...] sono state, si spera, le conoscenze maturate […] (intVr5/99);(una volta letta) [...] li invito a girare la loro role card, a non leggere, perché, se vanno aleggere, è chiaro che l’esercizio non serve a niente; possono prendersi degli appunti, dareun’occhiatina ogni tanto, se proprio non ricordano. Un altro esempio simpatico è do you
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believe in Flying Saurces?, “credi ai dischi volanti?”. Allora, c’è una situazione immagi-naria: una audience, un pubblico che viene intervistato da un intervistatore televisivo,che chiede loro di raccontare delle esperienze; parlando dei marziani, c’è chi dice “nonci credo assolutamente!”, chi invece dice che parlano un eccellente inglese e che ognitanto fanno una capatina la mattina per fare colazione, cose di questo genere; [...] sonosituazioni simpatiche che stimolano. ognuno riceve questa role card, poi si prepara il suointervento; [...] la tecnica richiede però un minimo di preparazione, richiede un’ora emezza di fase preparatoria (intVr5/107);per far capire meglio le tre figure che si sono sviluppate nell’economia, cioè l’imprendi-tore, il banchiere e il mercante, ho diviso la classe in tre gruppetti: c’erano gli imprendi-tori, i banchieri e i mercanti; gli imprenditori dovevano stilare un progetto di ciò che ser-viva, secondo loro, per [...] costruire una casa, poi dovevano andare dal mercante e farsifare un preventivo, per vedere cosa avrebbero potuto comprare, e di conseguenza passaredal banchiere a cercare di farsi dare un prestito, un finanziamento. questo era il pas-saggio successivo. Prima ogni singolo gruppo doveva decidere; i mercanti: “Allora noipossiamo vendergli questo, questo e quest’altro”; i banchieri decidevano che prestito e inquanti anni doveva essere restituito, cioè delle ipotesi così. Alla fine, quando abbiamomesso tutto in comune, è uscito che i banchieri erano stati buonissimi, perché prestavanouna marea di soldi a interessi quasi zero, i mercanti invece avevano messo troppe pochecose nell’elenco, quindi, ragionando su quello che è uscito dal lavoro di simulazione, [...]hanno capito meglio queste tre figure e si sono resi conto di ciò che vuol dire questo dis-corso (FGita2/26).E. (intVr5), insegnante di inglese, propone di simulare situazioni quotidiane(la richiesta di informazioni, il rifiuto di un invito a cena ecc.) oppure situazioniparticolari e specifiche (il colloquio tra un compratore e un venditore, il dialogotra i partecipanti ad una trasmissione televisiva sugli alieni ecc.). il docente fa la-vorare i ragazzi generalmente in coppia, ma accenna anche a giochi di ruolo piùcomplessi. A ciascuno dà una carta (role card) che contiene una descrizione detta-gliata del ruolo da assumere e della situazione in cui “giocarlo”. Dopo un tempoadeguato, dedicato alla preparazione, inizia la “recita” degli attori, mentre gli altriallievi fanno da osservatori/valutatori. Una simulazione è anche quella proposta daK. (FGita2/26) per far comprendere agli allievi il senso di tre figure chiave dellascena economica: l’imprenditore, il banchiere, il mercante. importante risulta l’ar-ticolazione a gruppi, il tempo concesso a ciascun gruppo per decidere come proce-dere, la condivisione e la riflessione finale, che aiuta a comprendere le dinamichein gioco.
6.3. Compiti di persuasionenelle interviste, i docenti nominano altri compiti, che potremmo definire “dipersuasione”. Alcuni, come il processo, rappresentano una variante delle simula-zioni. Tutti sono focalizzati sulla creazione di situazioni in cui un singolo o ungruppo deve persuadere qualcun altro della correttezza delle proprie posizioni odelle proprie convinzioni. in tutti questi casi, decisive sono le abilità argomenta-tive.
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6.3.1. La discussione sui pro e i controAlcuni docenti, stimolano le abilità argomentative, mettendo gli allievi nellacondizione di discutere gli argomenti a favore e quelli contrari di un tema. Vediamodue esempi nei racconti che seguono:una volta ho utilizzato la tecnica delle due fazioni contrapposte [...] (FGita2/48), i pro e icontro, e, ad un certo punto ho dovuto interrompere, perché [...] si erano arroccati a talpunto che (ho detto): “Ragazzi, ok, fermiamoci qua!” (FGita2/50), nel senso che si alza-vano, erano molto presi (FGita2/52). Allora, l’argomento era l’usanza di togliere i fermial motorino; [...] c’era qualcuno che diceva: “Bisogna toglierli, perché, se no, le salitenon riesci a farle!”; altri dicevano: “no, non bisogna toglierli!”; gli incerti li ho fatti an-dare con quelli del no; poi qualcuno ha anche cambiato idea [...] (FGita2/56). in unprimo momento loro si consultavano e costruivano argomentazioni (FGita2/58) [...], poiil rappresentante dei sì diceva perché sì, il rappresentante dei no diceva perché no e poi siavviava il dibattito. ovvio che, fin quando uno parlava, gli altri cercavano di parlarglisopra, di bloccarlo, per cui intervenivo io: “no, lascialo parlare” (FGita2/60); io ero unmoderatore tra i due. Alla fine c’è chi ha cambiato settore, nel senso che dal “no, non bi-sogna toglierli”, passava al “Sì, bisogna toglierli, se no su per le salite di San zeno comeci vado?” […]; si sono molto coinvolti. l’avevo fatto anche in etica: hanno preso la posi-zione che avevo assegnato loro, hanno abbandonato la loro, sono entrati nel gioco ehanno preso la posizione assegnata (FGita2/62); in genere, sono proprio coinvolti. Unavolta ho chiesto ad un ragazzo di alzarsi in piedi e parlare a favore dell’immigrazione initalia; lui ovviamente aveva idee completamente contrarie; questo si è alzato, mi ha guar-dato e mi fa: “Ma proprio a me queste robe?”; si è seduto, proprio ha rinunciato, non ciha neanche provato (FGita2/64);la parte che abbiamo fatto sul testo argomentativo si intersecava con vari argomenti(intMi1/90); dovendo ragionare per esempio sulla pena di morte, sui pro e i contro, suimotivi favorevoli e sui motivi contrari, in lingua italiana, abbiamo fatto […] i fondamentiteorici del testo argomentativo, facendo vedere un po’ la tesi, le idee di supporto, le ideecontrarie, come si costruisce un testo, come si arriva alla conclusione, dando esempi epoi facendo lavorare loro su alcune tematiche, dando un argomento controverso e poi di-cendo: “Adesso sviluppa tu i pro e i contro”, oppure “contraddici questa opinione, ve-diamo che cosa sai dire”, perché poi questo lavoro si intersecava con quello di diritto [...](intMi1/92).A partire da situazioni controverse, K. (FGita2/48-64) suddivide la classe indue gruppi e propone agli allievi di assumere una posizione, che non sempre coin-cide con la propria (in questo la tecnica è simile alle simulazioni che abbiamo vistosopra). Una volta definite le posizioni, la docente invita a concedersi dei tempi peruna consultazione di gruppo, volta a raccogliere gli argomenti più efficaci da affi-dare ai portavoce del gruppo. la docente monitora la situazione e interviene,quando necessario, per garantire a tutti la parola. Un altro dispositivo a cui la nostraformatrice ricorre è far cambiare posizione, ad un certo punto del gioco: allora,quelli del sì cominciano a sostenere gli argomenti del no e viceversa. non semprequesto cambio riesce, soprattutto quando le posizioni che ai ragazzi è richiesto disostenere non coincidono con le loro. quando la discussione diventa pura contrap-posizione di opposti arroccamenti e l’argomentazione langue, K. interrompe il
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gioco. Tutto diventa poi oggetto di riflessione e discussione finale. Anche A.(intMi1), dopo aver introdotto alcune indicazioni su come costruire testi argomen-tativi, assegna temi controversi e la consegna di generare, rispetto ad essi, argo-mentazioni (con tanto di tesi, idee a supporto, idee contrarie ecc.) e contro-argo-mentazioni, supportate da esempi.6.3.2. Il processoAnche c. (FGita4/5), che lavora in un cFP siciliano, utilizza una tecnica ana-loga a quella del pro e contro. A partire da un fatto di cronaca, suggerisce ai suoi al-lievi di imbastire un vero e proprio processo:con i ragazzi del terzo anno, in etica del lavoro, l’obiettivo era capire che a delle mieazioni corrispondevano delle conseguenze, in altre parole il concetto di responsabilità dellavoratore. Ho portato un caso pratico di diritto del lavoro che era uscito su un giornale,cioè il licenziamento di un lavoratore comunale perché non era produttivo al lavoro eaveva un doppio lavoro e ho fatto applicare la tecnica del processo: li ho divisi in duegruppi; loro dovevano presentare le ragioni dell’uno e dell’altro, dopo aver letto il caso;[…] è stato un modo che ha permesso loro di partecipare e di confrontarsi e, anche inquesto caso, loro sono stati abituati a dover prima mediare tra di loro su come presentarela tesi a favore o contro e a confrontarsi su una situazione concreta e reale; è stata moltoefficace, tanto è vero che mi hanno chiesto “Professoressa, perché non lo rifacciamo?”(FGita4/5).Anche qui, abbiamo l’articolazione della classe in due gruppi, il tempo con-cesso per l’analisi del caso e la raccolta degli argomenti a favore o contro, la rifles-sione finale. la tecnica del processo viene qui utilizzata su un caso di attualità, mapotrebbe essere utilizzata anche su eventi del passato (pensiamo ai processi a per-sonaggi storici: Gesù, napoleone ecc.).6.3.3. Il messaggio pubblicitarioAbbiamo già visto sopra (3.5.6.) il ricorso all’accostamento tra messaggio pub-blicitario e poesia. qui vediamo alcune esperienze in cui il percorso di apprendi-mento viene orientato alla creazione di un messaggio pubblicitario come compitoautentico:quest’anno, con un primo anno, quando facciamo “comunicazione”, abbiamo studiato imessaggi semplici, abbiamo cercato di distinguere messaggi semplici e messaggi com-plessi e abbiamo cercato di analizzare il linguaggio pubblicitario. [...] Dopo avere spiega-to a grandi linee come un messaggio pubblicitario può essere creato, mi è venuta l’idea didividere in gruppi i ragazzi [...] e di far creare loro un cartellone, un prodotto, uno slogane comunque tutto ciò che poteva essere corredato al messaggio pubblicitario. la cosa cheesigevo dai gruppi era che, all’interno del gruppo, fossero divisi i ruoli: chi disegnava, chipensava al messaggio insieme ad altri, chi era il responsabile. [...] nella valutazione fina-le del cartellone e quindi del prodotto, c’era non solo la valutazione sul prodotto, sul mes-saggio pubblicitario proposto, ma anche sul lavoro di gruppo effettuato. cioè, se all’inter-no del gruppo tre persone lavoravano e altre tre no, questo veniva valutato negativamentee quindi il gruppo ne risentiva, perché il voto finale sarebbe stato dato al gruppo. quindi,se prendevano 7, il 7 era poi di ciascun membro del gruppo […] e, se c’erano persone che
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lavoravano meno, queste penalizzavano il gruppo; stava al capogruppo motivare tutti af-finché non ci fossero defezioni o penalità, perché naturalmente io giravo continuamentetra i gruppi [...]. Allora, c’erano questi gruppi che lavoravano con i banchi uniti, per avereil cartellone più o meno disteso; passando tra i gruppi io controllavo se i compiti assegna-ti dal capogruppo venivano poi recepiti. c’era il rischio [...] (FGita1/47) [...] che il capo-gruppo potesse prendersi libertà eccessive sugli altri; questo veniva sempre mediato dame; alla fine, se non si raggiungevano delle soluzioni, decidevo io (FGita1/49). [...] c’e-rano due valutazioni diverse: quella tecnica, sul compito – qui, per esempio, facevo inter-venire anche altri colleghi; ad esempio, il collega di disegno tecnico interveniva, perchévalutavo anche la pulizia del lavoro, se avevano utilizzato bene o male la china o la mati-ta; potevano scegliere qualunque tipo di materiale avessero in mente, anche il collage, tut-to ciò che ritenevano opportuno, però poi io facevo intervenire anche altri colleghi, perrendere la cosa, dico io, “teatrale”, nel senso che, se invito altri colleghi a venire, e valu-tiamo davanti alla classe, il gruppo stesso veniva caricato di responsabilità, di aspettativerispetto a quella cosa –. quindi c’era una valutazione tecnica, sul lavoro: pulizia, contenu-ti e come venivano espressi i contenuti ecc., che naturalmente era [...] un modo per verifi-care che i contenuti dell’Uda sul messaggio pubblicitario fossero stati appresi. Dall’altraparte, c’era anche una valutazione del gruppo; […] quando alla fine comunicavo i voti, licomunicavo separati, cioè [...]: “...dal punto di vista tecnico, questo cartellone funziona...,non funziona... ecc.”; poi guardavo il gruppo: “Tu hai lavorato. Tu che compito avevi?” –perché ogni gruppo doveva darmi la scaletta dei compiti: c’era chi doveva occuparsi deldisegno, chi di portare l’attrezzatura, chi di pensare al messaggio pubblicitario, [...] in-somma, tutti avevano dei compiti –; in base a quello, poi, io avevo preso appunti duranteil lavoro, quindi sapevo e dicevo: “Avete lavorato..., come avete lavorato?”; alla fine uni-vo queste due valutazioni e ne usciva fuori una valutazione finale, che era quella del grup-po. Ho notato che questo, fatto più volte nel corso dell’anno, per altri argomenti, cambian-do i capigruppo (FGita1/55), i ruoli, cambiando i gruppi, mescolando tutti – [...] alcuni al-lievi, che magari erano più timidi o non riuscivano ad imporsi per certe cose, all’internodella classe, me li trovavo attivi come capigruppo o attivi come disegnatori –, tutto questosconvolgeva un po’ positivamente (FGita1/57);per esempio, per comunicazione ho utilizzato pure le riviste, soprattutto per il linguaggiodella pubblicità; li ho fatti lavorare a casa, a cercare gli slogan pubblicitari, che colpi-scono il lettore o l’ipotetico cliente (intPd3/36): loro devono riconoscere il messaggio,quindi [...], se la pubblicità è la pubblicità [...], ipotizziamo, di un orologio da uomo, al-lora: “chi sono i destinatari? Sono [...] uomini di tutte le età? Sono ragazzi? Sono magariuomini in carriera? chi sono?”; un altro elemento da individuare è il messaggio cheviene dato, lo slogan, se si usano parole in inglese, rime, assonanze; [...] i colori che ven-gono utilizzati... cerco proprio di fare in modo che una cosa che magari loro danno perscontata, perché la vedono ogni giorno alla televisione o sui giornali, [...] la possano leg-gere anche come in effetti è, ad esempio una pubblicità che utilizza un dato colore e dateparole, perché deve in primo luogo colpire (intPd3/38) ...la mia mente, per fare in modoche io mi convinca ad acquistare quel prodotto (intPd3/40); [...] Di solito [...], per questaattività, faccio proprio mostrare i loro lavori ad uno ad uno, perché poi sono sempremolto contenti di vedere la diversità: “Anch’io ho ritagliato questo...” (intPd3/42). […]loro ritagliavano la pubblicità, la incollavano sul quaderno e a fianco scrivevano: il de-stinatario della pubblicità [...], il prodotto reclamizzato, lo slogan ecc., e poi in classe sifaceva la condivisione (intPd3/58). […] Poi, finalmente, […] si sono cimentati ancheloro nell’inventare una pubblicità (intPd3/68) [...] dato che la pubblicità è una cosa moltopiù concreta delle regole di grammatica, una cosa che... (intPd3/70) trovano anche diver-tente (intPd3/72). […] Posso intuire perché viene usato un colore invece di un altro, al-
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lora cerco di far loro riflettere anche su questo elemento, che può essere scontato, ma chein realtà non lo è (intPd3/74). Se ho una pagina tutta nera, in cui si vede solo la luce delbrillante di un anello, dico: “Perché?”. “Ah, non ci avevo mai pensato!”. Ecco, allora, èimportante anche abituarli anche a questo. (intPd3/76). Anziché [...] segnalare un ele-mento sbagliato, si tratta di cercare che arrivino loro anche a capire, non so, se hanno in-terpretato male una cosa invece di un’altra (intPd3/78).A. (FGita1/47-49) costruisce un percorso di lavoro di gruppo orientato allacreazione di un messaggio pubblicitario. Abbiamo visto sopra che i formatori ricor-rono spesso al lavoro di gruppo (cfr. punto 2.6.). A., nel caso raccontato, risultaparticolarmente attento alla sua strutturazione: cura la disposizione dei banchi inmodo da creare ampie superfici di lavoro; chiede ai singoli gruppi di distribuirsi iruoli al proprio interno (il responsabile del prodotto pubblicitario, il creativo, il di-segnatore ecc.); monitora costantemente il lavoro, intervenendo quando i membridel gruppo si bloccano e non riescono a prendere delle decisioni; introduce una va-lutazione di gruppo, per sollecitare un’assunzione collettiva di responsabilità; arti-cola i criteri di valutazione (valutazione tecnica sul prodotto e valutazione sullaqualità del processo); fa intervenire altri colleghi nella valutazione dei prodotti. quici interessa sottolineare la centratura del percorso sulla realizzazione di un prodottoautentico. Anche n. (intPd3) ritiene che, attraverso l’analisi e la realizzazione dimessaggi pubblicitari, sia possibile stimolare apprendimenti linguistici significa-tivi. l’analisi del messaggio consente innanzitutto di sviluppare un’attenzione cheva oltre la superficie delle cose e orienta a decifrare i vari elementi della linguadella pubblicità. il senso del lavoro è anche di rendere gli allievi più critici nei con-fronti di ciò che viene propinato loro e che viene coperto da una coltre di irriflessi-vità. i lavori di analisi del messaggio pubblicitario vengono raccolti da ciascun al-lievo e condivisi con i compagni. A questo punto, è possibile avventurarsi nell’im-presa di inventare un messaggio pubblicitario.
6.4. Compiti di ricercaUna specifica strategia, più volte nominata dai nostri docenti, è quella del co-involgimento degli allievi in piccoli percorsi di ricerca. Abbiamo già visto il fre-quente ricorso ad una didattica della ricerca, magari nell’ambito di più complessestrategie (ad esempio, le ricerche di gruppo, al punto 2.6.1., o le ricerche per la rea-lizzazione di un libro come compito autentico, al punto 5.3.1.). qui analizziamo ul-teriori esempi che si riferiscono a come questa modalità di lavoro può trasformarsiin compito autentico: si tratta di far vivere agli allievi, seppur ad un livello basilare,l’esperienza di essere ricercatori. Gli allievi, partecipando a piccoli percorsi di ri-cerca, sperimentano infatti qualcosa del lavoro “intellettuale”, almeno nel sensoche sviluppano il desiderio di conoscere:ho diversi ragazzi che provengono da tante zone del mondo; del loro paese di origine nonsanno nulla. Hanno i tratti somatici del loro paese d’origine [...]. credo che abbiano cosìbisogno di, tra virgolette, “imparare almeno due parole della matrice culturale da dove
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provengono”. Faccio fare puntualmente svariate ricerche di geografia. Ho trovato che, inuna semplice riproduzione delle bandiere, […] di un’immagine, c’è uno stimolo [...](intMe4/20) per le altre persone, per gli altri alunni; c’è un immagine che invoglia. [...]Ho assegnato alcune ricerche su paesi del centro Asia a persone che non sanno neppuredove siano collocati, se esistano, quale ne sia la bandiera, il perché di una mezza luna, ilperché di una stella, il perché del colore verde [...]. Tutto è nato da una mia imposizioneche poi ha liberato qualcosa in loro e secondo me qui ritorna il concetto dello studentecome “intellettuale”; in qualsiasi ambito, in qualsiasi branchia (intMe4/22) del sapere,c’è sempre questa voglia di sapere; secondo me è importante che un insegnante riesca ainstillare questa voglia (intMe4/24). [...] Ho fatto loro ricercare che cosa sia la demo-crazia, togliendo internet, scartabellando l’antica enciclopedia e trascrivendo quella cheper loro è la definizione di democrazia; allora tanti mi hanno portato l’enciclopedia, tantiil vocabolario, e così ho invogliato la discussione, portando un esempio di realtà, di fattoquotidiano (intMe4/154). Ritengo che internet sia uno strumento stupendo, però, quandoè lo studente che diventa strumento, internet non funziona più (intMe4/158). questo suc-cede quando loro prendono, scaricano senza neppure leggere quello che vedono. Di con-seguenza, non c’è nessuna operazione, diciamo, “scolastica”; c’è semplicemente il merouso del mouse, e basta; allora è chiaro che qui non ha senso neppure entrare nella discus-sione, seppure accennata, seppure con tutti i limiti, di che cosa sia la democrazia [...](intMe4/162). Si tratta di fornire supporti che non inducano alla faciloneria (intMe4/166);con fonti cartacee ho maggiori garanzie che abbiano un confronto diretto con le fonti;anche nelle ricerche che io faccio in geografia, lascio che loro guardino Wikipedia o cosedel genere, però ci sono le cose che non sono in grado di capire, se non hanno una mi-nima lettura, se non fanno una minima trascrizione. Scaricano venti pagine: ecco qua laricerca. Ma questo non ha alcun valore. Ecco, con l’impegno della trascrizione a mano,c’è l’obbligo di leggere… (intMe4/170);una [...] esperienza che volevo raccontarvi è quella della ricerca, perché è molto bella[...]; all’inizio davo delle ricerche e, come dire, dicevo: “Vi metto il voto sui contenuti,sulla forma, sulle immagini; se la fate su internet, se la fate così...”. Ad un certo punto,ho pensato: “Ma perché devo decidere tutto io?”. “Allora, facciamo una cosa ragazzi:dobbiamo fare un prodotto!”, perché una ricerca può diventare un sito multimediale,come abbiamo fatto alla fine dell’anno. “ok, abbiamo da fare – l’ho messa giù in modoun po’ “brutale” –, [...] una ricerca di storia sull’antica Roma. che volemo fa? come lavolemo fa?”. “E famo così, famo così, me interesserebbe…” – ve la racconto in manieramolto stretta – al che: “Ma io vi devo mettere il voto. Su che cosa ve lo metto il voto?”(FGita2/267). “Devo darvi una valutazione. quali sono, secondo voi, i parametri su cuiposso valutarvi?” (FGita2/269). [...] Una cosa molto bella è che insieme abbiamo [...]scelto i parametri e abbiamo dato un peso ai singoli parametri [...] (FGita2/273). È statoun contratto [...], ho fatto un contratto con loro; ci siamo messi d’accordo e questa è unacosa molto importante (FGita2/275); [...] c’è quest’argomento, “Vogliamo fare una ri-cerca? che ne pensate?” – generalmente le ricerche piacciono, anche perché danno piùautonomia, più libertà, più creatività ecc. –; l’importante è fissare dei paletti, dei punti incomune; [...] ho concordato con loro il tempo di consegna, che ha avuto il 20% della va-lutazione finale: è tanto! […] Però è una cosa subito applicabile al mondo del lavoro,dove i ritardi nella consegna sono un problema; [...] poi si scatena una discussione incre-dibile: “Ehi, professò, se quel giorno sto male?”, “E quello che non la porta quel giorno?come facciamo?”. “ok, facciamo il regolamento delle ricerche!”; [...] devo dire [...] chei ragazzi, per certi aspetti, sono più “cattivi” degli insegnanti (FGita2/277), …più esi-genti, veramente duri [...] E la cosa molto interessante è che è venuto tutto da loro; [...]poi chiaramente c’è anche una scrittura, un altro tipo di scrittura, un altro tipo di testo,
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[...] magari un po’ più normativo, un po’ funzionale, pragmatico ecc.; poi c’è un saperscrivere e sapere leggere un regolamento; [...] c’è una cascata di confronti che non fi-nisce più; abbiamo messo dei parametri, dei voti ecc. e con i ragazzi abbiamo poi appli-cato tutto questo (FGita2/279); [...] se uno consegnava il giorno successivo alla data sta-bilita, il voto scendeva [...] di tre punti [...]. Poi [...], su ogni lavoro che fanno, c’è sempreuna relazione […] perché per me è molto importante il fatto della riflessione [...] su comeio ho ragionato e ho scritto [...] (FGita2/285).nell’esperienza di S. (intMe4), l’avvio del processo è segnato da una certa di-rettività. lo stimolo viene inizialmente proposto dal docente, ma è tale da accen-dere negli allievi interesse e desiderio di conoscere. i temi di ricerca possono essereofferti dalle diverse provenienze dei ragazzi (come nel caso delle ricerche di geo-grafia sui paesi di origine) o essere proposti dal docente (come nel caso della ri-cerca sulla democrazia). Abbiamo visto sopra che talvolta i temi delle ricerche pos-sono esulare dal campo disciplinare specifico e riguardare ambiti legati all’indi-rizzo professionale scelto. Del resto, le competenze linguistiche sono trasversali ein ogni ambito servono a dar voce al “capire”. Una particolare attenzione viene ri-volta all’uso di risorse pescate in internet57. Pur non impedendone l’utilizzo, il no-stro formatore orienta i propri allievi ad avvicinare anche risorse di tipo cartaceo.R. (FG2/267-285) discute con i propri allievi i criteri di valutazione della ricercastessa e i termini di consegna del lavoro. questo consente di allenare un atteggia-mento che sarà estremamente importante anche in qualsiasi contesto lavorativo. ladiscussione e il confronto sul metodo e sui tempi porta alla stesura di una sorta di“regolamento delle ricerche”, inteso come linee guida per lo svolgimento di questogenere di lavori. infine, R. dedica attenzione alla riflessione sul processo che dàvoce alle operazioni mentali compiute. Anche questo fa parte di un percorso di ap-prendimento attraverso la ricerca (learning through inquiry).
7. vALuTARe PeR AIuTARe A CReSCeRe
la valutazione, nell’azione didattica dei formatori intervistati, assume preva-lentemente una valenza formativa (Scriven, 1967), non si identifica quasi mai conmomenti puntuali, separati dal processo formativo e si configura essa stessa comeuna forma di intervento che aiuta a crescere e ad apprendere sempre meglio. Perquesto i nostri formatori privilegiano forme dialogiche e riconoscenti di valuta-zione, capaci di valorizzare le mete raggiunte e di indicare suggerimenti per mi-gliorare. l’azione valutativa è spesso intrecciata con la consegna di realizzare pro-
57 Abbiamo già visto sopra attenzioni di questo genere da parte dei formatori. cfr., ad esempio, leattenzioni di MG. (intPd2) per evitare che le ricerche in preparazione delle visite guidate si limitinoad essere la sterile raccolta di conoscenze “googlate” (cfr. punto 3.4.1.), oppure le domande che E.(intVr6) fornisce ai suoi allievi per rendere proficua la ricerca in rete e su altre risorse (cfr. punto2.6.1.).
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dotti autentici come quelli che abbiamo visto sopra (cfr. punti 5.3. e 6.). in partico-lare, la valutazione nell’area dei linguaggi cerca di mettere i soggetti nelle condi-zioni di dire e di illustrare ciò essi che sanno fare, a partire da una valorizzazione diquesto “saper fare” concreto. nei racconti che abbiamo visto le azioni valutativedel docente o le attività di autovalutazione da parte degli allievi erano inseparabilidalle attività di insegnamento/apprendimento centrate sulla realizzazione di pro-dotti. Riportando i racconti relativi a quelle attività pertanto abbiamo già nominatoanche le azioni valutative. qui di seguito cercheremo di mettere a fuoco ulterioriattenzioni a cui i nostri docenti ricorrono in ordine alla valutazione, in particolare:il continuo monitoraggio; la gestione di prove strutturate; l’offerta di opportunità direcupero; l’attivazione di forme di autovalutazione o di valutazione tra pari; la re-stituzione delle prove corrette, in particolare dei temi; le cosiddette “prove auten-tiche”; l’uso del portfolio; il ricorso a forme di triangolazione.
7.1. Monitorare continuamenteUna valutazione che intenda essere formativa non può essere circoscritta ad al-cuni puntuali momenti, ma va resa un’azione di osservazione continua, che for-nisce informazioni sia sulla qualità dell’apprendimento degli allievi che sull’effi-cacia dell’azione dei docenti e che non necessariamente è legata all’attribuzione diun voto. Una delle modalità che alcuni formatori utilizzano per monitorare conti-nuamente l’andamento del percorso formativo è il controllo dei compiti assegnatiper casa. come abbiamo visto, non tutti i formatori assegnano compiti per casa,anche in relazione alla lunga permanenza degli allievi al cFP, ma quando questoavviene, come nel cFP di Mestre, il controllo assume una rilevanza importante, chesi carica sempre anche di valenze emotive e relazionali (cfr. il punto 2.1.3.b.):dedico cinque o dieci minuti al controllo dei compiti per casa; per me non è una perditadi tempo; passo da ognuno, banco per banco, e controllo, verifico che siano stati svolti icompiti per casa e come sono stati svolti. non sto lì a leggere tutto, nel senso che facciosoltanto una verifica visiva (intMe7/47); segno con una sigla chi ha fatto e chi non hafatto i compiti, firmo e controllo che li abbiano svolti almeno in maniera ordinata; dicosempre loro: “Dovete scrivere la data, l’argomento: ‘letteratura d’evasione’, visto chestiamo parlando di questo, perché dobbiamo imparare ad essere ordinati” (intMe7/49).controllo, mi segno le persone che non hanno svolto i compiti e poi correggo gli esercizie quindi chiamo e chiedo: “c’è qualcuno che vuole correggere?”. Adesso i ragazzini diprima incominciano a venire fuori da soli: “Voglio correggere io”, “no, voglio io...”(intMe7/51). Prima dovevo chiamarli io (intMe7/55). qualche volta si correggono a vi-cenda, nel senso che dicono: “io ho risposto così…”, “no, tu hai sbagliato!”. Dico loroche devono parlare sempre per alzata di mano (intMe7/57);l’ora di lezione è iniziata con la correzione, sul quaderno di ogni singolo allievo, pas-sando tra i banchi, delle risposte alle domande assegnate come compito per casa, facendonotare errori o lacune e rispondendo ad eventuali dubbi. È seguita un’interrogazione “diconsolidamento”: gli allievi, dal proprio posto, rispondono a più o meno brevi domandesul testo in questione. con queste “interrogazioni” miro a far emergere quelli che pos-sono essere i nodi problematici e le difficoltà di espressione di concetti, ma anche le co-
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noscenze ormai acquisite. l’interrogazione, così, diventa non solo uno strumento di valu-tazione, ma un ulteriore e diverso momento di “gestione” del materiale da apprendere(intMe1/540).E. (intMe7) controlla innanzitutto che i compiti siano stati svolti ordinata-mente anche per l’esigenza, che abbiamo già notato sopra, di dare un po’ di strut-tura ad allievi poco familiarizzati con un contesto formativo formale. Al controllodei compiti segue una fase di correzione dialogata che già introduce nella nuova le-zione. Anche per D. (intMe1), l’avvio della lezione è legato al controllo dei compitie ad una veloce “interrogazione” che consenta di monitorare l’andamento e la pre-senza di eventuali difficoltà di comprensione e che, nello stesso tempo, rappresentigià una significativa attività di apprendimento. G. (FGita3/46-50), che è formatorea Palermo, monitora come vediamo nel brano che segue, l’andamento del percorsoattraverso un cruciverba che elabora proprio allo scopo di verificare l’acquisizionedi specifiche conoscenze, alla fine di ogni modulo:utilizzo i cruciverba per fare le verifiche. Ad ogni fine modulo, creo un cruciverba contutti i nomi di Storia, di comunicazione, di persone, in modo che i ragazzi lo debbano ri-solvere; è un gioco che poi diventa anche una verifica e funziona. lo creo io(FGita3/46); […] do loro il cruciverba con le verticali e le orizzontali, con tutte le do-mande, e i ragazzi devono riempirlo nell’arco di un’ora e mezza (FGita3/50).in questo modo, la verifica assume anche una valenza ludica, che general-mente facilita il coinvolgimento degli allievi e riduce l’ansia di inciampare nell’er-rore.
7.2. gestire efficacemente le prove strutturateAnche rispetto alle prove strutturate, i cosiddetti “compiti in classe”, i nostridocenti mettono in atto tutta una serie di attenzioni specifiche che le rendono mo-menti in cui i soggetti possono dare il meglio di sé. Vediamo ad esempio come D.(intMe1) descrive questo momento:l’ultima fase [...] è la verifica, che è concreta e non burocratica; non è pro forma e mettein gioco anche il docente (intMe1/322); è concreta, nel senso, per esempio, che la veri-fica è un momento delicato – per il docente magari no, perché per il docente è come ti-rare una boccata di ossigeno quando ha il fiato corto –; per esempio, l’approccio alla ve-rifica è per alcuni difficile perché cresce l’ansia da prestazione (intMe1/326); parlo delcompito in classe (intMe1/332), della verifica in classe alla fine di un’unità [...] – dob-biamo stare attenti all’unità e loro sanno che ci sono certe tappe –. intanto mi rendoconto che devono sapere di che tipo di verifica si tratta; [...] devono sapere a cosa vannoincontro, quindi c’è quella fase iniziale sulle verifiche per capire che magari tu punti susette nuclei [...], per avere un’idea di come usare i 35 minuti netti che hai a disposi-zione – perché poi un’ora è di 50 minuti –; anche lì, dobbiamo stare attenti ai tempi,perché devi dare il tempo per lavorare (intMe1/334); ora che dai le istruzioni per la veri-fica, che sistemi i banchi ecc., il tempo passa (intMe1/336). in 35 minuti ci sono settenuclei; le domande sono più o meno strutturate; puoi lavorare cinque minuti per ciascunnucleo (intMe1/340). Per esempio, loro si rendono conto di che tempi hanno – anche
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questo è importante –; allora, dopo la consegna di queste domande, dettate o, a secondadei tempi, fotocopiate, con banchi divisi, durante la verifica, io non faccio altro; questo èmolto importante, perché passo per i banchi (intMe1/342), senza invadere troppo, perchépoi mi rendo conto che a me dava molto fastidio, quando facevo le verifiche, avere unovicino (intMe1/346); crea imbarazzo, soprattutto a livello di sensibilità, e ci sono sensibi-lità diverse (intMe1/348). Se alzano la mano, mi avvicino io piuttosto che far venire loroalla cattedra; mi affianco, però non faccio altro, perché è un segno di attenzione per laverifica e anche per quello che sanno; è vero che così possono copiare molto meno, peròsicuramente è anche un segno di rispetto per un lavoro che stanno facendo loro; questesono tutte cose che non vengono dette, ma che si trasmettono (intMe1/350). Durantequell’ora, non correggo i compiti; quello mi impegna dopo; è vero potrei farlo, perchépoi se hai tot classi, calcoli i tempi e dici: “Accidenti!” (intMe1/354), però cosa ti richie-dono loro? questo tipo di ragazzi, secondo me, richiede un’attenzione diretta(intMe1/356). io non sono lì solo come un cane da guardia – all’inizio ti vedono così! –,ma sono lì anche per spronarli (intMe1/360); [...] a seconda degli argomenti, poi, [...] sol-lecito in maniera diversificata: a volte le domande sono aperte [...] e richiedono quindi uncerto tipo di impegno, a volte sono veri e propri test; [...] cerco di non abituarli troppo aitest, perché i test, con questo tipo di target, rischiano di diventare un automatismo all’in-segna del “tanto c’imbrocco” (intMe1/372) [...]; mi piace sollecitarli [...] valorizzandoproprio il fatto che loro ci pensino (intMe1/376) criticamente: magari spiegano due cose,ma sono due cose loro (intMe1/378). […] l’ultima ora dell’unità è stata dedicata alla ve-rifica scritta delle conoscenze, con domande aperte sugli aspetti presi in esame durante levarie fasi del lavoro e già trattati attraverso schemi e domande. in questa fase, mi im-pegno affinché ognuno utilizzi solo le proprie capacità e non ricorra a facili “scorcia-toie” – copiature, bigliettini… –: cerco, cioè, di interessarmi a quanto stanno facendo gliallievi, alla loro verifica – non si tratta solo di controllo! –, non dedicandomi ad altre at-tività (intMe1/540).D. (intMe1) sottolinea l’importanza di curare le modalità di gestione dellaprova scritta a conclusione di un’unità, con attenzione anche alle implicazioni dicarattere psicologico, e nomina alcune strategie per ridurre l’ansia degli allievi: co-municare in anticipo i nuclei tematici su cui verterà la verifica e i criteri di valuta-zione; tener conto dei tempi reali a disposizione; spiegare bene le modalità di svol-gimento; diversificare le tipologie di domande; assistere durante lo svolgimento,avvicinandosi ai singoli, e dimostrare interesse e attenzione per il lavoro che stannosvolgendo (non come un “cane da guardia”, ma come uno che è disponibile ad of-frire sostegno e supporto ogni volta che ne ravvisi la necessità).
7.3. Offrire occasioni di recuperola valutazione non ha senso in sé, ma nella misura in cui aiuta l’allievo a com-prendere i propri errori e ad individuare percorsi di miglioramento. P. (intRoma2)ci racconta un esempio di come fa per valorizzare la possibilità che i ragazzi arri-vino ad un recupero delle conoscenze:[...] hanno degli errori costanti, che sono le “e” senza accento, le “a” senza acca, unafrase senza soggetto o le frasi troppo lunghe. quindi i miei motivi ricorrenti sono: verboessere e verbo avere; frasi brevi; soggetto, verbo e complemento; insisto sostanzialmentecon una didattica molto semplice, fino a portarli, come dire, ad un minimo di correttezza
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della frase. nelle schede di valutazione – perché ad ogni Uda, quando finisce, noi fac-ciamo la verifica – noi utilizziamo come criterio di valutazione un punteggio relativo aicontenuti e un punteggio relativo alla correttezza della frase. quindi, se ci sono sei errori,quattro errori con il verbo essere, due con il verbo avere ecc., loro perdono, ad esempio,due punti [...] rispetto al totale del punteggio. quindi, in qualche maniera, già questo di-venta uno (intRoma2/20) stimolo. Poi gli errori li evidenzio, ma non li correggo [...] (in-tRoma2/22), restituisco loro il lavoro fatto, con gli errori evidenziati; ad esempio, se c’èuna “e” senza accento, quella “e” è cerchiata; se c’è una frase senza senso, quella frase èsottolineata; ma io non correggo; devono fare loro la correzione sullo stesso foglio e re-stituirla; naturalmente do un voto di recupero; se [...] ad esempio hanno preso quattro ehanno fatto una buona […] (intRoma2/24) correzione, [...] metto sei per la correzione, equindi viene fuori una media del cinque; quindi sostanzialmente il ragazzo vede premiatoil tentativo di recupero e questo in qualche maniera funziona, nel senso che i ragazzi ap-prezzano [...] (intRoma2/26), tengono al recupero; passare dal quattro al cinque o addirit-tura al sei, per loro, è importante, e recuperano in genere anche sul piano dei contenuti[…]; con il recupero, insomma, l’esperienza diventa positiva (intRoma2/28).il primo elemento è, come abbiamo visto in altri casi, l’esplicitazione dei cri-teri di valutazione, in modo da rendere gli allievi il più possibile consapevoli deglielementi che verranno valutati e delle aspettative del docente. Un ulteriore disposi-tivo è, nel caso di P., l’evidenziazione dell’errore, senza l’aggiunta della forma cor-retta. la correzione si trasforma allora in seconda opportunità o compito di recu-pero, che viene a sua volta valutato.
7.4. Stimolare l’autovalutazione e la valutazione tra parila valutazione non è solo un’azione dei docenti, ma anche una dimensione cheè opportuno far maturare negli allievi (cfr. Plessi, 2004). Alcuni dei docenti intervi-stati cercano di educare a valutarsi, innanzitutto, come abbiamo visto, sforzandosidi utilizzare modalità coerenti e trasparenti di condurre la valutazione. Gli allieviimparano così a valutarsi attraverso il modo stesso che i docenti usano per valutare.Si tratta poi di stimolare negli allievi forme di vera e propria autovalutazione, av-viando processi di meta-riflessione sui contenuti e sui percorsi che aiutino a diven-tare maggiormente consapevoli di ciò che si impara e dei metodi che facilitanol’apprendimento. l’esperienza di D. (intMe1), ad esempio, suggerisce che anche iragazzi del cFP possono arrivare all’esercizio di queste forme di pensiero:qualcuno dice che a questi ragazzi non si possono dare spazi di autovalutazione perchésono incapaci; invece bisogna abituarli proprio a questo (intMe1/198). Sono ragazzi [...]che, magari dopo due anni, dopo tre anni, fanno valutazioni [...] pertinenti; sanno peresempio dirmi quali saranno le domande sui topici di un certo tipo di testo. E pensare chesono ragazzi che arrivano dalle medie segnati come incapaci di lavorare sul testo! Eppure[...] rispondono alla domanda: “Voi adesso mi dite le domande che io darò…”(intMe1/200). Anche questa è autovalutazione, nel senso che loro, in questo modo, dimo-strano di saper individuare le questioni importanti (intMe1/202).la consegna di individuare le domande che verranno proposte per il compitorichiede diverse azioni cognitive che hanno a che fare con l’autovalutazione, innan-
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zitutto la ricostruzione cognitiva del percorso, ma poi anche la selezione dei nucleimaggiormente rilevanti affrontati. È soprattutto il dialogo con il docente poi checonsente di imparare a valutare e valutarsi (cfr. Plessi, 2004).nell’esperienza di alcuni docenti, l’autovalutazione si combina con forme dieterovalutazione tra pari, come vediamo nei brani che seguono:[...] il momento della valutazione è importante [...]; in classe faccio fare l’autovaluta-zione [...] a chi viene, per esempio, interrogato, nella lezione, tra virgolette, “canonica”,ma anche la valutazione da parte degli altri allievi. noi abbiamo quattro [...] voci: il pro-fitto, l’impegno, il comportamento e la socializzazione; cerco di non fare toccare agli al-lievi il comportamento e la socializzazione, perché il loro giudizio potrebbe essere ancheun po’ legato alla simpatia nei confronti del compagno, mentre sul profitto e sull’im-pegno possono intervenire più appropriatamente. Ho costatato che [...], all’inizio, hannoun po’ di difficoltà, però, nel tempo, dopo l’interrogazione, i ragazzi non solo danno ilvoto [...], ma anche la spiegazione di quel voto e, devo essere sincera, [...] a me questoaiuta moltissimo. […] innanzitutto conoscono il compagno meglio di me, in quanto in-sieme ci stanno sei ore al giorno, mentre io sto con la classe tre ore a settimana, e quindivedono anche le sfumature […]. È difficile per me scoprire ogni singolo allievo a trecen-tosessanta gradi; in questo un po’ mi aiutano gli allievi, un po’ mi aiutano i responsabilidel corso. l’autovalutazione […] i ragazzi la prendono con responsabilità [...]; io dicoloro: “Voi siete come dei piccoli professori, adesso siete voi che valutate e non io”, lorosi sentono protagonisti e, nel momento della valutazione, la classe non fa nemmenoquella solita discriminazione che si fa ad esempio con il compagno simpatico o conquello non simpatico (FGita1/63);[...] a volte, per dire, faccio [...] scrivere alla lavagna le frasi e faccio trovare a loro gli er-rori dei loro compagni, e lì sono attentissimi, proprio non sfugge niente (FGita2/20). Adesempio [...] mi portano i compiti, o scrivo io la frase alla lavagna, non dicendo di chi è,oppure la faccio scrivere alla lavagna direttamente da chi ha fatto il compito; dal posto,gli altri devono trovare gli errori e lì allora [...] si mettono in gioco, nel senso che trovanogli errori; a volte io, per metterli alla prova, li imbroglio un po’, nel senso che dico: “Masiete sicuri che questo sia giusto?”, allora: “Sì, sì, è giusto, prof”, “Perché è giusto o sba-gliato?”, allora, nel momento in cui arrivano a spiegarmi il perché, vuol dire che l’argo-mento è stato recepito è stato appreso (FGita2/22).A. (FGita1/63), che opera in un cFP umbro, oltre che sollecitare il singolo al-lievo a darsi una valutazione, al termine di una verifica, trova utile stimolare l’e-spressione di un giudizio motivato anche da parte degli altri compagni, almeno sualcune dimensioni della prestazione. K. (FGita2/20-22), che insegna inglese in uncFP veneto, coinvolge la classe nella correzione di alcune frasi tratte dai compitiprecedentemente assegnati e stimola l’identificazione della forma corretta dellafrase.
7.5. gestire accuratamente la restituzione delle prove corretteUna fase particolarmente delicata della valutazione è la restituzione, spesso in-dividuale, delle prove con le opportune correzioni. Se tempestivo e ben curato,questo momento diventa esso stesso parte del percorso di apprendimento. Si trattadi fornire agli allievi dei riscontri puntuali, delicati e rispettosi, che li aiutino a rico-
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noscere ciò che funziona nel loro lavoro, vedendolo riconosciuto dal docente, e, seè il caso, aprano la possibilità di fare in modo diverso:(della verifica) vediamo assieme i risultati raggiunti: “Forse qui potresti migliorare…”. iragazzi scoprono così degli spazi in libertà in ambito disciplinare, perché la libertà delnon fare è per loro una libertà molto semplice (intMe1/70), mentre la libertà del fare inmaniera diversa è quella che mi interessa! (intMe1/72). E lì viene scoperta in alcuni casiinaspettatamente; ci sono ragazzi che scoprono che fare in maniera diversa è molto piùutile, ragazzi che magari non hanno mai sentito parlare di schemi (intMe1/76). […] Unavolta corrette, in un incontro seguente, le verifiche vengono “riconsegnate” agli allieviper essere riprese in esame con il mio aiuto, passando per i banchi, con l’attenzione a nonfar sentire nessuno in imbarazzo per il voto ricevuto e avendo cura di non fare confrontio classifiche: l’obiettivo è la ricerca della causa degli eventuali errori commessi e la va-lorizzazione del lavoro personale (intMe1/540).il senso dell’atto valutativo – sembra dire D. (intMe1) – è aprire spazi di li-bertà. quando i ragazzi, attraverso l’affiancamento (quel “passare tra i banchi” cheè anche un inclinarsi su ciascuno) e il commento dell’insegnante, scoprono che farein modo diverso si può e magari è anche utile e fruttuoso, vedono aumentare glispazi dell’azione possibile e dunque diventano più liberi. il docente presta atten-zione a come il ragazzo si sente, a come può vivere un eventuale voto negativo.questo lo porta ad evitare di enfatizzare il confronto interindividuale o le classi-fiche dei voti (che magari i ragazzi tra loro fanno ma che perdono il potere di sco-raggiare, se l’insegnante per primo non dà loro valore) e a puntare invece l’accentosulla valorizzazione di ciò che si è riusciti a raggiungere, in termini di risultato, esull’analisi di eventuali errori, che sono sempre preziose fonti di apprendimento. inquesti modi il nostro formatore educa i propri allievi al senso stesso del valutare.
7.6. Curare in particolare la correzione dei temicome abbiamo visto sopra, sono molto varie le occasioni e le tipologie discrittura che i nostri formatori propongono ai propri allievi. non ci sono solo lescritture “utili”, funzionali alla pratica lavorativa. Resistono i tradizionali temi,come occasioni per esercitare forme di espressione argomentata e personale. Anzi,proprio il tema rimane anche nei cFP la prova scritta di italiano per eccellenza. lacorrezione del tema è allora un momento particolarmente delicato, sia sul versantedella lingua sia su quello del contenuto sia, più in generale, su quello della rela-zione.7.6.1. Definire i criteri di valutazionenel brano che segue, D. (intVr2) racconta il suo modo di correggere i temi,fase a cui la nostra docente attribuisce particolare importanza:alle volte può capitare […] che uno studente mi dica: “Ma lei, prof, corregge il tema inbase alle sue idee o in base alle idee che trova scritte? Se lei è contraria all’aborto e noiaffermiamo che...”; affrontiamo anche [...] le grandi questioni etiche, introducendole unattimo; [...] sono contenta che loro mi pongano la domanda e dico: “io ho le mie idee” e
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le manifesto, anche in maniera molto chiara, perché secondo me l’insegnante deve schie-rarsi su questioni etiche; anche da un punto di vista didattico, questo è importante percreare una capacità critica. Se un insegnante dà l’impressione di non interessarsi di nulla,anche la classe, bene o male, si lascerà andare; invece, di fronte a un insegnante che èpronto [...] ad affrontare la discussione, vedo che anche i ragazzi sono stimolati al dibat-tito. Allora io rispondo alla domanda dicendo che [...], quando considero l’aspetto conte-nutistico [...], non mi permetterei mai di entrare in quelle che sono le idee personali;entro invece nell’aspetto dell’organizzazione e della profondità dei contenuti; e questoaffrontando [...] non solo le questioni etiche, ma in generale tutte le questioni che pos-sono essere oggetto di un tema; la superficialità [...] è uno dei problemi più gravi; quindi(si tratta di argomentare) con serietà, senza andare in cerca di proclami, di luoghi co-muni, ma cercando di essere autentici, di rifletterci sopra ed esercitando la propria capa-cità critica, la libertà di pensiero e anche la capacità di mettersi sempre in ricerca(intVr2/66). quando correggiamo il tema di italiano, abbiamo una griglia valutativa [...],dove c’è [...] un parametro legato al contenuto, un parametro legato alla forma e alla sin-tassi, un parametro legato [...] all’organizzazione logica del discorso e uno [...] legato al-l’originalità del pensiero; e loro lo sanno. Poi, in fondo al tema, c’è sempre un commentoche io scrivo, [...] nel quale appunto sottolineo l’aspetto formale, ma anche l’aspetto con-tenutistico e, anche nel corso del tema, scrivo un’osservazione legata alla sintassi, un’os-servazione legata al contenuto, ad esempio: “questa era un’idea interessante, ma è man-cato l’approfondimento”, in modo tale che poi, quando il ragazzo vede il tema, abbiamaggiori strumenti [...] per decodificare le mie correzioni; [...] che cosa significa “nonhai approfondito il contenuto?” [...] Significa appunto diverse cose: che non hai appro-fondito l’idea, che ti sei lasciato sfuggire uno stimolo che poteva essere interessante, op-pure che sei stato superficiale e hai affrontato la questione in maniera banale, [...] aggan-ciandoti a luoghi comuni più che a una tua riflessione; mentre l’errore di ortografia è ab-bastanza evidente, l’errore di contenuto – ma anche l’errore di coesione o la mancanza dilogicità – è più sfuggente e quindi, in genere, nel momento della consegna – è importan-tissimo come si consegna, come si restituisce un tema! –, il fatto che ci siano le mie noteè importante per gli studenti, perché loro devono cogliere che cosa voglio da loro e qualè l’aspetto nel quale sono carenti (intVr2/68).Anche D. (intVr2) definisce in partenza i criteri di valutazione e li rende notiagli allievi, in modo tale che essi stessi possano giudicare la riuscita del loro la-voro. Precisa agli allievi che ciò che verrà valutato nei loro scritti non è il grado diaccordo con le idee del docente, ma sono la qualità, l’originalità e la profonditàdelle argomentazioni e dei pensieri espressi, oltre che la chiarezza espositiva, l’or-ganizzazione logica, la correttezza formale ecc.58. questo non impedirà alla docentedi esprimere le proprie idee in aula, secondo una malintesa idea di neutralità.Anche in questo modo si educa al rispetto e alla democrazia. D. dedica particolarecura a tradurre i criteri di valutazioni in un linguaggio specifico e comprensibileagli allievi. inoltre, accanto al voto, inserisce sempre un commento, in modo taleche anche la restituzione del tema possa diventare un’occasione di apprendimento.
58 la docente esprime anche la consapevolezza epistemologica che è più facile correggere gliaspetti legati alla lingua (le forme corrette o sbagliate sono più facili da individuare) che non quelli le-gati al contenuto, dove le cose sono più “sfuggenti” e non si prestano a valutazioni “oggettive”.
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7.6.2. Costruire un repertorio di temi da mostrare e su cui riflettereÈ ancora D. (intVr2) a proporre una raccolta di temi come esemplari su cui av-viare percorsi di riflessione che aiutino ad analizzare le scelte stilistiche operatenella redazione dei testi:uno strumento che, alle volte, uso [...] è quello della visione di temi sempre corretti dame, proiettati – non sempre li proietto, posso anche semplicemente leggerli –, nei qualifaccio semplicemente vedere gli errori, i diversi tipi di errore: l’errore di sintassi, l’erroreortografico... (intVr2/52); faccio le fotocopie sul lucido [...] e parto da casi veri di errore;[...] leggo la frase, perché ad esempio riguardo alla sintassi, ho notato che i ragazzi,quando scrivo “errore di sintassi”, inizialmente non capiscono; allora faccio sentire eanalizzo insieme a loro, non so, l’errore di sintassi oppure l’errore ortografico; e questomi serve molto anche per il discorso dei contenuti, perché molto spesso una persona nonsi rende conto che il proprio contenuto è superficiale, mentre, se faccio vedere, se leggoo se faccio vedere, meglio ancora, attraverso un lucido, e leggiamo insieme un tema, sirendono maggiormente conto – l’ho notato – del discorso anche contenutistico(intVr2/54). chiedo sempre alla classe se è contraria a questo tipo di lavoro, se qualcunoha delle remore; dico sempre che non è un mettere alla gogna; posso usare i materiali dialtre classi; se li uso, prima di usare i temi, i materiali della classe, lo chiedo alla classe edico loro: “Vi offendete, se uso questi materiali...?”, però sottolineo che non c’è da partemia nessun intento [...] di distinguere tra chi scrive bene e chi scrive male, è semplice-mente un cercare di imparare, di crescere insieme; ho notato che, in genere, non hannoremore (intVr2/56). […] (Mostro) anche esempi positivi; ad esempio, questo (mostra unfoglio) [...] è il tema di un ragazzo che ha preso “sette e mezzo”, quindi [...] un voto posi-tivo (intVr2/60); però c’erano degli errori di sintassi; allora, questo esempio è anche po-sitivo, perché da un lato fa vedere ai ragazzi che anche un ragazzo bravo, che è riuscito alavorare molto sui contenuti, (può fare degli errori di sintassi) (intVr2/62); ...non solometto in luce gli errori, ma presento anche degli esempi positivi, faccio notare come,anche all’interno di temi positivi o che comunque hanno ottenuto una buona valutazione,ci possono essere degli errori e metto in luce l’errore di sintassi piuttosto che un errore dimancata coesione tra un periodo e l’altro e quindi cerco di far vedere questi materiali e dipresentare loro sia degli esempi positivi sia degli errori che possono essere ricorrenti neitemi, dimostrando che, da un lato, anche un tema ben fatto può celare degli aspetti nega-tivi e che anche un tema che ha riportato una valutazione negativa ha degli elementi po-sitivi; quindi supponiamo che il ragazzo avesse introdotto un concetto, un’idea brillante,però avesse fatto l’errore di non approfondirlo, allora leggo questa frase, questa idea,però metto in luce che, nel periodo successivo, non c’è stato un approfondimento del-l’idea, oppure che manca la coesione tra un periodo e l’altro, quindi cerco di far notareappunto gli aspetti positivi anche nei temi che hanno riportato una valutazione negativa,perché ho notato che l’aspetto della motivazione è importantissimo, soprattutto [...] nellaparte legata alla produzione scritta, perché, se subentra una mancata autostima o anche lasensazione di non potercela fare o di non essere portati per l’italiano scritto, un ragazzonon riesce a migliorare; quindi è importante valorizzare anche l’aspetto positivo di untema (intVr2/64).
Per gli allievi è molto utile poter vedere diversi esempi di testi scritti da altriallievi, per analizzare gli errori, ma anche gli aspetti positivi di un componimento.la nostra formatrice è attenta, da una parte, a valorizzare gli elementi positivi con-tenuti in temi complessivamente mediocri, dall’altra a far notare che ci possono es-
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sere problemi di carattere ortografico o sintattico anche in elaborati apprezzabili.l’approccio è comunque incoraggiante59 e la docente richiama l’attenzione in parti-colare su ciò che negli esempi costituisce un elemento positivo (ad esempio, unascelta stilistica efficace, una metafora viva, un lessico appropriato ecc.). infine, no-tiamo che la docente chiede correttamente ai suoi allievi il permesso, prima di con-dividere con altri i loro elaborati.7.6.3. Introdurre messaggi di ascolto nel giudizio di valutazione dei temiSopra sottolineavamo come la correzione dei temi si carichi anche di una va-lenza relazionale. Spesso, attraverso i temi, gli allievi si aprono al docente. Allorala correzione offre l’opportunità di coltivare spazi di dialogo. Significativo è ilmodo in cui E. (intMe7), nel brano che segue, ci racconta di intervenire in questicasi: grazie al tema di italiano, loro si raccontano, raccontano la propria esperienza personale,la propria esperienza di vita, perché [...] è più semplice, per certi versi, […] scrivere suun foglio bianco, che non affrontare una persona che abbiamo di fronte; quindi, […] se inostri ragazzi hanno qualche difficoltà – cosa che è assolutamente reale –, riescono adaprirsi; poi bisogna capire se in quel momento lo stanno facendo soltanto come [...]sfogo – e quindi soltanto al foglio bianco – o (se intendono parlare) indirettamente all’in-segnante. quindi bisogna capire se loro ti stanno chiedendo aiuto, stanno chiedendo aiutoin prima persona a te come insegnante (intMe7/217). […] Una volta letto il tema, sisonda il terreno, si tasta il terreno con i piedi di piombo, magari si cerca di entrare nel-l’argomento, nel discorso: “Ah, ho letto il tema...”. io [...] divido sempre il giudizio indue parti e scrivo: “forma”, e do un giudizio, “contenuto”, e do un altro giudizio, met-tendo sempre un commento personale: “Ho visto che..., ho letto che [...], in questo mo-mento, stai passando un periodo di difficoltà. Se tu dovessi avere bisogno di qualcuno, ioci sono” (intMe7/219). cerco quindi di dare un messaggio di ascolto, oppure di inseriredei commenti: “[...] Ho letto quanto hai scritto, ma non condivido le tue scelte”. Talvoltalancio dei messaggi interrotti a metà. Poi, se il ragazzo vuole, (parliamo)... (intMe7/221).[...] quando vado ad inserire quei pensieri nel tema di italiano, non posso […] esprimere
59 Per comprendere cosa possa significare una valutazione non mortificante, può essere utile ri-portare il brano in cui Giuseppe Bagni, in una lettera ad una sua collega, trascrive il tema di italiano diun’alunna albanese di prima, da poco arrivata in italia, su “l’acqua e il suo immaginario” (e qui devodisattivare il correttore automatico di word): «Resto seduta di fronte a lui e mi ciama, mi ciama innome e mi soride con la sua facia dolce. il suo colore da qualche parte blu e da qualche parte celestemi tranquilla l’anima. E iniziamo a parlare. io racconto tutte le mie cose, e lui mi ascolta. È il mi-gliore amico che ho, che non mi tradisce mai e con nessuno. questo mio migliore amico è l’aqua “ilmare”. Tutte le volte quando sto con lui aspetiamo con ansia il tramonto del sole, che cambia il suocolore, e a me questo piache tanto anche se dura poco. quando sono triste lui mi abracia forte, mitranquilla il corpo e mi tolie tutti i pensieri tristi dalla mente. Ma quando è triste lui io non facioniente solo lo vedo, e lui questo vuole e piache. l’aqua non è soltanto un elemento indispensabile allanostra vita, anche se questa è la più importante ma l’aqua è anche un elemento che ti aspira, ti tran-quilla e in tanti casi ti fa sognare. Ecco perché “il mare” è il mio migliore amico». Subito dopo, l’au-tore riporta il delicato giudizio che la sua collega di italiano ha formulato: «…“il tuo elaborato èmolto bello e pieno di poesia, anche la calligrafia è molto bella e chiara, così mi dispiace ‘sporcare’queste pagine con la correzione. lo correggeremo insieme”…» (Bagni, conserva, 2005, p. 28).
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giudizi interpretativi, devo dare un giudizio descrittivo, del tipo: “Ho visto qual è il tuoproblema, ho letto quale è la tua situazione, ebbene, sono contenta per te che stai vivendoun momento positivo della tua vita”, oppure: “Mi dispiace che tu stia vivendo questa dif-ficoltà [...]; guarda, io ci sono”. Poi sta a lui raccogliere o meno l’invito (intMe7/227),venire da me a parlare o andare da qualcun’altro (intMe7/229). È sempre un segnale diinteresse che si lancia (intMe7/231) e, grazie al tema di italiano, siamo riusciti, a volte, avenire a conoscenza di alcune situazioni particolari e a prendere in tempo alcuni pro-blemi, alcune difficoltà; non dico a risolvere ma, per lo meno, a venirne a conoscenza e aprenderle in tempo (intMe7/233).quando un ragazzo, in una tema, parla di sé manifestando stati d’animo e so-prattutto difficoltà, all’insegnante si offre l’opportunità di intervenire. Ma è impor-tante, come ci rivela E., che l’intervento sia sensibile e delicato: la nostra forma-trice sonda innanzitutto il terreno, magari affrontando indirettamente la questione,per non forzare l’allievo a parlare di sé ma, nello stesso tempo, per lanciargli unmessaggio di disponibilità all’ascolto. Spesso sono proprio i commenti inseriti altermine della correzione del tema a veicolare tale messaggio. ciò che rende effi-cace l’intervento di E. è l’uso di un registro descrittivo, che apre, più che uno valu-tativo, che rischia di far chiudere l’altro nel suo fortino difensivo.
7.7. Introdurre prove di valutazione autenticala valutazione più efficace non è quella che si basa su giudizi verbali, perquante attenzioni i docenti mettano in atto per non ferire l’autostima degli allievi,ma quella che si fonda sul giudizio che viene dalla realtà, dalla cosa stessa che l’al-lievo è riuscito a realizzare (cfr. crowford, p. 17), tanto più quanto più risultanochiari i criteri di valutazione. Alcuni dei nostri docenti parlano di “prove auten-tiche” quando si riferiscono a prove basate sulla realizzazione di prodotti o compitiautentici. lo strumento principale per valutare tali lavori risulta essere la rubrica divalutazione (cfr. Tacconi, 2007, pp. 71-74), che consiste nel tentativo di descrivereciò che comporta affrontare un compito nelle sue diverse componenti e a vari livellidi competenza (da quello del principiante a quello dell’esperto). qui di seguito ri-portiamo due brani di due interviste a docenti del cFP di Padova che ricorrono aquesto metodo:ci siamo inseriti in un progetto che si chiama “Progetto adozione india”, che abbiamofatto in collaborazione con il comune di Padova e con l’associazione ViDES [...](intPd3/114). Abbiamo fatto diventare questo progetto una prova autentica per le classiprime; [...] la prova autentica ha portato i ragazzi a pensare e a fare una serie di verifiche,partendo da un “problema”, da una consegna concreta [...]. Praticamente abbiamo fattoun gemellaggio con un centro di formazione […] della città di Tirupur, in india, e ai ra-gazzi abbiamo chiesto di presentare se stessi in lingua italiana – questo era un lavoro discrittura e anche di orientamento, che andava poi valutato –, di presentare la città di Pa-dova in lingua inglese […]. Siccome lo abbiamo fatto prima di Pasqua, (abbiamo chiestoanche) di fare un bigliettino di auguri pasquali, durante le ore di applicazione informa-tiche. quindi abbiamo coinvolto varie discipline, per una prova che comunque si è rive-lata concreta, nel senso che i ragazzi hanno prodotto, in modo tangibile, un biglietto di
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auguri con la loro foto, per cui dovevano anche dimostrare di saper gestire immagini, in-serire foto, mettere la didascalia della foto, scrivere la frase di auguri in italiano e in in-glese; e poi hanno fatto la presentazione di loro stessi e la presentazione della città di Pa-dova; per questo che siamo andati in uscita didattica, al centro storico (intPd3/116). Pra-ticamente, abbiamo creato una rubrica di valutazione, che è proprio una dispensa in cui,per ogni modulo di insegnamento, abbiamo definito gli indicatori che vanno a valutareuna competenza; [...] ad esempio, la competenza “legge in modo appropriato” posso de-clinarla in indicatori, come: “sa leggere testi della produzione letteraria italiana, com-prende il contenuto della pagina e ricerca termini nuovi costruendo un lessico personale”.È stato un lavoraccio, però, in questo modo, se a quella persona ho dato... – sai che noiabbiamo la valutazione in centesimi – (intPd3/122), che ne so, 80/100, in una verifica dilettura, è un 80 globale? Sì e no, sì, perché può darsi che abbia fatto benissimo la primaparte che chiedeva una cosa e non bene l’ultima parte, però facendo la media ha preso unbuon voto. con le rubriche di valutazione, che presentano, appunto, tutta questa declina-zione delle varie competenze in indicatori, io preciso anche il mio voto, nel senso cheposso decidere di dare tre voti su una verifica, uno per ogni singolo indicatore che sonoandata a considerare. in effetti, è... (intPd3/124) ...molto impegnativo, anche perché, perquanto riguarda la lingua italiana, in sede di consiglio di classe, io [...] e le altre collegheabbiamo avuto una media di dieci voti per ragazzo da dare, perché vai a valutare le sin-gole competenze. Allora, se nella parte di grammatica e comunicazione hai tre compe-tenze, allora hai tre voti; è stato un lavoraccio! queste rubriche di valutazione, oltre adessere parte del nostro registro, le hanno anche i ragazzi, per cui i ragazzi hanno il moni-toraggio costante di ciò a cui in effetti quel voto che hanno preso in italiano, in matema-tica o in inglese si riferisce (intPd3/126); questa è l’utilità, però siamo già concordi neldire che... (intPd3/128) [...] l’abbiamo specificata troppo [...] e quindi il lavoro che ciaspetterà alla fine dell’anno sarà di ridurre questa classificazione così specifica e dicreare delle categorie più ampie (intPd3/130);di solito cerco di fare delle verifiche [...] sui contenuti che loro hanno appreso, ma of-frendo proprio una situazione [...] per cui, non so, una delle ultime cose che ho fatto fareloro, era una serie di situazioni: abbiamo studiato che cosa significa che un cliente vengaad obbiettare su un prodotto che ha acquistato (intPd5/24): la gestione dei reclami. Percui loro avevano una serie di situazioni, tipo non so, la signora che ha comprato unasedia a sdraio che si è rotta appena lei si è seduta; allora loro dovevano giustificare la rot-tura, proporre un’alternativa alla signora [...], e lì ho visto come davvero i ragazzi si met-tono in gioco anche con la loro creatività [...] (intPd5/26). Se la simulazione è orale,siamo tutti in classe, per cui di solito loro diventano gli attori in cattedra e gestiscono lascena (intPd5/28); [...] poi do un’esercitazione scritta. È utile anche questo passaggio,perché comunque loro fissano alcune idee, alcuni pensieri che hanno; poi, riprendendo inmano i loro lavori, capiscono varie cose; di solito queste sono tutte esercitazioni, quindi èmateriale che [...] ritorna a loro; ce l’hanno sul loro quaderno, nella loro cartellina [...](intPd5/30). Alcuni criteri di valutazione sono interdisciplinari con l’informatica, perchéloro comunque mettono insieme le tecniche di comunicazione e vendita quando devono,per esempio, presentare un prodotto all’interno di un volantino; lì, ad esempio, abbiamouna competenza, suddivisa con l’informatica [...] (intPd5/32) ma tecniche di comunica-zione e vendita […] rimane [...] proprio un modulo professionalizzante (intPd5/34),anche se non mancano le collaborazioni con altri ambiti disciplinari (intPd5/36). […] Daquest’anno, nelle nostre valutazioni, abbiamo applicato le rubriche, comunicate ai ra-gazzi e condivise anche con le famiglie [...] (intPd5/64), [...] quindi la pagella che noiconsegniamo ai genitori ha proprio la forma di una rubrica; quest’anno è stato un anno disperimentazione; adesso [...], avremo un collegio formatori di verifica di questo sistema
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di valutazione, ma anche di possibile aggiustamento, perché [...] ci rendiamo conto che lecaselle sono state moltiplicate, per cui probabilmente dobbiamo andare verso una stradache ci dia la possibilità di utilizzare la rubrica, ma anche di essere un poco più coincisinella valutazione, perché altrimenti il tutto rischia di essere troppo dispendioso in terminidi energie. cioè, da una parte è un buon metodo, ma dall’altra è un po’ complicato(intPd5/66). la rubrica è articolata in descrittori e criteri...; [...] c’è una competenza ini-ziale, ad esempio, “saper gestire i rapporti con i clienti”, poi c’è la suddivisione in de-scrittori, per cui: “ragazzo in grado di spiegare, non so, situazioni particolari al cliente”, epoi ci sono più criteri; all’interno di questi criteri ci sono quelli che sono valutati o attra-verso la mia interrogazione orale o attraverso la simulazione o con una verifica scritta oaltro (intPd5/68). Ad esempio, “gestire le obiezioni” è il descrittore, quindi un criterio[...] può essere “saper fornire adeguate informazioni sul prodotto, sulle [...] caratteri-stiche del prodotto presentato”, per cui, se un ragazzo sa giustificare perché quel prodottoha determinate caratteristiche, [...] è valutabile in maniera positiva; [...] ci sono quattroscalini (intPd5/70), quattro livelli di competenza, dalla competenza pienamente raggiunta(intPd5/72) a quella per niente raggiunta... (intPd5/74).nell’esempio riportato da n. (intPd3), la “prova autentica” consiste in un in-sieme di attività che concorrono tutte ad affrontare un problema concreto: nel casonarrato, la presentazione di sé e della propria città ad un gruppo di coetanei indianie la costruzione di un biglietto di auguri. le prove di valutazione autentica sonodunque delle vere e proprie ulteriori attività di apprendimento, nelle quali vengonocoinvolte le varie aree disciplinari. Attraverso la rubrica di valutazione, il docentepuò precisare il proprio voto e l’allievo ricevere un feedback dettagliato sulla pro-pria prestazione. Soprattutto, come sottolinea D. (intPd5), nel secondo brano, la ru-brica consente di comunicare previamente i criteri di valutazione agli allievi e alleloro famiglie. Anche D., infatti, imposta la valutazione su un compito autentico: lasimulazione di una situazione concreta di vendita, in particolare riguardo alla ge-stione di un reclamo, prima realizzata in forma orale e poi in forma scritta, oppurela realizzazione di un volantino. Entrambe le docenti esprimono anche l’esigenza dirivedere collegialmente questi strumenti, per evitarne utilizzi meccanici e per ren-derli sempre più trasparenti e comprensibili agli allievi e sempre più agili e sosteni-bili per gli insegnanti.
7.8. Far costruire il portfolio dell’allievoPer quanto non ovunque diffuso, risulta interessante anche l’uso del portfoliodell’allievo nella valutazione. il portfolio è una selezione di materiali e lavori signi-ficativi (cfr. Pellerey, 2004) che l’allievo assembla per illustrare il suo percorso e isuoi progressi e che può consentire ad altri, in questo caso ai formatori, di farsiun’idea riguardo alle competenze maturate dagli allievi stessi. ce ne parla D.(intPd5) nel brano seguente:il portfolio viene gestito fin dall’inizio della prima, per cui i ragazzi sanno che, per loro,è un documento di presentazione per quello che sarà poi il momento conclusivo del loropercorso, l’esame di qualifica. l’orientamento che abbiamo preso è che, all’interno delportfolio, ci siano, oltre ai loro dati – insomma, quello che è proprio il loro percorso for-
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mativo – anche quei lavori che, per loro, non solo sono stati i più belli, ma sono stati ipiù significativi, quelli in cui loro hanno imparato a gestire i particolari passaggi di al-cune discipline, moduli, o comunque quei lavori dove hanno potuto mettere a frutto tuttala loro creatività. Per esempio quelli di vendita quest’anno avranno, all’interno del port-folio, anche un book fotografico, dove presenteranno alla commissione tutte le vetrineche hanno allestito, divise un po’ in tematiche, oppure in periodi dell’anno, per cui di-venta proprio anche espressione di quello [...] che è stato il lavoro pratico. non si trattaquindi solo di inserire una ricerca che ho fatto, punto e basta (intPd5/106). [...] i ragazzistabiliscono insieme agli insegnanti quali lavori è bene inserire nel portfolio(intPd5/108); [...] di italiano inseriscono alcune relazioni che loro hanno fatto, in modoparticolare le relazioni sullo stage; ad esempio [...], i ragazzi non consegnano la relazionedello stage a chi fa “accompagnamento al lavoro”, ma all’insegnante di italiano, per cuipoi c’è una valutazione d’insieme, però è soprattutto l’insegnante di italiano che valuta inche modo la relazione è stata scritta, se è corretta o meno. E poi di italiano penso aqualche ricerca che magari i ragazzi hanno fatto insieme, oppure le schede di alcuni libriche hanno letto (intPd5/110).È interessante notare che quella del portfolio è una pratica che accompagna i ra-gazzi lungo tutto il percorso triennale che porta all’esame di qualifica60. All’internodel portfolio di ciascun allievo sono contenuti la storia del suo percorso (i moduliseguiti, le esperienze di stage ecc.) e la documentazione dei suoi lavori più signifi-cativi, che meglio di altri possono rappresentare le sue conquiste e i suoi apprendi-menti nei vari ambiti del percorso formativo. in questo modo i risultati non vengonoseparati dal tracciato del percorso. nel caso descritto, il portfolio contiene anche unbook con le fotografie dei migliori lavori realizzati da ciascun allievo nell’area pra-tica. la scelta avviene in dialogo con gli insegnanti e anche questa conversazione ela riflessione61 che l’accompagna risultano essere un momento altamente formativo,che intercetta il percorso di crescita di ciascuno, con i suoi modi e i suoi tempi, eaiuta gli allievi ad imparare a riconoscere e a dare valore a quello che fanno.
7.9. Attivare forme di triangolazionenella valutazione dell’esperienza di stage, alcuni formatori introducono un ul-teriore dispositivo di valutazione: la triangolazione tra la valutazione che dell’espe-rienza danno gli allievi stessi e quella che viene invece fatta dal tutor del cFP e daltutor aziendale:penso che lo stage sia la prima esperienza concreta che i ragazzi vivono [...] (intPd5/42);in seconda sono tre settimane, mentre in terza è quasi un mese e mezzo; di solito i ra-gazzi delle vendite fanno esperienza in grandi magazzini, oppure in piccoli negozi al det-
60 Su questo aspetto, cfr. cnoS-FAP, 2005.61 nell’esperienza di alcuni formatori, questa riflessione dovrebbe essere orientata quantomeno afar emergere che cosa il soggetto in apprendimento ha imparato, che differenza esiste tra ciò che egliriconosce di aver imparato e ciò che si aspettava di imparare, quali gli apprendimenti imprevisti, checosa infine il soggetto ha imparato riguardo al suo modo di imparare, ai suoi punti di forza e alle pos-sibili aree di miglioramento.
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taglio, e sono vari, perché andiamo dalla profumeria al supermercato, alla cartoleria, alnegozio di abbigliamento. Ecco loro sono fissati sull’abbigliamento; quando invece sco-prono che ci sono altri tipi di negozi intorno a loro, allora magari si orientano anche di-versamente (intPd5/48). la valutazione dello stage si fa essenzialmente in due momenti;nel momento in cui loro rientrano dallo stage – hanno due o tre giornate in cui rientranoa scuola –, insieme a loro, si rilegge l’esperienza che stanno vivendo, attraverso alcuneschede, attraverso alcuni questionari o attraverso la raccolta di informazioni e la discus-sione in classe […] (intPd5/50): ciascuno racconta come sta vivendo l’esperienza dellostage. Poi la valutazione viene fatta anche nel momento in cui loro fanno l’autovaluta-zione dello stage (intPd5/52): hanno una scheda, che [...] si compone di alcune parti cheabbiamo compilato noi, come tutor dello stage della scuola, ma che è compilata anchedal tutor di stage del luogo di lavoro dove vanno. la cosa diventa interessante perchévedi la valutazione data dai ragazzi e la confronti con quella che è stata la nostra valuta-zione e con la valutazione, invece, del tutor di stage del negozio (intPd5/54). questo lofa il tutor d’aula, cioè in questo caso io (intPd5/56). Allora, di solito raccolgo le schede,cerco di capire un po’ se i risultati che hanno notato i ragazzi, le loro valutazioni sonoproprio del tutto estranee a quelle che abbiamo dato noi o che ha dato il tutor dello stageaziendale (intPd5/58); se succede così, io non lo rendo pubblico, cioè cerco che ci sia unconfronto personale con il ragazzo, nel senso che, se io gli ho dato 40 e lui ha messo 100,c’è qualcosa che non funziona. Mentre con quelli in cui c’è un po’ di congruenza, vienefatta una discussione, eventualmente anche in classe (intPd5/60). Allora, la valutazione èespressa in numeri, però c’è uno spazio per le annotazioni e ci sono alcuni tutor di stageche annotano alcuni comportamenti (intPd5/62).nel racconto di D. (intPd5), che insegna tecniche di comunicazione per un in-dirizzo commerciale, la valutazione dello stage viene innanzitutto condotta – in iti-nere e al termine dell’esperienza – attraverso una riflessione condivisa con tutto ilgruppo classe sull’esperienza stessa, che faccia emergere i punti di forza e di debo-lezza percepiti dai ragazzi e soprattutto li aiuti a dire le cose che sanno e hanno im-parato a fare. la valutazione finale combina poi l’autovalutazione dell’allievo, lavalutazione del tutor del cFP e quella del tutor del negozio dove è stato svolto lostage. quando il confronto tra questi diversi punti di vista fa emergere diverse per-cezioni, si apre la possibilità di attivare col singolo allievo una riflessione sui mo-tivi di queste divergenze.
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4. Conclusione
Dopo aver presentato il percorso e i risultati della ricerca, non rimane chetentarne una rappresentazione sintetica, che possa indicare anche ulteriori spuntidi riflessione e nodi sui quali continuare a riflettere. Proverò ad organizzare leconclusioni attorno ad alcune domande: che tipo di sapere è quello che emergedalle pratiche? quali le caratteristiche distintive della pratica dei formatori delcnoS-FAP che hanno a che fare con l’asse dei linguaggi e quello storico-so-ciale? cosa ci consente di dire che alcuni docenti sono “bravi”? in che cosa con-siste la loro bravura/professionalità? E come si può formare a questo? in partico-lare, in che modo questo tipo di ricerca può agire sullo sviluppo personale e pro-fessionale dei docenti (di chi ha partecipato e di chi legge la ricerca)? che cosa,infine, una ricerca di questo genere può suggerire al decisore politico? Provo a ri-spondere con ordine.
1. uN SAPeRe vIvO
Sopra, introducendo i risultati della ricerca, osservavamo che, nonostante lagranularità dell’analisi, dal lavoro si vedono affiorare i tratti di una sorta di “teoriadella pratica formativa”, non una teoria astratta, ma una teoria “estratta” dalle storiedi pratica, che lascia i soggetti in carne ed ossa al centro della scena. ora sono forsenecessarie alcune precisazioni sulla natura di questa teorizzazione, prima di ten-tarne una riassuntiva e sintetica rappresentazione globale.Per forza di cose il sapere scientifico, in ambito didattico, è riduttivo, perché,per essere tale e rilevare delle regolarità, deve semplificare il fenomeno che indagae isolarne singole variabili. il sapere pratico, che è un sapere vivo, interpersonale,eticamente implicato (Damiano, 2007a), rimane per lo più inafferrabile a quel tipodi sguardo e di procedimento. inoltre, negli approcci sperimentali, il ruolo dellateoria è preponderante nel generare congetture e ipotesi attraverso le quali esplo-rare l’esperienza didattica. in questa ricerca, avvicinandoci ai materiali offerti daipratici, non abbiamo cercato di farli corrispondere ad una teoria didattica predefi-nita o di valutarli a partire da essa; abbiamo cercato di svelare il sapere incorporatonella pratica e dunque quella sorta di teoria che emerge dal basso, dalle pratichenarrate dai formatori.quella messa a fuoco in questo lavoro è una didattica agita, in corso d’opera edunque incompiuta, che spesso non possiede il look gradevole delle costruzioni
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“teoriche”, in cui i vari elementi (gli oggetti culturali, le azioni del formatore, leazioni dei soggetti in apprendimento ecc.) si combinano in un disegno armonico edunitario. Abbiamo a che fare con racconti interrotti, spesso con frammenti di narra-zione, che lasciano pieni di domande (come viene affrontato quell’elemento? comeviene trattato quel tema? come viene sviluppato quel concetto?...). Se questo sti-mola la ricerca a tornare ricorsivamente ai testimoni e a trovare modi sempre piùadeguati per dire la pratica (cfr. Mortari, 2010b), rivela anche un’incompiutezzastrutturale, propria del sapere pratico, che non si lascia mai dire esaustivamente.Ma, se ci pensiamo bene, è proprio l’ineliminabile incompiutezza dei racconti dipratica che diventa generativa, perché tiene continuamente in movimento il pen-sare. Più volte, avvicinando i materiali e gli elaborati che restituivano parzialmentei risultati della ricerca, alcuni partecipanti sentivano l’esigenza di aggiungereespressioni di questo tipo: “sì, anche a me è capitato qualcosa di simile…”, “in unasituazione analoga, a me è capitato di agire invece in questo modo…”. il raccontodi partenza sollecitava altri racconti, in un continuo tentativo di specificare la pra-tica. È questo processo che rende vivo il sapere contenuto nelle pratiche.Se il tipo di sapere generato da questa ricerca non è frutto di un teorizzareastratto, non è nemmeno qualcosa di riducibile ad un manuale (letteralmente: “aportata di mano”), che definisce, detta istruzioni e toglie spazio all’inventiva ri-chiesta dalle specifiche situazioni. Si tratta piuttosto di una mappa organizzata e ra-gionata, ancorché incompleta (e sempre integrabile), di strategie che, sul campo, iformatori hanno inventato e/o percepito come utili.Ai lettori questo sapere rivolge un invito al “fai da te”, a coltivare fiducia nelleproprie capacità di inventare strumenti, una volta colto che, nel proprio agire comeformatori e nel dialogo con le concrete situazioni didattiche, si sviluppa un sapereche assume lo statuto di vera e propria conoscenza. Del resto, la ricerca, condottasulla pratica, all’interno di una comunità di pratica, ci ha portato ad esplicitare il re-pertorio della comunità, inteso come «...set di risorse condivise dalla comunità»(Wenger 2006, p. 99), raccolta di strumenti e modi di operare che la comunità haadottato nel corso della sua storia e che possono «essere reimpiegati in nuove situa-zioni» ed essere condivisi «...in modo dinamico e interattivo» (ibid., p. 100), com-posti, montati, smontati, rimontati, perfezionati, variati, in un processo dinamico esenza fine, che produce a sua volta conoscenza.
2. uNA dIdATTICA SeNSIBILe
Guardando le pratiche ad una certa distanza, si nota il profilarsi di un ap-proccio didattico caratteristico, che non è dato riscontrare ovunque e che potremmodefinire sensibile e centrato su un fare sensato.i nostri formatori si ingegnano innanzitutto per far sì che le cose che chiedonoai loro allievi di fare e di pensare nelle proprie ore non siano percepite distanti
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anni luce da ciò che sta loro a cuore. Rinunciano all’apologia del sapere “inutile” edisinteressato e al mito del sapere astratto, perché sanno che, anche a partire datesti utili, concreti e vicini all’esperienza, persino da un libretto di istruzioni, èpossibile imparare ad interrogarsi sulle parole e a pensare. Sono impegnati a for-nire ai loro allievi una mappa che consenta loro di muoversi consapevolmentenella vita e nel mondo del lavoro. lo fanno selezionando oggetti culturali che rie-scano a dialogare con gli orizzonti degli allievi e a parlare loro anche in manieracorporea, percepibile con i sensi. Si tratta di un’esplorazione parziale ma, data lavastità del campo esplorabile, è anche inevitabile che sia così. Soprattutto, i do-centi di cFP hanno imparato a non contrapporre il sapere concreto e “utile” al sa-pere astratto, incorporeo, la cui utilità consisterebbe appunto nella sua presunta“inutilità”. questa contrapposizione mantiene separati piani che andrebbero inveceintegrati e non aiuta a riconoscere dignità ai saperi che sono incorporati anchenelle pratiche lavorative e che non riguardano solo il cosa e il come fare, ma ancheil perché, il senso. Da qui l’attenzione dei nostri formatori a rendere vitali i conte-nuti che insegnano e ad agganciarli all’esperienza, agli interessi e agli orizzonticulturali degli allievi, in modo che abbiano senso anche per loro. Facendo così, iformatori tengono inoltre aperta la feconda tensione tra l’area umanistica loro affi-data e l’area tecnico-professionale e contribuiscono ad allargare il concetto stessodi competenza professionale, fino ad includervi dimensioni come l’espressionecorretta e persino bella, la riflessività critica, la tensione etica, che sono anch’esseesigenze di una competenza che non può dirsi professionale, se non è anche, altempo stesso, personale.È ovvio che il modello operativo che caratterizza gli insegnamenti di area tec-nico-professionale nei cFP sia quello dell’apprendistato. il docente di laboratorio èl’esperto che propone esperienze, mostra come si fa, affianca, offre consigli e sug-gerimenti. con lui gli allievi costruiscono un rapporto particolarmente intenso,anche dal punto di vista affettivo, fatto di rispetto e fiducia. consapevoli di questo,i nostri docenti – che non operano direttamente nelle aree tecnico-professionali main quelle culturali – imparano presto a fare i conti con una visione diversa da quellache, con Gardner, potremmo definire “concezione uniforme di scuola” (Gardner1995, p. 136), secondo la quale la priorità va data al sapere formale ed astratto. Sisforzano dunque di trasformare anche le aree culturali in luoghi di apprendistato,non limitandosi a dichiarare l’importanza dei saperi che sono incorporati nel fare ecostruendo ambienti di apprendimento che traducano questa scoperta in esperienzarealizzabile. Per questo riducono lo spazio dedicato alla lezione solo verbale e cer-cano di non separare mai il “sapere” dal “saper fare”, in un ambito, come quello deilinguaggi o quello storico-sociale, in cui l’operatività non è per nulla scontata. Èproprio il canale dell’esperienza e di un fare che coinvolga il corpo, oltre che lamente, la via che i nostri docenti seguono per far acquisire ai propri allievi rilevantisaperi di cittadinanza. Da qui la valorizzazione dei sensi e delle esperienze lavora-tive, il ricorso ad una molteplicità di linguaggi, la proposta di esperienze di vario
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genere, la centratura sulla realizzazione di compiti autentici, non solo di tipo pro-fessionale. imparando dai loro colleghi di area pratica come rendere le loro aule piùsimili a dei laboratori, i nostri docenti contribuiscono a far sì che anche i laboratoridiventino un po’ più simili alle aule, cioè che sulle pratiche lavorative si attivinocostantemente riflessioni e pensieri, superando così una visione puramente adde-strativa della formazione professionale.la didattica che i nostri formatori propongono è dunque “sensibile”, perché siaggancia ai sensi degli allievi – del resto, ogni conoscenza umana inizia attraverso isensi e sui sensi non è possibile agire con delle astrazioni –, ma è “sensibile” ancheperché animata da una particolare sensibilità relazionale e da uno stile, un modo diporsi, rispettoso, delicato ed incoraggiante. È un elemento che emerge ovunque: nelmodo di entrare in classe, di gestire le regole, di affiancare e seguire gli allievi du-rante le attività, di accompagnarli a riconoscere e a dare valore a ciò che imparano.in ogni circostanza, pensieri ed emozioni vengono messi in gioco nella relazione.la spiccata sensibilità relazionale si traduce anche in una sensibilità particolare alledifferenze individuali. i nostri formatori hanno la capacità di farsi seguire dalgruppo, ma sanno anche attendere chi ritarda o andare a rintracciare chi si avven-tura in altri territori, seguendolo sui suoi sentieri e assecondando anche il loro desi-derio di esplorare strade alternative. Per far questo non procedono secondo pianidettagliati e lineari, sanno operare variando il setting e modificando l’azione anchein base a ciò che succede e alle informazioni che ricevono durante il processo.
3. PROFeSSIONALITà IN FORMAzIONe
i docenti che hanno partecipato alla ricerca non sono tutti uguali. Sono diffe-renti per età, anni di esperienza, competenza. ciò che li accomuna, oltre ad unacerta sensibilità, che probabilmente introiettano anche con l’aria che respirano nel-l’ambiente salesiano, è un atteggiamento che non esiterei a definire etico, prima an-cora che psicologico: la fiducia nelle possibilità dei ragazzi e l’ostinazione a tro-vare vie di accesso a quel fortino che molto spesso i ragazzi erigono difensiva-mente, attorno a sé, e che non è facile espugnare. È questo che anima il loro agire ela loro presenza, il loro “esserci”1, in ogni circostanza.
1 È lo stesso atteggiamento di cui parla Pennac, nel suo Diario di scuola, quando esprime la con-sapevolezza che la possibilità che i ragazzi siano presenti a quello che fanno dipende fortemente dallapresenza dell’educatore: «...la presenza dei miei allievi dipende strettamente dalla mia: dal mio esserepresente all’intera classe e a ogni individuo in particolare, dalla mia presenza alla mia materia, dallamia presenza fisica, intellettuale e mentale, per i cinquantacinque minuti in cui durerà la mia lezione»(Pennac, 2008, p. 103). E anche i nostri formatori sanno calarsi appieno nelle loro classi, come il do-cente di cui parla Pennac: «...il professore è entrato, è assolutamente qui, si è visto dal suo modo diguardare, di salutare gli studenti, di sedersi, di prendere possesso della cattedra. non si è disperso pertimore delle loro reazioni, non si è chiuso in se stesso, no, è a suo agio, da subito, è presente, distingueogni volto, la classe esiste davanti ai suoi occhi» (ibid., p. 106, cfr. anche Tacconi, 2008b).
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la ricerca ha consentito una messa a fuoco a tutto tondo del sapere professio-nale dei “bravi” docenti2, che consiste in una molteplice fedeltà: quella epistemolo-gica, al valore disciplinare di ciò che propongono; quella psicologica, alle esigenzedegli allievi con cui operano, prima fra tutte l’esigenza che ciò che si chiede loroabbia per loro anche un senso; ma anche quella etica, ai volti concreti che interpel-lano la loro responsabilità di adulti.Potremmo ora chiederci: come si sviluppa tale sapere? Guido Armellini, inse-gnante di lettere in una scuola superiore, esprime in modo efficace come diversielementi di tale sapere si sviluppino proprio attraverso la pratica: «Personalmente,posso dire che la mia idea della letteratura è stata profondamente modificata dall’e-sperienza dell’insegnamento: in un’epoca di strutturalismo imperante, la convin-zione della necessità di un approccio ermeneutico all’esperienza letteraria è scatu-rita dal dialogo quotidiano coi miei studenti prima che dalla lettura di saggi teoricisull’argomento. credo che lo stesso si possa dire per molte e molti insegnanti, chenella loro pratica didattica hanno anticipato, magari senza averne una piena consa-pevolezza teorica, gli sviluppi del sapere specialistico. non si tratta dunque di ab-bassare il tiro per venire incontro allo squallore dei tempi, o di seguire le mode percorteggiare il gusto degli studenti, ma di riconoscere che il valore di un percorsodidattico non sta tanto nella sua imitazione pedissequa (e necessariamente subal-terna) del sapere accademico quanto nella sua capacità di promuovere nella classequell’incontro fra opera e lettore che Hans Robert Jauss definisce “ringiovanimentodel passato”» (Armellini, 2008, p. 36).Anche la nostra ricerca ha documentato a più riprese che la pratica didatticastessa rappresenta per i docenti uno dei principali luoghi generativi della cono-scenza professionale sia sugli oggetti culturali che sull’insegnamento. Ma più cheuno sguardo fisso sulla professionalità dei docenti, la ricerca ha consentito di evi-denziare un processo di costruzione di professionalità in atto, all’interno di una co-munità di pratica: durante la ricerca, infatti, nei vari momenti di condivisione delleesperienze in gruppo, si attivava spesso uno scambio tra esperti e novizi, dato cheai FG partecipavano anche docenti con pochi anni di esperienza. non è che i primifossero onniscienti e i secondi ignoranti. Anche il docente più esperto sa poco inconfronto all’infinità di cose che costituiscono il suo campo disciplinare e le altredimensioni del sapere professionale (Damiano, 2007b). E anche il docente ai suoiprimi anni di esperienza porta con sé un punto di vista legittimo e rilevante sull’in-segnamento. la differenza sta nel fatto che i docenti più esperti sanno che proprioai ragazzi e alle difficoltà incontrate con loro devono la maggior parte di quello chehanno imparato. Scambiare reciprocamente le esperienze ha consentito agli uni eagli altri di diventare maggiormente consapevoli che la pratica può essere una
2 in questo senso, la ricerca si inserisce in quel filone che intende studiare in che cosa consista ilcosiddetto “dono di saper insegnare”; cfr., in particolare, Weinert, 1996; Bain, 2004; Jackson, 2009.
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straordinaria sorgente di apprendimento, che questo sapere è prezioso e che l’unicomodo per non disperderlo è condividerlo con altri.Un’ultima considerazione nasce da una riflessione sul processo stesso della ri-cerca. in questo percorso, i formatori sono stati guidati ed aiutati a mettere in parolail loro sapere pratico che, proprio perché tale, non è sempre facilmente esprimibilein forma verbale e dunque comunicabile3. nel far questo, hanno potuto cogliere l’a-nalogia che esiste tra questo processo e ciò che essi stessi sono chiamati ad operarecon i propri allievi: accompagnarli a mettere in parola i saperi e i valori che sonoimplicati in ciò che fanno, nel momento in cui si confrontano con situazioni sfidantie tentano di rispondere ad esse in modo congruente e flessibile. Da questo punto divista, per coloro che hanno partecipato – ma l’auspicio è che questo valga anche perla maggior parte dei lettori –, la riflessione sul processo stesso della ricerca, e in ge-nere su quanto vissuto nella propria esperienza di formatori, può indicare una via di-datticamente feconda e percorribile con i ragazzi che frequentano i cFP.
4. PRATICHe e POLITICHe
Franz Weinert, in un suo articolo su ciò che fa “buono” un buon insegnante,cita la famosa frase di Hans Aebli: «Dove è all’opera un buon insegnante, il mondodiventa un po’ migliore» (Weinert, 1996, p. 141). Penso che, anche alla luce dellanostra ricerca, si possa sottoscrivere pienamente questa affermazione, cogliendoneanche la portata politica: nell’iFP abbiamo incontrato buoni insegnanti, capacidunque di offrire un contributo migliorativo alla società tutta e al mondo del lavoroin particolare.non si tratta di un’affermazione scontata, perché talvolta, nel dibattito pub-blico, sembra che la formazione professionale iniziale, avendo a che fare con il la-voro, non sia da considerare alla stregua delle istituzioni scolastiche e che anzi, permigliorare queste e l’efficacia della loro missione, sarebbe opportuno cancellare deltutto il “depotenziato” canale della formazione professionale iniziale. Alla base diquesto pregiudizio culturale nei confronti della formazione professionale ce n’èuno più profondo, nei confronti del lavoro, che ha una lunga tradizione, non solonel nostro paese (cfr. crawford, 2009). Fa bene, ad esempio, Paola Mastrocola,nella sua recente proposta di riforma del sistema scolastico, a denunciare come sba-gliata l’idea diffusa che «…il lavoro (manuale, artigianale, tecnico-pratico) sia cosavile, umiliante, degradante» (Mastrocola, 2011, p. 215) e ad augurarsi il supera-mento del blocco mentale che impedisce di vedere la ricchezza anche formativa diun lavoro ben fatto: «dovremmo recuperare stima e ammirazione per chi è capacedi costruire un tavolo, assistere un anziano, tagliare un vestito, rieducare un arto,
3 Sulla dimensione tacita e personale del sapere pratico, il riferimento obbligato è a Polany,1990, ma anche a Schön, 1983.
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produrre un cioccolatino, creare un gioiello, riparare un motore, un computer, unferro da stiro» (ibid., p. 220)4. Se tutto questo è vero, dovremmo recuperare stimaed ammirazione anche nei confronti della formazione professionale e riconoscere ilvalore politico che per un paese può avere il miglioramento di tale sistema.la ricerca non ha la pretesa di “dimostrare”, ma penso riesca a “mostrare”,spero in modo sufficientemente convincente, che iFP non significa necessariamente“meno scuola” o scuola di serie B, ma un modo diverso di fare scuola, capace diadattarsi con duttilità alle esigenze di soggetti che esprimono una spiccata prefe-renza per i saperi incarnati o – è l’altra faccia della medaglia – una profonda disaf-fezione nei confronti di modalità solo trasmissive, statiche e disincarnate di far fun-zionare la scuola. la ricerca sulle pratiche assume allora una valenza anche poli-tica, almeno per due ragioni: può innanzitutto aiutare i decisori e tutti coloro chehanno responsabilità sul sistema formativo a conoscere più in profondità e dunquead apprezzare meglio le potenzialità di questa tipologia di offerta formativa e il pa-trimonio di esperienze che in essa si è sviluppato in questi anni; inoltre, favorendo,anche attraverso la creazione di spazi di riflessione e di analisi, la crescita e lo svi-luppo professionale dei docenti, contribuisce a promuovere il miglioramento dellasocietà nel suo complesso.
4 Ho però l’impressione che, nonostante queste affermazioni, l’autrice di Togliamo il disturbo siaessa stessa prigioniera del pregiudizio che denuncia e non smetta di pensare che il lavoro non siaun’attività “formativa” in sé, ricca di saperi (ma anche di pensieri, idee, riflessioni, memorie, immagi-nazioni, valori ecc.), eventualmente da esplicitare, da portare alla luce del sole, ma che debba esserein qualche modo “nobilitato” dallo studio e dunque da un’aggiunta di saperi ad esso esterni e spessoestranei. Basti pensare alla sua critica alla “scuola delle competenze” (Mastrocola, 2011, pp. 137-146), ma anche alle pagine immediatamente successive (pp. 146-155), dove propone la sua accoratadifesa dei saperi che “…non si applicano a un bel niente, e non servono, e non si spendono” (p. 153)e denuncia quello che a suo parere sta avvenendo nella scuola: un “…restringimento della vita al soloambito lavorativo (e del lavoro a ‘problema da risolvere’!)”, che rischia di rendere la vita “tetramentetecnico-pratica” (idem). questo non toglie che alcuni suoi spunti possano essere in sintonia conquanto emerge dalla ricerca sugli insegnanti di italiano del cnoS-FAP. ne riporto alcuni: «…a mepiacerebbe un sacco che un fabbro conoscesse il concetto di amor de lonh: secondo me gli verrebberomeglio i cancelli. E a un orafo i monili, e a un falegname i tavoli e le sedie. noi dovremmo davveroinsegnare la poesia provenzale ai futuri fabbri, pasticceri, decoratori, elettricisti. E l’arte di Giotto e diVan Gogh, e il pensiero di Seneca e Voltaire… Penso questo profondamente, perché non riesco a to-gliermi dalla testa il modello Michelangelo, e l’esempio degli artisti del cinquecento a bottega: moltierano anche letterati e poeti, erano sapienti, erano artisti in senso totale, intrisi di cultura […]. Mi pia-cerebbe che si ricreasse un mondo così. E vorrei fortemente una scuola che a questo mondo prepa-rasse. credo che dovremmo batterci perché le scuole professionali e tecniche vadano in questa dire-zione» (ibid., pp. 216-217). E ancora: nelle scuole delle arti e dei mestieri «…mi piacerebbe che nonsi insegnassero solo le materie tecniche, quelle strettamente utili a creare le future “competenze” pro-fessionali. Mi piacerebbe s’insegnassero anche le materie inutili […]. in queste scuole si dovrebbe in-segnare […] ad amare la lettura, e l’ascolto della musica, e la contemplazione di opere d’arte. nondico la storia letteraria, o le varie interpretazioni del Barocco o l’elenco delle opere del caravaggio inordine cronologico. no, io parlo di un’educazione estetica. Sto pensando alla persona, prima ancorache alla sua professione, sto pensando alla sua vita in generale, alla sua giornata, a quando torna acasa e si rilassa. Mi piacerebbe che potesse rilassarsi anche ascoltando Mozart […]. Vorrei solo che cipossano essere, nella sua vita, anche i libri, le poesie, i concerti» (ibid., pp. 244-245).
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5. Bibliografia
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INdICe
SOMMARIO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3
1. INTROduzIONe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51. L’oggetto e gli obiettivi della ricerca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52. L’epistemologia di riferimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93. L’approccio metodologico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 114. La valenza formativa della ricerca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
2. IL PeRCORSO deLLA RICeRCA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 151. I partecipanti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 152. Il gruppo di ricerca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 173. Le fasi della ricerca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 183.1. L’osservazione etnografica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 193.2. Le interviste individuali: raccolta e prima analisi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 203.3. La raccolta di materiali elaborati dai docenti e dai CFP . . . . . . . . . . . . . 283.4. I Focus group realizzati nell’estate 2008 (FGIta/1 e 2): raccolta e analisi 293.5. La sistemazione dei materiali e la raccolta di dati integrativi . . . . . . . . . 303.6. La continuazione dell’analisi e la stesura di un primo report provvisorio 303.7. Il Focus Group realizzato nell’estate del 2009 (FGIta3): validazione inter-soggettiva dell’analisi dei dati raccolti delle fasi precedenti e ulterioreraccolta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 313.8. Il ritorno sull’analisi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 333.9. Il FG realizzato nell’autunno 2009 (FGIta4) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 333.10. L’analisi dell’intero corpus dei dati raccolti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 343.11. La scrittura del report finale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 343.12. La stesura del diario riflessivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35
3. I RISuLTATI deLLA RICeRCA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 371. Creare le condizioni relazionali per lavorare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 381.1. Aver cura della relazione, in particolare con chi si trova in difficoltà . . . 381.1.1. Agganciare gli sguardi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 401.1.2. Rapportarsi con autenticità: verso una relazione motivante . . . . . . 411.1.3. curare il clima della classe creando le condizioni per “mettersi a fare” 421.1.4. Gestire le provocazioni basate sul linguaggio . . . . . . . . . . . . . . . . . 431.2. Prevedere regole e confini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 451.2.1. Far sentire che si è parte di una comunità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 451.2.2. Attivare processi di negoziazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 471.2.3. Ricorrere ad un sistema di incentivi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 501.2.4. comunicare attenzione e rispettare la libertà dell’allievo: il casodella copiatura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 521.3. Organizzare lo spazio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53
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2. Organizzare la lezione in modo efficace . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 532.1. Curare l’avvio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 552.1.1. Riprendere il filo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 552.1.2. Fornire un inquadramento relativamente al percorso che si andrà asvolgere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 552.1.3. Stabilire fin dall’inizio un contatto emozionale . . . . . . . . . . . . . . . . 56a) Chiedere “Come va?” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56b) Controllare i compiti per comunicare attenzione . . . . . . . . . . . . 572.1.4. Educare al metodo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 592.2. Esplorare il punto di vista degli allievi dando loro la parola . . . . . . . . . . 602.2.1. i goal delle aspettative . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 612.2.2. “Adesso, dite la vostra!” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 622.2.3. il brainstorming . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 632.2.4. Decostruire . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 642.3. Esporre (e far esporre) con chiarezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 662.3.1. catturare l’interesse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 662.3.2. Schematizzare e far fare schemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 672.3.3. Far diventare il quaderno occasione di comunicazione educativa . . 692.3.4. Richiamare spesso il punto di arrivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 722.3.5. Far apprendere attraverso l’insegnamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 722.4. Rendere vitali i contenuti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 742.4.1. insegnare Dante ai meccanici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 752.4.2. Far cogliere l’utilità del percorso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 772.4.3. Utilizzare un registro narrativo nelle spiegazioni . . . . . . . . . . . . . . 782.4.4. Evidenziare i collegamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 792.5. Giocarsi diverse carte, variando i metodi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 812.5.1. Suddividere bene i tempi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 822.5.2. Variare gli approcci e le attività, lasciandosi guidare anche dagli“Uffa, prof…” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 832.5.3. inserire degli intermezzi per far “ricaricare le batterie” . . . . . . . . . 862.5.4. Rendere piacevole l’attività . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 872.6. Inserire momenti di lavoro in gruppo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 882.6.1. Promuovere ricerche di gruppo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 892.6.2. Attivare esperienze di apprendimento cooperativo . . . . . . . . . . . . . 902.6.3. Stimolare l’aiuto reciproco a coppie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 932.7. Guidare discussioni lavorando sulle domande . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 942.7.1. Far generare domande . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 942.7.2. offrire una griglia di domande per cercare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 952.7.3. l’esperto delle domande “inutili” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 962.8. Concludere tirando le somme e raccogliendo eventuali lavori . . . . . . . . . 972.9. La ricchezza di pratiche “povere” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 973. valorizzare l’esperienza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 983.1. Far toccare con mano gli oggetti di apprendimento . . . . . . . . . . . . . . . . . 993.1.1. Agganciare i contenuti all’esperienza degli allievi . . . . . . . . . . . . . 993.1.2. Selezionare i contenuti con attenzione anche a ciò che può esseresignificativo per gli allievi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1013.1.3. Partire da situazioni simulate e/o esempi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1053.1.4. Attualizzare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 110
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3.4. Far raccontare esperienze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1113.4.1. Far vivere esperienze che aiutino a pensare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1113.4.2. Proporre l’esperienza di scrivere per comunicare . . . . . . . . . . . . . . 1163.4.3. Stimolare racconti orali su esperienze vissute . . . . . . . . . . . . . . . . . 1183.5. Dare spazio ad esperienze basate su immagini e musica . . . . . . . . . . . . . 1193.5.1. Valorizzare alcuni elementi della cultura multimediale dei ragazzi 1193.5.2. Far analizzare immagini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1203.5.3. Proporre un ciclo di film . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1213.5.4. Utilizzare un video come stimolo per la scrittura personale e ladiscussione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1223.5.5. Partire dall’ascolto di brani musicali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1243.5.6. Analizzare messaggi pubblicitari per riflettere sul “senso poeticodella vita” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1253.6. Far vivere esperienze teatrali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1283.6.1. Andare a teatro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1283.6.2. Fare teatro in classe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1293.7. Far riflettere sulla lingua d’uso (la grammatica) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1343.7.1. Rilevare il valore d’uso della lingua . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1343.7.2. Accompagnare percorsi di meta-riflessione sulla lingua . . . . . . . . . 1373.7.3. orientare ad una esplorazione autonoma del libro di grammatica . 1403.7.4. Guidare all’arricchimento del lessico facendo costruire un perso-nale glossario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 141
4. Creare le condizioni perché si possa leggere e scrivere con piacere . . . . . . . 1424.1. Leggere e far leggere ad alta voce, per gli altri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1434.2. Far riflettere su di sé a partire da ciò che si legge . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1444.3. Personalizzare il rapporto con il libro e con gli autori . . . . . . . . . . . . . . . 1454.4. Far analizzare un testo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1464.5. Far reinventare il finale dei libri letti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1484.6. “Adesso tocca a voi!”. Far scrivere creativamente . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1494.6.1. Far riscrivere testi classici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1494.6.2. Far collegare testi classici a prodotti culturali contemporanei . . . . . 1514.6.3. Assegnare consegne di scrittura con specifiche ben definite . . . . . . 1534.7. Quando leggere e scrivere non sono un piacere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 153
5. Collegare il percorso di educazione linguistica alla pratica lavorativa . . . . 1565.1. Interagire con i docenti di laboratorio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1575.2. Creare situazioni in cui scrivere e parlare siano percepiti come compitivicini alla pratica professionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1595.2.1. la presentazione della propria azienda simulata o del proprio indi-rizzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1615.2.2. la relazione tecnica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1625.2.3. la stesura del proprio curriculum vitae . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1655.2.4. l’offerta tecnica in risposta ad una commessa di lavoro . . . . . . . . . 1665.3. Far realizzare compiti professionali interdisciplinari e complessi . . . . . . 1675.3.1. il caso del libro sui diritti umani con i grafici . . . . . . . . . . . . . . . . . 1675.3.2. il book di presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1715.3.3. il libretto delle istruzioni sull’uso di un prodotto di laboratorio . . . 171
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5.3.4. la guida turistica della propria città . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1735.4. Far analizzare esperienze lavorative . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 174
6. Assegnare compiti autentici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1756.1. Compiti da giornalista . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1766.1.1. l’articolo di giornale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1766.1.2. la prima pagina di un giornale del passato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1796.1.3. Piccole recensioni per la pagina culturale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1796.1.4. la rassegna stampa o la rassegna tematica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1806.2. Compiti di simulazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1816.2.1. Simulazioni di vendita, televendita o colloquio telefonico . . . . . . . 1826.2.2. conversazioni simulate tra compagni di viaggio . . . . . . . . . . . . . . . 1836.2.3. Giochi di ruolo e altre simulazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1846.3. Compiti di persuasione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1856.3.1. la discussione sui pro e i contro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1866.3.2. il processo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1876.3.3. il messaggio pubblicitario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1876.4. Compiti di ricerca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 189
7. valutare per aiutare a crescere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1917.1. Monitorare continuamente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1927.2. Gestire efficacemente le prove strutturate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1937.3. Offrire occasioni di recupero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1947.4. Stimolare l’autovalutazione e la valutazione tra pari . . . . . . . . . . . . . . . . 1957.5. Gestire accuratamente la restituzione delle prove corrette . . . . . . . . . . . . 1967.6. Curare in particolare la correzione dei temi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1977.6.1. Definire i criteri di valutazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1977.6.2. costruire un repertorio di temi da mostrare e su cui riflettere . . . . . 1997.6.3. introdurre messaggi di ascolto nel giudizio di valutazione dei temi 2007.7. Introdurre prove di valutazione autentica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2017.8. Far costruire il portfolio dell’allievo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2037.9. Attivare forme di triangolazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 204
4. CONCLuSIONe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2071. un sapere vivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2072. una didattica sensibile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2083. Professionalità in formazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2104. Pratiche e politiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 212
5. BIBLIOgRAFIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 215
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Pubblicazioni 2002-2011
nella collana del CNOS-FAP e del CIOFS/FP
“STUDI, PROGETTI, ESPERIENZE PER UNA NUOVA FORMAZIONE PROFESSIONALE”
ISSN 1972-3032
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