L'apprendimento mobile attivo in presenza di tecnologie digitali. Rapporto finale della sperimentazione iCNOS del CNOS-FAP

Autore: 
Roberto Franchini
Categoria pubblicazione: 
Progetti
Anno: 
2016
Numero pagine: 
139
Codice: 
978-88-95640-62-4
Roberto FRANCHINI L’APPRENDIMENTO MOBILE ATTIVO IN PRESENZA DI TECNOLOGIE DIGITALI Rapporto finale della sperimentazione iCNOS del CNOS-FAP Anno 2016 Coordinamento scientifico: Dario Nicoli (Università Cattolica di Brescia) Hanno collaborato: Matteo D’ANDREA: Segretario Nazionale settore Automotive. Dalila DRAZZA: Sede Nazionale CNOS-FAP – Ufficio Metodologico-Tecnico-Didattico. FIAT GROUP Automobiles. Comunità professionale AUTOMOTIVE: Angelo ALIQUÒ, Gianni BUFFA, Roberto CAVAGLIÀ, Egidio CIRIGLIANO, Luciano CLINCO, Domenico FERRANDO, Paolo GROPPELLI, Nicola MERLI, Roberto PARTATA, Lorenzo PIROTTA, Antonio PORZIO, Roberto SARTORELLO, Fabio SAVINO, Giampaolo SINTONI, Dario RUBERI. © 2016 By Sede Nazionale del CNOS-FAP (Centro Nazionale Opere Salesiane - Formazione Aggiornamento Professionale) Via Appia Antica, 78 - 00179 Roma Tel.: 06 5107751 - Fax 06 5137028 E-mail: cnosfap.nazionale@cnos-fap.it – http: www.cnos-fap.it SOMMARIO INTRODUZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 1. Il progetto iCNOS: l’idea e gli indicatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 2. Il progetto iCNOS: la sperimentazione triennale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 3. Esperienze internazionali a confronto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 4. L’educativo digitale: un nuovo paradigma? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51 5. L’educativo digitale e i Bisogni Educativi Speciali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69 6. L’educativo digitale e la dispersione scolastica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83 7. L’apprendimento visibile. Una prima valutazione d’impatto del progetto iCNOS . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91 BIBLIOGRAFIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105 Allegato 1: Linee guida per l’apprendimento attivo in presenza di tecnologie . . . . . 109 Allegato 2: Checklist sulle Linee Guida . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 131 INDICE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133 3 5 INTRODUZIONE La scuola italiana, in ogni suo settore, e dunque anche nell’Istruzione e Forma- zione Professionale, sembra trovarsi in una crisi dalle dimensioni profonde, fati- cando a compiere l’invocato cambiamento di paradigma che dalla didattica delle conoscenze conduce alla didattica delle competenze. Il confronto internazionale, gli studi, le ricerche e le esperienze sembrano non essere bastate a motivare, sostenere e indurre le trasformazioni richieste: l’istituzione scolastica è tuttora profondamente ancorata ai suoi retaggi, fatti di aule, cattedre, banchi e libri di testo. Laddove ha almeno parzialmente fallito la parenetica pedagogica potrebbe riuscire il fattore tecnologico: l’introduzione del tablet, infatti, richiede mutamenti radicali nel modo di concepire il rapporto tra insegnamento e apprendimento. Si può infatti affermare che le più profonde trasformazioni culturali in ogni ambito, e dunque anche in quello pedagogico e didattico, si avverano quando sono precedute da altrettanto profonde trasformazioni tecnologiche, tali da richiedere un ripensamento dei modi consueti di pensare e di agire. Più difficile è, invece, il movi- mento contrario, cioè che i mutamenti di cultura inducano innovazioni nelle appli- cazioni tecnologiche. Può capitare ancora che la crisi di un sistema, con le sue istanze di discernimento, scelta e cambiamento, trovi nei ritrovati tecnologici un potente agente trasformativo, più forte di altre motivazioni e incentivi. È questo forse il caso della scuola: da tempo si ha l’impressione che il tradizionale assetto, dispiegato in aule, banchi, libri e disci- pline, si trovi in una crisi dalle dimensioni impensabili sino a non molto tempo fa. La risposta alla crisi della scuola è stata da più parti individuata nella didattica per competenze, capace probabilmente di superare, inglobandola, l’obsoleta didatti- ca delle conoscenze. Tuttavia, dopo un decennio almeno di studi, ricerche ed espe- rienze, si ha l’impressione che la struttura profonda dell’insegnamento non sia affat- to cambiata, e che i nodi centrali della nuova didattica (la centralità dello studente, l’unità di apprendimento, la valutazione formativa, etc.) costituiscano una sorta di sovrastruttura, piacevole per gli insegnanti innovatori, sostanzialmente osteggiata dall’establishment nel suo complesso. È in questo contesto di incertezza che si può collocare il dirompente potenziale dell’utilizzo del tablet nella didattica. A ben vedere, il nuovo dispositivo mal si adat- ta agli scenari pedagogici consueti ma, non appena utilizzato, richiama una nuova pedagogia, o pad-agogia1 dell’apprendimento, finendo per mettere a dura prova la 1 Cfr. BRAND J., KINASH S. (2010), Pad-agogy: A quasi-experimental and ethnographic pilot test of the iPad in a blended mobile learning environment, in C.H. STEEL, M.J. KEPPELL, P. GERBIC & 6 capacità di cambiamento delle istituzioni che lo adottano, magari senza immaginare dove esso tende a portarle. Probabilmente, dunque, saranno i nuovi media a indurre quei cambiamenti che la cultura pedagogica, da sola, non è riuscita a realizzare, dando concretezza agli affascinanti slogan della didattica per competenze: la didattica per problemi e sco- perte, la costruzione cooperativa delle conoscenze e l’autoregolazione dello stu- dente. Significativa a questo proposito è l’esperienza del Liceo Lussara di Bergamo, che già da tempo è impegnato in un processo di innovazione che, partendo dalla tecnologia, giunge ai presupposti di fondo della didattica, ovvero del rapporto tra insegnamento e apprendimento. I cinque punti fermi, dichiarati all’intero dell’e-book che narra la sperimentazione, sono i seguenti: • «L’innovazione tecnologica non ha un valore in sé ma assume un significato soltanto se e quando diventa veicolo e/o occasione di innovazione organizza- tiva e metodologico-didattica. • L’innovazione tecnologica non può essere attuata sporadicamente, ma implica l’interazione “virtuosa” tra tutti gli attori che interagiscono in un contesto omogeneo, la continuità nel tempo e il consolidamento di buone prassi. • Le innovazioni più significative sono quelle che riescono a diventare patri- monio condiviso di tutti i soggetti coinvolti (insegnanti, studenti, dirigenti, ge- nitori, referenti...) e innescano processi orientati al miglioramento della qualità complessiva dell’organizzazione in cui si collocano. Qualsiasi innovazione tecnologica implica una “visione” sistemica e richiede che si mettano in atto investimenti costanti, strategie permanenti di supporto ai soggetti coinvolti e politiche flessibili di alfabetizzazione, formazione continua e aggiornamento delle competenze. Le innovazioni metodologiche più significative che le tecnologie possono age- volare o sostenere sono quelle che riportano lo studente al centro del processo di apprendimento e lo spingono ad essere “attivamente coinvolto”»2. In un articolo neanche tanto recente (e precedente l’avvento del tablet) del pro- fessor Brian Alexander una potente metafora illustra in forma incisiva il cambia- mento richiesto: dallo studente sedentario, collocato su un banco nella passiva rice- zione di messaggi e conoscenze, allo studente nomade, impegnato nel movimento S. HOUSEGO (Eds.), Curriculum, technology & transformation for an unknown future. Proceedings ASCILITE, Sydney, pp. 147-151. 2 Cfr. BARDI D., CASTELLI C., CUSCONÀ S., MORA P., MOROSINI E., ROTTA M., TESTA S. & TESTONI C. (Eds.) (2011), Oltre la carta: in aula con gli IPad e gli eBook reader. Strategie, strumenti, appunti e riflessioni per una sperimentazione sull’uso integrato di mobile device e contenuti digitali personalizzati nella scuola secondaria superiore: il caso del Liceo F. Lussana di Bergamo, Milano, Nova Multimedia Editore, pp. 23-24, scaricabile dal sito http://sperimentando.liceolussana.com/ebook sperimentazione/PMLKE_eBook_sperimentazione_vdef3.pdf 7 costruttivo che lo spinge ad intrattenere conversazioni e a ricercare informazioni lungo l’asse scuola - dispositivo mobile - mondo3. La domanda, particolarmente incisiva, che ne scaturisce è la seguente: le no- stre scuole, concepite per l’accoglienza dello studente sedentario, saranno in grado di trasformarsi in funzione del nomadismo dello studente digitale? Il rischio è evi- dente: come già è avvenuto per la Lavagna Digitale, la deriva consiste nell’utilizzo dei nuovi strumenti all’interno dello scenario tradizionale, come protesi migliora- tiva della lezione, lasciando immutati i ruoli di insegnante e studente. Tuttavia, se la LIM in qualche modo si prestava a questo gioco, in quanto facilmente preda, nella sua immobilità, di un insegnamento frontale, l’iPad, nella sua mobilità, o per- sino nella sua intimità (legata al possesso dello studente) mette in crisi questo approccio: l’insegnante che lo utilizza per far lezione corre seriamente il rischio di avere di fronte allievi solo apparentemente coinvolti, ma in realtà “deviati” dai potenti stimoli provenienti dal tablet, invisibili agli occhi dell’adulto. 3 Cfr. ALEXANDER B. (2004), Going Nomadic: Mobile Learning in Higher Education, in Educause review, 39/5. 9 1. Il progetto iCNOS: l’idea e gli indicatori Alcuni Centri di Formazione Professionale salesiani, sotto il coordinamento del CNOS-FAP, sono da circa un triennio ingaggiati in un’esperienza di innova- zione non solo tecnologica, ma anche e soprattutto pedagogica e didattica. L’idea di innovazione era nata al termine di un’indagine svolta nel corso del- l’anno 2012 sull’utilizzo dei dispositivi didattici nei centri salesiani. La ricerca si era posta come obiettivo la verifica della congruenza tra gli strumenti didattici (con particolare riferimento ai sussidi – libri, software, etc. – e ai mediatori – es. La- vagna Interattiva Multimediale o altro) con il paradigma pedagogico proprio della didattica costruttivista e con la descrizione dei traguardi di apprendimento del Quadro Europeo delle Qualifiche (ed in generale degli standard in vigore nei per- corsi triennali)1. In questo modo si aveva l’intenzione di esplicitare il cosiddetto hidden curri- culum (curriculum nascosto)2 dei formatori e dei centri in generale, attraverso un percorso induttivo che, al posto di presupporre la pedagogia delle competenze, per immaginarne le ricadute didattiche, esplorasse le pratiche didattiche in essere, per mettere in evidenza i loro presupposti impliciti. Tra gli innumerevoli aspetti di pra- tica educativa, dal punto di vista metodologico, l’analisi ha operato nella direzione di una rassegna ragionata dei sussidi e ausili in uso nei percorsi triennali, attra- verso: • la costruzione e distribuzione di un questionario, volto a indagare quali sussidi/ ausili sono di uso più frequente, e in quali ambiti; • la raccolta mirata di evidenze (libri, software, etc.) e la loro analisi di conte- nuto, alla luce dei descrittori del Quadro Europeo delle Qualifiche (livello di complessità nelle conoscenze, abilità e competenze coinvolte). I risultati della ricerca evidenziarono un impiego consistente dei libri di testo, come strumenti utilizzati in modo pervasivo sia nel lavoro a scuola che nello studio a casa. Il libro di testo sembrava essere risorsa in qualche modo esclusiva: infatti, la 1 Vedi Accordo Stato-Regioni del 27 luglio 2011 per il passaggio a nuovo ordinamento dei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale di cui al decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226. 2 Per hidden curriculum si intende un approccio implicito e nascosto negli atteggiamenti del docente, radicato più nelle abitudini e nei presupposti inconsci che nelle condizioni didattiche esplicite. L’allievo è un vaso da riempire? Un ragazzaccio da raddrizzare? un bambino da alfabetizzare? Far emergere il curricolo nascosto è fondamentale ogni qual volta non si tratta semplicemente di introdurre un nuovo metodo didattico, ma di incidere sul paradigma educativo di fondo. Cfr. ad es. MARTIN J. (1983), What should we do with a hidden curriculum when we find one? The hidden curriculum and moral education, McCutchan Publishing Corporation, 1983, pp. 122-139. 10 biblioteca, presente in un certo numero di Centri di Formazione Professionale, non risultava utilizzata come luogo di ricerca e di apprendimento. Anche dal punto di vista dei media didattici si ottenne una conferma di un impianto didattico tradizio- nale pre valente, basato su strumenti di “presentazione” frontale, o nella forma clas- sica (lavagna) o nella forma più evoluta (PC con videoproiettore, LIM). La ricerca consisteva, inoltre, in un’analisi qualitativa dei libri di testo più adottati nei Centri di Formazione Professionale nell’ambito dell’insegnamento degli assi culturali; da tale analisi emersero le seguenti ulteriori considerazioni: – nell’area linguistica vigeva un insegnamento riguardante soprattutto gli ele- menti grammaticali e sintattici, con un profilo ben distante da una didattica delle competenze. Gli esercizi contenuti nei libri erano per lo più tradizionali (riempimento, cloze, declinazione, riconoscimento, etc.). Anche nei libri dove era presente una certa attenzione alla produzione linguistica sembrava emer- gere una sorta di “logica del prima e del poi”: prima studi la grammatica, poi la metti in pratica. Rispetto agli standard di riferimento, risultavano per lo più assenti i linguaggi artistici ed espressivi, la comprensione e la produzione di testi multimediali, come anche la richiesta curvatura verso il linguaggio in am- bito professionale; – nell’area matematica prevaleva la dimensione algebrica formale, mentre la risoluzione di problemi, strategica sia in ambito scientifico che professionale, risultava carente. Gli esercizi contenuti nei libri di testo erano per lo più “per- fetti”, distanti dalla vita reale e da quella professionale. Infine, mancava com- pletamente l’informatica come risorsa da mobilitare rispetto alla competenza matematica (c’era dunque da chiedersi se l’uso delle tecnologie fosse ritenuto un ostacolo rispetto ad un apprendimento mnemonico e algoritmico); – nell’area scientifica, dal confronto con gli standard in termini di competenze risultava carente l’ancoraggio alle problematiche ambientali. Nei testi esami- nati non c’era alcuna attenzione alla logica dell’esperimento scientifico. Man- cava inoltre completamente il riferimento alle competenze tecnologiche. Per quanto riguarda gli esercizi contenuti nei volumi, essi erano quasi completa- mente “astratti”, facendo riferimento non agli elementi reali, ma a componenti formali come ad esempio, nel campo della fisica, asticelle e vettori; – nell’area storico-socio-economica, il profilo dei testi era per lo più orientato sulle conoscenze storiche, mentre rispetto al confronto con gli standard in termini di competenze risultava debole l’analisi diacronica e sincronica. L’an- coraggio al presente era debole o assente, mentre il mondo del lavoro faticava ad affermarsi quale soggetto di analisi socioeconomica. Insomma, la storia non è magistra vitae! Nell’area del diritto esistevano in realtà alcuni volumi con spunti interessanti rispetto all’orientamento personale e professionale, con rife- rimento anche ad abilità, come ad esempio la redazione del curriculum vitae, la ricerca nelle banche-dati, etc. 11 In sintesi, la ricerca ha evidenziato la permanenza e la pervicacia di un mo- dello didattico che oggi potrebbe essere denominato classe 1.0, fortemente orien- tato alla trasmissione di conoscenze e connotato da elementi organizzativi tradizio- nali, che possono essere così riassunti: • Prevalenza della lezione frontale, a fine di veicolazione di saperi; • Organizzazione degli spazi a funzione trasmissiva (cattedra, strumenti di pre- sentazione, banchi, etc.); • Rapporto quasi esclusivo tra insegnante e classe, intesa come gruppo intero, in condizione passiva di ascolto; • Orario scolastico frammentato per discipline, con un numero generalmente elevato di docenti; • Uso massivo del libro di testo come strumento di fruizione passiva e riprodut- tiva di conoscenze; • Valutazione sommativa di saperi, sotto forma di riproduzione mnemonica degli acquisiti. A seguito di questa analisi, e dei suoi risvolti critici in qualche modo scioc- canti, in un ambiente come quello salesiano, da anni impegnato nel movimento per le competenze, è nato l’interesse alla promozione della cosiddetta classe digitale, vale a dire di un’aula ove le nuove tecnologie (con particolare riferimento ai Tablet e alle applicazioni multimediali che essi hanno in dotazione) potenziano elementi di interattività, interazione e costruzione dei saperi e delle competenze. L’ipotesi, tutta da verificare, era che l’impiego estensivo del tablet potesse fa- cilitare la didattica per competenze, modellandosi intorno ad alcune caratteristiche: – Trasformazione del ruolo dell’insegnante, da fornitore di conoscenze a educa- tore, oltre che a facilitatore di processi di ricerca e di interazione significativa; – Ricerca e utilizzo attivo di risorse disponibili (conoscenze distribuite) in fun- zione di mandati di lavoro complessi e interdisciplinari; – Produzione di oggetti multimediali, che reticolano conoscenze di vari ambiti disciplinari, rapportandole a scopi comunicativi e costruttivi; – Valutazione intesa come stima di compiti reali. L’intento progettuale consisteva dunque in una modifica profonda nell’ap- proccio al rapporto tra insegnamento e apprendimento, spostando il baricentro dal- l’insegnante all’allievo, dalla parola all’azione, dall’ascolto alla collaborazione e alla negoziazione. Modello 1.0: il libro di testo Modello attivo Il sapere È fissato È costruito La fonte L’insegnante, il libro Il mondo, noi stessi, gli altri Modalità Trasmissiva Ricerca, costruzione Strumento La parola (lezione frontale) L’azione (ricerca e mobilitazione di risorse interne ed esterne) 12 Se il modello attivo è già da tempo invalso nella didattica di area professionale (si pensi a questo proposito alla struttura di un laboratorio di meccanica o di enoga- stronomia) i new-media, con riferimento a strumenti informatici come i tablet e ad ambienti sociali di apprendimento e interazione come i podcast e i social network, potrebbero rappresentare risorse importanti per il reale sviluppo di una didattica per competenze anche nell’ambito degli assi culturali. Nel cosiddetto mobile learning3, infatti, l’allievo è potenzialmente libero di accedere ad ogni contenuto, in qualsiasi momento e da qualsiasi luogo, mante- nendo il controllo sulle proprie attività di acquisizione di saperi e competenze, e sviluppando nel tempo la capacità di costruire, in autonomia o insieme ad altri, nuovi oggetti di apprendimento, per “commerciarli” all’interno dello spazio web inteso come comunità di apprendisti. È evidente che un’impostazione siffatta muta profondamente il setting tradi- zionale dell’istituzione scolastica, facilitando il conseguimento di obiettivi altri- menti difficilmente raggiungibili, quali: • la diminuzione del tasso di dispersione e di insuccesso scolastico; • l’aumento del tipo e del numero di attività iniziate dallo studente; • la diminuzione quantitativa del tempo di didattica frontale; • l’aumento del tempo di interazione tra studenti e tra questi e l’insegnante; • l’integrazione tra competenze tecnologiche ed informatiche con competenze di asse culturale e professionale. Naturalmente un cambiamento di questo tipo, come già accennato, richiede probabilmente una importante revisione dell’organizzazione scolastica, a partire dagli spazi per giungere agli orari e ai tempi di apprendimento, al fine di facilitare l’interazione, l’autonomia e la responsabilità. Spazio e tempo, oltre al ruolo più o meno attivo dell’insegnante o dell’allievo, sono in effetti alcune delle dimensioni più rilevanti di quello che può essere defi- nito come setting educativo, concetto che vale a denotare lo spazio fisico e relazio- nale in cui si gioca il rapporto formativo, richiamando sinteticamente un complesso di azioni intenzionali non facilmente riassumibili da un unico segno linguistico: posizionare nello spazio, collocare, regolare, muovere, assegnare e ordinare, sono tutte azioni che il sostantivo inglese evoca e che in un modo o nell’altro richiamano l’intenzionalità pedagogica, prima ancora di quella psicologica e terapeutica. Lo spazio al cui interno si compie la pratica educativa è appunto uno spazio non casuale, ma articolato e ordinato, luogo nel quale i protagonisti (in particolare l’inse- gnante e l’allievo) e i contenuti sono mossi da un progetto regolativo, in modo tale da assegnare ad ogni elemento il suo posto nell’insieme ordinato dell’unico processo formativo. 3 ALLY M. (Ed.) (2009), Mobile Learning: transforming the delivery of education and traing, Edmonton, Canada, Athabasca University Press. Tradizionale Presenza di cattedra e banchi Spazio articolato in angoli e punti di ricerca Strutturato dall’insegnante Orario frammentato per discipline Il tempo è legato all’attività di ricerca degli studenti Gruppo­classe in rapporto con l’insegnante Gruppi in libero movimento nello spazio educativo (mobile learning) L’insegnante struttura, inizia, verifica e sorveglia L’insegnante facilita l’iniziativa dei gruppi, incoraggiando e intervenendo quando necessario Innovativo 13 In realtà, spesso nell’Istruzione e Formazione Professionale vige la tradizio- nale conformazione dello spazio scolastico, costruita da cattedra e banchi, sui quali gli studenti svolgono ogni tipo di attività, in forma individuale. Nello spazio inno- vativo, invece, si supera il concetto scolastico di aula: l’ambiente di apprendimento è diffusamente articolato in angoli, in modo tale da facilitare la ricerca, l’intera- zione e la collaborazione. Una distinzione simile può essere fatta sul tempo: il tempo tradizionale è scan- dito dall’iniziativa dell’insegnante, che struttura una serie di attività, che vanno dalla lezione all’interrogazione. Nel tempo innovativo, invece, gli studenti, oltre ad esplorare liberamente lo spazio educativo, si avvicendano in attività cangianti, secondo il ritmo del loro interesse e della loro iniziativa. Altra variabile importante del setting educativo riguarda la conformazione dei gruppi. Il raggruppamento tradizionale corrisponde all’impostazione ben conosciuta della classe: un numero ampio di studenti, in genere della stessa età, si rapporta come un tutto all’insegnante, che ha il gravoso compito di iniziare le attività e di mantenere su di sé l’attenzione di tutti, almeno nelle fasi di trasmissione dei conte- nuti. Nell’impostazione innovativa, che corrisponde alla soluzione spaziale, i gruppi, piccoli e stabili, si muovono all’interno dell’ambiente di apprendimento, selezio- nando gli stimoli, e svolgendo in forma autonoma l’attività, sotto lo sguardo appa- rentemente disimpegnato dell’insegnante. Infine, nelle diverse soluzioni cambia notevolmente il ruolo, la posizione e il livello di normatività dell’insegnante. Nell’impostazione tradizionale è lui che struttura l’attività, catalizza l’attenzione degli studenti, verifica il loro impegno (e a volte anche i loro risultati). Nell’impostazione innovativa, l’iniziativa si sposta sui gruppi di studenti, che si muovono liberamente nello spazio virtuale del mobile learning, come anche in spazi fisici come gli angoli o la biblioteca. L’insegnante facilita l’iniziativa, sostiene, incoraggia e, quando necessario, interviene per rego- lare i tempi o avviare la risoluzione di conflitti. Nella tabella successiva sono riassunte le scelte appena descritte che, come affermato, determinano le scelte (più o meno consapevolmente allestite) del setting educativo: Posizione e normatività dell’insegnante GruppiUso del tempoUso dello spazio 14 Negli ultimi anni l’OCSE ha premiato istituzioni scolastiche impegnate in pro- cessi di ripensamento dello spazio scolastico. Nelle scuole premiate sono facil- mente individuabili le scelte innovative: gli spazi sono aperti, trasparenti, adattabili e flessibili, mentre la presenza di sale di accoglienza e di spazi per il lavoro di gruppo denotano l’attenzione semiotica alla centralità dello studente4. Anche la Fin- landia, paese noto per i suoi ottimi risultati nelle indagini OCSE-PISA, ha di re- cente pubblicato uno studio sulle sue migliori architetture scolastiche, evidenziando gli stessi ingredienti dell’innovazione5. Alla luce dei presupposti pedagogi e didattici appena individuati, il CNOS- FAP ha avviato un progetto sperimentale, che prevede l’introduzione dell’iPad nei CFP, attraverso il progressivo coinvolgimento di alcuni di essi e del loro staff didattico. La formazione del docente è una variabile essenziale del progetto: il ruolo del docente, infatti, piuttosto che essere “dimezzato” dall’introduzione dei new-media, diviene in realtà ancora più importante e delicato. Mentre la funzione di trasmis- sione dei saperi è per così dire semplice (ripetitiva, standard), quella di facilitazione delle competenze in vista dell’uso profittevole dei nuovi strumenti (minimizzando i rischi di un uso superficiale e riproduttivo) è in realtà più complessa e impegnativa, estendendosi dalla predisposizione di mandati di lavoro all’aiuto nell’individua- zione delle risorse, dall’esempio esperto nell’utilizzo delle applicazioni, alla valuta- zione dei prodotti finali. Pertanto, la prima fase del progetto era mirata alla formazione dei referenti di progetto e, a cascata, dei formatori, attraverso i seguenti passi: – Individuazione delle classi di alcuni CFP per sperimentare l’introduzione del- l’iPad nell’azione didattica. – Dotazione dell’iPad per precoce familiarizzazione (formula del noleggio). – Formazione all’uso dello strumento e degli applicativi utili a scopo didattico, per mettere i docenti selezionati nella condizione di:  approfondire l’impiego di strumenti e di metodologie per lo sviluppo della creatività didattica;  scambiare esperienze d’uso valutandone i percorsi e ottimizzando le scelte;  diffondere l’uso didattico di iPad presso i colleghi;  esplorare le potenzialità dello strumento. 4 Cfr. OECD CENTRE FOR EFFECTIVE LEARNING ENVIRONMENT (2011), Designing for Education. Compendium of Exemplary Educational Facilities, scaricabile dal sito http://www.oecd.org/edu/inno- vation-education/centreforeffectivelearningenvironmentscele/designingforeducationcompendiumofex- emplaryeducationalfacilities2011.htm 5 JETSONEN S., JOAHNSON E., NUIKKINEN K., SAHLBERG P., The best school in the world, reperibile al sito http://www.iperbole.bologna.it/iperbole/adi/XoopsAdi/uploads/PDdownloads/finland_schools_ book.pdf 15 A tal fine dal punto di vista tecnologico sono stati affrontati i seguenti snodi metodologici: • Sistemi di condivisione di risorse in groupware: elenco e percorsi possibili, metodi e simulazione di casi; • Progettazione, creazione, pubblicazione e distribuzione di eBook in formato ePub e multi touch, dalle dispense ai libri di testo, manuali e cataloghi, con esperienze dirette guidate; • Creazione di format della lezione con iPad e strumenti di creazione e distribu- zione audio-video, dalla Talk lesson al video documentario, passando dal pod- casting; • Sistemi di collaborazione con server Mac, Wiki, Google App; organizzazione e gestione di sistemi collaborativi attraverso sistemi di social tagging e il modello YouTube. Dal punto di vista pedagogico e didattico sono state condivise le finalità gene- rali della sperimentazione, in termini sia di prospettive pedagogiche che di obiettivi minimi, in funzione di opportunità e vincoli di ogni singolo Centro di Formazione Professionale coinvolto, a partire dalla percezione di come i formati di lezione, gli spazi, i tempi e gruppi sarebbero potuti cambiare in funzione della classe aumentata. Gli esiti di questo iniziale processo di condivisione hanno dato luogo alla scelta prudente di partire dagli assetti tradizionali, per introdurre via via quei cambiamenti che, si sperava, avrebbero consentito, di cogliere tutto il potenziale trasformativo dell’introduzione dell’iPad. Contemporaneamente, al fine di facilitare la progressiva attuazione del pro- getto, il CNOS-FAP ha predisposto un comitato tecnico-scientifico, che ha avuto il compito di mettere in atto una serie di interventi di supporto: • Supporto tecnologico. I referenti nazionali di progetto hanno garantito in modo continuo ed estensivo: - un servizio di supporto per le problematiche tecnologiche, ivi compresa la consulenza sulle infrastrutture di rete; - predisposizione di un sito wiki (ipad.cnos-fap.it) ove condividere le rifles- sioni e le esperienze, insieme alla puntuale diffusione di news riguardanti l’individuazione di nuove App potenzialmente utili per la didattica e alla promozione di una banca-dati dove poter scambiare esperienze significa- tive tra Centri di Formazione Professionale (esempi di UdA, prodotti signi- ficativi degli studenti, e-book, video a potenziale emulativo, etc.). • Supporto pedagogico. Il referente pedagogico di progetto ha svolto interventi nei singoli Centri di Formazione Professionale o aree territoriali onde discutere eventuali problematiche di carattere pedagogico e didattico (esempio: effettiva possibilità di cambiare elementi organizzativi, resistenze e vincoli, problemati - che pedagogiche, come ad esempio la congruenza tra le UdA, le modalità didat- tiche e gli standard nazionali, cambiamento nella modalità di valutazione, etc.). 6 Cfr. ad es. MARMARELLI T., RINGLE M. (2011), The Reed College iPad study, Portland OR: Reed College, disponibile al sito http://web.reed.edu/cis/about/ipad_pilot/Reed_ipad_report.pdf 16 Il Comitato Scientifico, d’intesa con i referenti dei CFP, ha infine fissato in modo condiviso alcuni indicatori, utili a scandire tappe di progressiva attuazione del progetto. Questi obiettivi minimi riguardavano sia elementi di carattere tecnolo- gico (introduzione di metodologie di condivisione dei documenti, utilizzo di si- stemi di Mobile Device Management) che di carattere organizzativo e pedagogico (definizione di un regolamento sull’uso del tablet, produzione di ebook sia da parte degli insegnanti che da parte degli allievi, introduzione di proposte innovative nella definizione degli orari e dello spazio scolastico, rilancio della biblioteca come luogo dove i ragazzi possono rintracciare materiali utili alla costruzione e condivi- sione di conoscenze). Gli indicatori così delineati dovevano servire ad una progressiva valutazione di efficacia di un progetto del quale si intravedevano le potenzialità, ma anche le pro- babili difficoltà che un’istituzione secolare come quella scolastica incontra quando affronta temi di innovazione didattica, tra paura di cambiamento e incertezza sugli esiti. Ci si augurava così di poter analizzare compiutamente vantaggi e limiti della pad-agogia, per analogia con studi similari, che in realtà avevano già evidenziato il positivo impatto dell’introduzione del tablet sugli stili di apprendimento e sulle competenze dei nostri studenti6. 17 2. Il progetto iCNOS: la sperimentazione triennale Dopo tre anni di sperimentazione è possibile provare a fare un primo bilancio, che evidenzi i probabili errori e i presunti punti di forza, allo scopo di distillare l’esperienza, traendone indicazioni per il futuro. Per riuscire a mettere a punto un’analisi il più possibile completa, la riflessione verrà articolata intorno a tre fasi storiche del progetto, suddivise tra loro in modo artificiale, più ai fini di modelliz- zazione che di meri intenti cronachistici: – la fase pioneristica, – la fase di stallo, – la ripartenza. 2.1. LA FASE PIONERISTICA Come già descritto nel primo capitolo, l’idea di innovazione nacque al termine di un’indagine svolta sull’utilizzo dei dispositivi didattici nei Centri di Formazione Professionale salesiani. La ricerca aveva messo in luce una sorta di incongruenza tra il paradigma pedagogico ispirato al concetto di competenza e la pratica quoti- diana degli insegnanti (particolarmente negli assi culturali): emergeva, infatti, un uso consistente dei libri di testo, come strumento utilizzato in modo pervasivo sia nel lavoro a scuola che nello studio a casa. Anche dal punto di vista dei media di- dattici si imponeva l’evidenza di un impianto didattico tradizionale, basato su stru- menti di “presentazione” frontale, o nella forma classica (lavagna) o nella forma più evoluta (PC con videoproiettore, LIM). In sintesi, l’indagine aveva evidenziato la permanenza, o persino la pervicacia, del modello didattico cells and bells, o anche scuola 1.0, fortemente orientato alla trasmissione riproduttiva dei saperi e connotato da elementi organizzativi tradizio- nali, che possono essere così riassunti: • Prevalenza della lezione frontale, a fine di veicolazione di saperi; • Organizzazione degli spazi a funzione trasmissiva (cattedra, strumenti di pre- sentazione, banchi, etc.); • Rapporto quasi esclusivo tra insegnante e classe, intesa come gruppo intero, in condizione passiva di ascolto; • Orario scolastico frammentato per discipline, con un numero generalmente elevato di docenti; • Uso massivo del libro di testo come strumento di fruizione passiva e riprodut- tiva di conoscenze; 18 • Valutazione sommativa di saperi, sotto forma di riproduzione mnemonica degli acquisiti. Da qui era nato l’interesse alla promozione della cosiddetta classe 2.0, vale a dire di una scuola ove le nuove tecnologie (con particolare riferimento ai Tablet e alle applicazioni multimediali che essi hanno in dotazione) potessero costituire una sorta di “leva” di innovazione, in grado di generare elementi di interattività, intera- zione e costruzione dei saperi e delle competenze. Le coordinate generali del progetto iCNOS erano le seguenti: • Trasformazione del ruolo dell’insegnante, da fornitore di conoscenze a facilita- tore di processi di ricerca e di interazione significativa; • Ricerca e utilizzo attivo di risorse disponibili (conoscenze distribuite) in fun- zione di mandati di lavoro complessi e creativi; • Produzione di oggetti multimediali, che reticolano conoscenze di vari ambiti disciplinari, rapportandole a scopi comunicativi e costruttivi; • Valutazione intesa come stima di compiti reali. La finalità generale era riconducibile alla volontà di estendere il modello attivo, già da tempo invalso nella didattica di area professionale, anche alla didattica degli assi culturali: i nuovi dispositivi individuali, come tablet e smartphone, sembravano di per se stessi idonei a generare ambienti sociali di apprendimento. L’inedita possi- bilità di mettere al lavoro gli allievi, creando ebook, podcast e video, sembrava poter rappresentare una risorsa importante per il reale sviluppo di una didattica laborato- riale anche nell’ambito di discipline quali italiano, matematica e scienze. L’ap- proccio al rapporto tra insegnamento e apprendimento poteva così mutare profonda- mente, spostando il baricentro dall’insegnante all’allievo, dalla parola all’azione, dall’ascolto alla collaborazione e alla negoziazione. In realtà, sin dalle prime battute del progetto iCNOS prevalse una sorta di pru- denza pensosa: condivise le finalità generali, i centri coinvolti scelsero di fatto di introdurre il tablet in classe, certamente accompagnandolo con azioni formative, ma senza mettere mano a cambiamenti organizzativi rilevanti. In questo scenario, la programmazione iniziale si è articolata intorno a due elementi: la riflessione pe- dagogica per così dire di scenario (rivolta ai docenti) e l’investimento tecnologico (gestito dai tecnici dei centri). A proposito di quest’ultimo, nei cinque centri del primo anno di sperimenta- zione lo sforzo non è stato indifferente: sono stati infatti consegnati agli allievi circa 370 iPad, mentre parallelamente, oltre all’acquisto degli iPad anche per i formatori, si è dovuto procedere al potenziamento dei server e delle reti senza fili, alla predisposizione di sistemi di verifica (es. iGroove, Aereohive, etc.) e di Mobile Device Management e all’installazione di tecnologie AirPlay (nello specifico AppleTV). Presentando per sommi capi gli esiti del primo anno di sperimentazione, oc- corre dire che il bilancio non fu esaltante: infatti, prevalse nettamente un uso sem- 19 plicemente migliorativo del tablet, con rari esempi di uso trasformativo1: in sintesi, la tecnologia venne utilizzata per i medesimi compiti che venivano perseguiti in sua assenza (esempio: fornire dispense, acquistare libri, prendere appunti), mentre solo in qualche occasione la tecnologia divenne occasione per realizzare nuovi compiti e sfide, prima inconcepibili. Al di là dell’uso più banale e in qualche modo estrinseco alla didattica (esempio: il registro elettronico), dai resoconti del primo anno emergono infatti in modo consistente le seguenti modalità di fruizione del tablet: – acquisto di libri digitali, spesso in combinazione con il libro tradizionale (op- zione in qualche caso piuttosto onerosa) – condivisione di dispense attraverso sistemi come dropbox e googledrive, o in alternativa attraverso il semplice uso della email; – in qualche caso, condivisione anche dei lavori degli allievi, in forma di ap- punti, presentazioni e mappe concettuali. Alcune testimonianze illustrano in modo incisivo quanto appena affermato. Un insegnante di religione riporta: «La sperimentazione prevedeva l’utilizzo dell’iPad come strumento per prendere appunti in maniera chiara ed organizzata. Al termine di alcune lezioni gli studenti hanno dovuto schematizzare attraverso MindMeister o Idea Sketch il contenuto della lezione ed esporlo al docente. Per alcuni approfondi- menti si è fatto uso di internet ed il materiale ricavato è stato organizzato e presen- tato con Keynote». Ancora, un insegnante di storia: «Per il ripasso del programma del primo anno sono stati riportati i file in pages e condivisi con la classe, la quale poi ha realizzato degli schemi o mappe concettuali con applicazioni adatte (a scelta dell’allievo)». Un insegnante di italiano: «È stato richiesto all’allievo di realizzare le composizioni scritte settimanali su Notability e di inviarle per la correzione. Ogni allievo ha una cartella nella quale raccoglie i temi corretti e valutati». L’ultimo esempio riguarda un’insegnante di tecnologia grafica: anche in questo caso, davvero singolare, il formatore non ha coinvolto gli allievi nel produrre un oggetto didattico (coinvolgendo così, oltre alle conoscenze, anche le abilità e competenze tecnolo- giche), ma ha riprodotto il libro di testo in modalità migliorativa: «Ho ri portato me- diante iBooks Author un libro di testo (nostro) per iPad. Il lavoro non è così breve, ma secondo me il risultato ottenuto è un buon compromesso tra libro tradizionale e multimedialità. Servirebbe più tempo per inserire anche alcune domande». Le testimonianze di questo tipo risultano nel primo anno maggioritarie ed estensive. Tuttavia, è significativo riportare anche i primi esempi di uso trasforma- tivo del tablet, situazioni cioè nelle quali emergono due ingredienti fondamentali, ovvero il protagonismo creativo degli allievi e la produzione di “oggetti didattici” inediti, quali ebook e video. Un insegnante di inglese racconta: «La sperimenta- 1 Per una più chiara distinzione tra uso migliorativo e uso trasformativo del dispositivo si veda il capitolo quarto. 20 zione consiste nel trovare materiale online e assemblarlo per costruire un libro as- sieme, con tutti gli argomenti trattati in classe». Un insegnante di storia: «Leg- giamo in classe alcune pagine dell’e-book da me elaborato e stiamo organizzando una ricerca di materiali in modo da arrivare alla stesura di un e-book di classe». Ancora, davvero significativa è la testimonianza di un formatore di area grafica: «Si è voluto realizzare una video recensione di un prodotto a loro scelta. Dopo aver analizzato assieme il creator play book di YouTube per capire le dinamiche che stanno alla base di uno show online, sono passati alla registrazione delle immagini con l’uso di iPad, con una app separata hanno realizzato il commento audio, i file sono poi stati trasferiti con wifi Photo e quindi montati con Final CUT pro». Infine, innovativa e trasformativa è l’iniziativa di un insegnante di italiano e di un forma- tore di ambito tecnologico dello stesso centro, entrambi impegnati a convogliare su un blog diverse tipologie di produzioni degli allievi nei rispettivi ambiti (video, testi, etc.)2. Al termine del primo anno di sperimentazione è stato distribuito a 446 allievi e a 93 formatori un questionario, volto a comprendere l’utilizzo prevalente del tablet. Senza riportare per intero i dati ottenuti, è bene mettere in luce alcuni item partico- larmente critici e descrittivi: una delle domande chiedeva di identificare, all’interno di tre scelte (due di carattere migliorativo e una di carattere trasformativo) l’uso prevalente del tablet. Come è visibile, l’accordo tra formatori e allievi è (una volta tanto) pieno: solo il 15% del campione dichiara come prevalente l’uso trasformativo del tablet nella didattica. Tabella 1 - Risposte degli allievi Strumento che usa il docente per proiettare lezioni e spiegazioni 182 1% Strumento che usa lo studente per prendere appunti o eseguire compiti 201 45% Strumento a disposizione degli studenti per costruire lavori che prima non aveva mai fatto (video, podcast, etc.) 65 14% Tabella 2 - Risposte dei formatori Strumento che usa il docente per proiettare lezioni e spiegazioni 23 25% Strumento che usa lo studente per prendere appunti o eseguire compiti 56 60% Strumento a disposizione degli studenti per costruire lavori che prima non aveva mai fatto (video, podcast, etc.) 14 15% Questo dato è pienamente confermato da una domanda maggiormente di detta- glio, che indagava lo scopo specifico prevalente di utilizzo del device. Il tablet ri- 2 Cfr. cfpmanfredini.wordpress.com (tecnologia) e manfrelisa.wordpress.com (italiano). 21 sultò essere usato dal docente per l’impiego prevalente di software di presentazione (powerpoint e keynote) e, reciprocamente, dallo studente per prendere appunti du- rante una lezione frontale. Tabella 3 - Risposte dei formatori Ricercare notizie e informazioni via Internet (es. sistemi wiki, siti Internet etc.) 40 43% Costruire presentazioni (keynote, powerpoint, etc.) 53 57% Costruire lavori innovativi 7 8% Prendere appunti 46 49% Ricevere compiti dal docente e restituirli (test, produzioni scritte, etc.) 40 43% Tabella 4 - Risposte degli allievi Ricercare notizie e informazioni via Internet (es. sistemi wiki, siti Internet, etc.) 121 27% Costruire presentazioni (keynote, powerpoint, etc.) 139 31% Costruire lavori innovativi 49 11% Prendere appunti 110 25% Ricevere compiti dal docente e restituirli (test, produzioni scritte, etc.) 29 7% La modalità migliorativa era indirettamente suffragata anche dall’analisi dei fattori organizzativi che, come deciso ancora a monte del primo anno di sperimen- tazione, non subirono alcun tipo di modifica: l’aula rimase nella sua prossemica frontale, mentre sotto il profilo del tempo solo raramente i formatori avevano pro- vato ad accorpare blocchi minimi di due ore consecutive (in realtà il minimo essen- ziale per consentire agli allievi di mettersi al lavoro). Nel frattempo, risultò a tutti evidente il grande rischio connesso all’intro - duzione non trasformativa del tablet: fare lezione di fronte ad un gruppo di allievi dotati dell’attraente dispositivo rischia di essere una missione impervia, in quanto, come testimonia un formatore, gli allievi sono «(...) troppo lenti nell’eseguire e prendere appunti e soprattutto molto distratti dal device. Intasano la rete ascol- tando la musica su YouTube e perdono tempo con la miriade di giochi che si sono in stallati». Subdolamente, gli allievi sembrano silenziosi e attenti, ingaggiati nel prendere appunti, mentre in realtà l’attività in corso non ha nulla a che fare con la lezione. Ancora il racconto di un docente: «La difficoltà principale è quella di togliere dalla testa dei ragazzi la voglia di giocare con l’iPad. Sembra non sempre facile obbli- gare i ragazzi all’uso del tablet per soli fini didattici». «Non hanno ancora capito che l’iPad è uno strumento di lavoro» e spesso: «Si distraggono in maniera poco evidente perché, comunque, rimangono in silenzio con il rischio che questo passi inosservato». 22 In sintesi, l’esperienza del primo anno ha dimostrato che il tablet, all’interno di un uso semplicemente migliorativo, se da una parte migliora il piacere di stare a scuola, dall’altra ha un impatto dubbio, se non addirittura peggiorativo, sull’ap- prendimento degli studenti. Occorreva dunque riflettere e fare un passo in avanti, alla ricerca delle condizioni organizzative, prima che didattiche, che potessero con- sentire un uso efficace dello strumento. 2.2. LA FASE DI STALLO Nel secondo anno di sperimentazione, mentre i centri aderenti crescevano esponenzialmente, si assunse piena coscienza di un andamento per così dire a mac- chia di leopardo: alcuni formatori, attenti e innovativi, avevano tentato di fare un passo in avanti verso un uso trasformativo del tablet, mentre altri avevano persino rallentato, spaventati da una qualche evidenza di insuccesso sperimentata durante il primo anno. In questo modo, si aveva la sensazione che all’interno delle organizza- zioni formative si stesse avverando una sorta di divaricazione, con il rischio di con- trapporre un gruppo di formatori entusiasti con un altro gruppo, più numeroso, di formatori avversi alla novità. Insomma, si stava verificando una pericolosa situa- zione di stallo, che poteva rendere non valutabile l’intera sperimentazione, in quanto non condotta con coerenza e piena intenzionalità lungo l’arco triennale pre- visto a progetto. Tutto questo sembrava accadere sotto gli occhi neutrali dei direttori dei centri, mediamente non molto coinvolti nella progettazione educativa e didattica. L’auto- nomia didattica dei formatori, pur in presenza di azioni formative e di aggiorna- mento, non stava producendo gli esiti desiderati. Al contempo, tuttavia, ci si accorse che laddove, come in alcuni centri, le figure direttive avevano preso una chiara posizione a favore della sperimentazione, modifi- cando alcuni fattori organizzativi e pianificando azioni di sistema, i cambiamenti erano più evidenti, e pertanto anche più incisivi sul piano delle ricadute didattiche. Come è noto non è per nulla semplice coordinare l’attività dei docenti, o al- meno influenzare le loro pratiche didattiche, ma durante il secondo anno è stato possibile rilevare alcune pratiche virtuose: un direttore di centro, per esempio, aveva introdotto un modulo di rilevazione delle attività didattiche con iPad, chie- dendo ai docenti di progettare almeno un’esperienza trasformativa, indicando la data in cui essa avveniva, per poter essere affiancati da un altro formatore, ai fini di monitoraggio, analisi e riflessione comune. Nello stesso centro erano stati avviati gruppi tematici di ricerca didattica, al fine di trarre indicazioni comuni di ambito disciplinare e/o trasversale (es. l’uso della webquest in italiano, le modalità di valutazione degli oggetti didattici, etc.). Un altro centro ha predisposto una sorta di vademecum, consegnato ai formatori come traccia da seguire per le loro attività didattiche con il tablet. 23 Questa situazione molto differenziata suggerì il possibile itinerario di una ripartenza: l’introduzione del tablet richiedeva azioni non riconducibili semplice- mente alla sensibilità e allo spirito d’iniziativa del formatore, ma esigeva forme più strutturate di coordinamento didattico, che lasciassero meno spazio al tradizionale mito dell’autonomia del docente. Da qui nacque la decisione di intraprendere un percorso più integrale, che coinvolgesse pienamente i diversi livelli di responsabilità all’interno delle organiz- zazioni formative, con l’intenzione di riuscire finalmente a manipolare gli elementi chiave del setting scolastico, ovvero gli spazi, i tempi, i gruppi. Si trattava dunque di una nuova sfida, che verteva più sulle modalità di coordinamento e di program- mazione formativa che sulle attività didattiche in senso stretto. Insomma, riscon- trata l’insufficienza di misure semplicemente formative (aggiornamento, confronto periodico, etc.), si andò alla ricerca di uno strumento che potesse costituire una leva di cambiamento organizzativo, responsabilizzando direttori e coordinatori didattici intorno ad obiettivi comuni. In questo scenario, nacque l’idea di elaborare una Linea Guida sull’uso del tablet nelle organizzazioni formative, un testo concreto che rappresentasse il consenso della comunità educativa salesiana intorno agli elementi essenziali della nuova didattica. Il gruppo di progetto stese la prima bozza, che fu in seguito sotto- posta ad una capillare azione di modifica, correzione e integrazione da parte dei responsabili di tutti i centri coinvolti, e infine approvata unanimemente. Il documento, frutto del lavoro comune, consiste in una serie di ventuno racco- mandazioni pedagogiche, didattiche, organizzative e tecnologiche che costituiscono i principi base di un uso trasformativo, che non si limita a introdurre la tecnologia nell’orizzonte della tradizionale didattica, ma riforma l’approccio di insegnamento, approfittando delle potenzialità offerte dai nuovi strumenti. Ogni raccomandazione è corredata da alcune indicazioni pratiche, che ne costituiscono l’espressione con- creta sul piano di ciò che effettivamente accade nelle aule e, più in generale, nelle organizzazioni3. Da segnalare, infine, nel corso del secondo anno e come ulteriore strumento di crescita organizzativa, la pianificazione di iniziative di confronto con altre espe- rienze di innovazione scolastica. In particolare, la visita all’Ørestad Gymnasium di Copenaghen, che ha visto partecipi un gruppo di direttori, coordinatori e formatori dei centri coinvolti, ha dispiegato l’orizzonte di una organizzazione scolastica intenzionalmente costruita e progettata per stimolare creatività e collaborazione negli studenti4. 3 Le Linee Guida sono in Allegato 1. 4 Per il confronto con esperienze internazionali si veda il capitolo successivo (cap. 3). 24 2.3. LA RIPARTENZA Il terzo anno di sperimentazione partì dunque sotto l’egida dell’adozione delle Linee Guida, e dunque sotto un accordo sostanziale di scenario e di obiettivi con- creti. Parallelamente, mentre l’adesione dei centri aumentava a macchia d’olio, cre- sceva la sensazione di trovarsi di fronte non semplicemente ad un miglioramento tecnologico o all’impiego di una nuova metodologia didattica, ma ad un vero e pro- prio cambiamento di paradigma, un terremoto paragonabile a quello provocato nel Seicento dall’invenzione della stampa. In questo scenario, si generò un nuovo slancio che, pur facendo i conti con i retaggi e i limiti delle attuali organizzazioni, contribuì a creare una rete di contatti, iniziative formative, azioni di sistema ed esperimenti organizzativi, naturalmente a densità variabile. Come accompagnamento al terzo anno di sperimentazione si decise di conse- gnare ai centri coinvolti un ulteriore strumento di verifica, consistente in una check- list sulle raccomandazioni e le indicazioni operative delle Linee Guida5, al fine di agevolare il confronto e l’analisi organizzativa continua dei centri. Parallelamente, fu consegnato ai formatori un questionario di rilevazione degli atteggiamenti. La check-list per l’analisi organizzativa rivelò, come era prevedibile, un quadro di incertezza, con un blocco di alcuni centri che sembravano aver imboccato la via del cambiamento, e un blocco di altri centri invece che non erano stati in grado di introdurre misure organizzative di accompagnamento. Alcuni item critici della checklist (come ad esempio la presenza di isole di banchi, l’accorpamento di moduli orari, la produzione di oggetti digitali da parte degli allievi) presentavano dati tra loro contrastanti, con un certo numero di “sì”, omogeneo nei vari item, e un certo numero di “no”, anch’esso costante nelle varie voci della lista di controllo. Tuttavia, rispetto al secondo anno, dalle risposte ottenute nel campo destinato ai commenti si deduceva un maggiore impegno dei direttori/coordinatori nel sugge- rire le linee educative e didattiche, senza tuttavia imporle (ammesso che sia possi- bile, per i ben noti vincoli non tanto organizzativi quanto contrattuali). In sostanza, il cambiamento sembra ancora essere nelle mani dei formatori, provocati al muta- mento ma lasciati nell’autonomia per quanto riguarda l’effettiva adesione. Ad esempio, per quanto riguarda i blocchi orari (indispensabili per l’attività collaborativa e creativa degli allievi) alcuni direttori/coordinatori scrivono: «Non sempre è possibile ma quasi tutti gli insegnanti che lo hanno richiesto hanno avuto la possibilità di accorpare le ore a blocchi di due», oppure: «L’esigenza è stata ac- colta ogni volta che è stata richiesta». Ancora, e più significativamente, per quanto riguarda la presenza di una effettiva leadership didattica emergono risposte contra- stanti: «Esiste un formatore leader, non è dotato di tempo e poteri dedicati, tuttavia coordina le attività legate alle innovazioni didattiche»; «Una persona propone, 5 Cfr. Allegato 2. 25 risorse libri, corsi e cerca di animare il cambio della didattica»; «Nei gruppi omo- genei ci sono leader che alternativamente e per volontariato dedicano tempo» perché “il potere non esiste”; l’affermazione più chiara e incoraggiante è la seguente: «È presente fin dall’inizio del progetto un coordinatore di progetto per la gestione e realizzazione delle linee e obiettivi decise con la direzione». Il questionario di atteggiamenti, invece, rivelò una più piena adesione al cam- biamento in atto, con un’apertura fiduciosa sugli esiti dei lavori in corso. Alla domanda: “che giudizio complessivo dai del tuo lavoro” il 29% del campione, costituito da 251 formatori, affermava di aver raggiunto buoni risultati, e di essere oramai appassionato del nuovo approccio; il 60% dei formatori sosteneva invece di avere risultati altalenanti, ma riportando su di sé la causa (e confessando di poter migliorare in futuro); solo l’8% riteneva di avere avuto risultati scarsi, mentre il 3%, se avesse potuto, sarebbe tornato indietro. Risultava ancora più significativo il sostanziale plebiscito che i formatori espressero al riguardo della seguente domanda: “quanto ritieni utili le nuove tecno- logie nella didattica”. Infatti, il 24% dei formatori sostenne l’indispensabilità della tecnologia, mentre il rimanente 76% optò per la categoria dell’utilità, sotto l’om- brello di regole chiare e definite a monte. Solo un formatore sui 251 dichiarò che si sarebbe dovuto tornare indietro. In sintesi, durante il terzo anno è cresciuta sensibilmente l’adesione dei forma- tori, attenuando o persino annullando la divaricazione tra entusiasti e critici riscon- trata all’inizio del secondo anno; parallelamente, sembra rimanere oggettivamente debole il ruolo dei direttori/coordinatori, non tanto al riguardo della loro adesione al progetto, quanto alla loro effettiva possibilità (o capacità) di indurre e strutturare il cambiamento, trasformandosi in leader educativi, oltre che responsabili organiz- zativi ed amministrativi. Le difficoltà sono oggettivamente non di poco conto: la strutturazione tradizio- nale degli spazi, la mentalità degli uffici amministrativi interni, da una parte, e degli organismi ispettivi esterni, dall’altra (entrambi abituati a verificare la correttezza for- male di orari granulari, firme e assetti statici), l’attuale situazione di crisi che im- pegna tempo ed energia nel garantire finanziamenti e accordi, la rigidità dei contratti, le routine istituzionali, le normative sempre più soffocanti sulla sicurezza, insomma la sfida del cambiamento affronta una serie di fattori certamente non facilitanti. Tuttavia, l’impressione è che la rotta sia oramai tracciata e che la forza educa- tiva del carisma salesiano, l’iniziativa delle persone che se ne lasciano contagiare e l’effetto dirompente delle nuove tecnologie alla fine prevarranno, a disegnare, prima sperimentalmente e poi istituzionalmente, un nuovo paradigma formativo, capace di esaltare la dimensione laboratoriale, la creatività, il senso critico e la col- laborazione, nel solco della vitalità della scuola cristiana in Italia e nel mondo. In questo modo, la scuola delle competenze per la vita cesserà definitivamente di rap- presentare una semplice parenetica pedagogica, per diventare lo scenario per la cre- scita di buoni cristiani e onesti cittadini. 27 3. Esperienze internazionali a confronto Con il proseguo della sperimentazione, il comitato scientifico, d’intesa con il gruppo dei direttori e coordinatori dei CFP coinvolti, divenne sempre più con - sapevole che il cambiamento richiesto non era riducibile alla semplice adozione di un nuovo metodo didattico o di una nuova tecnologia, ma ad un vero e proprio mu- tamento di paradigma1. Contemporaneamente, crebbe la convinzione che il nuovo paradigma potesse favorire il rilancio, in ottica carismatica, della componente educativa nel mondo scolastico salesiano. Infatti, le esperienze di innovazione in atto evidenziano in modo concorde il ridimensionamento del ruolo tradizionale della lezione frontale, aprendo nuovi spazi per modalità interattive, per così dire oratoriali, di apprendi- mento e relazione tra docenti e studenti. Se la visione sembrava chiara, non così la rotta: di fronte ad un cambiamento di questa portata nessuno poteva dire di avere già ricette risolutive; la fretta avrebbe potuto recare esiti disastrosi, conducendo i processi formativi entro le strette di forme lassiste e disimpegnate di esperienza scolastica. Pertanto, si decise di procedere ad un confronto serrato con altre esperienze, nazionali ed internazionali, in modo da essere aiutati ad identificare gli elementi portanti del nuovo progetto educativo, atti a garantire un reale apprendimento in uno scenario nuovo. In questa prospettiva, il gruppo di direttori e referenti della sperimentazione ha posto in atto due tipologie di azione: – un confronto pratico, attraverso visita guidata, a due scuole innovative:  la prima, l’Ørestad Gymnasium di Copenaghen, rappresenta un’esperienza ormai nota di utilizzo avanzato delle nuove tecnologie entro lo scenario di un’architettura scolastica inedita, in quanto progettata e costruita all’inizio del nuovo millennio con riferimento ai nuovi scenari didattici;  la seconda, la Future Tech Studio School di Warrington, appartiene al Trust delle Studio School, un gruppo di scuole professionali inglesi che stanno attuando un approccio pedagogico fortemente centrato sulle attività degli studenti, secondo il modello del Project Based Learning; – una riflessione teorica e pratica sul concetto di classi capovolte (flipped class- room) e sulle condizioni pedagogiche ed organizzative della loro presunta effi- cacia. 1 Confronta l’ipotesi contenuta nel capitolo seguente e riguardante l’avvento del nuovo para- digma il cosiddetto educativo digitale. 28 3.1. ØRESTAD GYMNASIUM: TECNOLOGIA E ARCHITETTURA AL SERVIZIO DELL’EDU- CAZIONE La scuola, un istituto di istruzione secondaria superiore (età 16-19 anni), si colloca in un’area nuova tra Copenaghen e l’aeroporto, edificata a partire dai primi anni del 2000 per farne un polo di sviluppo e traino culturale in risposta alla crescente domanda da parte della popolazione e delle attività economiche di una Copenaghen in rapida espansione. La filosofia e il modello pedagogico sono stati elaborati dalla municipalità di Copenaghen che li ha inseriti in un bando, vinto da una società privata di architetti (3XN), incaricata in seguito della progettazione della scuola. Seguendo le linee del modello pedagogico contenuto nel bando la società, capitanata da Kim Herforth Nielsen, ha presentato e realizzato un progetto di scuola intesa come contenitore attivo per un sapere basato sull’interdisciplinarietà e sull’uso dell’Information Technology. L’istituto, infatti, con indirizzo in comunicazione e media, procura a ogni suo allievo un dispositivo individuale, che diviene il principale strumento di lavoro all’interno dell’edificio, coperto da rete wi-fi. Il costo totale è stato di 27 milioni di euro per 12.000 metri quadri. L’edificio rivoluziona ampiamente il concetto di edilizia scolastica: le aule sono in gran parte sostituite da spazi flessibili, i piani sono connessi e aperti, mentre gli arredi modu- lari, a fronte di un numero esiguo di elementi architettonici fissi, consentono di ottenere facilmente grandi spazi per lezioni corali, postazioni per piccoli team o zone per studio individuale. La mensa al piano terra è allo stesso tempo un luogo di lavoro individuale e cooperativo e uno spazio informale di incontro, ma anche un anfiteatro a gradoni, dal quale si guarda alla palestra, pensata per prestarsi a ricoprire il ruolo di teatro o comunque di area multifunzionale. Muovendosi all’interno dell’edificio si percorre una grande scala elicoidale in- terna, elegante e fluido elemento di collegamento che gli studenti utilizzano anche come luogo di sosta vero e proprio, come fosse la scalinata di una piazza. La di- mensione sociale sembra prevalere su quella scolastica tradizionalmente intesa, rompendo i consueti schemi didattici: il confine tra studio e relazioni, tra lavoro in- tellettuale e collaborazione è difatti impercettibile. Insomma, lo spazio rispecchia le più avanzate tendenze internazionali riguardo all’educazione e all’ambiente di apprendimento, prevedendo ambienti dinamici e vicini alla vita quotidiana, in cui la comunicazione e l’interazione sono facilitate. Il fine ultimo è di rafforzare la capacità degli studenti di gestire autonomamente il proprio lavoro, sia individualmente che in gruppo, accrescendone così la respon- sabilità personale rispetto al percorso scolastico. Visitando l’edificio è possibile toccare con mano i possibili esiti del percorso appena intrapreso, almeno sulla carta, dal Ministero dell’Istruzione italiano, quando nelle premesse alle Linee Guida per l’Edilizia Scolastica del 2013 afferma: «Per molto tempo l’aula è stata il luogo unico dell’istruzione scolastica. Tutti gli spazi 29 della scuola erano subordinati alla centralità dell’aula (...) Questi luoghi erano vissuti in una sorta di tempo ‘altro’ rispetto a quello della didattica quotidiana. Ogni spazio era pensato per una unica attività e restava inutilizzato per tutto il resto del tempo scuola (...) Oggi emerge la necessità di vedere la scuola come uno spazio unico integrato in cui i microambienti finalizzati ad attività diversificate hanno la stessa dignità e presentano caratteri di abitabilità e flessibilità in grado di accogliere in ogni momento persone e attività della scuola offrendo caratteristiche di funzio- nalità, comfort e benessere»2. La scuola è un Liceo inizialmente pensato per 715 studenti e che a tutt’oggi, probabilmente grazie alla sua flessibilità, ne ospita circa milleduecento, dando risposta ad un’ampia richiesta che viene anche da fuori Copenaghen. Ma qual è il modello pedagogico che ha ispirato la municipalità di Copenaghen nella costru- zione della nuova scuola? Le questioni centrali intorno alle quali ruota il progetto educativo del Liceo possono essere espresse attraverso tre concetti chiave: 1. creatività, 2. desiderio di apprendere, 3. stare bene a scuola. Insomma, l’impostazione didattica del liceo intende rispondere a tre sfide cen- trali: è possibile garantire che i giovani siano messi in grado di divenire prota - gonisti attivi dei propri percorsi di apprendimento, utilizzando la loro creatività? È possibile suscitare negli studenti un reale desiderio di apprendere, che superi i re- taggi dello studio come imposizione operata dagli adulti? Infine, è concepibile che l’esperienza scolastica sia contrassegnata da un’atmosfera di benessere, andando oltre (non contro) l’univoca equazione tra apprendimento e dovere, tra percorso scolastico e costrizione? Il perseguimento di questi valori, in gran parte inediti nelle prassi e nei pro- cessi di istruzione, passa attraverso il ridimensionamento della lezione frontale, strumento privilegiato del precedente paradigma, ovvero dell’educativo cartaceo. In questo orizzonte, la tecnologia non deve essere intesa come l’elemento saliente del paradigma, ma semplicemente come il simbolo e lo strumento della coopera- zione e dell’interazione, capace con la sua dirompenza di rendere obsoleto il mo- dello trasmissivo, costringendo gli educatori a costruire percorsi didattici centrati sullo studente. La stessa dislocazione degli spazi e il numero esiguo delle classi tradizionali (nemmeno una ventina per i milleduecento studenti) induce i docenti a progettare una varietà di percorsi e modalità di insegnamento/apprendimento: in una scuola 2 MIUR - MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA, Linee guida per l’edilizia scola- stica. Scuole più sicure e spazi di apprendimento al passo con l’innovazione digitale. Norme tecniche e quadro, aprile 2013, scaricabili dal sito http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/alfresco/d/d/workspace/ SpacesStore/8130e730-2e8c-4b03-ab12-e37ab5d59849/cs110413_all1.pdf 3 Cfr. G. MOSCATO - L. TOSI, Ørestad Gymnasium: una scuola senza carta. Un luogo abitabile nella sua totalità, che crea occasioni di apprendimento, http://www.indire.it/content/index.php?ac- tion= read&id=1774 30 fatta da aule aperte, isole cooperative e salotti, il docente non può più affidarsi solo alle capacità espositive e ai metodi di verifica tradizionali, ma deve progettare atti- vità didattiche in cui gli alunni possano lavorare su percorsi individualizzati e allo stesso tempo collaborativi. Le tipologie di ambienti disponibili sono infatti quattro: • aule tradizionali, • spazi per l’apprendimento cooperativo, • spazi per l’apprendimento individuale (virtual teaching), • spazi per il contatto col mondo reale attraverso videoconferenza. L’aula dunque rappresenta solo un aspetto della vita scolastica, mentre altre ti- pologie di risorse strutturali e strumentali contribuiscono alla creazione di un clima positivo sia per chi studia e sia per chi insegna. In questo modo la stessa prossemica richiama l’importanza di un approccio blended, coniugando aspetti e metodi dell’ap- prendimento tradizionale (lezione frontale, o comunque comunicazione interperso- nale diretta), con aspetti e metodi dell’apprendimento online, con il reperimento di risorse esterne e di modalità di interazione a distanza che esso favorisce. Tale ric- chezza di opportunità è sapientemente coniugata da un vincolo che il preside con- segna al personale docente: non è possibile fare lezione frontale per più del 50% del tempo a disposizione, mentre i docenti, in realtà, sembrano attestarsi su percentuali di gran lunga inferiori, che non vanno oltre al 20% del tempo disponibile. Come afferma il preside in una recente intervista realizzata per Indire3, una scuola che non è fatta solo di aule si propone come luogo dove l’idea di “apprendi- mento” sfocia verso l’esperienza della condivisione delle conoscenze attraverso progetti che gli stessi studenti elaborano. Per questo è importante che accanto allo spazio formale (il laboratorio, la classe) ci sia uno spazio informale (i cuscini, i tavoli della mensa, la scala, come punti di incontro spontanei e naturali). Altra dimensione fondamentale è quella del tempo: a ulteriore testimonianza della flessibilità organizzativa, sorprende l’assenza di un orario fisso e predetermi- nato. Entro la cornice temporale che va dalle 8.30 alle 15.30, i docenti, in collega- mento con gli uffici amministrativi, devono programmare settimana per settimana le loro sequenze didattiche, prevedendo la scansione tra momenti frontali, collaborativi e individuali, e componendo le loro esigenze con quelle dei colleghi e dei rispettivi gruppi classe, entro il vincolo dell’effettiva disponibilità degli spazi. L’abbinamento tra docente e il singolo gruppo classe non dura mai meno di due ore, necessarie per attivare gli studenti e favorire la produzione di oggetti culturali. Nella citata inter- vista un docente spiega come ha organizzato la sua lezione: «Ho iniziato in modo piuttosto tradizionale. Nella prima mezz’ora ho spiegato ai ragazzi quello che dove- 31 vano studiare, poi li ho mandati fuori nell’area dei gruppi dove dovevano discutere su alcune questioni legate al testo». È solo una delle possibili sequenze didattiche: l’inizio in aula per fornire elementi di conoscenza, poi il lavoro collaborativo tra stu- denti dotati di tablet o portatile, sotto la guida discreta del professore, poi di nuovo in classe per condividere e verificare il lavoro svolto fuori attraverso un video proiettore connesso ai dispositivi. Accanto agli aspetti spazio-temporali, tutti tesi a favorire la libertà di movi- mento all’interno di una dimensione attiva e costruttiva, c’è la variabile tecnologia, da intendersi come strumento, e non scopo, del modello educativo. Il device è ac- cessorio “indispensabile” per accedere ad una molteplicità di risorse per l’apprendi- mento, mentre al contempo consente agli studenti di essere informati e connessi sulle iniziative dei docenti, le lezioni, le esercitazioni, i gruppi di lavoro. In effetti, una scuola di questo tipo non è concepibile senza una ricca piatta- forma tecnologica: l’Ørestad Gymnasium si avvale di un sistema sofisticato di Learning Management System, attraverso il quale il docente condivide con gli stu- denti il piano dei contenuti e gli aspetti organizzativi legati agli spazi e ai tempi. L’infrastruttura consente una connessione a banda larga e l’utilizzo di un adeguato sistema cloud per l’archiviazione e la condivisione dei contenuti e dei prodotti. Dal punto di vista delle risorse didattiche la scuola ha optato per la completa eliminazione degli strumenti cartacei, avvalendosi, laddove necessario, di libri digi- tali, anche se dopo qualche anno di esperienza l’opzione ormai prevalente è quella di costruire in modo collaborativo i testi che in seguito gli studenti porteranno agli esami. Un altro aspetto decisamente interessante riguarda il rapporto tra la scuola e le famiglie degli studenti e, più in generale la “distribuzione” della responsabilità degli apprendimenti. In sostanza, la scuola ha scelto di non dialogare con i genitori (se non in casi eccezionali di assenze prolungate), ma di dedicare due ore alla set - timana al dialogo riservato tra insegnanti e studenti. La motivazione è semplice: dialogare con la famiglia potrebbe dare agli allievi la dannosa impressione che la responsabilità degli apprendimenti non sia loro, ma appunto dei genitori. Il rap- porto esclusivo tra preside, insegnanti e studenti intende comunicare agli studenti un altro chiaro segno della loro completa autonomia e responsabilità: il loro per- corso di apprendimento deve essere sostenuto soltanto da motivazioni interne, non da pressioni e costrizioni eteronome. 3.2. LE STUDIO SCHOOL La seconda esperienza con la quale il gruppo iCNOS si è confrontato è quella delle Studio School inglesi, rappresentata attraverso la visita ad una di esse, la Fu- ture Tech Studio School di Warrington, a pochi chilometri dalla città di Manchester. Si tratta di una nuova organizzazione scolastica operante nel campo della Forma- 32 zione Professionale, che annovera circa centocinquanta allievi, suddivisi in tre indi- rizzi professionali scelti in base al tessuto produttivo locale circostante: • ingegneria (infrastrutture ed energia), • IT e comunicazione, • amministrazione. Proprio la locazione della scuola, al centro del distretto industriale della città, è un segno tangibile dell’importanza dell’interazione con le realtà aziendali circo- stanti. Il confronto con le imprese é costante e si manifesta non solo nei momenti di stage previsti ma anche con frequenti interventi nelle classi da parte degli impren- ditori che guidano la realizzazione e la valutazione dei progetti realizzati sulla base della metodologia del Working Based Learning (WBL)4. Più in generale, le Studio School utilizzano un concetto di educazione innova- tivo, progettato allo scopo di diminuire il crescente divario tra le competenze e le conoscenze richieste dal mondo del lavoro e quelle tradizionalmente offerte dal si- stema scolastico. Dopo le prime esperienze pionieristiche, partite nel settembre del 2010 (con particolare riferimento a quella fondata da David Nicoli, la Creative and Media Studio School)5, nel Regno Unito è nato il Trust delle Studio School, una sorta di Fondazione che non nasce per gestire le organizzazioni, ma per orientare la loro metodologia, rispettando la loro autonomia in collegamento con i rispettivi ter- ritori. L’adesione al Trust comporta semplicemente l’adozione del metodo didattico e dei relativi standard in termini di competenze. 3.2.1. Il metodo didattico Le Studio School sono un nuovo tipo di scuola, ma radicata in un’idea antica, quella dell’imparare facendo (e collaborando). Per realizzare questo principio, senza retorica né ideologia, il Trust ha fatto alcune scelte elementari, che ne conno- tano profondamente lo stile e il metodo6: – mantenere ogni singola organizzazione in una dimensione medio-piccola, con massimo tre-quattrocento studenti, al fine di evitare la deriva istituzionale (che rischia di rendere le istituzioni scolastiche rigide, poco flessibili) e di imitare il più possibile la dinamica di impresa; 4 Il Work Based Learning è una metodologia di erogazione della Formazione Professionale che trova il suo elemento chiave in una forte personalizzazione dei piani di studio individuali, giocata attraverso un uso intensivo e flessibile dell’alternanza scuola-lavoro. Per un approfondimento si può vedere EUROPEAN COMMISSION. EDUCATION AND TRAINING, Work Based Learning in Europe. Practices and Policy Pointers, 2013, scaricabile dal sito http://ec.europa.eu/education/policy/vocational-policy/ doc/alliance/work-based-learning-in-europe_en.pdf, oppure VAŸRYNEN P. (ed.), WBL-TOI MANUAL. Manual for planning of work-based learning – transfer of innovations, Helsinki, 2010, scaricabile dal sito http://www.workplacement.nl/tl_files/bestanden/WBL-TOI%20manual_%20En.pdf 5 Cfr. http://www.studio-school.org.uk 6 Per un approfondimento si può vedere l’ebook a cura di BORGOGNO P., La visione del Future tech studio, scaricabile dal sito http://bazar.icnos.net/show/la-visione-del-future-tech-studio 33 – adottare un orario scolastico pieno, che va dalle 9 alle 17, elemento che, unita- mente all’obbligatorietà per gli allievi di indossare l’abito da lavoro7, rinforza l’idea di un metodo didattico impostato per simulare in modo costante il luogo di lavoro, al fine di avvicinarsi il più possibile al clima d’impresa; – lavorare a stretto contatto con le aziende del territorio circostante, non solo intercettandone i bisogni occupazionali e di sviluppo, ma anche concordando con loro il curriculum formativo. Infatti, al fianco delle discipline obbligatorie fissate dal Department for Education, si affiancano le materie di indirizzo e di specializzazione, che vengono co-progettate con esse; – seguire personalmente ogni studente attraverso un chiaro ed efficace sistema di guida e orientamento: in pratica, ogni studente ha un allenatore personale (coach), chiamato a garantirgli un programma individualizzato di apprendi- mento, a supporto dello sviluppo di tutte le competenze, generali, sociali e pro- fessionali. Ogni coach è responsabile del percorso di apprendimento di circa 25 allievi, incontrando ogni studente in un colloquio personale almeno ogni due settimane. Inoltre, egli deve raccogliere e sistematizzare le valutazioni in- termedie dei suoi studenti, presentandole al consiglio di classe per concordare gli eventuali piani di recupero o di sviluppo di nuove competenze. In generale, le Studio School adottano il metodo del Problem Based Learning o Project Based Learning (PBL)8, metodo di insegnamento centrato sull’allievo in cui un problema (o un progetto) costituisce il punto di inizio (o l’esito finale) del processo di apprendimento. Il metodo è da considerare come alternativa al metodo di insegnamento centrato sui contenuti: in sostanza, le conoscenze e le abilità da insegnare non devono essere fini a se stesse, ma immediatamente finalizzate alla risoluzione di problemi o alla creazione di oggetti culturali/professionali. Il problema/progetto consegnato agli studenti non deve avere un’identità scola- stica, ovvero artificiosa e astratta, ma rappresentare una situazione reale, ovvero che gli studenti potrebbero dover affrontare in futuro, nella loro vita umana e pro- fessionale. L’insegnante ha un ruolo di facilitatore, con una intensità variabile, che può andare dalla semplice supervisione dei processi di scambio e di collaborazione alla fornitura delle informazioni e conoscenze, o mediante la lezione o attraverso la fornitura di una bibliografia e di una sitografia. Cuore della sequenza didattica è il mandato di lavoro, la cui ideazione da parte del docente costituisce l’elemento più delicato e critico dal punto di vista della progettazione didattica; infatti, il problema/progetto, oltre ad essere autentico, deve essere tale da sollevare i concetti e i principi più rilevanti di un certo dominio di 7 Nella scuola di Warrington la divisa consiste in giacca e cravatta per i ragazzi e tailleur per le ragazze. 8 La sigla PBL indica, in modo spesso ambiguo, approcci didattici contigui, alternativamente connotati o da un problema da risolvere o alla costruzione di un progetto. Entrambi gli approcci sono tuttavia profondamente accomunati dall’esigenza di mettere al centro lo studente, in modalità attive e collaborative di apprendimento. 34 contenuti. Una volta assegnato il mandato, il gruppo degli studenti ha la responsa- bilità di definire il percorso, identificare le conoscenze iniziali già in loro possesso, rintracciare le nuove conoscenze da apprendere, stabilire i passi da compiere. In questo approccio (come più in generale nella metodologia didattica delle Studio School), le tecnologie possono supportare l’esperienza scolastica in molti modi, diversi e per la maggior parte ancora da esplorare, ma non ne costituiscono l’ingrediente essenziale ed esclusivo. Esse vengono utilizzate per cercare e archi- viare informazioni, presentare il problema in modo realistico e coinvolgente (ad esempio simulazioni video), supportare la comunicazione fra gli studenti e tra questi e il docente, tutto questo senza impedire il ricorso ad altri strumenti, tra i quali il libro e il quaderno. Nelle Studio School i tablet sono solo uno degli strumenti utilizzabili, assieme a quaderno, cartelloni, dispense, libri, appunti. L’elemento maggiormente innova- tivo non è dunque di natura tecnologica, ma riguarda primariamente la disposizione degli spazi: ogni aula dispone di isole di banchi in grado di ospitare 4 allievi e permettere loro di lavorare in gruppo. La lezione frontale è ridotta al minimo, e sempre in qualche modo finalizzata alle sessioni di progetto. In generale, si respira un’atmosfera di libertà e autoregolazione: gli studenti sono liberi di ascoltare musica o persino di rispondere al cellulare, se tutto questo è compatibile con lo svolgimento regolare delle loro attività, e comunque con la pun- tuale finalizzazione dei prodotti culturali. La presenza dei docenti non è ancorata ai tradizionali concetti di controllo per così dire di processo, ma alla verifica dei risul- tati, concedendo agli allievi spazi di autonomia inediti nelle tradizionali organizza- zioni scolastiche. Infine, le ultime due ore della giornata (dalle 15 alle 17) sono solitamente desti- nate allo svolgimento di attività di arricchimento curricolare che, oltre alle sessioni di progetto (mirate al completamento di problemi/progetti professionali), prevedono stimoli molteplici, di natura artistico-culturale, ludica, centrata sul benessere o sullo sviluppo della capacità di comunicazione e di leadership (eventi espressivi, dibattiti, etc.). Queste ore sono anche utilizzate per svolgere attività di sostegno nei confronti degli allievi in difficoltà. 3.2.2. Gli standard Coerentemente con gli aspetti di metodo (e viceversa) il Trust delle Studio School ha elaborato un quadro delle competenze che si ritiene costituiscano l’esito dei processi di apprendimento, per rispondere alle attese non tanto e non solo delle organizzazioni scolastiche, quanto e soprattutto del mondo del lavoro. Infatti, nel Regno Unito i panel di ricerca rivolti alle aziende e alle imprese hanno indicato un pacchetto di requisiti necessari per una pronta occupazione, tra i quali figurano competenze come l’autonomia, l’attitudine positiva verso il lavoro e la capacità di collaborazione. Queste competenze rappresentano a giudizio delle aziende e delle loro corporazioni l’elemento prioritario sul quale investire, dal punto di vista delle 35 politiche formative9: in un mondo competitivo e incerto, i giovani hanno bisogno di pensare in modo creativo, essere tenaci e resilienti ed affrontare con fiducia il cam- biamento. CREATE è un acronimo, che vale a significare: – Communication (comunicazione), – Relating to People (relazionarsi con gli altri), – Enterprise (impresa e iniziativa), – Apply (applicazione delle conoscenze), – Thinking (pensiero), – Emotional Intelligence (Intelligenza Emotiva). Insomma, ci si attende che al termine della loro esperienza formativa gli studenti siano in grado di: – comunicare e relazionarsi con gli altri in diversi modi e in svariati contesti; – essere creativi e dotati di spirito di iniziativa, avendo gli strumenti cognitivi per cogliere le opportunità; – applicare le loro conoscenze ad una varietà di situazioni, evitando l’ancoraggio dei concetti alle situazioni tipicamente scolastiche; – elaborare informazioni in modo flessibile, per valutare accuratamente le situa- zioni e risolvere i problemi; – gestire positivamente le proprie e altrui emozioni, trovando i canali giusti per esprimerle in modo costruttivo. Nelle intenzioni del Trust, lo sviluppo delle competenze per l’occupazione deve essere pienamente compatibile con la ricerca dell’eccellenza nelle compe- tenze accademiche, così come definite dal National Curriculum nell’ambito dei GCSE (General Certificate of Standard Education), superando l’annoso dualismo tra lavoro e cultura. È ancora presto per dare un riscontro definitivo e generalizzato riguardo al- l’impatto sugli apprendimenti delle Studio School, in quanto si tratta di un’espe- rienza troppo recente, priva pertanto di un consistente quadro longitudinale. Tut- tavia, i riscontri dell’Ofsted (Office for Standard in Education) sulle primissime esperienze del Trust sono univocamente positivi: ad esempio la Midland Studio College di Hinckley, che ha aperto nel 2012, è stata elogiata dagli ispettori per il “risultato davvero eccezionale nella più ampia gamma di competenze, in grado di preparare gli studenti per la prosecuzione del loro percorso, sia nell’istruzione che nel lavoro”. 9 Cfr. CBI, Building for growth: business priority for education and skills. Education and skills survey 2011, scaricabile dal sito http://www.cbi.org.uk/media/1051530/cbi__edi_education___skills_ survey_2011.pdf 36 Tabella 1 - Il Quadro Create10 Nel quadro delle misure effettuate dall’Ofsted11, l’obiettivo delle Studio School è quello di aumentare di quattro livelli la valutazione delle competenze di ogni studente nell’arco dell’intero percorso di apprendimento. In concreto, lo standard di accettabilità per le Studio School è il raggiungimento di tale risultato per almeno l’80% dei ragazzi presenti. Invece, riguardo al tasso di dispersione (ovvero ai co- siddetti NEET “Not (engaged) in Education, Employment or Training”), l’obiettivo è di avvicinarsi il più possibile allo zero percentuale. 3.3. CONFRONTO TRA LE DUE ESPERIENZE DI VISITA GUIDATA Al termine delle visite internazionali svolte nell’ambito del progetto iCNOS è possibile mettere in luce alcune caratteristiche comuni alle due esperienze, ed 10 Cfr. http://www.studiodchoolstrust.org/studio-schools/create-framework/ 11 Come è noto, la valutazione esterna delle scuole è nel Regno Unito una pratica ampiamente consolidata, al punto tale da costituire lo strumento essenziale per orientare le famiglie nella scelta di scuole in grado di garantire il successo scolastico degli studenti. Gli esiti delle valutazioni esterne, suddivisi per ordine di scuola e per territorio, sono visibili al sito http://www.education.gov.uk/schools/ performance/ 37 anche alcune significative differenze, che aiutano a individuare ciò che può essere ritenuto essenziale per l’innovazione didattica (aspetti comuni) e ciò che invece è probabilmente soltanto accessorio (differenze). Partendo da una vistosa differenza, mentre l’Ørestad Gymnasium ha fatto la scelta di utilizzare in via esclusiva gli strumenti informatici, le Studio School utiliz- zano una varietà di supporti, anche cartacei, aspetto che rende evidente la centralità del metodo rispetto alla semplice questione tecnologica. Infatti, pur utilizzando media diversi, entrambe le tipologie di scuola condivi- dono gli elementi chiave del modello pedagogico: – centralità dello studente e delle sue attività autonome di ricerca e creazione di oggetti culturali/professionali; – apprendimento basato su problemi/progetti, comunque connessi agli standard di natura culturale; – innovazione di spazi, tempi e arredi; – forte presenza di elementi educativi, come il tutoraggio personale, il piano personalizzato e i colloqui settimanali. Certamente l’utilizzo più intensivo, anzi persino esclusivo dei new media a Copenaghen richiede una più ampia revisione dell’organizzazione scolastica, come è visibile dal fatto che nell’esperienza danese l’organizzazione degli spazi risulta più radicalmente riformatrice, al punto tale da essere per molti aspetti non trasferi- bile in Italia, se non eventualmente nel caso di costruzione di nuove scuole. Stando così la questione, l’esperienza delle Studio School, capace com’è di combinare ele- menti tradizionali (l’uso prevalente dell’aula, l’utilizzo di libri e quaderni al fianco del tablet e del computer, etc.) rappresenta probabilmente un modello già più fa cilmente importabile nell’ambito del contesto italiano, non solo dal punto di vista strutturale ma anche culturale ed organizzativo. Questa conclusione, tuttavia, va intesa semplicemente sotto il profilo della trasferibilità, mentre nulla dice ancora sulla maggiore o minore efficacia dell’uno o dell’altro modello, per altro molto simili sul piano delle variabili pedagogiche di fondo. Rimane l’adagio fondamentale, confermato dall’analisi delle due esperienze: non è la tecnologia che cambia l’educazione, ma è l’educazione a dare senso e pro- spettiva a qualsiasi tecnologia, dalla più povera (la carta) sino agli straordinari nuovi tools. Come afferma Heidegger, di fronte a qualsiasi oggetto (semplice- presenza) ciò che fa la differenza è la capacità dell’uomo (l’esserci) di disvelarne il senso, traendone, in modo sempre nuovo e cangiante, la verità dell’uomo. In questa prospettiva, i cambiamenti tecnologici, pur non costituendo di per sé né un fattore di sviluppo né un agente di deterioramento culturale, costringono l’uomo a ripensarsi in rapporto al mondo: da qui, nel pericoloso sommovimento che lo sviluppo tecnologico inevitabilmente reca, sorge comunque e sempre un’oppor - tunità di salvezza, ovvero di una rinnovata antropologia (a cui si lega, da sempre, il possibile rinnovamento dell’educazione). 38 3.4. THE FLIPPED CLASSROOM (LE CLASSI CAPOVOLTE) Non essendo stato possibile il confronto diretto con l’esperienza delle classi capovolte, il progetto iCNOS ha comunque proceduto ad un confronto con questa esperienza, attraverso la lettura e la divulgazione del celeberrimo volume Flip your classroom, di Sams e Bergmann12, che è stato ampiamente utilizzato nelle occasioni formative e di aggiornamento. Le flipped classroom sono spesso divulgate come classi che fanno uso di vi- deolezioni a fini di apprendimento, in modo tale che esse possono essere confuse con modalità di istruzione a distanza, che sostanzialmente riducono il ruolo dell’in- segnante. Al contrario, esse rappresentano una modalità particolarmente efficace di realizzazione di una scuola della padronanza (mastery) nella quale l’insegnante, maggiormente libero dall’onere di trasmettere contenuti, interagisce con gli allievi, sostenendoli nella ricerca dei saperi e nella costruzione di nuovi prodotti culturali e professionali. Lungi dall’essere un’istruzione tecnologica, la classe capovolta faci- lita e potenzia la relazione educativa tra docenti ed allievi, spostando (flipping) sugli allievi stessi la responsabilità del proprio percorso di apprendimento. 3.4.1. La nascita delle Flipped Classroom Nel 2006 in alcune scuole degli Stati Uniti, in un modo quasi casuale, è ini- ziata un’esperienza di insegnamento/apprendimento le cui implicazioni sulla didat- tica potrebbero essere addirittura dirompenti. Nella Woodland Park High School, in Colorado, due docenti di scienze (Jonathan Bergmann e Aaron Sams) cominciarono a registrare su video le loro lezioni, a beneficio degli studenti assenti. Le conse- guenze di questa scelta superarono ben presto le attese degli insegnanti: infatti, anche gli studenti che erano presenti a lezione iniziarono a guardare i video, consi- derandoli un ottimo supporto per il loro studio a casa. Di lì a poco Aaron Sams ebbe un’intuizione. Egli fece a se stesso una piccola, sorprendente e disarmante domanda: gli studenti hanno più bisogno dell’insegnante per dialogare e discutere riguardo alle difficoltà che incontrano, o per ricevere dei contenuti attraverso la lezione? La risposta era scontata, e lo strumento della video- lezione cominciò a essere considerato un modo particolarmente efficace per “libe- rare” l’insegnante dall’onere della lezione frontale, per riservare tempo ed energie alla relazione con gli studenti. Da qui il significato del participio “flipped”: la classe capovolta può essere considerata una modalità didattica nella quale il lavoro che è tradizionalmente fatto a scuola (ovvero la lezione) viene svolto a casa, mentre il lavoro tradizionalmente fatto a casa (ovvero l’esercizio, il compito, il problema da risolvere) viene fatto a scuola, sotto la guida e la supervisione dell’insegnante. 12 Cfr. BERGMANN J. - SAMS A., Flip YOUR Classroom. Reach Every Student in Every Class Every Day, International Society for Technology in Education, 2012. 39 È evidente che qui cadono una serie di obiezioni che sin da subito furono fatte al nuovo approccio, e che sono state efficacemente riassunte in un articolo uscito nel 2011 sul sito Internet thedailyriff.org13: flipped classroom sarebbe un sinonimo per la predisposizione di video online, o per una formazione a distanza; annullando la figura dell’insegnante, i video costringerebbero gli studenti a spendere tanto tempo davanti ad un terminale, lavorando in isolamento e senza una struttura che guidi le loro attività di apprendimento. Al contrario, il cuore delle flipped classroom (o flipped-mastery classroom, come in seguito furono ribattezzate dagli stessi autori) non è la videolezione, ma la trasformazione radicale delle attività che si svolgono a scuola, e che consistono non più principalmente nella lezione dell’insegnante (ben sostituita dalla videole- zione), ma in un tempo di lavoro, di ricerca e di risoluzione di problemi, sotto la guida di un adulto esperto, che è chiamato ad entrare in interazione continua con gli studenti. Grazie al potenziale messo a disposizione dalle nuove tecnologie, le classi capo- volte rappresentano uno strumento straordinario per aumentare il tempo di relazione tra studenti e docenti e per riqualificare la classe, che da luogo di trasmissione dei saperi diventa ambiente costruttivo, nel quale la responsabilità dell’apprendimento si sposta dall’insegnante all’alunno e l’identità del docente si trasforma da quella di “saggio che insegna di fronte” a quella di “guida che si mette al fianco”. 3.4.2. Dalle flipped classroom alle flipped-mastery classroom In realtà questa concezione radicale dell’apprendimento centrato sullo studente non ha contrassegnato le flipped classroom sin dalle origini, ma è stato l’esito di un percorso lungo il quale gli insegnanti si sono resi gradualmente consapevoli del potenziale pedagogico del nuovo approccio. Infatti, all’inizio le classi capovolte prevedevano un utilizzo sincrono dei video (tutti gli studenti di una classe guar- dano lo stesso video in un pomeriggio di un giorno determinato) per consentire lo svolgimento a scuola di un determinato laboratorio o attività, uguale per tutti, e progettato allo scopo di consolidare lo stesso obiettivo in termini di conoscenze apprese. Ben presto, tuttavia, gli insegnanti si accorsero dei limiti di questa metodo- logia, che tendeva a confermare alcune patologie tipiche del sistema scolastico, e in particolare lo studio per il test (o per il voto, che è la stessa cosa). Non solo, ma la responsabilità dell’apprendimento continuava a rimanere sulle spalle del docente, che era chiamato a programmare i contenuti da acquisire e a predisporre lezioni ed esperienze, incitando gli studenti a non perdere il ritmo, ovvero “a non rimanere indietro”. 13 L’articolo, intitolato The Flipped Class: what it is and what is not, e scritto dallo stesso Bergmann in collaborazione con altri due insegnanti (Jerry Overmyer e Brett Wilie), è stato inserito nella sezione “Flipped Classroom” del sito Internet thedailyriff.org il 21 giugno 2011. 40 L’incontro con i principi ispiratori di alcuni approcci didattici (tra cui il ma- stery learning di Bloom14, il Problem-Based Learning - PBL15 e il Process Oriented Guided Inquiry learning - POGIL16) spinse gli autori ad andare oltre, immaginando un utilizzo asincrono dei video, intesi come risorsa per l’apprendimento, sotto la re- sponsabilità dello studente. I video diventarono così semplicemente una sorta di bi- blioteca per l’apprendimento, alla quale lo studente accede nei modi e nei tempi che desidera, secondo il proprio ritmo, e in collegamento con gli obiettivi di ap- prendimento del proprio Piano Personalizzato. In questo modo, le flipped classroom consentono il raggiungimento di due fi- nalità variamente invocate, e bassamente perseguite, nel nostro contesto scolastico, ovvero la personalizzazione e l’autoregolazione. Negli ultimi anni, infatti, sia la pa- renetica pedagogica sia la normativa di riferimento (vedi ad esempio le varie ver- sioni delle Indicazioni Nazionali) hanno raccomandato la personalizzazione degli obiettivi di apprendimento, senza chiarire le modalità concrete attraverso le quali è possibile perseguirla (o, come afferma qualche insegnante arrabbiato, senza fornire le risorse per poterla realizzare). Infatti, nell’approccio didattico tradizionale la personalizzazione è praticamente impossibile: l’insegnante, per quanto sapiente e abile nel comunicare, non rie sce a trasmettere il sapere in modo differenziato e accessibile per tutti, al punto tale che, nel tempo, personalizzazione è diventato sinonimo di codocenza (ovvero di un secondo docente che si affianca al primo, sostenendo gli studenti in difficoltà durante la lezione condotta dal collega). Lo stesso discorso vale anche per l’autoregolazione, intesa come possibilità per lo studente di autodeterminare obiettivi, tempi e modi del proprio percorso sco- lastico, acquisendo una capacità autonoma di progettazione e gestione del proprio apprendimento, in maniera tale da essere in grado di accedere autonomamente, ov- vero con una motivazione endogena, alle risorse per lo studio, interagendo positi- vamente con docenti, compagni, materiali e strumenti di studio e di lavoro, anche tecnologicamente avanzati17. 14 Si tratta di un approccio pedagogico nel quale a tutti gli studenti è consentito di arrivare agli stessi obiettivi in tempi diversi, attraverso l’utilizzo di risorse didattiche fruibili in modo personaliz- zato. Il riferimento è a Benjamin Bloom, cfr. ad es. BLOOM B. S., Mastery learning, in J. H. BLOCK (a cura di), Mastery learning. Procedimenti scientifici di istruzione individualizzata, trad. it. di P. Nanni, Loescher, Torino 1972. 15 Si tratta di una sistematizzazione didattica dell’approccio costruttivista all’apprendimento: lo studente acquisisce e consolida i contenuti attraverso l’accesso a varie esperienze problematiche, dalle quali prende avvio l’esperienza in aula, allo scopo di mettere l’alunno nella necessitò di “cercare” le risorse utili alla loro risoluzione. 16 Negli Stati Uniti POGIL è un approccio didattico molto simile al nostro Cooperative Learning: gli studenti, divisi in piccoli gruppi di apprendimento, hanno a disposizione una serie di dati e infor- mazioni seguiti da domande cruciali, alle quali debbono rispondere mediante la loro attività collabora- tiva di ricerca. Per un approfondimento cfr. il sito Internet pogil.org 17 Per un approfondimento del concetto di autoregolazione e del ruolo che essa riveste nell’ap- prendimento cfr. M. PELLEREY, Dirigere il proprio apprendimento, Brescia, La Scuola, 2006. 41 La lezione frontale è, di fatto, una negazione del principio dell’autoregola- zione: è l’insegnante a decidere che cosa insegnare, quando farlo, attraverso quali strumenti, etc., mentre allo studente resta il ruolo del “sedersi e ascoltare”, rima- nendo sotto il controllo dell’individuo adulto. Per consentire una reale autodetermi- nazione occorre dunque rendere asincrono l’accesso alla fonte delle informazioni (fosse anche la lezione frontale), spostando sullo studente la responsabilità di deci- dere che cosa, quando e come fruire di determinati contenuti. In questo modo, le flipped-mastery classroom sono approdate, quasi trascinate dalla forza intrinseca della metodologia adottata, ad una profonda revisione delle stesse finalità dell’istituzione scolastica, spostando l’attenzione dalle nozioni al- l’imparare ad imparare, dalle conoscenze trasmesse alle competenze apprese, dai programmi ai percorsi personalizzati, dal controllo degli studenti alla promozione della loro responsabilità, dal dovere di studiare al piacere di apprendere. Gli insegnanti stanno assumendo consapevolezza del fatto che non è conve- niente “forzare ad apprendere”, e che anzi nella società contemporanea il modella- mento degli studenti attraverso curricola identici e votazioni premianti (o frustranti) può risultare controproducente, provocando nei giovani una sorta di disgusto verso le attività di apprendimento, sentimento le cui conseguenze possono essere pro- fonde, durature e nefaste per molti dei nostri uomini di domani. La sfida diventa af- fascinante: l’apprendimento può e deve diventare un’attività piacevole (il che non vuol dire priva di fatica), autonoma e sostenuta da motivazioni interne allo stu- dente, senza per questo perdere di efficacia, anzi18! Nelle flipped classroom si cerca di eliminare questa sensazione di “imposi- zione” degli obiettivi scolastici: la responsabilità passa di mano e spetta allo stu- dente stabilire il proprio percorso, trovando a scuola compagni di studio con cui condividere gli obiettivi, adulti esperti di supporto e risorse multiple per l’apprendi- mento. Gli insegnanti perdono il controllo sui processi (ovvero agiscono sui pro- cessi non mediante il controllo, ma mediante l’interazione e l’aiuto), mentre diven- tano più fermi sugli obiettivi, attraverso la messa a punto di rigorosi strumenti di valutazione, che offrono agli studenti feedback chiari e il più possibile immediati sugli esiti del loro lavoro. Gli studenti sono liberi di procedere con il loro passo, senza paura di sbagliare, ma avendo svariate possibilità di ripetere, di cercare aiuto, persino di cambiare obiettivi, nel dialogo costante con l’insegnante. 3.4.3. Funzionamento delle flipped classroom Come abbiamo già affermato, la videolezione, contrariamente a quanto si pensa, non è il cuore delle classi capovolte, ma soltanto la “tecnologia” che le rende possibili. Tuttavia, rimane indispensabile educare gli studenti a fruire di un video in modo autonomo ed efficace a scopo di apprendimento: per fare questo, 18 Si veda il bel volume di B. HOURST, Il piacere di imparare. Idee e strumenti per un apprendi- mento efficace, Trento, Erickson, 2013. 42 prima di dare effettivo avvio all’esperienza delle flipped classroom occorre spen- dere una ragionevole quantità di tempo per corredare gli studenti di alcune abilità e atteggiamenti. L’insegnante deve dunque utilizzare i primi giorni di scuola per guardare alcune videolezioni insieme agli studenti. Durante queste visioni, egli può e deve abituare gli alunni a fruire dello stesso video in modo diverso, incoraggiando un uso libero e personalizzato dei tasti “pause” e “rewind”, che consentono loro di impostare il ritmo della lezione: a dirla tutta, gli studenti acquisiscono un potere mai del tutto esercitato, che è quello di stoppare e rallentare il proprio insegnante, a loro misura. Questo tipo di situazione non può per principio accadere nella lezione frontale, per effettuare la quale il buon insegnante deve impostare una sorta di ritmo mediano, che gli consenta di non annoiare troppo gli studenti capaci e di smarrire il numero minore possibile di studenti in difficoltà. Due altre abilità chiave che devono essere coltivate sono quelle di prendere appunti e di preparare domande di approfondimento. Lo studente utilizza il tasto “pause” per annotare passaggi poco chiari o addirittura incompresi mentre, in ana- logia al modello POGIL, come esito e prova della visione del video gli è esplicita- mente chiesto di stendere alcune domande, che saranno poi utilizzate a scuola, come spunto per il dibattito e avvio delle esperienze laboratoriali. Oltre a stimolare il senso critico e l’attitudine alla ricerca, questa metodologia consente anche al docente di verificare l’esistenza all’interno del video di spezzoni di lezione poco riusciti: se infatti numerosi studenti chiedono lo stesso chiarimento, va da sé che il problema non è in chi apprende, ma in chi trasmette! L’insegnante è dunque aiutato a mettere in discussione le proprie modalità di comunicazione, potendo migliorare nel tempo la qualità non solo dei video, ma anche delle proprie conoscenze e abilità disciplinari e didattiche. Nel modello sincrono di flipped classroom il giorno dopo la visione del video la lezione scolastica prende avvio con una discussione sui contenuti fruiti, attra- verso la condivisione delle domande e il dibattito che ne segue. Come già accen- nato, lo studente è informalmente valutato non a partire dalla riproduzione del sapere, ma dalla capacità di porre interrogativi pertinenti, che possano spingere ancora oltre l’analisi del contenuto. Si tratta di un chiaro ed efficace incoraggia- mento del senso critico e della curiosità intellettuale, in un modello che, invece di chiudere su nozioni date, incita ad acquisire sempre nuovi elementi, premiando non in primo luogo la memoria, ma l’imparare ad imparare. Dopo il primo periodo di discussione, agli studenti è data la consegna per il lavoro della giornata, consistente di norma in un problema da risolvere, un “pro- dotto” da creare o un progetto da stendere, solitamente nella modalità del gruppo di lavoro. È evidente che per portare a termine la consegna i gruppi di lavoro do- vranno nuovamente utilizzare i contenuti che erano oggetto sia della videolezione sia del dibattito, consolidando così quanto appreso, attraverso l’effetto di “stabiliz- zazione” che è offerto dall’utilizzo concreto dei saperi in vista di un fine. Di là da 43 questo, l’attività laboratoriale consente all’insegnante di interagire in modo multi- forme con gli studenti, motivando i gruppi di lavoro, rispondendo a ulteriori domande, eventualmente anche creando un gruppo ad hoc per svolgere attività di recupero e di sostegno alla difficoltà di apprendimento. Nella tabella successiva è possibile avere un confronto chiaro tra le modalità di utilizzo del tempo scolastico nel modello tradizionale e nel modello delle flipped classroom, rapportato ad una unità temporale di circa 90/100 minuti: come già affermato, le classi capovolte, lungi dall’isolare lo studente presso un terminale, aprono inediti spazi di relazione sia con i pari sia con gli insegnanti. Tabella 219 Classe tradizionale Classe capovolta Attività Tempo Attività Tempo Preparazione dell’attività 5’ Preparazione dell’attività 5’ Verifica dei compiti a casa 20’ Domande sul video 15’ Lezione su nuovi contenuti 30/45’ Attività laboratoriale 75’ Attività laboratoriale 20/35’ Il tempo della relazione permette ai docenti di considerare più in profondità la propria vocazione di educatori: alleggerendo la responsabilità sui contenuti, è più probabile che l’insegnante consolidi la propria attitudine ad ascoltare, incoraggiare, ispirare, sostenere e dare visione, creando un ambiente positivo, dove gli studenti possono agire senza stress e forzature, ovvero nelle condizioni ideali per appren- dere. La scuola cessa di “forzare ad apprendere” con le armi minacciose dei voti e di altre multiformi pressioni, e prova a predisporre uno spazio e un tempo per l’esercizio dell’intelligenza. È bene notare come nella lezione tradizionale esiste comunque una forma di relazione tra gli insegnanti e gli allievi: spesso, tuttavia, questo rapporto avviene tra il docente e gli studenti più motivati e curiosi, che sono quelli che prendono l’iniziativa nel porre domande o fare osservazioni pertinenti (mentre gli studenti in difficoltà rimangono più spesso nell’ombra, magari con il timore di fare brutta figura con una richiesta banale o un intervento poco appropriato). Nelle classi capovolte, invece, l’ampio tempo laboratoriale consente di dare maggiore atten- zione agli studenti in difficoltà (non è giusto fare parti uguali tra disuguali, diceva don Milani). Nell’approccio asincrono (flipped-mastery classroom) gli elementi costruttivi- stici della didattica si amplificano ancora di più, attraverso il significativo cambia- mento del punto di partenza: non occorre più che gli studenti seguano a casa la stessa videolezione, per poi dibattere e lavorare, ma sin da subito lo studente è sti- 19 J. BERGMANN - A. SAMS, cit., p. 15. 44 molato da problemi e progetti, per poi ricercare le fonti di quei saperi che gli occor- rono per affrontare con successo la consegna. I video sono pertanto visti diretta- mente a scuola, durante le attività di ricerca, al pari di altre modalità di fruizione di contenuto, come la biblioteca scolastica, le biblioteche digitali, i sistemi wiki, i blog, etc. Gli studenti stessi diventano nel tempo “creatori di contenuti”, in quanto producono a loro volta video e podcast, aggiornano wiki e blog, arricchendo la quantità di risorse a disposizione dei compagni. Nelle classi flipped-mastery, tutto è asincrono. Raramente gli studenti lavo- rano contemporaneamente sulla stessa attività: all’inizio della lezione, l’inse- gnante dialoga con loro per aiutarli a scegliere il proprio mandato di lavoro, in sintonia con il proprio percorso personalizzato ma anche in collaborazione con altri studenti in condizioni similari. Al termine della preparazione, i gruppi di stu- denti avviano il loro apprendimento cooperativo, potendo accedere alle diverse fonti, anche attraverso i loro dispositivi mobili (smartphone, tablet), che smettono di essere i “nemici” della scuola, in quanto in realtà sono spesso molto più potenti e fruibili rispetto alle antiquate tecnologie messe a disposizione dall’istituzione scolastica. Lungi dal perseguire la guerra già persa contro le tecnologie, la scuola pro- muove le competenze digitali utili ad apprendere oggi, cessando di reiterare moda- lità di apprendimento desuete, in quanto inventate nell’epoca della tradizione orale. Non si tratta semplicemente di essere “moderni”, quanto di penetrare a scopo edu- cativo nella cultura contemporanea, ovvero nella situazione esistenziale dei nativi digitali, entrando con la loro per uscire con la nostra. Ma non tutto è tecnologia! Per dirla tutta, la modalità asincrona di classe capo- volta ridimensiona l’importanza dei video (e in definitiva dei moderni device), per- mettendo di accedere a tutte le fonti del sapere, tra cui una ben fornita biblioteca scolastica (sia chiaro, non il trito e ritrito, oltre che anacronistico, libro di testo). 3.4.4. I cinque punti per iniziare Quali sono le coordinate generali che permettono a un insegnante di impostare efficacemente una classe capovolta? Quali i punti fermi che danno struttura al - l’esperienza, evitando che il lavoro per progetti diventi una sorta di passatempo, e la classe una specie di ludoteca? Come è possibile assicurarsi del fatto che il per- corso progettato abbia reali esiti in termini di competenze apprese? Il primo punto fondamentale è la scelta degli obiettivi di apprendimento, intesi come competenze, conoscenze e abilità che ogni studente deve poter raggiungere. Qui occorre essere chiari: la libertà concessa agli studenti, la capacità degli inse- gnanti di “perdere il controllo” sui processi di apprendimento non significa affatto completa mancanza di punti di riferimento, pena il lassismo, e in definitiva la per- dita di identità da parte della scuola nel suo complesso. In realtà, in linea con i prin- cipi del mastery learning, l’autonomia dello studente si gioca sui tempi, priorità e stili di apprendimento, non certo sugli obiettivi. 45 L’operazione di selezione degli obiettivi avviene in due tempistiche differenti: la prima, a monte dell’intero percorso, si traduce nella selezione degli obiettivi che in generale dovranno essere perseguiti da tutti gli studenti nell’arco di un anno sco- lastico, estratti dagli standard nazionali di riferimento; la seconda, più ordinaria e frequente, si verifica durante le attività preparatorie di ogni normale giornata scola- stica, che avvengono nei primi minuti del tempo in classe: l’insegnante aiuta i gruppi di apprendimento a scegliere obiettivi coerenti con i percorsi personali e con le mete generali stabilite all’inizio dell’anno. Come secondo punto fondamentale, all’inizio dell’anno scolastico, una volta stabiliti gli obiettivi di apprendimento per tutti gli studenti, l’insegnante deve deci- dere quali di essi siano meglio perseguiti attraverso attività di indagine e ricerca (flipped-mastery classroom) e quali di essi invece attraverso istruzione diretta. Per questi ultimi soltanto egli dovrà costruire oppure selezionare videolezioni adatte allo scopo (flipped classroom). Terzo punto, l’insegnante deve accertarsi che tutti gli studenti abbiano la possi- bilità di accedere alle videolezioni. Questa certezza può essere raggiunta attraverso modalità multiple, tra le quali è fondamentale l’opportunità di fruire di tecnologie scolastiche per tutto l’arco della giornata, per andare incontro alle esigenze di quegli studenti che non possiedono i mezzi necessari per accostarsi alla rete. Quarto punto, è necessario predisporre una serie completa e variata di attività di apprendimento basate su problemi/progetti, corredate da indicazioni sulle risorse fruibili per affrontarle con successo (tra cui le famigerate videolezioni); si tratta di un’operazione di progettazione molto impegnativa, perché occorre avere a disposi- zione uno o più mandati di lavoro, e materiali correlati, per ogni obiettivo di ap- prendimento. È questa probabilmente la fase più delicata, non solo perché impe- gnativa, ma anche perché il mandato di lavoro rappresenta il punto cruciale: esso deve essere da una parte affascinante, dall’altra impegnativo; inoltre, deve essere né troppo semplice né troppo complesso, ponendosi nella zona di sviluppo prossi- male degli studenti (ovvero in quello “spazio” di attività che possono essere ese- guite autonomamente sotto la guida di un individuo esperto, o comunque in rela- zione con una comunità di apprendimento). Quinto punto, che costituisce il completamento naturale di tutto il percorso, è indispensabile avere a disposizione una serie di strumenti per la valutazione som- mativa delle competenze/conoscenze/abilità acquisite, da somministrare al termine di periodi significativi di apprendimento. Qui si comprende nuovamente come le classi capovolte, pur lasciando ampi spazi di autonomia agli studenti, non cadano nella deriva del lassismo (spettro di ogni esperienza costruttivista), ma possiedano un forte ancoraggio agli standard nazionali. È come se l’insegnante concentrasse le attività di controllo sul versante degli esiti, attenuando o al limite annullando la verifica dei processi, se non sotto forma di interazione e supporto. È questo un punto da sottolineare, perché la perdita di controllo sugli studenti, esplicitamente richiesta soprattutto dalle flipped-mastery classroom, non ostacola, 46 anzi richiede rigore sul versante della valutazione dei risultati. Non che la valuta- zione sommativa si rivesta nuovamente di connotazioni negative per l’identità dello studente: semplicemente essa offre chiare informazioni di ritorno, in grado di orientare le attività successive o verso opportune attività di recupero oppure verso nuove e più ambiziose attività di apprendimento. Inoltre, anche la valutazione som- mativa, fermo restando i medesimi obiettivi, può avvenire attraverso modalità dif- ferenti a seconda delle preferenze e dello studente, ad esempio attraverso una pre- sentazione powerpoint, un breve video, una conversazione verbale, etc. La perdita di controllo sui processi, invece, diventa un’arma fondamentale per creare in aula un’atmosfera di fiducia, della quale gli allievi hanno un bisogno estremo per maturare il desiderio di apprendere. L’impostazione tradizionale, nella quale gli studenti si siedono e ascoltano, rimanendo sotto il controllo dell’inse- gnante, si trasforma più o meno consciamente nella sensazione di aver bisogno di altri per crescere o, per dirla tutta, nella conferma di un’impressione spesso radicata nel cuore dei giovani, ovvero che gli adulti non diano loro sufficiente credito. Tutto questo potrebbe produrre, e di fatto spesso produce, un’atmosfera di “lavori forzati”, che è il miglior modo per insegnare ai ragazzi il disgusto verso il conoscere. La scuola deve attentamente considerare le opportunità e i rischi collegati al cosiddetto effetto Pigmalione, che fa corrispondere alla sfiducia la puerilità, alla forzatura la ribellione. Al contrario, l’insegnante che perde il controllo, ovvero che consegna agli studenti iniziativa e fiducia, potrebbe ottenere in cambio maturità e desiderio di apprendere, anche oltre ogni aspettativa. Per fare un esempio, lo stu- dente che normalmente approfitta della lezione frontale per attirare su di sé l’atten- zione del pubblico, attraverso modalità fantasiose di distrazione e di più o meno esplicita protesta, nelle classi capovolte per prima cosa perde il pubblico (in quanto i compagni non sono seduti ad ascoltare, ma coinvolti in piccoli gruppi e in attività variate). Inoltre egli potrebbe, sotto l’influsso di un’inedita fiducia, riattivare il pro- prio naturale, incancellabile e innato desiderio di apprendere, che potrebbe essere stato messo a tacere proprio dagli effetti delle normali interazioni (o mancate inte- razioni) scolastiche. Naturalmente non si vogliono ignorare i rischi legati alla perdita di controllo sui processi. Se agli studenti viene lasciata la responsabilità della scelta, occorre anche mettere in conto il rischio che essi operino cattive scelte, oppure non le perseguano con la necessaria coerenza. Non esiste il modello perfetto, esente da pe- ricoli. C’è da dire, tuttavia, che l’insegnante dovrebbe poter rintracciare, nella quo- tidianità del dialogo educativo, quegli strumenti che gli permettano di orientare, con autorevole leggerezza, le opzioni degli allievi, senza forzature, e pertanto senza cadere in altre forme subdole di controllo. 3.4.5. Spazi, tempi, ruoli e posizioni Le classi capovolte, soprattutto nella loro versione mastery, rappresentano una concretizzazione particolarmente efficace del principio pedagogico, prima che tec- 47 nologico, del mobile learning20: infatti, come nelle intenzioni del progetto iCNOS, l’allievo è potenzialmente libero di accedere ad ogni contenuto, in qualsiasi mo- mento e da qualsiasi luogo, mantenendo il controllo sulle proprie attività di acquisi- zione di saperi e competenze, e sviluppando nel tempo la capacità di costruire, in autonomia o insieme ad altri, nuovi oggetti di apprendimento, per “commerciarli” all’interno dello spazio web inteso come comunità di apprendisti. È evidente che uno scenario di questo tipo muta profondamente il setting tradi- zionale dell’istituzione scolastica, richiedendo un profondo cambiamento organiz- zativo, a partire dagli spazi per giungere agli orari e ai tempi di apprendimento, al fine di facilitare l’interazione, l’autonomia e la responsabilità. Nelle flipped classroom il cambiamento è evidente a partire dal nome: al fine di sottolineare lo spostamento di focus dal docente al discente, spesso l’aula è rino- minata “spazio per l’apprendimento”, ed è disposta in modo circolare, eliminando possibili punti di frontalità (la cattedra, la lavagna e ogni altro segno che, dal punto di vista prossemico, attragga verso di sé). Nello spazio dell’aula esistono ora nume- rosi centri, o angoli, predisposti per un particolare tipo di lavoro, adatto ora all’uno ora all’altro gruppo di apprendimento. In un’aula generica, abbinata a un gruppo classe (esempio la II Meccanici), ci potrebbero essere l’angolo della ricerca, quello del computer, della scrittura o della lettura. Meglio, in un’aula specializzata, abbinata ad una singola o a un gruppo di di- scipline (esempio l’aula di scienze) potrebbe esserci l’angolo degli esperimenti, quel- lo della chimica o quello per la verifica delle formule matematiche di riferimento. Forse parlare di aula nel tempo potrebbe risultare persino riduttivo: in una con- cezione nomadica21 dell’apprendimento, gli studenti potrebbero muoversi all’in- terno dell’intero edificio scolastico (e a volte anche al di fuori), guidati dalle istanze del proprio mandato di lavoro, ad esempio spostandosi dall’aula iniziale alla biblioteca, da questa all’aula di lingue, e così via. È evidente che queste prospettive mutano profondamente anche la concezione del tempo scolastico: l’orario tradizionale, infatti, è spesso frantumato in unità orarie che costringono gli studenti ad incontrare anche cinque, o persino sei docenti nell’arco della giornata, applicandosi di volta in volta a compiti anche radicalmente diversi, rendendo arduo, se non impossibile, il lavoro per progetti. All’interno della singola ora, il docente accorto si abitua ben presto a scandire un ritmo mediano, che rischia di scontentare tutti (eccetto appunto l’allievo medio). Come già visto nel terzo paragrafo, le classi capovolte richiedono come mi- nimo blocchi da due ore (cento minuti di effettivo lavoro), ma nella loro versione mastery chiedono un profondo ripensamento, spostando l’onere della programma- zione sugli allievi (o per meglio dire sui gruppi di allievi), che sono liberi di gestire 20 Cfr. M. ALLY (a cura di), Mobile learning: transforming the delivery of education and training, Athabasca University Press, Edmonton, 2009 21 Cfr. ancora una volta il famoso articolo di Brian Alexander Going Nomadic: Mobile Learning in Higher Education, in Educause review, 39/5, 2004. 48 i loro tempi in base agli obiettivi, dando priorità di volta in volta all’una o all’altra esperienza o fase di lavoro. Non occorre ribadire, infine, il cambiamento nella gestione di altre due impor- tanti variabili, ovvero il tipo di raggruppamento (da classe intera a gruppi coopera- tivi) insieme al ruolo, e alla conseguente posizione, dell’insegnante, che da erudito trasmettitore diventa sapiente guida, scendendo dalla cattedra (espressione sia reale che metaforica) e mettendosi al fianco degli studenti. Mentre nell’impostazione tra- dizionale all’insegnante è vietata l’ignoranza (ovvero ammessa in casi eccezionali), nelle classi capovolte l’insegnante è libero da questa per molti versi soffocante re- sponsabilità sui saperi, potendo (e forse anche dovendo) non sapere, il che significa mettendosi in ricerca alla stregua degli studenti, insieme a loro, contagiandoli con la propria curiosità disciplinare, ma anche con la propria capacità di ricerca e di analisi delle fonti. 3.4.6. I primi risultati Allo stato attuale non esistono ancora statistiche affidabili con le quali sia pos- sibile misurare l’efficacia delle classi capovolte. Prima ancora di mettere in piedi un sistema di valutazione, occorrerebbe inoltre decidere il tipo di obiettivi che si intendono accertare: non è da escludere che le classi tradizionali conseguano risul- tati uguali, o persino superiori, sulla riproduzione di conoscenze memorizzate e riprodotte nel breve periodo (nel lungo periodo, invece, è esperienza di tutti il livello considerevole di oblio a cui sono sottoposte le nozioni immagazzinate a scuola). Se, invece, si dovessero tentare di valutare altri obiettivi, quali il livello di motivazione, la curiosità intellettuale, l’imparare ad imparare e il senso critico, allora forse si avrebbero risultati decisamente a favore delle flipped classroom. Ma, come si diceva, nessuno è in grado di affermarlo col supporto di evidenze derivanti da comparazione scientifica. In realtà, un’insegnante che opera nel distretto di Washington DC ha provato a confrontare i risultati dei propri studenti non in rapporto alle proprie valutazioni, ma all’esame finale (Advanced Placements Examination), basato su un test standardiz- zato emesso da autorità nazionali (Educational Testing Service). Gli esiti di questa comparazione, avvenuta nel 2011 e riportati nella tabella seguente, incoraggiano a proseguire nel percorso intrapreso: infatti, nel primo anno di adozione della classe capovolta (2010-2011) nessuno studente ha conseguito i risultati più bassi della scala valutativa, mentre la media di rendimento è aumentata di più di mezzo punto. Di là da questo, vale la testimonianza della stessa insegnante: la sensazione dominante sino all’anno precedente era legata all’ansia degli studenti (e della stessa docente), ed anche ad una percezione di sforzo, che produceva fatica, e assenza di una reale interazione educativa. L’anno successivo, il primo di esperienza capo- volta (e dunque anche non privo di qualche incertezza dovuta al cambiamento) la sensazione dominante è diventata la curiosità, indicatore del fatto che gli studenti stavano diventando “independent learners” (apprendisti autonomi). Tabella 322 Il gruppo di insegnanti che ha elaborato l’approccio delle classi capovolte ha pubblicato di recente un Manifesto delle Flipped Classroom, nel quale se ne evi- denziano le caratteristiche principali. Prima di tutto si afferma una volta per tutte il vero significato (anche se probabilmente non quello originario) del verbo flip (ca- povolgere): ciò che viene capovolto è il peso della responsabilità sull’apprendi- mento, che dall’insegnante “passa di mano” verso lo studente. Accertato questo, ogni altro aspetto didattico può essere agevolmente integrato dentro l’approccio, a partire dall’uso delle tecnologie che, pur non indispensabile, rappresenta uno strumento fondamentale (ed anche originario, per molti versi). La tecnologia non è importante in sé, ma in quanto “leva” del cambiamento, elemento che ha finalmente scompaginato la predominanza dell’insegnante, ridimensionando il ruolo della memoria e della riproduzione. Per concludere alla stregua del Manifesto, la classe capovolta è un cambia- mento intenzionale nel modo di fare scuola, che aiuta a rimettere gli studenti al centro dell’apprendimento, senza considerarli un mero “prodotto” del fare scuola. 22 La tabella è tratta da S. ROSHAN, Changing the class experience, pubblicato su thedailyriff.org nell’agosto del 2011. 49 Media12345 Livello Anno Scolastico 2009/2010 2010/2011 23,53% 35,29% 23,53% 11,76% 5,88% 3,59 4,110022,22%44,44%33,33% 51 4. L’educativo digitale: un nuovo paradigma? Al termine di un triennio di esperienza, di confronto, scambi, analisi e di rifles- sioni circa il rapporto tra tecnologia e didattica è possibile porre, in una nuova luce, gli interrogativi radicali che stanno animando il mondo della scuola, in modo sempre più serrato e sistematico1: che cosa sta accadendo? Siamo di fronte ad una moda didattica tra tante, rivestita dal fascino dei new media, oppure c’è qualcosa di più? Si tratta semplicemente di una nuova metodologia, da confrontare con altre per valutarne l’efficacia, oppure è in atto un cambiamento più profondo, destinato a scuotere le fondamenta del tradizionale modo di fare scuola? Insomma, abbiamo a che fare semplicemente un nuovo strumento didattico, o con un metodo di insegna- mento più o meno promettente, oppure con un vero e proprio cambio di paradigma in educazione? Di fronte ad una riflessione di questa portata è evidente il rischio delle fazioni, e dei conseguenti riduzionismi: c’è chi, avanguardista ad oltranza, è tentato di uti- lizzare il grimaldello della tecnologia per denunciare l’obsolescenza della scuola, e al contrario chi, conservatore, denuncia i rischi della tecnologia, manifestando preoccupazione circa l’impoverimento della cultura, assediata dalla pervasività delle informazioni e dalla deriva del “copia ed incolla”. C’è chi, avanguardista ad oltranza, è tentato di utilizzare il grimaldello della tecnologia per denunciare l’obsolescenza della scuola e al contrario chi, conserva- tore, denuncia i rischi della tecnologia, manifestando preoccupazione circa l’impo- verimento della cultura, assediata dalla pervasività delle informazioni e dalla deriva del “copia ed incolla”. È probabilmente ancora impossibile fare un bilancio di un fenomeno che, ad essere onesti, è appena cominciato. I pochi tentativi di costruire un quadro valuta- tivo si scontrano con evidenti difficoltà di metodo, rischiando di essere guidati più dalle convinzioni del valutatore che da sicure evidenze scientifiche. Provando a dare credito sia all’una che all’altra corrente, sembra emergere una natura anfibia del dato tecnologico, che in taluni casi produce rassicuranti miglioramenti negli ap- prendimenti degli studenti, in altri invece pericolose regressioni2. 1 Mentre si sta concludendo la redazione del presente rapporto il Ministero dell’Istruzione ha pubblicato il Piano Nazionale per la Scuola Digitale. 2 In un recente articolo (Tecnologie didattiche a scuola. Oltre i luoghi comuni, in Aggiornamenti sociali, 9-10/63, 2012) Damiano Felini ha messo a confronto alcuni contributi critici, dalle conclusioni contraddittorie: Marco Gui, analizzando i dati di PISA, ha concluso che chi non usa mai le ICT ha ren- dimenti maggiori di chi le usa (cfr. M. GUI, Uso di Internet e livelli di apprendimento. Una riflessione sui sorprendenti dati dell’indagine PISA 2009, in Media Education. Studi, ricerche e buone pratiche, 52 Come fare sintesi tra questi estremi? Forse la risposta a questo dilemma con- siste nell’annullamento della questione stessa: la tecnologia non consegue di per sé né miglioramenti né peggioramenti. La tecnologia non è un approccio didattico, né comporta necessariamente una trasformazione della relazione educativa. La tecno- logia esiste, e basta. Essa è una “cosa”, o se vogliamo un fenomeno, resistente ad ogni trionfalismo come anche alle negazioni difensive. Così come esiste la carta, la stampa o la voce umana esistono anche il computer e il tablet, oggetti, non soggetti che sussistono nello spazio educativo. Dunque alla domanda: la tecnologia migliora gli apprendimenti? La risposta probabilmente è disarmante: non lo sappiamo. Preponderante, anzi, determinante in modo esclusivo è e rimarrà sempre il fattore umano, capace di volgere al bene o al male qualsiasi oggetto e fenomeno, qualsiasi semplice-presenza (per dirla alla Heidegger). Parafra- sando il Vangelo di Matteo, al capitolo 15, possiamo dire che tutto ciò che viene da fuori non conta, mentre ciò che viene da dentro può rendere puro o impuro l’essere umano. Così, probabilmente è tanto inefficace la lezione frontale nozionista e verbosa quanto il lassismo tecnologico del “lasciamo che i ragazzi apprendano da Internet”. L’uno e l’altro manifestano una radice comune, che consiste nel disimpegno educa- tivo, che può agire in ogni pratica o teoria dell’apprendimento, dai rigori cogniti- visti al costruttivismo dissennato, nascondendosi sia nelle pratiche di insegnamento che in imprudenti deleghe al protagonismo dello studente. 4.1. CAMBIAMENTO DI PARADIGMA? Riconoscere il primato al fattore umano, e all’impegno educativo che esso po- stula, non comporta tuttavia la rinuncia ad una riflessione sul metodo. Al contrario, proprio il dirompente proliferare dei new-media, preso come un “fatto”, richiede una profonda riflessione sulle pratiche didattiche, allo scopo di accrescerne i poten- ziali vantaggi, limitandone gli inevitabili problemi. Se infatti la tecnologia di per sé non disegna alcun approccio educativo, essa tuttavia può provocare, o forse ha già provocato, un cambiamento di paradigma. Thomas Kuhn definì “slittamento di paradigma”3 un mutamento profondo nella cornice concettuale che in un dato spazio-tempo supporta il sistema ordinario di credenze, dando luogo a una crisi e a conseguenti cambiamenti nel modo di pen- sare e di agire. Forse uno slittamento di paradigma è in atto nella scuola, dal mo- mento in cui informazioni, conoscenze ed opinioni hanno smesso di essere conte- 1/2012, pp. 29-42); Maria Teresa Ranieri, invece, analizzando alcune revisioni sistematiche, ha identifi- cato evidenze positive nell’uso didattico delle ICT, che si verificano poste alcune condizioni (cfr. M. RA- NIERI, Le insidie dell’ovvio. Tecnologie educative e critica della retorica tecnocentrica, ETS, Pisa 2011). 3 KUHN T., La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino 1979. 53 nute in via esclusiva dentro la carta stampata, per prorompere attraverso i mille ri- voli della comunicazione multimediale. Non sembra infatti trattarsi di un puro mutamento quantitativo, in termini di accrescimento, ma di un fenomeno qualitativo, in grado di cambiare le modalità stesse di fruizione della conoscenza. Qualcosa di simile deve essere accaduto con l’invenzione della stampa, che segnò, con il suo avvento, la prima rottura paradig- matica. Ma proviamo a grandi linee a fare un’ipotesi sull’evoluzione di tre para- digmi educativi. 4.1.1. L’educativo orale L’educativo orale, ovvero il paradigma educativo precedente all’invenzione della stampa, era contrassegnato da una relazione educativa “duale e forte”, in quanto connessa ad un modello tutoriale. Il passaggio dei saperi, in modalità orale, avveniva nel contesto del rapporto intenso tra tutore e apprendista, al più mediato dalla presenza di pochi e preziosissimi manoscritti. I potenziali vantaggi di questo scenario sono facilmente immaginabili: l’inten- sità della relazione può facilmente creare fascino e scintilla, mentre la persona del- l’apprendista è decisamente al centro della dinamica pedagogica. I ritmi sono per principio calibrati in situazione, e le attività possono agevolmente essere accompa- gnate da pratiche informali, dal gioco al prezioso strumento del colloquio educativo. Al contempo, i limiti del paradigma sono altrettanto evidenti: esso disegna una concezione profondamente elitaria dell’educazione, costosa e riservata a pochi. La natura aristocratica dell’educativo orale è ulteriormente confermata dall’inaccessi- bilità dei saperi, attingibili solo attraverso la mediazione del maestro e del sapiente. Persino la fruizione delle Sacre Scritture è riservata a pochi, attraverso lo strumento perfetto e immodificabile della lingua latina, prevenendo così ogni tipo di errore (ma anche di interpretazione storica e di approfondimento). 4.1.2. L’educativo cartaceo È facile immaginare la rivoluzione culturale accaduta con l’invenzione della stampa: essa, infatti, non contribuì semplicemente alla disponibilità delle informa- zioni, ma ne modificò profondamente la “distribuzione”, dalle modalità “produt- tive” della tradizione orale alle modalità “riproduttive” della tipografia. Non è un caso che di lì a poco mutò radicalmente il modo di fare scuola: con la pubblicazione della Ratio acque Institutio Studiorum si può affermare che la Congregazione dei Gesuiti perfezionò il concetto odierno di scuola, fatto di lezioni, libri, interrogazioni e voti. La relazione educativa si sfumò, spostandosi dal mo- dello duale-tutoriale all’assetto frontale e cattedratico, che ancora oggi prevede la trasmissione efficiente dei saperi dall’insegnante ad un numero considerevole di alunni, posizionati nei banchi in una posizione che consenta loro di ascoltare e scri- vere, riproducendo a loro volta i saperi. 54 Mentre l’adozione di un metodo didattico è relativamente facile, e non suscita particolari reazioni, cambiare il paradigma provoca facilmente risposte energiche nella parte conservatrice della popolazione coinvolta. Infatti, la reazione del mondo dell’educazione non tardò a rivelarsi in modo persino violento: per dirla in modo dia- lettico, i sapienti del precedente paradigma sentivano il pericolo dello slittamento dalle nobili radici della tradizione orale alla mercificazione dell’oggetto libro. Un interessante volumetto curato da Franco Pierno nel 2011 ha messo in luce la reazione che buona parte del mondo della cultura, rappresentato prevalentemente dalle congregazioni religiose, ebbe nel Quindicesimo secolo contro la nuova “tec- nologia”: «Est virgo haec penna, meretrix est stampificata», sintetizzava il domeni- cano Filippo della Strada4. Così, se Marsilio Ficino riteneva che l’invenzione di Gutenberg fosse una delle prime grandi imprese dell’età dell’oro all’orizzonte, i re- ligiosi detrattori della stampa manifestavano per lo meno diffidenza verso gli stru- menti del comunicare. Eppure, se è lecita una semplificazione, nel corso del tempo il mondo dell’educazione ha per così dire “digerito” la novità della stampa, rintrac- ciando le opportune contromisure e massimizzandone i vantaggi: l’adozione del libro di testo ha infatti coniugato il principio dell’autorità, proprio della tradizione orale, con i vantaggi della riproduzione di massa, che ha portato la conoscenza in ogni casa, sino ai giorni nostri. Così, se Marsilio Ficino riteneva che l’invenzione di Gutenberg fosse una delle prime grandi imprese dell’età dell’oro all’orizzonte, i religiosi detrattori della stampa manifestavano per lo meno diffidenza verso gli strumenti del comunicare. Eppure, se è lecita una semplificazione, nel corso del tempo il mondo dell’educa- zione ha per così dire “digerito” la novità della stampa, rintracciando le opportune contromisure, e massimizzandone i vantaggi: l’adozione del libro di testo ha infatti coniugato il principio dell’autorità, proprio della tradizione orale, con i vantaggi della riproduzione di massa, che ha portato la conoscenza in ogni casa, sino ai giorni nostri. Dall’aristocrazia dell’educativo orale alla democrazia dell’educativo cartaceo, cambiamento che non tardò a manifestare esiti anche nell’ambito politico delle forme di governo. 4.1.3. L’educativo digitale Non è probabilmente eccessivo affermare che per cinque secoli nulla ha più modificato il paradigma educativo scolastico, sino all’invenzione dei nuovi media (soprattutto smartphone e tablet) e di internet. La tecnologia sta forse nuovamente provocando un cambiamento di paradigma, probabilmente molto più dirompente, e dunque drammaticamente incerto negli esiti, quanto quello provocato dalla stampa. Basta annotare una considerazione di Umberto Eco per allarmarsi, sia se si condivide sia che non lo si faccia: «I nuovi strumenti agiranno nel contesto di una 4 F. PIERNO (a cura di), Stampa meretrix. Scrittori quattrocenteschi contro la stampa, Marsilio, Padova 2011. 55 umanità profondamente modificata, sia dalle cause che hanno provocato l’apparire di quegli strumenti che dall’uso degli strumenti stessi»5. Faiella, citando Eco, com- menta: «Nell’ambito del nostro discorso l’espressione “umanità modificata” si può sicuramente riferire agli studenti, ai giovani che affollano le nostre aule e che spesso vengono rappresentati come demotivati, distratti, singolari, stravaganti per il loro modo di parlare, di vestire e di relazionarsi; poveri rispetto alle generazioni precedenti in quanto ad educazione, istruzione e competenze; consumatori acritici e irriflessivi di prodotti e tecnologie»6. Mentre non si ritiene condivisibile la visione tendenzialmente pessimista, quasi determinista, che associa l’avvento delle nuove tecnologie ad un impoveri- mento del profilo medio, per così dire statistico, del giovane studente, non si può non sottolineare la dimensione paradigmatica del cambiamento in atto. Gli stu- denti di oggi, infatti, dotati di iPod e smartphone, costantemente connessi e impe- gnati a interagire sui social network, sono profondamente diversi dagli studenti di ieri, e così anche dei loro insegnanti. Né migliori né peggiori, semplicemente diversi. Dunque né entusiasmo acritico, né accecante paura: nulla di “esterno” spa- venta l’educatore! Ciò che ci attende è il non facile impegno del ripensamento glo- bale della relazione educativa, a partire da, ma ben oltre il fattore tecnologico, allo scopo di studiare entro quale scenario, e a quali condizioni/limitazioni, il cambia- mento in atto potrà andare a vantaggio dell’educazione di questa e delle prossime generazioni, per coltivare in esse “buoni cristiani e onesti cittadini”. Se si è di fronte ad un cambiamento di paradigma, è necessario non semplice- mente inserire le tecnologie dentro il modello attuale, ma trasformare il modello stesso. Non si mette vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino nuovo spacca gli otri, si versa fuori e gli otri vanno perduti. Fuori dalla metafora evangelica, inserire il tablet dentro la classe tradizionale potrebbe essere un’operazione non solo inu- tile, ma persino pericolosa. 4.2. UN PRIMO BILANCIO? In Italia già da tempo sono stati avviati progetti formali di ripensamento della didattica a partire dalla tecnologia. In particolare, già nel 2007 il Ministero dell’I- struzione aveva lanciato il Piano Nazionale Scuola Digitale, comprendente quattro iniziative su larga scala, tutte dotate di un congruo finanziamento, ovvero il Piano per la diffusione della LIM (Lavagna Interattiva Multimediale) e tre progetti pilota (cl@sse 2.0, scuol@ 2.0, Editoria digitale). 5 U. ECO, Apocalittici e integrati, Bompiani, Milano 2003, p. 30. 6 F. FAIELLA, Apprendimento, tecnologia e scuola nella società della conoscenza, in Tecnologie Didattiche, 50/2010, pp. 25-29. 56 Il nuovo Piano Nazionale Scuola Digitale, per altro, prevede 35 azioni con uno stanziamento complessivo di 600 milioni per le infrastrutture e 400 per le nuove competenze, la formazione del personale, il monitoraggio e le misure di accompa- gnamento. Quattro gli ambiti di intervento del Piano: • Strumenti abilitanti: è la parte infrastrutturale, riguarda tutte le azioni relative alla connettività, ai nuovi spazi e ambienti per la didattica, all’amministrazione digitale. • Competenze e contenuti per gli studenti: nuove competenze digitali degli stu- denti, standard e interoperabilità degli ambienti on line per la didattica, promo- zione delle Risorse Educative Aperte (OER), esperienze di alternanza scuola- lavoro in imprese digitali sono fra le azioni previste in questo ambito. • Formazione del personale: comprende gli interventi necessari per fare in modo che le persone che lavorano nella scuola – dirigenti, insegnanti, personale am- ministrativo – siano dotate delle competenze necessarie per guidare la digita- lizzazione della scuola. • Accompagnamento: essenziale per assicurare che il Piano si concretizzi in un cambio di paradigma diffuso e condiviso a tutti i livelli, sia dentro che fuori dalla scuola. Ma qual è l’efficacia sugli apprendimenti di queste pianificazioni? Nel marzo del 2013 l’OCSE ha pubblicato uno studio critico sullo stato di attuazione del Piano Nazionale in Italia7. Una delle considerazione rilevanti di questo studio riguarda la mancata diffusione delle pratiche digitali nelle prassi educative degli insegnanti, sia in Italia che negli altri paesi OCSE, aspetto che rende molto arduo, se non addirit- tura impossibile, fare un reale bilancio dell’impatto dei nuovi media sull’apprendi- mento degli studenti. Già nel 2006 un’indagine della IEA (International Association for the Evalua- tion of Educational Achievement), eseguita all’interno di 22 sistemi educativi nazio- nali, aveva rilevato questa fattispecie: alla domanda “quanto spesso utilizzi strumenti digitali nel tuo insegnamento”, la principale risposta da parte di docenti di matema - tica e scienze era “mai”, seguita da “qualche volta”8. Più di recente, nel 2009, l’indagine PISA mise in luce che nei paesi OCSE solo il 26% degli studenti quindicenni riportavano di aver utilizzato il computer durante le ore di lingua e il 24% durante le ore di scienze. Nel 2011 l’indagine TIMSS (Trends in International Mathematics and Science Study) rivelò che soltanto il 39% degli studenti utilizza almeno una volta al mese il computer per cercare informa- zioni (con le più alte percentuali, intorno al 70%, in Kazakhistan e in Norvegia)9. 7 F. AVVISATI et al., Review of the Italian Strategy for Digital Schools, in OECD Education Working Papers, 90/2013, OECD Publishing, http://dx.doi.org/10.1787/5k487ntdbr44-en 8 Cfr. N. LAW - W. PELGRUM - T. PLOMP, Pedagogy and ICT Use in Schools Around the World: Findings from the IEA SITES 2006 Study, Springer, Hong Kong 2008. 9 M. MARTIN - M I. MULLINS - P. FOY - G. STANCO (2012), TIMSS 2011 International Results in Science, International Association for the Evaluation of Educational Achievement, Amsterdam 2012. 57 In Italia è a titolo di esempio disponibile uno studio di Farnè10, che ha indagato la frequenza e le modalità di utilizzo delle ICT nella scuola dell’obbligo in tre re- gioni italiane (Lombardia, Emilia Romagna e Puglia). La frequenza di utilizzo “più volte alla settimana” delle ICT si pone tra il 20 e il 30% in tutto il campione, mentre la maggiorparte si attesta intorno alle 3-4 volte al mese. Più significativa è l’analisi delle modalità di utilizzo delle ICT: infatti, sembra prevalere un utilizzo semplicemente migliorativo, ovvero integrato alla lezione frontale, piuttosto che un uso trasformativo delle ICT. Infatti, in tutto il campione risulta pervasivo l’utilizzo delle ICT per l’approfondimento di argomenti scolastici o per l’alfabetizzazione in- formatica, mentre soltanto nel 10% della popolazione indagata la tecnologia è uti- lizzata per produrre ricerche e oggetti multimediali (ebook, podcast, etc.). Questo dato è confermato anche dalla letteratura internazionale: ad esempio, la già citata ricerca TIMSS ha messo in evidenza come l’uso prevalente, o quasi esclusivo delle ICT è legato al supporto delle presentazioni del docente oppure alla ricerca di informazioni. Vale la pena soffermarsi su quest’ultima notazione, distinguendo più in profon- dità le modalità qualitative di utilizzo delle nuove tecnologie nella didattica. A questo proposito può essere utile analizzare la classificazione del rapporto tra tecno- logia ed educazione fatta da Puentedura, nell’ambito del cosiddetto modello SAMR (Substitution Augmentation Modification Ridefinition). Il ricercatore espone quattro possibili modalità di integrazione della tecnologia (in particolare il tablet) nella di- dattica, due delle quali semplicemente migliorative (sostituzione e potenziamento), due invece di carattere trasformativi (modificazione e ridefinizione). Tabella 1 - SAMR model11 (modificato dall’autore) 10 R. FARNÈ, Media education nella scuola dell’obbligo. Una ricerca in tre regioni italiane, in Media Education. Studi, ricerche e buone pratiche, 2/2010, pp. 145-200. 11 R. PUENTEDURA, Thinking About Change in Learning and Technology, presentazione del 25 set- tembre 2012 al primo Global Mobile Learning Conference, Al Ain, UAE, scaricabile da http://www. hippasus.com/rrpweblog/archives/2012/04/10/iPad_Intro.pdf Livello Sostituzione Potenziamento Cambiamento Nessuno. L’insegnamento rimane centrato sul docente, che guida ogni aspetto della lezione. Ci sono alcuni benefici funzionali, come ad esempio l’immediato feedback sui risultati di apprendimento. L’istruzione inizia a spostarsi lungo il continuum tra docente e studente. Quest’ultimo potrebbe essere più motivato. Esempio Gli studenti stampano le loro presentazioni. Gli studenti eseguono un test di apprendimento attraverso Google. Definizione La tecnologia è utilizzata per i medesimi compiti che venivano perseguiti in sua assenza. La tecnologia fornisce strumenti più efficaci per i medesimi compiti. segue 58 L’analisi del modello appena esaminato tende a confermare l’utilizzo prevalen- temente migliorativo (ammesso che riesca ad esserlo) delle tecnologie all’interno della scuola, in Italia e non solo. Questa fattispecie rende ancora più ardua la valu- tazione dell’impatto delle ICT nella scuola, in quanto manca il presupposto fonda- mentale, ovvero un impianto progettuale coerente e definito, che renda confronta- bili i risultati di apprendimento in due contesti ben distinti, quello per così dire non mediato dalla tecnologia e quello mediato dalla tecnologia. È persino possibile ipo- tizzare che la forte ambiguità dei risultati, che a volte denotano significativi miglio- ramenti, a volte un impoverimento delle competenze di base, sia riconducibile a differenti usi della tecnologia. In questo senso, risulta discutibile l’utilizzo dell’ag- gettivo “migliorativo” applicato ai primi due livelli del modello SAMR: un utilizzo della tecnologia senza un’idea pedagogica che lo ispiri e lo guidi rischia davvero di peggiorare l’efficacia dei sistemi scolastici. L’educazione deve mantenere (rintracciare? riguadagnare?) il suo primato, a guida di un fenomeno in fondo “neutro” come quello della tecnologia. Già Hei- degger aveva denunciato, in ambito filosofico, i rischi di una technè svincolata dal- l’umano. Se è vero che la tecnologia, specie quando provoca cambiamenti paradig- matici, stimola una riflessione, ed anche una trasformazione, sugli e degli stili edu- cativi, è vero anche che senza quest’ultima la tecnologia può rivelarsi più un peri- colo che un fattore di sviluppo. Ma è vero anche, sempre citando Heidegger, che là dove c’è pericolo c’è anche la salvezza. Livello Modifica Ridefinizione Cambiamento Ci sono cambiamenti significativi: gli studenti potrebbero impegnarsi di più sapendo che la loro prestazione potrà essere ascoltata anche da altre persone. L’interazione tra docenti e studenti si concentra sul prodotto da realizzare, e gli studenti potrebbero fare maggiori domande e porsi in modo più attivo. La tecnologia sposta decisamente sullo studente il centro delle attività di insegnamento/apprendimento. La collaborazione diventa necessaria, e la tecnologia la rende possibile. Le interazioni e le discussioni sono sempre più spesso generate dagli studenti. Esempio Gli studenti realizzano un podcast del loro saggio su un argomento dato. La performance potrà così essere caricata in rete, o comunque ascoltata anche in contesti e tempi differenti. Agli studenti è chiesto di realizzare un reportage video su un dato argomento. Gli studenti possono suddividersi il lavoro rintracciando articolazioni del reportage complessivo. Inoltre, possono in ogni momento contattare fonti ed esperti esterni all’ambiente scolastico. Definizione I comuni compiti scolastici sono trasformati dall’utilizzo della tecnologia. La tecnologia consente di affrontare nuovi compiti, prima inconcepibili. segue 59 4.3. GLI ATTEGGIAMENTI DEGLI INSEGNANTI È sin troppo facile argomentare che la variabile decisiva nell’ambito del rapporto tra tecnologia e educazione è l’atteggiamento degli insegnanti di fronte ai nuovi strumenti, e alle potenziali modifiche che essi richiedono al loro ruolo e stile di insegnamento. Con il rischio di semplificare eccessivamente la questione, gli atteggiamenti degli insegnanti possono essere anch’essi ricondotti a quattro tipologie: – rifiuto, – depotenziamento/assimilazione, – adesione acritica, – adesione critica. Sul rifiuto, non occorrono molti commenti. Questo tipo di insegnante rifiuta i nuovi strumenti a partire da una aprioristica posizione, che può essere variamente fondata, ad esempio su una sorta di immodificabile routine didattica, oppure su un tradizionalismo, scettico di fronte a qualsiasi novità, oppure ancora su un giudizio negativo sulla tecnologia in sé, o su una combinazione tra questi. Per quanto riguarda il depotenziamento, esso consiste nella neutralizzazione del nuovo media (qualsiasi esso sia) entro la cornice tradizionale della didattica. Lo strumento viene adottato, ma in un modo che lo assimila entro l’assetto consueto del rapporto tra docente e allievo, senza coglierne le valenze trasformative. Per alcuni strumenti questo tipo di atteggiamento è probabilmente utile ed ef - ficace: la Lavagna Interattiva Multimediale, per fare un esempio, può con facilità essere integrata dentro la lezione frontale, potenziando gli effetti di multimedialità, ed anche di interazione. Questo tipo di approccio può invece risultare più difficile, e comunque potenzialmente dannoso, con i più recenti dispositivi individuali, primo tra tutti il tablet. Impostare una lezione frontale davanti a un gruppo di stu- denti, tutti dotati di tablet, potrebbe mettere l’insegnante in una situazione imbaraz- zante: egli conferisce la lezione, mentre gli allievi, apparentemente attenti (ovvero impegnati nel prendere appunti sull’invisibile tastiera), sono in realtà ipnotizzati da un gioco o da qualsiasi altra applicazione, anche fuori rete. Il terzo tipo di atteggiamento consiste invece in un’adozione acritica, entusia- stica, ovvero poco attenta alle condizioni di una applicazione realmente utile in ambiente scolastico. Non esiste alcun dispositivo che possa essere immesso nel contesto della relazione educativa senza una mediazione pedagogica, cioè una riflessione atta a individuare quali possano essere le modalità didattiche idonee a trasformarlo in uno strumento al servizio dell’educazione. Le ICT possiedono innegabilmente un fascino quasi irresistibile per insegnanti zelanti e aperti al nuovo: infatti, esse producono con una certa facilità una situa- zione spesso inedita nelle nostre classi, ovvero attivano gli studenti, mettendo in moto atteggiamenti di ricerca e di manipolazione delle conoscenze. Nel confronto tra la staticità dei contesti tradizionali e il dinamismo della cosiddetta classe 2.0 i 60 costruttivisti ad oltranza potrebbero rintracciare, in modo appunto acritico, i van- taggi dei nuovi media. Ma è davvero tutt’oro quel che luccica? È certamente vero che le ICT favoriscono un approccio costruttivista alle atti- vità di insegnamento-apprendimento, inducendo negli allievi atteggiamenti attivi, e favorendo la motivazione a ricercare, confrontare e interagire. Tuttavia, non neces- sariamente un’attività in classe, iniziata e gestita dagli studenti, si traduce in reale apprendimento. Un recente saggio di Pellerey12 ha messo in luce le potenziali de- rive di un approccio costruttivista ad oltranza: «Non è automatico apprendere quando ci si muove fisicamente, ma non si lavora intellettualmente: il vero labora- torio di apprendimento è quello che si svolge nella testa»13. Il monito dell’autore è forte e foriero di riflessioni: se rimane desiderabile la situazione di una classe attiva, dove gli allievi si muovono e interagiscono in modo costruttivo, occorre tuttavia comprendere meglio a quali condizioni ed entro quali limitazioni questa fattispecie sia realmente efficace ai fini dell’apprendimento. Ri- prendendo ancora una volta una suggestione di Pellerey, occorre che il capo-can- tiere dell’esperienza scolastica rimanga sempre e comunque l’insegnante! Se questo è vero, occorre riconoscere che l’introduzione delle ICT può da una parte esasperare un radicale costruttivismo, dall’altra indurre nei docenti un atteg- giamento per così dire lassista, nutrito o da un’inerzia personale, o da convinzioni sottili, quasi rousseauiane, quali le seguenti: “occorre lasciar fare gli studenti”, “bi- sogna dare spazio alla loro iniziativa”, o altre simili. Le derive sono alla porta: im- poverimento delle capacità alfabetiche, smarrimento del senso critico, estetismo dell’informazione, moda del “copia e incolla”, etc. In questo modo si giunge al quarto tipo di atteggiamento, facilmente identifica- bile come il più equilibrato, presago di frutti per il sistema scolastico. Esso consiste in un’adesione critica, che non rifiuta il nuovo, ma lo piega ad esigenze educative, esaminandolo al vaglio degli esiti, in termini di apprendimento di conoscenze, abi- lità e competenze. In questo scenario, l’educazione conserva il primato sulla tecno- logia, che viene inserita entro un progetto consapevole ed intenzionale, nel quale alla chiarezza degli obiettivi si accompagna una guida e un monitoraggio costante del processo di insegnamento-apprendimento. Lungi dal lasciare (lassismo) l’inizia- tiva completa ai propri allievi, il formatore rimane il capo-cantiere dell’apprendi- mento, predisponendo mandati complessi, mettendo a disposizione risorse plurime e affidabili, sfidando ed educando il senso critico, sollecitando domande, e sfidando gli studenti in situazioni che non trascurano le componenti basali dell’intelligenza umana, nell’affiancare ai nuovi bisogni espressivi abilità cognitive fondamentali quali la scrittura creativa, il calcolo, la classificazione e l’analisi. 12 M. PELLEREY, Oltre il costruttivismo? Verso una progettazione didattica sensibile alle caratte- ristiche degli studenti e alle esigenze dei contenuti da apprendere, secondo un approccio costrutti- vista cognitivo, in Rassegna CNOS. Problemi esperienze e prospettive per l’istruzione e la formazione professionale, 2/2014, pp. 77-96. 13 Ibi, p. 86. 4.4. PER UN COSTRUTTIVISMO MODERATO Riprendendo la sollecitazione di Pellerey, le ICT rappresentano una sfida ine- dita per ricollocare il nesso tra insegnamento e apprendimento nell’ambito di un co- struttivismo moderato, attento alle esigenze dello sviluppo cognitivo degli allievi, ma anche a superare le falle della didattica tradizionale. Non si può chiedere alle nuove tecnologie di modificare l’approccio educativo della scuola, ma certamente esse costituiscono una occasione inedita, in quanto sfida paradigmatica, in grado di mettere in crisi l’assetto consueto delle classi. Se non si è realmente disponibili al cambiamento, o se si affida alla tecnologia la “di- rezione” di esso, allora è meglio tenerle fuori dalle mura della scuola, pena l’ineffi- cacia, o persino la nocività dell’operazione. Certamente la normale didattica presenta un rischio da tutti riconosciuto, quello cioè di accentuare il ruolo e le funzioni del formatore, relegando l’allievo a comprimario, coinvolto in prestazioni passive di ascolto e riproduzione culturale, mentre il prodotto atteso si riduce ad una pura memorizzazione di conoscenze. Di fronte a questo scenario, la teoria costruttivista ha messo in luce la necessità che l’allievo si impegni personalmente in attività di elaborazione e produzione, per poter realmente apprendere. L’introduzione non meditata della tecnologia, per altro, potrebbe far pervenire a posizioni diametralmente opposte, accentuando il ruolo attivo dello studente, e confinando la funzione docente a una sorta di regolatore di un ambiente già di per sé generativo. Tabella 2 - Blended Learning come metodologia mi sta tra istruzione tradizionale e eLearning14 61 14 La tabella è ampiamente adattata dalla proposta di iNACOL (International Association for K12 Online Learning), associazione statunitense che ha proposto di recente una edizione di standard di qualità nel campo dell’apprendimento mediato dalle ICT, cfr. iNACOL, National Standards for Quality Online Courses, scaricabile dal sito http://www.inacol.org/resources/publications/national- quality-standards/#3893 Modello di supporto Programmazione Infrastruttura tecnologica eLearning Coordinamento mediante uso avanzato della tecnologia, esperti esterni e risorse della comunità. Programma altamente flessibile, con istruzione possibile sulle 24h. Blended Facilitazione mediante supporti multipli, tra cui la tecnologia. Istruzione tradizionale Il docente e gli altri ruoli di tradizione (es. tutor). Orario giornaliero fisso, istruzione in aula. Gli studenti accedono a risorse (tablet) solo durante la lezione. Mix tra istruzione d’aula e lavoro autonomo. L’accesso avviene durante il tempo scolastico, durante la lezione ma anche in forma autonoma (laboratorio). segue L’accesso a scopo di apprendimento è previsto h24. 62 In quest’approccio, la nozione di competenza, intesa come esito dell’apprendi- mento, potrebbe snaturarsi, perdendo l’aggancio ai contenuti culturali e masche - randosi dietro a mere abilità informatiche o espressivo-estetiche (ad esempio tradu- cendosi nella capacità di creare un ebook graficamente gradevole, ma i cui conte- nuti sono il frutto della cosiddetta “literacy cut and paste”). In questo caso, diventa palese il rischio che alle attività esterne dell’allievo non corrisponda alcuna modifi- cazione del suo stato cognitivo, ovvero nessuna acquisizione di conoscenze, abilità e competenze culturali. Quali sono dunque le condizioni educative di un utilizzo efficace delle nuove tecnologie? Come si modifica il rapporto tra insegnamento e apprendimento, senza che il primo abdichi al secondo? Come possiamo fare in modo che le attività esterne, tecnologicamente mediate, che lo studente mette in moto si traducano in reali apprendimenti, intesi come modificazioni dello stato cognitivo del soggetto? Una prima considerazione è di carattere generale, e riguarda la capacità del for- matore di miscelare i diversi stili di insegnamento, non assolutizzando alcun ap- proccio, ma diversificando le modalità educative in base sia alla tipologia dei conte- nuti da apprendere che al grado di maturazione degli allievi15. In questo può essere utile, a livello simbolico, l’accezione del termine inglese blended: esso, letteral- mente, significa “mescolato, miscelato, misto”. Per blended learning, in effetti, si 15 Ibi, p. 94-95. segue Risorse per l’istruzione Comunicazione Spazio Ruolo dello studente Ruolo del docente eLearning Le risorse online sono il curricolo. Esclusivamente asincrona. Blended Le risorse online vanno al di là di quanto programmato, espandendo contenuti e curricolo. Istruzione tradizionale L’uso di risorse online è minimo e prestrutturato (es. libro digitale). Recipiente delle istruzioni del docente, che segue un ritmo stabilito. Su alcuni contenuti lo studente è recipiente, su altri attiva delle scelte. Completamente frontale, ovvero fornitore di istruzioni e contenuti. In parte frontale e in parte laterale. Esclusivamente sincrona, in aula. Aula. L’aula, ma anche altri luoghi dentro la scuola. Tutta la scuola, ed anche la casa. Lo studente sceglie obiettivi, risorse e strumenti. Può anche stabilire il proprio ritmo. Completamente laterale, ovvero di supporto alle richieste di aiuto dello studente. Tutti gli studenti hanno i medesimi obiettivi. Alcuni obiettivi individuati a monte e calendarizzati, altri liberi per modalità e percorso. Gli studenti si confrontano con risorse digitali, ed hanno molteplici percorsi per raggiungere gli obiettivi formativi, senza dipendere da un calendario predeterminato. Mix tra sincrono e asincrono. Personalizzazione 63 tende a identificare una strategia di progettazione didattica che coniuga aspetti e me- todi dell’apprendimento tradizionale (lezione frontale, o comunque comunicazione interpersonale diretta), con aspetti e metodi dell’apprendimento online, con il reperi- mento di risorse esterne e di modalità di interazione a distanza che esso favorisce16. Nella Tabella 2 è possibile visualizzare un possibile modo in cui il blended learning compone modalità d’insegnamento solo apparentemente incompatibili. Certamente il punto di equilibrio tra il metodo frontale e l’apprendimento mediato dalla tecnologia non può essere fissato a priori, ma va differenziato in base agli obiettivi formativi e al livello di autonomia degli allievi, senza tuttavia rinunciare in modo aprioristico all’una o all’altra metodologia, né fissando in modo rigido una corrispondenza tra contenuti e modalità di insegnamento. Così, per l’insegnamento di abilità alfanumeriche di base, può essere utile iniziare da una lezione frontale, per poi cimentare gli allievi in compiti di produzione mediati dalle ICT, ma può rivelarsi altrettanto utile iniziare da un compito reale (come ad esempio la scrittura su un blog creativo), per poi lavorare in frontale su componenti grammaticali o di altro ordine che si fossero rivelate lacunose, e pertanto bisognose di interventi strutturati di potenziamento. Insomma, le tecnologie possono essere efficaci a patto di essere considerate come integrative, e non sostitutive, dell’intervento intenzionale dell’insegnante, consentendo allo studente di sperimentare una molteplicità di situazioni di appren- dimento. Il ruolo dell’insegnante, piuttosto che essere diminuito, si trasforma, si arricchisce e per certi versi si complica: egli progetta il tempo scolastico secondo una varietà di situazioni e di stimoli, impartendo lezioni, elaborando mandati di lavoro, indicando risorse per l’apprendimento e fornendo ai propri allievi continui feedback sul loro processo di apprendimento (oltre che sui relativi esiti). 4.5. LA COMPETENZA DIGITALE L’introduzione delle ICT nella scuola, oltre a trasformare le modalità di perse- guimento degli obiettivi formativi per così dire ordinari, in ambito culturale e pro- fessionale, pone nuove sfide educative, che devono essere affrontate per dotare gli allievi di un corredo di competenze all’altezza della società contemporanea. In questo senso è doveroso discutere di competenza digitale, così come già nel 2006 ci aveva invitato a fare la Comunità Europea nel quadro della celeberrima Racco- mandazione sulle Competenze Chiave per l’Apprendimento Permanente17. 16 Per approfondimento cfr. M.B. LIGORIO - S. CACCIAMANI - D. CESARENI, Blended learning. Dalla scuola dell’obbligo alla formazione adulta, Carocci Editore, Roma 2006. 17 La Raccomandazione definisce la Competenza Digitale come: «Saper utilizzare, con dimesti- chezza e spirito critico, le tecnologie della società dell’informazione (TSI) per il lavoro, il tempo libero e la comunicazione. Essa è supportata dalle abilità di base nelle TIC (Tecnologie di Informazione e di Comunicazione): l’uso del computer per reperire, valutare, conservare, produrre, presentare e 64 Il rapporto degli studenti con la tecnologia è infatti non immediatamente con- nesso all’acquisizione di una reale competenza digitale. Nel loro rapporto con i nuovi dispositivi, ed in particolare con tablet e smartphone, gli studenti potrebbero tendere a essere più consumatori che produttori, recependo passivamente informa- zioni diffuse, e a lavorare più da soli che in modo cooperativo. Parallelamente, la scuola potrebbe fraintendere il senso dell’educazione digitale, limitandosi all’inse- gnamento di pure abilità informatiche (ad esempio sull’utilizzo di uno specifico software, o sistema operativo), per di più in un contesto di lezione frontale. In Italia Calvani ha proposto un referenziale complesso e pedagogicamente stimolante per la competenza digitale, non limitandosi alla mera componente tec- nologica, ma identificando le diverse sfaccettature di un costrutto volutamente mul- tidimensionale: «La competenza digitale consiste nel saper esplorare ed affrontare in modo flessibile situazioni tecnologiche nuove, nel saper analizzare selezionare e valutare criticamente dati e informazioni, nel sapersi avvalere del potenziale delle tecnologie per la rappresentazione e soluzione di problemi e per la costruzione con- divisa e collaborativa della conoscenza, mantenendo la consapevolezza della re- sponsabilità personali, del confine tra sé e gli altri e del rispetto dei diritti/ doveri reciproci»18. Nella definizione si rintracciano facilmente tre dimensioni: quella tecnologica, che coinvolge abilità di esplorazione e l’attitudine ad affrontare con flessibilità pro- blemi e contesti tecnologici nuovi; quella cognitiva, che include la capacità di leg- gere, selezionare, interpretare e valutare dati e informazioni sulla base della loro pertinenza ed attendibilità, e infine quella etica, che indica il saper interagire con altri soggetti in modo costruttivo e responsabile avvalendosi delle tecnologie. Solo l’integrazione delle tre dimensioni costruisce la competenza, intesa come il saper fruire del potenziale offerto dalle tecnologie per la condivisione delle infor- mazioni e la costruzione collaborativa di nuova conoscenza. In questo modo, ogni tratto si supera nell’altro, perdendo la propria esclusività: le abilità tecnologiche richiedono complessità cognitiva e attitudini etiche, non perseguibili mediante una pura delega all’attivismo dello studente. L’insegnante è il regista del processo for- mativo (il capocantiere), decidendo quando, perché, se e come lasciare agli studenti l’iniziativa, seguendo il percorso e valutandone gli esiti. scambiare informazioni nonché per comunicare e partecipare a reti collaborative tramite Internet». Per un approfondimento cfr. M. PELLEREY, La competenza digitale: una competenza chiave per l’appren- dimento permanente. Dieci anni di riflessioni critiche e propositive a livello europeo e italiano, in Rassegna CNOS. Problemi esperienze e prospettive per l’istruzione e la formazione professionale, 1/2014, pp. 41-58. 18 A. CALVANI, A. CARTELLI, A. FINI, M. RANIERI, Modelli e strumenti per la valutazione della competenza digitale nella scuola, in Journal on eLearning and Knowledge Society. Application, 3/2008, pp. 119-128. 65 Figura 1 - Dimensioni del costrutto di competenza digitale19 4.6. ALCUNE INDICAZIONI CONCRETE Per concludere, è possibile evidenziare anche alcuni suggerimenti concreti per la strutturazione di un percorso efficace di apprendimento mediato dalle tecno- logie20. Le indicazioni si possono riassumere nelle seguenti: – Non sempre tecnologia: si è già evidenziata la complementarietà tra il metodo della lezione frontale e l’apprendimento attraverso le ICT, a definire in modo flessibile un approccio blended learning. A questo si aggiunge che durante la lezione frontale non è probabilmente opportuno consentire agli allievi l’uso di dispositivi individuali come il tablet. Infatti, troppo alto è il rischio che lo stu- dente, apparentemente coinvolto in prestazioni del tipo “prendere appunti” o “visionare materiali segnalati dal docente, e utili alla presentazione”, sia in realtà ingaggiato in altre operazioni, come praticare un gioco offline o aggior- nare il suo profilo. Pertanto, durante il momento dedicato alla lezione frontale, nulla vieta di chiedere agli allievi di mettere via il device, per fruire dei nor- mali strumenti cartacei, ovvero quaderno e matita; se non altro, oltre a conti- nuare a praticare attività utili quali la scrittura a mano, sarà più facile indivi- duare il loro eventuale mancato coinvolgimento nel compito. 19 Ibi. 20 Al riguardo, si segnala la pubblicazione da parte del CNOS-FAP nazionale delle Linee Guida iCNOS sull’utilizzo del tablet nella didattica (visionabili e scaricabili dal blog http://blog.icnos.net/ linee-guida-tablet-classe/). Esse rappresentano il frutto di un’intesa riflessione sugli esiti della speri- mentazione in atto nei Centri di Formazione Professionale salesiani. Exploring new technological contexts in a flexible way Understanding the potential of networking technologies for collaborative knowledge building Access, selection and critical evaluation of information Interacting through ICTs in a responsible way 66 – Complessità del mandato di lavoro: per strutturare i momenti dedicati al lavoro autonomo, o in forma individuale o in forma cooperativa, è buona pratica ela- borare un mandato di lavoro, da consegnare agli allievi in modalità tangibile (scheda cartacea, file digitale, etc.), e non soltanto oralmente. Il livello di com- plessità e di strutturazione del mandato determinano in larga parte la natura del lavoro cognitivo che verrà condotto dagli studenti: se esso consiste in una sem- plice enunciazione del prodotto richiesto, sul modello “fai una ricerca sulla se- conda guerra mondiale”, è molto elevato il rischio che gli allievi percorrano fa- cili scorciatoie, ad esempio tagliando e incollando contenuti da un sistema wiki, per poi decorarli con oggetti multimediali di vario tipo, che tuttavia non aumentano la caratura cognitiva del lavoro svolto. Occorre dunque che il man- dato preveda modalità complesse di ricerca e produzione, declinando in modo più preciso e articolato uno o più elementi, quali la qualità del prodotto finale, il numero e la tipologia delle fonti, i criteri di valutazione, etc. Ad esempio, il mandato potrebbe consistere nella produzione di una presentazione audio (podcast) sulla seconda guerra mondiale, nella quale risulti evidente l’utilizzo di almeno tre fonti tra quelle indicate (oltre ad altre eventuali risorse rintrac- ciate in modo autonomo), e che verrà valutata anche sulla correttezza gramma- ticale e sull’appropriatezza dello stile narrativo. – Strutturazione delle risorse e delle fonti: come già accennato, è opportuno che il mandato di lavoro ritagli, nell’universo delle risorse reperibili sia in rete che non, un ventaglio di fonti ritenute affidabili dal docente, o mediante la loro puntuale annotazione – sitografia – all’interno del mandato stesso, o attraverso il ricorso a biblioteche digitali. In questo modo il formatore, lungi dal venir meno al ruolo di mediatore della conoscenza, lo riveste in modo più com- plesso, rinunciando alla sicurezza del libro di testo (rigido nella sua univocità), per discutere con i propri allievi i criteri di selezione delle fonti, abituandoli al senso critico, oggi potenzialmente indebolito dall’invadenza della comunica- zione di massa. Anche sotto questo profilo le ICT rappresentano sia una mi- naccia che un’opportunità: se la facilità di reperimento di informazioni può in- durre negli studenti un nuovo tipo di passività, al tempo stesso consente una rassegna, anche in tempo reale, di una pluralità di fonti, stimolando la capacità di confrontare e vagliare risorse. La variabile è nuovamente l’insegnante, che da una parte rende complesso il mandato, dall’altra vigila sui processi di ap- prendimento, evitando scorciatoie e facili riduzioni. – Valutazione: un altro possibile tranello connesso all’uso delle ICT nella didat- tica consiste nella sottile trasformazione dei criteri di valutazione, che dalle modalità culturali di accertamento della conoscenza si sposta, inconsapevol- mente, verso l’apprezzamento delle qualità estetiche degli oggetti multime- diali. Occorre dunque anche qui consigliare l’utilizzo di modalità multiple di valutazione, che renda compatibile il repertorio tradizionale (test, interroga- zioni, etc.) con nuove e inedite modalità di stima dei prodotti culturali, tecno- 67 logicamente mediati. Il tema della valutazione non si esaurisce certamente in queste poche battute, ma nell’ambito del presente contributo possono bastare alcune semplici raccomandazioni:  esplicitare con chiarezza nel mandato di lavoro gli obiettivi formativi e i criteri di valutazione, non dando agli allievi l’impressione di ingaggiarli su meri compiti di reportage multimediale;  esaminare gli oggetti didattici, esiti del mandato di lavoro, alla luce dei me- desimi criteri, evitando di farsi abbagliare dalla novità delle modalità di presentazione;  al termine di un’esperienza attiva (esempio produzione di un tutorial), oltre a valutare l’oggetto prodotto, sottoporre agli allievi modalità tradizionali di accertamento delle conoscenze coinvolte nel compito, sottolineando così le diverse finalità del lavoro svolto (non solo competenze creative, ma anche acquisizione di competenze e conoscenze culturalmente contrassegnate). Solo osservando queste o altre cautele, di tenore strettamente pedagogico, l’in- troduzione della tecnologia (ed in particolare del tablet) aiuterà la scuola a trasfor- marsi, nel nome dell’educativo (non del digitale). L’educativo che, intuendo il fat- tore umano che c’è dietro ad ogni strumento, riesce a mettere al centro la persona, in ogni tempo e con ogni mezzo. 69 5. L’educativo digitale e i Bisogni Educativi Speciali Al termine di un triennio di esperienza, e dopo aver collegato il fattore tecno- logia al dominio del paradigma educativo, l’interrogativo (e l’opportunità) che rimaneva era quello di capire come e se il nuovo scenario potesse favorire anche la cosiddetta didattica inclusiva, nel nome dell’istanza metodologica e valoriale della personalizzazione. Per altro, questo tema di indagine è salito all’attenzione anche in forza del fatto che il mondo della scuola, alla luce della pubblicazione del si- stema di classificazione ICF dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha messo al centro della riflessione pedagogica il tema universale dei Bisogni Educativi Speciali. In realtà già nel 1997 l’Unesco, nel classificare i sistemi educativi, definì come Bisogno Educativo Speciale una condizione che “si estende al di là di quelli che sono inclusi nelle categorie di disabilità, per coprire quegli alunni che vanno male a scuola (failing) per una varietà di ragioni che sono note nel loro impedire un pro- gresso ottimale”. Alla luce di questo concetto, i sistemi educativi sono chiamati ad individuare le difficoltà dei loro allievi con una sensibilità che va al di là del tradizionale accertamento della disabilità (certificazione), per aprire il campo alla valutazione di qualsiasi disturbo di funzionamento, specie nel campo delle attività di apprendimento. Certamente lo scopo ultimo dei sistemi di istruzione e di formazione è quello di garantire alcuni traguardi (outcomes) descritti in termini di competenze, con rife- rimento sia alle competenze di base che a quelle trasversali e professionali. Il rag- giungimento delle competenze riferite agli standard, tuttavia, deve essere mediato dal principio della personalizzazione, che prevede la valorizzazione delle compe- tenze di ciascuno, attraverso l’introduzione di misure di sviluppo o recupero degli apprendimenti. La presenza di allievi con Bisogni Educativi Speciali non fa che accentuare il peso del principio metodologico della personalizzazione, esigendo la delineazione di strumenti e itinerari ad hoc, e andando oltre alle mere dichiarazioni di principio, alla luce del motto di Don Milani: “non è giusto far parti uguali tra disuguali”. Ma cosa sono più precisamente i Bisogni Educativi Speciali? Come si valu- tano? E, una volta individuati, come è possibile garantire un’autentica persona - lizzazione, all’interno di organismi scolastici che non sembrano avere le risorse per “fare la differenza”? Sarebbe infatti frustrante mettere in luce bisogni e ri- chieste senza al contempo avere la capacità di rispondervi, nel nome del primato dell’educazione su ogni altra istanza (tra cui anche quella della sostenibilità e del- l’efficienza) 70 Insomma, le questioni cruciali che verranno affrontate sono riconducibili a due. La prima, di più facile soluzione, è quella valutativa: come è possibile indivi- duare un Bisogno Educativo Speciale? La seconda, molto più complessa e sfidante, è la seguente: una volta accertata la presenza di uno o più studenti o allievi con Bi- sogno Educativo Speciale, entro quale scenario educativo è realmente perseguibile il valore della personalizzazione, al di là della facile parenetica pedagogica e di altrimenti sterili enunciazioni di principio? 5.1. LA VALUTAZIONE DEI BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI Che cosa è dunque un Bisogno Educativo Speciale? E, di conseguenza come si valuta? A questo proposito si ritiene di provare a fare un poco di chiarezza, a fronte di una confusione generata da affermazioni sovente contraddittorie, che si possono individuare anche nelle recenti circolari ministeriali sull’argomento. Per dipanare la questione si esamineranno due ipotesi per così dire insiemi- stiche, che si originano dialetticamente dal confronto tra i costrutti di disabilità e di Bisogno Educativo Speciale, appunto. 5.1.1. I Bisogni Educativi Speciali includono la categoria di disabilità Questa prima affermazione si può ben individuare all’interno della già citata definizione dell’Unesco (ISCED, 1997): il concetto di Bisogno Educativo Speciale (SEN = Special Educational Needs) si estende al di là di quelli che sono inclusi nelle categorie di disabilità, per coprire quegli alunni che vanno male a scuola (failing) per una varietà di ragioni che sono note nel loro impedire un progresso ottimale. Prima ipotesi insiemistica 71 La definizione, anteriore alla pubblicazione del sistema ICF dell’Organizza- zione Mondiale della Sanità, sottende la tradizionale concezione della disabilità come “conseguenza di menomazione o malattia”, così come era stabilito dal prece- dente classificatore dell’OMS (ICIDH, International Classification of Impairment, Disease and Handicap). In questo scenario, il concetto di BES è concettualmente più ampio rispetto a quello di disabilità, includendolo all’interno dell’insieme più vasto dei disturbi dell’apprendimento. Insomma, se la disabilità è sempre un Bi- sogno Educativo Speciale, non è detto che un Bisogno Educativo Speciale sia una disabilità, in quanto il disturbo di funzionamento in ambito di apprendimento po- trebbe non essere conseguenza di una sindrome certificabile. Pertanto, se la disabilità, intesa come limitazione o assenza di capacità conse- guente a menomazione, può essere senz’altro compresa anche come Bisogno Edu- cativo Speciale (in quanto richiede maggior attenzione rispetto alla condizione degli studenti a sviluppo tipico), esistono poi anche disturbi di funzionamento non riconducibili ad alcuna sindrome, e, come tali “al di là di quelli inclusi nella cate- goria di disabilità”. La Direttiva Ministeriale del 27 Dicembre 2012 opta senz’altro per questa ipo- tesi. Infatti, essa afferma: «In ogni classe ci sono alunni che presentano una richiesta di speciale attenzione per una varietà di ragioni (…) Quest’area dello svantaggio scolastico, che ricomprende problematiche diverse, viene indicata come area dei Bi- sogni Educativi Speciali (in altri paesi europei: Special Educational Needs). Vi sono comprese tre grandi sotto-categorie: quella della disabilità; quella dei disturbi evolu- tivi specifici e quella dello svantaggio socioeconomico, linguistico, culturale». Questa ipotesi, che più avanti verrà criticata, non porterebbe comunque alcun pregiudizio alla pratica educativa nella scuola se tutte queste condizioni (sia la di - sabilità in senso stretto che i Bisogni Educativi Speciali) prevedessero una presa in carico completa ed efficace. Al contrario, la distinzione così introdotta conduce ad una conseguenza davvero poco nobile: gli studenti con disabilità, ovvero con sin- drome certificabile ai sensi della Legge 104/1992, hanno diritto all’attribuzione dell’insegnante di sostegno, mentre gli studenti che hanno “solo” un BES, o per meglio dire un BES non riconducibile, dal punto di vista causale, al concetto di di - sabilità, non ne hanno diritto, pur essendo per loro richiamato il già prefigurato principio della personalizzazione. Si prefigura così una sorta di doppia (o tripla) condizione, una specie di classi- fica dei bisogni: la disabilità rimane un bisogno di serie A, in quanto portatrice di un diritto a tutto tondo, ovvero l’assegnazione di risorse aggiuntive, mentre ad essa si aggiungono una serie di bisogni di serie B (i disturbi di apprendimento, già nor- mati dalla Legge 170/2010, e i Bisogni Educativi Speciali), ai quali viene attribuito il diritto ad un Piano Didattico Personalizzato, senza che a tale diritto corrisponda alcuna risorsa aggiuntiva. Come verrà chiarito più avanti, nello scenario educativo tradizionale (ricondu- cibile all’educativo cartaceo), la mancata assegnazione di personale educativo ad 72 hoc rischia di costringere il Piano Personalizzato entro le strette dei cosiddetti stru- menti dispensativi e compensativi; questi, a loro volta, richiamano un approccio ri- nunciatario il quale, astenendosi forzosamente da interventi realmente incisivi e mi- rati al disturbo, si mantiene su una linea di esenzione dalla prestazione, ovvero di aggiramento del disturbo, mediante il ricorso a tecnologie sostitutive o facilitanti. Da qui la situazione scolastica attuale che è sovente preda, in modo sconfor- tante, di una specie di corsa al certificato BES (o DSA, non cambia nulla), utile in questo caso per dispensare l’allievo (o l’insegnante?) dalla progettazione di per- corsi individuali impegnativi, mirati al recupero, o perlomeno al potenziamento, della prestazione oggetto di disturbo. Tutto questo mentre al contrario il primo po- stulato dell’educazione speciale è il seguente: in presenza di una disturbo di ap- prendimento (ad esempio di scrittura, o di lettura, etc.) occorre “di più della stessa cosa”, ovvero bisogna leggere e scrivere di più, in modo mirato e intensivo, e non certo di meno. 5.1.2. I Bisogni Educativi Speciali sono una particolare forma di disabilità La seconda ipotesi insiemistica afferma l’inclusione del costrutto di BES entro quello, più ampio, della disabilità. A sostegno di questa ipotesi vale direttamente la nuova definizione di disabilità che l’OMS ha messo a punto in coincidenza con la pubblicazione dei sistema di classificazione ICF: la disabilità è il termine ombrello che può indicare sia menomazioni nelle strutture e nella funzioni corporee che limi- tazioni delle attività e restrizioni della partecipazione. Seconda ipotesi insiemistica In questo scenario il costrutto si libera dalla corrispondenza biunivoca con gli aspetti anatomici della menomazione, per indicare qualsiasi rilevante disturbo di funzionamento, a prescindere dalla causa. Infatti, due persone con la stessa meno- 73 mazione possono avere un funzionamento diverso e, al contrario, due persone con un funzionamento limitato (disabilità) possono presentare o non presentare fattori corporei nella eziologia. In sintesi, la disabilità, in una visione bio-psico-sociale, indica l’aspetto negativo dell’interazione tra un individuo e i fattori contestuali dello stesso individuo. Per individuare la disabilità occorre estrarre dal classificatore ICF una o più ca- tegorie rilevanti (per esempio il movimento dell’avanbraccio o l’attenzione, l’igiene personale o la lettura) e valutare il problema di funzionamento lungo una scala che va da 0 (nessun disturbo) a 4 (disturbo completo), attraverso possibili valori inter- medi di espressione del grado di difficoltà (1, lieve; 2, medio, 3, grave). A seconda del contesto gli utilizzatori devono estrarre le categorie rilevanti per descrivere il funzionamento essenziale della persona (e, in controluce, le limita- zioni/restrizioni). Così, ad esempio, nel settore del mercato del lavoro la valuta- zione della disabilità dovrà prendere ad oggetto categorie essenziali per il funziona- mento in quell’ambito, come rispondere al telefono, guidare o prendere un mezzo di trasporto. Nel settore educativo e scolastico le categorie prescelte riguarderanno invece la lettura e la scrittura, l’attenzione e la memoria, il calcolo e la comunica- zione verbale. Qui prende corpo l’ipotesi insiemistica: il BES è quella particolare forma di disabilità che, a prescindere dalla causa, si rivela in ambito educativo e di apprendi- mento, quando la persona in età evolutiva è coinvolta in prestazioni che costitui- scono lo standard dei sistemi di istruzione (competenze, conoscenze e abilità). In questa direzione già Dario Ianes aveva definito i BES come “qualsiasi difficoltà evolutiva di funzionamento, permanente o transitoria, in ambito educativo e/o ap- prenditivo, dovuta all’interazione dei vari fattori di salute secondo il modello ICF dell’OMS, e che necessita di educazione speciale individualizzata”. È evidente la potenziale ricaduta di questo concetto nell’ambito della presa in carico degli studenti e degli allievi con disabilità, intesa come BES: non può più darsi una distinzione tra bisogni/diritti di serie A (disturbo di funzionamento come esito di sindrome certificabile) e bisogni/diritti di serie B (disturbo di funziona- mento come svantaggio o limitazione di altra natura), in quanto entrambe queste condizioni sono riconducibili al costrutto di disabilità (o per meglio dire di BES), con pari dignità e pari diritti. In questo senso la Legge 104/1992, come anche i suc- cessivi provvedimenti sulla presa in carico degli alunni con disabilità (tra cui il DPCM 185/2006, promulgato già con ICF in vigore), sono da considerarsi concet- tualmente superati, mentre nuovi traguardi di inclusione attendono il sistema edu- cativo italiano, a livello normativo ma soprattutto di pratica inclusiva. Se questo è vero, occorre immaginare la scuola come un luogo in grado di ac- cogliere e intervenire sui BES in modo ampio e non selettivo, con strategie diversi- ficate e mirate alla persona: una scuola attenta non solo alle sindromi tradizionali (trisomia, autismo, PCI, etc.) ma a qualsiasi forma di cattivo funzionamento che in- terferisca in modo significativo con l’apprendimento delle competenze chiave. 74 In questo scenario educativo, sensibile ad ogni problematica di apprendimento, nascono tuttavia legittime inquietudini: come è possibile mettere in atto una presa in carico così inclusiva, in una scuola normalmente alle prese con problemi di ri- sorse, umane e strutturali? Siamo in grado di affrontare la sfida educativa dei BES, considerando che questa condizione allarga a dismisura il numero degli studenti e degli allievi meritevoli di interventi educativi speciali? Insomma, il sistema educativo deve dotarsi di un paradigma educativo che gli consenta di avere attenzione ad un grande numero di allievi e studenti con BES, raccomandando e predisponendo un elevata personalizzazione (Piano Individualiz- zato) in tutte le situazioni nelle quali l’allievo sperimenta significativi impasse nel suo percorso di apprendimento. Se si riuscirà in questo intento si otterrà un rinno- vato segno della vitalità educativa e della capacità innovativa del settore scolastico in Italia. 5.2. INTEGRAZIONE O INCLUSIONE? Le tradizionali strategie di presa in carico della persona disabile in Italia sono riconducibili al concetto di integrazione, intesa come inserimento in aula per tutta la durata e per le medesime attività di tutti gli altri membri di pari età del gruppo classe. È innegabile il merito storico che il valore dell’integrazione ha avuto in Italia a partire dagli anni Settanta, facendo cessare una volta per tutte pratiche di segregazione e di disimpegno totale nei confronti degli alunni con disabilità, tenuti a margine del normale fluire dell’esperienza scolastica. È forse venuto il momento di fare un bilancio di questo scenario, compulsan- done i limiti e rintracciando nuove idee generative, ed evitando al contempo che un valore degeneri in ideologia (l’ideologia dell’integrazione, appunto). In gene- rale, l’integrazione scolastica sembra poter essere ricondotta ad una mentalità clinica ed eccessivamente centrata sui diritti, potendo degenerare in pratiche assi- stenzialistiche. In sostanza, il meccanismo soggiacente sembra essere il seguente: sei malato (sindrome certificabile), dunque hai diritto a risorse aggiuntive, allo scopo di riuscire a stare dove stanno gli altri, facendo le stesse cose che fanno gli altri. Se è così, l’idea guida dell’integrazione non è in realtà la personalizzazione, intesa come intervento educativo pianificato in base alle esigenze specifiche della persona, ma la parificazione, ovvero la riconduzione all’identico. O perlomeno, se di personalizzazione si tratta, essa assume connotati deboli: si tratta di progettare itinerari diversi per raggiungere le stesse mete. Il diritto della persona disabile, infatti, è quello di attingere, seppur per vie e con strumenti diversi, allo stesso patri- monio di esperienze, saperi e strumentalità degli altri alunni, mediante la stampella dell’insegnante di sostegno, che è chiamato a farsi protesi verso apprendimenti il più possibile simili a quelli previsti dal curricolo. 75 Insomma, l’idea di integrazione muove dalla premessa che è necessario fare spazio all’alunno disabile all’interno del contesto scolastico, lasciando poi all’inter- vento degli operatori di sostegno e al contatto più o meno frequente con i compagni il compito di assicurare una condizione di relativa vivibilità dell’esperienza da parte dell’alunno disabile. Come afferma l’Index for Inclusion, il paradigma a cui fa implicitamente riferimento l’idea di integrazione è quello “assimilazionista”, fondato sull’adattamento dell’alunno disabile a un’organizzazione scolastica che è strutturata fondamentalmente in funzione degli alunni “normali”, e nel quale l’inte- grazione elabora strategie per portare l’alunno disabile a essere quanto più possi- bile simile agli altri. In questo orizzonte, la qualità dell’integrazione è valutata in base alla capacità di colmare il varco che separa il disabile dagli alunni normali. Ora, non solo è im- probabile che questo varco possa essere effettivamente colmato (con il carico di frustrazione che da ciò inevitabilmente deriva), ma soprattutto è l’idea stessa che compito del disabile sia diventare il più possibile simile a una persona normale a dover essere criticata nei suoi fondamenti e messa in discussione. Diversamente, nell’intento di offrire più ampie opportunità alle persone disabili, la scuola rischia di produrre una serie di interventi, a volte opportuni a volte insensati, senza però mai mettere effettivamente in discussione il paradigma della normalizzazione, che continua a rimanere il modello di riferimento implicito e indiscusso. Su questo fondamento, utile ma parziale, l’educazione speciale ha generato de- cine di metodologie e strumenti, che vanno dalle mere pratiche dispensative sino all’apprendimento cooperativo, passando attraverso i principi psico-educativi com- portamentali, le strategie metacognitive e le tecniche facilitanti. È facile comprendere come dietro a questo scenario si riveli il paradigma edu- cativo cartaceo, con le consuete dinamiche di universalità, riproduzione e democra- tizzazione dei saperi, che ben si adattano al costrutto di integrazione. La presenza degli insegnanti di sostegno ha reso possibile questo connubio, compensando in modo non sempre autentico il dramma della diversità (del disturbo) con gli stan- dard della scuola per tutti. Il concetto di Bisogno Educativo Speciale, tuttavia, rischia di far saltare il banco, esigendo un ripensamento generale delle strategie educative, verso il con- cetto di scuola inclusiva, così come è disegnato dall’Index for Inclusion. Infatti, se l’approccio dell’integrazione richiede un’interpretazione della disabilità come pro- blema di una minoranza, a cui occorre dare opportunità uguali (o quanto meno il più possibile analoghe) a quelle degli altri alunni, la presenza di un grande numero di allievi e studenti con BES provoca un salutare terremoto, che mina le fonda- menta dell’educativo cartaceo. La legge dei grandi numeri richiede un cambiamento, in questo caso dall’inte- grazione all’inclusione intesa come scenario educativo che accetta la differenza come regola, e non come eccezione. Ne deriva l’esigenza di una personalizzazione come principio forte, teso a riconoscere e a dare valore ai differenti profili di svi- 76 luppo, così come a dare attenzione in modo privilegiato alle difficoltà e ai disturbi di apprendimento. La scuola inclusiva si colora dunque come un ambiente estrema- mente flessibile, con un curricolo altrettanto flessibile, in grado di concepire e gestire percorsi differenti verso mete eterogenee e personalizzate, entro i limiti tracciati dalle competenze chiave di cittadinanza. Una volta fissate le competenze che, a diversi livelli, tutti devono raggiungere, la scuola fa spazio alla differenza, trovando strategie e metodi per itinerari etero- genei, e fornendo la cornice entro la quale tutti gli allievi e studenti – a prescindere da abilità, genere, linguaggio, origine etnica o culturale – possono essere ugual- mente valorizzati, trattati con rispetto e forniti di uguali opportunità di successo e di crescita personale. È evidente che, come afferma ancora l’Index for Inclusion, l’inclusione così intesa non riguarda solo gli alunni tradizionalmente intesi come disabili, ma investe ogni forma di esclusione, che può avere origine da differenze culturali, etniche e socioeconomiche. 5.3. L’EDUCATIVO DIGITALE E I BES: PER UNA VERA PERSONALIZZAZIONE L’educativo digitale può aiutare la trasformazione appena richiamata, dallo sce- nario dell’integrazione (e della normalizzazione) a quello dell’inclusione (e della personalizzazione)? Il cambiamento di paradigma educativo che le tecnologie stanno provocando va a vantaggio delle strategie inclusive, oppure costituisce un’ul- teriore ostacolo al successo formativo delle persone con Bisogni Educativi Speciali? Per rispondere a questi interrogativi è utile esaminare il significato del termine “sostegno”, che da più di vent’anni specifica la condizione degli insegnanti dedicati alle persone disabili. Nello scenario inclusivo dei Bisogni Educativi Speciali, chi può “sostenere” il percorso di apprendimento di un grande numero di allievi e studenti con una gamma eterogenea di difficoltà? Nel paradigma didattico consueto, l’insegnante cosiddetto curricolare non ha il tempo per seguire nemmeno la minoranza delle persone tradizionalmente identifi- cate come disabili, e pertanto è decisamente impensabile che egli possa occuparsi degli studenti e allievi con Bisogni Educativi Speciali. Assorbito dalla normale sequenza di lezioni, test e interrogazioni, l’insegnante di cattedra dedica poco (o al limite nessun) tempo alla relazione personale: l’educativo cartaceo lo conduce a rivolgersi alla classe intera, in un approccio a tasso relazionale debole. Parlare di personalizzazione ad un docente di storia o di matematica induce sovente senti- menti di frustrazione: mancano infatti le risorse e l’insegnante, consapevole delle difficoltà di molti suoi allievi, invoca inutilmente la presenza dell’insegnante di sostegno, o del tutor, o del codocente. La lezione frontale, infatti, non è strumento assoggettabile alla dinamica della personalizzazione. L’insegnante accorto pensa, progetta e calibra il suo discorso (e il livello degli apprendimenti richiesti) immaginando una sorta di studente 77 medio, in modo tale da non annoiare troppo gli allievi più dotati, e non mettere troppo a disagio quelli più in difficoltà. Molti docenti, per altro, conoscono le tec- niche di educazione speciale e sarebbero anche in grado di progettare percorsi per- sonalizzati, ma il loro utilizzo e la loro pianificazione risultano improbabili, se non impossibili, all’interno dell’agire didattico consueto. È evidente che la scuola inclusiva richiede un cambiamento non riducibile all’adozione di uno strumento o di un metodo di educazione speciale. Occorre sem- plicemente creare le condizioni perché l’insegnante abbia tempo e opportunità per spendersi nella relazione, potendo così dare di più agli allievi con maggiori diffi- coltà. La questione allora diventa la seguente: è possibile liberare il docente, al- meno parzialmente, dall’approccio frontale, affinché egli possa giocarsi in un ruolo e in attività diverse, tutte da immaginare? L’educativo digitale si aggancia proprio qui, venendo in soccorso alla scuola inclusiva. Il nuovo paradigma richiama infatti la realizzazione di una scuola della padronanza (mastery) nella quale l’insegnante, maggiormente libero dall’onere di trasmettere contenuti, interagisce con gli allievi, sostenendoli nella ricerca dei saperi e nella costruzione di nuovi prodotti culturali e professionali. Lungi dal - l’identificarsi come una delega alla tecnologia, la classe digitale facilita e potenzia la relazione educativa tra docenti ed allievi, spostando (flipping) sugli allievi stessi la responsabilità del proprio percorso di apprendimento. L’educativo digitale trasforma radicalmente il tenore delle attività che si svol- gono a scuola, che consistono non più principalmente nella lezione dell’insegnante (ben sostituita, almeno in parte, da risorse online e offline, come videolezioni, tutorial, podcast, litografie e bibliografie) ma in un tempo di lavoro, di ricerca e di risoluzione di problemi, sotto la guida di un adulto esperto, che è chiamato ad entrare in interazione continua con gli studenti, particolarmente quelli con BES. 5.4. EDUCATIVO DIGITALE, APPRENDIMENTO COOPERATIVO E RELAZIONE FORTE Grazie al potenziale messo a disposizione dalle nuove tecnologie, le classi digitali rappresentano uno strumento straordinario per aumentare il tempo di rela- zione tra studenti e docenti e per riqualificare la classe che, da luogo di trasmis- sione dei saperi, diventa ambiente costruttivo, nel quale la responsabilità dell’ap- prendimento si sposta dall’insegnante all’alunno, e l’identità del docente si tra- sforma da quella di “saggio che insegna di fronte” a quella di “guida che si mette al fianco”, particolarmente agli studenti e agli allievi con BES. Insomma, l’educativo digitale consente il perseguimento intenzionale ed effi- cace di due finalità variamente invocate, e bassamente perseguite, nel nostro con- testo scolastico, ovvero la personalizzazione e l’autoregolazione. Negli ultimi anni, infatti, sia la parenetica pedagogica sia la normativa di riferimento (vedi ad esempio le varie versioni delle Indicazioni Nazionali) hanno raccomandato la per- 78 sonalizzazione degli obiettivi di apprendimento, senza chiarire le modalità concrete attraverso le quali è possibile perseguirla (o, come afferma qualche insegnante ar- rabbiato, senza fornire le risorse per poterla realizzare). Infatti, nell’approccio didattico tradizionale la personalizzazione è pratica- mente impossibile: l’insegnante, per quanto sapiente e abile nel comunicare, non rie sce a trasmettere il sapere in modo differenziato e accessibile per tutti, al punto tale che, nel tempo, personalizzazione è diventato sinonimo di codocenza (ovvero di un secondo docente che si affianca al primo, sostenendo gli studenti in difficoltà durante la lezione condotta dal collega). Lo stesso discorso vale anche per l’autoregolazione, intesa come possibilità per lo studente di autodeterminare obiettivi, tempi e modi del proprio percorso sco- lastico, acquisendo una capacità autonoma di progettazione e gestione del proprio apprendimento, in maniera tale da essere in grado di accedere autonomamente, ov- vero con una motivazione endogena, alle risorse per lo studio, interagendo positi- vamente con docenti, compagni, materiali e strumenti di studio e di lavoro, anche tecnologicamente avanzati. La lezione frontale è, di fatto, una negazione del principio dell’autoregola- zione: è l’insegnante a decidere che cosa insegnare, quando farlo, attraverso quali strumenti, etc., mentre allo studente resta il ruolo del “sedersi e ascoltare”, rima- nendo sotto il controllo dell’individuo adulto. Per consentire una reale autodetermi- nazione occorre dunque rendere asincrono l’accesso alla fonte delle informazioni (foss’anche la lezione frontale), spostando sullo studente la responsabilità di deci- dere che cosa, quando e come fruire di determinati contenuti. In questo modo, le classi digitali sono quasi trascinate dalla forza intrinseca della metodologia adottata, ad una profonda revisione delle stesse finalità dell’isti- tuzione scolastica, spostando l’attenzione dalle nozioni all’imparare ad imparare, dalle conoscenze trasmesse alle competenze apprese, dai programmi ai percorsi personalizzati, dal controllo degli studenti alla promozione della loro responsabi- lità, dal dovere di studiare al piacere di apprendere. Gli insegnanti stanno assumendo consapevolezza del fatto che non è conve- niente “forzare ad apprendere”, e che anzi nella società contemporanea il modella- mento degli studenti attraverso curricola identici e votazioni premianti (o frustranti) può risultare controproducente, provocando nei giovani una sorta di disgusto verso le attività di apprendimento, sentimento le cui conseguenze possono essere pro- fonde, durature e nefaste per molti dei nostri uomini di domani. La sfida diventa affascinante: l’apprendimento può e deve diventare un’attività piacevole (il che non vuol dire priva di fatica), autonoma e sostenuta da motivazioni interne allo stu- dente, senza per questo perdere di efficacia, anzi! Nelle classi digitali si cerca di eliminare questa sensazione di “imposizione” degli obiettivi scolastici: la responsabilità passa di mano, e spetta allo studente sta- bilire il proprio percorso, trovando a scuola compagni di studio con cui condividere gli obiettivi, adulti esperti di supporto e risorse multiple per l’apprendimento. Gli 79 insegnanti perdono il controllo sui processi (ovvero agiscono sui processi non me- diante il controllo, ma mediante l’interazione e l’aiuto), mentre diventano più fermi sugli obiettivi, attraverso la messa a punto di rigorosi strumenti di valutazione, che offrono agli studenti feedback chiari e il più possibile immediati sugli esiti del loro lavoro. Gli studenti sono liberi di procedere con il loro passo, senza paura di sba- gliare, ma avendo svariate possibilità di ripetere, di cercare aiuto, persino di cam- biare obiettivi, nel dialogo costante con l’insegnante. Il tempo della relazione permette ai docenti di considerare più in profondità la propria vocazione di educatori: alleggerendo la responsabilità sui contenuti, è più probabile che l’insegnante consolidi la propria attitudine ad ascoltare, incoraggiare, ispirare, sostenere e dare visione, creando un ambiente positivo, dove gli studenti possono agire senza stress e forzature, ovvero nelle condizioni ideali per appren- dere. La scuola cessa di “forzare ad apprendere” con le armi minacciose dei voti e di altre multiformi pressioni, e prova a predisporre uno spazio e un tempo per l’e- sercizio dell’intelligenza. È bene notare come nella lezione tradizionale esiste comunque una forma di relazione tra gli insegnanti e gli allievi: spesso, tuttavia, questo rapporto avviene tra il docente e gli studenti più motivati e curiosi, che sono quelli che prendono l’inizia- tiva nel porre domande o fare osservazioni pertinenti (mentre gli studenti in difficoltà rimangono più spesso nell’ombra, magari con il timore di fare brutta figura con una richiesta banale o un intervento poco appropriato). Nelle classi digitali, invece, l’ampio tempo laboratoriale consente di dare maggiore attenzione agli studenti in difficoltà (non è giusto fare parti uguali tra disuguali, ci ricorda ancora don Milani). Nella lezione frontale, in quanto strumento sincrono di trasmissione simultanea di contenuti, non c’è spazio per la differenza. Nelle classi digitali tutto è asincrono! Raramente gli studenti lavorano contemporaneamente sulla stessa attività: all’inizio della lezione, l’insegnante dialoga con loro per aiutarli a scegliere il proprio man- dato di lavoro, in sintonia con il proprio percorso personalizzato ma anche in colla- borazione con altri studenti in condizioni similari. Al termine della preparazione, i gruppi di studenti avviano il loro apprendimento cooperativo, potendo accedere alle diverse fonti, anche attraverso i loro dispositivi mobili (smartphone, tablet), che smettono di essere i “nemici” della scuola, in quanto in realtà sono spesso molto più potenti e fruibili rispetto alle antiquate tecnologie messe a disposizione dall’istituzione scolastica. Ma non tutto è tecnologia! Per dirla tutta, la modalità asincrona di classe digi- tale consente anche di dimensionare l’importanza della tecnologia, evidenziando la possibilità di accedere a tutte le fonti del sapere, tra cui una ben fornita biblioteca scolastica (sia chiaro, non il trito e ritrito, oltre che anacronistico, libro di testo). La perdita di controllo sui processi, invece, diventa un’arma fondamentale per creare in aula un’atmosfera di fiducia, della quale gli allievi hanno un bisogno estremo per maturare il desiderio di apprendere. L’impostazione tradizionale, nella quale gli studenti si siedono e ascoltano, rimanendo sotto il controllo dell’inse- 80 gnante, si trasforma più o meno consciamente nella sensazione di aver bisogno di altri per crescere o, per dirla tutta, nella conferma di un’impressione spesso radicata nel cuore dei giovani, ovvero che gli adulti non diano loro sufficiente credito. Tutto questo potrebbe produrre, e di fatto spesso produce, un’atmosfera di “lavori forzati”, che è il miglior modo per insegnare ai ragazzi il disgusto verso il conoscere. La scuola deve attentamente considerare le opportunità e i rischi collegati al cosiddetto effetto Pigmalione, che fa corrispondere alla sfiducia la puerilità, alla forzatura la ribellione. Al contrario, l’insegnante che perde il controllo, ovvero che consegna agli studenti iniziativa e fiducia, potrebbe ottenere in cambio maturità e desiderio di apprendere, anche oltre ogni aspettativa. Per fare un esempio, lo stu- dente cosiddetto iperattivo, che normalmente approfitta della lezione frontale per attirare su di sé l’attenzione del pubblico, attraverso modalità fantasiose di distra- zione e di più o meno esplicita protesta, nelle classi digitali per prima cosa perde il pubblico (in quanto i compagni non sono seduti ad ascoltare, ma coinvolti in pic- coli gruppi e in attività variate). Inoltre egli potrebbe, sotto l’influsso di un’inedita fiducia, riattivare il proprio naturale, incancellabile e innato desiderio di appren- dere, che potrebbe essere stato messo a tacere proprio dagli effetti delle normali in- terazioni (o mancate interazioni) scolastiche. 5.5. CAMBIAMENTI ORGANIZZATIVI NELLA SCUOLA INCLUSIVA L’Index for Inclusion sottolinea a più riprese (e aiuta a progettare/misurare) i cambiamenti organizzativi, oltre che pedagogici e didattici, richiesti per la realizza- zione di una scuola inclusiva. Il modello da superare è il cosiddetto “cells and bells” (aule e campanelle), impostazione all’interno della quale sia lo spazio che il tempo dell’apprendimento è rigorosamente controllato dall’insegnante. Al con- trario, le classi digitali rappresentano una concretizzazione particolarmente efficace del principio pedagogico, prima che tecnologico, del mobile learning: infatti, l’al- lievo deve potenzialmente essere libero di accedere ad ogni contenuto, in qualsiasi momento e da qualsiasi luogo, mantenendo il controllo sulle proprie attività di ac- quisizione di saperi e competenze, e sviluppando nel tempo la capacità di costruire, in autonomia o insieme ad altri, nuovi oggetti di apprendimento, per “commer- ciarli” all’interno dello spazio web inteso come comunità di apprendisti. È evidente che uno scenario di questo tipo muta profondamente il setting tradi- zionale dell’istituzione scolastica, richiedendo un profondo cambiamento organiz- zativo, a partire dagli spazi per giungere agli orari e ai tempi di apprendimento, al fine di facilitare l’interazione, l’autonomia e la responsabilità. Nelle classi digitali lo spazio deve contribuire a spostare il focus dal docente al discente, eliminando possibili punti di frontalità (la cattedra, la lavagna e ogni altro segno che, dal punto di vista prossemico, attragga verso di sé). Nello spazio del- l’aula esistono ora numerosi centri, o angoli, predisposti per un particolare tipo di 81 lavoro, adatto ora all’uno ora all’altro gruppo di apprendimento. In un’aula generica, abbinata a un gruppo classe, ci potrebbe essere l’angolo della ricerca, quello del computer, della scrittura o della lettura. Meglio, in un’aula specializzata, abbinata ad una singola o a un gruppo di discipline (esempio l’aula di scienze) potrebbero esserci l’angolo degli esperimenti, quello della chimica o quello per la verifica delle formule matematiche di riferimento. Forse parlare di aula potrebbe risultare persino riduttivo: in una concezione no- madica dell’apprendimento, gli studenti potrebbero muoversi all’interno dell’intero edificio scolastico (e a volte anche al di fuori), guidati dalle istanze del proprio mandato di lavoro, ad esempio spostandosi dall’aula iniziale alla biblioteca, da questa all’aula di lingue, e così via. L’insegnante, al contempo, impara a muoversi in modo laterale, raggiungendo i gruppi di lavoro, ma affiancandosi in modo mirato agli studenti in difficoltà, diversificando, incoraggiando e sostenendo. È evidente che queste prospettive mutano profondamente anche la concezione del tempo scolastico: l’orario tradizionale, infatti, è spesso frantumato in unità orarie che costringono gli studenti ad incontrare anche cinque, o persino sei docenti nell’arco della giornata, applicandosi di volta in volta a compiti anche radicalmente diversi, rendendo arduo, se non impossibile, il lavoro per progetti. All’interno della singola ora, il docente accorto si abitua ben presto a scandire un ritmo mediano, che rischia di scontentare tutti (eccetto appunto l’allievo medio). Le classi digitali richiedono come minimo blocchi da due ore, per consentire un lavoro disteso e autoregolato, ma probabilmente chiedono un più profondo ri- pensamento nella progettazione del tempo scuola, spostando l’onere della program- mazione sugli studenti (o per meglio dire sui gruppi di studenti), che sono liberi di gestire i loro tempi in base agli obiettivi, dando priorità di volta in volta all’una o all’altra esperienza o fase di lavoro. Non occorre ribadire, infine, il cambiamento nella gestione di altre due impor- tanti variabili, ovvero il tipo di raggruppamento (da classe intera a gruppi coopera- tivi) insieme al ruolo, e alla conseguente posizione, dell’insegnante, che da erudito trasmettitore diventa sapiente guida, scendendo dalla cattedra (espressione sia reale che metaforica) e mettendosi al fianco degli studenti. Questo è forse il cambia- mento più critico (e più importante) richiesto dalla scuola inclusiva (o dall’educa- tivo digitale, il che è lo stesso): l’identità dell’operatore scolastico, che da inse- gnante diviene educatore, meno centrato sui contenuti e più sulla relazione, saggia- mente lontano (fiducioso) dagli studenti autonomi e competenti, dinamicamente vi- cino (attento) agli studenti con Bisogni Educativi Speciali. Per concludere l’educativo digitale è un cambiamento intenzionale nel modo di fare scuola, che aiuta a rimettere gli studenti al centro dell’apprendimento, senza considerarli un mero “prodotto” del fare scuola. Questa rivoluzione paradigmatica favorisce un altra traiettoria di cambiamento, che è quella della scuola inclusiva. Forse queste due linee, apparentemente parallele, si avvicinano, sino a diventare congruenti, a disegnarne una inclusiva proprio perché digitale. 6. L’educativo digitale e la dispersione scolastica L’educativo digitale, oltre a consentire misure concrete di personalizzazione dei percorsi formativi, rappresenta probabilmente anche un potenziale antidoto contro il fenomeno, così grave in Italia, della dispersione scolastica. Prima di evi- denziare il potenziale collegamento, in termini educativi e preventivi, tra il nuovo paradigma e il fenomeno degli abbandoni scolastici, è bene tratteggiare in termini quantitativi il fenomeno stesso, allo scopo di sottolineare la gravità e l’importanza del problema. 6.1. I DATI SULLA DISPERSIONE L’ISTAT definisce la dispersione scolastica come: «La quota di popolazione in età 18-24 anni che, dopo aver conseguito il diploma di scuola secondaria di primo grado, non ha concluso un corso di formazione professionale riconosciuto dalla Regione di almeno 2 anni e non frequenta corsi di istruzione o altre attività formative, compreso l’apprendistato». La definizione coincide sostanzialmente con quella fornita da Eurostar (e da OCSE) a proposito degli Early School Leavers (ESL). Grafico 1 - Percentuale di 18-24enni con la sola licenza media e non più in formazione (early school leavers)* - Confronti Internazionali - Anni 2006, 2010 e 2012 (*) L’indicatore fa riferimento alla quota di giovani (18-24enni) che hanno conseguito un titolo di studio al massimo ISCED 2 (scuola secondaria di primo grado) e che non partecipano ad attività di educazione/formazione. Dal 2009 l’indicatore è calcolato come media annuale di dati trimestrali Fonte: Eurostat - Statistics on Education (EU27 e Germania dati provvisori) 83 84 Secondo i dati relativi alla media del 2012, i giovani 18-24enni che hanno abbandonano prematuramente gli studi o qualsiasi altro tipo di formazione sono 758mila, di cui il 59,6% maschi. Nella fascia di età considerata, l’incidenza dei giovani in possesso della sola licenza media e non più in formazione è pari al 17,6% contro una media UE del 12,8% (13,5% nel 2011). Nella graduatoria dei ventisette Paesi UE, l’Italia occupa ancora una posizione di ritardo, collocandosi nella quart’ultima posizione, subito dopo il Portogallo. Il divario con il dato medio europeo è più accentuato per la componente maschile (20,5% contro 14,5%), in confronto a quella femminile (14,5% contro 11,0%)1. Tuttavia, la situazione si presenta decisamente disomogenea dentro al territorio nazionale, con punte di abbandono che diventano alte, se non altissime nelle Re- gioni meridionali, con l’eccezione del Molise, che possiede il tasso di abbandono più basso tra tutte le Regioni italiane. Grafico 2 - Indicatore ESL a livello regionale Fonte: Indagine sulle Forze di lavoro - Istat 1 MIUR, Servizio Statistico, Focus sulla dispersione scolastica, 2013. 85 Tra gli iscritti al sistema di Istruzione Professionale si misura il più alto rischio di abbandono scolastico: infatti, la maggiore concentrazione di alunni che si disper- dono durante il percorso della scuola secondaria si registra proprio nel settore del - l’istruzione professionale iniziale, seguita dagli istituti tecnici e dall’area dell’istru - zione artistica. Contribuisce alla rilevanza di tale dato il fatto che, sul totale degli oltre trecentomila, ben il 15,5%, pari a più di 41mila studenti, è di nazionalità straniera. Inoltre, piuttosto alta è anche la presenza di allievi con Bisogni Educativi Speciali, con riferimento soprattutto ai Disturbi Generalizzati dell’Apprendimento. Grafico 3 - Alunni a rischio di abbandono (% degli iscritti) per tipo di scuola della secondaria di II grado - A.S. 2011/12 Fonte: MIUR - D.G. per gli Studi, la Statistica e i Sistemi Informativi - Servizio Statistico Le conseguenze di quanto appena descritto sono facilmente immaginabili, sia in termini di disoccupazione che, più drammaticamente, in termini di devianza giova- nile, problematiche psico-sociali di diversa natura (depressione, abuso di sostanze, etc.) e aumento del tasso di criminalità. Tabella 1 - I costi della dispersione scolastica2 Personali Sociali Economici Disoccupazione Criminalità Minori tasse Problematiche di salute Minacce alla coesione sociale Maggiore spesa sul Welfare Minore avversione al rischio Effetti intergenerazionali Maggiore spesa sulla protezione Insoddisfazione, tendenza a Maggiore spesa carceraria vissuti depressivi o reattivi 2 La tabella è tradotta e integrata da CEDEFOP, Guiding at-risk youth through learning to work. Lessons from across Europe, Research Paper, 3/2010. 86 Tra le cause di questo fenomeno il Cedefop annota in primo luogo una condi- zione di disagio scolastico: l’istituzione scuola sembra respingere un certo tipo di ragazzi, i quali non stanno bene a scuola e non avvertono senso di appartenenza, accumulando nel tempo segnali plurimi di disadattamento3. Questa situazione sembra acuirsi nel settore dell’Istruzione e Formazione Professionale, destinazione privilegiata per un certo tipo di ragazzi: quelli con “intelligenza corporeo-ceneste- sica”, direbbe Gardner4, quelli che hanno l’intelligenza nella mani5, direbbe un buon formatore, quelli che non sanno stare sui banchi, direbbe una buona parte del mondo della scuola dell’obbligo. L’Istruzione e Formazione Professionale sembra dunque poter (dover) essere oggetto privilegiato di politiche di prevenzione e pro- mozione della salute, intesa come benessere complessivo dello studente. 6.2. PREVENZIONE DELLA DISPERSIONE: RUOLO DELL’EDUCATIVO DIGITALE A fronte della situazione drammatica e dei costi personali, sociali ed economici della dispersione, il CEDEFOP annota che le misure preventive non dovrebbero es- sere viste come una sorta di “aggiunta” alle tradizionali politiche di istruzione, ma come uno dei focus fondamentali in base al quale valutare la qualità delle organizza- zioni scolastiche e formative, chiamate a: – aumentare la motivazione, – migliorare il benessere dei giovani nell’ambiente scolastico, – identificare precocemente gli studenti a rischio di dispersione e farne oggetto di interventi mirati6. Concretamente, si tratta di accertare quali orientamenti di tipo didattico, edu- cativo ed organizzativo siano da ritenere efficaci nella prevenzione dell’abbandono scolastico. Per quanto riguarda l’aspetto didattico, occorre ribadire la centralità del principio della personalizzazione: la creazione di opzioni nei percorsi di apprendi- mento e lo sviluppo di metodi di insegnamento flessibili nelle loro concrete moda- lità d’offerta sembrano essere priorità ineludibile all’interno dei sistemi scolastici. Così, le parole chiave dell’educazione devono trovare spazio nella vita della scuola intesa come comunità educante: tutoraggio, relazione educativa che valorizzi i giovani come risorsa, autoregolazione, responsabilizzazione, intervento precoce al manifestarsi delle difficoltà, etc. 3 Cfr. CEDEFOP, ibi, p. 24: “Many young people do not persist with education or training that rejects them, or where they do not feel comfortable, or feel they do not belong”. 4 Cfr. il celeberrimo e ponderoso saggio GARDNER H., Formae mentis. Saggio sulla pluralità del- l’intelligenza, Feltrinelli, Milano 2006. 5 Cfr. NICOLI D., L’ intelligenza nelle mani. Educazione al lavoro nella formazione professionale, Rubbettino, 2014. 6 Cfr. CEDEFOP, cit., p. 35 87 Di fronte a questo tipo di vocabolario il rischio concreto è quello di avvertire una sorta di frustrazione, che corrisponde ad un’impressione abbastanza radicata: non è possibile trapiantare il cuore della logica educativa dentro al corpo della di- dattica scolastica, che invece è costruita come macchina di insegnamento, centrata su standard (ovvero il contrario della personalizzazione), su obiettivi minimi e su tempi rigidi, severamente controllati dagli adulti. Da qui una convinzione: qualsiasi programma educativo di prevenzione del- l’abbandono scolastico rischia di essere vano se non è accompagnato da una ri- forma profonda dei fattori organizzativi entro i quali avvengono le quotidiane vi- cende scolastiche. Senza una riflessione pratica e trasformativa sulla dimensione logistica e strumentale non può darsi una didattica centrata sulla persona: per con- seguenza, ogni dichiarazione in questo senso (del tipo “in questo centro si mette al centro lo studente, attraverso una logica educativa che punta allo sviluppo globale dell’individuo”) rischia di essere semplicemente un’esortazione, un principio vuoto, mentre le pratiche quotidiane rimangono uguali a quelle di sempre. Da qui si parte nell’individuare nell’uso educativo della tecnologia il grimal- dello per dare avvio ad un ripensamento complessivo dei fini e del metodo dell’e- ducare a scuola. Concretamente, l’educativo digitale induce la modificazione del normale setting del fare scuola7. Lo spazio al cui interno si compie la didattica sco- lastica non è uno spazio casuale, ma articolato e ordinato, luogo nel quale i prota- gonisti (in particolare l’insegnante) e i contenuti sono mossi da un progetto regola- tivo, in modo tale da assegnare ad ogni elemento il suo posto nell’insieme ordinato del processo formativo. Spazio dunque non semplicemente fisico ma prima di tutto simbolico, il set- ting didattico ordina nascostamente l’esperienza scolastica, attraverso codici e re- gole proprie, tra le quali spesso si possono annoverare l’intenzionalità di tipo tra- smissivo, l’asimmetria dei ruoli tra l’insegnante e lo studente e la tendenziale sepa- razione dall’ambiente esterno (a connotare una sorta di “sacralità”, d’intangibilità dello spazio scolastico). In realtà, l’esperienza didattica ha senso solo se mantiene una struttura metafo- rica e un continuo rimando a ciò che sta fuori di essa: solo così si giustifica l’esi- stenza di un vincolo così forte (e per certi versi innaturale) come quello cui è sotto- posto lo studente, ovvero il suo posizionamento in un banco all’interno della classe. L’innaturalità di una didattica che vincoli l’allievo senza al contempo produrre aperture e ricerche di significato trasforma i luoghi dell’apprendimento (e cioè uni- lateralmente le aule) in zone di compressione psichica, come dimostra una ben nota 7 Cfr. FRANCHINI R., L’“educatore implicito”: il presidio organizzativo nella Formazione profes- sionale. Comunità, figure, alleanze, in NICOLI D., L’intelligenza nelle mani, cit.: «Il sostantivo setting denota lo spazio fisico e relazionale in cui si gioca il rapporto educativo, richiamando sinteticamente un complesso di azioni più o meno intenzionali: posizionare nello spazio, collocare, regolare, muovere, assegnare e ordinare, tutte operazioni che in un modo o nell’altro richiamano l’intenzionalità pedago- gica». 88 esperienza: l’apertura della porta per la ricreazione o per l’uscita alla fine delle le- zioni assomiglia all’apertura di locale pressurizzato. In questo tipo di spazio, fatto di cattedra e di banchi, si ha l’impressione che l’azione dell’insegnante si riduca ad una sorta di gioco simbolico, per principio spersonalizzante. In questo spazio va in scena un certo tipo, fortunatamente non ge- neralizzato, di scuola priva di mentalità operativa, povera di spirito sperimentale e avara di discorsi argomentativi, la quale mantiene gli stessi metodi dichiarativi ed espositivi per tutte le discipline, come se conoscere e comunicare non fossero anche provare, dimostrare, correggere, etc. Né rimedia a questa impasse una didattica della simulazione o della visita alla fabbrica o al museo, se queste iniziative, pur sensate, rimangono all’interno dello schema che divide la scuola dall’esperienza, lasciando intatta la sensazione che il mondo sia sempre e invariabilmente fuori. Questa impostazione consolida la fan- tasia secondo la quale scuola ed esperienza sono due fenomeni affatto distinti, e che per “fare esperienza” occorra importarla dall’esterno, con tutti i rischi di sem- plificazione e di banalizzazione che ne derivano, mentre è nell’ambito dell’espe- rienza scolastica, quella vissuta quotidianamente, con i suoi ritmi, le sue regole, la relazione tra i suoi soggetti, che va cercata l’esperienza educativa in grado per prin- cipio di unire e integrare esperienze e apprendimenti. È necessaria allora una profonda falsificazione del paradigma meccanicista e razionale della didattica tradizionale, riconoscibile dai seguenti elementi: a) per ogni lezione c’è un insegnante, una classe, una disciplina ed un contenuto (i celeberrimi “quattro uno”); b) la classe è scomponibile in elementi separati ed isolati tra di loro; c) tutti gli studenti fanno la stessa cosa “di fianco” ad altri; d) le sintesi culturali e gli schemi operativi sono già elaborati dall’insegnante o dal libro di testo; e) le operazioni richieste agli studenti riproducono un sapere già pensato; f) l’insegnante è orientato a dare informazioni in forma prevalentemente unidire- zionale; g) la relazione insegnante studente è improntata ad un modello di autorità-dipen- denza dove di norma c’è un unico soggetto che sa e un altro che ne dipende. Questo paradigma è del tutto simile a quello della Ratio Studiorum (Ratio atque Institutio Studiorum Societatis Iesu), testo pubblicato nel 1599 a formalizzare l’invenzione da parte della Congregazione dei Gesuiti della scuola, per analogia alla più datata istituzione universitaria. Cattedra, banchi, registro, valutazione nu- merica, discipline articolate in orari precisi e dettagliati sono gli elementi che dise- gnano una didattica in gran parte riprodotta ancora oggi, senza considerare il con- testo storico, profondamente mutato da eventi storici quali la rivoluzione indu- striale prima, la globalizzazione e la digitalizzazione della conoscenza poi. Questa incapacità dell’istituzione scolastica di trasformare il proprio setting, con il mutare dei contesti, è una delle cause del malessere profondo delle nuove ge- 89 nerazioni. Malessere che gli adulti, dirigenti ed insegnanti, sembrano sottovalutare, riconducendo univocamente agli studenti stessi le cause del loro disagio, in una sorta di dannosa autoreferenzialità, la stessa che conduce sovente gli adulti a la- mentarsi dei giovani, come se non fosse degli adulti stessi la responsabilità della formazione delle nuove generazioni. L’educativo digitale, nelle sue più promettenti manifestazioni, può contribuire a mettere a tema alcuni insoliti connubi, come quello tra esperienza scolastica e be- nessere, oppure tra piacere e apprendimento, oppure ancora tra libertà (autoregola- zione) e responsabilità. Gli spazi organizzati per angoli, insieme alla possibilità di muoversi e collaborare, aumentano il piacere cenestesico e favoriscono le relazioni. Le risorse digitali consentono al formatore di liberare tempo per la relazione e il colloquio educativo (oltre che per interventi mirati in caso di difficoltà). Il tempo inteso come scenario di progetti e produzioni, invece che come programma forzato di ore di lezione, favorisce un’atmosfera di libertà e di espressione di sé. La speranza concreta è che l’introduzione della tecnologia, con il suo dirom- pente potenziale trasformativo, inducendo in modo progettuale (intenzionale) queste modifiche, contribuisca in modo decisivo al benessere dei nostri studenti e, per conseguenza, alla riduzione sostanziale del tasso di abbandono, in linea con gli obiettivi di Lisbona 2020. 91 7. L’apprendimento visibile. Una prima valutazione d’impatto del progetto iCNOS1 Nel 2009 John Hattie pubblicò gli esiti di una significativa ricerca, fondata su più di ottocento meta-analisi di studi sperimentali sulla valutazione degli apprendi- menti2. Una meta-analisi consiste in uno studio di secondo livello che, dopo aver identificato una tipologia di esito (outcome) – ad esempio l’apprendimento di cono- scenze e competenze – e aver selezionato una o più variabili che potrebbero avere influenza su di esso – es. un’innovazione didattica o l’utilizzo di una nuova tecno- logia – attua una indagine sistematica su tutte le ricerche di primo livello già esi- stenti in letteratura, comparandole tra loro e producendo un rapporto complessivo, che tenga conto di tutti i dati analizzati. Il risultato consueto di una meta-analisi consiste nel confronto tra una o più misure di effect size (misura d’impatto), otte- nute in due possibili modalità: • comparando gli esiti in due gruppi distinti (esempio: una serie di classi che uti- lizzano una specifica tecnologia nella didattica con un’altra serie che invece non la utilizzano), • valutando il livello della variabile d’esito nello stesso gruppo in due momenti distinti (normalmente all’inizio e al termine del periodo sperimentale). Lo studio di Hattie, diventato ben presto molto celebre nell’ambito della ri- cerca didattica, aveva come oggetto 52.637 studi di efficacia riguardanti circa 240 milioni di studenti, riuscendo a individuare 146.142 misure di impatto riguardo all’influenza di programmi, politiche o innovazioni didattiche nell’ambito di scuole di ogni ordine e grado. Da questo studio sgorga la definizione, anche questa oramai molto nota, di vi- sible learning (apprendimento visibile), consolidata nel tempo e resa ancora più in- cisiva in una successiva pubblicazione dell’autore, di taglio pedagogico e non più direttamente sperimentale, dal significativo titolo “Visible Learning for Teachers: maximizing impact on learning”3: si tratta, nelle intenzioni dell’autore, di rendere l’apprendimento degli studenti “trasparente” allo sguardo dei docenti (ma anche dei dirigenti e delle famiglie), garantendo una chiara identificazione delle variabili che 1 Questo capitolo è stato scritto con il contributo e la collaborazione di ricerca di Marco Perini, dell’Università di Verona. 2 J. HATTIE, Visible Learning: A Synthesis of Over 800 Meta-Analyses Relating to Achievement, New York, Routledge, 2009. 3 J. HATTIE, Visible Learning for Teachers: maximing impact on learning, New York, Routledge, 2012. 92 hanno avuto o non hanno avuto un significativo impatto sui progressi degli allievi. L’aggettivo “visibile”, inoltre, si riferisce anche all’intenzione di rendere gli ap- prendimenti “trasparenti” agli studenti, che in questo modo imparano ad autorego- larsi, diventando insegnanti di se stessi e crescendo nella motivazione intrinseca (ovvero nell’amore per lo studio e la crescita personale)4; al di là dei contenuti di- sciplinari, l’atteggiamento attivo e positivo degli studenti nei confronti dell’appren- dimento è forse l’esito cruciale per ogni sistema scolastico ed educativo. È in questo orizzonte di responsabilità pedagogica nei confronti degli allievi dei Centri di Formazione Professionale salesiani coinvolti nella sperimentazione iCnos che si è voluto procedere ad un tentativo di valutazione di learning, non limitando il monitoraggio alle classiche e già attuate rilevazioni di reaction (ovvero di gradimento, o comunque di atteggiamenti e di opinioni nei confronti delle in - novazioni introdotte)5, ma spingendosi nel territorio arduo della misurazione degli apprendimenti. Nello stesso orizzonte di responsabilità pedagogica, tuttavia, occorre anche premettere, oltre ad altre che verranno, due fondamentali limitazioni interne a questo tentativo: a) la prima, di ordine sperimentale, è insita, come si vedrà, nello stesso disegno di ricerca: isolare una variabile digitale (l’utilizzo o non del tablet nella Forma- zione Professionale), mettendola in correlazione con gli apprendimenti in ita- liano, matematica e scienze è un’operazione non certo rigorosa, anzi grande- mente semplificatrice, e in fondo figlia di un’ipotesi lacunosa e incompleta (l’ipotesi cioè che basti introdurre una tecnologia per attendersi un migliora- mento negli apprendimenti). Se è vero che l’introduzione dei dispositivi mobili può facilitare una trasformazione degli stili educativi, essa non la comporta necessariamente: in altro lavoro si è già analizzato come un utilizzo semplice- mente sostitutivo dei new media dentro una didattica tradizionale (ovvero per- vasivamente frontale e ripetitiva) può persino peggiorare gli apprendimenti, piuttosto che potenziarli. Dunque, in realtà, qualsiasi studio di impatto che consideri la variabile “tecnologia” non valuta una relazione diretta tra introdu- 4 Cfr. ibi, pag. 1: «The ‘visible’ aspect refers first to making student learning visible to teachers, ensuring clear identification of the attributes that make a visible difference to student learning, and all in the school visibly knowing the impact that they have on the learning in the school (of the student, teacher, and school leaders). The ‘visible’ aspect also refers to making teaching visible to the student, such that they learn to become their own teachers, which is the core attribute of lifelong learning or self-regulation, and of the love of learning that we so want students to value». 5 Il riferimento è al modello di valutazione di Kirkpatrick, il quale distingue quattro livelli sequenziali di analisi degli effetti delle azioni formative: reaction, learning, behaviour, organizational change. Nel modello ogni livello è in stretta connessione con i restanti: così perché l’allievo apprenda (learning) è necessario che reagisca positivamente all’esperienza formativa sul piano emotivo (reac- tion); perché l’allievo modifichi il comportamento (behaviour) è necessario che abbia appreso (lear- ning) e solo l’esito positivo su tutti questi piani rende possibile un miglioramento della performance dell’organizzazione (organizational change). Cfr. D.L. KIRKPATRICK, Evaluating Training Programs: The Four Levels, Berrett-Koehler, San Francisco,1998. 93 zione del media e apprendimenti, quanto invece la misura in cui l’introduzione dei nuovi dispositivi ha reso possibile (ha aiutato, ha indotto) oppure no la tra- sformazione degli stili educativi6. Se infine si ritiene che la trasformazione degli atteggiamenti dei formatori non possa essere di per sé provocata dal mero fatto tecnologico, ma dal fattore umano, ovvero da “leve” di carattere formativo ed organizzativo, allora il rapporto tra tecnologia e apprendimenti si sfuma ancora di più, diventando semmai l’indice, e non la causa, del cambia- mento in atto nelle prassi didattiche delle organizzazioni formative nel loro complesso. b) La seconda limitazione, di ordine pedagogico, è legata all’oggetto stesso della valutazione che, come vedremo, consiste nella valutazione di competenze e conoscenze in ambito linguistico e matematico. Prima ancora di considerare se le prove d’esame dei percorsi triennali siano davvero in grado di rilevare in modo affidabile questo tipo di apprendimenti, occorre considerare come il nuovo paradigma educativo (l’educativo digitale) renda più cruciali altre tipo- logie di esito, ridimensionando (senza annullarlo) il ruolo delle conoscenze di- sciplinari, ed esaltando l’importanza di atteggiamenti e competenze trasversali quali il senso critico, la capacità di ricerca, l’autoregolazione e la motivazione intrinseca ad apprendere (oggetti per altro più “sfuggenti” alla lente del valuta- tore sperimentale). Entro queste importanti limitazioni, e come primo tentativo di evidenziare che cosa ha funzionato e che cosa invece non ha funzionato nell’ambito del progetto iCNOS, è possibile esaminare il disegno di ricerca, i primi dati raccolti e le conclu- sioni, senz’altro parziali, a cui si è giunti. 7.1. IL DISEGNO DI RICERCA Negli ultimi anni, sull’onda dell’incessante innovazione tecnologica, sono state avviate, sia in Italia che all’estero, una moltitudine di sperimentazioni nei vari ambiti e gradi dell’istruzione e della formazione (Scuole, Università, Formazione Professio- nale etc.) che prevedono l’uso sistematico dei dispositivi mobili a supporto delle atti- vità didattiche (ad es. Scuola Digitale, Classe 2.0, EdiTouch, iCNOS etc.). L’enfasi 6 La natura per così dire neutra dell’introduzione delle nuove tecnologie nella didattica è sostan- zialmente confermata anche dalla meta-analisi di John Hattie, nella quale risulta che l’effect size di questa variabile sugli apprendimenti è prossima alla soglia, considerata appunto bassa, o comunque non significativa, dello 0,30 (precisamente 0,31 per la cosiddetta Computer-Assisted Instruction e 0,30 per l’introduzione degli Instructional Media). Egli, nel suo oramai celeberrimo “barometro di im- patto”, considera un effect size da 0,40 a 0,70 come un effetto di carattere medio (lo registrano varia- bili come l’ambiente scolastico e la motivazione degli studenti) e la fascia superiore allo 0,70 come effetto di carattere elevato (lo registrano variabili come la capacità dei docenti di fornire feedback fre- quenti e puntuali e la possibilità per gli studenti di variare il ritmo degli apprendimenti, approfon- dendo temi sulla base del loro successo e delle loro priorità). 94 mediatica creata attorno a questo tema sta spingendo sempre di più i soggetti deci- sori, e tutti coloro che hanno responsabilità nel sistema formativo, a far adottare questi dispositivi nelle strutture scolastiche e formative, nonostante la scarsità e la frammentarietà delle ricerche che ne mettano in evidenza l’effettiva efficacia e soste- nibilità7. Il problema è rilevante, nella misura in cui l’impiego dei dispositivi mobili a fini didattici richiede un ingente impegno organizzativo ed economico da parte degli enti proponenti, un significativo impegno economico da parte degli utenti e/o delle loro famiglie e la partecipazione attiva dei docenti, i quali sono chiamati a familiariz- zare con nuovi strumenti tecnologici e a ripensare, spesso a stravolgere, il loro modo di fare didattica, mettendo da parte ogni resistenza al cambiamento. Occorre precisare che, il nuovo paradigma (l’“educativo digitale”, o forse sa- rebbe meglio dire “educativo mobile”) non consiste nell’adozione unilaterale dei nuovi dispositivi, il superamento del cosiddetto “educativo cartaceo” non comporta l’abolizione di strumenti quali il libro e il quaderno, che al contrario rimangono stru- menti indispensabili per una didattica diversificata e completa, attenta a tutte le tipo- logie di esito (conoscenze, competenze e atteggiamenti), ai diversi stili di apprendi- mento e ad ogni strumento in grado di promuovere la crescita degli allievi. Si tratta sostanzialmente di entrare intelligentemente in uno scenario di didattica ibrida8, di costruttivismo moderato9 o, per dirla all’inglese, di blended-learning, affiancando alle modalità più consuete di istruzione diretta uno o più approcci educativi, anche tecnologicamente mediati, come l’active learning, il cooperative learning, il lavoro di gruppo, il problem based learning, l’apprendimento significativo, etc., mettendo al centro dell’attività didattica lo studente stesso (modello student-centered). Lo scopo generale del presente studio si pone in questo scenario, con un in- tento semplicemente conoscitivo, per tentare di comprendere meglio se e a quali condizioni l’introduzione dei dispositivi mobili influenzi positivamente o negativa- mente il raggiungimento di significativi risultati di apprendimento, in particolare per quanto riguarda le competenze linguistiche (italiano e lingua inglese) e mate- matiche. Il campo di indagine è naturalmente limitato al progetto iCNOS, conside- rato in linea generale come insieme sufficientemente omogeneo di pratiche educa- tive e didattiche, riconducibili al documento matrice di questa sperimentazione, tut- 7 Cfr. ad esempio, oltre al già citato studio di Hattie, J.L. BISHOP, M.A. VERLEGER, The flipped classroom: A survey of the research. Paper presented at the ASEE National Conference Proceedings, Atlanta, GA, 2013 e V. THOMPSON, Literature Review Evidence of impact of 1: 1 access to tablet com- puters in the classroom, Creative Classroom Lab, 2013. 8 Per un approfondimento cfr. M. PELLEREY, L’introduzione delle tecnologie mobili (tablet, smartphone) nel contesto scolastico e formativo: alcuni orientamenti operativi derivanti da uno studio realizzato in ambito CNOS-FAP, in Rassegna CNOS. Problemi esperienze e prospettive per l’istruzione e la formazione professionale, 1/2015, pp. 41-58. 9 Cfr. PELLEREY M., Oltre il costruttivismo? Verso una progettazione didattica sensibile alle caratteristiche degli studenti e alle esigenze dei contenuti da apprendere, secondo un approccio costruttivista cognitivo, in Rassegna CNOS. Problemi esperienze e prospettive per l’istruzione e la formazione professionale, 2/2014, pp. 77-96. 95 tora in fase di elaborazione e di allargamento consensuale, ovvero le Linee guida sull’utilizzo del tablet in classe10. Date le peculiarità dell’oggetto di indagine, la metodologia che si ritiene essere più indicata per condurre lo studio qui proposto è mista, ovvero: • quella della ricerca-azione, in quanto occorre individuare in modo qualitativo quali elementi delle Raccomandazioni e Indicazioni Pratiche contenute nelle Linee Guida sono effettivamente concretizzate all’interno del singolo Centro coinvolto nell’indagine; • quella della ricerca sperimentale, attraverso il confronto dei dati sugli appren- dimenti, rilevati in sede di esame finale dei percorsi triennali di Istruzione e Formazione Professionale. La ricerca è stata condotta dal CNOS-FAP in collaborazione con l’Università di Verona e ha visto coinvolti i seguenti Centri di Formazione Professionale: – Lombardia: CFP Sesto San Giovanni e CFP Milano. Confronto tra i risultati di apprendimento nelle prove multidisciplinari regionali d’esame tra i ragazzi che usano iPad (terzo anno meccanici ed elettrici Sesto San Giovanni) e i ragazzi che non lo usano (terzo anno elettrici e meccanici Milano); – Veneto: CFP San Zeno Verona. Confronto tra i risultati di apprendimento nella prova multidisciplinare progettata dall’ente stesso tra i ragazzi che usano iPad (terzo anno grafici) e i ragazzi che non lo usano (terzo anno meccanici); – Veneto: CFP Este. Confronto tra i risultati di apprendimento nella prova multi- disciplinare progettata dall’ente stesso tra i ragazzi che usano iPad (terzo anno elettrico) e i ragazzi che non lo usano (terzo anno meccanici). – Friuli Venezia Giulia: CFP Bearzi Udine. Confronto tra terza elettrici iPad e terza elettrici non iPad sulla prova progettata dall’ente stesso. 7.2. I DATI RACCOLTI Sono state raccolte le valutazioni di 20 classi appartenenti a 5 Centri di For- mazione Professionale per un totale di 400 allievi: di queste, 11 hanno partecipato alla sperimentazione iCNOS facendo uso di ICT e iPad a supporto della didattica, 9 hanno portato avanti le attività didattiche senza l’uso della tecnologia. Tutti i dati analizzati in questo primo report appartengono a classi del terzo anno. I risultati di apprendimento (i voti) fanno riferimento alle prove multidiscipli- nari predisposte per l’esame regionale di qualifica. Nonostante tutte le prove siano state predisposte secondo gli standard INVALSI, queste presentano molte diffe- renze a seconda della Regione in cui ha sede il CFP: le differenze si ritrovano sia nella loro strutturazione che nei pesi dati alle diverse competenze rilevate per an- dare a costituire il voto finale. 10 Cfr. allegato 1. 11 Sì-iCNOS: con questa etichetta verranno indicati gli allievi e le classi che hanno preso parte alla sperimentazione iCnos. 12 No-iCNOS: con questa etichetta verranno indicati gli allievi e le classi che non hanno preso parte alla sperimentazione iCnos. 96 Tabella1 - CFP e classi coinvolte Per questo motivo sono state messe a confronto soltanto le valutazioni ottenute nelle tre competenze comuni a tutte le prove: italiano, matematica e lingua inglese. Inoltre, le scale utilizzate sono diverse a seconda delle indicazioni della Regione, motivo per cui sono state portate tutte a 100/100. La tabella 1 riporta l’elenco delle classi coinvolte e riassume le informazioni utili all’analisi/interpretazione dei dati. Le sigle associate ad ogni classe (es. SVESZ-ELL) verranno utilizzate come acro- nimo delle stesse. Esempi: n Sì-iCNOS11 - Veneto - cfp San Zeno - Operatore Elettrico - Classe 3aL  SVESZ-ELL n No-iCNOS12 - Friuli venezia giulia - cfp Bearzi - Operatore Meccanico - Classe 3ab  NFRBE-MEb �%���� &������� '�#��%("� �� � �))�� �� ���#�� ' �� �����*�� !� " � ��� ���# ��� $� ����� ��� ���� �� ���������� %&� ���������� %'� �������� � %&� ����� ����� $� ����� ��� ���� �� ��� ����� � %(� $� ����� �� ��� �� ��� �� ��� )*� +�� ���" � ���� ,� ���� - ����� $� ����� ��� ���� �� ���������� )(� $� ����� �� ��� �� ������ ��� ).� /��������� ��������,��0 ������ $� ����� ��� ���� �� �� �������� %&� $� ����� ��� ���� �� �� �������� %(� $� ����� �� ��� �� �� ���� �� %%� $� ����� �� ��� �� �� ���� �� )*� 1�� " � ��� ���# ��� $� ����� �� ��� �� ������ ��� %)� $� ����� �� ��� �� ������ ��� %2� $� ����� �� ��� �� ������ ��� %)� $� ����� �� ��� �� ������ ��� %)� ����� ����� $� ����� ��� ���� �� ��� ������� )(� +�� ���" � ���� ,� ���� - ����� $� ����� ��� ���� �� ���������� )'� $� ����� �� ��� �� ������ ��� %2� /��������� 3�4�������� $� ����� ��� ���� �� �� ���� ).� $� ����� �� ��� �� �� � �� )'� 97 7.3. CONSIDERAZIONI SULL’ANALISI DEI DATI E SULLA VALIDAZIONE TRAMITE TEST STATISTICI Le caratteristiche dei dati raccolti purtroppo non permettono alcuna valida- zione tramite test statistici (ad esempio t test), in quanto sono troppi gli elementi che rendono i gruppi non confrontabili: in altre parole siamo ben distanti da un qualsiasi tipo di situazione sperimentale. Come in parte già accennato, le differenze che rendono statisticamente invalidabili gli eventuali risultati sono le seguenti: • le prove sono strutturate in modo diverso da Regione a Regione; • le modalità di valutazione sono diverse da Regione a Regione; • l’assegnazione della sperimentazione da parte degli enti a determinate classi non è stata arbitraria, in quanto alcuni formatori hanno esplicitamente riferito di aver coinvolto nella sperimentazione le “classi dove gli allievi erano più in gamba”; • gli insegnanti sono sempre diversi per ogni classe (escluso il caso del CFP Manfredini – vedi paragrafo 1.5). Di conseguenza si può tener conto dei risultati come elementi emersi da una prima esplorazione, ma non è possibile considerarli statisticamente affidabili. Pre- messo questo, possiamo comunque incrociare le valutazioni dagli allievi cercando le soluzioni migliori per rendere tali confronti più significativi possibile. 7.4. CONFRONTI 7.4.1. Confronto di tutte le medie Nonostante la comparazione della media voti tra tutti gli allievi Sì-iCNOS e quella degli allievi No-iCNOS sia da rite- nersi poco affidabile dal punto di vista del- la valutazione – in quanto con una com- parazione così ampia si vanno ad aumenta- re ulteriormente le di- scre panze e le incon- gruenze sotto il pro- filo sperimentale – da questo accostamento, riportato nel Grafico 1, sembra che, in gene- Grafico 1 - Tutte le medie aggregate Sì-iCnos� No-iCnos� 66,1622� 59,6205� 63,7717� 63,1848� 68,2099� 63,2166� 60,356� 63,9275� 55� 58� 60� 63� 65� 68� 70� Italiano� Matematica� Inglese� Media tot� 98 rale, l’uso delle tecnologie e del tablet a supporto della didattica abbia avuto un im- patto non positivo, se non nell’ambito della lingua inglese. L’impatto sembra per- sino di gran lunga peggiorativo nell’ambito delle competenze/conoscenze in ambito scientifico (matematica, scienze integrate). Al fine di far emergere elementi più indi- cativi dai dati raccolti nelle seguenti sezioni del presente paragrafo vengono riportati i confronti delle medie ottenute dalle classi nei diversi centri raggruppandole per regione, in quanto, come già indicato, ogni regione impone i propri standard per l’elaborazione delle prove d’esame. 7.4.2. Veneto – CFP San Zeno Per il CFP San Zeno sono state con- frontate le medie dei voti ottenuti dalle classi terze dell’indirizzo “operatore elet- trico” (coinvolte nella sperimentazione iCNOS) e dalle classi terze dell’indirizzo “operatore meccanico” (non coinvolte nella sperimentazione). Gli indirizzi a confronto sono diversi in quanto all’in- terno della stessa scuola non ci sono classi No-iCNOS con il medesimo indi- rizzo di quelle sottoposte a sperimentazione. Nei Grafici 2 e 3 le colonne con il bordo rappre sentano le classi Sì-iCNOS mentre quelle senza bordo rappresentano le classi no-iCNOS. Le classi che non sono state coinvolte nella sperimentazione hanno una media voti evidentemente più alta per Matematica e lingua italiana. Per la Lingua inglese non ci sono invece significative differenze. Grafico 3 - VENETO San Zeno 67 51 63 78 56 70 78 50 64 84 76 74 79 67 70 79 65 61 81 66 63 0� 23� 45� 68� 90� Lingua italiana� Matematica,� scienze integrate� Lingua inglese� SVESZ-ELL� SVESZ-ELI� SVESZ-ELH� NVESZ-MEa� NVESZ-MEb� NVESZ-MEc� NVESZ-MEd� Grafico 2 - VERONA San Zeno (medie) 99 7.4.3. Lombardia – CFP Sesto San Giovanni e CFP Sant’Ambrogio Nel caso della Regione Lombardia non è stato possibile fare un confronto in- terno allo stesso CFP in quanto all’interno del CFP di Sesto San Giovanni non c’e- rano classi che non partecipavano alla sperimentazione con cui comparare le valu- tazioni. Di conseguenza il confronto è stato fatto con le classi del CFP S. Ambrogio dato che, essendo anche questo CFP in Lombardia, le prove sono state generate se- condo i criteri imposti dalle medesime direttive regionali. Come si può vedere dai Grafici 4, 5, 6 e 7 (dove le colonne con il bordo rappresentano le classi Sì-iCNOS mentre quelle senza bordo rappresentano le classi No-iCNOS), qualsiasi tipo di in- crocio andiamo ad effettuare (per indirizzo, per classe, per materia), le classi che sono state coinvolte nella sperimentazione hanno ottenuto una media voti significa- tivamente più alta rispetto alle classi non coinvolte. Grafico 4 - LOMBARDIA 59 60 63 56 54 63 57 61 64 56 63 65 52 32 54 56 40 52 0� 18� 35� 53� 70� Lingua italiana� Matematica,� scienze integrate� Lingua inglese� SLMSSG-ELa� SLMSSG-ELb� SLMSSG-ME� SLMSSG-MO� NLMM-EL� NLMM-ME� Grafico 5 - LOMBARDIA (elettrici) 59 60 63 56 54 63 52 32 54 0� 18� 35� 53� 70� Lingua italiana� Matematica,� scienze integrate� Lingua inglese� SLMSSG-ELa� SLMSSG-ELb� NLMM-EL� 100 7.4.4. Friuli Venezia Giulia – Bearzi Per il CFP Bearzi sono state messe a confronto le medie dei voti ottenuti dalle classi terze con indirizzo “operatore elettrico” e “operatore meccanico” coinvolte nella sperimentazione iCNOS e dalle classi terze con i medesimi indirizzi non coin- volte nella sperimentazione. Nei grafici 8, 9 e 10 le colonne bordate rappresentano le classi Sì-iCNOS mentre le altre rappresentano le classi No-iCNOS. In questo caso, osservando i vari incroci, le medie delle classi Sì-iCNOS presentano dei valori uguali o leggermente più alti, ma il possibile effetto migliorativo dato dal coinvolgimento nella sperimentazione non è evidente come nel caso della Lombardia. Inoltre, in al- cuni casi (nello specifico le classi SFRBE-ELa e NFBRE-ELb – grafico 9), la media del gruppo No-iCNOS supera quella del gruppo Sì-iCNOS per “matematica, scienze integrate”. Anche in questo caso non è possibile ipotizzare che la partecipazione alla sperimentazione abbia influito positivamente sui risultati di apprendimento, soprat- Grafico 6 - LOMBARDIA (meccanici) 57, 60,6566 64,1288 56,3056 63,2716 64,9537 55,5 39,6316 52,4211 0� 18� 35� 53� 70� Lingua italiana� Matematica,� scienze integrate� Lingua inglese� SLMSSG-ME� SLMSSG-MO� NLMM-ME� Grafico 7 - LOMBARDIA (medie) 57,2216� 59,3687� 63,75� 53,6667� 35,8604� 53,0598� 0� 18� 35� 53� 70� Lingua italiana� Matematica,� scienze integrate� Lingua inglese� MEDIA Sì-iCnos� MEDIA No-iCnos� 101 tutto se si tiene conto del fatto che i docenti del CFP Bearzi che hanno fornito i dati hanno esplicitamente dichiarato di aver coinvolto nella sperimentazione le “classi dove gli allievi erano più in gamba”. Grafico 8 - FRIULI Bearzi 79,3333 88,9333 70,3333 66,2632 57, 67,7368 50,6667 92,2667 56,4667 66,0714 47,2143 61,2857 0� 25� 50� 75� 100� Lingua italiana� Matematica,� scienze integrate� Lingua inglese� SFRBE-ELa� SFRBE-MEa� NFRBE-ELb� NFRBE-MEb� Grafico 9 - FRIULI Bearzi (elettrici) 79,3333 88,9333 70,3333 50,6667 92,2667 56,4667 0� 25� 50� 75� 100� Lingua italiana� Matematica,� scienze integrate� Lingua inglese� SFRBE-ELa� NFRBE-ELb� Grafico 10 - FRIULI Bearzi (medie) 72,0294 71,0882 68,8824 58,1034 70,5172 58,7931 0� 20� 40� 60� 80� Lingua italiana� Matematica,� scienze integrate� Lingua inglese� MEDIA Sì-iCnos� MEDIA No-iCnos� 102 7.4.5. Veneto – CFP Manfredini I dati forniti dal CFP Manfredini hanno delle caratteristiche diverse da quelli raccolti presso gli altri centri, nello specifico: • una delle due classi che ha partecipato alla sperimentazione non ha usato un tablet iPad ma un tablet Android (SVEMA-MEa); • i voti delle classi VEMA-EL14 e la classe VEMA-EL15 non fanno riferimento allo stesso anno scolastico, ma sono rispettivamente del 2014 (anno in cui non era ancora stata introdotta la sperimentazione) e del 2015 (anno in cui è stata intro- dotta la sperimentazione). Queste due classi, oltre ad avere in comune l’indirizzo (operatore elettrico) sono state portate avanti dallo stesso gruppo di insegnanti. Osservando i grafici 11 e 12 si può notare che, come per il CFP San Zeno, la classe che non è stata coinvolta nella sperimentazione iCNOS ha ottenuto una media più alta delle classi coinvolte in due materie su tre. Anche facendo un confronto su base temporale (2014/2015), la media dei voti degli studenti Sì-iCNOS è molto simile per la lingua italiana e la lingua inglese, mentre è significativamente più bassa per Matematica, scienze integrate. Grafico 11 - VENETO Manfredini 66 57 52 64 58 58 67 83 51 0� 23� 45� 68� 90� Lingua italiana� Matematica,� scienze integrate� Lingua inglese� VEMA-EL15� VEMA-EL14� Grafico 12 - VENETO Manfredini (2014-2015) 66, 57,2 52,4 67,1429 82,6429 51,0714 0� 23� 45� 68� 90� Lingua italiana� Matematica,� scienze integrate� Lingua inglese� VEMA-EL15� VEMA-EL14� 103 7.5. CONCLUSIONI Al di là del confronto generale, che come si è già affermato non può essere ri- tenuto affidabile dal punto di vista sperimentale, il primo dato che emerge è per così dire contraddittorio, ambiguo, o forse è meglio dire “neutro”: l’introduzione della tecnologia in alcuni casi (Lombardia, Bearzi) sembra aver avuto un effetto migliorativo sugli apprendimenti, in alcuni altri (San Zeno e Manfredini), invece, sembra aver avuto un impatto peggiorativo, aspetto preoccupante se si considerano gli investimenti che sono stati necessari per l’avvio e la gestione del progetto iCNOS. Questa situazione è a grandi linee omogenea a quanto dimostrato dalla già ci- tata ricerca di Hattie: la tecnologia ha un effect size di 0,31, confermando un ruolo neutro nella produzione di apprendimenti. Approfondendo ulteriormente la meta-analisi dell’autore, si scopre come ben altro impatto sugli apprendimenti abbiano altre variabili, che non ricadono affatto nell’ambito strumentale, ma piuttosto in quello umano e relazionale, come ad esempio l’autoregolazione degli studenti (effect size 1.44), la valutazione formativa (0.90) e il supporto laterale, in termini di incoraggiamento e feedback regolari, da parte dei docenti (0.73). In questo orizzonte, i risultati anche significativamente diversi tra i CFP coinvolti nel presente studio potrebbero essere motivati dalla mi- sura in cui l’introduzione dei dispositivi individuali è stata oppure no accompa- gnata da un reale cambiamento negli stili didattici dei formatori, con riferimento alla loro competenza nel promuovere l’autoregolazione, rapportarsi con gli allievi in modo positivo e valutare in modo formativo gli esiti del percorso di apprendi- mento. Figura 1 - Il barometro del visible learning13 13 La figura è tratta da J.Hattie, Visible Learning for Teachers: maximing impact on learning, cit. 104 Da non trascurare anche l’effettiva volontà istituzionale e capacità dei Centri di Formazione Professionale coinvolti di gestire e trasformare variabili come lo spazio e il tempo scuola, fattori decisivi allo scopo di creare le condizioni per pro- muovere effettivamente l’autoregolazione degli allievi, a monte delle competenze dei formatori coinvolti. Pertanto ci si propone di proseguire la ricerca sulla sperimentazione iCNOS coinvolgendo attivamente i CFP e le persone (dirigenti, docenti e studenti) che stanno portando avanti questa esperienza al fine di individuare, attraverso un’inda- gine qualitativa, quali sono gli elementi (oltre all’uso delle tecnologie) che possono aver influito sui risultati di apprendimento. 105 Bibliografia AINSCOW M. - BOOTH T., L’Index per l’inclusione. 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Il mio primo commento al documento “Linee Guida per l’apprendimento attivo in presenza di tecnologie” lo faccio con quanto dico in genere alla fine dei miei interventi: mi interessa – prima come preside ed ora per il mio ruolo istituzio- nale – capire se il digitale aiuta gli apprendimenti, se l’effect size rispetto all’effi- cacia della lezione del docente migliora o no, se riusciamo ad intercettare le com- petenze dei nostri studenti, sempre più “liquide” anche per il mondo del lavoro che sarà... ma l’apertura del documento con il riferimento alla RELAZIONE dice chiara la strada. Ho imparato in tanti anni di accompagnamento alle scuole 2.0, alla mia scuola, alle esperienze di innovazione, che il fare una didattica più laborato- riale, più “seduti accanto”, più di prossimità allo studente, significa che l’oggetto tecnologia ti obbliga ad entrare in contatto. Uno dei paradossi della tecnologia... ma è così, per chi l’ha provato. Poi, può sembrare scontato, ma è proprio l’aver concepito un documento di accompagnamento è la vera rivoluzione: avviare processi significa accompagnarli. Le Linee Guida, attraverso aree che sono in sintonia forte con l’articolazione più evoluta del digitale a scuola, fanno dialogare l’etica, la didattica, l’organizzazione e la tecnologia. Mettere macchine non basta: bisogna saperle collocare nel cuore, nella mente, nello spazio, nella rete. In particolar modo, visto che è di attualità e vi è molta consonanza con il Piano Nazionale Scuola Digitale per cui lavoro, mi piace il riferimento agli spazi, alla modificazione degli stessi: ma attenzione che anche qui gli studi recenti di chi ha iniziato prima di noi ci dicono che lo spazio cambia se le persone cambiano, per cui un docente tradizionale funziona bene nelle spazio tradizionale, ma anche quello innovativo (scusate le semplificazioni a colpi di accetta) funziona meglio in uno spazio più liquido, con meno vincoli di sedie, banchi. Sembra qui essere anticipata l’idea del “tappeto digitale”: la tecnologia c’è ma non si vede, eppure supporta ogni processo didattico. E nel vostro caso anche ogni prodotto didattico. La frontiera dell’autoproduzione e dell’integrazione dei contenuti non è tema legato al risparmio o al fai da te. È tema legato – come le Linee Guida evidenziano – alla trasformazione dei saperi. Una posizione saggia di impiego dello strumento giusto al momento giusto qui diventa determinante. 110 In bocca al lupo e buon lavoro perché il bello viene adesso, passare dal mo- dello alla sua realizzazione. Daniele Barca Dirigente Ufficio Innovazione Digitale - Ministero dell’Istruzione LA TECNOLOGIA PER L’APPRENDIMENTO Data la serietà del lavoro di formulazione delle linee guida, mi pare importante potenziare la definizione di “educativo digitale”. I principi che organizzano il docu- mento sono quattro (educativi, didattici, organizzativi e tecnologici). Il punto principale mi pare quello della varietà dei metodi e delle operazioni richieste agli studenti. In questo momento va di gran moda esaltare l’importanza dell’atto di creazione dello studente e della sua non inattività. La diffusione delle tecnologie nel lavoro e nella vita quotidiana ha ridimensionato o comunque ridefi- nito gli spazi del docente. Di conseguenza vengono ridimensionate tutte le situa- zioni in cui lo studente è passivo. Credo che il punto non sia tanto la lezione fron- tale in sé, quanto i metodi per attivare un ascolto attivo da parte degli studenti, per recuperare l’immagine sociale dei docenti come attori della modernizzazione. Com’è detto nel documento di presentazione del Piano Nazionale Scuola Digi- tale: «(...) parlare di competenze digitali significa quindi tenere in considerazione al- cune direttrici fondamentali. Primo, la necessità di collocare ogni ragionamento al- l’interno del quadro più ampio delle competenze, e dell’attività didattica. Secondo, chiarire che le dimensioni delle competenze digitali sono diverse: da strumento per la didattica a veicolo per lo sviluppo di competenze trasversali e attitudini, e infine come nuova alfabetizzazione, di base attraverso il pensiero computazionale, e nella sua dimensione macro e applicata, associata ai grandi cambiamenti sociali, econo- mici e nel loro rapporto con l’informazione e le sue regole». In questa direzione, è utile ed efficace chiedere ai docenti di tenere conto dei nuovi stili di apprendimento e di articolare una gamma variegata di attività (alter- nando momenti di ascolto, di scrittura, di colloquio, di sintesi, etc.). È necessario pensare a modelli in grado di attivare la cooperazione educativa e la pratica della ricerca didattica tra i docenti, di far loro superare gli steccati che separano le discipline, gli ambiti disciplinari, l’accademismo fine a sé stesso. Una leadership didattica si forma sul campo, non si teorizza, ed è efficace quando riesce a coinvolgere e diffondere pratiche efficaci e coinvolgenti che hanno come esito l’interesse e la partecipazione ma anche buoni risultati di apprendimento. La labo- ratorialità è uno dei metodi a disposizione dove la messa in pratica di esperienze vede la messa in campo di più saperi, più contenuti disciplinari, e permette la cata- lizzazione della competenza. In sintesi, le Linee Guida fanno pensare a scenari di apprendimento, molto prima che agli aspetti materiali e fisici degli oggetti digitali. Penso che sia utile interrogarsi sui modi per evitare effetti di dipendenza dallo strumento, oltre che per una coerenza con il messaggio dell’importanza del lavoro cooperativo, del confronto, del fare dello studente. Alfonso Rubinacci Tuttoscuola LINEE GUIDA PER LA FORMAZIONE DELLE GENERAZIONI DEL 21° SECOLO Le Linee guida per l’apprendimento attivo in presenza di tecnologie, messe a punto dal CNOS-FAP, hanno in realtà caratteristiche molto più ampie di quanto il titolo possa fare supporre. Si potrebbe dire che sono linee guida per l’apprendi- mento nel nuovo secolo, nel quale le tecnologie digitali sono solo uno degli ele- menti che caratterizzano i cambiamenti radicali avvenuti rispetto al Novecento. Cambiamenti che hanno tutti un’incidenza profonda sulle modalità in cui le istitu- zioni formative e la scuola sono chiamate a ridefinire le caratteristiche dell’inse- gnamento/apprendimento. Se ne citano quattro: • l’evoluzione dell’economia della conoscenza verso l’economia concettuale, come oggi viene definita, un’economia che richiede sempre più agli individui, come singoli e come organizzazioni, la capacità di essere creativi e di trasfor- mare idee creative in innovazioni. • La riorganizzazione del sapere oltre i confini delle discipline verso la cross- disciplinarietà e lo studio dei sistemi complessi. • Le trasformazioni nei legami sociali, contraddistinti dal rapido passaggio da una modernità solida, definita e vincolata da legami nazionali, territoriali, sta- bili e duraturi a una modernità liquida, per dirla con Bauman, fatta di legami mutevoli e fragili, che racchiude in sé gli effetti della globalizzazione, del no- madismo, delle reti virtuali, una modernità caratterizzata dalla multiculturalità e dalla complessità. • E infine, per l’appunto, l’avvento del digitale, che ha trasformato gli strumenti di costruzione e trasmissione del sapere, sconvolgendo i modi di apprendere. Tutte queste modificazioni aprono scenari completamente nuovi per gli istituti formativi e la scuola, e urgono perché queste istituzioni, fra le più resistenti al cam- biamento, rompano i sigilli della conservazione. Le Linee guida delineate dal CNOS-FAP si inseriscono in questi nuovi oriz- zonti e costituiscono un prezioso strumento per guidare e sostenere l’evoluzione dell’insegnamento/apprendimento in questa nuova fase storica. Le caratteristiche dominanti delle Linee guida Le Linee guida sono suddivise in quattro Titoli: 1) Principi educativi, 2) Prin- cipi didattici, 3) Principi organizzativi, 4) Principi tecnologici. 111 112 Ciascuno di questi Principi è articolato in snelle ed efficaci Raccomandazioni, che costituiscono un insieme coerente di indicazioni a sostegno dell’innovazione educativa. Sulla base di quali fattori si può esprimere un tale positivo giudizio? C’è un elemento che oggi può essere assunto come cartina di tornasole per analizzare e valutare se linee guida per l’istruzione e la formazione, da chiunque redatte, siano valide, attendibili ed efficaci nei confronti dell’innovazione e del miglioramento. Questo elemento si chiama creatività. Un termine affascinante, ma a lungo rimasto, nei luoghi dell’istruzione e della formazione, un’icona dai contorni indefiniti, inca- pace di ispirare comportamenti coerenti nella pratica educativa. Oggi sappiamo come si alimenta la creatività e sappiamo che coinvolge pres- soché tutti gli elementi in cui si dipana l’attività educativa. Per questo può fungere da cartina di tornasole di qualsiasi proposta di linee guida. Il punto di partenza è che la scuola non deve uccidere la creatività. Nasciamo tutti creativi, ma smettiamo di esserlo andando a scuola. C’è uno studio che cerca di dimostrarlo. A 1500 bambini della scuola dell’infanzia è stata fatta questa do- manda: “In quanti modi si può usare un fermaglio?” Il 98% dei bambini ha trovato 200 modi diversi! Anni dopo i bambini sono stati nuovamente testati, a 8-10 anni e poi a 13-15. I modi d’uso sono diminuiti in modo impressionante. Massimo 10 o 20 modi di usare il fermaglio. Cosa poteva avere ridotto così la loro immaginazione? Ci sono tante cose che possono avere influito, ma il primo posto lo occupa la scuola. Perché la scuola pretende risposte standardizzate, conformi a quello che si insegna e stigmatizza gli errori. Alimenta la paura dell’errore e a poco poco uccide la creatività. La prima cosa, allora, è convincerci che oggi non è più sufficiente assimilare e riprodurre informazioni. I ragazzi devono saper utilizzare ciò che hanno appreso in situazioni nuove, continuamente diverse e reinventare ciò che hanno imparato. A questo fine la scuola e le istituzioni formative devono mettere gli studenti in condi- zione di usare le proprie conoscenze nel mondo reale e di poter verificare i risultati di ciò che fanno. Imparare facendo non è uno slogan. È l’importantissimo metodo esperienziale che deve sempre affiancarsi a quello simbolico-ricostruttivo che si realizza attraverso il linguaggio. Questa prima affermazione ci porta di necessità all’ambiente di apprendimento in tutti suoi aspetti, relazionali, psicologici, materiali. Vediamo alcune delle caratteristiche di un positivo ambiente di apprendimento. Una caratteristica chiave è la fiducia tra discente e docente Quando la relazione fra chi educa e chi apprende è improntata alla fiducia, i ra- gazzi acquisiscono sicurezza, sono stimolati ad assumere il rischio e ad apprendere dagli insuccessi. Non si sottolineerà mai abbastanza la centralità della relazione empatica studente-insegnante o formatore. La fiducia porta con sé anche la conquista dell’autonomia da parte dei ragazzi. Gli studenti devono poter godere di una certa libertà nello scegliere che cosa fare 113 e come farlo. L’apprendimento non può essere tutto prescritto ed assistito. Per questo sono importanti le opzionalità nel curricolo, perché assecondano gli inte- ressi dei ragazzi. E ancora la variazione del contesto. Se è vero che apprendere vuole dire saper fare collegamenti, è necessario che chi apprende sperimenti le proprie capacità in un’ampia gamma di contesti diversi. E occorre un giusto equilibrio tra capacità e sfide. Per fare emergere la creati- vità bisogna che le sfide proposte siano adeguate al livello di competenze posse- dute da ciascun ragazzo. Se l’asticella è troppo alta, lo studente non avrà alcuna possibilità di sperimentare un minimo di competenza e rinforzare il concetto che ha di sé. Perché ciò avvenga è necessario differenziare e personalizzare gli apprendi- menti. Altrettanto importante è lo scambio interattivo di conoscenze e idee: la creati- vità si sviluppa in ambienti dove è costante lo scambio di idee, dove c’è feedback e valutazione, dove chi apprende può attingere a diverse fonti di informazione e di esperienze. E infine, ma non per importanza, la questione dello spazio e del tempo. Lo spazio è stato definito il terzo educatore (“The third teacher”) oltre ai pari e all’educatore stesso. Lo spazio come luogo di incontri, interazione, ascolto, reci- procità. Un ambiente aperto e flessibile, dove sia piacevole vivere e studiare, in gruppi grandi e piccoli o singolarmente. Un luogo che sa porsi in dialogo e in ascolto con il mondo che lo circonda. Non più l’aula come unico spazio per l’ap- prendimento, ma ambienti modulari, polivalenti, multimediali, che permettano la realizzazione di una didattica flessibile e diversificata, capace di rispondere ai diversi bisogni di apprendimento. Non disgiunto dallo spazio è il tempo. Nella maggioranza dei luoghi formali dell’istruzione e della formazione gli studenti vivono una vita irreggimentata scan- dita dallo stesso suono della campanella, un’organizzazione temporale da fabbrica fordista. Un orario frammentato che corrisponde all’attuale rigida separazione delle discipline e che pertanto fornisce un insegnamento lontano dalla realtà, insegna ai giovani che il sapere è diviso in parti non comunicabili, materialmente scandite dal succedersi delle diverse discipline nell’orario della scuola o dell’istituzione forma- tiva. L’organizzazione del tempo deve dunque tendere a ricomporre le discipline in compiti di realtà, anche utilizzando tutte le possibilità offerte dalle nuove tecno- logie (le simulazioni, i serious games, la possibilità di interconnettersi con risorse materiali e umane in qualsiasi momento della giornata). Orbene tutti gli elementi qui ricordati sono presenti, in maniera più o meno esplicita, nelle Raccomandazioni che compongono i quattro Principi delle Linee guida. Il risultato è un quadro organico di preziose indicazioni. Alessandra Cenerini Presidente nazionale ADI, Associazione Docenti e Dirigenti Scolastici Italiani 114 Testo base (12 novembre 2015) A seguito di tre anni dall’introduzione sperimentale dei nuovi dispositivi digitali (in particolare il tablet) nei Centri di Formazione Professionale e nelle Istituzioni Scolastiche salesiane, è possibile produrre una serie di raccomandazioni educative e didattiche, che costituiscono i principi base di un potenziale nuovo paradigma educa- tivo, provocato dai nuovi media, ma ispirato a principi pedagogici, molto prima che tecnologici. L’educativo digitale non consiste nell’introduzione della tecnologia nella didattica tradizionale, ma in un consapevole cambiamento di approccio nell’insegna- mento, anche avvalendosi delle potenzialità offerte dai nuovi strumenti. L’educativo digitale va ben oltre la mera digitalizzazione, per valorizzare ogni tipo di risorsa educativa, in un approccio bilanciato, all’interno del quale ogni risorsa (libri, lezione, apprendimento cooperativo, etc.) trova il suo posto, salvaguardando la centralità dello studente e delle sue strategie di apprendimento attivo. Indice delle raccomandazioni Principi educativi  Raccomandazione n. 1: Dall’istruzione alla relazione  Raccomandazione n. 2: Dal modello individualistico a quello solidale  Raccomandazione n. 3: Dal controllo alla fiducia  Raccomandazione n. 4: Dalla conformità alla responsabilità  Raccomandazione n. 5: Dalla centralità del formatore alla centralità dell’allievo  Raccomandazione n. 6: Educare alla competenza digitale Principi didattici  Raccomandazione n. 1: Diminuire i tempi di mero ascolto e di riprodu- zione culturale, favorendo l’attività creativa degli allievi  Raccomandazione n. 2: Diminuire l’utilizzo della lezione frontale tradi- zionale, sostituendola in parte con l’utilizzo di risorse costruite ad hoc dal formatore oppure reperibili in biblioteca o in rete  Raccomandazione n. 3: Sostituire i libri di testo  Raccomandazione n. 4: Predisporre esperienze che coinvolgono il con- tributo del mondo esterno (aziendale, sociale e culturale)  Raccomandazione n. 5: Valutare i prodotti degli allievi e testare le co- noscenze/abilità coinvolte 115 Principi organizzativi  Raccomandazione n. 0: Prevedere forme chiare di leadership didattica  Raccomandazione n. 1: Mettere a disposizione una molteplicità di ri- sorse, sia digitali che non digitali  Raccomandazione n. 2: Articolare gli spazi della scuola  Raccomandazione n. 3: Organizzare l’aula in isole  Raccomandazione n. 4: Utilizzare il meno possibile elementi frontali come cattedre, predelle e lavagne fisse  Raccomandazione n. 5: Articolare l’orario scolastico in tempi condotti dal formatore e tempi di autonomia degli al- lievi  Raccomandazione n. 6: Favorire l’apprendimento cooperativo  Raccomandazione n. 7: Predisporre tempi per il lavoro autonomo indi- viduale  Raccomandazione n. 8: Mettere in trasparenza il lavoro dei formatori Principi tecnologici  Raccomandazione n. 0: Identificazione del dispositivo più adatto al- l’apprendimento  Raccomandazione n. 1: Copertura wireless efficiente delle aree utiliz- zate  Raccomandazione n. 2: Adeguata connettività internet  Raccomandazione n. 3: Chiara politica per l’accesso ad internet  Raccomandazione n. 4: Chiara politica per l’utilizzo degli ID di acces - so agli store  Raccomandazione n. 5: Proiettore e sistema di trasmissione (mirror) su ogni aula coinvolta  Raccomandazione n. 6: Definizione delle applicazioni presenti sul di - spo sitivo 116 PRINCIPI EDUCATIVI RACCOMANDAZIONE 1: Dall’istruzione alla relazione L’introduzione dei dispositivi mobili nei sistemi di istruzione e formazione tra- sforma profondamente il paradigma educativo, ridimensionando le azioni di istru- zione e aprendo spazi inediti per la relazione tra insegnante e allievo. Si consiglia di “delegare” alla tecnologia alcuni aspetti della funzione di insegnamento per libe- rare tempo ed energia per la relazione con gli allievi. Indicazioni pratiche a. Valorizzare la funzione istruttiva di oggetti didattici come videolezioni, tu - torial, podcast, etc. e più in generale di piattaforme di apprendimento, al fine di liberare tempo per la relazione con gli allievi e favorire la personalizza- zione. b. Potenziare nei formatori la mentalità educativa e le competenze relazionali, mediante iniziative di aggiornamento che si focalizzino sulla relazione educa- tiva. RACCOMANDAZIONE 2: Dal modello individualistico a quello solidale Agevolare il passaggio dalle componenti individualistiche, selettive e competitive del sistema di istruzione a quelle collaborative, approfittando dell’introduzione della tecnologia per potenziare i momenti e i tempi dedicati alla cooperazione, allo scambio e alla valorizzazione delle differenze. Indicazioni pratiche a. Inserire progetti e percorsi di apprendimento socioemotivo in modalità espli- cita, e non solo trasversale. b. Nei mandati di lavoro e nei progetti prevedere forme di apprendimento coope- rativo, valutando, oltre agli esiti in termini di competenze culturali e professio- nali, anche le competenze personali, sociali ed emozionali. RACCOMANDAZIONE 3: Dal controllo alla fiducia Tradizionalmente i formatori sono chiamati a decidere oggetti, tempi e obiettivi delle azioni formative, controllandone l’esecuzione sia durante che al termine delle pratiche didattiche. Occorre promuovere maggiormente la responsabilità, l’autore- 117 golazione e il senso di maturità degli allievi, aumentando le situazioni nelle quali ci si assume il rischio educativo, attraverso l’istanza della delega e della fiducia. Così facendo si limita il pericolo che il principio del controllo conduca alla passività o alla trasgressione, favorendo il circolo virtuoso che dalla fiducia conduce alla responsabilità. Indicazioni pratiche a. Nella proposta di mandati di lavoro, progetti, lezioni, etc. favorire, laddove possibile, la scelta agli allievi su contenuti e tempi, entro una gamma di op- zioni coerenti col curricolo. b. Configurare i sistemi di sicurezza e i regolamenti in modo tale da consentire spazi e tempi di sempre maggiore autonomia e responsabilità nella vita scola- stica degli allievi (dando evidenza di queste scelte nei documenti sulla sicu- rezza, nei progetti educativi o Piani dell’Offerta Formativa). c. Mettere in chiaro in appositi confronti con la famiglia le modalità regolamen- tari entro le quali la scuola decide di concedere spazi e tempi di autonomia e responsabilità per gli allievi. d. Consentire agli allievi di proporre e gestire autonomamente iniziative non for- mali (es. feste, raduni, eventi sportivi, etc.) nel contesto scolastico, vincolan- doli al rispetto delle persone, degli ambienti e delle attrezzature. RACCOMANDAZIONE 4: Dalla conformità alla responsabilità Il rischio di alcune forme di istruzione e di valutazione è quello di focalizzare l’at- tenzione sulla conformità (correttezza) piuttosto che sulla responsabilità (compe- tenza) degli allievi. Si consiglia di diminuire la tipologia di prestazioni che richie- dono forme di riproduzione dei saperi, per aumentare la frequenza di compiti e itinerari che richiedono forme autonome e creative di elaborazione di oggetti cul - turali. Indicazioni pratiche a. Limitare (non annullare) forme di valutazione centrate sul concetto di esattezza (es. test, quiz, etc.), utilizzandole preferibilmente nei momenti per così dire sommativi dell’anno formativo (es. fine quadrimestre), favorendo l’utilizzo di strumenti di valutazione dell’apprendimento e per l’apprendimento (es. port- folio, rubriche, etc.). b. Costruire mandati di lavoro che favoriscono forme creative di produzione culturale, stimolando il pensiero divergente e la libertà di espressione degli allievi e creando dibattito, opportunamente guidato, tra gruppi di apprendi- mento e/o gruppo classe. 118 RACCOMANDAZIONE 5: Dalla centralità del formatore alla centralità dell’allievo Nell’organizzazione delle attività educative e didattiche, l’iniziativa deve essere in parte spostata, consapevolmente e organicamente, dal formatore all’allievo, dimi- nuendo il tempo dedicato a lezioni di tipo trasmissivo, e favorendo al contrario si- tuazioni che richiedono all’allievo iniziativa, soluzione di problemi e creazione di prodotti culturali e professionali. Indicazioni pratiche a. Promuovere l’apprendimento attraverso esperienze attive che stimolino la creatività e la cooperazione tra allievi. b. Favorire il cambiamento di mentalità dei formatori attraverso iniziative for- mative e scambi di esperienze con scuole innovative. c. Incentivare i formatori capaci di innovare le prassi didattiche e di condivi- derle con gli altri formatori. RACCOMANDAZIONE 6: Educare alla competenza digitale Tra le competenze chiave per l’apprendimento permanente, oggetto di un progetto educativo bilanciato e attento ai segni dei tempi, dovrà essere inserita anche la competenza digitale, nelle sue componenti etiche e cognitive. Indicazioni pratiche a. Promuovere negli studenti e negli allievi le disposizioni soggettive utili a co- municare in modo attivo e responsabile, con piena consapevolezza delle - ricadute personali e sociali dei contenuti scambiati in rete (ad esempio me- diante giochi di ruolo e simulazioni). b. Educare le attitudini cognitive e critiche tali da prevenire una fruizione pas- siva dei contenuti (ad esempio stimolando la ricerca in Internet di contenuti contraddittori sul medesimo soggetto, o favorendo la correzione e la ricerca di fonti alternative). c. Formare le competenze tecnologiche idonee all’utilizzo dei diversi dispositivi digitali, aiutando gli allievi a passare da una fruizione evasiva ad un utilizzo costruttivo e produttivo delle nuove tecnologie. 119 PRINCIPI DIDATTICI RACCOMANDAZIONE 1: Diminuire i tempi di mero ascolto e di riproduzione culturale, favorendo l’attività creativa degli allievi Nella progettazione e nella gestione delle attività educative e didattiche, occorre predisporre situazioni e contesti in grado di stimolare l’iniziativa, la responsabilità e la creatività degli allievi. In questa logica, le lezioni frontali devono essere il più possibile collegate ai compiti di realtà affrontati dagli allievi. Indicazioni pratiche a. Può essere utile indicare ai formatori una percentuale massima di tempo da dedicare alla lezione frontale. b. Durante il tempo dedicato alla lezione frontale, si suggerisce di chiedere agli allievi di riporre i dispositivi digitali. Infatti, tablet e smartphone non sono strumenti utili per la fruizione per così dire “passiva” delle conoscenze. c. Per favorire la didattica per compito/prodotto, da coniugare con l’uso attivo dei dispositivi mobili, è consigliabile predisporre un formato comune per l’ela- borazione dei mandati di lavoro da parte dei formatori. Tale formato deve contenere, oltre all’indicazione del compito/prodotto e dei tempi di consegna, anche dei suggerimenti sulle modalità di lavoro e sulle fonti/risorse che gli al- lievi possono utilizzare. Si consiglia di valorizzare i formati già messi in cir- colo dal CNOS-FAP. RACCOMANDAZIONE 2: Diminuire l’utilizzo della lezione frontale tradizionale, sostituendola in parte con l’utilizzo di risorse costruite ad hoc dal formatore oppure reperibili in biblioteca o in rete L’azione del fornire contenuti e argomenti agli allievi può e deve essere gestita anche in modo indiretto, elaborando materiali multimediali oppure selezionando dalla rete quelli già disponibili, in varie forme. Indicazioni pratiche a. I formatori costruiscono videolezioni sugli argomenti e contenuti chiave del loro ambito, corredandoli con test di autovalutazione. b. I formatori educano i loro allievi alla fruizione dei materiali (video, podcast e contenuti), stimolando il loro senso critico e sottolineando i vantaggi legati alla fruizione non sincrona dei contenuti (es. possibilità di riascoltare, di con- frontare, di fare sintesi, etc.). 120 c. I formatori reperiscono fonti e materiali affidabili per la ricerca e lo studio (videolezioni, siti Internet, libri, podcast, etc.), e li indicano in forma chiara agli allievi (ad esempio fornendo sitografie, bibliografie, etc.). d. La lezione frontale è utilizzata in modo bilanciato (blended) con le nuove ri- sorse: attraverso di essa l’insegnante traccia il percorso, fa sintesi di quanto appreso e pone le basi per la ricerca di nuove conoscenze. RACCOMANDAZIONE 3: Sostituire i libri di testo Il libro di testo corrisponde ad un’idea di sapere fisso, non costruito e non critica- bile. Occorre dunque rimandare gli allievi alla valorizzazione di fonti multiple, col- tivando allo stesso tempo la motivazione e abilità di esplorazione, di critica e di ri- elaborazione. Indicazioni pratiche a. L’istituzione scolastica e formativa non adotta in modo estensivo la logica del libro di testo, né sotto forma cartacea né sotto forma digitale. b. Il libro di testo, meglio se messo a disposizione all’interno di aule tematiche (es. l’aula di matematica), integra e riconduce a sintesi le altre fonti fruite dagli studenti. c. L’istituzione scolastica e formativa agevola la fruizione di biblioteche interne ed esterne, di biblioteche digitali (ovvero di una pluralità di libri o di moduli di contenuto) e più in generale di base-dati di informazioni e contenuti. d. Agli allievi viene chiesto di costruire “libri di testo”, sotto forma di eBook, anche in funzione dell’esame finale. RACCOMANDAZIONE 4: Predisporre esperienze che coinvolgono il contributo del mondo esterno (aziendale, sociale e culturale) Allo scopo di rendere le attività di apprendimento il più possibile sensate, ovvero autentiche, è necessario rendere per così dire trasparenti le mura scolastiche, met- tendo gli allievi a contatto con il contesto reale, mediante dialoghi, reali o virtuali, con il mondo culturale, sociale e professionale. Per realizzare questo obiettivo, può essere suggeribile “esporre” il lavoro degli allievi alla valutazione esterna, ad esempio mediante blog e social network. Indicazioni pratiche a. Nell’elaborazione dei mandati di lavoro il formatore induce l’interazione con il mondo esterno (es. aziende, associazioni, etc.) attraverso la previsione di 121 scambi sotto forma di videoconferenza, email, social network, telefonate, inter- viste, etc. b. Predisporre spazi e attrezzature per la videoconferenza. c. Favorire la valutazione del mondo esterno, ricorrendo alle modalità interat- tive di feedback (tag, commenti, post, stellette, etc.). d. Nell’ambito della cittadinanza digitale, insegnare valori legati alla propria presenza responsabile in rete, anche contribuendo a migliorare i contenuti on- line (esempio wikipedia). RACCOMANDAZIONE 5: Valutare i prodotti degli allievi e testare le conoscenze/ abilità coinvolte Spostare il focus sulla creatività degli studenti comporta un cambiamento nelle mo- dalità di valutazione, che devono tendere ad apprezzare le qualità dei prodotti, e non solo la memorizzazione di conoscenze. Questo non esclude, anzi implica, il ri- corso a modalità complementari di valutazione sommativa delle abilità/conoscenze coinvolte. Indicazioni pratiche a. Al termine di ogni esperienza significativa di produzione, valutare il prodotto attraverso strumenti formativi di accertamento delle competenze (es. rubriche, portfolio, etc.). b. Dopo aver valutato il compito/prodotto, si potrebbe prevedere un test tradizio- nale per accertare anche le abilità/conoscenze coinvolte. c. Al termine di ogni ciclo significativo (es. quadrimestre) valutare in forma tra- dizionale le conoscenze/abilità chiave del profilo culturale e professionale. 122 PRINCIPI ORGANIZZATIVI RACCOMANDAZIONE 0: Prevedere forme chiare di leadership didattica Per non cadere in dannose forme di autoreferenzialità dei formatori, l’Istituzione Scolastica e Formativa deve dotarsi di una chiara leadership didattica (coordina- mento), posta esplicitamente nell’organigramma, dotata di poteri esecutivi e di una quantità di tempo dedicata a questa specifica attività. RACCOMANDAZIONE 1: Mettere a disposizione una molteplicità di risorse, sia digitali che non digitali L’innovazione del paradigma educativo non dipende univocamente dalla tecno- logia, ma consiste in un approccio che favorisce l’apprendimento mobile attivo. Pertanto, occorre favorire la presenza in aula di una molteplicità di risorse, nel ri- spetto dei diversi momenti, esigenze e stili di apprendimento. Indicazioni pratiche a. Per quanto riguarda la tecnologia, la scelta di dotare ogni studente di un dispo- sitivo, seppure forse preferibile, non è l’unica via possibile. La disponibilità di dispositivi condivisi tra un certo numero di studenti, anche in combinazione con postazioni fisse, può essere utile in funzione del progetto educativo e formativo. b. Favorire la compresenza in aula di tablet, smartphone e altri dispositivi tecnolo- gici, libri cartacei, strumenti per prendere appunti, lavagne di diverso tipo, etc. RACCOMANDAZIONE 2: Articolare gli spazi della scuola Per favorire il cambiamento, occorre riconsiderare l’organizzazione dello spazio scolastico, prevedendo più tipologie di setting, andando oltre la tradizionale distin- zione tra aule, corridoi e spazi condivisi. Indicazioni pratiche a. Predisporre alcune aule per il lavoro frontale, o generiche o specifiche per ambiti culturali, scientifici o tecnologici. b. Predisporre alcuni spazi, non necessariamente all’interno delle aule, per il la- voro cooperative. c. Predisporre alcuni spazi, esterni all’aula, per il lavoro e la ricerca individuale. d. Predisporre uno o più spazi per il lavoro virtuale in videoconferenza. 123 RACCOMANDAZIONE 3: Organizzare l’aula in isole Se il lavoro cooperativo avviene in aula, e non in spazi esterni appositamente indi- viduati, occorre predisporre le condizioni per l’interazione faccia a faccia. Indicazioni pratiche a. Le aule dovrebbero avere banchi componibili in modo da poterle adattare a più utilizzi. b. Negli spazi dove si intende lavorare in modo cooperativo, aggregare i banchi ad isole di quattro, facendo in modo che tra un’isola e l’altra ci sia distanza sufficiente per l’indipendenza e il confort del gruppo di lavoro. c. Negli spazi adibiti a lezione frontale, è possibile valutare se conservare la di - spo sizione tradizionale. RACCOMANDAZIONE 4: Utilizzare il meno possibile elementi frontali come cattedre, predelle e lavagne fisse Gli arredi tipici della lezione frontale devono essere collocati negli spazi riservati a questo tipo di attività. Negli spazi dedicati al lavoro cooperativo limitare o al limite eliminare questo tipo di strumentazione, liberando metri quadri per l’interazione costruttiva. Indicazioni pratiche a. Nelle aule cooperative e/o di ricerca, eliminare completamente predelle e cat- tedre, evitando il più possibile arredi fissi (esempio banchi fissati al pavi- mento), per garantire flessibilità nell’uso dello spazio. b. Negli spazi dedicati al lavoro cooperativo e/o di ricerca, in alternativa alla cattedra fornire al formatore una sedia o poltrona, dove possa sedersi momen- taneamente nei tempi non dedicati all’interazione con gli allievi. c. Moltiplicare la presenza di lavagne negli spazi di apprendimento, in modo tale da simboleggiare l’ubiquità del sapere, garantire flessibilità e pluralità di punti di vista. RACCOMANDAZIONE 5: Articolare l’orario scolastico in tempi condotti dal formatore e tempi di autonomia degli allievi Per stimolare l’autonomia, la creatività e l’autoregolazione degli allievi è neces- sario strutturare adeguati periodi di tempo lasciati alla loro iniziativa e responsabi- lità, contenendo i tempi dedicati ad attività condotte direttamente dal formatore. 124 Indicazioni pratiche a. Nella cornice dell’orario tradizionale, non scendere di norma sotto la soglia di blocchi di due ore consecutive a carico dello stesso formatore. b. Nell’unità minima di due ore, il formatore potrebbe condurre direttamente l’attività per un tempo massimo di trenta minuti, suddivisi in quindici minuti iniziali di “riscaldamento”, scelta e preparazione del lavoro, attività degli stu- denti e quindici minuti finali di consuntivo dell’esperienza. c. Durante il tempo nel quale gli allievi lavorano sotto propria iniziativa, il for- matore si colloca in posizione laterale (non frontale) lasciandosi coinvolgere in attività di supporto, aiuto, consiglio, personalizzazione. RACCOMANDAZIONE 6: Favorire l’apprendimento cooperativo Nella gestione delle attività educative e didattiche è necessario promuovere negli allievi quelle abilità sociali che consentano loro di interagire in modo costruttivo, risolvendo problemi ed elaborando prodotti in modo collaborativo, e coinvolgendo l’apporto di tutti i membri del gruppo di lavoro. Indicazioni pratiche a. Durante le attività di accoglienza, e poi anche durante l’anno formativo, occorre prevedere attività esplicitamente dirette alla promozione di abilità sociali di empatia, collaborazione e negoziazione, indispensabili per l’appren- dimento cooperativo. b. Il gruppo di lavoro, composto ordinariamente da tre/quattro allievi, è preferi- bilmente stabile ed eterogeneo per capacità e livello (senza escludere gruppi di livello per attività di recupero). c. Nell’elaborazione dei mandati di lavoro è necessario prevedere forme di in - terdipendenza, ad esempio strutturando ruoli diversi all’interno del gruppo di lavoro. d. La strutturazione dell’interdipendenza deve consentire di distinguere all’in- terno del prodotto finale il contributo specifico di ciascun membro del gruppo. RACCOMANDAZIONE 7: Predisporre tempi per il lavoro autonomo individuale Per promuovere in modo compiuto la responsabilità individuale, anche ai fini della valutazione, è suggeribile predisporre momenti di lavoro, ricerca e produzione indi- viduale. Questa modalità di lavoro, inoltre, favorisce ulteriormente il profilo della personalizzazione. 125 Indicazioni pratiche a. Durante la fase di accoglienza e poi anche durante l’anno formativo, dedicare del tempo per insegnare ai ragazzi ad eseguire tesi, ricerche e produzioni per- sonali. b. Strutturare modalità di lavoro individuale (es. tesi, ricerche, produzioni) com- misurate al livello e al percorso formativo del singolo allievo. c. Individuare alcuni lavori che possano essere condivisi anche in rete in modo pubblico, in modo da poter essere viste da familiari o amici. Raccomandazione n. 8: Mettere in trasparenza il lavoro dei formatori Il formatore è la risorsa fondamentale per un cambiamento efficace. Per questo, oltre ad una chiara leadership didattica, è necessario predisporre strumenti di tra- sparenza del lavoro di progettazione e di gestione delle attività formative. Indicazioni pratiche a. Adottare il registro informatico, prevedendo l’annotazione dei diversi momenti e scansioni delle attività formative (lezione frontale, lavoro cooperativo, la- voro individuale, etc.). b. Indurre l’attività di ideazione dei formatori, assegnando obiettivi di progetta- zione di esperienze di apprendimento (anche mediante la messa a punto di format condivisi). c. Predisporre esperienze di analisi delle prassi didattiche, mediante gruppi di ricerca specifici, codocenze tese al confronto critico, etc. 126 PRINCIPI TECNOLOGICI Premessa Sebbene sul lungo periodo sia auspicabile un utilizzo BYOD, ovvero dove ognuno possa utilizzare il proprio dispositivo in classe, è opportuno, specie su grandi numeri, individuare ed utilizzare la medesima tecnologia per tutti gli studenti ed insegnanti di uno stesso centro/scuola. Raccomandazione 0: Identificazione del dispositivo più adatto all’apprendimento Individuare criteri di scelta tecnologica il più possibile contestualizzati all’utilizzo nell’ambito formativo, piuttosto che criteri troppo tecnici (memoria, processore, funzioni). Indicazioni pratiche a. Durata della batteria, robustezza agli urti, supporto della casa produttrice sono criteri che devono avere la priorità su dettagli tecnici come memoria, processore o funzioni specifiche. b. Possibilità di fare acquisti multipli da parte dell’istituto ed inviare App sui dispositivi collegati al network. c. Ottenere assistenza in caso di guasto e di furto da parte del rivenditore e, per grandi numeri, munirsi di qualche dispositivo in più per eventuali sostituzioni temporanee. RACCOMANDAZIONE 1: Copertura wireless efficiente delle aree utilizzate La interconnessione di tutti i dispositivi richiede una copertura wireless efficiente realizzata dopo una pianificazione e con prodotti di classe enterprise. Si è rivelata utile la gestione centralizzata degli access point ed un segmento di rete specifico per la connettività wireless. Indicazioni pratiche a. Pianificare e realizzare una rete wireless che copra le aree utilizzate nell’azione didattica. b. Utilizzare prodotti professionali con gestione centralizzata e non singoli access point SOHO. c. Isolare la rete wireless dalle altre reti della struttura mediante firewall. 127 d. Verificare che siano rispettate le normative riguardanti le emissioni elettroma- gnetiche. RACCOMANDAZIONE 2: Adeguata connettività internet L’accesso alle risorse presenti nella rete internet rappresenta uno dei cardini della metodologia di apprendimento indicata, soprattutto dei servizi Cloud. Per questo deve essere possibile un accesso veloce alla rete riservando una adeguata banda per il traffico dei dispositivi mobili. Questa raccomandazione influisce notevolmente sui costi di gestione e rappresenta un costo fisso, ma ne beneficiano non solo i di - spositivi mobili, ma tutte le macchine della rete. Indicazioni pratiche a. Valutare attentamente la connettività attualmente disponibile per il centro/scuola. b. Valutare un aggiornamento della connettività attraverso soluzioni in fibra ot- tica o a banda larga con chiaro valore di banda minima garantita globale (BMG) a livello contrattuale. Va altresì considerato la BMG a disposizione di ogni singolo utente. c. In caso di impossibilità di una connettività unica (ad es. una sola fibra ottica) considerare la soluzione di adibire una connessione (ad es. una linea ADSL) alle attività del centro (segreteria, aule di informatica, ...) e una altra connes- sione (ad es. una seconda linea ADSL) alla sola connettività dei dispositivi mobili attraverso la rete wireless. RACCOMANDAZIONE 3: Chiara politica per l’accesso ad internet Come evidenziato nella Raccomandazione n. 2, l’accesso alle risorse presenti in in- ternet costituisce un elemento chiave. Per questo l’adeguata infrastruttura risultante dalla combinazione dell’ampia copertura wireless e dalla velocità di accesso ai con- tenuti dovuta ad una consistente banda a disposizione, deve essere coniugata con una chiara politica per l’accesso alla rete internet. Si possono adottare politiche di libero accesso in qualsiasi ambito, oppure politiche di restrizione basate sui contenuti e sui tempi dello studente. In caso di restrizioni applicate è opportuno consegnare una parte del controllo dell’accesso degli studenti ai formatori, in modo da fornire uno strumento utile alla didattica e sgravare il personale tecnico da interventi di routine. Indicazioni pratiche a. Chiara politica espressa dalla direzione circa le modalità di accesso ad inter - net da parte dei formatori e degli studenti. 128 b. Presenza e sottoscrizione da parte dell’allievo e dei genitori, in fase di iscri- zione, di una Politica dell’uso delle attrezzature informatiche (PUA). c. Se sono presenti politiche di restrizione: realizzare un sistema di controllo degli accessi che nella sua gestione non vada a caricare il tempo del perso- nale tecnico. d. Si raccomanda l’adozione di adeguati strumenti di monitoraggio della rete al fine evidenziarne l’uso che ne viene fatto. Raccomandazione n. 4: Chiara politica per l’utilizzo degli ID di accesso agli store Indipendentemente dalla tecnologia usata (Microsoft, Apple o Android) sono in uso diversi meccanismi di interazione con i negozi per l’acquisto online di applicazioni. Al fine di non incorrere in violazioni della legge è opportuno che ogni direzione decida come gestire tali accessi e quale procedura utilizzare per l’acquisto di even- tuali applicazioni a pagamento (vedi Raccomandazione n. 7). Indicazioni pratiche a. Una volta individuata la piattaforma di riferimento (Microsoft, Apple, Android) studiare attentamente le modalità di acquisto e di licenza. b. Attivare account istituzionali da poter usare per fare acquisti multipli. c. Politica per la gestione del credito d’acquisto. RACCOMANDAZIONE 5: Proiettore e sistema di trasmissione (mirror) su ogni aula coinvolta Oltre al sistema di proiezione è opportuno valutare l’acquisto di sistemi wireless di riproduzione che permettano al docente e agli studenti la proiezione del proprio dispositivo all’intero gruppo. A titolo di esempio: Google Chrome Cast, Apple TV, Ez Cast, ... Indicazioni pratiche a. In ogni aula deve essere disponibile un proiettore, meglio se con ingresso audio/video. b. L’aula è dotata di un dispositivo wireless per mirror dei dispositivi mobili. c. Definizione di politiche per l’autorizzazione del dispositivo di mirror. 129 RACCOMANDAZIONE 6. Definizione delle applicazioni presenti sul dispositivo La scelta delle applicazioni che verranno utilizzate durante la didattica favorisce l’approccio iniziale con lo strumento e aiuta gli studenti alla selezione critica. Vista la continua evoluzione della tecnologia, questa scelta non è solo un’impostazione iniziale ma deve essere un processo continuo che coinvolge formatori e studenti. La soluzione ideale è la creazione di uno staff di formatori che sperimenta, racco- glie segnalazioni e alla fine definisce un insieme standard di applicazioni che ogni studente dovrà avere. La scelta delle applicazioni può rappresentare un costo una- tantum in base alle politiche decise dalla direzione e strettamente legate alle poli- tiche di accesso agli store (vedi Raccomandazione 4). Indicazioni pratiche a. Creare un gruppo di formatori che definisce un insieme standard di applica- zioni utili. b. Realizzare delle procedure per l’installazione delle applicazioni su tutti i di - spo sitivi. c. Selezionare ed utilizzare un unico sistema per la condivisione dei documenti condivisi (Dropbox, Google Drive, OneDrive). d. Valutare le modalità di acquisto delle applicazioni in coerenza con la Racco- mandazione n. 4. 131 Allegato 2 Checklist sulle Linee Guida Racc. Indic. Attività Commento RACCOMANDAZIONI DIDATTICHE 1 a Assegnazione di un tetto massimo di ore in frontale 0 1 c Format per progetti/mandati 0 2 a Disponibilità di videolezioni 0 2 c Presenza nei progetti/mandati di risorse online 0 3 a Eliminazione del libro di testo, sia cartaceo che digitale 0 3 b Presenza di biblioteca tradizionale 0 3 b Presenza di biblioteca digitale 0 3 c Costruzione di libri (eBook) da parte degli allievi 0 4 a Interazione virtuale con l’esterno 0 4 b Predisposizione di spazi e attrezzature per la videoconferenza 0 4 c Valorizzazione delle valutazioni virtuali esterne (es. stellette) 0 5 a Strumenti di valutazione di prodotto (portfolio, rubriche) 0 RACCOMANDAZIONI ORGANIZZATIVE 0 Presenza di un leader didattico, dotato di tempo e di poteri di coordinamento 0 1 b Spazi, esterni all’aula, per il lavoro cooperativo 0 1 c Spazi, esterni all’aula, per il lavoro individuale 0 2 a Aule con isole di banchi 0 3 a Assenza di predelle e lavagna 0 3 b Assenza di arredi fissi 0 3 c Poltrone o comunque alternative alla cattedra 0 4 a Blocchi orari di almeno 2h 0 5 a Presenza nel curricolo di ore dedicate alle abilità sociali 0 5 b Gruppi cooperativi stabili 0 6 a Presenza nel curricolo di ore dedicate alle abilità di ricerca 0 132 Racc. Indic. Attività Commento 7 a Registro informatico 0 7 b Assegnazione di obiettivi ai docenti (strumenti di trasparenza sul tipo di di-dattica) 0 7 c Presenza di gruppi di ricerca e analisi sulle prassi dei docenti 0 RACCOMANDAZIONI TECNOLOGICHE 0 b Adozione di un’unica tipologia di tablet 0 1 a Rete wireless su tutte le aree didattiche 0 1 b Utilizzo di prodotti di classe enterprise 0 1 c Rete wireless isolata dalle altre reti mediante firewall 0 2 b Connettività a banda minima garantita (BMG) 0 3 a Chiara politica nell’accesso a Internet 0 3 b Per gli studenti, Politica sull’Uso delle Attrezzature (PUA) 0 4 b Regolamentazione chiara sull’acquisto di app e licenze 0 5 a presenza di un Videoproiettore in ogni aula 0 5 b Ogni aula è dotata di un dispositivo wireless per mirroring del tablet 0 6 a Nomina di un gruppo di formatori per la definizione delle app standard 0 6 b Presenza di procedura per l’installazione delle app 0 133 INDICE SOMMARIO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 INTRODUZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 1. Il progetto iCNOS: l’idea e gli indicatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 2. Il progetto iCNOS: la sperimentazione triennale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 2.1. La fase pioneristica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 2.2. La fase di stallo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22 2.3. La ripartenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24 3. Esperienze internazionali a confronto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 3.1. Ørestad Gymnasium: tecnologia e architettura al servizio dell’educazione . . . . 28 3.2. Le Studio School . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31 3.2.1. Il metodo didattico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32 3.2.2. Gli standard . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34 3.3. Confronto tra le due esperienze di visita guidata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36 3.4. The Flipped classroom (le classi capovolte) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38 3.4.1. La nascita delle Flipped Classroom . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38 3.4.2. Dalle flipped classroom alle flipped-mastery classroom . . . . . . . . . . . . . . 39 3.4.3. Funzionamento delle flipped classroom . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41 3.4.4. I cinque punti per iniziare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44 3.4.5. Spazi, tempi, ruoli e posizioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46 3.4.6. I primi risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48 4. L’educativo digitale: un nuovo paradigma? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51 4.1. Cambiamento di paradigma? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52 4.1.1. L’educativo orale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53 4.1.2. L’educativo cartaceo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53 4.1.3. L’educativo digitale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54 4.2. Un primo bilancio? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55 4.3. Gli atteggiamenti degli insegnanti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59 4.4. Per un costruttivismo moderato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61 4.5. La competenza digitale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63 4.6. Alcune indicazioni concrete . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65 5. L’educativo digitale e i Bisogni Educativi Speciali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69 5.1. La valutazione dei Bisogni Educativi Speciali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70 5.1.1. I Bisogni Educativi Speciali includono la categoria di disabilità . . . . . . . . 70 5.1.2. I Bisogni Educativi Speciali sono una particolare forma di disabilità . . . . 72 134 5.2. Integrazione o inclusione? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74 5.3. L’educativo digitale e i BES: per una vera personalizzazione . . . . . . . . . . . . . . 76 5.4. Educativo digitale, apprendimento cooperativo e relazione forte . . . . . . . . . . . . 77 5.5. Cambiamenti organizzativi nella scuola inclusiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80 6. L’educativo digitale e la dispersione scolastica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83 6.1. I dati sulla dispersione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83 6.2. Prevenzione della dispersione: ruolo dell’educativo digitale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86 7. L’apprendimento visibile. Una prima valutazione d’impatto del progetto iCNOS . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91 7.1. Il disegno di ricerca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93 7.2. I dati raccolti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95 7.3. Considerazioni sull’analisi dei dati e sulla validazione tramite test statistici . . . 97 7.4. Confronti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97 7.4.1. Confronto di tutte le medie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97 7.4.2. Veneto - CFP San Zeno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 98 7.4.3. Lombardia - CFP Sesto San Giovanni e CFP Sant’Ambrogio . . . . . . . . . . 99 7.4.4. Friuli Venezia Giulia - Bearzi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 100 7.4.5. Veneto - CFP Manfredini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102 7.5. Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103 BIBLIOGRAFIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105 Allegato 1: Linee guida per l’apprendimento attivo in presenza di tecnologie . . . . . 109 Allegato 2: Checklist sulle Linee Guida . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 131 INDICE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133 Pubblicazioni nella collana del CNOS-FAP e del CIOFS/FP “STUDI, PROGETTI, ESPERIENZE PER UNA NUOVA FORMAZIONE PROFESSIONALE” ISSN 1972-3032 Tutti i volumi della collana sono consultabili in formato digitale sul sito biblioteca.cnos-fap.it Sezione “Studi” 2002 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimenta- zione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto finale, 2002 2003 MALIZIA G. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto sul follow-up, 2003 2004 CNOS-FAP (a cura di), Gli editoriali di “Rassegna CNOS” 1996-2004. Il servizio di don Stefano Colombo in un periodo di riforme, 2004 MALIZIA G. (coord.) - ANTONIETTI D. - TONINI M. (a cura di), Le parole chiave della forma- zione professionale, 2004 RUTA G., Etica della persona e del lavoro, 2004 2005 D’AGOSTINO S. - MASCIO G. - NICOLI D., Monitoraggio delle politiche regionali in tema di istruzione e formazione professionale, 2005 PIERONI V. - MALIZIA G. (a cura di), Percorsi/progetti formativi “destrutturati”. Linee guida per l’inclusione socio-lavorativa di giovani svantaggiati, 2005 2006 NICOLI D. - MALIZIA G. - PIERONI V., Monitoraggio delle sperimentazioni dei nuovi percorsi di istruzione e formazione professionale nell’anno formativo 2004-2005, 2006 2007 COLASANTO M. - LODIGIANI R. (a cura di), Il ruolo della formazione in un sistema di welfare attivo, 2007 DONATI C. - BELLESI L., Giovani e percorsi professionalizzanti: un gap da colmare? Rapporto finale, 2007 MALIZIA G. (coord.) - ANTONIETTI D. - TONINI M. (a cura di), Le parole chiave della forma- zione professionale. II edizione, 2007 MALIZIA G. - PIERONI V., Le sperimentazioni del diritto-dovere nei CFP del CNOS-FAP e del CIOFS/FP della Sicilia. Rapporto di ricerca, 2007 MALIZIA G. - PIERONI V., Le sperimentazioni del diritto-dovere nei CFP del CNOS-FAP e del CIOFS/FP del Lazio. Rapporto di ricerca, 2007 MALIZIA G. et alii, Diritto-dovere all’istruzione e alla formazione e anagrafe formativa. Pro- blemi e prospettive, 2007 MALIZIA G. et alii, Stili di vita di allievi/e dei percorsi formativi del diritto-dovere, 2007 NICOLI D. - FRANCHINI R., L’educazione degli adolescenti e dei giovani. Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2007 NICOLI D., La rete formativa nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP, 2007 PELLEREY M., Processi formativi e dimensione spirituale e morale della persona. Dare senso e prospettiva al proprio impegno nell’apprendere lungo tutto l’arco della vita, 2007 RUTA G., Etica della persona e del lavoro, Ristampa 2007 2008 COLASANTO M. (a cura di), Il punto sulla formazione professionale in Italia in rapporto agli obiettivi di Lisbona, 2008 DONATI C. - BELLESI L., Ma davvero la formazione professionale non serve più? Indagine conoscitiva sul mondo imprenditoriale, 2008 135 MALIZIA G., Politiche educative di istruzione e di formazione. La dimensione internazionale, 2008 MALIZIA G. - PIERONI V., Follow-up della transizione al lavoro degli allievi/e dei percorsi triennali sperimentali di IeFP, 2008 PELLEREY M., Studio sull’intera filiera formativa professionalizzante alla luce delle strategie di Lisbona a partire dalla formazione superiore non accademica. Rapporto finale, 2008 2009 GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1977, vol. 1, 2009 2010 DONATI C. - L. BELLESI, Verso una prospettiva di lungo periodo per il sistema della forma- zione professionale. Il ruolo della rete formativa. Rapporto finale, 2010 NICOLI D., I sistemi di istruzione e formazione professionale (VET) in Europa, 2010 PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., La valigia del “migrante”. Per viaggiare a Cosmopolis, 2010 PRELLEZO J.M., Scuole Professionali Salesiane. Momenti della loro storia (1853-1953), 2010 ROSSI G. (a cura di), Don Bosco, i Salesiani, l’Italia in 150 anni di storia, 2010 2011 ROSSI G. (a cura di), “Fare gli italiani” con l’educazione. L’apporto di don Bosco e dei Sale- siani, in 150 anni di storia, 2011 GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1997, vol. 2 2012 MALIZIA G., Sociologia dell’istruzione e della formazione. Una introduzione, 2012 NICOLI D., Rubriche delle competenze per i Diplomi professionali IeFP. Con linea guida per la progettazione formativa, 2012 MALIZIA G. - PIERONI V., L’inserimento dei giovani qualificati nella FPI a.f. 2009-10, 2012 CNOS-FAP (a cura di), Cultura associativa e Federazione CNOS-FAP. Storia e attualità, 2012 2013 CUROTTI A.G., Il ruolo della Formazione Professionale Salesiana da don Bosco alle sfide attuali, 2013 PELLEREY M. - GRZĄDZIEL D. - MARGOTTINI M. - EPIFANI F. - OTTONE E., Imparare a dirigere se stessi. Progettazione e realizzazione di una guida e di uno strumento informatico per favorire l’autovalutazione e lo sviluppo delle proprie competenze strategiche nello studio e nel lavoro, 2013 DONATI C. - BELLESI L., Osservatorio sugli ITS e sulla costituzione di Poli tecnico-professio- nali. Alcuni casi di studio delle aree Meccanica, Mobilità e Logistica, Grafica e Multi- medialità, 2013 GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1997, vol. 3, 2013 TACCONI G. - MEJIA GOMEZ G., Success Stories. Quando è la Formazione Professionale a fare la differenza, 2013 PRELLEZO J.M., Scuole Professionali Salesiane. Momenti della loro storia (1853-1953), 2013 2014 ORLANDO V., Per una nuova Formazione Professionale dei Salesiani d’Italia. Indagine tra gli allievi dei Centri di Formazione Professionale, 2014 DONATI C. - BELLESI L., Osservatorio sugli ITS e sulla costituzione di Poli tecnico-professio- nali. Approfondimento qualitativo sugli esiti occupazionali, 2014 DORDIT L., OCSE PISA 2012. Rapporto sulla Formazione Professionale in Italia, 2014 DORDIT L., La valutazione interna ed esterna dei CFP e il nuovo sistema nazionale di valuta- zione, 2014 2015 PELLEREY M., La valorizzazione delle tecnologie mobili nella pratica gestionale e didattica dell’Istruzione e Formazione a livello di secondo ciclo. Indagine teorico-empirica. Rap- porto finale, 2015 ALLULLI G., Dalla Strategia di Lisbona a Europa 2020, 2015 NICOLI D., Come i giovani del lavoro apprezzano la cultura. Formare e valutare saperi e competenze degli assi culturali nella Formazione Professionale, 2015 136 CNOS-FAP (a cura di), Educazione e inclusione sociale: modelli, esperienze e nuove vie per la IeFP, 2015 CNOS-FAP (a cura di), L’impresa didattica/formativa: verso nuove forme di organizzazione dei CFP. Stimoli per la federazione CNOS-FAP, 2015 CNOS-FAP (a cura di), Il ruolo della IeFP nella formazione all’imprenditorialità: approcci, esperienze e indicazioni di policy, 2015 CNOS-FAP (a cura di), Modelli e strumenti per la formazione dei nuovi referenti dell’autova- lutazione delle istituzioni formative nella IeFP, 2015 MALIZIA G. - PICCINI M.P. - CICATELLI S., La Formazione in servizio dei formatori del CNOS- FAP. Lo stato dell’arte e le prospettive, 2015 MALIZIA G. - TONINI M., Organizzazione della scuola e del CFP. Una introduzione, 2015 2016 DONATI C. - BELLESI L., I fabbisogni formativi e professionali del settore Grafico. Rapporto finale, 2016 ALLULLI G., From the Lisbon strategy to Europe 2020, 2016 Sezione “Progetti” 2003 BECCIU M. - COLASANTI A.R., La promozione delle capacità personali. Teoria e prassi, 2003 CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione delle unità didattiche, 2003 COMOGLIO M. (a cura di), Prova di valutazione per la qualifica: addetto ai servizi di impresa. Prototipo realizzato dal gruppo di lavoro CIOFS/FP, 2003 FONTANA S. - TACCONI G. - VISENTIN M., Etica e deontologia dell’operatore della FP, 2003 GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo, 2003 MARSILII E., Guida per l’accompagnamento al lavoro dipendente, 2003 TACCONI G. (a cura di), Insieme per un nuovo progetto di formazione, 2003 VALENTE L. - ANTONIETTI D., Quale professione? Strumento di lavoro sulle professioni e sui percorsi formativi, 2003 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale alimentazione, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale aziendale e amministrativa, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale commerciale e delle vendite, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale estetica, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale sociale e sanitaria, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale tessile e moda, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale elettrica e elettronica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale grafica e multimediale, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale meccanica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale turistica e alberghiera, 2004 NICOLI D. (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema del - l’istruzione e della formazione professionale, 2004 NICOLI D. (a cura di), Sintesi delle linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale, 2004 137 2005 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale legno e arredamento, 2005 CNOS-FAP (a cura di), Proposta di esame per il conseguimento della qualifica professionale. Percorsi triennali di Istruzione formazione Professionale, 2005 NICOLI D. (a cura di), Il diploma di istruzione e formazione professionale. Una proposta per il percorso quadriennale, 2005 POLÀČEK K., Guida e strumenti di orientamento. Metodi, norme ed applicazioni, 2005 VALENTE L. (a cura di), Sperimentazione di percorsi orientativi personalizzati, 2005 2006 BECCIU M. - COLASANTI A.R., La corresponsabilità CFP-famiglia: i genitori nei CFP. Espe- rienza triennale nei CFP CNOS-FAP (2004-2006), 2006 CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione dei sussidi, II edizione, 2006 2007 D’AGOSTINO S., Apprendistato nei percorsi di diritto-dovere, 2007 GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo. Una proposta di percorsi per la creazione di impresa. II edizione, 2007 MARSILII E., Dalla ricerca al rapporto di lavoro. Opportunità, regole e strategie, 2007 NICOLI D. - TACCONI G., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello stato dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. I volume, 2007 RUTA G. (a cura di), Vivere in... 1. L’identità. Percorso di cultura etica e religiosa, 2007 RUTA G. (a cura di), Vivere... Linee guida per i formatori di cultura etica e religiosa nei per- corsi di Istruzione e Formazione Professionale, 2007 2008 BALDI C. - LOCAPUTO M., L’esperienza di formazioni formatori nel progetto integrazione 2003. La riflessività dell’operatore come via per la prevenzione e la cura educativa degli allievi della FPI, 2008 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., Individuazione e raccolta di buone prassi mirate all’accoglienza, formazione e integrazione degli immigrati, 2008 NICOLI D., Linee guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2008 NICOLI D., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello stato dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. II volume, 2008 RUTA G. (a cura di), Vivere con... 2. La relazione. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 RUTA G. (a cura di), Vivere per... 3. Il progetto. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 2009 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale meccanica, 2009 MALIZIA G. - PIERONI V., Accompagnamento al lavoro degli allievi qualificati nei percorsi triennali del diritto-dovere, 2009 2010 BAY M. - GRZĄDZIEL D. - PELLEREY M. (a cura di), Promuovere la crescita nelle competenze strategiche che hanno le loro radici spirituali nelle dimensioni morali e spirituali della persona. Rapporto di ricerca, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale grafica e multimediale, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale elettrica ed elettronica, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale automotive, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per l’orientamento nella Federazione CNOS-FAP, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale turistico-alberghiera, 2010 138 2011 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A. (a cura di), “Cittadini si diventa”. Il contributo dei Salesiani (SDB) e delle Suore Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA) nell’educare stu- denti/allievi delle loro Scuole/CFP in Italia a essere “onesti cittadini”, 2011 TACCONI G., In pratica. 1. La didattica dei docenti di area matematica e scientifico-tecnolo- gica nell’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 TACCONI G., In pratica. 2. La didattica dei docenti di area linguistica e storico sociale nel- l’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 MANTEGAZZA R., Educare alla costituzione, 2011 NICOLI D., La valutazione formativa nella prospettiva dell’educazione. Una comparazione tra casi internazionali e nazionali, 2011 BECCIU M. COLASANTI A.R., Il fenomeno del bullismo. Linee guida ispirate al sistema preven- tivo di Don Bosco per la prevenzione e il trattamento del bullismo, 2011 2012 PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., In cammino per Cosmopolis. Unità di Laboratorio per l’e- ducazione alla cittadinanza, 2012 FRISANCO M., Da qualificati, a diplomati, a specializzati. Il cammino lungo una filiera ricca di opportunità e competenze. Riferimenti, dispositivi e strumenti per conoscere e com- prendere i nuovi sistemi di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) e di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (IFTS), 2012 2014 CNOS-FAP (a cura di), Per una pedagogia della meraviglia e della responsabilità. Ambito energia. Linea Guida, 2014 CNOS-FAP (a cura di), Linea Guida per i servizi al lavoro, 2014 OTTOLINI P. - ZANCHIN M.R., Strumenti e modelli per la valutazione delle competenze nei per- corsi di qualifica IeFP del CNOS-FAP, 2014 2015 CNOS-FAP (a cura di), Fabbisogni professionali e formativi. Contributo alle linee guida del CNOS-FAP. Grafica e Multimediale, Meccanica, Meccatronica-Robotica, 2015 2016 NICOLI D., Il lavoro buono, Un manuale di educazione al lavoro per i giovani, 2016 Sezione “Esperienze” 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 1. Guida per l’accoglienza, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 2. Guida per l’accompagnamento in itinere, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 3. Guida per l’accompagnamento finale, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 4. Guida per la gestione dello stage, 2003 2005 TONIOLO S., La cura della personalità dell’allievo. Una proposta di intervento per il coordi- natore delle attività educative del CFP, 2005 2006 ALFANO A., Un progetto alternativo al carcere per i minori a rischio. I sussidi utilizzati nel Centro polifunzionale diurno di Roma, 2006 COMOGLIO M. (a cura di), Il portfolio nella formazione professionale. Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2006 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V., Una formazione di successo. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali triennali di istruzione e formazione professionale in Piemonte 2002-2006. Rapporto finale, 2006 139 Tip.: Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma Tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - E-mail: tipolito@donbosco.it Luglio 2016 2007 NICOLI D. - COMOGLIO M., Una formazione efficace. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali di Istruzione e Formazione professionale in Piemonte 2002-2006, 2007 2008 CNOS-FAP (a cura di), Educazione della persona nei CFP. Una bussola per orientarsi tra buone pratiche e modelli di vita, 2008 2010 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2010, 2010 2011 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2011, 2011 2012 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2012, 2012 NICOLI D. (a cura di), Sperimentazione di nuovi modelli nel sistema di Istruzione e Forma- zione Professionale Diploma professionale di tecnico Principi generali, aspetti metodo- logici, monitoraggio, 2012 2013 SALATINO S. (a cura di), Borgo Ragazzi don Bosco Area Educativa “Rimettere le ali”, 2013 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali. Edizione 2013, 2013 2014 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali. Edizione 2014, 2014 2015 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali. Edizione 2015, 2015

Il lavoro buono. Un manuale di educazione al lavoro per i giovani

Autore: 
Dario Nicoli
Categoria pubblicazione: 
Progetti
Anno: 
2016
Numero pagine: 
216
Codice: 
978-88-95640-79-2
Il lavoro buono. Un manuale di educazione al lavoro per i giovani Anno 2016 Dario Nicoli © 2016 By Sede Nazionale del CNOS-FAP (Centro Nazionale Opere Salesiane - Formazione Aggiornamento Professionale) Via Appia Antica, 78 - 00179 Roma Tel.: 06 5107751 - Fax 06 5137028 E-mail: cnosfap.nazionale@cnos-fap.it – http: www.cnos-fap.it 3 IntROduzIOne .......................................................................................................................................................................................... 5 Capitolo primo: Il lAvORO, RAppORtO tRA AnIMA e CIttà ................................................................. 9 Il lavoro nel linguaggio.......................................................................................................................................................... 9 L’anima e le sue esigenze.................................................................................................................................................... 13 Le forze che spingono all’opera ................................................................................................................................... 18 La forza mistica che anima il lavoro........................................................................................................................ 26 Capitolo secondo: Il lAvORO nellA StORIA ......................................................................................................... 29 Il lavoro presso i popoli primitivi ............................................................................................................................... 29 Il lavoro nell’antica Grecia ................................................................................................................................................ 38 Il lavoro nella Roma antica ................................................................................................................................................ 41 Il lavoro nel medioevo............................................................................................................................................................ 50 Il lavoro nella modernità ...................................................................................................................................................... 64 I dilemmi del nostro tempo................................................................................................................................................ 91 Capitolo terzo: Il lAvORO buOnO nell’epOCA del RISveglIO ........................................................ 139 L’epoca del risveglio ................................................................................................................................................................ 139 Il lavoro ben fatto: il ritorno dell’artigiano ....................................................................................................... 145 La conoscenza compiuta....................................................................................................................................................... 152 La bellezza dell’opera ............................................................................................................................................................. 157 Il territorio come spazio comune ................................................................................................................................. 163 Il lavoro buono e le sue virtù........................................................................................................................................... 169 La condizione professionale ............................................................................................................................................. 175 Capitolo quarto: SIAte Il MeglIO dI quAlunque COSA SIAte.......................................................... 183 Trovare la propria strada nella selva della distrazione e dello scetticismo....................... 183 Scoprire negli eventi speciali la propria vocazione .................................................................................. 186 C’è spazio per tutti i talenti ............................................................................................................................................... 191 La scuola per il lavoro............................................................................................................................................................................................ 194 A cosa servono i giovani ...................................................................................................................................................... 199 bIblIOgRAfIA............................................................................................................................................................................................ 203 IndICe................................................................................................................................................................................................................ 209 SOMMARIO 5 ­­­IntroduzIone per amore, imparare un mestiere C’era una volta un re dei Persiani e questo re aveva un figlio, il quale si innamorò della figlia di un pastore. Il figlio andò dal padre e gli disse: Signore, io amo la figlia di un pastore e voglio sposarla. E il re gli disse: Io sono il re e tu sei mio figlio, e quando io muoio sarai re anche tu: come puoi sposare la figlia di un pastore? E il figlio disse: Signore, io so soltanto che amo quella ragazza e voglio farla mia regina. Il re, visto che l’amore di suo figlio per la ragazza era grande, chiamò un messaggero e gli disse: Va’ dalla figlia del pastore e dille che mio figlio l’ama e la vuole per moglie. E la ragazza chiese: Che mestiere fa? E il messaggero rispose: Come? È il figlio del re! Non fa nessun lavoro. E la ragazza disse: Bisogna che impari un lavoro. Il messaggero ritornò dal re e gli riferì quello che la figlia del pastore aveva detto. Disse il re a suo figlio: La figlia del pastore vuole che tu impari un mestiere; hai sempre intenzione di sposarla? E il figlio disse: Sì, imparerò a intrecciare tappeti. E così fu. Il messaggero tornò dalla figlia del pastore e le disse: Vedi questi tappeti colorati? Li ha fatti il figlio del re. La ragazza diventò la moglie del figlio del re che, per amore, aveva imparato un mestiere. (William Saroyan)1 “Lavoro” è una parola che non sembra aver bisogno di spiegazioni. Ma per la gran parte delle persone esso viene inteso come sinonimo di “pratica” è ciò chiarisce solo una parte limitata del suo significato. Il testo, un manuale per l’educazione al lavoro dei giovani dello strano tempo che stiamo vivendo, a cavallo tra decadenza e risveglio, si pone l’obiettivo di mettere in luce la profondità dei significati e dei valori che il lavoro presenta, nella forma di un percorso sia pure sommario nella storia della civiltà occidentale addentrandosi nei filoni culturali più rilevanti che la caratterizzano fino a configurare una via di ac- cesso al “lavoro buono”. In questo modo, il giovane lettore potrà scoprire lo strettissimo legame tra “la- voro”, “anima”, “città” e “civiltà”, la chiave appropriata per coglierne tutte le valenze. 1 http://www.poesie.reportonline.it/ricerca.html?searchphrase=exact&searchword=saroyan. 6 Quello dell’educazione al lavoro è un cammino pienamente umano. Per trovare ciò che siamo in grado di fare, che siamo chiamati a fare, occorre inoltrarci nel terri- torio della nostra anima, un ambito rispetto al quale siamo spesso così desolatamente poveri di mezzi adeguati di comprensione: anche l’interrogazione dello stato dell’a- nima è un lavoro, per il quale servono innanzitutto parole appropriate. Il linguaggio utilizzato nel definire il rapporto tra lavoro e vita ci consente di cogliere il significato dell’opera umana come espressione evidente, costruttiva, dell’anima. Questa si trova come immobilizzata entro i due atteggiamenti contrastanti del nostro tempo: è attratta dalla Decadenza, una sorta di male sottile ma pernicioso che assorbe tutta la nostra attenzione e l’avvolge in una rete di onirica distrazione, dissipando nell’inazione ta- lenti e tempo, e nel contempo avverte il richiamo antico della Distinzione, del mettersi in opera per un impulso, ed uno scopo, dettati da leggi non scritte cui l’anima è for- temente sensibile e che mira alla realizzazione di quanto di profondo risiede nel pro- prio intimo. Per uscire da questa tensione, occorre uno scuotimento che dipende de- cisamente dagli incontri e dagli eventi di grazia che segnano la propria esistenza e che smuovono – o annichiliscono – le risorse spirituali e morali di ciascuno di noi. Questa esperienza di risveglio è in grado di introdurre un impulso generativo nel rapporto tra lavoro e vita. Ma occorre fare i conti con la scomparsa della parola “la- voro” presso i contemporanei che l’hanno sostituita con “attività” degradando questa decisiva caratteristica dell’essere umano; quindi, l’operazione del mettersi all’opera implica per l’attuale generazione di giovani la capacità di dare un significato nuovo a parole ossidate e consunte e di ritrovare un legame con la tradizione più lontana, compresa quella dei popoli cosiddetti primitivi per i quali la mancanza del termine “lavoro” era indice di un’operosità dell’intera vita, di una profonda unitarietà dell’e- sistenza che mette in stretto contatto l’agire con il sentire. Lavorare non è solamente “fare”, ma assume il valore del “conoscere”, come in- dica Aristotele facendo riferimento al rapporto tra le mani e l’intelligenza: «Anassagora afferma che l’uomo è il più intelligente degli animali grazie all’avere mani; è invece ragionevole dire che ha ottenuto le mani perché è il più intelligente. [...] L’uomo non deve la sua intelligenza superiore alle mani, ma le mani alla sua intelligenza superiore. A colui dunque che è in grado di impadronirsi del maggior numero di tecniche la natura ha dato, con la mano, lo strumento in grado di utilizzare il più gran numero di altri strumenti. [...] La mano sembra in effetti essere non un solo strumento, ma molti stru- menti al tempo stesso, è infatti, per così dire, strumento prima degli strumenti»2. Lavorare è un atto della conoscenza, quella che accade tramite l’esternalizzazione di tutte le facoltà umane entro l’opera compiuta, vale a dire portata a termine in modo da arrecare valore ad un preciso destinatario. La storia del lavoro è la storia dell’autorivelazione della civiltà umana e del - l’uomo stesso. 2 ARISTOTELE (1990), Opere vol. 5, Roma-Bari 1990, p. 127 (IV, 10, 687 a8-b5). 7 Il punto di origine dell’operare come cammino della conoscenza umana, si colloca nelle domande fondamentali dell’esistenza: chi sono io? Per quale compito sono nel mondo? A quale scopo? Il mettersi all’opera da parte dell’uomo, anche nell’intento di risolvere l’enigma riposto in questi interrogativi, avviene sotto la spinta di una triplice tensione che lo attraversa radicalmente: tramite il lavoro egli cerca di rispondere alla condizione generale di limite, che è insieme bisogno ma anche sofferenza, che lo ca- ratterizza sin dall’inizio della civiltà; inoltre nell’opera ricerca un significanza di sal- vezza e redenzione che lo porta ad ordinare il mondo secondo un principio superiore ai singoli accadimenti che pure costituiscono l’oggetto principale della sua attività; infine persegue il possesso dei beni terreni come segno di successo, ma deve nel contempo giustificare tale potere dal punto di vista del comando morale dell’amore fraterno, ciò che costituisce lo sfondo della sapienza occidentale3. La vicenda del lavoro indica il modo tramite il quale si fa fronte a questa triplice tensione; è così che ci immettiamo nel solco della civiltà, quel modo peculiare in cui occorre vivere per essere persone all’altezza della nostra migliore tradizione, sotto la guida e l’esempio della cultura vale a dire il concorso di tutti coloro che hanno aggiunto qualcosa di notevole all’incremento dell’amore della vita, come afferma il filosofo Whi- tehead. Il lavoro è l’espressione evidente della civiltà, la dimostrazione della fecondità della cultura. Chiunque si chieda come deve vivere concretamente per corrispondere alla propria dignità di persona, e si pone all’opera a favore degli altri, svolge un lavoro, si appella ai grandi del passato per trarre ispirazione nel comprendere il presente e co- struire operosamente il futuro. Così, tramite il lavoro, il cammino della civiltà procede, l’amore per la vita si rafforza fronteggiando problemi ed avversità e valorizzando le opportunità, traendo alimento dall’impegno di tutti coloro che concorrono ad esso. Lavorare significa scuotersi, misurarsi con la realtà, mettere alla prova le proprie capacità e le proprie forze; l’azione buona, mobilitando l’intero arco delle prerogative umane, consente al soggetto di realizzarsi. È questo il motivo per cui i giovani che im- parano a lavorare, che studiano nella prospettiva della mobilitazione dei propri talenti a favore degli altri, sono particolarmente soddisfatti4, provano diletto in quello che fan- no, sono più convinti del proprio valore, più capaci di cavarsela da sé e di segnare il mondo con la novità insita nel loro proprio nome, fornendo un apporto originale all’e- dificazione dello spazio comune “somigliante” vale a dire espressivo dell’umano. Molte delle citazioni all’inizio dei capitoli del presente testo si richiamano al si- gnificato esistenziale del lavoro in quanto esperienza in grado di dare consistenza all’Io e di legarsi ad un Noi espressivo di valori positivi. Certo, ci si pone al lavoro per bisogno e per ottenere le risorse necessarie a condurre la vita cui attribuiamo valore; ma in de- finitiva è per amore della vita che si impara un mestiere, ci si mette all’opera per impa- rare ad essere vivi. 3 A. SzAkOLCzAI, The Distinctiveness of the West: Max Weber from Modernity to Antiquity, paper, 2015, in corso di pubblicazione. 4 Come ci ricordano le indagini dell’ISFOL sugli allievi della Formazione Professionale (ISFOL, 2015, p. 65). 9 Capitolo primo Il lavoro, rapporto tra anima e città Qualsiasi lavoro tu faccia, se trasformi in arte ciò che stai facendo, con ogni probabilità scoprirai di essere divenuto per gli altri una persona interessante e non un oggetto. Questo perché le tue deci- sioni, fatte tenendo conto della qualità, cambiano anche te. Meglio: non solo cambiano anche te e il lavoro, ma cambiano anche gli altri, perché la qualità è come un’onda. Quel lavoro di qualità che pensavi nessuno avrebbe notato viene notato eccome, e chi lo vede si sente un pochino meglio: probabilmente trasferirà negli altri questa sua sensazione e in questo modo la qualità continuerà a diffondersi. Robert Mainard Pirsig (1990, 341) Il lavoro nel linguaggio una breve rassegna dei termini con i quali viene inteso il lavoro nelle diverse lingue rivela la varietà ma anche la convergenza dei significati che sono attribuiti a questa im- portante componente dell’opera umana intorno a tre elementi di fondo: la pena, il par- torire, infine il vantaggio che ne deriva. Se la parola italiana lavoro deriva quasi sicuramente dalla lingua indoeuropea ori- ginaria ed unica, molti altri vocaboli presenti nelle lingue nazionali sono di origine molto più tarda e presentano una decisa caratterizzazione territoriale come nel caso del francese travail che nasce nel Medioevo. È semmai questa l’epoca storica che ha con- sentito la diffusione di tale parola in tutta la fascia sud europea e ciò evidenzia la forza unificante della cultura dell’età di mezzo. Ma, nonostante la grande varietà di radici e vocaboli oltre che di epoche in cui questi si sono formati, emerge una sostanziale costanza di significato e anche di tonalità e sfumature. Ciò significa che le differenze di vocaboli non portano ad una diversità di significati, poiché il valore ed il significato di lavoro che essi esprimono risultano piut- tosto omogenei e stabili nel tempo. Dall’analisi di questi vocaboli emerge innanzitutto il primo dei tre elementi sopra indicati: «Il significato originario della maggior parte di questi vocaboli che oggi desi- gnano il lavoro ha infatti una tonalità negativa, prossima al valore che oggi hanno in italiano le parole pena, sofferenza, fatica, travaglio, sforzo defatigante, lavoro duro, servile, bisogno e simili»1. 1 S. DEL LuNGO, Il valore del lavoro rintracciato attraverso la storia dei vocaboli che lo designano, http://www.studiostaff.it/Pubb/valore_lavoro.pdf. 10 Ciò accade già nella lingua latina, per la quale labor, antenato dell’italiano la- voro, significava fatica, sforzo; questo termine deriva da un’antica radice lab che si- gnificava scivolare perdendo l’equilibrio. Labourer, un verbo francese con la stessa radice, presenta due distinte accezioni: in primo luogo significa arare, vale a dire il più duro tra i lavori agricoli, ma è anche in uso con riferimento alla fatica e ai dolori del partorire. La combinazione di queste due immagini rende bene l’idea dello sforzo ed anche della sofferenza che è collegata ad esso, ma non si può separare questo dal- l’esito che ne deriva: la vita umana e quella vegetale. Questa radice semantica che rimanda all’idea della fatica penosa, e nel contempo di sforzo posto in atto in vista di un risultato positivo, desiderabile, si riscontra anche nei vocaboli greco antichi pènomai = lavorare e ponos = lavoro fisico che contengono an- ch’essi l’idea di pena, sofferenza; ancora, nell’Italia meridionale (Campania e Calabria) il vocabolo con cui si designa il lavoro è fatica o fatiga e per indicare il verbo lavorare s’adopera faticare, così come per indicare il lavoratore si utilizza faticatore. Questo etimo faticare, nella lingua latina significava “far crepare” e si usava, tra l’altro, a proposito di animali da tiro che venivano sottoposti a sforzo eccessivo e quindi consumati fisicamente dalla fatica dell’aratura e del traino. Anche nell’inglese si riscontra lo stesso intreccio di significati: labour significa in- fatti lavoro fisico, duro, faticoso, ma anche in questa lingua viene utilizzato per indicare il travaglio del parto. Lo stesso accade nelle lingue slave: robota significa lavoro servile, duro. Questo stesso significato viene trasferito nella parola robot, usato ad indicare una macchina (di forma più o meno antropomorfa) che agisce in vece dell’uomo, al fine di liberarlo dal lavoro pesante, dalla pratica di una servitù penosa resa appunto con la parola robota pro- pria dell’antico slavo ecclesiastico. Il ceppo tedesco presenta il termine Arbeit (vocabolo significante oggi lavoro in te- desco) la cui radice significava in germanico “stato di bisogno, negletto, abbandonato”. Sia nella lingua francese che in quella spagnola, in modo più esplicito rispetto all’i- taliano ed all’inglese, emerge il secondo dei tre temi ricorrenti, ad indicare lo sforzo pe- noso connesso ad un’opera assimilata simbolicamente alla nascita: travail e trabajo (in portoghese (trabalho) segnalano proprio il riferimento al partorire; questa stessa radice trova riscontro anche nelle lingue insulari italiane come il sardo (trabadhu) ed il siciliano (travagghiu). Ma dobbiamo ricordare che anche in italiano era in uso il termine travaglio fino ancora alla metà del Novecento. Tutti questi vocaboli presentano un’origine medioevale poiché derivano dal tri- palium un attrezzo, costituito appunto di tre pali, che i maniscalchi adoperavano per ferrare i buoi. Il riferimento alla pena del partorire introduce in questa radice lingui- stica un significato ulteriore, quello di una sofferenza connessa ad un evento positivo, il mettere al mondo un figlio. Il lavoro indica quindi quello stato di pena e di soffe- renza che risulta indispensabile se si desidera “mettere al mondo” qualcosa di nuovo dotato di una propria personalità. Veniamo ora al terzo tema ricorrente insito nelle parole che designano il lavoro, rin- 11 tracciabili nelle lingue di matrice indoeuropea, che non enfatizzano il significato della pena, della fatica e della sofferenza. Alcune di esse mettono maggiormente in luce il ri- sultato cui tende l’operosità umana, a cominciare dallo stesso termine operare che, sia nel latino sia nell’italiano, connesso a opus, indica il prodotto del lavoro, ma anche con- nesso ad opimo (grasso, ricco) e opulento (molto ricco, abbondante) e ottimo. Intende segnalare la condizione di chi trae vantaggio dallo sforzo effettuato. Lo stesso si può dire per il vocabolo del greco antico ergon. Sempre sulla stessa scia, troviamo la radice comune anche al germanico, wirken, al tedesco werk, all’inglese work e ad altri vocaboli designanti lavoro e lavorare in altre lingue di origine germanica, il cui senso è agire, far funzionare. Con questi termini viene messa in luce la destinazione dello sforzo umano ma anche l’intelligenza necessaria - ed i criteri di riferimento - a far sì che questo si orienti ad un risultato apprezzabile, facendo buon uso sia dei mezzi sia delle opportunità a disposizione. Tramite il lavoro, l’uomo fa funzionare le cose nel senso di introdurre un principio ordinatore che deriva dalla cultura, in modo che renda abitabile il mondo. È il mondo agricolo il primo grande scenario nel quale si manifesta lo sforzo umano nel rendere la terra una “casa” per gli uomini, to- gliendoli dallo stato originario di pericolo e di bisogno. “Erga kai Emerai”, cioè “Le Opere e i Giorni” è il titolo dell’opera di Esiodo scritta nel VIII secolo A.C. e può essere considerata il primo trattato di agricoltura. È soprattutto in questo testo che emerge con maggiore vigore l’accentuazione del risultato del lavoro piuttosto che dello sforzo penoso che esso comporta. Questo viene visto in riferimento alle opere, vale a dire al frutto che deriva dalla laboriosità umana, oltre che ai giorni, ov- vero il tempo meteorologico e la ricorsività delle stagioni, che rappresentano i riferimenti che guidano il lavoro dell’agricoltore e l’indispensabile contesto temporale che rende possibili i risultati attesi. Ecco confermata questa convergenza di significati, nonostante la varietà etimologica che si riscontra nelle varie lingue indicate: – tutti i vocaboli, sia quelli di radice remotissima sia quelli più recenti, utilizzati allo scopo di designare il lavoro nel suo complesso, esprimono invariabilmente l’idea e la percezione di pena, sofferenza, fatica. Presentano cioè una forte connotazione di natura emotiva, che indica un senso di amarezza e di dolore, anche di consumazione e di ineluttabilità di questa esperienza. – Ma questa pena risulta collegata ad un’operosità necessaria affinché lo sforzo umano possa fruttificare in riferimento ad uno scopo associato ad un valore. L’utilizzo dello stesso termine riferito al travaglio del parto, conferma questa duplice visione che indica una destinazione del sacrificio e dello sforzo penoso: essi sono il tramite ne- cessario di un’azione che precede necessariamente il “dare frutto” e l’apportare una novità che modifica l’assetto naturale del reale. – Il frutto del lavoro è un’opera che indica un beneficio per chi l’ha svolta, ma anche per coloro che ne usufruiscono. Tramite il lavoro l’uomo realizza un intervento or- dinatore della realtà, rende abitabile la terra e produce ricchezza, tutti elementi che delineano il movimento della civiltà ed il carattere creativo della cultura. 12 Ma c’è qualcosa di sorprendente se guardiamo al rapporto tra il termine “lavoro” e l’esistenza umana intesa in senso unitario. A questo proposito, Melvin kranzberg e Joseph Gies iniziano la loro trattazione nel volume Breve storia del lavoro con un’interessante osservazione: Il linguaggio dei primitivi non conosceva la parola “lavoro” Secondo una interessante scoperta fatta dagli antropologi che hanno studiato le società “primitive” che tuttora esistono nelle zone Artiche, in Africa e altrove, questi popoli non usano un termine designante il lavoro. Pure il loro vocabolario è straordinariamente ricco per quanto riguarda tutti gli aspetti della caccia, della pesca, e delle altre attività di sussistenza. Gli esquimesi, per esempio, usano più di venti termini designanti la neve, e termini diversi per lo stesso animale in condizioni diverse pertinenti alla caccia: “orso che cammina”, “orso che dorme”, orso pericoloso”2. La spiegazione di questo paradosso linguistico, secondo le conclusioni degli antropologi, è sem- plicemente che tra tali gruppi di sussistenza il lavoro è sinonimo della vita a tal punto che non è necessario alcun termine specifico per designarlo. Al livello economico di queste società, la di- stinzione non è tra lavoro e non lavoro, ma soltanto tra il sonno e la veglia, perché essere desti significa essere al lavoro. Per circa due milioni di anni – in pratica l’intera esistenza della nostra specie – la vita di tutto il genere umano, tranne in poche situazioni geografiche particolarmente favorite e in certe occa- sioni, consisteva soprattutto di lavoro3. Gli uomini nascevano, lavoravano e morivano4. Alla fine ciò che fece saltare questo interminabile ciclo umano fu la scoperta della divisione del lavoro, vale a dire della organizzazione del lavoro. [...] Il dinamismo storico dell’organizzazione del lavoro, specialmente nei paesi occidentali, ha avuto un impatto incessante sull’intera società, scuotendola ripetutamente fino alle fondamenta. Pure la percezione intellettuale del fenomeno rimaneva assai più indietro, e solo molto lentamente gli uomini divennero consapevoli dell’immenso significato dei modi in cui la forza lavoro può essere organizzata per svolgere i suoi compiti. [...] Nel frattempo, il continuo progresso della tecnologia e dell’organizzazione del lavoro determi- nano la comparsa di un surplus di beni materiali. Mentre il benessere sociale avanzava grazie a questo surplus crescente, si profilava la possibilità di assicurare a tutti le necessità di base, almeno nei paesi più avanzati. Quel che potremmo chiamare “movimento del non lavoro” fece la sua comparsa negli Anni ‘60: si componeva di giovani che non sentivano alcun bisogno imperativo di raggiungere i tradizionali obiettivi lavorativi e che lavoravano, se pure lavoravano, a qualcosa che ad essi piaceva, di solito qualche forma di attività artigiana. Questo sviluppo fu possib ile solo per la capacità della nostra società tecnologica di produrre una quantità sufficiente di beni materiali e di benessere per tutti. Ne risultò rafforzata la tendenza ad assegnare al lavoro obiettivi più vasti, sia materiali che non: qualità della vita, autostima, una soddisfazione di base da parte del lavoratore rispetto alla sua condizione umana. (Melvin kranzberg e Joseph Gies 1981, 11) 2 F. BOAS, The Mind of Primitive Man, Macmillan, New York, 1911. Trad. it. L’uomo primitivo, Laterza, Bari, 1972. 3 Per la teologia cristiana, naturalmente, la necessità del lavoro è una conseguenza del peccato di Adamo. Nella traduzione di king James e nella Revised Standard Version, l’espressione esatta suona così: «Mangerai il pane con sudore del tuo volto, finché tu ritorni alla terra...» (Genesi, 3: 19). L’espressione più familiare con cui si intitola questo libro (nell’edizione americana) – «Col sudore della tua fronte» – è stata usata in varie forme da Cervantes, Sterne e Thoreau. 4 La distinzione di Hannah Arendt tra il lavoro inteso come modo di guadagnarsi da vivere, generalmente con un impiego, e il lavoro come sforzo creativo che costituisce un mondo di oggetti non esistenti in natura, non è significativa nel contesto della maggior parte della storia umana. H. ARENDT, The Uman Condition, university of Chicago Press, Chicago, 1958, p. 127 e sgg. 13 Nel testo appena proposto, appare in tutta la sua evidenza la parabola del lavoro nel rapporto con la vita, da un inizio in cui i due termini erano coincidenti, passando per la fase della divisione del lavoro che ha comportato una separazione con la parte dell’esistenza non soggetta a tale disciplina, fino alla comparsa nelle civiltà opulenti di un movimento del non lavoro teso ad ampliare l’ambito del tempo libero. Si tratta di uno dei filoni di un nuovo atteggiamento culturale che ha al suo centro l’intento di “assegnare al lavoro obiettivi più vasti” in rapporto all’ampliamento del ventaglio di desideri che muovono l’azione umana. Ciò richiede un’esatta percezione delle esigenze dell’anima o, detto altrimenti, una chiara immagine di come occorre agire per poter vivere coerentemente ai criteri di un’esistenza felice così come si sono delineati nel corso della modernità. È proprio su questo punto che si è incagliato il cammino di sviluppo della nostra società, inte- ressata da una profonda tensione riguardante il rapporto tra anima e città. l’anima e le sue esigenze Il rapporto che il linguaggio definisce tra lavoro e vita, ci consente di cogliere il significato del lavoro come espressione evidente dell’anima ed il nesso che unisce l’operosità umana con la città. La forma della vita in comune riflette lo stato dell’anima di un popolo e lo spirito del tempo in cui esso vive: è questa una verità che oggi appare di difficile compren- sione a causa del tipo di sensibilità propria dell’epoca che stiamo attraversando, tutta centrata sulle emozioni percepite intimamente da ciascuno e dal suo dialogo interiore visto esclusivamente all’interno della sfera del proprio sé. E non vi è dubbio che il tipo di azione in cui sono impegnati gli individui nel nostro tempo presenti un carattere particolarmente caotico e dispersivo, impedendo ad essi di giungere ad una percezione unitaria e significativa del proprio stare nel mondo, del compito cui sono chiamati e della destinazione comune del proprio agire. «Il vecchio universo era un orologio regolato perfettamente. Il nuovo universo è una nube incerta» (Morin 1999, 68). Non si tratta unicamente della comparsa di un uni- verso dai caratteri nuovi, caotici e complessi, ma anche del mutamento della perce- zione del reale da parte dell’uomo che si trova perlopiù in una posizione di estraneità, esito della difficoltà di cogliere in maniera immediata ed originaria la sua situazione esistenziale. Certo, non possiamo considerare come espressione della stessa condizione umana il tipo di vivere comune dei centri direzionali e delle periferie anonime della metropoli e lo stile di vita dei paesi e dei borghi di cui è disseminata la nostra peni- sola, ma si può affermare che gli individui che abitano tutti questi ambienti sono interessati da uno stato comune, segnato da un paradosso percettivo, in forza del quale la carenza di spontanea socievolezza appare perlopiù come un tratto indivi- duale della personalità piuttosto che una condizione collettiva. L’“occhio interiore”, 14 quella esagerata introspezione che abbiamo conquistato con la modernità rende dif- ficile percepire il carattere solidale del nostro isolamento, spiega la fatica nell’af- ferrare il nesso che unisce la vita individuale ed il senso dell’appartenenza ad un popolo chiamato ad un’opera comune dotata di valore, rende critica la capacità di conoscere se stessi tramite l’immediatezza dei legami che ci uniscono reciproca- mente senza l’obbligo di transitare sempre per un compulsivo lavoro introspettivo (Archer 2006, 77-83). Le ideologie dei due secoli passati privilegiavano spiegazioni deterministiche del mondo individuale, visto come il terreno su cui agivano condizionamenti derivanti dalla struttura materiale del mondo, con preferenza per i fattori legati all’economia ed al potere. Oggi, possiamo affermare che la rottura dei legami sociali propri della tradizione moderna ha aperto spazi di discrezionalità, se non di libertà, che gli indi- vidui non hanno ancora imparato a gestire a causa della mancanza di un punto di riferimento saldo ed inviolabile su cui fare presa per orientare la propria esistenza. Venuta meno la gabbia esteriore della socialità massificata imposta dalle mega orga- nizzazioni, forse atterriti dall’eccesso di libertà, abbiamo avuto bisogno di nuove gab- bie, meno visibili, ma più efficaci, tessute con la materia delle nostre emozioni, paure e debolezze. un blocco invisibile frena l’agire fecondo dell’umanità ed i giovani si trovano nel bel mezzo di questa formidabile tensione; quel tipo di società oramai tramontata, centrata esclusivamente sullo sforzo umano teso alla continua conquista e trasforma- zione della realtà naturale, ha lasciato gli individui incapaci di percepire lo stato della loro anima, una realtà assolutamente improducibile e che non si può mettere a tacere con l’attivismo compulsivo e lo stordimento prodotto dalle immagini prodotte dal- l’agitazione mediatica. La mancanza di una vita civile soddisfacente, una forma di città nella quale ri- conoscerci in modo immediato, indica il disorientamento dell’uomo contemporaneo, che si sporge costantemente su una contraddizione esistenziale: concepisce il lavoro come un’attività a sé stante, necessaria per vivere, ma trasferisce i significati decisivi della sua esistenza nel tempo del non lavoro dove perlopiù si trova in una condizione di distrazione e di indolenza compulsiva, giungendo così ad una duplice alienazione: nel lavorare non è se stesso perché proteso altrove, ma nemmeno nel non lavorare è autentico perché incapace di azione edificatrice di uno spazio comune dai tratti umani. Il nesso tra anima e città, rivelativo del tipo di lavoro che le persone conducono, si può rivelare ponendoci la seguente domanda: una volta “acquistata” la tua libertà attraverso la tecnica dello “slegame” dai vincoli e dalle relazioni, cosa te ne fai? Che vita conduci, quale opera realizzi? Quale dono porti al mondo? La tensione che attraversa sia anima (l’io) e la città (il noi) si rivela nella duplice risposta a questi interrogativi: da un lato l’indolenza, quella agitata e compulsiva pro- pria del nostro tempo, e dall’altra l’operare fecondo e creativo. Paul Verlaine tratteggia così la condizione costituita da un misto di solitudine, noia e debolezza dell’esistere: 15 «Soletta l’anima soffre di noia densa al cuore. Laggiù, si dice, infuriano lunghe battaglie cruente. O non potervi, debole e così lento ai propositi, o non volervi far fiorire un po’ quest’esistenza!» Quella dell’indolente è una condizione dell’anima, «un tedio d’un non so che attaccato all’anima»5, ed è proprio nel recesso intimo dell’essere umano che troviamo l’origine dell’agitazione tipica dell’epoca postmoderna, perennemente tesa ad osser- vare la vita degli altri ed incapace di un’opera compiuta. La noia, la forma dell’infe- licità propria della modernità, ci coglie quando non siamo più in grado di reggere ad obblighi che provengono dall’esterno ed ai quali non corrisponde non tanto un dovere, quanto un sentire, come afferma Simone Weil: «Non ha senso dire che gli uomini abbiano dei diritti e dei doveri a quelli corrispondenti. Queste parole esprimono solo differenti punti di vista. La loro relazione è quella da oggetto a soggetto. un uomo, considerato di per se stesso, ha solo dei doveri, fra i quali si trovano certi doveri verso se stesso» (Weil 1990, 2). È come se l’esistenza, in assenza di una fonte inviolabile di vita, fosse soggetta ad una serie di obblighi verso gli altri che alla lunga non riu- sciamo ad adempiere perché sostenuti unicamente dallo sforzo della volontà, proprio perché non promanano da doveri verso se stessi. Ognuno cerca con la mente di cautelarsi contro questo stato semi onirico dell’e- sistenza, pensando di collocarsi nella metà del mondo abitata da coloro che sanno ciò che vogliono, che non fanno fatica ad adempiere ai propri doveri, che sono pieni di interessi e di passioni che scaturiscono dal proprio originale mondo interiore, salvo poi ritrovarsi all’improvviso dall’altra parte a dispetto di ogni autoconvincimento. Nell’essere costantemente preda della mutevolezza delle emozioni, ognuno prova la vanità dell’adagio con cui spesso ci consoliamo, secondo cui “siamo noi i fautori della nostra vita”; in realtà abbiamo sempre bisogno di qualcosa e qualcuno che venga a scuoterci, a liberarci dai lacci in cui noi stessi ci imprigioniamo. È decisivo il punto di svolta, il momento nel quale ci riscuotiamo, dove anche un impegno, un obbligo ci impone di uscire dalla condizione di vita sospesa in cui spesso siamo avvolti. Sta in questo il valore esistenziale e sociale del lavoro: riscuote la persona dal torpore, la mette in uno stato di veglia operosa, lo pone in relazione con gli altri e rende possibile il suscitamento delle qualità umane rese come servizio dotato di valore. Il lavoro risponde innanzitutto ad un particolare bisogno, che possiamo definire come desiderio di liberarsi dal bisogno, di poter vivere una vita senza rischio; è inoltre l’espressione dell’impulso dell’affermazione di sé, come pure di conoscere ciò che non ci è ancora noto e di modellare il mondo in base alla nuova visione che tali espe- rienze portano con sé. L’impulso del metterci all’opera ci è imposto dalla nostra stessa 5 Languore, Tratto da Allora ed ora, http://online.scuola.zanichelli.it/letterautori-files/volume- 3/pdf-online/12-verlaine.pdf. 16 condizione umana costituita dal mistero della varietà e singolarità delle vocazioni e dei talenti e dall’inquietudine che ci accompagna da sempre in quanto soggetti che, non conoscendo noi stessi, cercano costantemente i segni della propria identità nella corrispondenza con la realtà e con gli altri e nell’appartenenza ad un luogo, un popolo ed una storia. Il lavoro rileva anche la spinta a lasciare il nostro segno personale nella grande opera della civiltà, nel renderci utili nel grande e confuso cantiere dell’uma- nizzazione. Non si tratta certo di un pranzo di gala, dove ogni cosa procede per il suo giusto verso, insieme vacuo e sfavillante, perché tutto l’umano vi è impresso in ogni tinta morale: bisogno materiale, tecnica, dominio e sopraffazione, servizio, devasta- zione e contemplazione. Al centro delle preoccupazioni dell’anima vi è l’interpretazione di se stessi, da cui discende un deciso bisogno di essere aiutati in un percorso di scoperta che non si può condurre da soli. Di trovare opere e persone che rappresentino dei significati, in grado di portare alla luce nel nostro mondo interiore, ciò che davvero vi è nel “taber- nacolo” sacro dell’intimità soggettiva, che difendiamo con tanta veemenza, ma che rimane per gran parte celato ai nostri occhi. Ci poniamo all’opera allo scopo di rendere intellegibile la nostra vita e corri- spondere al desiderio di riuscire, di trovare il nostro posto, ed essere riconosciuti be- nevolmente per ciò che siamo davvero, in modo consonante all’intuizione che pro- viamo circa il nostro io, nell’attesa positiva di un compimento che abbia i caratteri dell’affermazione e della buona fama. L’anima aspira allo svelamento dell’enigma, che significa trovare la radice della novità nel proprio io. L’uomo desidera rendere di sé un’immagine che ne sveli l’in- timo e prezioso segreto agli occhi degli altri ed anche del cielo, e fa di tutto per riu- scirvi; per questo il più grande aiuto che gli si può offrire consiste in tutto ciò – un paragone, un’affermazione, un giudizio, un’azione – che porti un significato su cui riflettere che gli insegni a vedere, premessa per cominciare a pensare da solo ed agire in modo generativo. Affinché l’opera cui ci impegniamo sia orientata al bene, essa richiede un incontro rivelativo, un evento speciale, uno stato di grazia che ci libera e redime. Per scoprire il valore umano del lavoro, occorre riprendere contatto, riconquistare un rapporto vitale con l’anima e le sue esigenze profonde. In assenza di questa “opportunità esistenziale” l’anima rimane cieca sul proprio io e incerta circa il proprio valore. È a questo punto che essa diventa omogenea agli stereotipi di moda, perché non sa che potrebbe essere diversa. Accetta quindi squallidi sostituti della diversità reale puntando sulle differenze esteriori – abbigliamento, for- ma e colore dei capelli, piercing, tatuaggi – che non dicono niente sull’osservatore circa l’essere umano che se ne riveste. Occorre andare oltre la psicologia pop che continuamente ci suggerisce a che cosa assomiglia la gente così che ce ne conformiamo, utilizzando tipi umani gros- solani, senza la sottigliezza necessaria ad illuminare una specifica personalità, rive- lativa di un’anima singolare. Occorrono esempi, ed immagini, che aiutino i giovani 17 a non indulgere in desideri gretti, per scoprire invece cosa c’è di prezioso e serio in loro stessi. Questi esempi, queste immagini, vanno tratte anche dal passato, così che essi vengano scossi dalla fatale tendenza che il qui e l’adesso siano tutto ciò che esiste e che serve per vivere. In questo modo, ognuno di loro smetterà di pensarsi come l’ul- timo uomo, esposto sul ciglio del burrone dell’autodistruzione dell’umanità (quanti catastrofisti alimentano, spesso involontariamente, questa convinzione antiumana!)6, ma vivranno l’incontro con la realtà e se stessi, come il primo uomo. Così potranno portare alla luce dal segreto della loro anima il bisogno imperioso di qualcosa che possa accadere, e che ora non appare con chiarezza, e supereranno la paura di non riuscire a trovarlo, o di non essere presenti, o attenti, quando accadrà. E che, trovandolo, sapranno di avere incontrato la chiave del successo della loro ricerca. Le varie proposte di liberazioni interessate che vengono rivolte ai giovani sciu- pano la loro meravigliosa energia, lasciando la loro anima esausta e debole, la loro volontà pigra e scettica. Preda della paura di non riuscire, soprattutto di non riuscire a cambiare. L’indignazione è una buona risposta, perché rappresenta: «La difesa dell’anima dalla ferita del dubbio circa ciò che è proprio, rimette ordine nel cosmo per sostenere la giustezza della propria causa» (Bloom 2009, 78), ma perché non scada in una chiusura amara di fronte all’insistenza delle false liberazioni, serve poi una possibilità di scoperta e costruzione, consistente in un incontro speciale, ciò che chiamiamo educazione. L’educazione giustamente intesa possiede la capacità di suscitare l’entusiasmo e far sorgere una visione appassionata e approfondita della realtà e della propria esi- stenza personale. Per conquistare l’autentica liberazione, l’esperienza intensa del sapersi condurre da sé, del trovare e rendere efficace la novità personale, bisogna prima sapersi af - fidare, aderire alla proposta, ma soprattutto a chi la propone. L’incontro umano, l’esempio di qualcuno che sa come occorre vivere per essere capaci di vera libertà, consentono di scuoterci dal dubbio razionale e dall’apatia esistenziale, per indirizzare le fonti della nostra vitalità in un percorso di educazione dell’anima condotto con l’aiuto di idee capaci di illuminazione, orientato a scoprire la novità insita nel nostro nome nel realizzare opere compiute a favore degli altri, da cui trarre un ricono - scimento fondato e consistente del nostro valore. L’opera compiuta a favore degli altri che ne traggono un beneficio reale, immettendo in ciò che si fa parte della nostra anima, consente quella consolazione, ma anche quell’esaltazione, che scaturisce dal- l’adempimento di un compito significativo e utile, per la cui realizzazione abbiamo dedicato sforzi, talenti e virtù. 6 Allan Bloom parla dell’impresa del divertimento come “oppio dell’ultimo uomo”, poiché suscita una frenesia sensuale con il solo scopo della liberazione dell’inconscio irrazionale (p. 87). 18 Più l’essere umano prende coscienza piena di sé e del suo compito, meno le sue azioni si disperdono in mosse dissipative. Occorre tessere tramite il lavoro la tela dell’anima e delle relazioni reciproche per trovare la buona vita, per scoprire che la vita migliore è anche la più piacevole (Ibidem, p. 90). le forze che spingono all’opera Vi sono quattro grandi moventi del lavoro che, provenendo dagli stati dell’anima, costituiscono l’energia interiore da cui promana l’opera umana. MOVENTE DEL LAVORO MOTO DELL’ANIMA POSIzIONE TIPO DI CITTà ESTENuAzIONE BISOGNO Orgoglio, fierezza di cavarsela da sé. Prosperità senza rischi. Cessione di sé, dovere Superorganizza- zione, uomini come forza lavoro Concezione signorile: vivere senza bisogno di lavorare, eliminazione del rischio ed estetica dei consumi VOCAzIONE Soddisfazione professionale, corrispondenza bellezza. Lavoro ben fatto Professionalismo (società delle gilde) Corporativismo POTERE Influenzamento e fama. Sentimento del dominio sulle cose e sugli altri. Patti di fedeltà Consigliere, guida, profeta, giullare Competizione tra gruppi di pote- re Aristocrazia Governo dei saggi Dispotismo Disprezzo del popolo Ideologia dell’“uomo nuovo” SERVIzIO Desiderare il bene dell’altro. Deside- rare di restituire i doni ricevuti. Sentimento dell’essere apprezzati. Relazione Spazio comune reciproco Mutualismo Il bisogno ed il desiderio di cavarsela da sé La più elementare spinta al lavoro è costituita dal bisogno, ma non è certo la più banale poiché la condizione di limitazione impone un cambio di prospettiva e mette il soggetto all’opera. È ciò che ha ben individuato Georg Wilhelm Friedrich Hegel per mezzo della metafora “servo-padrone”. Se il signore può apparire indipendente, nel momento in cui egli si limita a godere passivamente i beni prodotti dal lavoro altrui in realtà si rende dipendente dal servo: è invece proprio di quest’ultimo la possibilità, derivante dal controllo dei propri istinti, dalla capacità di trasformare le cose e di padroneggiarle 19 tramite il lavoro, di divenire realmente indipendente e di giungere alla coscienza di sé. L’acquisizione di indipendenza da parte del servo avviene attraverso tre fasi: l’an- goscia della morte, il servizio e il lavoro. In primo luogo il servo ha avuto paura della perdita della propria essenza, comprendendo di essere un’entità indipendente e sepa- rata dalle cose esterne e ciò gli ha consentito di conquistare la consapevolezza di sé. Attraverso il servizio, poi, si è autodisciplinato ed ha imparato a controllare e vincere i propri bisogni. Infine, attraverso il lavoro si è reso indipendente da ciò che produce, dando ad esso la propria forma ed imprimendo nel mondo la propria immagine, tra- sformandolo. È questo il processo tramite cui, colui che era prima sottomesso, per mezzo del lavoro rovescia il rapporto e finisce per rendere dipendente da sé il signore in quanto debitore dei beni prodotti da altri. Il lavoro per Hegel è dunque lo strumento atto a dominare l’intera essenza og- gettiva, che a sua volta costituisce l’opera tramite cui le forme della mente si travasano nella realtà di natura agendo in essa una decisiva trasformazione (Hegel 1807, 159). In questo modo, l’uomo diviene padrone del proprio essere attraverso il dominio della natura che consente di negare l’angoscia di morte e di perseguire fini concreti che realizzano la libertà umana. Lo stato di bisogno richiama l’impossibilità di soddisfare le proprie esigenze, sia quelle elementari sia quelle di grado più elevato, senza mettersi all’opera metten- dosi in risposta alle necessità altrui. Di conseguenza, operare significa sempre cedere qualcosa di sé all’altro, ma ciò va inteso come un movimento di maturazione umana poiché, la conquista da parte del soggetto della capacità di padroneggiare l’opera delle sue mani e di imprimere nel mondo la propria identità, indica l’esatto contrario della schiavitù. Il senso del dovere acquista qui un duplice carattere: verso gli altri ed anche verso le esigenze dell’anima. L’azione autenticamente compiuta – volta ad apportare benefici reali ad uno specifico – ha il potere di conferire all’anima il senti- mento dell’orgoglio e della fierezza, ma ciò risente del modo in cui si configura il le- game sociale nella città in cui si abita. Il tipo di città che storicamente è stata modellata da una laboriosità centrata prevalentemente sul bisogno ha assunto il carattere di una super organizzazione, dove gli uomini operavano entro giganteschi meccanismi in- dustriali e burocratici come forza lavoro anonima. Ciò ha portato alla metamorfosi del movente del bisogno che si è rovesciato nella concezione signorile della vita ca- ratterizzata da tre aspirazioni: vivere senza il bisogno di lavorare, eliminare dall’esi- stenza il fattore del rischio e trasferire il fuoco dell’identità individuale dall’etica del dovere all’estetica dei consumi. Da questa nuova forma di alienazione emerge il do- vere verso se stessi di cui parla Simone Weil, a indicare la necessità di conferire un contenuto profondo ed originale al nostro agire. La spinta della vocazione Si tratta del movente interiore più decisivo, quello connesso all’originalità del proprio nome. Infatti la maestria – la componente più preziosa della professione – 20 non solo è il segno di una propensione manuale, ma anche la manifestazione della strabiliante varietà ed unicità dei caratteri individuali. Il lavoro rileva una peculiarità che l’uomo non si è dato da sé con la pratica, l’addestramento, e neppure è il mero riflesso del condizionamento sociale o della combinazione dei fattori genetici. Esso è un talento innato, è qualcosa che l’uomo si ritrova ad avere, ad essere, che non ha nulla di predeterminato. Egli lo riconosce come dono ed avverte in sé l’impegno, connesso al suo onore, di metterlo a frutto, di farne il miglior uso per sé e per gli altri, di renderlo comune. Così, la competenza professionale ci riporta al mistero dell’identità e della dire- zione che assume la nostra esistenza. La vocazione indica una componente fondamentale dell’animo umano, la posi- zione che si occupa nella vita, ovvero un ambito di lavoro preciso e circoscritto, e nel contempo una chiamata (il significato del termine latino vocare) che proviene di- rettamente da Dio, intrinsecamente legata al proprio nome come promessa di realiz- zazione particolare e distintiva. È una componente decisiva dell’incantamento, il cui contenuto consiste nel ri- conoscere di essere fatti oggetto di un dono speciale ed unico, cui si oppone l’atteg- giamento del mero calcolo economico. Mentre quest’ultimo esclude dal campo delle decisioni dell’essere umano una qualificazione ulteriore rispetto all’esclusivo van- taggio utilitaristico, l’ascolto della propria peculiare vocazione fa leva sull’originalità di ogni io personale, colto entro una prospettiva in cui la realizzazione di sé si pone entro una visione religiosa dell’esistenza. Il nome personale racchiude il significato di una promessa di vita piena intesa come realtà sacra, costituita entro un indissolubile legame tra l’al di qua e l’al di là del cielo (il numinoso di cui parla Mircea Eliade)7, che occorre scoprire mediante un’attenta comprensione – esercitando una qualità umana che va oltre il freddo razionalismo – dei segnali speciali disseminati nell’e- sperienza del vivere. La ricerca della propria strada nel mondo è inesorabilmente legata alla sacralità della propria vita, nella modalità di una promessa di compimento in grado di confe- rirle un senso pieno, tale da superare ogni contingenza psicologica e sociale. È pur vero che lo spirito del nostro tempo è il risultato di una progressiva rimo- zione pubblica ed anche personale del senso religioso tramite la costante cancella- zione del linguaggio in grado di rappresentarlo; questa condizione ha reso arduo per il cittadino occidentale di oggi l’opera di riconoscimento del proprio io. Egli vive co- me imprigionato entro un dialogo interiore di natura prettamente emozionale, che ri- 11 Questo grande storico delle religioni propone il significato di tempo sacro contrapposto a quello profano: il primo è costituito dalle feste dove il legame con la realtà vera viene espresso tramite miti e specifici rituali, il secondo invece è il normale scorrere del tempo costituito dagli avvenimenti non re- ligiosi, senza alcun riferimento ad un significato decisivo. ugualmente, egli propone il concetto di fatto religioso come un’esperienza in cui “qualcosa di sacro si manifesta” che si pone nella relazione tra l’umano e l’extra umano (ELIADE 1973, 29). 21 duce lo spettro delle esperienze su cui il soggetto si rivela a se stesso. Sia pure entro questa paralisi, il sacro si manifesta come rifiuto della lettura dell’esistenza come mero esito del caso; ognuno avverte sia pure confusamente, ma tenacemente, l’idea della speciale destinazione della propria persona da svolgere entro il mondo, in una relazione autentica con gli altri e con il cielo. Il movente dell’anima connesso alla vocazione consiste in un valore in sé, non condizionato dal risultato economico del lavoro, che porta alla soddisfazione professionale che si compiace della corrispondenza tra l’opera e lo speciale talento di cui il soggetto scopre di essere portatore, unitamente alla bellezza espressa nella forma che egli ha saputo conferirle. In realtà l’artigiano, la figura chiave della con- cezione vocazionale del lavoro, non si può definire semplicemente “soddisfatto”, quanto “consolato” da quanto a saputo realizzare impegnando totalmente i propri doni nell’azione che risulta essere un gesto insieme di fecondità e di riconoscenza trasformatrice. Il professionalismo rappresenta il tipo di città proprio di una visione vocazionale dell’operare umano; secondo tale prospettiva, la società ideale è strutturata per talenti ed eccellenze e le leggi sono finalizzate a tutelare le gilde professionali ed a preser- varle nei confronti degli imitatori, freddi ripetitori di canoni esteriori che mancano del “tocco” della vocazione. Al contrario, nella cerchia degli adepti si svolge una di- namica di emulazione, un processo che mira ad eguagliare ed anche a superare i ca- polavori prodotti dai maestri. Quando viene estenuato, il professionalismo conduce al corporativismo che in- dica una forma di governo di natura oligarchica, al cui fondo si pone un principio di competenza come legittimazione esclusiva dell’esercizio del potere orientato alla tu- tela degli interessi delle corporazioni professionali ed economiche. Il potere come dominio, influenza e fama un forte impulso all’azione viene esercitato dal desiderio del potere, un movente dotato di grande forza che mira al dominio, all’influenza ed alla fama. La condizione del dominio rivela innanzitutto doti speciali, proprie di chi è por- tato al comando, è in grado di guidare gli altri entro un progetto, un’intrapresa. Ciò si manifesta nella capacità di fissare una meta e renderla attraente, di mobilitare gli altri e coordinarli verso quella direzione, di mettere le persone nello stato di “dovere qualcosa” al leader. La possibilità di modificare la disposizione degli esseri umani con la relazione e il linguaggio è una prerogativa della leadership, che può assumere varie configurazioni, da quella carismatica a quella tecnica fino a quella politica in senso stretto. I popoli hanno bisogno di guida, quale che sia la formula con la quale questa viene esercitata, e ciò deriva innanzitutto dalla paura che alberga nell’animo umano in riferimento alla propria vita, alla libertà personale al possesso dei propri beni. È ciò che afferma Hobbes con la nota metafora del Leviatano con la quale indica anche 22 il rimedio a tale stato: gli uomini devono organizzarsi riconoscendo che hanno paura della morte ed appoggiandosi su quella paura. L’intera vita assume il carattere di una fuga dalla morte perché da essa occorre proteggersi delegando allo Stato tutto il potere affinché possa divenire il protettore della vita, della proprietà e della libertà (Manent 2014, 75-76). Ma i popoli hanno anche bisogno di partecipare ad un’epopea che indichi la spe- ciale destinazione cui sono chiamati distinguendosi così dalle altre popolazioni. Anche questo porta alla necessità di leader in grado di impersonare queste virtù distintive, di elaborare l’epica popolare, di richiamare i cittadini alla loro missione, di guidarli nelle gesta che ne illustreranno la gloria agli occhi del mondo. Ciò è stato vero nella gran parte della storia umana, mentre l’uomo moderno oc- cidentale pensa che ci sia qualcosa che non va nell’eroismo e tende a non lasciarsi ingannare dagli eroi. In tempi nei quali il principio dell’uguaglianza ha sovrastato quello della differenza, le doti di superiorità nel comando insite in specifiche perso- nalità vengono normalmente viste con sospetto, generando il tipico paradosso di chi guarda con diffidenza coloro che esercitano il potere e contemporaneamente lamenta la mancanza di leadership forti e competenti. Il dominio porta con sé una formidabile possibilità di accesso ai beni che le per- sone ritengono desiderabili: la sottomissione degli esseri umani, il denaro, la vita sfarzosa, i piaceri legati al cibo, al sesso, alle comodità, all’arte ed alla cultura, ma pure alla cortigianeria con il suo corredo di adulazione che, se portata all’estremo, può condurre al culto della personalità. Spesso i potenti sono vittime di un’esaltazione tale da far perdere loro il senso del limite: in questo caso si parla di hybris o desiderio di essere Dio, la più estrema manifestazione del senso del dominio. Ma vi è anche chi, come Cincinnato, vive il potere con distacco, sa accettare di essere un politico di passaggio, disponibile a prendere decisioni impopolari, che contraddicono il principio fondamentale del consenso inteso come legame fondato sulla distribuzione di bene- fici. Egli sa di operare in una fase straordinaria della vicenda politica, là dove Roma è minacciata nella sua stessa esistenza, ed è in grado di assumere scelte dolorose, ma che consentono di salvare la città. Cincinnato può fare questo perché non investe sulla carriera personale, ma su un unico obiettivo, raggiunto il quale ha già deciso di ritornare da dove è venuto: dedicarsi a coltivare il suo campicello. Il movente dell’influenzamento si manifesta nella capacità di immettere nel corso degli eventi e nella forma della citta il carattere proprio della personalità dell’indivi- duo che viene posto alla guida di un popolo. Influenzare significa possedere una vi- sione circa il modo in cui occorre ordinare le vicende umane affinché la società possa perseguire in modo appropriato i suoi scopi e corrispondere alla sua personalità co- mune. Chi esercita influenza non deve necessariamente assumere il ruolo di comando: la storia è piena di figure di consiglieri ed amministratori che hanno saputo fornire le idee e suggerire le decisioni che sono poi state assunte da coloro cui formalmente era attribuito l’esercizio del potere. E ciò è accaduto anche tramite le due figure ap- parentemente più lontane da quest’ultimo: il profeta ed il giullare, il primo in quanto 23 titolare del dono della divinazione che gli consente di addentrarsi nel territorio, oscuro per gli altri, del tempo a venire, il secondo perché dotato del prezioso privilegio di poter dichiarare la verità delle cose sotto il paravento della comicità e dello scherzo. Anche lo scopritore è una figura capace di influenza. L’uomo medioevale era preso dal grande desiderio della scoperta dell’ignoto; da qui i grandi viaggi verso il nuovo mondo e l’apertura delle vie alternative per l’India, come accadde per Cristo- foro Colombo nel 1492. I regnanti si sono avvalsi di comandanti di navi, cartografi e viaggiatori mossi dal desiderio del rivelare ciò che era in precedenza sconosciuto; da questi sono venuti alle corone europee nuovi territori, ricchezze in oro, pietre pre- ziose ed avorio, ma anche piante delle nuove terre scoperte al di là dell’Atlantico che sarebbero poi state diffuse in Europa. ulisse è l’archetipo dell’uomo che dedica tutta la sua esistenza all’azione volta alla conoscenza dell’ignoto. Il suo pensiero lo eguaglia a zeus poiché indica l’ampiezza delle possibilità umane che lo rendono capace di affrontare situazioni eccezionali. Egli è sag- gio, industrioso, versatile, astuto. Al contrario, Tersite è l’arruffapopolo che agisce nello spirito della commedia, senza alcuna responsabilità circa gli effetti della sua opera; egli è la voce del popolo irrispettoso, il critico del potere, voce della “parte bassa” della società. La sua influenza è solo debi- litante, compiaciuta della battuta corrosiva, ispirata ad un intento dissacrante fine a se stesso. Per questo ulisse, l’eroe che nella sua astuzia incarna la figura dell’influenzatore positivo, lo castiga. Nel mondo antico l’uomo cerca di eguagliare gli dei attraverso azioni memorabili nell’eroismo, nel pensiero, nelle opere o nell’amore di sé. Cerca sempre di lasciare un segno che lo ponga oltre la mera esistenza terrena. Il cittadino del medioevo cristiano partecipa invece alle due città, quella di Dio e quella dell’uomo; spinto dal desiderio della santità e della salvezza si impegna nel corrispondere il proprio agire alla legge di- vina, unendo insieme la partecipazione alle vicende del tempo e la ricerca dell’eterno. Nella concezione moderna dell’umanità, il divino è presente con la sua assenza, mentre l’umanità diviene la cornice di una religione di cui essa è anche l’oggetto, la “religione dell’umanità”: l’unico possibile principio – la sola possibile causa – del movimento della storia umana è l’uomo stesso, che si sforza di ordinare la sua uma- nità governandosi. In tal modo, lo spazio comune è il palcoscenico sul quale si svolge una moltitudine di piccole azioni tese a manifestare la propria biografia individuale, al fine di ottenere un riconoscimento da parte degli altri. La fama non è più un portato delle azioni eroiche, ma dell’“esserci” attestato dall’irrefrenabile flusso delle comu- nicazioni mediatiche: esisti se sei al centro dell’evento. Questa particolare tensione dell’anima indebolisce il vivere comune che risulta povero di virtù morali ed insieme ambivalente: il “comune” è visto come protezione e garanzia dei diritti individuali, ma non come stato della vita connotato da virtù civiche che motivano qualche rinuncia rispetto allo spettro delle possibilità di esperienza soggettiva. La gloria dei moderni, perennemente attenti al “rapporto a sé”, consiste nel libe- rarsi delle limitazioni e coercizioni del passato, prolungando il più possibile la propria 24 vita “vivibile” per mezzo della medicina così da consentire lo svolgimento delle espe- rienze consonanti con il proprio mondo psicologico. Tutto ciò è reso con l’espressione “benessere” che indica una sorta di surrogato della felicità. Il tipo di città delineato dal movente del potere delinea uno scenario in cui diversi gruppi entrano in competizione per il dominio, l’influenzamento e la fama. In gene- rale, questa città è divisa in due componenti: il piccolo numero dei concorrenti all’e- sercizio del potere ed il grande numero dei cittadini generici che aspirano unicamente a svolgere la propria esistenza individuale. Sul versante positivo, questa visione della città predilige l’aristocrazia ed il go- verno dei saggi, sul versante negativo essa persegue il dispotismo. La regola del servizio L’azione sociale, ed in particolare quella economica, beneficia infine del movente del servizio, che corrisponde alla regola del “desiderare il bene degli altri” che non è l’opposto dell’egoismo, ma del “desiderare il desiderio dell’altro”, essere fatalmente attratti dai beni solo quando questi sono fatti oggetto del desiderio altrui8. Perseguire nel lavoro il bene degli altri mettendo in gioco le proprie capacità e risorse significa instaurare una relazione con il proprio referente sulla base di un sentimento originario che consente un riconoscimento dell’altro e crea un legame intersoggettivo. Questa relazione non presenta un carattere genericamente filantropico, ma sorge da uno spunto definito – il bisogno – anche se procede a partire da un riconoscimento per così dire originario, che mobilita la sensibilità, la volontà e le possibilità proprie del soggetto che presta servizio secondo uno stile tale da sollecitare un impegno cor- rispondente da parte del destinatario. In tal modo, l’altro è visto non come un oggetto o l’interlocutore di uno scambio circoscritto all’utilità reciproca, ma come un soggetto che possiede le stesse caratteristiche dell’Io con cui si confronta. L’etica del servizio nasce da un sentimento di affezione originaria mossa dalla percezione del volto umano dell’altro che mette in questione il mio stesso Io e lo chiama ad un riconoscimento che fonda la coscienza morale e dà fondamento etico alla responsabilità (Lévinas 1972). L’etica dell’alterità indica che l’essere umano è per sua natura un soggetto morale che avverte l’appello originario che proviene dal- l’altro e che a sua volta esprime un’esigenza insopprimibile alla relazione. L’espe- rienza del riconoscimento dell’altro come significativo per la mia vita motiva la messa in campo delle capacità e delle risorse di cui dispongo al fine del soddisfacimento delle sue esigenze, costruendo una relazione dotata di affezione e di responsabilità. Questa visione era già espressa in Adam Smith il cui destino è curioso, essendo 8 Questa espressione è di Salvatore Natoli, il quale però la intende nel senso della competizione: «Desiderare il desiderio dell’altro significa competere con lui, farsi valere, sfidarlo. In questa sfida, ogni individuo mette a rischio la sua vita» (NATOLI 2010, p. 31). 25 stato oggetto di un grave travisamento: egli è stato presentato, specie dagli economisti del circolo di Vienna, come il propugnatore dell’egoismo individuale come fattore su cui si regge la ricchezza delle nazioni. In realtà egli sostiene che il fattore mobili- tante l’agire economico è innanzitutto morale, e precisamente il principio di simpatia ovvero la capacità di identificarsi nell’altro, di mettersi al posto dell’altro e di com- prenderne i sentimenti in modo da poterne ottenere l’apprezzamento e l’approvazione. È dalla simpatia che gli individui deducono regole morali di comportamento (Smith 2001). In questo senso, il panettiere – pur mosso dal proprio interesse di vendere il prodotto del suo lavoro per ottenere altri beni o lavoro altrui – produce quel pane in primo luogo in maniera tale da essere desiderato dal cliente. Egli, infatti, ne cerca l’apprezzamento, senza il quale non potrà vendere il proprio pane non soddisfacendo così neppure i propri interessi. La crescente evidenza dell’etica dell’alterità si coglie in modo diretto nella dif- fusione delle professioni di cura che si vanno moltiplicando nella nostra società, ma anche nella crescita della componente di servizio entro una vasta area di attività di lavoro che sono al centro di relazioni di varia natura (Gherardi 1990). La differenza tra un lavoro finalizzato ai prodotti ed uno orientato al servizio ri- siede nel fatto che, assumendo come criterio della propria condotta il bene dell’altro, noi ci esponiamo entro una relazione che accetta pienamente il suo mondo compresa la ferita che lo connota, come afferma Luigino Bruni: «Prima o poi ogni persona fa una esperienza, che segna l’inizio della sua piena maturità: capisce nella propria carne e intelligenza che se vuole sperimentare la benedizione legata al rapporto con l’altro/a, deve accettarne la ferita. Comprende, cioè, che non c’è vita buona senza passare at- traverso il territorio buio e pericoloso dell’altro, e che qualunque via di fuga da questo combattimento e da questa agonia conduce inevitabilmente verso una condizione umana senza gioia»9. Oltre al desiderio del bene dell’altro, la disposizione al servizio è mossa dal de- siderio di restituzione all’altro dei doni ricevuti e di ottenere una benedizione che de- riva dalla ricchezza dell’incontro umano che, quando è autentico, comporta sempre, ed in modo sorprendente, una consolazione più grande del servizio reso. utilizzando il linguaggio di Bruni, possiamo dire che la benedizione ricevuta da chi opera entro un lavoro di servizio è di ordine superiore rispetto al valore materiale delle operazioni che abbiamo posto in atto. Ciò accade perché le qualità poste in gioco nella relazione sono ben più ampie del semplice calcolo monetario del servizio e perché con essa si instaura uno spazio comune dotato di reciprocità e non solo di scambio10. Questo spazio comune basato su legami reciproci asimmetrici e non equivalenti, e sulla ridondanza dei doni, prende 9 http://www.dimensionesperanza.it/ 10 Nel lavoro di cura, il calcolo dello scambio è sempre impari a sfavore dell’operatore perché egli cede un servizio mentre l’altro semmai soddisfa un bisogno; la retribuzione indica solo il prezzo di quest’azione che – se ben condotta – è carica di segni che eccedono la misura monetaria. 26 il nome di comunità. La sua versione estenuata è data dal mutualismo, un tipo di re- lazione sociale nella quale l’aiuto reciproco è riservato ad una particolare categoria di individui uniti da un legame esclusivo, basato sull’obbligatorietà della restituzione di quanto ricevuto. la forza mistica che anima il lavoro Le forze che animano l’agire umano, bisogno, vocazione, potere e servizio si ra- dicano su uno spazio interiore dell’esistenza nel quale si svolge un flusso di energie che preludono all’azione e che vengono prima di ogni contratto con il suo corredo di diritti e doveri. Pertanto, l’orizzonte entro cui collocare il lavoro nel suo fondamentale legame tra anima e città, non è il dover essere, ma un’esperienza significativa che suscita affezione, fornisce una visione e smuove le risorse interiori della persona verso uno scopo desiderabile. L’idea che il legame sociale sia assimilabile esclusiva- mente ad un contratto è segnata dal limite del moralismo: “devi, quindi agisci”. La crisi del modello della “socializzazione”11 sta a dimostrare che una norma, per essere rispettata, deve corrispondere ad un valore condiviso tra le popolazioni che la seguo- no, e costantemente rivissuto nei fatti speciali che ne narrano l’esistenza; la cui me- moria, costantemente confermata e rinnovata, rimane impressa e richiamata nella loro coscienza. Nelle società opache, una logica dell’adempimento cui sia estranea tale condivisione conduce alla dissipazione delle energie interiori sia dell’individuo che delle collettività, che non sono rinnovate dalla benedizione dell’incontro reciproco e si consumano nel vano sforzo della volontà. Il soggetto umano che entra in rapporto con gli altri ed i suoi compiti sociali unicamente per forza di volontà si espone al ri- schio dello svuotamento e dello spaesamento. Perché agisca bene, l’uomo non ha bi- sogno solo di regole, ma anche di esperienze di corrispondenza tra il mondo interiore e la vita comune, entro un’epopea in cui l’opera segue ad una promessa avvertita co- me arricchimento dell’anima e si alimenta di eventi speciali di benedizione. Ciò che vale per gli individui, è riferibile anche all’intera società. L’universale “semplicemente umano” di cui si balocca la parte dominante del mondo intellet- tuale, è privo di forma e apre ad uno spazio desolatamente vuoto perché non ha più risorse a cui attingere tranne un generico “sentimento del simile” su cui è impossi- bile poggiare alcuna energia spirituale e morale in grado di contribuire alla costru- zione comune. 11 Per socializzazione si intende quel processo nel quale l’individuo, interagendo con gli altri e con le regole della vita civile, acquisisce in modo implicito i valori su cui tali relazioni e regole sono fondate; la crisi della socializzazione avviene quando gli individui interagiscono tra di loro senza che avvenga questo processo di interiorizzazione dei valori. Ciò è tipico delle società opache, caratterizzate dall’atonia tanto delle passioni civiche quanto degli affetti religiosi, nelle quali le anime sono timide ed indecise (MANENT 2014, p. 307). 27 La tradizione culturale dell’Occidente è molto più ricca di questa tappa termi- nale della modernità in cui viviamo; questa ci propone la trama dei significati che l’uomo stesso ha tessuto: «Le azioni sociali sono commenti su qualcosa che le trascende [...] i piccoli fatti parlano ai grandi problemi» (Geertz 1998, 34). Essa indica il modo privilegiato in cui possiamo conservare le fonti vitali della nostra civiltà, riscoperte ed arricchite mediante l’esperienza, l’intuizione, la cooperazione e la competizione tra le generazioni, e questo rappresenta in definitiva un pensiero consolante. Noi siamo spinti all’opera dalla possibilità di conferire un segno stabile e per- manente alla nostra presenza in questo mondo. Di sfuggire alla provvisorietà, ed in definitiva all’insignificanza dell’esistenza. Di legare la nostra vicenda particolare ad un disegno più vasto, di ottenere la benevolenza del cielo, il segno che siamo amati. Ciò che in definitiva ci spinge all’opera è una forza mistica: lo svelamento dell’e- nigma della vita, la promessa di pienezza, di qualcosa che rende feconda la propria esistenza e che connette la terra al cielo. Al contrario, le opere infeconde – attività incapaci di generare vita, che risento- no esclusivamente dello sforzo della mera volontà o della ricerca di appagamenti di breve respiro, vissuti nell’esigenza di un eccesso di protezione nei confronti di ciò che risulta ignoto e non controllabile – provengono da una particolare disposizione d’animo che possiamo definire “sindrome del cielo vuoto” ed anche “incapacità di credere nel miracolo” e quindi chiusura della mente che impedisce di vedere il mi- stero all’opera. Che significa anche inabilità alla riconoscenza per i doni ricevuti. Aristotele ci dice che la divinità è all’origine del moto circolare dei cieli e quindi indirettamente dell’intero universo12: è l’amore dovuto a Dio che commuove il mon- do e lo fa muovere incessantemente. Il cielo è vivente ed animato: gli astri e le sfere possiedono un’anima, come l’essere umano che è costantemente in cerca della so- miglianza, la misteriosa serietà che ciascuno porta con sé, sigillo del suo destino. Questa conoscenza è esattamente all’opposto rispetto alla volontà di potenza; essa richiede di prendere parte nel mondo – le cose, gli altri, noi stessi, il tempo e la storia – non con la pretesa di possesso, ma con simpatia, innocenza e tenerezza, avendone cura come una realtà sacra. Sta qui il fondamento della partecipazione alla grande opera del mondo, che richiede ad ognuno di apportare il proprio seme, con umiltà e serietà, sigillo del nostro destino, come ci ricorda Alda Merini (2014, 117): «Ogni giorno è una zolla che rimuove la terra ma piantarvi il tuo seme che fatica superba!». 16 La causa finale «produce il movimento come fa un oggetto amato, mentre le altre cose producono il movimento perché sono esse stesse mosse» (ARISTOTELE 1942, XII, 7). 28 Abbiamo visto come non si possa capire il lavoro nella sua essenza – come spe- ciale manifestazione dell’umano – se non lo si collega al mondo interiore costituito dall’anima (intesa nella sua accezione premoderna, non la sua riduzione illuministica a mera coscienza e neppure a quella attuale come sfera intima dell’autorealizzazione) ed allo spazio comune, vale a dire la città. La distorsione “psicologica” del mondo interiore, propria del nostro tempo, la cancellazione della nozione dell’anima, fa il paio con la scomparsa dello spazio comune. Ciò rende la nostra società un luogo difficile per azioni pienamente umane. È quell’epoca in cui ha potuto fiorire una letteratura stralunata sul tema del lavoro, alla ricerca di ipotetici “nuovi modelli”. un tempo il movente del lavoro era il bisogno, il desiderio di togliersi da una condizione povera di vita, la ricerca della prosperità, il desiderio di riconoscimento. Oggi, a tale esigenza se ne aggiunge una nuova: dare consistenza all’io, edificare un legame sociale generativo, definire un rapporto positivo tra le generazioni. Il lavoro è un valore, perché consente di costruire la città come spazio comune e di consolare l’anima nelle sue esigenze proprie: sentirsi a casa, perseguire uno scopo buono, legarsi agli altri in un vincolo di reciprocità, segnare il mondo con la propria unicità, provare diletto per il giusto compimento dell’opera. La storia del lavoro, le cui tappe essenziali vengono presentate nel capitolo se- guente, indicano che in ogni epoca precedente alla nostra l’azione umana sorgeva da una visione-promessa di un destino speciale cui ciascuno era chiamato a partecipare per realizzare valori validi non solo per il singolo individuo, ma su scala universale. I limiti del modo moderno di agire, che nega gli scopi dell’opera umana e si concentra sulle tecniche, rivela la necessità di una fonte originaria, la “sorgente” insita nell’a- nima umana, in grado di mobilitare l’opera ovvero il “dispositivo” in cui questa di- venta azione. Gli eventi speciali, o stati di grazia, ci aiutano ad assolvere ai doveri che abbiamo verso noi stessi: entrare in consonanza con la nostra anima, comprendere ciò a cui siamo chiamati, entrare in un rapporto positivo con gli altri, mettere in gioco i nostri talenti e le nostre capacità per qualcosa che contribuisca a migliorare il tono umano del vivere comune, edificare una citta “somigliante” come ci indica il Sommo poeta: «In ogni azione, intento fondamentale dell’agente, agisca per legge di natura o per sua volontà, è quello di realizzare una propria similitudine. Perciò ogni agente trova diletto in questa sua qualità; perché ogni essere ama la propria esistenza e nel- l’agire si propaga in certo modo l’esistenza dell’agente» (Dante 1965, I, 13). 29 Capitolo secondo Il lavoro nella storia Ogni difficoltà è vinta dall’aspro lavoro, e dal bisogno che incalza nelle dure vicende. Publio Virgilio Marone (1991, I, 145-146) Il lavoro presso i popoli primitivi Quando non c’era il “lavoro” I testi di storia del lavoro iniziano tutti col presentare l’attività dei popoli “pri- mitivi” come uno stadio di vita rozzo, persino brutale della vicenda umana. Piccoli gruppi sparsi entro un territorio vastissimo, senza alcuna comunicazione né orga - nizzazione, spinti solo dalla fame, e di fronte le praterie e le foreste piene di insidie. un tipo di individuo che viene spesso definito “troglodita”, o uomo delle caverne.1 È difficile parlare per queste popolazioni di “lavoro”, perché la loro preoccupazione sembra fosse unicamente la sopravvivenza. Il lavoro all’inizio della vicenda umana Nello stadio più primitivo dello sviluppo umano, che si protrae attraverso gli eoni della prei- storia noti come l’Età paleolitica, e che partendo da una data compresa tra i 2.000.000 e il 1.000.000 di anni a.C. arriva fino al 10.000 – 8.000 a.C., la distribuzione del lavoro era in pratica limitata alla raccolta del cibo. Disseminata in gruppi isolati, la minuscola popolazione della terra vagava per le foreste e le praterie cacciando, pescando, raccogliendo bacche e ra- dici, in una lotta incessante contro la fame. L’assenza di comunicazioni tra i gruppi così come l’insufficienza dei surplus di cibo limitavano una divisione del lavoro su basi geografiche, sebbene coloro che vivevano lungo i fiumi o sui litorali indubbiamente si specializzassero nella pesca, e altri nella caccia di certi animali. Tuttavia, le attività di raccolta del cibo di ogni gruppo richiedevano una certa organizzazione all’interno del gruppo. La fonte più ovvia della divisione del lavoro furono le differenze di età e di sesso. Agli anziani che non avevano la forza e l’agilità per l’attività della caccia e di raccolta venivano assegnati compiti sedentari, come la preparazione del cibo, mentre i bambini erano avviati alla loro carriera di raccoglitori di cibo (che sarebbe durata tutta la vita), addestrati alla raccolta di noci e di bacche. Nella società primitiva non potevano esserci degli oziosi; il rifornimento di 1 Dal greco troglodýtes, composto da trógle caverna e dýein scendere, penetrare sotto. ➔ 30 cibo era troppo precario, e i bambini iniziavano a fare la loro parte non appena ne erano in grado. La divisione sessuale del lavoro derivava dal ruolo della donna di procreare ed allattare il bambino. una donna incinta o che allatta – e la maggior parte delle donne erano quasi sem- pre nell’una o nell’altra delle due situazioni – non poteva partecipare efficacemente alla caccia che era però riservata agli uomini. Questo fattore non impediva che alle donne fosse assegnata una eguale quota di lavoro fisico, o magari una quota più ampia. È stato detto che la donna è la più antica bestia da soma dell’uomo, situazione questa che riflette probabilmente la dipen- denza della comunità, per la sua protezione, dalle armi da caccia dell’uomo, implicando il bisogno di lasciare l’uomo relativamente libero, per esempio durante la migrazione da un territorio di caccia o di raccolta ad un altro. È interessante osservare che i confronti eseguiti su scheletri rivelano meno differenze morfologiche tra uomini e donne dei tempi preistorici rispetto a quelle di oggi, ciò che suggerisce una più eguale divisione del lavoro pesante rispetto ai tempi più recenti. La conoscenza che abbiamo delle comunità più antiche non ci fornisce alcuna prova di di- stinzioni di classe, rivelando così l’assenza di qualsiasi divisione del lavoro che non fosse fondata sul sesso. Sebbene recenti studi abbiano dimostrato che alcune società dedite alla caccia e alla raccolta avevano un’alimentazione ragionevolmente buona, o perlomeno non vivevano costantemente sull’orlo della carestia, nessuno poteva essere utilizzato in compiti che non fossero diretti a procacciarsi del cibo. Non c’erano aristocrazie guerriere o sacerdotali, né ruoli specialistici occupati a tempo pieno. C’era, tuttavia, chi dedicava parte del proprio tempo ad attività nelle quali era più abile. Indubbiamente i cacciatori maschi avevano sempre costruito le proprie trappole e armi per la caccia, mentre le donne i propri utensili. Quando i cacciatori impararono a usare armi e strumenti di pietra, qualcuno di essi inevitabilmente si dimostrò particolarmente abile a spaccare, o scheggiare la pietra. Questo esperti producevano più lame di coltello e punte di frecce di quante non potessero essi stessi utilizzare, e le barat- tavano con il cibo catturato dai cacciatori e pescatori più abili. Le testimonianze disponibili sugli scheggiatori di pietra dell’Epoca neolitica non ci dicono mai che questi uomini si limi- tavano a costruire utensili e armi; essi infatti utilizzavano i propri prodotti per cacciare essi stessi il cibo. (Melvin kranzberg e Joseph Gies 1981, 21-22) Dunque il bisogno sarebbe l’unico movente che spingeva i popoli primitivi al- l’attività, mentre i segni del carattere umano che ci si attende da loro sono l’abilità nella produzione di certi oggetti, come le punte di frecce, oltre alla divisione del la- voro associata alla caccia di grossi animali, alla costruzione delle abitazioni come pure alla coltivazione della terra. Troglodita a chi? Ma siamo davvero di fronte ad un “animale umano”? È proprio così elemen- tare e brutale l’anima dei nostri primi progenitori? Sorprendentemente, questi es- seri che noi ci rappresentiamo più prossimi alla condizione della bestia che a quella dell’uomo, ci hanno lasciato alcuni segni che ancora oggi producono una profonda meraviglia e che smentiscono le teorie progressiste dominanti: gli affreschi rupestri datati intorno a 40-50 mila anni fa, proprio nel pieno dell’epoca che continuiamo a chiamare primitiva. 31 le pitture rupestri: il big bang della creatività La fantasia, la capacità di immaginare, è specifica e originaria dell’essere umano? Direi di sì, almeno da quanto vediamo dalla nascita del comportamento umano “cognitivamente moderno”, intorno a 40-50mila anni fa. Dopo le prime avvisaglie in Africa, l’innovazione sembra diffondersi con grande rapidità, facendo esplodere nei cacciatori raccoglitori sapiens (dall’Eu- ropa all’Australia) comportamenti del tutto inediti, cioè pitture rupestri, sepolture rituali, orna- menti, strumenti musicali, sculture, nuove tecnologie litiche. Le caratteristiche di questo cam- biamento, forse portato da una popolazione di sapiens uscita dall’Africa circa 60mila anni fa (di cui conosciamo alcuni marcatori genetici), lasciano supporre che sia stata un’evoluzione culturale, più che biologica. E l’innesco di questa intelligenza simbolica potrebbe essere stato proprio il completamento del tratto vocale umano e lo sviluppo del linguaggio articolato tipica- mente sapiens, con le sue proprietà ricorsive e astrattive che hanno aperto alla nostra mente nuove possibilità. Lì abbiamo imparato a inventare mondi alternativi nella nostra testa, e a con- dividerli con i compagni del gruppo. Ancora oggi nello sviluppo individuale, anche se spesso si fa di tutto per mortificarla, credo che la capacità di immaginare altri mondi possibili, scenari alternativi, sia il modo migliore per onorare la nostra evoluzione sapiens. Negli studi sull’origine del linguaggio umano si parla perlopiù di linguaggio verbale e di pen- siero cosciente. Ma il Big bang della nostra specie non è stata la capacità di creare immagini espressive, dalla risonanza profonda e di valore universale? Sono d’accordo. Se verrà confermata l’ipotesi evolutiva che delineavo, il linguaggio verbale va associato a una più vasta competenza simbolica. Anch’io penso che la comparsa di segni e poi di rappresentazioni (sia realistiche che stilizzate) sia un indizio cruciale. La raffinatezza delle prime pitture rupestri e il loro contesto espositivo vanno oltre un significato sociale di va- lenza rituale. Sono la prova che lì è all’opera una mente umana inedita, con un rapporto nuovo con l’ambiente, capace di mescolare il ricordo vivido delle scene di caccia con una trama di messaggi simbolici condivisi dalla comunità. Senza nascondere che questa immaginazione è anche ciò che ci ha reso più espansivi e invasivi di qualsiasi altra forma umana. (Intervista al filosofo della scienza Telmo Pievani http://simonamaggiorelli.com/tag/homo-sapiens/) * * * * * * * «I nostri antenati Cro Magnon avevano una sensibilità matura, pienamente sviluppata. Furono loro, i primi Sapiens, 40mila anni fa a creare le straordinarie pitture rupestri della zona fran- co-cantabrica», racconta l’antropologo americano riferendosi a quel particolare momento del- la storia umana che l’archeologo inglese Colin Renfrew definisce «Il Big bang della creati- vità» nel libro Preistoria, l’alba della mente umana (2011). «Non è una frase ad effetto, ma una definizione appropriata – commenta Tattersall –, perché l’emergenza di questa caratteri- stica specificamente umana non è avvenuta in maniera graduale né lineare. Fu un enorme salto in avanti, accaduto in tempi brevissimi e rivoluzionari se comparato alla storia lunghis- sima dell’evoluzione. Ma bisogna ricordare anche che la nostra specie si è sviluppata, con grande probabilità, a partire da una minuscola popolazione vissuta in Africa circa 200mila anni fa. In quei tempi lontani il nomadismo era anche dettato dai capricci del clima, dalle av- versità ambientali e dalle specie concorrenti. Così dall’Africa la nostra specie poi si diffuse nel continente euroasiatico e sino in Australia e infine nel Mondo Nuovo e nelle isole del Pacifico». (Intervista a Ian Tattersall, direttore del dipartimento di antropologia dell’American Museum of Natural History di New York http://simonamaggiorelli.com/tag/homo-sapiens/) * * * * * * * ➔ 32 «L’arte è la firma infalsificabile dell’essere umano... di fronte a un fatto come il ritrovamento delle pitture, si vede che non c’è traccia di tal processo evolutivo.. è il mistero dell’impulso ar- tistico. Questa creatura era realmente diversa da tutte le altre: perché era non solo creatura, ma creatore» «una cosa nuova apparve nella notte cavernosa della natura: uno spirito che è come uno spec- chio.. uno strumento di riflessione... solo in esso tutte le altre forme si possono vedere come ombre luminose in una visione... ma lo specchio è la sola cosa che può contenerle tutte [tutto in tutti]. L’uomo è il microcosmo; è la misura di tutte le cose... egli è un essere veramente stra- no… solo, fra tutti gli animali, è scosso dalla benefica follia del riso; quasi egli avesse afferrato qualche segreto di una più vera forma dell’universo e lo volesse celare all’universo stesso… non c’è l’ombra di una prova che questa cosa abbia subito un’evoluzione. Non c’è il più piccolo indizio che questa transizione si sia prodotta lentamente, o almeno naturalmente... dei ruderi e delle ossa possono debolmente suggerire l’idea di uno sviluppo del corpo umano. Ma niente fornisce la più lontana idea di un consimile sviluppo dello spirito». «Possiamo accettarlo come un animale, se possiamo vivere con un animale favoloso. Ma se abbiamo bisogno d’una consequenzialità e di una necessità, ci vorrà un preludio e un crescendo di imponenti miracoli perché – annunciato tra formidabili tuoni in tutti i sette cieli dell’ordine soprannaturale – l’uomo possa essere una cosa ordinaria». (Gilbert keith Chesterton 2008, 46-52) Guardiamo le figure rap- presentate, i loro tratti ed i loro colori. Ciò che colpisce è la ca- pacità di cogliere per così dire l’animalità degli animali: infatti non sono disegnati in forma sti- lizzata ed infantile come nelle scritture rupestri della Valle Ca- monica; siamo di fronte ad una sensibilità artistica, un gesto che rivela una commozione intesa come capacità dell’uomo di co- gliere l’intima realtà delle cose rivista con l’occhio interiore. Le pitture rupestri degli artisti di 40-50 mila anni fa sono ge- niali, esprimono l’intensità di quel vedere e sentire che accade nello spirito profondo dell’essere umano, nella sua anima. Questa è la più imponente, sorprendente mani- festazione dell’umanità che sia potuta accadere nella storia, a confronto della quale tutto ciò che è venuto dopo risulta una trasformazione di quello stesso potere espres- sivo manifestatosi tutto d’un colpo, all’inizio della vicenda umana, come un’irruzione ed una necessità che viene da dentro. C’è qui qualcosa che non può essere spiegato come una mera funzione di copia e di memoria, siamo di fronte ad un atto creativo che indica un movente inatteso per l’uomo moderno: il desiderio di cogliere la realtà intima della realtà naturale. Anche Lascaux, Cavallo “cinese”. 33 la spiegazione religiosa dell’arte rupestre pare ina- deguata, perché propone il rapporto funzionale dis- incantato tipico dei mo- derni: dipingere le forme degli animali per ottenere la benevolenza degli dei ed avere così successo nella caccia. Le figure sorprendenti disegnate dai primi abitanti delle caver- ne che inaugurano la sto- ria esprimono il mistero dell’impulso artistico, fir- ma della natura straordinaria dell’essere umano, una qualità che è apparsa da subito, all’inizio dei tempi, improvvisamente, non per effetto del contesto, non per succes- sivo perfezionamento ed evoluzione, non per un impulso originario, innato. L’uomo raccoglitore e cacciatore, che vive nelle caverne, l’uomo troglodita, è già uomo, sor- prendentemente umano, e ce lo rivela con la sua arte. Ma anche con l’abilità delle mani e l’organizzazione della vita nel villaggio. L’anima sociale e le abilità nei popoli primitivi: il villaggio I popoli “primitivi” ci hanno lasciato molteplici tracce che rivelano sorprendenti doti intellettuali; ciò riguarda la costruzione degli strumenti partendo da materiali immeditatamente disponibili in natura e destinati alle diverse attività: coltivazione e allevamento, trattamento dei metalli e invenzioni tecniche, organizzazione della vita di villaggio, commercio, numerazione e linguaggio. L’avventura del lavoro si manifesta propria in quest’era, tramite una sorprendente capacità tecnica rivelativa di speciali attitudini psico-fisiche proprie della specie uma- na, tra cui spicca la capacità di coordinamento fra cervello, mano, occhio, udito, odo- rato, affezione, immaginazione e linguaggio. Il lavoro compare nel momento in cui la vicenda umana travalica il tempo dell’attività “naturale” segnata dall’ossessione della sopravvivenza e dalla paura delle minacce esterne, per inaugurare il tempo del- l’attività “sociale”, espressione ed evidenza di un mondo interiore straordinariamente intenso e vitale. Spesso queste conquiste sono spiegate tramite il concetto di “adattamento”, una prospettiva che non dà ragione della spinta straordinaria che ha interessato la com- parsa dell’Homo sapiens e la sostituzione ed assimilazione delle altre specie umane entro una vicenda tanto ricca da costituire l’inizio ed il fondamento dell’intera civiltà. Queste popolazioni possedevano decisamente doti di osservazione, riflessione, immaginazione, costruzione, applicazione, valutazione e comunicazione; tutto il re- Ruffignac, mammuth e altri animali. 34 pertorio dell’intelligenza umana era all’opera simultaneamente, non si è manifestato per gradi e condizionamenti. Solo la mobilitazione completa, e contemporanea, delle speciali prerogative umane, già disponibili potenzialmente nella mente, ha potuto portare alle straordinarie scoperte, all’intero repertorio delle “prime volte” che hanno aperto la strada e segnato l’avvio del modo di vivere umano, arricchito poi dalla sor- prendente varietà di culture. L’invenzione del mezzo di trasporto, ad esempio, non è spiegabile come l’esito di tentativi progressivi di assemblaggio di materiale preesistente altrimenti saremmo rimasti ancora alle tecniche del trascinamento, perfezionate nel tempo con materiali migliori e forze più potenti. La prima carriola ed il primo carro indicano un salto di qualità estraneo ad ogni logica di adattamento, perché la scoperta della ruota ha ri- chiesto necessariamente un’immagine astratta formatasi nella mente di qualche in- dividuo dotato di una particolare predisposizione. Questi, sotto gli stimoli della ne- cessità ma pure delle opportunità, manipolando oggetti e provando ad avvicinarli, per poi adattarli allo scopo di favorire il trasporto di cose, ha vissuto un’illuminazio- ne capace di portare alla coscienza e tradurre in immagine mentale del materiale ap- partenente esclusivamente al suo mondo interiore. L’invenzione della ruota possiede un valore rivelativo delle prodigiose facoltà intellettuali dell’uomo già immediata- mente disponibili all’inizio della sua vicenda storica. Viene, per così dire, “da den- tro” il mondo umano prima di manifestarsi all’esterno, ed immette nella dinamica della natura una forza trasformatrice ed ordinatrice superiore rivelativa di disposi- zioni d’animo creative e sociali. Non si tratta neppure di figure singolari dotate di genio, visto che gli esiti delle ricerche dell’archeologia preistorica localizzano in vari punti dell’Europa le stesse scoperte originarie nella civiltà, a dimostrazione che il legame tra mondo interiore innato e mondo esteriore ordinato è una qualità costitutiva dell’essere umano sin dal- le origini della sua comparsa sulla terra. L’abilità dei primi uomini riflette la loro vita interiore, la loro anima; essi sono veri scopritori di un universo percepito tramite una predisposizione a formulare immagini mentali, una dote che consente di vedere nel reale un mondo di segni e di opportunità. Essi sono parte della realtà naturale, ma allo stesso tempo costruttori entusiasti ed infaticabili di una realtà sociale dotata di una forza sorprendente crea- tiva e unitiva che supera di gran lunga le loro energie fisiche. Vediamo una rassegna di esempi concreti in cui si manifesta la fecondità del mondo interiore dei popoli preistorici. domesticazione di piante ed animali, tecniche di alimentazione e di lavorazione Il periodo neolitico (10.000 – 3.500 anni fa) fu contrassegnato da un importante mutamento che avvenne, in forme e in tempi diversi, nelle varie parti del Vecchio e del Nuovo Mondo, costituito dal passaggio da un’economia di caccia e raccolta, cioè di tipo parassitario/preda- torio, ad un’economia imperniata sulla produzione organizzata del cibo mediante coltivazione di alcune specie vegetali e domesticazione di alcuni animali (cane, ovini, maiali, capre) e ➔ 35 piante. Le comunità del primo Neolitico avrebbero così ricercato una maggiore garanzia di sicurezza economica sottraendo le basi del loro sostentamento alimentare al capriccio della Natura e affidandosi a una collaborazione con quest’ultima, volta ad aumentare la produttività delle piante commestibili e a favorire la riproduzione degli animali. Prima della domestica- zione delle piante, il ciclo lavorativo delle graminacee, in questa fase, prevedeva che i chicchi raccolti venissero abbrustoliti e pestati fino a essere ridotti in farina; questa poi era bagnata con acqua e mangiata cruda o, poggiata su una pietra rovente, sottoposta a una cottura ap- prossimativa. Questo trattamento era riservato non solo alle graminacee, ma anche a fagioli, tapioca e ghiande, da cui si ricavarono presumibilmente le prime farine. Fra i cereali il primo a convertirsi in pane pare sia stato l’orzo. Si tentò anche con il miglio e successivamente, nell’Età del bronzo (III-II millennio a.C.), con la segale, l’avena ed il farro. Ma il frumento, conosciuto contemporaneamente all’orzo, era destinato ad affermarsi come il cereale principe, il più adatto quindi alla panificazione [...]. Anche la tecnica per la lavorazione della pietra apparve più efficiente. L’età della “nuova pietra” fu infatti contraddistinta da notevoli innovazioni nella litotecnica, tra le quali la principale fu rappresentata dall’uso della levigatura. Aumentò anche la gamma degli arnesi utili: asce, aghi, picconi, raschiatoi, scalpelli, arpioni, trapani archi ed altri attrezzi per me- glio lavorare l’osso e la pietra stessa. Si iniziarono a vedere i primi strumenti per l’agricol- tura quali: zappe fatte con corna di cervo, falci realizzate con lame di silice, picconi bifac- ciali, rudimentali mortai e recipienti ceramici per la conservazione delle derrate alimentari. Molto ricca è anche l’industria in osso-corno, spesso riccamente decorata. Il materiale utilizzato era ancora la selce anche se iniziava a diffondersi l’ossidiana, particolarmente ricca a Lipari [...]. L’ossidiana è un vetro vulcanico di durezza superiore alla selce e di colore nero lucente, con esso è possibile realizzare manufatti piccoli e particolarmente taglienti. (La vita economica dell’umanità preistorica, http://www.casuzze.it/files/economia-naturale-dei-paleolitici.pdf) Con l’età del rame e del bronzo, collocata fra i 3.500 e 900 anni fa, si passa dalle industrie litiche del neolitico (età della pietra levigata) alla scoperta del rame, del bronzo ed alla conseguente nascita della metallurgia. Siamo in presenza di una sor- prendente successione di scoperte ed invenzioni tecniche, compresa la creazione del villaggio, un ambiente in cui la creatività umana modella forme e processi inediti, non derivati dall’osservazione della natura. È nel villaggio che troviamo la più alta concentrazione di figure professionali, ovvero individui dotati di specifiche facoltà che si dedicano in modo esclusivo a particolari lavorazioni e funzioni – artigiani, mercanti, sacerdoti, scrivani, funzionari e soldati – diverse da quelle dedite alla col- tivazione ed all’allevamento di bestiame. Il villaggio, tramite l’invenzione del mattone, si arricchisce di soluzioni archi- tettoniche; in tal modo le capanne fatte di pali, fieno, foglie e canne sono sostituite da vere e proprie case; inoltre compaiono veri e propri monumenti dotati di elevato valore simbolico. In questi spazi propriamente umani si assiste ad un deciso incremento della popolazione, accompagnato dal perfezionamento dell’economia che prende le di- stanze dalla primigenia tendenza all’autosostentamento per assumere un’impostazio- ne nuova, centrata su proprietari di proto fabbriche che impiegano lavoratori dediti 36 2 Da cui si dimostra che la formula “capitalistica”, intesa come modalità di organizzazione dell’e- conomia e della società, è di gran lunga precedente alla rivoluzione industriale. ➔ a lavorazioni specialistiche realizzate tramite una catena continua di creazioni tecni- che tra cui i forni di fusione, le officine ed i telai; i depositi di materiali alimentano relazioni commerciali che fuoriescono dal villaggio e si espandono entro territori sempre più vasti2. Un balzo sorprendente Il villaggio-città si espande continuamente, i territori coltivati si ampliano boni- ficando le zone palustri, disboscando le foreste, canalizzando i corsi d’acqua. Gli animali pericolosi vengono abbattuti e si realizzano coltivazioni differenti da quelle autoctone. È un mondo dedito ad un’opera instancabile che alimenta una sovrappro- duzione di beni alimentari e strumentali. La laboriosità è tutt’uno con la fecondità demografica; i due processi si alimentano costantemente e spingono all’estensione della società umana nel territorio. Tutto ciò richiede anche il superamento della formula del baratto e l’invenzione della moneta che in un primo tempo è realizzata con un metallo avente lo stesso valore del suo segno monetario, e successivamente dotata di un disegno simbolico riconosciuto. L’intensa attività commerciale si arricchisce inoltre della scoperta della scrittura contabile, fatta di segni corrispondenti alle quantità di beni scambiati, ma che mostra poi un salto spettacolare quando diviene un vero e proprio linguaggio scritto. la scrittura e la matematica I frequenti e regolari scambi commerciali favorirono necessariamente lo scambio delle idee e delle conoscenze, ma posero ai commercianti problemi di comprensione e di conteggi. I primi simboli convenzionali di scrittura furono introdotti ed usati dalle corporazioni ammi- nistrative religiose a scopi contabili per la transazione di affari e per la registrazione delle entrate e delle uscite. La città sumera di uruk, il più antico insediamento urbano del mondo, fiorì tra il 4.000 e il 3.100 a.C., e fu tra le prime civiltà a sviluppare un sistema di scrittura basato dapprima su un sistema ideografico e successivamente sillabico. Incisi sulla superficie umida della tavoletta, una volta essiccati i caratteri di questa scrittura sono diventati una testimonianza indelebile della storia della cultura dell’uomo. La scrittura sumerica ebbe origine nella Bassa Mesopotamia (attuale Iraq), nel corso della rivoluzione urbana verificatasi nel sito di uruk, oggi noto con il nome Warka, (intorno al 3.750 a.C.). Anche in Egitto, i più antichi, documenti rinvenuti in tombe della I e II Dinastia (3.200 – 3.000 a.C.) ad Abido contengono rendiconti ed inventari, stilati a mano con un si- stema di scrittura più semplificato rispetto a quello sumerico: i disegni tracciati su corteccia di papiro, sono ideogrammi rappresentanti idee astratte e più facilmente riconoscibili. Il pri- mitivo sistema pittografico sumerico dopo il 3.000 a.C. venne semplificato anche in Meso- potamia, dove, con la scrittura cuneiforme (con segni a forma di cuneo), si stilarono contratti, 37 codici, rendiconti, liste. At- traverso successive modifi- che e semplificazioni, deri- vanti comunque dai segni figurati, mesopotamici od egiziani, i Fenici sviluppe- ranno la scrittura alfabeti- ca. Fin dalle origini i siste- mi di scrittura furono parti- colarmente conservativi. La loro evoluzione fu più lenta di quella della lingua parlata (ad esempio, una parola può essere scritta al- lo stesso modo 26 per seco- li, mentre la sua pronuncia subisce delle variazioni e nuove sfumature investono il suo significato). Per numerazione s’intende un insieme di regole per enunciare e scrivere i numeri. Quando in tempi e luoghi diversi i numeri fecero la loro comparsa, si affacciò l’esigenza di un sistema che permettesse di indicarli, a voce e per iscritto, impiegando poche parole e pochi segni fon- damentali. Ogni popolo escogitò un proprio sistema di numerazione parlato e scritto, nel corso della storia molti furono i sistemi che si affermarono e poi scomparvero. Ancora oggi permangono diversi sistemi, ma il più diffuso nel mondo è il sistema della numerazione de- cimale. Mucchi di pietre erano mezzi troppo effimeri per la conservazione di informazioni; perciò l’uomo preistorico talvolta registrava i numeri incidendo intaccature su un bastone o su un osso. In Cecoslovacchia sono state trovate nel 1937 due ossa di lupo che presentano, profondamente incise, cinquantacinque intaccature. Queste sono disposte in due serie: ven- ticinque nella prima e trenta nella seconda; all’interno di ciascuna serie, le intaccature sono distribuite in gruppi di cinque. Queste ossa di lupo rappresentano uno dei più antichi dispo- sitivi conosciuti per il conteggio. La numerazione trasse indubbiamente origine da esigenze pratiche del commercio, dell’agrimensura, e dell’architettura rimpiazzando il primordiale si- stema delle tacche. La necessità di misurazione del tempo (sistema duodecimale) significava controllare il ritmo di lavoro per decine di miglia di abitanti della città, dove tutti dal contadino al mercante, dall’artigiano al soldato, dallo scrivano al sacerdote, sono inevitabilmente legati alla suddivisione del tempo. Il fatto che in Mesopotamia la scrittura si sia evoluta dalla contabilità per necessità economi- che ci fa sentire questa civiltà particolarmente vicina alla nostra, moderna, che pure è basata sull’economia. Tutto sommato, gli uomini viventi al tramonto dell’età paleolitica pare abbiano raggiunto un grado di capacità tecnica e di evoluzione psicofisica elevato se paragonato allo stato selvaggio dei loro antenati ancestrali. (http://www.casuzze.it/files/economia-naturale-dei-paleolitici.pdf) Altre spettacolari creazioni avvengono nella navigazione, con le scoperte della vela e del timone che aprono prospettive ancora più ampie di relazioni con altre popolazioni. Negli insediamenti umani uno spazio rilevante viene dedicato all’inumazione delle salme, ma anche al corredo funerario che rivela una marcata gerarchia sociale data dalle differenze di status tra gli individui, le famiglie e le associazioni che com- Uruk, tavoletta con scrittura cuneiforme IV secolo a.C. 38 pongono la comunità. Il culto dei morti è l’espressione non solo del sentimento del sacro, ma anche della convinzione dell’esistenza di una vita dopo la morte, che spiega la presenza nelle tombe di cibi e bevande. Il mondo interiore degli uomini possiede la nozione di infinito, ed è questa una delle forme più evidenti con cui l’anima si ma- nifesta esteriormente. L’intera vicenda della preistoria si compie tramite uno straordinario balzo in avanti verso la vera e propria storia delle civiltà, rivelando il carattere prodigioso di questa strana creatura, decisamente lontana dall’istinto di sopravvivenza e dalla ten- denza all’adattamento propri degli animali. Abilità, socialità e senso del sacro sono i tratti che manifestano la dote dell’interiorità che consente di immaginare modi di vita differenti da quello naturale, di vedere segni dietro le apparenze, di produrre forme di espressione non connesse necessariamente al bisogno, bensì alla facoltà di avvertire il sentimento della vita e l’appartenenza al cosmo. Il lavoro nell’Antica grecia La vera vita degna è quella del filosofo La civiltà greca ha donato all’Occidente una concezione della vita dedita princi- palmente all’estetica, alla filosofia, alla politica ed alla guerra. È proprio dell’uomo libero, dell’aristocratico, la possibilità di dedicarsi alle discipline considerate “eccel- lenti” come coltivare la cura del proprio corpo al fine di raggiungere un aspetto fisico perfetto tanto da meritare l’appellativo di “bello”, ma anche la cura dell’anima (psi- chè), della vita comune libera dalle preoccupazioni materiali e delle virtù marziali da mostrare nel combattimento. Coloro che, invece, sono dediti ad un lavoro per gua- dagnarsi da vivere sono non belli e non eccellenti, perché il loro tempo è totalmente occupato da attività manuali che, non lasciando posto all’esercizio del corpo e della mente, sono disprezzate dalle persone eccelse. Ne è prova evidente il loro aspetto, pallido e malandato e la mancanza di cura nel vestire. Se la bellezza fisica corrisponde alla perfezione morale, chi lavora è cattivo, infimo e persino corrotto dalla bassezza delle attività che è tenuto a svolgere per sopravvivere. la concezione del lavoro nella cultura greca Tradizionalmente il classicismo si compiace di immaginare gli antichi Greci come gente che “vive di rendita”, che spende cioè la propria vita nel culto della bellezza e dell’esaltazione della personalità. (Accanto a questa immagine va però tenuto conto del fatto che lo sviluppo della vita economica nell’antica Grecia va collegato con un impulso al guadagno presente presso gli stessi Greci!). un’antica narrazione di carattere mitico dice che la protervia umana ha spezzato l’incanto dell’età dell’oro, con il suo desiderio di determinare il proprio destino, portando l’umanità all’età del ferro, caratterizzata dal lavoro, come evidente segno di decadenza. Gli dei stessi indirizzano gli uomini alle varie attività (es: Demetra-agricoltura / Hermese-mercatura / Atena-arti donnesche...). ➔ 39 La società narrata da Omero è una società guerriera-cavalleresca che prende sprezzantemente le distanze dal lavoro, pur con qualche ecce- zione: infatti l’eroe omerico combatte anche per il bottino, oltre che per l’onore, cerca il riscatto dei suoi prigionieri, mentre figure di re in tempo di pace, non disdegnano di occuparsi della mietitura. Nell’Odissea in particolare, lo spirito commerciale trova una maggiore attenzione da parte dell’autore: la stessa pirateria non appare riprove- vole (Menelao confessa candidamente di aver accumulato ricchezze con questo tipo di attività). Sempre nell’Odissea emerge, da qualche parte, una certa sensibilità nei confronti del basso popolo e in alcuni casi, degli schiavi. Ma la sproporzione tra l’eroe e l’uomo in condi- zione servile resta molte evidente – “Giove toglie metà del suo valore all’uomo su cui piomba il dì servile”. Il giudizio negativo sul lavoro indica un legame forte tra lavoro e condizione servile. Ma cosa accade, quali idee emergono quando il lavoro, diventando esperienza viva, viene pensato come professione libera? Evidentemente il giudizio muta in un atteggiamento completamente di- verso: è il caso di Esiodo, che nella vita era un libero contadino e che, nell’ambito della lettera- tura greca, viene spesso considerato come il poeta che per primo sviluppa con forza il senso della propria individualità. Accanto alla “Teogonia e i Giorni” è, in particolare, il mito di Pan- dora che spiega la ragione della necessità per cui l’uomo deve lavorare per vivere, oltre che della presenza dei mali nel mondo. L’uomo deve lavorare per avere l’abbondanza; questo do- vere non va inteso come una condanna: a differenza degli animali l’uomo deve evitare l’in- ganno e la violenza, vivere di onesto lavoro e rispettare i dettami della natura. Il lavoro è premio a se stesso e solo grazie ad esso la vita dell’uomo assume senso. Esemplari sono alcune parole: “Nessun lavoro è vergogna. Poltrire è vergogna”. Siamo a questo punto di fronte a due concezioni di vita opposte, anche se va aggiunto che la posizione di Esiodo resta un caso isolato (è difficile trovare un altro che leghi il lavoro al senso della vita!). Infatti in generale, la cultura greca segna una netta separazione tra lavoro e vita emotiva. A questo proposito vale la pena di ricordare l’uso del termine �ονηρòς che indica, nello stesso tempo, l’uomo gravato dalla fatica nel senso fisico del termine, ma anche colui che ha la coscienza pesante e che dunque è “cattivo”. L’egemonia culturale dell’aristocrazia produce un disprezzo generale nei confronti del lavoro, disprezzo che trova riscontro in Teognide che scrive: “Mai non sarà che stia dritta la testa d’un servo, ma sempre obliqua, il collo torto sempre sarà... La ricchezza ha corrotto le stirpi...”. Interessante è anche l’atteggiamento di Pindaro quando usa il termine ponos per indicare la fa- tica dell’atleta nel corso delle gare – teniamo presente che lo stesso termine indica anche la fa- tica nel lavoro dei campi: la differenza di qualità sta nella meta che ci si prefigge. La fatica le- gata al lavoro produttivo è spregevole perché non gratuita, e indicativa di uno stato di dipen- denza dell’uomo dalle cose, mentre l’attività dell’atleta si carica di senso ludico e denota uno spirito libero e una vita dedicata a coltivare la personalità nel segno della bellezza. Il disprezzo per il lavoro non è presente in Grecia solo nell’ambiente aristocratico (pensiamo a Sparta dove agli Spartiati è preclusa qualsiasi attività, anche di tipo artigianale) ma anche in ambiente democratico. È forte infatti l’idea secondo la quale l’attività lavorativa compromette l’inserimento dell’individuo nella vita della comunità, poiché chi è impegnato nella conquista del sostentamento quotidiano non si può dedicare al perfezionamento della propria umanità e non è in grado, dunque, di dare un apporto positivo alla vita della comunità stessa. Platone, che pure ammette la legittimità del “guadagnarsi da vivere”, teme le facili degenerazioni cui il la- voro può portare, nel senso della brama di guadagno, e per questo nella Repubblica i guardiani dello Stato non hanno nulla a che fare con l’attività economica. Omero. ➔ 40 Aristotele, da parte sua, non condanna la proprietà privata, anzi la vede come fonte di soddisfazione personale, soprattutto in quanto permette la ἐλευθεριότης, cioè la liberalità. Aristotele distingue tra due attività economiche: l’una, buona, che mira a procacciare i mezzi di sostenta- mento per l’uomo libero. L’altra, cattiva, punta al guadagno in sé e sci- vola nell’esosità. L’ozio, d’altra parte, non è il dolce far niente, ma lo spazio nel quale il cittadino può vivere in un’ottica superiore; il frutto supremo di questo ozio è l’attività teoretico-scientifica. C’è comunque un’ottica superiore nella quale pienamente si dà la mi- gliore condizione per l’uomo e non si tratta certamente del lavoro. A questo proposito Aristotele è molto chiaro: nell’Etica Nicomachea egli si chiede cosa sia il vero bene per l’uomo e lo trova nella felicità, che si presenta nella forma dell’autosufficienza, della gratuità e del vero piacere e che consiste nello svolgere la funzione specifica dell’uomo, che indica nella vita secondo la ragione. Nel libro X dell’Etica Nicomachea la felicità è legata alla pratica della più alta delle virtù dianoetiche, e cioè alla sapienza. Aristotele lega dunque la nobiltà della condizione umana alla vita teoretica, ed esprime in questo una concezione del lavoro come attività nettamente subalterna. (http://www.liceomedi.com/lavoro/pagina3.htm) Per Aristotele al di sopra di quella tecnica si colloca una forma di conoscenza che ha di mira soltanto se stessa: il sapere per il sapere, ossia la conoscenza disinte- ressata, libera da vincoli, non subordinata a fini esterni ad essa. Questa è la “sophia”, il sapere più sublime a cui tende l’uomo saggio, dotato di amore del sapere. In questo modo Aristotele ha scisso l’idea del sapere dalla conoscenza funzionale all’agire in risposta ai bisogni ed in vista della cura degli aspetti tecnici del vivere comune. Risulta quindi decisivo insegnare questo sapere disinteressato ai giovani, ed a tale scopo si dedicano delle istituzioni specifiche denominate “scholè” il cui significato richiama la possibilità di dedicare alla cultura un tempo libero da ogni attività sia lavorativa sia pubblica. Questo sapere che in fondo non serve a nulla è la cosa più importante proprio perché è in sé nobile non essendo vincolato al rapporto di servitù tipico del lavoro. Si svela quindi il legame tra il pensiero di Aristotele e la società del suo tempo, dove il lavoro era svolto dagli schiavi, che rimanevano indissolubilmente incarcerati in questa costrizione sociale. Il lavoro rappresenta così il segno indelebile dell’assenza di libertà, la condanna di una condizione servile che non consente di accedere alla condizione di uomo libero al quale soltanto spetta l’accesso al vero sapere. I pochi (aristocratici) ed i molti (schiavi) La società greca è decisamente separata da una frattura: da un lato i pochi, le persone elette che perseguono le virtù morali, e dall’altro i molti costituiti dagli schia- vi che per sopravvivere devono lavorare a beneficio dei primi. Questa netta separa- zione costituisce il tratto sociale più forte di quella civiltà, la cui chiusura è evidenziata dalla immutabilità della condizione di schiavo da cui non è possibile riscattarsi. Sullo sfondo troviamo una precisa concezione del rapporto tra anima e città. Aristotele. 41 L’anima greca era quella gloriosa, esposta alla lode ed al biasimo pubblici (De Ligio 2014, 30). Il tipo di legame tra anima e città che forma la polis è dato da un doppio movi- mento: l’ordine umano è una parte subordinata di quello divino; ma nello stesso tem- po, il mondo umano permea quello divino, poiché le dee e gli dei sono perennemente agitati dalle stesse passioni che interessano gli esseri umani. D’altra parte, è in forza della facoltà intellettiva che gli uomini possono avvici- narsi alla condizione divina perché grazie al suo intelletto l’uomo può aspirare a ciò che non muta, a ciò che è eterno – le “nature”, le “essenze”, le “idee”. La tensione del pensiero verso l’alto possiede un carattere divino e consente all’uomo virtuoso di ergersi al di sopra dell’oscura valle della morte e di protendersi verso l’immortalità nella memoria dei contemporanei e di coloro che verranno dopo di lui, in forza della lode suscitata dalla sua esistenza commendevole. Di conseguenza, per il filosofo, l’u- nica realtà veramente divina è l’ordine eterno cui può aspirare per mezzo dell’eleva- tezza della sua vita (Manent 2014, 57). Anche l’amicizia fa parte delle virtù che connotano questo circolo degli eletti: l’onore e la lealtà tra compagni, l’aiutarsi l’un l’altro, la vergogna nei confronti delle passioni e dei legami familiari cui non ci si deve sottomettere. Ma nulla di tutto questo è possibile perseguire da parte di coloro che dedicano la loro esistenza alle attività manuali, comprendendo in quest’ambito sia gli schiavi sia i commercianti. La separazione tra il mondo dei pochi eletti e quello dei molti, schiavi e servi, viene sancita da un’idea dall’elevato potere di stigma: i primi possie- dono una “natura filosofica” che li separa fatalmente dal resto degli uomini gravati da una natura inevitabilmente inferiore. Il lavoro nella Roma antica Un cittadino pubblico e privato A differenza della polis greca, la città di Roma ed anche successivamente l’im- pero possedevano una natura estensiva ed inclusiva. Mentre la prima è una città chiusa sia in senso geografico sia in relazione alla struttura sociale, Roma appare sin dal suo inizio tesa all’espansione, poiché è centrata su un’idea di cittadinanza di tipo nuovo. Il cittadino greco era “tutto pubblico”, l’esistenza dignitosa avveniva nella piazza dove si discuteva del pubblico bene, tutto ciò che riguardava l’individuo nella sua vita “privata” era concepito alla stregua di una necessità che non meritava alcuna menzione poiché apparteneva ad un ordine inferiore delle preoccupazioni umane. Roma sorge invece intorno ad un’idea di cittadino completamento nuova, non solo perché si propone come la condizione di un legame che può includere i popoli che le stanno vicini, ma anche perché attribuisce un’importanza decisiva all’individuo ed all’opera che questi svolge nella sua vicenda personale. Lo stato, l’istituzione della cosa pubblica, ha come causa principale la protezione 42 della proprietà privata; Cicerone nel De officiis afferma infatti che, sebbene le persone si uniscano tra di loro rispondendo all’impulso della loro natura sociale, il movente principale che ha fatto loro cercare la protezione delle città è costituito dalla speranza di conservare la loro proprietà (spe custodiae rerum suarum) a fronte della costante turbolenza e provvisorietà che caratterizza le altre forme di organizzazione diverse da Roma (Manent 2014, 197). La questione del lavoro è strettamente connessa a quella che possiamo definire la “teoria dei due caratteri”: «Dobbiamo comprendere che la natura ci ha rivestiti per così dire di due caratteri (personae): l’uno ci è comune e deriva dal fatto che abbiamo tutti parte alla ragione che ci eleva al di sopra delle bestie e da cui deriva ogni moralità [...] mentre l’altro appartiene all’individuo in modo particolare» (Ibidem). Accanto alla persona “comune” abbiamo quindi una persona “singolare”, così che tutta la sua vicenda umana ne risulta accresciuta di importanza. Mentre Aristotele concepiva la diversità degli individui solo in base alle differenti composizioni di vizi e di virtù, per Cicerone l’individuo è oggetto di una considera- zione del tutto nuova poiché è attratto dalla diversità in se stessa, segno non solo di disposizioni virtuose o viziose, ma di differenze ancor più grandi rilevabili nelle loro anime. Mentre la nostra natura comune o universale chiede di essere salvaguardata, la nostra natura singolare possiede in sé una regola ed un’autorità tale da richiedere di essere seguita con serietà e rispetto (propriam nostram sequarum). In questo modo, tutta l’opera umana riceve un significato nuovo, assente presso i greci, ed è in questa mobilitazione delle risorse umane che si coglie la grande differenza dello spirito e della legge romana. La vita individuale assurge ad un valore più elevato, in forza del quale ciascuno è chiamato ad una condotta di vita attiva, caratterizzata da una qualità morale, il decorum, che corrisponde alla concordanza tra le nostre azioni, alla fedeltà al carattere particolare di una vita umana, che si distingue nel mentre apporta un valore proprio all’edificazione dell’impero. Cicerone fa l’esempio di Catone, affermando che gli altri avevano una condotta di vita meno austera, mentre lui era dotato di una incredibilis gravitas, che aveva continuamente esercitato e rafforzato, tanto da spingerlo a morire piuttosto che guar- dare il volto del tiranno. Roma ha inaugurato in questo modo qualcosa dello spirito della modernità: concepire il legame comune non come la rigida istituzione di un ordine ideale bell’è fatto, ma in guisa di una possibilità aperta agli individui i quali possiedono una forza costruttiva originata dalla singolarità delle loro anime che mette in moto un movi- mento continuo tendente alla crescita della città. Si può comprendere la serietà e la costanza con cui i romani hanno perseguito la civilizzazione del mondo circostante, solo ricorrendo al significato protettivo del loro diritto, in quanto garanzia per i singoli di poter svolgere la propria esistenza mettendo a frutto le proprie facoltà interiori, così da svolgere azioni onorevoli in ogni ambito della propria vita. 43 Roma è un movimento di espansione ed inclusione Mentre la norma antica delinea una città che aspira al riposo (otium), per Roma la norma è il movimento, il mettersi all’opera; essa inau- gura l’idea moderna della so- cietà buona in quanto capace di mobilitare le forze umane entro un disegno comune. In tal modo ha creato un tipo di città nuovo, fondata su un re- gime misto pubblico-privato che include la capacità di li- bero movimento. L’azione di ciascuno acquisisce un valo- re centrale nella vita comune, in quanto apporta quella forza, la manifestazione pub- blica della singolarità della sua anima, che costituisce il vero motore della civiltà; in questo modo la crescita continua della città e dell’impero emerge come una carat- teristica intrinseca dello stesso spirito civile, è la corsa che consente a ciascuno di sperare in un miglioramento di vita, ed impedisce al regime misto di decadere. un vero e proprio disequilibrio creatore al cui centro vi è l’iniziativa dei singoli garantita dallo stato (ivi, 293-298). Mestieri e professioni nell’antica Roma L’Antica Roma era una società altamente produttiva. Le fonti del I e del II secolo. d.C. testimoniano la grande varietà delle professioni degli uomini romani. uomini sì, poiché le donne si occupavano principalmente della casa e dei familiari. La forza lavoro dell’Antica Roma produceva perlopiù in settori come l’artigianato e l’edilizia. Inoltre a Roma il commercio era una delle maggiori fonti di reddito. Analizzeremo in questo testo i principali mestieri di chi ci ha preceduti 2000 anni fa, partendo proprio dalla condizione femminile. Le donne, come detto in precedenza, si dedicavano alle faccende all’interno delle mura dome- stiche. Bisogna tuttavia sottolineare il fatto che le nobili romane potevano utilizzare il loro tempo liberamente, poiché il loro compito era svolto dai servi; esse, per esempio, si recavano alle terme o in visita alle amiche. Ricordiamoci inoltre che “la prostituzione è il lavoro più antico del mon- do”. Nell’Antica Roma erano infatti presenti le cosiddette “lupanare” (dal latino lupa = prostituta), chiamate anche bordelli. uomini, anche patrizi, ci si recavano dato il basso prezzo per le presta- zioni. Inoltre, c’è da dire che la prostituzione non era considerata come qualcosa di negativo – anzi – era assolutamente naturale. Passiamo ora agli uomini. Partiamo dicendo che consistente era la presenza a Roma dei clientes. Il cliens era il cittadino che, non facendo parte di un alta classe sociale, era costretto a richiedere la protezione di un patronus (o di un’intera gens) per integrare il suo reddito. In cambio egli Schiavi romani, Parigi, Louvre (da Cartagine). ➔ 44 offriva favori di ogni tipo. Inoltre, anche a Roma erano presenti i disoccupati a vita. Essi vivevano “di rendita”, dato che ricevevano dall’annona dell’urbe il necessario per la sopravvivenza. Mestieri e professioni nell’antica Roma L’intensa attività produttiva romana è attestata da varie fonti, le quali ci portano a una ricostruzione dell’Antica Roma. Dai campi arrivavano le derrate alimentari, mentre in città erano presenti numerosi magazzini che si occupavano della produzione e della vendita di varie merci. Per quanto concerne quest’ultima, subentravano i mercanti. I magazzini (horrea) davano lavoro ai negozianti “al minuto”, come ad esempio i mercanti di frutta ai manovali che si occupavano della manutenzione dell’edificio del magazzino e agli artigiani, i quali lavoravano e raffinavano le materie prime. Esempi di mestieri tipici romani sono: falegnami, muratori e carpentieri. A Roma era inoltre presente una fitta rete commerciale che si estendeva per tutto l’Impero. Arrivavano quindi merci dall’oriente, come la seta (in figura, la via della seta), le varie spezie, gli unguenti ed altro. Per terminare, è importante sottolineare che la forza dell’economia romana sia stata per secoli sostenuta dall’incessante lavoro degli schiavi (detenuti di guerra, ad esempio). (Raffaele Raff http://vivalascuola.studenti.it/mestieri-e-professioni-nell-antica-roma- 181635.html#steps_6) Roma è un grande cantiere in perenne costruzione ed espansione, oltre che in continuo rinnovamento per ciò che riguarda la parte già edificata. un popolo di contadini, operai, artigiani, commercianti ed amministratori si mette all’opera in questo cantiere la cui porta è aperta per tutti coloro che vogliano parteciparvi. Il movimento della grande operosità romana consente di accedere ad una doppia cittadinanza, ad uno spazio comune garantito dalla legge in cui il mondo singolare di ciascuno riceve legittimità e senso: si è parte della vita comune e nel contempo si è individui dotati di una propria esistenza operosa proiettata idealmente al benessere “privato”, circoscritto a sé ed alla propria cerchia familiare. Il significato del lavoro non è più, come in Grecia, confinato nello spazio della necessità privata – l’ambito in cui sono consegnate le attività e le preoccupazioni indispensabili per vivere, benché non assumano un rilievo pienamente umano – ma acquisisce un pieno valore civile proprio in forza delle due idee di città e di cittadino che costituiscono le vere novità della comparsa di Roma nel panorama della storia. La città fondata sul diritto protegge i singoli dalla sopraffazione e fornisce ad ognuno la garanzia della sicurezza circa la sua opera; nel contempo lo spazio comune consente un senso di appartenenza ed un tono epico al continuo movimento della costruzione dell’impero e dell’inclusione dei popoli limitrofi. Il cittadino quindi gode di una duplice rilevanza: in quanto persona che partecipa alla “vita comune” ed in quanto singolo, dotato di una propria originalità, radicata nel profondo della sua anima, in forza della quale fornisce un apporto originale al grande e diuturno movimento costruttivo che sostiene l’avanzata ed il consolidamento dell’impero. Le città appaiono come un movimento brulicante di botteghe che si espandono in un primo tempo in modo caotico, ma che successivamente viene ordinato attraverso i provvedimenti dell’amministrazione perché il loro allontanamento provocherebbe una caduta del tono della vita sociale. Costruire e riparare: i mestieri nell’antica Roma A far grande Roma, nell’antichità, non furono soltanto i letterati, l’eser- cito e i governanti, ma anche quella massa di artigiani che, con il suo in- stancabile lavoro, contribuì alla sus- sistenza pratica e allo sviluppo della civiltà. una storia minore, che ci vie- ne raccontata dalle fonti sullo sfondo dei grandi avvenimenti e di cui ab- biamo testimonianza dai tanti manu- fatti giunti sino a noi. un mondo di lavoratori più o meno sommersi che affollavano la città con i loro mestieri e le loro infinite specializzazioni. Nelle botteghe, dette tabernae, si costruiva e si aggiustava, si ricevevano i clienti e si chiu- devano affari. Si viveva tra il caos e le numerose richieste. Il tempo trascorreva scandito dal colpo del martello per l’orefice Brattiarius, immortalato sul suo rilievo funebre oggi conservato ai Musei Vaticani. L’aurifex, come dice l’iscrizione, è seduto e continua per l’eternità a battere sull’incudine un oggetto di forma allungata. Lo sguardo sembra concentrato in quel gesto, chissà quante volte compiuto, talmente quoti- diano da diventare immediato, quasi scontato. Così forse sarà stato anche per tutti gli altri, per il fabrum (il fabbro), il ceramista (figulum), il ciabattino (sutor), il carrozzaio (cisiarius), il sarto (sartor), uomini che dal lavoro manuale traevano guadagno e sostentamento. Nono- stante l’utilità di certi mestieri, la società colta romana ne disprezzava profondamente la na- tura. una bassa considerazione colpiva tutto ciò che aveva a che fare con l’attività artigianale e con il lavoro salariato, coinvolgendo inevitabilmente anche la condizione dell’artista, non tenuto nella considerazione che in epoca moderna siamo abituati a dare a questa figura. “La bottega artigianale non si concilia affatto con la condizione di un uomo libero”, diceva Cicerone, sottolineando che “tutti gli artigiani praticano un basso mestiere” e pure per Seneca “i mestieri dell’artigiano” erano “vili e volgari”. una certa insofferenza si manifestava anche nei confronti del disordine e della confusione prodotte dalle botteghe in città. Molti desideravano mandar via gli artigiani dal centro di Roma, assegnando zone ben deli- mitate alle loro attività, che tendevano ad allargarsi e a occupare in modo disordinato più spazi possibili. L’Imperatore Domiziano (80-96 a.C.) cercò di regolamentare il caos metro- politano dei mestieri. “Tu, Germanico, hai ordinato di sgombrare i vicoli e dove prima si ve- deva un sentiero, ora possiamo percorrere una via. Nessun pilastro è ora circondato da botti- glie legate intorno a essi, né il pretore è costretto a camminare in mezzo al fango, né il rasoio alla cieca è impugnato in mezzo a una turba che si pigia e nere bettole ingombrano le vie. Barbieri, osti, beccai e cucinieri stanno ciascuno davanti la loro soglia. Ora si può dire che Roma è Roma, prima era una grande confusione di baracche”. una lotta – quella amministrativa – tra l’ordine e disordine, tra la compressione delle botteghe e il loro naturale sconfinamento di cui è forse difficile percepire le proporzioni. Le strade cittadine pullulavano di botteghe. Lungo il Tevere fiorivano le attività commerciali. A Trastevere c’erano i conciari, che lavoravano il cuoio, gli ebanisti, i vasai. In periferia tro- vava posto la lavorazione del vetro. Lungo le vie consolari erano collocati i grandi mattonifici, fondamentali per la produzione di materiali edilizi all’ingrosso. Quello che dobbiamo immaginare, tra i vicoli di Roma, è un universo di specialisti e bottegai che si tramandavano il mestiere di padre in figlio, di generazione in generazione, talvolta ar- ➔ 45 ricchendosi a tal punto da diventare piccoli imprenditori. Agli inizi dell’attività e per la mag- gior parte degli artigiani dobbiamo comunque pensare ad una vita trascorsa a produrre e a “reficere”, riparare. Sbagliato sarebbe generalizzare la condizione giuridica degli artigiani, differente a seconda del periodo e dell’ambito analizzato. Libero di nascita poteva essere il padrone o il salariato, ma tanti erano nelle botteghe gli schiavi o gli schiavi liberati. La ma- nodopera servile ovviamente era largamente utilizzata per i lavori più umili, più faticosi e quindi meno specializzati. Le grandi proprietà, poi, avevano a servizio artigiani incaricati della fabbricazione, riparazione degli attrezzi e dell’abbigliamento del personale. Tra gli ar- tigiani c’erano anche donne, operaie per lo più destinate all’oblio di cui troviamo flebile trac- cia nelle iscrizioni e in altri documenti, che si adoperavano nella lavorazione della lana, “fe- mineus labor”, sarte, pettinatrici, confezionatrici di corone fiori e persino fornaie. (Annalisa Venditti, http://www.specchioromano.it/) Saggezza e laboriosità Roma, sia nella capitale sia in ogni territorio che ingloba, inaugura un’epoca nuova rispetto a quella greca, segnata dalla duplice virtù: la dignità e saggezza dell’uomo pub- blico e la laboriosità dell’umo privato, entrambi partecipi del movimento espansivo ed inclusivo della romanità, una forza di civilizzazione che segna in modo indelebile il mondo antico e pone le fondamenta delle vicende successive. Nel cantiere della civilizzazione sono all’opera nuove forze rispetto ai filosofi ed ai soldati che hanno segnato l’epoca precedente: le aggregazioni professionali, motori de- cisivi che alimentano quella potente spinta che costituisce il cuore vitale della romanità. la Roma antica Pochi anni dopo la fondazione di Roma, da quanto è dato sapere, esistevano già almeno otto collegi che raggruppavano altrettanti tipi di attività: vasai, suonatori di tibia, orefici e argen- tieri, falegnami, tintori, fabbri, lavandai, fornai. Sono fonti molto antiche – di alcuni secoli successive agli avvenimenti trattati – ad illustrare l’importanza di tali gruppi per il mantenimento dell’equilibrio sociale e politico. Attribuendo a Numa Pompilio la distribuzione del popolo in arti e mestieri, Plutarco affermava ad esempio: “Poiché la città era composta da due nazioni, o per meglio dire, separata in due partiti che non volevano in alcun modo unirsi, né far tacere quel dissenso che faceva nascere tra essi ogni giorno risse e contese interminabili. Egli pensò dunque che, come i corpi solidi non pos- sono mescolarsi insieme quando sono interi, ma si uniscono più agevolmente quando sono sminuzzati o ridotti in polvere, facilitando l’unione la piccolezza delle parti, così era neces- sario dividere il popolo in tante piccole parti e creargli perciò degli interessi particolari”. Durante la Repubblica e, successivamente, ai tempi dell’Impero, l’artigianato ebbe alcuni periodi di notevole prosperità nel settore bellico, con la produzione di armi e armature, ed in quello civile, per l’accresciuta richiesta di beni di consumo. Particolarmente fiorente era anche l’edilizia, con le sue numerose specializzazioni artigiane: dai fabbri ai lignari, dai cementari agli arcuari e via dicendo. La vita delle corporazioni fu invece segnata da alterne vicende. I collegi, osteggiati e soppressi numerose volte – in alcuni periodi rimasero in vita solo quelli, dei fabbri ad esempio, ritenuti necessari per esigenze di difesa – vennero ripristinati nel III secolo dopo Cristo. Posti sotto il diretto controllo dello Stato, avevano però perso la caratteristica di libere associazioni pro- fessionali, trasformandosi in strumento di coercizione nelle mani dell’imperatore. Le regole divennero ferree – la partecipazione era ormai obbligatoria e vincolante – soprattutto ➔ 46 47 per le corporazioni che si riteneva fossero produttrici di generi di primaria utilità (armi ovvia- mente, ma anche oggetti in metallo, calzature, tessuti). In alcune di esse si giunse persino, nei periodi di maggiore crisi, all’iscrizione coattiva dei soci: l’appartenenza ad un collegio era ormai divenuta una sorta di condanna. Con la forza delle armi, ma anche con strumenti repressivi e coercitivi di vario tipo, gli imperatori cercavano dunque di arrestare il loro declino. Ma la storia, si sa, non può essere fermata. (http://www.lignarius.net/3/romartig.htm) Roma è un modo di vita comune in continuo movimento, collocato entro una tensione tra “due nazioni”: il popolo e l’aristocrazia, tensione che assume anche la forma di una vera e propria lotta di classe. La struttura per ceti professionali fornisce un’articolazione più complessa alla società ed offre alla parte più elevata del popolo la possibilità di partecipare all’opera comune mettendo a frutto talenti e abilità pecu- liari. Ma ciò non significa che venga meno la gerarchia del decorum civile: filosofi e politici sono collocati al livello più alto della scala sociale, mentre il popolo è fatal- mente posto in fondo ad essa; solo agli artigiani è riconosciuta una posizione più di- gnitosa, anche se, potendo i più intraprendenti di essi trasformarsi in proprietari di attività industriali e commerciali lucrose, vengono visti con sospetto dagli aristocratici e soggetti periodicamente ad interventi volti a limitarne l’espansione. Prevale, come abbiamo visto, un lessico del lavoro che trasuda fatica: labor, ne- gotium ed opus non hanno nulla del significato etico attuale e poco dicono dell’ap- pagamento personale. Ma vi sono anche letterati che, spesso idealizzando il mondo agreste, esaltano il lavoro manuale come condizione degna, conforme alla natura spi- rituale dell’essere umano. Nel Carmen de moribus, Marco Porcio Catone (234 - 149 a.C.) tesse le lodi dell’attività pratica: «La vita dell’uomo è simile al ferro che, adoperandolo, si logora. Ma se non lo adoperi, la ruggine lo consuma. Così degli uomini vediamo che, facendoli lavorare, si logorano; ma se non li fai lavorare, l’ozio e il torpore fanno più male che non il lavoro». Lo stesso Catone tesse l’elogio della vita contadina in De agri culturae; Varrone Reatino (116 - 27 a.C.), in Rerum rusticarum libri tres; ma il vertice di questa corrente filosofico letteraria, con un afflato religioso, è rinvenibile soprattutto nei dodici libri del De re rustica di Lucio Giunio Moderato Columella (I secolo d.C.) oltre che nella poesia di Virgilio. Lucio Anneo Seneca (5/4 a.C. - 65 d.C.) approfondisce il significato dell’attività manuale: nel De otio egli sostiene che l’uomo è chiamato sia all’attività pratica sia a quella contemplativa; ciò gli consente di esortare il saggio a non rinchiudersi nel suo mondo meditativo, ma a coinvolgersi nelle vicende del mondo. Sempre Seneca, nel- l’ottantottesima lettera esorta il giovane Lucilio a considerare le arti liberali come un’attività che rende l’uomo libero nell’animo e nella vita sociale in quanto preparano l’animo ad accogliere la virtù. Cicerone, come abbiamo visto, nel De officiis si spinge più in profondità nella comprensione della natura umana; egli sostiene che nell’agire l’uomo manifesta una componente individuale distinta da quella comune. Ma essa possiede una qualità pe- 48 culiare, vale a dire l’aspirazione ad un legame (vinculum) che, tramite l’opera dei singoli, riunisce la società ed idealmente l’intero genere umano e ciò avviene per mezzo della ragione sollecitata dall’insegnamento, dall’apprendistato, dalla comuni- cazione. È l’intero arco delle relazioni tra individui ad avvicinare gli uomini e riunirli entro una comunità attiva che rivela la duplicità della natura umana: una persona communis accanto ad una persona singulis tributa. In tal modo, il lavoro diviene una componente della vita in forza della quale l’individuo partecipa alla comunità ed alla romanità intesa come condizione spirituale oltre che materiale. Ambizione e avarizia Ma già si intravede il declino di Roma. Per Sallustio, nel primo periodo della storia di Roma, prima della distruzione di Cartagine, prevalevano labor et justitia; tra l’abbattimento di quest’ultima e la vittoria di Silla nel cuore dei Romani l’ambi- zione ha prevalso sull’avarizia; è dopo questo evento che si scatenò l’avarizia: «Quan- do lo stato fu cresciuto grazie alla laboriosità e alla giustizia, e re potenti furono scon- fitti in guerra, popolazioni rilevanti e tribù selvagge furono sottomesse con la forza, e Cartagine, rivale dell’impero romano, fu distrutta dalle fondamenta, e insomma tutte le terre e i mari erano aperti, allora la fortuna prese a infierire e sconvolgere tutto. Gli stessi uomini che avevano tranquillamente sopportato fatiche, pericoli, in- certezze, avversità, trovarono gravosi e dannosi l’ozio, le ricchezze, in altre occasioni desiderabili. Prima crebbe il desiderio di denaro, poi quello di potere, che furono l’o- rigine di tutti i mali. L’ingordigia sovvertì la lealtà, l’onestà e tutte le altre virtù, al posto delle quali insegnò l’arroganza, la crudeltà, la trascuratezza verso gli dei, la venalità di tutto. L’ambizione rese falsi molti uomini, insegnando loro ad esprimere con la bocca cose diverse da quelle che avevano in cuore, a valutare le amicizie e le inimicizie non secondo la realtà ma secondo il proprio interesse, ad avere un aspetto migliore dell’indole. Questi mali in un primo momento si svilupparono a poco a poco e qualche volta vennero anche repressi, ma poi, quando il contagio dilagò come una pestilenza, la città ne fu sfigurata e il governo, da ottimo e giustissimo che era, diventò crudele e intollerabile»3. La decadenza di Roma avviene precisamente quando essa perde il suo carattere attivo entro un quadro di diritto giusto, nell’equilibrio dinamico tra persona comune e persona singolare. La sua parabola segue le tracce dei mutamenti dell’anima: l’epoca dell’edificazione della città è gravida di operosità orientata verso un ideale elevato e svolta entro un patto di comunanza poggiato sul principio di giustizia, garanzia della intangibilità del cittadino e dei suoi beni. Già con il massimo della sua espansione il cittadino romano perde le virtù originarie e cade preda dell’ambizione che procura il desiderio di potere, l’invidia per le fortune degli altri, il perseguimento di modi di ar- 3 Tratto dall’antologia di PERuTELLI, PADuANO, ROSSi (2010), http://online.scuola.zanichelli.it/pe- rutelliletteratura/files/2010/01/testi-it_sallustio_t6.pdf. 49 ricchimento di beni e di uffici non per tramite dell’onesto lavoro, ma secondo vie traverse fatte di accordi do ut des, vincoli non definiti dalle qualità umane e dalla giustizia verso gli altri, ma dall’appartenenza alle cerchie dei potenti e dagli scambi di favori che si instaurano entro di esse. L’avarizia consiste nel punto estremo di caduta di questa parabola, là dove l’at- taccamento ai beni diviene totalmente infecondo4, puramente difensivo. Prevalgono l’ozio, le ricchezze e tutte le altre occasioni di vita desiderabili. È nella caduta del- l’impero che il cittadino romano appare totalmente inetto, incapace né di guerra, né di gestione degli uffici pubblici, né tantomeno di lavoro. Egli ha perso la sua originaria vitalità; la sua anima è stata corrotta dall’abbondanza e ne è rimasta annichilita, si sono spente le fonti della sua un tempo inarrestabile capacità di costruzione. La decadenza di Roma va di pari passo con la perdita della laboriosità nella giustizia. Roma muore prima ancora di essere invasa dai barbari, Roma si spegne nell’anima. * * * * * * * Ma già nel cuore dell’impero, con il cristianesimo si fa strada un’idea nuova di persona e di dignità: ognuno è in sé un valore, unito da un legame di fratellanza uni- versale in quanto figlio di Dio, prima ed in contrasto con le gerarchie sociali, dotato di una sua vocazione personale, unica ed irripetibile. Da qui la rivalutazione ontolo- gica del lavoro, in quanto possibilità di manifestazione della ricerca di compimento che è propria di ogni essere umano. Sorge così un’etica del lavoro, non più collegata all’espansione della potenza imperiale, ma connessa alla vocazione di ciascuno, cir- coscritta ai legami di famiglia e di comunità, dove ognuno è chiamato a svolgere il suo compito per amore di Dio, col cuore libero dagli affanni del denaro e del potere: «una cosa è lavorare manualmente (corpore laborare) con animo sgombro, come l’operaio (opifex) ove non sia fraudolento e avaro e avido di possedere in proprio (privatae rei); un’altra cosa è tenere l’animo occupato dall’affanno di accumulare soldi senza lavoro manuale (sine corporis labore), come fanno gli affaristi (negotia- tores) o gli amministratori (procuratores) o gli imprenditori (conductores); infatti, si danno affannosamente da fare, ma non lavorano manualmente (non manibus ope- rantur) e perciò ingombrano il proprio animo del tormentoso desiderio di possedere (habendi sollecitudine)»5. In questo orizzonte, il lavoro manuale acquisisce un valore nuovo: non costituisce il fondamento della suddivisione tra gli uomini, ma del loro affratellamento. 4 I più recenti studi sulla crisi dell’impero romano mettono in luce la grande influenza del declino demografico: Roma collassò passando da un milione di abitanti ai ventimila del V secolo producendo un’epoca d’angoscia (DE JAEGHERE 2015). 5 SANT’AGOSTINO, De opere monachorum, XVI. 50 Il lavoro nel Medioevo Le due città Si apre un’epoca storica collocata pienamente nell’orizzonte cristiano delle due città, quella terrena e quella di Dio. L’essere umano presenta due generi di appartenenze: «uno di quelli che vivono secondo l’uomo, l’altro di quelli che vivono secondo Dio; in senso mistico li chiamiamo anche due città, cioè due società umane di cui una è prede- stinata a regnare in eterno con Dio, l’altra a subire il supplizio eterno col diavolo» (San- t’Agostino 2011, XXXIX). Ogni persona partecipa alla dimensione terrena e nel con- tempo alla dimensione spirituale, invisibile e mistica protesa verso il pieno compimento. Le due città sono in se stesse diverse ed opposte, ma a livello storico vivono nella me- scolanza, ma non nella confusione, il cui dualismo occorre sopportare (tolerare) secondo la parabola del grano e della zizzania. Si può comprendere l’uomo medioevale, da parte di noi moderni decaduti e per- tanto disincantati perché lacerati da una estrema contraddizione esistenziale, solo se ci si sforza di avvertirne il mondo interiore, lo stato della sua anima, posta entro una tensione benefica che conferisce alla sua azione un carattere pienamente terreno e nel contempo ne alimenta l’anelito verso un compimento escatologico a cui l’uomo aderisce incamminandosi in un percorso di santificazione. Da qui deriva la sua par- ticolare vivezza e serenità nel dedicarsi pienamente al proprio compito, qualunque esso sia, cercando di svolgerlo nel modo migliore possibile. L’uomo medioevale non è un essere disorientato, né annichilito dal timore della condanna eterna; egli conosce bene il proprio posto nel mondo e l’ambivalenza della propria natura, ma vive in mo- do pieno poiché sente di essere chiamato ad un’alta destinazione, così che tutta la sua attenzione è dedicata a condursi al meglio nella duplice lotta interiore ed este- riore. L’anima si rispecchia pienamente nella sua esistenza, e la sua opera di giorno in giorno sollecita un lavoro interiore alla ricerca del compimento. Mai come nel medioevo emerge il carattere del lavoro come mediatore tra l’anima e le due città cui partecipa l’intera umanità. Nonostante la precarietà dell’esistenza, la minaccia che grava costante sulle vite delle persone sia essa proveniente da fattori naturali che sociali, l’oscurità circa il mondo naturale, le popolazioni di quest’epoca vivono una vivezza insieme di passioni e di elevazioni quali raramente si riscontrano eguali nelle altre epoche della civiltà. Essi sanno come si deve vivere per essere degni della condi- zione di creature predilette dal Creatore; avvertono con intensità l’essere parte di un di- segno d’amore, splendido e drammatico, quello esposto da Dante in conclusione alla sua Commedia: «L’amor che move il sole e l’altre stelle». Le due forme d’amore sono strettamente legate: Dio attrae il mondo con amore eterno, disinteressato e misericor- dioso, e l’uomo, la creatura più sorprendente e prodigiosa, ha la possibilità di partecipare a questo divino flusso corrispondendo al dono ricevuto con eguale amore, offrendo qual- cosa di sé, imperfetto ed insieme prezioso ai Suoi occhi. Per i medioevali lavorare, vivere, salvarsi sono tutt’uno, così come è un uno il mondo, tanto da rendere meno distanti le grandi differenze sociali tra le classi ed i 51 ceti, una condizione che nel nostro tempo sarebbe semplicemente intollerabile, ma che nell’Età di mezzo costituiva lo spazio di una appartenenza che accomunava tutti. L’artigiano medioevale e le corporazioni La figura caratteristica del lavoro medioevale è indubbiamente costituita dal- l’artigiano. In primo luogo egli riconosce che il suo particolare talento è segno di predilezione divina: egli avverte un senso di distinzione che procura un vivo desi- derio di creare opere, ed insieme una convinzione dal forte significato morale, che suscita in chi l’ha ricevuto un senso di riconoscenza e di dedizione che coinvolge l’intera esistenza. L’azione dell’artigiano non procede per necessità, né per denaro, ma per impulso vitale all’azione ben fatta, producendo opere che trasudano riconoscenza e compar- tecipazione: fare bene le cose come ringraziamento e restituzione fornendo agli altri i frutti delle proprie capacità affinché, nell’ottenerne un beneficio, ne colgano al con- tempo il tratto mistico e si riconoscano, tramite la concordanza delle proprie anime, nella comune vicenda di salvezza. Il pane ed il tavolo, il carro e l’insegna della lo- canda, l’armatura e l’abito di broccato sono oggetti dotati di un significato intenso, materiale e mistico, sono l’espressione sensibile di un sentimento della vita che muove l’intera città medioevale e ne spiega il grande senso di familiarità ed elevazione che ancora oggi promana dai borghi e dalle magioni che abbiamo il privilegio di visitare. L’artigiano non è un essere isolato, ma appartiene ad una gilda, la fraternità di coloro che condividono il medesimo dono dall’alto e la stessa seria e lieve vita ope- rosa. una creazione sociale che il medioevo riceve dal tardo impero romano e che perfeziona portandola al suo più elevato splendore. le corporazioni e le confraternite una delle tante eredità che l’antichità lasciò al medioevo furono i pri- mi prototipi di corporazioni. Più o meno chiaramente e direttamente ma è certo che i corpi e collegia romani furono i primi esempi di quel- le che poi, nel medioevo, diventeranno, appunto, le corporazioni. Tralasciando i motivi della loro nascita, mi limito solo a far sapere che le difficoltà imperiali, obbligavano queste collegia a un vincoli- smo rigido. Era quindi impossibile l’abbandono di un mestiere da parte di chi lo esercitava: un figlio di un calzolaio doveva fare per forza il calzolaio e così via... Questi vincoli sono da ricercare nelle varie riforme che l’imperatore Diocleziano (284-305) attuò nel corso del suo governo. Ma tale vincolismo ebbe effetti negativi sui lavora- tori: scoraggiò, ma non eliminò del tutto la fuga dei mestieri e svuotò di ogni elasticità e dinamicità l’economia romana tardo-imperiale. Nel V secolo si ebbe una liberalizzazione dei mestieri per poi tornare alla rigidità con il periodo ostrogoto in Italia, per ovviare alla crisi di produzione. Nel mondo barbaro, il lavoro è considerato ai livelli più bassi; questo significa che andarono perdute ogni forma di associa- zione che non producesse beni di pubblica utilità. Non diversa era la L’Agnus Dei fu lo stemma dell’Arte della Lana, una delle più importanti e potenti corporazioni medievali. ➔ 52 concezione nella sfera bizantina, ove erano solo strumenti totalmente subordinati all’impero. Qual è dunque l’anello mancante tra le corporazioni medievali e i rudimentali strumenti dell’antichità e del primo periodo dell’età di mezzo? Tale anello sembrerebbe essere quel- l’organizzazione franco-longobarda di età ottoniana (metà X secolo). La prova di questo è da ricercarsi in un documento: le Honoratie civitatis Papie un documento dell’XI secolo. Gli artigiani che praticavano lo stesso mestiere erano riuniti in ministeria; tali strumenti erano solo “espressioni di un sistema vincolistico sopravvissuto” sia per l’area del nord Italia, sia per l’area bizantina. Ma molti erano i contrasti tra i ministeria e il potere politico che li vin- colava e frenava il loro dinamismo economico. E qui nascono le differenze locali: si va dal- l’episodio più eclatante di Pavia nel 1025 ove ci fu una vera e propria rivolta, ed episodi più morbidi, con coesistenze tra le due diverse forme. A Pisa, nel XII, il commercio di vino, grano e olio, dipendevano ancora dal visconte etc... ossia, diritti pubblici esercitati sui mestieri dell’approvvigionamento della città. Ma anche altre corporazioni protrassero per tutto il medioevo questi vincoli di ministerialità: fabbri, muratori, acquaioli... Anche servizi pubblici ben più ampi e straordinari venivano esercitati facendo svolgere ai propri membri una funzione di vigili del fuoco e altri casi di emergenza. Dal XII secolo però queste associazioni si svincolano dal potere e si incentrano sul libero associazionismo, dal rapporto confraternale e di mutuo soccorso. Difatti prima del XIII secolo è difficile fare una distinzione tra corporazioni e confraternite e anche quando ciò avvenne, esse conserva- rono molti aspetti comuni. Le corporazioni però accentuavano sempre più la loro vocazione economica eliminando forme di concorrenza, garantendo un prezzo di mercato (o calmierato). Non è un caso inoltre che dal XII secolo compaiono sempre più atti pubblici firmati da arti o dai loro “capi” insieme ai rappresentanti del potere politico. Com’era organizzata una corporazione? Al suo vertice c’erano i maestri che dettavano le direttive, la proteggevano da fuoriuscite di tecniche e conoscenze, redigevano gli statuti e tenevano rapporti coi lavoratori subalterni. Si diventava maestro solo dopo un lungo periodo di apprendistato: il discepolo lavorava e viveva insieme al maestro. Modi, tempi e costi furono presto regolamentati: si andava dal notaio tra la famiglia dell’apprendista e il maestro, si controllava la provenienza, in alcuni casi si con- trollava perfino che non avesse vincoli con qualche signore...insomma, l’ingresso all’appren- distato era molto difficile, generalmente non più di due per maestro. L’apprendista pagava il maestro che, in cambio di vitto e alloggio, aveva anche manodopera a costo zero. L’inizio avveniva quando il ragazzo aveva dodici o quattordici anni e variava anche il numero totale di anni di apprendistato. Il tempo passato in apprendistato era molto importante, perfino più della prova finale. Tale prova era il capolavoro cioè un manufatto realizzato a regola d’arte che l’allievo doveva presentare ai maestri per ricevere il permesso di entrare nella cor- porazione (dietro anche a una tassa di accesso). Ma non erano cose fisse: se gli affari andavano male e c’era una crisi generale, i tirocini e le tasse aumentavano, viceversa diminuivano se era un periodo economicamente florido. Ma c’erano altre difficoltà quali, ad esempio, il fatto che non tutti potevano permettersi una risorsa che non solo era immobilizzata ma che in più richiedeva un costo per il suo mantenimento dal maestro. Inoltre non era nemmeno facile aprire in proprio una bottega. Infatti era cosa molto comune che i figli degli artigiani stessi seguissero le orme paterne ere- ditando la bottega e il lavoro. I maestri detti “forestieri”, uomini provenienti dalle altre città ma anche da altri paesi, erano spesso presenti nei periodi di espansione economica, e per en- trare in una corporazione, prendevano la cittadinanza e pagavano una tassa di immatricola- zione. Invece nei momenti di difficoltà economica potevano nascere frizioni tali da compor- tare, in casi limite, la creazione di due corporazioni per lo stesso mestiere: una composta dai locali e l’altra dai forestieri. ➔ 53 Molto forte era la rete di solidarietà all’interno delle corporazioni e confraternite: nei confronti di membri ammalati o feriti si facevano sovvenzioni alla sua famiglia; per i defunti si eserci- tava la pietas degli altri membri. I lavoratori stranieri, soprattutto nel Quattrocento e Cinque- cento, avevano a loro disposizione ospedali riservati all’accoglienza di lavoratori della loro natio. E le donne? Il rapporto donne-corporazioni fu complesso. Nell’Europa del Nord fu abbastanza semplice, in quanto non solo ebbero facile accesso, ma avevano anche proprie corporazioni femminili. In Italia invece, anche nei casi previsti, esse furono sempre estromesse e in subalternità al maschio. Questo discorso, in genere, valeva solo per alcune corporazioni come quella del tessile, alberghi, locande...ma è possibile trovare donne anche in mestieri non prettamente femminili come i fabbri, falegnami e muratori. Ma in questi ultimi casi vi erano entrate solo perché il marito, defunto, gliela aveva lasciata in eredità. Ma mille erano i modi di fare ostruzionismo nei loro confronti: tasse di iscrizione esorbitanti, considerare decadute le vedove dalla corporazione etc...Per quanto riguarda le regole di una corporazione, possiamo dire che essa ricalcava, in genere, lo statuto di un comune. Anzi era proprio il comune a controllarne la compilazione e, in genere, i vari statuti si assomigliavano da corporazione a corporazione, tranne quelli della lana e della mercanzia che erano un po’ diversi, data la loro estrema importanza nell’economia di una città. In comune c’erano le re- gole per accedervi, le cariche più importanti, le varie disposizioni per la convivenza tra i mae- stri, le giornate in cui era proibito lavorare, esortazioni a esercitare il proprio mestiere con coscienza, obblighi morali e religiosi per i vari membri...raramente si può trovare delle fonti che parlano dell’organizzazione del lavoro. I luoghi d’Europa in cui si svilupparono maggiormente le corporazioni erano l’Italia, le Fian- dre, la Francia, la Penisola Iberica e alcune città tedesche. Quello che le differenzia era come si proponevano nei confronti della politica: in Francia e nell’Italia del sud furono sempre sotto tutela regia (proprio nel sud Italia si formarono tardi, in epoca angioina). Le confraternite europee non si differenziarono molto da quelle italiane: erano luoghi ove la priorità era la preghiera e non il lavoro. Guardiamo meglio l’Italia centro-settentrionale. Non sempre il binomio corporazione-comune è reale, cioè non sempre la corporazione comanda in città; questo discorso vale per Firenze dove il potere economico era identico a quello politico invece a Milano le due componenti trattavano alla pari senza però essere la stessa cosa mentre a Venezia le arti furono sempre subalterne al potere politico. Inoltre bisogna precisare anche che l’affermazione politica del “popolo” non è identica a quella delle arti. Il “popolo” formò proprie strutture organizzative e una sua egemonia in molte città del nord Italia ma nei luoghi dove questo non avvenne, fu il ceto mercantile e non gli artigiani, a prendere il potere. Ma è anche vero che le arti, in certi casi, aiutarono il popolo nella sua ascesa. Resta però il fatto che “popolo”, arti, nobiltà e signori erano enti politici differenti e che erano possibili tutte le combinazioni di alleanze tra le varie componenti e non fenomeni generalizzati. Inoltre il “popolo”, come definizione, varia da città a città, da situazione a situazione e quindi non sempre la sua connessione con le arti è netta e precisa. I mestieri dei Giudici e Mercanti erano talmente importanti che, soprattutto nel XII secolo, finirono per esercitare una tutela giurisdizionale anche sulle altre corporazioni (questo vale a maggior ragione per i mercanti). I mercanti erano dunque una corporazione che tutelava i propri membri e una sovracorporazione in quanto dirigeva l’intera economia e quindi eserci- tava una notevole influenza anche nelle altre corporazioni. Inoltre, per tutto il Medioevo, continuarono anche a svolgere una funzione pubblica: regolamentarono l’applicazione di pesi e misure, il diritto di rappresaglia etc... Nelle processioni laico-religiose cittadine, le varie corporazioni sfilavano a parata seguendo ➔ 54 un ordine ben preciso, e questo ci dà l’idea della loro importanza e del peso che avevano in una città: giudici, notai e mercanti occupavano le prime file, poi venivano gli artigiani metallurgici (fabbri, orafi etc...), quelli del cuoio, l’abbigliamento. È scontato dire che per alcune arti, il loro peso varia da città a città: i macellai (o “becchai”) erano insieme alle arti del tessile, spadai, spe- ziali...ma altre volte erano in posizioni più marginali. Osti e tavernieri sfilavano, generalmente, in fondo insieme al vettovagliamento, ai pittori, barbieri e falegnami. Infine lardaioli, mugnai, facchini, vetrai e altri mestieri di basso prestigio sociale, non perché fossero inutili ma, visto che su di loro continuava a esser ben presente un controllo comunale che li vincolava a forme di mi- nisterialità, essi avevano ben poca indipendenza decisionale. Non tutto il lavoro veniva organizzato in corporazioni, solo i mestieri più importanti. Chi eser- citava un lavoro in maniera libera, come piccoli artigiani, era esente da una tutela, da un aiuto (non a caso, nel Trecento, quando questi si rivoltarono, chiesero di costituirsi a corporazione). Soprattutto in certi settori, come il tessile e la lana, i conflitti tra corporazioni e lavoratori liberi erano più complessi: come un primo distacco da capitale e forza lavoro, dove si accentuavano sempre più i lavoratori specializzati rispetto a quelli che conoscevano tutta la catena di produzione e il ricorso a manodopera salariata, a un maggior controllo degli orari e della produttività. A metà Trecento, in città come Siena e Firenze, tra le corporazioni della lana e i lavoratori salariati ci furono tumulti e frizioni. I Ciompi fiorentini del 1378 e a Siena nel 1371 non furono altro che esempi di tali rivalità dovute, in gran parte, alla crisi del Trecento; essi volevano rovesciare tutte le strutture istituzionali, quindi anche le corporazioni. Ma se a Siena la repressione portò a un al- largamento temporaneo anche ai lavoratori subalterni, a Firenze si ebbe un inasprimento. Proprio la crisi del Trecento portò con sé una necessità di riconsiderare il lavoro corporativo, ristrutturando il modo di produzione. Si incominciò a utilizzare la manodopera delle mani- fatture rurali, non inquadrate a tutte quelle regole corporative come i minimi salariali. Inoltre le corporazioni non erano adeguate a un mercato sempre più di massa, con prodotti di minor pregio ma anche di minor costo. Questa erosione avvenne in primis nelle Fiandre che, con una progressiva liberalizzazione, smantellò tutte le strutture corporative. In Italia non è chiaro l’indirizzo preso. Ci si mantenne su un indirizzo di manufatti di lusso e a una struttura delle arti e queste ultime non furono trasformate dall’economia. Ciò che cambiò furono le istituzioni, coi signori e le famiglie, che privarono le corporazioni della loro indi- pendenza decisionale; si mantenne però la parte religiosa e assistenziale ma furono anch’esse inquadrate all’interno del disciplinamento ecclesiastico del Cinquecento. Sia le corporazioni che le confraternite furono private del loro potere decisionale e divennero strumenti in mano ad altri soggetti (stato, Chiesa, privati...) fino alla loro progressiva scomparsa. (Lorenzo Amadori, http://www.tuttostoria.net/medio-evo.aspx?code=322) Apprendista a bottega Il lavoro artigiano istituito ed organizzato entro le corporazioni diviene in que- st’epoca un formidabile strumento di avanzamento sociale del popolo, iniziando quel- la lenta ascesa di un ceto di persone, e famiglie, la cui fortuna era riposta nell’arte delle mani e nell’ingegno operoso. Essi sono i veri borghesi, letteralmente gli abitanti dei borghi, di cui costituiscono la linfa vitale. Le corporazioni, contrariamente allo stereotipo prodotto successivamente dal pensiero liberale, non erano affatto una realtà chiusa e difensiva; i principi di mutualità e di organizzazione sia della bottega sia del reticolo dei commerci di cui era intessuto il mondo medioevale, mettono in moto una patrimonio spirituale dotato di una for- midabile capacità costruttiva oltre che di conoscenza. 55 Quella conoscenza che avveniva secondo il metodo dell’ allievo-maestro, l’isti- tuzione educativa più importante dell’epoca, in grado di risorgere rinnovata anche ai nostri tempi, dopo il tramonto del meccanicismo sociale. un contratto bolognese di apprendistato Antonio, con apposito patto, ha messo suo figlio Michele a bottega presso maestro Corrado calzolaio perché impari l’arte della calzoleria nei prossimi cinque anni. Egli ha promesso so- lennemente, senza eccezione alcuna di diritto o di fatto, di far sì che detto Michele suo figlio perseveri, per l’intera durata del suddetto periodo, ad abitare continuativamente col suddetto maestro Corrado eseguendo fedelmente e diligentemente tutto ciò che il detto maestro gli co- manderà relativamente alla teoria e alla pratica della sua arte. Farà in modo altresì che si impegni a custodire e a salvaguardare le cose del maestro o quelle di chiunque altro che fossero nella di lui bottega, a non commettere furti e a non tenere mano a chi volesse commetterli, a non fug- girsene o comunque a non separarsi dal maestro fino al compimento del suddetto termine. Se il ragazzo contravvenisse in qualche cosa, Antonio dovrà risarcire opportunamente il sud- detto Corrado indennizzandolo; in particolare farà sì che lo stesso Michele risarcisca il maestro con il proprio lavoro, rimanendo presso di lui oltre il termine pattuito per un numero di giorni pari a quelli in cui l’apprendista si fosse allontanato contro il volere dei maestro. Inoltre darà al maestro, portandoglieli a casa, un’oca, ovvero anche due focacce e due capponi, ogni anno in occasione della festa di Santo Stefano. Parimenti il maestro Corrado, come con- troparte, ha promesso al suddetto Antonio, stipulante per sé e per i suoi eredi e a nome del sud- detto Michele, di insegnare e di istruire con cura Michele nell’arte suddetta dandogli ogni anno un paio di calzature. Tutto ciò le parti hanno promesso vicendevolmente e solennemente. (Roberto Greci 1995, p. 27. http://www.treccani.it/export/sites/default/scuola/lezioni/ storia/lavoro_europa_medievale_LIM.pdf) Lavoro e religione Nelle corporazioni bassomedievali la reli- gione racchiuse anche i rapporti di solidarietà tra coloro che condividevano il legame asso- ciativo. Esse si posero sotto la tutela di un San- to, pregavano in comune (alcune erano affidate alle Confraternite) così come in comune gesti- vano i suffragi per i defunti, gli accompagna- menti funebri e le sepolture. Inoltre diedero aiuto reciproco agli associati, tutelarono il pro- dotto della loro maestria, garantirono la condi- zione giuridica degli iscritti tramite la difesa degli interessi comuni e dei privilegi acquisiti. Nella scelta del Santo protettore emerge de- cisivo il significato religioso dell’arte come dono di Dio affidato agli uomini perché lo amministrino al meglio per sé e per la comunità nella tensione positiva di duplice “lavoro” terreno e mistico. Simboli di arti e mestieri medioevali. Il monachesimo ed il lavoro Come e perché si è formata una vera e propria civiltà monastica e perché essa ha avuto un tale impatto sull’elaborazione e la fioritura della civiltà occidentale, in generale e vista dal punto di vista più particolare della vita quotidiana? Il primo motivo salta agli occhi: i monaci dovevano vivere. Ora, certamente non sempre capitava che le terre che i signori donavano loro, per carità, calcolo o timor panico dell’infer- no, fossero le migliori. Esser monaco, dunque, voleva dire, all’inizio e per secoli, dissodare, liberare dagli sterpi, drenare, prosciugare, irrigare, arare, mietere. Più tardi, quando i religiosi furono passati dal rango di contadini e pastori a quello di im- prenditori e direttori di aziende agricole, il loro ruolo fu di dirigere, coordinare e sorvegliare il lavoro dei campi e dei vigneti, l’allevamento del bestiame, il saggio sfruttamento delle fo- reste, la buona conduzione dei vivai di pesci e degli alveari. Il pugno di fratelli che si accinge a fondare un nuovo luogo di preghiera a due o tre giorni di cammino, lascia il monastero con un certo numero di utensili, delle scorte di cibo, qualche pianta (di vite, in particolare), qualche animale. Sempre che la casa-madre sia in grado dì fornire tali abbondanze, il che non capita sempre: Cîteaux è sopravvissuto miseramente per anni ed è stato anche sul punto di morire d’inedia, fino a quando arrivò il futuro san Bernardo con trenta reclute. Ma erano più istruiti dei contadini, che formavano, nel XII secolo, la stragrande maggioranza della popolazione, più liberi di loro dai pregiudizi, più aperti alle innovazioni e alle novità, molto meno sedentari; infatti, due Padri per ciascuna abbazia si recavano ogni anno al Capitolo Generale, a piedi: il mezzo di trasporto più meraviglioso che esista al mondo! Immaginiamo che bel pezzo di strada si trovava davanti uno che partiva da kinsloss, in Scozia, o da Alcobaca, in Portogallo e doveva arrivare a Cîteaux, in Borgogna. Da parte loro, i Visitatori, questi rappresentanti del potere centrale, vanno da un’abbazia a un priorato, a controllare “in loco” il buon funzionamento e la regolarità dei “poteri locali”. I Benedettini sono dunque, per forza di cose, dei fattori di conoscenza, dei portatori di sapere e di applicazioni pratiche, in breve, dei vettori di progresso. Certo, i monaci non sono i soli ad aver lavorato la terra – anzi, in complesso, smisero assai presto di farlo, per diventare dei solidi latifondisti, capaci di far rendere bene le terre... e gli uomini. Ma, “educatori economici” (H. Pirenne) per eccellenza, “istruttori illuminati della massa rurale” (G. e G. Blond), creano delle fattorie modello, amministrano “imprese di avanguardia”, “aree privilegiate per audaci esperimenti nel campo dell’agronomia” (G. Duby). Sono l’assistenza tecnica, efficace e gra- tuita, al terzo mondo dell’epoca, cioè all’Europa dopo l’invasione dei Barbari. Qualche fatto per illustrare quanto andiamo dicendo: le fertili terre della Beauce, in Francia, sono state create dall’Abbazia di Morigny. L’agronomia ha fatto i suoi primi passi, nel medioevo, sotto la guida di Suger e di Alberto Magno, senza dimenticare santa Ildegarda e Pietro de Crescenzi. Il più antico regolamento forestale, quello dell’Abbazia di Marmoutier, risale al 1144. I monaci austriaci di Doberlan avevano costruito, fin dal 1273, una serra sperimentale. Nella stessa Parigi, i Certosini, che non hanno – neanche per sogno! – la vocazione di lavorare la terra, coltivavano, nei loro vivai, ben ottantotto specie di pere, di cui alcune sopravvivono ancora oggi. I Benedettini neri introducono l’olivo, il gelso e il baco da seta nella provincia di Padova, l’Ordine di Malta trasporta a Malta della terra di Sicilia per coltivare gli aranci; i Cistercensi trapiantano in In- ghilterra il melo per fare il sidro e le tecniche che permettono di fabbricare la sicera. I Bene- dettini fiamminghi, verso la fine del X secolo, hanno inventato la birra, la cervesia lupulina, che non deve essere confusa con la “cervogia”, che non è chiarificata né, soprattutto, conciata col luppolo. L’Inghilterra monastica è nel medioevo la produttrice per eccellenza di lana: le abbazie cistercensi di Fountains e di Rievaulx producono, da sole, da 10 a 13 tonnellate di lana e talvolta il doppio. L’abbazia di Bobbio produce 5.000 porci. I monaci di Einsiedlen ➔ 56 57 allevano dei cavalli il cui mantello grigio-topo è tanto celebre da dare origine al termine ein- siedlerfarbe altri monaci hanno inventato la fecondazione artificiale dei pesci. E così via... È superfluo dire che produzioni di tale entità implicano l’esistenza di centri commerciali e di reti di vendita; non ne restano fuori neppure gli austeri Olivetani. Essendo esentate da tutti i dazi, le abbazie giocavano con le carte vincenti. Fatto che non attirava loro le simpatie dei borghesi, tradizionalmente “anticlericali” e, soprattutto, antimonastici. un settore dell’agricoltura in cui i monaci sono stati particolarmente brillanti è quello della viti- cultura: uno dei risultati più prodigiosi della grande impresa benedettina. La viticultura, l’hanno propagata dappertutto: i Cistercensi da Heiligenkreutz a Clos-Vougeot, dalla Rioja a Sancerre; il Cluniacensi da Clos de Bèze, (ancor oggi uno dei più grandi Borgogna esistenti), a Egri Bikaner, in ungheria, da Wilberton, in Inghilterra, a Dezaley, in Svizzera. Anche in Italia, in cui la civiltà del grappolo ha meno sofferto per i colpi inflitti dai Barbari, si può constatare in questo campo la presenza attiva dei monaci: i Benedettini delle diverse famiglie hanno dato incremento, in particolare, ai vini dei Colli Euganei, al Freisa, al Gargano, al Greco di Gerace e al Greco di Tufo, al Mantonico, al Santa-Magdalena dell’Alto Adige. Ai monaci di Grottaferrata dobbiamo il Frascati; ai Cistercensi il Gattinara; ai Certosini il Capri; ai rudi Cava- lieri di Rodi, il Bardolino, il Soave e il Valpolicella; il Locorotondo, di Puglia, ai Templari, senza dimenticare il Lacryma Christi, un bianco secco, profumato, di cui siamo grati... ai Gesuiti. Tanti esperimenti, felici e non, ma in ogni caso condotti con intelligenza, fecero dei religiosi, Benedettini di Cluny o di Cîteaux, di Vallombrosa o di Camaldoli, Norbertiani, canonici regolari certosini o Cavalieri di Rodi; Carmelitani, Domenicani o Gesuati (perché vi si misero tutti), i maestri incontestati della viticultura, e per molti secoli. Il loro ruolo, nella “selezione dei vitigni e nel perfezionamento della vinificazione resterà dominante fino al XVIII secolo”, scrive J. Clau- dian. Dobbiamo ai Cistercensi della Germania la coltivazione a terrazze. La prima opera che tratta delle condizioni delicate e complesse della viticultura fa parte di un atto di fondazione del- l’abbazia di Muri, presso zurigo, che risale all’XI secolo. (Léo Moulin, 1998, 2-3, http://digilander.libero.it/lucianog78/bened.pdf) L’artigiano è l’attore primo di una civiltà dei borghi che, partendo dalla bottega, ha saputo raggiungere vette insuperabili nelle grandi cattedrali che ancora oggi pos- siamo ammirare, ignari del nome dei loro costruttori. Egli è portatore di un onore che indica un valore in sé, un obbligo che viene da dentro, ma non nel senso di un’a- strazione; al contrario, esso consiste in una spinta che mobilita l’intero spettro delle facoltà proprie della persona e lo spinge a fare bene le cose. Nella città medioevale la somiglianza con Dio Anche la città è segno di Dio: l’opera umana riesce se esprime il creatore, se è somigliante all’opera di Dio. Mentre per gli antichi la forma ideale è il quadrato, l’uo- mo del medioevo vede la città ideale nella forma circolare in cui sono racchiuse le forme quadrate: «Il cerchio e il quadrato simboleggiano due aspetti fondamentali di Dio: l’unità e la manifestazione divina. Il cerchio esprime il celeste, il quadrato il terrestre, non tanto come opposto al celeste, ma in quanto creato. Nei rapporti tra il cerchi ed il quadrato esiste una distinzione ed una conciliazione. Il cerchio sarà dun- que rispetto al quadrato quello che è il cielo rispetto alla terra. Il quadrato però può essere iscritto in un cerchio e ciò significa che la terra dipende dal cielo. Il quadrato non è altro che la perfezione della sfera su un piano terrestre» (Davy 1999, 195). 58 Gli uomini del Medioevo utilizzarono come simbolo della città un antico gero- glifico formato da una croce inscritta in un cerchio. Ciò significa che il tempo umano, la sua opera, è pienamente compresa ed elevata nella prospettiva dell’eternità6. Nel libro 9 di Ezechiele, per rivelazione di Dio ai profeti, si legge che si salveranno dalla distruzione della città di Gerusalemme solo quelli che avranno disegnato in fronte il segno “Tau”, il termine greco utilizzato per indicare la croce, quindi segno di prote- zione divina. L’uomo medioevale non iniziava un’opera, non si metteva al lavoro – tanto più il costruttore di città – se non dopo averla posta sotto la protezione di Dio. Perché l’opera umana, ed a maggior ragione la città, il luogo in cui gli uomini abita- vano, non era vista nella prospettiva limitata da un pensiero chiuso in se stesso, come nell’epoca che stiamo attraversando, ma era un’edificazione in grado di connettere l’esistenza del singolo con l’eternità di Dio. Ecco un esempio, riguardante la città di Friburgo, edificata secondo la simbologia medievale che include l’opera umana nel disegno di Dio. La prima immagine propone un disegno della fine del 1500, dove la città è posta sotto la protezione di Maria con Gesù Bambino che regge in mano la sfera del mondo (Lelù Rapisarda, 2013, 244-260). 6 La croce è il simbolo della fede nella redenzione attraverso la crocifissione del Cristo. È un simbolo anche dell’onore (la scelta di “portare la croce”, ovvero partecipare all’opera redentrice di Cristo) da parte dei cristiani verso Colui che ha donato la propria vita per la salvezza. Ciò risulta anche nelle pratiche laiche: infatti anche lo Stato moderno, per onorare un cittadino, gli fa dono di una croce (croce di guerra, d’onore etc.). Veduta di Friburgo al 1589. Da un disegno di Gregor Sickinger, in Freiburg wächst weiter, p.12. 59 La seconda immagine, sempre riferita alla stessa città, mostra la trasformazione successiva, che ha visto un’espansione del centro storico, una sua bastionatura ed infine la riduzione di quest’ultima in tempi più recenti. La città di Friburgo nella sua evoluzione storica dal XII al XIX secolo. Come si vede, la città ha subito una prima espansione tra il 1200 e il 1677; la cortina bastionata è stata realizzata tra il 1677 e il 1745. Ma il centro storico man- tiene quella forma originaria che ne indica il valore di segno di benedizione della vita comune, iscritta nel legame dell’uomo con Dio. Verso la supremazia dei commercianti L’unità sostanziale dell’opera umana non era riposta in un concetto astratto e neppure nella tecnica, era “l’uomo in quanto creatura intelligente” (Morris 1979, 78), coinvolto nella ricerca di una perfezione dell’anima attraverso l’esercizio dell’abilità e dell’immaginazione che impegnava l’intera città, ognuno per la sua parte. Ogni lavoro bene fatto possiede un carattere artistico perché “ogni mestiere è un’ar- te” (De Man 1931, 183): il che significa, per l’uomo medioevale, che rivela la verità. L’organizzazione corporativa infonde nel borgo una spinta tale da provocare nel tempo una trasformazione consistente della sua struttura. Poco alla volta, appare e si sviluppa un’economia dotata di caratteri propri, di una sua forma propria costituita da una rete di botteghe specializzate, oltre che di un’etica distinta dalla visione natu- 60 rale propria dell’Alto medioevo. Le forze messe in moto dall’anima posta nella ten- sione feconda tra città terrena e città divina hanno saputo dare forma ad un modo di vita che si espande progressivamente nel mondo rurale e che produce nel contempo istituzioni di governo delle città e dei territori circostanti. Poco a poco emerge una nuova figura, in grado di svolgere nella scena pubblica il ruolo più importante: il commerciante, colui che non solo conosce le vie e le regole dei traffici dentro e fuori la vita dei borghi, ma che possiede i capitali necessari per gestire un’economia che si è fatta sempre più ampia ed articolata, per governare la quale è necessario separare il momento del lavoro da quello del commercio. Accanto all’artigiano della piccola bottega che produce una quantità di beni cir- coscritta ai bisogni degli abitanti del borgo e del territorio immediatamente circo- stante, sorge una figura di artigiano in grado di far lavorare più botteghe disperse in un territorio più vasto, coordinate tra di loro sulla base di un sapere nuovo dedito alla migliore organizzazione dei fattori mobilitati. In tal modo si possono produrre quan- tità più elevate di beni ed immetterli in un mercato sempre più ampio ed esigente. L’artigiano si specializza nella produzione, mentre lascia il compito della vendita ai commercianti che divengono quindi i veri protagonisti di un’economia che non conosce confini e si confronta con territori più lontani, trafficando con i quali si arricchisce non solo la borsa, ma anche la conoscenza del mondo. Il lavoro di bottega Dalle notizie che ci forniscono gli statuti delle arti emergono alcune costanti che in qualche modo ci consentono di parlare di un’organizzazione corporativa della produzione. Cellula di questo sistema era la bottega, la cui esistenza era garantita da una severa normativa elaborata dall’associazione, tesa a creare condizioni paritarie tra tutti gli artigiani tanto nella fase di acquisizione delle materie prime (disponibilità e costi), quanto nella fase della lavo- razione del prodotto (aspetti tecnici e gestione della mano d’opera) e infine in quella del suo esito commerciale. Dentro la bottega, due erano le figure fondamentali: il maestro e il suo discepolo. Il rapporto che in età medievale si veniva a instaurare tra queste due persone, pur definito da precisi con- tratti notarili e da una serie di norme collettive che erano imposte dalla corporazione, tendeva in sostanza a risolversi nella pluralità di esigenze della famiglia artigiana. Il maestro, infatti, si impegnava non solto a insegnare l’arte al ragazzo, sfruttandone così la sempre maggiore capacità produttiva, ma anche a vestirlo, a calzarlo, a garantirgli vitto e alloggio ospitandolo stabilmente: molti erano gli apprendisti provenienti da luoghi non vicini del contado, ove ri- tornavano nei periodi di “ferie” che per lo più coincidevano con la mietitura e la vendemmia. In certi casi il maestro, cui era consentito un forte potere coercitivo vere o presunte inadem- pienze contrattuali da parte del giovane, era tenuto anche a garantire l’insegnamento della lettura e della scrittura. L’integrazione del ragazzo, di solito intorno ai dodici anni, in questa seconda famiglia era tale che frequenti erano i casi di unioni tra apprendisti e figlie di maestri; questi matrimoni garantivano fra l’altro la trasmissione di attività altrimenti destinate a ces- sare. L’avviamento professionale vero e proprio, accanto ai molti lavori domestici riservati al ragazzo, si esauriva per lo più nell’osservazione attenta dell’opera dell’artigiano, nella ri- petizione dei suoi gesti, nell’ascolto dei suoi consigli. In un secondo momento il giovane co- minciava ad attendere a operazioni secondarie e particolari, semplici e ripetitive; e solo alla ➔ fine – dopo qualche anno dì apprendistato – poteva sperare di raggiungere pienamente l’abilità professionale del maestro. Questo semplice sistema produttivo però non restò sempre eguale a se stesso per tutta l’età me- dievale. Molte cose mutarono dal momento in cui apparvero le corporazioni con i loro consoli e i loro statuti tutti tesi a proteggere interessi e autonomia delle varie categorie. Nel corso del XIII secolo cambiò prima di tutto l’intensità della vita economica urbana, potenziata dal rapido aumento demografico, dal sensibile aumento della domanda, dal forte sviluppo di alcune fra le produzioni trainanti che richiedevano l’impiego di tecniche nuove, in alcuni casi di vera e propria avanguardia (si pensi all’industria tessile). E si modificò anche il rapporto tradizionale tra ca- pitale e lavoro. L’impianto di attività particolarmente complesse richiedeva una disponibilità finanziaria di fatto assai maggiore di quella di cui poteva disporre il semplice artigiano. Dietro questi mutamenti vediamo per lo più emergere con potenza le figure dei mercanti, atti- vissimi operatori economici non più itineranti ma stabilmente residenti nella città e provenienti, almeno in Italia, da una grande varietà di ambienti. Tutto questo concorse a modificare la strut- tura complessiva del sistema corporativo. Alcune associazioni scomparvero o vennero private della loro autonomia, altre uscirono allo scoperto a causa del progredire di un’organizzazione del lavoro che, a seconda dell’importanza delle operazioni e della ricchezza che una certa spe- cialità assicurava, determinava indipendenza o, al contrario, soggezione gerarchica di alcune categorie ad altre. Si crearono sostanziose differenze tra costellazioni di corporazioni e confini netti tra associazioni di serie A e di serie B. Le distanze, maturate sul piano economico, si accentuavano poi se proiet- tate sul piano politico; in certi casi – come in quello fiorentino – venivano formalizzate (arti maggiori e arti minori) con conseguenze facilmente intuibili ad ogni livello. In altri casi ciò non avvenne; anche se è comunque possibile riconoscere un distacco tra il prestigio, i diritti, le iniziative delle associazioni di mestiere: a Bologna, per esempio, i mercanti e i cambiatori de- tenevano una posizione privilegiata rispetto a tutte le altre corporazioni. Quanto al costituirsi di più intimi legami di dipendenza tra singole arti, i casi giunti fino a noi rispecchiano la grande varietà di situazioni. Ancora un esempio bolognese: la corporazione dei fabbri, che in origine raggruppava al suo interno la totalità delle persone che lavoravano i metalli di qualsiasi natura e di qualsiasi foggia, a un certo punto dovette accettare il fatto che gli orefici costituissero infine una propria, autonoma “società” (XIV secolo), la quale era in precedenza “nascosta” tra i molti altri membri della corporazione “madre”. In alcuni casi il processo è inverso: pensiamo al settore tessile e a quello dell’abbigliamento, che nel corso del basso Medioevo conobbero un grande incremento. Le corporazioni dei sarti, per esempio, vennero spesso e volentieri progressivamente subordinate al controllo interessato delle corporazioni mercantili; i tintori, invece, furono costantemente soggetti all’arte della lana. Ma emblematici restano gli sviluppi dell’arte serica, un tipo di produzione sviluppatasi in Italia settentrionale nel basso Medioevo a causa di robuste emigrazioni, per motivi politici, di artigiani lucchesi. Sembra proprio che in settori come quello serico, che abbisognava di strutture pro- duttive nuove e complesse, germinassero elementi tendenti a superare la tradizionale autonomia della bottega artigiana e il tradizionale sistema corporativo. una spia di queste trasformazioni può essere ravvisata senza dubbio nella formazione di una crescente categoria di salariati a fianco di maestri e apprendisti. Trasformazione e superamento, si diceva, ma anche tenace sopravvivenza. E infatti assai inte- ressante vedere come certe specialità, tendenzialmente ad alto rischio di rimanere “schiacciate” dalla complessità di nuove produzioni, ambissero a organizzarsi in corporazioni; questo ci induce a pensare che il legame associativo, da tempo sperimentato, continuava a essere visto come una garanzia per ottenere reali autonomie o quanto meno per difendersi dall’aggressività imprenditoriale del ceto mercantile. A questo proposito si può citare il caso particolare, e ben documentato, delle corporazioni genovesi. ➔ 61 62 Accanto ai seaterii (i mercanti-imprenditori perno di tutto il processo produttivo) ruotavano le categorie addette esclusivamente alla produzione: filatori, tintori e tessitori. A tutti questi artigiani gli statuti del 1432, che sancivano la supremazia dei seaterii, vietavano categorica- mente di riunirsi in associazioni autonome. I tintori però, nel 1465, ottennero di redigere delle norme specifiche per fissare quantomeno le consuetudini praticate. Anche i filatori arriveranno a un simile risultato, ma non prima del 1598 e dopo una serie di fallimenti e di estenuanti lotte. Tra questi due casi, tra loro ben lontani a causa della innegabile distanza economica esistente tra le due categorie, si collocavano i tessitori. Eredi di un’autonomia fondata sul possesso del telaio (non a caso la loro “arte” era già rico- nosciuta a metà del Quattrocento), essi dovettero comunque ingaggiare una lotta poderosa per difendersi dall’aggressività del mercante imprenditore. I seaterii proibirono loro di tenere più di due telai a testa, di tessere per proprio conto o per chi non fosse iscritto all’arte della seta, di fare lavorare filati fuori città; con ciò si voleva chiaramente contenere l’accrescimento economico di queste piccole imprese. Interessante appare l’evoluzione della produzione serica nella città di Venezia, già fiorente a fine Duecento. Dagli statuti dell’arte del 1278 emerge una struttura corporativa salda e omogenea nonostante la cospicua varietà di competenze e di fasi lavorative. Solo al momento dell’immatricolazione il lavoratore doveva dichiarare il ramo di attività professato: torcitura, bollitura, tintura, or- ditura, tessitura. In seguito, nel XV secolo, ritroveremo queste specialità dotate di forte auto- nomia, anche se il mercante-imprenditore continuava a garantire la sintesi dell’intero pro- cesso. Tale frammentazione di interessi e di obiettivi doveva generare uno scarso coordina- mento e rivelarsi alla fine controproducente. Non fu forse un caso, dunque, se a un certo punto (XVI secolo) l’industria della seta veneziana cedette di fronte alle più recenti e “meglio” organizzate produzioni delle città o dei centri minori della terraferma. E insomma nella progressiva separazione tra capitale e lavoro che si misura la trasformazione della realtà produttiva urbana organizzata in corporazioni. Ma si evidenziarono novità anche in quelle che, per il tipo di produzione cui erano destinate, mantennero più delle altre i tradi- zionali connotati artigianali. E questo contrasta con l’idea di staticità che il liberismo ha con- tribuito a diffondere intorno al fenomeno corporativo. (Roberto Greci, 1995, 71-97) L’umanesimo civile La visione di una società brulicante di produttori, commercianti, viaggiatori, ar- tisti, tutti allo stesso tempo acquirenti di beni e servizi che costituiscono i mezzi di un costume di vita considerato dignitoso e molto più esigente rispetto a quello pre- cedente alla crisi del Trecento, consegna all’uomo del basso medioevo un nuovo spi- rito il cui tratto decisivo è costituito dall’orgoglio di chi sa di padroneggiare forze in grado di modellare l’ambiente, fare incontrare popoli, decidere delle sorti dei governi. Nel pensiero della Firenze cinquecentesca di Leon Battista Alberti, il lavoro ac- quisisce un pieno valore culturale nella prospettiva dell’ “umanesimo civile”, tramite l’ideale morale della vita attiva, una visione dell’uomo libero e creativo, come Dio creatore e provvido. L’ethos – dimensione indispensabile di ogni convivenza sociale – scaturisce dall’operare umano, di cui l’agire economico è un’espressione. Tale azio- ne rappresenta il punto di congiunzione, sempre dinamico ed aperto al futuro, tra mondo individuale e mondo collettivo. In questo modo, inizia un processo di “umanizzazione” della vita economica, che significa porre l’uomo al vertice della società, in un primo tempo nella figura di 63 co-creatore, e successivamen- te come fautore quasi esclusi- vo del reale. È il commercian- te detentore di ricchezze e protagonista dei mercati; il suo pensiero si orienta sempre più decisamente sugli aspetti materiali degli scambi econo- mici. In definitiva, è lui che possiede le chiavi della vita buona e le utilizza ispirandosi alla legge morale; ma, quando questa è incompatibile con i suoi interessi (come nel caso del prestito ad usura, condan- nato dalla Chiesa), ne prende le distanze appellandosi al principio di coscienza. Siamo alle porte di gran- di rivolgimenti che chiudono l’epoca medioevale ed inau- gurano quella moderna. Jac- ques Le Goff li attribuisce prevalentemente alla macchina, lo strumento che ha dato inizio ad una fase della storia dominata da una strabiliante esplosione della potenza umana, esercitata sia sulla natura sia sulla società. In tal modo conferma che molti dei caratteri solitamente attribuiti in modo esclusivo al mondo moderno erano presenti già nelle epoche pre- cedenti, come la separazione tra lavoro e capitale, l’organizzazione della produzione su base razionale, l’avvento delle procedure amministrative e contabili, l’internazio- nalizzazione dei mercati, il governo della cosa pubblica gestito dai rappresentanti del nuovo ceto borghese. Ma per spiegare il superamento dell’Evo di mezzo occorre anche riferirsi ad uno spirito nuovo che anima il Rinascimento ed apre la strada all’epoca dei Lumi, uno spirito centrato sul primato dell’individuo, sull’orgoglio di poter ampliare gli orizzonti della propria esistenza tramite una presa sul mondo resa possibile dal potere della scienza e della tecnica, un sentimento di sé totalmente impensabile nelle epoche precedenti. Montaigne definisce questo spirito con l’espressione “forma sovrana”: «Guardate un po’ quel che ci dice la nostra esperienza. Non c’è nessuno che, se si ascolta, non scopra in sé una forma sua, una forma sovrana che lotta contro l’educazione e contro la tempesta delle passioni che le sono contrarie» (Montaigne 2005, 1499). La forma sovrana indica un duplice movimento esistenziale del soggetto umano: egli non trae dalla natura, o dalla società, i criteri della sua condotta di vita, ma si pone innanzitutto Botteghe artigiane. Particolare tratto da Ambrogio Lorenzetti, Effetti del buon governo nella città. Palazzo Pubblico, Siena. 64 in ascolto di se stesso scoprendo la sua individuale disposizione nel mondo; succes- sivamente, forte di questa fonte di energia, egli persegue un progetto di esistenza vir- tuosa totalmente sciolto da qualsiasi legame convenzionale, al fine di affermare un io autentico, distaccato dal vivere comune. La modernità porta in sé un movimento trasformatore tale da produrre l’individuo ed assieme ad esso una nuovo modo di porsi nella città che alla lunga consumerà i legami preesistenti. Il lavoro nella modernità Potenza delle macchine Come già ricordato, è il passaggio dal lavoro agricolo a quello industriale che segna l’ingresso nella modernità e quindi la fine del Medioevo “lungo” (Le Goff 2006). Con essa compaiono tutte quelle trasformazioni che rendono completamente diversa l’era che va dalla fine del ‘700 ad oggi. Il primo grande rivolgimento accade in Inghilterra, dove iniziano le prime manifatture, e riguarda la fine dell’economia di sussistenza di tipo agricolo propria di famiglie collocate su terreni del pubblico demanio, che vengono letteralmente buttate sulle strade verso le nuove città industriali dagli “atti di recinzione” (Enclosures acts) emanati del governo. Con queste leggi venivano recintati i campi aperti (open lands) e i campi comuni (commons lands) così che i latifondi, liberati dalla scomoda presenza di queste popolazioni, potessero essere coltivati mediante le nuove tecniche della meccanizzazione agricola con un nuovo tipo di lavoratori: i salariati. Questi poveri, incamminatisi verso le città alla volta degli opifici, andarono a costituire le prime schiere di quel sottoproletariato urbano da cui derivò successiva- mente la classe operaia, segnando un periodo di gravi problematiche sociali. La prima classe operaia riceveva un salario (che ricorda la retribuzione dei sol- dati romani che aveva come oggetto appunto il sale, una materia molto pregiata a quel tempo) settimanale perché gli uomini erano soliti ubriacarsi nel giorno della do- menica e non si sapeva se sarebbero tornati sobri ed efficienti al lunedì mattina. Ad essi erano attribuiti i lavori pesanti che richiedevano forza fisica, mentre donne e bambini erano preferiti per il lavoro sui telai, dove potevano sfruttare l’agilità delle dita, ricevendo però paghe ancor più misere di quelle degli uomini. Era iniziata, dopo l’era delle scoperte dell’uomo primitivo, la seconda è più vi- stosa rivoluzione del lavoro umano, che portò milioni di persone dalla campagna alle città, dall’agricoltura all’industria. Ciò modificò il rapporto tra abitazione e sede di lavoro, e portò ad una trasfor- mazione radicale della struttura familiare che poco a poco perse la configurazione di clan patriarcale per diventare sempre più nucleare, concentrata sulla sola coppia ed i suoi figli. Il nuovo lavoro industriale porta con sé un linguaggio specifico, solo lontana- mente riferibile a quello artigianale, poiché indica perlopiù figure di lavoratori centrati 65 su frammenti del processo produttivo chiamati mansioni. La mansione si è imposta in presenza della cosiddetta “organizzazione scientifica del lavoro”, ovvero la pol- verizzazione delle varie attività in frammenti semplici (appunto, mansioni) a seguito del processo di meccanizzazione del lavoro. Il suo ideatore, Frederick Taylor, aveva elaborato una metodologia rigorosa che definiva il lavoro seguendo tre fasi: analisi delle caratteristiche della mansione da svolgere, creazione del prototipo del lavoratore adatto a quel tipo di mansione, selezione del lavoratore ideale al fine di addestrarlo ed introdurlo nell’azienda. La seconda fase risulta centrale appunto perché è in base alla mansione che si definisce il lavoro da svolgere da parte della singola persona, alla quale non era richiesta né una specifica conoscenza né una competenza particolare, poiché era sem- plicemente chiamata ad operare in un frammento del processo di lavoro (specie produttivo, ma tale metodologia è stata applicata anche alle burocrazie), senza una visione dell’insieme dell’opera a cui contribuiva. Esempio di fabbrica dell’inizio del 1900. Quindi, il lavoro umano non assume una configurazione definita da una relazione della persona con il prodotto completo, ma diviene oggetto di studio e di verifiche empiriche al fine di stabilire il compito minimo di ogni lavoratore, il tempo in cui è tenuto a svolgerlo e le modalità specifiche di esecuzione. Il lavoratore agisce come parte del meccanismo oppure come supporto allo stesso per attività di scarso conte- nuto e valore (pulizia, alimentazione, controllo del prodotto a vista o tramite utensili elementari). Il lavoro si svolge per condizionamento, in primo luogo intenzionale per poi divenire involontario, sorretto da un incentivo economico. Al lavoratore è chiesta 66 fondamentalmente una capacità totalmente inedita nelle epoche precedenti: unifor- marsi al meccanismo organizzativo e svolgere puntualmente il compito assegnatogli, senza assumere iniziative di alcun genere, salvo la possibilità di suggerimenti miglio- rativi che Taylor consigliava di sollecitare e di apprezzare anche economicamente. Lavoratori dequalificati che operano sulla base della mansione riflettono un’or- ganizzazione del lavoro sottoposta al principio di razionalizzazione del ciclo produt- tivo che viene impostato sulla base di criteri di ottimalità economica, attraverso l’eliminazione degli sforzi inutili (il lavoratore su mansione svolge lo stesso movi- mento per innumerevoli volte stando sempre entro uno spazio fisso, così da evitare la dispersione di energie e quindi di tempo: quando ciò accade, l’esperto di tempi e metodi entrerà in campo per suddividere ulteriormente tale lavoro in ulteriori fram- menti della stessa durata, affidandoli ciascuno ad un operaio diverso), l’introduzione di sistemi di incentivazione per sostenere la produttività individuale, la gerarchizza- zione interna con una serie di capi e sotto-capi che svolgono il ruolo di “controllori di persone”, infine la rigorosa selezione del personale che, per gli addetti alla catena, ricerca soprattutto soggetti dotati di destrezza fisica, disciplina e tenuta del compito nel corso del tempo (Morgan 1999). Per questo motivo, risultarono particolarmente adatti al lavoro mansionistico donne e fanciulli oppure – specie per i lavori più faticosi – persone provenienti dal mondo agricolo. L’operaio della catena di montag- gio perde ogni tipo di discrezionalità: mentre nell’attività agricola o ancor più nella bottega artigiana o semi-industriale egli poteva scegliere i tempi e i modi del suo lavoro, con l’introduzione di queste nuove procedure è costretto a adattarsi ai ritmi e ai metodi scelti dai dirigenti. Con l’emanazione di leggi di tutela, le nuove figure presentano una nuova va- lenza giuridica centrata sul contratto di lavoro, un patto non solo privato tra due attori, l’impresa e il lavoratore, ma una convenzione dal carattere pubblico, derivante da accordi nazionali aventi forza di legge. Il contratto considera il lavoro come un mezzo quantificabile in valore monetario secondo criteri definiti. Il lavoratore è proprietario delle proprie prerogative profes- sionali e quindi ne può disporre come fosse una merce da offrire a colui che è inte- ressato ad avvalersene. Il contratto di lavoro esige la presenza di due soggetti liberi in grado di condurre un accordo che ha per oggetto lo scambio tra lavoro e retribu- zione. Il primo, che può avere contenuto manuale o intellettuale, viene prestato in posizione di subordinazione gerarchica ovvero alle dipendenze e sotto la direzione del datore di lavoro. Quest’ultimo si impegna a sua volta a fornire un ambiente di la- voro sicuro affinché quelle prestazioni vengano erogate nel rispetto delle necessità del lavoratore. Nonostante l’enfasi dell’espressione “civiltà del lavoro” attribuita a questo mo- dello di società, emerge nella stagione industriale un’etica dello scambio che porta con sé un’idea riduttiva del lavoro che perde la sua valenza umana e sociale e viene trattato come un fattore del processo di produzione di cui si cerca di contenere il co- sto. Se è vero che la subordinazione del rapporto di lavoro non implica necessaria- 67 mente che l’opera umana venga concepita come un oggetto, l’etica dello scambio pone l’accento sulla quantificazione economica del contributo umano e sul rapporto di corrispondenza esatta tra prestazione e salario. In tal modo il lavoratore viene se- parato dalla sua prestazione e ciò definisce i limiti dello stesso rapporto di lavoro che non impegna i contraenti su altri aspetti come convinzioni, valori, significati e sentimenti. Il nuovo paradigma del lavoro industriale, al contrario dell’era dell’agricoltura, disegna un nuovo spazio denominato mercato, dove dominano il denaro e l’organiz- zazione. Il lavoro industriale richiede un capitale e, perciò, un capitalista. Il denaro è il mezzo attraverso cui egli acquista sul mercato mezzi di produzione e materie prime, e con essi anche i lavoratori trattati alla stregua di una merce tra le altre, e che vengono a lungo definiti con l’espressione dal sentore meccanicistico di “forze di lavoro”. In questo modo, scompare la persona del lavoratore per fare posto alla sua funzione, quasi una rotellina che concorre con la sua energia al funzionamento sincronico del- l’ingranaggio generale della fabbrica. È questo l’edificio che riunisce i faber e i loro mestieri. Prima della rivoluzione industriale il termine era utilizzato soltanto per le grandi costruzioni in muratura: la fabbrica del Duomo, la fabbrica di San Pietro. La seconda parola chiave del lavoro industriale, organizzazione, deriva dal vo- cabolo greco antico ergon = lavoro, opera, che passa per il derivato òrganon = òr- gano (strumento, strumento musicale, organo del corpo) e, come abbiamo visto, co- mincia ad essere utilizzato soltanto nel ‘300. Ma è solo con l’industria che diviene assolutamente rilevante poiché designa il grande sforzo di razionalizzazione “scien- tifica” del lavoro umano coordinato in vista di uno scopo tangibile e verificabile. Le grandi fabbriche si costituiscono come delle mega organizzazioni che a loro volta si dotano di nuovi linguaggi, come la parola azienda che deriva dal latino agenda = le cose da fare. La forza lavoro operante in essa si divideva in riferimento ad una gerarchia basata sull’importanza professionale (a sua volta definita dalla densità del contenuto intel- lettuale del lavoro e dalle responsabilità assunte) e sul costo: così, alla base della ca- tena si trovavano i manovali (da mano al posto del braccio del bracciante agricolo), appena sopra i quali vi erano gli operai comuni (cioè intercambiabili), subito dopo si trovavano i primi lavoratori portatori di vere e proprie competenze ovvero gli operai di mestiere (dal latino ministerium, derivato da minus = quei che sono meno, ma an- che il ministro si chiamava così perché era meno del re) ed ancora più sopra i capi (da capo = testa) cioè operai provetti che guidavano squadre di altri operai. Successivamente, nella seconda epoca industriale, a seguito dell’introduzione di nuove tecnologie del lavoro, si avverte la necessità di un termine con il quale designare il lavoratore preparato a tale scopo: esso viene denominato qualificato vale a dire portatore di qualità che lo distinguono dall’operaio generico e lo rendono particolarmente prezioso per il funzionamento della fabbrica. Il lavoratore qualificato si riscontra là dove la prestazione, che si svolge entro un ambito più ampio di quello basato su mansioni, può essere descritta in termini 68 di operazioni predefinite secondo una precisa sequenza (detta anche “ciclo di lavo- ro”) e regolate da norme che prevedono una netta distinzione tra operazioni manuali e operazioni intellettuali. Si svolge in prevalenza entro organizzazioni di produzione standardizzata e coinvolge figure di lavoratori – appunto – qualificati e specializ zati. Il contenuto del compito del lavoratore qualificato consiste nell’interpretare le prescrizioni (disegno tecnico, ordine...) e tradurle in un ciclo di lavoro controllando che ogni fase della sequenza sia coerente con lo schema predefinito ed apportando nel caso aggiustamenti e modifiche pur se di carattere secondario. È infatti compito del tecnico esperto fornire al lavoratore le procedure che deve adottare in presenza di particolari compiti e risultati, oltre che assisterlo quando si presentino dei problemi che fuoriescono dalla sua competenza, mentre il qualificato presidia il suo particolare ambito di operatività e gestisce il proprio lavoro sapendo anche intervenire a fronte di varianti ed imprevisti sia pure limitati. Sorsero in questo modo nomenclature quasi interminabili dei vari mestieri operai, tanto che le classificazioni delle forze di lavoro sono giunte a superare i 1.500 tipi. Siamo di fronte al delirio della specializzazione, il criterio di riferimento di quell’or- ganizzazione del lavoro frantumata all’inverosimile, in base al principio secondo cui quanto più le attività umane risultano spezzettate in piccoli domini basati su specifiche abilità, tanto maggiore risulta l’efficienza del meccanismo complessivo. Queste figure erano destinate a lavorare sulla macchina, un termine derivante da macina di mulino, la macchina per antonomasia nel medioevo. Così si possono avere carpentieri, gruisti, tornitori, fresatori, carrellisti, stipettai... I lavoratori concettuali venivano denominati impiegati, termine che deriva dal latino implicatus. Erano così designati perché, dovendo scrivere e far di conto, dovevano inevitabilmente interessarsi al contenuto dell’attività economica di cui trattavano e quindi si trovavano per certi versi più vicini al padrone (pater > patronus > padrone), dei cui affari venivano necessariamente a conoscenza, che agli operai. Il lavoro libera dalle pene dello spirito L’Illuminismo non ha esaltato solo la ragione, ma anche il lavoro, rimedio alla noia, considerata come la vera infelicità. Alla voce “lavoro” della Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers di Diderot e D’Alembert si legge: «L’uomo considera il lavoro come una fatica penosa (peine) e di conseguenza come il nemico del proprio riposo: al contrario è la fonte di tutti i suoi piaceri e il rimedio più sicuro contro la noia (en- nui). Noi uomini racchiudiamo in noi stessi un principio attivo che ci spinge all’a- zione. Nel momento in cui quest’attività non ha da esercitarsi su alcun oggetto reale, lo spirito si ripiega su se stesso, è preda di turbamenti, si agita, e da qui nascono la noia, le inquietudini, gli strani e disordinati appetiti, l’oblio del dovere e l’abitudine al vizio. Il lavoro del corpo, dice il Signore de la Rochefoucauld, ci libera dalle pene dello spirito; ed è ciò che rende i poveri felici» (Diderot-D’Alembert 2003). Il tema del lavoro, nei pensatori illuministi, presenta una decisa connotazione 69 morale; è visto infatti come il modo degno in cui l’uomo deve vivere, se vuole essere coerente con i principi che gli detta la ragione. Helvétius affermava che «La vita del- l’ozioso scorre in un insipido languore [...]. La noia è un baratro senza fondo che i tesori di un impero, e forse nemmeno quelli del mondo intero, non sono in grado di colmare. Solo il lavoro lo riempie. Poche fortune bastano alla felicità di un cittadino laborioso. La sua vita, ordinaria e semplice, scorre senza burrasche [...]. Chi lavora si libera dalla noia. Così l’operaio nella sua bottega, il mercante al suo banco, sono speso più felici del loro monarca. una mediocre fortuna ci costringe a un quotidiano lavoro. Se il lavoro non è eccessivo, e se vi è fatta l’abitudine, diviene perfino piace- vole. Ogni uomo che, attraverso questo tipo di lavoro, può provvedere ai suoi bisogni e al suo divertimento, è felice all’incirca nella misura in cui può esserlo [...]. Il lavoro cui un tempo l’uomo, si dice, fu condannato, non fu affatto una punizione celeste, ma un beneficio della natura. [...]. L’occupazione è la felicità dell’uomo» (Helvétius 1772, capp. XX – XXII). Si propone quindi una concezione civica del lavoro, inteso come una pratica in grado di disciplinare e perfezionare sia il mondo interiore sia la vita sociale dell’uomo. Contro l’aristocrazia spesso latifondista, gli Illuministi sostengono che è immorale vi- vere di rendita, peggio ancora se per negligenza si lasciano incolti terreni che potrebbero fornire un impiego a tante persone. I proprietari terrieri dovrebbero occuparsi in modo più razionale dei loro terreni, così da fornire ai poveri l’opportunità di lavorare, e così pure è apprezzabile investire nelle fabbriche per accogliere indigenti laboriosi. I pensatori di quest’epoca, che contrastano la religione accusandola di oscuran- tismo e di sostenere una concezione pessimistica della vita confermata dalla maledi- zione biblica, non propongono soltanto una versione moralistica del lavoro, essi sono attratti anche dalla sorprendente varietà di modi e di forme dell’attività umana agli albori dell’industrialismo, perché rivelano le strabilianti capacità della ragione applicata sistematicamente alle necessità della vita quotidiana. Il lavoro trasformato dallo spirito razionale si offre all’uomo non solo come un ambito utile, ma anche come fonte di continua meraviglia. In qual sistema fisico o metafisico, si nota più intelligenza, sagacia, ordine che nelle trafilerie da oro, nei telai da calze, nei congegni per la fabbricazione delle passamanerie, dei veli, delle stoffe o delle sete? Quale dimostrazione matematica è più complessa del meccanismo di certi orologi o delle varie operazioni alle quali si sottopongono le fibre della canapa o il bozzolo del baco da seta, prima di ottenere un filo adatto alla tessitura? Vi è cosa più bella, delicata e originale della proiezione di un disegno sulla trama, e della trama sull’ordito? Che cosa si può immaginare di più fine del modo di ricamare i velluti alla cinese? Non la finirei più se mi proponessi di enumerare tutte le meraviglie che si presentano a chi visiti le manifatture con occhi non prevenuti né sciocchi. (Denis Diderot e Jean-Baptiste D’Alambert 1966, 173) Ecco apparire in queste parole anche la critica antiteorica, tramite l’esaltazione dell’abilità tecnica, sintesi di intelligenza, manualità, gusto. Ma la meraviglia delle nuove macchine impedisce a questi esaltatori del mondo razionalizzato di cogliere la 70 miseria della condizione dei lavoratori degli opifici che sono valutati come mera forza di lavoro, ben lontani dalla figura ideale dell’artigiano a cui si ispirano questi osservatori. Il meccanicismo e l’anima automatica La fabbrica appare infatti non il modo tramite cui moltiplicare le occasioni in cui i cittadini possono valorizzare le proprie capacità umane, ma un principio orga- nizzatore della realtà sociale e della vita individuale dotato di un proprio spirito distante dall’umanesimo rinascimentale, espressione di una vera e propria metafisica: il “meccanicismo”. Questo termine indica una visione della realtà secondo cui ogni fenomeno è il risultato di moti di corpi, ogni parte della natura è assimilabile a una macchina fino a considerare l’intero universo come una gigantesca macchina. Ciò apre la strada a una visione materialista della realtà la cui essenza è data dalla funzione che ogni parte svolge entro il processo meccanico che la costituisce (Israel 2015). Meccanicismo Ogni concezione che consideri l’accadere, tanto fisico quanto spirituale, come il prodotto di una pura causalità meccanica e non preordinato a una superiore finalità. Nel senso più generale, il meccanicismo indica una concezione del mondo fisico che spiega i fenomeni naturali attraverso il movimento locale di corpi dotati di caratteristiche meramente quantitative. Questa concezione si esprime già nel pensiero antico con il sistema atomistico di Leucippo e di Democrito: la materia è costituita di atomi, elementi compatti e indivisibili che si muovono, nel vuoto, in tutte le direzioni; la forma geometrica degli atomi e il loro moto spiegano i fenomeni, e le qualità sensibili sono il prodotto dell’azione meccanica dei corpi sugli organi di senso. Attraverso gli sviluppi del sistema di Epicuro, il meccanicismo democriteo ha assunto sempre più un significato antagonistico alle filosofie che subordinano l’ordine cosmico a una visione finalistica e, in fisica, fanno appello come principi di spiegazione del moto a forze vitali o cause formali non riducibili alle leggi del moto meccanico. In questo senso m. è divenuto an- che sinonimo di materialismo. La concezione meccanicistica trovò un suo più articolato sviluppo nella rivoluzione scientifica del XVII sec., in relazione alla ripresa della filosofia corpuscolare e tuttavia non sempre può identificarsi atomismo e meccanicismo, poiché è possibile trovare tentativi di accogliere una concezione corpuscolare e atomistica in una prospettiva platonica e finalistica. Il meccanicismo seicentesco assunse varie forme, anche in rapporto al diverso uso della mate- matica come strumento concettuale capace di trascrivere i fenomeni naturali; resta comunque caratteristica comune del meccanicismo la distinzione tra qualità secondarie (colori, sapori, odori, suoni), che dipendono dalla nostra sensibilità e sono soggettive, e qualità primarie od oggettive (figura, grandezza, posizione, movimento, numero), proprietà geometrico-meccaniche, inerenti alla materia, sulle quali si fonda l’ordine necessario e immutabile della natura. In Descartes la concezione meccanicistica raggiunge una più organica espressione, includendo anche i fenomeni vitali (teoria degli animali-macchina) nell’ambito della “materia estesa” e delle sue leggi, da cui resta distinta la sostanza pensante; mentre Hobbes spiega meccanici- sticamente anche la vita psichica dell’uomo, riconducendola ai movimenti provocati nelle ➔ 71 particelle del cervello dai movimenti degli oggetti esterni. un’accentuazione materialistica del meccanicismo, accompagnata da una aperta polemica antireligiosa, si ha con alcuni espo- nenti dell’illuminismo francese, quali De La Mettrie e D’Holbach, che tendono a spiegare ogni fenomeno, fisico o psichico, con le modificazioni determinate dai movimenti della ma- teria. Motivi caratteristici del meccanicismo si ritroveranno poi nel positivismo e in genere in varie forme di materialismo moderno. (http://www.treccani.it/enciclopedia/meccanicismo/) Il meccanicismo, nonostante la sua apparente materialità, è innanzitutto una ca- tegoria dello spirito, un modo in cui l’uomo pensa se stesso ed il suo posto nel mondo; questo tipo di pensiero appare totalmente inedito rispetto alla filosofia naturale che faceva da sfondo all’umanesimo rinascimentale, dove l’opera umana era ricondotta a fini di valore superiore. L’uomo dell’era meccanica non persegue in apparenza fini superiori, ma una sola categoria, il progresso, che richiede una dedizione assoluta all’ottimizzazione delle procedure in modo da fornire al mercato una quantità sempre crescente di beni e servizi a prezzi accessibili. Per fare ciò, egli accetta di modificare radicalmente la disposizione naturale che era propria dell’artigiano di fronte all’opera delle sue mani, per assumere un metodo scaturito dal calcolo e dall’organizzazione razionale. Lo spirito della razionalità non intende mutare soltanto la natura circostante, ha di mira la trasformazione dello stesso soggetto umano, così da renderlo conforme alle visioni riduttive del mondo che via via elabora in corrispondenza delle scoperte scientifiche e del dominio tecnico. Abbiamo così una successione di fasi del sogno prometeico: meccanica, chimica, biologica. L’uomo così com’è appare ad un tempo esagerato ed incompleto; va pertanto ra- zionalizzato, in modo che ogni sua funzione divenga produttiva entro un disegno controllabile, evitando che il corso del tempo sia sottoposto all’alea dell’imprevisto, dell’azzardo, dello slancio libero e dell’errore. L’epoca moderna inizia questo percorso con la trasformazione del paesaggio, elemento indispensabile del più grande processo di meccanizzazione dell’anima. Tocqueville, visitando le città industriali in Inghilterra, nel 1835, aveva constatato che non solo sul piano dei principi, ma nelle condizioni sociali di esistenza dell’uma- nità investita dalla rivoluzione industriale, la modernità produceva, contemporanea- mente, come in un parto gemellare, civiltà e barbarie, prosperità e miseria, libertà e servitù: nella nuova società industriale, l’uomo civilizzato tornava a essere selvaggio. una spessa e nera coltre di fumo copre la città Alzando gli occhi, vedrete ergersi tutto intorno gli immensi palazzi dell’industria. udrete lo strepito delle fornaci, i fischi del vapore. Questi grandiosi edifici impediscono alla luce e al- l’aria di penetrare nelle dimore umane su cui troneggiano; le avvolgono in una perpetua neb- bia: qui lo schiavo, là il signore. Là le ricchezze di pochi, qui la miseria della maggioranza. Là le forze organizzate di una moltitudine producono, a profitto di un singolo, quanto la so- cietà non aveva ancora saputo dare; qui la debolezza del singolo appare ancora più fragile e inerme che in pieno deserto. Qui gli effetti, là le cause. ➔ 72 una spessa e nera coltre di fumo copre la città. Attraverso di essa il sole sembra un disco privo di raggi. In questa semioscurità 300.000 creature umane si agitano in continuazione. Mille rumori echeggiano incessantemente da quel labirinto umido e buio, ma non sono quelli che escono di solito dalle mura delle grandi città ... È in questa cloaca infetta che il più grande fiume dell’industria umana si origina per fecondare l’universo. Da questa fogna immonda sgorga oro puro. È qui che lo spirito umano si perfe- ziona e si abbrutisce, la civiltà produce le sue meraviglie e l’uomo civilizzato torna a essere quasi un selvaggio. È nel mezzo. (Alexis de Tocqueville 2011, 745-747) Il lavoratore, nelle fabbriche moderne impostate secondo le regole dell’organizza- zione scientifica del lavoro elaborate da Frederick Taylor (1920), è chiamato ad un mu- tamento antropologico fondamentale. Infatti, le caratteristiche fondamentali del nuovo modello consistono nella produzione di beni standardizzati da parte di grandi imprese centralizzate, combinata con il consumo di massa e l’ingegnerizzazione del processo di lavoro mediante pratiche di scomposizione dello stesso per unità elementari. Taylor mira ad eliminare lo ‘sciupio’ e la dispersione di risorse ed energie al fine di abbassare i costi di produzione delle imprese. Egli introduce una polarizzazione delle funzioni direttive inserendo, accanto ai responsabili di reparto cui viene affidato il compito del funzionamento quotidiano dell’officina, anche coloro che studiano l’organizzazione del lavoro ed assicurano procedimenti ed istruzioni per ogni posi- zione (Taylor 1920, 12). L’operaio quindi non decide da sé il modo di procedere, ma esegue disposizioni molto accurate definite da un lavoro preparatorio di “tempi e metodi”. L’insieme delle cognizioni lavorative e tecniche è quindi un possesso limitato alla seconda categoria di figure direttive che si qualifica per il dominio di un nuovo campo del sapere: la scienza dell’organizzazione del lavoro. A questo proposito, è errato dire che i lavo- ratori vengono espropriati di tali conoscenze, perché la classe operaia delle catene di montaggio delle grandi industrie è per gran parte di origine contadina e non artigiana, e per essa il cambio con il lavoro precedente – specie nella fabbrica automobilistica Ford – è sicuramente vantaggioso. Nasce in tal modo anche la pratica dell’addestramento sul lavoro, tesa a insegnare all’operaio – in un tempo anch’esso molto contenuto – come svolgere esattamente la mansione attribuita, nei tempi e nei modi richiesti. una parte dei lavoratori è costituita da figure polivalenti, in grado di sostituire più operai nelle mansioni di una specifica area della catena di montaggio, mentre ri- mangono figure di derivazione artigiana per la produzione e la manutenzione dei macchinari e delle strutture della fabbrica. La rivoluzione del taylorismo ha portato ad un disciplinamento generale delle forze di lavoro; al centro di tale processo vi è lo scambio tra innaturalità del gesto la- vorativo e salario, e ciò è accaduto non secondo il principio marxista della pauperiz- zazione, ma in base a quello della sempre maggiore valorizzazione economica del contributo dei lavoratori in forza dei formidabili risultati del sistema avente al centro la “gigantesca linea di assemblaggio” così costruita (kranzberg e Gies 1991, 114). 73 Allo stesso modo, il modello proposto, che nasce con l’intento di combattere l’arbi- trio, eliminare gli sprechi e imporre un ordine gerarchico fondato sulla distinzione tra comando (al vertice) ed obbedienza (che cresce con la discesa ai gradi più bassi della scala gerarchica), appare nel contempo come un tentativo di normalizzazione della fluidità del mondo sociale e della stessa economia, una sorta di grande stabiliz- zatore in grado di forzare ogni fattore vitale entro uno schema rigido, dove ciascun elemento possa essere isolato, sottoposto a studio nel senso del calcolo, programma- zione e controllo. Taylor è colui che in modo consapevole ha presieduto alla trasformazione delle forme tra- dizionali del lavoro, spontanee ed intuitive, in un grande mec- canismo regolato dall’alto che ben presto si è trasferito dalla fabbrica all’intera società attra- verso le grandi organizzazioni burocratiche amministrative e fiscali ed i mega servizi so- cioassistenziali, previdenziali ed educativi. All’interno di que- sto meccanismo i fattori vitali propri della personalità – le mo- tivazioni, la comunicazione, le relazioni, la disposizione naturale alla cooperazione – sono considerati elementi spuri perché estranei al disegno regolatore e disturbatori dell’ordine così costruito. È importante sottolineare il fatto che questo processo di disciplinamento mecca- nico dell’umano si fondi su una scissione tra la vita artificiale che si svolge entro le mega-organizzazioni e la vita personale e comunitaria. Questa scissione, che avviene nell’epoca della prima e della seconda industrializzazione come fattore distruttivo delle forme antropologiche e sociali pre-industriali (Töniess 1963), è a sua volta un fattore di socialità nel senso che consente alle persone di acquisire la consapevolezza della propria esistenza individuale e disegna uno spazio sociale economico che li vede attori intanto in quanto produttori, ma ben presto anche come consumatori. La critica dell’uomo alienato Lo spirito dell’uomo moderno persegue l’ampliamento della potenza della ra- gione e la riduzione del soggetto umano alla mera condizione materiale; il movimento della modernità non produce solo un mondo artificiale con cui viene sostituito quello naturale, ma porta ad una automatizzazione della stessa anima divenuta a sua volta un organo costantemente proteso verso il soddisfacimento di bisogni programmati. Ciò porta ad una società dei numeri, abitata da una massa di individui protesi ciascuno Charlie Chaplin in Tempi Moderni. 74 verso la propria attività. Gli ambienti del lavoro divengono luoghi di socializzazione, intendendo con questa espressione un tipo di legame scandito da regole e compiti, dove la spontaneità delle relazioni diviene un fattore secondario. Per poter ottenere questo risultato, che muta radicalmente i luoghi in cui si compie l’esistenza e che modellano l’umore delle persone che li frequentano, è stata necessaria un’opera di addomesticamento dell’anima che ha richiesto, specie all’ini- zio, uno stravolgimento sociale tale da rendere lo spettacolo della vita nelle prime fabbriche alla stregua di un girone infernale. Scegliamo il testo in tema di prima industrializzazione, riguardante l’Inghilterra, precisamente i quartieri operai di Manchester nel 1845. Prima del 1770 non esisteva affatto la città industriale; Manchester rappresenta uno dei primi esempi di questa nuova forma di realtà urbana e nel contempo un modello – prevalentemente negativo – di città industriale. Per questo motivo Friedrich Engels le dedica un lungo esame, che occupa circa trenta pagine del suo libro sulla classe operaia inglese. la situazione della classe operaia in Inghilterra Se andiamo oltre, o se con la ferrovia passiamo attraverso il Blackstone Edge, arriviamo alla terra classica in cui l’industria inglese ha realizzato il suo capolavoro, e dalla quale partono tutti i movimenti degli operai, il South Lancashire, col suo centro, Manchester. Di nuovo abbiamo qui un bel paesaggio collinoso, che partendo dallo spartiacque discende dolcemente ad occidente verso il Mare d’Irlanda, con le incantevoli, verdi vallate del Ribble, dell’Irwell e del Mersey e dei loro affluenti; una terra che ancora cent’anni fa era per la maggior parte null’altro che una palude poco popolata, mentre oggi è disseminata di città e villaggi ed è la regione più densa- mente popolata d’Inghilterra. Nel Lancashire, e particolarmente a Manchester, l’industria bri- tannica trova al contempo il suo punto di partenza e il suo centro; la Borsa di Manchester è il termometro di tutte le oscillazioni del traffico industriale; la moderna arte della fabbricazione ha raggiunto a Manchester la sua perfezione [...]. Poiché dunque Manchester è il tipo classico della moderna città industriale e anche perché la conosco come la mia stessa città natale – e più a fondo della maggior parte dei suoi abitanti – ci soffermeremo più a lungo su di essa [...]. Manchester [...] si stende sulla riva sinistra dell’Irwell, tra questo fiume e i due fiumi minori, l’Irk e il Medlock, che si gettano qui nell’Irwell. Sulla riva destra dell’Irwell, cinta da una grande ansa del fiume, si trova Salford, e più a occidente Pendleton; a nord dell’Irwell si trovano Broughton alta e bassa; a nord dell’Irk, Cheetham Hill; a sud del Medlock vi è Hulme, e più a oriente Chorlton-on-Medlock, mentre ancor più distante, press’a poco a est di Manchester, si trova Ardwick. L’intero complesso di edifici è chiamato comunemente Manchester e comprende 400.000 persone, piuttosto più che meno. La città stessa è costruita in modo singolare e si po- trebbe abitarvi per anni e entrarvi e uscirne ogni giorno senza mai venire a contatto con un quar- tiere operaio o anche soltanto con operai, almeno fino a quando ci si limita a occuparsi dei propri affari o ad andare a passeggio. E ciò deriva principalmente dal fatto che, per un tacito, inconsapevole accordo, come pure per una consapevole ed espressa intenzione, i quartieri operai sono nettamente separati dai quartieri destinati alla classe media, ovvero, dove ciò non è possi- bile, sono stati coperti con il manto della carità [...]. Ad eccezione del quartiere commerciale, tutta la vera Manchester, tutta Salford e Hulme, una parte notevole di Pendleton e Chorlton, due terzi di Ardwick e singole strisce di Cheetham Hill e di Broughton non sono che un unico quartiere operaio, che, simile ad una fascia larga in media un miglio e mezzo, cinge il quartiere commerciale. Fuori, oltre questa fascia, abita la media e ➔ 75 alta borghesia. La media borghesia in strade regolari nelle vicinanze dei quartieri operai, spe- cialmente a Chorlton e nelle contrade più basse di Cheetham Hill; l’alta borghesia nelle lontane ville con giardino di Chorlton e Ardwick, o sulle ariose colline di Cheetham Hill, Broughton e Pendleton, nella sana, libera aria di campagna, in comode e lussuose abitazioni, dinanzi alle quali passano ogni quarto d’ora o ogni mezz’ora gli omnibus diretti verso la città. Ma il più bello in tutto ciò è che questi ricchi rappresentanti dell’aristocrazia del denaro possono attraversare i quartieri operai, seguendo la strada più diretta per arrivare ai loro uffici al centro della città, senza neppure accorgersi della miseria che si stende tutt’intorno. Infatti lungo i due lati delle strade principali che dalla Borsa conducono in tutte le direzioni fuori di città, si sten- dono negozi in fila quasi ininterrotta. Queste strade si trovano quindi nelle mani della piccola e media borghesia, la quale se non altro per motivi di interesse mantiene e può mantenere un aspetto più decoroso e pulito. È vero che questi negozi hanno pur sempre un qualche legame con i quartieri che si stendono alle loro spalle, e perciò nel quartiere commerciale e nei pressi dei quartieri della borghesia appaiono più eleganti che non là dove celano i sudici cottages ope- rai; tuttavia sono pur sempre sufficienti a nascondere ai ricchi signori e alle ricche dame, dallo stomaco forte e dai nervi deboli, la miseria e il sudiciume che costituiscono il complemento della loro ricchezza e del loro lusso [...]. Aggiungerò che gli stabilimenti industriali sono disposti quasi tutti lungo i tre fiumi o i diversi canali che si diramano per la città, e passo quindi direttamente a descrivere i quartieri operai. Ecco in primo luogo la città vecchia di Manchester, che si stende tra il margine settentrionale del quartiere commerciale e l’Irk. Qui le strade, anche le migliori, sono strette e tortuose, – come Todd Street, Long Millgate, Withy Grove e Shude Hill, – le case sporche, vecchie e ca- denti, mentre l’aspetto delle strade laterali è assolutamente orribile. Giungendo a Long Millgate dalla Chiesa Vecchia, si ha subito a destra una fila di case antiquate, nelle quali neppure uno solo dei muri frontali è rimasto diritto; sono i resti della vecchia Manchester preindustriale, i cui antichi abitanti si sono trasferiti con i loro discendenti in quartieri meglio costruiti, lasciando le case, divenute per essi troppo misere, ad una razza di operai fortemente mescolata con sangue irlandese. Qui siamo realmente in un quartiere quasi dichiaratamente operaio, poiché anche i negozi e le osterie non si prendono la briga di apparire un po’ puliti. Ma questo non è ancor nulla a paragone delle viuzze e dei cortili che si stendono dietro, e ai quali si arriva attraverso stretti passaggi co- perti, sotto i quali non possono passare neppure due persone l’una accanto all’altra. È difficile immaginare la disordinata mescolanza delle case, che si fa beffe di ogni piano urba- nistico razionale, il groviglio per cui sono letteralmente addossate le une alle altre. E la colpa non è soltanto degli edifici sopravvissuti ai vecchi tempi di Manchester: in tempi più recenti la confusione è stata portata al massimo, poiché dovunque si è trovato un pezzetto di spazio tra le costruzioni dell’epoca precedente, si è continuato a costruire e a rappezzare, fino a togliere tra le case anche l’ultimo pollice di terra libera ancora suscettibile di essere utilizzata [...]. In basso scorre, o meglio ristagna l’Irk, un corso d’acqua stretto, nerastro, puzzolente, pieno di immondizie e di rifiuti che riversa sulla riva destra, più piatta. Con il tempo asciutto su questa riva resta una lunga fila di ripugnanti pozzanghere fangose, verdastre, dal cui fondo salgono continuamente alla superficie bolle di gas mefitici che diffondono un puzzo intollerabile anche per chi sta sul ponte, quaranta o cinquanta piedi sopra il livello dell’acqua. Per di più ad ogni passo il flusso delle acque è ostacolato da alti sbarramenti, dietro i quali si depositano e impu- tridiscono in grandi quantità il fango e i rifiuti. In capo al ponte stanno grandi concerie, più sopra ancora tintorie, mulini per polverizzare ossa, e gasometri, i cui canali di scolo e rifiuti si riversano tutti nell’Irk, che raccoglie inoltre anche il contenuto delle attigue fognature e latrine. È facile immaginare, dunque, di quale natura siano i depositi che il fiume lascia dietro di sé. A piè del ponte si vedono le macerie, l’immondizia, il sudiciume e i rifiuti dei cortili che s’affac- ciano sulla ripida riva sinistra; ogni casa è addossata all’altra e, per l’inclinazione della riva, si ➔ 76 vede un pezzo di ciascuna: tutte nere di fumo, sgretolate, vecchie, con le intelaiature e i vetri delle finestre in pezzi. Lo sfondo è formato da vecchi stabilimenti industriali simili a caserme. Sulla riva destra, più pianeggiante, vi è una lunga serie di case e di fabbriche; già la seconda casa è diroccata, senza tetto, piena di macerie, e la terza è così bassa che il piano inferiore è inabitabile e quindi sprovvisto di finestre e di porte. Qui lo sfondo è costituito dal cimitero dei poveri, dalle stazioni ferroviarie per Liverpool e Leeds, dietro alle quali sorge la casa di lavoro, la «Bastiglia della legge sui poveri» di Manchester, che come una cittadella guarda minacciosa dall’alto di una collina, dietro alte mura e merli, verso il quartiere operaio che si trova di fronte. Oltre Ducie Bridge la riva sinistra diviene più pianeggiante e quella destra più ripida, ma lo stato delle abitazioni su entrambe le rive peggiora piuttosto che migliorare. Se dalla strada prin- cipale – ancora sempre Long Millgate – si volta a sinistra, si è perduti: da un cortile si finisce nell’altro, si continua a svoltare angoli, vicoli, passaggi, finché dopo pochi minuti si perde l’o- rientamento e non si sa più da quale parte voltarsi. Dappertutto edifici in parte o del tutto diroc- cati, – alcuni sono effettivamente disabitati, il che dice tutto in questi posti, – raramente le case hanno un pavimento di tavole o di pietra, e quasi sempre finestre e porte a pezzi, o sconnesse, e che sudiciume! Mucchi di detriti, rifiuti e immondizie dovunque; pozzanghere permanenti al posto dei rigagnoli, e un puzzo che da solo basterebbe a rendere intollerabile a ogni uomo appena civile la vita in questo quartiere. Il nuovo tronco della ferrovia per Leeds, che attraversa l’Irk in questo punto, ha sì spazzato via una parte dei cortili e dei vicoli, ma in compenso ne ha messo a nudo molti altri. (Friedrich Engels 1972, 278-291) Si tratta indubbiamente di uno scenario inquietante, tra la miseria, la degradazione degli operai e l’ostentazione dei ricchi, indifferenti a ciò che vedono da vicino ogni giorno, dovendo necessariamente transitare per questi squallidi quartieri operai. Il testo proposto è un classico della critica del primo capitalismo. Vi è peraltro un’ampia ed interessante letteratura su questo tema, in grado di mettere in luce sia gli aspetti deleteri sia i caratteri di progresso che questo cambio sociale ha compor- tato7. Indubbiamente la classe operaia della prima, come della seconda industrializ- zazione, ha dovuto lottare contro tre avversari temibili: lo sfruttamento, lo svuota- mento del senso del lavoro, la mancanza di sicurezza. Ciò ha alimentato un grande movimento che ha contribuito al miglioramento delle condizioni dei lavoratori sia nella fabbrica che nella vita sociale. Il welfare state – o stato del benessere – si è po- tuto manifestare proprio a seguito delle lotte di classe nei paesi più industrializzati, sostituendo i diritti sociali al precedente paternalismo industriale. 7 Si vedano, tra gli altri: R. TREMELLONI, Storia recente dell’industria italiana, Milano, 1956; G. Luz- zATTO, Storia economica: l’età contemporanea, Padova, 1958; R. MORANDI, Storia della grande industria in Italia, Torino, 1959; G. MORI, La rivoluzione industriale e l’Italia, Firenze, 1961; B. CAIzzI, Storia del- l’industria italiana dal XVIII sec. ai giorni nostri, Torino, 1965; C. CIPOLLA, Uomini, tecniche, economie, Milano, 1966; P. BAIROCH, Rivoluzione industriale e sottosviluppo, Torino, 1967; T. S. ASHTON, La rivo- luzione industriale, Bari, 1969. Esiste inoltre una grande tradizione di ricerche sugli specifici territori, de- nominati “studi di comunità” che danno conto in modo diretto e dettagliato dei processi di trasformazione generati sui diversi piani di osservazione – economico, urbano, sociale, culturale, etnografico – di cui si trova traccia nei manuali di sociologia urbana e di etnografia (ad esempio: G. NuVOLATI, Lezioni di Socio- logia urbana, Il Mulino, Bologna, 2011; M. CASTRIGNANò, Comunità, capitale sociale, quartiere, Fran- coAngeli, Milano, 2012; S. GHEzzI, Etnografia storica dell’imprenditorialità in Brianza. Antropologia di un’economia regionale, Franco Angeli 2007). 77 Ma prima ancora vi è stato un grande movimento di opere sociali a favore del mondo del lavoro, in particolare dei giovani “pericolanti”, emanazione della tradi- zione cattolica e socialista. Le opere sociali e le scuole del lavoro Tra la prima e la seconda industrializzazione, sono sorte nel nostro Paese istitu- zioni educative di tipo nuovo, finalizzate a formare i cittadini attraverso la scuola professionale. un primo esempio di ciò è costituito dalle Scuole di incoraggiamento d’arti e mestieri, promosse dai pionieri dell’industria e da intellettuali, che in un pri- mo tempo operano tramite premi e riconoscimenti e successivamente attraverso corsi di formazione stabili. A Milano la Società di incoraggiamento arti e mestieri fu fon- data nel 1838 da un gruppo di commercianti che compresero l’importanza della im- minente rivoluzione industriale e la necessità di fornire tecnici ed operai specializzati alla nascente industria meccanica e chimica. Esponenti di spicco erano, tra gli altri, Luciano Manara, Marco Greppi, Carlo Cattaneo che fu il primo relatore (direttore) della Società. Il caso milanese è parti- colarmente rilevante poiché è da que- sta istituzione che sorgerà l’attuale Politecnico. Accanto a questa esperienza, oc- corre ricordare la Società Umanitaria che nasce a Milano nel 1893 per opera del filantropo Prospero Moisè Loria. Egli intese realizzare un’istituzione fi- nalizzata alla redenzione dei “disereda- ti”, in primo luogo i disoccupati, con una metodologia nuova, non caritativa ma in grado di aggredire e superare le cause della miseria: “aiutare i diseredati a rilevarsi da se medesimi”. I valori di riferimento erano mazziniani e socialisti, intesi in senso operativo e concreto. Il primo intervento è proprio a favore dei disoccupati: la Casa di Lavoro realizzata nel 1907 ed articolata in diversi laboratori. Da essa nacquero le scuole per disoccupati, i laboratori per indumenti militari durante la guerra 1915- 1918, la Casa di Lavoro dei piccoli. Ma è soprattutto il mondo cattolico che opera in questo campo, mostrando una speciale dedizione nei confronti dei poveri, assistendoli ed offrendo loro un mestiere per una vita dignitosa e utile socialmente. Il precursore di tale tradizione è certamente san Girolamo Emiliani, detto Miani, fondatore dei Padri Somaschi. Egli, nei primi decenni del secolo XVI, si dedicò agli ammalati ed agli orfani; fondò diversi ospedali tra Venezia e Como e diede vita – con un anticipo di oltre trecento anni rispetto agli altri fondatori di opere di questo genere – alla prima “scuola-bottega”, dove gli orfani si guadagnavano il pane e nel 78 contempo apprendevano un mestiere lavorando in “arte honorata” sotto “un padrone di buona qualità”. Ricordiamo poi Maddalena di Canossa, fondatrice dell’Istituto delle Canossiane, la quale operò nell’area lombarda tra il 1805 ed il 1860, dedicandosi in particolare all’educazione ed alla formazione al lavoro delle ragazze. Di rilievo è anche l’iniziativa del canonico Ludovico Pavoni, fondatore del - l’Istituto San Barnaba di Brescia, basato sull’intuizione dell’importanza educativa del lavoro, ovvero “dar professione e pane ai poveri orfani e ai derelitti”. Ma il caso più rilevante è quello della scuola professionale dei Salesiani, fondata da don Giovanni Bosco. don bosco e le scuole Salesiane Chi più di altri ha dato vita in Italia e nel mondo ad opere nel campo dell’istruzione profes- sionale dei giovani è senz’altro san Giovanni Bosco, fondatore dell’ordine dei Salesiani. La sua opera è molto conosciuta in tutti gli ambiti dell’educazione della gioventù ed in tutte le parti del mondo, in particolare attraverso le scuole professionali, inserite nell’oratorio, dove studio, formazione, preghiera e tempo libero si fondono in quel “metodo preventivo” che mantiene intatto il suo valore nel tempo. L’epoca in cui diede l’avvio a quest’esperienza, la fama di educatore che raggiunse già in vita, l’alto numero d’istituti e collegi da lui fondati ne fanno una “pietra miliare” nella storia dell’istruzione professionale. Basti pensare che la prima legislazione relativa agli istituti professionali nel nostro Paese è del 1912, mentre don Bosco aveva iniziato a creare laboratori artigianali già a partire dal 18538. Don Giovanni Bosco nasce nel 1815 a Castelnuovo d’Asti, diventa prete nel 1841 e si dedica al servizio dei giovani. Partendo dalle loro esigenze, fonda oratori, scuole domenicali e serali, convitti, scuole professionali e per studenti; scrive e progetta collane di libri scolastici e po- polari, compone musica e teatro, fonda la congregazione dei Salesiani il cui nome deriva da san Francesco di Sales. Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice – la congregazione che Don Bosco fonderà insieme a santa Maria Domenica Mazzarello per le ragazze – gli permettono inoltre di attuare il suo sogno delle missioni. Don Bosco è morto nel 1888 ed è stato procla- mato santo nel 1934. Siamo nel periodo delle prime fabbriche realizzate nell’immediata periferia di Torino; una grande moltitudine di persone, tra cui molti fanciulli, si sposta dalle campagne circostanti verso la città e finisce per ingrossare il sottoproletariato urbano costituito da vagabondi, in un ambiente misero e degradato. Don Bosco si rivolge soprattutto a questi fanciulli; egli intende “salvare” i suoi ragazzi dai pericoli di una vita senza dignità, offrire loro l’opportunità di guadagnarsi il pane onestamente, formarsi una famiglia, diventare “buoni cristiani e onesti cittadini”. La sua prima opera è stato l’Oratorio di Valdocco: all’inizio esso rappresenta un luogo di ag- gregazione domenicale per lo svago e la formazione religiosa, ma ben presto don Bosco com- prende che per dare un futuro ai tanti giovani che lo frequentavano occorreva insegnare loro un mestiere. E così, nel volgere di un decennio, dopo aver tentato in un primo tempo la via dell’inserimento dei ragazzi nelle botteghe artigianali, nasce la prima esperienza da cui emer- gerà la scuola professionale al cui centro vi sono i laboratori dove i ragazzi potevano appren- 8 Intervista con Francesco Motto, storico dei Salesiani (di Giovanni Ricciardi – 30 Giorni) http://www.salesianinordest.it/index.php?option=com_content&task=view&id=82&Itemid=68. ➔ 79 dere, nel giro di uno o due anni, un mestiere: fabbro, sarto, falegname, tipografo e via dicendo. Contemporaneamente, don Bosco accoglie i ragazzi nell’Oratorio, dando loro vitto e alloggio per il tempo necessario allo svolgimento dell’apprendistato. Pochi anni dopo nacque anche una scuola di tipo “umanistico” all’interno dell’Oratorio, che cominciava dagli ultimi anni delle elementari e arrivava fino al ginnasio, a cui accedevano ragazzi di condizione medio-bassa. Ma gli studenti e gli “artigiani-apprendisti” a Valdocco condividevano la stessa vita: per don Bosco il percorso della formazione professionale ha pari dignità rispetto a quello della scuola “umanistica”. Proponiamo inoltre il Breve promemoria di Don Bosco circa il suo sistema di educazione, conosciuto come “Sistema preventivo”, inviato nel 1878 al Ministro degli Interni Francesco Crispi, con una lettera di presentazione. II Sistema preventivo applicato negli Istituti di rieducazione Eccellenza, Ho l’onore di presentare a V.E. le basi sopra cui si può regolare il Sistema preventivo applicato tra i giovanetti pericolanti nelle pubbliche vie o nelle case ed ospizi di educazione. Nel tempo stesso, ansioso di assecondare il buon volere espresso da V. E., mi fo ardito di no- minare alcune località di Roma che possono servire a tale uopo e che sono dipendenti dal medesimo Governo…Qualunque di questi locali al Governo piacesse di lasciare a mia dis- posizione, lo destinerei esclusivamente a favore dei fanciulli poveri e pericolanti, con leggero disturbo delle finanze del Governo, ed ho piena fiducia che ciò si possa effettuare. In questo modo provvederebbe ad un gran numero di poveri fanciulli che domandano di essere ricove- rati, e si porrebbe anche un termine al grave e dispendioso inconveniente di inviare da questa città una moltitudine di ragazzi abbandonati nell’Ospizio di Torino e di S. Pierdarena. Con fiducia e con profonda gratitudine prego Dio che la conservi e mi professo Della E. V. umile supplicante Sac. Gio. Bosco Roma, 21 febb. 1878 Il Sistema preventivo nell’educazione della gioventù Due sono i sistemi usati nella educazione morale e civile della gioventù: repressivo e pre- ventivo. L’uno e l’altro sono applicabili in mezzo alla civile società e nelle case di educazione. Diremo breve cenno in generale sul sistema preventivo da usarsi nella civile società; di poi come possa con successo praticarsi nei collegi, negli ospizi e negli stessi educandati. Sistema preventivo e repressivo in mezzo alla società Il sistema repressivo consiste nel far conoscere le leggi e la pena che esse stabiliscono; poi l’autorità deve vegliare per conoscere e punire i colpevoli. Questo è il sistema usato nella milizia e in generale fra gli adulti. Ma i giovanetti mancando di istruzione, di riflessione, eccitati dai compagni o dalla irriflessione, si lasciano spesso ciecamente strascinare al disor- dine per il solo motivo di essere abbandonati. Mentre le leggi vegliano sopra i colpevoli, si devono certamente usare grandi sollecitudini per diminuirne il numero. Quali fanciulli debbano dirsi in pericolo Io credo che si possano chiamare non cattivi, ma in pericolo di divenir tali coloro che: 1. Dalle città o dai diversi paesi dello Stato vanno in altre città e paesi in cerca di lavoro. Per lo più costoro portano con sé un po’ di denaro, che consumano in breve tempo. Se poi non trovano lavoro, versano in vero pericolo di darsi al ladrocinio e cominciare la via che li conduce alla rovina. ➔ 80 2. Quelli che fatti orfani dei genitori non hanno chi li assista, quindi rimangono abbandonati al vagabondaggio ed alla compagnia dei discoli, mentre una mano amica, una voce cari- tatevole avrebbe potuto avviarli nel cammino dell’onore e dell’onesto cittadino. 3. Quelli che hanno genitori i quali non possono o non vogliono prendersi cura della loro figliolanza; perciò li cacciano dalla famiglia o li abbandonano assolutamente. Di questi genitori snaturati purtroppo è grande il numero. 4. I vagabondi che cadono nelle mani della pubblica sicurezza, ma che non sono ancora discoli. Costoro se venissero accolti in un ospizio, dove siano istruiti, avviati al lavoro, sarebbero certamente tolti alle prigioni, restituiti alla civile società. Provvedimenti L’esperienza ha fatto conoscere che si può efficacemente provvedere a queste quattro cate- gorie di fanciulli: 1. Con i giardini di ricreazione festiva, con l’amena ricreazione, con la musica, con la gin- nastica, con i salti, con la declamazione, con il teatrino si raccolgono con molta facilità. Con la scuola serale poi, con la scuola domenicale, e con il catechismo, si dà l’alimen to morale proporzionato e indispensabile a questi poveri figli del popolo. 2. In queste adunanze fare indagini per conoscere quelli che sono fuori di padrone, e fare in modo che siano occupati ed assistiti lungo la settimana. 3. Se ne incontrano poi di quelli che sono poveri ed abbandonati, né hanno come vestirsi, né come nutrirsi, né dove dormire la notte. A costoro non si può altrimenti provvedere se non con ospizi e case di preservazione, con arti e mestieri ed anche con colonie agricole. Ingerenza governativa Il Governo senza assumersi una minuta amministrazione, senza toccare il principio della carità legale, può cooperare nei seguenti modi: 1. Somministrare giardini per i trattenimenti festivi; aiutare e fornire le scuole e i giardini del necessario suppellettile. 2. Provvedere locali per ospizi, fornirli dei necessari utensili per le arti e mestieri, cui sareb- bero applicati i fanciulli ricoverandi. 3. Il governo lascerebbe libera l’accettazione degli allievi, ma darebbe una diaria ovvero sus- sidio mensile per coloro che, trovandosi nelle condizioni sopra descritte, fossero ricoverati. Ciò si farebbe constare o dai certificati dell’autorità civile, o dai fatti delle questure che assai di frequente incontrano giovanetti che appunto si trovano in questa condizione. 4. Questo sussidio giornaliero sarebbe limitato ad un terzo di quanto costerebbe un giovanetto nei riformatori dello Stato. Prendendo per base le carceri correzionali di Torino e riducendo la spesa totale di ciascun individuo, si può calcolare ad 80 centesimi al giorno. In questo modo il governo aiuterebbe, ma lascerebbe libero il concorso della privata carità dei cittadini. e già davano non leggeri disturbi alle pubbliche autorità, costoro si ritrassero dal pericolo e si posero sulla strada dell’onesto cittadino. 3. Dai registri consta che non meno di centomila giovanetti assistiti, raccolti, educati con questo sistema, imparavano chi la musica, chi la scienza letteraria, chi arte o mestieri, e sono divenuti virtuosi artigiani, commessi di negozio, padroni di bottega, maestri, insegnanti, laboriosi im- piegati, e non pochi coprono onorifici gradi nella milizia. Molti anche forniti dalla natura di non ordinario ingegno, poterono percorrere i corsi universitari e si laurearono in lettere, in matematiche, medicina, leggi, ingegneri, notai, farmacisti e simili. Risultati. Appoggiato sopra l’esperienza di trentacinque anni, si può constatare che: 1. Molti ragazzi, usciti dalle carceri, con facilità si avviano ad un’arte con cui guadagnarsi onestamente il pane della vita. 2. Molti che versavano in estremo pericolo di divenir discoli, cominciavano a cagionar mo- ➔ 81 lestia agli onesti cittadini, e già davano non leggeri disturbi alle pubbliche autorità; costoro si ritrassero dal pericolo e si posero sulla strada dell’onesto cittadino. 3.  Dai registri consta che non meno di cento mila giovanetti assistiti, raccolti, educati con que- sto sistema impararono chi la musica, chi la scienza letteraria, chi arte o un mestiere, e sono divenuti virtuosi artigiani, commessi di negozio, padroni di Bottega, maestri insegnanti, la- boriosi impiegati, e non pochi cuoprono onorifici gradi nella milizia. Molti anche forniti dalla natura di non ordinario ingegno, poterono percorrere i corsi universitarii e si laurearono in Lettere, in matematiche, medicina, leggi, ingegneri, notai, farmacisti e simili. (Vittorio Chiari 2001) Don Bosco, contro il metodo repressivo dominante al suo tempo, propone una visione positiva dell’animo del giovane, affermando che egli possiede una: «Naturale intelligenza per conoscere il bene che loro viene fatto, ed un cuore sensibile facilmente aperto alla riconoscenza» (Bosco, 1987, 98), indicando in tal modo l’importanza dell’educatore in quanto amico che, piuttosto che temere, cura di farsi amare. La democrazia del lavoro La partecipazione delle masse popolari al grande sforzo dell’industrializzazione non si limita alla sola componente produttiva, ma coinvolge anche le dimensioni della vita sociale. Da un lato le lotte sindacali, soprattutto tramite l’uso dello strumento – piuttosto convincente – dello sciopero (che significa etimologicamente “uscire dall’o- pera”), ottengono importanti risultati nel campo delle condizioni di vita, dell’orario di lavoro e del salario, della tutela delle donne e dei fanciulli, dei diritti di pensiero, parola, riunione e sciopero; dall’altro l’iniziativa dei governi, sulla base di una maggiore pre- senza dei partiti popolari, conduce al passaggio dalle politiche paternalistiche all’edifi- cazione di un vero e proprio Stato assistenziale (welfare state). Tramite esso, si intende tutelare il tenore di vita, il reddito, l’istruzione, la salute dei cittadini, utilizzando le ri- sorse pubbliche per proteggere il potere di acquisto dei salari e garantire un’efficiente rete di servizi assistenziali e previdenziali (scuole, trasporti, sanità, pensioni). I servizi forniti dallo Stato ai cittadini vengono finanziati con le tasse; in questo modo si ottiene un aumento della pressione fiscale di tipo progressivo, ovvero cre- scente in riferimento alle fasce di reddito, e ciò comporta una dinamica di redistribu- zione della ricchezza tra la popolazione. I bilanci pubblici sono positivi quando la componente principale della popola- zione si colloca in una condizione di vita attiva: producendo reddito, incrementa con le tasse le entrate tributarie con cui gli stati finanziano i dispositivi di welfare. Diver- samente, divengono critici quando – come nella fase attuale – il rapporto tra produttori di ricchezza e beneficiari di servizi si inverte. L’aumento della partecipazione dei lavoratori allo spazio comune viene definito con il termine “democrazia del lavoro”, intendendo con ciò non solo un ambito di ri- vendicazioni sindacali di natura corporativa, ma uno sforzo teso a rendere più ampio il legame tra cittadino e Stato. L’idea della democrazia del lavoro presuppone un cittadino-lavoratore, piena- 82 mente coinvolto nell’impegno comune volto a perseguire lo sviluppo e la prosperità per una fascia sempre più ampia di popolazione. Questo cittadino partecipa alla cosa pubblica sia sul piano della formulazione delle politiche di sviluppo, sia contribuendo esso stesso all’avanzamento della società tramite la propria attività lavorativa. Questa tendenza era stata già vista da Alexis De Tocqueville nel suo studio sul- l’America: lavorare è un onore Non essendovi presso i popoli democratici ricchezze ereditarie, ognuno lavora o ha lavorato per vivere, o almeno è nato da gente che ha lavorato. L’idea del lavoro come condizione neces- saria, naturale e onesta dell’umanità, si presenta quindi da ogni parte allo spirito umano. Presso questi popoli non solo il lavoro non è un disonore, ma è un onore; il pregiudizio non è contro di esso, ma in suo favore. Negli Stati uniti un uomo non si crede obbligato presso la pubblica opinione a consacrare il suo tempo disponibile a qualche occupazione industriale o commerciale o all’esercizio di pubblici doveri. Egli si considererebbe disonorato, se impiegasse la sua vita solo a vivere. Appunto per sottrarsi a quest’obbligo del lavoro, tanti ricchi americani vengono in Europa, dove trovano dei residui di società aristocratiche fra i quali l’ozio è ancora in onore. L’eguaglianza non riabilita soltanto l’idea del lavoro, ma rivaluta l’idea del lavoro che procura un lucro. Nelle aristocrazie non si disprezza propriamente il lavoro in sé, ma il lavoro in vista di un pro- fitto; per esse il lavoro è lodevole quando è intrapreso sotto la spinta dell’ambizione o della dola virtù. Tuttavia, anche nelle aristocrazie accade che colui che lavora per l’onore non sia in- sensibile all’esca del guadagno; ma questi due desideri si incontrano solo in fondo al suo animo, ed egli ha cura di nascondere agli sguardi degli altri, e anche volentieri a se stesso, il punto in cui essi si congiungono. Nei paesi aristocratici, per esempio, non vi è funzionario pubblico che non pretenda di servire lo stato disinteressatamente; lo stipendio è un particolare cui talvolta essi pensano poco e cui mostrano sempre di non pensare. Perciò l’idea del guadagno resta distinta da quella del lavoro; anche se esse sono di fatto con- giunte, nel pensiero sono separate. Nelle società democratiche queste due idee sono invece sempre unite visibilmente. Poiché il desiderio del benessere è universale e le fortune sono mediocri e passeggere, ognuno ha bisogno di aumentare le sue risorse o di prepararne di nuove per i propri figli; tutti vedono molto chia- ramente che proprio il desiderio di guadagno li spinge, se non del tutto, almeno in parte, al la- voro. [...] Ciò serve a spiegare le opinioni che gli americani manifestano relativamente alle diverse pro- fessioni. I servitori americani non si credono degradati perché lavorano, poiché intorno a loro tutti lavo- rano; no si sentono abbassati dall’idea di ricevere un salario, poiché anche il Presidente degli Stati uniti riceve un salario. Egli è pagato per comandare, come essi sono pagati per servire. Negli Stati uniti le professioni sono più o meno faticose, più o meno lucrative, ma no sono mai alte o basse; ogni professione onesta è onorevole. (Alexis de Tocqueville 2011, 567-568) Dopo le tragiche vicende della prima industrializzazione, sotto la spinta delle forze popolari e della borghesia illuminata, il lavoro diviene un fattore costitutivo della democrazia, e ciò segnala la sua decisa rivalutazione come fattore di civiltà. 83 Esso diviene, anche per molti intellettuali, una componente decisiva dell’idea di pro- gresso. Molti si dedicano allo studio della fabbrica e delle condizioni di lavoro, si moltiplicano centri di ricerca e corsi universitari sui temi della democrazia del lavoro. La seconda industrializzazione segnala quindi l’avvento di un’epoca nella quale l’o- pera umana assume grande rilevanza, anche a seguito delle utopie del lavoro che se- gnano diverse ideologie del tempo. Oltre alle misure assistenziali, il movimento della democrazia del lavoro prevede anche interventi sulla stessa struttura aziendale; in particolare, con il passaggio alla seconda industrializzazione, si fa strada l’importanza di una diversa organizzazione del lavoro che consenta all’operaio una maggiore responsabilità, spingendo verso una professionalizzazione di una quota sempre più ampia di lavoratori entro la co- siddetta “aristocrazia operaia”, un ceto di persone che detengono nella fabbrica una posizione di rilievo essendo titolari del sapere tecnico operativo indispensabile per il suo positivo funzionamento. In questo modo, la classe operaia diviene un soggetto fondamentale della demo- crazia; la sua influenza si coglie nei contratti, ma anche nella legislazione sociale sempre più ricca ed influente. Il mondo del lavoro, denominato in quel tempo “forze produttive”, comprende il valore della strategia tesa a modificare l’organizzazione tayloristica a favore di mo- delli che valorizzano maggiormente l’apporto umano nell’impresa. Molta parte di questa strategia consiste nella creazione di “scuole di fabbrica” per apprendisti, che divengono una vera fucina di formazione di lavoratori di nuova generazione, dotati di elevate competenze tecniche professionali, destinate ad assumere ruoli di respon- sabilità nei reparti. Ma l’enorme potenziale prodotto dal macchinismo, posto in mano a classi poli- tiche e ceti intellettuali irretiti dal nazionalismo, ha prodotto anche una delle pagine più terribili della storia umana, quella della guerra con la distruzione sistematica di vite e di società. L’industria della distruzione: la guerra moderna È uno strano clima culturale quello che si respira nel 1900, nel momento della grande Esposizione internazionale di Parigi. Siamo nel pieno dell’epoca bella della modernità trionfante, ma si manifestano anche segnali di grande inquietudine. La modernità trionfante si riscontra nell’esaltazione della macchina e nella bella vita che i notevoli profitti di quest’epoca consentono ai borghesi arricchiti. La Belle Époque è un tempo di spensieratezza, di abbondanza, addirittura di autocompiaci- mento per lo stile di vita conquistato. Nell’Europa degli ultimi vent’anni dell’800 fino al primo decennio del ‘900 si respira un clima che riflette l’euforica fiducia nel progresso industriale ed economi- co, insieme al desiderio di modernità e rinnovamento. Questo nuovo gusto borghese è espresso in tutte le maggiori capitali europee – a Parigi come a Vienna, a Londra, Bruxelles, Praga, Milano o Barcellona – e coinvolge tutti gli aspetti della società. Il suo segno estetico è floreale e decorati- vo, e trova la sua più compiuta espressio- ne nel ritmo elegan- te della linea avvol- gente, dinamica, serpentina dell’in- confondibile motivo a frusta. L’esposizione del 1900 rappresen- tò uno dei momenti più alti dell’esalta- zione delle grandi conquiste tecniche, economiche culturali ed estetiche dell’epoca moderna. La Francia riservò a se stessa la metà dei padiglioni, con l’intento di affermare di fronte a tutto il mondo il suo desiderio di porsi all’avanguardia della civiltà, in quanto annunciatrice del nuovo vangelo universale della Ragione, del Vero, dei Diritti dell’uomo e del cit- tadino. Nel Palazzo dell’Elettricità erano esposte gigantesche dinamo capaci di su- scitare nel visitatore: «La soggezione emanante da una misteriosa, maestosa potenza quasi sacrale» (Gentile 2014, 30-31). Lo storico Henry B. Adams visita più volte il palazzo, dove vive questa folgora- zione ad un grado crescente di intensità, nel mentre ascolta le spiegazioni dello scien- ziato Samuel Langley. la dinamo, simbolo dell’infinito Per lui, la dinamo non era altro che un’ingegnosa conduttura per trasportare in qualche luogo il calore latente in qualche tonnellata di carbone di mediocre qualità, nascosto in una sudicia centrale occultata diligentemente agli sguardi; ma per Adams la dinamo divenne un simbolo dell’infinito. Man mano che si abituò alla grande galleria delle macchine, cominciò a sentire le dinamo da do- dici metri come una forza morale, pressappoco come i primi cristiani sentirono la Croce. Lo stesso pianeta terrestre pareva meno impressionante, nella sua antiquata, metodica rivoluzione annuale o giornaliera, di questa immensa ruota che girava a brevissima distanza a una velocità vertiginosa e mormorava appena ammonendo, con un brusio appena percettibile a tenersi un pelo più discosti per rispetto della potenza - mentre non avrebbe svegliato un bimbo addormentato vicino alla sua intelaiatura. Dopo un poco, si cominciava a rivolgerle preghiere; un istinto eredi- tario insegnava l’espressione naturale dell’uomo di fronte alla forza silenziosa e infinita. Fra i mille simboli dell’energia suprema, la dinamo non era tanto umana come alcuni di quei simboli, ma era quello più espressivo. Eppure la dinamo, subito dopo la macchina a vapore, era il pezzo più familiare dell’Esposizione. Ai fini di Adams, il suo valore risiedeva principalmente nel meccanismo occulto. Fra la dinamo, nella galleria, e le macchine che essa fa funzionare, la soluzione di continuità, ai fini d’uno storico, ➔ 84 85 equivaleva a una frattura abissale. Egli non seppe scoprire fra il vapore e la corrente elettrica un rapporto maggiore che fra la Croce e la Cattedrale, Le forze erano interscambiabili se non rever- sibili, ma egli riuscì a vedere solo un fiat assoluto, nell’elettricità come nella fede. (Henry Adams, 1964, 452-453) Ma quello del trionfo per i progressi della modernità non è il solo sentimento che si viveva alla fine del secolo: infatti, una forte vena di inquietudine segnava lo spirito del tempo, suscitato dalle stesse conquiste e piacevolezze poste al centro dell’attenzione generale. Le strabilianti scoperte scientifiche non alimentano solo orgoglio, ma anche anni- chilimento all’idea della crudezza delle leggi che governano l’intero universo, di cui l’uo- mo diviene un elemento infinitesimale, non più riposto sullo scranno più elevato del reale. Inquietanti conflitti nelle anime La scienza ha rinnovato le nostre idee e ha tolto ogni autorità alle nostre concezioni religiose e sociali. Ha mostrato all’uomo il piccolo posto che occupa nell’universo, e l’assoluta indif- ferenza della natura per lui. Egli ha visto che ciò che chiamava libertà non era che l’ignoranza delle cause che l’assoggettano, e che, nell’ingranaggio delle necessità che guidano gli esseri, la condizione naturale è di essere assoggettati. Ha constatato che la natura ignorava ciò che chiamiamo la pietà e che tutti i progressi da essa realizzati eran dovuti a una spietata selezione, che continuamente implicava l’oppressione dei deboli a vantaggio dei forti. Tutte queste concezioni gelide e rigide, così contrarie a ciò che dicevano le vecchie credenze che hanno affascinato i nostri padri, hanno prodotto inquietanti conflitti nelle anime. Nei cer- velli ordinari, hanno provocato quello stato di anarchia delle idee che sembra la caratteristica dell’uomo moderno. Nella gioventù artistica e letteraria, questi stessi conflitti sono sboccati in una specie di cupa indifferenza, distruttiva d’ogni volontà, in un’incapacità completa d’en- tusiasmarsi per una qualsiasi causa, e in un culto esclusivo d’interessi immediati e personali. (Gustave Le Bon 1927, 180-181) Accanto alla cupa indifferenza per le questioni più grandi, e l’attrazione per gli interessi individuali ed immediati, questa atmosfera sconcertata produce anche un effetto di tono molto diverso, la ribellione nei confronti di un atteggiamento di deca- denza e di rilassamento degli spiriti. Iniziano a diffondersi letture che pongono sotto accusa l’uomo decadente e degenerato, una razza raffinata ed effeminata, dedita all’apparenza ed al godimento. Si lamenta la perdita dei caratteri propri della mascolinità nelle mollezze dei costumi di Fin de Siècle; si paventa l’americanizzazione del mondo con il suo culto del denaro, degli oggetti, della vita comoda. Sorge il mito della rigenerazione, che richiede necessariamente un passaggio violento da cui possa sorgere infine l’uomo nuovo entro una rinnovata civiltà. Gli intellettuali fiutano questa inquietudine e danno voce al desiderio di rigene- razione violenta, muovendo con le loro arti gli spiriti primitivi delle popolazioni. Wagner compone opere agitate dalla fede nella catastrofe rivoluzionaria, Filippo Tom- maso Marinetti scrive il primo manifesto del Futurismo che avrà un grande influsso su quella generazione. primo manifesto del futurismo 1. Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità. 2. Il coraggio, l’audacia, la ribellione saranno elementi essenziali della nostra poesia. 3. La letteratura esaltò fino a oggi l ‘immobilità pensosa, l’estasi e il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno. 4. Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. un’automobile da corsa e col suo cofano adorno di grossi tubi si- mili a serpenti dall’alito esplosivo; un’automobile ruggente, che sembra correre sulla mi- traglia, è più bella della Vittoria di Samotracia. 5. Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita. 6. Bisogna che il poeta si prodighi, con ardore, sfarzo e munificenza, per aumentare l’entu- siastico fervore degli elementi primordiali. 7. Non v’è più bellezza, se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia carattere aggressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere concepita come un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all’uomo. 8. Noi siamo sul promontorio dei secoli! ... Perché dovremmo guardarci alla spalle, se vo- gliamo sfondare le misteriose porte dell’Impossibile ? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell’assoluto, perché abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente. (Luciano De Maria 1968, 9-10) Gli elementi primordiali, lo schiaffo e il pugno non sono altro che richiami alla guerra, una parola che si fa sempre più frequente nei dialoghi e negli scritti. È come un fiume che raccoglie acque da ogni direzione, accrescendo la sua portata ed insieme il senso dell’ineluttabilità del suo sbocco. Agli intellettuali si unisono i politici, preda anch’essi di un’agitazione di nuovo tipo: siamo nel pieno dell’ideologia nazionalista, una visione che pone l’individuo, e la sua stessa vita, al servizio di uno scopo di potenza poggiato sull’idea assolutamente irrazionale del primato della nazione. Nel pieno splendore della potenza della ragione moderna, appaiono sulla scena demoni di nuovo tipo che scuotono le anime, riem- piono le piazze e fanno funzionare a pieno regime le fabbriche belliche. una volta disponibili formidabili mezzi di distruzione, irreggimentata la popo- lazione entro un meccanismo governato dal centro, la politica degli Stati europei, imbevuta di nazionalismo e di spirito di potenza, senza più le appartenenze esistenziali ed i vincoli morali e della doppia città cristiana propria dell’epoca precedente, con l’appoggio di intellettuali quasi unanimemente inneggianti al grande lavacro pu- rificatore, si gettano a capofitto nella tragedia della guerra senza aver compreso le dimensioni del disastro che li attende. gli artisti e l’immane tragedia Gli artisti al fronte furono gli interpreti più efficaci dell’orrore e dell’ironia tragica della Gran- de Guerra, la guerra per la rigenerazione tramutata in guerra di degenerazione. Gli artisti non si limitarono a combattere con la matita e con il pennello: molti di loro, coscritti o volontari, ➔ 86 87 parteciparono al conflitto, vissero l’esperienza delle trincee, alcuni vi persero la vita, altri so- pravvissero per assistere all’esito del conflitto e alle sue conseguenze. E alcuni di essi, quando conobbero l’orrore della morte di massa, come accadde ad Alfred kubin, Otto Dix, Max Beckmann, Paul Nash, Wyndharn Lewis e tanti altri, squarciarono l’alone della santità per rappresentare l’orrore della guerra nella sua spietata, crudele, disumana realtà. Invece dell’ascesa dell’uomo verso il superuomo vagheggiato dagli apocalittici della moder- nità, la «guerra di Nietzsche» aveva fatto discendere l’uomo alla condizione di una belva dis- umanizzata, senza nessuno dei tratti eroici che il filosofo di zarathustra aveva attribuito alla belva bionda. L’immagine della guerra che gli artisti, disincantati e sconvolti dall’orrore, rap- presentarono durante e dopo il conflitto, non aveva nulla di glorioso e neppure di umano. Quasi nessuno di loro, tranne forse i futuristi italiani, conservò l’entusiasmo bellicista e l’or- goglio nazionalista dopo aver conosciuto la realtà della guerra vera, che fece effettivamente degenerare l’uomo europeo verso condizioni di vita disumana e bestiale. «Pidocchi, ratti, re- ticolati, pulci, granate, bombe, fossi, cadaveri, sangue, grappa, topi, gatti, gas, cannoni, sporco, pallottole, mortai, fuoco, acciaio, questa è la guerra! Tutta opera del diavolo» annotava tele- graficamente nel suo diario il pittore Otto Dix, combattente sul fronte occidentale. Appassio- nato lettore di Nietzsche, il tedesco Dix era andato volontario in guerra per mettere se stesso alla prova di fronte al pericolo della morte e vivere un’esistenza intensa ed esaltante. Scoprì invece che la guerra non rigenerava l’uomo, bensì lo mutava in belva sanguinaria o in bersa- glio inerte per il tiro a segno della morte, così come egli rappresentò se stesso in due autori- tratti del periodo bellico. Anche l’artista italiano Alberto Martini aveva compreso fin dall’inizio che la guerra avrebbe prodotto la degradazione belluina dell’uomo europeo. Pur senza essere un pacifista militante, egli aveva sempre disprezzato la guerra, convinto che essa fosse sempre, per tutti i belligeranti, vinti e vincitori, una danza macabra. Martini aveva dato il suo contributo artistico alla guerra degli alleati e all’intervento dell’Italia per liberare le terre italiane sotto dominio austriaco, prima di essere arruolato lui stesso e inviato al fronte. Avanti Italia! era il titolo di una tavola singola realizzata da Martini nel 1915, che raffigurava l’Italia come un colosso lampeggiante, una donna con un corpo virile e grandi occhi dallo sguardo deciso e fulminante, le braccia aperte in un imperioso gesto di vittoria, mentre schiacciava col piede l’imperatore Francesco Giuseppe, che affondava nell’Adriatico tentando invano di aggrapparsi con le mani artigliate agli scogli di Trento, Trieste e zara. Anche Martini partecipò alla disumanizzazione del ne- mico, producendo nel complesso cinque serie di cinquantaquattro cartoline, intitolate Danza macabra europea, edite fra l’ottobre 1914 e i primi mesi del 1916. (Emilio Gentile 2014, 240-241) La modernità aveva preteso di mutare radicalmente la posizione dell’uomo nel mondo, preparandogli un’altra dimora, decisamente diversa da quella del passato. Lo spettacolo terribile dell’Europa incendiata e distrutta, dei cimiteri che rigurgitano morti, delle stele alla memoria presenti fino in ogni sperduto villaggio, mostra dove può giun- gere l’incredibile capacità distruttiva della macchina sociale, quando essa operi in as- senza del senso della vita umana. La Grande Guerra ha consegnato allo spirito moderno il senso della morte di mas- sa, la distanza fisica e morale che attenua, fino a farla sparire, la domanda di Dio a Caino: «Dov’è tuo fratello Abele?». Essa ha rappresentato il vero naufragio della civiltà moderna. Dopo di allora l’idea del primato assoluto della ragione e dell’esaltazione della potenza tecnica contribuirà ancora allo sviluppo, ma non al reale progresso del- l’umanità. una lezione non appresa, visto che a distanza di meno di due decenni si è 88 ripetuta la catastrofe della guerra mondiale, se possibile ancora più tragica, fondata ancora sul demone ideologico del nazionalismo, e segnata dalla vergogna indelebile della Shoah, il genocidio di un numero considerevole di ebrei d’Europa. Da allora, abbiamo assistito a diversi stermini di massa, che mostrano la dram- matica eredità che la Grande Guerra ha lasciato nel mondo9 sotto forma di abitudine per la violenza di massa, di indifferenza per stragi di intere popolazioni che sono state perpetrate utilizzando gli strumenti organizzativi e materiali resi disponibili dall’industria moderna. L’industria della distrazione: il consumismo Il meccanismo economico inaugurato dalla modernità, teso alla continua crescita, alimenta un circolo consumistico che modifica decisamente la figura del lavoratore. L’America del Nord e l’Europa Occidentale, in particolare, assistono ad un progresso vorticoso che, impiegando sempre più lavoratori nelle fabbriche secondo il metodo dell’organizzazione scientifica, produce sempre più beni a costi ridotti, così che gli stessi lavoratori possono acquisirne in quantità maggiore potendo in tal modo acce- dere alla condizione del consumatore. Il loro paniere contiene non solo i beni essen- ziali per la vita della famiglia, ma anche strumenti per rendere più comoda l’esistenza – gli elettrodomestici, l’automobile – per concludere con beni più decisamente vo- luttuari, quelli che Maslow pone al vertice della sua piramide, riferendoli ai bisogni di appartenenza, stima ed autorealizzazione. In questo modo, il lavoratore, un tempo frugale, accede poco a poco ad uno stile di vita che aveva potuto vedere solo nei ceti privilegiati. Egli diviene un lavoratore- consumatore, un ibrido che conduce ad un duplice stato dell’anima, quello del produt- tore di beni che scambia la propria forza-lavoro per il salario, divenendo componente di un’organizzazione e di un modo di vita, e quello dell’acquirente di beni che opera entro un mercato sempre più affollato di venditori e consumatori, decidendo volta per volta quali preferire in base ad una interrogazione del proprio mondo psichico. Nel primo stato, egli è in qualche misura un bene economico posto sul mercato del lavoro, nel quale vigono regole sancite dal contratto, ma anche vincoli e legami che conferiscono un ordine preciso alla parte più consistente della sua vita; nel se- condo egli è un soggetto cui il mercato si rivolge con le sue tecniche di allettamento, un individuo che assume continuamente decisioni basate su vari fattori tra cui predo- mina il prezzo, ma anche la preferenza soggettiva ed il significato simbolico. Ecco che la sua identità risulta divisa in due versanti: la prima è quella dell’etica del lavoro in forza della quale la sua immagine pubblica e la reputazione che ne con- segue risultano dal ruolo che ricopre nella gerarchia sociale, dalle capacità e compe- tenze che sa mettere in atto, dalla stima che riceve da capi, colleghi e clienti. In quanto 9 In verità, il primo grande sterminio di massa fu quello del milione e mezzo di armeni trucidati dai Turchi nel 1902. 89 lavoratore dipendente, egli cercherà di commisurare l’impegno profuso al corrispet- tivo economico e simbolico che ne ricava. Il lavoro non sarà primariamente l’espres- sione di uno slancio volto ad eseguire i suoi compiti a regola d’arte, ma risulterà da un compromesso tra professionalità e calcolo delle convenienze. Cercherà pertanto di tenersi sul limite di una prestazione accettabile e lo farà confrontandosi continua- mente con il modo di lavorare dei colleghi. Guardandosi intorno, individuerà lo stile di lavoro adottato dal gruppo così da mantenerne il riconoscimento e la solidarietà, e lo applicherà normalmente nelle attività assegnate. Questa appartenenza modella la sua anima, ne delimita lo spazio vitale, rende prevedibili gli accadimenti; l’anima del lavoratore dipendente, nella formula dell’operaio o dell’impiegato massa, assume un carattere ripetitivo, routinario: la giornata è scandita da una sequenza data di stati d’umore che si ripetono settimana dopo settimana, poco a poco l’intera sua esistenza si modella su un sentimento della vita scontato, senza slanci né intralci. L’imprevisto è bandito ed al suo posto vi è un eccesso di sicurezza che alimenta fatalmente l’apatia spirituale. L’individuo coinvolto nelle grandi organizzazioni del lavoro tipiche del Novecento è spiritualmente fiacco, la sua condizione normale di vita comune è la massa entro cui si accomoda lasciandosi trasportare nelle varie transizioni quotidiane: il viaggio verso il lavoro, il reparto o l’ufficio, la mensa, infine il ritorno a casa. È un’anima contenuta, ordinata, orientata alla ripetizione del già noto, e non certo pre- disposta all’imprevisto ed all’innovazione. La seconda parte di cui è costituita l’anima del lavoratore massa è quella che si espone nella ricerca delle merci da acquistare, al fine di massimizzare le risposte ai bisogni ed ai desideri avvertiti dentro di sé. Il consumatore guarda gli oggetti esposti, li soppesa, controlla i prezzi, li confronta con altri prodotti della stessa categoria. La sua vita si svolge nei luoghi del commercio: i carri ed i furgoni dei venditori itineranti, i mercati, i negozi, le fiere. Il consumatore è un essere itinerante che si sposta conti- nuamente, avendo di vista non già il paesaggio esteriore, quanto le sue esigenze in- teriori che porta sempre con sé e richiama alla coscienza in modo sistematico, come un programma. Se sul lavoro egli è soprattutto attento agli altri, nell’ambiente del consumo pone in luce il suo mondo individuale. L’acquisto è però una relazione tra persone, quindi il consumatore si dispone ad incontrare individui sempre diversi, col- locati entro ambienti di cui interessa la merce esposta. La decisione dell’acquisto è un processo difficile che richiede specifiche competenze tecniche ed economiche as- sieme ad una notevole energia psichica. Egli si muove tra due grandi tensioni: quella tra beni essenziali e beni secondari, e quella tra le decisioni che provengono da un vaglio interiore e gli acquisti che avvengono per influsso dell’esterno. La massaia che deve gestire il magro bilancio familiare sarà attenta soprattutto ai prezzi ed alla qualità dei prodotti: il cibo deve essere sano, gli abiti resistenti per lungo tempo. Ella non concede nulla al superfluo ed alla vanità, ma mantiene un profilo austero ed un controllo di sé rigoroso. Ma se le entrate lo consentono, la famiglia potrà accedere ad uno stile di vita più ricercato, maggiormente idoneo ad una posizione sociale su- periore. Essa rientrerà nel cono di luce della pubblicità, le verranno rivolti messaggi 90 in cui i beni offerti assumono sempre più il valore di simbolo di considerazione so- ciale. Ben presto quello dell’acquistare diventa un habitus, un modo di vita che im- pegna buona parte dei suoi pensieri. Il lavoratore, nel passaggio da un’economia domestica frugale ad una più pro- spera, dispone di un’anima più estesa ed esigente che interroga prima per carpirne i desideri e poi per verificarne la soddisfazione. Nel mezzo essa è esposta ai richiami ed alle promesse che “rivestono” i beni e servizi offerti, restandone inevitabilmente impigliata. Ovviamente, poter usufruire di più oggetti e cure consente un’esistenza più ricca di piccole gioie, ed aumenta l’autocompiacimento dell’individuo nel sentirsi componente decorosa di una cerchia sociale di cui si desidera essere parte. L’anima del consumatore è più centrata su di sé, e nel contempo più protesa alla vita sociale in quanto palcoscenico dell’esistenza, generando così con un rapporto ambivalente tra l’individuo e la collettività. La prima disposizione dell’anima del lavoratore moderno, centrata su un’etica del lavoro, essendo tradita dalla riduzione dell’uomo a merce, apre alla seconda, cen- trata sull’espansione di bisogni e desideri, come a consolarsi della perdita di autenti- cità per mezzo dei flebili piaceri del consumismo. È Tocqueville a disegnare il ritratto più chiaro del mondo moderno, visto attra- verso il caso americano; egli coglie nell’America in trasformazione la sostituzione delle virtù dei padri: «Vero spirito di indipendenza, amore delle cose grandi, fede in se stessi e in una causa» con le “passioni debilitanti”: «Desiderio di arricchirsi ad ogni costo, passione degli affari, avidità di guadagno, ricerca del benessere e dei godimenti materiali» (Tocqueville 2011, 30-31). Walter Benjamin è l’autore più attento a scavare nelle pieghe dell’anima della società moderna, infatuata del proprio benessere. Egli vede all’opera nei Passages di Parigi, le stradine dei negozi che fioriscono nelle vie del centro, una nuova forma di vita sociale e di interiorità dotata di un grande potere seduttivo, sebbene non in grado di mantenere le promesse di felicità connesse all’ampliamento dello spazio di vita reso possibile da consumi più ricercati. Strada sensuale del commercio, fatta solo per risvegliare il desiderio «il commercio e il traffico sono le due componenti della strada. All’interno dei passages, la seconda componente è venuta meno; il loro traffico è rudimentale. Il passage è soltanto strada sensuale del commercio, fatta solo per risvegliare il desiderio. Poiché in questa strada le linfe vitali ristagnano, la merce proliferano ai suoi bordi, intrecciandosi in relazioni fantastiche come un tessuto ulcerato [...] Con il sorgere dei grandi magazzini, per la prima volta nella storia i consumatori cominciano a sentirsi massa. (Prima era solo il bisogno che li istruiva in questo senso). Cresce pertanto in modo straordinario l’elemento circense e spettacolare del commercio [...] Specificità del grande magazzino: i clienti si sentono massa; vengono messi a confronto con le merci in deposito; con un unico sguardo, possono abbracciare tutti i vari piani; pagano prezzi fissi; possono cambiare gli articoli”». (Walter Benjamin 2010, 50, 64) 91 L’accesso del lavoratore alla condizione di consumatore aumenta la sua proie- zione sul mondo pubblico, ma ciò non è altro che la ricerca di una compensazione dell’impoverimento del suo rapporto con il mondo nell’ambito del lavoro. Tramite l’accesso ai consumi egli ottiene un ampliamento delle sue esperienze di vita; queste portano ad un maggiore stimolo delle sue facoltà di immaginazione, desiderio, lin- guaggio. Il lavoratore-consumatore entra pertanto in possesso di una nuova sensibilità che procede non per insegnamento, ma tramite l’allargamento delle esperienze che entrano a far parte del suo corredo culturale. Vede più mondo dei suoi predecessori, partecipa a modi di vita un tempo impensabili, affina un sentimento di sé molto di- verso da quello dell’esecutore diligente di mansioni routinarie. L’esperienza dei consumi immette il lavoratore in uno spazio intermedio del mondo ai confini dell’onirico. Le immagini che fanno da ornamento agli oggetti ten- dono a spingerlo fuori dalla sua dimensione quotidiana, distraendolo a poco a poco dai fattori che sostenevano la cultura popolare cui apparteneva, concreta e “terrena”. L’industria dei consumi si rivela pertanto come uno strumento di distrazione che con- tribuisce alla dissolvenza della granitica etica del lavoro della società di massa ed annuncia un sommovimento dell’identità che apparirà in tutta la sua forza di spaesa- mento nella fase postmoderna, il periodo in cui appariranno in modo più evidente le lacerazioni dell’animo generate dal mancato compimento dell’utopia centrata sulla deificazione del soggetto umano. I dilemmi del nostro tempo L’epoca che stiamo attraversando è, ovviamente, difficile da interpretare nelle sue tendenze fondamentali. In altri termini, non sappiamo se si tratta della fase finale della modernità, con le sue inevitabili convulsioni che annunciano l’avvio di una nuo- va era incamminata verso una precisa direzione e quindi dotata di un proprio ordine, oppure se stiamo vivendo già un’era nuova, di lunga durata, connotata sia da stagna- zione sia da movimenti convulsi che si indirizzano contemporaneamente verso mol- teplici direzioni, presenti sia nei contesti locali che internazionali. Nel primo caso saremmo di fronte ad un intenso e diffuso conflitto tra la pulsione distruttiva e quella costruttiva, simile alle linee di faglia della crosta terrestre investite dai movimenti tettonici. Nel secondo, la realtà sociale sarebbe invece dominata da un caos difficilmente interpretabile, con spinte e controspinte provenienti da molte- plici punti del sistema; in questo modo, l’attività economica e quindi il lavoro vi- vrebbero una stagione fortemente stressante poiché la mancanza di punti di riferi- mento inducono un grande dispendio di energia ed una scarsa visione degli scopi ver- so cui orientare l’azione. Per discernere l’attuale stagione abbiamo ritenuto utile adottare il metodo pro- posto da Walter Benjamin, fondato sull’ipotesi del risveglio della società. Questo me- todo prevede di polarizzare i fattori fertili, colmi di futuro, vitali e positivi, e la parte dell’epoca decadente, arretrata e infeconda. Il vantaggio di questo modo di procedere consiste nel far emergere in modo netto i contorni delle epoche, o meglio di metterne in tensione i due poli e consente di cogliere ciò che c’è di positivo in ambedue le parti, poiché sposta l’angolo di visuale sul futuro. Sapendo che, contro i profeti della decadenza, emerge sempre l’indistruttibilità della vita, dai grandi contrasti, così come dalle sfumature, rinasce sempre di nuovo la vita (Benjamin 2010, 513). In forza di questo approccio, abbiamo individuato una serie di dilemmi del nostro tempo riferiti in modo specifico al lavoro, così da offrire al lettore una maggiore pos- sibilità di riflessione che possa sostenere l’elaborazione di un pensiero personale ed un progetto di vita meditato. Fine o metamorfosi del lavoro Come alla fine del secolo scorso, riemerge nel nostro tempo la tesi della fine del lavoro, con toni se possibile più apocalittici rispetto al passato. Mentre nella stagione del grande balzo tra la seconda e la terza industrializzazione, quella accaduta nel ventennio finale del secolo scorso, prevaleva l’idea che, a fronte di una diffusione massiccia di calcolatori e di automi, l’uomo non avrebbe più avuto la necessità di lavorare e quindi avrebbe potuto dedicare all’attività obbligata una parte sempre minore del suo tempo, nel dibattito odierno la prospettiva della fine del lavoro viene presentata soprattutto come un segno di decadenza della civiltà occidentale, fatal- mente condannata al regresso a causa della fortissima competizione internazionale volta ad attrarre gli investimenti e quindi le possibilità di occupazione. Diversi autori avevano sostenuto in quel tempo la tesi del rapporto a somma zero tra investimenti in tecnologie e tasso di occupazione; essi ritenevano che la disoccu- pazione tecnologica avesse un carattere strutturale, ovvero che ogni qualvolta una nuova generazione di tecnologie si diffonde incorporando il lavoro precedentemente svolto dall’uomo, si crea uno stato di disoccupazione che non viene compensato dalle attività di produzione, supporto e manutenzione delle nuove macchine. Ciò avrebbe dovuto accadere in modo particolare con la comparsa della Knowledge Era, poiché la conoscenza diventa un potente mezzo di trasferimento di forza produttiva alle mac- chine, così da rendere eccedente il lavoro umano. Secondo Jeremy Rifkin il continuo processo innovativo consisterebbe nella sostituzione prima della forza e successiva- mente dell’intelligenza umana da parte delle tecnologie, di modo che alla fine di que- sto processo non rimane più nulla per cui lavorare, visto che ogni compito è stato tecnicizzato: la disoccupazione tecnologica «Quando la prima ondata di automazione colpì il settore industriale, a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, i leader sindacali, gli attivisti dei diritti civili e molti sociologi furono rapidi nel suonare l’allarme. Le loro preoccupazioni, comunque, non erano molto condivise dagli uomini d’impresa dell’epoca, che continuavano a credere che l’aumento della produt- tività generato dalle nuove tecnologie di automazione avrebbe stimolato la crescita economica ➔ 92 93 e favorito l’occupazione e la crescita del potere d’acquisto. Oggi, al contrario, un numero ri- dotto ma crescente di manager inizia a preoccuparsi di dove ci porterà la rivoluzione tecno- logica. Percy Barnevik è il chief executive officer della Asea Brown Boveri, un colosso sviz- zero-svedese da 40.000 miliardi che produce generatori elettrici e sistemi di trasporto, oltre che una delle maggiori società di engineering del mondo. Come altre imprese globali, ABB ha recentemente re-engineerizzato le proprie attività, tagliando 50.000 posti di lavoro, pur ri- uscendo ad aumentare il fatturato del 60% nello stesso periodo di tempo. Barnevik si doman- da: «Dove andrà a finire tutta questa gente?» Secondo le sue previsioni, la quota di forza la- voro impegnata nell’industria in Europa è destinata a diminuire dall’attuale 35 al 25% entro i prossimi dieci anni, con un’ulteriore discesa al 15% nei vent’anni seguenti. Barnevik è pro- fondamente pessimista sul futuro dell’Europa: «Se qualcuno mi dice: “Aspetta due o tre anni e vedrai esplodere la domanda di lavoro”, gli domando: “Dimmi dove? Quali lavori? In quali città? In quali aziende?” Se mi metto a tirare le somme, scopro che esiste il rischio che l’at- tuale 10% di disoccupati e sottoccupati diventi il 20 o 25%». (Jeremy Rifkin 1995, 36). Toni decisamente fatalistici, oltre che apocalittici; l’autore indica come unica prospettiva positiva un ambito marginale e poco redditizio dell’economia come il non profit applicato ai servizi di utilità sociale. Sappiamo come sono andate veramente le cose: mentre è certo che ad ogni in- novazione tecnologica si crea una corrispondente disoccupazione, è anche confer- mato, a pochi anni di distanza dalla formulazione della tesi di Rifkin, che tale scenario non si è realizzato. Infatti, il periodo immediatamente precedente all’inizio della crisi economica (2008) ha visto la massima espansione dei lavoratori, specie in Europa, oltre ad un aumento sorprendente dell’occupazione qualificante in Asia (con un tasso molto elevato di incremento del Pil), America, Australia ed in alcuni territori dell’A- frica. Ciò dimostra che simili elaborazioni si fondano su due concezioni entrambe dimostratesi erronee: – una visione meramente quantitativa del lavoro umano, che viene concepito come un insieme numericamente dato, per cui ad ogni trasferimento di attività sul lato della tecnologia, corrisponde un’eguale riduzione di posti di lavoro. Ma il lavoro è strettamente connesso alle dinamiche della civiltà, quindi ogni epoca espande la sua azione entro gli ambiti considerati di volta in volta rilevanti in base alla cultura del tempo, tenuto conto dei mezzi tecnologici disponibili, mostrando così non solo il carattere culturale del lavoro, ma anche la sua continua dinamica espansiva entro lo spazio dell’immaginazione e della possibilità. – una prospettiva economicistica secondo la quale il lavoro sarebbe apprezzabile unicamente in quanto valore monetario, da cui discenderebbe un continuo pro- cesso di razionalizzazione, mirante alla riduzione dei costi, che spinge inesora- bilmente a liberare l’uomo dalla necessità di svolgere i suoi compiti vista la mag- giore efficacia ed efficienza delle macchine e degli automi. In realtà, il valore del lavoro non risiede solo nella sua utilità, ma anche e soprattutto nel suo valore che significa capacità di incorporare cultura, di produrre conoscenza e nel con- tempo di tessere forme sempre nuove di socialità, in riferimento agli scopi con- siderati rilevanti e desiderabili conformemente allo spirito del tempo. 94 La versione positiva della tesi della disoccupazione tecnologica, come già anti- cipato, è proposta dai sostenitori della riduzione generalizzata dell’orario di lavoro a parità di salario, fino a giungere alla proposta del salario minimo garantito per tutti. Ad esempio Roger Sue (1995) ha sostenuto che nelle economie sviluppate è in atto una dinamica che porta alla progressiva diminuzione del tempo di lavoro. Se- condo Claus Offe, i governi nell’attuale contesto globale si troveranno dinnanzi a un bivio per la riforma del mercato del lavoro: scegliere tra il recupero della strategia socialdemocratico-keynesiana della “piena” occupazione, oppure tentare di rendere tollerabile la non-occupazione, la cosiddetta “precarietà”. Se i governi dovessero va- lutare più concreto questo secondo suggerimento, anche la riduzione dell’orario di lavoro sarebbe un obiettivo possibile e accettabile. Ciò che serve non sarebbe quindi un incremento nel numero di posti di lavoro, bensì una riduzione del volume di lavoro cioè il prodotto delle persone in cerca di impiego e del numero di ore o di anni di la- voro pro-capite (Offe 1999, 213). Seguendo questa prospettiva, dal possesso della cittadinanza legale deriverebbero una serie di diritti fondamentali, specie il diritto ad un salario minimo il cui trasferi- mento risulta vincolato non alle condizioni individuali d’impiego (necessità, occu- pazione attuale, volontà e capacità di lavorare, e così via) bensì allo status di cittadi- nanza individuale. Lo stesso Offe afferma che: «Ogni cittadino nasce con un diritto a un “conto sabbatico” quale diritto di cittadinanza, non correlato allo status occupa- zionale. Vale a dire che l’affermazione del diritto dipende solamente dal possesso della cittadinanza legale, unitamente alla disponibilità a rinunciare a un’occupazione retribuita o ad altre forme di attività profittevole durante il periodo di tempo per il quale viene avanzata la richiesta» (ibidem, 237). “Sabbatico” vuol dire senza impegno personale; ciò significa che il tipo di citta- dino proposto, senza un qualsiasi profilo professionale, indica non un individuo libero, ma un soggetto vuoto, senza un ruolo sociale attivo tranne quello del consumatore. Alla proposta del reddito di cittadinanza si oppone quindi un’obiezione antropologica: può l’uomo vivere in modo degno senza lavorare? Rimane naturalmente aperta anche l’obiezione finanziaria: l’Autore propone in sostanza di tassare in modo progressivo i profitti delle imprese – incrementati dall’immissione massiccia di tecnologie – ed utilizzarli come fonte per il reddito di cittadinanza. Ma ciò ridurrebbe la loro capacità di reinvestimento e le porterebbe fuori mercato rispetto alla concorrenza10, con ine- vitabile crisi e perdita di ulteriori posti di lavoro. Vi è anche da chiarire la questione di cosa si intenda per “tempo di lavoro”. Il calo delle ore di lavoro pro capite è vero se compariamo il lavoro agricolo con quello industriale e se successivamente calcoliamo le ore medie ufficiali del lavoro dipendente; ma con l’avvento della società della conoscenza il lavoro si è spostato 10 A meno che – condizione impossibile – tutte le economie del mercato globale aderissero a questa tassa progressiva sulle tecnologie a favore dell’assistenza pubblica dei cittadini “inerti”. 95 dall’esecuzione delle operazioni alle funzioni di progettazione, controllo, ammini- strazione, supporto, vendita e post vendita, oltre alle innumerevoli attività connesse al terziario commerciale, logistico e telematico. In questo contesto, caratterizzato da una grande varietà di soluzioni contrattuali, il lavoro a carico del singolo individuo non solo è aumentato, ma non può neppure essere ridotto esclusivamente al tempo formale (le “ore di lavoro”) occupato nell’espletamento delle funzioni di ruolo: per attività di carattere professionale significativo, al tempo del lavoro convenzionale vanno aggiunti i tempi non convenzionali come la gestione delle relazioni entro la rete della comunità di riferimento, le attività di aggiornamento anche informali, i pro- cessi di lavoro che si svolgono nella mente etc., tutte attività che pure meritano di es- sere chiamate lavoro visto che contribuiscono direttamente alla soluzione di problemi o all’elaborazione di risposte alle sfide proprie del campo in cui si esercita il ruolo. È in ciò che consiste l’idea di “lavoratore coinvolto” come chiave interpretativa del modo di esercizio della professione propria dell’attuale fase storica (Nicoli 2009). La visione apocalittica della disoccupazione provocata dal processo tecnico è in- nanzitutto smentita dai fatti: più le attività usuali vengono incorporate nelle macchine, più l’uomo tende a spostare la propria attenzione lavorativa su terreni inediti. Questo processo è confermato da ogni rivoluzione tecnologica. Nell’era dell’iperorganizzazione sociale il “mercato del lavoro” era un’istituzione stabile, regolata da processi giuridici ed amministrativi formalizzati; in questo modo, in presenza di tassi di sviluppo lineari, era possibile programmare e quindi prevedere gli stock di “forze lavoro” necessarie suddivise per ambiti e tipologie. Ma già con la fine del secolo divenne indispensabile parlare di “mercati del lavoro”, mentre successivamente anche questa espressione è risultata superata a causa della grande frammentazione dell’economia e del venir meno dei solidi punti di riferimento che avevano segnato la fase precedente. Ciò spiega come una parte degli studiosi dei fenomeni sociali si sia discostata dalla tendenza a leggere il mondo attuale come mero degrado del modello sociale precedente. Emerge un filone che sostiene l’idea della metamorfosi, e non della decadenza, del lavoro nelle società iper tecnologiche. Ralf Dahrendorf afferma che, se il carattere proprio della società moderna è dato dal cambiamento, questo è sostenuto proprio dall’attività umana: «In conformità alla sua intrinseca struttura la società del lavoro è una società tendente alla trasformazione, ed il sostrato della trasformazione è il lavoro stesso» (Dahrendorf, 1986, 52). In tale prospettiva, i confini tra lavoro e non lavoro si sono fatti fluidi e la mappa del lavoro (e del non lavoro) riflette i significati che gli vengono attribuiti all’interno di una specifica società. Piuttosto che ad una “morte del lavoro”, si è assistito alla fine dell’impiego nella sua concezione novecentesca-classica, inteso come “posto di lavoro a vita” regolato da norme rigide. Il nuovo scenario presenta inevitabilmente due facce: da un lato un campo di possibilità costituite dall’aumento della varietà dei lavori e degli stili di esercizio del ruolo, con inevitabile crescita dell’autonomia individuale; dall’altro gli effetti negativi dell’instabilità dell’impiego che possono giungere anche fino all’erosione dei diritti sul lavoro. 96 Le correnti interessate a comprendere la nuova forma che assume il lavoro nelle società ad alta intensità tecnologica pongono l’accento sulla flessibilità e sulla società cognitiva. Circa il primo tema, Sennett afferma: «Oggi il capitalismo flessibile con la sua pratica di spostare all’improvviso i lavoratori dipendenti da un tipo di incarico a un altro, ha cancellato i percorsi lineari tipici delle carriere. [...] Si sostiene quindi la tesi che opponendosi alla rigidità della burocrazia e riservando maggior attenzione al ri- schio, la flessibilità consenta agli individui maggior controllo sulla vita. Ma in effetti il nuovo regime sostituisce nuove forme di controllo alle vecchie, piuttosto che limi- tarsi ad abolire le regole del passato e queste nuove forme di controllo sono spesso ancor più difficili da riconoscere» (Sennett 1990, 9-10); per poi aggiungere: «Come può un essere umano sviluppare un’autonarrazione di identità e una storia della propria vita in una società composta di episodi e frammenti?» (ibidem, 24). una bella domanda, che apre a risposte di tipo nuovo rispetto al passato, in par- ticolare alla tesi della rilevanza del fattore cognitivo, unitamente al capitale sociale, come nuovo fondamento del lavoro. Secondo Rullani, il sapere personale apportato dal soggetto che svolge l’azione rappresenta una componente indispensabile del lavoro che in tal modo diviene una forma di conoscenza particolare, non fungibile né esigibile e neppure separabile da chi lo esprime, alimentata mediante l’esperienza e in grado di riflettere il modo di vita della persona, per sua condizione unico e irriducibile (Rullani 2004, 122-123). Si giunge qui a toccare il tema delle competenze, declinato perlopiù in chiave tecnica, come una sorta di sofisticazione della vecchia organizzazione scientifica del lavoro. In realtà sta accadendo qualcosa di nuovo: la comparsa di vere e proprie strut- ture professionali: «Il superamento dell’approccio unidirezionale fra individuo e or- ganizzazione non può essere offerto dalle prospettive di sviluppo dei sistemi di ge- stione delle competenze. Le competenze non stanno in piedi da sole: sono attributi delle ‘strutture professionali’ che sono l’elemento di congiunzione tra sistema orga- nizzativo e individuo». «La progettazione e lo sviluppo di nuovi sistemi professio- nali... si erigono su una linea interpretativa che definisce le competenze attributi delle professioni aziendali; queste devono essere pensate come vere e proprie ‘strutture sociali’ (famiglie professionali), come ‘comunità locali’ identificate da figure omo- genee per competenze maturate e skill effettive realizzate» (Boldizzoni e Manzolini 2000, 38). Si disegnano quindi nuove forme di appartenenza, le comunità professionali, ca- ratterizzate dal possesso di saperi, competenze e legami che ne garantiscono la sta- bilizzazione. La categoria di comunità professionale consente di spiegare le dinamiche che hanno investito la nuova struttura occupazionale quali la diffusione delle nuove tecnologie informatiche e telematiche, il peso crescente delle nuove competenze co- gnitive, comunicative e sociali, infine il processo di professionalizzazione che ha in- vestito buona parte delle attività di lavoro qualificate (Reyneri 2002, 273-290). Il riferimento alle strutture sociali delle professioni va inteso pertanto come ten- 97 tativo di togliere la competenza dalla condizione di indeterminatezza sociale e di col- legarla a fattori che garantiscano una certa stabilità nel tempo, oltre alla possibilità di delineare le condizioni culturali, giuridiche ed organizzative per la loro attivazione. Estetica dei consumi o etica del lavoro rinnovata Nel tentativo di comprendere la nuova realtà del lavoro, gli studiosi si imbattono in ulteriori antinomie, prima fra tutte quella intorno alla questione di quale sia l’i- dentità del lavoratore odierno e quali esperienze la alimentino. Bauman (2004, 43-67) assume innanzitutto l’idea già esposta che i lavoratori si sono fatti a loro volta consumatori in grado di accedere anche a categorie di beni che un tempo venivano definiti “voluttuari” e che oggi sono possibili – ed in qualche mo- do obbligati – dai costumi di vita del nostro tempo. Inoltre, sostiene che anche i la- voratori hanno acquisito il senso dell’individualità ed hanno assunto lo stile espressivo proprio di chi afferma la propria peculiarità soggettiva attraverso il consumo, così che la scelta del bene materiale e del servizio finiscono per rappresentare altrettante affermazioni dell’io individuale. In tal modo, l’identità delle persone non si realizze- rebbe più nell’esercizio di un’attività lavorativa, visto che flessibilità e precarietà non consentono di costruire nulla di duraturo e che i rapporti tra capitale e lavoro si sono fatti reciprocamente labili ed incostanti, ma sarebbe concentrata ultimamente nella ricerca di esperienze sempre nuove ed effimere. Ancor di più: tale ricerca sarebbe in contrasto con identità stabili definite dall’etica del lavoro ben fatto che invece esige accumulazione graduale e differimento del piacere. Questa tesi ripropone di nuovo l’idea che le uniche identità collettive siano quelle che si realizzano nella solidarietà di classe in epoca industriale, mentre il venir meno di queste lascerebbe spazio solo per comportamenti individualistici segnati dall’isola- mento. L’individuo, occupato unicamente a soddisfare i propri desideri nella ricerca di esperienze estetiche, non troverebbe nel lavoro che un vuoto di significati e di valore. Bauman, tutto proteso a dimostrare la superiorità della condizione umana nel- l’epoca della “modernità pesante”, finisce per imprigionarsi entro uno schema dua- listico che scivola fatalmente nel giudizio di valore finendo in tal modo per perdere la sua valenza euristica. Così, si dimentica che anche il mondo dei consumi è luogo di lavoro (sia di chi opera direttamente nel commercio sia di chi si occupa della definizione delle carat- teristiche dei prodotti e dei servizi), anche in forza di quel processo di avvicinamento al cliente che ha interessato molte professioni e che mira alla ricerca di relazioni di tipo fiduciario. Inoltre, si tace completamente la crescente valenza estetica del lavoro non solo in quanto contenuto formale, simbolico ed affettivo delle merci, ma anche nel senso di luogo di espressione delle doti della persona chiamata ad esprimere nel lavoro una sensibilità artistica acquisita nell’ambito della vita così che l’esito del suo lavoro co- stituisca qualcosa di più di un semplice risultato tecnico (Dewey 2004, 341). Infine, Bauman non coglie l’importanza di carriere professionali fondate su una condizione fluida e mutevole, ma nello stesso tempo delineate intorno a strutture pro- fessionali tendenzialmente stabili definite dalla cultura e dalla comunità di apparte- nenza. Se tutto ciò che fuoriesce dalla società industriale è male (individualismo, pre- carietà, capriccio, disimpegno, finzione ...), allora prende una tonalità buona anche ciò che nel passato era visto come negativo (alienazione, mercificazione), mentre l’ansia di dimostrare una tesi precostituita finisce per negare la possibilità di com- prendere, e quindi di appendere, da ciò che di nuovo si manifesta. La civiltà non fi- nisce con il venir meno della struttura sociale basata sul lavoro di massa, mentre le forze che alimentano l’attività umana e danno corpo alla società si aprono la strada verso nuove strutture nelle quali si esprimono tutti i toni della vicenda umana: l’ansia di conoscere se stessi, il desiderio di novità, il bisogno di essere accettati e di segnare la realtà con la propria soggettività, la volontà di conquista ed il desiderio di intratte- nere rapporti di reciprocità. La tesi dell’estetica dei consumi come sostituto dell’etica del lavoro, a ben ve- dere, rappresenta una derivazione della tesi generale del declino del lavoro, disegnata lungo la linea della cosiddetta “mutazione antropologica” del lavoratore e dell’intru- sione della moda e dei consumi nell’immaginario del cittadino. È un punto di vista suggestivo, ma pecca di astrattezza e quindi di genericità. Se fosse vero, dovrebbero abbondare segnali effettivi ed univoci di decadenza dell’etica del lavoro. In realtà, accanto ad ambiti in cui ciò accade effettivamente, si evidenziano fattori che al con- trario indicano che siamo in una stagione di innalzamento della qualità del lavoro. un segno evidente di trasformazione in negativo dell’etica del lavoro tradizionale lo ritroviamo nel giornalismo che “si è profondamente smarrito e corrotto negli ultimi 25 anni”. Questa categoria, caduta da tempo nella trappola della spettacolarizzazione ad ogni costo della notizia, sembra quasi una professione scomparsa (Cohen e Lévy 2008). Questo tuttavia non sembra derivante dall’estetica dei consumi, piuttosto dalla concorrenza nel mercato dei media (la crisi della carta stampata e l’insorgere di una competizione con l’informazione digitale) come pure dalla scomparsa del “giornali- smo che fa riflettere” sostituito dalla costruzione di un’“opinione comune” di seconda mano con tesi bell’è fatte che vengono propinate al pubblico in base alla loro prefe- renza culturale. un cambiamento ben illustrato da Noam Chomsky. la manipolazione mediatica secondo noam Chomsky Secondo il prof. Noam Chomsky la manipolazione mediatica ormai non ha confini. Il consenso politico e quello d’opinione è regolato attraverso ben precise strategie mediatiche che si appoggiano su 10 regole di base. Noam Chomsky è un esperto di comunicazione e fin dagli anni ‘70 è stato un fervente attivista pa- cifista. Queste 10 regole sono state emesse per criticare soprattutto il consenso verso le guerre e verso politiche liberiste e asociali, ma i punti 6, 7 e 9 mi fanno pensare, al consenso sull’origine antropica dei cambiamenti climatici e su come i paladini della salvezza del pianeta e dell’umanità trattino gli scettici climatici. 1 - La strategia della distrazione. L’elemento primordiale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel ➔ 98 99 deviare l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dei cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche, attraverso la tecnica del diluvio o inondazioni di continue distrazioni e di informazioni insignificanti. La strategia della distrazione è anche indispensabile per im- pedire al pubblico d’interessarsi alle conoscenze essenziali, nell’area della scienza, l’econo- mia, la psicologia, la neurobiologia e la cibernetica. Mantenere l’Attenzione del pubblico de- viata dai veri problemi sociali, imprigionata da temi senza vera importanza. Mantenere il pubblico occupato, occupato, senza nessun tempo per pensare, di ritorno alla fattoria come gli altri animali 2 - Creare problemi e poi offrire le soluzioni. Questo metodo è anche chiamato “problema- reazione- soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” prevista per causare una certa reazione da parte del pubblico, con lo scopo che sia questo il mandante delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che si dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, o organizzare attentati sanguinosi, con lo scopo che il pubblico sia chi richiede le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito della libertà. O anche: creare una crisi economica per far accettare come un male necessario la retrocessione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici. 3 - La strategia della gradualità. Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, a contagocce, per anni consecutivi. È in questo modo che condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte durante i decenni degli anni 80 e 90: Stato minimo, privatiz- zazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione in massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero state appli- cate in una sola volta. 4 - La strategia del differire. un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “do- lorosa e necessaria”, ottenendo l’accettazione pubblica, nel momento, per un’applicazione futura. È più facile accettare un sacrificio futuro che un sacrificio immediato. Primo, perché lo sforzo non è quello impiegato immediatamente. Secondo, perché il pubblico, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. Questo dà più tempo al pubblico per abituarsi all’idea del cambiamento e di accettarlo rassegnato quando arriva il momento. 5 - Rivolgersi al pubblico come ai bambini. La maggior parte della pubblicità diretta al gran pubblico usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, molte volte vicino alla debolezza, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente mentale. Quanto più si cerca di in- gannare lo spettatore più si tende ad usare un tono infantile. Perché? Se qualcuno si rivolge ad una persona come se avesse 12 anni o meno, allora, in base alla suggestionabilità, lei ten- derà, con certa probabilità, ad una risposta o reazione anche sprovvista di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno. 6 - Usare l’aspetto emotivo molto più della riflessione. Sfruttate l’emozione è una tecnica classica per provocare un corto circuito su un’analisi ra- zionale e, infine, il senso critico dell’individuo. Inoltre, l’uso del registro emotivo perm ette di aprire la porta d’accesso all’inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e ti- mori, compulsioni, o indurre comportamenti... 7 - Mantenere il pubblico nell’ignoranza e nella mediocrità. Far si che il pubblico sia incapace di comprendere le tecnologie ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù. “La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve ➔ 100 essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza dell’ignoranza che pianifica tra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare dalle classi inferiori”. 8 - Stimolare il pubblico ad essere compiacente con la mediocrità. Spingere il pubblico a ritenere che è di moda essere stupidi, volgari e ignoranti… 9 - Rafforzare l’auto-colpevolezza. Far credere all’individuo che è soltanto lui il colpevole della sua disgrazia, per causa della sua insufficiente intelligenza, delle sue capacità o dei suoi sforzi. Così, invece di ribellarsi contro il sistema, l’individuo si autosvaluta e s’incolpa, cosa che crea a sua volta uno stato depressivo, uno dei cui effetti è l’inibizione della sua azione. E senza azione non c’è rivoluzione! 10 - Conoscere gli individui meglio di quanto loro stessi si conoscano. Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza hanno generato un divario crescente tra le conoscenze del pubblico e quelle possedute e utilizzate dalle élites dominanti. Grazie alla biologia, la neurobiologia, e la psicologia applicata, il “sistema” ha goduto di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia nella sua forma fisica che psichica. Il sistema è riuscito a co- noscere meglio l’individuo comune di quanto egli stesso si conosca. Questo significa che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un controllo maggiore ed un gran potere sugli individui, maggiore di quello che lo stesso individuo esercita su sé stesso”. Alcune frasi del climategate11 mi ricordano questi punti è sempre bene citarli perché in molti tentano di sminuire ciò che è emerso. Alcune frasi del climategate mi ricordano questi punti è sempre bene citarli perché in molti tentano di sminuire ciò che è emerso: – “Ho provato con sforzo a bilanciare le necessità della scienza e quelle dell’IPCC, che NON sono sempre le medesime.” – “Permettetemi di dire che non mi interessa cosa hanno messo nel sommario per i decisori politici, se c’è un consenso generale. Tuttavia una discussione generale deve essere valutata... dimostrare che questo rappresenti la verità è un problema difficile”. – “Il fatto che non si può spiegare ciò che sta accadendo nel sistema climatico rende ogni azione di geoingegneria (come la riduzione delle emissioni) quasi senza speranza: non saremo mai in grado di dire se è efficace o no!” – “Non posso vedere nessuno di questi articoli all’interno del prossimo rapporto dell’IPCC. Io e ****** li terremo fuori in qualunque modo anche se dovessimo ridefinire che cosa sia la lette- ratura peer-review!” – “Sembra che gli scettici abbiano avuto un bel colpo di fortuna (con quella pubblicazione) su Climate Research. Credo che dovremmo suggerire ai nostri colleghi ricercatori di non sottomet- tere più articoli in questa rivista, e neanche di citarli.” – “una cosa è perdere Climate Research. Invece non potremmo fare a meno di Geophysical Re- search Letters se ritieni che Saiers (editore di GRL) stia nel campo degli scettici, allora dovremmo provare attraverso i canali ufficiali dell’AGu a farlo buttare fuori.” (Cosa poi avvenuta.) 11 Il Climategate è uno scandalo che coinvolge il furto dei dati informatizzati nel novembre 2009 che contenevano informazioni sulla ricerca del cambiamento climatico condotto presso l’university of East An- glia (uEA) a Norwich, in Inghilterra. I dati emersi mostrano che gli scienziati dell’uEA non solo si sotto- mettevano volentieri ai “suggerimenti” dei politici, fornendo alle tesi catastrofiste un improbabile sostegno scientifico, ma mettono in luce anche una vera e propria rete mirante a far tacere scienziati “scettici” circa la tesi del climatechange, fino al loro allontanamento dai ruoli rivestiti negli organismi di ricerca e nelle riviste scientifiche. Ad esempio, alcune mail di uno scienziato, Phil Jones, sottendevano la volontà di impe- dire la pubblicazione di lavori non allineati al pensiero degli scienziati della CRu. ➔ 101 – “MIkE, puoi cancellare ogni email che hai avuto con keith sull’AR4 (quarto rapporto del- l’IPCC).Caspar farà altrettanto. Puoi anche scrivere a **** per dirgli di fare lo stesso. Noi pensiamo ad avvisare ******”. – “Sarebbe carino provare a “contenere” il periodo caldo medievale, anche se non abbiamo ancora una ricostruzione emisferica che arrivi così lontano nel passato.” – “So che ci sono pressioni per presentare una bella storia pulita per quanto riguarda le evi- denze dai dati proxy di un riscaldamento senza precedenti da un migliaio di anni o più, ma in realtà la situazione non è così semplice.” – “Se la Royal Meteorological Society ha intenzione di chiedere agli autori di rendere dis- ponibile tutti i dati – grezzi e risultati intermedi – non sottometterò più altri lavori ai giornali della RMS.” Riguardo lo scetticismo climatico invece segnalo questo articolo di cui sotto cito alcuni brani. “Al di là quindi se le tesi degli scettici abbiano fondamento o no, è necessario difendere la loro libera e pacifica contestazione razionale da chi vorrebbe invece imbavagliare questi “ere- tici fastidiosi”, perché ciò significa difendere la libertà e il sano dubbio contro certezze che possono provocare disastri. Per citare Voltaire: “Il dubbio non è piacevole, ma la certezza è ridicola” [...] “Chi fa progredire la scienza della natura rifiuta categoricamente di riconoscere l’autorità in quanto tale. Per lui, lo scetticismo è il più alto dei compiti, la fede cieca invece è un peccato imperdonabile”. – Thomas H. Huxley [...] In conclusione, quello che rifiutano gli scettici è l’allarmismo ingiustificato e l’eco-catastrofismo, anche per un altro motivo più “sociologico”: non è con la paura, un potente mezzo di manipola- zione della masse come avvertiva lo scrittore Michael Crichton nel suo romanzo Stato di Paura, che si convincono le persone a prendersi cura nel modo migliore dell’ambiente”. Prendo lo spunto da questa immagine che è una satira di come confezionano i report sui cambia- menti climatici per citare un articolo dell’amico Giordano Masini che ci svela le finalità costruttive di Rajendra Pachauri. “Siamo un organismo intergovernativo e la forza e la credibilità di ciò che produciamo al fatto che è, di proprietà, (governato e indirizzato) dai governi. Se non fosse stato così, saremmo come qualsiasi altro organismo scientifico che elaborano rela- zioni di prim’ordine, ma che non vedono la luce del giorno perché non hanno importanza nelle decisioni politiche. Ora, chiaramente, se (l’IPCC) è un organismo intergovernativo e c’è il con- ➔ 102 trollo dei governi (governments’ ownership) su quello che produciamo, ovviamente ci daranno indicazioni sulla direzione da seguire, cioè quali sono le domande a cui vogliono una risposta. Purtroppo, la gente ha perso completamente la motivazione originale per cui IPCC è stato istituito dove si dice chiaramente che la nostra valutazione deve comprendere una risposta realistica”. ====================== A cui risponderei con un aforisma di Mark Twain: «Il pericolo non viene da quello che non conosciamo ma da quello che crediamo sia vero e invece non lo è». Dopo il climategate, ma anche dopo le vicende di wikileaks si potrebbe affermare parafra- sando Bernard Shaw: «Esistono cinque categorie di bugie; la bugia semplice, le proiezioni “climatiche”, la statistica, la bugia diplomatica e il comunicato ufficiale». (Posted By Claudio Costa on Feb 26, 2011 in Attualità http://www.climatemonitor.it/?p=13558) Di contro, è in atto un forte movimento teso alla qualificazione del lavoro nella prospettiva dell’affidabilità, della sostenibilità e dell’innovazione. Questo ha avuto il merito di avviare un ampio processo di revisione critica dei modelli di gestione aziendale centrati esclusivamente sulle variabili amministrative e sulla divisione fun- zionale dei reparti e degli uffici, oltre che dei fondamenti teorici circa la natura del- l’impresa. Le sue conseguenze non sono da leggere solo sotto il profilo delle procedure, ma anche di una trasformazione dei principi, delle regole ed in definitiva delle prati- che quotidiane, con influssi decisamente importanti sui contenuti delle discipline eco- nomico-manageriali che compongono i piani dei percorsi formativi. Si è sviluppato un approccio di qualità totale come indispensabile supporto alla gestione aziendale che contribuisce al governo della complessità cognitiva ed operativa dell’impresa e dell’ambiente. Tre sono i cardini di tale approccio: l’orientamento ai clienti, alle per- sone, al sistema e alla conoscenza. Questi costituiscono i valori di base della cultura dell’organizzazione, influendo decisamente sulla sua identità e reputazione (Colurcio e Mele 2010). Non si tratta di un modo indiretto di fare marketing, perché in un mer- cato molto competitivo, il prodotto-servizio cattivo viene ben presto scoperto; né si tratta di una “organizzazione di carta”, anche se non è da escludere che in diversi ambiti di lavoro sia vissuto come un mero adempimento. Ma occorre anche ricordare le pratiche finalizzate alla tutela della salute, al ri- spetto dell’ambiente, alla responsabilità sociale dell’impresa, tutti temi che nella fase della seconda industrializzazione non erano tenuti in considerazione e che segnalano la presenza di un’etica del lavoro rinnovata. Presentismo alcuni approfondimenti che mettono in luce il rilievo etico e sociale dei temi indicati, iniziando da quello della tutela del salute. Si tratta di un documento dell’unione europea che, dopo una fase positiva di diffusione di norme e pratiche tutelanti nei luoghi di lavoro, si pone l’obiettivo di consolidare e di migliorare tali pratiche. 103 progressi compiuti e problemi da risolvere in tema di salute e sicurezza sul lavoro in unione europea I progressi conseguiti a livello di ue in materia di salute e sicurezza sul lavoro nel corso degli ultimi 25 anni sono attribuibili essenzialmente agli atti legislativi e alle azioni strategiche globali adottati e attuati dall’unione, dagli Stati membri e dalle parti interessate, come le parti sociali. La maggior parte delle iniziative legislative e non legislative previste dalla stra- tegia dell’ue per il periodo 2007-2012 in materia di salute e sicurezza sul lavoro è stata at- tuata. La strategia dell’ue in materia di salute e sicurezza sul lavoro ha fornito un quadro co- mune per il coordinamento e una prospettiva comune. Ventisette Stati membri possiedono adesso una strategia nazionale in materia di salute e si- curezza su lavoro (Ssl), adattata al contesto nazionale e ai settori chiave prioritari. Fra il 2007 e il 2011, nell’ue è stato possibile ridurre del 27,9% il tasso di incidenza degli infortuni che hanno comportato un’assenza superiore a tre giorni. Le iniziative di sensibilizzazione svolte a livello nazionale e dell’ue hanno contribuito al rafforzamento di una cultura della preven- zione dei rischi. Secondo una recente indagine Eurobarometro, un’ampia maggioranza di la- voratori (85%) si dichiara soddisfatta della salute e della sicurezza sull’attuale posto di lavoro e più di tre quarti (77%) asseriscono che sul loro posto di lavoro sono disponibili informazioni concernenti la salute e la sicurezza sul lavoro e/o corsi di formazione sul tema. La valutazione della strategia 2007-12 in materia di salute e sicurezza sul lavoro ha confer- mato che l’attuazione della strategia dell’ue è stata nel complesso efficace e che i suoi obiet- tivi principali sono stati conseguiti. La strategia dell’ue ha contribuito a migliorare l’attua- zione della normativa in materia di Ssl e a chiarire le norme dell’ue. L’attuazione continua tuttavia a costituire una sfida, soprattutto per le Pmi, che hanno difficoltà a rispettare alcune prescrizioni normative. Sono state constatate anche delle lacune, in particolare per quanto ri- guarda gli effetti su singole imprese a livello locale, specialmente Pmi. Mentre le autorità governative hanno partecipato attivamente all’attuazione della strategia, è risultato più difficile coinvolgere altri partner dell’ue, in particolare le parti sociali nazionali. La raccolta di dati statistici e lo sviluppo di strumenti di monitoraggio si sono rivelati insufficienti. In particolare, la valutazione della strategia 2007-12 ha messo in rilievo la necessità di affrontare più effi- cacemente l’impatto di specifiche azioni preventive su singole imprese (in particolare Pmi), l’interazione della Ssl con l’ambiente e le sostanze chimiche e la prevenzione efficace delle malattie professionali e legate al lavoro. Nonostante la riduzione significativa del numero degli infortuni e i progressi ottenuti nel campo della prevenzione, la salute e la sicurezza sul lavoro nell’ue necessitano di ulteriori miglioramenti. Ogni anno più di 4 000 persone muoio- no a causa di incidenti sul lavoro e più di tre milioni di lavoratori sono vittima di gravi inci- denti sul lavoro cui fa seguito un periodo di assenza dal lavoro superiore a tre giorni. Il 24,2% dei lavoratori ritiene che la propria salute e la propria sicurezza siano a rischio a causa del la- voro che svolge, mentre il 25% ha dichiarato che il lavoro ha un effetto essenzialmente ne- gativo sulla propria salute. Oltre alle sofferenze umane, gli alti costi connessi alle assenze per malattie legate al lavoro sono inaccettabili. In Germania, 460 milioni di giorni di assenza per malattia all’anno si traducono in una perdita di produttività stimata pari al 3,1% del pil. Anche i costi per la sicurezza sociale dovuti a malattie o infortuni sono troppo elevati. Nel periodo contabile 2010/11, il costo netto a carico della sola amministrazione del Regno unito è stato stimato in 2.381 milioni di sterline. Al fine di migliorare ulteriormente la salute e la sicurezza dei lavoratori, come previsto dal trattato (articoli 153 e 156), è opportuno che la Commissione adotti misure politiche di portata adeguata in collaborazione con gli Stati mem- bri. I vantaggi economici e sociali delle politiche in materia di salute e sicurezza sul lavoro sono ben documentati: ripercussioni positive sulla crescita, maggiore produttività, riduzione ➔ 104 degli infortuni e minore incidenza delle malattie gravi. Al momento di attuare gli interventi, tuttavia, occorre tenere conto dei costi per le imprese. (Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni relativa a un quadro strategi- co dell’unione europea in materia di salute e sicurezza sul lavoro 2014 -2020 http://www.inail.it/internet_web/wcm/idc/groups/internet/documents/document/ucm_159910.pdf) L’impegno sul tema della sicurezza e della salute sul lavoro è diventato davvero un “movimento” etico che ha interessato la totalità del mondo delle imprese e del lavoro; è vero che ancora in diversi casi le nome prodotte sono intese come meri adempimenti, ma è indubitabile che questa campagna abbia comportato una presa di coscienza ed una trasformazione di culture di impresa e del lavoro per le quali l’attenzione a questi valori non era adeguatamente considerata, con l’effetto della riduzione di incidenti e malattie professionali. Il secondo tema che segnala un’etica rinnovata dell’impresa e del lavoro riguarda la sostenibilità, un vero e proprio asse portante di questa nuova cultura. Presentiamo un documento di Impresa etica nel quale si nota lo sforzo di passare dalla fase normativa a quella culturale, con riferimento esplicito all’idea del lavoro come ambito privilegiato del protagonismo del cittadino responsabile, proposto all’impresa nella prospettiva della sostenibilità declinata in consonanza con i suoi specifici scopi. l’impresa sostenibile L’azienda necessita di una comunità prospera per poter usufruire di un pool di potenziali talenti, di un ambiente in grado di investire e innovare, di una domanda effettiva per i suoi prodotti. Allo stesso modo, la comunità ha bisogno di imprese capaci e di successo per poter disporre di posti di lavoro e di opportunità per creare ricchezza e benessere. L’impresa contribuisce a promuovere il progresso sociale e, quindi, a creare valore condiviso, sia economico sia sociale, costruendo infrastrutture o accrescendo le conoscenze e le competenze sul territorio in cui opera, miglioran- done in questo modo la produttività, l’innovazione e la competitività. Per fare questo, le imprese devono creare o rafforzare il legame con il territorio e le comunità che le circondano, anche promuovendo nuove e più strette forme di collaborazione con gli altri attori del territorio, in modo tale da permettere un incremento del progresso sociale. L’impresa sostenibile sa cogliere le opportunità derivanti dal garantire la riproduzione e la fertilità delle ri- sorse che utilizza anche al di fuori dell’impresa, per assicurare la riproduzione e l’accrescimento del capitale sociale e ambientale. Considerando più specificamente il tema del lavoro, ciò significa che l’impresa responsabile, grazie a interazioni con altri attori che operano sul territorio, contribuisce ad accrescere il capitale cognitivo (know-how e conoscenze, sia dei dipendenti sia sul territorio), il capitale sociale (co- esione sociale, reddito, qualità della vita) e infrastrutturale (riqualificazione urbana, sviluppo di nuovi servizi, creazione di nuove reti). Occorre pertanto spostarsi da una visione meramente impresa-centrica a una visione in cui la produzione di valore è determinata da una costellazione di attori (altre imprese, istituzioni locali e nazionali, società civile, componenti della filiera produttiva, ecc.) che operano in un vero e proprio ecosistema all’interno di uno specifico territorio. Il contesto in cui l’impresa opera è ca- ratterizzato da una forte segmentazione e diversità di questi territori, per cui diventa determinante ➔ 105 lavorare alla costruzione (o alla qualificazione) di network tra i diversi interlocutori che nei ter- ritori operano, conferendo loro una necessaria centralità. Per quanto riguarda specificamente il tema del lavoro, l’ecosistema in cui opera l’impresa è com- posto da una grande varietà di forme di produzione e di categorie di attori sempre più numerosi e diversi. Queste organizzazioni, dalla grande impresa al lavoratore indipendente, interagiscono se- condo multiple configurazioni. Le interazioni che si creano tra l’impresa e questi attori hanno forme che superano le mere relazioni contrattuali tipiche della filiera. Al contempo, si riconosce la priorità del rapporto con i fornitori, dove il modo con cui si gestiscono i processi di esternalizzazione di mansioni specialistiche può concorrere in modo significativo a produrre valore condiviso, piuttosto che rappresentare un elemento di depauperazione del capitale sociale. [...] La sfida per l’impresa sarà quindi quella di riuscire ad accrescere gli elementi di scambio con i propri collaboratori e, contestualmente, con il territorio in cui è inserita. Bisognerà, in ogni caso, necessariamente fare i conti con le criticità e le resistenze (culturali ed ideologiche) che da sempre accompagnano i processi di innovazione e cambiamento, che diventano ancora più solide e sfidanti quando il cambiamento deve riguardare i processi di creazione di valore legati al lavoro. È determinante che venga innanzitutto ricostruito il rapporto di fiducia tra impresa e territorio, in tutte le sue declinazioni. Fiducia necessaria per ridare valore positivo all’impresa e permetterle di evolversi, non più di difendersi. Fiducia allo stesso tempo necessaria per costruire una dimensione di futuro che, attualmente, agli occhi di imprese e lavoratori ha i contorni molto sfocati. In secondo luogo, il cambiamento nelle relazioni e nelle modalità di azione deve necessariamente poggiare su un cambiamento più profondo, nella cultura e nell’ideologia, che deve riguardare tanto le imprese quanto i suoi stakeholder, partendo dai lavoratori sino ad arrivare alle organizzazioni sindacali e al mondo politico. Costruire relazioni bidirezionali, promuovere scambio e confronto, ed essere tutti responsabili e attivi – ciascuno per la sua parte – in quel processo di costruzione di significato e creazione di valore per il territorio che passa necessariamente per il lavoro. Il lavoro è una conquista, per la quale bisogna opportunamente attrezzarsi, continuamente inter- rogarsi, con spirito critico ed aperto al cambiamento in ogni settore ed ambito professionale, in- dipendentemente dal ruolo e dall’esperienza maturata. Per questo, è un diritto avere gli strumenti per poter accedere al lavoro, in primo luogo una formazione adeguata che comincia a scuola e continua in azienda, attraverso la costruzione di percorsi di partnership tra imprese, istituzioni e cittadini/lavoratori. una grande sfida per il futuro: creare, in un mondo che cambia, valore attra- verso il lavoro. (Impronta etica 2014) Il testo assume in pieno la prospettiva dell’azione responsabile dei soggetti eco- nomici, insita nel concetto di sostenibilità, decisamente all’opposto della visione ra- dicale che considera l’intervento umano comunque lesivo dell’equilibrio ambientale e che punta ad un mero contenimento dell’azione umana nella prospettiva della de- civilizzazione. Il superamento della concezione impresa-centrica a favore della prospettiva che vede l’azione economica come un’azione creatrice di valore in rapporto al territorio ed ai lavoratori è parte di una vera e propria campagna culturale volta a delineare una fondazione etica di tipo nuovo per le imprese ed il lavoro. Questa mobilitazione è giunta al punto di investire il cuore delle strategie imprenditoriali, perdendo il ca- rattere di mero adempimento di origine normativo per giungere ad assumere un ca- rattere vitale, connesso alla natura stessa dell’intrapresa. Ecco un documento che mette in luce le diverse modalità tramite le quali i go- 106 verni possono promuovere la responsabilità sociale delle imprese, così da sollecitare un loro atteggiamento propulsivo, una volta compreso l’interesse per questo cambio culturale. gli interventi governativi per promuovere la responsabilità sociale dell’impresa Come evidenziato da numerose ricerche, l’adozione di iniziative di responsabilità sociale è ormai considerata una necessità ed un’opportunità per le imprese, sotto diversi punti di vista: ad esempio, la presenza in un’azienda di lavoratori disabili può stimolare lo sviluppo di tec- nologie che facilitino il lavoro di questa categoria di lavoratori, e che possono poi essere pro- poste sul mercato e diventare un nuovo business per l’impresa; l’adozione di iniziative che rendano una produzione industriale più efficiente dal punto di vista del consumo energetico diverrà assolutamente necessaria a fronte di un aumento previsto dei costi dei carburanti o di eventuali imposizioni di “tasse ambientali” che colpiranno la produzione di inquinamento. Le problematiche legate alla sostenibilità ambientale, sociale ed economica, e il cambiamento dei comportamenti dei consumatori, che sono sempre più sensibili al tema dello sviluppo so- stenibile e del consumo responsabile, inducono le imprese a cambiare i modelli di business trasformando queste sfide in opportunità di sviluppo. Le esperienze più avanzate ed interessanti in questa direzione e le buone pratiche rilevate nell’ambito della nostra ricerca permettono di evidenziare i potenziali vantaggi sia per le im- prese che adottano pratiche di responsabilità sociale che per il sistema socio economico nel suo complesso. Tra i potenziali vantaggi per le imprese ricordiamo: – minori difficoltà nell’attrarre forza lavoro qualificata; – maggiore motivazione e fedeltà della forza lavoro, e quindi minore turnover; – migliore capacità di attrazione di nuovi clienti e sviluppo di un rapporto migliore con i clienti già acquisiti; – miglioramento della reputazione dell’impresa; – risparmio; – migliore accesso al credito; – maggiore efficienza; – sviluppo di nuovi prodotti; – migliore organizzazione aziendale; – maggiore innovatività; – maggiore competitività sul mercato. A livello di sistema, adottare pratiche di responsabilità sociale significa contribuire a uno svi- luppo economico sostenibile, e ad una maggiore coesione sociale. La definizione di responsabilità sociale più diffusa evidenzia il carattere di volontarietà della stessa, tuttavia, nel corso degli ultimi anni, anche a livello di politiche pubbliche degli stati nazionali si è sviluppato il dibattito sulla promozione della responsabilità sociale e gli approcci adottati variano da stato a stato. Secondo la classificazione proposta nella pubblicazione The Role of Governments in Promo- ting Corporate Responsibility and Private Sector Engagement in Development i diversi in- terventi governativi per promuovere la responsabilità sociale a livello nazionale sono ricon- ducibili a quattro categorie: – sensibilizzazione: le attività legate alla sensibilizzazione hanno l’obiettivo di favorire la – comprensione del concetto di responsabilità sociale presso tutti gli attori coinvolti; – partenariato: promozione di partenariati ad hoc sulla responsabilità sociale; – “soft law”: promozione di iniziative di responsabilità sociale attraverso strumenti giuridi- camente non vincolanti, ma che hanno il vantaggio di essere flessibili; – “mandato”: promozione di iniziative di responsabilità sociale attraverso strumenti giuridi- camente vincolanti che consentono di raggiungere standard minimi nei settori più di rilievo per la responsabilità sociale. I quattro approcci adottati e gli strumenti utilizzati per implementarli sono riassunti nella tabella seguente: ➔ 107 (CSR Piemonte 2011) Ciò vale anche per la gestione delle risorse umane, specie riguardo alla concilia- zione tra lavoro e famiglia: l’esperienza mostra come le grandi imprese che adeguano le loro strutture a questa esigenza dei dipendenti ne traggano a loro volta dei vantaggi, anche nelle piccole e medie imprese. un manuale della Confederazione elvetica propone le modalità tramite le quali queste imprese possono intervenire sul tema della conciliazione, allo scopo di aiutare i propri collaboratori a vivere il lavoro in modo più conforme alle proprie aspirazioni. Conciliazione tra lavoro e famiglia Orari di lavoro flessibili Gli orari di lavoro flessibili sono una condizione di base per poter conciliare lavoro e famiglia, a prescindere dal grado di occupazione. una certa libertà nella scelta dei propri orari di lavoro aiuta i dipendenti a trovare un migliore equilibrio tra la professione e la famiglia. Le situazioni nelle quali i genitori apprezzano particolarmente una certa flessibilità sono molte: accompa- gnare e riprendere i bambini in strutture di custodia complementari alla famiglia o a scuola, preparare il pranzo, appuntamenti dal dentista, chiusure impreviste della scuola eccetera. L’applicazione pratica nelle aziende mostra che gli orari di lavoro flessibili sono una delle misure più efficaci per una migliore conciliabilità. Lavoro a tempo parziale La riduzione del grado di occupazione è un’altra misura efficace per migliorare la concilia- bilità tra lavoro e famiglia. Le possibilità di organizzazione degli orari sono svariate. Attual- mente sono soprattutto le madri che, lavorando a tempo parziale, riescono a conciliare fami- glia e lavoro. Di conseguenza, questa forma di lavoro è diffusa soprattutto tra le professioni tipicamente femminili. Il suo potenziale è però molto più vasto. Secondo un’indagine svolta dall’ufficio federale di statistica, sempre più giovani padri vorrebbero condividere con le madri la gestione dei figli e dei lavori domestici. Le offerte di lavoro a tempo parziale po- trebbero quindi costituire un vantaggio concorrenziale nel futuro mercato del lavoro. TIPO DI INTERVENTO PuBBLICO STRuMENTI SENSIBILIzzAzIONE Meccanismi di premialità, piattaforme informative, campagne, misure di formazione e capacity building, trasparenza riguardo ai pagamenti alle istituzioni pubbliche, etichettature, manuali. PARTENARIATO Coinvolgimento di stakeholders, partnership tra settore pubblico e privato, azioni collettive, tavole rotonde. SOFT LAW Codici di governance aziendale, codici di condotta, imple- mentazione di principi internazionali, linee guida per repor- ting sulla responsabilità sociale, esenzioni fiscali per attività filantropiche, procedure di approvvigionamento pubblico. MANDATO Leggi sulle imprese, regolamentazioni per fondi pensione, re- golamentazioni di borsa, leggi sul reporting sulla responsa- bilità sociale, penalizzazioni per inadempienza. ➔ 108 L’occupazione a tempo parziale già da lungo tempo non è più limitata soltanto a funzioni au- siliarie. Negli ultimi anni, anzi, ha preso piede soprattutto tra le persone meglio qualificate. Il lavoro a tempo parziale è sempre più diffuso anche tra i quadri e i dirigenti, ciò che nella maggior parte dei casi rende necessario un adeguamento dell’organizzazione del lavoro. La responsabilità è suddivisa tra più persone. Specialmente le aziende più piccole hanno così maggiori possibilità di acquisire dirigenti qualificati. Adeguamento dell’organizzazione del lavoro Tanto più flessibili sono gli orari di lavoro e i gradi di occupazione nell’azienda, tanto più l’organizzazione del lavoro dev’essere accurata affinché alla fine tutto combaci. Se i colla- boratori non sono sempre tutti presenti, la pianificazione e il coordinamento devono essere meglio soppesati per evitare situazioni problematiche e passaggi inutili. Gli stessi cambia- menti organizzativi sono però anche un contributo ai fini di una migliore conciliabilità tra la- voro e famiglia. I principali elementi di un adeguamento dell’organizzazione del lavoro sono gli accordi autonomi nel team, il lavoro finalizzato ai risultati, la garanzia del flusso di infor- mazioni, una pianificazione mirata dell’impiego nonché l’organizzazione delle supplenze. Anche il job sharing è una forma di organizzazione adeguata del lavoro. Pause professionali Con la nascita di un figlio si apre un nuovo capitolo esistenziale che implica altri ritmi, nuove priorità e soprattutto un grande impegno per la cura del neonato. Nei primi tempi questo com- pito può essere adempiuto grazie a diverse forme di congedo. Congedo maternità: dal 2005 esiste un diritto legale al congedo maternità, che è indennizzato tramite il regime dell’indennità per perdita di guadagno (14 settimane all’80% del salario). – Congedo paternità: la maggior parte delle aziende accorda anche un congedo per i padri in seguito alla nascita di un figlio, che è perlopiù limitato a singole giornate. – Congedo parentale: i dipendenti possono usufruire di un congedo (pagato o non pagato) a tem- po determinato e riprendere un posto di lavoro equivalente quando tornano nell’azienda. – Queste regole minime non sempre soddisfano le aspettative personali dei giovani genitori, che vorrebbero dedicare più tempo al neonato. Essi apprezzano particolarmente che in questa situazione l’azienda si mostri disponibile nei loro confronti. Ciò non comporta necessariamente un aumento massiccio dei costi. Qui di seguito vengono illustrate le diverse possibilità di organizzare le pause professionali. Luogo di lavoro flessibile Se si elimina il tragitto per arrivare al posto di lavoro o se determinati compiti possono essere svolti anche strada facendo, i dipendenti con impegni familiari sono spesso in grado di dedi- care più tempo alle questioni professionali. Per poter affidare compiti di responsabilità alle persone occupate a tempo parziale può essere sufficiente garantirne la raggiungibilità in caso di domande da parte di committenti o colleghi. Le possibilità di lavorare fuori sede variano molto da un settore all’altro. In genere la flessibilità del posto di lavoro può essere una misura adeguata per una migliore conciliabilità del lavoro e della professione. I collaboratori possono, regolarmente, temporaneamente, o anche soltanto in caso di bisogno, lavorare da casa o da un altro luogo esterno all’azienda, anche lungo il tragitto, ad esempio durante il viaggio in treno per recarsi al lavoro. Se si lavora da casa, gli orari riservati alla professione e alla famiglia possono essere alternati in modo ottimale in funzione delle esi- genze individuali. Nell’era dei portatili e dell’ADSL molti lavori al computer possono essere svolti in qualsiasi luogo. Sostegno alla custodia dei figli Fondamentalmente, il modo di organizzare la custodia dei figli è affare privato dei genitori. Spetta ai padri o alle madri decidere quanto tempo trascorrere a casa con i propri figli. Oggi ➔ 109 come oggi però molte coppie non possono realizzare pienamente i loro progetti. Le aziende si mostrano spesso poco accomodanti soprattutto nei confronti degli uomini che desiderano ridurre il loro tempo di lavoro. I nonni e i vicini sono di grande aiuto, ma nella maggior parte dei casi non riescono a prendere in custodia i bambini regolarmente per più di un giorno alla settimana. D’altra parte, non è sempre facile trovare una famiglia diurna o un asilo nido, per non parlare dei costi che queste soluzioni comportano. Anche nelle scuole molto spesso man- cano apposite strutture di custodia. L’azienda può offrire in questi casi il suo sostegno. L’importante è rispettare la libertà di scelta e cercare soluzioni che tengano conto delle esigenze dei genitori. Molte aziende di pic- cole e medie dimensioni non sono abbastanza grandi per avere un proprio asilo nido. Inoltre, le loro possibilità finanziarie sono spesso limitate. Ciò nonostante vi sono vari modi per sostenere i dipendenti che hanno problemi di custodia dei figli. Clima aziendale Se i contenuti del lavoro e i processi operativi, le strutture e i regolamenti forgiano un’azienda, il clima aziendale la caratterizza almeno altrettanto. E se la conciliabilità tra lavoro e famiglia rimane lettera morta, nessuno ci guadagna. I dipendenti con figli si ritraggono con un’intima delusione, e l’impresa non sfrutta il potenziale insito in collaboratori leali, impegnati e im- piegati in modo ottimale. Idealmente, l’apertura nei confronti delle esigenze familiari do- vrebbe costituire una componente scontata della quotidianità dell’azienda. I punti che ora elenchiamo contribuiscono a far sì che tale stato ideale si realizzi. Sviluppo del personale In un contesto di intensa evoluzione tecnologica e di mercati che mutano rapidamente, un aggiornamento professionale continuo garantisce la competitività. Anche nelle piccole im- prese che non possono offrire grandi opportunità di carriera, il perfezionamento apre ai singoli dipendenti nuove prospettive professionali. Spesso le misure di perfezionamento vengono recepite dai dipendenti come segno di riconoscimento e di stima personale. Esse influiscono positivamente sulla motivazione e sull’impegno dei collaboratori. Investendo nell’evoluzione professionale del personale si aumenta la flessibilità nell’impiego dei collaboratori e si ha a disposizione un maggior numero di persone in grado di assumersi delle responsabilità all’in- terno dell’impresa. Sotto questo aspetto, impegni familiari e avanzamento professionale non si escludono a vi- cenda. I collaboratori con responsabilità familiari e gradi di occupazione ridotti sono straor- dinariamente fedeli all’azienda se questa, invece di spingerli professionalmente su un binario morto, offre loro opportunità di sviluppo. A lungo termine, investire in questo tipo di colla- boratori è pagante. La probabilità che un dipendente rimanga nell’azienda aumenta se durante i colloqui previsti con i collaboratori ci si impegna continuamente per far combaciare avan- zamento professionale in azienda e programmi familiari. (Confederazione Svizzera 2007) Questi esempi – tutela della salute e sicurezza sul lavoro, sostenibilità, respon- sabilità, sociale dell’impresa, conciliazione lavoro famiglia – disegnano i tratti di un’etica del lavoro rinnovata che sostiene non solo la deontologia delle professioni, ma costituisce anche lo sfondo dell’azione economica e lavorativa nel nostro tempo. Questa consapevolezza stride fortemente con la teoria della caduta dell’etica del la- voro a favore dell’estetica dei consumi. D’altro canto, i contenuti di questa nuova etica rivelano il carattere dell’azione svolta nella società complessa, che riflette l’aumento del potere discrezionale posto nella di - sponibilità umana e la necessità di un innalzamento della capacità di gestione dello stesso. 110 Ideologia della precauzione o avventura gioiosa Proprio la nuova etica del lavoro – segno di una riscoperta del valore della responsabilità – conduce ad un nodo di grande rilevanza specie dal punto di vista giuridico: il dilemma che contrappone il principio di precauzione e la necessità del- l’assunzione del rischio entro un società fondata sul cambiamento e quindi sul suo corredo inevitabile: l’imprevisto. Secondo ulrich Beck, nella fase compiuta della modernità compaiono: «Pericoli prodotti e anticipati dall’uomo, che non si lasciano delimitare né spazialmente, né temporalmente, né socialmente. In questo modo le condizioni di fondo e le istituzioni di base della prima modernità, della modernità industriale – i contrasti di classe, la statualità nazionale e l’idea di un progresso tecnico-economico lineare – vengono cancellate» (Beck 2008, 10). Ecco un testo che presenta tale principio nella prospettiva propria della cultura giuridica. Il principio di precauzione e l’impossibilità del rischio zero Il “principio di precauzione”, emerso come regola comportamentale, si è trasformato in vera e propria norma giuridica, ampliando fin da subito il campo di applicazione in molteplici settori. Nell’odierna “società dei rischi” il cambiamento che ha interessato la natura di quest’ultimi è stato inevitabile: si passa dall’incidente alla catastrofe, che può essere naturale, climatica, tecnologica, con ripercussioni sulla natura dei danni. In effetti, i danni provocati da una ca- tastrofe vanno oltre l’assicurabilità e non è sempre possibile indennizzarli (ciò ha messo in discussione il grande patto sociale del 20º secolo che fondava sul principio per cui: il rischio è accettabile se è indennizzabile). Oggi bisogna scegliere quali degli ipotetici rischi è possibile e necessario affrontare e quali costi la società non può sopportare ed evitare attraverso l’adozione di strumenti cautelari. Il principio di precauzione è espressione di un nuovo atteggiamento biopolitico e biogiuridico, imposto dalla presa di coscienza dell’inadeguatezza degli interventi di protezione meramente sanzionatori o risarcitori del danno verificatosi e degli improbabili restauri, nonché dell’esi- genza di prevenzione del danno, proprio per la sua irreparabilità. È pur vero, che la percezione del rischio, i parametri per individuarlo e l’atteggiamento verso esso, possono cambiare da uno Stato all’altro; tuttavia, sarà l’autorità pubblica competente, in relazione al caso concreto, a stabilire quando il rischio è inaccettabile. Parametri saranno: la gravità dell’impatto sulla salute umana; la portata dei possibili effetti nocivi; la persistenza; la reversibilità o gli effetti tardivi eventuali (di tali danni), nonché la percezione più o meno concreta del rischio sulla base dello stato delle conoscenze scientifiche disponibili. Si potrà stabilire, in correlazione con il livello di rischio accettato, la precauzione applicabile al caso concreto con la consapevolezza che il rischio zero non esiste. Ogni giorno siamo chiamati a confrontarci con i grandi rischi della modernità, si assiste ad una crescita dei “saperi” a cui si accompagna una consistente sfiducia nella loro capacità di prevedere e di spiegare gli eventi. Appare necessario un continuo monitoraggio del rischio, cioè un processo duraturo e sistematico di sorveglianza e di misurazione dei parametri e dei risultati della gestione del rischio anche al fine di identificare gli early warnings12 indicativi di possibili pericoli. ➔ 12 Per Early Warnings si intende un sistema di allarme rapido emesso da un’autorità pubblica, riferito ad un imminente pericolo. 111 Quanto esposto avvalora come il principio di precauzione costituisca un approccio alla ge- stione di un rischio, di un pericolo potenzialmente significativo, in attesa di ottenere ulteriori risultati dalla ricerca scientifica (sebbene oltre a richiedere un atteggiamento cauto, rifugga da scelte estreme, non potrà mai essere considerato un traguardo definitivo, ma va inteso come un parametro in costante divenire). L’alea esistente attorno alla qualificazione giuridica del rischio non poteva che portare alla luce diversi orientamenti dottrinali; tra tutti sicuramente lo studio delle teorie tedesche e fran- cesi è stato particolarmente proficuo e ne ha consentito una classificazione che vede distinti: i rischi certi; i rischi residuali; i rischi incerti. Nei primi – nonostante restino dubbi sui tempi in cui si verificherà l’evento – il nesso di cau- salità ed il danno sono provati (scientificamente), rendendo opportuna l’applicazione del prin- cipio di prevenzione. I rischi residuali (definiti anche “rischi ipotetici”), invece, prendono vita dal normale svolgi- mento delle attività umane e non appaiono suffragati da fondamenti scientifici. Infine, i rischi incerti non sono ancora dimostrati dalla scienza, ma non è irragionevole sup- porne l’esistenza: questa è la categoria che viene in rilievo ai fini della precauzione. (Maria Marchese)13 Il principio di precauzione, così inteso, si applica a vari ambiti della vita sociale, alcuni dei quali riflettono l’intervento massiccio delle nuove tecnologie: – gli organismi geneticamente modificati. Questa innovazione, resa possibile dalle scoperte e dalle tecniche dell’ingegneria genetica che consente di modificare il patrimonio costitutivo degli organismi viventi, ha acceso un grande dibattito sulle conseguenze relativamente alla salute umana ed animale, oltre che agli am- bienti in cui sono coltivati. – L’inquinamento elettromagnetico. Si tratta della discussione sulle proprietà no- cive di ciò che viene comunemente chiamato elettrosmog riferito alle emissioni di svariate fonti di onde elettriche, magnetiche ed elettromagnetiche nell’am- biente che ci circonda. È un inquinamento impercettibile tramite i nostri sensi e ciò evoca un allarme più accentuato nelle popolazioni esposte. – Le nanotecnologie. Questo termine si riferisce a tutto ciò che riguarda la crea- zione di materiali, sistemi e dispositivi attraverso il controllo della materia su scala nanometrica, vale a dire l’infinitamente piccolo. Si tratta di manipolazioni di materiali su scala atomica e molecolare, le cui proprietà differiscono notevol- mente da quelle osservate su scale maggiori. I rischi ambientali e sanitari sono molto incerti dal punto di vista scientifico e ciò per alcuni giustifica il ricorso al principio di precauzione. Come si è visto, le conseguenze problematiche del grande progresso tecnico in corso si accompagnano ad una crescente percezione del rischio per l’uomo e la natura; la giurisprudenza da un lato si appoggia alle risultanze della ricerca scientifica, ma anche quest’ambito appare piuttosto incerto visto che le comunità degli esperti ten- 13 Il principio di precauzione tra luci ed ombre, http://www.comparaziondirittocivile.it/prova/ files/marchese_principio.pdf 112 dono, per ogni specifico tema, a dividersi fatalmente nei due poli: gli allarmisti ed i minimizzatori. Occorre riconoscere che la questione della protezione dal rischio non è un tema precipuo della società contemporanea, perché ha avuto una notevole rilevanza in vari autori nel corso della storia. Ad esempio Blaise Pascal, avendo compreso l’impossi- bilità di eludere l’incertezza che governa la vita e l’agire degli uomini, ha proposto delle specifiche strategie di calcolo per affrontare razionalmente il problema della sfida insita nel modo di essere nel mondo degli uomini. Non va dimenticato che: «Dato che è all’origine della condizione umana, il rischio è alla fonte dei valori, bi- sogna stabilire il peso rispettivo del pro e del contro, ponderarli. Poiché bisogna sce- gliere, bisogna poter chiarire il valore del guadagno e della perdita, l’utilità o l’inutilità che vi sono associate. La morale consiste nel trovare il modo razionale di farlo. E l’economista sostiene che l’individuo, di fronte all’incertezza, cercherà di massimiz- zare il proprio profitto, il che esige una filosofia che prenderà una svolta singolare, dal momento che, con Pascal, la misura dei valori sarà cercata sulla base del calcolo delle probabilità» (Ewald e kessler 2000, 16). Ma la scienza e le sue applicazioni tecniche, con la loro enorme potenza, hanno moltiplicato i rischio ovvero le possibilità di eventi drammatici. Basti pensare all’im- mane potere distruttivo degli apparati bellici di cui l’umanità è attualmente dotata, in primis delle bombe atomiche. Data la nuova qualità dei rischi per l’umanità, la logica della compensazione viene meno e lascia il posto al principio di precauzione attra- verso la prevenzione. Sul piano razionale, si tratta di trovare un difficile equilibrio tra precauzione e rischio necessario: «Il principio di precauzione va interpretato come un criterio par- ziale, da integrare con altri criteri, per decidere se assumere, oppure no, il rischio probabile, ma non provato, associato ad un’innovazione. Il punto non è di ridurre a zero il rischio di danno, ma di decidere quali siano i rischi compatibili con il grado di protezione e di sicurezza ritenuto accettabile dalla comunità e in quale modo assi- curare l’equità della loro distribuzione»14. Il ricorso al principio di precauzione sollecita una dimensione molto sensibile dell’animo umano: la minaccia all’esistenza ed il sentimento di paura che l’accom- pagna, ancora più accentuato dal senso di colpa che da sempre investe l’uomo quando avverte di aver travalicato l’equilibrio naturale delle cose. Egli teme la nemesi, la vendetta degli dei e la caduta nell’abisso. Nel contempo, egli chiede alla scienza ed alla tecnica di produrre anche i necessari antidoti così da premunirsi dalle conseguen- ze minacciose per la sua esistenza. In questo modo, la tendenza alla precauzione assume il significato di una quasi religione, un affidamento fiducioso allo scopo di garantirsi la salvezza anestetizzando l’ombra oscura che grava sul suo cielo. 14 M. MARCHESE, op. cit. 113 L’antinomia assume qui la forma di due diverse posizioni: la paura e l’avventura. La prima posizione è sostenuta da Hans Jonas15 che fa appello all’“euristica della paura”. euristica della paura «Frutto delle conoscenze scientifiche applicate al futuro e della capacità di prevedere i possibili esiti del nostro comportamento attuale, l’euristica della paura ci deve indurre, nel- l’incertezza, a dare più credito alla previsione cattiva rispetto a quella buona, a moderare l’intervento dell’uomo nell’ambiente naturale, ad adottare delle moratorie nelle ricerche tecnico-scientifiche e nelle loro ricadute tecnologiche. La paura diviene determinante nel delineare un’adeguata etica per la civiltà tecnologica, è proprio la minaccia che grava sulla nostra società, presente e futura, che riesce a farci com- prendere l’importanza vitale di ciò che è in pericolo: un pianeta e le sue molteplici forme di vita, un’idea di umanità autentica (non manipolata), il futuro stesso dell’umanità. Il nostro agire, dunque, pur avendone le capacità, non deve compromettere le possibilità di una vita futura. Jonas ripone una notevole fiducia nel potere della paura, per dirigere l’umanità verso un nuovo e più controllato agire tecnico; la paura non è intesa in senso di “terrore istintivo”, “panico ingestibile”, egli ne elimina gli effetti paralizzanti e più irrazionali. Il timore razio- nalmente fondato che vada distrutto “ciò che vale” (la vita sul pianeta, il futuro per l’umanità) si rivela essere molto più efficace e decisivo nel fermare gli eccessi del potere tecnico-scien- tifico, rispetto ad altri tipi di avvertimento. Egli parla di un vero e proprio dovere di maturare un’euristica della paura, un timore razionalizzato che ci faccia riflettere su cosa è a rischio e cosa dobbiamo fare per evitare l’irreparabile. Se vogliamo “che esista un’umanità” (e Jonas su questo non ha dubbi: non possiamo non vo- lerlo) dobbiamo modificare il nostro agire, anche sulla base della paura dei rischi che ci cir- condano. Per quanto il destino delle generazioni future non ci riguardi direttamente, è un do- vere esistenziale connaturato nella nostra stessa vita, salvaguardare il futuro dell’umanità. Per Jonas risulta indispensabile passare da un’etica situazionale, «del qui e ora», entro cui si inquadrava ad esempio la vita delle società pre-industriali, a un’«etica della responsabilità» che dovrebbe guidare le scelte nella società contemporanea globalizzata. Si propone quindi di revisionare l’imperativo categorico kantiano, poiché la tradizionale formulazione «agisci in modo che anche tu possa volere che la tua massima diventi legge universale», si dimostra inadeguata rispetto all’attuale natura dell’agire umano. La tecnica moderna ha spalancato nuovi scenari e possibilità per l’umanità, che si trova in grado di influire pesantemente sul pianeta intero. Non è più sufficiente un principio morale che regoli l’agire «qui ed ora», poiché le nostre azioni attuali e locali hanno una portata tale da incidere profondamente sul futuro e su scala planetaria. L’imperativo kantiano mal si concilia ad un’umanità in grado di mettere a rischio se stessa, Jonas cerca così di estendere il discorso etico alle dimensioni del futuro e della globalità, riformulando l’imperativo categorico e adeguandolo all’attuale potere dell’azione umana. 15 Hans Jonas nel volume Prinzip Verantwortung ha sostenuto che l’uomo dispone di poteri che eccedono le proprie conoscenze e le proprie capacità, e quindi è in grado di assumere una dose signifi- cativa di rischio nel progresso tipico della “civiltà tecnologica”. H. JONAS, Il principio di responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Torino, 1990. ➔ 114 L’etica della responsabilità di Jonas cerca di superare ogni forma di dualismo: tra pensiero e ma- teria, tra uomo e natura, tra essere e dover essere, tra fatti e valori. Jonas si impegna a fondare su presupposti metafisici un’etica della responsabilità, rivolta non solo al presente, ma soprattutto al futuro, mettendo in luce l’erroneità e la pericolosità dell’ideale utopico del continuo progresso tecnologico. (Elisabetta Patrizi)16 Si riconoscono nella posizione di Jones l’ispirazione e gli argomenti della parte catastrofistica della comunità scientifica, quella impegnata nello sforzo di presentare le condizioni del pianeta sotto tinte più fosche e più ineluttabili di quanto risultino dalle analisi più rigorose. È una missione “pedagogica”, centrata sul suscitamento del sentimento della paura tra le popolazioni affinché mutino il loro approccio nei confronti della società ipertecnologica che sempre più minaccerebbe la sopravvivenza stessa del pianeta. In contrasto con questa posizione, vi è quella che possiamo definire come “eu- ristica dell’avventura”. Simone Weil ne è una sostenitrice convinta. Il rischio è un bisogno essenziale dell’anima Il rischio è un bisogno essenziale dell’anima. L’assenza di rischio suscita una specie di noia che paralizza in modo diverso da quanto faccia la paura, ma quasi altrettanto. E poi ci sono situazioni che, implicando un’angoscia diffusa senza rischio preciso, trasmettono contempo- raneamente l’una e l’altra malattia. Il rischio è un pericolo che provoca una reazione riflessa; cioè non sorpassa le risorse dell’anima al punto di schiacciarla sotto il peso della paura. In certi casi, contiene una parte di giuoco; in altri, quando un obbligo preciso spinga l’uomo ad affrontarlo, è lo stimolo più alto che esista. La protezione degli uomini contro la paura e il terrore non implica la soppressione del rischio; implica invece la presenza permanente di una certa quantità di rischio in tutti gli aspetti della vita sociale; perché l’assenza di rischio indebolisce il coraggio al punto da lasciar l’anima, in caso di bisogno, senza la benché minima protezione interiore contro la paura. È necessario soltanto che il rischio si presenti in condizioni tali da non trasformarsi in un sentimento di fatalità. (Simone Weil 1990, 17) Queste argomentazioni si pongono come perfetto controcanto rispetto alla posizione di Jonas: se quest’ultimo indica la paura come movente fondamentale dell’azione, per Weil occorre innanzitutto proteggere l’anima dall’immobilità, allo scopo di renderla reattiva nei confronti della paura stessa, poiché il rischio rafforza la virtù del coraggio, l’ingrediente indispensabile nei momenti in cui le cose generano una reale angoscia. Il rischio è una condizione insita nell’attività dell’imprenditore, ma indica nel contempo la situazione di chiunque non si limiti all’adattamento allo stato di cose dato, ma si accinga all’azione innovativa. 16 E. PATRIzI (2014), Il principio di precauzione nella società del rischio, tesi di dottorato, http://ecum.unicam.it/753/. 115 quando i rischi generano opportunità Ma i rischi creano anche opportunità. Le avversità globali destabilizzano l’ordine esistente e pos- sono essere viste come un passo vitale verso nuove istituzioni. Così la società mondiale del rischio dà impulso a una logica-chiave storicamente nuova: la difesa del clima può dare occasione al cosmopolitismo. Dalle analisi apocalittiche del nostro tempo possiamo definire una strategia per uscirne. È la logica del rapporto crisi-opportunità; la logica dalla quale può germogliare la speranza. La solu- zione di quel complesso di problemi che è la crisi che abbiamo di fronte dipende anche dal nostro atteggiamento e dai mezzi che sapremo inventare per superarla. Occorre cercare di creare re- sponsabilmente il futuro; pensarlo con realismo, ma anche con coraggio creativo. A ben guardare, di fronte al diffuso sentimento di apocalisse, la società mondiale del rischio svolge una funzione positiva di stimolo, nel senso che i rischi fanno prendere coscienza della necessità di costruire nuove istituzioni e nuove modalità di azione politica per la sopravvivenza dell’uomo. Afferma Beck: «Per la prima volta nella storia tutte le popolazioni, culture e gruppi etnici, così come ogni regione e religione del mondo, si trovano a vivere nel comune presente di un futuro che minaccia tutti indiscriminatamente. La politica del cambiamento climatico è per forza di cose inclusiva e globale; è una realpolitik cosmopolita». È così che i rischi globali, abbattendo i confini nazionali, finiscono per mescolare l’indigeno con lo straniero e mettere ognuno di noi a confronto con l’altro. Eventi come le catastrofi affratellano le persone, vincono i loro egoismi, avvicinano gli uomini e le donne indipendentemente dalla loro provenienza, dai loro paesi di origine, dalle classi di appartenenza e dal loro livello gerarchico. È rimasto famoso un articolo di Beck scritto in occasione dello tsunami che ha colpito nel dicembre 2004 il sud-est asiatico: quella catastrofe, secondo il sociologo tedesco, ha avvicinato i paesi e le popolazioni dell’intero pianeta, mettendo in evidenza la necessità di una nuova re- sponsabilità di tutti per la sofferenza degli altri, proprio per le dimensioni globali di essa, in cui hanno perso la vita individui provenienti da tutti i continenti e da moltissimi paesi (svedesi, ita- liani, indiani, inglesi, tedeschi, tailandesi, danesi, americani, africani e via dicendo). Sono proprio le dimensioni globali della catastrofe che rivelano la sua quintessenza cosmopolita. In questo modo una catastrofe globale implica un cambiamento del paradigma culturale e politico. Da questo punto di vista il cosmopolitismo crea un nuovo approccio sociale anche alla diversità culturale: l’inclusione di tutti gli altri diventa la sua massima ispiratrice. Per Beck il mutamento climatico è una delle dimensioni fondamentali della dinamica della società mondiale del rischio. Anche a proposito dell’attuale profonda crisi economica che stiamo attraversando, il rischio del cambiamento climatico può indirizzare la nostra azione verso soluzioni nuove. Abbiamo l’opportunità di puntare su un’economia verde, il che può significare anche crescita monetaria e di lavoro. L’approccio nuovo alla crisi è quello di rendere le sue soluzioni sostenibili dal punto di vista am- bientale. Sembra questa anche la strategia (una sorta di new deal verde) del nuovo presidente degli Stati uniti, Barak Obama, per il quale la crisi deve diventare l’occasione per accelerare un generale cambiamento. Il mutamento del clima non è, infatti, un problema che riguarda solamente l’ambiente con le sue implicazioni economiche, ma può diventare l’occasione di creare nuovi rapporti di giustizia fra i diversi paesi e nuove regole internazionali. Da questo punto di vista la crisi può essere una grande opportunità: può portare nel mondo un nuovo ordine e nuove regole di cui molti sentono l’esigenza. (Romano Trabucchi 2009, 24) Il coraggio creativo è qui proposto come dote indispensabile di colui che pos- siamo definire l’“uomo della complessità”, il cittadino in grado di esercitare piena- 116 mente le prerogative umane nel tempo attuale; questo è fondato sul cambiamento continuo, caratteristica in base alla quale ogni routine viene tendenzialmente sottratta all’opera umana, mentre risultano preminenti nel lavoro il fronteggiamento dell’im- previsto e la valorizzazione delle opportunità, la gestione delle relazioni e la creazione di valore tramite l’attualizzazione del potenziale innovativo di cui sono portatrici le persone. Ciò per Ludwig Von Bertalanffy possiede un fondamento biologico ed anche psicologico: «Dal punto di vista biologico, la vita non consiste nel mantenimento o nel ripristino di un equilibrio, ma essenzialmente nel mantenimento di disequilibri, così come lo rivela la dottrina dell’organismo inteso come sistema aperto. La ricerca dell’equilibrio significa la morte e la decadenza. Psicologicamente, il comportamento non mira soltanto ad attenuare le tensioni, ma anche a costruirne; se questa tendenza si arresta, il soggetto diventa un corpo mentale in declino allo stesso modo in cui un organismo vivo diviene un corpo in declino quando spariscono le tensioni e le forze che lo allontanano dall’equilibrio» (Von Bertalanffy 1983, 196). Diventare Dei o servire l’uomo concreto La coscienza del potere dell’uomo sulla natura e sulla società porta, come in ogni altra epoca di sviluppo, ad alimentare l’ambizione inaudita di diventare Dei. Non è una novità dell’epoca moderna, perché ogni qualvolta l’uomo ha saputo con- quistare un successo nel campo della scienza e della tecnica, si è sempre applicato a questo sogno ricorrente. Si tratta del mito della “macchina vivente” che ha assunto nella storia diverse configurazioni (Israel, 72-75): 1. La macchina termica del tardo Settecento. Le scoperte della termologia e della termodinamica hanno suscitato il progetto di realizzare una macchina vivente dotata delle stesse caratteristiche. La “vita” è stata concepita come un insieme di scambi di carattere energetico-calorico che presiedono al suo funzionamento. Le macchine termiche sono viste come l’immagine appropriata atta a rappresen- tare il corpo umano. Ecco quindi sorgere la “macchina animata” che riproduce i funzionamenti animali dell’uomo. In realtà si tratta di simulazioni valide per in- terpretare un componente della vita umana, e ciò ha consentito di giungere a nuove conquiste nella medicina, specie in riferimento ai nuovi concetti di meta- bolismo e di calcolo delle calorie. 2. La macchina chimico dinamica appare nell’Ottocento a seguito degli sviluppi scientifico-tecnologici connessi alla chimica che approfondisce e spiega il fun- zionamento della macchina termica: i processi chimici, infatti, regolano ogni aspetto dell’organismo, dalla digestione e dal metabolismo fino al funzionamento dei muscoli; sono loro il fattore determinante di ogni fenomeno dinamico. Queste scoperte hanno alimentato la letteratura fantastica proiettata ad immaginare la macchina vivente, il cui caso più noto è senza dubbio il romanzo di Robert Ste- venson il cui protagonista, dr. Jekyll, assume la personalità di mr. Hyde proprio dopo aver ingerito un composto chimico che ne modifica non soltanto gli aspetti esteriori e materiali, ma anche la sua stessa anima. 117 3. La macchina elettrica viene immaginata sempre nell’Ottocento, a seguito dello sviluppo delle teorie dell’elettromagnetismo e delle tecnologie realizzate al fine di sfruttarne le potenzialità applicative. Si scopre che l’organismo produce cor- renti elettriche che ne presiedono i funzionamenti come nel caso del cuore. In tal modo si abbandona l’idea riduttiva che esso consista in una macchina idrau- lico-meccanica, vale a dire una pompa; le nuove scoperte rendono possibile una nuova forma di analisi delle patologie di quest’organo facendo uso di grafici ap- positi, gli elettrocardiogrammi, che rappresentano le variazioni dei potenziali elettrici associati alle fluttuazioni meccaniche del cuore. Riportata sull’essere umano inteso nel suo insieme, questa scoperta conduce ad identificare i fattori vitali dell’organismi in principi di natura elettrica, ciò che spinge Mary Schelley a scrivere il famoso romanzo Frankenstein, una massa umana inanimata, rico- struita chirurgicamente, in cui viene riportata la vita tramite una potente scarica elettrica. Il principio vitale, l’anima, è pertanto di natura elettrica. 4. La macchina cibernetica compare con il Novecento a seguito della scoperta delle strutture molecolari elementari, straordinariamente complesse, che compongono gli organismi viventi. Le loro interazioni sono governate da principi di adatta- mento e di reazione che vengono spiegati tramite il principio di retroazione (feed- back), associato alle teorie dell’informazione. È di Norbert Wiener la definizione di macchina vivente come trasduttore di entrate multiple in uscite multiple. una versione più evoluta della stessa configurazione è quella, più popolare, di calco- latore, che consente di pensare ad un’immagine artificiale del cervello umano identificato come la sede della produzione di pensieri e decisioni, quindi di ogni attività che qualifica l’uomo come un animale speciale dotato di autonomia. John von Neumann è l’iniziatore di questo percorso, che peraltro si limita ad un’analisi di tipo emulativo delle funzioni del cervello tramite il calcolatore, mentre suc- cessivamente compare una tendenza proiettata più decisamente alla sua completa simulazione, giungendo a prospettare la totale identità tra cervello e calcolatore, base fondante della teoria della “intelligenza artificiale”. I problemi legati a quest’ultimo passaggio sono enormi, ma già possiamo affer- mare che questa identificazione risulta già fuorviante sul piano dell’affermazione; per Jean Pierre Changeaux: «Il confronto con il calcolatore – macchina cibernetica è stato utile per introdurre la nozione di ‘codice interno’ del comportamento. Esso pre- senta tuttavia l’inconveniente di lasciare implicitamente supporre che il cervello fun- zioni come un calcolatore. L’analogia è ingannevole» (Changeaux 1986). Il punto centrale connesso alla creazione di una vera macchina vivente sembra essere costituito dall’impossibilità del passaggio dall’emulazione di alcune funzioni corporee, comprese quelle neuronali, alla simulazione dell’essere umano nelle sue peculiari prerogative che lo rendono affatto differente da un animale. una sua espli- citazione ci viene offerta da karl Popper: «In un suo celebre intervento, Alan Turing disse: “Ditemi, secondo voi, cosa non è in grado di fare un computer, e ne costruirò uno apposta”. Gli risposi per lettera: “Cosa intende per ‘ditemi’? Che dovrei forse 118 darle una descrizione? Perché in questo caso sarebbe una sfida banale. È chiaro che quel che va evitato è proprio la descrizione. Comunque sia, se c’è una cosa che il computer non ha è l’iniziativa. E non vedo come si possa descrivere l’iniziativa. Quindi la sua sfida è un bluff. Peraltro, qualsiasi bambino, anzi, qualsiasi cucciolo in buona salute, è pieno di iniziativa» (Popper 1991, 16-17). Se pure la scienza alleata con la tecnica non ha mai potuto produrre una reale “macchina vivente” che non fosse solo emulativa di alcune funzioni umane, si pone una questione rilevante dal punto di vista filosofico. La lingua ebraica ci viene in aiuto, poiché presenta tre modi diversi di dire anima: nefesh o anima animale (forza vitale, riproduzione), rua’h o soffio, parola (tensione verso la sfera spirituale, lin- guaggio), neshamsh ovvero pensiero o anima superiore (vicino alla sfera divina). Il limite insormontabile di ogni programma di ri-creazione dell’essere umano consiste nel come provocare l’ingresso dell’anima nella materia, come insufflare l’anima in un corpo, anche quello che in un futuro che non conosciamo potrà emulare in modo esatto l’essere umano. La macchina vivente sarà sempre limitata al primo stadio, quello dell’anima nefesh, ma non vi sono prove empiriche né ragioni filosofiche che possano sostenere la possibilità di ricreare il soffio vitale con la facoltà strabiliante del linguaggio, né tantomeno l’anima superiore che presiede al pensiero, ciò che pone l’uomo vicino alla sfera divina. È noto che, con la modernità, Dio viene relegato fuori dall’universo che ha creato: Cartesio parla di “Dio fannullone” (Dieu fainéant) ad indicare il fatto che il suo posto è stato oramai preso dall’uomo stesso, divenuto ar- tefice non solo della natura, ma anche della sua stessa vita. Ma non occorre lasciarsi ingannare: tolto Dio, non è l’uomo che si pone come Fautore, bensì i processi imper- sonali che sono oggetto della ricerca scientifica. Ecco come Giorgio Israel interpreta questa condizione: l’uomo non è padrone dell’infinito (e questa è una buona notizia) «Questa nuova collocazione di Dio comporta per l’uomo nuove e straordinarie possibilità. Certo, egli ha perso la posizione centrale, e al contempo ambigua, che occupava nel sistema di valori del cosmo medievale. Ma ne acquista una nuova: si tratta dell’illimitata possibilità non soltanto di conoscere, ma anche di trasformare la natura. L’uomo ha invaso una parte del posto prima occupato da Dio, a livello di onniscienza e creazione, quantomeno in termini po- tenziali. È bene insiste su questo termine: ‘potenziale’. Le capacità di onniscienza e di crea- tività dell’uomo sono e resteranno comunque potenziali e non potranno esplicarsi in modo infinito, perché questo è un attributo divino. L’infinito continua ad appartenere a Dio, egli lo ha portato via con sé, nel suo esilio dall’universo. Ma questa limitazione dell’uomo, in fin dei conti, si traduce in un vantaggio. Rinunziare alla possibilità di attingere all’infinito (e quindi all’onniscienza assoluta) è una necessità inderogabile proprio per poter fondare il sapere scientifico (teorico e trasformativo) dell’uomo in termini oggettivi». (Israel 2004, 44-45) Il mondo della scienza si è separato dal mondo della vita, producendo due verità, la prima razionale, la seconda no. Da qui la tragedia dello spirito moderno: dopo aver risolto l’enigma dell’universo, ha proposto l’enigma di se stesso (koyré 1970). 119 La modernità può esser intesa come Hybris, il termine greco con cui si indica la presunzione di diventare come Dio. Così facendo, essa manca l’obiettivo di costruire la “macchina vivente”, ma giunge a scoperte strabilianti di grande valore per l’essere umano come nel caso degli arti artificiali, dei supporti per l’udito, della microchirurgia e di altri ambiti della relazione tra scienza e tecnica. Ma la macchina rimane sempre inanimata, vale a dire manchevole dell’anima, ed anche una replica umana manca della qualità fondamentale della compagnia. la macchina non consente compagnia «Sarebbe errato credere che la tematica della macchina vivente si esprima soltanto nei termini di una riflessione teorica sul rapporto tra uomo e macchine e di un complesso di tentativi pratici di realizzare l’uomo-macchina, o comunque delle macchine dotate di funzioni umane. La tematica della macchina vivente, per tenersi in piedi, ha bisogno di un sostegno teorico più generale: e cioè della dimostrazione che non soltanto le funzioni fisiche, ma anche le funzioni “superiori” dell’uomo – le funzioni mentali – sono assoggettate a leggi scientifiche esatte. In breve, è impensabile una concezione della macchina vivente che non poggi su una descrizione oggettiva dei processi soggettivi o, quantomeno, non la consideri perfettamente realizzabile. [...] L’ideologia della macchina vivente richiede l’abbandono di ogni dubbio e di ogni riserva e la ferma convinzione nella possibilità di determinare le leggi assolute e universali che reggerebbero il fun- zionamento del pensiero. [...] È sufficiente assumere una posizione di materialismo metodologico [...], fare come se, ragionare come se il mondo avesse realtà puramente materiale. [...] Nello studiare i problemi sociali, economici ed etici, i fautori della concezione del materialismo metodologico respingono ogni considerazione circa i concetti di morale o di bene, affermando che non esistono sistemi morali universali che regolano i rapporti tra gli individui. L’obiettivo diventa, invece, quello di sviluppare un’analisi logica delle conseguenze dell’adozione dei vari sistemi di norme morali e delle decisioni cui essi conducono: la scelta fra un sistema morale e un altro diventa quindi un problema di efficienza e di ottimalità e, in quanto tale, si riduce a una questione meramente quantitativa. [...] Che cos’è una funzione di utilità di un soggetto individuale? In sintesi, si tratta di una descrizione in termini quantitativi delle preferenze di tale soggetto di fronte ai possibili esiti di una sua attività specifica. L’ipotesi fondamentale alla base di tale descrizione è che un individuo, posto di fronte a due insiemi di beni, di merci o di servizi, oppure di fronte a due possibili esiti di una partita, di una competizione, di un conflitto e, più in generale, in tutti i casi in cui egli debba compiere una scelta fra due possibili azioni, sia perfettamente in grado di dire quale preferisca all’altra, o quantomeno di dire che esse gli sono indifferenti. [...] Questa ipotesi equivale ad ammettere che l’individuo abbia una conoscenza perfetta di tutte le possibili opzioni e una capacità di scelta priva di incertezze, [...] che il comportamento individuale è mosso da una sorta di illimitato egoismo. [...] La sfida di costruire un oggetto che esegua alcuni compiti predeterminati è banale. La realizzazione sarebbe interessante ove l’oggetto fosse capace di esprimere emozioni in quantità e di natura arbitrarie. [...] E come negare che il mondo delle macchine non ci offra alcuna ‘compagnia’ in questa sfera tanto centrale della nostra esistenza? Sappiamo benissimo che soltanto l’interazione con altri uomini – partecipi degli stessi destini e della stessa condizione – può dare risposta o almeno sollievo al problema della solitudine. [...] Si tratta di una macchina che non propone alcun dialogo reale ed è estranea ai temi della ‘vita’ o della ‘morte’ nel senso umano. L’uomo, nel rapporto con la macchina, si estrania totalmente dalla sfera etica, e anche la sua sfera emotiva si restringe a sentimenti riconducibili unicamente alla dimensione dell’efficienza e della comodità». (Israel, 2004, 93-127) 120 Ad ogni rivoluzione tecnologica si rinnova l’aspirazione dell’uomo a ricreare se stesso a misura dell’idea corrente di vita; egli scopre il mondo, e tende a pensare se stesso, entro lo schema concettuale che di volta in volta elabora. Così, scopre che la realtà umana è anche assimilabile al sistema meccanico, al sistema idraulico, al sistema elettrico, al sistema biochimico… ma ogni volta scopre che il mistero dell’uomo si pone sempre oltre la sua capacità di pensarlo; esso possiede la qualità dell’illimitatezza, dell’eccedenza, dell’imprevedibilità. L’ideologia della macchina vivente prima riduce l’uomo ad un’immagine unila- terale, poi costruisce un artefatto sulla base di tale riduzione. Il progetto che la per- segue è monco sin dall’inizio, di modo che il suo esito non può essere che un automa, un essere senza quelle caratteristiche singolari dell’umano che suscitano attrazione, inquietudine, completamento, ma un artificio che emana da un’immagine addome- sticata dell’altro, conforme ad un pensiero “comodo”, efficiente in senso banale di- venendo perciò una deludente compagnia. La ferita dell’uomo contemporaneo è data dal desiderio, ed insieme dalla male- dizione, della solitudine. La relazione con l’altro è divenuta ardua, in quanto ciascuno è dotato di un discorso interiore tendente all’autosufficienza così che l’altro ci risulta in molti momenti di difficile sopportazione vista la sua imperfetta, e persino inva- dente, umanità. Allora siamo tentati di ritirarci nella sfera del nostro intimo, e vorremmo un altro che sia somigliante a noi. Da qui la tentazione di costruirci un essere addomesticato, comodo ed efficiente. La macchina vivente rappresenta l’immagine rassicurante del- l’altro, un surrogato di essere umano incapace di arbitrarietà e della sorprendente ca- pacità umana di imbrogliare il fato. un altro non impegnativo. Ma noi non stiamo bene in compagnia di noi stessi, e quindi il gioco si riapre. L’altro è inquietante e fastidioso, ma dell’altro nutriamo un insopprimibile bisogno. Il modo in cui l’uomo pensa la macchina vivente non dipende quindi solo dalla tecnologia, ma anche dallo stato della sua anima, ed è indubbio che l’anima dell’uomo contemporaneo soffre di isolamento e cerca un rimedio a questa condizione. Oriana Fallaci l’ha spiegato in modo folgorante. Il dolore dell’anima non viene capito «Incredibile come il dolore dell’anima non venga capito. Se ti becchi una pallottola o una scheggia si mettono subito a strillare presto-barellieri-il-plasma, se ti rompi una gamba te la ingessano, se hai la gola infiammata ti danno le medicine. Se hai il cuore a pezzi e sei così disperato che non ti riesce aprir bocca, invece, non se ne accorgono neanche. Eppure il dolore dell’anima è una malattia molto più grave della gamba rotta e della gola infiammata, le sue ferite sono assai più profonde e pericolose di quelle procurate da una pallottola o da una scheggia. Sono ferite che non guariscono, quelle, ferite che ad ogni pretesto ricominciano a sanguinare». (Oriana Fallaci)17 17 Oriana Fallaci, citata in http://aforismi.meglio.it/frasi-dolore.htm. 121 La relazione tra uomo e macchina non soddisfa le esigenze dell’anima dell’uomo contemporaneo; ciò ripropone la questione della relazione tra gli esseri umani ciò che accade in essa. Iniziativa, arbitrarietà e sorpresa, creatività, sono le caratteristiche dell’incontro umano. Ciò rimanda al tema dell’enigma dell’io, all’arbitrarietà delle emozioni, al fatto che esse non rispondono esclusivamente ai comandi come una qualsiasi macchina. La caratteristica dell’uomo dotato di anima consiste nel possedere un’apertura universale; la sua anima ne estende le potenzialità in modo illimitato, oltre la finitezza del suo essere materiale. Essa rimanda sempre altrove la ricerca della risposta all’enigma della sua identità. Dall’imperterrita sfida dell’uomo che lo spinge a tentare di costruire la macchina vivente possiamo trarre una grande lezione: ogni volta che ci illudiamo di aver fissato la vita entro uno schema, questa sfugge oltre, i nostri stessi tentativi ci portano a sco- prire sempre più le straordinarie facoltà umane sempre più ampie e irriducibili di ogni modello prodotto dalla nostra mente. La questione presenta propriamente un profilo ideologico, vale a dire la presun- zione – comparsa con l’Illuminismo – di poter rifare non solo il mondo, ma anche la stessa condizione umana. Albert Camus nel discorso per il conferimento del premio Nobel per la Letteratura nel 1957, ha contrapposto a questa pretesa un progetto radi- calmente diverso: «Ogni generazione, senza dubbio, si crede destinata a rifare il mon- do. La mia sa che non lo rifarà. Il suo compito è forse più grande: consiste nell’im- pedire che il mondo si distrugga» (Camus 1988, 124). I grandi progetti di rifacimento dell’umano hanno portato solo a immense trage- die; a fronte di questi esiti, è più saggio tenerci l’uomo vivente così com’è e di servirlo al meglio. un lavoro liberante è tale se non propone sostituti comodi dell’altro, ma lo sol- lecita alla compagnia umana. Si tratta della dimensione relazionale, una componente sempre più rilevante del lavoro. Vivere senza lavorare o lavorare per essere vivi Quest’ultimo dilemma è riassuntivo di quelli precedenti poiché propone una que- stione antropologica prima che economica. La sua formulazione è una rielaborazione del dilemma tipico della società di massa: “vivere per lavorare o lavorare per vivere?” con cui è stata sancita una netta alternativa tra una vita dedicata esclusivamente al lavoro ed una vita che acquisisce senso solo dopo il tempo “obbligato”. una parte rilevante del mondo intellettuale continua a riproporre questo interro- gativo, alla cui base vi è l’idea dell’inconciliabilità tra i due tempi fondamentali della vita, quello dedicato al lavoro e quello libero da esso. Sono i “disincantati” dell’utopia del lavoro che propugnano una “rivoluzione del tempo scelto”, epigoni delle teorie degli Anni ‘70 ed ‘80 del secolo scorso, centrate sull’idea della fine del lavoro. André Gorz è un noto esponente di questa tendenza; egli, citando brani del testo del gruppo Échanges et Projets (1980), sostiene la tesi del tempo scelto. 122 Solo il tempo non produttivo consente di diffondere i valori sociali «La diminuzione progressiva del lavoro a scopo economico18 permetterà alle attività autonome di diventare preponderanti; “i rapporti di forza tra lavoro e loisir, tra tempo vincolato e tempo autogestito, potrebbero capovolgersi in modo sorprendente”. “Diventa così possibile pensare a una sfera degli svaghi non soltanto destinata al riposo o alla ricostruzione delle energie dis- sipate, ma come tempo essenziale e ragione di vita, rispetto alla quale l’occupazione venga ridotta a un ruolo strumentale”. Sarebbe allora “il tempo ‘non produttivo’ a divenire l’agente di diffusione dei valori sociali. Proviamo a immaginare… una società in cui la fantasia, la convivialità, gli interessi estetici e ludici prendano il sopravvento sui valori dell’efficienza e del profitto legati alle istituzioni lavorative. Il rovesciamento sarebbe totale e sconvolgente”. “La posta in gioco è di importanza capitale”. Diventa necessario “affinare una vera ‘arte di viverÈ, dare forma a un nuovo equi- librio, a una socialità aperta alla scoperta e all’invenzione”. Si tratta, in una parola, di passare da una società produttivista o società del lavoro, a una società del tempo liberato in cui il cul- turale e il sociale prevalgano sull’economico: a quella che i tedeschi chiamano una Kultur- gesellschaft». (André Gorz 1992, 199) Gorz si contrappone a Piore e Sabel poiché: «Essi credono che sia possibile la nascita dell’operaio “padrone della macchina”, del lavoratore che realizza la propria sovranità attraverso il lavoro; credono che sia possibile ricomporre la mansioni a tal punto che la divisione (e non semplicemente la parcellizzazione) del lavoro verrebbe superata. Il lavoratore potrà identificarsi con il lavoro e trarre da questa identificazione la coscienza del suo potere e della sua missione liberatrice. Egli potrà nuovamente possedere un mestiere completo, fabbricare un prodotto completo, realizzarsi nel la- voro, incarnare l’umanesimo del lavoro in una nuova forma. In breve, potrà realizzare l’unità del lavoro e della vita, della cultura del lavoro e della cultura in generale» (ibidem, 86). Naturalmente, l’autore sostiene che queste ultime prospettive sono irrealistiche, vista la natura alienante del sistema dei rapporti economici nell’attuale società. Aleggia nella sua teoria un concetto metafisico, il “capitalismo”, una forza impersonale tanto po- tente da condurre a dissoluzione ogni autentica qualità umana, finendo per snaturare una parte considerevole dell’esistenza con il suo spirito raggelante. Tale concetto possiede nel suo pensiero un’influenza decisiva, mai messo in discussione in senso razionale. Ma davvero esiste, come afferma Ralph Dahrendorf, una contraddizione insa- nabile tra il lavoro, necessariamente mercificato, e l’attività, vale a dire uno spazio d’azione libero dai legami economici e quindi potenzialmente carico di valori sociali (Dahrendorf 1988, 118)? Aris Accornero ha messo in luce i limiti di questa prospettiva. 18 Gorz intende per “lavoro a scopo economico” quello che crea valore d’uso, si svolge nella sfera pubblica in vista di uno scambio monetizzato, in un tempo misurabile e con un rendimento il più elevato possibile; mentre le “attività autonome” sono quelle fini a se stesse, che hanno valore in e per se stesse. 123 l’attività non è lavoro tipico delle escatologie del non-lavoro, gaudioso, liberatorio o creativo il lavoro è diverso dall’attività in quanto l’attività non si paga. L’attività non è lavoro: piace perché sembra libera e perché non è mercificata. La prospettiva dell’attività è un’auto-imbroglio: è come credere che disoccupati e inoccupati vadano cercando un’occupazione, un impiego nel mero senso dell’attività, non quel particolare corrispettivo per il quale sono disposti ad accettarli. Chi è interessato a svolgere le attività di cura o di servizio che il volontariato e il non-profit offrono nei rami non coperti, o non più coperti, o non ancora coperti dallo Stato sociale non si iscrive agli uffici di collocamento o come un lavoro quali esse effettivamente sono per chi si aspetta che diano un corrispettivo monetario. Il lavoro è morto, lunga vita ai lavori. parola di un ex operaio «Il lavoro è diverso dall’attività in quanto l’attività non si paga. L’attività non è lavoro: piace perché sembra libera e perché non è mercificata. La prospettiva dell’attività è un’auto-im- broglio: è come credere che disoccupati e inoccupati vadano cercando un’occupazione, un impiego nel mero senso dell’attività, non quel particolare corrispettivo per il quale sono dis- posti ad accettarli. Chi è veramente interessato a svolgere le attività di cura o di servizio che il volontariato e il non-profit offrono nei rami non coperti, o non più coperti, o non ancora coperti dallo Stato sociale non si iscrive agli uffici di collocamento o come un lavoro quali esse effettivamente sono per chi si aspetta che diano un corrispettivo monetario. [...] Non sembra però che il lavoro si sia degradato a forza di perdere professionalità, né sembra che il lavoro si sia dissolto diventando un’attività qualsiasi, le sue forme si articolano e i suoi contenuti migliorano...quella in cui viviamo è ancora una società del lavoro. Certo il lavoro non ha più la maiuscola. Che però non le veniva dal lavoro, bensì dall’ideologia. Che siamo ancora nella società e lavoro minuscolo lo dicono ancora l’immigrazione e la disoccupazione». (Aris Accornero, 1997, 188 e 192) «Non so se ci avete fatto caso, ma di tutta l’allegra brigata che in questa fine millennio intona canti funebri sull’estinzione del lavoro, pochi possono dire di aver lavorato veramente. Vi- viane Forrester è una signora della buona borghesia parigina, figlia di un banchiere, che scrive di critica letteraria su Le Monde; Jeremy Rifkin fa il predicatore ambientalista e difende le sequoie dall’assalto delle multinazionali. [...] Tutte persone rispettabili, intendiamoci, ma che verosimilmente non hanno mai preso in mano una vanga o una chiave inglese. Saremmo ten- tati di dire che forse è proprio per questo, perché non conoscono il lavoro e non lo amano, che questi signori hanno tanta fretta di redigerne il certificato di morte. Vuoi per denunciare l’Orrore economico, per mostrare a quali aberrazioni conduca il predo- minio di banchieri e industriali senza cuore. Vuoi, all’opposto, per inneggiare all’avvento del regno della libertà, dell’Ozio creativo, nel quale ognuno si potrà dedicare ad attività più gra- tificanti. Tutto ciò proprio nel momento in cui la disoccupazione di massa rivaluta il lavoro come “bene scarso”, e, in quanto tale, più prezioso che mai». (R. Chiaberge intervista Aris Accornero, Corriere della Sera del 18 luglio 1997, 29) Il più scatenato contro i profeti di sventura è l’economista cileno (naturalizzato svedese) Mauricio Rojas. Nel suo Perché essere ottimisti sul futuro del lavoro, lo stu- dioso attacca con veemenza, quelli che lui chiama i “falsi profeti” perché, a differenza 124 di coloro che, secondo la Scrittura, prima della fine del mondo inganneranno anche i fedeli facendo miracoli, questi ingannano i lavoratori pronosticando per il nuovo millennio una nuova apocalisse, l’ineluttabile avvento della fine del lavoro (Rojas 1999, 7). È ancora Accornero a chiarire l’equivoco che sottostà al fondo delle tesi pessi- mistiche: la coincidenza tra il “posto di lavoro” e la “condizione professionale”. la professionalità è l’attributo autentico del lavoro «Il lavoro ha subito una metamorfosi prodigiosa e si è visto restituita la propria dignità, a prescindere dalla circostanza che fosse salariato, dipendente. Il lavoro come mestiere, come professione, è risultato il più vicino al lavoro come vocazione: è ciò che tradizionalmente ha reso possibile l’adesione, l’immedesimazione. Nella peculiarità degli specialismi, ogni pro- fessione e mestiere aveva infatti in sé qualcosa di conchiuso, un sapore, quasi un pegno di la- voro indiviso. Ne erano espressione le separatezze corporative non meno della solidarietà di categoria. E anche adesso che si fa sbiadito persino il ritratto della professione, non solo del mestiere, la massificazione stessa del lavoro compie il miracolo di far risaltare la professionalità come faccia positiva par excellence. Essa simboleggia ancora la possibilità dello “strumento gene- rale” di non farsi ridurre ad attività astratta, la sua capacità di trasformarsi in prodotti concreti con la cooperazione del lavoro sociale. La professionalità resta infatti l’attributo autentico del lavoro. È la professionalità a costituire il canale giusto, la vera molla ed il rivelatore inconfondibile dell’autorealizzazione di sé nel lavoro, che è poi tutt’uno col sentirsi classe produttiva di beni; di beni assai più che di merci [...]. Solamente pochi nichilisti hanno l’improntitudine di spregiare quel bagaglio che si vien per- dendo al punto da apprezzare tale perdita come una conquista, magari in nome dell’operaio- massa. “Il lavoro in frantumi fa la classe unita”, afferma il giovane operaismo italiano degli anni ‘60. Il cozzo contro la tradizione è violento, provocatorio. “in gran maggioranza, gli operai non difendono più il mestiere come fecero gli artigiani; sarebbe come se i capitalisti difendessero la libera concorrenza. Si è ‘elevato l’apporto professionale del lavoratorÈ solo nel senso che il lavoro vivo conserva in sé i brandelli di professione non incamerati dal lavoro materializzato. I contenuti professionali diventano omogenei, la loro gamma si restringe: c’è sempre meno di individuale nella forza lavoro, sempre più di universale. (per questo gli idioti cianciano di lavoro disumano, rimpiangendo chissà quali epoche di lavoro umano”. È un ribaltamento un po’ dogmatico e quasi compiaciuto, in cui il concetto marxiano di lavoro astratto acquista evidenza sociologica e portata apocalittica: “soltanto col lavoro anonimo si realizza la produzione di massa. E quando la qualifica singola è nulla e quella collettiva è massima, si può dire che soltanto allora – cioè ora – nasce una vera classe operaia”». (Aris Accornero 1980, 97) Nel nostro tempo, accanto alla fluidità del lavoro (il venir meno del “lavoro a vita” a favore della carriera lavorativa centrata su un percorso che prevede diversi posti , pur mantenendo il riferimento ad una precisa comunità professionale), si assiste quindi alla diffusione della “professionalità” che indica la condizione nella quale è la persona – e non i processi – a possedere le chiavi della cultura del lavoro, quella che le consente di trasformare idee, relazioni, materiali ed opportunità in prodotti- servizi concreti entro il gioco delle relazioni sociali. In tal modo il soggetto può rea- 125 lizzare una comunicazione di sé nel lavoro, divenendo capace di creare valore in quanto contributo migliorativo della vita delle persone. La stessa visione del lavoro è sostenuta da Primo Levi il quale afferma l’orgoglio del costruttore, oltre al mistero del mondo: «Si fa presto a dire che dalle stesse cause devono venir fuori gli stessi effetti: questa è un’invenzione di tutti quelli che le cose non le fanno ma le fanno fare» (Levi 2012, 171). Egli ce l’ha con gli ingegneri, ma anche con chi parla della realtà e della vita senza poter beneficiare di quell’esperienza decisiva rappresentata dal lavoro, e che consente a chi parla di non esprimere solo un concetto astratto, ma una saggezza sperimentata – si potrebbe dire assaporata – tenendo ben piantati i piedi per terra. I suoi colleghi di editrice, così distanti dal reale, con cui litigava su questo punto, non potevano infatti intendere il valore di un pensiero che passa attraverso l’impegno personale concreto e fattivo del lavoro. È a loro che Primo Levi dedica la sua rifles- sione più significativa circa il lavoro: l’amore per il lavoro Conoscevo Faussone da due o tre sere soltanto. Ci eravamo trovati per caso a mensa, alla mensa per gli stranieri di una fabbrica molto lontana a cui ero stato condotto dal mio mestiere di chimico delle vernici. Eravamo noi due i soli italiani; lui era lì da tre mesi, ma in quelle terre era già stato altre volte, e se la cavava benino con la lingua, in aggiunta alle quattro o cinque che già parlava, scorrettamente ma correntemente. È sui trentacinque anni, alto, secco, quasi calvo, abbronzato, sempre ben rasato. Ha una faccia seria, poco mobile e poco espressiva. Non è un gran racconta- tore: è anzi piuttosto monotono, e tende alla diminuzione e all’ellissi come se temesse di apparire esagerato, ma spesso si lascia trascinare, ed allora esagera senza rendersene conto. Ha un voca- bolario ridotto, e si esprime spesso attraverso luoghi comuni che forse gli sembrano arguti e nuovi; se chi ascolta non sorride, lui li ripete, come se avesse da fare con un tonto. Tutti i ragazzi si sognano di andare nella giungla o nei deserti o in Malesia, e me lo sono sognato anch’io; solo che a me i sogni mi piace farli venire veri, se no rimangono come una malattia che uno se la porta appresso tutta la vita. C’erano due maniere: aspettare di diventare ricco e poi fare il turista, oppure fare il montatore. Io ho fatto il montatore. Allora, le stavo dicendo che ero laggiù per montare una gru da molo, uno di quei bestioni a braccia retrattile, e un carro-ponte fantastico, 40 metri di luce e un motore di sollevamento di 140 cavalli; cristo che macchina, domani sera bisogna che mi ricordi di farle vedere le foto. Quando ho finito di metterla su, e abbiamo fatto il collaudo, e sembrava che camminasse in cielo, lisca come l’olio, mi sentivo come se mi avessero fatto commendatore, e ho pagato da bere a tutti. un giorno ero proprio in cima alla torre con la chiave a stella per verificare il serraggio dei bulloni, e mi vedo arrivare lassù il committente, che tirava un po’ l’ala perché trenta metri è come una casa di otto piani. Aveva un pennellino, un pezzo di carta e un’aria furba, e si è messo a rac- cogliere la polvere dalla placca di testa della colonna che io avevo finito di montare un mese pri- ma. Io lo stavo a guardare con diffidenza, e dicevo fra di me “questo è venuto a cercare rogna”. Invece no: dopo un po’ mi ha chiamato, e mi ha fatto vedere che col pennello aveva spazzato nella carta un pochi di polvere grigia. “Sa cos’è?” mi ha chiesto. “Polvere”, ho risposto io. “Sì, ma la polvere della strade e delle case non arriva fin qui. Questa è polvere che viene dalle stelle”. ➔ 126 Io credevo che mi pigliasse in giro, ma poi siamo scesi, e lui mi ha fatto vedere con la lente che erano tutti pallini rotondi, e mi ha mostrato che la calamita li tirava, insomma erano di ferro. E mi ha spiegato che erano stelle cadenti che avevano finito di cadere: se uno va in un po’ in alto in un posto che sia pulito e isolato, ne trova sempre, basta che non ci sia pendenza e che la pioggia non la lavi via. Lei non ci crede, e neanche io sul momento non ci ho creduto; ma col mio mestiere capita sovente di trovarsi in alto in dei posti come quelli, e poi ho visto che la polvere c’è sempre, e più anni passano, più ce n’è, di modo che funzione come un orologio. Anzi, come una di quelle clessidre che servono per fare le uova sode; e io di quella polvere ne ho raccolta un po’ in tutte le parti del mondo, e la tengo a casa delle mie zie, perché io una casa non ce l’ho. Se un giorno ci troviamo a Torino, gliela faccio vedere. (...) Se si escludono istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare, l’amare il nostro lavoro (che purtroppo è privilegio di pochi) costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra: ma questa è una verità che non molti conoscono. Questa sconfinata ragione, la ragione del rusco, del boulot, del job, insomma del lavoro quotidiano, è meno nota dell’Antartide, e per un triste e misterioso fenomeno avviene che ne parlano di più, e con più clamore, proprio coloro che meno l’hanno percorsa. Per esaltare il lavoro, nelle cerimonie ufficiali viene mobilitata una retorica insidiosa, cinicamente fondata sulla considerazione che un elogio o una medaglia costano molto meno di un aumento di paga e rendono di più; però esiste anche una retorica di segno op- posto, non cinica ma profondamente stupida, che tende a denigrarlo, a dipingerlo vile come se del lavoro, proprio od altrui, si potesse fare a meno, non solo in utopia ma oggi e qui: come se chi sa lavorare fosse per definizione un servo, e come se, per converso, chi lavorare non sa, o sa male, o non vuole, fosse per ciò stesso un uomo libero. È malinconico vero che molti lavori non sono amabili, ma è nocivo scendere in campo carichi di odio e preconcetto: chi lo fa, si condanna per la vita ad odiare non solo il suo lavoro, ma se stesso e il mondo. Si può e si deve combattere perché il frutto del lavoro rimanga nelle mani di chi lo fa, e perché il lavoro stesso non sia una pena , ma l’amore o rispettivamente l’odio per l’opera sono un dato interno, originario, che dipende molto dalla storia dell’individuo, meno di quanto si creda dalle strutture produttive entro cui il lavoro si svolge. (Primo Levi 2012, 81) In questa chiusa vi è l’abisso intellettuale che separa Primo Levi e gli autori dello stesso circolo einaudiano, con cui egli discuteva e che non raramente contestava, proponendo una conoscenza resa possibile da un’intera vita lavorativa di chimico. Egli mostra che, senza la saggezza che viene dall’aver vissuto, il lavoro diventa un argomento di cui si può discettare, ma come si fa con un concetto astratto, intriso di schemi e dogmi, non certo effettivamente conosciuto in modo autentico. Non ci sono soltanto i profeti di sventura; vi è anche la posizione di chi, come Serge Latouche, prospetta un’interpretazione positiva della fine del lavoro intesa come occasione di ritorno ad una condizione sociale più umana, dai caratteri decisa- mente preindustriali: la “decrescita felice”. la decrescita felice “Dove andiamo? Dritti contro un muro. Siamo a bordo di un bolide senza pilota, senza marcia indietro e senza freni, che sta andando a fracassarsi contro i limiti del pianeta”. Dopo aver sorvolato due pagine di prefazione e aver riflettuto sulle parole di John Stuart Mill, è questa inquietante realizzazione che ci troviamo davanti all’inizio della nostra lettura del Breve trat- tato sulla decrescita serena di Serge Latouche. ➔ Come diceva la mia professoressa di filosofia, un po’ matta a dire il vero, i libri bisogna co- minciare a studiarli dalla copertina e allora facciamo un passo in dietro, ritorniamo al titolo: Breve trattato sulla decrescita serena. Concedendoci di soprassedere su breve – piccolo, agile, accessibile – concentriamoci su questa strana parola, Decrescita. Che cosa significa? “La parola d’ordine della decrescita ha soprattutto lo scopo di sottolineare con forza la ne- cessità dell’abbandono dell’obiettivo della crescita illimitata, obiettivo il cui motore è essen- zialmente la ricerca del profitto da parte dei detentori del capitale, con conseguenze disastrose per l’ambiente e dunque per l’umanità. Non soltanto la società è ridotta a mero strumento e mezzo della meccanica produttiva, ma l’uomo stesso tende a diventare lo scarto di un sistema che punta a renderlo inutile e a farne a meno”. Consumiamo troppo, mangiamo troppo, buttiamo troppo. Soprattutto viviamo nella convin- zione che sia possibile una crescita infinita in un luogo, quale è il nostro pianeta, finito, igno- rando limiti ed entropia. Dunque che fare per cambiare le cose? Cercare di invertire i tassi di crescita? una scelta del genere nel sistema attuale significherebbe innescare una crisi econo- mica che, al confronto, quella attuale sembrerebbe una festa. Anche altre soluzioni apparentemente ovvie non risolverebbero il problema: passare alle ener- gie rinnovabili? Bene, ottimo, ma se continueremo ad avere uno stile di vita che presuppone la disposizione di 34 (!) pianeti, quanti pannelli solari dovremo istallare? E allora? Per spie- gare come uscire dall’empasse mi viene in mente la scena di quel celeberrimo film che è Ri- torno al Futuro II: i protagonisti, Doc e Marty, sono finiti in un 1985 alternativo, un vero in- cubo, tutto per colpa di un almanacco sportivo rubato dal cattivo Biff nel 2015. Per uscire da questa brutta situazione Marty propone di andare avanti nel tempo e impedire il furto. Doc gli fa notare che muoversi da quel punto del tempo significherebbe trovarsi nel futuro di quell’incubo. Ci sono due linee temporali parallele nel film, così come ci sono due modi pa- ralleli di concepire il mondo. Bisogna cambiare paradigma! “A rigore, sul piano teorico si dovrebbe parlare di a-crescita, come si parla di a-teismo, più che di de-crescita. In effetti si tratta proprio di abbandonare una fede o una religione, quella dell’economia, del progresso e dello sviluppo, di rigettare il culto irrazionale e quasi idolatra della crescita fine a se stessa”. La saggezza della lumaca Ma come, potrebbe dire qualcuno, la crescita, da quando il mondo è mondo, è una cosa buona, sta nella natura delle cose. È bene precisare che qui si sta parlando di crescita economica. Per chiarirci le idee è interessante dare un’occhiata ai dati che monitorano proprio questa crescita: “Con un aumento del PIL pro capite del 3,5 per cento annuo (che corrisponde alla media francese tra il 1949 e il 1959), si ha un fattore di moltiplicazione 31 in un secolo e di 961 in due secoli! E con un tasso di crescita del 10 per cento, che è quello attuale della Cina, si ottiene un fattore di moltiplicazione 736! A un tasso di crescita del 3 per cento, si moltiplica il PIL di venti volte in un secolo, di 400 in due secoli, di 8000 in tre secoli. Se la crescita pro- ducesse automaticamente il benessere, dovremmo vivere in un vero paradiso da tempi im- memorabili. E invece è l’inferno che ci minaccia”. È a questo punto del ragionamento che Latouche si rivolge al suo maestro Ivan Illich, invo- cando la saggezza della lumaca: “la lumaca costruisce la delicata architettura del suo guscio aggiungendo una dopo l’altra delle spire sempre più larghe, poi smette bruscamente e co- mincia a creare delle circonvoluzioni stavolta decrescenti. una sola spira più larga darebbe al guscio una dimensione sedici volte più grande”. La lumaca, evidentemente dimostrando maggiore saggezza degli uomini, “capisce” che quella eccessiva grandezza peggiorerebbe la qualità della sua esistenza e allora abbandona la ragione geometrica in favore di una progres- sione aritmetica. “Oggi più che mai, lo sviluppo sacrifica le popolazioni e il loro benessere concreto e locale sull’altare del ‘benavere’ astratto, de territorializzato”. ➔ 127 128 La decrescita, secondo Latouche, non è un argomento per discussioni da bar o, bene che vada, da aule di accademia. Il nuovo paradigma dovrebbe (e potrebbe) guidare scelte concrete e politiche. “Oggi la crescita è un affare redditizio solo a patto di farne sopportare il peso e il prezzo alla natura, alle generazioni future, alla salute dei consumatori, alle condizioni di la- voro degli operai e, soprattutto, ai paesi del sud”. Per tutto questo è necessario perseguire quella che Latouche definisce “utopia concreta, nel senso positivo datole da Ernst Bloch.”. In questi termini quella della decrescita deve essere una rivoluzione, un sovvertimento totale per compiere quel salto di piani paralleli di cui si parlava prima. La via per questa rivoluzione passa attraverso la messa in moto di un circolo virtuoso fatto di otto “R”. Rivalutare I valori borghesi del secolo scorso un poco alla volta si sono prosciugati, lasciando soltanto dei gusci vuoti: megalomania individualistica, rifiuto della morale, egoismo. La società della decrescita dovrà poggiare su un sistema rovesciato di valori. “Amore della verità, senso della giustizia, responsabilità, rispetto della democrazia, elogio della differenza, dovere di solida- rietà, uso dell’intelligenza”. Riconcettualizzare Diventa necessario ripensare alcuni concetti fondamentali come quelli di ricchezza e povertà, “ma anche il binomio infernale, fondatore dell’immaginario economico, rarità/abbondanza”. Ristrutturare “Ristrutturare significa adeguare l’apparato produttivo e i rapporti sociali al cambiamento dei valori”. Per fare un esempio si potrebbero riconvertire le fabbriche automobilistiche in fabbriche di macchinari per il recupero di energia attraverso la cogenerazione. Rilocalizzare Quello della località è uno dei concetti cardine di tutto il paradigma della decrescita e anche uno dei più anti moderni. “Se le idee devono ignorare le frontiere, al contrario i movimenti di merci e di capitali devono essere limitati all’indispensabile”. La cultura, la politica e il senso della vita devono ritrovare un “ancoraggio territoriale”. Ridurre Ridurre significa innanzitutto ridurre gli sprechi, in modo da gravare di meno sulla nostra povera biosfera. È inaccettabile che oggi i paesi ricchi producano 4 miliardi di tonnellate di rifiuti l’anno. Altre cose da ridurre urgentemente sono gli orari di lavoro, per restituire il tempo a tutto quello che rende la vita degna di essere vissuto e il turismo di massa, con le sue gravose conseguenze, come l’inquinamento e la distruzione delle destinazioni che subiscono questo turismo. Riutilizzare/riciclare Forse la più scontata delle “R”, è un concetto ormai dato per acquisito, allora come mai le amministrazioni e la politica non lo hanno ancora trasformato in un cardine del nostro sistema produttivo? (La decrescita serena di Serge Latouche, in Le storie di Altro, Portale per una vita alternativa http://www.lestoriedialtro.it/cultura/economia/latouche.html) Latouche incappa però in un grave errore poiché mostra di non tenere nel giusto conto le leggi fondamentali dell’economia, prima fra tutte il legame che sussiste tra crescita economica (misurata dal Pil) e tasso di occupazione, in forza del quale, in Italia, ad ogni punto corrispondono da 300 a 350 mila posti di lavoro. La decrescita pertanto porta con sé non felicità, ma dolore e miseria. Non mancano nel pensiero di Latouche proposte significative ed utili in una pro- spettiva positiva per il lavoro umano, come nelle tre R di rivalutare, ristrutturare e ri- utilizzare/riciclare, anche se il tono di fondo riflette un’utopia negativa a carattere regressivo, piuttosto che un cammino da svolgere in prospettiva. In questo, l’autore riflette l’humus culturale in cui è inserito, quello di una sinistra anticapitalistica che, consapevole dell’impossibilità di un ribaltamento rivoluzionario del modello economico corrente, ha deciso di perseguire la strada di una sorta di re- ruralizzazione delle nostre società alla ricerca del senso di comunità e di autenticità perduto. È utile leggere a questo proposito il Manifesto sul tema della decrescita ela- borato dallo stesso autore: Manifesto del doposviluppo La corrente di pensiero che si riferisce alla decrescita ha conservato fino a oggi un carattere quasi confidenziale. Nel corso di una storia già lunga ha prodotto, ciò nonostante, una lette- ratura non disprezzabile che si trova rappresentata in numerosi campi di ricerca e d’azione nel mondo. Nata negli anni sessanta, il decennio dello sviluppo, da una riflessione critica sui presupposti dell’economia e sul fallimento delle politiche di sviluppo, questa corrente riunisce ricercatori, attori sociali del Nord come del Sud portatori di analisi e di esperienze innovatrici sul piano economico, sociale e culturale. Nel corso degli anni si sono intrecciati dei legami spesso informali tra le sue diverse componenti e le esperienze e le riflessioni si sono mutua- mente alimentate. Il movimento per la decrescita s’inscrive dunque nel più ampio movimento dell’International Network for Cultural Alternatives to Development (INCAD) e si riconosce pienamente nella dichiarazione del 4 maggio 1992. Intende proseguire e ampliare il lavoro così cominciato. Il movimento mette al centro della sua analisi la critica radicale della nozione di sviluppo che, nonostante le evoluzioni formali conosciute, resta il punto di rottura decisivo in seno al movimento di critica al capitalismo e della globalizzazione. Ci sono da un lato quelli che, come noi, vogliono uscire dallo sviluppo e dall’economicismo e, dall’altro, quelli che militano per un problematico “altro” sviluppo (o una non meno problematica “altra” glo- balizzazione). A partire da questa critica, la corrente procede a una vera e propria “decostru- zione” del pensiero economico. Sono pertanto rimesse in discussione le nozioni di crescita, povertà, bisogno, aiuto ecc. Le associazioni e i membri della presente rete si riconoscono in tale impresa. Dopo il fallimento del socialismo reale e il vergognoso scivolamento della so- cialdemocrazia verso il social-liberalismo, noi pensiamo che solo queste analisi possano con- tribuire a un rinnovamento del pensiero e alla costruzione di una società veramente alternativa alla società di mercato. Rimettere radicalmente in questione il concetto di sviluppo è fare della sovversione cognitiva, e questa è la condizione preliminare del sovvertimento politico, sociale e culturale. Il momento ci sembra favorevole per uscire dalla semiclandestinità dove siamo stati relegati finora e il grande successo del colloquio di La ligne d’horizon2, “Défaire le développement, refaire le monde”, che si è tenuto presso l’uNESCO dal 28 febbraio al 3 marzo 2002, rafforza le nostre convinzioni e le nostre speranze. Rompere l’immaginario dello sviluppo e decolonizzare le menti Di fronte alla globalizzazione, che non è altro che il trionfo planetario del mercato, bisogna concepire e volere una società nella quale i valori economici non siano più centrali (o unici). L’economia dev’essere rimessa al suo posto come semplice mezzo della vita umana e non come fine ultimo. Bisogna rinunciare a questa folle corsa verso un consumo sempre maggiore. Ciò non è solo necessario per evitare la distruzione definitiva delle condizioni di vita sulla Terra ma anche e soprattutto per fare uscire l’umanità dalla miseria psichica e morale. Si ➔ 129 130 tratta di una vera decolonizzazione del nostro immaginario e di una diseconomicizzazione delle menti indispensabile per cambiare davvero il mondo prima che il cambiamento del mon- do ce lo imponga nel dolore. Bisogna cominciare con il vedere le cose in altro modo perché possano diventare altre, perché sia possibile concepire soluzioni veramente originali e inno- vatrici. Si tratta di mettere al centro della vita umana altri significati e altre ragioni d’essere che l’espansione della produzione e del consumo. La parola d’ordine della rete è dunque “re- sistenza e dissidenza”. Resistenza e dissidenza con la testa ma anche con i piedi. Resistenza e dissidenza come atteggiamento mentale di rifiuto, come igiene di vita. Resistenza e dissi- denza come atteggiamento concreto mediante tutte le forme di autorganizzazione alternativa. Ciò significa anche il rifiuto della complicità e della collaborazione con quella impresa dis- sennata e distruttiva che costituisce l’ideologia dello sviluppo. Illusioni e rovine dello sviluppo La attuale globalizzazione ci mostra quel che lo sviluppo è stato e che non abbiamo mai voluto vedere. Essa è lo stadio supremo dello sviluppo realmente esistente e nello stesso tempo la negazione della sua concezione mitica. Se lo sviluppo, effettivamente, non è stato altro che il seguito della colonizzazione con altri mezzi, la nuova mondializzazione, a sua volta, non è altro che il seguito dello sviluppo con altri mezzi. Conviene dunque distinguere lo sviluppo come mito dallo sviluppo come realtà storica. Si può definire lo sviluppo real- mente esistente come una impresa che mira a trasformare in merci le relazioni degli uomini tra loro e con la natura. Si tratta di sfruttare, di valorizzare, di trarre profitto dalle risorse na- turali e umane. Progetto aggressivo verso la natura e verso i popoli, è – come la colonizzazione che la precede e la mondializzazione che la segue – un’opera al tempo stesso economica e militare di dominazione e di conquista. È lo sviluppo realmente esistente, quello che domina il pianeta da tre secoli, che causa i problemi sociali e ambientali attuali: esclusione, sovrap- popolazione, povertà, inquinamenti diversi ecc. Quanto al concetto mitico di sviluppo, è na- scosto in un dilemma: da una parte, esso designa tutto e il suo contrario, in particolare l’in- sieme delle esperienze storiche e culturali dell’umanità, dalla Cina degli Han all’impero degli Inca. In questo caso non designa nulla in particolare, non ha alcun significato utile per pro- muovere una politica, ed è meglio sbarazzarsene. Dall’altra parte, esso ha un contenuto pro- prio, il quale designa allora necessariamente ciò che possiede in comune con l’avventura oc- cidentale del decollo dell’economia così come si è organizzata dalla rivoluzione industriale in Inghilterra negli anni 1750-1800. In questo caso, quale che sia l’aggettivo che gli si affianca, il contenuto implicito o esplicito dello sviluppo è la crescita economica, l’accumulazione del capitale con tutti gli effetti positivi e negativi che si conoscono. Ora, questo nucleo centrale che tutti gli sviluppi hanno in comune con tale esperienza, è legato a rapporti sociali ben par- ticolari che sono quelli del modo di produzione capitalistico. Gli antagonisti di “classe” sono ampiamente occultati dalla pregnanza di “valori” comuni ampiamente condivisi: il progresso, l’universalismo, il dominio della natura, la razionalità quantificante. Questi valori sui quali si basa lo sviluppo, e in particolare il progresso, non corrispondono affatto ad aspirazioni universali profonde. Sono legati alla storia dell’Occidente e trovano scarsa eco nelle altre so- cietà. Al di fuori dei miti che la fondano, l’idea di sviluppo è totalmente sprovvista di senso e le pratiche che le sono legate sono rigorosamente impossibili perché impensabili e proibite. Oggi questi valori occidentali sono precisamente quelli che bisogna rimettere in discussione per trovare una soluzione ai problemi del mondo contemporaneo ed evitare le catastrofi verso le quali l’economia mondiale ci trascina. Il doposviluppo è al contempo postcapitalismo e postmodernità. I nuovi aspetti dello sviluppo Per tentare di scongiurare magicamente gli effetti negativi dello sviluppo, siamo entrati nel- l’era dello sviluppo aggettivato. Si è assistito alla nascita di nuovi sviluppi autocentranti, en- ➔ dogeni, partecipativi, comunitari, integrati, autentici, autonomi e popolari, equi…senza parlare dello sviluppo locale, del microsviluppo, dell’endosviluppo, dell’etnosviluppo! Affiancando un aggettivo al concetto di sviluppo, non si tratta veramente di rimettere in discussione l’ac- cumulazione capitalistica; tutt’al più si pensa di aggiungere un risvolto sociale o una compo- nente ecologica alla crescita economica come un tempo si è potuto aggiungerle una dimen- sione culturale. Questo lavoro di ridefinizione dello sviluppo riguarda, in effetti, sempre più o meno la cultura, la natura e la giustizia sociale. In tutto ciò si tratta di guarire un male che colpirebbe lo sviluppo in modo accidentale e non congenito. Per l’occasione è stato addirittura creato uno spauracchio, il malsviluppo. Questo mostro è solo una chimera, poiché il male non può colpire lo sviluppo per la buona ragione che lo sviluppo immaginario è per defini- zione l’incarnazione stessa del bene. Il buon sviluppo è un pleonasmo perché lo sviluppo si- gnifica buona crescita, perché anche la crescita è un bene contro il quale nessuna forza del male può prevalere. È l’eccesso stesso delle prove del suo carattere benefico che meglio rivela la frode dello sviluppo. Lo sviluppo sociale, lo sviluppo umano, lo sviluppo locale e lo svi- luppo durevole non sono altro che gli ultimi nati di una lunga serie di innovazioni concettuali tendenti a far entrare una parte di sogno nella dura realtà della crescita economica. Se lo svi- luppo sopravvive ancora lo deve soprattutto ai suoi critici! Inaugurando l’era dello sviluppo aggettivato (umano, sociale ecc.), gli umanisti canalizzano le aspirazioni delle vittime dello sviluppo del Nord e del Sud strumentalizzandoli. Lo sviluppo durevole è il più bel successo di quest’arte di ringiovanimento di vecchie cose. Esso illustra perfettamente il procedimento di eufemizzazione mediante aggettivo. Lo sviluppo durevole, sostenibile o sopportabile (su- stainable), portato alla ribalta alla Conferenza di Rio del giugno 1992, è un tale “fai da te” concettuale, che cambia le parole invece di cambiare le cose, una mostruosità verbale con la sua antinomia mistificatrice. Ma nello stesso tempo, con il suo successo universale, attesta la dominazione della ideologia dello sviluppo. Ormai la questione dello sviluppo non riguarda soltanto i paesi del Sud, ma anche quelli del Nord. Se la retorica pura dello sviluppo con la pratica legata dell’espertocrazia volontarista non ha più successo, il complesso delle credenze escatologiche in una prosperità materiale possibile per tutti e rispettosa dell’ambiente resta intatto. L’ideologia dello sviluppo manifesta la logica economica in tutto il suo rigore. Non c’è posto in questo paradigma per il rispetto della natura reclamato dagli ecologisti né per il rispetto dell’uomo reclamato dagli umanisti. Lo sviluppo realmente esistente appare allora nella sua verità. E lo sviluppo alternativo come un miraggio. Oltre lo sviluppo Parlare di doposviluppo non è soltanto lasciar correre l’immaginazione su ciò che potrebbe accadere in caso di implosione del sistema, fare della fantapolitica o esaminare un problema accademico. È parlare della situazione di coloro che attualmente al Nord come al Sud sono esclusi o sono in procinto di diventarlo, di tutti coloro, dunque, per i quali il progresso è un’ingiuria e una ingiustizia, e che sono indubbiamente i più numerosi sulla faccia della Terra. Il doposviluppo si delinea già tra noi e si annuncia nella diversità. Il doposviluppo, in effetti, è necessariamente plurale. Si tratta della ricerca di modalità di espansione collettiva nelle quali non sarebbe privilegiato un benessere materiale distruttore dell’ambiente e del legame sociale. L’obiettivo della buona vita si declina in molti modi a seconda dei contesti. In altre parole, si tratta di ricostruire nuove culture. Questo obiettivo può essere chiamato l’humran (crescita/rigoglio) come in Ibn Kaldûn, swadeshi-sarvodaya (miglioramento delle condizioni sociali di tutti) come in Gandhi, o bamtaare (stare bene assieme) come dicono i toucouleurs, o in altro modo. L’importante è esprimere la rottura con l’impresa di distruzione che si per- petua sotto il nome di sviluppo oppure, oggi, di mondializzazione. Per gli esclusi, per i nau- fraghi dello sviluppo, può trattarsi soltanto di una sorta di sintesi tra la tradizione perduta e la modernità inaccessibile. Queste creazioni originali di cui si possono trovare qua e là degli inizi di realizzazione aprono la speranza di un doposviluppo. Bisogna al tempo stesso pensare ➔ 131 132 e agire globalmente e localmente. È solo nella mutua fecondazione dei due approcci che si può tentare di sormontare l’ostacolo della mancanza di prospettive immediate. Il doposviluppo e la costruzione di una società alternativa non si declinano necessariamente nello stesso modo al Nord e al Sud. Proporre la decrescita conviviale come uno degli obiettivi globali urgenti e identificabili attualmente e mettere in opera alternative concrete localmente sono prospettive complementari. Decrescere e abbellire La decrescita dovrebbe essere organizzata non soltanto per preservare l’ambiente ma anche per ripristinare il minimo di giustizia sociale senza la quale il pianeta è condannato all’esplo- sione. Sopravvivenza sociale e sopravvivenza biologica sembrano dunque strettamente legate. I limiti del patrimonio naturale non pongono soltanto un problema di equità intergenerazionale nel condividere le disponibilità, ma anche un problema di giusta ripartizione tra gli esseri at- tualmente viventi dell’umanità. La decrescita non significa un immobilismo conservatore. La saggezza tradizionale considerava che la felicità si realizzasse nel soddisfare un numero ragionevolmente limitato di bisogni. L’evoluzione e la crescita lenta delle società antiche si integravano in una riproduzione allargata ben temperata, sempre adattata ai vincoli naturali. Organizzare la decrescita significa, in altre parole, rinunciare all’immaginario economico, vale a dire alla credenza che di più è uguale a meglio. Il bene e la felicità possono realizzarsi con costi minori. Riscoprire la vera ricchezza nel fiorire di rapporti sociali conviviali in un mondo sano può ottenersi con serenità nella frugalità, nella sobrietà e addirittura con una certa austerità nel consumo materiale. La parola d’ordine della decrescita ha soprattutto come fine il segnare con fermezza l’abbandono dell’obiettivo insensato della crescita per la crescita, obiettivo il cui movente non è altro che la ricerca sfrenata del profitto per i detentori del ca- pitale. Evidentemente, non si prefigge un rovesciamento caricaturale che consisterebbe nel raccomandare la decrescita per la decrescita. In particolare, la decrescita non è la crescita ne- gativa. Si sa che il semplice rallentamento della crescita sprofonda le nostre società nel dis- ordine con riferimento alla disoccupazione e all’abbandono dei programmi sociali, culturali e ambientali che assicurano un minimo di qualità della vita. Si può immaginare quale cata- strofe sarebbe un tasso di crescita negativa! Allo stesso modo non c’è cosa peggiore di una società lavoristica senza lavoro e, peggio ancora, di una società della crescita senza crescita. La decrescita è dunque auspicabile soltanto in una “società di decrescita”. Ciò presuppone tutt’altra organizzazione in cui il tempo libero è valorizzato al posto del lavoro, dove le rela- zioni sociali prevalgono sulla produzione e sul consumo dei prodotti inutili o nocivi. La ri- duzione drastica del tempo dedicato al lavoro, imposta per assicurare a tutti un impiego sod- disfacente, è una condizione preliminare. Ispirandosi alla carta su “consumi e stili di vita” proposta al Forum delle ONG di Rio, è possibile sintetizzare il tutto in un programma di sei “R”: rivalutare, ristrutturare, ridistribuire, ridurre, riutilizzare, riciclare. Questi sono i sei obiettivi interdipendenti, un circolo virtuoso di decrescita conviviale e sostenibile. Rivalutare significa rivedere i valori in cui crediamo e in base ai quali organizziamo la nostra vita, nonché cambiare i valori che devono essere cambiati. Ristrutturare significa adattare la produzione e i rapporti sociali in funzione del cambiamento dei valori. Per ridistribuire s’intende la ridi- stribuzione delle ricchezze e dell’accesso al patrimonio naturale. Ridurre vuol dire diminuire l’impatto sulla biosfera dei nostri modi di produrre e di consumare. Per fare ciò bisogna riu- tilizzare gli oggetti e i beni d’uso invece di gettarli e sicuramente riciclare i rifiuti non com- pressibili che produciamo. Tutto ciò non è necessariamente antiprogressista e antiscientifico. Si potrebbe, nello stesso tempo, parlare di un’altra crescita in vista del bene comune, se il termine non fosse troppo alternativo. Noi non rinneghiamo la nostra appartenenza all’Occi- dente, di cui condividiamo il sogno progressista, sogno che ci ossessiona. Tuttavia, aspiriamo a un miglioramento della qualità della vita e non a una crescita illimitata del PIL. Reclamiamo ➔ 133 la bellezza delle città e dei paesaggi, la purezza delle falde freatiche e l’accesso all’acqua po- tabile, la trasparenza dei fiumi e la salute degli oceani. Esigiamo un miglioramento dell’aria che respiriamo, del sapore degli alimenti che mangiamo. C’è ancora molta strada da fare per lottare contro l’invasione del rumore, per ampliare gli spazi verdi, per preservare la fauna e la flora selvatiche, per salvare il patrimonio naturale e culturale dell’umanità, senza parlare dei progressi da fare nella democrazia. La realizzazione di questo programma è parte inte- grante dell’ideologia del progresso e presuppone il ricorso a tecniche sofisticate alcune delle quali sono ancora da inventare. Sarebbe ingiusto tacciarci come tecnofobi e antiprogressisti con il solo pretesto che reclamiamo un “diritto di inventario” sul progresso e sulla tecnica. Questa rivendicazione è un minimo per l’esercizio della cittadinanza. Semplicemente, per i paesi del Sud, colpiti in pieno dalle conseguenze negative della crescita del Nord, non si tratta tanto di decrescere (o di crescere, d’altra parte), quanto di riannodare il filo della loro storia rotto dalla colonizzazione, dall’imperialismo e dal neoimperialismo militare, politico, eco- nomico e culturale. La riappropriazione delle loro identità è preliminare per dare ai loro pro- blemi le soluzioni appropriate. Può essere sensato ridurre la produzione di certe colture de- stinate all’esportazione (caffè, cacao, arachidi, cotone ecc., ma anche fiori recisi, gamberi di allevamento, frutta e verdure come primizie ecc.), come può risultare necessario aumentare la produzione delle colture per uso alimentare. Si può pensare inoltre a rinunciare all’agri- coltura produttivista come al Nord per ricostituire i suoli e le qualità nutrizionali, ma anche, senza dubbio, fare delle riforme agrarie, riabilitare l’artigianato che si è rifugiato nell’infor- male, ecc. Spetta ai nostri amici del Sud precisare quale senso può assumere per loro la co- struzione del doposviluppo. In nessun caso, la rimessa in discussione dello sviluppo può ne deve apparire come una impresa paternalista e universalista che la assimilerebbe a una nuova forma di colonizzazione (ecologista, umanitaria...) Il rischio è tanto più forte in quanto gli ex colonizzati hanno interiorizzato i valori del colonizzatore. L’immaginario economico, e in particolare l’immaginario dello sviluppo, è senza dubbio ancora più pregnante al Sud che al Nord. Le vittime dello sviluppo hanno la tendenza a non vedere altro rimedio alle loro dis- grazie che un aggravarsi del male. Penano che l’economia sia il solo mezzo per risolvere la povertà quando è proprio lei che la genera. Lo sviluppo e l’economia sono il problema e non la soluzione; continuare a pretendere e volere il contrario fa parte del problema. una decrescita accettata e ben meditata non impone alcuna limitazione nel dispendio di sentimenti e nella produzione di una vita festosa o addirittura dionisiaca. Sopravvivere localmente Si tratta di essere attenti al reperimento delle innovazioni alternative: imprese cooperative in autogestione, comunità neorurali, autorganizzazione degli esclusi del Sud. Queste esperienze che noi intendiamo sostenere o promuovere ci interessano non tanto per se stesse, quanto co- me forme di resistenza e di dissidenza al processo di aumento della mercificazione totale del mondo. Senza cercare di proporre un modello unico, noi ci sforziamo di realizzare in teoria e in pratica una coerenza globale dell’insieme di queste iniziative. Il pericolo della maggior parte delle iniziative alternative è, in effetti, di chiudersi nella nicchia che hanno trovato al- l’inizio invece di lavorare alla costruzione e al rafforzamento di un insieme più vasto. L’im- presa alternativa vive o sopravvive in un ambiente che è e dev’essere diverso dal mercato mondializzato. È questo ambiente dissidente che bisogna definire, proteggere, conservare, rinforzare sviluppare attraverso la resistenza. Piuttosto che battersi disperatamente per con- servare la propria nicchia nell’ambito del mercato mondiale, bisogna militare per allargare e approfondire una vera società autonoma ai margini dell’economia dominante. Il mercato mondializzato con la sua concorrenza accanita e spesso sleale non è l’universo dove si muove e deve muoversi l’organizzazione alternativa. Essa deve cercare una vera democrazia asso- ciativa per sfociare in una società autonoma. una catena di complicità deve legare tutte le parti. Come nell’informale africano, nutrire la rete dei “collegati” è la base del successo. L’al- ➔ 134 largamento e l’approfondimento del tessuto di base è il segreto del successo e deve essere il primo pensiero delle sue iniziative. È questa coerenza che rappresenta una vera alternativa al sistema. Al Nord, si pensa prima ai progetti volontari e volontaristici di costruzione di mondi differenti. Alcuni individui, rifiutando in tutto o in parte il mondo in cui vivono, tentano di mettere in atto qualcos’altro, di vivere altrimenti: di lavorare o di produrre altrimenti in seno a imprese diverse, di riappropriarsi della moneta anche per servirsene per un uso diverso, se- condo una logica altra rispetto a quella dell’accumulazione illimitata e dell’esclusione mas- siccia dei perdenti. Al Sud, dove l’economia mondiale, con l’aiuto delle istituzioni di Bretton Woods, ha cacciato dalle campagne milioni e milioni di persone, ha distrutto il loro modo di vita ancestrale, soppresso i loro mezzi di sussistenza, per gettarli e stiparli nelle bidonvilles e nelle periferie Terzo mondo, l’alternativa è spesso una condizione di sopravvivenza. I “nau- fraghi dello sviluppo”, abbandonati a loro stessi, condannati nella logica dominante a scom- parire, non hanno scelta per restare a galla che organizzarsi secondo un’altra logica. Devono inventare, e almeno alcuni inventano effettivamente, un altro sistema, un’altra vita. Questa seconda forma dell’altra società non è totalmente separata dalla prima, e ciò per due ragioni. Innanzitutto, perché l’autorganizzazione spontanea degli esclusi del Sud non è mai totalmente spontanea. Ci sono aspirazioni, progetti, modelli, o anche utopie che informano più o meno questi “fai da te” della sopravvivenza informale. Poi, perché, simmetricamente, gli “alterna- tivi” del Nord non sempre hanno possibilità di scegliere. Anch’essi sono spesso degli esclusi, degli abbandonati, dei disoccupati o candidati potenziali alla disoccupazione, o semplicemente degli esclusi per disgusto... Ci sono dunque possibilità di contatto tra le due forme che possono e devono fecondarsi reciprocamente. Questa coerenza d’insieme realizza un certo modo, certi aspetti che François Partant attribuiva alla sua proposta centrale: “dare a dei disoccupati, a dei contadini rovinati e a tutti coloro che lo desiderano la possibilità di vivere del loro lavoro, producendo, al di fuori dell’economia di mercato e nelle condizioni da loro stessi determinate, ciò di cui ritengono di aver bisogno”. Rafforzare la costruzione di tali altri mondi possibili passa per la presa di coscienza del si- gnificato storico di queste iniziative. Numerose sono già state le riconquiste da parte delle forze dello sviluppo delle imprese alternative isolate, e sarebbe pericoloso sottovalutare le capacità di recupero del sistema. Per contrastare la manipolazione e il lavaggio del cervello permanente a cui siamo sottoposti, la costruzione di una vasta rete sembra essenziale per con- durre la battaglia del buon senso. (Manifesto del doposviluppo di Serge Latouche, http://www.riflessioni.it/ecoriflessioni/ manifesto_doposviluppo.htm) Come si può vedere, proposte di buon senso e interventi sicuramente apprezzabili sono collocati in un brodo culturale nel quale si avvertono ancora integri i vecchi miti del “cambiamento radicale dell’umano” di derivazione illuminista, poi rielaborati dal marxismo ed ora fatti propri dall’ecologismo radicale. D’altra parte, anche i pauperisti prevedono forme di lavoro. Tra queste troviamo il neo contadino, l’organizzatore di campagne militanti, il ristoratore km zero o vegano, tutto un sottomondo di piccoli artisti, micro artigiani, organizzatori di feste di paese e di quartiere, di corsi dei fai-da-te, di incontri consolatori (“Non è colpa tua, è il sistema ad essere colpevole. Tu lo sai, e quindi con il tuo piccolo gesto di partecipazione fai un atto di resistenza. Vedrai che prima o poi, a furia di conferenze, manifestazioni e denunce, il sistema crollerà”). E, naturalmente, l’intellettuale pau- perista che trae da vivere da libri, conferenze, happening culturali di denuncia. Non si tratta certo di una prospettiva appropriata ad aumentare l’occupazione giovanile, in grado di apportare posti di lavoro dotati di un reddito che consenta una vita dignitosa, quanto di una sorta di sottoeconomia pauperista ricca di significati, ma incapace di proporsi come via di uscita dalla crisi – quella reale – del lavoro che porta con sé un rischio di decadenza: «L’esempio caratteristico di un individuo a ri- schio elevato di decadenza è quello del pensionato “costretto” a non lavorare e, quin- di, posto in modo forzato in uno stato di equilibrio. Tale condizione di riposo, lungi dal restaurare le sue capacità psichiche e fisiche, lo logora rapidamente fino a rendere altissimo il rischio di morte dell’individuo messo in condizione di essere fisiologica- mente, psicologicamente e socialmente “inutile”» (Israel 2004, 139-140). La condizione di sospensione dei giovani dalla realtà è spiegato con molta chia- rezza dal seguente articolo. Rottamagiovani Milano. Più di tre anni fa la cancelliera tedesca Angela Merkel usò tre numeretti per descrivere la posizione dell’Europa nell’economia mondiale e le difficoltà che deve affrontare: il Vecchio continente ha il 7 per cento della popolazione mondiale, produce il 25 per cento del pil totale e consuma il 50 per cento delle spese per welfare globali. La pesantezza espressa in queste cifre può spiegare in parte il rallentamento dell’economia europea in generale, ma non dice abbastanza su un continente a cui la definizione di “vecchio” è azzeccata non solo per storia e demografia, ma anche per quanto riguarda i beneficiari delle politiche pubbliche. Il think tank brussellese Bruegel ha pubblicato uno studio di tre economisti, Hüttl, Wilson e Wolff, intitolato “Il crescente divario intergenerazionale in Europa”, che mostra come il peso della crisi economica sia stato scaricato sui giovani. Già la Banca d’Italia nell’indagine sui “Bilanci delle famiglie italiane” aveva mostrato come abbia operato questa tendenza in Italia negli ul- timi 20 anni: per gli over 64 il reddito e la ricchezza medi sono aumentati del 15 e del 60 per cento, mentre per gli under 34 sono scesi del 10 e del 60 per cento. Ma la dinamica di apertura della forbice intergenerazionale così evidente nel nostro paese, come mostrano i dati raccolti dai tre economisti, riguarda tutto il continente: “Durante la crisi economica e finanziaria, il divario tra giovani e anziani nell’unione europea è aumentato in termini di benessere economico e allocazione di risorse da parte dei governi. Mentre i tassi di disoccupazione e povertà giovanile sono aumentati, la spesa pubblica si è spostata da istru- zione, famiglie e bambini verso i pensionati”. I dati sono impressionanti. La disoccupazione giovanile è aumentata di 8 punti percentuali, 3 in più rispetto ai lavoratori più anziani, e il tasso di povertà è aumentato tra i giovani mentre è sceso per i pensionati. Tre sono i fattori strutturali attraverso cui il sistema europeo ha spinto la divaricazione tra le generazioni: la- voro, spesa pubblica e pensioni. Nei periodi di recessione i giovani perdono il lavoro molto più facilmente, in parte perché hanno meno esperienza, ma soprattutto perché hanno contratti temporanei e rappresentano quindi i costi più facili da tagliare. In questo senso il dualismo del mercato del lavoro che tutela fortemente gli insider e lascia senza garanzie gli outsider, non fa altro che scaricare i costi della contrazione occupazionale sugli ultimi arrivati. Il se- condo punto riguarda la composizione della spesa pubblica. Durante una normale crisi finanziaria gli stati possono intervenire per estendere le garanzie di welfare ai giovani, ma non lo hanno potuto fare durante una crisi dei debiti sovrani in cui la preoccupazione principale è mettere a posto i bilanci. Il problema è che il consolidamento fiscale è avvenuto spostando le risorse dai giovani agli anziani: i dati sulla composizione della spesa pubblica dicono che dal 2008 al 2013 c’è stata una riduzione delle risorse per salute (meno 0,2 per cento), istruzione (meno 0,4) e famiglie (meno 0,2) mentre sono au- ➔ 135 136 mentate quelle per gli anziani (più 2,1), “i pensionati sono stati i principali beneficiari degli aggiustamenti fiscali, per loro la spesa è aumentata in tutti i paesi europei”. C’è poi da ag- giungere che durante la crisi molti paesi hanno riformato il sistema pensionistico per garan- tirne la sostenibilità, ma il peso delle riforme non è stato suddiviso in parti uguali: in tutti i paesi sono stati avvantaggiati gli attuali pensionati a scapito di quelli futuri. C’è solo un’ec- cezione, l’Italia, che grazie alla riforma Fornero ha migliorato le prospettive pensionistiche dei giovani. E non è un caso che sia la riforma più contestata degli ultimi anni. La vecchia Europa dovrà affrontare il futuro con una pesante eredità, un ambiente sempre più ostile per i giovani. (Luciano Capone, Spesa pubblica, pensioni e lavoro. Le tendenze che in Europa mettono nell’angolo gli under 35. Il Foglio, 13 Gennaio 2016 http://www.ilfoglio.it/economia/2016/01/13/rottamagiovani___1-v-136940- rubriche_c137.htm) La forbice intergenerazionale è causata da fattori economici, ma questi sono a loro volta l’esito di tendenze culturali che ingenerano una decadenza precoce dei giovani che si consuma entro un’esistenza agitata da passioni vaghe, come indicato da Chateaubriand: la vaghezza delle passioni «Resta da parlare di uno stato dell’anima che, ci sembra, non è ancora stato osservato molto bene; è quelle che precede lo sviluppo delle passioni, quando le nostre facoltà, giovani, attive, intatte ma contenute, si sono esercitate solo su se stesse, senza scopo né oggetto. Più i popoli avanzano in civiltà, più questo stato della vaghezza delle passioni (vague des passions) aumenta, perché capita allora una cosa molto triste: il gran numero di esempi che si ha sotto gli occhi, la grande quantità di libri che trattano dell’uomo e dei suoi sentimenti rendono abili senza esperienza [...], l’im- maginazione è ricca, abbondante e meravigliosa; l’esistenza povera, secca e disin- cantata. Si abita, con un cuore pieno, un mondo vuoto». La gioventù per la prima volta si trova di fronte ad una quantità di immagini che saturano la sua immaginazione; alla disponibilità desiderante propria dell’età si ag- giunge dunque la perplessità indotta dall’inflazione dei riferimenti. Cuore deside- rante e vuoto, immaginazione soffocata dalla moltitudine delle immagini, perples- sità, l’effetto di tutto ciò e la paralisi, o piuttosto un’energia rivolta contro se stessa: «il cuore si rivolta e si ripiega in cento modi per impiegare delle forze che sente es- sergli inutili». [...] «Le passioni, senza oggetto, si consumano da sole in un cuore solitario». (René de Chateaubriand 2008, 497-499) Il cuore desiderante si perde in un universo generalmente vuoto di riferimenti e gra- vido di immagini negative circa i reali moventi delle persone ed il tipo di passioni che le agitano. In tal modo essi presentano un’immaginazione eccessivamente affollata ed in- flazionata di suggestioni, ma decisamente perplessa circa il giudizio e la direzione del proprio desiderio. Si pongono quindi in uno stato che possiamo definire di incertezza esistenziale prossimo alla paralisi del sentire, del desiderare, del volere. Del decidersi. Le loro energie sono perlopiù senza oggetto, o meglio si rivolgono esageratamente ad un uni- co oggetto: se stessi, ma in un modo infecondo, come in una sorta di prigione psichica in cui le proprie energie sono continuamente sollecitate in azioni senza sbocco, vane. Essi manifestano un io limitato, incerto, perplesso ed una sorta di inabilità a decidersi, a muoversi con decisione verso uno scopo. Di fronte alla grande distrazione ed allo scetticismo che segnano il nostro tempo, occorre scegliere tra vivere senza lavorare o lavorare per essere vivi. Se è vero che il lavoro è una componente fondamentale dell’esistenza, la sua mancanza rende la per- sona umana incompleta. Guardando soprattutto alla condizione dei giovani, si può sostenere a ragione che, a differenza del passato, il non lavorare rappresenta l’o- dierna forma di schiavitù. La mancanza di lavoro non consente di scoprire se stessi, di avere l’opportunità di mettere in gioco le proprie capacità e risorse in una relazione positiva con gli altri, di essere riconosciuti da loro in quanto capaci di dono. Il non lavoro, lungi dall’essere una condizione di libertà, lascia l’essere umano in uno stato di potenzialità mai tradotto in atto, una promessa che non cerca mai il riscontro della realtà. Il lavoro significativo, ricco di professionalità, assume qui un valore speciale poiché propone un’azione rivelativa delle prerogative umane, diviene in un certo qual modo una proposta di vita buona in grado di fondare legami di reciprocità e di ap- portare significati compiuti. Azione: relazioni e significati «L’azione produce storie... Pensare, agire, voler giudicare, amare, creare...sono le sfaccetta- ture, le pluralità, sono i pezzi del puzzle della condizione umana. Non vi è unicità nell’universo, ma pluralità, in quanto molti sono gli esseri e le sensazioni che vi abitano. L’interazione rende possibile l’agire umano, l’identità stessa dipende dal ri- conoscimento degli altri. Agire non solo verso ma tra i molti, in una rete di relazioni tra gli individui. La condizione umana è azione: Hannah Arendt fa riferimento a tre condizioni fondamentali: attività lavorativa, operare e agire. L’essere umano nel mondo: l’azione mette in rapporto di- retto gli individui nelle loro pluralità nell’universo. Il mondo stesso necessita delle mani del- l’uomo che lo produce, prendendosene cura, organizzando, coltivando, attraverso il lavoro di ogni individuo volto al mantenimento della salute dell’uomo e della terra che lo ospita. Con la parola, con l’agire ci inseriamo nel mondo umano, discorso e azione sono i pilastri at- traverso cui gli uomini si distinguono, sono le modalità in cui gli esseri umani appaiono gli uni agli altri non come oggetti ma in quanto uomini, nella loro unicità e identità personale. Inter-est-infra è la relazione tra gli individui, è l’intreccio delle relazioni umane. Azione e discorso sono circoscritte nell’intreccio e nelle parole delle persone con cui si è in costante contatto. L’azione, indipendentemente dal suo contesto specifico, stabilisce sempre delle relazioni. L’azione he sempre una direzione e si risolve nel fine ultimo del fatto. L’azione, come il dis- corso, crea uno spazio che trova la sua collocazione in ogni tempo e luogo, spazio in cui ap- paio agli altri come gli altri appaiono a me. ➔ 137 138 Agire porta inevitabilmente a delle conseguenze, attese o non attese; l’azione ha un’enorme capacità di durata e trae la sua forza dall’ irreversibilità e dall’imprevedibilità. L’individuo è consapevole che agendo diventa colpevole delle conseguenze anche se non le aveva previste o inteso provocare. Attraverso l’azione e il discorso, che producono storie significative, l’uomo può essere liberato dalla mancanza di significati: svalutazione di tutti i valori e impossibilità di trovare criteri validi in un mondo determinato dalle categorie di mezzi e fini. È necessario che vi sia un si- gnificato nella vita umana». (Elisa Negro – Il senso della vita – http://www.paedagogica.org/doc/negro_def.pdf) 139 Capitolo terzo Il lavoro buono nell’epoca del risveglio Il lavoro allontana da noi tre grandi mali: la noia, il vizio e il bisogno. Voltaire (2007, 189) l’epoca del risveglio Sul finire della modernità, ci ritroviamo in una posizione di forte inquietudine e spaesamento. L’essere umano è come paralizzato da due laceranti tensioni che ta- gliano trasversalmente la sua esistenza, il modo in cui intende il suo io ed il legame che instaura con il mondo. La prima di queste riguarda il rapporto tra l’uomo e l’opera delle sue mani, la straordinaria potenza tecnica che ha saputo creare; di questa egli si inorgoglisce e ne fa largo uso, ma nel contempo avverte in essa una minaccia di distruzione dei fattori che erano alla base del progresso che pure l’ha prodotta. Superare la rottura della modernità «Siamo minacciati non da una mancanza di progresso tecnico, ma dal suo surplus, da un ec- cesso di sviluppo. Nella modernità avanzata la produzione sociale di ricchezza va di pari passo con la produzione sociale di rischio. [...] L’idea di fondo è che lo sviluppo storico della modernità abbia reso distruttivo ciò che alla sua origine era stato positivo e costruttivo. La modernità si de-costruisce nel momento in cui porta alle estreme conseguenze quegli stessi processi che, per una lunga fase storica, l’avevano costruita. Se il bisogno di ricomposizione razionale rientra ancora nel disegno lineare della prima modernità, il riferimento alla con- temporaneità storica richiama l’idea della rottura, ottenuta non attraverso la negazione dei propri principi funzionali ma in forza della loro radicalizzazione: il rovesciamento di tutti i valori della modernità industriale trasforma in minaccia mortale la precedente promessa». (Marco Revelli 2007, 154) Non è difficile cogliere dietro queste parole l’influsso della “profezia” di Hans Jonas e la sua “euristica della paura”: l’uomo moderno dubita della positività degli effetti delle sue opere e si chiede quali siano i riferimenti etici favorevoli alla conservazione della vita, che evitino che la successione delle tappe della civiltà sia fondata solo sulle possi- bilità realizzative delle tecniche. Egli si è spinto tanto avanti in un territorio sconosciuto, dove è richiesto di assumere decisioni in base non all’Hybris della potenza, ma alla simpatia richiesta nei confronti di ogni vita minacciata, riassumibile nella domanda: che cosa capiterà a quell’essere, se io non mi prendo cura di lui? 140 Il tema del rapporto dell’uomo con la tecnica non riguarda soltanto la minaccia nei confronti della natura esterna all’uomo, ma anche di quella naturalità di cui egli stesso è costituito. Emerge pertanto una seconda tensione, quella tra la ricerca di au- tenticità e la “grande distrazione”, quel modo di vita che dissipa le facoltà umane entro una miriade di operazioni senza scopo, incapaci di stabilire relazioni stabili e generative tra le persone e quindi di apportare un valore autentico al vivere comune. Quello della fine della modernità è un tempo in cui vengono prodotti beni e modi di vita in cui i singoli individui, nel rinchiudersi in se stessi per sfuggire alla minaccia insita nel legame con gli altri, finiscono per ritrovarsi terribilmente soli, incapaci di dire il proprio nome, e quindi di giustificare appieno la propria esistenza. Così in- ventano oggetti e pose cercando di assecondare ciò che detta la moda del momento, e tutto questo per compiacere agli altri, per trovare un riconoscimento, per poter af- fermare se stessi per mezzo del giudizio degli altri. Strano tipo di città, quella presente, popolata da individui che prediligono il dia- logo con se stessi per paura di essere menomati nella propria intima libertà. E che provando noia e tedio ed insieme senso del vuoto, finiscono per mettersi sull’uscio, non visti, ad osservare gli altri per carpire ciò che fanno, con quali vestiti si abbigliano, quali oggetti portano con sé, come si atteggiano, quali espressioni usano. Affinché, al fine di ottenere quella promessa di felicità insita nell’essere “in”, glamour, “di suc- cesso”, l’essere sulla bocca degli altri, tenuti vivi dalla ripetizione del proprio nome nel parlare comune, di ciò che gli altri più propongono, essi possano sentire final- mente di esistere, per sentirsi vivi. È il paradosso del borghese segnalato da Allan Bloom: quando è con gli altri pensa a sé, quando è da solo pensa agli altri: «Il borghese è colui che nei suoi rapporti con gli altri non pensa che a se stesso, e nei suoi rapporti con se stesso non pensa che agli altri; il borghese vive combattuto nella via di mezzo»1, dove l’ossessione del pa- ragone io-altri, l’amour-propre senza consolazione, diviene la nuova forma dell’in- vidia. C’è nel dominio dell’immagine, nell’industria dell’apparenza, una pretesa di as- soluto, la presunzione di poter afferrare la vita e dominarla, di modellare il mondo, di edificare un uomo nuovo. Ma il difetto sta nella dissipazione, nel senso del vuoto estenuato. Il circolo della vanità, che si alimenta della contraddizione insanabile tra la spinta a rinchiudersi al mondo entro la propria sfera ed il desiderio esagerato di compiacere agli altri assumendo una disposizione in grado di farci apprezzare dagli altri, è costi- tuito da un tipo nuovo di lavori, che possiamo chiamare i mestieri dell’effimero. Sono le molteplici attività di coloro che si dedicano all’elaborare i canoni della moda che si è introdotta fino nello spazio intimo dell’individuo, là dove egli, a causa della po- vertà culturale ed alla mancanza di coraggio, di un io coraggioso, non è in grado di 1 Citato da Manent, 2014, p. 116. 141 esprimersi in modo autentico, indifferente alle opinioni degli altri, finisce per adottare esattamente ciò che gli viene suggerito. Ci sono i designer che oggi dominano dappertutto e con la loro saccenza hanno spodestato i tecnici resi deboli dall’essere semplicemente competenti; ci sono i rea- lizzatori di oggetti, ma soprattutto di immagini. Ci sono i cercatori di stili eccentrici o perlomeno di accostamenti improbabili. Ci sono i comunicatori, vere e proprie ve- stali del circolo della vanità, forti della loro inabilità ad esprimere contenuti, ma bra- vissimi nel trovare i giusti toni allusivi, così da lasciar credere che abbiano davvero pensieri personali, profondi. Ci sono i personaggi della moda e dello spettacolo, com- presi gli elfici indossatori, persone dalla doppia vita, a meglio dominate dalla vita pubblica mentre quella personale si dissolve per mancanza di tempo e di spazio. Ci sono i venditori, maestri nella difficile arte di far credere al cliente di essere l’unico individuo ad indossare quel capo di abbigliamento e di poter così acquisire la stima di tutti. Ma ci sono anche veri lavoratori, gente concreta che, pur vivendo nel mondo della vanità, coltivano pensieri reali, passioni umane, affetti contenuti. C’è vita anche nel mondo dell’effimero, della finzione dell’esistenza. Le due tensioni tra potenza e smarrimento, vitalità e dissipazione, segnalano una posizione di sospensione delle dinamiche della civiltà, una sorta di paralisi agitata tipica dello spirito del tempo che stiamo vivendo. È una condizione che Walter Ben- jamin assimila a quella del sogno e che necessita di un risveglio, una brusca provo- cazione che ci liberi dallo stato onirico in cui siamo caduti e produca un distacco au- tentico dal passato. Egli sostiene che le figure del sogno sono prodotti del passato che non derivano da premesse o principi di ordine universale, ma dalla sublimazione mitica delle im- magini che il tempo trascorso ha proiettato sul futuro, e che vorrebbe fissarle nell’in- conscio collettivo come archetipi del tempo a venire. Questo mondo immaginifico finisce per sovrapporsi e sostituire l’ordine del reale esistente, quello che apparirebbe al risveglio. Il sogno vissuto come realtà è l’atteggiamento che dà origine alla “distrazione”, quel modo di porsi nei confronti del mondo tipico della società decadente, incapace di scuotersi e quindi impelagata nelle sue fantasie. Ciò presenta due caratteri, ambe- due di origine intellettuale: le teorie e la moda. Le teorie sono rappresentazioni “costruite” concettualmente con le quali si cerca di rendere credibile e quindi convincente una certa visione sul mondo. L’intellettuale “sognante” cerca di carpire nelle vicende del tempo i segni premonitori della deca- denza, ma non si accorge di essere preda di un errore ottico, quello che accade quando un’immagine del passato viene estenuata oltre la sua epoca. Egli è perennemente in- tento ad un’operazione concettuale tesa a decifrare i segni che annunciano il declino della storia e produce “vacui filosofemi e l’idea del “sempreuguale”. La moda consiste nel sedurre il consumatore per mezzo di materiali che prescin- dono dalla ragione, operando sulle forme estetiche e sulle emozioni, e che cercano di 142 convincere ad aderire ad un certo comportamento in quanto conforme ad una promessa di felicità o perlomeno di vita autentica. Essa ricorre al surrealismo, alla filosofia del- l’ebbrezza, allo choc metropolitano, ma costruisce solo sogni arcaici, rituali mitici, in- troduce il consumatore entro territori che in realtà non esistono, nei quali cresce solo la follia da cui occorre essere bonificati attraverso l’“ultraebbrezza” della ragione. L’immagine del sogno ed il mondo della veglia non hanno nulla in comune, sono separati da un movimento che richiede il mettersi in piedi del soggetto deciso ad af- frontare la realtà mobilitando tutte le prerogative umane. Il passaggio dallo stato del sogno a quello del risveglio non avviene per riflessione, ma istantaneamente, come quando ci si sveglia davvero. Sono due stati di coscienza separati da un passaggio fulmineo che coincide con il mettersi all’opera, vivere la pro- pria giornata mobilitando tutte le facoltà dell’uomo. Il tempo del risveglio viene vissuto in modo idoneo da persone attive, razionali, che non cedono al vaniloquio delle im- magini oniriche, ma guardano alla realtà con un’empatia ed un’intuizione cercando di coglierne il significato tenendo nel giusto conto tutte le sue dimensioni. In ciò consiste il risveglio: scuotersi dal sogno e vivere in piena chiarezza e libertà intellettuale il presente, trovando col passato legami non mitici né estetici, ma razio- nali, per svelare il senso dell’epoca che si sta vivendo e cogliere le reali dinamiche della storia. Il tempo presente è quell’adesso, nel quale sono disseminate ed incluse schegge del tempo messianico. La conoscenza consiste quindi nella possibilità dell’uomo ri- svegliato di afferrare la sua esistenza, mosso dalle forze che costituiscono l’amore della vita, il punto di incontro con coloro che ci hanno preceduto: «Il passato reca con sé un indice segreto che lo rinvia alla redenzione. Non sfiora forse anche noi un soffio del- l’aria che spirava attorno a quelli prima di noi? Non c’è, nelle voci cui prestiamo ascol- to, un’eco di voci ora mute? ... Se è così, allora esiste un appuntamento misterioso tra le generazioni che sono state e la nostra. Allora noi siamo stati attesi sulla terra. Allora a noi, come ad ogni generazione che fu prima di noi, è stata consegnata una ‘debole’ forza messianica, a cui il passato ha diritto» (Benjamin 1997, 23). Benjamin ci mette in guardia da una lettura meramente materiale dell’opera uma- na: se nello stato onirico l’uomo si distoglie dalle esigenze della vita rievocando le arcaiche visioni del cosmo, nella veglia egli avverte di essere stato atteso sulla terra, di possedere anch’egli una scheggia dell’esperienza messianica, mobilita le forze dell’innovazione che confermano l’indistruttibilità della vita. È qui che possiamo identificare il “lavoro della civiltà”: scuotersi dal sogno, porsi in azione al servizio delle forze della vita, richiamare il passato per edificare in forma nuova il futuro. In tal modo il soggetto umano entra in rapporto vivo con la propria origine ed il proprio compimento, tramite le tre tappe del risveglio: lo scuo- timento dal sogno tramite il risveglio, il riconoscimento del legame vitale con la tra- dizione e l’innovazione apportando al mondo l’originalità insita nel proprio nome. Il risveglio indica un tipo di vita cui attribuire valore, che occorre imitare, che meriti la nostra lealtà. 143 Quando agisce in vista di uno scopo meritevole, l’uomo si rivela e riesce a su- perare e a trascendere interessi contingenti e individuali. Ciò riguarda sia le opere dei grandi che hanno contribuito ad arricchire il patrimonio della civiltà, sia dei co- struttori e dei piccoli che hanno fornito il loro apporto originale all’opera della vita comune. Non basta l’azione ad esprimere in modo significativo la vita “umana”, oc- corre anche il discorso tramite cui essa viene narrata rendendola comprensibile e me- morabile, vale a dire meritevole di attenzione e di ricordo da parte degli altri. L’individuo, nel momento in cui si coinvolge entro un’azione significativa ed utile, dotata di valore per gli altri, e quando ne pone in luce il significato, si inse- risce pienamente nel mondo umano. Ciò equivale ad una “seconda nascita”, poiché consente di entrare, dopo la piccola comunità, nella comunità sociale più vasta, sulla spinta del desiderio di conferire la novità insita nel proprio nome come dono al vivere comune. «Agire, nel suo senso più generale, significa prendere un’iniziativa, iniziare (co- me indica la parola greca archein, ‘incominciare’, ‘condurre’ e anche ‘governare’), mettere in movimento qualcosa (che è il significato originale del latino agere). Poiché sono initium, nuovi venuti e iniziatori grazie alla nascita, gli uomini prendono l’iniziativa, sono pronti all’azione» (Arendt 1999, 128-129). Azione e discorso creano l’evento dell’identità umana, rendono possibile l’Io nel tempo: agire significa sia dare l’avvio, incominciare qualcosa, sia apportare un significato profondo all’esistenza che le permetta di superare la banalità del quotidiano e la ripetitività delle esigenze biologiche; parlare vuol dire rivelare il proprio Io distinguendosi dagli altri. Per gli intellettuali del secolo scorso era normale pensare che l’individuo, nel de- finire il suo posto nel mondo, fosse contrastato tra due opposti inconciliabili: la tensione tra necessità e libertà. Di contro, una corrente di studiosi dell’attuale società cerca di andare oltre tale contrapposizione fondamentalmente ideologica; tra questi spicca Ri- chard Sennett che ci propone una lettura interessante circa la scomparsa dell’uomo pub- blico: «Oggi, l’esperienza impersonale appare priva di significato, e la complessità della società una minaccia incontrollabile. Per contro, si attribuisce un’importanza enorme a tutte le esperienze che sembrano rivelare l’Io e che aiutano a definirlo, svilupparlo o cambiarlo. In un società intimista, tutti i fenomeni sociali a prescindere dalla loro strut- tura impersonale, vengono trasformati in problemi personali per acquisire significato» (Sennett 2006, 271). A prescindere dal giudizio di questo autore che concepisce il for- midabile processo di personalizzazione e di distinzione soggettiva in atto ad ogni livello della vita pubblica con una categoria dal contenuto negativo (“intimismo”), la sua analisi consente di comprendere che, dietro ad ogni esperienza socialmente rilevante che con- sente di rivelare l’Io e che contribuisce a definirlo, è possibile intravedere l’operosità umana di una varietà di persone che mettono a disposizione la propria intelligenza e la propria sensibilità nel lavoro di rinnovamento della vita sociale secondo i canoni della cultura corrente. Dentro questo movimento epocale vi sono certamente fenomeni posi- tivi come l’attenzione alle esigenze del cliente, il recupero delle tradizioni interpretate e rinnovate entro il nuovo contesto, ma anche nuovi pericoli di manipolazione e di 144 moltiplicazione artificiale dei bisogni agendo sul desiderio di autenticità e di accettabi- lità sociale. Tutto questo non è certamente nuovo, visto che da sempre il lavoro ha avuto una notevole influenza sulla vita personale e sociale; la novità di oggi è che, mentre i lavori routinari sono tendenzialmente consegnati ai sistemi automatici, le persone si occupano prevalentemente di questioni che possiedono rilevanza cognitiva e di relazione; inoltre, a differenza della società industriale dove vigeva un meccanismo sociale di massifica- zione e standardizzazione, oggi cresce il numero dei prodotti e dei servizi che possie- dono carattere di personalizzazione e di distinzione. Tutto ciò richiede uno stile di lavoro più collaborativo ed inoltre più prossimo ai destinatari. Si apre un nuovo spazio di so- cialità nel quale assumono rilevanza i tratti propri del mondo personale come pure dei corpi sociali che condividono valori significativi. Anthony Giddens ci consente di fare un passo avanti indicando la riflessività sociale come atteggiamento di fondo che dovrebbe caratterizzare il modo di porsi nel contesto contemporaneo; non si tratta di cancellare la tradizione, ma di reinventarla in modo da renderla viva nel presente: «Le tradizioni sono necessarie alla società…abbiamo bisogno delle tradizioni ed esse persisteranno sempre, perché danno continuità e forma alla vita» (Giddens 2000, 60). Da questa prospettiva egli trae un programma in sei punti. Oltre la destra e la sinistra 1. la ritessitura delle solidarietà spezzate, che richiede di rivalutare il ruolo dell’individuo, non alla maniera egoistica del neoliberismo, ma in relazione al potenziamento dell’autonomia delle scelte legata alla riflessività sociale. 2. Il riconoscimento della centralità della politica della vita, il cui obiettivo generale è aumentare l’autonomia di azione, dare spazio a come ciascun individuo debba decidere tra le molte op- zioni di cui dispone: la politica della vita non è solo la politica dell’ambito privato delle per- sone, ma investe l’intera società; la nozione di politica della vita è più ampia dei riferimenti di Beck perché include le questioni esistenziali della scelta, dell’identità e della reciprocità. 3. La concezione della politica in senso generativo, che attiene ai rapporti tra stato e mobi- litazione riflessiva delle persone: lo stato non può essere una ‘agenzia cibernetica’ ma neppure lo ‘stato minimo’. La politica generativa cerca di mettere gli individui e i gruppi nella condizione di far succedere le cose anziché di subirle. In fondo è una difesa dell’in- tervento pubblico, diversa dalla consueta contrapposizione stato/mercato, destinata a pas- sare da una tutela passiva della sicurezza materiale alla messa in opera delle condizioni economiche, istituzionali e culturali perché singoli e gruppi svolgano un ruolo attivo, di scelta e di partecipazione fondate sulla fiducia. 4. L’importanza della democrazia dialogica, dopo aver preso atto del distacco tra l’agenda dei politici e le necessità della società, si indica l’obiettivo di democratizzare la democrazia, nel senso di rendere trasparente il suo funzionamento e di aprire all’attività dei movimenti sociali e dei gruppi di selfhelp che ben esprimono la ‘riflessività sociale’. 5. La riprogettazione del welfare trasformandolo in welfare positivo, creando misure di ‘politiche della vita’ capaci di conciliare autonomia e responsabilità personali e collettive. 6 . Il problema e il ruolo della violenza negli affari umani, affrontato partendo dall’analisi del fondamentalismo e della democrazia dialogica e notando che né il pensiero socialista né il neoliberalismo hanno elaborato prospettive in merito. (Anthony Giddens 2011, 20-29) 145 Il centro della riflessione è posto sulla capacità dell’individuo di esercitare nel- l’azione una forza in grado di replicare positivamente alle sfide, un’urgenza di vita che alimenta lo spazio di autonomia di ciascun individuo. Alla fine della modernità, un’epoca iniziata con l’esaltazione della ragione, ma conclusa con il predominio sul- l’ambito di vita degli uomini di leggi necessarie ed indipendenti dalla volontà e dalla cultura, si delinea secondo questi autori la prospettiva di una socialità di tipo nuovo che riconsegna alle persone umane ed alle loro forme di socialità un valore premo- derno, e precisamente una casa comune, un luogo nel quale possano esercitare la propria discrezionalità d’azione capace di sollecitare una capacità trasformativa così da poter intervenire negli eventi per modificarne il corso. Entrare nel tempo del risveglio richiede lo scuotimento dalle visioni ineluttabili dei destini del cosmo e della civiltà, dai sogni di decadenza e di catastrofe imminen- te; è il tempo in cui i giovani si predispongono ad un appuntamento misterioso con le generazioni che sono state. Essi sono chiamati a vivere attivamente quell’adesso che costituisce il fattore prezioso della loro esistenza ed a scorgervi le schegge del tempo messianico, trovan- do il punto che dà origine alla vicenda della civiltà cui appartengono e che reca in sé, come in una promessa, il proprio destino. E di apportare alla comunità vivente la novità connessa al proprio nome. Attraverso il lavoro e l’impresa i giovani sono chiamati ad edificare lo spazio comune umano sapendo di trovare alleati in questa loro missione, perché accanto all’uomo disanimato e sognante, vi sono grandi esempi di persone sveglie ed attive, mosse da passioni ed idee feconde. I segni del risveglio della civiltà si possono riassumere nel neo-artigianato, nella visione attiva della conoscenza, nella bellezza, infine nell’impegno volto ad edificare uno spazio comune somigliante per chi vi abita. Il lavoro ben fatto: il ritorno dell’artigiano La figura lavorativa più rilevante delle città medievali, l’artigiano, nonostante la dimenticanza generale nell’epoca della modernità, riemerge sia sul piano dell’eco- nomia e dell’organizzazione del lavoro sia su quello simbolico e dell’anima protesa al perfezionamento. I segni del risveglio della civiltà sono presenti nel neo-artigianato, nell’impresa come comunità inserita nel territorio, nella ricerca scientifica e tecnologica a favore dell’uomo e nella cultura della sostenibilità. Sennett ha riproposto il tema in modo deciso, potendo avvalersi del supporto di un notevole apparato teorico. l’orgoglio di un lavoro ben fatto può valere più del salario Il vecchio capitalismo burocratico funzionava sul modello delle forze armate, con organiz- zazioni piramidali e gerarchie molto rigide. Dopo il 1968 il capitalismo è cambiato e le orga- nizzazioni si sono trasformate per diventare più fluide, più instabili, più a breve termine. Non era esattamente ciò che avevano auspicato coloro che manifestarono negli anni Sessanta, ma questo ne è stato in ogni caso l’ esito, che ha disinnescato una parte delle contestazioni, nello specifico a sinistra. Però questo nuovo capitalismo – come ha dimostrato la crisi – non pone meno problemi del modello precedente, contro il quale la mia generazione si era ribellata. Questo capitalismo fluido ha portato allo sviluppo di un modo di lavorare senza tener conto della qualità. La carriera è scomparsa, sostituita da una traiettoria evanescente, frammentaria, che rende difficile per i dipendenti definire con precisione la propria identità. Diventa oltre- tutto sempre più complicato descrivere la propria professione. La scomparsa del concetto di formazione a lungo termine e di sviluppo dei talenti ne è un ottimo esempio. Per comprenderlo è sufficiente osservare con attenzione la crisi dell’industria dell’automobile negli Stati uniti: si tratta di un settore nel quale gli operai hanno accumulato col passare degli anni grandi competenze. Ebbene: ci sono state moltissime discussioni politiche per comprendere in che modo salvare le aziende automobilistiche o a chi venderle, ma si è indagato pochissimo per capire in che modo utilizzare questi talenti, come valorizzare le competenze acquisite nelle altre sfere. L’idea dominante in rapporto agli operai è stata: tocca a loro togliersi dai pasticci, a costo di ripartire da zero. Il valore del lavoro in sé è scomparso, a vantaggio di un interesse esclusivo per ciò che quel lavoro può far guadagnare immediatamente. Per i lavoratori sti- pendiati, è estremamente destabilizzante, ma in definitiva lo è anche per le aziende stesse. Tutto ciò ha comportato rilevanti effetti psicologici. Coloro che hanno un posto di lavoro sono spesso messi di fronte a una perdita di significato, che conduce al disimpegno, al disin- vestimento. Per coloro che invece hanno perduto il posto di lavoro, le conseguenze sociali e personali sono tanto più importanti se nella costruzione della loro identità quel posto di lavoro così fragile è diventato ancora più centrale e cruciale rispetto a prima. Ho condotto uno studio sui lavoratori di Wall Street che hanno perso il proprio posto di lavoro durante la crisi: la loro autostima ne è uscita gravemente danneggiata, e questo provoca serie difficoltà, quali depressione e divorzi. Le persone coinvolte hanno l’ impressione di non essere state all’altezza, mentre di fatto sono state travolte da un evento ben più grande di loro. Molti cercano di consolarsi pensando che con la ripresa si potrà ripartire come prima. Questa ripresa, però, non creerà molti posti di lavoro e il disagio rischia di diventare permanente. Come uscire da questa situazione? Ovviamente ripristinare il vecchio capitalismo burocratico non è la soluzione giusta. La sfida consiste nell’arrivare a mettere in atto un sistema che permetta all’individuo di definirsi attraverso le proprie evoluzioni professionali, in una società nella quale le competenze hanno la tendenza a diventare obsolete assai rapidamente. Occorre aiu- tare l’individuo a ritrovare il rispetto di sé e degli altri, quel sentimento che è scomparso e che per altro le politiche pubbliche fondate sulla compassione e sull’ assistenza non sono ri- uscite a ristabilire. Ciò passa in particolare attraverso il riconoscimento del lavoro ben fatto. una delle soluzioni possibili potrebbe essere la riabilitazione del concetto di mestiere, sul principio dell’artigianato: valorizzare il significato del lavoro, piuttosto che la remunerazione che ci si può attendere da esso. Riabilitare il concetto di lavoro ben svolto per il semplice piacere di svolgerlo bene, indipendentemente dal concetto di performance o di retribuzione. Soltanto questo impegno disinteressato dà un significato alla vita. L’orgoglio per il lavoro eseguito permette inoltre di tessere all’ interno dell’ azienda dei rapporti sociali durevoli. E ciò è tanto più necessario se si considera che si lavora sempre più a lungo e si ha sempre meno tempo per allacciare rapporti disinteressati, dentro e fuori l’ambito lavorativo. Saper fare bene le cose per il proprio piacere: una regola di vita semplice e rigorosa che ha consentito ➔ 146 147 lo sviluppo di tecniche raffinatissime e la nascita della conoscenza scientifica moderna. Fab- bri, orafi, liutai univano conoscenza materiale e abilità manuale: mente e mano funzionavano rinforzandosi, l’una insegnava all’altra e viceversa. Ma non è il solo lavoro manuale a giovarsi della sinergia tra teoria e pratica. Perché chi sa governare se stesso e dosare autonomia e ri- spetto delle regole, sostiene Sennett, non solo saprà costruire un meraviglioso violino, un orologio dal meccanismo perfetto o un ponte capace di sfidare i millenni, ma sarà anche un cittadino giusto. L’uomo artigiano racconta di ingegneri romani e orafi rinascimentali, di ti- pografi parigini del Settecento e fabbriche della Londra industriale, un percorso storico at- traverso cui Sennett ricostruisce le linee di faglia che separano tecnica ed espressione, arte e artigianato, creazione e applicazione. Il miglior esempio di “saper fare” moderno? Il gruppo che ha creato Linux, gli artigiani della moderna cattedrale informatica. (Richard Sennett2) La proposta di Sennett è di notevole effetto perché rivela la grande dimenticanza che gran parte della cultura “alta” ha mostrato circa la qualità espressiva del lavoro, la possibilità di rivelare le qualità ed i talenti del facitore nel momento in cui si dedica ad esso con la stessa serietà ed il medesimo impegno rintracciabile nelle gilde me- dioevali. Per scoprire ciò, riportiamo un’intervista dove questo autore, senza assumere i panni del profeta, indica la piccola impresa e la formazione come elementi centrali di una ripresa della civiltà fondata sulla capacità di iniziativa delle “persone comuni”. Capacità, sostenibilità e formazione, ingredienti della nuova società È ora di ripartire da Efesto (o Vulcano), mitologico dio lavoratore, “orgoglioso del proprio lavoro, se non della propria persona”. Di rivalutarlo e prenderlo come modello, proprio adesso che la crisi finanziaria ha fatto piazza pulita dei business virtuali e dei top executive, divi, con le buonuscite drogate dalle stock option e i vestiti di buon taglio. È ora di restituire valore al lavoro fatto con le mani o con il cervello ma sempre con perizia artigianale, e di guardare al passato per ricostruire il nuovo su basi solide. Messaggio forte e controcorrente, quello di Richard Sennett, sociologo americano professore alla New York university e anche alla Lon- don School of Economics nonché consigliere di Barack Obama, che fu il primo a diagnosti- care i danni della flessibilità spinta e del “cattivo lavoro” con il suo saggio The corrosion of character. uscì in Italia con il titolo L’uomo flessibile negli Anni ‘90, proprio mentre Jeremy Rifkin prediceva la fine del lavoro e una nuova qualità della vita diffusa, dono delle tecnolo- gie. Adesso che le due grandi bolle della new economy e dei subprime hanno cambiato la prospettiva di 360 gradi, il professor Sennett è in libreria con un volume che si chiama L’uomo artigiano (The craftsman), sempre per i tipi Feltrinelli. È ovvio chiedergli se è contento di aver visto lontano, e visto giusto. Lui risponderà di no, ma che è importante, piuttosto, impa- rare dagli errori di ieri, e cominciare a prendere coscienza del tasso di artigianità che c’è anche in tante professioni moderne intellettuali, dal software, alla ricerca, alla medicina. Che bisogna “trascorrere più tempo con le persone che sanno fare le cose” e meno ad ascoltare i discorsi dei manager. E che la felicità è un obiettivo troppo elevato, che non fa parte di questo mondo. Tanto meno quello del lavoro. 2 http://it.scribd.com/doc/28709536/L-orgoglio-di-un-lavoro-ben-fatto-puo-valere-piu-del-salario. ➔ Professor Sennett, l’uomo artigiano del suo libro è colui che svolge bene il proprio mestiere, “a regola d’arte”, che ci mette un forte impegno personale ed è appagato da quello che fa. Oggi molti ruoli professionali richiedono abilità, skills, e un atteggiamento “artigianale”, imprenditivo. Ma la grande differenza tra i lavoratori autonomi e lavoratori dipendenti non è più tanto evidente sul piano delle tutele e della sicurezze, che ormai sono sempre meno an- che per i secondi. Lo spartiacque vero tra l’una e l’altra condizione è l’essere padrone del proprio lavoro, amarlo e trarne soddisfazione, ogni giorno. Cosa sempre più difficile nelle organizzazioni, però, soprattutto in tempi di recessione … L’errore che il sistema economico sta pagando è l’essersi basato su una visione a breve termine e sul modello della flessibilità organizzativa, dell’instabilità e della velocità per adeguarsi ai cambiamenti. È stato così anche nella gestione del capitale umano. Non si è investito sulla conoscenza e i lavoratori, in questi anni, hanno potuto acquisire solo una esperienza incom- pleta, lavorando in imprese frammentate e instabili. Nel mio libro “L’uomo artigiano” evi- denzio la differenza che c’è tra chi sa fare una cosa, si accontenta di saperla fare e basta, e colui che invece è dotato dell’abilità artigianale che lo spinge a un continuo miglioramento. Oggi, nelle grandi organizzazioni questa visione non trova spazio. Le aziende non la inco- raggiano. Al contrario, se serve una competenza che manca all’interno, anziché far crescere le persone in organico la si va a cercare fuori, reclutando qualcuno che possibilmente costi anche meno. Magari in Cina. Essere artigiano, qualunque lavoro si faccia, vuol dire pensare a quanto puoi crescere migliorando le tue abilità, ed avere tutto il tempo che serve per riuscirci. Questo non dipende solo dalla motivazione, che è importante ma non sufficiente, ma dal con- testo organizzativo, che deve essere favorevole e valorizzare le persone, investendo su di loro a lungo termine. Invece nelle aziende il focus è brevissimo. Il modello artigiano del passato ci insegna una cosa importante: il senso del tempo. Per diventare maestri ai tempi antichi ci volevano anni. Ma possiamo permettercelo? Le tecnologie hanno polverizzato il tempo e la velocità del mer- cato impone i ritmi anche all’innovazione? Non è vero: guardiamo al caso di Apple. Ai suoi inizi, era considerata una organizzazione lenta in confronto a Microsoft, e in più occupava in maggioranza manodopera stabile. A lungo termine, si è dimostrata quella in grado di sopravvivere meglio tra le due. un altro elemento importante per imparare è la collaborazione : la formazione non è un’attività isolata, richiede condivisione delle conoscenze, scambio di critiche reciproche, controllo continuo dei pro- gressi. Nei valori aziendali correnti, invece, la cooperazione viene vista come un retaggio del passato. Sì, è vero, tempo e cooperazione sono valori tradizionali ma alla lunga producono risultati, soprattutto se l’obiettivo che ci diamo è la produzione di beni e servizi di qualità, che non si costruiscono con la fretta, ma basandosi sulla crescita delle competenze. Allora la bottega di oggi qual è? È la piccola impresa, che per questo va sostenuta come modello e va messa nelle condizioni di investire sulle persone. Oggi serve più la crescita che la flessibilità. La felicità nel lavoro è un traguardo fuori portata per i singoli nella situazione economica attuale? La felicità non lo so. Preferisco parlare di motivazione, che credo nasca dal rispetto e, negli individui, dalla consapevolezza del valore del proprio lavoro. Le persone che sono orientate a sviluppare le proprie capacità anche quando perdono il posto sono più sicure, forti della propria autostima e questo è un vantaggio in un momento di minori protezioni e di scarsa mobilità sociale. Spesso questi lavoratori si rendono conto delle proprie abilità proprio nel momento in cui si trovano disoccupati e non possono più esercitarle e vivono questa mancanza come una ferita. ➔ 148 149 Quanto conta l’età dell’“uomo artigiano”? È irrilevante. In mestieri come quelli della tecnologia si può essere maestri già a vent’anni, e in ambienti come la ricerca o la medicina invece conta molto avere una coscienza del valore etico e sociale del proprio lavoro che non si accumula come la conoscenza. L’artigiano è uomo o donna? Anche questo è irrilevante. È più importante il talento o la tecnica? La tecnica. L’idea che pochi eletti siano dotati di eccellenza e che vadano ricercati e coltivati esclude la maggior parte delle persone che lavorano e questo è un terribile spreco di risorse umane. I geni non mi hanno mai interessato. La creatività o la tecnica? Ancora la tecnica. Barack Obama dà molta importanza al capitale umano, alla conoscenza. Lei come vede gli anni a venire per il lavoro negli Stati Uniti? La mia speranza è in un futuro migliore, ma il mio non è un giudizio obiettivo, perché sono un consigliere del futuro presidente. Credo ci vorranno anni per riparare al danno profondo subito dall’economia usa. In Europa pensate che Obama abbia una specie di bacchetta ma- gica, io almeno di una cosa sono certo: l’era dell’incompetenza è finita e ce ne accorgeremo subito. Cosa mi piace di lui? Che è realista, diversamente da Bush. Rifkin profetizzava la fine del lavoro che avrebbe migliorato la nostra qualità della vita. Lei ha previsto un aumento dell’incertezza e le conseguenze negative dell’instabilità lavorativa anche a livello sociale. Aveva ragione lei… Non sono contento di vedere che il sistema di cui evidenziavo l’inadeguatezza è collassato, sono più interessato al modo di riscostruirlo su basi più solide a partire dalle capacità, dalla sostenibilità e da una formazione che fornisca competenze a un numero vasto di individui, valorizzando anche le persone comuni. (Richard Sennett3) Quello espresso da Sennett è un buon punto di partenza per cogliere tutte le varie dimensioni del lavoro e le prerogative della persona umana che eccedono le prescri- zioni di ruolo e le rappresentazioni centrate sull’ineluttabilità della decadenza del- l’Occidente. Stefano Micelli compie un ulteriore passo avanti, proponendo una sorta di ma- nifesto del ritorno dell’artigianato nel mondo del lavoro. futuro artigiano Perché hai iniziato a occuparti di creatività ed in seguito di artigianato? Il tema della creatività è un tema di ricerca classico degli ultimi dieci anni. Dall’inizio degli anni 2000 io e buona parte della mia comunità ci siamo posti in maniera nuova nei confronti dell’innovazione, che non poteva più solo essere ricerca tecnologica. 3 http://job24.ilsole24ore.com/news/Articoli/2009/gennaio/sennet-apre-14012008.php?uuid=7c02ae78- e199-11dd-8573-891a1fb2d03c&DocRulesView=Libero ➔ L’enfasi sul lavoro artigiano nasce da una nuova consapevolezza che fare e pensare devono essere saldamente uniti tra di loro. Noi a lungo abbiamo pensato che tutta l’economia della conoscenza fosse economia dell’immateriale come se l’innovazione e la creatività fossero una dimensione del pensiero. Oggi ci rendiamo sempre più conto che per essere creativi e in- novativi bisogna fare le cose. Fare è un modo per pensare. Questa scoperta è arrivata tramite un percorso induttivo: ragionando per anni con persone creative e all’avanguardia, ci siamo resi conto che questo legame è intimo: solo chi fa le cose riesce ad impadronirsene e a svilupparne delle altre. Le aziende italiane più innovative e competitive, in particolare nel settore del Made in Italy, sono realtà in cui, oltre ovviamente a una capacità gestionale e organizzativa propria a tutte le aziende, c’è un enzima, un elemento di caratterizzazione che è la dimensione del fare come spazio dell’immaginazione e della creazione. È una caratteristica molto italiana, in particolare nei settori della moda e del design. Mi sembra molto affascinante questa dimensione, di cui avevi già parlato in passato, di azien- de che stanno a cavallo fra lavoro artigianale e produzione seriale. In Italia la parola artigiano ha un che di polveroso; ciò dipende da due equivoci: il primo è che il lavoro artigiano sia ambito esclusivo della piccola impresa. In realtà oggi Patrick Tho- mas di Hermès dichiara tranquillamente che la sua è un’impresa artigiana, che fa del lavoro artigiano e dell’artigianato un pilastro delle sue politiche, ed è un’azienda che fattura tre mi- liardi di euro all’anno. Da noi invece il lavoro artigiano è legato ad un’idea del passato, e questa è un mito da sfatare. C’è molto lavoro artigiano nelle piccole imprese, ma anche nella media e grande impresa. C’è molto lavoro artigiano nelle aziende del lusso, come Gucci, ce n’è nel settore della mec- canica, delle macchine utensili, perché tutto il tema della personalizzazione passa attraverso un processo che è tutto tranne che catena di montaggio; c’è nel fashion, c’è tantissima varietà nel design, che produce principalmente serie limitate, eccezion fatta per alcuni pezzi partico- larmente riusciti e di successo. Il secondo equivoco su cui bisogna lavorare è che artigianato e industria siano in contrappo- sizione tra loro. Questa però è una visione non più realistica, perché oggi per fare l’artigiano hai bisogno del- l’industria e per fare industria di qualità hai bisogno dell’artigiano, sono ingredienti diversi che si compongono in modi molto originali. Tutti più o meno sono in grado di organizzare attività industriali nel mondo, pochi sono in grado di dare un senso alla quota artigianale che di fatto abbiamo solo noi in Italia. Sgombrando il campo da questi due equivoci, si inizia immediatamente ad osservare l’evo- luzione del Made in Italy e le sue potenzialità in maniera diversa. Si guarda a tante nostre grandi imprese con un approccio nuovo e ci si accorge di quali sono i settori in cui eccelliamo. Questo vantaggio competitivo è spesso legato ad un’idea di lavoro molto originale e tipica del nostro paese. Inoltre, ci si rende conto che spesso i due elementi del lavoro artigianale e industriale convivono all’interno della stessa azienda. Per esempio la Scic, un’azienda di Parma che produce cucine industriali e lavora nel settore del contract, ha vinto un appalto per l’arredamento della Sapphire Tower di Istanbul, realiz- zando 198 cucine diverse. Solo gli italiani fanno queste cose! Ovviamente c’è una base indu- striale, perché la componentistica è seriale, però poi si riescono a realizzare variazioni e per- sonalizzazioni altissime. Io credo che gli italiani vengano apprezzati per questo, perché siamo in grado di fare questo tipo di cose. Per riuscire a farle in modo economicamente vantaggioso devi avere un modello di questo tipo, ibrido. Il vero vantaggio competitivo italiano è un modello che unisce una percentuale industriale a una capacità di personalizzazione. Non posso fare a meno di pensare a due cose lette nella biografia di Steve Jobs scritta da ➔ 150 151 Walter Isaacson: la prima è che Jobs e i suoi collaboratori, nei primi anni di vita di Apple, studiavano il design italiano delle auto di Giugiaro e dei computer di Olivetti. La seconda che il padre di Steve Jobs per hobby comprava, riparava e rivendeva vecchie auto e gli aveva insegnato che bisogna realizzare bene anche il lato nascosto di un oggetto. Un’attenzione artigianale citata anche recentemente da Jonathan Ive in occasione della sua nomina a Knight Commander of the British Empire. Apple esplicita una concezione artigianale nello sviluppo del prodotto, anche se appena rea- lizzato il prototipo lo produce serialmente in Cina. L’ossessione di Ive per la qualità del prodotto e il fatto che lui e i suoi assistenti si chiudano in un laboratorio ricordano la bottega artigianale. Apple è alla fine un bell’ibrido: la storia di Steve Jobs e di Jonathan Ive (figlio di un abile ar- gentiere) parla di un’artigianalità che non parte mai da slides e analisi di mercato, ma dall’idea di realizzare qualcosa di perfetto. un approccio che ricorda molto la moda italiana, o la storia di Enzo Ferrari. Qualche cenno sul libro Futuro Artigiano? Futuro Artigiano analizza una letteratura e un contesto, quello americano, che per la prima volta ha rapidamente cambiato direzione. La discussione che noi stiamo facendo adesso non è qualcosa di localistico, è in realtà il portato di grandi trasformazioni che stanno avvenendo negli Stati uniti, in Francia nel mondo del lusso, in Olanda nel design. L’Europa e gli Stati uniti, ma anche l’Asia, stanno riscoprendo una nuova idea di lavoro, come emerge dal dibat- tito sulla crisi. Noi italiani siamo un po’ come il pesce che non si rende conto di nuotare nel- l’acqua; abbiamo più difficoltà a mettere a fuoco il tesoro su cui siamo seduti perché siamo vittime di un dibattito molto ideologico sulla dimensione d’impresa. La seconda parte del libro prova a ragionare su cosa si può fare per allargare e valorizzare un patrimonio che è anche culturale oltre che economico. Ci sono dei percorsi che vengono trat- teggiati e che oggi mi sembrano praticabili in particolare da imprese di dimensioni più piccole che oggi desiderino aprirsi ad un percorso più internazionale. In Italia abbiamo legato molto quest’idea di lavoro artigiano a delle politiche di difesa. Il libro propone invece il lavoro ar- tigiano come momento propulsivo di una nuova stagione di internazionalizzazione. Il lavoro artigiano italiano inteso come asset inimitabile, quindi. Certo, se si riesce a tradurre l’unicità italiana in valore a scala globale. (Stefano Micelli 20114) Micelli fa riferimento ad un patrimonio di intelligenza che è proprio dell’arti- giano e che riflette il contesto in cui è inserito. Questa: «Non è orizzontale come quella del talento: è “verticale” perché tende a sviluppare una comprensione dei pro- blemi legata a uno specifico dominio di applicazione. È un’intelligenza che sfrutta il mondo circostante e che fa continuamente riferimento alla conoscenza sedimentata nel contesto di lavoro. L’abilità dell’artigiano, la maestria, dipende dalla sua capacità di instaurare una particolare intimità con i suoi strumenti e dalla sua sensibilità nel cogliere le minime differenze della materia con cui è chiamato a confrontarsi». 4 Futuro artigiano. Un’intervista a Stefano Micelli, http://www.veneziadavivere.com/en/changing- city/futuro-artigiano-intervista-stefano-micelli. 152 I nuovi artigiani sono gli innovatori, ma anche i decoratori della città in cui vi- viamo. Sono le figure del nuovo umanesimo tecnologico, portatrici di una conoscenza che si fa opera. la conoscenza compiuta Il mondo dell’azione – che comprende l’economia ed il lavoro, oltre alla vita ci- vica – è stato considerato nel mondo antico un dominio inferiore a quello della filo- sofia e della politica, nel quale l’uomo esercita un’abilità tecnica (téchne) spinto dalla necessità ed orientato ad uno scopo preciso – soddisfare un bisogno, ottenere un gua- dagno – adottando una serie rigorosa di operazioni. Ma già i romani – come abbiamo visto – hanno nobilitato il lavoro artigianale come professione e non solo mera esecuzione di attività senza valore umano, lungo una linea che raggiungerà il punto massimo nel Rinascimento, epoca che esalta l’umanesimo civile fondato sull’ideale morale della vita attiva dove l’uomo libero e creativo mette in gioco i suoi talenti. A partire dal Seicento compare la tecnica intesa nel senso moderno, non più con- trapposta alla “vera” scienza, ma parte integrante di essa. Successivamente si è imposta una lettura ambivalente della tecnica vista sul lato ottimistico da illuministi e positivisti come lo strumento tramite cui gli scienziati, portatori del valore spirituale e morale della Ragione, prendono il predominio sulle forze irrazionali assumendo il ruolo di guida della società, e sul lato opposto dai ro- mantici e nichilisti che ne mettono invece in luce il carattere volgare e la mancanza dell’anima. Questa antinomia è aggravata dalla “crisi dei fondamenti” di fine Nove- cento dove il “conoscere” è fatto coincidere con il “fare” tecnico: nell’epoca del ni- chilismo attivo il compito dell’umanità è concepito come mero dominio sulle cose utilizzando le risorse della natura. E si colloca proprio in questo punto lo stallo – la paralisi – del nostro tempo. Quando il lavoro, inteso come “esercizio tecnico”, viene visto come mera ripe- tizione di attività rispondenti unicamente al principio di necessità oppure come pro- cesso di appropriazione del mondo, ad esso non si riconosce alcun valore culturale, ma è giudicato come causa di disumanizzazione; quando, invece, l’azione umana mira ad uno scopo di valore – l’espansione della civiltà, l’equilibrio sostenibile tra uomo e natura – ad essa vengono riconosciute qualità culturali e di “incremento d’anima”. La fine della “società meccanica” è l’attribuzione ai sistemi automatici del compito di svolgere le mansioni ripetitive, in presenza di un’espansione di attività lavorative che richiedono qualità artigiane ed artistiche oltre alle facoltà della rela- zione e del procurare valore. Così come la precedente rivoluzione tecnologica, anche quella attuale conferma che l’innovazione tecnica non porta alla marginalizzazione della componente umana, casomai avviene il contrario, ovvero l’ampliamento delle soft skill che indicano tre atteggiamenti fondamentali: la partecipazione, l’etica professionale e la consapevo- 153 lezza di sé, fattori che segnalano la capacità delle persone di porsi in modo adeguato di fronte al reale, di cooperare con gli altri, di essere attratti dalla sfida e di affrontare il rischio di una risposta generativa di valore. Il contenuto cognitivo del lavoro è aumentato in modo esponenziale ad ogni li- vello professionale: si pensi alla massiccia diffusione delle nuove tecnologie, alla lin- gua inglese, alle problematiche relative alla prevenzione dei rischi ed alla tutela della salute, come pure alla privacy. Oltre a ciò si consideri anche il mutamento organiz- zativo e la necessità di cooperare con figure lavorative connotate da culture peculiari, le grandi trasformazioni relative alla logistica ed al commercio. E non si tratta di mu- tamenti che si rivelano tutto d’un colpo, ma di linee di cambiamento che si alimentano continuamente nel corso del tempo. Le organizzazioni fluide richiedono alle persone, in maniera diffusa ed ai diversi livelli di responsabilità, di assumere una quantità di compiti che in precedenza erano centralizzati nei vertici o che risultano del tutto nuovi. I ruoli lavorativi sono carichi di decisioni e densi di imprevisti; ciò richiede a coloro che li esercitano una capacità cognitiva nuova assimilabile più alla figura del ricercatore che a quella dell’esecutore di ordini. Ad esempio, l’addetto alla pulizia in ambiente sanitario non è più regolato da un mansionario, bensì da una linea guida, lo strumento tipico di un contesto lavorativo complesso che richiede un coinvolgimento intellettivo del lavoratore. lInee guIdA pulIzIe e SAnIfICAzIOne neglI AMbIentI SAnItARI pReMeSSA Le pulizie e la sanificazione degli ambienti sanitari rivestono un ruolo importante non solo per il significato che assumono nell’ambito del confort alberghiero, ma soprattutto per le implicazioni di ordine igienico-sanitario che influiscono sulla qualità delle cure erogate e sull’efficienza ed efficacia dell’organizzazione dei servizi. Adeguate manovre di pulizia concorrono a diminuire la possibilità di diffusione dei microorganismi, quindi a limitare la propagazione delle infezioni e, di conseguenza, a migliorare la qualità della vita del paziente e degli operatori. SCOpO Definire regole che permettano agli operatori sanitari di applicare correttamente metodologie di lavoro che garantiscano il più alto livello igienico richiesto. defInIzIOnI Igiene ospedaliera: disciplina che contempla tutto quanto attiene al benessere fisico e psichico dei degenti, dei visitatori, del personale ospedaliero. Polvere: l’insieme delle particelle aventi una granulometria tale da non poter essere raccolte manualmente ma facilmente asportabili attraverso la scopatura, l’aspirazione o la spolveratura Pulizie degli ambienti sanitari: complesso di procedimenti ed operazioni che hanno lo scopo di rimuovere ed asportare rifiuti, polveri, sporco di qualsiasi natura dagli ambienti (superfici, suppellettili, arredi, macchinari, pavimenti...). Sono eseguite di norma con l’impiego di acqua con o senza detergente. Contaminazione: presenza di un agente infettivo su una superficie o su alimenti. Disinfezione: metodica capace di ridurre la contaminazione microbica su oggetti e superfici inanimate mediante l’applicazione di idonei agenti fisici o chimici. ➔ 154 Disinfettante: composto chimico che, in condizioni definite, è capace di distruggere tutti i microrganismi patogeni, ma non necessariamente tutte le forme microbiche (es. endospore batteriche), su oggetti inanimati. Sanificazione: metodica che si avvale dell’uso di detergenti, allo scopo di ridurre il numero di contaminanti batterici e consente di mantenere per un tempo relativo il livello di sicurezza per la contaminazione da germi su oggetti e superfici. Detergente: sostanza che modifica le forze di tensione superficiale. Il grasso e lo sporco in genere sono adesi alle superfici con forze superficiali per cui il detergente allenta la tensione superficiale tra sporco e superficie e favorisce l’asportazione dello sporco stesso. La pulizia accurata, effettuata con l’uso di detergenti, abbassa notevolmente la carica batterica e, quindi, è molto efficace per la prevenzione delle infezioni ospedaliere. Sterilizzazione: processo fisico o chimico che è in grado di distruggere tutte le forme di mi- croorganismi viventi. Le strutture ospedaliere sono state suddivise in tre zone: 1. AREE A BASSO RISCHIO (uffici, segreterie, archivi, magazzini e sale di attesa); 2. AREE AMEDIO RISCHIO (degenze, poliambulatori, radiologia, cucinette, corridoi di degenza, studi medici, servizi igienici); 3. AREE AD ALTO RISCHIO (blocco operatorio, laboratorio, terapie intensive..). pRInCIpI geneRAlI Le pulizie devono iniziare dalla zona meno sporca verso quella più sporca Nel caso di oggetti che non vanno a diretto contatto con il paziente, dopo la disinfezione non risciacquare. Evitare il rabboccamento dei contenitori (sia detergente che disinfettante). Rispettare la diluizione dei prodotti indicata dalla casa produttrice. Segnalare le zone bagnate con apposita segnaletica. Per le aree di passaggio (atrii e corridoi) effettuare il lavaggio in due tempi successivi, in modo da mantenere sempre una metà asciutta, per permettere il passaggio. utilizzare sempre idonei dispositivi di protezione individuale (D.P.I.) durante le procedure di pulizia, che sono svolte sotto la diretta responsabilità dei caposala, che devono dare precise disposizioni in merito, fornire adeguati D.P.I., vigilare sul corretto utilizzo degli stessi da parte degli operatori. Dopo l’uso tutte le attrezzature, compreso il carrello delle pulizie, devono essere detersi ed asciugati. L’umidità e la temperatura ambiente sono ottimi terreni di cultura per il proliferare di germi. Allo stesso modo ogni panno, spugna, sistema Mop ecc. dopo l’uso deve essere lavato, disinfettato e lasciato asciugare. La presenza di materiale organico può ridurre o inattivare l’azione del disinfettante, perciò è necessario sempre effettuare una decontaminazione con detersione e poi disinfezione. AttRezzAtuRe – Carrello dotato di secchi e panni colorati – Scopa sistema elettrostatico – Scope sistema tradizionale – Sistema Mop – Vello pannelli pROdOttI fORnItI ed utIlIzzO – Prodotto per Vetri: si usa diluito al 5% su tutte le superfici lavabili e diventa un detergente sgrassante per vetri, pannelli, porte e ascensori. – Detergente igienizzante al cloro, pulisce ed igienizza rimuovendo germi e batteri. Si usa sui sanitari e sul wc. ➔ 155 – Disinfettante, detergente e deodorante: si usa, diluito in acqua, per tutti i pavimenti, pulisce e disinfetta. In confezione flacone si usa non diluito, su un panno umido, per disinfettare superfici lavabili. – Decontaminante per piccole superfici, si può usare per la disinfezione terminale dell’unità letto, spruzzandolo da 25cm di distanza, lasciando agire e asciugando con panno pulito. – Detergente disincrostante pronto all’uso, scioglie le incrostazioni inorganiche (calcare e ruggine); si lascia agire per 1 min. risciacquando su porcellane, ceramica, acciaio inox, formica, piani di materiale plastico. Non usare su marmo, ottone e metalli non nobili... (Casa di Cura Villa delle Querce5) L’esempio proposto mostra con chiarezza la rilevanza di cognizioni che inve- stono una figura un tempo considerata infima nella scala sociale, ma che oggi richiede un ampio spettro di conoscenze in vari ambiti del sapere: chimica, biologia, fisiologia, organizzazione, diritto... Non si prospetta unicamente un incremento di nozioni da tenere in considera- zione, altrimenti sarebbero state sufficienti delle schede di lavoro. Diversamente, una linea guida ricalca la struttura dei manuali di qualità, prevede quindi uno scopo, un glossario, principi generali e disposizioni operative; questo dispositivo rivela ciò che in cibernetica viene definito come “subroutine doppia”, ovvero un contesto di lavoro in cui l’operatore deve fronteggiare una notevole varietà di casi, per cui è necessario fornirgli dei criteri d’azione che gli consentano di affrontare le varie situazioni sa- pendo assumere le decisioni più appropriate anche se ciò comporta la modifica delle norme esistenti. Ciò porta ad un ampliamento delle facoltà umane implicate nell’a- zione e soprattutto la capacità di apprendere dall’esperienza e di sollecitare l’orga- nizzazione alla revisione delle proprie regole alla luce delle novità emergenti dalla realtà (Morgan 1999). È la stessa differenza che insiste tra complicazione e comples- sità: la prima indica un mero aumento di fattori da tenere in considerazione nell’atti- vità lavorativa, ma sempre conoscibili; per complessità si intende, invece, l’intervento nel campo dell’azione di fattori decisivi, ma che non possiamo conoscere in anticipo a causa della mutevolezza delle condizioni. Da qui la necessità di passare dall’adde- stramento alla formazione: il primo mira a creare degli automatismi operativi, mentre la seconda tende a suscitare disposizioni che traggono origine ed alimento dai principi della deontologia professionale, veri e propri codici di comportamento che richiedono la condivisione di principi etici e la capacità di implicazione del soggetto nei compiti che è chiamato a svolgere. Di conseguenza, l’impegno personale diventa meno facilmente controllabile (si veda la crisi delle figure intermedie), e nel contempo assumono forte rilevanza le differenze di capacità personali, di modo che non si dice più “eseguire” bensì “esercitare” un lavoro, un’espressione che richiama la dote di interpretazione tipica dell’attore. Molte figure lavorative hanno assunto una valenza cognitiva, sono state oggetto di una decisa personalizzazione, hanno acquisito una valenza tipica del ricercatore; tutti elementi 5 http://www.casadicuravilladellequerce.it/linee%20guida%20sanificazioneVilla-delle-Querce.pdf. 156 che hanno messo in luce il rilievo dei fattori sensibili (vocazione, motivazione, condivisione, disposizione) del lavoro. L’artigiano ne è la figura tipica: egli, tramite la sua maestria, rivela un modo di conoscere la realtà che accade non per istruzione, ma per implicazione. Tale forma di conoscenza, che risulta spesso travisata come mera “pratica” in opposizione alla “teoria”, può essere esattamente definita “sintetica” in contrasto con quella “analitica”. Egli mostra una peculiare presa sul mondo che si evidenzia nell’esperienza, nella curiosità, nella capacità di fare memoria e rinnovare la tradizione, nell’affezione nei confronti del cliente e delle sue esigenze oltre che della capacità di assumere decisioni non scontate, accettandone il rischio. Le tecniche ed i caratteri formali di cui fa uso sono visibili nell’opera che risulta sempre collocata entro un contesto di cui l’attore si fa carico. In tal modo, egli mostra di pos- sedere un modo di conoscere peculiare in cui i saperi non sono semplicemente fissati, ma impregnati nell’azione. Per poterli cogliere pienamente, non basta porsi nella posizione di colui che osserva la realtà dall’esterno attraverso gli occhiali delle categorie analitiche definite a priori, ma occorre “entrare nel quadro”, prendere parte all’opera stessa condividendo l’esperienza dell’agire significativo e dotato di valore. È in ciò che consiste il nucleo del principio conoscitivo tipico della nostra epoca: l’“imparare facendo” (Learning by doing). Così il lavoro diviene un’esperienza culturale in grado di “portare” conoscenza in modo non più analitico, ma sintetico. Il lavoro come conoscenza Si è detto che la svalutazione del lavoro, o il suo essere confinato ad aspetti specifici della filosofia, è dovuta a un’eredità che deriva da kant. Si potrebbe forse dire, con più precisione, che si tratta di un’eredità molto più antica che trova la sua codificazione in kant. Tuttavia, senza addentrarci in una questione che comporterebbe una lunga ricerca filologica, utilizzeremo l’immagine classica del giudizio e del ragionamento data da kant per identificare i termini del nostro problema. Quest’ultimo, a mio avviso, nasce proprio dalla distinzione sintetico-analitico che il pensatore tedesco propone all’inizio della Critica della Ragion pura. Secondo kant un giudizio analitico sussume un predicato sotto un soggetto, mentre un giudizio sintetico deve guardare al di fuori del soggetto-concetto, all’esperienza, per capire come il pre- dicato sia connesso a un concetto, ma non incluso in esso. Come Quine e kripke hanno messo in luce, nell’opera di kant analiticità, aprioricità, e necessità formano un circolo nel quale ogni elemento giustifica e coincide con gli altri. I giudizi analitici sono necessari perché sono a priori ed, essendo a priori, sono necessari e quindi analitici. In questo modo il livello logico (analisi), epistemico (a priori), e metafisico (necessità) coincidono, fornendo in quest’unità il modello di una conoscenza vera o garantita... [...] Il lavoro così inteso non è più un campo applicativo di una teoria né una legge economico-dia- lettica. Il lavoro è il nome della continua trasformazione della realtà concreta (indice) verso il suo fine ideale (simbolo) attraverso una continua accettazione di aspetti diversi dell’oggetto del- l’esperienza. Il lavoro, in una parola, è il nostro modo di ragionare sinteticamente e, quando viene svolto in maniera adeguata, cioè attraverso “gesti completi”, esso assicura una vera com- prensione dell’identità (propria e altrui). In questo senso non c’è nessuna azione che non possa diventare lavoro e non c’è nessun lavoro che sia inutile. (Giovanni Maddalena6) 6 Il lavoro come conoscenza. Uno sguardo semiotico. http://www.spaziofilosofico.it/numero_01/618/618/. 157 Per gesto completo o conoscenza compiuta si intende ogni azione, dotata di un inizio e di una fine, che porti un significato, vale a dire l’insieme delle conseguenze possibili di un’esperienza. I gesti sono il modo in cui il soggetto umano acquista un significato portandolo avanti, la possibilità di una conoscenza come riconoscimento di un’identità in un cambiamento. Esattamente ciò che succede nel lavoro, un’espe- rienza di conoscenza situata, che si acquisisce tramite il pieno coinvolgimento nella pratica professionale. la bellezza dell’opera L’opera umana – intesa in senso autentico – presenta un rapporto molto stretto con la bellezza, poiché assume sempre una forma che richiama dei significati connessi all’immaginazione ed al tipo di vita che l’autore ritiene di dover perseguire in rela- zione ai valori che lo muovono. La crisi del lavoro che si è prodotta lungo il secolo scorso, e di cui ritroviamo numerosi residui nel tempo odierno, porta con sé anche la confusione circa il canone estetico: nel pieno dell’epoca industriale, i prodotti del lavoro erano rivelativi soprat- tutto della potenza della tecnica, semmai rivestiti di forme stilizzate che richiamavano come in un sogno realtà naturali, oppure paesaggi bucolici tipici dell’Art Nouveau, corrente artistica all’origine dei movimenti più innovativi del ventesimo secolo, come l’Espressionismo, il Cubismo, il Surrealismo, l’Art Deco ed il successivo Movimento Moderno in architettura. Il venir meno della “mano” dell’artigiano-artista, sostituita dall’impersonalità della macchina, ha prodotto in quell’epoca una frattura, quasi una sorta di divorzio tra l’oggetto ed il significato estetico. una componente di artisti si è dedicata al rivestimento dei prodotti industriali con immagini prese dal passato o ispirate al materiale onirico, e nel contempo ha proposto di considerare arte quelle che erano solo plastificazioni e installazioni senza più alcuna pretesa di significato universale. Altre correnti artistiche sono fuggite dal mondo degli oggetti divenendo sempre più concettuali, oppure hanno voluto scendere in basso, cercando l’essenziale nella fase finale della parabola degli oggetti industrializzati, là dove questi sono incorporati nell’ambiente quotidiano, fino alla tappa ultima del degrado quando divengono scarto, immondizia. Il ritorno dell’artigiano riprende i legami con il canone estetico della bellezza e l’opera umana ritorna – in modo certamente nuovo – ad esprimere significati rilevanti che ne eccedono l’utilità d’uso o il mero rivestimento esteriore, poiché indicano in forma sensibile ai sensi il modo di vita che l’autore intende proporre come buono, autentico e quindi desiderabile. Mentre l’arte ha percorso tutto il cammino verso la dissolvenza delle forme, innanzitutto quella umana, ed in direzione della dissipazione delle intenzioni preferendo le provocazioni, il neo artigiano ritesse il filo dell’antica opera umana, segnata dalla ricerca dell’armonia tra i frammenti dell’esistenza entro uno sguardo impegnativo sulla vita, carico di segni. 158 Siamo posti nel bel mezzo di una forte tensione tra codici estetici, ma soprattutto tra la realtà ed il nulla, come ci spiega Paul Valéry. l’arte è un combattimento contro quello che non è «Ai miei occhi, l’arte appare come un combattimento contro quello che non è. [...] Tutte le potenze umane devono impegnarsi per sostenere e mantenere in vita ciò che nasce e tende a ri- cadere nel nulla». Il mito dell’originalità «Non si vedono quasi più i prodotti scaturiti dal desiderio di ‘perfezione’. Osserviamo di pas- saggio che questo antiquato desiderio doveva svanire davanti all’idea fissa e alla sete insaziabile di originalità». Perché per ricercar la perfezione sono necessari «l’eredità, l’imitazione o la tra- dizione, gradi nella ascensione verso l’oggetto assoluto», mentre la spasmodica caccia all’origi- nalità respinge il passato e i suoi gradi di perfezione, risiedendo «la sua essenza nel differire» (Lettera a Leo Ferrero, 1928). la novità «Il nuovo è uno di questi veleni eccitanti che finiscono con il risultare più necessari di ogni nu- trimento; una volta che ci padroneggiano, bisogna sempre aumentare la dose e renderla mortale. È strano che ci si attacchi in questo modo alla parte più deperibile delle cose, che è proprio la loro qualità di esser nuove. Voi non sapete allora che alle idee più innovatrici bisogna dare una certa aria di nobiltà, priva di fretta, piuttosto matura; tali idee devono apparire non insolite bensì in circolazione da secoli; e non fatte e trovate stamattina, ma soltanto dimenticate e ritrovate. Il gusto esclusivo della novità segnala una degenerazione dello spirito critico, dal momento che nulla è più facile del giudicare la novità di un’opera» (Choses tues). «Nulla è più facile»: ecco perché i ‘critici’ d’oggi ci riempiono gli occhi con l’aggettivo nuovo nelle loro pagine anodine. Ma siccome hanno bisogno di «una certa aria di nobiltà» ricorrono ancora alla parola ‘arte’ e a tutto quel che di tradizionale evoca. la realtà esteriore La strana mistica di sapore gnostico che conquista gli artisti del XX secolo viene giudicata con severità da Valéry. «Secondo un’opinione diffusa e fuori del tempo esiste una ‘via interiore’ da cui le cose esteriori sono escluse in quanto le risulterebbero nocive, e dunque i profumi, i colori, le immagini e forse anche le idee sono d’impaccio e di scompiglio alla sua perfezione; si pretende pertanto che gli esseri che vi si consumano nel desiderio, nella gioia o nel commercio segreto dello loro percezioni incomunicabili li sentano tanto più vivi e ne traggano i frutti più vivi quanto sono maggiormente avanzati nella loro profondità e nel loro disprezzo, più distaccati dall’esterno, da quello che considerano l’esterno. Alla vita che fa uso di sensi definiti e che si accontenta dei loro fantasmi, si oppone facilmente una certa ‘vita della mente’, o dell’anima, ovvero una vita dell’intelletto puro; l’una e l’altra sottratte alla agitazione superficiale che compone quel che si tocca e che si vede. In molti saggi si trova l’avvertimento formale di considerare i sensi come complici dell’Avversario, e di trattare gli organi essenziali come mezzani. ‘Odoratus impedit co- gitationem’, dice tra l’altro san Bernardo. Non sono così sicuro che la meditazione sigillata e la deviazione interiore siano sempre innocenti, né che chi sta isolato in se stesso si perfezioni in purezza. [...] Perché si vuole che il fondo, il preteso fondo di noi stessi, l’apparenza del fondo che troviamo in noi, per degli strani accidenti, o per una indefinita aspettativa, sia più importante da osservare [...] che la figura di questo mondo? [...] una vita dedita ai colori e alle forme non è a priori meno profonda né meno ammirevole di una vita trascorsa tra le ombre ‘interiori’» (Berthe Morisot). Questa conclusione è la base morale della storia dell’arte in Occidente. Il Beato Ange- lico guida in Paradiso la schiera dei cantori della beltà terrena. ➔ 159 la resistenza del mondo Secondo lui, i successori degli Impressionisti avevano definitivamente eliminato l’Avversario, l’oggetto esterno, per impotenza o perché sedotti da scorciatoie che facevano a meno della rappresentazione. Suonano allora magistrali quelle righe celebri di Monsieur Teste che dicono bene anche della resistenza che l’autore, l’artista, trova nel forgiare le opere: «Non è vivere il vivere senza obiezioni, senza quella viva resistenza, quella preda, quell’altra persona av- versaria, resto individuato del mondo, ostacolo e ombra dell’io – altro io – intelligenza rivale, insopprimibile – nemico il miglior amico, ostilità divina, fatale – intima». la somiglianza Accordava una certa importanza alla somiglianza e alla rappresentazione. E diverse somi- glianze sapeva cogliere: naturale, sociale e intellettuale. «Il problema del ritratto è uno dei più sottili dell’arte. Si tratta in effetti di eseguire un’opera che, per definizione, è assoggettata a una condizione non esclusivamente ‘artistica’, la somiglianza, la quale è soddisfatta dal confronto di una immagine con un modello, ovvero il richiamo non equivoco del ricordo di questo attraverso quella. La constatazione necessaria, e sufficiente, non ha alcuna relazione che si impone con il piacere dell’occhio [...] Mi accorgo che l’epoca che ha visto deperire il gusto e la cura di rappresentare scrupolosamente il volto dei viventi vede trascurare altrettanto, se non abbandonare del tutto, la pratica secolare di copiare nei musei le opere dei maestri» (De la rassemblance et de l’art). descrizioni «un’opera puramente descrittiva (come se ne fanno tante) non è altro in verità che una parte di opera. [...] Inoltre, ogni descrizione si riduce alla enumerazione delle parti o degli aspetti di una cosa vista, e questo inventario può essere fatto in un ordine qualsiasi, fatto che introduce nella esecuzione una sorta di casualità. (Autour de Corot). Realismo Sì, il realismo pecca di ingenuità, la volontà di raffigurare realisticamente tradisce la realtà. Molto in anticipo sui neorealismi italici, non sembra esser stato granché citato nei dibattiti fumosissimi dell’intelligencija dei caffè di Piazza del Popolo. «Le arti di ‘imitazione’ si muo- vono tra l’idea ben definita di rappresentare ‘esattamente’ la ‘realtà’, di cercare di eguagliare ciò che si ottiene da una buona fotografia o da un’impronta, e gli effetti dell’intervento del- l’organismo vivente che deve eseguire tale rappresentazione. Ma questo organismo vivente è ben lungi dall’essere simile a ogni altro della sua specie. Esso è fatto di collegamenti» (De la ressemblance et de l’art). l’inflazione dei commenti «Gli artisti moderni si fanno dei sistemi che resistono per un po’ di tempo soltanto grazie al- l’ausilio di una letteratura appropriata. Ma né Tiziano, né Veronese, né Robusti detto il Tin- toretto avevano bisogno di qualcuno che li ‘presentasse’. Bastava imporsi. A loro si dedica- vano dei sonetti, non li si spiegava. Essi non offrivano delle intenzioni, ma dei miracoli [...]. Che cosa c’è di più certo nelle sue intenzioni e di più certo nel suo effetto di un ritratto del puro Raffaello?» (L’art italien). L’arte dell’ultimo secolo invece è come un criptogramma, un rebus che ha bisogno di mozziconi di parole. Jean Clair ha scritto: «Poche epoche hanno conosciuto come la nostra un tale divorzio fra la povertà delle opere prodotte e l’inflazione dei commenti che anche la più insignificante di esse riesce a suscitare». Per forza, si appog- giano alla parola dal momento che l’immagine è abortita. elogio della lentezza Davvero scandaloso in anni post futuristi: «Che si tratti delle Lettere o delle Arti, la fretta di pubblicare o di mettere in mostra ciò che si è fatto sembra generale. Vi è la pressione delle esigenze della vita, ma non si tratta della sola potenza in gioco. La nostra epoca è molto dura ➔ 160 con tutte le virtù che ricorrono alla durata. Essa sprona, minaccia, stordisce, non tollera più che si passino vent’anni a provare a vivere dei secoli. Il lavoro del puro esercizio senza spe- ranza di frutti immediati, la lunga preparazione di se stesso allo scarto del mondo, la volontà di sottomissione a delle costrizioni che sembrano inutili o che sono fastidiose: ci sono divenute impossibili o insopportabili. Al tempo in cui il tempo non costava nulla, poteva esistere un ideale di perfezione [...]. Più io so, più io sono: ecco quel che fan dire attraverso tutte le loro grandi opere tutti i maestri. Queste opere sopportavano un esame prolungato. Esse valevano tanto da essere copiate. Non si pensava ancora che il disegno o l’arte di scrivere fossero, per un privilegio speciale, dispensate da quello che esige ogni nostra azione indirizzata verso qualche dominio dei nostri mezzi naturali. Il pianoforte, la mistica stessa, richiedono degli anni di formazione, le lungaggini, le riprese, la noia e i rancori di ogni apprendistato» (De la ressemblance et de l’art). In nome dell’arte italiana Raramente fu così critico verso la «superstizione della modernità» come nell’articolo dedicato all’esposizione dell’arte rinascimentale italiana del 1935, dove pensando ai nostri pittori dei grandi secoli esclamava: «Beati quegli artisti, viene da pensare, cui nulla impedì di consumarsi nel divenire grandi». In quel tempo che correva verso la guerra, scriveva: «I giorni che vivia- mo non sono meno difficili, né le circostanze meno inquietanti, né l’avvenire meno incerto nell’ordine delle creazioni superiori dello spirito di quanto lo siano nel campo politico e in quello delle necessità materiali. Possiamo davanti a questa smagliante raccolta di pitture e sculture incomparabili non riflettere assai amaramente sullo stato attuale delle nostre arti? [...] Noi osserviamo attorno, negli uomini e nelle loro opere, come anche in noi stessi, gli ef- fetti di confusione e di dissipazione che ci infligge il movimento disordinato del mondo mo - derno. Le arti non si accordano con la fretta. (L’art italien). (Almanacco romano delle Arti & delle Lettere7) In questo clima, anche l’artigiano è tentato dalla chimera dell’originalità, ma risulta molto più forte il desiderio di perfezione che, come afferma Valéry, richiede la scoperta dell’eredità, l’imitazione o la tradizione, verso l’ideale della durata propria di un oggetto che supera il tempo presente sapendo comunicare il suo messaggio anche ai posteri. Somiglianza e rappresentazione animano l’impegno degli “umanisti tecnologici” che operano nell’epoca attuale ed indicano la direzione per le giovani generazioni. Le opere si fanno più ricche di simboli8 ed i commenti più essenziali; sono realizzate per poter superare un esame prolungato, con l’intento di suscitare la gioia di ammirare, piuttosto che la smania di sbalordire propria delle immagini senza arte e senza reale partecipa- zione dell’altro. Accanto ad una ripresa del valore etico e sociale del lavoro, riconosciamo nella componente feconda dei “costruttori” di oggi anche l’intento di perseguire la bellezza dell’opera, un valore che esprime il sentimento della vita e l’intimo legame che affratella ogni realtà del mondo conosciuto e sconosciuto. L’oggetto può infatti racchiudere in sé una verità che va oltre l’impressione e che si manifesta come esperienza gioiosa. 7 http://almanaccoromano.blogspot.it/2010/12/sulla-soglia-del-museo.html. 8 Simbolo richiama infatti “un più di senso”, un accumulo di significati (CASSIRER, 1961). 161 Più l’oggetto è segno del vero in quanto suscita in modo immediato i moti della nostra anima, meno ha bisogno di definizioni ed argomentazioni intellettuali. L’og- getto “autentico” vive sulla traiettoria che unisce il particolare con l’universale, così che l’anima si consola rappacificandosi con la vita: «La foglia è bella, tutto è bello… l’uomo è infelice perché non sa di essere felice» (Dostoevskij 1981, 240). un mobile, un paio di stivali, un sito web, una presentazione ben fatta, tutto può concorrere a celebrare la bellezza del mondo vivente e distogliere le persone dalla tentazione di infliggersi continuamente una sottile quotidiana infelicità. Mentre il vuoto dissipa le facoltà proprie dell’essere umano, rendendolo vulne- rabile, la bellezza alimentata dall’ideale di vita buona conferisce alle persone il senso dell’essenziale ed il valore della propria vita e della realtà in cui vivono. Albert Camus nei Discorsi di Svezia del 1957 dice: «L’arte, non è nulla senza la realtà, e senza la quale la realtà è poca cosa. Come potrebbe l’arte fare a meno del reale, e come vi si potrebbe sottomettere? L’artista sceglie il suo oggetto ma a sua volta è scelto da quello» (Camus 1988, 1241). L’elemento costitutivo dell’opera d’arte risiede nell’idea che afferra l’artista e lo conquista, e non nella fantasticheria. L’artista non è un mero produttore, ma una persona privilegiata poiché possiede un dono speciale, assolutamente non egualitario, e soprattutto fecondo: la capacità di rivelare il senso proprio nell’opera, entro un co- dice immediatamente afferrabile da tutti. Ne Le memorie di AdrianoMarguerite Yourcenar racconta che il primo pensiero di quel grande statista, quando seppe di essere diventato imperatore, fu: «Mi sentii responsabile della bellezza del mondo»9. Ognuno dei nuovi artigiani dell’epoca del risveglio dovrebbe ripetere la stessa frase e trovare in essa l’orgoglio della propria professione, perché è data loro una grande responsabilità: immettere nella loro opera una profonda cultura dell’uomo così da suscitare in coloro che ne fanno uso, o che semplicemente la osservano, un risveglio del senso umano. Ecco un testo rivelativo di questo spirito. Manifesto dei nuovi artigiani del XXI secolo Il fine dell’artigiano è produrre cose ben fatte. L’artigiano ha una sorta di ossessione per la bellezza, che esce dagli stretti confini della “qua- lità richiesta dal cliente”. Infatti il fi ne del suo produrre non si esaurisce nella funzione che svolge e da cui trae sussistenza e prestigio, ma si lega ad un’altra caratteristica fondativa della cultura artigiana – la maestria – che rimanda a un impulso umano primordiale: il desiderio di svolgere bene un lavoro per se stesso, la passione e la cura per quello che si fa, la cosiddetta craftsmanship: «good enough is not enough» («abbastanza bene non è abbastanza») usava affermare il famoso pubblicitario americano Jay Chiat. La maestria è un dovere nei confronti dell’oggetto creato. L’atto di creazione – soprattutto quando è fatto con le mani – ha infatti qualcosa di divino. Per questo motivo il cristianesimo è permeato di metafore artigiane; Gesù era infatti figlio di un falegname mentre poteva essere ➔ 9 M. YOuRCENAR (1981), Memorie di Adriano, Milano 1981, 127. 162 figlio di un commerciante (come Maometto), o di un contadino, guerriero, principe, intellet- tuale. Inoltre – sempre di Gesù – si dice che è «è la pietra, che è stata scartata dai costruttori, e che è diventata la pietra d’angolo» (Atti degli Apostoli, 4, 11). Infine l’Ecclesiaste ci ricorda che «chi demolisce un muro sarà morso dalla serpe». Dio stesso è chiamato vasaio, scultore, costruttore. Lo stesso papa Francesco – in una delle omelie di Santa Marta – ha avvicinato l’artigianato a Dio: «Dio prepara la strada per ciascun uomo. Lo fa con amore: un «amore ar- tigianale», perché la prepara personalmente per ognuno. Ed è pronto a intervenire ogni qual- volta il cammino è da correggere, proprio come fanno una mamma e un papà, «perché Lui va facendo la storia, va preparando la strada a ognuno di noi». Il produrre cose ben fatte è legato a un concetto non superficiale di manualità, aspetto fonda- tivo del fare artigiano. La mano è innanzitutto uno strumento di pensiero, di comprensione ed esplorazione del mondo, prima che di manipolazione. Ha osservato a questo proposito Ludwig Wittgenstein: «Come si può imparare la verità pensando? Proprio come si può im- parare a vedere meglio un volto, disegnandolo» Il filosofo del design Giuseppe Di Napoli – giocando su una etimologia falsa ma suggestiva – ha notato che «la mano è ciò che ha reso l’uomo umano». Il rapporto dell’artigiano con il bello e l’arte è naturale e costitutivo. La storia tipicamente italiana – che ha creato un dialogo ininterrotto fra sapienza manuale e sensibilità artistica – è una delle chiavi del successo del made in Italy e della presenza dell’I- talia nell’immaginario collettivo di tutto il mondo. Il rapporto dell’Italia con la bellezza non richiede commenti: il maggior numero di siti unesco nel mondo, i più grandi artisti dell’antichità, ricercati e venerati da uomini di cultura e colle- zionisti, i centri storici e i borghi incastonati in paesaggi straordinari e unici dove natura e cultura interagiscono e si alimentano vicendevolmente. Ma questa bellezza non è passiva, non è solo da contemplare; è suggestione, ispirazione, modello. Il fenomeno del Grand tour, che sta vivendo una seconda giovinezza con i popoli dell’oriente, è nato perché non si poteva concepire di non essere stati in Italia neppure una volta. La cultura artigiana è stata – da sempre – la cinghia di trasmissione fra la bellezza dell’Italia e i suoi prodotti. è la sensibilità artigiana – rispettosa della tradizione – che ha saputo incorporare la bellezza e la tradizione nei prodotti italiani, sottolineando l’importanza dell’atto del fare (“ma- de”). Il suo atto di creazione è sempre complice della natura, mai in contrasto. I prodotti ar- tigiani sono da sempre a “km zero”, molto prima che venisse inventato il concetto. E questa è certamente una forma di bellezza che la rende anche naturalmente imperitura. Il grande entomologo Edward Wilson, noto anche per aver reso popolare il termine “biodi- versità”, affermò a questo proposito: «l’umanità non si definisce per quello che crea, ma per quello che sceglie di non distruggere». Oltretutto una delle prime e più importanti definizioni di bellezza (kalós) venne data da Aristotele nella Poetica, sottolineando non tanto un valore “estetico” – un valore astratto – quanto qualcosa di concreto, qualcosa che «funziona bene», che risulta «ben fatto». un chiaro collegamento con la maestria di chi lo ha realizzato. (Giovani imprenditori di Confartigianato10) La nuova etica del lavoro centrata sul valore della vita e sulla sostenibilità risulta strettamente legata ad un’estetica dell’opera, con un rapporto “naturale e costitutivo” tra il lavoro ben fatto, la sua qualità etica e la sua bellezza. In particolare “costitutivo” 10 http://www.confartigianato.it/wp-content/uploads/2015/05/Manifesto-Giovani-Imprenditori-Con- fartigianato.pdf. 163 significa che non è un aspetto a sé stante, accessorio, appiccicato, come nell’estetica della modernità. un’idea ben espressa da Leon Battista Alberti: «La bellezza è l’ac- cordo delle parti secondo una determinata ragione in base alla quale non si può ag- giungere, togliere o mutare nulla senza peggiorare l’opera» (Alberti 2010, 212). Che non è affatto una creazione per pochi, gli eletti, ma trova il suo naturale ambito di ri- ferimento nel sentimento popolare, ciò che fa della vera arte un pedagogo di grande efficacia: «Ed è sorprendente come tutti noi, sia colti sia ignoranti, come consigliati da un istinto naturale percepiamo immediatamente cosa ci sia di giusto o di sbagliato nella realizzazione e nell’ideazione di un’opera. Infatti, in questo genere di cose la vista supera per acume tutti gli altri sensi» (ibidem, 47). Il territorio come spazio comune Esiste un legame tra la bellezza ed il contesto in cui si svolgono l’intrapresa ed il lavoro; è quel legame in grado di suscitare le disposizioni generative dell’anima che rendono il territorio “spazio comune”, una continuità somigliante tra l’Io e il Noi resa possibile da una relazione operosa, affinata nel corso del tempo e trasmessa di generazione in generazione. Non è un caso se gli artigiani che provano a trasferirsi in altri paesi, magari perché rubati alla concorrenza italiana, stentano a ritrovare la loro produttività in tempi brevi: la loro abilità dipende anche dall’ambiente in cui sono inseriti (Micelli 2011, 164). La conoscenza e la bellezza ancorate al contesto territoriale non risultano facil- mente trasferibili così come avviene, invece, per la conoscenza codificata, formaliz- zata ed astratta, oggetto di insegnamento basato su discipline e programmi (Rullani 2004, 316-317). Essa costituisce una risorsa radicata, tanto da poterla acquisire solo per implicazione, tramite processi lenti e continuativi nel tempo. Nell’opera, l’utiliz- zatore coglie il legame che esiste tra la maestria artigiana nel fare bene le cose per se stesse ed il contesto culturale ed ambientale cui essa fa riferimento, da dove “sorge”. Il territorio, specie nella realtà italiana, non indica solo il luogo di residenza, ma anche il punto di riferimento per l’identità, i legami, la cultura, i costumi e lo svolgi- mento delle esperienze fondamentali dell’esistenza, comprese quelle riguardanti il lavoro. L’Italia è un caleidoscopio di culture territoriali che rappresentano da un lato la sua peculiarità e la sua ricchezza e dall’altro forniscono la chiave di lettura privi- legiata se si vuole comprendere la struttura del sistema economico nazionale dominato dalla piccola e media impresa innovativa a carattere familiare e comunque locale – come pure la mappa dei settori guida che prende la forma della geografia culturale territoriale (Bagnasco 1999). L’Italia è la nazione dei campanili e ciò spiega sia la debolezza dell’identità na- zionale sia la persistenza nel corso dei secoli di un punto di riferimento rilevante di natura comunitaria in grado di contrastare i processi disgregativi derivanti dai rivol- gimenti sociali ed economici. 164 L’intreccio tra ambiente, cultura, vocazioni professionali e imprenditoriali è mol- to presente in Italia, una nazione ricca di identità peculiari che risultano evidenti anche nelle diverse sensibilità estetiche che caratterizzano i prodotti dei vari territori. Non si tratta solo di processi imitativi di genialità individuali, ma dei connotati di una cultura civica che trova nel territorio la possibilità di una piena espressione (Putnam 2004). Servio Mario Onorato, grammatico latino della fine del quarto secolo, diceva nel Commento all’Eneide (5, 95) “nullus locus sine Genio” intendendo la presenza di un’entità religiosa del genere dei numi tutelari, spiriti protettori della famiglia e dei luoghi. Il territorio non è concepito solo come un luogo da abitare, ma anche come l’ambiente nel quale si manifesta un talento proprio e distintivo che porta con sé un sentimento del vivere, una disposizione umana, un modo di orientare le risorse conoscitive e professionali e di metterle in opera per mezzo delle interazioni, delle riflessioni e degli scambi. L’Italia è effettivamente la terra del genius loci, ovvero dei modi distintivi di giocare il talento umano delle comunità locali nei vari campi della vita civile, quindi anche nell’azione economica e nel lavoro. In tal modo, l’identità dei cittadini è defi- nita dal loro radicamento nel contesto locale piuttosto che dall’adesione ad idee astrat- te di cittadinanza, mettendo in evidenza la vitalità dei corpi intermedi nei quali pre- valgono i legami di appartenenza e di riconoscimento, ma anche di formazione delle vocazioni lavorative e di creazione di opere distintive. La vicenda dei distretti industriali indica una peculiarità italiana che segnala la rilevanza del territorio in quanto entità vitale, luogo di formazione di identità, di cul- ture e istituzioni rilevanti per la formazione di specifiche vocazioni professionali. Oggi si assiste ad una ripresa del valore dei territori in quanto suscitatori di una rela- zione peculiare tra cultura, legami comunitari e azione economica: essi sostengono le aree di business che propongono prodotti e sevizi densi di cultura viva, che risultano quindi meno esposti alla concorrenza di paesi che fanno della capacità di imitazione e del basso costo del lavoro i loro fattori di successo. I tratti decisivi della natura culturale dei territori, che ne fanno una vera e propria istituzione in grado di sostenere i sistemi professionali, sono: – la presenza al loro interno di processi di generazione della conoscenza che assu- mono configurazioni non formali e che sono in grado di rinnovarsi a fronte delle sfide ed opportunità emergenti; – l’incorporazione della conoscenza “attiva” nelle forme di vita comunitaria che si sviluppano nel vivere quotidiano: la famiglia ed il vicinato, le relazioni eco- nomiche, le relazioni sociali; – la rilevanza delle reti locali (di produzione, di fornitura, di servizi di supporto, di sostegno reciproco) come strumento di relazione, scambio e cooperazione; – la presenza di forme di trasmissione della conoscenza secondo processi lenti, relazionali, di dono, che si attivano sulla base della condivisione di esperienze significative; – l’incorporazione della conoscenza nei prodotti e servizi proposti che risultano così un altro canale di trasmissione del sapere distintivo del territorio. Le professioni non nascono dal nulla e neppure da istituzioni formali come scuole o accademie, ma emergono dal contesto che presenta tratti ad esse favorevoli agendo come generatore di cultura. Il territorio pone in luce l’importanza della disposizione al lavoro ovvero la formazione delle attitudini, l’orientamento inteso come immaginazione del pro- prio futuro professionale, l’assunzione di prerogative quali la visione, la precisione, la co- struzione, l’intuizione, il metodo di lavoro... Inoltre, l’operosità delle professioni contribuisce ad edificare la città, ovvero lo spazio comune, segnandolo con i tratti dell’anima dei costruttori. Quando l’opera è buona, il ter- ritorio è visto come una casa, lo spazio espressivo dell’Io e di un Noi che poggia su un’ap- partenenza comune. La forma della città smette di essere estranea, un non luogo in cui ci si sente perennemente di passaggio, per divenire somigliante a coloro che vi operano. Il cantiere della rinascita vede all’opera gli edificatori della nuova città, più vicini alle forme del passato che a quella moderna polverizzata, dove l’individuo, sollecitato da mol- teplici direzioni, è perennemente agitato, bisognoso continuamente di stimoli, capriccioso e mutevole nelle scelte, mosso al demone dello slegame e della provvisorietà. L’epoca del risveglio è nelle mani di edificatori dello spazio comune umano, persone che hanno deciso di prendere casa nel territorio e di arricchirlo tramite la novità iscritta nella loro vita, nella loro voglia di vivere. C’è un testo sorprendente nella letteratura, il discorso di Adriano Olivetti Ai lavoratori di Pozzuoli, che esprime con grande ricchezza di immagini e di argomenti il valore del- l’impresa e del lavoro come forze capaci di creare valore nel legame tra fabbrica, territorio e popolo. Ai lavoratori di pozzuoli Quando, quattro anni or sono, fu decisa la costruzione di questo stabilimento, la battaglia ini- ziata dalla fabbrica di Ivrea per diventare un’impresa internazionale era in pieno sviluppo. Il problema del Mezzogiorno era già entrato da tempo nel nostro animo in tutta la sua dolorosa grandezza e quando ci pervenne un preciso invito da parte del Ministro dell’Industria, on. Campilli, oggi Ministro per il Mezzogiorno, questi non ebbe a trovare in noi troppe difficoltà nella sua generosa fatica. Ma il problema non era nel nostro stabilirsi nel Mezzogiorno, esso consisteva piuttosto nella deviazione, impegnativa ed improvvisa, che ci avrebbe potuto distrarre dalla lotta durissima che avevamo intrapresa in Europa, nelle due Americhe, in Sud Africa. Accettammo di buon grado il nuovo fardello. Fu un atto di fede nell’avvenire e nel progresso della nostra industria, ma soprattutto un meditato omaggio ai bisogni di queste regioni. E non si trattò soltanto di un contributo in denaro, ma anche di un autentico sacrificio dei nostri la- voratori. Perché l’Italia è tutta colpita dalla dolorosa malattia della disoccupazione. Se le con- dizioni generali delle popolazioni che vivono nel Nord possono essere considerate obiettiva- mente di gran lunga migliori di quelle prevalenti nel Mezzogiorno, è pur vero che talune scia- gure sono andate abbattendosi anche nelle nostre zone un tempo prosperose. La crisi dei tessili e di taluni settori dell’industria meccanica ha fatto precipitare negli scorsi anni e negli scorsi mesi la situazione nella zona di Ivrea. ➔ 165 166 Cinquecento meccanici perdevano il lavoro alla zanzi di Ivrea, mille operai tessili ad Agliè, qualche centinaio ancora a Castellamonte, per giungere alla recente chiusura del Cotonificio di Caluso che ha colpito quattrocento famiglie. Così la fabbrica di Ivrea, che usava assumere centinaia di operai ogni anno, si vide costretta, tra il ‘52 e il ‘54, per trasferire al Sud il suo potenziale di incremento produttivo, a ridurre o praticamente interrompere il ritmo delle sue assunzioni. Molti giovani non trovarono lavoro, molti padri dovettero attendere e ancora attendono che i figli possano conseguire una siste- mazione, là dove essi stessi avevano passato gli anni migliori della loro vita. Ma nessuno ebbe a lamentarsi, nessuno indicò quale causa della sua condizione insoddisfatta, la creazione di questo stabilimento. Perché nella coscienza dei nostri operai del Canavese è vivo il senso di solidarietà con i fratelli della Campania, della Calabria, della Lucania. Nessuno ebbe a lamentarsi, adunque. E alla fine dell’anno scorso una politica audace nel pia- no, minuziosa nell’esecuzione, implacabile contro gli ostacoli, la politica della nostra dire- zione commerciale, ha creato le premesse per un altro balzo in avanti, che oggi la fabbrica, con ingente sforzo di uomini e di mezzi, sta realizzando in tutti i suoi settori. I fatti salienti nella storia della nostra industria sono quest’anno, nel campo commerciale, l’apertura di una nuova organizzazione di distribuzione nel Canada e nel campo produttivo, il definitivo assetto, la piena efficienza di questo stabilimento. L’apertura di uffici a Toronto e a Montreal, è l’ultimo svolgimento di un’azione che, impostata fin dal lontano 1921 per portare i nostri prodotti sul mercato mondiale, doveva raggiungere soltanto negli anni recenti una più compiuta espressione nella rete delle nostre quattordici società alleate di cui tre nel Commonwealth Britannico, cinque in Europa e quattro nell’A- merica Latina, coi cinque stabilimenti di Barcellona, Glasgow, Buenos Aires, Johannesburg, Rio de Janeiro, ed oltre tremila operai11. Innalzare le nostre insegne a New York come a Francoforte, a Vienna come a San Francisco, a Rio de Janeiro o a Città del Messico o nella lontana Australia, organizzare officine, istruire venditori, persuadere una clientela diffidente della bontà del prodotto italiano, garantire l’ef- ficienza del personale, assicurare ovunque un servizio di assistenza tecnica, difendere sempre il livello artistico e l’omogeneità grafica delle nostre espressioni pubblicitarie, imporre ad ogni costo la lealtà dei nostri metodi commerciali, non fu cosa né facile né rapida. E questa lotta non avrà mai fine, poiché la concorrenza, le invenzioni, i perfezionamenti non hanno limiti e dovremo, sotto questo riguardo, non dar mai segni di stanchezza, alimentando di nuove forze tecniche i nostri laboratori di ricerche, i nostri centri di studi. Ma c’è fortunatamente qualcosa che abbiamo finalmente compiuto. Ed è la nostra rete di dis- tribuzione mondiale. Aprendo i nostri uffici nel Canada, possiamo considerare conclusa l’e- poca dell’espansione territoriale e iniziata una epoca di più raffinata penetrazione dei mercati. Tra pochi anni la nostra ambizione di fare di questa industria italiana un tipo di industria che si avvicini nelle dimensioni e nel rendimento ai grandi organismi d’Oltreoceano, sarà com- piuta e ne vedremo permanentemente le conseguenze sul piano sociale, verso un più alto li- vello di salari ed un orario di lavoro più ridotto12. Raggiungeremo queste mete, ormai non più lontanissime, anche mediante l’aumento continuo del numero e della qualità dei nostri prodotti. Abbiamo oggi quattro modelli di macchine cal- 11 Nel 1959 le società estere raggiungevano 12.700 dipendenti di cui oltre 5.000 operai, portando il totale dei dipendenti Olivetti a 24.700 unità. 12 Negli anni 1956-57 l’orario di lavoro in tutti gli stabilimenti Olivetti in Italia fu portato a 45 ore settimanali divise in 5 giornate di 9 ore; contemporaneamente i salari medi tra il 1955 e il 1958 crebbero del 9%. ➔ colatrici e quattro modelli di macchine per scrivere. Essi escono dai nostri stabilimenti al ritmo ormai superato, di oltre 1.000 macchine al giorno. Era questa la produzione che nel 1925 la più grande fabbrica americana di quel tempo 7 – la un- derwood – raggiungeva a Hartford nel Connecticut. Mi fermai un giorno a guardare le sue mura raccolte, che nascondevano un segreto che mi premeva raggiungere. Quel segreto non era nuovo: esso stava di già racchiuso nel codice morale che l’industria, sotto la guida di mio padre, aveva stabilito e nel rigore scientifico che non era mai mancato all’ingegno italiano. Il segreto del nostro futuro è fondato, adunque, sul dinamismo dell’organizzazione commerciale e del suo rendimento economico, sul sistema dei prezzi, sulla modernità dei macchinari e dei metodi, ma soprattutto sulla partecipazione operosa e consapevole di tutti ai fini dell’azienda. Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi semplicemente nell’indice dei profitti? Non vi è al di là del ritmo apparente qualcosa di più affascinante, una destinazione, una vo- cazione anche nella vita di una fabbrica? Possiamo rispondere: c’è un fine nella nostra azione di tutti i giorni, a Ivrea, come a Pozzuoli. E senza la prima consapevolezza di questo fine è vano sperare il successo dell’opera che ab- biamo intrapresa. Perché una trama, una trama ideale al di là dei principi della organizzazione aziendale ha in- formato per molti anni, ispirata dal pensiero del suo fondatore, l’opera della nostra Società. Il tentativo sociale della fabbrica di Ivrea, tentativo che non esito a dire ancor del tutto in- compiuto, risponde a una semplice idea: creare un’impresa di tipo nuovo al di là del sociali- smo e del capitalismo giacché i tempi avvertono con urgenza che nelle forme estreme in cui i due termini della questione sociale sono posti, l’uno contro l’altro, non riescono a risolvere i problemi dell’uomo e della società moderna. La fabbrica di Ivrea pur agendo in un mezzo economico e accettandone le regole ha rivolto i suoi fini e le sue maggiori preoccupazioni all’elevazione materiale, culturale, sociale del luogo ove fu chiamata ad operare, avviando quella regione verso un tipo di comunità nuova ove non sia più differenza sostanziale di fini tra i protagonisti delle sue umane vicende, della storia che si fa giorno per giorno per garantire ai figli di quella terra un avvenire, una vita più degna di essere vissuta. La nostra società crede perciò nei valori spirituali, nei valori della scienza, crede nei valori dell’arte, crede nei valori della cultura, crede, infine, che gli ideali di giustizia non possano essere estraniati dalle contese ancora ineliminate tra capitale e lavoro. Crede soprattutto nel- l’uomo, nella sua fiamma divina, nella sua possibilità di elevazione e di riscatto. Questo stabilimento riassume le attività e il fervore che animano la fabbrica di Ivrea. Abbiamo voluto ricordare nel suo rigore razionalista, nella sua organizzazione, nella ripetizione esatta dei suoi servizi culturali ed assistenziali, l’assoluta indissolubile unità che la lega ad essa e ad una tecnica che noi vogliamo al servizio dell’uomo onde questi, lungi dall’esserne schiavo, ne sia accompagnato verso mete più alte, mete che nessuno oserà prefissare perché sono de- stinate dalla Provvidenza di Dio. Così, di fronte al golfo più singolare del mondo, questa fabbrica si è elevata, nell’idea del- l’architetto, in rispetto della bellezza dei luoghi e affinché la bellezza fosse di conforto nel lavoro di ogni giorno. Abbiamo voluto anche che la natura accompagnasse la vita della fabbrica. La natura rischiava di essere ripudiata da un edificio troppo grande, nel quale le chiuse muraglie, l’aria condizio- nata, la luce artificiale, avrebbero tentato di trasformare giorno per giorno l’uomo in un essere diverso da quello che vi era entrato, pur pieno di speranza. La fabbrica fu quindi concepita alla misura dell’uomo perché questi trovasse nel suo ordinato posto di lavoro uno strumento di riscatto e non un congegno di sofferenza. Per questo abbiamo voluto le finestre basse e i cortili aperti e gli alberi nel giardino ad esclu- dere definitivamente l’idea di una costrizione e di una chiusura ostile. ➔ 167 168 Talché oggi questa fabbrica ha anche un altro valore esemplare per il futuro del nostro lavoro nel Nord e ci spinge a nuove realizzazioni per creare nuovi ambienti che traggano da questa esperienza insegnamento per più felici soluzioni. Ora che la fabbrica è compiuta a noi dirigenti spetta quasi tutta la responsabilità di farla divenire a poco a poco una cellula operante rivolta alla giustizia di ognuno, sollecita del bene delle famiglie, pensosa dell’avvenire dei figli e partecipe infine della vita stessa del luogo che trarrà dal nostro stesso progresso alimento economico e incentivo di elevamento sociale: voglio alludere all’am- mirevole città di Pozzuoli e ai suoi incomparabili dintorni. L’uomo, strappato alla terra e alla natura dalla civiltà delle macchine, ha sofferto nel profondo del suo animo e non sappiamo nemmeno quante e profonde incisioni, quante dolorose ferite, quanti irreparabili danni siano occorsi nel segreto del suo inconscio. Abbiamo lasciata, in poco più di una generazione, una millenaria civiltà di contadini e di pescatori. Per questa civiltà, che è ancora la civiltà presente nel Mezzogiorno, l’illuminazione di Dio era reale ed importante, la famiglia, gli amici, i parenti, i vicini, erano importanti; gli alberi, la terra, il sole, il mare, le stelle erano importanti. L’uomo operava con le sue mani, esercitando i suoi muscoli, traendo direttamente dalla terra e dal mare i mezzi dì vita. Lo sconvolgimento di due guerre ha spinto l’uomo definitivamente verso l’industria e l’urbanesimo. Esso ha strappato il contadino alla terra e lo ha racchiuso nelle fabbriche, spinto non solo dall’in- digenza e dalla miseria, ma dall’ansia di una cultura che una falsa civiltà aveva confinato nelle metropoli, negandola alle campagne del Sud. Nacque così il mondo operaio del Nord in cui la luce dello spirito appare talvolta attenuata, in cui la spinta per la conquista di beni materiali ha in qualche modo corrotto l’uomo vero, figlio di Dio, ricco del dono di amare la natura e la vita, che usava contemplare lo scintillio delle stelle e amava il verde degli alberi, amico delle rocce e delle onde, ove, tra silenzi e ritmi, le forze misteriose dello spirito penetrano nell’anima per la presenza di Dio. Abbiamo lottato e lotteremo sempre contro questo immenso pericolo; l’uomo del Sud ha abban- donato soltanto ieri la civiltà della terra: egli ha perciò in sé una immensa riserva dì intenso calore umano. Questo calore umano l’emigrante meridionale lo ha portato e donato in tutti i paesi del mondo ed è un segno inconfondibile del contributo che l’Italia ha dato alle civiltà d’Oltreoceano fecondate con un sacrificio in gran parte misconosciuto. Ed ecco perché in questa fabbrica meridionale rispettando, nei limiti delle nostre forze, la natura e la bellezza, abbiamo voluto rispettare l’uomo che doveva, entrando qui, trovare per lunghi anni tra queste pareti e queste finestre, tra questi scorci visivi, un qualcosa che avrebbe pesato, pur senza avvertirlo, sul suo animo. Perché lavorando ogni giorno tra le pareti della fabbrica e le mac- chine e i banchi e gli altri uomini per produrre qualcosa che vediamo correre nelle vie del mondo e ritornare a noi in salari che sono poi pane, vino e casa, partecipiamo ogni giorno alla vita pulsante della fabbrica, alle sue cose più piccole e alle sue cose più grandi, finiamo per amarla, per affe- zionarci e allora essa diventa veramente nostra, il lavoro diventa a poco a poco parte della nostra anima, diventa quindi una immensa forza spirituale. Per questo motivo, un giorno questa fabbrica, se le premesse materiali e morali intorno ai fini del nostro lavoro saranno mantenute, farà parte di una nuova e autentica civiltà indirizzata ad una più libera, felice e consapevole esplicazione della persona umana. È questo l’augurio più alto che mi è caro rivolgere parlando oggi, per la prima volta, ai nostri la- voratori di Pozzuoli, onde per lunghissimi anni la Provvidenza di Dio protegga la loro coscienziosa e intelligente fatica, per farla risplendere in pacata letizia sulle loro case e sulle loro amate famiglie. Questo sabato di primavera, in cui consacriamo con lieta cerimonia questa fabbrica frutto della fatica di tutti, non può non essere giorno di festa per Ivrea e per Pozzuoli, come per Torino e per Massa, ove sorgono gli altri stabilimenti. E si potrà anche chiamare, questa festa, festa dell’amicizia tra Nord e Sud, festa di fraterna com- ➔ 169 prensione di lavoratori e di capi, perché nell’opera si sigilla un periodo nuovo nella restaurazione del Mezzogiorno, perché l’industria del Nord dimostra di avere preso coscienza di quel millenario problema e di averlo avviato, con impegno di dignità e di rispetto umano, verso la soluzione. Senza dubbio ben altre operazioni, ben altre iniziative, ben altri piani, dovranno avvenire nei pros- simi anni perché l’unità economica del Mezzogiorno possa essere premessa indispensabile del- l’unità morale della nostra Patria. Noi opereremo ancora in questa direzione potenziando, anno per anno, questa fabbrica e quelle iniziative che da essa potranno trarre vita. Essa è destinata nei nostri piani ad aumentare grande- mente la propria dimensione quando aggiungeremo nuovi modelli alle attuali linee di produzione. In questi anni la rivoluzione unificatrice - rimasta interrotta allorché all’unità politica non seguì una vera unità morale e materiale fra Nord e Sud - si va finalmente compiendo. un nuovo fervore di opere percorre tutta la penisola, e una nuova concreta speranza di rinnovamento e di benessere si apre per tutti gli italiani. Grazie a questa realizzazione possiamo avere anche noi l’orgoglio di aver contribuito, nella misura delle nostre forze, a tale felice risveglio. Così possiamo concludere affermando che lo stabilimento di Pozzuoli è - almeno per noi - ben più di un attrezzato ed efficiente strumento di produzione: è un simbolo del modo in cui noi cre- diamo di dover affrontare i problemi dell’oggi, un simbolo delle cose che ci affaticano, ci animano e ci confortano. (Adriano Olivetti, 2012) È un testo sorprendente, da cui emerge l’anima di un imprenditore che persegue una decisa innovazione ispirandosi costantemente a valori elevati. È Olivetti stesso a descrivere le caratteristiche dell’imprenditore umanista attento agli uomini ed alle idee: «L’imprenditore non è un amministratore, l’amministratore amministra l’esi- stente. Gestisce. Calcola le entrate e le uscite. Imposta i bilanci preventivi e analizza i bilanci consuntivi. Meticoloso, puntuale, occhiuto»; invece: «L’imprenditore è un sovversivo. Non accetta l’esistente come un dato di fatto, la transazione dallo stesso allo stesso. La sua azienda deve essere processiva e propulsiva, senza confondere espansione caotica e priva di disegno, con lo sviluppo ordinato e omogeneo, rispettoso degli equilibri ecosistemici e dei ritmi vitali della comunità» (Ferrarotti 2013, 25). Olivetti parla di un “felice risveglio” del Mezzogiorno e quanto afferma può es- sere auspicato anche per l’oggi, tramite imprenditori umanisti che, per mezzo del loro impegno, rappresentano un esempio di grande valore educativo per i nostri ra- gazzi, così che si accenda anche nei loro cuori l’entusiasmo per l’opera buona ed il desiderio di emulazione. Il lavoro buono e le sue virtù Ma in cosa consiste il lavoro buono?13 Tre sono le sue caratteristiche, che corri- spondono in realtà a vere e proprie virtù: 13 La fonte di questa trattazione è Il lavoro buono. Cultura ed etica del lavoro in Italia e nel mondo. Una proposta educativa per la generazione post-crisi (NICOLI 2015). 170 – fatto a regola d’arte, – affidabile e sicuro, – duraturo. Fatto a regola d’arte Nel linguaggio corrente, per indicare un lavoro fatto a regola d’arte utilizziamo le espressioni “professionalità” e “qualità”, entrambe bisognose di altri elementi, sotto forma di dispositivi tecnici e procedure formali, per poter essere spiegate. Char- les Péguy, il grande poeta francese morto nel 1914 durante la battaglia della Marna, lo spiega rifacendosi alla fonte della memoria storica degli operai che sapevano ono- rare il loro lavoro: un tempo gli operai non erano servi «un tempo gli operai non erano servi. Lavoravano. Coltivavano un onore, assoluto, come si addice a un onore. La gamba di una sedia doveva essere ben fatta. Era naturale, era inteso. Era un primato. Non occorreva che fosse ben fatta per il salario, o in modo proporzionale al salario. Non doveva essere ben fatta per il padrone, né per gli intenditori, né per i clienti del padrone. Doveva essere ben fatta di per sé, in sé, nella sua stessa natura. una tradizione ve- nuta, risalita dal profondo della razza, una storia, un assoluto, un onore esigevano che quella gamba di sedia fosse ben fatta. E ogni parte della sedia fosse ben fatta. E ogni parte della sedia che non si vedeva era lavorata con la medesima perfezione delle parti che si vedevano. Secondo lo stesso principio delle cattedrali. E sono solo io - io ormai così imbastardito - a farla adesso tanto lunga. Per loro, in loro non c’era neppure l’ombra di una riflessione. Il la- voro stava là. Si lavorava bene. Non si trattava di essere visti o di non essere visti. Era il lavoro in sé che doveva essere ben fatto». (Charles Péguy 1998, 410) L’onore indica un valore in sé, un obbligo che viene da dentro, ma non nel senso di un’astrazione; al contrario, esso consiste in una spinta che mobilita le facoltà pro- prie della persona e la portano a fare bene le cose. È lo stesso motivo per cui molti lavoratori, nel passato, lavorando fischiavano o cantavano. Era una consolazione sen- tirli nei cantieri e nelle officine, perché trasmettevano una gioia pura, il piacere pro- curato dal dedicarsi all’opera così da realizzarla a regola d’arte. E ritorna il carattere artistico di ogni lavoro ben fatto, oltre al canone della bel- lezza che il vero artigiano immette in ciò che fa. Affidabile e sicuro L’affidabilità del lavoro consiste nella cura affinché l’oggetto che si costruisce ed il servizio reso rispondano effettivamente alle funzioni per cui sono stati realizzati: rendere l’uomo più libero da pesi e bisogni, consentirgli di svolgere la vita a cui attribuisce valore. L’affidabilità del lavoro si vede nel suo carattere liberante, ciò che fornisce un solido fondamento alla fiducia – oggi si dice anche “confidenza” – che il destinatario attribuisce al lavoratore: sei in buone mani, ti puoi fidare. 171 La fiducia è d’altra parte il valore fondante ogni relazione economica: senza di essa i valori numerici che attribuiamo alle cose risultano fittizi, mere virtualità, come l’attuale crisi economica ci ha dimostrato. La sicurezza è qualcosa che entra più nel profondo del rapporto tra gli uomini, sia la comunità di coloro che condividono lo stesso ambiente di lavoro, sia coloro che usufruiscono dei frutti che ne derivano: essa indica il rispetto della vita umana, non realizzata solo applicando in modo diligente le prescrizioni normative, ma in- tuendo in anticipo le conseguenze che certe azioni o certi processi possono compor- tare sull’integrità della vita propria ed altrui. Stiamo parlando di un vero e proprio valore, quello della vita umana, che indica il sentimento che prende colui che opera con sicurezza, così che lavorare non è più solo un’attività, ma indica un prendersi cura delle persone, sentire la responsabilità come un impegno. Duraturo Ogni lavoro, che si riferisca ad un oggetto materiale oppure preveda un servizio, si colloca entro una relazione: lavorare comporta stringere un legame con qualcuno. Chi lavora si vincola con qualcun altro che usufruisce della sua attività, e tale vincolo riguarda l’effetto del bene o del servizio erogato. Ad esempio la vendita di un’auto- mobile contiene in sé una promessa di durata delle sue componenti più importanti, e spesso questo è esplicitato dal venditore. Oltre a ciò, il venditore si vincola all’assi- stenza post-vendita a prezzi ragionevoli, evitando così di compensare il prezzo di vendita più contenuto caricando poi esageratamente il costo dei pezzi di ricambio e degli interventi di manutenzione. A sua volta, chi organizza un viaggio cercherà di far sì che questo rappresenti per il suo cliente un’esperienza significativa, così da la- sciare un ricordo piacevole ed arricchente. È quindi la natura di questo legame ad indicare il carattere del lavoro: questo è buono quando la relazione che si instaura non viene meno nel tempo, non cambia di tono, ma presenta un carattere duraturo tale da suscitare nell’interlocutore serenità circa il rapporto con il bene o con il servizio erogato. Mentre il lavoro è “cattivo” quando presenta le seguenti caratteristiche: – provocazione, – provvisorietà, – distacco (distanza, lontananza, assenza di una relazione). Provocazione Da quando anche gli oggetti hanno assunto un significato simbolico, essi sono entrati nella parabola dell’arte contemporanea, il cui tratto più distintivo è costituito dalla pro- vocazione. Il lavoro prevede un tratto artistico, ma questo risente decisamente del canone del tempo. Nel passato gli oggetti e gli edifici perseguivano l’armonia ed il benessere, con l’arte contemporanea c’è stata una frattura dei canoni artistici, in forza della quale alla visione classica dell’opera “bella” nel senso di armonica, durevole nel tempo, in grado 172 di parlare al cuore e di indirizzare alla vita buona, si è sostituita l’immaginario prefabbri- cato, la provocazione, la ricerca ossessiva della bruttezza e della volgarità, la negazione del rapporto indispensabile tra arte e bellezza. In questo modo l’arte e la letteratura “con- temporanei” sono scivolate fatalmente nel campo della provocazione del “chiasso, scan- dalo, sacrilegio” (Fumaroli 2011, 255). Per induzione, questo modo di intendere il sublime come “pugno nello stomaco” si è trasferito anche negli oggetti della vita quotidiana e nelle immagini dei servizi. Ciò a dimostrare che esiste nel lavoro, in modo più o meno accentuato, uno spazio dell’immaginario, nel quale chi opera può includere il suo mes- saggio artistico, così che questo finisce per rivelare la natura della loro immaginazione. Così i professionisti della comunicazione e dell’apparenza, ma anche dell’arredo e del- l’architettura, sono fortemente tentati dal perseguire l’attrazione e l’interesse usando la via dell’eccentricità, del paradosso, della smania di sbalordire. Chesterton, per esprimere quest’idea, ha utilizzato un paradosso molto efficace: «I costruttori moderni innalzano un’immagine colossale della piccolezza del loro animo» (Chesterton 2011, 239). In questo modo gli oggetti, letteralmente, ci saltano agli occhi, impongono in modo irruento la loro presenza; la casa e l’ufficio non sono più luogo di armonia bensì teatro di piccole aggressioni quotidiane. Provvisorietà Oltre che provocatorio, il lavoro “cattivo” finisce anche per essere provvisorio perché riflette un’urgenza del produttore il quale privilegia ciò che accade nell’attimo disinteressandosi di ciò che dura nel tempo. È una concezione spezzettata dell’esi- stenza che si riflette negli oggetti e che ha invaso il mondo del marketing. Occorre che il consumatore sia costantemente posto in uno stato d’animo di tensione e di ansia, spettatore di una scena travolgente in cui viene continuamente eccitato a vivere emozioni che si collocano in un tempo limitato, e che lo lasciano perennemente in- soddisfatto ma nel contempo implicato in una sorta di legame coattivo che gli impone di replicare quest’esperienza mettendo mano al portafogli. Come afferma Marc Fu- maroli: «La pubblicità è il regime di illusioni che tiene viva la noia affinché non si dissipi né si consoli» (2011, 112). La provvisorietà dei beni è quindi funzionale alla riproduzione all’infinito del- l’atto dell’acquisto, anche quando il bene è ancora efficiente ma bisogna che sia so- stituito con quello successivo per essere alla moda, per poter meritare l’apprezza- mento degli altri. Ma questo alla lunga ha fatto crescere nel cliente il sospetto di essere attore di una scena in cui non ricopre affatto il ruolo del beneficiario, bensì della vittima; da qui la maturazione di un tipo di consumatore più scettico e disin- cantato, ma nel contempo più accorto e previdente. Distacco Il produttore di beni e l’erogatore di servizi provocatori e provvisori è anche un soggetto tendenzialmente asociale, infastidito dalla relazione. Egli infatti è in costante 173 dialogo con se stesso, in una sorta di solipsismo permanente, pur non essendone felice. L’altro è solo la sponda su cui rimbalza la sua pallina, perché considera se stesso come il parametro di riferimento di ogni cosa, non avendo a disposizione un modello impersonale degno di fede. Il lavoratore distaccato è un essere scontroso che vive la relazione come un’esperienza spiacevole, da ridurre al minimo. Egli si sforza di sorridere ed essere disponibile nel momento della vendita, ma diventa subito sfuggente ed irreperibile – oppure esageratamente oneroso – quando c’è bisogno di lui nel tempo successivo. Se è tenuto a farlo, organizza la sua performance per ricevere l’applauso, tuttavia si nota lo sforzo di essere attento e simpatico; ma la tenuta nel tempo di questo atteg- giamento forzato risulta piuttosto breve: se lo si cerca successivamente, egli avrà un tono diverso, incostante ed infastidito perché in fondo l’altro non lo interessa se non come sfondo della recita che più lo interessa: quella al cui centro c’è solo ed esclusi- vamente la sua persona. Il lavoratore distaccato è in fondo un narcisista scettico, che si sente troppo gran- de per paragonare la sua vita su qualcosa che abbia un valore in sé, preferendo col- locarla a misura della cosa più piccola in assoluto: il suo io rattrappito. Il valore del lavoro si coglie in tre aspetti: lavorare con e per gli altri, scoprire se stessi, migliorare il mondo. Il lavoratore, una volta superata la frammentazione dei compiti in mansioni ri- strette, è posto nella condizione di lavorare più a stretto contatto con gli altri. Non è detto che questo passaggio sia del tutto desiderabile, perché il “lavoro in frammenti” aveva pure i suoi vantaggi che derivavano dal disimpegno mentale e dall’abbandono del momento volitivo ed intellettivo all’inerzia del movimento della catena. Nell’identificare l’organizzazione del lavoro a principio esplicativo tanto dell’e- voluzione biologica quanto di quella sociale, assimilando specializzazione delle fun- zioni e divisione del lavoro, Durkheim applicava le scoperte di Darwin alla teoria sociale, secondo il costume del tempo. Egli sottolineò il valore sociale dell’interdipendenza generata dalla divisione del lavoro, che mostrava una capacità di tenere unita la società pari a quello della reli- gione, cui andava infatti sostituendosi. «Se l’individuo non sa a cosa mirano le ope- razioni che svolge, se non le ricollega a uno scopo, può solo continuare il lavoro in modo abitudinario. Ogni giorno ripete gli stessi movimenti con monotona regolarità, ma senza minimamente interessarsi ad essi e senza comprenderli [...] Non si può re- stare indifferenti di fronte a una tale degradazione della natura umana». Durkheim aveva colto il pericolo di “anomia” che derivava dalla crescente complessità sociale indotta dalla divisione del lavoro. L’individuo infatti alla lunga avrebbe potuto smar- rire il senso della integrazione del proprio ruolo con quello degli altri, divenendo psi- cologicamente isolato e smarrito, con la sensazione che la propria vita fosse priva di significato. Ora, nella gran parte dei casi, i lavoratori non devono più eseguire gesti ripetitivi ed isolati, ma interagire tra di loro per fronteggiare problemi e portare a ter- mine compiti non scontati. 174 La relazione di gran lunga più rilevante che il lavoro sollecita riguarda gli inter- locutori: lavorare per gli altri comporta l’uscita dal solipsismo del proprio io ed as- sumere come punto di riferimento l’altro con i suoi bisogni, le sue necessità e l’attesa di risposta che rivolge al lavoratore stesso. Già Hegel aveva segnalato il carattere elevativo di questo movimento di apertura: il servo esce dall’angoscia della morte nel momento in cui inizia a porsi in una relazione di servizio nei confronti di un altro, e ciò mette in moto l’autoconsapevolezza della propria esistenza e del proprio valore. Il soggetto umano isolato non possiede parametri di riferimento, mentre l’ingaggio in una relazione lavorativa orientata ad un soggetto in riferimento ad un preciso bi- sogno mobilita le qualità di chi opera in senso fattivo. Lavorare con gli altri significa quindi uscire dal confine della propria individualità isolata ed entrare in una relazione fondata sulla collaborazione, dove i fattori di fiducia e lavoro cooperativo costitui- scono spesso il vero valore aggiunto dell’operare umano. È così che, in una relazione concreta di servizio rivolto ad un altro, il soggetto del lavoro scopre se stesso proiettandosi verso uno scopo esterno da sé. Egli si rende consapevole dei propri talenti non in astratto, o in un modo unicamente introspettivo, ma nella dinamica concreta dell’azione che comporta la mobilitazione delle proprie prerogative umane. Agendo, i fattori umani – tratti, saperi, competenze – vengono sollecitati ed incorporati nel prodotto/servizio, così che ciò che ne emerge non rap- presenta soltanto qualcosa di funzionale ad uno scopo, ma riceve anche l’impronta del facitore. In questo modo, rimane sempre qualcosa di personale in ciò che si fa, nel senso che, lavorando, si immette qualcosa della propria anima – l’impronta ori- ginaria del nome personale – nell’oggetto del proprio operare. Hannah Arendt spiega in modo molto efficace questo carattere personalizzante dell’azione, ed anche la sua natura politica, chiarendo nel contempo dove tragga origine l’innovazione: «Il fatto che l’uomo sia capace d’azione significa che da lui ci si può attendere l’inatteso, che è in grado di compiere ciò che è infinitamente improbabile. E ciò è possibile solo perché ogni uomo è unico e con la nascita di ciascuno viene al mondo qualcosa di nuovo nella sua unicità» (Arendt 1999, 129). Questo fattore rivelativo del proprio io autentico costituisce il valore aggiunto che il lavoro rappresenta per il nostro tempo, popolato spesso da individui incerti sulla propria esistenza e letteralmente in preda ad ogni stormir di fronde, perenne- mente instabili e vulnerabili. Di fronte a queste identità indefinite, il lavoro è un’e- sperienza sociale per certi versi taumaturgica, poiché riscuote dallo stato di sospen- sione ed autocentramento sterile, fornisce uno sbocco concreto e costruttivo all’in- quietudine antropologica e consente di trovare se stessi nel servire gli altri. Così che, lavorando per gli altri, l’individuo esce dall’ossessione del proprio piccolo io e si apre al mondo, per ritornare in sé arricchito dalla consapevolezza di ciò che ha saputo realizzare con le proprie mani e la propria testa. Ma è Dostoevskij ad affermare con la forza delle sue parole questo passaggio, rivolgendosi alla figura dell’intellettuale cinico del suo tempo: «Avete perduto la di- stinzione del bene e del male, perché avete cessato di riconoscere il vostro popolo... 175 sorge una nuova generazione, direttamente dal cuore del popolo, e non la riconoscete affatto... Sentite, procuratevi Dio col lavoro; tutto il senso sta qui, o scomparirete co- me una vile muffa; procuratevelo col lavoro» (Dostoevskij 1981, 258). Si tratta in definitiva di un’esperienza sociale, perché il lavoro consente di mi- gliorare il mondo, intanto costruendo relazioni ricche di prossimità centrata sulla concretezza, inoltre accrescendo il senso di comunità di un popolo che vive sullo stesso territorio e che condivide reazioni di servizio reciproco; infine perché assume un valore sociale in senso proprio, in quanto: «Risulta essere un fatto della ‘vita mo- rale’» (Donati 2001, 27), una dimensione complessa della vita sociale nel suo insieme, riferita sia alle persone sia alla stessa società. Per cogliere la valenza sociale del la- voro, basti pensare alla fissità per ripetitività delle relazioni e delle situazioni che ca- ratterizzano l’attuale epoca di elevata disoccupazione e di posti di lavoro sussidiati. «L’economia moderna, e con essa il senso del lavoro descritti dai classici (Marx, Durckeim, Weber), si rivela distruttiva delle relazioni individuali. Emerge il bisogno di una economia che sappia creare relazioni sociali. E per questo tipo di economia servono un’altra cultura e un’altra etica del lavoro» (Ivi). Il lavoro, inteso semplice- mente come occupazione, consuma relazioni sociali, ma non ne genera. La ricchezza vera si annida non nella produzione e nei compensi, ma nelle relazioni sociali stesse che il lavoro, da millenni, riesce a generare tra gli esseri umani. «In quanto riferimento simbolico, il lavoro è ricerca di senso. Lo si vede molto bene nei giovani, nei quali il lavoro ha soprattutto il valore di un coinvolgimento nella ricerca di significati esistenziali: la ricerca del primo lavoro significa fare la scelta di un impegno simbolico che possa – innanzitutto – offrire un senso umano. Le indagini empiriche rivelano, per esempio, come le nuove generazioni in Europa enfatizzino il distacco dal valore strumentale del mero profitto per mettere l’accento sui valori di un’intensa relazione umana con i colleghi di lavoro e/o con il cliente» (Ibidem, 177). In questo senso il lavoro consente di migliorare il mondo, rende la persona pro- tagonista di un’opera di umanizzazione. Basti pensare all’impegno, così rilevante nell’epoca attuale, volto alla preservazione del creato tramite un lavoro buono che sappia armonizzare i due ambienti naturale ed antropico. In definitiva, il passaggio d’epoca che stiamo vivendo prevede una nuova valo- rizzazione del lavoro, inteso come occasione di umanizzazione della società, di per- sonalizzazione delle relazioni (sia quelle dirette tra esseri umani sia quelle indirette, mediate dai prodotti del lavoro), di preservazione costruttiva degli equilibri naturali perseguita lungo la direzione di uno sviluppo innocente (che non nuoce). la condizione professionale Per poter svolgere un lavoro buono occorre innanzitutto conquistare l’accesso alla condizione professionale e quindi migliorarla continuamente. 176 La flessibilità rappresenta la condizione del lavoro maggiormente posta in luce dagli studiosi che spesso la legano alla precarietà, fino a farla coincidere con essa. In realtà, occorre distinguere bene i due fenomeni ed inoltre, per capire meglio il lavoro di oggi, serve comprendere in cosa consista la “condizione professionale” nel suo rapporto con il posto di lavoro e nella prospettiva della carriera. Infatti, nella situazione di un posto di lavoro flessibile, possiamo essere in pre- senza sia di lavoratori precari che non riescono mai a giungere a condizioni di quali- ficazione, sia di lavoratori professionali che possono cambiare spesso il posto, ma mantenere una carriera coerente dal punto di vista professionale. Nella situazione propria di un posto di lavoro rigido, invece, si possono trovare sia lavoratori che esprimono una professionalità significativa e che hanno sottoscritto con l’organizzazione un contratto di fidelizzazione tendenzialmente per tutta la vita, sia lavoratori protetti dal punto di vista giuridico-sindacale ma non dotati di competenza. Se guardiamo, invece, alla carriera, questa può essere flessibile se ci troviamo di fronte a lavoratori generici che – anche nella stessa impresa – passano da un lavoro all’altro senza entrare mai nella condizione della professionalità, mentre non vi pos- sono essere professionisti perché la condizione di chi possiede una vera e propria maestria distintiva è incompatibile con una carriera spezzettata ed incoerente propria di chi passa da un professione all’altra. Di conseguenza, la coppia flessibilità/rigidità non è in grado di spiegare la realtà del lavoro, mentre appare più rilevante la ripartizione del campo lavorativo sulla base del fenomeno della professionalità che segnala processi di competenza oppure di non qualificazione. Tutto ciò conferma la rilevanza della condizione professionale: il lavoro così co- me si manifesta nell’attuale società è svolto da persone in grado di animare la propria azione nel contesto economico e sociale globalizzato ed innovativo, collocandola in un ambiente carico di significati e di legami in cui la propria opera viene riconosciuta (Becker 1998, 112-116). Esse operano a partire da un bagaglio che deriva loro da un’esistenza da cui emergono interessi e passioni non esclusivamente riferite al- l’ambito del lavoro. Se è vero, come afferma Dewey, che ogni professione distintiva presenta caratteri simili a quelli del lavoro artistico: «uno deve avere esperienze, deve vivere, se la sua arte deve essere qualcosa di più di un risultato tecnico. Egli non può trovare l’argomento della sua attività artistica nella sua arte; questa deve es- sere un’espressione di quel che egli soffre e gode in altre relazioni, e questo dipende a sua volta dalla prontezza e dalla vivezza dei suoi interessi» (Dewey 2004, 341). Il quadro che ne risulta indica che siamo di fronte ad una concezione vitale e culturale del lavoro, dove il rapporto tra individuo, ruolo ed organizzazione si co- struisce sulla base di un’intesa che indica un legame di appartenenza culturale. Il contenuto prevalente del lavoro inteso in senso professionale consiste nel fronteggiare problemi ed opportunità in parte inediti e nel contempo nel ricostruire le procedure ed il proprio stesso ruolo lavorativo entro un contesto di relazioni di tipo cooperativo. Il lavoratore dotato di professionalità si impegna pertanto entro un percorso di 177 carriera che delinea non più uno stato, quanto una condizione sociale dinamica, o meglio fluida, segnata da passaggi critici, e nello stesso tempo tendenzialmente coerente in riferimento ai requisiti della professionalità: «una carriera è una specie di accumulo di capitale, sebbene con utili incerti» (Luhmann 2005, 246). L’elemento centrale che delinea l’accesso alla professione è costituito dall’espe- rienza appropriata di pratiche di lavoro o comunque dotate di valore abilitante reale; la possibilità di poter fruire di tale esperienza corrisponde all’opportunità di “entrare in pista” e poter dimostrare le proprie capacità di fronte ai vari attori che ricoprono il ruolo di “giudice”, esponenti della comunità professionale, committenti e clienti che hanno la possibilità di vedere il candidato in azione, oltre che di considerarne le pro- duzioni (Smith, Robertson 2003, 96-133). La dotazione di titoli di studio risulta un carattere forse necessario, ma non certo sufficiente, poiché il bagaglio formativo ri- chiesto appare anch’esso l’esito di un ricco processo di interazioni e di cooperazione entro una vera e propria “rete formativa”, ciò che mette in crisi molti modelli statici ed autoreferenziali di istruzione. La condizione professionale non rappresenta qualcosa di assimilabile alla con- dizione occupazionale tipica degli anni della seconda industrializzazione sostenuta dal welfare state, ma definisce una condizione in cui la persona è “imprenditore di se stesso” e ciò richiede una visione di ciò che si desidera ottenere, la capacità di elabo- rare e rielaborare un progetto coerente tenendo conto delle crisi e delle opportunità che via via si incontrano lungo il cammino. Ciò vale anche se il soggetto di cui si parla è posto in un rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato per conto di una grande impresa: la condizione di flessibilità e di fluidità vale per tutti e va fron- teggiata con una dotazione di capacità e competenze che consentono di accumulare maestria e prestigio professionale, utili per anticipare i momenti critici e per cogliere le opportunità quando si presentano. La condizione professionale così delineata costituisce pertanto l’oggetto di un impegno di ampio respiro che assorbe buona parte delle risorse della persona, in modo da governare l’incertezza e renderla il più possibile una risorsa che consente di accumulare capitale professionale e di poter svolgere esperienze qualificanti. Il lavoro professionale è una condizione fortemente desiderata dalla gran parte della popolazione, ma è segnato anche da fattori di rischio distinti in due categorie: quelli relativi alla fase di accesso e quelli che si manifestano lungo il percorso di carriera. I motivi di rischio che si pongono nella fase di accesso sono: – la povertà o l’inadeguatezza del capitale sociale e le discriminazioni per genere, razza e contesto territoriale di provenienza. Se le cerchie professionali si defini- scono anche a partire da fattori di comunanza territoriale, culturale, etnica ed an- che di genere, questi stessi fattori, quando sono mancanti, carenti o in contrasto con tali criteri, generano fenomeni di esclusione che possono agire anche nel senso di precludere, già a partire dalla formazione dell’identità e del progetto di vita della persona, talune professioni che pure, potenzialmente, possono essere coerenti con i requisiti del soggetto. 178 – La povertà della cultura in azione entro i processi di insegnamento tecnico e professionale. L’elemento cruciale per l’accesso ai ruoli professionali significativi è costituito dunque da processi acquisitivi, tra cui spicca fortemente la qualità dell’Istruzione e Formazione Professionale impartita. Consentono maggiori pos- sibilità di accesso quei percorsi formativi che hanno una più elevata valenza di “cultura in azione”, come nel caso dell’alternanza scuola lavoro la cui qualità è data dalla presenza di docenti riconosciuti nella cerchia professionale di riferi- mento, e quindi dalla possibilità per l’allievo di svolgere azioni compiute dotate di valore qualificante d’intesa con partner formativi (imprese ed associazioni) che godono di prestigio nello stesso ambito. Di contro, una cultura generica ed un sapere astratto, fatalmente distante dal contesto di vita professionale, unita- mente a modelli formativi duali che giustappongono teoria e pratica, finiscono per penalizzare i destinatari dei percorsi formativi e impediscono di mettere a frutto i loro talenti. – I processi di precarietà cronica che mantengono costantemente la persona in una condizione di pre-accesso al ruolo e che le impediscono di entrare nel pieno del- l’esercizio professionale, o che mantengono in uno stato di sospensione artificiale la sua esistenza riducendo così il legame necessario tra progetto di vita personale e lavoro. La precarietà cronica è una sorta di “finto accesso” che viene utilizzato dalle organizzazioni di lavoro (non solo le imprese, ma anche enti ed organismi vari, compresi quelli appartenenti al privato-sociale ed al mondo delle associa- zioni volontarie) al fine non solo di ridurre i costi, ma anche di evitare di appe- santire la struttura stessa e di mantenerla “disimpegnata” nei confronti dei propri collaboratori. Alcuni settori hanno fatto della precarietà una strategia stabile: si veda il caso emblematico dei call center come pure di molte delle attività che si svolgono mediante telelavoro: la povertà di relazioni e di legami riduce lo spazio di coinvolgimento della persona e impoverisce i processi di apprendimento. Ma vi è notevole precarietà anche nel mondo dell’insegnamento e della cultura, dell’informazione, dello spettacolo e della moda. Diversi studi professionali uti- lizzano giovani neodiplomati e neolaureati al fine di svolgere in modo stabile, tramite ricambio continuo di addetti, attività di lavoro routinario che non con- sentono alle persone di accedere al vero sapere professionale. I fattori di rischio che si riferiscono al percorso di carriera sono: – i processi di dequalificazione che impoveriscono il sapere riducendone l’attività a routine, così da venire fatalmente assorbiti dai processi tecnici automatizzati sia meccanici sia cognitivi. Alcuni lavori sono particolarmente soggetti alla de- qualificazione a causa delle innovazioni tecnologiche (automatizzazione degli impianti produttivi, inclusione in nuovi sistemi informatici di saperi svolti in precedenza dalle persone) come pure di innovazioni organizzative (destruttura- zione di reparti ed uffici a seguito di fusioni, delocalizzazioni ed esternalizzazioni oltre che di politiche di razionalizzazione basate su network partecipati da più imprese). 179 – L’iperspecializzazione che riduce il campo d’azione del lavoro entro un orizzonte limitato, così da provocare una perdita della prospettiva e quindi di possibilità di immaginazione e di esplorazione del possibile. L’eccesso di specializzazione influisce infatti sulla visione, una delle condizioni fondamentali della conoscenza compiuta, ed inoltre impoverisce l’insieme delle relazioni e dei repertori di cui il lavoratore è in possesso. – L’opacità organizzativa che si manifesta quando la persona presidia un ruolo scarsamente significativo poiché collocato entro un contesto esposto al pericolo dello stallo cognitivo. Le analisi relative alla learning organization ci hanno in- segnato che anche le organizzazioni presentano un potenziale di apprendimento che si definisce in base al fatto che si pongano al centro o nella periferia dei pro- cessi di innovazione. I ruoli “opachi” sono molto esposti nei momenti di crisi che possono riguardare l’organizzazione o la persona stessa, quando per vari mo- tivi venga meno la loro qualità professionale. ugualmente, può accadere che un ruolo venga impoverito a causa di pratiche di isolamento di cui il mobbing è una delle più diffuse, una tattica che tende a depauperare la professionalità della per- sona infliggendole una sorta di “esilio organizzativo” che ne svilisce il valore. – La mancanza di tutela e di sostegno a fronte delle crisi organizzative, economi- che, ma anche personali. Tale mancanza riguarda l’organizzazione che può pre- sentare un sistema inadeguato di cura delle risorse-persona, incapace di prevedere i fattori di crisi e di replicare ad essi tramite interventi di tutela relazionale, di preservazione del ruolo, di aiuto nella ricerca di una nuova collocazione sia al- l’interno sia all’esterno dell’organizzazione, di sostegno economico e di servizi. Ma riguarda anche la rete associativa e comunitaria che, quando si presenta po- vera di legami e di coinvolgimenti, finisce per lasciare l’individuo solo nel mo- mento della crisi. – Le resistenze personali verso le conoscenze sollecitate dall’esperienza: l’oppo- sizione nei confronti delle innovazioni, la limitazione del campo lavorativo ai compiti routinari, lasciando così fuori, assieme ai problemi, una quantità notevole di occasioni di apprendimento. Il rifiuto del coinvolgimento e la chiusura di fron- te all’apprendimento è una condizione di rischio professionale difficilmente ri- mediabile se non si affronta il cuore del problema, ovvero l’atteggiamento della persona ed il significato del lavoro entro il suo progetto di vita. La ricerca di una posizione lavorativa “comoda”, rigidamente scandita nel tempo e nello spazio costituisce un fattore critico, poiché l’individuo finisce per impedire a se stesso di coinvolgersi dissipandone la professionalità. Il momento decisivo, a fronte della crescita di lavori a base professionale, risulta essere quello dell’accesso, a cui segue la criticità relativa al mantenimento di un per- corso di carriera coerente, sapendosi muovere in modo appropriato entro le crisi e le opportunità che inevitabilmente si propongono nel corso della vita attiva. Perché possa mantenere una condizione professionale significativa e costante- mente attuale, la persona deve cercare di collocarsi nel centro del flusso dell’azione; 180 il lavoro decade nel momento in cui si impoverisce l’esperienza che rende possibile l’apprendimento, quando le sue attività diventano routinarie e si trasferiscono nei si- stemi tecnici, perde senso la sua collocazione nel contesto organizzativo e nella realtà esterna, si riferisce a prodotti e servizi non di qualità. Ciò apre uno spazio di decisione circa la carriera lavorativa che può prevedere anche – nelle condizioni indicate di dissipazione e di caduta di senso - il cambio del posto al fine di mantenere, ed incrementare, la condizione professionale. Il lavoratore competente è quindi un soggetto attivo dentro e fuori l’organizza- zione nella quale, nel momento specifico, svolge la sua professione. Egli persegue una strategia personale che trova coincidenza con quella dell’organizzazione nel mo- mento in cui il patto che li lega prevede una soddisfazione reciproca. Fa quindi parte del corredo del professionista anche la capacità di divenire continuamente lavoratori competenti, scegliendo percorsi formativi e processi di ingresso veramente qualifi- canti, impegnandosi entro comunità professionali che consentano il riconoscimento e l’accrescimento del proprio capitale sociale, privilegiando organizzazioni di lavoro che presentano una cultura consonante con il proprio progetto personale, verificando il valore delle esperienze sollecitate, aderendo ad un tratto di strada comune che pre- vede un pieno e generoso coinvolgimento, ma con l’attenzione a non cadere nelle condizioni che portano alla decadenza ed alla dissipazione del senso del proprio ca- pitale professionale. Anche le politiche del lavoro puntano all’attivazione e quindi al coinvolgimento della persona nel mercato del lavoro e delle professioni, piuttosto che dare vita a pratiche di mera assistenza. Il soggetto di riferimento è il potenziale del lavoratore piuttosto che un particolare posto di lavoro. Questo passaggio indica l’acquisizione di una visione positiva del lavoro e delle azioni che mira a sostenere il “potenziale di azione” da parte delle persone e delle organizzazioni; va ricordato infatti che il welfare passivo concepiva il lavoro come mera occupazione, fonte di reddito e di diritti, mentre le politiche di attivazione propongono l’idea del lavoro come opportunità data al soggetto umano di mettere in gioco le proprie risorse in modo da svolgere un servizio positivo per la società ot- tenendone un riconoscimento che vale sia in quanto reddito sia per il suo benessere inteso in senso lato. Le nuove politiche del lavoro mirano a conciliare lo sviluppo economico, la vita sociale e la promozione del lavoratore: tutti e tre questi fattori vanno tenuti in consi- derazione contemporaneamente evitando così di cadere in una prospettiva economi- cistica che non riconosce la giusta rilevanza umana e sociale del lavoro. Il cittadino è visto non solo e non tanto come un soggetto portatore di bisogni (concezione assistenzialistica), quanto e soprattutto come una persona ricca di po- tenzialità tali da renderla attivo socialmente, in grado di fornire il proprio contributo alla crescita generale rendendosi così utile agli altri ed acquisendo in tal modo con- siderazione sociale e quindi stima in se stessa. Il Parlamento europeo esorta a promuovere il diritto del lavoro collettivo come 181 uno dei mezzi per incrementare sia la flessibilità sia la sicurezza per lavoratori e datori di lavoro. La flexicurity è volta ad innalzare la produttività e la qualità del lavoro garantendo la sicurezza e nel contempo concedendo alle imprese la flessibilità necessaria per continuare a creare occupazione in risposta alle mutevoli esigenze del mercato. La seconda fase della flexicurity è orientata ad una migliore gestione delle tran - sizioni economiche, la lotta alla disoccupazione e l’aumento della produttività del lavoro; in questa prospettiva, viene attribuita notevole rilevanza alle politiche della formazione, con forte coinvolgimento delle istituzioni e delle parti sociali (Loy 2011). Nel momento in cui le politiche si orientano alle caratteristiche proprie della persona – motivazioni, disposizioni, competenze, progetto – e dei territori (intesi in senso economico), emerge in modo chiaro la rilevanza della formazione come strumento in grado di mobilitare i soggetti nella prospettiva di una loro piena parte- cipazione alla vita sociale tramite l’esercizio del lavoro. Mentre i vecchi programmi di welfare passivo finivano per creare una sotto-classe di cittadini assistiti – provo- cando anche a causa di questa impostazione una crisi fiscale degli Stati, visto che i sussidi finivano spesso per diventare permanenti – le nuove politiche evidenziano una visione positiva non solo del lavoro, ma anche della persona del cittadino e mettono in luce il primato della mobilitazione personale su quello della passività provvidenziale, facendo della formazione una leva decisiva di tale disegno. 183 Capitolo quarto Siate il meglio di qualunque cosa siate Se non puoi essere un pino sulla cima della collina, sii un arbusto nella valle ma sii il miglior piccolo arbusto sulla sponda del ruscello; sii un cespuglio, se non puoi essere un albero. Se non puoi essere un cespuglio, sii un ciuffo d’erba e rendi più bella una strada maestra; se non puoi essere un luccio, sii un pesce persico, ma il pesce persico più vivace del lago! Non possiamo essere tutti capitani, dobbiamo essere equipaggio, c’è qualcosa da fare per tutti qui, ci sono grandi compiti da svolgere e ce ne sono di più piccoli e il compito che devi svolgere tu è il più vicino a te. Se non puoi essere una strada maestra, sii un sentiero. Se non puoi essere il sole, sii una stella. Non è con le dimensioni che vinci o perdi sii il meglio di qualunque cosa tu sia. Douglas Malloch1 trovare la propria strada nella selva della distrazione e dello scetticismo Le difficoltà nel rapporto tra giovani e lavoro, a motivo delle quali una parte consistente della gioventù è tenuta sospesa sprecando i suoi talenti ed il suo tempo, si possono riassumere in due categorie: la desertificazione industriale e la predica- zione anti lavorativa. Per “desertificazione industriale” si intende quel processo che, specie nel Mez- zogiorno, conduce ad una condizione di decrescita economica per nulla “felice” visto che porta con sé l’aumento della disoccupazione, l’emigrazione, il calo dei consumi, il crollo del prodotto interno lordo. Tutto ciò a causa delle chiusure azien- dali che si susseguono oramai dall’inizio della crisi economica e che segnalano la fuoriuscita di quest’ampia parte dell’Italia dai comparti strategici dell’economia. Il Sud è oggi una terra a rischio desertificazione industriale e umana, dove si continua a emigrare, non fare figli e impoverirsi (Svimez 2015). 1 Be the best of whatever you are, trad. di N. Marini, https://seieditrice.com/le-pietre-bianche/ files/2010/04/se_non_puoi_essere.pdf 184 Oltre alle difficoltà strutturali legate alla mancanza di infrastrutture, al calo di investimenti, al problema dell’accesso al credito, alla mancanza di un sistema di Istruzione e Formazione Professionale all’altezza delle esigenze di un’economia globalizzata, occorre aggiungere l’influenza di una concezione anti industriale so- stenuta da chi ritiene che lo sviluppo possa reggersi senza una consistente presenza di aziende energetiche e manifatturiere capaci di esportazione sui diversi mercati del pianeta. Di conseguenza, risulta difficile per i giovani dell’era della crisi deci- dere quale strada intraprendere, specie in presenza di un’offerta formativa decisa- mente sbilanciata sul lato dei licei, come se le necessità occupazionali fossero con- centrate ancora nella pubblica amministrazione e nelle libere professioni a questa collegate. Gli effetti della predicazione anti lavorativa si sono fatti sentire nell’intero Paese, sostenuti da un mondo intellettuale che ha contribuito a tenere una parte rile- vante dei giovani in una posizione sospesa, lontani dal lavoro e con progetti poco coerenti con la realtà. Il tema del lavoro è entrato oramai da tempo nel comparto dei fenomeni da sottoporre a critica; a causa di un riflesso culturale spesso di deri- vazione ideologica, poco attento alla realtà concreta dell’economia e della società, si è diffusa tra i ceti politici ed intellettuali la profezia di sventura con il corredo di teorie catastrofiste e di confusi richiami ad un idilliaco mondo preindustriale. Nel contempo molte persone di cultura si prestano all’opera della “distrazione di massa”, contribuendo a rivestire i vari oggetti di consumo di forme estetiche, promesse e narrazioni che alludono alla felicità, ma che non fanno che alimentare il circuito dell’eccitazione e della noia, la forma moderna dell’infelicità che si tenta di mettere a tacere tramite l’agitazione continua e vana. una generazione di giovani lasciata sospesa, messa in condizione di non lavo- rare, di non poter fornire il proprio contributo costruttivo al vivere comune, è preda della vaghezza delle passioni che la espongono ad una grande varietà di stimoli a fronte di una estrema povertà di esperienze rivelative dell’io autentico e capaci di fondare legami consistenti e duraturi. In questa situazione, anche la prospettiva as- sistenzialistica del “reddito di cittadinanza” fa da paravento ad una mancanza di impegno affinché i giovani possano esperire occasioni di coinvolgimento attivo nella vita comune; si modella così un individuo esageratamente concentrato su di sé, patologicamente introspettivo, esposto a passioni apparecchiate in gran parte da altri, perennemente indignato ma in sostanza povero di partecipazione feconda nella vita sociale. Per questo i giovani si trovano oggi a fronteggiare un compito inedito rispetto al passato: trovare la propria strada nella selva della distrazione e dello scetticismo che spesse volte si ammanta di protezione, ma che finisce per impedire loro di mi- surarsi con la realtà e di assumere decisioni coraggiose. Essi hanno però dalla loro parte tre forze formidabili: l’età, il desiderio di cavarsela da sé e di segnare di sé il mondo. Ma per condurre a buon esito il loro compito devono scoprire il proprio io così da acquisire forza di vita. 185 Nella dinamica della società, vi sono tempi unitari e tempi disarticolati. Nel corso dei primi, le ragioni della vita sono tanto evidenti da essere date per scontate poiché tutti le riconoscono, ed ogni parte della comunità richiama un significato unificante. Nel corso dei tempi frammentati, l’opera umana risulta opaca di ragioni della vita e tende a rendersi infeconda, financo autodistruttiva. Le opere infeconde sono attività che risentono esclusivamente della ricerca di appagamenti di breve respiro, vissuti nell’esigenza di un eccesso di protezione nei confronti dell’ignoto e del non controllabile; queste provengono da una particolare disposizione d’animo che possiamo definire “sindrome del cielo vuoto” ed anche “incapacità di credere nel miracolo”, una sorta di miopia che impedisce di vedere il mistero all’opera. Nei tempi frammentati, la mancanza di riconoscenza per i doni ricevuti si traduce in un’incapacità esistenziale nel porsi nella disposizione propria dell’amore fraterno. Il cuore della tradizione occidentale propone un modo peculiare di rispondere alle tensioni dell’anima: il compimento dell’opera buona sollecitata dal desiderio originante della conoscenza (chi sono io? quale posto assumo nel mondo? come mi rapporto con gli altri?) che avviene nella forma del dono, del contributo originale all’edificazione dello spazio comune. Le opere feconde corrispondono al “lavoro buono” che è tale quando rende li- beri chi opera e chi si avvale del frutto dell’ingegno e della fatica umana. Esso ri- chiede la capacità di fare memoria ovvero di connettere il presente al passato per delineare il futuro, così da riconoscere il senso autentico delle cose ponendosi nel flusso della storia; inoltre, necessita della capacità di immettere nel lavoro qualcosa della propria anima dando stabilità, durata e valore ai prodotti-servizi offerti alla comunità. Per risvegliare le facoltà sopite dei giovani, occorre innanzitutto superare gli stereotipi dell’orientamento: – lo psicologismo ovvero l’idea che per decidere cosa voler fare, occorre fare riferimento a “ciò che si sente”, che in buona parte dei casi è l’esito di una presa limitata sul mondo e spesso di seconda mano, non frutto della propria personale esperienza bensì mediata dagli altri (i media, gli amici...); – l’idea del “rinvio buono” ovvero la tendenza a procrastinare continuamente le scelte riguardanti il progetto personale ed il lavoro mantenendo il giovane sospeso per tutti gli anni degli studi; – la mancata conoscenza delle dinamiche reali dell’economia e del lavoro, la permanenza degli stereotipi professionali della spersonalizzazione (mentre nelle organizzazioni innovative i ruoli sono disegnati sulle persone) e della precarietà (mentre la caratteristica prevalente del lavoro è la fluidità); – attribuire un valore predittivo al voto, quando questo esclude l’intelligenza delle mani, lo spirito di iniziativa e di intraprendenza, cui è connessa la classi- ficazione gerarchica ed un po’ razzista dei percorsi, così che al vertice ci sareb- bero i licei, poi i tecnici, poi i professionali e poi... l’inferno. 186 Il compito decisivo dell’educazione consiste in queste due mete: riconoscere per cosa si è portati, vale a dire le proprie attitudini, ma anche a cosa si è chiamati, cioè la propria vocazione; trovare un legame sensibile ed operoso, orientato all’azione, tra sé ed il mondo. Questo riconoscimento e questa scoperta non sono primariamente il risultato di un’operazione concettuale, ma l’esito di un’esperienza, e precisamente di una presa di- retta sul reale che si svolge nella forma di un incontro nei contesti in cui si esercitano attivamente le facoltà umane. Serve quindi fornire ai giovani un’esperienza del reale ampliata, sotto forma di in- contri con testimoni, visite in contesti di lavoro, implicazione in attività compiute in cui la cultura è vista come sintesi di sapere propositivo, scoperta della realtà, memoria del passato, novità personale e riconoscenza dei destinatari. Scoprire negli eventi speciali la propria vocazione L’idea secondo cui le decisioni importanti per la propria vita – tra cui quella rife- rita al lavoro che si intende svolgere – sono oggetto di un’operazione meramente intel- lettiva di natura economicistica, che consiste nel soppesare e confrontare i vantaggi e gli svantaggi delle varie opzioni possibili, rappresenta un immiserimento della condi- zione umana e non a caso ha prodotto negli anni della piaga della disoccupazione gio- vanile una quantità di informazioni, di mostre e di fiere la cui numerosità è inversa- mente proporzionale alla loro efficacia. Al contrario, buona parte delle vicende decisive della vita risultano dalla riflessione che compiamo in base ad esperienze che risaltano nella massa degli accadimenti della nostra esistenza: si tratta di eventi speciali che ci consentono di vivere un rapporto pe- culiare tra il nostro mondo interiore, con gli altri e la realtà in cui siamo immersi. Se noi dovessimo studiare la scelta orientativa come un qualsiasi fenomeno psi- chico, ad esempio l’acquisto di uno smartphone, sicuramente scopriremmo che essa è analizzabile in base a specifiche angolature: le funzionalità, le preferenze dettate dalla moda, il prezzo, il condizionamento del gruppo di appartenenza, ma non coglieremmo la sua precisa realtà come accade invece con lo sguardo umano. È tale la prospettiva – la “scala” – che consente alla persona di cogliere nella sua vita il fattore originario ed irriducibile che rivela la vocazione personale. La modalità attraverso cui la persona coglie la propria vocazione è l’esperienza della corrispondenza, che consegue da incontri che illuminano, in forza delle passioni che trasmettono e della visione che aprono. Ciò richiede coraggio, coinvolgimento pieno e capacità di gestire i momenti di disorientamento e sofferenza. Nel romanzo Cerco lavoroMauro Sottili spiega bene come la scoperta della voca- zione attraversi necessariamente per l’apprendista Gino una fase di buio, illuminata da un incontro con Ettore, titolare di una piccola azienda, che si pone nella sua vicenda come uno di quei miracoli che possono davvero accadere. Come fa un uomo a non costruire? Sono già due settimane che sono al lavoro. Sono il precario dei precari, non solo perché mi hanno assunto per un anno a tempo determinato, ma anche perché sono in periodo di prova per un mese. Me l’hanno spiegato bene quando mi hanno fatto firmare la lettera di assun- zione: in questo mese ognuna delle parti può mollare tutto subito, anche senza nessun motivo. Non penso che l’ipotesi sia riferita a me. Io di sicuro non posso andarmene, almeno per ri- spetto ai miei genitori, con la fatica e la fortuna che ho avuto a trovare un posto di lavoro di questi tempi. Che motivo avrei per andarmene? È più facile che sia il vecchietto a rompersi di me e a darmi un bel calcio e tutti a casa, cioè, io a casa. Dopo l’iniziale entusiasmo mi sembra di essere piombato in un vicolo cieco. Sono consa- pevole di non saper fare granché. Tutta la mia forza per cercare di mettermi in mostra e di conquistarmi quel posto di lavoro sembra sia andata un po’ scemando. Forse lo scemo sono proprio io. Pensavo di aver toccato il cielo con un dito solo per aver trovato un posto di lavoro, e poi? Poi tutto come prima, la solita routine di tutti i giorni. Alzarsi alla stessa ora, colazione, auto, la- voro, pranzo, lavoro, cena. Ecco, forse è la sera che cambia qualcosa. Posso uscire con gli amici o, qualche volta, con la mia ragazza. Mi sembra che un po’ di sollazzo ci voglia dopo una giornata passata così, non so come dire. Non è la fatica, non è il trambusto del lavoro, non so nemmeno io che cosa sia. Io sono lì, ma aspetto altro, aspetto sempre qualcosa d’altro, aspetto la sera. Sem- pre il dopo. Questo mi rende il lavoro più pesante di quello che sia in realtà. Ogni tanto mi accorgo di perdermi nei miei pensieri. Sto lì davanti a un foglio, biro in bocca, tutto preso dalla gran pensata che sembra stia studiando la soluzione al problema di organizzare la composizione di tutti i pezzi del robot del vecchietto, e invece penso a che cosa fare la sera, mi vengono in mente i miei amici, mi viene in mente il mio professore, come organizzare le vacanze, l’automobile che mi piacerebbe. Tutto che vaga nella mia mente. Nessuno può entrare lì. Così posso fare quello che voglio. Nemmeno il vecchietto o la mamma: lì è un territorio tutto mio. Nessuno può entrarci. Tocca solo a me decidere chi fare entrare e chi lasciare fuori. A volte mi sembra di essere più libero seguendo i miei pensieri, rincorrendo il dopo, avendo sempre qualcosa da fare o da organizzare, qualcosa che mi scosti da quello che ho sotto le mani. Non che abbia qualche particolare motivo per non lavorare o qualche anti- patia per le persone che sono al lavoro. Anzi, devo dire la verità, mi sembra di godere pro- prio di un grande credito da parte dei colleghi. Oggi sto progettando il mio week-end con Chiara da un’oretta e, a un certo punto, mi passa vicino il vecchietto, mi mette una mano sulla spalla e con un tono molto tranquillo, mo- strando una cura che potevo riscontrare solo nel tono con cui mia madre veniva a portarmi la merenda mentre studiavo, mi dice: «Ciao Gino, come va?». Subito, quasi rientrando nel mio ruolo, mi riprendo. «Molto bene, signore, grazie». E lui subito si mette a ridere della mia risposta così formale. «Come, signore? Chiamami Ettore, dammi pure del tu, dobbiamo lavorare insieme, non perdiamoci troppo con queste formalità. Ascolta, finito l’orario di lavoro, passa nel mio ufficio, voglio parlarti di una que- stione, se puoi». «Certo, signor Ettore, passo alle diciotto, va bene?» Va bene, ti aspetto». Nonostante il suo tono conciliante e amicale, ho il timore che si stia preparando una grande tirata di orecchie. Chissà perché questa sensazione, forse è quello che farei io al suo posto. Se nemmeno io sono molto soddisfatto di me stesso, come possono esserlo gli altri? Come può esserlo il mio capo? ➔ 187 188 Sono arrivate le diciotto. Entro nell’ufficio del capo con una certa riverenza, come per prepa- rarmi a un match importante. «Ah, Gino, bravo, sei stato puntuale, grazie per essere venuto». «Di che voleva parlarmi, signor Ettore?» «Ti ho detto di non chiamarmi signore». «Non riesco, è più forte di me». «Va bene, allora vada pure per il “signor Ettore”. Ascolta, Gino, volevo parlarti di una faccenda importante, molto importante, cioè di te. È già un po’ di tempo che sei qui al lavoro, hai avuto il tempo di conoscere l’ambiente e le persone, ma forse mancano ancora due punti molto importanti. Primo, non conosci ancora bene quale sarà il tuo lavoro vero e proprio, quello per cui ti ho chiamato a lavorare con me; secondo, non ci siamo ancora conosciuti». «È vero, signor Ettore, in questi giorni mi sento come un pesce fuor d’acqua, cerco di guar- darmi intorno, di capire chi sono le persone che ci sono qui, come fanno il loro mestiere. Cerco di conoscere quello che c’è e com’è organizzata l’azienda. In quanto a lei, vedo che è molto in- daffarato sia in ufficio che nell’officina. Io vorrei parlarle, ma mi sembra di disturbare». «È vero, Gino, quello che dici. Però dobbiamo darci un passo diverso». «Che vuol dire?» «Vuol dire che tutto questo poteva andare bene per i primi giorni, per un periodo di cono- scenza del posto, un approccio iniziale. Non avrai pensato che il tuo lavoro fosse tutto qui?» «In effetti, è quello che mi stavo chiedendo. Per che cosa mi ha assunto?» «Vedi, Gino, questa fabbrica da più di quarant’anni sta costruendo delle normali cabine di ver- niciatura. Sono quarant’anni che facciamo lo stesso prodotto. I nostri venditori girano per ven- dere le cabine, raccolgono gli ordini, qui li raggruppiamo per tipologia, ordiniamo i materiali e i componenti, mandiamo in officina i pezzi da produrre, li assembliamo, li impacchettiamo e li consegniamo. E un ciclo che dura tre mesi. E così via: tutto si ripete da quarant’anni. Per fare questo lavoro non mi serve nessun altro. Sì, se qualcuno va via o va in pensione mi serve sosti- tuirlo, ma ormai è tutto qua. Tutto si ripete ormai da quarant’anni». «Beh, tutto sommato potrebbe essere contento di questo» ho detto, così per far vedere che c’ero anch’io nella discussione. «Sì, è vero, ma adesso non mi basta più». «Perché?» «Perché ho un sogno e devo fare i conti con questo mio sogno, non basta più quello che avevo o facevo prima. Devo ricominciare tutto da capo, come quando da piccolo mio padre mi met- teva davanti a quattro pezzi di ferro con delle viti e dei bulloni e diceva: “Ecco, costruisci”. E io non sapevo nemmeno da dove cominciare, però mi piaceva provare, tentare. Ero io che fa- cevo, mi ingegnavo, mi sembrava di alzarmi di un metro. Ero come un operaio della fabbrica di mio papà. Da lì ho iniziato a sentirmi un uomo, non perché usavo le cose dei grandi o fa- cevo le cose dei grandi, ma perché c’ero io, c’ero io a provare, a conoscere, a tentare. Senza di me c’erano solo dei pezzi di ferro. Che grande impresa è costruire! È una possibilità che ho sempre sentito come grande e buona, fatta a misura per l’uomo. Pensa, Gino: le cattedrali, il campanile di Giotto, le città, le strade, i ponti, i treni, le macchine. Come fa un uomo a non costruire, a non voler dare forma su questa terra alla sua genialità, ai suoi desideri, alla sua espressività? Siccome desidera vivere, vivendo si esprime, ricerca, scopre, osserva e inventa, capisce, studia, progetta. Gino, queste parole che ti ho detto adesso, tienile. Tienile tutte. Adesso è tardi, devo andare dalla mia bambina a casa, mi aspetta. Domani mattina riprendiamo il discorso. Ciao, Gino, spero di non averti annoiato». «No, signor Ettore, ci vediamo domattina, mi chiami quando vuole». (Mauro Sottili 2012) 189 È lo stesso autore a spiegare in senso del romanzo in un’intervista in cui si ri- volge direttamente ai giovani: «È giusto fare di tutto per cercare un lavoro. Spesso facendo tutto il possibile si fanno anche cose di cui si sa già che l’esito è irraggiun- gibile. Forse tutti si aspettano il miracolo. Forse anche questo è sintomo di un umano vivo. Io spero che questo modo, spesso poco obiettivo di misurarsi e farsi conoscere, non sia l’unica frontiera della ricerca. Bisogna stare attaccati a qualcuno che possa sostenere. I giovani hanno bisogno di avere qualcuno a cui guardare con speranza, hanno bisogno di vedere esperienze umane belle e vere. Anche in questo mondo del lavoro fatto spesso di squali e gente pronta ad annegarti per emergere esiste un umano bello da vedere, esistono vite intraprendenti, geniali e contente. un uomo contento del suo lavoro è la cosa più bella da incontrare»2. Egli nell’ultima frase dell’intervista svela il segreto del cercare lavoro: «Tut- tavia ho imparato nella mia vita che la cosa importante è essere sempre pronti a guardare con interesse e curiosità quello che si incontra. E così certi del bene che la vita può portare, si sfalda quella paura che spesso impedisce di investire sulle idee, su qualche prospettiva nuova, su un’intuizione. Non è di un particolare mestiere che ha bisogno la società, che sia manuale, tecnico, scientifico, ecc. Quello che serve è questa effervescenza umana che fa lievitare la vita e perciò il lavoro, che è quella circostanza ordinaria e inevitabile di tutti»3. Ogni persona si attende un’occasione per essere coinvolta in qualcosa che abbia valore. Il lavoro possiede davvero questa possibilità: realizzare opere con lo stesso onore dei tanti che hanno saputo edificare le cattedrali! Perché, come af- ferma Primo Levi: «Per vivere contenti bisogna per forza avere qualche cosa da fare; oppure qualche cosa da desiderare, ma non un desiderio così per aria, qualche cosa che uno abbia la speranza di arrivarci» (Levi 2012, 146). Gli eventi speciali sono veri e propri stati di grazia che suscitano dentro di noi una “effervescenza umana che fa lievitare la vita”. Se il lavoro è un mettersi all’o- pera, non è precisamente il dovere che regge l’azione, e neppure l’adattamento alle condizioni dell’ambiente, ma una forza che deriva da stati speciali che segnano in modo sensibile il legame tra la singolarità della nostra vita e la realtà. una spinta a realizzare ciò che è imprevisto, che esprime un sovrappiù di vita. L’uomo postmo- derno non difetta tanto sul dovere, quanto sul sentire. Quindi l’orientamento ri- chiede la possibilità di svolgere esperienze che sappiano replicare al difetto di ten- sione della vita, che immettano energie vitali nella vicenda personale. Nell’azione compiuta di natura generativa, la differenza la fa l’energia, quel legame sensibile tra il mondo interiore e la realtà che è la caratteristica di persone 2 http://www.aleagostini.com/cerco-lavoro-libro-mauro-sottili-17092012.html 3 Ibidem. 190 volitive e coraggiose. La scoperta della propria vocazione è strettamente legata all’incontro con persone toccate dalla grazia, che tramite il lavoro esprimono il loro amore per la vita, e che nell’insegnarlo ai giovani manifestano la riconoscenza per i doni ricevuti. Tra le esperienze da compiere al fine di mettere alla prova le proprie capacità, un ruolo rilevante è da assegnare al lavoro manuale, una chiave indispensabile al fine di conoscere se stessi, mettersi alla prova in attività che, muovendosi verso scopi utili e richiedendo una specifica disciplina, aiutano a scoprire la propria anima, a sanarne le sofferenze ed a gustare il piacere del fare bene le cose. Il lavoro manuale come medicina dell’anima Quanti di noi sarebbero capaci di rimediare a un piccolo guasto in casa propria, si tratti di un semplice elettrodomestico o di un lavello? Quanti sarebbero in grado di riparare la pro- pria automobile o, molto più banalmente, la bicicletta senza dover ricorrere a un meccanico o a qualcuno che, a pagamento, lo faccia per noi? Non sono passate neppure due generazioni e, incredibile a dirsi, quello che per i nostri nonni o per i nostri genitori era del tutto ovvio, è diventato per noi quasi impensabile: pren- dersi cura degli oggetti quotidiani, dedicarvi del tempo, sporcarsi magari le mani di grasso, ma ripararli da sé. Le attività pratiche, ormai ai margini del sistema scolastico, negli ultimi decenni hanno de- cisamente smesso di accendere la nostra fantasia. Ci siamo convinti che i cosiddetti “lavori di concetto” siano più gratificanti sul piano sociale e intellettuale. Non è quasi mai vero, e Matthew Crawford, un filosofo che ha preso la bizzarra decisione di abbandonare il suo ben remunerato lavoro in un centro di studi politici di Washington per fare il meccanico di motociclette, capovolge proprio questa idea: l’evoluzione del lavoro d’ufficio, in realtà, ha trasformato i “colletti bianchi” in un esercito di frustrati esecutori di direttive altrui. E, soprattutto, li ha privati della possibilità di toccare con mano i benefici concreti della propria attività. All’opposto, i mestieri manuali, come ci mostra Crawford con il racconto della sua strava- gante storia personale, offrono spazi di libertà e appagamento del tutto dimenticati da molti di noi. Anche sul piano intellettuale: riparare una motocicletta, per esempio, richiede una profonda conoscenza degli oggetti che si hanno tra le mani e nello stesso tempo un finis- simo intuito, una spiccata capacità di “riconoscere modelli”, di ricondurre la specificità di ogni caso a situazioni tipiche. Dedicarsi a un lavoro manuale significa rispondere a criteri di valutazione oggettivi, condivisi da tutti coloro che praticano lo stesso mestiere. Significa vivere in uno stato di responsabilità personale nei confronti degli oggetti che ci circondano. E soprattutto significa stare dentro una “comunità di utilizzo”, in cui i rapporti personali esistono ancora. Se tutto questo non bastasse, Crawford ci mostra perché riparare le cose con le proprie mani ci spinge a un consumo più consapevole, ci rende padroni di quello che possediamo, e non schiavi di una tecnologia nascosta e oscura, e ci conduce a una relazione migliore con il nostro ambiente. Insomma, ci fa stare meglio. Il lavoro manuale è un’ottima medicina per l’anima: l’umanità prima di noi lo ha sempre saputo, è ora di riscoprirlo. (Matthew Crawford, Il lavoro manuale come medicina dell’anima, http://www.anobii.com/books/Il_lavoro_manuale_come_medicina_dell’anima/ 9788804596486/01adc8e4393b46e328) 191 La questione del lavoro manuale è un tema di notevole rilevanza generazio- nale; la sua mancanza nella vita quotidiana di molti giovani indica un impoveri- mento della consegna del corredo di saperi offerti da parte del mondo adulto e ri- vela una grave limitazione dell’arco delle esperienze che consentono loro di portare a termine il compito più importante della loro età: capire per cosa si è portati e im- pegnarsi concretamente nella ricerca di occasioni per potere mettere in opera i loro talenti. Il “prendersi cura degli oggetti quotidiani, dedicarvi del tempo, sporcarsi ma- gari le mani di grasso, ma ripararli da sé”, sono tutte occasioni indispensabili che consentono di entrare in rapporto con la realtà quotidiana, misurare le proprie capa- cità, provare il gusto di cavarsela da sé. E operando con gli oggetti, offrire alla loro anima esperienze di compimento e consolazione. C’è spazio per tutti i talenti L’economia e la sociologia del lavoro non sono ancora venute a capo del mi- stero della varietà dei lavori, della loro distribuzione tra la popolazione. Resiste an- cora lo stereotipo del “mercato del lavoro” come entità omogenea dominata dalla legge della domanda e dell’offerta, costituita da un numero di posti definito rispetto ai quali le persone competono. Le crisi economiche hanno mostrato da un lato il carattere distruttivo delle cadute cicliche dell’economia, ma hanno anche posto in luce la varietà di caratteristiche e condizioni che spiegano la capacità di resilienza di individui e comunità, oltre alla comparsa di nuovi lavori. Così, in uno stesso sce- nario critico possiamo trovare disoccupati che non sono in grado di mettere in gioco alcuna risorsa ed altri che invece reinventano la propria vicenda lavorativa facendo leva su competenze acquisite nel tempo libero come nel caso di ex profes- sionisti e dirigenti che hanno aperto agriturismi, servizi per l’organizzazione di eventi, attività di tutoraggio formativo... Si può dire che – per molti versi – i mercati del lavoro e delle professioni hanno acquisito da qualche tempo un carattere fluido, quasi caotico, e che accanto alle variabili economiche sono divenute decisive quelle personali, specialmente la passione e la competenza, la capacità di mettersi in gioco e di prendere l’iniziativa, ma anche doti tradizionalmente considerate artistiche come l’inventiva grazie alla quale si formano nuovi eventi e si mostrano nuovi scenari, l’immaginazione che consente di trasmettere le energie della passione, infine l’assennatezza che sceglie dalla vita ciò che è necessario per lo scopo del momento, separando l’essenza delle cose dai fatti concomitanti, così da conquistare e comunicare una visione più vigo- rosa della realtà (Bloom 2008, 213). Anthony Giddens parla a questo proposito di “mondo della post-scarsità” in- tendendo con questa espressione un tipo di sviluppo che non contrappone più la produttività e la vita, ma consente di svolgere lavori, con la necessaria creazione di 192 ricchezza, che recuperano e riscoprono modi di vita che le istituzioni moderne tendono a distruggere e reprimere. È il caso dell’agricoltura e della conservazione del territorio, ma anche delle nuove forme di vita comunitaria con i servizi indispensabili allo scopo di conservare i legami parentali e sociali, come pure delle forme di tutela ed assistenza legate ai rischi delle malattie e delle invalidità. Cercare lavoro comporta anche la capacità di reinventare la tradizione, di unire la risposta al bisogno con un modo di vita dotata di senso pieno così da poter vivere una vita soddisfacente e felice (Giddens 2011, 216-223). Quando indica la propensione delle persone a non mettere da parte i dilemmi morali che l’esistenza pone loro – negare se stessi al fine di accumulare ricchezza oppure vivere felici in una condizione di vita più frugale ma più autentica – questo autore fa riferimento soprattutto al settore informale ed al mondo non profit, ma esiste un identico movimento anche nel contesto profit nel quale si coglie una ten- denza alla ricerca di una relazione significativa tra lavoro e vita personale, sulla base di una tensione morale legata ad una rinnovata concezione del cittadino come soggetto impegnato nello sviluppo sostenibile e nell’umanizzazione della realtà. Il focus di tale concezione sta nel superamento della barriera tra lavoro e vita, e precisamente nell’immettere nell’attività lavorativa tutto il corredo di qualità spiri- tuali e morali di cui siamo dotati: la simpatia e comprensione dei bisogni e delle esigenze degli altri, la sensibilità nei confronti della natura, l’apertura verso nuove possibilità, l’assunzione del rischio, la capacità di resistere alle avversità e di go- dere dei successi. In tal modo, il lavoro assume il carattere della vita attiva, segnata da moventi e valori consistenti, avvertiti in modo sensibile e condivisi con le altre persone con cui si condivide l’opera. Anche in questo ambito si scopre che non è del tutto vero che il lavoro esiste in forme e modi già stabiliti a cui noi dobbiamo semplicemente adattarci, ma che siamo noi a cercare e a creare il lavoro, immettendo nell’attività parte della nostra anima e personalizzandone il corso. In linea generale, le attività lavorative sono classificate nelle tre seguenti grandi aggregazioni, distinte dalla natura dell’opera e dal modo in cui l’attore vi si impegna: – Lavorare per la natura: agricoltura, allevamento e pastorizia, tutela dell’am- biente. – Produrre artefatti: edilizia, industria e artigianato, elettricità ed elettronica, mezzi di locomozione e trasporto, agroindustriale, logistica e trasporti, tessile e moda. – Fornire servizi: commercio e marketing, amministrazione, turistici ed alber- ghieri, servizi alla persona ed alla comunità, educazione e cultura. Ma esistono anche strani lavori, alcuni dei quali risultano ad un primo impatto improbabili, ma che rivelano comunque l’incontro fondamentale tra talenti e bisogni4. 4 http://www.panorama.it/societa/i-10-lavori-piu-strani-del-mondo/#gallery-0=slide-1 193 degli strani lavori Il tester (di fazzoletti, di profumi, di sapori…) Se siete in possesso di un naso molto sensibile agli odori, questo è il lavoro che fa per voi. Sembra una follia, eppure c’è gente pagata per analizzare il profumo (o eventuale puzza) dei fazzoletti prima che vengano immessi sul mercato. Il controllore di qualità Controllo qualità patitine fritte. Questo è il lavoro giusto per i golosi. Fare l’addetto al con- trollo qualità delle patatine fritte in busta significa assaggiarle per capire se sono della giusta croccantezza e scartare quelle troppo bruciacchiate. In America il salario annuale è di 35mila dollari. Lo scrittore di biglietti Scrittore di biglietti per biscotti della fortuna. Se il vostro talento è la scrittura, ma il mondo del giornalismo è già saturo, allora potreste proporvi come autori dei biglietti contenuti nei famosi biscotti della fortuna cinesi. È un compito di grande responsabilità: avere in mano le sorti di una persona non è da tutti. Addetto alla sicurezza delle noci di cocco È il lavoro perfetto per chi vuole stare tutto l’anno in vacanza in un luogo paradisiaco. Questa figura è incaricata di rimuovere dalle palme dei resort caraibici le noci di cocco troppo pesanti, che rischiano di cadere sui clienti ferendoli gravemente. Trasportatori di iceberg Gli amanti del freddo e del mare potranno proporsi all’International Ice Patrol (IIP), una pattuglia speciale che ha il compito di monitorare gli spostamenti degli iceberg per preve- nire incidenti con imbarcazioni. In caso di pericolo, si occupa di trasportare i blocchi di ghiaccio lontano dalle rotte con alzaie e funi di traino. La stranezza di questi lavori risiede soprattutto nel fatto che confliggono con gli stereotipi professionali di cui siamo spesso infarciti e che muovono la nostra ri- cerca. Essi mettono in luce l’ampiezza e la non riproducibilità delle facoltà umane, la sensibilità nei confronti dei bisogni degli altri, la capacità di iniziativa e di re- plica all’imprevisto che nessun automa potrà mai proporre. Esistono financo lavori, come ci ricorda Albert Einstein, dove può accadere che lo sprovveduto superi in inventiva gli esperti “ufficiali”. einstein: vivere la propria vita come un miracolo Ogni cosa che puoi immaginare, la natura l’ha già creata. In principio era previsto che diventassi ingegnere, ma il pensiero di dover spendere la mia energia creativa su cose che rendono ancora più raffinata la vita pratica di ogni giorno, con la deprimente prospettiva di una rendita da capitale come obiettivo, mi era insopportabile. Pensare per il piacere di pensare, come per la musica. Non sono i frutti della ricerca scientifica che elevano un uomo ed arricchiscono la sua natura, ma la necessità di capire e il lavoro intellettuale. Cosa dovrei dire riguardo al lavoro di una vita di Bach? Ascoltalo, suonalo, amalo, adoralo e stai zitto! Ciò che veramente mi interessa è se Dio avesse potuto fare il mondo in una maniera differente, cioè se la necessità di semplicità logica lasci qualche libertà. ➔ 194 Ci sono solo due modi di vivere la propria vita: uno come se niente fosse un miracolo; l’altro come se tutto fosse un miracolo. Lo studio e la ricerca della verità e della bellezza rappresentano una sfera di attività in cui è per- messo di rimanere bambini per tutta la vita. Chiunque sia veramente impegnato nel lavoro scientifico si convince che le leggi della natura manifestano l’esistenza di uno spirito immensamente superiore a quello dell’uomo, e di fronte al quale noi, con le nostre modeste facoltà, dobbiamo essere umili. Chi non ammette l’insondabile mistero non può essere neanche uno scienziato. Tutti sanno che una cosa è impossibile da realizzare, finché arriva uno sprovveduto che non lo sa e la inventa. http://www.bertok.info/wp-content/uploads/2011/01/albert-einstein_aforismi.pdf Wilhelm Röpke ci insegna che una società è giusta quando le attività economiche s’integrano nel contesto culturale e morale, riconoscendo il ruolo determinante dell’indi- viduo, fonte di ogni iniziativa e quindi pienamente partecipe della dinamica dello sviluppo della società. La sua prospettiva antropologica considera come un orribile peccato degra- dare l’uomo a semplice strumento; di conseguenza, l’inclusione sociale può avvenire solo sul terreno del riconoscimento a partecipare al momento strategico, a quello decisionale e a quello operativo, elementi distinti ma convergenti che fanno di un aggregato sociale una società civile solidale, poliarchica e sussidiaria. Per questa ragione, Röpke ci ricorda quanto sia necessario operare quotidianamente per liberare i poveri dalle “catene della povertà”, ossia da quella selva di impedimenti di natura giuridica, politica, economica e culturale che costringe una parte della società a essere relegata ai margini del contesto civile con un ruolo tanto residuale e umiliante, quello dei clientes che giocano il ruolo di elettori occa- sionali e imperterriti consumatori (Röpke 2000). Motore dell’economia sono le forze sociali, generative di valore, che originano dal desiderio degli uomini di realizzare la vita a cui, ragionevolmente, attribuiscono valore, e che imprimono il giusto movimento al mondo, accrescendo la pluralità e quindi la ric- chezza delle culture e la novità che ciascuno porta con sé ed aprendosi all’imprevisto come occasione di bene. In questa prospettiva, il lavoro costituisce una componente fondamentale dell’etica civile e il suo esercizio consente di formare un cittadino pienamente coinvolto nelle vicende della comunità cui appartiene, tramite il suo contributo originale e fecondo. La sua mancanza priva l’individuo di una potente possibilità di realizzazione di sé e la comunità di un contributo essenziale per il suo corretto sviluppo. la scuola per il lavoro La crisi ci ha risvegliati dal duplice torpore: la rassegnazione alla decrescita nei territori della “desertificazione industriale” e la “condizione signorile”5 che vagheggia 5 Espressione che indica: «una società in cui un vasto ceto medio si è abituato a standard di vita che è sempre meno in grado di mantenere» (RICOLFI 2014, 162). 195 la possibilità di vivere senza lavorare. Il lavoro non è solo un’occasione di autonomia economica, ma anche un’esperienza in grado di stabilizzare l’io distratto e schiavo dei propri capricci, e di impegnare la persona in un legame sociale riconosciuto e gratificante. L’offuscamento del valore del lavoro è un fenomeno culturale che ha investito la nostra società negli ultimi decenni, al quale hanno concorso tutte le principali correnti culturali: da quella marxista che alla prospettiva originaria del “lavoro liberato” ha preferito quella del “salario minimo garantito” pur senza lavoro, a quella liberale che ha enfatizzato essenzialmente la componente economica del salario dimenticando il valore antropologico e culturale del lavoro ed il gusto – l’onore! – del “lavoro ben fat- to”, fino anche a quella cattolica che ha rivolto l’attenzione quasi esclusivamente al settore del non profit, come se l’azione economica profit fosse di per sé segnata ine- sorabilmente dal disvalore. La crisi possiede un segno provvidenziale poiché ripropone la questione del lavoro come componente fondamentale di una società giusta e di una vita autentica. Non in- teso solo come occupazione che consente al lavoratore di poter disporre di un reddito tramite il quale far fronte alle necessità personali e della famiglia, acquistare beni e servizi e frequentare luoghi ritenuti esteticamente conformi al suo bisogno di rico- noscimento, ma soprattutto come legame sociale rilevante per realizzare il proprio progetto di vita, mettendo a frutto talenti e competenze in modo da fornire un contri- buto positivo alla società e perseguire un continuo perfezionamento della propria realtà personale. I sistemi educativi delle società “signorili” sono sottoposti a tre tensioni: contrastare l’iperrealtà, inserire positivamente i giovani nel reale, formare persone attive, in grado di assumere compiti e risolvere problemi significativi in modo efficace e personale. Si pone in definitiva una questione educativa: in che modo insegnare la “vita buona” alle giovani generazioni, rendendole partecipi e attive della tradizione viva? La risposta a questo interrogativo passa per il rilancio del valore dell’educazione al lavoro. L’educazione al lavoro acquisisce oggi un significato nuovo: fornire agli adole- scenti ed ai giovani l’opportunità per rendere consistente il proprio io, riscattandolo dalla vana agitazione dell’identità mediatica ed ancorandolo in una relazione sociale costruttiva e feconda. Liberato dalla schiavitù della routine, prerogativa dei sistemi automatizzati, l’es- sere umano ha la possibilità di infondere nelle cose che fa, qualcosa della propria ani- ma. Ma si trova di fronte il percolo del disincantamento, che porta a fare le cose senza scopi grandi, per sopravvivere, o farle per vendere (marketing) oppure perdersi nella generica e vacua biografia soggettiva. Il lavoro è buono se rende liberi chi opera e chi si avvale del frutto del nostro in- gegno/della nostra fatica. Non si lavora in senso umano se si è preda dell’inquietudine o della dissipazione. Il lavoro buono si alimenta di esperienze che siano “tempi fecondi dell’anima”: l’amicizia, l’amore, la poesia, il rapporto con la natura, la religione, l’ar- te... Trovando ciò che soddisfa l’animo, si è umani anche nell’operare. 196 Ma il lavoro ispira anche la metodologia per la formazione della gioventù: imparare lavorando – utilizzando il più possibile la formula del laboratorio – è la chiave dell’incontro dei giovani con la cultura viva. Nelle società sviluppate i giovani mostrano disinteresse per la cultura scolastica perché da un lato questa è divenuta inerte e quindi insignificante («Cosa hai fatto a scuola?» «Nulla!»), e dall’altro sono attratti dalla vera proposta educativa del nostro tempo, vacua e dissipativa che chiede loro di vivere perennemente sospesi nell’iperrealtà. una proposta educativa autenticamente umana adatta al nostro tempo si pone l’obiettivo di inserire positivamente i giovani nella realtà, così che realizzando opere dotate di valore possano entrare in un rapporto autentico con il mondo, cono- scere se stessi e avvalorare l’apporto di chi ha contribuito a rendere grande la no- stra tradizione. Occorre sostituire lo studente, colui che studia, con l’allievo, colui che impara dal maestro. La chiave del rinnovamento didattico sta nel fare della scuola un laboratorio per la scoperta del sapere ed il servizio alla comunità, così da restituire alla cultura la sua vitalità (Nicoli 2014). L’Italia ha avuto una splendida tradizione di “scuola professionale” o “scuola del lavoro”. Agli albori dell’industrializzazione, vi è stata una forte iniziativa del mondo cattolico, specie attraverso le scuole professionali realizzate da don Bosco e dai Salesiani; accanto a questa, sono state realizzate le prime scuole di fabbrica ri- volte agli apprendisti; si è anche espressa in questo campo un’iniziativa di tradi- zione socialista umanistica: l’umanitaria di Milano con annessa la Scuola del libro; infine, hanno avuto origine le Scuole di incoraggiamento arti e mestieri sulla cui scia si sono poi innestati istituti tecnici e università politecniche. Tutto l’ambito della formazione e dell’istruzione tecnica e professionale nasce per spinta dal basso, come risposta ai problemi ed alle necessità del tempo, sull’ini- ziativa di santi, educatori, benefattori ed uomini di impresa. Si mobilitano le “forze educative” della società, specie nelle fasi di crisi sociale. Vi sono permanenze della “scuola di bottega” medioevale. Successivamente, con gli Anni ‘60 (introduzione della scuola media unica), il vasto mondo dell’educazione al lavoro viene inglobato nello Stato, divenendo il comparto minore del sistema dell’istruzione destinato ai figli del popolo. Col tempo si moltiplicano le discipline teoriche, si riducono i laboratori, gli insegna- menti risultano spezzettati in “canne d’organo”, astrusi ed inerti. La statalizzazione delle scuole tecniche e professionali ha portato ad esiti deleteri: – l’uso “riempitivo” del comparto professionale, utilizzato come serbatoio nel quale far confluire i figli del popolo spinti ad acquisire un “titolo di studio” come segno di affrancamento ed elevazione sociale; – il distacco dal mondo del lavoro e dell’impresa come esito della politicizza- zione del ceto degli insegnanti; l’autoreferenzialità che ha portato la scuola a scelte centrate sul personale piuttosto che su una proposta esigente ed accatti- vante da fornire agli studenti; la cultura dell’istruzione che ha visto lo studio perlopiù come “riempimento” delle teste; la diffusione di una mentalità da 197 pubblico impiego che ha introdotto tra gli insegnanti un atteggiamento impie- gatizio e “mercenario”. Da qui la necessità di una svolta realista che, sia pure tra numerose difficoltà e ostacoli, inizia a porre alcune basi necessarie per un cambio del paradigma metodo- logico della scuola, al cui centro vi è l’idea della centralità del laboratorio come ambiente in cui i giovani possano scoprire il sapere, un luogo “prossimo” alla fonte della conoscenza compiuta. Si assiste all’intensificazione del “tono” d’azione delle scuole le quali si pre- murano di sollecitare la partecipazione attiva dei propri studenti entro “cantieri d’o- pera” in situazione, rivolti esplicitamente, tramite l’appercezione viva della cultura, a dare risposte significative e valide alle problematiche, esigenze ed opportunità presenti nel contesto reale. Ciò accade ad ogni livello e con varie forme: l’alter- nanza scuola lavoro, la fabbrica-laboratorio (FabLab) ed i laboratori territoriali per l’occupabilità aperti anche in orario extrascolastico per essere vere e proprie pale- stre di innovazione e incubatori di idee, i laboratori riguardanti vari ambiti del sa- pere gestiti tramite unità di apprendimento interdisciplinari, riferiti a progetti ed a varie forme di cooperazione educativa entro la comunità sociale, gli scambi ed i concorsi, i workshop ed eventi, fino anche a modalità di valutazione “competenti” tramite prove esperte e capolavori. L’alternanza rappresenta il modello più diffuso per l’educazione al lavoro dei giovani, quello che apre meglio la strada nel contesto economico. Non è più intesa come un’appendice “pratica” dell’attività, ma una componente fondamentale del cur- ricolo, il principale strumento per scuotere una parte consistente della gioventù dallo stato di sospensione agitata che ne dissipa le facoltà umane. È un diritto, connesso al- l’offerta delle migliori opportunità per inserirsi positivamente nel reale. Di ciò ne be- neficiano tutti, scuole, imprese e comunità, perché una generazione sospesa significa interruzione del flusso della civiltà. È una metodologia che mira a formare persone in grado di affrontare in modo consapevole e attivo le responsabilità della vita adulta, consente di integrare attività presso la scuola, docenza frontale, esercitazione, ricerca, progetto, ed attività esterne sotto forma di visite, ricerche, compiti reali, in base ad una vera e propria alleanza educativa territoriale tra scuola, CFP ed imprese. In tal modo si persegue una formazione efficace e si colloca l’attività formativa entro situa- zioni di apprendimento inserite nella cultura reale della società. Ciò che accade nell’azione non è un fatto esclusivamente “pratico”, ma pos- siede una valenza pienamente culturale, il «gesto completo» è la forma privilegiata dell’umano conoscere. Intellettualismo ed operativismo sono due modi inadeguati della conoscenza, e procurano danni simmetrici. L’incontro tra scuola e impresa rappresenta un cantiere culturale di grande valore per dare vita ad un paradigma realistico di accesso al sapere: «Luogo unitario e continuo di pensiero e azione, di fatto e valore, e persino di fisica e metafisica» (Maddalena 2014). Anche l’apprendistato costituisce una modalità interessante per l’educazione al lavoro dei giovani: è un vero e proprio contratto di lavoro con valenza mista, opera- 198 tiva e formativa. Alcune esperienze sono già attive in Italia, ma ci si attende una loro maggiore diffusione nell’immediato futuro. In sostanza, è in atto un movimento per rendere sempre più reale ed attiva l’e- sperienza del sapere, in forza del quale le scuole perseguono una configurazione sempre meno neutra ed isolata e sempre più connotata da un servizio alla comunità, così che ciò che accade al loro interno possa avere valore di “opera compiuta” e non solo di “istruzione”. L’educazione al lavoro si svolge in ambiti che presentino i seguenti capisaldi: – contesti formativi in cui la comunità degli insegnanti è esempio di una presa di posizione nei confronti del mondo che si propone agli allievi come “vita buona”, la cui eloquenza risiede nella coerenza ai principi di un’etica professionale orien- tata al bene comune; – un curricolo nel quale i compiti di realtà segnalano i passi del cammino di cre- scita della persona, in quanto novizio che entra a far parte di una comunità cultu- rale, cui viene chiesto di mobilitare le proprie prerogative umane a fronte di una varietà ordinata di occasioni di apprendimento e di crescita (insegnamenti, in- contri, compiti, eventi...) così da percorrere un itinerario personale di conoscenze compiute; – una pedagogia centrata sul binomio allievo-maestro come fonte di conoscenza autentica, di una simpatia affettuosa ed esigente, mossa da una passione convinta e duratura, in grado di suscitare emulazione e superamento; – un’offerta formativa che sia il risultato dell’alleanza tra la scuola del lavoro e forze positive del territorio, ed anche oltre esso, in modo da fornire ai giovani le migliori occasioni di confronto, sfida, cimento, realizzazione di opere dense di “saperi agiti”; – una disponibilità di occasioni di presentazione pubblica e di promozione dei ca- polavori prodotti dagli allievi, di modo che ciascuno possa perseguire l’eccel- lenza intesa come la migliore valorizzazione delle proprie potenzialità e proporli come evidenza della propria preparazione e del proprio valore, anche in vista dell’inserimento lavorativo. Insegnare a lavorare rappresenta sia lo scopo riservato ad una porzione limitata di scuole dal carattere prettamente professionale sia la missione di ogni proposta edu- cativa che proponga ai giovani una cultura viva e che ne metta in moto le capacità ed i talenti entro un contesto reale. Il lavoro è il modo in cui l’essere umano si scuote dal pericolo della labilità dell’io ed afferma la propria originalità a favore degli altri, edificando un’opera compiuta, por- tatrice di valore e quindi di un significato riconosciuto dagli altri, che lascia un segno nel corso della civiltà, edifica lo spazio comune, provoca commozione. Tramite esperienze di apprendimento reale i giovani scoprono di appartenere ad una storia comune, nella contemporaneità con i grandi – ed i piccoli – del passato, nel mentre si impegnano con i propri talenti nel rendere migliore il mondo, fornire il pro- prio prezioso contributo affinché altre persone possano perfezionare la propria vita. 199 A cosa servono i giovani A cosa servono i giovani nella società e nel lavoro? Sembrerebbe questa una domanda assurda ed insieme banale, tanto appare scontata. Ma è invece assoluta- mente attuale ed anche drammatica: dobbiamo infatti chiederci quali conseguenze portano il calo demografico e l’invecchiamento della popolazione sullo spirito del nostro tempo, lo stato dell’anima “comune”, e sul tipo di città che si va configu- rando. una popolazione con molti anziani e pochi giovani una parte consistente dei quali è lasciata sospesa in attività vane o inerti, tende ad avere una visione preoccu- pata del futuro, propende per la lamentazione, presenta una percezione del tempo decisamente rivolta al presente ed eccessivamente preoccupata circa il futuro. Si dice che i vecchi non piantano alberi, e l’immagine dell’albero è sempre legata a quella della speranza e della saldezza. Come in una famiglia, la nascita di un figlio aumenta di molti decenni la vi- sione del tempo dei genitori, che non assumono più la propria vita biologica come misura del proprio agire, ma includono ad essa quella del figlio, così anche la so- cietà e l’economia hanno un bisogno esiziale dell’apporto delle giovani generazioni per pensare il futuro. I giovani portano con sé un dono ancora più prezioso, ovvero l’entusiasmo pe- culiare della loro età. L’etimologia della parola entusiasmo deriva dal greco enthū- siasmós: “en” dentro, “thèos” dio, cioè “con Dio dentro di sé”. Giovinezza significa apertura positiva verso il tempo a venire, generosità nell’opera del metter radici e rendere vivibile il mondo, decidersi per scopi grandi a cui valga dedicare la propria vita. Ecco il pensiero di George Bernanos, un autore profetico che ha vissuto il dramma terribile della guerra civile spagnola e, con l’accordo di Monaco del 1938, lo scandaloso cedimento degli stati democratici europei al nazismo ed al suo pro- gramma eugenetico. la febbre della giovinezza «Ad ascoltarvi, talvolta verrebbe fatto di pensare alla giovinezza come a una crisi malaugu- ratamente inevitabile, a una prova da superare. E il vostro aspetto è di chi veglia sulle sue complicazioni, con il termometro in mano, quasi che si trattasse di scarlattina o di morbillo. Appena la temperatura s’abbassa, tirate un sospiro di sollievo, come se il malato si trovasse fuori pericolo, mentre il più delle volte egli non fa che collocarsi tra i mediocri, i quali tra loro si giudicano uomini seri, o pratici, o dignitosi. Ahimè, è la febbre della giovinezza che mantiene il resto del mondo a temperatura nor- male! Quando la giovinezza si raffredda, il resto del mondo batte i denti». (Georges Bernanos, 1992, 214-5) Edward Wilson, fondatore della sociobiologia e della biodiversità, ha da poco scritto in Half Earth una proposta secondo lui indispensabile per evitare la sesta 200 estinzione: mettere da parte metà del pianeta e farne un parco naturale senza esseri umani. «Dopo tutto, è la diffusione dell’umanità che ha accelerato i tassi di estin- zione e l’attività umana è la forza trainante della estinzione di massa in corso, una minaccia per la biodiversità uguale alla potenza distruttiva dell’asteroide Chicxulub che ha spazzato via il settanta per cento delle specie milioni di anni fa». Il biologo Paul Ehrlic che scrisse nel 1968 la Bomba demografica, ha suggerito di tassare i prodotti per l’infanzia: «Culle, pannolini, giocattoli, cibo per bambini». Vuole ren- dere più accessibili l’aborto e: «Impianti corporei obbligatori che impedirebbero alle coppie di avere figli»6. Se si avvereranno i programmi dei sostenitori della decivilizzazione, la nostra civiltà ossessionata dalle idee catastrofiste vedrà inaridirsi le proprie fonti vitali, tenendosi ben stretti tutti i nostri beni. È davvero un pensiero bizzarro quello che sostiene l’incompatibilità tra rispetto della natura e promozione dell’umanità, come sapeva Garcia Lorca secondo cui un uomo deve fare almeno tre cose nella vita per vivere in modo pieno e dignitoso: piantare un albero, educare un figlio, scrivere un libro. Il cammino della civiltà non si è interrotto, semmai occorre qualificarne il ca- rattere autenticamente umano, la capacità innata di imparare, conservare, trasmet- tere e trasformare la cultura (Mead, 1958) e con essa la capacità di lavorare intesa come un’amicizia civica tesa ad alleviare e migliorare la condizione umana attra- verso l’opera di tutti. È la conquista della polis così come l’ha definita Aristotele: partecipazione alla felicità, vita secondo una scelta ponderata, vita in vista delle belle azioni. Il lavoro pone una questione antropologica di fondo: superare, come dice Hannah Arendt, il progetto del rapporto a sé che ci rende tutti individui indistinti, ugualmente confusi nella generale ricerca dell’autorealizzazione con i mezzi dell’e- stetica dei consumi. «È nella natura del cominciamento che di nuovo possa iniziare senza che possiamo preve- derlo in base ad accadimenti precedenti.(...) Il nuovo si verifica sempre contro la tendenza prevalente delle leggi statistiche e della loro probabilità, che a tutti gli effetti pratici e quo- tidiani corrisponde alla certezza; il nuovo appare sempre alla stregua di un miracolo. Il fatto che l’uomo sia capace di azione significa che da lui ci si può attendere l’inatteso, che è in grado di compiere ciò che è infinitamente improbabile. E ciò è possibile solo perché ogni uomo è unico e con la nascita di ciascuno viene al mondo qualcosa di nuovo nella sua unicità». (Hannah Arendt 1999, 129) 6 In G. MEOTTI, “DECIVILIZZAZIONE. Il padre della biodiversità Wilson vuole depopolare il pianeta. Il millenarismo dei razzisti verdi”, Il Foglio, 3 marzo 2016. 201 La dissipazione delle forze dell’anima cui conduce il progetto del “rapporto a sé” si supera facendo leva sull’unicità e preziosità dell’esistenza individuale e della sua destinazione, e sul sapersi mettere in azione, generando un nuovo ricominciamento. Compito dei giovani è offrire il loro dono al mondo perché possa rimanere umano, procedere oltre l’epoca della sospensione della storia. In particolare, la presenza attiva dei giovani nell’impresa comporta tre impor- tanti benefici: – porta entusiasmo e calore a chi vi lavora, amplia la loro prospettiva temporale ed accende la speranza per il futuro: non a caso le imprese più innovative sono anche quelle con la più bassa età media dei collaboratori; – consente l’incontro fecondo ed anche il naturale ricambio tra le generazioni, vista anche l’elevata età media dell’attuale classe lavoratrice; – rende possibile la successione di impresa, tenuto conto che oggi due su tre fal- liscono non per mancanza di ordini o per inadeguatezza dei prodotti/servizi, ma per mancanza di eredi naturali degli imprenditori. Il fattore umano rappresenta davvero l’elemento critico per l’impresa ed il la- voro. Cominciano a diffondersi segnali di imprese che sono in difficoltà per la mancanza di forze giovani nel territorio di riferimento. È nell’interesse del sistema economico, e dell’intera società, favorire l’inseri- mento lavorativo dei giovani: ciò impone di attribuire la giusta rilevanza ai “fattori sensibili” della comunicazione intergenerazionale: – porre entro una relazione virtuosa i talenti dei giovani con il mondo delle im- prese e delle professioni; si tratta dello stile della formazione, un modo di inten- dere l’azione educativa fondato sull’imparare facendo, lo spirito di comunità, il rapporto allievo-maestro, il cimento personale e la pedagogia del successo; – valorizzare le vocazioni economiche territoriali, tramite il legame tra soggetti economici ed organismi formativi “generativi” che creano valore tramite la formazione delle persone e successivamente le coinvolgono nel processo for- mativo come partner dell’alternanza, esperti, docenti; – introdurre innovazione nelle imprese tramite i giovani secondo le tre modalità descritte: portare entusiasmo, sostituire i lavoratori anziani, consentire una suc- cessione tramite la consegna del testimone dell’intrapresa a persone che ne condividono lo spirito e la storia. Ma non basta la necessità per motivare un’azione di tal genere, occorre muo- vere dallo spirito generativo, che a sua volta rivela l’amore della vita. Apertura ai giovani, legame tra lavoro e vita, ricerca della felicità, edificazione della città, sono tutte azioni che corrispondono al movimento del risveglio, di cui abbiamo estremo bisogno per scuoterci dal sonno e dallo scetticismo. L’opera umana, per essere buona, necessita di ancoramenti nella terra e nel cielo: la città si edifica sulla pienezza dell’anima. 202 Il ricominciamento accade quando si smette di origliare la vita degli altri e si cerca di svolgere la propria vita originale, di prima mano, e di scoprirne la fecon- dità per gli altri e per sé; quando si smette di coltivare pensieri infecondi distraen- dosi con immagini di vite non proprie. Il lavoro è il modo in cui l’essere umano si toglie dal pericolo della dissol- venza del suo io ed afferma la propria individualità a favore degli altri, comuni- cando (e scoprendo) la propria unicità individuale, la propria storia singola ed irri- petibile entro un’opera che lascia un segno nel corso della civiltà. Ciò accade quando si appartiene ad una storia comune, nella contemporaneità con i grandi – ed i piccoli – del passato, nel mentre ci si impegna con le proprie “forze di vita” a ren- dere migliore il mondo. Charles péguy profeta di ventura «La natura e l’umanità, che è parte della natura, hanno delle risorse infinite, per il bene, per il male essendo altre, e nuove, e ancora sconosciute. [...] Le nostre forze di conoscenza non sono niente in confronto con le nostre forze di vita e con le nostre risorse segrete, essendo, d’altronde, queste forze di conoscenza nient’altro che noi mentre le nostre forze di vita sono più di noi; [...] le nostre conoscenze non sono niente rispetto alla realtà conoscibile e, molto di più, forse, rispetto alla realtà inconoscibile [...]. Resta immensamente da fare e noi non ne vedremo molto di fatto e, dopo di noi, forse mai se ne vedrà la fine; il vecchio adagio antico, secondo il quale noi non conosciamo noi stessi, non soltanto è restato vero nei tempi moderni, e sarà senza dubbio vero per molto tempo ancora, se pure non resterà vero sempre, ma ogni giorno riceve delle nuove e più profonde verifiche, impreviste dagli antichi, inattese, perpetuamente nuove. Noi siamo impegnati in un’azione immensa e di cui non vediamo il termine, e forse non ha termine! Quest’azione ci riserverà tutte le sorprese; tutto è grande, inesauribile; il mondo è vasto; e più ancora il mondo del tempo; la madre natura è infinitamente feconda; il mondo ha molte risorse, più di noi; [...] non dobbiamo fare altro che lavorare modestamente; bisogna osservare bene, bisogna agire bene e non credere che si ingannerà, né si fermerà il grande avvenimento». (Charles Péguy 2015, 93-94). 203 Bibliografia ACCORNERO A. (1980) Il lavoro come ideologia, Il Mulino, Bologna. ACCORNERO A. (1997), Era il secolo del Lavoro, Il Mulino, Bologna. ADAMS H. (1964), L’educazione di Henri Adams, Adelphi, Milano. ALBERTI L. B. (2010), L’arte del costruire, Bollati Boringhieri, Torino. ALESSANDRINI G., BuCCOLO M. (2010), Comunità di pratica e pedagogia del lavoro, un nuovo cantiere per un lavoro a misura umana, Pensa MultiMedia Editore, Lecce. ARCHER M. S. (2006), La conversazione interiore. Come nasce l’agire sociale, Erickson, Trento. ARENDT H. (1999), Vita Activa. 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.................................................................................... 18 La spinta della vocazione ..................................................................................................................................... 19 Il potere come dominio, influenza e fama .......................................................................................... 21 La regola del servizio ............................................................................................................................................................. 24 La forza mistica che anima il lavoro ...................................................................................................................... 26 Capitolo secondo: Il lAvORO nellA StORIA.......................................................................................................................................... 29 Il lavoro presso i popoli primitivi ............................................................................................................................... 29 Quando non c’era il “lavoro” .......................................................................................................................... 29 Troglodita a chi? ............................................................................................................................................................. 30 L’anima sociale e le abilità nei popoli primitivi: il villaggio ......................................... 33 Un balzo sorprendente ............................................................................................................................................. 36 Il lavoro nell’antica Grecia ................................................................................................................................................ 38 La vera vita degna è quella del filosofo ................................................................................................ 38 I pochi (aristocratici) ed i molti (schiavi) ............................................................................................. 40 Il lavoro nella Roma antica .............................................................................................................................................. 41 Un cittadino pubblico e privato ....................................................................................................................... 41 Roma è un movimento di espansione ed inclusione .................................................................... 43 Saggezza e laboriosità ............................................................................................................................................... 46 Ambizione e avarizia ................................................................................................................................................... 48 Il lavoro nel medioevo............................................................................................................................................................ 50 Le due città .......................................................................................................................................................................... 50 L’artigiano medioevale e le corporazioni ............................................................................................. 51 Apprendista a bottega ................................................................................................................................................ 54 Lavoro e religione ........................................................................................................................................................ 55 Nella città medioevale la somiglianza con Dio ............................................................................... 57 Verso la supremazia dei commercianti ..................................................................................................... 59 L’umanesimo civile ..................................................................................................................................................... 62 210 Il lavoro nella modernità ...................................................................................................................................................... 64 Potenza delle macchine ............................................................................................................................................ 64 Il lavoro libera dalle pene dello spirito ................................................................................................. 68 Il meccanicismo e l’anima automatica ................................................................................................... 70 La critica dell’uomo alienato............................................................................................................................. 73 Le opere sociali e le scuole del lavoro ..................................................................................................... 77 La democrazia del lavoro....................................................................................................................................... 81 L’industria della distruzione: la guerra moderna ........................................................................ 83 L’industria della distrazione: il consumismo ................................................................................... 88 I dilemmi del nostro tempo................................................................................................................................................ 91 Fine o metamorfosi del lavoro ........................................................................................................................ 92 Estetica dei consumi o etica del lavoro rinnovata ....................................................................... 97 Ideologia della precauzione o avventura gioiosa.......................................................................... 110 Diventare Dei o servire l’uomo concreto ............................................................................................... 116 Vivere senza lavorare o lavorare per essere vivi .......................................................................... 121 Capitolo terzo: Il lAvORO buOnO nell’epOCA del RISveglIO ................................................................ 139 L’epoca del risveglio ................................................................................................................................................................ 139 Il lavoro ben fatto: il ritorno dell’artigiano ....................................................................................................... 145 La conoscenza compiuta....................................................................................................................................................... 152 La bellezza dell’opera ............................................................................................................................................................. 157 Il territorio come spazio comune ................................................................................................................................. 163 Il lavoro buono e le sue virtù........................................................................................................................................... 169 Fatto a regola d’arte ................................................................................................................................................. 170 Affidabile e sicuro .......................................................................................................................................................... 170 Duraturo................................................................................................................................................................................... 171 Provocazione ....................................................................................................................................................................... 171 Provvisorietà........................................................................................................................................................................ 172 Distacco .................................................................................................................................................................................... 172 La condizione professionale ............................................................................................................................................. 175 Capitolo quarto: SIAte Il MeglIO dI quAlunque COSA SIAte......................................................................... 183 Trovare la propria strada nella selva della distrazione e dello scetticismo....................... 183 Scoprire negli eventi speciali la propria vocazione ................................................................................ 186 C’è spazio per tutti i talenti ............................................................................................................................................. 191 La scuola per il lavoro .......................................................................................................................................................... 194 A cosa servono i giovani ...................................................................................................................................................... 199 bIblIOgRAfIA............................................................................................................................................................................................ 203 211 Pubblicazioni­nella­collana­del­CnoS-FAP­e­del­CIoFS/FP “StudI,­ProgettI,­eSPerIenze Per unA nuovA FormAzIone ProFeSSIonAle” ISSN 1972-3032 tutti­i­volumi­della­collana­sono­consultabili­in­formato­digitale­sul­sito­biblioteca.cnos-fap.it Sezione­“Studi” 2002 MAlIzIA G. - NIcolI D. - PIeroNI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimenta- zione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto finale, 2002 2003 MAlIzIA G. - PIeroNI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto sul follow-up, 2003 2004 cNoS-FAP (a cura di), Gli editoriali di “Rassegna CNOS” 1996-2004. Il servizio di don Stefano Colombo in un periodo di riforme, 2004 MAlIzIA G. (coord.) - ANtoNIettI D. - toNINI M. (a cura di), Le parole chiave della forma- zione professionale, 2004 rutA G., Etica della persona e del lavoro, 2004 2005 D’AGoStINo S. - MAScIo G. - NIcolI D., Monitoraggio delle politiche regionali in tema di istruzione e formazione professionale, 2005 PIeroNI V. - MAlIzIA G. (a cura di), Percorsi/progetti formativi “destrutturati”. Linee guida per l’inclusione socio-lavorativa di giovani svantaggiati, 2005 2006 NIcolI D. - MAlIzIA G. - PIeroNI V., Monitoraggio delle sperimentazioni dei nuovi percorsi di istruzione e formazione professionale nell’anno formativo 2004-2005, 2006 2007 colASANto M. - loDIGIANI r. (a cura di), Il ruolo della formazione in un sistema di welfare attivo, 2007 DoNAtI c. - BelleSI l., Giovani e percorsi professionalizzanti: un gap da colmare? Rapporto finale, 2007 MAlIzIA G. (coord.) - ANtoNIettI D. - toNINI M. (a cura di), Le parole chiave della forma- zione professionale. II edizione, 2007 MAlIzIA G. - PIeroNI V., Le sperimentazioni del diritto-dovere nei CFP del CNOS-FAP e del CIOFS/FP della Sicilia. Rapporto di ricerca, 2007 MAlIzIA G. - PIeroNI V., Le sperimentazioni del diritto-dovere nei CFP del CNOS-FAP e del CIOFS/FP del Lazio. Rapporto di ricerca, 2007 MAlIzIA G. et alii, Diritto-dovere all’istruzione e alla formazione e anagrafe formativa. Problemi e prospettive, 2007 MAlIzIA G. et alii, Stili di vita di allievi/e dei percorsi formativi del diritto-dovere, 2007 NIcolI D. - FrANchINI r., L’educazione degli adolescenti e dei giovani. Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2007 NIcolI D., La rete formativa nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP, 2007 Pellerey M., Processi formativi e dimensione spirituale e morale della persona. Dare senso e prospettiva al proprio impegno nell’apprendere lungo tutto l’arco della vita, 2007 rutA G., Etica della persona e del lavoro, ristampa 2007 2008 colASANto M. (a cura di), Il punto sulla formazione professionale in Italia in rapporto agli obiettivi di Lisbona, 2008 DoNAtI c. - BelleSI l., Ma davvero la formazione professionale non serve più? Indagine conoscitiva sul mondo imprenditoriale, 2008 MAlIzIA G., Politiche educative di istruzione e di formazione. La dimensione internazionale, 2008 212 MAlIzIA G. - PIeroNI V., Follow-up della transizione al lavoro degli allievi/e dei percorsi triennali sperimentali di IeFP, 2008 Pellerey M., Studio sull’intera filiera formativa professionalizzante alla luce delle strategie di Lisbona a partire dalla formazione superiore non accademica. Rapporto finale, 2008 2009 GherGo F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1977, vol. 1, 2009 2010 DoNAtI c. - l. BelleSI, Verso una prospettiva di lungo periodo per il sistema della forma- zione professionale. Il ruolo della rete formativa. Rapporto finale, 2010 NIcolI D., I sistemi di istruzione e formazione professionale (VET) in Europa, 2010 PIeroNI V. - SANtoS FerMINo A., La valigia del “migrante”. Per viaggiare a Cosmopolis, 2010 Prellezo J.M., Scuole Professionali Salesiane. Momenti della loro storia (1853-1953), 2010 roSSI G. (a cura di), Don Bosco, i Salesiani, l’Italia in 150 anni di storia, 2010 2011 roSSI G. (a cura di), “Fare gli italiani” con l’educazione. L’apporto di don Bosco e dei Sale- siani, in 150 anni di storia, 2011 GherGo F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1997, vol. 2 2012 MAlIzIA G., Sociologia dell’istruzione e della formazione. Una introduzione, 2012 NIcolI D., Rubriche delle competenze per i Diplomi professionali IeFP. Con linea guida per la progettazione formativa, 2012 MAlIzIA G. - PIeroNI V., L’inserimento dei giovani qualificati nella FPI a.f. 2009-10, 2012 cNoS-FAP (a cura di), Cultura associativa e Federazione CNOS-FAP. Storia e attualità, 2012 2013 curottI A.G., Il ruolo della Formazione Professionale Salesiana da don Bosco alle sfide attuali, 2013 Pellerey M. - GrząDzIel D. - MArGottINI M. - ePIFANI F. - ottoNe e., Imparare a dirigere se stessi. Progettazione e realizzazione di una guida e di uno strumento informatico per favorire l’autovalutazione e lo sviluppo delle proprie competenze strategiche nello studio e nel lavoro, 2013 DoNAtI c. - BelleSI l., Osservatorio sugli ITS e sulla costituzione di Poli tecnico-professio- nali. Alcuni casi di studio delle aree Meccanica, Mobilità e Logistica, Grafica e Multi- medialità, 2013 GherGo F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1997, vol. 3, 2013 tAccoNI G. - MeJIA GoMez G., Success Stories. Quando è la Formazione Professionale a fare la differenza, 2013 Prellezo J.M., Scuole Professionali Salesiane. Momenti della loro storia (1853-1953), 2013 2014 orlANDo V., Per una nuova Formazione Professionale dei Salesiani d’Italia. Indagine tra gli allievi dei Centri di Formazione Professionale, 2014 DoNAtI c. - BelleSI l., Osservatorio sugli ITS e sulla costituzione di Poli tecnico-professio- nali. Approfondimento qualitativo sugli esiti occupazionali, 2014 DorDIt l., OCSE PISA 2012. Rapporto sulla Formazione Professionale in Italia, 2014 DorDIt l., La valutazione interna ed esterna dei CFP e il nuovo sistema nazionale di valuta- zione, 2014 2015 Pellerey M., La valorizzazione delle tecnologie mobili nella pratica gestionale e didattica dell’Istruzione e Formazione a livello di secondo ciclo. Indagine teorico-empirica. Rap- porto finale, 2015 AllullI G., Dalla Strategia di Lisbona a Europa 2020, 2015 NIcolI D., Come i giovani del lavoro apprezzano la cultura. Formare e valutare saperi e competenze degli assi culturali nella Formazione Professionale, 2015 cNoS-FAP (a cura di), Educazione e inclusione sociale: modelli, esperienze e nuove vie per la IeFP, 2015 213 cNoS-FAP (a cura di), L’impresa didattica/formativa: verso nuove forme di organizzazione dei CFP. Stimoli per la federazione CNOS-FAP, 2015 cNoS-FAP (a cura di), Il ruolo della IeFP nella formazione all’imprenditorialità: approcci, esperienze e indicazioni di policy, 2015 cNoS-FAP (a cura di), Modelli e strumenti per la formazione dei nuovi referenti dell’autova- lutazione delle istituzioni formative nella IeFP, 2015 MAlIzIA G. - PIccINI M.P. - cIcAtellI S., La Formazione in servizio dei formatori del CNOS- FAP. Lo stato dell’arte e le prospettive, 2015 MAlIzIA G. - toNINI M., Organizzazione della scuola e del CFP. Una introduzione, 2015 2016 DoNAtI c. - BelleSI l., I fabbisogni formativi e professionali del settore Grafico. Rapporto finale, 2016 AllullI G., From the Lisbon strategy to Europe 2020, 2016. Sezione­“Progetti” 2003 ­­­­BeccIu M. - colASANtI A.r., La promozione delle capacità personali. Teoria e prassi, 2003 cNoS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione delle unità didattiche, 2003 coMoGlIo M. (a cura di), Prova di valutazione per la qualifica: addetto ai servizi di impresa. Prototipo realizzato dal gruppo di lavoro CIOFS/FP, 2003 FoNtANA S. - tAccoNI G. - VISeNtIN M., Etica e deontologia dell’operatore della FP, 2003 GherGo F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo, 2003 MArSIlII e., Guida per l’accompagnamento al lavoro dipendente, 2003 tAccoNI G. (a cura di), Insieme per un nuovo progetto di formazione, 2003 VAleNte l. - ANtoNIettI D., Quale professione? Strumento di lavoro sulle professioni e sui percorsi formativi, 2003 2004 cIoFS/FP - cNoS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale alimentazione, 2004 cIoFS/FP - cNoS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale aziendale e amministrativa, 2004 cIoFS/FP - cNoS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale commerciale e delle vendite, 2004 cIoFS/FP - cNoS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale estetica, 2004 cIoFS/FP - cNoS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale sociale e sanitaria, 2004 cIoFS/FP - cNoS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale tessile e moda, 2004 cIoFS/FP - cNoS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale elettrica e elettronica, 2004 cIoFS/FP - cNoS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale grafica e multimediale, 2004 cIoFS/FP - cNoS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale meccanica, 2004 cIoFS/FP - cNoS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale turistica e alberghiera, 2004 NIcolI D. (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema del - l’istruzione e della formazione professionale, 2004 NIcolI D. (a cura di), Sintesi delle linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale, 2004 2005 cNoS-FAP - cIoFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale legno e arredamento, 2005 214 cNoS-FAP (a cura di), Proposta di esame per il conseguimento della qualifica professionale. Percorsi triennali di Istruzione formazione Professionale, 2005 NIcolI D. (a cura di), Il diploma di istruzione e formazione professionale. Una proposta per il percorso quadriennale, 2005 PolàČek k., Guida e strumenti di orientamento. Metodi, norme ed applicazioni, 2005 VAleNte l. (a cura di), Sperimentazione di percorsi orientativi personalizzati, 2005 2006 BeccIu M. - colASANtI A.r., La corresponsabilità CFP-famiglia: i genitori nei CFP. Espe- rienza triennale nei CFP CNOS-FAP (2004-2006), 2006 cNoS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione dei sussidi, II edizione, 2006 2007 D’AGoStINo S., Apprendistato nei percorsi di diritto-dovere, 2007 GherGo F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo. Una proposta di percorsi per la creazione di impresa. II edizione, 2007 MArSIlII e., Dalla ricerca al rapporto di lavoro. Opportunità, regole e strategie, 2007 NIcolI D. - tAccoNI G., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello sta- to dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. I volume, 2007 rutA G. (a cura di), Vivere in... 1. L’identità. Percorso di cultura etica e religiosa, 2007 rutA G. (a cura di), Vivere... Linee guida per i formatori di cultura etica e religiosa nei per- corsi di Istruzione e Formazione Professionale, 2007 2008 BAlDI c. - locAPuto M., L’esperienza di formazioni formatori nel progetto integrazione 2003. La riflessività dell’operatore come via per la prevenzione e la cura educativa degli allievi della FPI, 2008 MAlIzIA G. - PIeroNI V. - SANtoS FerMINo A., Individuazione e raccolta di buone prassi mirate all’accoglienza, formazione e integrazione degli immigrati, 2008 NIcolI D., Linee guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2008 NIcolI D., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello stato dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. II volume, 2008 rutA G. (a cura di), Vivere con... 2. La relazione. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 rutA G. (a cura di), Vivere per... 3. Il progetto. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 2009 cNoS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale meccanica, 2009 MAlIzIA G. - PIeroNI V., Accompagnamento al lavoro degli allievi qualificati nei percorsi triennali del diritto-dovere, 2009 2010 BAy M. - GrząDzIel D. - Pellerey M. (a cura di), Promuovere la crescita nelle competenze strategiche che hanno le loro radici spirituali nelle dimensioni morali e spirituali della persona. Rapporto di ricerca, 2010 cNoS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale grafica e multimediale, 2010 cNoS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale elettrica ed elettronica, 2010 cNoS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale automotive, 2010 cNoS-FAP (a cura di), Linea guida per l’orientamento nella Federazione CNOS-FAP, 2010 cNoS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale turistico-alberghiera, 2010 2011 MAlIzIA G. - PIeroNI V. - SANtoS FerMINo A. (a cura di), “Cittadini si diventa”. Il contributo dei Salesiani (SDB) e delle Suore Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA) nell’educare stu- denti/allievi delle loro Scuole/CFP in Italia a essere “onesti cittadini”, 2011 215 tAccoNI G., In pratica. 1. La didattica dei docenti di area matematica e scientifico-tecnolo- gica nell’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 tAccoNI G., In pratica. 2. La didattica dei docenti di area linguistica e storico sociale nel- l’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 MANteGAzzA r., Educare alla costituzione, 2011 NIcolI D., La valutazione formativa nella prospettiva dell’educazione. Una comparazione tra casi internazionali e nazionali, 2011 BeccIu M. colASANtI A.r., Il fenomeno del bullismo. Linee guida ispirate al sistema preven- tivo di Don Bosco per la prevenzione e il trattamento del bullismo, 2011 2012 PIeroNI V. - SANtoS FerMINo A., In cammino per Cosmopolis. Unità di Laboratorio per l’e- ducazione alla cittadinanza, 2012 FrISANco M., Da qualificati, a diplomati, a specializzati. Il cammino lungo una filiera ricca di opportunità e competenze. Riferimenti, dispositivi e strumenti per conoscere e com- prendere i nuovi sistemi di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) e di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (IFTS), 2012 2014 cNoS-FAP (a cura di), Per una pedagogia della meraviglia e della responsabilità. Ambito energia. Linea Guida, 2014 cNoS-FAP (a cura di), Linea Guida per i servizi al lavoro, 2014 ottolINI P. - zANchIN M.r., Strumenti e modelli per la valutazione delle competenze nei per- corsi di qualifica IeFP del CNOS-FAP, 2014 2015 cNoS-FAP (a cura di), Fabbisogni professionali e formativi. Contributo alle linee guida del CNOS-FAP. Grafica e Multimediale, Meccanica, Meccatronica-Robotica, 2015 2016 NIcolI D., Il lavoro buono, Un manuale di educazione al lavoro per i giovani, 2016. Sezione­“esperienze” 2003 cNoS-FAP PIeMoNte (a cura di), L’orientamento nel CFP. 1. Guida per l’accoglienza, 2003 cNoS-FAP PIeMoNte (a cura di), L’orientamento nel CFP. 2. Guida per l’accompagnamento in itinere, 2003 cNoS-FAP PIeMoNte (a cura di), L’orientamento nel CFP. 3. Guida per l’accompagnamento finale, 2003 cNoS-FAP PIeMoNte (a cura di), L’orientamento nel CFP. 4. Guida per la gestione dello stage, 2003 2005 toNIolo S., La cura della personalità dell’allievo. Una proposta di intervento per il coordi- natore delle attività educative del CFP, 2005 2006 AlFANo A., Un progetto alternativo al carcere per i minori a rischio. I sussidi utilizzati nel Centro polifunzionale diurno di Roma, 2006 coMoGlIo M. (a cura di), Il portfolio nella formazione professionale. Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2006 MAlIzIA G. - NIcolI D. - PIeroNI V., Una formazione di successo. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali triennali di istruzione e formazione professionale in Piemonte 2002-2006. Rapporto finale, 2006 2007 NIcolI D. - coMoGlIo M., Una formazione efficace. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali di Istruzione e Formazione professionale in Piemonte 2002-2006, 2007 2008 cNoS-FAP (a cura di), Educazione della persona nei CFP. Una bussola per orientarsi tra buone pratiche e modelli di vita, 2008 216 2010 cNoS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2010, 2010 2011 cNoS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2011, 2011 2012 cNoS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2012, 2012 NIcolI D. (a cura di), Sperimentazione di nuovi modelli nel sistema di Istruzione e Forma- zione Professionale Diploma professionale di tecnico Principi generali, aspetti metodo- logici, monitoraggio, 2012 2013 SAlAtINo S. (a cura di), Borgo Ragazzi don Bosco Area Educativa “Rimettere le ali”, 2013 cNoS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali. Edizione 2013, 2013 2014 cNoS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali. Edizione 2014, 2014 2015 cNoS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali. Edizione 2015, 2015 tipolitografia Istituto Salesiano Pio XI - Via umbertide, 11 - 00181 roma tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - e-mail: tipolito@donbosco.it Finito di stampare: Giugno 2016

Fabbisogni professionali e formativi. Contributo alle linee guida del CNOS-FAP. Grafica e Multimediale, Meccanica, Meccatronica-Robotica

Autore: 
CNOS-FAP
Categoria pubblicazione: 
Progetti
Anno: 
2015
Numero pagine: 
176
Codice: 
978-88-95640-91-4
Fabbisogni professionali e formativi Contributo alle linee guida del CNOS-FAP Grafica e Multimediale Meccanica Meccatronica-Robotica Anno 2015 A cura del CNOS-FAP © 2015 By Sede Nazionale del CNOS-FAP (Centro Nazionale Opere Salesiane - Formazione Aggiornamento Professionale) Via Appia Antica, 78 - 00179 Roma Tel.: 06 5107751 - Fax 06 5137028 E-mail: cnosfap.nazionale@cnos-fap.it – http: www.cnos-fap.it La stesura dei rapporti di ricerca è stata curata da Nicola SCHIAVONE, che ha potuto contare nella fase di impostazione dei lavori dei preziosi suggerimenti di Roberto CAVAGLIÀ (CNOS-FAP Piemonte) e di Dario NICOLI (Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia). 3 Parte 1 - GRAFICA E MULTIMEDIALE Cap. 1 - Ricognizione del settore e del processo produttivo................................................ 7 Cap. 2 - Ricognizione del sistema produttivo locale............................................................... 13 Cap. 3 - Ricognizione del sistema professionale di riferimento ......................................... 23 Cap. 4 - Ricognizione dei profili professionali.......................................................................... 29 Cap. 5 - Ricognizione delle competenze ...................................................................................... 35 Allegati .................................................................................................................................................... 43 Parte 2 - MECCANICA Cap. 1 - Ricognizione del settore e del processo produttivo................................................ 71 Cap. 2 - Ricognizione del sistema produttivo locale ............................................................. 77 Cap. 3 - Ricognizione del sistema professionale di riferimento ......................................... 85 Cap. 4 - Ricognizione dei profili professionali.......................................................................... 91 Cap. 5 - Ricognizione delle competenze ...................................................................................... 97 Allegati .................................................................................................................................................... 105 Parte 3 - MECCATRONICA-ROBOTICA Cap. 1 - Ricognizione del settore e del processo produttivo................................................ 127 Cap. 2 - Ricognizione del sistema produttivo locale............................................................... 131 Cap. 3 - Ricognizione del sistema professionale di riferimento ......................................... 135 Cap. 4 - Ricognizione dei profili professionali.......................................................................... 141 Cap. 5 - Ricognizione delle competenze ...................................................................................... 145 Allegati .................................................................................................................................................... 151 Indice ....................................................................................................................................................... 167 SOMMARIO Parte I GRAFICA E MULTIMEDIALE 7 1.1 Grandi linee di tendenza Nel panorama delle attività di una nazione la filiera dell’“editoria-grafica-stam- pa-multimedia” costituisce un settore particolarmente delicato, sempre al centro dell’attenzione, per la profonda rilevanza che esso ha sulla qualità della democrazia e della cultura, ma anche sulla comunicazione e l’immagine della sua popolazione, della sua della storia, di ciò che ha prodotto e produce. Un settore carico di valenze che vanno molto al di là del dato economico. Con 22.000 imprese attive e 130.000 addetti1 (in media 5,9 addetti per impresa) l’“editoria-grafica-stampa-multimedia” abbraccia in Italia una variegata costellazio- ne di aziende a diverso grado di “integrazione verticale”: da imprese che realizzano al loro interno l’intero processo (dall’ideazione alla realizzazione del prodotto finale) ad unità produttive specializzate in specifiche fasi, o sotto-fasi, quali ad esempio, la preparazione dei cilindri per rotocalco, la correzione di bozze, la plastificazione delle copertine dei libri e via dicendo. Una galassia di micro-imprese (circa il 60% delle aziende del settore ha meno di 3 addetti), un gran numero di piccole e medio piccole imprese (36% tra 3 e 19 ad- detti), un nucleo di medie-medio grandi (4% tra 20 e 99 addetti), 200 imprese me- dio-grandi (100-499 addetti) una quindicina di aziende di grandi dimensioni (oltre 500 addetti, tra le quali sei grandi gruppi). Questa è la realtà dell’editoria-grafica- stampa nazionale. Tra queste imprese si intreccia un complesso e articolato sistema di relazioni che consentono di realizzare i prodotti/servizi immessi sul mercato. Su scala mondiale il settore, in continua accelerata trasformazione dalla seconda metà del secolo scorso, è chiamato ad affrontare un mercato particolarmente turbolen- to, a partire dalla cosiddetta minaccia elettronica, cioè dalla sostituzione del prodotto cartaceo, soprattutto per le opere di consultazione (dizionari, guide, cataloghi) e la mo- dulistica. In questo quadro l’Italia deve poi fare i conti con una percentuale di lettori nettamente più bassa della media dei paesi economicamente evoluti. Un dato preoc- cupante, ma che segnala anche le potenzialità di crescita che potrebbero sussistere. Le principali tendenze nel campo delle attività editoriali riguardano la sempre Capitolo 1 Ricognizione del settore e del processo produttivo 1 I dati sono stati ricavati dal censimento ISTAT del 2011 prendendo a riferimento le attività economiche (ATECO 07) individuate nel paragrafo che segue. Corre l’obbligo di ricordare che questi dati scontano l’incerta collocazione di realtà che operano al confine tra l’“editoria-grafica-stampa” e le “tecnologie dell’informazione e comunicazione (ICT)”, si pensi ad esempio ad alcune fasi specifiche di progettazione grafica, pre-stampa, produzione multimedia, realizzazione di siti web, che ai fini sta- tistici possono venir ricomprese tra le attività dei fornitori di software. 8 più marcata differenziazione della stampa quotidiana, la ricerca di specializzazioni di nicchia nella stampa periodica, l’edizione di libri “just in time” e/o a tiratura limitata. Sul versante non editoriale, in particolare nella “stampa commerciale”, si accentuano le spinte alla personalizzazione. Più in particolare circa l’innovazione di prodotto/processo, si evidenziano, tra gli altri, i seguenti scenari tendenziali: – integrazione/semplificazione delle fasi di progettazione/pre-stampa/stampa, fa- cendo leva su una sempre più capillare diffusione delle tecnologie informative e della comunicazione (ICT); – automazione delle fasi post-stampa (aumento della versatilità); – sviluppo dei sistemi di controllo di processo; – sviluppo dei supporti cartacei (adatti a laser e ink-jet) e dei supporti elettronici; – attenzione all’ecocompatibilità (carta disinchiostrata, film per imballaggi, inchiostri). Sul fronte dell’organizzazione della produzione le strategie poste in essere dalle imprese si sviluppano sostanzialmente in tre direzioni: – trasformare la minaccia elettronica in opportunità, fornendo prodotti/servizi a tutto campo (inserzioni CD, immissione in rete, banche dati); – accrescere la rapidità di risposta al mercato (produzione per piccoli lotti e personalizzazione), aumentando la flessibilità esterna (si pensi ad esempio allo sviluppo dei “service” di pre-stampa) e interna e migliorando/selezionando le politiche di approvvigionamento; – proporre/promuovere azioni di marketing culturale (ad esempio il Salone del libro di Torino). Quanto all’occupazione, si può osservare come, nel quadro generale della “gran- de crisi”, il settore abbia mostrato una sostanziale tenuta. Un dato però che si com- pone di situazioni diversificate in rapporto alle diverse fasi del processo produttivo e alla localizzazione. Vale la pena di ricordare che questo settore è stato ed è tra i più esposti agli effetti di perdita di posti di lavoro indotti dalle innovazioni tecnologiche (soprattutto nelle fasi di stampa e di pre-stampa) e dalle ristrutturazioni delle grandi reti di distribuzione. D’altro canto lo sviluppo delle produzioni multimediali e di servizi Internet hanno visto accrescere i fabbisogni di competenze di comunicazione grafica; si pensi in particolare al progressivo estendersi del raggio d’azione della “pre-stampa” verso i “pre-media”. In queste condizioni la comunità professionale “grafica e multimediale” continua ad inglobare una gamma sempre più ampia e diversificata di attività e specializzazioni con dinamiche innovative molto spinte e in continua evoluzione che, in termini di for- mazione e sviluppo delle risorse umane, devono essere opportunamente interpretate, per non perdere di vista la realtà e la portata del cambiamento, evitando però lo sterile inseguimento dell’ultima novità e di perdere di vista l’obiettivo di una formazione più “comprensiva”, del sé personale e professionale, che metta in grado di comprendere ciò che cambia e di attivarsi nel contesto in cui si vive e in cui si lavora. 9 1.2 Fasi caratteristiche del ciclo di produzione di uno stampato Come detto, il settore si avvale di un pluralità di processi e di tecnologie in continua evoluzione, fortemente “contaminate” dagli sviluppi delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. In queste condizioni è difficile rappresentare il processo produttivo attraverso uno schema che copra il complesso delle realtà produttive. Per un primo approccio può comunque risultare utile prendere in considerazione (cfr. Fig. n. 1) lo schema classico 2 del ciclo di produzione di un prodotto stampato. Figura 1 - Ciclo di produzione di uno stampato 2 Lo schema, ricavato dal progetto RIF della Regione e delle Province del Piemonte (2009), è frutto del lavoro di una commissione bilaterale (imprese-sindacati) di esperti del settore. EDITORIA [CARTACEA; ELETTRONICA]  linea editoriale  di redazione STAMPA OFFSET FOGLIO OFFSET BOBINA DIGITALE ROTOCALCO FLESSOGRAFIA SERIGRAFIA TIPOGRAFICA ................................ POST-STAMPA ALLESTIMENTO LEGATORIA CONFEZIONAMENTO  [SPEDIZIONE-CONSEGNA] PROGETTAZIONE E PRE-STAMPA Trattamento testi Trattamento immagini Impaginazione Preparazione forme 10 In questo schema si evidenziano 5 macrofasi: q EDITORIA (CARTACEA E/O ELETTRONICA) nella quale: – si definiscono le linee editoriali; – si curano le attività di redazione. q PROGETTAZIONE E PRE-STAMPA nella quale: – si realizza la progettazione del prodotto con le scelte tecnico-estetiche; – si cura il trattamento dei testi (elaborazione, correzione, revisione); – il trattamento delle immagini (componenti iconografiche: foto, disegni e loghi); – l’impaginazione; – la preparazione del foglio macchina (imposition); – la preparazione delle forme di stampa. q STAMPA nella quale si sviluppano i diversi processi che implicano tecnologie e tecniche complesse e molto diversificate. q POST STAMPA nella quale si evidenziano le attività di allestimento del prodotto cartaceo e di legatoria. q CONFEZIONAMENTO nella quale si eseguono le attività terminali (imballaggi, inse ri - mento inserti, ecc.) prima della spedizione e consegna. Ogni singola fase realizza una funzione distinta del processo e un prodotto/ servizio intermedio che costituisce l’input della fase successiva. Questa spiccata caratteristica, come visto, ha portato al formarsi di un sistema produttivo articolato con aziende di diverse dimensioni che possono operare sull’intero processo (dalla progettazione alla realizzazione del prodotto/servizio), su parti di esso, o su fasi/sot- tofasi molto specializzate. Ai fini di una efficace impostazione del progetto formativo può essere utile sotto - lineare alcuni aspetti del processo di produzione di un’azienda, relativamente a: – progettazione; – produzione; – manutenzione; – qualità; – ambiente e sicurezza. 11 Nella progettazione di prodotto (prototipo) si segnalano la scelta del formato e del supporto, la definizione dei caratteri e delle immagini, l’individuazione dei pro- cedimenti di stampa e post-stampa. Nella progettazione di processo si segnalano la scelta (“make or buy”) di realiz- zare le fasi specifiche all’interno o all’esterno dell’azienda, la definizione dei piani di produzione, dei cicli di lavorazione e dei carichi degli impianti, il calcolo degli organici e la definizione degli orari. Nel pre-stampa si segnala l’utilizzo dei sistemi integrati nel trattamento dei testi, delle immagini e l’impaginazione. Progettazione e pre-stampa PRODOTTO (prototipo) PROCESSO PRE-STAMPA • formato - supporto • caratteri - immagini • procedimenti di stampa e post- stampa • fasi realizzate all’interno/esterno • piani e cicli - impianti • organici - orari • testi - immagini • impaginazione • utilizzo di sistemi integrati Produzione STAMPA POST-STAMPA • (grande varietà di processi e di fami- glie di macchine) • eventuale montaggio forme • registrazioni (ingresso - posiziona- mento - uscita) • regolazioni (inchiostri - pressioni) • controlli (standard attesi) • tiratura • aspetti cartotecnici • assiemaggio • finitura/confezionamento Nella stampa si sottolinea innanzitutto la grande varietà dei processi e dei mac- chinari, si ricordano quindi il montaggio eventuale delle forme di stampa nei casi in cui non si adottino tecnologie digitali “DTP” (Desk To Plate, dalla scrivania alla stampante); si segnalano, inoltre, le tre tipologie di registrazioni degli impianti/mac- chinari (ingresso, posizionamento, uscita), le regolazioni dell’inchiostratura e delle pressioni, i controlli oggettivi (rispetto agli standard) e soggettivi (rispetto a partico- lari esigenze del cliente), il presidio della tiratura. 12 Nel post-stampa si sottolineano gli aspetti cartotecnici, di assiemaggio, finitura e confezionamento, quali la piegatura, il taglio, la rifilatura, la cucitura, la brossura, l’incollatura, la fascicolatura, l’impressione, la stampigliatura, la fustellatura, la gof- fratura, la laminatura. Circa le attività di manutenzione, si segnalano gli interventi sui sistemi informa ti ci (HW e SW) nelle fasi di pre-stampa e gli interventi (preventivi, ordinari e straordi - na ri) sugli impianti automatizzati nelle fasi di stampa e di post-stampa. In materia di qualità si richiama l’attenzione sul rispetto delle norme unificate e la gestione dei capitolati di fornitura (qualità di sistema), sul controllo dei materiali in ingresso (carta, inchiostri, ecc.), sul controllo del processo, dagli originali, alle bozze, alle forme di stampa. Manutenzione PRE-STAMPA STAMPA POST-STAMPA • hardware e software • impianti automatizzati • impianti automatizzati Qualità DI SISTEMA MATERIALI PROCESSO • norme unificate; capitolati di fornitura • carta e altri: controlli statistici al- l’ingresso • originali, bozze, forme, output: con- trolli totali Ambiente/sicurezza PRE-STAMPA STAMPA POST-STAMPA • elettronica  video terminali • chimica  composti organici volatili (V.O.C.) • meccanica  rumori/polveri In materia di ambiente e sicurezza/igiene del lavoro si ricordano gli aspetti cor- relati all’elettronica e ai video-terminali nelle fasi di pre-stampa, il rischio chimico (composti organici volatili) nella fase di stampa, i rischi legati alle parti meccaniche, al rumore e alle polveri nel post-stampa. 13 2.1 Attività economiche di riferimento Per valutare la consistenza del comparto editoria-grafica-stampa nel contesto produttivo locale si propone di far riferimento ai dati messi a disposizione dal - l’ISTAT 3. Il comparto può essere individuato tramite la classificazione ATECO 2007 attraverso due gruppi di attività economiche: – 18.1 STAMPA E SERVIZI CONNESSI ALLA STAMPA; – 58.1 EDIZIONE DI LIBRI, PERIODICI ED ALTRE ATTIVITÀ EDITORIALI. Rispetto a questo quadro lo standard nazionale relativo ai percorsi IeFP di ope- ratore grafico e tecnico grafico: – esclude due voci (classi di attività) del primo gruppo: 18.11 stampa di giornali e 18.12 altra stampa; – esclude dal secondo gruppo la voce 58.12 pubblicazione di elenchi e mailing list; – aggiunge la voce 58.294 edizione di altri software Queste scelte sono legate ai due indirizzi previsti dallo standard nazionale per la figura dell’operatore grafico: – stampa e allestimento; – multimedia, ma ai fini di una valutazione della platea delle aziende che localmente possono es- sere interessate all’operatore e al tecnico IeFP conviene fare riferimento al quadro complessivo riportato in Tabella 1. Capitolo 2 Ricognizione del sistema produttivo locale 3 Cfr. la banca dati I.Stat. 4 L’inclusione della voce 58.29 “edizione di altri software” può sollevare qualche riserva perché comprende attività estranee al settore ma, come si vedrà, il suo peso in termini di addetti è abbastanza marginale. 14 Tabella 1 - Attività economiche (ISTAT-ATECO 07) di riferimento C 18.1 STAMPA E SERVIZI CONNESSI ALLA STAMPA *18.11 stampa di giornali *18.12 altra stampa 18.13 lavorazioni preliminari alla stampa e ai media 18.14 legatoria e servizi connessi J 58.1 EDIZIONE DI LIBRI, PERIODICI ED ALTRE ATTIVITÀ EDITORIALI 58.11 edizione di libri *58.12 pubblicazione di elenchi e mailing list 58.13 edizione di quotidiani 58.14 edizione di riviste e periodici 58.19 altre attività editoriali J 58.2 EDIZIONE DI SOFTWARE 58.29 edizione di altri software * escluso dallo standard nazionale IeFP In Allegato 1 sono riportate per ogni opportuno approfondimento le descrizioni delle attività economiche fornite dall’ISTAT, di seguito viene proposto un quadro dei contenuti più significativi. ATTIVITÀ EDITORIALI Comprendono: • la definizione e l’organizzazione dell’offerta di prodotti culturali e di informa- zione (libri, giornali, riviste, elenchi, mailing list, fotografie, incisioni, cartoline, moduli, calendari, ...) in forma cartacea, elettronica, su internet, su supporto multimediale (es. testi su Cd-Rom); • l’acquisizione dei diritti d’autore e di prodotti di informazione; • la loro erogazione al pubblico, attivandone la riproduzione e la distribuzione. Le imprese che operano in questi campi hanno propri cataloghi si occupano del- l’ideazione, la progettazione del prodotto, sono responsabili della riproduzione e cu- rano i rapporti con la rete distributiva. Detti prodotti sono caratterizzati dalla creatività intellettuale e sono generalmente protetti da copyright. Per queste aziende si possono distinguere due grandi tipologie di clienti: il clien- te finale (la persona che acquista un libro o un giornale) e l’operatore pubblicitario, che acquista spazi, ad esempio all’interno di un giornale. STAMPA E SERVIZI CONNESSI In questo gruppo sono comprese le attività di stampa in senso stretto, le attività di supporto, in particolare il trattamento di testi e di immagini, la preparazione di lastre, la legatoria. 15 Si segnalano quattro grandi filoni di attività: – produzione di stampati cartacei; – produzione di stampati su supporti diversi dalla carta; – centri di stampa digitale; – preparazione di forme da stampa. PRODUZIONE DI STAMPATI CARTACEI In questo filone (quello “storico” e più consolidato) opera una pluralità di aziende molto variegate: da quelle che realizzano il ciclo grafico completo a unità produttive che lavorano su parti del ciclo o specializzate in specifiche sottofasi. Possiamo, quindi, trovare la stamperia artistica (che progetta e realizza al suo interno il prodotto finito), o aziende che lavorano su commessa su segmenti più o meno estesi del processo pro- duttivo. In primo luogo gli “stampatori” (che realizzano lo stampato generalmente con tecnologie offset). C’è poi un universo di aziende “specializzate di fase” che, a loro volta, lavorano per gli stampatori stessi e/o per altre aziende del settore (es. editori), curando studi di progettazione grafica, servizi di pre-stampa e post-stampa, ma anche prodotti/servizi molto specifici quali files elettronici in formato pdf pronti per la stam- pa, servizi di fotocomposizione, fotolito, servizi di allestimento (taglio, piega, assem- blaggio dei fogli stampati), lavorazioni cartotecniche, di plastificazione e via dicendo. Per queste aziende i clienti (committenti) possono essere gli editori, gli stampa- tori, le agenzie di pubblicità, gli studi grafici e tutti quei soggetti che hanno bisogno di prodotti per le proprie esigenze di comunicazione (aziende, studi professionali, privati cittadini). PRODUZIONE DI STAMPATI SU SUPPORTI DIVERSI DALLA CARTA In particolare in questo campo operano gli stampatori serigrafici e tampografici che stampano su materiali e forme diverse: dai capi di abbigliamento, ai cartelloni pubblicitari, agli striscioni, agli oggetti in plastica, agli adesivi, alle bottiglie di vetro e così via. Sempre in questo campo possono rientrare aziende che forniscono servizi di nobilitazione dello stampato, ad esempio la plastificazione delle copertine dei libri. CENTRI DI STAMPA DIGITALE Di più recente diffusione, queste aziende offrono a un vasto pubblico (tra questi, in particolare gli studenti) servizi di riproduzione a medio-basse tirature (su supporti cartacei e non), utilizzando tecnologie elettrografiche e “ink-jet”, spesso accompa- gnati da altri prodotti/servizi (rilegature, stampa su tessuto, ecc.). PREPARAZIONE DI FORME DA STAMPA La preparazione delle forme di stampa interessa la produzione di stampati cartacei e non. Si va dalla realizzazione di lastre per offset, alla preparazione di cilindri per rotocalco, all’incisione di forme di gomma per la flessografia, all’incisione di telai serigrafici. Oltre alla filiera dell’editoria-grafica-stampa, queste attività interessano in modo specifico il complesso della moda (tessuti, articoli di abbigliamento, acces- sori), l’arredamento della casa (biancheria, tendaggi, carta da parati), il “packaging” (confezionamento dei prodotti industriali di largo consumo). 16 2.2 Numerosità e diffusione delle aziende In Allegato 2 è riportata la distribuzione delle imprese attive della grafica-stampa- editoria, rilevata nel Censimento ISTAT dell’industria e dei servizi del 2011, relati- vamente a: – le nove classi di attività economiche (ATECO) associate al comparto; – l’intero territorio nazionale; – le 20 Regioni; – le 38 Province in cui operano realtà dell’Associazione CNOS-FAP. In sintesi (cfr. Tab. n. 2) il Censimento registrava la presenza sull’intero territo- rio nazionale di 22.200 imprese, di queste 16.000 nel campo della stampa e dei ser- vizi connessi (72,2%), 5.700 (25,7%) nell’edizione di libri, giornali e altre attività editoriali, circa 500 (2,1%) nell’edizione di altri software. Tabella 2 - Distribuzione delle imprese per gruppi e classi di attività in Italia Fonte censimento ISTAT industria e servizi 2011 elaborazione Spin La classe di attività più largamente diffusa è quella che va sotto il nome di “altra stampa” (55% delle imprese attive) che spazia su una gamma molto vasta ed etero- genea di prodotti (riviste, libri, opuscoli, spartiti, mappe, manifesti, cataloghi, fran- cobolli, assegni, album, agende, calendari, stampati su tessuti, plastica, vetro, metal- lo, legno e ceramica, etichette, cartellini, e via dicendo). L’edizione di riviste e quotidiani interessa circa il 12% delle unità produttive; le lavorazioni preliminari alla stampa e ai media l’11%; l’edizione di libri tra il 9 e il 10%; il post-stampa (legatoria e servizi connessi) il 6%. Circa la diffusione territoriale, in Tabella 3 è riportata la distribuzione delle 22.000 aziende nelle 20 Regioni. 17 Tabella 3 - Diffusione territoriale delle imprese 2.3 Dimensione delle unità produttive locali In Allegato 3 è riportata la distribuzione dimensionale delle imprese attive ope- ranti nel comparto (Censimento ISTAT dell’industria e dei servizi del 2011) relati- vamente ai tre gruppi di attività: 18.1  stampa e servizi connessi 58.1  edizione di libri, periodici e altre attività 58.29 edizione di altri software E alle classi dimensionali: 0, 1, 2, 3-5, 6-9, 10-15, 16-19, 20-49, 50-99, 100-199, 200-249, 250-499, 500-999, 1000 e+ addetti In sintesi (cfr. Tab. n. 4) si può osservare che: – circa il 60% delle 22.202 unità produttive rilevate nel censimento è formato da micro-aziende (tra 0 e 2 addetti); – circa il 29% da piccole aziende (3-9 addetti); – le aziende di medio-piccole dimensioni (10-49 addetti) si attestano attorno al 10%; – le grandi (con oltre 100 addetti) rappresentano lo 0,5% del totale. 18 Tabella 4 - Distribuzione delle imprese per classi dimensionali (addetti) 2.4 Addetti nelle imprese Una serie di dati di particolare interesse per la definizione dell’offerta formativa è quella che riguarda il numero e la distribuzione degli addetti che operano nelle im- prese attive. L’ultimo censimento ISTAT (2011) consente di stimare il totale degli addetti del settore in oltre 130.000; vediamo in sintesi come si distribuiscono in relazione a: – tipologie di attività; – dimensione aziendale (piccole, medie, grandi imprese); – localizzazione geografica. 2.4.1 Distribuzione degli addetti per tipologie di attività In Allegato 4 è riportata la distribuzione dei 130.226 addetti del comparto censiti nel 2011 relativamente a: – le nove classi di attività economiche (ATECO) associate al comparto (par. 2.1); – l’intero territorio nazionale; – le 20 Regioni; – le 38 Province in cui operano realtà dell’Associazione CNOS-FAP. In sintesi (cfr. Tab. n. 5) si può notare che su scala nazionale: – il 70% dei 130.00 addetti del settore opera nel campo di attività stampa e dei servizi connessi, con il 54% nella voce “altra stampa”, l’8% nel “pre-stampa/ media” e il 6% nel “post stampa; – il 28% nelle edizioni, con una ripartizione abbastanza equilibrata tra libri (8-9%), quotidiani (8%), riviste e periodici (9%); – circa il 2% nelle attività comprese nella voce “altri software”. 19 Tabella 5 - Distribuzione degli addetti per classi di attività Fonte censimento ISTAT industria e servizi 2011 elaborazione Spin 2.4.2 Distribuzione degli addetti per classi dimensionali In Allegato 5 è riportata la distribuzione dei 130.000 addetti nelle diverse di- mensioni di impresa relativamente alle attività: – 18.1 stampa e servizi connessi; – 58.1 edizione di libri, periodici e altre attività; – 58.29 edizione di altri software; e alle classi dimensionali: 0, 1, 2, 3-5, 6-9, 10-15, 16-19, 20-49, 50-99, 100-199, 200-249, 250-499, 500-999, 1000 e+ addetti. In sintesi (cfr. Tab. n. 6) si può notare che su scala nazionale: – più di un terzo (35-36%) degli addetti opera nelle piccole imprese (meno di 10 addetti); – circa un terzo (31-32%) nelle medio-piccole (10-49 addetti); – un altro terzo (33%) nelle imprese di medie e grandi dimensioni. 20 Tabella 6 - Distribuzione degli addetti nelle piccole medie e grandi imprese 2.4.3 Distribuzione territoriale degli addetti Circa la diffusione territoriale, in Tabella 7 è riportata la distribuzione dei 130.000 addetti del settore nelle 20 Regioni. I valori assoluti e le percentuali natu- ralmente dipendono dalla dimensione demografica della Regione, per questo motivo nell’ultima colonna viene riportato il rapporto tra gli addetti del settore e la popola- zione residente. Se ci si rapporta alla popolazione, si può osservare che, a fronte di un dato di media nazionale di 2,2 addetti ogni 1.000 abitanti: – la maggiore concentrazione si registra in Lombardia (4 addetti ogni 1.000 abi- tanti); – seguono l’Emilia-Romagna e il Veneto (3 addetti ogni 1.000 abitanti); – sono sopra la media: Lazio e Piemonte (2,7), Trentino Alto Adige (2,6), Umbria (2,4). 21 Tabella 7 - Distribuzione territoriale degli addetti 23 3.1 Figure di riferimento del comparto I profili professionali specifici che si possono trovare in questo comparto sono molto numerosi (il repertorio NUP ISTAT ne elenca una sessantina); essi, inoltre, assu- mono connotazioni particolari in relazione ai diversi contesti di lavoro. Questa ricchezza di mestieri non deve far perdere di vista il “dovere” di trasmettere agli allievi (giovani e non) una formazione solida non troppo parcellizzata e unidirezionale, che permetta di acquisire una visione di insieme del proprio lavoro, di rispondere alle esigenze della tanto predicata flessibilità e soprattutto di essere meno precari nel mondo del lavoro. In questo paragrafo pertanto sono proposti alcuni riferimenti – istituzionali e non – che possono essere utili ad inquadrare le figure in una dimensione appropriata (evitando gli eccessi di genericità e di specificità). 3.2 I riferimenti istituzionali (standard nazionale IeFP) Lo standard nazionale IeFP correla le figure dell’operatore grafico e del tecnico grafico alle seguenti voci della classificazione NUP-ISTAT 2007: 6.3.4.1 compositori tipografici [nella classificazione del 2011 diventa operatori delle attività poligrafiche e di pre-stampa] 6.3.4.2 tipografi impressori [nella classificazione del 2011 viene abolita e inclusa tra gli esempi della 6.3.4.1] 6.3.4.3 stampatori offset e alla rotativa [nella classificazione 2011 il codice diventa 6.3.4.2] 6.3.4.6 rilegatori ed assimilati [nella classificazione 2011 diventa <6.3.4.5 rilegatori e rifinitori post stampa] 6.3.4.7 fototipografi e fototecnici [nella classificazione del 2011 viene abolita e inclusa tra gli esempi della 6.3.4.1] Si può notare come non ci sia un riferimento “forte” alla produzione digitale/ multimediale che, nella classificazione aggiornata (2011) viene adombrata alla voce 6.3.4.1 operatori delle attività poligrafiche di pre-stampa la dove si elenca tra le altre la “disposizione digitale”. Di seguito si riportano le descrizioni delle tre unità professionali riconducibili allo standard IeFP secondo la classificazione del repertorio NUP-ISTSAT aggiornata al 2011. Capitolo 3 Ricognizione del sistema professionale di riferimento 24 3.3 Un’anagrafe delle figure di riferimento Nel 2008 una Commissione di esperti designati dalle parti sociali (Associazioni imprenditoriali e Sindacati di categoria) nell’ambito del “progetto RIF”5 ha indivi- duato per la filiera dell’editoria-grafica-stampa 25 figure di riferimento (famiglie professionali) in grado di fornire la copertura dei fabbisogni relativi al funzionamen- to e allo sviluppo della filiera, inclusi gli aspetti amministrativi e commerciali. Negli Allegati 6 e 7 sono riportati l’elenco delle 25 figure e una loro sintetica descrizione, anch’essa concordata tra gli esperti delle parti sociali, che ne individua la “mission” (obiettivi distintivi) all’interno della comunità professionale. 6.3.4.1 OPERATORI DELLE ATTIVITÀ POLIGRAFICHE DI PRE-STAMPA Si occupano della disposizione manuale con caratteri mobili, meccanica o digitale del testo, delle immagini e di altri segni da riprodurre sul supporto da stampare, definendo dimensioni delle immagini e dei caratteri, spaziature e crenature, allineamenti, interlinee e quant’altro necessario a disporre il tutto in modo ordinato, leggibile e ben organizzato allo sguardo o al tatto. ESEMPI DI PROFESSIONI: cianografo; cliscerista fototipografico; compositore alla monotype; compositore linotipista; cromista tipografo; fotocompositore; fototecnico eliografo; microtipista di officina; operatore calcografico; preparatore di bozze; rilievografo; rullatore; rullatore tipografo; stampatore braille; torcoliere; tricromista; addetto al prestampa; compositore a macchina; compositore a mano; compositore stampatore; compositore tipografo; fonditore alla monotype; fonditore di caratteri; fonditore di lastre di piombo; fotoincisore; fotolitografo; fototipografo; granitore tipografo; impaginatore; macchinista di mettigomma; macchinista fototipista; macchinista tipografo; montatore di cliches; preparatore di fototipia; proto; ritoccatore fototipografico; tipografo impressore 6.3.4.2 STAMPATORI OFFSET E ALLA ROTATIVA Stampano testi, disegni, immagini ed altro materiale con macchine offset o di altro tipo basate sull’impressione di superfici curve, curano il posizionamento delle matrici, regolano l’inchio- stratura, la successione dei supporti da stampare o la continuità della bobina di carta. ESEMPI DI PROFESSIONI: rotativista; rotolitografo; stampatore alla rotativa; stampatore offset; capo macchina rotativa; conduttore di macchine da stampa o riproduzione 6.3.4.5 RILEGATORI E RIFINITORI POST STAMPA Assemblano, cuciono, incollano e rifilano i singoli fogli di carta stampata in blocchi e libri applicando copertine o altri tipi di rifiniture. ESEMPI DI PROFESSIONI: addetto alla piegatrice per rilegatura; addetto alla piegatrice tipografica; allestitore di editoria; capo macchina confezione periodici; cucitore di legatoria; decoratore di libri; doratore di libri; doratore di tagli; legatore di blocchi di carta; legatore di libri; legatore in brochure; rifilatore di fogli; rilegatore 5 Rete Indagini Fabbisogni, promosso dalle Province e dalla Regione Piemonte http://extranet. regione.piemonte.it/fp-lavoro/centrorisorse/studi_statisti/rif/index.htm 25 Si può osservare come le figure dell’area amministrativa abbiano un elevato gra- do di trasversalità, nel senso che sono abbastanza interscambiabili tra diversi settori produttivi. Più legate alle specificità dell’editoria grafica stampa sono le figure dell’area commerciale (rete vendita e assistenza clienti), quelle dell’area qualità/ambiente si- curezza, della logistica (programmazione, approvvigionamenti, magazzini) e delle manutenzioni (meccaniche, elettro-elettrroniche e di sistemi di automazione). Strettamente connesse alla specificità del settore risultano essere: a) le cinque figure dell’area della progettazione - innovazione di prodotto processo – tecnici di redazione editoriale; – progettisti prodotti editoriali; – progettisti grafici/web designer; – tecnici sistemi pre-stampa; – tecnologi di prodotto/processo; b) le quattro figure dell’area della produzione – tecnici di produzione (gestione unità operative); – conduttori sistemi di stampa (offset, rotocalco, flessografia, serigrafia); – conduttori sistemi post-stampa (allestimento, legatoria); – operatori di produzione e servizi vari. 3.4 Peso delle figure (incidenza sugli organici aziendali) Un dato di interesse per la programmazione dell’offerta formativa è il peso della specifica figura sul complesso degli addetti. Questo dato purtroppo non è facilmente disponibile6. In Allegato 8 viene proposta una rielaborazione dei risultati della citata indagine RIF su un campione di 71 imprese piemontesi che occupavano 1.480 ad- detti 7. Con le cautele imposte dalla scarsa rappresentatività del campione si possono fare le seguenti osservazioni. Le figure relative alle fasi di definizione/realizzazione del prodotto (progetta- zione, logistica, produzione) coprono quasi i 3/4 degli addetti (73%). In particolare le figure di produzione si attestano oltre il 52%, quelle di progettazione sull’11%, quelle della logistica al 9%. Si evidenziano in particolare: – operatori di produzione e servizi vari (22% degli addetti del campione); – conduttori sistemi di stampa (16%); – conduttori sistemi post-stampa (12%); 6 In realtà potrebbe essere desunto dalle banche dati del Sistema Informativo Lavoro (Comunica- zioni Obbligatorie delle aziende circa le assunzioni, cessazioni degli addetti) non accessibili al pubblico per ragioni di riservatezza e di non facile elaborazione. 7 Il peso della figura veniva stimato in base alle risposte raccolte sulla domanda: “All’interno del- la sua azienda vi sono persone che svolgono anche in parte le attività di questa figura? Se si specificare quante”. 26 – tecnici sistemi pre-stampa (5%); – magazzinieri (4%). Abbastanza marginali sono i pesi delle figure dell’area della qualità/ambiente sicurezza (complessivamente meno del 2%) e delle manutenzioni (nel complesso cir- ca il 5%) che risultano fortemente “esternalizzate” (affidate ad operatori esterni al- l’azienda). In questo quadro si segnalano in particolare manutentori elettro-elettro- nici e di sistemi di automazione. Le figure delle area commerciale e amministrativa coprono intorno al 20% degli organici, tra queste si segnalano gli operatori servizi commerciali (4,4%). Stando a questi dati il percorso triennale di IeFP, dal momento che coprirebbe certamente il fabbisogno di tre figure di riferimento (operatori di produzione e ser- vizi vari, conduttori sistemi di stampa, conduttori sistemi post-stampa), interessereb- be non meno del 50% degli addetti del settore. Allo stesso tempo il diploma di tecnico IeFP andrebbe a coprire8 una fascia di addetti con un peso stimabile tra il 10 e il 15% degli occupati nel settore. 3.5 Tendenze dei fabbisogni professionali In Figura 2 è riportata un’elaborazione dei dati della citata indagine RIF circa le tendenze dei fabbisogni professionali limitatamente alle sette figure più specifiche del settore. In essa vengono evidenziati il peso della figura sul totale degli organici rispetto al complesso delle 25 figure individuate (marginale, sotto la media, nella media, sopra le media) e l’interesse verso quella figura manifestato dalle imprese del campione (marginale, sotto la media, nella media, sopra le media). L’interesse è stimato tenendo conto di due valutazioni: • le previsioni circa l’andamento dei fabbisogni (crescita, stabilità declino) per quella determinata figura in rapporto alle altre; • le difficoltà di reperimento sul mercato del lavoro (di riferimento delle aziende intervistate) per quella determinata figura in rapporto alle altre. 8 In questo caso le figure di riferimento interessate sarebbero in primo luogo: progettisti grafici- web designer; tecnici sistemi pre-stampa; tecnici di produzione. A queste figure (per una larga parte delle aziende di piccole e medie dimensioni) potrebbero assommarsi tecnici di programmazione pro- duzione logistica; i tecnici di programmazione/gestione manutenzioni; tecnologi di prodotto/processo. 27 Fonte RIF - Orientarsi Provincia Torino 2010 elaborazione Spin per CNOS-FAP In generale si può osservare come le sette figure, al di là del loro peso, eviden- zino nel loro complesso livelli di interesse molto consistenti. Più nel dettaglio emer- gono le seguenti indicazioni. PROGETTISTI DI PRODOTTI EDITORIALI Il loro peso (1,5% del totale degli addetti del campione di imprese intervistate) è piuttosto contenuto (al di sotto della media delle 25 figure); il grado di interesse risulta elevato (trend dei fabbisogni e difficoltà di reperimento sensibilmente sopra la media). PROGETTISTI GRAFICI WEB DESIGNER Il loro peso (1,7% del totale degli addetti del campione) è piuttosto contenuto (al di sotto della media delle 25 figure); il grado di interesse risulta elevato (trend dei fabbisogni e difficoltà di reperimento sensibilmente sopra la media). TECNICI SISTEMI PRE-STAMPA Il loro peso (4,7% del totale degli addetti del campione di imprese intervistate) è piuttosto consistente (al di sopra della media delle 25 figure); il grado di interesse risulta elevato (trend dei fabbisogni e difficoltà di reperimento sensibilmente sopra la media). TECNICI DI PRODUZIONE Il loro peso (3,2% del totale degli addetti del campione) è abbastanza consisten- te (leggermente al di sotto della media delle 25 figure); il grado di interesse risulta Figura 2 - Incidenza e trend dei fabbisogni professionali 28 più che consistente (trend dei fabbisogni sensibilmente sopra la media difficoltà di reperimento nella media). CONDUTTORI SISTEMI DI STAMPA Il loro peso (15,5% del totale degli addetti del campione) è molto rilevante; il grado di interesse risulta molto elevato (trend dei fabbisogni nettamente al di sopra della media, massima difficoltà di reperimento). CONDUTTORI SISTEMI POST-STAMPA Il loro peso (12% del totale degli addetti del campione) è rilevante; il grado di interesse risulta molto consistente (trend dei fabbisogni leggermente al di sopra della media, difficoltà di reperimento sensibilmente al di sopra). OPERATORI DI PRODUZIONE E SERVIZI VARI Il loro peso (21,7% del totale degli addetti del campione) è il più rilevante; il grado di interesse risulta molto consistente (trend dei fabbisogni e difficoltà di re- perimento sensibilmente al di sopra della media). 29 4.1 Operatore grafico Lo standard nazionale inserisce il profilo dell’operatore grafico nell’area profes- sionale “cultura, informazione e tecnologie informatiche” e stabilisce due indirizzi: – stampa e allestimento; – multimedia. Circa il ruolo, lo standard fornisce le seguenti indicazioni: q interviene a livello esecutivo nel processo di produzione [autonomia e responsabilità limitate a ciò che prevedono le procedure e le metodiche]; q svolge, a seconda dell’indirizzo, attività relative a: > realizzazione del prodotto grafico (stampa e allestimento); > produzione dei file per la pubblicazione su supporto cartaceo e multimediale (multimedia). Circa la prestazione attesa lo standard colloca le attività della figura dell’opera- tore su tre livelli: – pianificazione e organizzazione del proprio lavoro; – realizzazione del prodotto grafico; – pubblicazione del prodotto grafico. A queste attività vengono assommate: • la gestione della produzione di stampati, l’allestimento e la copertinatura per l’indirizzo stampa e allestimento; • la produzione fotografica, video ed elaborazione contributi multimediali per l’indirizzo multimediale. Nello specifico la prestazione indicata dallo standard può essere descritta in questi termini: PIANIFICA E ORGANIZZA IL PROPRIO LAVORO – individua e pianifica le cose da fare in base al lavoro assegnato; – predispone gli strumenti, le attrezzature, i macchinari; – ne verifica il funzionamento ed effettua la manutenzione ordinaria; – predispone e cura gli spazi di lavoro. REALIZZA IL PRODOTTO GRAFICO – realizza gli elementi grafici richiesti; Capitolo 4 Ricognizione dei profili professionali 30 – progetta pieghevoli, manifesti e volantini; – effettua l’impaginazione. REALIZZA LA PUBBLICAZIONE DEL PRODOTTO GRAFICO – realizza finished layout (schede finali) del progetto grafico; – produce file grafici nei formati adatti alla pubblicazione su diversi supporti. PRODUCE STAMPATI, EFFETTUA ALLESTIMENTI E COPERTINATURE [indirizzo stampa e allestimento] – esegue la formatura; – verifica e corregge le eventuali anomalie; – esegue il “set up” della macchina da stampa; – realizza gli stampati per la pubblicazione; – prepara ed esegue le pieghe e le segnature; – effettua la raccolta e la cucitura; – effettua il rifilo degli stampati; – prepara le copertine. PRODUCE/ELABORA FOTO, VIDEO E CONTRIBUTI MULTIMEDIALI [indirizzo multimediale] – sceglie le sequenze da fotografare/filmare; – realizza sequenze fotografiche; – realizza riprese video; – archivia il materiale fotografico/video; – elabora file grafici; – cura la rifinitura grafica; – adatta contributi audio/video; – cura l’adattamento a supporti web. Si può notare come l’articolazione della prestazione si basi sostanzialmente su due aspetti: la pianificazione e l’esecuzione del lavoro. Non vengono fornite indi - cazioni circa il controllo del lavoro durante il processo e alla sua conclusione, che assume particolare rilevanza, ad esempio, nella prestazione di uno “stampatore”, così come non vengono fornite indicazioni circa la regolazione del lavoro (interventi correttivi sui parametri di processo). Del tutto assenti risultano inoltre le indicazioni su come si “materializzi” il ri- spetto dei criteri e delle procedure relative all’igiene/sicurezza e alla qualità. Infine, va segnalata l’attività “progetta pieghevoli, manifesti e volantini”, la cui collocazione appare piuttosto anomala, che probabilmente vuole segnalare l’esigenza di prevedere per questa figura delle competenze di base nella progettazione grafica. Per completezza di informazione si riportano le descrizioni di alcuni caratteri salienti dei profili in esame che consentono di individuarne i ruoli all’interno della comunità profes- sionale. Le descrizioni sono ricavate dalle Linea guida CNOS-FAP 2010 e dal progetto RIF. Anticipando i contenuti del prossimo capitolo, le descrizioni sono corredate dai requisiti attesi (competenze richieste). 31 Operatore grafico CHE COSA FA NORMALMENTE IN UN’AZIENDA effettua le operazioni previste dal processo di produzione nel rispetto delle norme e delle procedure di sicurezza e qualità; segnala le anomalie; effettua le ordinarie manutenzioni. CON QUALI RISORSE (REQUISITI) In primo luogo una adeguata sensibilità grafico-estetica e una solida conoscenza dei processi produttivi fondamentali e delle principali tipologie di prodotti. Servono poi competenze di base sulle fasi caratteristiche del processo: progettazione, pre-stampa, pre-media, stampa, legatoria, che potranno essere approfondite sul lavoro (es. apprendistato), o in specifici percorsi formativi. Stampatore CHE COSA FA NORMALMENTE IN UN’AZIENDA conduce macchine/impianti relativi alle fasi del processo di stampa: cura la pro- grammazione (ciclo di lavoro, attrezzature, parametri), verifica la conformità del- l’output rispetto agli standard; effettua le regolazioni; segnala e interviene su even- tuali anomalie; effettua le manutenzioni ordinarie. CON QUALI RISORSE (REQUISITI) competenze tecniche di base sulle tecnologie e i processi di stampa (deve essere in grado di produrre in autonomia stampati con macchine di piccolo-medio formato). Legatore CHE COSA FA NORMALMENTE IN UN’AZIENDA conduce impianti e macchine (manuali e automatiche) relativi alle fasi del processo di allestimento/legatoria manuali: cura la programmazione (ciclo di lavoro, attrezzature, parametri), verifica la conformità dell’output rispetto agli standard; effettua le regola- zioni; segnala e interviene su eventuali anomalie; effettua le manutenzioni ordinarie. CON QUALI RISORSE (REQUISITI) competenze tecniche di base sulle tecnologie e i processi di allestimento e legatoria. 4.2 Tecnico grafico Lo standard nazionale inserisce il profilo del Tecnico grafico nell’area professio - nale “cultura, informazione e tecnologie informatiche”. Circa il ruolo, lo standard fornisce le seguenti indicazioni: – interviene con autonomia nel presidio del processo di produzione [all’interno di un quadro d’azione stabilito e di specifiche assegnate]; – con responsabilità di sorveglianza di attività esecutive; – partecipa alla gestione aziendale [individuazione delle risorse, organizzazione operativa, monitoraggio/valutazio- ne risultati, miglioramento continuo]; 32 – opera nel processo di produzione [progettazione, produzione prodotti grafici e multimediali, gestione documen- tale, approvvigionamento, rapporti con clienti e fornitori] Circa la prestazione attesa lo standard colloca le attività della figura del tecnico su sette livelli 9. Ai fini di una più agevole comprensione della “prestazione attesa” vengono di seguito proposte una sequenza e una terminologia leggermente diverse, che non modificano il contenuto (le attività previste) e tengono conto del lessico e delle logiche comunemente adottate dalle aziende: – rapporto con i clienti; – gestione economica delle attività; – organizzazione del lavoro; – progettazione del prodotto; – logistica e approvvigionamenti; – produzione; – controllo del prodotto. Nello specifico lo standard consente di individuare per la figura del tecnico grafico la seguente prestazione. RAPPORTO CON IL CLIENTE – rileva le esigenze del cliente; – definisce l’offerta; – cura il rapporto col cliente (variazioni, reclami, ecc.); – cura il monitoraggio del servizio e la rilevazione dei dati sul cliente. GESTIONE ECONOMICA DELLE ATTIVITÀ – elabora i preventivi; – redige i documenti di rendicontazione. PROGETTAZIONE DEL PRODOTTO – elabora l’idea grafica; – recepisce il feedback del cliente; – redige il progetto esecutivo. ORGANIZZAZIONE DELLA PRODUZIONE E DEL LAVORO – cura e controlla l’avanzamento delle produzione/lavorazioni; – cura l’ottimizzazione degli standard di qualità; – cura la prevenzione delle situazioni di rischio; – definisce i compiti i tempi e le modalità operative; – cura il coordinamento operativo. 9 Gestione organizzativa del lavoro; rapporto con i clienti; progettazione del prodotto grafico; produzione grafica; gestione documentaria delle attività; gestione dell’approvvigionamento; controllo del prodotto. 33 LOGISTICA E APPROVVIGIONAMENTI – verifica i livelli delle scorte e le giacenze dei materiali; – definisce i fabbisogni; – cura gli approvvigionamenti e la gestione delle scorte. PRODUZIONE – predispone e presidia il flusso di lavoro. CONTROLLO DEL PRODOTTO – cura il controllo e la valutazione del prodotto finale. Per completezza di informazione si riportano le descrizioni di alcuni caratteri salienti del profilo in esame che possono aiutare a mettere a fuoco il ruolo all’interno della comunità professionale. Le descrizioni sono ricavate dalle Linea guida CNOS-FAP 2010 e dal progetto RIF. Anticipando i contenuti del prossimo capitolo, alcune descrizioni sono corredate dai requisiti attesi (competenze richieste). Tecnico delle arti grafiche CHE COSA FA NORMALMENTE IN UN’AZIENDA Cura lo svolgimento dell’intero ciclo produttivo (dalla progettazione alla spedizione) il coordinamento delle fasi specifiche, l’effettuazione delle manutenzioni, nel rispetto delle procedure a tutela della sicurezza-ambiente-igiene del lavoro e della qualità, intrattenendo i rapporti esterni (clienti, fornitori di attrezzature) e interni all’azienda (uffici commerciali, uffici tecnici, responsabili delle lavorazioni). CON QUALI RISORSE (REQUISITI) visione d’insieme del processo; solide basi tecniche in materia di logiche e criteri che regolano la progettazione e l’organizzazione della produzione grafica (richieste del mercato, costi, tecnologie di processo, forniture, distribuzione/consegna). Progettista grafico CHE COSA FA NORMALMENTE IN UN’AZIENDA Cura la progettazione del prodotto (su supporto cartaceo ed elettronico); definisce i materiali, i caratteri, le immagini, i procedimenti; effettua le verifiche di fattibilità; predispone le istruzioni e la documentazione tecnica. CON QUALI RISORSE (REQUISITI) sensibilità grafico-estetica, conoscenza dei processi produttivi della stampa e del - l’editoria, conoscenza delle tecnologie, conoscenza dei materiali impiegati. 35 5.1 Operatore grafico Lo standard nazionale associa alla figura dell’operatore sei unità di competenze: 1. definire e pianificare fasi delle operazioni da compiere sulla base delle istruzioni ricevute e/o delle indicazioni di appoggio del progetto grafico e del sistema di relazioni; 2. approntare strumenti, attrezzature e macchinari necessari alle diverse fasi di attività sulla base delle istruzioni/indicazioni ricevute, del risultato atteso; 3. monitorare il funzionamento di strumenti, attrezzature e macchinari, curando le attività di manutenzione ordinaria; 4. predisporre e curare gli spazi di lavoro al fine di assicurare il rispetto delle nor- me igieniche e di contrastare affaticamento e malattie professionali; 5. elaborare un prodotto grafico sulla base delle istruzioni ricevute e della docu- mentazione del progetto, tenendo conto delle diverse tipologie di supporto di pubblicazione; 6. produrre i file grafici in formato adatto alla pubblicazione su diversi supporti. A queste si aggiungono per i due indirizzi previsti dallo standard nazionale: – realizzare un prodotto di stampa semplice, completo di cucitura e rifilo, utiliz- zando macchine per stampa e strumenti per la finitura (indirizzo stampa e alle- stimento); – acquisire ed elaborare immagini, video e grafici per la pubblicazione su supporti multimediali. Dette competenze sono a loro volta specificate attraverso un insieme di abilità e un insieme di conoscenze. Nel rispetto dei contenuti dello standard si propone una lettura delle unità di competenze più agevole, intervenendo sul lessico e sulle sequenze proposte, mettendo a fuoco: – le abilità in termini di “l’operatore deve essere messo in grado di”; – le conoscenze essenziali in termini di “servono conoscenze in materia di”. Capitolo 5 Ricognizione delle competenze 36 Competenza n. 1 Definire e pianificare fasi delle operazioni da compiere sulla base delle istruzioni ricevute e/o delle indicazioni di appoggio del progetto grafico e del sistema di relazioni. L’operatore deve essere in grado di: – sapere ciò che deve fare: interpretare le istruzioni e le documentazioni di appoggio; – pianificarsi e organizzarsi il lavoro, tenendo conto: > di ciò che deve fare e del contesto/ situazione in cui opera; > dei criteri e delle norme di sicurezza, igiene, salvaguardia ambientale speci- fiche del settore (rischi da videoterminali, eletto-meccanici, chimici, sonori); – gestire i tempi del proprio lavoro (metodi e tecniche). Servono conoscenze in materia di: • processi produttivi i e cicli di lavoro; • terminologia di settore; • sicurezza, igiene, salvaguardia ambientale; • tecniche di pianificazione; • tecniche di comunicazione; • organizzazione del lavoro. Competenza n. 2 Approntare strumenti, attrezzature e macchinari necessari alle diverse fasi di attività sulla base delle istruzioni/indicazioni ricevute, del risultato atteso. L’operatore deve essere in grado di: – individuare/scegliere i macchinari, le attrezzature, gli strumenti in base all’ordi- ne di servizio; – predisporre/approntare/mettere a punto le macchine le attrezzature e gli stru- menti. Servono conoscenze in materia di: • sistemi di stampa (principali tipologie e elementi distintivi); • tecnologie grafiche: principi, meccanismi e parametri di funzionamento; • strumenti (principali tipologie e modalità d’uso/mantenimento); • periferiche di input/output (principali tipologie e modalità d’uso/mantenimento); • forme di stampa (principali tipologie e caratteristiche tecniche); • tecnologia e formati dei supporti digitali; • materiali (principali tipologie e relative caratteristiche). Competenza n. 3 Monitorare il funzionamento di strumenti, attrezzature e macchinari, curando le attività di ma- nutenzione ordinaria. L’operatore deve essere in grado di: – verificare l’impostazione e il funzionamento di macchinari, attrezzature, strumenti; – individuare eventuali anomalie di funzionamento (metodi di diagnosi); 37 – effettuare interventi di manutenzione ordinaria (modalità e comportamenti). Servono conoscenze in materia di: • procedure e tecniche di monitoraggio; • procedure e tecniche per individuare e valutare i malfunzionamenti; • comportamenti e pratiche di manutenzione ordinaria. Competenza n. 4 Predisporre e curare gli spazi di lavoro al fine di assicurare il rispetto delle norme igieniche e di contrastare affaticamento e malattie professionali. L’operatore deve essere in grado di: – applicare i criteri, le procedure, i protocolli di igiene, pulizia e riordino degli spazi di lavoro; – organizzarsi il posto di lavoro in modo “ergonomico”. Servono conoscenze in materia di: • criteri, procedure, protocolli, di igiene, pulizia e riordino; • ergonomia. Competenza n. 5 Elaborare un prodotto grafico sulla base delle istruzioni ricevute e della documentazione del progetto, tenendo conto delle diverse tipologie di supporto di pubblicazione. L’operatore deve essere in grado di: – consultare banche dati sulla grafica; – realizzare schizzi e bozze manualmente e al computer; – effettuare elaborazioni grafiche al computer; – effettuare l’impaginazione al computer; – effettuare la collazione delle bozze. Servono conoscenze in materia di: • copyright e licenze d’uso (norme fondamentali); • progettazione grafica (schizzo, bozzetto, modellino quotato, menabò); • composizione e impaginazione; • software di impaginazione; • software per l’elaborazione di immagini. Competenza n. 6 Produrre i file grafici in formato adatto alla pubblicazione su diversi supporti. L’operatore deve essere in grado di: – adattare trasferire il prodotto grafico sul supporto (tecniche e processi); – controllare la rispondenza agli standard di qualità; – verificare l’impatto grafico-comunicativo del prodotto. Servono conoscenze in materia di: 38 • tipologia e classificazione degli stampati; • supporti di pubblicazione e archiviazione; • formati dei file per la grafica; • tecniche di pubblicazione. Competenza n. 1 indirizzo STAMPA E ALLESTIMENTO Realizzare un prodotto di stampa semplice, completo di cucitura e rifilo, utilizzando macchine per stampa e strumenti per la finitura (indirizzo stampa e allestimento). L’operatore deve essere in grado di: – effettuare la formatura delle prove di stampa (metodi e procedure); – effettuare la stampa (tecniche); – effettuare la cucitura e il rifilo degli stampati (tecniche). Servono conoscenze in materia di: • matrici di stampa (tipologie e caratteristiche); • macchine da stampa (tipologie e caratteristiche); • elementi di densitometria e spettrofotometria applicata agli stampati; • trattamento dei colori e degli inchiostri. Competenza n. 1 indirizzo MULTIMEDIA Acquisire ed elaborare immagini, video e grafici per la pubblicazione su supporti multimediali. L’operatore deve essere in grado di: – produrre fotografie registrazioni immagini (tecniche più appropriate); – usare la macchina fotografica e la video camera digitale; – creare ed elaborare immagini e grafici animati al computer; – effettuare il montaggio di applicazioni multimediali (SW e strumentazioni di base). Servono conoscenze in materia di: • tecniche di ripresa video; • tecniche fotografiche digitali; • tecniche digitali di trattamento audio e video; • software per l’elaborazione di prodotti multimediali. 5.2 Tecnico grafico Lo standard nazionale associa alla figura del tecnico grafico otto unità di com- petenze. 1. Condurre le fasi di lavoro sulla base degli ordini e delle specifiche progettuali, coordinando l’attività di una piccola unità produttiva/di un reparto di lavorazione. 2. Identificare situazioni di rischio potenziale per la sicurezza, la salute e l’ambien- te, promuovendo l’assunzione di comportamenti corretti e consapevoli di pre- venzione. 39 3. Formulare proposte di prodotti interpretando i bisogni del cliente e promuoven- done la fidelizzazione. 4. Realizzare la progettazione grafica integrata, in relazione alle diverse tipologie di supporto di pubblicazione. 5. Predisporre e presidiare il work-flow grafico. 6. Predisporre documenti relativi alle attività ed ai materiali. 7. Definire le esigenze di acquisto di attrezzature e materiali, gestendo il processo di approvvigionamento. 8. Valutare la rispondenza del prodotto agli standard qualitativi previsti dalle spe- cifiche di progettazione. Dette competenze sono a loro volta specificate attraverso un insieme di abilità e un insieme di conoscenze. Nel rispetto dello standard si propone una lettura delle unità di competenze più agevole, intervenendo sul lessico e sulle sequenze proposte, mettendo a fuoco: – le abilità in termini di “l’operatore deve essere in grado di”; – le conoscenze essenziali in termini di “servono conoscenze in materia di”. Competenza n. 1 Condurre le fasi di lavoro sulla base degli ordini e delle specifiche progettuali, coordinando l’attività di una piccola unità produttiva/di un reparto di lavorazione. Il tecnico deve essere in grado di: – leggere (interpretare) il progetto grafico; – individuare le problematiche esecutive; – assegnare i compiti (modalità operative, sequenze e tempi); – coordinare i ruoli operativi e le movimentazioni; – individuare anomalie e segnalare non conformità; – individuare e segnalare il fabbisogno formativo del personale; – formulare proposte di miglioramento degli standard aziendali e di servizio. Servono conoscenze in materia di: • linguaggio della progettazione grafica; • processo di produzione (tecnologie/attrezzature); • organizzazione aziendale; • organizzazione del lavoro e gestione delle risorse umane; • qualità (di sistema, di processo, di prodotto); • gestione della produzione (affrontamento criticità, ottimizzazione risultati). Competenza n. 2 Identificare situazioni di rischio potenziale per la sicurezza, la salute e l’ambiente, promuo- vendo l’assunzione di comportamenti corretti e consapevoli di prevenzione. Il tecnico deve essere in grado di: – valutare il corretto utilizzo e funzionamento dei dispositivi di prevenzione; 40 – segnalare le non conformità nei termini e secondo le procedure previste; – prefigurare forme comportamentali di prevenzione; – proporre miglioramenti organizzativi e del layout per evitare fonti di rischio. Servono conoscenze in materia di: • normativa di riferimento (D.Lsg. 81/2008; ambiente e fattori di inquinamento); • ergonomia (lavoro al computer; lavoro alle macchine; ecc.); • tecniche di rilevazione delle situazioni di rischio; • metodi per la rielaborazione delle situazioni di rischio; • tecniche di reporting; • strategie di promozione. Competenza n. 3 Formulare proposte di prodotti interpretando i bisogni del cliente e promuovendone la fideliz- zazione. Il tecnico deve essere in grado di: – rilevare i bisogni e interagire efficacemente col cliente; – individuare le tipologie di prodotto in rapporto alle esigenze; – rilevare il grado di soddisfazione del cliente; – effettuare la valutazione tecnica dei reclami; – monitorare e controllare la qualità del prodotto/servizio. Servono conoscenze in materia di: • tecniche di ascolto e di comunicazione; • tecniche di negoziazione e problem solving; • tecniche di valutazione della customer satisfaction; • tecniche di fidelizzazione del cliente. Competenza n. 4 Realizzare la progettazione grafica integrata, in relazione alle diverse tipologie di supporto di pubblicazione. Il tecnico deve essere in grado di: – formalizzazione l’idea grafica; – realizzare schizzi e bozze (uso strumenti manuali e software); – interpretare e utilizzare i cataloghi e la documentazione tecnica; – realizzare file grafici e animazioni. Servono conoscenze in materia di: • progettazione grafica; • tecniche di grafica creativa; • tecniche di comunicazione visiva; • organizzazione dell’area di stampa; • supporti di pubblicazione e archiviazione; • tecniche di disegno a mano; 41 • tecniche di gestione dei colori; • composizione grafica del testo; • elementi di lettering e di logotipica; • tecnica grafica computerizzata; • tecniche di interfacciamento grafico; • acquisizione immagini dalle periferiche (importazione esportazione dati); • diritti d’autore e licenze d’uso. Competenza n. 5 Predisporre e presidiare il work-flow grafico. Il tecnico deve essere in grado di: – curare la gestione automatica del work-flow grafico, utilizzando sistemi digitali specifici; – curare il rispetto degli standard previsti nell’utilizzo del work-flow digitale; – curare il rispetto delle procedure previste per l’intero ciclo produttivo. Servono conoscenze in materia di: • sistemi di stampa digitale; • work-flow grafico; • controllo qualità. Competenza n. 6 Predisporre documenti relativi alle attività ed ai materiali. Il tecnico deve essere in grado di: – effettuare analisi di tempi e metodi (ottimizzazione risorse); – elaborare preventivi; – curare la rilevazione dei costi per singole attività; – curare la documentazione contabile nell’avanzamento lavori; – curare la rendicontazione (attività e materiali). Servono conoscenze in materia di: • tempi e metodi; • budgeting; • preventivistica; • contabilità per centri di costo; • procedure e modulistica per la rilevazione dei costi; • rendicontazione. 42 Competenza n. 7 Definire le esigenze di acquisto di attrezzature e materiali, gestendo il processo di approv - vigionamento. Il tecnico deve essere in grado di: – effettuare analisi dei livelli di consumo e del fabbisogno di materiali e attrez - zature; – scegliere materiali e attrezzature (criteri di selezione); – curare l’approvvigionamento e il deposito di materiali e attrezzature; – segnalare le non conformità della fornitura (procedure); – gestire le scorte e le giacenze. Servono conoscenze in materia di: • materiali e attrezzature; • procedure e tecniche per l’approvvigionamento; • tecniche di gestione scorte e giacenze. Competenza n. 8 Valutare la rispondenza del prodotto agli standard qualitativi previsti dalle specifiche di progettazione. Il tecnico deve essere in grado di: – predisporre un piano di verifica; – effettuare le verifiche e le misure (uso degli strumenti); – redigere la reportistica tecnica. Servono conoscenze in materia di: • standard e normative di riferimento; • procedure di controllo; • modulistica e modalità di compilazione della documentazione tecnica. 43 18 STAMPA E RIPRODUZIONE DI SUPPORTI REGISTRATI Ques ta divisione include le attività di stampa di quotidiani, libri, periodici, mo- duli commerciali, biglietti d’auguri ed altro materiale; sono comprese anche le attività di supporto, quali la legatoria, la preparazione di lastre e l’elaborazione elettronica di testi ed immagini. Le attività di supporto, che rientrano in questa divisione, costituiscono parte integrante dell’industria grafica, in quanto il ri- sultato di tali operazioni è un prodotto (lastre da stampa, libri rilegati, dischi o file per computer) che costituisce parte integrante dell’industria grafica. I processi utilizzati nella stampa comprendono vari metodi per trasferire un’immagine da una lastra, da uno schermo o da un supporto informatico ad un supporto di carta, plastica, metallo, tessuto o legno. Il metodo più impor- tante consiste nel trasferire l’immagine da una lastra o uno schermo al sup- porto mediante un procedimento di stampa offset, rotocalcografia, serigrafia, flessografia. Spesso il supporto informatico viene utilizzato per creare un testo o un’immagine che vengono stampati mediante sistemi di stampa elet- tronici (stampanti laser o inkjet). Questa divisione include anche la riproduzione di supporti di registrazione come compact disc, registrazioni video, software su disco o nastro, dischi eccetera. Dalla divisione è esclusa: – attività di editoria, cfr. sezione J. 18.1 STAMPA E SERVIZI CONNESSI ALLA STAMPA Questo gruppo include le attività di stampa di quotidiani, libri, periodici, moduli commerciali, biglietti d’auguri ed altro materiale; sono comprese anche le atti- vità di supporto, quali la legatoria, la preparazione di lastre, di testi e di imma- gini. La stampa può essere effettuata utilizzando tecniche e materiali differenti. 18.11 Stampa di giornali – stampa di altri periodici, pubblicati almeno quattro volte alla settimana. Dalla classe 18.11 sono escluse: – edizione di materiale stampato, cfr. 58.1; – fotocopie di documenti, cfr. 82.19. 18.12 Altra stampa – stampa di riviste ed altri periodici, pubblicati meno di quattro volte alla set- timana; Allegato 1 Descrizione ISTAT delle attività economiche (ATECO 2007) 44 – stampa di libri e opuscoli, spartiti e manoscritti di musica, mappe, atlanti, manifesti, cataloghi, prospetti ed altri stampati pubblicitari, francobolli, mar- che da bollo, titoli rappresentativi, assegni ed altra carta valori, smart cards, album, agende, calendari ed altri stampati commerciali, carta da lettere con intestazione personale ed altro materiale stampato tramite stampa tipografica, offset, rotocalcografia, flessografia, serigrafia ed altre macchine da stampa, macchine duplicatrici, stampanti elettroniche, goffratrici eccetera; – stampa diretta su tessuti, plastica, vetro, metallo, legno e ceramica; – stampa su etichette e cartellini (litografia, rotocalcografia, flessografia, altro); – stampa su articoli pubblicitari e stampa di pubblicità su automezzi. Dalla classe 18.12 sono escluse: – stampa su tessuti nell’ambito dell’industria tessile, cfr. 13.30; – fabbricazione di prodotti cartotecnici (taccuini, cartelline, registri, libri contabili, moduli commerciali eccetera), quando l’informazione stampata non è la principale caratteristica, cfr. 17.23; – fabbricazione di etichette (in carta e cartone), cfr. 17.29; – edizione di materiale stampato, cfr. 58.1; – editoria, cfr. sez. J; – attività delle fotocopisterie, cfr. 82.19; – stampa immediata, su richiesta del cliente, di T-shirt, cfr. 95.29. 18.13 Lavorazioni preliminari alla stampa e ai media – attività di: composizione, fotocomposizione, fotoincisione, immissione ed elaborazione di dati, inclusa la scansione, il riconoscimento ottico dei caratteri e l’impaginazione elettronica; – preparazione di file di dati per applicazioni multimediali; – preparazione di lastre incluso il trattamento delle immagini e la creazione delle lastre (per i processi di stampa tramite stampa tipografica e offset); – preparazione dei cilindri: incisione dei cilindri per rotocalcografia; – trattamento delle lastre: “computer to plate” CTP (anche lastre in fotopoli- meri), lastre e matrici per la stampa anche a rilievo; – predisposizione di matrici per lavori artistici, incluse pietre litografiche e blocchi di legno preparati, a partire dagli originali; – produzione di presentazioni multimediali, per esempio fogli per lucido ed altre forme digitali di presentazione; – preparazione di prodotti di stampa, ad esempio: bozzetti, modelli eccetera – produzione di prove di stampa (bozze); – preparazione di forme per flessografie e telai serigrafici. Dalla classe 18.13 sono escluse: – attività di design specializzato, cfr. 74.10; – attività di artisti indipendenti, cfr. 90.03. 45 18.14 Legatoria e servizi connessi – attività di legatoria, preparazione dei campioni e servizi successivi a sup- porto delle attività di stampa per esempio: legatura e finissaggio di libri, opuscoli, riviste, cataloghi eccetera, tramite piegatura, taglio e rifilatura, as- semblaggio, cucitura a filo refe, brossura, taglio ed adattamento copertine, incollatura, fascicolatura, imbastitura, impressione in oro, rilegatura a spi- rale e a punto metallico; – rilegatura e finissaggio di carta e cartone stampati, tramite piegatura, stam- pigliatura, foratura, fustellatura, goffratura, incollatura, laminatura; – servizi di finissaggio per CD-Rom; – servizi finalizzati alla corrispondenza: personalizzazione, imbustamento e preparazione alla spedizione; – altre attività di finissaggio quali: fustellatura, stampigliatura e copia in Braille. Dalla classe 18.14 è esclusa: – spedizione di materiale propagandistico, compilazione e gestione di indi- rizzi, cfr. 82.19. 58 ATTIVITÀ EDITORIALI Questa divisione include l’edizione di libri, opuscoli, volantini, dizionari, en- ciclopedie, atlanti, cartine e mappe; l’edizione di giornali, riviste e periodici; elenchi, mailing list ed altre pubblicazioni, anche di software. Le attività legate all’editoria includono l’acquisizione dei diritti d’autore di contenuti (prodotti di informazione) e l’erogazione di tali prodotti al pubblico attivando (o prendendo accordi per) la riproduzione e la distribuzione degli stessi in varie forme. Tutte le possibili forme di editoria (in forma cartacea, elettronica o audio, su internet, su supporto multimediale, ad esempio testi su CD-Rom eccetera) esclusa l’edizione di pellicole cinematografiche, sono in- cluse in questa divisione. Questa divisione esclude l’edizione di pellicole cinematografiche, videocasset- te e film su Dvd o su supporto simile (divisione 59) e la produzione di copie originali per dischi o materiale audio (divisione 59). Sono escluse, inoltre, la stampa (cfr. 18.11, 18.12) e la riproduzione di supporti registrati (cfr. 18.20). 58.1 EDIZIONE DI LIBRI, PERIODICI ED ALTRE ATTIVITÀ EDITORIALI Questo gruppo include attività di edizione di libri, giornali, riviste ed altri pe- riodici, elenchi e mailing list, nonché di fotografie, incisioni, cartoline postali, calendari, moduli, manifesti e riproduzioni di opere d’arte. Tali opere sono ca- ratterizzate dalla creatività intellettuale richiesta per il loro sviluppo e sono generalmente protette dal copyright. 58.11 Edizione di libri Questa classe include le attività legate all’edizione di libri in forma cartacea, in formato elettronico (CD, visualizzazione elettronica eccetera), audio, o su internet: 46 – edizione di libri, opuscoli, volantini e simili, inclusa la pubblicazione di dizionari ed enciclopedie; – edizione di atlanti, cartine e mappe; – edizione di libri su supporto audio; – edizione di enciclopedie eccetera su CD-Rom. Dalla classe 58.11 sono escluse: – produzione di mappamondi, cfr. 32.99; – edizione di materiale pubblicitario, cfr. 58.19; – edizione di musica e spartiti, cfr. 59.20; – attività di autori indipendenti, cfr. 90.03. 58.12 Pubblicazione di elenchi e mailing list Questa classe include la pubblicazione di elenchi di fatti/informazioni (data- base), protetti nella forma, ma non nel contenuto. Tali elenchi possono essere pubblicati in forma cartacea o elettronica. Tenuto conto della rilevanza delle attività presenti in questa categoria la stessa viene dettagliata nelle seguenti sottocategorie 58.12.01 Pubblicazione di elenchi: – pubblicazione di elenchi telefonici; – pubblicazione di altri elenchi e raccolte, quali testi di legge, com- pendi farmaceutici ecc.. 58.12.02 Pubblicazione di mailing list. Dalla classe 58.12 è esclusa: – gestione di banche dati, cfr. 63.11. 58.13 Edizione di quotidiani Questa classe comprende l’edizione di quotidiani, inclusi quelli con contenuto pubblicitario, pubblicati almeno quattro volte alla settimana. L’edizione può essere fatta in forma cartacea o elettronica, anche su internet. Dalla classe 58.13 è esclusa: – attività delle agenzie di stampa, cfr. 63.91. 58.14 Edizione di riviste e periodici Questa classe include l’edizione di periodici e di altre riviste, pubblicati meno di quattro volte alla settimana. L’edizione può essere fatta in forma cartacea o elettronica, anche su internet. 58.19 Altre attività editoriali – edizione, anche on-line, di: cataloghi commerciali, fotografie, incisioni e cartoline, biglietti di auguri, moduli, manifesti, riproduzioni di opere d’arte, materiale pubblicitario, altro materiale a stampa; – calendari, cartoline riprodotte con sistemi meccanici o fotomeccanici, edi- zioni di registri e quaderni; – edizione on-line di dati ed altre pubblicazioni. 47 Dalla classe 58.19 sono escluse: – edizione di giornali pubblicitari, cfr. 58.13; – fornitura di applicazioni hosting e servizi applicativi in rete (ASP), cfr. 63.11. 58.2 EDIZIONE DI SOFTWARE 58.29 Edizione di altri software – edizione, anche on-line, di software non personalizzati, inclusa la traduzione o l’adattamento di software non personalizzati per un particolare mercato: sistemi operativi, applicazioni commerciali e di altro tipo con eventuale connessa produzione; – concessione di licenze d’uso di software non personalizzato. Dalla classe 58.29 sono escluse: – riproduzione di software, cfr. 18.20; – commercio al dettaglio di software non personalizzati, cfr. 47.41; – produzione di software non associata all’edizione, incluso la trasposizione o l’adattamento di software non personalizzati per un particolare mercato per conto terzi, cfr. 62.01; – fornitura di applicazioni hosting e servizi applicativi in rete (ASP), cfr. 63.11. 48 LE TABULAZIONI CHE SEGUONO FORNISCONO I DATI (VALORI ASSOLUTI) DEL CENSIMENTO ISTAT 2011 SUL NUMERO DELLE IMPRESE ATTIVE RIFERIBILI AL SETTORE DISAGGREGATI PER LE ATTIVITÀ ECONOMICHE (ATECO 2007): C 18.1 STAMPA E SERVIZI CONNESSI ALLA STAMPA 18.11 stampa di giornali 18.12 altra stampa 18.13 lavorazioni preliminari alla stampa e ai media 18.14 legatoria e servizi connessi J 58.1 EDIZIONE DI LIBRI, PERIODICI ED ALTRE ATTIVITÀ EDITORIALI 58.11 edizione di libri 58.12 pubblicazione di elenchi e mailing list 58.13 edizione di quotidiani 58.14 edizione di riviste e periodici 58.19 altre attività editoriali J 58.2 EDIZIONE DI SOFTWARE 58.29 edizione di altri software E PER LOCALIZZAZIONE GEOGRAFICA: – ITALIA – 20 REGIONI – 38 PROVINCE IN CUI SONO PRESENTI REALTÀ FORMATIVE DI CNOS-FAP Allegato 2 Imprese attive 49 C 18.1 18.11 18.12 18.13 18.14 ITALIA 16.027 63 12.204 2.444 1.316 ABRUZZO 353 2 293 34 24 L'AQUILA 75 2 60 8 5 CHIETI 104 0 91 8 5 BASILICATA 133 0 119 8 6 CALABRIA 383 0 331 28 24 COSENZA 136 0 112 11 13 REGGIO CALABRIA 102 0 93 3 6 VIBOVALENTIA 28 0 25 3 0 CAMPANIA 1.103 1 916 112 74 NAPOLI 538 1 437 61 39 EMILIA-ROMAGNA 1.288 6 958 208 116 BOLOGNA 347 6 241 67 33 FORLI CESENA 101 0 81 13 7 FRIULI VG 300 1 226 48 25 UDINE 133 0 98 21 14 LAZIO 1.558 12 1.162 225 159 ROMA 1.224 12 869 204 139 LIGURIA 370 2 287 44 37 GENOVA 226 2 166 29 29 IMPERIA 38 0 33 4 1 LOMBARDIA 3.387 15 2.344 729 299 BERGAMO 310 0 217 50 43 BRESCIA 298 2 246 35 15 MILANO 1.523 8 957 406 152 MARCHE 491 0 391 62 38 MOLISE 57 0 52 5 0 50 PIEMONTE 1.237 4 899 228 106 ALESSANDRIA 93 0 69 19 5 ASTI 59 0 45 11 3 BIELLA 48 2 38 2 6 CUNEO 188 2 148 28 10 TORINO 700 0 491 139 70 VERCELLI 39 0 33 3 3 PUGLIA 904 3 764 92 45 BARI 296 3 234 38 21 FOGGIA 114 0 100 9 5 SARDEGNA 317 0 261 36 20 CAGLIARI 133 0 105 19 9 NUORO 38 0 30 5 3 OGLIASTRA 4 0 4 0 0 OLBIA TEMPIO 15 0 14 1 0 SASSARI 66 0 54 7 5 SICILIA 966 7 795 99 65 CALTANISETTA 46 0 37 4 5 CATANIA 258 5 194 34 25 PALERMO 208 2 173 22 11 RAGUSA 68 0 62 3 3 TOSCANA 1.021 3 809 136 73 TRENTINO ALTO ADIGE 280 0 190 63 27 UMBRIA 317 1 243 38 35 PERUGIA 270 1 202 36 31 VALLE D'AOSTA 29 0 26 2 1 AOSTA 29 0 26 2 1 VENETO 1.533 6 1.138 247 142 PADOVA 332 2 245 50 35 VICENZA 276 1 216 35 24 VENEZIA 183 1 138 30 14 VERONA 372 1 265 71 35 51 52 53 C 18.1 J 58.1 58.29 tot ITALIA 16.027 5.707 468 22.202 ABRUZZO 353 108 7 468 L'AQUILA 75 19 3 97 CHIETI 104 28 4 136 BASILICATA 133 32 0 165 CALABRIA 383 91 5 479 COSENZA 136 42 1 179 REGGIO CALABRIA 102 23 2 127 VIBOVALENTIA 28 2 1 31 CAMPANIA 1.103 304 20 1.427 NAPOLI 538 188 12 738 EMILIA-ROMAGNA 1.288 441 55 1.784 BOLOGNA 347 146 16 509 FORLI CESENA 101 37 3 141 FRIULI VG 300 111 8 419 UDINE 133 49 3 185 LAZIO 1.558 1.058 77 2.693 ROMA 1.224 972 70 2.266 LIGURIA 370 111 15 496 GENOVA 226 73 13 312 IMPERIA 38 12 1 51 LOMBARDIA 3.387 1.527 129 5.043 BERGAMO 310 75 6 391 BRESCIA 298 70 12 380 MILANO 1.523 1.091 63 2.677 MARCHE 491 109 12 612 MOLISE 57 15 0 72 54 PIEMONTE 1.237 403 43 1.683 ALESSANDRIA 93 34 4 131 ASTI 59 7 3 69 BIELLA 48 16 2 66 CUNEO 188 47 2 237 TORINO 700 256 27 983 VERCELLI 39 12 1 52 PUGLIA 904 212 5 1.121 BARI 296 70 1 367 FOGGIA 114 27 0 141 SARDEGNA 317 96 3 416 CAGLIARI 133 49 2 184 NUORO 38 8 0 46 OGLIASTRA 4 1 0 5 OLBIA TEMPIO 15 4 0 19 SASSARI 66 25 1 92 SICILIA 966 229 10 1.205 CALTANISETTA 46 2 1 49 CATANIA 258 39 3 300 PALERMO 208 81 3 292 RAGUSA 68 9 0 77 TOSCANA 1.021 334 21 1.376 TRENTINO ALTO ADIGE 280 81 9 370 UMBRIA 317 90 9 416 PERUGIA 270 66 8 344 VALLE D'AOSTA 29 19 1 49 AOSTA 29 19 1 49 VENETO 1.533 336 39 1.908 PADOVA 332 81 7 420 VICENZA 276 56 6 338 VENEZIA 183 52 6 241 VERONA 372 71 6 449 55 Allegato 3 Distribuzione dimensionale delle imprese attive (Fonte ISTAT Censimento dell’industria e dei servizi 2011) 56 LE TABULAZIONI CHE SEGUONO FORNISCONO I DATI (VALORI ASSOLUTI) DEL CENSIMENTO ISTAT 2011 SUL NUMERO DI ADDETTI NELLE IMPRESE ATTIVE RIFERIBILI AL SETTORE DISAGGREGATI PER LE ATTIVITÀ ECONOMICHE (ATECO 2007): C 18.1 STAMPA E SERVIZI CONNESSI ALLA STAMPA 18.11 stampa di giornali 18.12 altra stampa 18.13 lavorazioni preliminari alla stampa e ai media 18.14 legatoria e servizi connessi J 58.1 EDIZIONE DI LIBRI, PERIODICI ED ALTRE ATTIVITÀ EDITORIALI 58.11 edizione di libri 58.12 pubblicazione di elenchi e mailing list 58.13 edizione di quotidiani 58.14 edizione di riviste e periodici 58.19 altre attività editoriali J 58.2 EDIZIONE DI SOFTWARE 58.29 edizione di altri software E PER LOCALIZZAZIONE GEOGRAFICA: – ITALIA – 20 REGIONI – 38 PROVINCE IN CUI SONO PRESENTI REALTÀ FORMATIVE DI CNOS-FAP Allegato 4 Addetti 57 C 18.1 18.11 18.12 18.13 18.14 ITALIA 91.169 2.191 70.549 10.388 8.041 ABRUZZO 1.411 121 1.183 66 41 L'AQUILA 311 121 175 9 6 CHIETI 333 0 315 13 5 BASILICATA 432 0 408 12 12 CALABRIA 1.289 0 1.169 76 44 COSENZA 325 0 277 21 27 REGGIO CALABRIA 214 0 200 4 10 VIBOVALENTIA 64 0 54 10 0 CAMPANIA 3.665 14 3.008 343 300 NAPOLI 1.745 14 1.431 168 132 EMILIA-ROMAGNA 8.890 190 7.016 1.075 609 BOLOGNA 2.612 190 1.972 223 227 FORLI CESENA 704 0 644 35 25 FRIULI VG 2.062 5 1.538 170 349 UDINE 854 0 700 69 85 LAZIO 8.227 360 6.767 595 505 ROMA 7.006 360 5.645 548 453 LIGURIA 1.387 70 1.073 133 111 GENOVA 918 70 687 94 67 IMPERIA 169 0 130 1 38 LOMBARDIA 24.659 483 17.757 4.258 2.161 BERGAMO 4.712 0 3.415 431 866 BRESCIA 2.058 124 1.748 113 73 MILANO 10.418 241 6.850 2.469 858 MARCHE 2.771 0 2.260 218 293 MOLISE 169 0 161 8 0 58 PIEMONTE 7.654 212 6.024 746 672 ALESSANDRIA 500 0 404 84 12 ASTI 163 0 134 24 5 BIELLA 260 32 216 3 9 CUNEO 1.521 180 1.223 90 28 TORINO 4.227 0 3.170 476 581 VERCELLI 153 0 145 3 5 PUGLIA 3.005 115 2.429 266 195 BARI 1.208 115 847 123 123 FOGGIA 337 0 296 27 14 SARDEGNA 910 0 822 53 35 CAGLIARI 417 0 365 29 23 NUORO 124 0 117 4 3 OGLIASTRA 14 0 14 0 0 OLBIA TEMPIO 41 0 40 1 0 SASSARI 157 0 139 12 6 SICILIA 2.960 200 2.286 284 190 CALTANISETTA 125 0 111 6 8 CATANIA 939 170 541 109 119 PALERMO 672 30 561 53 28 RAGUSA 171 0 153 15 3 TOSCANA 4.805 145 3.952 417 291 TRENTINO ALTO ADIGE 2.186 0 1.839 144 203 UMBRIA 1.806 2 1.374 159 271 PERUGIA 1.638 2 1.233 158 245 VALLE D'AOSTA 160 0 142 11 7 AOSTA 160 0 142 11 7 VENETO 12.721 274 9.341 1.354 1.752 PADOVA 2.568 65 1.796 342 365 VICENZA 2.431 40 1.360 135 896 VENEZIA 1.015 75 805 89 46 VERONA 4.027 80 3.190 515 242 59 J 58.1 58.11 58.12 58.13 58.14 58.19 58.29 ITALIA 36.523 11.071 1.207 10.724 11.617 1.904 2.534 ABRUZZO 249 87 0 10 116 36 7 L'AQUILA 34 8 0 0 17 9 3 CHIETI 52 14 0 2 34 2 4 BASILICATA 52 16 0 10 25 1 0 CALABRIA 398 135 0 187 68 8 8 COSENZA 289 95 0 147 47 0 1 REGGIO CALABRIA 38 26 0 1 9 2 4 VIBOVALENTIA 4 0 0 0 1 3 2 CAMPANIA 1.040 478 1 262 177 122 108 NAPOLI 730 373 0 191 118 48 96 EMILIA-ROMAGNA 4.208 1.708 0 1.107 1.234 159 243 BOLOGNA 1.849 623 0 817 394 15 21 FORLI CESENA 97 56 0 0 29 12 6 FRIULI VG 300 86 0 41 149 24 8 UDINE 111 33 0 1 73 4 3 LAZIO 6.044 1.141 4 2.892 1.496 511 910 ROMA 5.683 1.043 4 2.792 1.423 421 811 LIGURIA 473 69 0 239 146 19 57 GENOVA 370 44 0 226 89 11 55 IMPERIA 42 6 0 0 36 0 1 LOMBARDIA 14.098 4.031 26 3.593 5.847 601 356 BERGAMO 307 84 0 129 67 27 6 BRESCIA 318 153 0 88 70 7 17 MILANO 12.525 3.647 26 2.989 5.334 529 281 MARCHE 404 200 0 81 105 18 32 MOLISE 41 2 0 29 7 3 0 60 4 PIEMONTE 4.218 1.358 1.175 565 927 193 139 ALESSANDRIA 172 95 0 12 49 16 4 ASTI 18 3 0 0 15 0 5 BIELLA 48 3 0 45 0 0 2 CUNEO 470 97 0 26 311 36 3 TORINO 3.097 814 1.175 524 450 134 111 VERCELLI 19 6 0 0 13 0 1 PUGLIA 430 188 0 83 141 18 5 BARI 164 74 0 35 48 7 1 FOGGIA 60 47 0 5 7 1 0 SARDEGNA 606 81 0 448 66 11 4 CAGLIARI 383 27 0 312 36 8 3 NUORO 34 31 0 2 1 0 0 OGLIASTRA 0 0 0 0 0 0 0 OLBIA TEMPIO 8 7 0 0 1 0 0 SASSARI 172 16 0 136 18 2 1 SICILIA 739 194 0 365 164 16 144 CALTANISETTA 2 0 0 1 1 0 1 CATANIA 81 18 0 15 47 1 105 PALERMO 343 114 0 158 63 8 5 RAGUSA 5 2 0 0 2 1 0 TOSCANA 1.130 640 0 128 311 51 43 TRENTINO ALTO ADIGE 475 170 0 183 106 16 27 UMBRIA 312 103 1 107 93 8 11 PERUGIA 273 90 1 103 73 6 10 VALLE D'AOSTA 41 13 0 18 10 0 1 AOSTA 41 13 0 18 10 0 1 VENETO 1.265 371 0 376 429 89 431 PADOVA 257 101 0 51 97 8 136 VICENZA 118 45 0 9 59 5 14 VENEZIA 318 83 0 167 56 12 6 VERONA 405 99 0 126 123 57 31 61 C 18.1 J 58.1 58.29 tot ITALIA 91.169 36.523 2.534 130.226 ABRUZZO 1.411 249 7 1.667 L'AQUILA 311 34 3 348 CHIETI 333 52 4 389 BASILICATA 432 52 0 484 CALABRIA 1.289 398 8 1.695 COSENZA 325 289 1 615 REGGIO CALABRIA 214 38 4 256 VIBOVALENTIA 64 4 2 70 CAMPANIA 3.665 1.040 108 4.813 NAPOLI 1.745 730 96 2.571 EMILIA-ROMAGNA 8.890 4.208 243 13.341 BOLOGNA 2.612 1.849 21 4.482 FORLI CESENA 704 97 6 807 FRIULI VG 2.062 300 8 2.370 UDINE 854 111 3 968 LAZIO 8.227 6.044 910 15.181 ROMA 7.006 5.683 811 13.500 LIGURIA 1.387 473 57 1.917 GENOVA 918 370 55 1.343 IMPERIA 169 42 1 212 LOMBARDIA 24.659 14.098 356 39.113 BERGAMO 4.712 307 6 5.025 BRESCIA 2.058 318 17 2.393 MILANO 10.418 12.525 281 23.224 MARCHE 2.771 404 32 3.207 MOLISE 169 41 0 210 62 PIEMONTE 7.654 4.218 139 12.011 ALESSANDRIA 500 172 4 676 ASTI 163 18 5 186 BIELLA 260 48 2 310 CUNEO 1.521 470 3 1.994 TORINO 4.227 3.097 111 7.435 VERCELLI 153 19 1 173 PUGLIA 3.005 430 5 3.440 BARI 1.208 164 1 1.373 FOGGIA 337 60 0 397 SARDEGNA 910 606 4 1.520 CAGLIARI 417 383 3 803 NUORO 124 34 0 158 OGLIASTRA 14 0 0 14 OLBIA TEMPIO 41 8 0 49 SASSARI 157 172 1 330 SICILIA 2.960 739 144 3.843 CALTANISETTA 125 2 1 128 CATANIA 939 81 105 1.125 PALERMO 672 343 5 1.020 RAGUSA 171 5 0 176 TOSCANA 4.805 1.130 43 5.978 TRENTINO ALTO ADIGE 2.186 475 27 2.688 UMBRIA 1.806 312 11 2.129 PERUGIA 1.638 273 10 1.921 VALLE D'AOSTA 160 41 1 202 AOSTA 160 41 1 202 VENETO 12.721 1.265 431 14.417 PADOVA 2.568 257 136 2.961 VICENZA 2.431 118 14 2.563 VENEZIA 1.015 318 6 1.339 VERONA 4.027 405 31 4.463 63 Allegato 5 Distribuzione degli addetti per dimensione aziendale (Fonte censimento Istat 2011, elaborazione Spin) 64 AREA AMMINISTRATIVA 01 tecnici di amministrazione/finanza/controllo di gestione 02 operatori di contabilità 03 tecnici gestione/sviluppo personale 04 tecnici sistema informativo aziendale 05 operatori di segreteria AREA COMMERCIALE 06 tecnici commerciali/marketing/organizzazione vendite 07 operatori servizi commerciali 08 tecnici di prodotto/servizio - assistenza clienti AREA PROGETTAZIONE (INNOVAZIONE PRODOTTO/PROCESSO) 09 tecnici di redazione editoriale 10 progettisti prodotti editoriali 11 progettisti grafici/web designer 12 tecnici sistemi pre-stampa 13 tecnologi di industrializzazione prodotto/processo AREA QUALITÀ 14 tecnici sistema qualità (processi e prodotti) 15 tecnici ambiente/sicurezza AREA LOGISTICA 16 tecnici di programmazione della produzione/logistica 17 tecnici acquisti/approvvigionamenti 18 magazzinieri (accettazioni/spedizioni) AREA MANUTENZIONE/SERVIZI ALLA PRODUZIONE 19 tecnici programmazione/gestione manutenzioni 20 manutentori meccanici 21 manutentori elettro-elettronici e di sistemi di automazione AREA PRODUZIONE 22 tecnici di produzione (gestione reparto/unità operativa) 23 conduttori sistemi di stampa (offset, rotocalco, flessografia, serigrafia) 24 conduttori sistemi post-stampa (allestimento, legatoria) 25 operatori di produzione e servizi vari Allegato 6 Figure di riferimento della filiera editoria-grafica-stampa (Progetto RIF Rete Indagine Fabbisogni Province e Regione Piemonte) 65 01 tecnici di amministrazione/finanza/controllo di gestione: curano il sistema di contabilità (generale e industriale), gli adempimenti ammini- strativi-fiscali e la redazione dei bilanci; effettuano analisi economico-finanziarie e curano i rapporti con il sistema creditizio; elaborano i budget, analizzano gli sco- stamenti e suggeriscono le azioni correttive. 02 operatori di contabilità: curano l’implementazione del sistema di contabilità (generale e industriale) e pre- dispongono la documentazione di supporto amministrativa e fiscale. 03 tecnici gestione/sviluppo personale: curano le politiche del personale (selezione, inquadramento, sviluppo, organizzazio- ne del lavoro), gli adempimenti contrattuali/amministrativi, le relazioni industriali. 04 tecnici sistema informativo aziendale: studiano le esigenze informative (dell’azienda, reparto, postazione), valutano le of- ferte dei fornitori (hardware e software), sviluppano e adattano le applicazioni in- formatiche; curano la manutenzione del sistema e l’assistenza/addestramento degli operatori. 05 operatori di segreteria: curano il disbrigo delle pratiche di ufficio (archivio, protocollo, corrispondenza, agenda) e i contatti con altri enti interni ed esterni (telefono, posta elettronica). 06 tecnici commerciali/marketing/organizzazione vendite: curano le strategie di sviluppo dei prodotti/mercati, le politiche commerciali, le azio- ni promozionali, l’organizzazione e il coordinamento delle vendite. 07 operatori servizi commerciali: curano l’accettazione/evasione degli ordini (contratti, condizioni finanziarie, tempi di consegna) e i rapporti con il cliente. 08 tecnici di prodotto/servizio-assistenza clienti: assistono il cliente nelle fasi di definizione dell’ordine e/o di post-vendita; propon- gono adattamenti e modifiche e le segnalano all’azienda. 09 tecnici di redazione editoriale: curano l’editing, l’organizzazione di testi e della grafica redazionale, le verifiche, i controlli e l’autorizzazione alla stampa; coordinano le attività degli operatori. Allegato 7 Descrizione sintetiche delle figure di riferimento (Progetto RIF) 66 10 progettisti prodotti editoriali: definiscono il formato, i materiali, i caratteri/immagini, i procedimenti; curano la progettazione del prodotto editoriale (su supporto cartaceo/elettronico); effettuano gli studi di fattibilità, predispongono le istruzioni e la documentazione tecnica. 11 progettisti grafici/web designer: identificano le esigenze comunicative, curano la progettazione grafica/informatica, con particolare attenzione al valore d’uso del prodotto e alla facilità di accesso. 12 tecnici sistemi pre-stampa (trattamento testi, immagini, video-impaginazione): curano la realizzazione delle operazioni che precedono la stampa del prodotto: com- posizione dei testi, elaborazione delle immagini, impaginazione. 13 tecnologi di industrializzazione prodotto/processo: definiscono i cicli di lavorazione, curano l’adeguamento delle tecnologie di produ- zione e l’eventuale ricorso a risorse esterne; intervengono sui problemi relativi al processo produttivo e al funzionamento degli impianti. 14 tecnici sistema qualità (processi e prodotti): curano le politiche di qualità, le procedure, la loro diffusine/attuazione (all’interno dell’azienda e verso i fornitori), gli aspetti di normalizzazione, l’elaborazione e l’ag- giornamento dei manuali di qualità, i collegamenti con gli enti di certificazione. 15 tecnici ambiente/sicurezza: curano le procedure relative alla sicurezza/igiene del lavoro e all’ambiente (interno/ esterno), i rapporti con le strutture istituzionali e di certificazione; valutano le situa- zioni di potenziale insorgenza di eventi dannosi, individuano le soluzioni e le priorità; promuovono interventi di motivazione, formazione, addestramento del personale. 16 tecnici di programmazione della produzione/logistica: curano la programmazione/avanzamento della produzione, l’organizzazione logistica interna (movimentazioni e magazzini) ed esterna (approvvigionamenti e spedizioni). 17 tecnici acquisti/approvvigionamenti: curano le politiche degli acquisti/approvvigionamenti (incluse le lavorazioni conto terzi); selezionano e valutano i fornitori; curano la definizione dei contratti e ne se- guono l’adempimento. 18 magazzinieri (accettazioni/spedizioni): curano l’immagazzinamento (materie prime, semilavorati, prodotti finiti), l’alimen- tazione dei reparti, le spedizioni; aggiornano in tempo reale i dati (consistenza scorte, giacenze). 19 tecnici programmazione/gestione manutenzioni: pianificano e seguono le attività di manutenzione (interne e appaltate); valutano i dati sullo stato di funzionamento delle macchine/impianti e sull’efficacia degli interventi e adottano i relativi provvedimenti. 67 20 manutentori meccanici: curano il funzionamento e l’efficienza delle componenti meccaniche, pneumatiche e idrauliche del parco macchine/impianti attraverso interventi di ripristino, preven- zione guasti/anomalie e miglioramento. 21 manutentori elettro-elettronici e di sistemi di automazione: curano il funzionamento e l’efficienza delle componenti elettriche/elettroniche e di automazione del parco macchine/impianti attraverso interventi di ripristino, preven- zione guasti/anomalie e miglioramento. 22 tecnici di produzione (gestione reparto/unità operativa): gestiscono e coordinano le attività del reparto/unità operativa, effettuano interventi di correzione/regolazione; seguono il funzionamento e la manutenzione ordinaria delle macchine/impianti; valutano l’andamento della produzione e propongono mi- glioramenti; curano l’addestramento degli operatori. 23 conduttori sistemi di stampa (offset, rotocalco, flessografia, serigrafia): conducono macchine/impianti relativi alle fasi del processo di stampa, verificano la conformità dell’“output” rispetto agli standard; effettuano le regolazioni; segnalano e intervengono su eventuali anomalie; effettuano le manutenzioni ordinarie. 24 conduttori sistemi post-stampa (allestimento, legatoria): conducono macchine/impianti relativi alle fasi del processo di allestimento/legatoria; verificano la conformità dell’“output” rispetto agli standard; effettuano le regola- zioni; segnalano e intervengono su eventuali anomalie; effettuano le manutenzioni ordinarie. 25 operatori di produzione e servizi vari: eseguono le operazioni previste dal ciclo di produzione nel rispetto delle norme e delle procedure di sicurezza e qualità; segnalano le anomalie; effettuano le ordina- rie manutenzioni. 68 Da indagine RIF 2007-2008 su un campione di 71 imprese piemontesi del set- tore editoria grafica stampa. Fatto 100 il totale degli organici delle imprese del campione: AREA AMMINISTRATIVA 11,2% operatori di segreteria 2,9% operatori di contabilità 2,6% tecnici sistema informativo aziendale 2,4% tecnici amministrazione finanza controllo di gestione 1,7% tecnici gestione sviluppo personale 1,6% AREA COMMERCIALE 9,5% operatori servizi commerciali 4,4% tecnici commerciali/marketing/organizzazione vendite 2,8% tecnici di prodotto/servizio - assistenza clienti 2,3% AREA PROGETTAZIONE (INNOVAZIONE PRODOTTO/PROCESSO) 11,2% tecnici pre-stampa 4,7% tecnici di redazione 2,4% progettisti grafici web-designer 1,7% progettisti prodotti editoriali 1,5% AREA QUALITÀ 1,7% tecnici ambiente/sicurezza 0,9% tecnici sistema qualità (prodotti/processi) 0,8% LOGISTICA 9,1% magazzinieri 4,2% tecnici acquisti approvvigionamenti 2,6% tecnici programmazione produzione/logistica 2,3% MANUTENZIONE 4,7% manutentori elettro-elettronici e di sistemi di automazione 2,1% tecnici di programmazione/gestione manutenzioni 1,4% manutentori meccanici 1,2% PRODUZIONE 52,4% operatori di produzione e servizi vari 21,7% conduttori sistemi di stampa 15,5% conduttori sistemi post-stampa 12,0% tecnici di produzione 3,2% (Fonte indagine RIF 2008-2009 - rielaborazione Spin per CNOS-FAP) Allegato 8 Incidenza delle figure sugli organici aziendali Parte II MECCANICA 71 1.1 Grandi linee di tendenza Un grande settore molto variegato La meccanica è un settore straordinariamente ampio ed eterogeneo dal punto di vista dei prodotti e delle tecnologie. L’intera filiera parte dalla siderurgia e dai prodotti metallici di base (es. lamiere) per arrivare alla commercializzazione di com- ponenti e macchinari molto complessi. È il settore industriale più rilevante (per unità produttive e numero di addetti) del nostro paese. Alla base del nostro sviluppo economico a partire dal secondo do- poguerra, risente in modo particolare della crisi e degli effetti della globalizzazione (ingresso di nuovi concorrenti e di delocalizzazione di attività produttive nei paesi a basso costo del lavoro). Le risposte alla globalizzazione e alla crisi L’obiettivo/sfida di questi anni è spostarsi verso produzioni a maggiore valore aggiunto e personalizzate. La parola d’ordine diventa “produzione snella”: riduzione dei lotti e dei tempi di risposta al mercato, concentrazione sui “core business” (che, peraltro, diventano sempre meno stabili), facendo leva sull’esternalizzazione (delle lavorazioni e della componentistica), sulla riduzione delle scorte (materiali, semi - lavorati, componenti), riduzione dei “tempi di attraversamento” (dal progetto alla realizzazione del prodotto) tramite la leva tecnologica (automazione) e la leva orga- nizzativa (flessibilità). La flessibilità organizzativa Dal punto di vista dell’organizzazione produttiva l’aspetto di maggior rilievo ri- guarda la rottura degli schemi tradizionali dell’organizzazione del lavoro, il passag- gio da una visione statica dell’allocazione dei compiti (mansione) a una visione di- namica (chi vede il problema riesce a risolverlo) senza però che queste idee si tradu- cano in solidi riferimenti. Allo stesso modo, a una diffusa domanda di professionalità più complesse (specializzazione, polivalenza, creatività) e di un continuo apprendi- mento da parte dei singoli e dell’organizzazione, si accompagna non di rado una cre- scita reale della precarietà e della de-qualificazione. Capitolo 1 Ricognizione del settore e del processo produttivo 72 La struttura produttiva In Italia come all’estero, la meccanica è caratterizzata da una forte polarizzazio- ne tra un numero ridotto di imprese leader e moltissime piccole aziende specializzate in specifici prodotti o singole fasi di lavorazione, tra le quali si installa un complesso di rapporti orizzontali e verticali (reti di fornitura). La forte eterogeneità delle pro- duzioni e delle strategie di sviluppo non consente in questa sede di tracciare una mappa della meccanica nazionale. Vale comunque la pena di ricordare che l’Italia è leader mondiale (anche se con poca visibilità sociale) in alcuni segmenti quali le macchine impianti e che ogni area geografica10 presenta proprie eccellenze. A titolo di esempio possiamo ricordare per il Piemonte: – la meccatronica/robotica-automazione e la componentistica auto nel Torinese; – lo stampaggio a caldo nel Canavese; – il meccanotessile nel Biellese/Vercellese; – le valvole e la rubinetteria nel Verbano-Novarese-Vercellese; – i casalinghi in metallo (pentole e coltelleria) nel Verbano. Risorse umane Come accennato, la domanda di competenze può apparire contraddittoria: da un lato si richiede una cultura aperta al mondo, dall’altro solide competenze specifiche di tipo tradizionale (lavorazioni meccaniche, saldature, montaggi, installazioni), sempre più difficili da trovare. In realtà le due richieste non sono contraddittorie. Sa- persi esprimere, saper usare la matematica, saper rappresentare un problema, avere la capacità di selezionare, interpretare, elaborare le informazioni, di affrontare e ri- solvere le situazioni, di rapportarsi e comunicare con gli altri, sono la base su cui si innestano e hanno possibilità di sviluppo le competenze specifiche. E questo vale tanto per le imprese di maggiori dimensioni, quanto per le piccole imprese artigiane. 1.2 Ciclo di produzione La rappresentazione schematica del ciclo produttivo della meccanica è partico- larmente problematica a causa della varietà e complessità delle tipologie di produ- zioni. Per questo motivo in Figura 1 si propone uno schema alquanto generico, con l’avvertenza che da un lato comprende fasi che possono non essere presenti nelle aziende di minori dimensioni, dall’altro semplifica fasi che in alcune realtà possono essere molto complesse. Lo schema, come si vede, parte dall’acquisizione della commessa che può esse- 10 Più che di Regioni o Province in molti casi conviene fare riferimento al concetto di “distretto” che, non di rado, è a cavallo di aree geografiche diverse (es. la rubinetteria tra Verbano-Cusio-Ossola, Novara e Vercelli). 73 re “standardizzata” (vendita a catalogo) o personalizzata (si pensi ad esempio ad un impianto automatizzato). Viene quindi evidenziata la fase della ricerca-innovazione-progettazione di pro- dotto e di processo. Sul versante del prodotto si va dall’analisi di mercato, agli studi e ricerche (es. nuovi materiali) sino alla messa a punto del prototipo. Sul versante del processo si indica l’industrializzazione del prototipo (scelte di “make or buy” cioè se realizzare le specifiche fasi all’interno o all’esterno dell’azienda, definizione dei piani e dei cicli produttivi, individuazione degli impianti, definizione degli orga- nici e degli orari). Bisogna poi ricordare che la meccanica “acquista” una grande varietà di semi- lavorati e componenti che provengono da settori differenti manifatturieri ma anche servizi del terziario avanzato. A seconda della tipologia di produzione si evidenzia il ruolo dei fornitori di elettronica, informatica, di servizi ad elevato valore aggiunto quali la progettazione e il design, nonché dei comparti più tradizionali della siderur- gia, metallurgia e affini. Figura 1 - Ciclo di produzione ACQUISIZIONE COMMESSA RICERCA E INNOVAZIONE PROGETTAZIONE PRODOTTO PROCESSO (prototipo) (industrializzazione) ACQUISTO MATERIE PRIME, SEMILAVORATI, COMPONENTI E SERVIZI MANUFATTI SERVIZI (siderurgia, elettronica, leghe metalliche) (informatica, tlc, test, modelllizzazione) QUALITÀ CONTROLLI/COLLAUDI SISTEMA PROCESSI MATERIALI E PRODOTTI PRODUZIONE (TRASFORMAZIONE) LAVORAZIONI PRODOTTI ASSEMBLAGGIO FINALE Circa la qualità-controlli/collaudi (standard certificati) si evidenziano i tre gran- di ambiti di intervento: di sistema, dei processi, dei materiali e prodotti. Nella fase di produzione (trasformazione) si evidenziano le tre grandi tipologie: lavorazione (es. trattamenti termici per conto terzi); realizzazione di prodotti (secon- do un determinato ciclo produttivo); assemblaggio finale (realizzazione del prodotto attraverso il montaggio di componenti). In Figura 2 è proposto, senza pretesa di esaustività, uno schema delle principali tipologie di attività della fase di produzione e delle tecnologie emergenti. 1.3 Principali famiglie di prodotti Come detto, la gamma dei prodotti del settore meccanico è molto vasta e com- plessa. Per farsi un’idea delle principali famiglie di prodotti nelle Tabelle 1 e 2 sono riportate quelle relative alla fabbricazione di prodotti in metallo e alla fabbricazione di macchinari e attrezzature, che, come vedremo, costituiscono le attività di riferi- mento del percorso IeFP dell’operatore meccanico. Tabella 1 - Prodotti in metallo ELEMENTI DA COSTRUZIONE E STRUTTURE METALLICHE PORTE E FINESTRE IN METALLO CISTERNE, SERBATOI, CONTENITORI IN METALLO CALDAIE E RADIATORI APPARECCHI PER LA VENTILAZIONE E LA REFRIGERAZIONE FORNACI E BRUCIATORI GENERATORI DI VAPORE TURBINE VITERIE/BULLONERIE MOLLE CATENE CUSCINETTI DI ROTOLAMENTO INGRANAGGI ORGANI DI TRASMISSIONE VALVOLE E RUBINETTI POMPE E COMPRESSORI MOTORI E PARTI MOTORI APPARECCHIATURE DI SOLLEVAMENTO E MOVIMENTAZIONE ASCENSORI E MONTACARICHI UTENSILI COLTELLERIA E POSATERIA Produzione Figura 2 - Attività e tecnologie nella produzione meccanica ATTIVITÀ • lavorazione lamiera (carpenteria) • saldatura • deformazioni a freddo • deformazioni a caldo • lavorazioni con asportazione di tru- ciolo (macchine utensili) • assemblaggi meccanici • assembleggi elettro/elettronici • trattamenti termici • trattamenti superficiali NUOVE TECNOLOGIE • tecnologie laser • presse a traslazione automatica • diffusione CNC (controllo numerico computerizzato) • automatizzazione • robotica • nuovi materiali 74 75 SERRATURE E CERNIERE CASALINGHI (PENTOLAME ECC.) BILANCE E MACCHINE AUTOMATICHE PER LA VENDITA E LA DISTRIBUZIONE Tabella 2 - Macchinari e attrezzature MACCHINE DI LARGO IMPIEGO MACCHINE SPECIALI IMPIANTI (SETTORE DI DESTINAZIONE) (DESTINAZIONE D’USO) AGRO-ALIMENTARE LAVORAZIONI/TRASFORMAZIONE CARTOTECNICA CONFEZIONAMENTO CONFEZIONI CHIMICA FARMACEUTICA GRAFICA E STAMPA LAVORAZIONE LEGNO MECCANICA SIDERURGIA TESSILE 77 Capitolo 2 Ricognizione del sistema produttivo locale 2.1 Attività economiche di riferimento Per valutare la consistenza del comparto della meccanica nel contesto produttivo locale conviene far riferimento alle attività economiche ATECO 2007/ISTAT indi- cate dallo standard IeFP dell’operatore meccanico: 25 FABBRICAZIONE DI PRODOTTI IN METALLO 28 FABBRICAZIONE DI MACCHINARI E DI ATTREZZATURE L’ISTAT individua queste due voci (“divisioni”) con le seguenti definizioni. 25 FABBRICAZIONE DI PRODOTTI IN METALLO Include la fabbricazione di prodotti in metallo (quali parti, contenitori, strutture), generalmente con funzione statica fissa. La fabbricazione di armi e munizioni è inclusa in questa divisione. [Sono escluse: attività di riparazione e di manutenzione specializzata; installazione specia - lizzata di beni finali prodotti in questa divisione all’interno di edifici, come le caldaie per il riscaldamento]. 28 FABBRICAZIONE DI MACCHINARI E DI ATTREZZATURE Include la fabbricazione di macchinari ed apparecchiature comprese le rispettive parti mec- caniche che intervengono meccanicamente o termicamente sui materiali o sui processi di lavorazione. Questa divisione include apparecchi fissi e mobili o portatili a prescindere dal fatto che siano stati progettati per uso industriale, per l’edilizia e l’ingegneria civile, per uso agricolo o domestico. Inoltre è inclusa in questa divisione la fabbricazione di alcune apparec- chiature speciali, per trasporto di passeggeri o merci entro strutture delimitate. Questa divisione opera una distinzione tra la fabbricazione di macchinari per usi speciali, os- sia macchinari per uso esclusivo in una specifica attività economica o in piccoli raggruppa- menti di attività economiche, e macchinari di impiego generale, ovvero macchinari utilizzabili in una vasta gamma di attività economiche previste nella classificazione Nace. Questa divisione include anche la fabbricazione di macchinari per usi speciali, non presenti al- trove in questa classificazione, utilizzati o meno in un processo di fabbricazione, come le appa- recchiature utilizzate nei parchi di divertimento, nelle piste automatiche da bowling eccetera. [È esclusa la fabbricazione di prodotti in metallo per usi generali; apparecchi di controllo as- sociati, strumenti computerizzati, strumenti di misurazione, apparati di distribuzione e control- lo dell’energia elettrica e veicoli a motore per uso generico]. La divisione 25 FABBRICAZIONE PRODOTTI IN METALLO si articola nei seguenti gruppi: 25.1 FABBRICAZIONE DI ELEMENTI DA COSTRUZIONE IN METALLO 25.2 FABBRICAZIONE DI CISTERNE, SERBATOI, RADIATORI E CONTENITORI IN METALLO 78 25.3 FABBRICAZIONE DI GENERATORI DI VAPORE (ESCLUSI I CONTENITORI IN METALLO PER CALDAIE PER IL RISCALDAMENTO CENTRALE AD ACQUA CALDA) 25.4 FABBRICAZIONE DI ARMI E MUNIZIONI 25.5 FUCINATURA, IMBUTITURA, STAMPAGGIO E PROFILATURA DEI METALLI; METALLURGIA DELLE POLVERI 25.6 TRATTAMENTO E RIVESTIMENTO DEI METALLI; LAVORI DI MECCANICA GENERALE 25.7 FABBRICAZIONE DI ARTICOLI DI COLTELLERIA, UTENSILI E OGGETTI DI FERRAMENTA 25.9 FABBRICAZIONE DI ALTRI PRODOTTI IN METALLO La divisione 28 FABBRICAZIONE DI MACCHINARI E ATTREZZATURE si articola nei seguenti gruppi: 28.1 FABBRICAZIONE DI MACCHINE DI IMPIEGO GENERALE 28.2 FABBRICAZIONE DI ALTRE MACCHINE DI IMPIEGO GENERALE 28.3 FABBRICAZIONE DI MACCHINE PER L’AGRICOLTURA E LA SILVICOLTURA 28.4 FABBRICAZIONE DI MACCHINE PER LA FORMATURA DEI METALLI E DI ALTRE MACCHINE UTENSILI 28.9 FABBRICAZIONE DI ALTRE MACCHINE PER IMPIEGHI SPECIALI Per ogni eventuale approfondimento in Allegato 1 sono riportate le descrizioni dei 13 gruppi. 2.2 Numerosità e diffusione delle aziende In Allegato 2 è riportata la distribuzione delle imprese attive operanti nel comparto, rilevata nel Censimento ISTAT dell’industria e dei servizi del 2011, relativamente a: – le due referenziazioni ATECO (25; 28); – l’intero territorio nazionale; – le 20 Regioni; – le 38 Province in cui operano realtà della Federazione CNOS-FAP. In sintesi (cfr. Tab. 2) il Censimento registrava la presenza sull’intero territorio nazionale di oltre 96.000 imprese, con una dimensione media di 10,4 addetti per im- presa: circa i tre quarti di esse opera nel campo della fabbricazione dei prodotti in metallo, oltre un quarto nella fabbricazione di macchine e attrezzature. Tabella 2 - Distribuzione delle imprese meccaniche per tipologie di attività (Fonte censimento ISTAT industria e servizi 2011 elaborazione Spin) 79 Complessivamente le imprese della meccanica rappresentano circa il 23% del totale delle unità produttive manifatturiere nazionali. In dieci anni, rispetto al cen - simento del 2001 il numero delle aziende meccaniche italiane è diminuito di oltre il 35% (erano circa 149.000), ma è cresciuta la loro dimensione media, passata da 8,7 a 10,4 addetti per impresa. In Tabella 3 è riportata la distribuzione delle 96.000 aziende nelle 20 Regioni. Tabella 3 - Diffusione territoriale delle imprese Legenda: C = attività manifatturiere; 25 = fabbricazione prodotti in metallo; 28 = fabbricazione di macchinari e attrezzature (Fonte ISTAT Censimento 2011; elaborazione Spin) In rapporto alle attività manifatturiere presenti a livello locale, si può osservare come la diffusione delle imprese del settore risulti nettamente al di sopra della media nazionale in Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte (sopra la media in Veneto e nel Friuli Venezia Giulia). 80 2.3 Dimensione delle unità produttive locali In Allegato 3 è riportata la distribuzione dimensionale delle imprese attive ope- ranti nel comparto (Censimento ISTAT dell’industria e dei servizi del 2011) relati- vamente ai codici di attività ATECO: 25 fabbricazione dei prodotti in metallo 28 fabbricazione di macchine e attrezzature alle classi dimensionali: 0, 1, 2, 3-5, 6-9, 10-15, 16-19, 20-49, 50-99, 100-199, 200-249, 250-499, 500-999, 1000 e+ addetti. In sintesi (cfr. Tab. 4) si può osservare che : – oltre il 40% delle imprese attive è formato da micro-aziende (tra 0 e 2 addetti); – più del 34% da piccole aziende (3-9 addetti); – le aziende di dimensioni medio-piccole (10-99 addetti) si attestano attorno al 22%; – le grandi (con 100 e oltre addetti) costituiscono l’1,2% del totale. Tabella 4 - Distribuzione delle imprese per classi dimensionali (addetti) 2.4 Addetti nelle imprese Una serie di dati di particolare interesse nella definizione dell’offerta formativa attiene alla consistenza e alla distribuzione degli occupati nel settore. L’ultimo cen- simento ISTAT (2011) consente di stimare il totale degli addetti della meccanica in poco più di un milione di persone. Vediamo per grandi linee come si distribuiscono in relazione a: 81 – tipologie di attività; – dimensione aziendale (piccole, medie, grandi imprese); – localizzazione geografica. 2.4.1 Distribuzione degli addetti per tipologie di attività In Allegato 4 è riportata la distribuzione del milione di addetti del comparto cen- siti nel 2011 relativamente a: – le referenziazioni ATECO <25 prodotti in metallo>, <macchinari e di attrezzature>; – l’intero territorio nazionale; – le 20 Regioni; – le 38 Province in cui operano realtà dell’Associazione CNOS-FAP In sintesi (cfr. Tab. 5) si può notare che su scala nazionale: – gli addetti nel settore della meccanica costituiscono circa il 26% degli addetti nel complesso delle attività manifatturiere; – di questi il 54% risultano occupati in aziende di fabbricazione di prodotti in me- tallo, il 46% in aziende di fabbricazione di macchinari e attrezzature. Tabella 5 - Distribuzione degli addetti della meccanica per tipologie di attività (Fonte censimento ISTAT industria e servizi 2011 elaborazione Spin) 2.4.2 Distribuzione degli addetti per classi dimensionali In Allegato 5 è riportata la distribuzione degli addetti nella meccanica nelle di- verse dimensioni di impresa relativamente alle: – referenziazioni ATECO <25 prodotti in metallo>, <macchinari e di attrezzature>; – classi dimensionali: 0, 1, 2, 3-5, 6-9, 10-15, 16-19, 20-49, 50-99, 100-199, 200-249, 250-499, 500- 999, 1000 e+ addetti. In sintesi (Tabella 6) si può notare che su scala nazionale: – le imprese di minori dimensioni (sotto i 10 addetti) occupano oltre il 22% degli addetti; – circa la metà (49%) degli addetti del settore opera in aziende di dimensioni me- die/medio-piccole (10-99 addetti); – un po’ meno del 30% nelle aziende di medie e grandi dimensioni. 82 2.4.3 Distribuzione territoriale degli addetti In Tabella 7 è riportata la ripartizione del milione di addetti del settore nelle 20 Regioni. Per consentire una migliore valutazione della diffusione territoriale degli addetti nella meccanica, poiché i valori assoluti e le percentuali rispetto al totale nazionale dipendono dalla dimensione demografica della regione, nell’ultima colonna è ripor- tato il rapporto tra gli stessi addetti e la popolazione residente. Se si tiene conto della popolazione, si può osservare che, a fronte di un dato di media nazionale di 16,8 addetti ogni 1000 abitanti, la maggiore concentrazione si registra in Emilia-Romagna (37,2 addetti ogni 1.000 abitanti); seguono il Veneto, la Lombardia, il Friuli Venezia Giulia, il Piemonte e le Marche. Tabella 6 - Distribuzione degli addetti per dimensioni aziendali 83 Tabella 7 - Distribuzione territoriale degli addetti 85 3.1 Figure di riferimento del comparto I profili professionali specifici che si possono trovare in questo comparto sono numerosissimi. Essi, inoltre, assumono connotazioni particolari in relazione ai di- versi contesti di lavoro. Questa ricchezza di mestieri non deve far perdere di vista il “dovere” di trasmettere agli allievi (giovani e non) una formazione solida non troppo parcellizzata e unidirezionale, che permetta di acquisire una visione di insieme del proprio lavoro, di rispondere alle esigenze della tanto predicata flessibilità e soprat- tutto di essere meno precari nel mondo del lavoro. In questo paragrafo pertanto sono proposti alcuni riferimenti – istituzionali e non – che possono essere utili ad inquadrare la figura dell’operatore meccanico in una dimensione appropriata (evitando gli eccessi di genericità e di specificità). 3.2 I riferimenti istituzionali (standard nazionale IeFP) Lo standard nazionale IeFP correla le figure dell’operatore meccanico alle se- guenti voci della classificazione NUP-ISTAT 2007: 6. Artigiani, operai specializzati ed agricoltori; 6.2.1.4 Montatori di carpenteria metallica; 6.2.2.3 Attrezzisti di macchine utensili e affini; 6.2.3.3 Meccanici e montatori di macchinari industriali ed assimilati; 7. Conduttori di impianti ed operai semi- qualificati addetti a macchinari fissi e mobili; 7.2.7.1 Assemblatori in serie di parti di macchine. Di seguito si riportano le descrizioni delle unità professionali riconducibili allo standard IeFP secondo la classificazione del repertorio NUP-ISTSAT aggiornata al 2011. 6.2.1.4 MONTATORI DI CARPENTERIA METALLICA Si occupano, in officina o in cantiere, della costruzione e dell’assemblaggio di elementi e giunti metallici di strutture portanti, di tubi e di condotte in campo civile, navale, aeronautico e ferroviario. ESEMPI DI PROFESSIONI: calafatore in ferro; calderaio in ferro; carenatore; carpentiere aeronautico; carpentiere di bor- do; carpentiere ferroviario in ferro; carpentiere in ferro; carpentiere in metallo addetto al montaggio scafo; carpentiere infissi metallici; carpentiere materiali ferrotranviari; carpentiere navale in ferro; carpentiere tubista; carpentiere verniciatore di bordo; costruttore di ponti me- tallici; montatore di scafo; rivettatore metallico; tubista navale. Capitolo 3 Ricognizione del sistema professionale di riferimento 86 6.2.2.3 ATTREZZISTI DI MACCHINE UTENSILI E PROFESSIONI ASSIMILATE11 Provvedono alla preparazione di macchine utensili di precisione e alla realizzazione, con tali macchine, del primo pezzo o di manufatti non in serie ovvero provvedono ad attrezzare e a ta- rare torni, presse, fresatrici con gli utensili necessari al tipo di lavorazione da eseguire; rifini- scono, manualmente o con l’impiego di tali macchine utensili, le superfici, piane o curve, di manufatti in metallo, eseguendo la rettifica di precisione di superfici curve per eliminare im- perfezioni o deformazioni delle stesse, portandole alle dimensioni previste; provvedono all’ag- giustamento e alla correzione manuale degli utensili da utilizzare ed eventualmente degli stessi manufatti realizzati. Questa categoria comprende due unità professionali: - 6.2.2.3.1 - Attrezzisti di macchine utensili; - 6.2.2.3.2 - Aggiustatori meccanici. 6.2.2.3.1 - ATTREZZISTI DI MACCHINE UTENSILI Provvedono alla preparazione di macchine utensili di precisione e alla realizzazione, con tali macchine, del primo pezzo o di manufatti non in serie ovvero provvedono ad attrezzare e a ta- rare torni, presse, fresatrici con gli utensili necessari al tipo di lavorazione da eseguire; rifini- scono, manualmente o con l’impiego di tali macchine utensili, le superfici, piane o curve, di manufatti in metallo, eseguendo la rettifica di precisione di superfici curve per eliminare im- perfezioni o deformazioni delle stesse, portandole alle dimensioni previste. ESEMPI DI PROFESSIONI: attrezzatore di trance e presse; attrezzista di macchine automatiche; attrezzista di officina; at- trezzista stampista; calibrista; lappatore di metalli; levigatore di metalli; lisciatore finitore di metalli; lucidatore di metalli; meccanico fresatore; piallatore rettificatore; rettificatore di ci- lindri; rettificatore di parti metalliche; sabbiatore di metalli; sbavatore di metalli; smeriglia- tore di metalli; taratore di torni; trapanista attrezzista; utensilista. 6.2.2.3.2 - AGGIUSTATORI MECCANICI Provvedono all’aggiustamento e alla correzione manuale degli utensili da utilizzare ed even- tualmente degli stessi manufatti realizzati. ESEMPI DI PROFESSIONI: aggiustatore meccanico di utensili; limatore a mano; maschiatore; piallatore meccanico; pun- tatore meccanico. 6.2.3.3 MECCANICI E MONTATORI DI MACCHINARI INDUSTRIALI ED ASSIMILATI Si occupano della manutenzione e dell’installazione di macchinari ed impianti industriali ov- vero costruiscono artigianalmente, manutengono e riparano, in officina o sugli impianti stessi, macchinari e impianti industriali o le loro parti; montano i loro componenti nei luoghi di installazione partendo da progetti, istruzioni o da altre rappresentazioni, verificano la corri- spondenza del contesto ai requisiti richiesti, modificano o adattano eventualmente le parti da montare e collaudano le macchine o gli impianti così realizzati. Questa categoria comprende due unità professionali: - 6.2.3.3.1 - Riparatori e manutentori di macchinari e impianti industriali; - 6.2.3.3.2 - Installatori e montatori di macchinari e impianti industriali. 6.2.3.3.1 - RIPARATORI E MANUTENTORI DI MACCHINARI E IMPIANTI INDUSTRIALI Costruiscono artigianalmente, manutengono e riparano, in officina o sugli impianti stessi, mac- chinari, impianti industriali o le loro parti. 11 Nella classificazione del 2007: <6.2.2.3 Attrezzisti di macchine utensili e affini>. 87 12 Nella classificazione 2007: <7. Conduttori di impianti ed operai semi qualificati addetti a mac- chinari fissi e mobili>. 13 Rete Indagini Fabbisogni, promosso dalle Province e dalla Regione Piemonte http://extranet. regione.piemonte.it/fp-lavoro/centrorisorse/studi_statisti/rif/index.htm. ESEMPI DI PROFESSIONI: compressorista; meccanico riparatore di macchine a vapore; riparatore di ascensori; ripara- tore di linea di montaggio; riparatore di macchine nelle industrie poligrafiche; riparatore di montacarichi. 6.2.3.3.2 - INSTALLATORI E MONTATORI DI MACCHINARI E IMPIANTI INDUSTRIALI Montano i componenti di macchinari e impianti industriali nei luoghi di installazione partendo da progetti, istruzioni o da altre rappresentazioni, verificano la corrispondenza del contesto ai requisiti richiesti, modificano o adattano eventualmente le parti da montare e collaudano le macchine o gli impianti così realizzati. ESEMPI DI PROFESSIONI: montatore di apparecchi per aspirazione; montatore di apparecchi per compressione; monta- tore di gru; montatore di impianti di deposito carburanti; montatore di macchinario di indu- strie poligrafiche; montatore di macchine filtranti; montatore di macchine industriali; monta- tore di pompe; montatore di presse; montatore di turbine; montatore torri di perforazione. 7. CONDUTTORI DI IMPIANTI, OPERAI DI MACCHINARI FISSI E MOBILI E CONDUCENTI DI VEICOLI 12 Comprende le professioni che conducono e controllano il corretto funzionamento di macchine industriali e di impianti automatizzati o robotizzati di lavorazione; alimentano impianti di as- semblaggio e di lavorazione in serie di prodotti; guidano veicoli, macchinari mobili o di solle- vamento. I loro compiti consistono nel far funzionare e nel controllare impianti e macchinari industriali fissi per l’estrazione di materie prime, per la loro trasformazione e per la produzione di beni; nell’assemblare parti e componenti di prodotti; nella guida di veicoli e di macchinari mobili. Tali attività richiedono in genere conoscenze di base assimilabili a quelle acquisite completando l’obbligo scolastico, o una qualifica professionale o esperienza lavorativa. 7.2.7.1 ASSEMBLATORI IN SERIE DI PARTI DI MACCHINE Montano, in catene o linee semiautomatiche di assemblaggio e con l’ausilio di utensili manuali o semiautomatici, componenti di macchine o di parti di macchine. ESEMPI DI PROFESSIONI: assemblatore di macchinario termoidraulico; montatore aeronautico; montatore di automobili; montatore di biciclette; montatore di cicli; montatore di macchine agricole; montatore di mo- tocicli; montatore di motori; montatore di motori a reazione; montatore di motori a scoppio; montatore di motori diesel; montatore di scale mobili; montatore motorista. 3.3 Un’anagrafe delle figure di riferimento Nel 2008 una Commissione di esperti designati dalle parti sociali (Associazioni imprenditoriali e Sindacati di categoria) nell’ambito del “progetto RIF”13 ha indivi- duato per il settore della meccanica 32 figure di riferimento (famiglie professionali) in grado di assicurare la copertura dei fabbisogni relativi al funzionamento e allo sviluppo della filiera, inclusi gli aspetti amministrativi e commerciali. 88 Negli Allegati 6 e 7 sono riportati l’elenco delle 32 figure e una loro sintetica descrizione, anch’essa concordata tra gli esperti delle parti sociali, che ne individua la “mission” (obiettivi distintivi) all’interno della comunità professionale. Si può osservare come le figure dell’area amministrativa abbiano un elevato grado di trasversalità, nel senso che sono abbastanza interscambiabili tra diversi settori produttivi. Più legate alle specificità della meccanica sono le figure dell’area commerciale in particolare i tecnici di prodotto/servizio-assistenza clienti e i tecnici di documen- tazione prodotto/manualistica, quelle dell’area qualità (in particolare i tecnici di col- laudi/controlli) della logistica (programmazione, approvvigionamenti, magazzini) e delle manutenzioni (meccaniche, elettro-elettrroniche e di sistemi di automazione). Strettamente connesse alla specificità del settore risultano essere: a) le sei figure dell’area della progettazione - innovazione di prodotto processo: – tecnici ricerca / sviluppo (prodotto/processo); – progettisti di prodotto/impianti; – progettisti meccanici; – progettisti elettro-elettronici e di sistemi di automazione; – disegnatori/progettisti; – tecnologi di industrializzazione prodotto/processo; b) le sette figure dell’area della produzione: – tecnici di produzione (gestione reparto/unità operativa); – conduttori sistemi automatizzati; – stampisti/aggiustatori/attrezzisti; – costruttori su macchine utensili; – saldatori/carpentieri; – montatori/assemblatori/installatori; – operatori di produzione e servizi vari. 3.4 Peso delle figure (incidenza sugli organici aziendali) Un dato di grande interesse per la programmazione dell’offerta formativa è il peso della specifica figura sul complesso degli addetti. Questo dato purtroppo non è facilmente disponibile14. In Allegato 8 viene proposta una rielaborazione dei risultati della citata indagine RIF su un campione di 481 imprese piemontesi che occupavano 28.000 addetti15. Con le cautele imposte dalla rappresentatività del campione su scala nazionale si possono fare le seguenti osservazioni. 14 In realtà potrebbe essere desunto dalle banche dati del Sistema Informativo Lavoro (Comunica- zioni Obbligatorie delle aziende circa le assunzioni, cessazioni degli addetti) non accessibili al pubblico per ragioni di riservatezza e di non facile elaborazione. 15 Il peso della figura veniva stimato in base alle risposte raccolte sulla domanda: “all’interno della sua azienda vi sono persone che svolgono anche in parte le attività di questa figura? Se si, specificare quante”. 89 Le figure relative alle fasi di definizione/realizzazione del prodotto (progetta- zione, logistica, produzione) coprono quasi i 3/4 degli addetti (74%). In particolare le figure di produzione si attestano al 52%, quelle di progettazione oltre il 14%, quel- le della logistica all’8%. Si evidenziano in particolare: – operatori di produzione e servizi vari (16,6%); – conduttori sistemi automatizzati (9,3%); – montatori/assemblatori/installatori (8,8%); – costruttori su macchine utensili (7,0%); – saldatori/carpentieri (4,0%); – stampisti aggiustatori attrezzisti (3,0%). Piuttosto contenuti sono i pesi delle figure dell’area della qualità/ambiente sicu- rezza (4,9%) e delle manutenzioni (4,5%) che risultano fortemente esternalizzate. Le figure delle area commerciale e amministrativa coprono intorno al 17% degli organici, tra queste si segnalano gli operatori servizi commerciali (2,8%). Stando a questi dati il percorso triennale di IeFP dell’operatore meccanico dal momento che coprirebbe certamente il fabbisogno delle sei figure di riferimento evi- denziate interesserebbe quasi la metà (49%) degli addetti del settore. 3.5 Tendenze dei fabbisogni professionali In Figura 3 è riportata un’elaborazione dei dati della citata indagine RIF circa le tendenze dei fabbisogni professionali limitatamente alle sei figure affini all’operatore meccanico. In essa vengono evidenziati il peso della figura sul totale degli organici rispetto al complesso delle 32 figure del settore (marginale, sotto la media, nella media, sopra le media) e l’interesse verso quella figura manifestato dalle imprese del campione (marginale, sotto la media, nella media, sopra le media). L’interesse è stimato tenendo conto di due valutazioni: – le previsioni circa l’andamento dei fabbisogni (crescita, stabilità declino) per quella determinata figura in rapporto alle altre; – le difficoltà di reperimento sul mercato del lavoro per quella determinata figura in rapporto alle altre. Si può osservare come le sei figure, al di là del loro peso, evidenzino nel loro complesso livelli di interesse molto consistenti. Più nel dettaglio emergono le se- guenti indicazioni. – OPERATORI DI PRODUZIONE E SERVIZI VARI Il loro peso (17 % degli addetti del campione) è il più rilevante; il grado di in- teresse risulta consistente (trend dei fabbisogni e difficoltà di reperimento intorno al- la media). 90 (Fonte RIF – Orientarsi Provincia Torino 2010 elaborazione Spin per CNOS-FAP) CONDUTTORI SISTEMI AUTOMATIZZATI Il loro peso (9% degli addetti del campione) è elevato; il grado di interesse risulta consistente (trend dei fabbisogni e difficoltà di reperimento intorno alla media). MONTATORI/ASSEMBLATORI/INSTALLATORI Il loro peso (9% degli addetti del campione) è elevato; il grado di interesse risulta più che consistente (trend dei fabbisogni e difficoltà di reperimento sopra la media), in particolare nelle imprese di medie e medio-piccole dimensioni (10-249 addetti). COSTRUTTORI SU MACCHINE UTENSILI Il loro peso (7% degli addetti del campione) è elevato; il grado di interesse ri- sulta più che consistente (trend dei fabbisogni nella media difficoltà di reperimento sopra la media). SALDATORI/CARPENTIERI Il loro peso (4% degli addetti del campione) è sopra la media; il grado di interesse abbastanza consistente (trend dei fabbisogni nella media, difficoltà di reperimento nella media) risulta piuttosto variabile in relazione alla localizzazione geografica. STAMPISTI AGGIUSTATORI ATTREZZISTI Il loro peso (3% degli addetti del campione) è nella media; il grado di interesse abbastanza consistente (trend dei fabbisogni intorno alla media, difficoltà di repe - rimento sopra la media) risulta più sostenuto nelle imprese di medie dimensioni (50-249 addetti). Figura 3 - Incidenza e trend dei fabbisogni professionali 1 2 3 4 5 1 2 3 4 5 operatori di produzione e servizi vari conduttori sistemi automatizzati montatori/assemblatori/installatori costruttori su macchine utensili saldatori/carpentieri stampisti aggiustatori attrezzisti legenda 1 2 3 4 5 nella media sopra le media elevato peso interesse marginale sotto la media 91 4.1 Operatore meccanico Lo standard nazionale inserisce il profilo dell’operatore meccanico nell’area professionale “meccanica, impianti e costruzioni”. Circa il ruolo, lo standard fornisce le seguenti indicazioni: – interviene a livello esecutivo nel processo di produzione; [autonomia e responsabilità limitate a ciò che prevedono le procedure e le me- todiche] – svolge attività relative a: > lavorazione di pezzi e complessivi meccanici; > montaggio e adattamento in opera di gruppi, sottogruppi, particolari meccanici, con competenze in: > approntamento e conduzione delle macchine e attrezzature; > controllo e verifica di conformità delle lavorazioni assegnate. Circa la prestazione attesa lo standard colloca le attività della figura dell’opera- tore su cinque livelli: – pianificazione e organizzazione del proprio lavoro; – controllo e verifica di conformità delle lavorazioni e dei prodotti; – lavorazione pezzi e complessivi meccanici; – montaggio di gruppi, sottogruppi e particolari meccanici; – adattamento in opera di particolari e gruppi meccanici. Nello specifico la prestazione indicata dallo standard può essere descritta in questi termini: PIANIFICA E ORGANIZZA IL PROPRIO LAVORO – individua e pianifica le cose da fare in base al lavoro assegnato; – predispone gli strumenti, le attrezzature, i macchinari; – ne verifica il funzionamento ed effettua la manutenzione ordinaria; – predispone e cura gli spazi di lavoro. CONTROLLA E VERIFICA LA CONFORMITÀ DELLE LAVORAZIONI E DEI PRODOTTI – effettua le misurazioni; – controlla le conformità delle lavorazioni e dei prodotti; – effettua le diagnosi delle non conformità (difetti e anomalie); – esegue le procedure di collaudo. Capitolo 4 Ricognizione dei profili professionali 92 LAVORAZIONE PEZZI E COMPLESSIVI MECCANICI – legge, interpreta i disegni tecnici e le schede di lavorazione; – realizza le lavorazioni. MONTAGGIO DI GRUPPI, SOTTOGRUPPI E PARTICOLARI MECCANICI – legge, interpreta i disegni meccanici e gli schemi di impianti; – esegue i cicli di montaggio le distinte base; – effettua l’assemblaggio di gruppi, sottogruppi, impianti. ADATTAMENTO IN OPERA DI PARTICOLARI E GRUPPI MECCANICI – verifica le necessità di adattamento (in opera) di particolari e gruppi meccanici; – individua l’intervento di adattamento da realizzare; – effettua l’aggiustaggio. Si può notare come l’articolazione della prestazione sia molto solida e coerente (forse eccessivamente scarna). Per completezza di informazione si riportano le descrizioni di alcuni caratteri sa- lienti dei profili di interesse per il percorso dell’operatore meccanico, che possono es- sere utili per approfondire i ruoli all’interno della comunità professionale meccanica. Le descrizioni sono ricavate dalle Linea guida CNOS-FAP 2010 e dal progetto RIF. OPERATORE MECCANICO: interpreta e realizza il disegno tecnico gli schemi e le schede di lavoro, in relazione ai quali sceglie i materiali, gli strumenti e il processo più idonei; partecipa con consape- volezza e attivamente al processo lavorativo dal disegno meccanico con l’ausilio del CAD, alla programmazione delle macchine utensili a controllo numerico, alle opera- zioni al banco, alla costruzione e assemblaggio di sistemi meccanici anche automatiz- zati, alla realizzazione di strutture saldate; cura la manutenzione delle attrezzature; effettua i collaudi di particolari meccanici (con apparecchiature computerizzate). OPERATORI MECCANICI: conducono macchine/impianti relativi a specifiche fasi del processo produttivo; veri- ficano la conformità dell’output rispetto agli standard; effettuano le regolazioni; se- gnalano e intervengono su eventuali anomalie; effettuano le manutenzioni ordinarie. AGGIUSTATORI / ATTREZZISTI: curano la messa a punto/collaudo degli attrezzi e la loro installazione (attrezzaggio); assistono gli operatori sulla linea e provvedono agli eventuali aggiustaggi. COSTRUTTORI SU MACCHINE UTENSILI: realizzano lavorazioni meccaniche con asportazione di truciolo (tornitura, fresatura, alesatura, rettifica). SALDATORI / CARPENTIERI: effettuano le diverse tipologie di saldatura (autogena, ossidrica, ad arco, a filo, elet- trica, ecc.), predisponendo le parti da assemblare, le apparecchiature e le strumen- tazioni necessarie. 93 MONTATORI / ASSEMBLATORI / INSTALLATORI: effettuano il montaggio e l’installazione di macchine o impianti, provvedono alla loro messa a punto e regolazione; verificano e controllano il rispetto degli standard; segnalano eventuali difetti e possibili miglioramenti; forniscono istruzioni al cliente (funzionamento e manutenzione). 4.2 Tecnico per la conduzione e manutenzione degli impianti automatizzati Lo standard nazionale inserisce il profilo del tecnico per la conduzione e manuten- zione degli impianti automatizzati nell’area professionale “meccanica impianti e costru- zioni”, ma lo correla (peraltro correttamente) all’intero complesso delle attività manifat- turiere (codici ATECO “C” che include le sottosezioni da 10 a 33 riportate in Tabella 8). Tabella 8 - Attività manifatturiere (ATECO 2007) 10 INDUSTRIE ALIMENTARI 11 INDUSTRIA DELLE BEVANDE 12 INDUSTRIA DEL TABACCO 13 INDUSTRIE TESSILI 14 CONFEZIONE DI ARTICOLI DI ABBIGLIAMENTO; CONFEZIONE DI ARTICOLI IN PELLE E PELLICCIA 15 FABBRICAZIONE DI ARTICOLI IN PELLE E SIMILI 16 INDUSTRIA DEL LEGNO E DEI PRODOTTI IN LEGNO E SUGHERO (ESCLUSI I MOBILI); FABBRICAZIONE DI ARTICOLI IN PAGLIA E MATERIALI DA INTRECCIO 17 FABBRICAZIONE DI CARTA E DI PRODOTTI DI CARTA 18 STAMPA E RIPRODUZIONE DI SUPPORTI REGISTRATI 19 FABBRICAZIONE DI COKE E PRODOTTI DERIVANTI DALLA RAFFINAZIONE DEL PETROLIO 20 FABBRICAZIONE DI PRODOTTI CHIMICI 21 FABBRICAZIONE DI PRODOTTI FARMACEUTICI DI BASE E DI PREPARATI FAR- MACEUTICI 22 FABBRICAZIONE DI ARTICOLI IN GOMMA E MATERIE PLASTICHE 23 FABBRICAZIONE DI ALTRI PRODOTTI DELLA LAVORAZIONE DI MINERALI NON METALLIFERI 24 METALLURGIA 25 FABBRICAZIONE DI PRODOTTI IN METALLO (ESCLUSI MACCHINARI E AT- TREZZATURE) 26 FABBRICAZIONE DI COMPUTER E PRODOTTI DI ELETTRONICA E OTTICA; AP- PARECCHI ELETTROMEDICALI, APPARECCHI DI MISURAZIONE E DI OROLOGI 27 FABBRICAZIONE DI APPARECCHIATURE ELETTRICHE ED APPARECCHIATURE PER USO DOMESTICO NON ELETTRICHE 28 FABBRICAZIONE DI MACCHINARI ED APPARECCHIATURE NCA 29 FABBRICAZIONE DI AUTOVEICOLI, RIMORCHI E SEMIRIMORCHI 30 FABBRICAZIONE DI ALTRI MEZZI DI TRASPORTO 31 FABBRICAZIONE DI MOBILI 32 ALTRE INDUSTRIE MANIFATTURIERE 33 RIPARAZIONE, MANUTENZIONE ED INSTALLAZIONE DI MACCHINE E APPA- RECCHIATURE 94 A rigore dunque il tecnico per la conduzione e manutenzione degli impianti auto- matizzati non è una figura del settore meccanico, ma spazia sull’intera produzione di beni fisici, là dove si utilizzino impianti automatizzati. Tuttavia per il peso che ha nella mec- canica, per la tipologia di competenze, per il peso che a sua volta la meccanica ha nel- l’industria manifatturiera, questa figura è molto spesso “apparentata” alla meccanica. Circa il ruolo, lo standard fornisce le seguenti indicazioni: – interviene con autonomia nel presidio del processo di produzione automatizzata [all’interno di un quadro d’azione stabilito e di specifiche assegnate] con responsabilità di sorveglianza di attività esecutive; – partecipa alla gestione aziendale [individuazione delle risorse strumentali e tecnologiche, predisposizione e or- ganizzazione delle lavorazioni, monitoraggio/valutazione risultati, miglioramen- to continuo]; – opera nel processo di produzione [produzione documentazione tecnica, conduzione/controllo/manutenzione im- pianti automatizzati]. Circa la prestazione attesa lo standard colloca le attività della figura del tecnico su quattro livelli: – produzione documentazione tecnica; – prevenzione situazioni di rischio; – conduzione di impianti automatizzati; – controllo e manutenzione impianti automatizzati. Nello specifico lo standard consente di individuare per la figura del tecnico gra- fico la seguente prestazione16. PRODUZIONE DOCUMENTAZIONE TECNICA – redige ed elabora: > le documentazioni tecniche di appoggio; > i report di avanzamento e di valutazione relativi alle lavorazioni e alle manu- tenzioni. PREVENZIONE SITUAZIONI DI RISCHIO – individua le situazioni di rischio; – segnala le anomalie e le non conformità; – cura il controllo/monitoraggio del funzionamento e dell’uso dei dispositivi di prevenzione; – promuove comportamenti di prevenzione; – formula proposte di miglioramento dell’organizzazione e del lay-out dell’am- biente di lavoro. 16 Ai fini di una più agevole comprensione della “prestazione attesa” di seguito viene proposta una rilettura (terminologia e sequenze) leggermente diversa che non modifica i contenuti (attività previste), tenendo conto del lessico e delle logiche comunemente adottate dalle aziende. 95 CONDUZIONE DI IMPIANTI AUTOMATIZZATI – cura la programmazione degli impianti; – ne segue l’avviamento e la conduzione; – rileva anomalie e non conformità; – cura gli interventi di regolazione/ripristino; – formula proposte di miglioramento. CONTROLLO E MANUTENZIONE IMPIANTI AUTOMATIZZATI – presidia il funzionamento degli impianti (testing, manutenzione, assistenza tecnica); – individua guasti e anomalie e ne identifica le cause; – indica gli interventi di sostituzione, modifica, ripristino di elementi, componenti, parti dell’impianto. 97 5.1 Operatore meccanico Lo standard nazionale associa alla figura dell’operatore otto unità di competenze: 1. Definire e pianificare fasi delle operazioni da compiere sulla base delle istruzio- ni ricevute e/o della documentazione di appoggio (schemi, disegni, procedure, distinte materiali, ecc.) e del sistema di relazioni. 2. Approntare strumenti, attrezzature e macchinari necessari alle diverse fasi di la- vorazione sulla base della tipologia di materiali da impiegare, delle indicazioni/ procedure previste, del risultato atteso. 3. Monitorare il funzionamento di strumenti, attrezzature e macchinari, curando le attività di manutenzione ordinaria. 4. Predisporre e curare gli spazi di lavoro al fine di assicurare il rispetto delle nor- me igieniche e di contrastare affaticamento e malattie professionali. 5. Verificare la rispondenza delle fasi di lavoro, dei materiali e dei prodotti agli standard qualitativi previsti dalle specifiche di progettazione. 6. Eseguire le lavorazioni di pezzi e complessivi secondo le specifiche progettuali. 7. Montare e assemblare prodotti meccanici secondo le specifiche progettuali. 8. Eseguire le operazioni di aggiustaggio di particolari e di gruppi meccanici. Dette competenze sono a loro volta specificate attraverso un insieme di abilità e un insieme di conoscenze. Nel rispetto dello standard si propone una lettura più agevole delle unità di com- petenze, intervenendo sul lessico e sulle sequenze proposte, mettendo a fuoco: – le abilità in termini di “l’operatore deve essere in grado di”; – le conoscenze essenziali in termini di “servono conoscenze in materia di”. Competenza n. 1 Definire e pianificare fasi delle operazioni da compiere sulla base delle istruzioni ricevute e/o della documentazione di appoggio (schemi, disegni, procedure, distinte materiali, ecc.) e del sistema di relazioni. L’operatore deve essere in grado di: – sapere ciò che deve fare: interpretare le istruzioni e le documentazioni di appoggio (schede di lavoro, disegni, schemi, distinte materiali, procedure); – pianificarsi e organizzarsi il lavoro, tenendo conto: > di ciò che deve fare e del contesto/ situazione in cui opera; Capitolo 5 Ricognizione delle competenze 98 > dei criteri e delle norme di sicurezza, igiene, salvaguardia ambientale specifi- che del settore; – gestire i tempi del proprio lavoro (metodi e tecniche). Servono conoscenze in materia di: – terminologia di settore; – processi produttivi i e cicli di lavoro (lavorazioni meccaniche); – sicurezza, igiene, salvaguardia ambientale; – tecniche di pianificazione; – tecniche di comunicazione; – organizzazione del lavoro. Competenza n. 2 Approntare strumenti, attrezzature e macchinari necessari alle diverse fasi di lavorazione sulla base della tipologia di materiali da impiegare, delle indicazioni/procedure previste, del risultato atteso. L’operatore deve essere in grado di: – individuare/scegliere i macchinari, le attrezzature, gli strumenti per realizzare le attività previste (indicazioni di appoggio); – applicare le specifiche richieste dai documenti tecnici (disegni) per l’esecuzione delle lavorazioni; – predisporre/approntare/mettere a punto le macchine le attrezzature e gli strumenti. Servono conoscenze in materia di: – materiali meccanici (caratteristiche e proprietà chimico-fisiche); – disegno tecnico (segni, simbologia, convenzioni, scale, modalità di rappresen- tazione); – tecnologia meccanica/ oleodinamica e pneumatica (elementi di base); – elettrotecnica (nozioni di base); – informatica applicata (elementi di base): – macchine utensili tradizionali e CNC (parti, componenti, funzioni, gestione, ...); – utensili e loro uso (principali tipologie); – attrezzaggio (tecniche e procedure); – linguaggi di programmazione; – strumenti di misura (principali tipologie e campi di applicazione); – norme UNI EN ISO relative al settore meccanico. Competenza n. 3 Monitorare il funzionamento di strumenti, attrezzature e macchinari, curando le attività di ma- nutenzione ordinaria. L’operatore deve essere in grado di: – verificare l’impostazione e il funzionamento di macchinari, attrezzature, stru- menti; 99 – individuare eventuali anomalie di funzionamento (metodi di diagnosi); – verificare i livelli di usura delle strumentazioni; – effettuare interventi di manutenzione ordinaria (modalità e comportamenti). Servono conoscenze in materia di: – macchine utensili tradizionali e CNC (parti, componenti, funzioni, gestione); – principali componenti macchine, attrezzature, impianti (schemi); – procedure e tecniche di controllo degli utensili e delle strumentazioni; – procedure e tecniche per individuare e valutare i malfunzionamenti; – comportamenti e pratiche di mantenimento e manutenzione. Competenza n. 4 Predisporre e curare gli spazi di lavoro al fine di assicurare il rispetto delle norme igieniche e di contrastare affaticamento e malattie professionali. L’operatore deve essere in grado di: – applicare i criteri e le procedure di igiene, pulizia e riordino degli spazi di lavoro; organizzarsi il posto di lavoro in modo “ergonomico”. Servono conoscenze in materia di: – criteri, procedure, protocolli, di igiene, pulizia e riordino; – ergonomia. Competenza n. 5 Verificare la rispondenza delle fasi di lavoro, dei materiali e dei prodotti agli standard quali- tativi previsti dalle specifiche di progettazione. L’operatore deve essere in grado di: – verificare la rispondenza dei materiali, semilavorati, prodotti finiti; – individuare le difettosità (strumenti di misura/controllo); – recuperare le anomalie/difettosità (procedure e metodi di intervento); – effettuare il monitoraggio della conformità e dell’efficienza del processo di lavorazione; – effettuare i collaudi (procedure e tecniche). Servono conoscenze in materia di: – strumenti di misura e loro campi di applicazione (principali tipologie); – principi di metrologia (controlli nel processo e collaudi finali); – recupero anomalie e malfunzionamenti (tecniche e procedure); – collaudo (tecniche e procedure). Competenza n. 6 Eseguire le lavorazioni di pezzi e complessivi secondo le specifiche progettuali. L’operatore deve essere in grado di: – leggere e interpretare i disegni tecnici di particolari e complessivi; 100 – effettuare le lavorazioni alle macchine utensili di pezzi meccanici e complessivi. Servono conoscenze in materia di: – materiali e caratteristiche tecnologiche; – processi di lavorazione meccanica;. – lavorazioni su macchine utensili tradizionali e CNC. Competenza n. 7 Montare e assemblare prodotti meccanici secondo le specifiche progettuali. L’operatore deve essere in grado di: – leggere e interpretare disegni (gruppi, sottogruppi, particolari meccanici) e schemi (oleo-dinamici ed elettro-pneumatici); – applicare i cicli di montaggio e le distinte base di gruppi, sottogruppi, particolari meccanici; – effettuare i montaggi e gli assemblaggi di gruppi, sottogruppi, particolari mecca - nici e di impianti oleo-dinamici ed elettro-pneumatici. Servono conoscenze in materia di: – processi di montaggio e assemblaggio; – tecniche di montaggio e assemblaggio di componenti meccaniche; – attrezzature e strumenti per il montaggio e assemblaggio meccanico. Competenza n. 8 Eseguire le operazioni di aggiustaggio di particolari e di gruppi meccanici. L’operatore deve essere in grado di: – verificare la necessità di adattamenti in opera di particolari e gruppi meccanici; – individuare gli interventi di adattamento; – effettuare gli adattamenti in opera. Servono conoscenze in materia di: – procedure e metodi di verifica; – metodi di aggiustaggio (tecnologie e parametri). 5.2 Tecnico per la conduzione e la manutenzione di impianti automatizzati Lo standard nazionale associa alla figura del tecnico quattro unità di competenze. 1. Produrre documentazione tecnica d’appoggio, di avanzamento e valutativa re- lativa a lavorazioni, manutenzioni, installazioni. 2. Identificare situazioni di rischio potenziale per la sicurezza, la salute e l’ambiente, promuovendo l’assunzione di comportamenti corretti e consapevoli di prevenzione. 3. Condurre impianti automatizzati, valutando l’impiego delle risorse al fine di una loro ottimizzazione. 101 4. Provvedere al monitoraggio, verifica e controllo del funzionamento di impianti automatizzati, effettuando interventi di cura, assistenza e ripristino. Competenza n. 1 Produrre documentazione tecnica d’appoggio, di avanzamento e valutativa relativa a lavora- zioni, manutenzioni, installazioni. Il tecnico deve essere in grado di: – definire le specifiche tecniche dei componenti; – effettuare analisi di conformità funzionale dei componenti; – effettuare (al computer) il disegno tecnico e l’archiviazione dati; – effettuare la codifica dei componenti e l’archiviazione della documentazione tecnica; – redigere le documentazioni tecniche di appoggio e i report di avanzamento. Servono conoscenze in materia di: – disegno tecnico; – materiali (tecnologie e proprietà); – metodi di rappresentazione grafica e simulazione tridimensionale; – CAD-CAM; – reportistica tecnica (techinacal writing). Competenza n. 2 Identificare situazioni di rischio potenziale per la sicurezza, la salute e l’ambiente, promuo- vendo l’assunzione di comportamenti corretti e consapevoli di prevenzione. Il tecnico deve essere in grado di: – valutare il corretto utilizzo e funzionamento dei dispositivi di prevenzione; – segnalare le non conformità nei termini e secondo le procedure previste; – prefigurare forme comportamentali di prevenzione; – proporre miglioramenti organizzativi e del layout per evitare fonti di rischio. Servono conoscenze in materia di: – normativa di riferimento (D.Lsg. 81/2008; ambiente e fattori di inquinamento); – ergonomia (lavoro al computer; lavoro alle macchine; ecc.); – tecniche di rilevazione delle situazioni di rischio; – metodi per la rielaborazione delle situazioni di rischio; – tecniche di reporting; – strategie di promozione. Competenza n. 3 Condurre impianti automatizzati, valutando l’impiego delle risorse al fine di una loro ottimiz- zazione. Il tecnico deve essere in grado di: – attuare le procedure di programmazione; 102 – utilizzare i linguaggi di programmazione; – adottare criteri di economicità, efficacia ed efficienza; – rilevare anomalie e non conformità; – fornire proposte di miglioramento degli standard di risultato, adottando idonee procedure valutative; Servono conoscenze in materia di 17: – processi di lavorazione; – sistema qualità; – tecnologie informatiche per la gestione di impianti industriali; – strategie e tecniche per l’ottimizzazione delle risorse. Competenza n. 4 Provvedere al monitoraggio, verifica e controllo del funzionamento di impianti automatizzati, effettuando interventi di cura, assistenza e ripristino. Il tecnico deve essere in grado di 18: – interpretare disegni meccanici, schemi elettrici ed elettronici; – curare la ricerca guasti e/o malfunzionamenti; – effettuare l’analisi delle situazioni di anomalia funzionale; – utilizzare gli strumenti di analisi funzionale, di misurazione e di diagnosi; – curare gli interventi manutentivi di tipo elettromeccanico. Servono conoscenze in materia di: – tecnologie informatiche per la gestione di impianti industriali; – tecniche di ricerca guasti; – tecniche di intervento su impianti elettrici, meccanici e pneumatici; – procedure di lavoro/collaudo conformi alle norme ISO. 5.3 Modalità di riscontro (Evidenze) Di seguito viene fornito un quadro sintetico delle evidenze associabili alle unità di competenze del tecnico per la conduzione e la manutenzione di impianti automa- tizzati estratto dalle ricerche di CNOS-FAP 19. 17 Lo standard indica inoltre: elementi di disegno, di elettronica ed elettrotecnica, di informatica, linguaggi di programmazione, macchine utensili a controllo numerico, tecnologie dei materiali, che ri- spetto a questa unità di competenze dovrebbero essere date per scontate e comunque costituire dei ri- chiami di un bagaglio di conoscenze tecniche pre-esistente. 18 Vedi nota precedente. Lo standard indica inoltre: linguaggio grafico elettrico, elettronico, mec- canico e pneumatico, elementi meccanici, pneumatici, elettro/elettronici dell’automazione, struttura e applicazioni del PLC, tecniche di base per la programmazione PLC, strumenti di misura che rispetto a questa unità di competenze dovrebbero essere date per scontate e comunque costituire dei richiami di un bagaglio di conoscenze tecniche pre-esistente 19 CNOS-FAP (a cura di), Rubriche delle competenze per i diplomi professionali IeFP, 2012. 103 Per “evidenza” si intende: prestazione reale ed adeguata che, assieme alle altre definite entro la rubrica di riferimento, attesta l’effettiva capacità del soggetto nel saper fronteggiare compiti e problemi significativi e necessari, per poter essere giudicato competente Le evidenze vengono proposte con l’espressione “il tecnico deve dimostrare di essere in grado di”: Competenza n. 1 Produrre documentazione tecnica d’appoggio, di avanzamento e valutativa relativa a lavora- zioni, manutenzioni, installazioni. il tecnico deve dimostrare di essere in grado di: – redigere i cicli di lavorazione e di montaggio; – scegliere le macchine e le attrezzature per il processo produttivo e razionaliz- zarne l’impiego; – analizzare le caratteristiche dei sistemi/processi produttivi per monitorarne le conformità e l’efficienza, individuando e applicando le diverse teorie (GANNT, PERT, ...); – scegliere le prove per il controllo della qualità del prodotto e del processo, indi- viduando le anomalie e permettendone la correzione e il recupero, applicando tecniche statistiche per il controllo della produzione. Competenza n. 2 Identificare situazioni di rischio potenziale per la sicurezza, la salute e l’ambiente, promuo- vendo l’assunzione di comportamenti corretti e consapevoli di prevenzione. il tecnico deve dimostrare di essere in grado di: – rilevare preventivamente le situazioni di rischio e i fattori di eventuale inquina- mento e redigere il rapporto; – rilevare la corretta funzionalità degli strumenti e dei dispositivi di prevenzione; – applicare la procedura di segnalazione dei rischi e formulare proposte per evita- re fonti di rischio; – applicare i piani di sicurezza. Competenza n. 3 Condurre impianti automatizzati, valutando l’impiego delle risorse al fine di una loro ottimiz- zazione. il tecnico deve dimostrare di essere in grado di: – effettuare la programmazione, scegliendo la procedura e il linguaggio più idonei; – rilevare anomalie e non conformità, individuando la metodologia e verificandone l’efficienza; – ottimizzare l’uso delle risorse (strategia e tecnica). 104 Competenza n. 4 Provvedere al monitoraggio, verifica e controllo del funzionamento di impianti automatizzati, effettuando interventi di cura, assistenza e ripristino il tecnico deve dimostrare di essere in grado di: – individuare il processo produttivo più idoneo in termini di efficacia ed economicità; – effettuare i controlli, individuando le tecniche (controllo statistico) e gli strumenti. 105 La divisione 25 FABBRICAZIONE DI PRODOTTI IN METALLO si articola nei seguenti gruppi: 25.1 FABBRICAZIONE DI ELEMENTI DA COSTRUZIONE IN METALLO 25.2 FABBRICAZIONE DI CISTERNE, SERBATOI, RADIATORI E CONTE- NITORI IN METALLO 25.3 FABBRICAZIONE DI GENERATORI DI VAPORE (ESCLUSI I CONTE- NITORI IN METALLO PER CALDAIE PER IL RISCALDAMENTO CEN- TRALE AD ACQUA CALDA) 25.4 FABBRICAZIONE DI ARMI E MUNIZIONI 25.5 FUCINATURA, IMBUTITURA, STAMPAGGIO E PROFILATURA DEI METALLI; METALLURGIA DELLE POLVERI 25.6 TRATTAMENTO E RIVESTIMENTO DEI METALLI; LAVORI DI MEC- CANICA GENERALE 25.7 FABBRICAZIONE DI ARTICOLI DI COLTELLERIA, UTENSILI E OG- GETTI DI FERRAMENTA 25.9 FABBRICAZIONE DI ALTRI PRODOTTI IN METALLO La divisione 28 FABBRICAZIONE DI MACCHINARI E ATTREZZATURE si articola nei seguenti gruppi: 28.1 FABBRICAZIONE DI MACCHINE DI IMPIEGO GENERALE 28.2 FABBRICAZIONE DI ALTRE MACCHINE DI IMPIEGO GENERALE 28.3 FABBRICAZIONE DI MACCHINE PER L’AGRICOLTURA E LA SILVI- COLTURA 28.4 FABBRICAZIONE DI MACCHINE PER LA FORMATURA DEI METALLI E DI ALTRE MACCHINE UTENSILI 28.9 FABBRICAZIONE DI ALTRE MACCHINE PER IMPIEGHI SPECIALI 25 FABBRICAZIONE DI PRODOTTI IN METALLO (ESCLUSI MACCHINARI E ATTREZZATURE) 25.1 FABBRICAZIONE DI ELEMENTI DA COSTRUZIONE IN METALLO Fabbricazione di strutture metalliche e parti assemblate di strutture: – fabbricazione di telai e strutture metalliche, o parti di esse, per le costruzioni (torri, pali, travi, ponti, eccetera); – fabbricazione di strutture metalliche industriali (ossature per altiforni, impianti di sollevamento e movimentazione, eccetera); Allegato 1 Descrizione delle attività economiche (ATECO 2007) 106 – fabbricazione di edifici prefabbricati prevalentemente in metallo: baracche per cantieri, elementi modulari per esposizioni, eccetera; – fabbricazione di tettoie, serre, chioschi, grondaie, coperture per tetti, lucernai, cupole mobili, sipari di sicurezza, paratoie metalliche per la regolazione delle acque, cappe, camini e tubazioni in lamiera; – fabbricazione di box metallici; – fabbricazione di ossature metalliche per tensostrutture. 25.2 FABBRICAZIONE DI CISTERNE, SERBATOI, RADIATORI E CONTE- NITORI IN METALLO Fabbricazione di radiatori e contenitori in metallo per caldaie per il riscaldamento centrale. 25.3 FABBRICAZIONE DI GENERATORI DI VAPORE (ESCLUSI I CONTE- NITORI IN METALLO PER CALDAIE PER IL RISCALDAMENTO CEN- TRALE AD ACQUA CALDA) Fabbricazione di generatori di vapore (esclusi i contenitori in metallo per caldaie per il riscaldamento centrale ad acqua calda): – fabbricazione di generatori di vapore d’acqua o d’altro tipo; – fabbricazione di parti ausiliarie per generatori di vapore: condensatori, econo- mizzatori, surriscaldatori, collettori e accumulatori di vapore; – fabbricazione di reattori nucleari, eccetto i separatori di isotopi; – fabbricazione di parti di caldaie marine e per energia; – costruzione di reti di condotti per vapore, inclusi ulteriori trattamenti delle tu- bazioni, generalmente per realizzare tubazioni o reti di tubazioni a pressione, nonché i relativi lavori di progettazione. 25.4 FABBRICAZIONE DI ARMI E MUNIZIONI – fabbricazione di armi pesanti (artiglieria, armamenti semoventi, lanciarazzi, lan- cia siluri, mitragliatori pesanti); – fabbricazione di armi leggere (pistole, fucili, mitragliatori leggeri); – fabbricazione di pistole ad aria compressa o a gas; – fabbricazione di munizioni da guerra; – fabbricazione di armi da fuoco da caccia, sportive e per la difesa personale e re- lative munizioni; – fabbricazione di ordigni esplosivi come bombe, missili, mine e siluri. 25.5 FUCINATURA, IMBUTITURA, STAMPAGGIO E PROFILATURA DEI METALLI; METALLURGIA DELLE POLVERI Fucinatura, imbutitura, stampaggio e profilatura dei metalli; metallurgia delle polveri: – fucinatura, forgiatura, stampaggio, imbutitura e profilatura dei metalli, trancia- tura e lavorazione a sbalzo; 107 – metallurgia delle polveri: produzione di oggetti in metallo direttamente dalle polveri di metallo mediante trattamento termico (sinterizzazione) o uso della pressione. 25.6 TRATTAMENTO E RIVESTIMENTO DEI METALLI; LAVORI DI MECCANICA GENERALE 25.61 Trattamento e rivestimento dei metalli: – rivestimento, anodizzazione dei metalli; – trattamento termico dei metalli; – sbavatura, sabbiatura, barilatura, pulitura dei metalli; – colorazione, incisione e stampa su metalli diversa da quella effettuata dalle stamperie; – rivestimento non metallico dei metalli: plastificazione, smaltatura, laccatura ec- cetera; – indurimento, lucidatura dei metalli; – elettrovellutazione dei metalli; – verniciature industriali dei metalli. 25.62 Lavori di meccanica generale – lavori di alesatura, tornitura, fresatura, lappatura, livellatura, rettifica, molatura, saldatura, taglio, giunzione, lucidatura di pezzi in metallo; – taglio su metalli per mezzo di raggi laser. 25.7 FABBRICAZIONE DI ARTICOLI DI COLTELLERIA, UTENSILI E OGGETTI DI FERRAMENTA 25.71 Fabbricazione di articoli di coltelleria e posateria: – fabbricazione di articoli di coltelleria e posateria: coltelli, forchette, cucchiai, eccetera; – fabbricazione di altri articoli di coltelleria: mannaie e scuri, rasoi e lame, forbici e sfoltitrici per capelli; – fabbricazione di sciabole, spade, baionette, eccetera. 25.72 Fabbricazione di serrature e cerniere: – fabbricazione di serrature, lucchetti, chiavi, maniglie, cerniere, bandelle e ferra- menta simili per edifici, mobili, veicoli, eccetera. 25.73 Fabbricazione di utensileria. 25.73.11 Fabbricazione di utensileria ad azionamento manuale: – fabbricazione di utensili a mano quali pinze, cacciavite, eccetera; – fabbricazione di utensili agricoli a mano non motorizzati; – fabbricazione di seghe; – fabbricazione di utensili per stampaggio; – fabbricazione di arnesi da fabbro: fucine, incudini eccetera; – fabbricazione di morse, morsetti; – fabbricazione di utensili diamantati; – fabbricazione di fustelle di metallo; 25.73.12 Fabbricazione di parti intercambiabili per macchine utensili: 108 – fabbricazione di parti intercambiabili per utensili a mano, motorizzati o meno e per macchine utensili: punte per trapani, punzoni per punzonatrici, lame per frese, eccetera; – fabbricazione di coltelli e lame da taglio per macchine utensili e apparecchi meccanici; – fabbricazione di lame di seghe, incluse le lame per seghe circolari e le seghe a catena. 25.73.2 Fabbricazione di stampi, portastampi, sagome, forme per macchine. 25.9 FABBRICAZIONE DI ALTRI PRODOTTI IN METALLO 25.91 Fabbricazione di bidoni in acciaio e di contenitori analoghi. 25.92 Fabbricazione di imballaggi leggeri in metallo. 25.93 Fabbricazione di prodotti fabbricati con fili metallici, catene e molle. 25.94 Fabbricazione di articoli di bulloneria. 25.99 Fabbricazione di altri prodotti in metallo nca. 28 FABBRICAZIONE DI MACCHINARI ED APPARECCHIATURE NCA 28.1 FABBRICAZIONE DI MACCHINE DI IMPIEGO GENERALE 28.11 Fabbricazione di motori e turbine (esclusi i motori per aeromobili, veicoli e motocicli). 28.11.1 Fabbricazione di motori a combustione interna (incluse parti e accessori ed esclusi i motori destinati ai mezzi di trasporto su strada e ad aeromobili). 28.11.2 Fabbricazione di turbine e turboalternatori (incluse parti e accessori): – fabbricazione di turbine e loro parti: turbine a vapore, turbine idrauliche, ruote idrauliche e loro regolatori, turbine eoliche, turbine a gas (esclusi i turboreattori o i propulsori turbo per aeromobili); – fabbricazione di insiemi di turboalternatori. 28.12 Fabbricazione di apparecchiature fluidodinamiche: – fabbricazione di componenti idrauliche e pneumatiche (incluse pompe idrauli- che, motori idraulici, pistoni idraulici e pneumatici, valvole idrauliche e pneu- matiche, accessori idraulici e pneumatici); – fabbricazione di attrezzature per la preparazione dell’aria per sistemi pneuma - tici; – fabbricazione di sistemi fluidodinamici; – fabbricazione di apparecchiature di trasmissione idraulica; – fabbricazione di trasmissione idrostatica. 28.13 Fabbricazione di altre pompe e compressori: – fabbricazione di pompe ad aria o per vuoto e di compressori d’aria o di altro gas; – fabbricazione di pompe per liquidi dotate o meno di un dispositivo di misura- zione; – fabbricazione di pompe per motori a combustione interna, inclusi quelli per vei- coli a motore: pompe per la circolazione di olio, acqua e carburante; 109 – fabbricazione di pompe a mano; – fabbricazione di pompe per autoveicoli e loro motori; – fabbricazione di elettropompe. 28.14 Fabbricazione di altri rubinetti e valvole: – fabbricazione di rubinetti e valvole per l’industria, incluse le valvole di regola- zione e i rubinetti d’aspirazione; – fabbricazione di rubinetti e valvole per sanitari; – fabbricazione di rubinetti e valvole per riscaldamento; – fabbricazione di elettrovalvole. 28.15 Fabbricazione di cuscinetti, ingranaggi e organi di trasmissione (esclusi quelli idraulici). 28.15.1 Fabbricazione di organi di trasmissione meccanica: alberi a camme, alberi a gomito, manovelle, eccetera, alloggiamenti per cuscinetti e cuscinetti lisci per alberi: – fabbricazione di ingranaggi, di sistemi di ingranaggi, di cambi e di altri variatori di velocità; – fabbricazione di frizioni e di alberi di accoppiamento; – fabbricazione di volani e pulegge; – fabbricazione di catene a maglia articolata; – fabbricazione di organi di trasmissione a catena. 28.15.2 Fabbricazione di cuscinetti a sfere: – fabbricazione di cuscinetti a sfere e a rulli e loro parti. 28.2 FABBRICAZIONE DI ALTRE MACCHINE DI IMPIEGO GENERALE 28.21 Fabbricazione di forni, bruciatori e sistemi di riscaldamento. 28.22 Fabbricazione di macchine e apparecchi di sollevamento e movimentazione. 28.23 Fabbricazione di macchine ed attrezzature per ufficio (esclusi computer e uni- tà periferiche). 28.24 Fabbricazione di utensili portatili a motore. 28.25 Fabbricazione di attrezzature di uso non domestico per la refrigerazione e la ventilazione. 28.29 Fabbricazione di altre macchine di impiego generale nca. 28.3 FABBRICAZIONE DI MACCHINE PER L’AGRICOLTURA E LA SILVI- COLTURA 28.30 Fabbricazione di macchine per l’agricoltura e la silvicoltura. 28.30.1 Fabbricazione di trattori agricoli. 28.30.9 Fabbricazione di altre macchine per l’agricoltura, la silvicoltura e la zootecnia. 28.4 FABBRICAZIONE DI MACCHINE PER LA FORMATURA DEI METALLI E DI ALTRE MACCHINE UTENSILI 28.41 Fabbricazione di macchine utensili per la formatura dei metalli. 28.49 Fabbricazione di altre macchine utensili. 110 28.49.01 Fabbricazione di macchine per la galvanostegia. 28.49.09 Fabbricazione di altre macchine utensili (incluse parti e accessori) nca. 28.9 FABBRICAZIONE DI ALTRE MACCHINE PER IMPIEGHI SPECIALI 28.91 Fabbricazione di macchine per la metallurgia. 28.92 Fabbricazione di macchine da miniera, cava e cantiere. 28.93 Fabbricazione di macchine per l’industria alimentare, delle bevande e del tabacco. 28.94 Fabbricazione di macchine per le industrie tessili, dell’abbigliamento e del cuoio (incluse parti e accessori). 28.95 Fabbricazione di macchine per l’industria della carta e del cartone (incluse parti e accessori). 28.96 Fabbricazione di macchine per l’industria delle materie plastiche e della gomma (incluse parti e accessori). 28.99 Fabbricazione di macchine per impieghi speciali nca (incluse parti e accessori). 111 Allegato 2 Imprese attive 112 legenda C = attività manifatturiere 25 = fabbricazione di prodotti in metallo 28 = fabbricazione di macchinari e attrezzature (Fonte ISTAT elab. SPIN) PUGLIA 22.905 3.418 581 3.999 17,5 BARI 7.421 1.069 244 1.313 17,7 FOGGIA 2.722 412 72 484 17,8 SARDEGNA 8.358 1.356 83 1.439 17,2 CAGLIARI 2.443 396 37 433 17,7 NUORO 1.100 177 7 184 16,7 OGLIASTRA 329 76 3 79 24,0 OLBIA TEMPIO 1.113 143 8 151 13,6 SASSARI 1.494 237 8 245 16,4 SICILIA 22.584 3.620 380 4.000 17,7 CALTANISETTA 1.212 240 21 261 21,5 CATANIA 5.340 819 106 925 17,3 PALERMO 4.626 699 41 740 16,0 RAGUSA 1.681 271 31 302 18,0 TOSCANA 40.234 4.123 1.191 5.314 13,2 TRENTINO ALTO ADIGE 6.389 959 308 1.267 19,8 UMBRIA 7.067 1.031 293 1.324 18,7 PERUGIA 5.710 805 254 1.059 18,5 VALLE D'AOSTA 701 85 14 99 14,1 AOSTA 701 85 14 99 14,1 VENETO 47.941 7.991 3.654 11.645 24,3 PADOVA 9.720 1.683 824 2.507 25,8 VICENZA 11.302 2.139 1.206 3.345 29,6 VENEZIA 5.615 811 207 1.018 18,1 VERONA 8.114 1.264 585 1.849 22,8 113 (Elaborazione Spin su dati ISTAT Censimento 2011) Allegato 3 Distribuzione dimensionale delle imprese attive (Classe di addetti) cl as se d i a dd et ti C a tt iv ità m an ifa tt ur ie re 25 fa bb r pr od in m et al lo 28 fa bb r m ac ch e at tr ez z to ta li m ec ca n ic a % to t m ec c/ C % s u to t m ec ca ni ca 0 13.180 1.738 1.272 3.010 22,8 3,1 1 135.867 20.380 4.042 24.422 18,0 25,4 2 64.215 11.002 2.308 13.310 20,7 13,8 3-5 86.648 15.592 4.272 19.864 22,9 20,7 6-9 48.184 9.297 3.846 13.143 27,3 13,7 10-15 32.750 6.509 3.393 9.902 30,2 10,3 16-19 10.466 1.995 1.173 3.168 30,3 3,3 20-49 20.752 3.692 2.695 6.387 30,8 6,6 50-99 5.706 903 865 1.768 31,0 1,8 100-199 2.602 306 447 753 28,9 0,8 200-249 470 47 80 127 27,0 0,1 250-499 756 71 116 187 24,7 0,2 500-999 295 17 52 69 23,4 0,1 1000 e+ 176 2 23 25 14,2 0,0 tutte le dimensioni 422.067 71.551 24.584 96.135 22,8 100,0 114 Allegato 4 Addetti addetti (v.a.) ATECO:C ATECO: 25 ATECO: 28 tot mecc (25+28) % (25+28)/C ITALIA 3.891.983 544.225 457.956 1.002.181 25,7 ABRUZZO 81.859 11.745 3.665 15.410 18,8 L'AQUILA 9.695 1.545 184 1.729 17,8 CHIETI 33.829 4.665 1.937 6.602 19,5 BASILICATA 19.987 2.316 413 2.729 13,7 CALABRIA 31.428 5.750 893 6.643 21,1 COSENZA 11.183 1.626 175 1.801 16,1 REGGIO CALABRIA 7.354 1.065 242 1.307 17,8 VIBO VALENTIA 3.191 932 169 1.101 34,5 CAMPANIA 153.374 22.706 5.990 28.696 18,7 NAPOLI 72.755 9.935 2.838 12.773 17,6 EMILIA-ROMAGNA 453.089 60.590 102.435 163.025 36,0 BOLOGNA 102.578 15.279 25.193 40.472 39,5 FORLI CESENA 35.574 4.677 3.544 8.221 23,1 FRIULI VG 111.859 16.511 16.634 33.145 29,6 UDINE 44.548 7.682 8.268 15.950 35,8 LAZIO 149.704 19.884 5.110 24.994 16,7 ROMA 94.355 10.990 2.580 13.570 14,4 LIGURIA 78.487 8.523 6.552 15.075 19,2 GENOVA 55.482 4.008 4.488 8.496 15,3 IMPERIA 3.743 700 248 948 25,3 LOMBARDIA 1.022.476 158.224 137.299 295.523 28,9 BERGAMO 135.782 22.529 20.460 42.989 31,7 BRESCIA 148.407 37.188 23.382 60.570 40,8 MILANO 298.893 31.550 39.817 71.367 23,9 MARCHE 165.381 19.708 13.351 33.059 20,0 MOLISE 10.227 1.362 408 1.770 17,3 PIEMONTE 415.161 56.137 52.807 108.944 26,2 ALESSANDRIA 36.926 3.314 4.929 8.243 22,3 ASTI 15.457 2.743 2.491 5.234 33,9 BIELLA 18.077 778 1.344 2.122 11,7 CUNEO 62.692 6.078 8.157 14.235 22,7 TORINO 223.764 32.807 21.859 54.666 24,4 VERCELLI 14.208 2.113 2.647 4.760 33,5 PUGLIA 124.803 18.731 5.197 23.928 19,2 BARI 48.373 6.051 2.364 8.415 17,4 FOGGIA 10.817 1.166 319 1.485 13,7 SARDEGNA 37.030 6.302 589 6.891 18,6 CAGLIARI 11.368 2.640 430 3.070 27,0 NUORO 4.319 450 24 474 11,0 OGLIASTRA 964 197 3 200 20,7 OLBIA TEMPIO 4.795 558 30 588 12,3 SASSARI 5.899 981 29 1.010 17,1 SICILIA 90.011 13.114 3.015 16.129 17,9 CALTANISETTA 6.283 1.228 445 1.673 26,6 CATANIA 20.118 2.484 658 3.142 15,6 PALERMO 15.835 2.219 195 2.414 15,2 RAGUSA 7.337 1.202 165 1.367 18,6 TOSCANA 285.541 24.916 19.727 44.643 15,6 TRENTINO ALTO ADIGE 61.312 8.857 6.640 15.497 25,3 UMBRIA 62.259 9.288 4.862 14.150 22,7 PERUGIA 49.758 7.021 4.514 11.535 23,2 VALLE D'AOSTA 4.631 469 263 732 15,8 AOSTA 4.631 469 263 732 15,8 VENETO 533.364 79.092 72.106 151.198 28,3 PADOVA 103.601 17.165 17.116 34.281 33,1 VICENZA 141.098 22.379 21.179 43.558 30,9 VENEZIA 47.546 6.960 4.124 11.084 23,3 VERONA 84.270 10.637 13.250 23.887 28,3 115 116 Allegato 5 Distribuzione degli addetti per dimensione aziendale (Classe di addetti) cl as se d i a dd et ti C a tt iv ità m an ifa tt ur ie re 25 fa bb r pr od in m et al lo 28 fa bb r m ac ch e at tr ez z to ta li m ec ca n ic a % to t m ec c/ C % s u to t m ec ca ni ca 1 135.867 20.380 4.042 24.422 18,0 2,4 2 128.430 22.004 4.616 26.620 20,7 2,7 3-5 328.889 59.355 16.781 76.136 23,1 7,6 6-9 349.511 67.513 28.376 95.889 27,4 9,6 10-15 397.517 78.772 41.545 120.317 30,3 12,0 16-19 180.741 34.473 20.274 54.747 30,3 5,5 20-49 624.600 110.315 82.947 193.262 30,9 19,3 50-99 392.043 61.598 59.826 121.424 31,0 12,1 100-199 356.890 41.275 62.351 103.626 29,0 10,3 200-249 104.365 10.375 17.834 28.209 27,0 2,8 250-499 261.417 24.488 39.948 64.436 24,6 6,4 500-999 202.621 11.241 36.465 47.706 23,5 4,8 1000 e+ 429.092 2.436 42.951 45.387 10,6 4,5 tutte le dimensioni 3.891.983 544.225 457.956 1.002.181 25,7 100,0 117 AREA AMMINISTRATIVA 01 tecnici di amministrazione/finanza/controllo di gestione 02 operatori di contabilità 03 tecnici gestione/sviluppo personale 04 tecnici sistema informativo aziendale 05 operatori di segreteria AREA COMMERCIALE 06 tecnici commerciali/marketing/organizzazione vendite 07 operatori servizi commerciali 08 tecnici di prodotto/servizio - assistenza clienti 09 tecnici documentazione prodotto/manualistica AREA PROGETTAZIONE (INNOVAZIONE PRODOTTO/PROCESSO) 10 tecnici ricerca / sviluppo (prodotto / processo) 11 progettisti di prodotto / impianti 12 progettisti meccanici 13 progettisti elettro-elettronici e di sistemi di automazione 14 disegnatori / progettisti 15 tecnologi di industrializzazione prodotto / processo AREA QUALITÀ 16 tecnici sistema qualità (processi e prodotti) 17 tecnici di controlli/collaudi 18 tecnici ambiente/sicurezza AREA LOGISTICA 19 tecnici di programmazione della produzione/logistica 20 tecnici acquisti/approvvigionamenti 21 magazzinieri (accettazioni/spedizioni) AREA MANUTENZIONE/SERVIZI ALLA PRODUZIONE 22 tecnici programmazione/gestione manutenzioni 23 manutentori meccanici 24 manutentori elettro-elettronici e di sistemi di automazione 25 manutentori impianti (termoidraulici, caldaie) AREA PRODUZIONE 26 tecnici di produzione (gestione reparto / unità operativa) 27 conduttori sistemi automatizzati 28 stampisti / aggiustatori / attrezzisti 29 costruttori su macchine utensili 30 saldatori / carpentieri 31 montatori / assemblatori / installatori 32 operatori di produzione e servizi vari Allegato 6 Figure di riferimento della meccanica (Progetto RIF Rete Indagine Fabbisogni Province e Regione Piemonte) 118 01 tecnici di amministrazione/finanza/controllo di gestione: curano il sistema di contabilità (generale e industriale), gli adempimenti ammini- strativi-fiscali e la redazione dei bilanci; effettuano analisi economico-finanziarie e curano i rapporti con il sistema creditizio; elaborano i budget, analizzano gli sco- stamenti e suggeriscono le azioni correttive. 02 operatori di contabilità: curano l’implementazione del sistema di contabilità (generale e industriale) e pre- dispongono la documentazione di supporto amministrativa e fiscale. 03 tecnici gestione/sviluppo personale: curano le politiche del personale (selezione, inquadramento, sviluppo, organizzazio- ne del lavoro), gli adempimenti contrattuali/amministrativi, le relazioni industriali. 04 tecnici sistema informativo aziendale: studiano le esigenze informative dell’azienda, valutano le offerte dei fornitori (HW e SW), sviluppano e adattano le applicazioni informatiche; curano la manutenzione del sistema e l’assistenza/addestramento degli operatori. 05 operatori di segreteria: curano il disbrigo delle pratiche di ufficio (archivio, protocollo, corrispondenza, agenda) e i contatti con altri enti interni ed esterni (telefono, e-mail). 06 tecnici commerciale/marketing/organizzazione vendite: curano le strategie di sviluppo dei prodotti/mercati, le politiche commerciali, le azio- ni promozionali, l’organizzazione e coordinamento delle vendite. 07 operatori servizi commerciali: curano l’accettazione/evasione degli ordini (contratti, condizioni finanziarie, tempi di consegna) e i rapporti con il cliente. 08 tecnici di prodotto/servizio-assistenza clienti: assistono il cliente nelle fasi di definizione dell’ordine e/o di post-vendita; propon- gono adattamenti e modifiche e le segnalano all’azienda. 09 tecnici documentazione prodotto/manualistica: curano la progettazione/redazione della documentazione tecnico-commerciale e del- la manualistica d’uso e di manutenzione. 10 tecnici ricerca/sviluppo (prodotto/processo): studiano lo sviluppo, gli adattamenti/differenziazioni dei prodotti in relazione alle Allegato 7 Descrizione sintetiche delle figure di riferimento (Progetto RIF) 119 opportunità di mercato (applicazioni) e ai fabbisogni dei clienti, ne curano la fatti- bilità e la messa a punto. 11 progettisti di prodotto/impianti: identificano le esigenze del cliente; curano la progettazione del prodotto/impianto, definendone i parametri fisici e funzionali; effettuano gli studi di fattibilità, predi- spongono la documentazione tecnica. 12 progettisti meccanici: curano la progettazione degli aspetti meccanici di prodotti e componenti, definendo i parametri fisici e funzionali; effettuano gli studi di fattibilità, predispongono la documentazione tecnica. 13 progettisti elettro-elettronici e di sistemi di automazione: curano la progettazione degli aspetti elettro-elettronici e di automazione di sistemi e componenti, definendo i parametri fisici e funzionali, effettuano gli studi di fattibi- lità, predispongono la documentazione tecnica. 14 disegnatori/progettisti: curano lo sviluppo e il disegno di particolari e componenti (sviluppo progetti esecu- tivi per la realizzazione/modifiche di impianti/prodotti; sviluppo di disegni costruttivi e dettagli con l’uso di tecnologie informative dedicate). 15 tecnologi di industrializzazione prodotto/processo: in stretta integrazione con la progettazione di prodotto, definiscono i cicli di lavora- zione, curano l’adeguamento delle tecnologie di produzione e l’eventuale ricorso a risorse esterne (make or buy); intervengono sui problemi relativi al processo pro- duttivo e al funzionamento degli impianti. 16 tecnici sistema qualità (processi e prodotti): curano le politiche di qualità, le procedure, la loro diffusione/attuazione (all’interno dell’azienda e verso i fornitori), l’elaborazione e l’aggiornamento dei manuali di qualità, i collegamenti con gli enti di certificazione. 17 tecnici di controlli/collaudi: effettuano analisi, test, prove e collaudi su materiali, componenti, prodotti finiti; curano la messa a punto/ implementazione della strumentazione e delle procedure. 18 tecnici ambiente/sicurezza: curano le procedure relative alla sicurezza/igiene del lavoro e all’ambiente (interno/ esterno), i rapporti con le strutture istituzionali e di certificazione; valutano le situazioni di potenziale insorgenza di eventi dannosi, individuano le soluzioni e le priorità; promuovono interventi di motivazione, formazione, addestramento del personale. 19 tecnici programmazione della produzione/logistica: curano la programmazione/avanzamento della produzione, l’organizzazione logistica interna (movimentazioni e magazzini) ed esterna (approvvigionamenti e spedizioni). 120 20 tecnici acquisti/approvvigionamenti: curano le politiche degli acquisti/approvvigionamenti (incluse le lavorazioni conto terzi); selezionano e valutano i fornitori; curano la definizione dei contratti e ne se- guono l’adempimento. 21 magazzinieri (accettazioni/spedizioni): curano l’immagazzinamento (materie prime, semilavorati, prodotti finiti), l’alimen- tazione dei reparti, le spedizioni; aggiornano in tempo reale i dati (consistenza scor- te, giacenze). 22 tecnici di programmazione/gestione manutenzioni: pianificano e seguono le attività di manutenzione (interne e appaltate); valutano i dati sullo stato di funzionamento delle macchine/impianti e sull’efficacia degli in- terventi e adottano i relativi provvedimenti. 23 manutentori meccanici: curano il funzionamento e l’efficienza delle componenti meccaniche, pneumatiche, idrauliche del parco macchine e impianti attraverso interventi di ripristino, preven- zione guasti/anomalie e miglioramento. 24 manutentori elettro-elettronici e di sistemi di automazione: curano il funzionamento e l’efficienza delle componenti elettriche/elettroniche e di automazione del parco macchine/ impianti attraverso interventi di ripristino, pre- venzione guasti/anomalie e miglioramento. 25 manutentori impianti (termoidraulici, caldaie, condizionamento): curano il funzionamento e l’efficienza degli impianti, in particolare le componenti termoidrauliche e le caldaie (norme di conduzione); effettuano ispezioni e interventi di ripristino/prevenzione anomalie e guasti. 26 tecnici di produzione (gestione reparto/unità operativa) gestiscono e coordinano le attività del reparto/unità operativa, effettuano interventi di correzione/regolazione; seguono il funzionamento e la manutenzione ordinaria delle macchine/impianti; valutano l’andamento della produzione e propongono mi- glioramenti; curano l’addestramento degli operatori. 27 conduttori sistemi automatizzati: conducono macchine/impianti relativi a specifiche fasi del processo produttivo (es. confezionamento): verificano la conformità dell’"output" rispetto agli standard; ef- fettuano le regolazioni; segnalano e intervengono su eventuali anomalie; effettuano le manutenzioni ordinarie. 28 stampisti/aggiustatori/attrezzisti: curano la messa a punto/collaudo degli stampi e la loro installazione (attrezzaggio); assistono gli operatori sulla linea e provvedono agli eventuali aggiustaggi. 121 29 costruttori su macchine utensili: realizzano lavorazioni meccaniche con asportazione di truciolo (tornitura, fresatura, alesatura, rettifica). 30 saldatori/carpentieri: effettuano le diverse tipologie di saldatura (autogena, ossidrica, ad arco, a filo, elet- trica, ecc), predisponendo le parti da assemblare, le apparecchiature e le strumen- tazioni necessarie. 31 montatori/assemblatori/installatori: effettuano il montaggio e l’installazione di macchine o impianti, provvedono alla lo- ro messa a punto e regolazione; verificano e controllano il rispetto degli standard; segnalano eventuali difetti e possibili miglioramenti; forniscono istruzioni al cliente (funzionamento e manutenzione). 32 operatori di produzione e servizi vari: eseguono le operazioni previste dal ciclo di produzione nel rispetto delle norme e delle procedure di sicurezza e qualità; segnalano le anomalie; effettuano le ordina- rie manutenzioni. 122 Dall’indagine RIF Province e Regione Piemonte 2007-2008 su un campione di 481 imprese piemontesi del settore meccanico. Fatto 100 il totale degli organici delle imprese del campione: AREA AMMINISTRATIVA 8,6% tecnici amministrazione finanza controllo di gestione 2,2% operatori di contabilità 2,1% operatori di segreteria 1,7% tecnici gestione sviluppo personale 1,5% tecnici sistema informativo aziendale 1,1% AREA COMMERCIALE 8,3% operatori servizi commerciali 2,8% tecnici commerciali/marketing/organizzazione vendite 2,6% tecnici di prodotto/servizio - assistenza clienti 2,0% tecnici documentazione prodotto/manualistica 0,9% AREA PROGETTAZIONE (INNOVAZIONE PRODOTTO/PROCESSO) 14,3% tecnici ricerca / sviluppo (prodotto / processo) 4,3% progettisti di prodotto / impianti 2,8% progettisti meccanici 2,4% disegnatori / progettisti 2,1% tecnologi di industrializzazione prodotto / processo 1,6% progettisti elettro-elettronici e di sistemi di automazione 1,1% AREA QUALITÀ 4,9% tecnici di controlli/collaudi 2,4% tecnici ambiente/sicurezza 0,8% tecnici sistema qualità (prodotti/processi) 1,7% LOGISTICA 7,9% magazzinieri 3,7% tecnici programmazione produzione/logistica 2,2% tecnici acquisti approvvigionamenti 2,0% MANUTENZIONE 4,5% manutentori meccanici 1,8% tecnici di programmazione/gestione manutenzioni 1,4% manutentori elettro-elettronici e di sistemi di automazione 0,9% manutentori impianti (termoidraulici, caladaie) 0,4% Allegato 8 Incidenza delle figure sugli organici aziendali 123 PRODUZIONE 51,6% operatori di produzione e servizi vari 16,6% conduttori sistemi automatizzati 9,3% montatori/assemblatori/installatori 8,8% costruttori su macchine utensili 7,0% saldatori/carpentieri 4,0% stampisti aggiustatori attrezzisti 3,0% tecnici di produzione (gestione reparto/unità operativa) 2,9% (Fonte indagine RIF 2008-2009 - rielaborazione Spin per CNOS-FAP) Parte III MECCATRONICA-ROBOTICA 127 1.1 Grandi linee di tendenza Il comparto della meccatronica/robotica ha tutte le carte in regola per diventare una leva delle politiche di rilancio e sviluppo della nostra economia. Ma può essere anche un trampolino di lancio per l’Istruzione e la Formazione Tecnica e professio- nale: sotto il profilo dell’innovazione didattica e sotto il profilo – non secondario – dell’attrazione che esercita sui giovani e sulle famiglie. I successi dei nostri studenti nelle competizioni internazionali sulla robotica di- mostrano che la formazione in Italia sa essere di assoluta eccellenza, tanto più quan- do non si tratta di rispondere a una batteria di test (più o meno nozionistici), ma di realizzare un “capolavoro”, cioè di dimostrare il grado di effettiva comprensione e di effettiva utilità di quanto si è appreso. Dal punto di vista dello sviluppo didattico la meccatronica-robotica incrocia tre condizioni ideali: – interdisciplinarietà (apporto di differenti scienze e tecnologie); – creatività sistemica (fare innovazione mettendo insieme cose diverse); – versatilità (applicabilità nella vita di tutti i giorni e nel futuro). Interdisciplinarietà, creatività sistemica, versatilità si sostengono e si alimentano a vicenda e possono innescare una formidabile spirale di sviluppo. L’Italia che, grazie ad alcune aree produttive (es. Torinese e Bolognese) e alcuni centri di ricerca (es. Genova e Pisa) di assoluta eccellenza, occupa nello scenario mondiale della meccatronica una posizione rilevante, deve far fronte a due esigenze fondamentali: – sostenere la ricerca, in alcuni campi, quali le scienze dei materiali, le tecnologie della miniaturizzazione, l’ICT, la bioingegneria, tenendo insieme e consolidan- do i diversi elementi della filiera, per evitare che l’investimento in innovazione finisca per avvantaggiare altri; – allocare al meglio le risorse destinate alla istruzione e alla formazione per im- mettere nel mondo del lavoro qualifiche e competenze adeguate, tanto sul ver- sante delle capacità integratrici, quanto sul versante delle conoscenze tecniche specifiche. Il comparto, come detto, coinvolge una gamma di discipline vasta ed eterogenea (meccanica, elettronica, informatica e telecomunicazioni, tecnologie dei materiali, Capitolo 1 Ricognizione del settore e del processo produttivo 128 bioingegneria, design ed altre ancora). Gli ambiti di applicazione sono innumerevoli e destinati ad avere un sempre maggiore impatto nell’industria e nell’agricoltura, nei servizi, nella vita quotidiana. In prospettiva a livello globale si evidenziano due grandi linee di tendenza: – uno sviluppo sempre più spinto e diffuso della robotica industriale (automazione di processo) con una crescente domanda di efficienza e di affidabilità; – l’“esplosione” della robotica di servizio in tutti i campi (dalla sanità, alla domo- tica) con crescenti esigenze di sicurezza, maneggevolezza, comfort. Gli operatori interessati a questo comparto possono essere aggregati in due grandi tipologie: – aziende produttrici (incluse le catene di fornitura); – utenze privilegiate (unità produttive ad alta automazione). Sul versante delle possibilità di sviluppo del settore si sottolinea come particolar - mente critica la questione delle competenze: servono capacità integratrici (multidi- sciplinarietà) e creatività sistemica, ma restano di fondamentale importanza le figure specialistiche della meccanica, dell’elettro-elettronica, dell’informatica. 1.2 Fasi caratteristiche del ciclo di produzione Come detto, il settore si avvale di un pluralità di processi e di tecnologie in continua e rapida evoluzione, per cui non è agevole produrne una rappresentazione sufficientemente esaustiva. Per un primo approccio può risultare utile prendere in considerazione lo schema 20 molto generale di Figura 1. 20 Lo schema, ricavato dal progetto RIF della Regione e delle Province del Piemonte (2009), è frutto del lavoro di una Commissione bilaterale (imprese-sindacati) di esperti del settore. 129 Nel grafico si evidenziano tre momenti: – le forniture; – il processo; – i campi di applicazione. FORNITURE La produzione a monte del comparto è molto vasta e complessa. Tra i fornitori possiamo trovare la piccola azienda artigiana con elevati standard tecnologici e la multinazionale; troviamo i produttori di componenti semplici, di gruppi, sottogruppi, sottosistemi; i produttori di software e di servizi. Tutte queste aziende sono legate tra loro da una particolare attenzione al concetto di “affidabilità”. PROCESSO Nel comparto della meccatronica-robotica ha un forte rilievo la “ricerca e svi- luppo”. Si parte dall’idea (concept) e dalla forma (design) del prodotto da realizzare, per arrivare alla progettazione e alla simulazione virtuale (mock-up), seguono le fasi di prototipazione e di prova (testing). A questo punto si passa alla fabbricazione (manufacturing) di componenti (non acquisite dall’esterno) e all’assemblaggio. Figura 1 - Processo produttivo meccatronica-robotica 130 Particolare rilievo ha in questo comparto la fase dei controlli e collaudi, dai ma- teriali e componenti in ingresso sino al sistema/impianto finale. Infine va richiamata l’attenzione (e nello specifico degli attori dell’offerta for- mativa) sulla assistenza tecnica al cliente sul versante dell’installazione e sul ver- sante della manutenzione. CAMPI DI APPLICAZIONE La meccatronica-robotica interessa l’universo mondo, dall’elettrodomestico di casa, alla navicella aerospaziale, dalla fabbrica, all’ospedale; in figura sono ripor- tati i campi più significativi: in primo luogo l’industria manifatturiera e a seguire i comparti dell’energia, della chimica, l’aerospaziale e l’automotive, il medicale, la demotica. 131 2.1 Attività economiche di riferimento L’individuazione delle attività economiche di riferimento è per questo comparto un aspetto critico per due motivi: – i confini del comparto sono abbastanza indefiniti (produttori di sistemi e subsi- stemi; fornitori di componenti e di servizi; utilizzatori); – le fonti statistiche (classificazione e censimenti ISTAT) non permettono di indi- viduare le attività economiche presenti nel campo e la loro consistenza (numero di imprese e di addetti). La referenziazione ai codici di attività economica (ISTAT ATECO/2007) indi- cata per lo standard IeFP del tecnico di automazione industriale <attività manifattu- riere e relative sottosezioni da 10 a 33> (cfr. ALLEGATO 1) da un lato è eccessiva- mente generica, dall’altro esclude attività non manifatturiere che per questo compar- to non sono marginali. L’indagine realizzata nel 2011 dal citato progetto consente di avvalersi delle valu- tazioni di esperti del settore di alto profilo internazionale per fissare alcuni elementi. In primo luogo la terminologia. Si propone di individuare col termine robotica una branca specializzata della meccatronica (servomeccanismi e apparati di control- lo automatico) e dell’automazione (sistemi di gestione/controllo dei processi produt- tivi) che elabora e produce dispositivi a supporto della produzione e più in generale delle attività dell’uomo. In secondo luogo le grandi famiglie di attività. Esse vengono disaggregate su due piani: – realizzazione di sistemi e subsistemi; – componentistica. Circa la REALIZZAZIONE DI SISTEMI E SUBSISTEMI si individuano i seguenti campi: – sistemi e/o subsistemi per applicazioni meccatroniche; – sistemi di automazione; – robotica industriale; – robotica di servizio (es. medicale, difesa, demotica). Circa la COMPONENTISTICA si individuano due campi: – lavorazioni; – produzione di componenti e servizi. La produzione di componenti e servizi, viene a sua volta specificata nei termini riportati in Tabella 1. Capitolo 2 Ricognizione del sistema produttivo locale 132 2.2 Numerosità e diffusione delle aziende Per completezza di informazione, in relazione alle attività economiche associate allo standard nazionale IeFP del tecnico di automazione industriale, in Allegato 2 è riportata la distribuzione delle imprese attive manifatturiere, rilevata nel Censimento ISTAT dell’industria e dei servizi del 2011, relativamente a: – intero territorio nazionale; – le 20 Regioni; – le 38 Province in cui operano realtà della Federazione CNOS-FAP. Come detto, questa informazione è assai poco significativa in termini di valuta- zione dell’effettiva consistenza della numerosità e diffusione delle imprese del com- parto “meccatronica-robotica”. In questo caso le fonti di informazioni più attendibili sono le Associazioni imprenditoriali. A titolo di esempio, sulla base delle informazioni raccolte presso le Associazioni dell’industria e dell’artigianato locali, nella citata indagine RIF si stimava che limi- tatamente alla robotica, nell’area torinese operassero 150 unità produttive. Tabella 1 - Produzione componenti/servizi q MECCANICHE q IDRO-PNEUMATICHE q ELETTRICHE q ELETTRONICHE sensori attuatori trasduttori PLC CN altre q INFORMATICHE linguaggi programmi visione artificiale altre q SERVIZI ricerca modellizzazione matematica simulazione progettazione prototipazione testing manutenzioni 133 2.3 Dimensione delle unità produttive locali In Allegato 3 è riportata la distribuzione dimensionale delle imprese attive ma- nifatturiere (Censimento ISTAT dell’industria e dei servizi del 2011) relativamente alle classi dimensionali: 0, 1, 2, 3-5, 6-9, 10-15, 16-19, 20-49, 50-99, 100-199, 200-249, 250-499, 500-999, 1000 e + addetti. Anche in questo caso, l’informazione è poco significativa e si suggerisce di ri- ferirsi ai dati disponibili presso le Associazioni datoriali. Tornando all’esempio del paragrafo precedente, nell’area torinese si registrava la seguente distribuzione. 2.4 Addetti nelle imprese L’ultimo censimento ISTAT (2011) consente di stimare il totale degli addetti nei settori manifatturieri in circa 3.900.000. Ancora una volta si sottolinea la scarsa si- gnificatività di questo dato per valutare l’impatto del settore robotica-meccatronica sull’occupazione. Per completezza di informazione si forniscono comunque i dati della distribuzione degli addetti nei settori manifatturieri: – per dimensione aziendale (piccole, medie, grandi imprese); – per localizzazione geografica. 2.4.1 Distribuzione territoriale degli addetti In Allegato 4 è riportata la distribuzione degli addetti censiti nel 2011 relativa- mente a: – l’intero territorio nazionale; – le 20 Regioni; – le 38 Province in cui operano realtà della Federazione CNOS-FAP. I valori assoluti e le percentuali naturalmente dipendono dalla dimensione demografica della regione, per questo motivo nell’ultima colonna viene riportato il rapporto tra gli addetti del settore e la popolazione residente. Se si tiene conto della popolazione, si può osservare che, a fronte di un dato di media nazionale attorno a 65 addetti in attività manifatturiere ogni 1000 abitanti: 134 – le maggiori concentrazioni si registrano nel Veneto, nelle Marche, nella Lom- bardia e nell’Emilia Romagna (da 109 a 104 addetti ogni 1.000 abitanti); – seguono Piemonte (95) e il Friuli Venezia Giulia (92); – sopra la media: Toscana (77) e Umbria (70). 2.4.2 Distribuzione degli addetti per classi dimensionali In Allegato 5 è riportata la distribuzione degli addetti nelle attività manifatturie- re nelle classi dimensionali: 0, 1, 2, 3-5, 6-9, 10-15, 16-19, 20-49, 50-99, 100-199, 200-249, 250-499, 500-999, 1000 e+ addetti. Si può notare che circa un quarto degli addetti opera in imprese di minori di- mensioni (1-9 addetti), poco più del 40% nelle piccole-medie (10-99 addetti), il 35% nelle medio-grandi e grandi imprese (100 addetti e oltre). 135 3.1 Figure di riferimento del comparto In relazione alle discipline e alle tecnologie coinvolte, i profili professionali spe- cifici che si possono trovare in questo comparto sono numerosi e assumono conno- tazioni specifiche nei diversi contesti di lavoro. Il rischio è di perdere la visione di insieme del lavoro e della sua collocazione nella società. In questo paragrafo pertan- to sono proposti alcuni riferimenti - istituzionali e non - che possono essere utili ad inquadrare le figure in una dimensione appropriata (evitando gli eccessi di genericità e di specificità). 3.2 I riferimenti istituzionali (standard nazionale IeFP) Lo standard nazionale IeFP correla la figura del tecnico per l’automazione in- dustriale alle seguenti voci della classificazione NUP-ISTAT 2007. Lo standard nazionale correla il profilo del tecnico alle seguenti voci: 6. Artigiani, operai specializzati e agricoltori; 6.2.3 Meccanici artigianali, montatori, riparatori e manutentori di macchine fisse e mobili; 6.2.3.3.2 Installatori e montatori di macchinari ed impianti industriali; 6.2.4 Artigiani e operai specializzati dell’installazione e manutenzione attrezzature elettriche ed elettroniche; 6.2.4.1 Installatori e riparatori di apparati elettrici ed elettromeccanici. Di seguito si riportano le descrizioni delle due unità professionali riconducibili allo standard IeFP estratte dal repertorio NUP-ISTSAT. 6.2.3.3.2 INSTALLATORI E MONTATORI DI MACCHINARI ED IMPIANTI INDU- STRIALI Montano i componenti di macchinari e impianti industriali nei luoghi di installazione partendo da progetti, istruzioni o da altre rappresentazioni, verificano la corrispondenza del contesto ai requisiti richiesti, modificano o adattano eventualmente le parti da montare e collaudano le macchine o gli impianti così realizzati. ESEMPI DI PROFESSIONI: montatore di apparecchi per aspirazione; montatore di apparecchi per compressione; monta- tore di gru; montatore di impianti di deposito carburanti; montatore di macchinario di indu- strie poligrafiche; montatore di macchine filtranti; montatore di macchine industriali; monta- tore di pompe; montatore di presse; montatore di turbine; montatore torri di perforazione. Capitolo 3 Ricognizione del sistema professionale di riferimento 136 6.2.4.1 INSTALLATORI E RIPARATORI DI APPARATI ELETTRICI ED ELETTRO- MECCANICI Considerando disegni o altre rappresentazioni schematiche installano, riparano, sostituiscono parti e testano apparati di distribuzione, trasformazione ed utilizzo dell’energia elettrica, ovvero installano, riparano e verificano impianti elettrici industriali o specifici per particolari apparati, cabine e trasformatori elettrici; riparano elettrodomestici o altri apparati e apparecchi elettrici; costruiscono -manualmente o con l’ausilio di attrezzature semi-automatiche- montano, riparano e testano avvolgimenti per bobine, rotori e statori di apparati di trasformazione dell’energia elettrica; installano, riparano e manutengono apparati di produzione e conservazione dell’ener- gia elettrica e i relativi sistemi di controllo e misura; installano, riparano e manutengono gli impianti e gli apparati elettrici degli autoveicoli. Questa categoria comprende cinque unità professionali: - 6.2.4.1.1 - Installatori e riparatori di impianti elettrici industriali; - 6.2.4.1.2 - Riparatori di apparecchi elettrici e di elettrodomestici; - 6.2.4.1.3 - Elettromeccanici; - 6.2.4.1.4 - Installatori e riparatori di apparati di produzione e conservazione dell’energia elettrica; - 6.2.4.1.5 - Elettrauto. Si può osservare come la correlazione di dette unità con il tecnico di automa- zione industriale appaia piuttosto discutibile. Le descrizioni delle cinque unità pro- fessionali sono riportate in Allegato 6. 3.3 Un’anagrafe delle figure di riferimento Nel 2010-2011 una Commissione di esperti designati dalle parti sociali (Asso- ciazioni imprenditoriali e Sindacati di categoria) nell’ambito del “progetto RIF” 21 ha individuato per il comparto meccatronica/robotica-automazione 33 figure di rife- rimento (famiglie professionali) in grado di fornire la copertura dei fabbisogni rela- tivi al funzionamento e allo sviluppo della filiera, inclusi gli aspetti amministrativi e commerciali. Negli Allegati 7 e 8 sono riportati l’elenco delle 33 figure e una loro sintetica descrizione, anch’essa concordata tra gli esperti delle parti sociali, che ne individua la “mission” (obiettivi distintivi) all’interno della comunità professionale. Si può osservare come le figure dell’area amministrativa abbiano un elevato gra- do di trasversalità, nel senso che sono abbastanza interscambiabili tra diversi settori produttivi. Più legate alle specificità della meccatronica-robotica sono le figure dell’area commerciale in particolare il tecnico di gestione commessa, il tecnico di prodotto/se- vizio-assistenza clienti e il tecnico documentazione prodotto/manualistica. Allo stesso modo assumono connotazioni legate alla specificità del comparto al- cune figure della qualità (tecnici di controlli/collaudi), della logistica (programma- 21 Rete Indagini Fabbisogni, promosso dalle Province e dalla Regione Piemonte http://extranet. regione.piemonte.it/fp-lavoro/centrorisorse/studi_statisti/rif/index.htm 137 zione, approvvigionamenti, magazzini) e delle manutenzioni (tecnici di informatica industriale, montatori/installatori manutentori meccanici, montatori/installatori ma- nutentori componenti elettriche, elettroniche e di automazione). Strettamente connesse alla specificità del settore risultano essere a) le figure dell’area della ricerca/sviluppo-progettazione: – tecnici ricerca/sviluppo sistemi automatici di produzione industriale; – tecnici ricerca/sviluppo sistemi e subsistemi robotici/meccatronica; – progettisti meccanici/pneumatici/oleodinamici; – progettisti elettrici-elettronici; – progettisti informatici; – disegnatori/ progettisti/particolarismi; – tecnologi di industrializzazione prodotto/processo. b) le figure dell’area della produzione, i particolare: – tecnici di produzione (gestione reparto/unità operativa); – elettricisti/cablatori; – operatori di produzione e servizi vari. 3.4 Peso delle figure (incidenza sugli organici aziendali) Un dato di grande interesse per la programmazione dell’offerta formativa è il peso della specifica figura sul complesso degli addetti. Questo dato purtroppo non è facilmente disponibile 22. In Allegato 9 viene proposta una rielaborazione dei risultati della citata indagine RIF su un campione di 63 imprese piemontesi che occupavano 4.600 addetti 23. Con le cautele imposte dalla rappresentatività del campione si pos- sono fare le seguenti osservazioni. Le figure di produzione (inclusi i montatori-manutentori) coprono il oltre il 40% degli addetti. Si segnalano in particolare: – montatori/installatori/manutentori meccanici (6,4%); – montatori/installatori/manutentori componenti elettriche-elettroniche e di auto- mazione (4,8%); – elettricisti/cablatori (2,8%). L’area della ricerca/sviluppo-progettazione impegna circa il 24% degli addetti. In questo caso si evidenziano: – disegnatori/progettisti/particolaristi (8,7%); 22 In realtà potrebbe essere desunto dalle banche dati del Sistema Informativo Lavoro (Comunica- zioni Obbligatorie delle aziende circa le assunzioni, cessazioni degli addetti) non accessibili al pubblico per ragioni di riservatezza e di non facile elaborazione. 23 Il peso della figura veniva stimato in base alle risposte raccolte sulla domanda: “all’interno della sua azienda vi sono persone che svolgono anche in parte le attività di questa figura? Se sì, specificare quante”. 138 – progettisti elettrici-elettronici (4,5%); – tecnici ricerca/sviluppo sistemi automatici di produzione industriale (3,4%). L’area commerciale impegna circa il 16% degli addetti. Si segnalano in partico- lare: – tecnici di prodotto/servizio-assistenza clienti (6,0%). Infine le figure amministrativa coprono attorno al 7% degli organici. Stando a questi dati, il diploma di tecnico per l’automazione industriale IeFP, dal momento che coprirebbe certamente il fabbisogno di tre figure di riferimento (di- segnatori/progettisti/particolaristi, montatori/installatori/manutentori meccanici, montatori/installatori/manutentori componenti elettriche-elettroniche e di automa- zione) interesserebbe attorno al 20% degli addetti del comparto. 3.5 Tendenze dei fabbisogni professionali In Figura 2 è riportata una elaborazione dei dati della citata indagine RIF circa le tendenze dei fabbisogni professionali limitatamente alle cinque figure più affini allo standard del tecnico per l’automazione industriale. In essa vengono evidenziati il peso della figura sul totale degli organici rispetto al complesso delle 33 figure individuate per il settore (marginale, sotto la media, nel- la media, sopra le media) e l’interesse verso quella figura manifestato dalle imprese del campione (marginale, sotto la media, nella media, sopra le media). L’interesse è stimato tenendo conto di due valutazioni: – le previsioni circa l’andamento dei fabbisogni (crescita, stabilità, declino) per quella determinata figura in rapporto alle altre; – le difficoltà di reperimento sul mercato del lavoro per quella determinata figura in rapporto alle altre. Si può osservare come le cinque figure, al di là del loro peso, evidenzino nel lo- ro complesso livelli di interesse molto consistenti. 139 (Fonte RIF-2011 elaborazione Spin per CNOS-FAP) Nel dettaglio emergono le seguenti indicazioni: Disegnatori/progettisti/particolaristi Peso: sopra la media; trend fabbisogni: sopra la media; difficoltà reperimento: nella media. Interesse: elevato, in particolare nelle medio-grandi imprese. Montatori/installatori/manutentori meccanici Peso: sopra la media; trend fabbisogni: sopra la media; difficoltà reperimento: sopra la media. Interesse: molto elevato. Montatori/installatori/manutentori componenti elettriche-elettroniche e di automazione Peso: sopra la media; trend fabbisogni: sopra la media; difficoltà reperimento: sopra la media. Interesse: massimo. Tecnici di prodotto/servizio-assistenza clienti Peso: sopra la media; trend fabbisogni: nella media; difficoltà reperimento: sopra la media. Interesse: molto consistente, specie nelle aziende di maggiori dimensioni. Tecnici di controlli/collaudi Peso: nella media; trend fabbisogni: nella media; difficoltà reperimento: nella media. Interesse: nella media, con segnali di attenzione nelle imprese di maggiori dimen- sioni. Figura 2 - Incidenza e trend dei fabbisogni professionali 1 2 3 4 5 1 2 3 4 5 disegnatori / progettisti / particolaristi montatori / installatori / manutentori meccanici montatori / installatori / manutentori el-elettron e automazione tecnici di prodotto / servizio - assistenza clienti tecnici di controlli / collaudi legenda 1 2 3 4 5 nella media sopra le media elevato peso interesse marginale sotto la media 141 4.1 Tecnico per l’automazione industriale (standard IeFP) Lo standard nazionale inserisce il profilo del tecnico per l’automazione indu- striale nell’area professionale “meccanica impianti e costruzioni”. Circa il ruolo, lo standard fornisce le seguenti indicazioni: – interviene con autonomia nel presidio del processo di automazione industriale [all’interno di un quadro d’azione stabilito e di specifiche assegnate] con responsabilità di sorveglianza di attività esecutive; – partecipa alla gestione aziendale [individuazione delle risorse, organizzazione operativa, monitoraggio/valutazio- ne risultati, miglioramento continuo]; – interviene nel processo produttivo [progettazione e dimensionamento del sistema/impianto; sviluppo del software di comando e controllo; installazione del sistema e della componentistica; tara- tura e regolazione degli elementi e del sistema]. Circa la prestazione attesa. Lo standard colloca le attività della figura del tecnico su quattro livelli: – produzione documentazione tecnica; – prevenzione situazioni di rischio; – progettazione; – installazione, collaudo e manutenzione. Nello specifico lo standard consente di individuare per la figura del tecnico grafico la seguente prestazione. PRODUZIONE DOCUMENTAZIONE TECNICA – redige ed elabora: > le documentazioni tecniche di appoggio; > i report di avanzamento e di valutazione relativi alle lavorazioni e alle manu- tenzioni. PREVENZIONE SITUAZIONI DI RISCHIO – individua le situazioni di rischio; – segnala le anomalie e le non conformità; – cura il controllo/monitoraggio del funzionamento e dell’uso dei dispositivi di prevenzione; Capitolo 4 Ricognizione dei profili professionali 142 – promuove comportamenti di prevenzione; – formula proposte di miglioramento dell’organizzazione e del lay-out dell’am- biente di lavoro. PROGETTAZIONE – effettua l’analisi del processo da automatizzare (funzioni e caratteristiche); – effettua il dimensionamento della componentistica; – elabora il programma del software di comando e controllo; – redige la documentazione. INSTALLAZIONE, COLLAUDO E MANUTENZIONE – cura l’installazione del sistema automatizzato; – cura il collaudo e la manutenzione. 4.2 Altri profili assimilabili Per eventuali approfondimenti si riportano alcuni elementi delle descrizioni di profili attigui al tecnico per l’automazione industriale che possono aiutare a metterne a fuoco il ruolo all’interno della comunità professionale. Le descrizioni sono estrapolate dalle Linee guida CNOS-FAP e dal citato pro- getto RIF. Tecnico ricerca/sviluppo sistemi automatici di produzione industriale: – …………………………….. – identifica le esigenze del cliente; – cura la definizione/messa a punto dei sistemi di automazione del processo di produzione; – predispone la documentazione tecnica. Tecnico ricerca/sviluppo sistemi e subsistemi robotici/meccatronica: – …………………………….. – cura la progettazione dei subsistemi, definendone i parametri fisici e funzionali; – segue le fasi di prototipazione. Progettista meccanico/pneumatico/oleodinamico: – …………………………….. – cura la progettazione degli aspetti meccanici, pneumatici e oleodinamici di pro- dotti e componenti, definendo i parametri fisici e funzionali. Progettista elettrico-elettronico: – …………………………….. – cura la progettazione degli aspetti elettro-elettronici di sistemi e componenti, de- finendo i parametri fisici e funzionali. Disegnatore/progettista/particolarista – …………………………….. – cura lo sviluppo e il disegno di particolari e componenti: 143 > di progetti esecutivi per la realizzazione/modifiche di impianti/prodotti; > di disegni costruttivi e dettagli con l’uso di software dedicati. Tecnico di controlli/collaudi: – …………………………….. – effettua analisi, test, prove e collaudi su materiali, componenti, gruppi funzionali; – cura la messa a punto della strumentazione e l’implementazione delle procedure. Tecnico di programmazione/gestione manutenzioni: – …………………………….. – pianifica e segue le attività di manutenzione; – valuta lo stato di funzionamento delle macchine/impianti; – adotta i relativi provvedimenti. Tecnico di informatica industriale: – …………………………….. – cura la programmazione/manutenzione dei sistemi di controllo (plc, pc, elabo- ratori di supervisione) e di trasmissione dati; – effettua interventi di adattamento del software e dell’hardware; – istruisce e assiste gli operatori. Montatore/installatore/manutentore meccanico: – …………………………….. – effettua il montaggio, l’installazione e la manutenzione delle componenti mec- caniche, pneumatiche e oleodinamiche di sistemi di automazione, meccatronici, robotici; – provvede alla loro messa a punto e regolazione; – verifica e controlla il rispetto degli standard; – segnala eventuali difetti e possibili miglioramenti; – fornisce istruzioni al cliente (funzionamento e manutenzione) e agli operatori. Montatore/installatore/manutentore componenti elettriche-elettroniche e di automazione – …………………………….. – effettua il montaggio, l’installazione e la manutenzione delle componenti elet- triche, elettroniche e di automazione; – …………………………….. 145 5.1 Tecnico per l’automazione industriale Lo standard nazionale associa alla figura del tecnico per l’automazione indu- striale otto unità di competenze. 1. Produrre documentazione tecnica d’appoggio, di avanzamento e valutativa re- lativa a lavorazioni, manutenzioni, installazioni. 2. Identificare e fronteggiare situazioni di rischio potenziale per la sicurezza, la sa- lute e l’ambiente, promuovendo l’assunzione di comportamenti corretti e con- sapevoli di prevenzione. 3. Identificare gli elementi caratterizzanti il processo industriale, collaborando alla progettazione del sistema di automazione. 4. Intervenire nel processo di progettazione del sistema di automazione definito 5. Effettuare il dimensionamento della componentistica hardware del sistema di automazione. 6. Elaborare il programma software per il comando e il controllo tramite PLC del sistema di automazione. 7. Realizzare l’installazione del sistema di automazione, integrando funzionalmen- te il programma sul sistema macchina. 8. Realizzare il collaudo e la manutenzione del sistema di automazione valutando i risultati dei diversi tipi di prove di funzionalità. Competenza n. 1 Produrre documentazione tecnica d’appoggio, di avanzamento e valutativa relativa a lavorazioni, manutenzioni, installazioni. Il tecnico deve essere in grado di: – definire le specifiche tecniche dei componenti; – effettuare analisi di conformità funzionale dei componenti; – effettuare (al computer) il disegno tecnico e l’archiviazione dati; – effettuare la codifica dei componenti e l’archiviazione della documentazione tecnica; – redigere le documentazioni tecniche di appoggio e i report di avanzamento. Servono conoscenze in materia di: • disegno tecnico; • materiali (tecnologie e proprietà); Capitolo 5 Ricognizione delle competenze 146 • metodi di rappresentazione grafica e simulazione tridimensionale; • CAD-CAM; • reportistica tecnica (technical writing). Competenza n. 2 Identificare e fronteggiare situazioni di rischio potenziale per la sicurezza, la salute e l’ambiente, promuovendo l’assunzione di comportamenti corretti e consapevoli di prevenzione. Il tecnico deve essere in grado di: – valutare il corretto utilizzo e funzionamento dei dispositivi di prevenzione; – segnalare le non conformità nei termini e secondo le procedure previste; – prefigurare forme comportamentali di prevenzione; – proporre miglioramenti organizzativi e del layout per evitare fonti di rischio. Servono conoscenze in materia di: • normativa di riferimento (D.Lsg. 81/2008; ambiente e fattori di inquinamento); • ergonomia (lavoro al computer; lavoro alle macchine; ecc.); • tecniche di rilevazione delle situazioni di rischio; • metodi per la rielaborazione delle situazioni di rischio; • tecniche di reporting; • strategie di promozione. Competenza n. 3 Identificare gli elementi caratterizzanti il processo industriale, collaborando alla progettazione del sistema di automazione. Il tecnico deve essere in grado di: – rilevare le caratteristiche del processo da automatizzare; – individuare, in base agli esiti dell’analisi del processo, i vincoli operativi del sistema di automazione. Servono conoscenze in materia di: • tipologie di impianti di automazione industriale (caratteristiche tecniche e fun- zionali); • tecniche di analisi e codifica del processo da automatizzare mediante sistemi gestiti da PLC; • norme CEI per la realizzazione di sistemi di automazione. Competenza n. 4 Intervenire nel processo di progettazione del sistema di automazione definito. Il tecnico deve essere in grado di: – impostare i cicli funzionali del processo di automazione; – produrre i disegni degli schemi elettrici relativi ai cablaggi (tecniche grafiche). Servono conoscenze in materia di: 147 • rappresentazione di un ciclo di funzionamento automatico di una macchina/ impianto; • norme CEI per la rappresentazione di schemi elettrici (cablaggio impianti auto- matici). Competenza n. 5 Effettuare il dimensionamento della componentistica hardware del sistema di automazione. Il tecnico deve essere in grado di: – definire le potenze dei quadri elettrici di comando; – dimensionare i PLC per la gestione del sistema di automazione; – elaborare le distinta dei materiali. Servono conoscenze in materia di: • componenti hardware di un sistema di automazione (caratteristiche tecniche e funzionali); • dimensionamento di un quadro elettrico di potenza (criteri); • scelta e la configurazione di un PLC (criteri); • redazione di una distinta base. Competenza n. 6 Elaborare il programma software per il comando e il controllo tramite PLC del sistema di automazione. Il tecnico deve essere in grado di: – realizzare il programma di comando/controllo del sistema di automazione tra- mite PLC (utilizzare il linguaggio di programmazione); – testare/collaudare il software (utilizzare modelli di simulazione). Servono conoscenze in materia di: • linguaggio e tecniche di programmazione di un PLC; • tecniche di collaudo simulato di un programma. Competenza n. 7 Realizzare l’installazione del sistema di automazione, integrando funzionalmente il programma sul sistema macchina. Il tecnico deve essere in grado di: – individuare le modalità e le sequenze delle attività di installazione; – curare la gestione integrata delle risorse secondo criteri di economicità; – curare l’installazione (tecniche e metodiche); – rilevare anomalie e non conformità. Servono conoscenze in materia di: • processo di lavoro di installazione; • tecniche di installazione; 148 • tecnologie materiali e attrezzature; • strategie e tecniche per ottimizzare l’uso delle risorse; • organizzazione del lavoro. Competenza n. 8 Realizzare il collaudo e la manutenzione del sistema di automazione valutando i risultati dei diversi tipi di prove di funzionalità. Il tecnico deve essere in grado di: – individuare le modalità e le sequenze delle attività di verifica funzionale; – effettuare l’analisi degli esiti del collaudo; – predisporre il programma delle tarature del sistema; – curare la manutenzione del sistema. Servono conoscenze in materia di: • tecniche di collaudo; • monitoraggio e pianificazione degli interventi di manutenzione ordinaria; • tecniche di manutenzione. 5.2 Modalità di riscontro (Evidenze) Di seguito viene proposto un quadro sintetico delle evidenze (della competenza) associabili alle unità di competenze del tecnico per l’automazione industriale estratto dalle ricerche di CNOS-FAP 24, dove per “evidenza” si intende: prestazione reale ed adeguata che, assieme alle altre definite entro la rubrica di riferimento, attesta l’effettiva capacità del soggetto nel saper fronteggiare compiti e problemi sinificativi e necessari, per poter essere giudicato competente. Le evidenze vengono proposte con l’espressione “il tecnico deve dimostrare di essere in grado di”: Competenza n. 1 Produrre documentazione tecnica d’appoggio, di avanzamento e valutativa relativa a lavora- zioni, manutenzioni, installazioni. Il tecnico deve dimostrare di essere in grado di: – individuare i componenti di un sistema di automazione; – documentarli, utilizzando gli appositi strumenti informatici (CAD, office); – redigere il manuale d’uso e di manutenzione facendo riferimento alle normative vigenti. 24 CNOS FAP (a cura di), Rubriche delle competenze per i diplomi professionali IeFP, 2012. 149 Competenza n. 2 Identificare e fronteggiare situazioni di rischio potenziale per la sicurezza, la salute e l’am- biente, promuovendo l’assunzione di comportamenti corretti e consapevoli di prevenzione. Il tecnico deve dimostrare di essere in grado di: – effettuare un’analisi dettagliata dell’ambiente di lavoro e valutare i rischi per la salute; – individuare le metodologie di prevenzione e gli strumenti necessari. Competenza n. 3 Identificare gli elementi caratterizzanti il processo industriale, collaborando alla progettazione del sistema di automazione Il tecnico deve dimostrare di essere in grado di: – individuare i principali elementi di un processo industriale; – individuare i componenti del sistema di automazione e classificarli in base alla funzione; – interpretare il funzionamento del sistema automatico; – collaborare alla progettazione di un sistema di automazione partendo dalle spe- cifiche richieste. Competenza n. 4 Intervenire nel processo di progettazione del sistema di automazione definito Il tecnico deve dimostrare di essere in grado di: – impostare i cicli funzionali del processo di automazione; – produrre disegni e schemi per lo sviluppo del progetto. Competenza n. 5 Effettuare il dimensionamento della componentistica hardware del sistema di automazione Il tecnico deve dimostrare di essere in grado di: – individuare le funzioni del sistema di automazione; – effettuare la scelta dei componenti, valutando costi e funzionalità; – effettuare la scelta del PLC in relazione alle esigenze del processo. Competenza n. 6 Elaborare il programma software per il comando e il controllo tramite PLC del sistema di automazione Il tecnico deve dimostrare di essere in grado di: – saper usare le funzioni delle piattaforme di sviluppo più diffuse; – sviluppare il software utilizzando gli algoritmi più adatti; – descrivere/documentare il software (tabella simbolica e commenti). 150 Competenza n. 7 Realizzare l’installazione del sistema di automazione, integrando funzionalmente il programma sul sistema macchina Il tecnico deve dimostrare di essere in grado di: – realizzare il cablaggio elettrico e il circuito pneumatico del sistema (potenza, comando, PLC); – applicare le normative per garantire le condizioni di sicurezza del sistema; – trasferire il software sul PLC, utilizzando i dispositivi dedicati. Competenza n. 8 Realizzare il collaudo e la manutenzione del sistema di automazione valutando i risultati dei diversi tipi di prove di funzionalità Il tecnico deve dimostrare di essere in grado di: – utilizzare preventivamente un simulatore adeguato; – effettuare le procedure di collaudo per ogni passo di movimento (rappresenta- zione grafcet); – recuperare le anomalie. 151 Allegato 1 Attività economiche (ATECO 2007) correlate al tecnico per l’automazione industriale 10 INDUSTRIE ALIMENTARI 11 INDUSTRIA DELLE BEVANDE 12 INDUSTRIA DEL TABACCO 13 INDUSTRIE TESSILI 14 CONFEZIONE DI ARTICOLI DI ABBIGLIAMENTO; CONFEZIONE DI ARTICOLI IN PELLE E PELLICCIA 15 FABBRICAZIONE DI ARTICOLI IN PELLE E SIMILI 16 INDUSTRIA DEL LEGNO E DEI PRODOTTI IN LEGNO E SUGHERO (ESCLUSI I MOBILI); FABBRICAZIONE DI ARTICOLI IN PAGLIA E MATERIALI DA INTRECCIO 17 FABBRICAZIONE DI CARTA E DI PRODOTTI DI CARTA 18 STAMPA E RIPRODUZIONE DI SUPPORTI REGISTRATI 19 FABBRICAZIONE DI COKE E PRODOTTI DERIVANTI DALLA RAFFINAZIONE DEL PETROLIO 20 FABBRICAZIONE DI PRODOTTI CHIMICI 21 FABBRICAZIONE DI PRODOTTI FARMACEUTICI DI BASE E DI PREPARATI FAR- MACEUTICI 22 FABBRICAZIONE DI ARTICOLI IN GOMMA E MATERIE PLASTICHE 23 FABBRICAZIONE DI ALTRI PRODOTTI DELLA LAVORAZIONE DI MINERALI NON METALLIFERI 24 METALLURGIA 25 FABBRICAZIONE DI PRODOTTI IN METALLO (ESCLUSI MACCHINARI E AT- TREZZATURE) 26 FABBRICAZIONE DI COMPUTER E PRODOTTI DI ELETTRONICA E OTTICA; AP- PARECCHI ELETTROMEDICALI, APPARECCHI DI MISURAZIONE E DI OROLOGI 27 FABBRICAZIONE DI APPARECCHIATURE ELETTRICHE ED APPARECCHIATURE PER USO DOMESTICO NON ELETTRICHE 28 FABBRICAZIONE DI MACCHINARI ED APPARECCHIATURE NCA 29 FABBRICAZIONE DI AUTOVEICOLI, RIMORCHI E SEMIRIMORCHI 30 FABBRICAZIONE DI ALTRI MEZZI DI TRASPORTO 31 FABBRICAZIONE DI MOBILI 32 ALTRE INDUSTRIE MANIFATTURIERE 33 RIPARAZIONE, MANUTENZIONE ED INSTALLAZIONE DI MACCHINE ED APPA- RECCHIATURE imprese attive (v.a.) ATECO: C % ITALIA 422.067 100,0 ABRUZZO 9.741 2,3 L’AQUILA 1.643 0,4 CHIETI 2.909 0,7 BASILICATA 3.085 0,7 CALABRIA 9.058 2,1 COSENZA 3.284 0,8 REGGIO CALABRIA 2.438 0,6 VIBO VALENTIA 787 0,2 CAMPANIA 28.102 6,7 NAPOLI 13.921 3,3 EMILIA-ROMAGNA 38.742 9,2 BOLOGNA 8.095 1,9 FORLI CESENA 3.405 0,8 FRIULI VG 8.525 2,0 UDINE 4.262 1,0 LAZIO 22.825 5,4 ROMA 14.612 3,5 LIGURIA 8.356 2,0 GENOVA 4.522 1,1 IMPERIA 1.041 0,2 LOMBARDIA 84.712 20,1 BERGAMO 10.063 2,4 BRESCIA 13.426 3,2 MILANO 22.594 5,4 MARCHE 17.403 4,1 MOLISE 1.885 0,4 PIEMONTE 33.454 7,9 ALESSANDRIA 3.726 0,9 ASTI 1.772 0,4 BIELLA 1.726 0,4 CUNEO 5.223 1,2 TORINO 15.434 3,7 VERCELLI 1.255 0,3 Allegato 2 Imprese manifatturiere attive 152 153 PUGLIA 22.905 5,4 BARI 7.421 1,8 FOGGIA 2.722 0,6 SARDEGNA 8.358 2,0 CAGLIARI 2.443 0,6 NUORO 1.100 0,3 OGLIASTRA 329 0,1 OLBIA TEMPIO 1.113 0,3 SASSARI 1.494 0,4 SICILIA 22.584 5,4 CALTANISETTA 1.212 0,3 CATANIA 5.340 1,3 PALERMO 4.626 1,1 RAGUSA 1.681 0,4 TOSCANA 40.234 9,5 TRENTINO ALTO ADIGE 6.389 1,5 UMBRIA 7.067 1,7 PERUGIA 5.710 1,4 VALLE D’AOSTA 701 0,2 AOSTA 701 0,2 VENETO 47.941 11,4 PADOVA 9.720 2,3 VICENZA 11.302 2,7 VENEZIA 5.615 1,3 VERONA 8.114 1,9 (Fonte ISTAT elab. Spin) 154 classe di addetti imprese attive (v.a.) % 0 13.180 3,1 1 135.867 32,2 2 64.215 15,2 3-5 86.648 20,5 6-9 48.184 11,4 10-15 32.750 7,8 16-19 10.466 2,5 20-49 20.752 4,9 50-99 5.706 1,4 100-199 2.602 0,6 200-249 470 0,1 250-499 756 0,2 500-999 295 0,1 1000 e+ 176 0,0 tutte le dimensioni 422.067 100,0 Allegato 3 Distribuzione dimensionale delle imprese manifatturiere (Classi di addetti) 155 addetti (v.a.) ATECO:C % ITALIA 3.891.983 100,0 ABRUZZO 81.859 2,1 L'AQUILA 9.695 0,2 CHIETI 33.829 0,9 BASILICATA 19.987 0,5 CALABRIA 31.428 0,8 COSENZA 11.183 0,3 REGGIO CALABRIA 7.354 0,2 VIBO VALENTIA 3.191 0,1 CAMPANIA 153.374 3,9 NAPOLI 72.755 1,9 EMILIA-ROMAGNA 453.089 11,6 BOLOGNA 102.578 2,6 FORLI CESENA 35.574 0,9 FRIULI VG 111.859 2,9 UDINE 44.548 1,1 LAZIO 149.704 3,8 ROMA 94.355 2,4 LIGURIA 78.487 2,0 GENOVA 55.482 1,4 IMPERIA 3.743 0,1 LOMBARDIA 1.022.476 26,3 BERGAMO 135.782 3,5 BRESCIA 148.407 3,8 MILANO 298.893 7,7 MARCHE 165.381 4,2 MOLISE 10.227 0,3 Allegato 4 Addetti nei settori manifatturieri 156 PIEMONTE 415.161 10,7 ALESSANDRIA 36.926 0,9 ASTI 15.457 0,4 BIELLA 18.077 0,5 CUNEO 62.692 1,6 TORINO 223.764 5,7 VERCELLI 14.208 0,4 PUGLIA 124.803 3,2 BARI 48.373 1,2 FOGGIA 10.817 0,3 SARDEGNA 37.030 1,0 CAGLIARI 11.368 0,3 NUORO 4.319 0,1 OGLIASTRA 964 0,0 OLBIA TEMPIO 4.795 0,1 SASSARI 5.899 0,2 SICILIA 90.011 2,3 CALTANISETTA 6.283 0,2 CATANIA 20.118 0,5 PALERMO 15.835 0,4 RAGUSA 7.337 0,2 TOSCANA 285.541 7,3 TRENTINO ALTO ADIGE 61.312 1,6 UMBRIA 62.259 1,6 PERUGIA 49.758 1,3 VALLE D'AOSTA 4.631 0,1 AOSTA 4.631 0,1 VENETO 533.364 13,7 PADOVA 103.601 2,7 VICENZA 141.098 3,6 VENEZIA 47.546 1,2 VERONA 84.270 2,2 157 classe di addetti imprese attive (v.a.) % 1 135.867 3,5 2 128.430 3,3 3-5 328.889 8,5 6-9 349.511 9,0 10-15 397.517 10,2 16-19 180.741 4,6 20-49 624.600 16,0 50-99 392.043 10,1 100-199 356.890 9,2 200-249 104.365 2,7 250-499 261.417 6,7 500-999 202.621 5,2 1000 e+ 429.092 11,0 tutte le dimensioni 3.891.983 100,0 Allegato 5 Distribuzione degli addetti per dimensione aziendale (Fonte censimento Istat 2011, elaborazione Spin) 158 Allegato 6 Repertorio NUP-ISTAT unità professionali attinenti a: Installatori e riparatori di apparati elettrici ed elettro- meccanici 6.2.4.1.2 - RIPARATORI DI APPARECCHI ELETTRICI E DI ELETTRODOMESTICI Riparano elettrodomestici o altri apparati e apparecchi elettrici. ESEMPI DI PROFESSIONI: elettrotecnico sanitario; meccanico di telescriventi; riparatore di elettrodomestici; riparatore di macchine elettriche per ufficio. 6.2.4.1.3 - ELETTROMECCANICI Costruiscono, manualmente o con l’ausilio di attrezzature semi-automatiche, montano, ripara- no e testano avvolgimenti per bobine, rotori e statori di apparati di trasformazione dell’energia elettrica. ESEMPI DI PROFESSIONI: aggiustatore elettromeccanico; avvolgitore di trasformatori; bobinatore di piccoli apparecchi elettrici; collettorista; elettromeccanico; elettromeccanico di bordo; installatore di impianti elettromeccanici ed elettronici nautici; riavvolgitore di motori elettrici. 6.2.4.1.4 - INSTALLATORI E RIPARATORI DI APPARATI DI PRODUZIONE E CONSERVAZIONE DEL- L’ENERGIA ELETTRICA Installano, riparano e manutengono apparati di produzione e conservazione dell’energia elet- trica e i relativi sistemi di controllo e misura. ESEMPI DI PROFESSIONI: accumulatorista, addetto alla carica di accumulatori, caricabatteria; elettricista di centrale idroelettrica; elettricista di centrale termoelettrica; elettricista di centrale termonucleare; elet- tricista di centrali elettriche; elettromagnetista; installatore e manutentore impianti fotovol- taici; magnetista; installatore di impianti solari. 6.2.4.1.5 - ELETTRAUTO Installano, riparano e manutengono gli impianti e gli apparati elettrici ed elettronici degli au- toveicoli. ESEMPI DI PROFESSIONI: autronico; elettrauto 159 AMMINISTRAZIONE/FINANZA 01 tecnici amministrazione / finanza / controllo di gestione 02 operatori di contabilità 03 tecnici gestione / sviluppo personale 04 tecnici sistema informativo aziendale 05 operatori di segreteria COMMERCIALE 06 tecnici gestione commessa 07 tecnici commerciale / marketing / organizzazione vendite 08 operatori servizi commerciali 09 tecnici di prodotto / servizio - assistenza clienti 10 tecnici documentazione prodotto / manualistica RICERCA/SVILUPPO - PROGETTAZIONE 11 tecnici ricerca / sviluppo sistemi automatici di produzione industriale 12 tecnici ricerca / sviluppo sistemi e subsistemi robotici / meccatronici 13 progettisti meccanici / pneumatici / oleodinamici 14 progettisti elettrici-elettronici 15 progettisti informatici 16 disegnatori / progettisti / particolaristi 17 tecnologi di industrializzazione prodotto / processo QUALITÀ 18 tecnici sistema qualità (processi e prodotti) 19 tecnici di controlli / collaudi 20 tecnici ambiente / sicurezza PROGRAMMAZIONE PRODUZIONE/LOGISTICA 21 tecnici programmazione della produzione / logistica 22 tecnici acquisti / approvvigionamenti 23 magazzinieri (accettazioni / spedizioni) MANUTENZIONE/INSTALLAZIONE 24 tecnici di programmazione / gestione manutenzioni 25 tecnici di informatica industriale 26 montatori / installatori / manutentori meccanici 27 montatori / installatori / manutentori componenti elettriche-elettroniche e di automazione PRODUZIONE 28 tecnici di produzione (gestione reparto / unità operativa) 29 conduttori sistemi automatizzati 30 costruttori su macchine utensili 31 saldatori / carpentieri 32 elettricisti / cablatori 33 operatori di produzione e servizi vari Allegato 7 Anagrafe delle figure di riferimento del comparto meccatronica / robotica-automazione (Progetto RIF Regione e Province del Piemonte) 160 01 tecnici amministrazione/finanza/controllo di gestione: curano il sistema di contabilità (generale e industriale), gli adempimenti ammini- strativo/fiscali e la redazione dei bilanci; effettuano analisi economico/finanziarie e curano i rapporti con il sistema creditizio; elaborano i budget, analizzano gli sco- stamenti e suggeriscono le azioni correttive. 02 operatori di contabilità: curano l’implementazione del sistema di contabilità (generale e industriale) e pre- dispongono la documentazione di supporto amministrativa e fiscale 03 tecnici gestione/sviluppo personale: curano le politiche del personale (selezione, inquadramento, sviluppo, organizzazio- ne del lavoro), gli adempimenti contrattuali/amministrativi, le relazioni industriali. 04 tecnici sistema informativo aziendale: studiano le esigenze informative dell’azienda, valutano le offerte dei fornitori (HW e SW), sviluppano e adattano le applicazioni informatiche; curano la manutenzione del sistema e l’assistenza/addestramento degli operatori. 05 operatori di segreteria: curano il disbrigo delle pratiche di ufficio (archivio, protocollo, corrispondenza, agenda) e i contatti con altri enti interni ed esterni (telefono, e-mail). 06 tecnici gestione commessa: acquisiscono, perfezionano e gestiscono i contratti/appalti; definiscono i preventivi e i budget; curano la programmazione delle attività, il rispetto dei capitolati e delle scadenze, gli stati di avanzamento, il controllo/adeguamento dei costi/ricavi. 07 tecnici commerciale/marketing/organizzazione vendite: curano le strategie di sviluppo dei prodotti/mercati, le politiche commerciali, le azio- ni promozionali. 08 operatori servizi commerciali: curano l’accettazione/evasione degli ordini (contratti, condizioni finanziarie, tempi di consegna) e i rapporti con il cliente. 09 tecnici di prodotto/servizio-assistenza clienti: assistono il cliente nelle fasi di definizione dell’ordine e/o di post-vendita; propon- gono adattamenti e modifiche e le segnalano all’azienda. Allegato 8 Descrizioni sintetiche delle figure di riferimento del comparto meccatronica / robotica-automazione (Progetto RIF Regione e Province del Piemonte) 161 10 tecnici documentazione prodotto/manualistica: curano la progettazione/redazione della documentazione tecnico-commerciale e del- la manualistica d’uso e di manutenzione. 11 tecnici ricerca/sviluppo sistemi automatici di produzione industriale: identificano le esigenze del cliente/mercato; curano la definizione dei sistemi di au- tomazione dei processi di produzione; eseguono le simulazioni; effettuano gli studi di fattibilità, predispongono la documentazione tecnica. 12 tecnici ricerca/sviluppo sistemi e subsistemi robotici/meccatronici: curano la progettazione dei robot/subsistemi, definendone i parametri fisici e fun- zionali; eseguono le simulazioni e seguono le fasi di prototipazione; effettuano gli studi di fattibilità; predispongono la documentazione tecnica. 13 progettisti meccanici/pneumatici/oleodinamici: curano la progettazione degli aspetti meccanici, pneumatici e oleodinamici di pro- dotti e componenti, definendo i parametri fisici e funzionali; effettuano gli studi di fattibilità, predispongono la documentazione tecnica. 14 progettisti elettrici-elettronici: curano la progettazione degli aspetti elettro-elettronici di sistemi e componenti, definendo i parametri fisici e funzionali, effettuano gli studi di fattibilità, predispon- gono la documentazione tecnica. 15 progettisti informatici: effettuano l’analisi delle esigenze di sviluppo/manutenzione di software, firmware e tecnologie di telecomunicazioni (fonia, dati, internet); curano la stesura delle spe- cifiche funzionali, la realizzazione delle applicazioni, i test e le prove per la messa in esercizio. 16 disegnatori/progettisti/particolaristi: curano lo sviluppo e il disegno di particolari e componenti (sviluppo progetti esecu- tivi per la realizzazione/modifiche di impianti/prodotti; sviluppo di disegni costruttivi e dettagli con l’uso di tecnologie informative dedicate). 17 tecnologi di industrializzazione prodotto/processo: in stretta integrazione con la R&S/progettazione, definiscono i cicli di lavorazione, curano l’adeguamento delle tecnologie di produzione e l’eventuale ricorso a risorse esterne (make or buy); intervengono sui problemi relativi al processo produttivo e al funzionamento degli impianti. 18 tecnici sistema qualità (processi e prodotti): curano le politiche di qualità, le procedure, la loro diffusione/attuazione (all’interno dell’azienda e verso i fornitori), l’elaborazione e l’aggiornamento dei manuali di qualità, i collegamenti con gli enti di certificazione. 162 19 tecnici di controlli/collaudi: effettuano analisi, test, prove e collaudi su materiali, componenti, gruppi funzionali; curano la messa a punto/implementazione della strumentazione e delle procedure. 20 tecnici ambiente/sicurezza: curano le procedure relative alla sicurezza/igiene del lavoro e all’ambiente (interno/ esterno), i rapporti con le strutture istituzionali e di certificazione; valutano le situazioni di potenziale insorgenza di eventi dannosi, individuano le soluzioni e le priorità; pro- muovono interventi di motivazione, formazione, addestramento del personale. 21 tecnici programmazione della produzione/logistica: curano la programmazione/avanzamento della produzione, l’organizzazione logi stica interna (movimentazioni e magazzini) ed esterna (approvvigionamenti e spedizioni). 22 tecnici acquisti/approvvigionamenti: curano le politiche degli acquisti/approvvigionamenti (incluse le lavorazioni conto terzi); selezionano e valutano i fornitori; curano la definizione dei contratti e ne se- guono l’adempimento. 23 magazzinieri (accettazioni/spedizioni): curano l’immagazzinamento (materie prime, semilavorati, prodotti finiti), l’alimen- tazione dei reparti, le spedizioni; aggiornano in tempo reale i dati (consistenza scor- te, giacenze). 24 tecnici di programmazione/gestione manutenzioni: pianificano e seguono le attività di manutenzione (interne e appaltate); valutano i dati sullo stato di funzionamento delle macchine/impianti e sull’efficacia degli interventi e adottano i relativi provvedimenti. 25 tecnici di informatica industriale: curano la programmazione/manutenzione dei sistemi di controllo (plc, pc, elabora- tori di supervisione) e di trasmissione dati. Effettuano interventi di adattamento del software e dell’hardware. Istruiscono e assistono gli operatori. 26 montatori/installatori/manutentori meccanici: effettuano il montaggio, l’installazione e la manutenzione delle componenti mecca- niche, pneumatiche e oleodinamiche di sistemi di automazione, meccatronici, robo- tici; provvedono alla loro messa a punto e regolazione; verificano e controllano il rispetto degli standard; segnalano eventuali difetti e possibili miglioramenti; forni- scono istruzioni al cliente (funzionamento e manutenzione). 27 montatori/installatori/manutentori componenti elettriche-elettroniche e di automazione: effettuano il montaggio, l’installazione e la manutenzione delle componenti elettri- che, elettroniche e di automazione; provvedono alla loro regolazione; verificano e controllano il rispetto degli standard; segnalano eventuali difetti e possibili miglio- ramenti; forniscono istruzioni al cliente (funzionamento e manutenzione). 163 28 tecnici di produzione (gestione reparto/unità operativa): gestiscono e coordinano le attività del reparto/unità operativa, effettuano interventi di correzione/regolazione; seguono il funzionamento e la manutenzione ordinaria delle macchine/impianti; valutano l’andamento della produzione e propongono mi- glioramenti; curano l’addestramento degli operatori. 29 conduttori sistemi automatizzati: conducono macchine/impianti relativi a specifiche fasi del processo produttivo; verificano la conformità dell’“output” rispetto agli standard; effettuano le regola- zioni; segnalano/intervengono su eventuali anomalie; effettuano le manutenzioni ordinarie. 30 costruttori su macchine utensili: realizzano lavorazioni meccaniche con asportazione di truciolo (tornitura, fresatura, alesatura, rettifica). 31 saldatori/carpentieri: effettuano le diverse tipologie di saldatura (autogena, ossidrica, ad arco, a filo, elet- trica, ecc), predisponendo le parti da assemblare, le apparecchiature e le strumen- tazioni necessarie. 32 elettricisti/cablatori: in base agli schemi elettrici ed elettronici, effettuano i collegamenti di cavi elettrici e l’installazione di componenti elettroniche ed elettro-meccaniche; eseguono i ca- blaggi; verificano i lavori effettuati secondo le procedure previste. 33 operatori di produzione e servizi vari: eseguono le operazioni previste dal ciclo di produzione nel rispetto delle norme e delle procedure di sicurezza e qualità; segnalano le anomalie; effettuano le ordinarie manutenzioni. 164 Dall’indagine RIF Province e Regione Piemonte 2010-2011 su un campione di 63 imprese piemontesi del comparto meccatronica/robotica-automazione. Fatto 100 il totale degli organici delle imprese del campione: AMMINISTRAZIONE/FINANZA 7,3 tecnici amministrazione / finanza / controllo di gestione 2,0 operatori di segreteria 1,7 operatori di contabilità 1,6 tecnici gestione / sviluppo personale 1,1 tecnici sistema informativo aziendale 0,9 COMMERCIALE 15,6 tecnici di prodotto / servizio - assistenza clienti 6,0 tecnici commerciale / marketing / organizzazione vendite 3,6 tecnici gestione commessa 3,1 operatori servizi commerciali 1,7 tecnici documentazione prodotto / manualistica 1,2 RICERCA/SVILUPPO - PROGETTAZIONE 23,6 disegnatori / progettisti / particolaristi 8,7 progettisti elettrici-elettronici 4,5 tecnici ricerca / sviluppo sistemi automatici di produzione industriale 3,4 tecnici ricerca / sviluppo sistemi e subsistemi robotici / meccatronici 2,2 progettisti meccanici / pneumatici / oleodinamici 2,2 progettisti informatici 1,6 tecnologi di industrializzazione prodotto / processo 1,0 QUALITÀ 4,2 tecnici di controlli / collaudi 2,4 tecnici sistema qualità (processi e prodotti) 1,0 tecnici ambiente / sicurezza 0,8 PROGRAMMAZIONE PRODUZIONE/LOGISTICA 5,8 magazzinieri (accettazioni / spedizioni) 2,3 tecnici acquisti / approvvigionamenti 2,0 tecnici programmazione della produzione / logistica 1,5 MANUTENZIONE/INSTALLAZIONE 12,7 montatori / installatori / manutentori meccanici 6,4 montatori / installatori / manutentori componenti elettriche-elettroniche e di automazione 4,8 tecnici di programmazione / gestione manutenzioni 0,9 tecnici di informatica industriale 0,6 Allegato 9 Incidenza delle figure sugli organici aziendali 165 PRODUZIONE 30,7 operatori di produzione e servizi vari 22,0 elettricisti / cablatori 2,8 costruttori su macchine utensili 2,1 tecnici di produzione (gestione reparto / unità operativa) 1,8 conduttori sistemi automatizzati 1,0 saldatori / carpentieri 1,0 167 Sommario ........................................................................................................................... 3 Parte 1 GRAFICA E MULTIMEDIALE Capitolo 1 - Ricognizione del settore e del processo produttivo ................................... 7 1.1 Grandi linee di tendenza............................................................................................... 7 1.2 Fasi caratteristiche del ciclo di produzione di uno stampato ....................................... 9 Capitolo 2 - Ricognizione del sistema produttivo locale ................................................ 13 2.1 Attività economiche di riferimento .............................................................................. 13 2.2 Numerosità e diffusione delle aziende ......................................................................... 16 2.3 Dimensione delle unità produttive locali ..................................................................... 17 2.4 Addetti nelle imprese ................................................................................................... 18 2.4.1 Distribuzione degli addetti per tipologie di attività............................................ 18 2.4.2 Distribuzione degli addetti per classi dimensionali............................................ 19 2.4.3 Distribuzione territoriale degli addetti ............................................................... 20 Capitolo 3 - Ricognizione del sistema professionale di riferimento ............................. 23 3.1 Figure di riferimento del comparto .............................................................................. 23 3.2 I riferimenti istituzionali (standard nazionale IeFP) .................................................... 23 3.3 Un’anagrafe delle figure di riferimento ....................................................................... 24 3.4 Peso delle figure (incidenza sugli organici aziendali) ................................................. 25 3.5 Tendenze dei fabbisogni professionali ......................................................................... 26 Capitolo 4 - Ricognizione dei profili professionali ......................................................... 29 4.1 Operatore grafico.......................................................................................................... 29 4.2 Tecnico grafico ............................................................................................................. 31 Capitolo 5 - Ricognizione delle competenze.................................................................... 35 5.1 Operatore grafico.......................................................................................................... 35 5.2 Tecnico grafico ............................................................................................................. 38 ALLEGATI Allegato 1 Descrizioni ISTAT delle attività economiche (ATECO 2007) ......................... 43 Allegato 2 Imprese attive ................................................................................................... 48 Allegato 3 Distribuzione dimensionale delle imprese attive ............................................. 55 Allegato 4 Addetti .............................................................................................................. 56 Allegato 5 Distribuzione degli addetti per dimensione aziendale...................................... 63 Allegato 6 Figure di riferimento della filiera editoria-grafica-stampa.............................. 64 Allegato 7 Descrizioni sintetiche delle figure di riferimento............................................. 65 Allegato 8 Incidenza delle figure sugli organici aziendali................................................. 68 INDICE 168 Parte 2 MECCANICA Capitolo 1 - Ricognizione del settore e del processo produttivo ................................. 71 1.1 Grandi linee di tendenza............................................................................................. 71 1.2 Ciclo di produzione .................................................................................................... 72 1.3 Principali famiglie di prodotti .................................................................................... 74 Capitolo 2 - Ricognizione del sistema produttivo locale .............................................. 77 2.1 Attività economiche di riferimento ............................................................................ 77 2.2 Numerosità e diffusione delle aziende ....................................................................... 78 2.3 Dimensione delle unità produttive locali ................................................................... 80 2.4 Addetti nelle imprese ................................................................................................. 80 2.4.1 Distribuzione degli addetti per tipologie di attività.......................................... 81 2.4.2 Distribuzione degli addetti per classi dimensionali.......................................... 81 2.4.3 Distribuzione territoriale degli addetti ............................................................. 82 Capitolo 3 - Ricognizione del sistema professionale di riferimento ........................... 85 3.1 Figure di riferimento del comparto ............................................................................ 85 3.2 I riferimenti istituzionali (standard nazionale IeFP) .................................................. 85 3.3 Un’anagrafe delle figure di riferimento ..................................................................... 87 3.4 Peso delle figure (incidenza sugli organici aziendali) ............................................... 88 3.5 Tendenze dei fabbisogni professionali ....................................................................... 89 Capitolo 4 - Ricognizione dei profili professionali ....................................................... 91 4.1 Operatore meccanico.................................................................................................. 91 4.2 Tecnico per la conduzione e la manutenzione di impianti automatizzati .................. 93 Capitolo 5 - Ricognizione delle competenze.................................................................. 97 5.1 Operatore meccanico.................................................................................................. 97 5.2 Tecnico per la conduzione e la manutenzione di impianti automatizzati .................. 100 5.3 Modalità di riscontro (Evidenze) ............................................................................... 102 ALLEGATI Allegato 1 Descrizioni delle attività economiche (ATECO 2007)................................... 105 Allegato 2 Imprese attive.................................................................................................. 111 Allegato 3 Distribuzione dimensionale delle imprese attive............................................ 113 Allegato 4 Addetti ............................................................................................................ 114 Allegato 5 Distribuzione degli addetti per dimensione aziendale.................................... 116 Allegato 6 Figure di riferimento della meccanica............................................................ 117 Allegato 7 Descrizioni sintetiche delle figure di riferimento........................................... 118 Allegato 8 Incidenza delle figure sugli organici aziendali............................................... 122 Parte 3 MECCATRONICA-ROBOTICA Capitolo 1 - Ricognizione del settore e del processo produttivo ................................. 127 1.1 Grandi linee di tendenza............................................................................................. 127 1.2 Fasi caratteristiche del ciclo di produzione................................................................ 128 169 Capitolo 2 - Ricognizione del sistema produttivo locale .............................................. 131 2.1 Attività economiche di riferimento ............................................................................ 131 2.2 Numerosità e diffusione delle aziende ....................................................................... 132 2.3 Dimensione delle unità produttive locali ................................................................... 133 2.4 Addetti nelle imprese ................................................................................................. 133 2.4.1 Distribuzione territoriale degli addetti ............................................................. 133 2.4.2 Distribuzione degli addetti per classi dimensionali.......................................... 134 Capitolo 3 - Ricognizione del sistema professionale di riferimento ........................... 135 3.1 Figure di riferimento del comparto ............................................................................ 135 3.2 I riferimenti istituzionali (standard nazionale IeFP) .................................................. 135 3.3 Un’anagrafe delle figure di riferimento ..................................................................... 136 3.4 Peso delle figure (incidenza sugli organici aziendali) ............................................... 137 3.5 Tendenze dei fabbisogni professionali ....................................................................... 138 Capitolo 4 - Ricognizione dei profili professionali ....................................................... 141 4.1 Tecnico per l’automazione industriale (standard IeFP) ............................................. 141 4.2 Altri profili assimilabili.............................................................................................. 142 Capitolo 5 - Ricognizione delle competenze.................................................................. 145 5.1 Tecnico per l’automazione industriale ....................................................................... 145 5.2 Modalità di riscontro (Evidenze) ............................................................................... 148 ALLEGATI Allegato 1 Attività economiche (ATECO 2007) correlate al tecnico per l’automazione industriale ....................................................................................................... 151 Allegato 2 Imprese manifatturiere attive.......................................................................... 152 Allegato 3 Distribuzione dimensionale delle imprese manifatturiere.............................. 154 Allegato 4 Addetti nei settori manifatturieri .................................................................... 155 Allegato 5 Distribuzione degli addetti per dimensione aziendale.................................... 157 Allegato 6 Repertorio NUP-ISTAT unità professionali attinenti a: Installatori e riparatori di apparati elettrici ed elettro meccanici...................................... 158 Allegato 7 Anagrafe delle figure di riferimento del comparto meccatronica/robotica- automazione.................................................................................................... 159 Allegato 8 Descrizioni sintetiche delle figure di riferimento........................................... 160 Allegato 9 Incidenza delle figure sugli organici aziendali............................................... 164 171 Pubblicazioni nella collana del CNOS-FAP e del CIOFS/FP “STUDI, PROGETTI, ESPERIENZE PER UNA NUOVA FORMAZIONE PROFESSIONALE” ISSN 1972-3032 Tutti i volumi della collana sono consultabili in formato digitale sul sito biblioteca.cnos-fap.it Sezione “Studi” 2002 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimenta- zione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto finale, 2002 2003 MALIZIA G. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto sul follow-up, 2003 2004 CNOS-FAP (a cura di), Gli editoriali di “Rassegna CNOS” 1996-2004. Il servizio di don Stefano Colombo in un periodo di riforme, 2004 MALIZIA G. (coord.) - ANTONIETTI D. - TONINI M. (a cura di), Le parole chiave della forma- zione professionale, 2004 RUTA G., Etica della persona e del lavoro, 2004 2005 D’AGOSTINO S. - MASCIO G. - NICOLI D., Monitoraggio delle politiche regionali in tema di istruzione e formazione professionale, 2005 PIERONI V. - MALIZIA G. (a cura di), Percorsi/progetti formativi “destrutturati”. Linee guida per l’inclusione socio-lavorativa di giovani svantaggiati, 2005 2006 NICOLI D. - MALIZIA G. - PIERONI V., Monitoraggio delle sperimentazioni dei nuovi percorsi di istruzione e formazione professionale nell’anno formativo 2004-2005, 2006 2007 COLASANTO M. - LODIGIANI R. (a cura di), Il ruolo della formazione in un sistema di welfare attivo, 2007 DONATI C. - BELLESI L., Giovani e percorsi professionalizzanti: un gap da colmare? Rapporto finale, 2007 MALIZIA G. (coord.) - ANTONIETTI D. - TONINI M. (a cura di), Le parole chiave della forma- zione professionale. II edizione, 2007 MALIZIA G. - PIERONI V., Le sperimentazioni del diritto-dovere nei CFP del CNOS-FAP e del CIOFS/FP della Sicilia. Rapporto di ricerca, 2007 MALIZIA G. - PIERONI V., Le sperimentazioni del diritto-dovere nei CFP del CNOS-FAP e del CIOFS/FP del Lazio. Rapporto di ricerca, 2007 MALIZIA G. et alii, Diritto-dovere all’istruzione e alla formazione e anagrafe formativa. Pro- blemi e prospettive, 2007 MALIZIA G. et alii, Stili di vita di allievi/e dei percorsi formativi del diritto-dovere, 2007 NICOLI D. - FRANCHINI R., L’educazione degli adolescenti e dei giovani. Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2007 NICOLI D., La rete formativa nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP, 2007 PELLEREY M., Processi formativi e dimensione spirituale e morale della persona. Dare senso e prospettiva al proprio impegno nell’apprendere lungo tutto l’arco della vita, 2007 RUTA G., Etica della persona e del lavoro, Ristampa 2007 2008 COLASANTO M. (a cura di), Il punto sulla formazione professionale in Italia in rapporto agli obiettivi di Lisbona, 2008 DONATI C. - BELLESI L., Ma davvero la formazione professionale non serve più? Indagine conoscitiva sul mondo imprenditoriale, 2008 MALIZIA G., Politiche educative di istruzione e di formazione. La dimensione internazionale, 2008 172 MALIZIA G. - PIERONI V., Follow-up della transizione al lavoro degli allievi/e dei percorsi triennali sperimentali di IeFP, 2008 PELLEREY M., Studio sull’intera filiera formativa professionalizzante alla luce delle strategie di Lisbona a partire dalla formazione superiore non accademica. Rapporto finale, 2008 2009 GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1977, vol. 1, 2009 2010 DONATI C. - L. BELLESI, Verso una prospettiva di lungo periodo per il sistema della forma- zione professionale. Il ruolo della rete formativa. Rapporto finale, 2010 NICOLI D., I sistemi di istruzione e formazione professionale (VET) in Europa, 2010 PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., La valigia del “migrante”. Per viaggiare a Cosmopolis, 2010 PRELLEZO J.M., Scuole Professionali Salesiane. Momenti della loro storia (1853-1953), 2010 ROSSI G. (a cura di), Don Bosco, i Salesiani, l’Italia in 150 anni di storia, 2010 2011 ROSSI G. (a cura di), “Fare gli italiani” con l’educazione. L’apporto di don Bosco e dei Sale- siani, in 150 anni di storia, 2011 GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1997, vol. 2 2012 MALIZIA G., Sociologia dell’istruzione e della formazione. Una introduzione, 2012 NICOLI D., Rubriche delle competenze per i Diplomi professionali IeFP. Con linea guida per la progettazione formativa, 2012 MALIZIA G. - PIERONI V., L’inserimento dei giovani qualificati nella FPI a.f. 2009-10, 2012 CNOS-FAP (a cura di), Cultura associativa e Federazione CNOS-FAP. Storia e attualità, 2012 2013 CUROTTI A.G., Il ruolo della Formazione Professionale Salesiana da don Bosco alle sfide attuali, 2013 PELLEREY M. - GRZĄDZIEL D. - MARGOTTINI M. - EPIFANI F. - OTTONE E., Imparare a dirigere se stessi. Progettazione e realizzazione di una guida e di uno strumento informatico per favorire l’autovalutazione e lo sviluppo delle proprie competenze strategiche nello studio e nel lavoro, 2013 DONATI C. - BELLESI L., Osservatorio sugli ITS e sulla costituzione di Poli tecnico-professio- nali. Alcuni casi di studio delle aree Meccanica, Mobilità e Logistica, Grafica e Multi- medialità, 2013 GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1997, vol. 3, 2013 TACCONI G. - MEJIA GOMEZ G., Success Stories. Quando è la Formazione Professionale a fare la differenza, 2013 PRELLEZO J.M., Scuole Professionali Salesiane. Momenti della loro storia (1853-1953), 2013 2014 ORLANDO V., Per una nuova Formazione Professionale dei Salesiani d’Italia. Indagine tra gli allievi dei Centri di Formazione Professionale, 2014 DONATI C. - BELLESI L., Osservatorio sugli ITS e sulla costituzione di Poli tecnico-professio- nali. Approfondimento qualitativo sugli esiti occupazionali, 2014 DORDIT L., OCSE PISA 2012. Rapporto sulla Formazione Professionale in Italia, 2014 DORDIT L., La valutazione interna ed esterna dei CFP e il nuovo sistema nazionale di valuta- zione, 2014 2015 PELLEREY M., La valorizzazione delle tecnologie mobili nella pratica gestionale e didattica dell’Istruzione e Formazione a livello di secondo ciclo. Indagine teorico-empirica. Rap- porto finale, 2015 ALLULLI G., Dalla Strategia di Lisbona a Europa 2020, 2015 NICOLI D., Come i giovani del lavoro apprezzano la cultura. Formare e valutare saperi e competenze degli assi culturali nella Formazione Professionale, 2015 CNOS-FAP (a cura di), Educazione e inclusione sociale: modelli, esperienze e nuove vie per la IeFP, 2015 173 CNOS-FAP (a cura di), L’impresa didattica/formativa: verso nuove forme di organizzazione dei CFP. Stimoli per la federazione CNOS-FAP, 2015 CNOS-FAP (a cura di), Il ruolo della IeFP nella formazione all’imprenditorialità: approcci, esperienze e indicazioni di policy, 2015 CNOS-FAP (a cura di), Modelli e strumenti per la formazione dei nuovi referenti dell’autova- lutazione delle istituzioni formative nella IeFP, 2015 CNOS-FAP (a cura di), Fabbisogni professionali e formativi. Contributo alle linee guida del CNOS-FAP, 2015 MALIZIA G. - PICCINI M.P. - CICATELLI S., La Formazione in servizio dei formatori del CNOS- FAP. Lo stato dell’arte e le prospettive, 2015 MALIZIA G. - TONINI M., Organizzazione della scuola e del CFP. Una introduzione, 2015 Sezione “Progetti” 2003 BECCIU M. - COLASANTI A.R., La promozione delle capacità personali. Teoria e prassi, 2003 CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione delle unità didattiche, 2003 COMOGLIO M. (a cura di), Prova di valutazione per la qualifica: addetto ai servizi di impresa. Prototipo realizzato dal gruppo di lavoro CIOFS/FP, 2003 FONTANA S. - TACCONI G. - VISENTIN M., Etica e deontologia dell’operatore della FP, 2003 GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo, 2003 MARSILII E., Guida per l’accompagnamento al lavoro dipendente, 2003 TACCONI G. (a cura di), Insieme per un nuovo progetto di formazione, 2003 VALENTE L. - ANTONIETTI D., Quale professione? Strumento di lavoro sulle professioni e sui percorsi formativi, 2003 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale alimentazione, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale aziendale e amministrativa, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale commerciale e delle vendite, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale estetica, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale sociale e sanitaria, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale tessile e moda, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale elettrica e elettronica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale grafica e multimediale, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale meccanica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale turistica e alberghiera, 2004 NICOLI D. (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema del - l’istruzione e della formazione professionale, 2004 NICOLI D. (a cura di), Sintesi delle linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale, 2004 2005 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale legno e arredamento, 2005 174 CNOS-FAP (a cura di), Proposta di esame per il conseguimento della qualifica professionale. Percorsi triennali di Istruzione formazione Professionale, 2005 NICOLI D. (a cura di), Il diploma di istruzione e formazione professionale. Una proposta per il percorso quadriennale, 2005 POLÀČEK K., Guida e strumenti di orientamento. Metodi, norme ed applicazioni, 2005 VALENTE L. (a cura di), Sperimentazione di percorsi orientativi personalizzati, 2005 2006 BECCIU M. - COLASANTI A.R., La corresponsabilità CFP-famiglia: i genitori nei CFP. Espe- rienza triennale nei CFP CNOS-FAP (2004-2006), 2006 CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione dei sussidi, II edizione, 2006 2007 D’AGOSTINO S., Apprendistato nei percorsi di diritto-dovere, 2007 GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo. Una proposta di percorsi per la creazione di impresa. II edizione, 2007 MARSILII E., Dalla ricerca al rapporto di lavoro. Opportunità, regole e strategie, 2007 NICOLI D. - TACCONI G., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello sta- to dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. I volume, 2007 RUTA G. (a cura di), Vivere in... 1. L’identità. Percorso di cultura etica e religiosa, 2007 RUTA G. (a cura di), Vivere... Linee guida per i formatori di cultura etica e religiosa nei per- corsi di Istruzione e Formazione Professionale, 2007 2008 BALDI C. - LOCAPUTO M., L’esperienza di formazioni formatori nel progetto integrazione 2003. La riflessività dell’operatore come via per la prevenzione e la cura educativa degli allievi della FPI, 2008 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., Individuazione e raccolta di buone prassi mirate all’accoglienza, formazione e integrazione degli immigrati, 2008 NICOLI D., Linee guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2008 NICOLI D., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello stato dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. II volume, 2008 RUTA G. (a cura di), Vivere con... 2. La relazione. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 RUTA G. (a cura di), Vivere per... 3. Il progetto. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 2009 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale meccanica, 2009 MALIZIA G. - PIERONI V., Accompagnamento al lavoro degli allievi qualificati nei percorsi triennali del diritto-dovere, 2009 2010 BAY M. - GRZĄDZIEL D. - PELLEREY M. (a cura di), Promuovere la crescita nelle competenze strategiche che hanno le loro radici spirituali nelle dimensioni morali e spirituali della persona. Rapporto di ricerca, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale grafica e multimediale, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale elettrica ed elettronica, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale automotive, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per l’orientamento nella Federazione CNOS-FAP, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale turistico-alberghiera, 2010 2011 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A. (a cura di), “Cittadini si diventa”. Il contributo dei Salesiani (SDB) e delle Suore Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA) nell’educare stu- denti/allievi delle loro Scuole/CFP in Italia a essere “onesti cittadini”, 2011 175 TACCONI G., In pratica. 1. La didattica dei docenti di area matematica e scientifico-tecnolo- gica nell’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 TACCONI G., In pratica. 2. La didattica dei docenti di area linguistica e storico sociale nel- l’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 MANTEGAZZA R., Educare alla costituzione, 2011 NICOLI D., La valutazione formativa nella prospettiva dell’educazione. Una comparazione tra casi internazionali e nazionali, 2011 BECCIU M. COLASANTI A.R., Il fenomeno del bullismo. Linee guida ispirate al sistema preven- tivo di Don Bosco per la prevenzione e il trattamento del bullismo, 2011 2012 PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., In cammino per Cosmopolis. Unità di Laboratorio per l’e- ducazione alla cittadinanza, 2012 FRISANCO M., Da qualificati, a diplomati, a specializzati. Il cammino lungo una filiera ricca di opportunità e competenze. Riferimenti, dispositivi e strumenti per conoscere e com- prendere i nuovi sistemi di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) e di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (IFTS), 2012 2014 CNOS-FAP (a cura di), Per una pedagogia della meraviglia e della responsabilità. Ambito energia. Linea Guida, 2014 CNOS-FAP (a cura di), Linea Guida per i servizi al lavoro, 2014 OTTOLINI P. - ZANCHIN M.R., Strumenti e modelli per la valutazione delle competenze nei per- corsi di qualifica IeFP del CNOS-FAP, 2014 2014 CNOS-FAP (a cura di), Fabbisogni professionali e formativi. Contributo alle linee guida del CNOS-FAP. Grafica e Multimediale, Meccanica, Meccatronica-Robotica 2015 Sezione “Esperienze” 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 1. Guida per l’accoglienza, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 2. Guida per l’accompagnamento in itinere, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 3. Guida per l’accompagnamento finale, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 4. Guida per la gestione dello stage, 2003 2005 TONIOLO S., La cura della personalità dell’allievo. Una proposta di intervento per il coordi- natore delle attività educative del CFP, 2005 2006 ALFANO A., Un progetto alternativo al carcere per i minori a rischio. I sussidi utilizzati nel Centro polifunzionale diurno di Roma, 2006 COMOGLIO M. (a cura di), Il portfolio nella formazione professionale. Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2006 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V., Una formazione di successo. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali triennali di istruzione e formazione professionale in Piemonte 2002-2006. Rapporto finale, 2006 2007 NICOLI D. - COMOGLIO M., Una formazione efficace. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali di Istruzione e Formazione professionale in Piemonte 2002-2006, 2007 2008 CNOS-FAP (a cura di), Educazione della persona nei CFP. Una bussola per orientarsi tra buone pratiche e modelli di vita, 2008 176 2010 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2010, 2010 2011 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2011, 2011 2012 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2012, 2012 NICOLI D. (a cura di), Sperimentazione di nuovi modelli nel sistema di Istruzione e Forma- zione Professionale Diploma professionale di tecnico Principi generali, aspetti metodo- logici, monitoraggio, 2012 2013 SALATINO S. (a cura di), Borgo Ragazzi don Bosco Area Educativa “Rimettere le ali”, 2013 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali. Edizione 2013, 2013 2014 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali. Edizione 2014, 2014 2015 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali. Edizione 2015, 2015 Tip.: Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma Tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - E-mail: tipolito@donbosco.it Dicembre 2015

Linee guida per i servizi al lavoro

Autore: 
CNOS-FAP
Categoria pubblicazione: 
Progetti
Anno: 
2014
Numero pagine: 
163
Codice: 
978-88-95640-77-8

Per una pedagogia della meraviglia e della responsabilità. Ambito Energia. Linee Guida

Autore: 
CNOS-FAP (a cura di)
Categoria pubblicazione: 
Progetti
Anno: 
2014
Numero pagine: 
321
Codice: 
978-88-95640-71-6
PER UNA PEDAGOGIA DELLA MERAVIGLIA E DELLA RESPONSABILITÀ AMBITO ENERGIA LINEA GUIDA Anno 2014 A cura del CNOS-FAP Coordinamento scientifico: Dario Nicoli (Università Cattolica di Brescia) Hanno collaborato: Matteo D’ANDREA: Segretario Nazionale settore Automotive. Dalila DRAZZA: Sede Nazionale CNOS-FAP – Ufficio Metodologico-Tecnico-Didattico. FIAT GROUP Automobiles. Comunità professionale AUTOMOTIVE: Angelo ALIQUÒ, Gianni BUFFA, Roberto CAVAGLIÀ, Egidio CIRIGLIANO, Luciano CLINCO, Domenico FERRANDO, Paolo GROPPELLI, Nicola MERLI, Roberto PARTATA, Lorenzo PIROTTA, Antonio PORZIO, Roberto SARTORELLO, Fabio SAVINO, Giampaolo SINTONI, Dario RUBERI. ©2014 By Sede Nazionale del CNOS-FAP (Centro Nazionale Opere Salesiane - Formazione Aggiornamento Professionale) Via Appia Antica, 78 – 00179 Roma Tel.: 06 5107751 – Fax 06 5137028 E-mail: cnosfap.nazionale@cnos-fap.it – http: www.cnos-fap.it INTRODUZIONE Valore educativo e culturale del tema energetico e della sostenibilità (Dario Nicoli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 PARTE PRIMA Una proposta formativa per tutti gli allievi dei corsi di Istruzione e Formazione professionale (Giulia Norcia) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 PARTE SECONDA L’ambito professionale energetico (Luca Malavolta, Marco Ghelfi, Francesco Zamboni) . . . . . . . . . . . . . . . 43 ALLEGATI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 283 Allegato 1 La gestione sostenibile delle case Salesiane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 285 Allegato 2 Fac-simile del modulo di attestazione del diploma professionale . . . . . . . . . . . . 306 Allegato 3 Open Day - Un giorno insieme ... all’energia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 309 Gli autori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 311 Indice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 313 SOMMARIO 3 5 Una linea guida speciale A differenza delle linee guida sin qui elaborate, centrate su precisi settori e figure professionali, quella che stiamo affrontando si distingue decisamente a causa del carattere polisemico, quindi più ampio e nel contempo più profondo, del termine “energia”. Sotto certi aspetti, la sfida che ci propone è un segnale indicativo del movimento culturale in cui siamo immersi. Mentre le varie figure professionali sino ad ora affrontate sono state aggregate in base alle classificazioni dei settori economici1 ed al tipo di tecnologie utilizzate2 generando a loro volta discipline ben distinte, la visione del mondo del lavoro e delle professioni che si apre a partire dalla prospettiva dell’energia introduce una diversa articolazione. Ciò deriva da un paradosso, in base al quale se pure non vi è un preciso settore professionale che potremmo definire “energetico”, si può affermare che nessuno ne risulta estraneo. Come altri termini chiave dal progresso culturale e scientifico (si pensi – per fare due esempi – all’“ecologia” oppure a quello di “mente” per le neuroscienze), l’energia ed il suo corrispettivo etico cui è strettamente intrecciata, la “sostenibilità”, presentano una valenza ampia ed inclusiva, staremmo quasi per dire olistica, essendo espressioni che abbracciano molti ambiti settoriali e disciplinari tradizionali, senza potere essere rinchiusi in confini ben chiari e distinti. Sebbene il termine “energia” ed il principio della sua conservazione pervadano il mondo contemporaneo e siano al centro di profonde implicazioni scientifiche, culturali, economiche e tecnologiche rilevanti per gli sviluppi della nostra società globalizzata, la nostra conoscenza circa la sua natura risulta assolutamente inadeguata tant’è vero che Richard Feynman, premio Nobel per la fisica nel 1965, ha potuto dichiarare: «È importante realizzare che nella fisica oggi, non abbiamo alcuna conoscenza di cosa sia l’energia»3. Ciò accade perché siamo di fronte ad un termine molto prossimo alle questioni fondamentali della vita, al confine tra le dimensioni del reale di cui può trattare la scienza e quelli che gli sono costitutivamente preclusi, in altri termini al mistero della realtà che resiste al nostro sforzo di comprensione razionale. Mentre la scienza, per sua costituzione, procede tramite astrazioni tratte dall’esperienza e da 1 Ma già il terziario, come si sa, risulta essere più un termine-recipiente dove si colloca tutto ciò che non è prodotto della terra né trasformazione ed impianti. 2 L’ambito della produzione industriale, dell’impiantistica e della manutenzione. 3 R. FEYNMAN, The Feynman Lectures on Physics, Addison–Wesley-CA, 1964, vol. I, p. 4. Introduzione Valore educativo e culturale del tema energetico e della sostenibilità Dario Nicoli 6 esperimenti ripetibili ed accessibili agli altri scienziati, è il discorso poetico e mistico il più appropriato per afferrare l’indicibile, e lo fa non in modo diretto ma tramite metafore per cercare di evocare immagini in grado di dimostrare l’unità di un mondo illimitato, l’indivisibile e l’indefinibile. La ragione cerca continuamente di eliminare una parte del flusso dell’esperienza propria della saggezza poetica, ma facendo ciò essa non fa altro che rinchiudersi in un «mondo razionalmente segmentato di osservazioni ed esperienze umane»4 affermando che si tratta dell’unica realtà veramente reale. Giunge a proposito la famosa massima di Wigttenstein: «Di ciò di cui non si può parlare, meglio tacere»5. Di fronte a questa incompletezza radicale del pensiero, alcuni hanno pensato di poter individuare una teoria unificata in grado di spiegare la natura della realtà. È nota la ricerca intrapresa da Albert Einstein negli ultimi anni della sua vita in direzione della “teoria del campo unificato” (Unified Field Theory), una serie di equazioni capaci di riunire le varie leggi della natura in una spiegazione supergeneralizzata. Questo sforzo, rivelatosi poi infruttuoso, rivela i limiti di un approccio formale ed analitico di fronte alla natura del reale. In effetti, nessuna teoria fisica nota è giudicata sufficientemente accurata nell’affrontare questioni così decisive – ma nel contempo vitali – per l’esistenza del mondo e della civiltà umana. Vi sono invece interessanti tentativi di procedere tramite “approssimazioni successive” che permettono di elaborare previsioni via via più accurate su un’area sempre più ampia di fenomeni, ma proviene dallo stesso mondo della scienza il richiamo a non cadere nell’errore di confondere i modelli teorici con la vera natura della realtà ed a prevedere che la serie delle approssimazioni non terminerà mai nella “verità”. L’incompletezza della scienza – ovvero il tentativo di violare l’intimo segreto del mondo e della vita tramite lo sforzo del pensiero razionale, non rappresenta una sua sconfitta, ma la sua migliore affermazione in quanto «estendere le pretese della scienza sino al punto di sostenere di “avere tutte le risposte” sulla condizione dell’uomo, sul significato della vita o sugli oggetti dell’organizzazione sociale... compromette la fiducia che merita per i grandi benefici che derivano dalla scienza nel dominio che le è proprio»6. La scienza è limitata, e ciò è una buona notizia perché abbiamo bisogno della produzione scientifica, visto che rappresenta la migliore forma di sapere per gli ambiti ed i modi in cui si applica. Per questo la scienza è affascinante, poiché operando continuamente sul proprio spazio di intervento e concentrandosi sui problemi, riesce a produrre scoperte e risultati che – se bene gestiti – possono davvero migliorare la vita umana sul nostro pianeta e tutelare quella naturale. Ma serve modestia, che significa senso del limite e valore di ciò che si può ottenere. È lo stesso Einstein ad averlo affermato: «La cosa più bella che noi possiamo provare è il senso del mistero: esso è la sorgente di tutta l’arte e di tutta la 4 E. VON GLASERSFELD, L’incommensurabilità della conoscenza scientifica e poetica, Lisbona 1994, http://www.methodologia.it/testi/inconmmensu.pdf 5 L. WITTGENSTEIN, Trattato logico-filosofico, Einaudi, Torino, 1968, p. 189. 6 N. RESCHER, I limiti della scienza, Armando Roma, 1990, p. 240. 7 scienza. Colui che non ha mai provato questa emozione, colui che non sa più fermarsi a meditare è come morto, i suoi occhi sono chiusi... Chi non ammette l’insondabile mistero non può essere neanche uno scienziato»7. Il concetto di energia si pone quindi ai limiti del valore euristico della scienza e va trattato a partire da questa prospettiva. È possibile spiegare il come di molti fenomeni che lo riguardano, ma il pensiero razionale nella sua forma sperimentale e necessariamente riduttiva, non può cogliere il perché e la natura di ciò che accade. Lo sforzo intellettuale teso alla conoscenza razionale della natura non esaurisce l’intento del nostro mondo nei suoi confronti. È ben più agguerrito, e distruttivo, da parte dell’uomo l’approccio strumentale al mondo dell’energia teso a dominare la realtà, alla ricerca dei vantaggi che si possono ottenere nello sfruttamento dei beni fondamentali di cui questa è costituita. Il modo utilitaristico di porsi nei confronti delle tematiche energetiche è decisamente interessato e non si limita all’ambito ristretto dei laboratori, ma pervade l’intera umanità nel suo rapporto con le fonti della sua stessa esistenza generando una infinità di problemi; a quelli legati all’approvvigionamento energetico, alla gestione delle “fonti”, alle energie “alternative”, al riscaldamento globale, alla produzione industriale e agroalimentare si aggiungono i problemi dei consumi energetici delle famiglie e a quelli dei bilanci metabolici degli individui. Sorge qui il tema della sostenibilità, per combattere un approccio consumistico e predatorio alla realtà, fondato sull’idea irrazionale della disponibilità illimitata delle risorse e di uno sviluppo orientato all’espansione dei beni materiali e tecnologici a disposizione dell’umanità. È questo il campo nel quale si colloca la presente linea guida, con l’intento di fornire ad ogni allievo dei corsi di Istruzione e Formazione Professionale, nell’ambito di un riconoscimento positivo del limite delle intenzioni e degli artefatti umani e di un’apertura dello sguardo sulla realtà, una solida competenza in campo energetico, ma anche con l’obiettivo di formare un ceto di nuovi professionisti degli impianti tecnologici e del risparmio energetico. Non volendo però dimenticare la necessità di formare i responsabili delle opere educative salesiane ad una gestione sostenibile delle stesse, così da mostrare concretamente agli allievi i benefici di ciò che si propone loro nei percorsi formativi. La linea guida assume pertanto un taglio peculiare, derivante dalla grande varietà dei significati e delle riflessioni che porta con sé il termine energia. Il tema in oggetto presenta il significato di risorsa che richiama l’idea delle fonti di energia; nel contempo assume un senso etico in riferimento al concetto di sostenibilità che evoca immediatamente il valore morale della responsabilità di fronte al mondo in cui viviamo, con particolare riferimento alle figure professionali che si occupano della produzione, trasformazione e distribuzione dell’energia; infine indica la forza di volontà che deve caratterizzare il modo di vivere di chi pos- 7 http://www.aforismieaforismi.it/autori/aforismi_Albert_Einstein.asp siede uno scopo buono verso cui indirizzare la propria esistenza operando in favore degli altri, e per tale motivo risulta una componente decisiva per l’azione educativa orientata a formare qualificati e diplomati solidi e consapevoli; come diceva don Bosco, «consolazione della famiglia, utili cittadini e buoni cristiani»8. Energia come risorsa L’energia è una risorsa, comunemente definita come la grandezza fisica che misura la capacità di un corpo o di un sistema di compiere lavoro. In questo senso, essa indica essenzialmente una disposizione ad agire e ciò richiama il concetto di forza. La tipologia di energia di cui l’uomo si serve più frequentemente e facilmente è quella cinetica che conduce al movimento, ma esistono altre tipologie tra cui quella termica che produce calore, quella elettrica che indica la forza del campo elettrostatico, quella atomica che deriva dalla fissione del nucleo dell’atomo, quella chimica che risiede nei legami che uniscono le particelle che costituiscono le sostanze, quella elastica che si riferisce alla forza potenziale associata alla deformazione di un solido o un fluido. Si può dire che tutta la civiltà si regge sulla trasformazione dell’energia in lavoro. L’aumento straordinario e continuativo della popolazione del globo e la crescita della dipendenza umana dalle tecnologie – la cui caratteristica fondamentale, oltre alla loro funzione propria, è data proprio dall’enorme assorbimento di energia – rende la società globalizzata sempre più dipendente da questa, in particolare quelle meccanica, elettrica, chimica e termica. L’uomo, infatti, può reggere lo sforzo dello sviluppo solo potendo accedere alle risorse primarie che egli è in grado di trasformare in energia applicabile (o energia utile). Le principali fonti energetiche derivano soprattutto dalla combustione delle risorse fossili (petrolio, gas naturale, carbone ), in secondo luogo dalle energie rinnovabili e dall’energia nucleare. Per molti quest’ultima ha rappresentato lo sbocco ideale della ricerca volta a preservare l’equilibrio naturale, ma i recenti disastri di Chernobil nel 1986 sulla base di impianti vetusti, ed ancor di più di Fukushima del 2011 dove erano impiegate tecnologie più avanzate9, hanno provocato una decisiva riconsiderazione di questa prospettiva. Ciò comporta una crescente preoccupazione circa il problema energetico globale che riguarda in primo luogo l’esaurimento nel tempo delle fonti fossili che rappresentano la principale fonte di energia primaria su cui si poggia la gran parte dello sviluppo economico a partire dalla prima rivoluzione industriale fino ai giorni nostri. 8 Sistema preventivo di don Bosco, Centro Salesiano San Domenico Savio Editore, Arese (Milano) 2001. 9 Per la precisione, a causare il disastro giapponese non è stato un problema interno all’impianto come a Chernobyl, ma due eventi esterni costituiti dal terremoto e dal conseguente maremoto. 8 9 In questo modo, il tema dell’energia richiama strettamente un principio etico fondamentale, quello della sostenibilità, la cui importanza è andata crescendo nel tempo fino a diventare una sorta di asse portante di ogni discorso riguardante il rapporto tra l’uomo ed il creato. Lo sviluppo sostenibile ed il principio etico della responsabilità Lo sviluppo sostenibile costituisce un concetto non limitato al campo tecnicoscientifico, ma individua un orizzonte etico proprio di ogni opera umana, fino a designare un particolare stile di vita misurato e sobrio. Esso rappresenta un nodo centrale di carattere esistenziale per l’uomo contemporaneo poiché racchiude in sé, dopo l’epoca relativistica del post-moderno, la possibilità di ancorare l’essere umano nella realtà entro un profilo morale impegnato e responsabile. Non più un individuo sospeso nella rete delle finzioni, autocentrato, il “narciso frettoloso” perennemente in cerca del riconoscimento tramite l’estetica dei consumi10, ma un soggetto capace di una conoscenza intesa come impegno etico, in grado di porsi positivamente nel reale destinando i propri talenti per uno scopo buono, conforme alla peculiare natura umana. Esso dipende dalla coscienza del “limite” propria dello spirito contemporaneo, che si oppone alla straordinaria potenzialità tecnica dello sviluppo della civiltà e dalla sua radicale dipendenza dalle risorse che costituiscono lo stesso tessuto naturale a garanzia dell’esistenza dei singoli e del mondo. Il limite è in primo luogo un fattore frustrante poiché genera – come direbbe Hegel – l’angoscia della morte, ed impone la consapevolezza che il reale non coincide con la nostra rappresentazione di esso. Ma costituisce anche un’acquisizione feconda poiché apre alla possibilità di una conoscenza più profonda della realtà e della nostra stessa esistenza individuale e sociale. La coscienza di essere soggetti limitati, ed insieme di essere capaci di pensiero e quindi di immaginazione – di poter cogliere l’eterno anche nei più piccoli dettagli della trama vitale – indica una prospettiva di grande rilievo per le prossime tappe della civiltà ed insieme presenta un rilevante valore educativo per la formazione delle nuove generazioni. Contro le risposte utilitaristiche e catastrofistiche: il creato è sacro perché di Dio Ma si apre a questo proposito un’enorme contraddizione che segnala l’impasse della cultura del nostro tempo. Facciamo riferimento alla inadeguatezza della posizione catastrofista, su uno sfondo scettico circa il destino della nostra civiltà, di molti scienziati, politici ed operatori della “pubblica opinione” i quali avvertono la 10 M. FUMAROLI, Parigi - New York e ritorno, Adelphi, Milano 2011, p. 37. 10 necessità di sollecitare ognuno alla responsabilità, ma finiscono per utilizzare a tale scopo – sebbene in modo rovesciato – la stessa radice teorica di stampo utilitaristico su cui si appoggia il pensiero dei tanti che si dedicano con tutte le loro forze allo sfruttamento predatorio delle risorse naturali del pianeta. “Sii responsabile, perché ti conviene”: è questa la proposta che viene avanzata. Ma si tratta di una posizione debole, oltre che contraddittoria perché se le conseguenze delle mie azioni qui ed ora riguardano i posteri, che senso avrebbe astenersi da azioni predatorie se in ogni caso il nostro mondo è destinato all’implosione? A prolungarne l’agonia? Vi è in questo ragionamento un difetto...razionale, ma ciò non sembra costituire un problema se è vero che dopo numerosi anni di dibattito sulle tematiche ecologiche, il taglio utilitaristico sembra essere ancora piuttosto predominante. Un esempio significativo ci viene dalla contrapposizione dei due fondamentali approcci al problema del riscaldamento globale, quello che sostiene il ruolo determinante della razza umana attraverso l’impatto delle sue varie attività, l’altro collegato alla teoria opposta dei grandi cicli, rispetto ai quali la nostra azione sarebbe piccola cosa. Quale futuro potrebbero avere i comportamenti rispettosi dell’ambiente di chi li attua solo perché spaventato dalla responsabilità che incombe sulla razza umana se, paradossalmente e improvvisamente, con prove significative quella tesi venisse falsificata?11 Va evitato il pessimismo o peggio ancora il catastrofismo ecologico, che lega lo sviluppo sostenibile a un clima di perenne emergenza, un’apocalisse senza paradiso, e lo aggancia alla provvisorietà e alla “fortuna” delle diverse teorie. Piuttosto occorre valorizzare i risultati positivi che la comunità internazionale o i singoli Stati hanno raggiunto in relazione ad alcuni indicatori cruciali degli obiettivi di sviluppo del millennio, così come le conquiste raggiunte dalle comunità locali e i progetti che incoraggiano e valorizzano i comportamenti virtuosi dei singoli e dei gruppi. Le diverse crisi (economica, alimentare e ambientale...) vanno quindi presentate come l’occasione per riscrivere le regole del rapporto tra gli esseri umani e tra uomo e natura nella logica della sostenibilità e di uno sviluppo equo e inclusivo. L’adozione, da parte dell’individuo o del gruppo, di comportamenti corretti in 11 È noto, infatti, l’insuccesso delle previsioni catastrofiste delle agenzie internazionali circa il riscaldamento globale, visto che l’innalzamento delle temperature si è fermato negli Anni ‘90. Ciò non deve essere letto come negazione del problema della sostenibilità, ma mettere in guardia da visioni a tinte volutamente esagerate che, con l’intento di suscitare una reazione responsabile nelle popolazioni e nei governi, forzano i dati e propongono scenari di scarso valore scientifico. Altri scienziati, tra cui Franco Prodi, ricercatore del Cnr, studioso della fisica dell’atmosfera, meteorologia e climatologia, prendono decisamente le distanze dal catastrofismo tipico del politically correct: «Da due secoli a questa parte l’uomo è in grado di competere con la natura. Può generare particelle e gas, modificando la natura. Se contiamo tutte queste particelle prodotte dall’uomo, arriviamo al 20 per cento del totale. Non poco. Ma due secoli, rispetto ai grandi cicli... sono solo un battito di ciglia. Il problema è: siamo noi in grado di avere modelli che comprendono tutte le variabili in modo coerente, per cui si possa isolare il comportamento dell’uomo dagli altri agenti che contribuiscono al cambiamento climatico? La risposta è no... La situazione dei modelli attuali è ancora nell’infanzia, i processi di separazione del contributo antropico da tutti gli altri non è ancora quantificato» (http://www.ilfoglio.it/cambidistagione/2011). 11 quanto volti a ridurre la propria “impronta ecologica”, va proposta come “il gusto di fare le cose giuste”. Ma non basta. I fondamenti di un’etica della responsabilità vanno ricercati in un nuovo umanesimo all’incrocio tra scienze e discipline filosofico-sociali, per fare appello al valore sacro del reale (l’ambiente, le risorse naturali, gli altri esseri, la mia stessa vita...) in quanto creato, opera di Dio la cui disponibilità appartiene esclusivamente a Lui, che ce l’affida affinché ne continuiamo l’opera creatrice preservandolo e coltivandolo. Fuori dall’utilitarismo e dal catastrofismo, la prospettiva religiosa consente di delineare un progetto di mondo e di essere-nel-mondo che abbraccia le cose in modo innocente, senza nuocere loro12 (Panikkar 2003, 83) perché, essendo create, non sono mero materiale a nostra disposizione. Nella relazione con Dio, l’uomo si pone nel giusto rapporto con il creato e la sua stessa vita, quello di chi sa meravigliarsi del dono ricevuto, che non è frutto né del nostro pensiero né di una generica ed impersonale “forza vitale”, ma dell’atto d’amore divino che dal nulla crea le cose: «Celebrate l’Eterno, perché egli è buono, perché la sua benignità dura in eterno. Celebrate l’Iddio degli dei. Celebrate Colui che solo opera grandi meraviglie. Celebrate Colui che ha fatto con intendimento i cieli. Celebrate Colui che ha steso la terra sopra le acque. Celebrate Colui che ha fatto i grandi luminari: il sole per regnare sul giorno e la luna e le stelle per regnare sulla notte. Celebrate Colui che dà il cibo ad ogni carne. Celebrate l’Iddio dei cieli, perché la sua benignità dura in eterno».13 Nel rapporto con Dio impariamo a riconoscere la realtà come consistente e buona in se stessa perché così – insieme obiettiva e misteriosa – è stata voluta da Dio che vi ha impresso la Sua impronta, e non perché un’imposizione esterna o teorie emergenti di volta in volta ci obbligano a rispettarlo. I principi di equità e inclusione sociale assumono in questa direzione una natura non utilitaristica né retorica, ma morale, appunto. Una morale non intrisa di cupo pessimismo o di un dover essere neo-puritano, ma che si fonda su un’esperienza positiva di rapporto con il reale, il “provare gioia” ( il tedesco usa la parola Gelassenheit ad indicare lo stato di serenità e di bellezza) che non richiede necessariamente il “possedere” le cose, ma la capacità di porsi in modo innocente in rapporto con il creato. Le questioni profonde richiamate dalla ricerca di un rapporto profondo ed autentico dell’uomo con la natura spalancano le porte all’incontro con Dio, sapendo che «la religione è la forza che ci rende gioiosi nelle cose che contano»14. 12 R. PANIKKAR, La nuova innocenza, Servitium editrice, Gorle (BG) 2003, p. 83. 13 Salmo CXXXVI. 14 G. K. CHESTERTON, L’uomo comune, Lindau, Torino 2011, p. 186. 12 Per una pedagogia della meraviglia e della responsabilità L’energia in realtà è una metafora. Essa pone in gioco questioni fondamentali; il suo carattere ampio e comprensivo richiede risposte appropriate: da dove viene l’energia, cos’è la vita, come è avvenuto che ciò che è solo potenziale sia divenuto realtà reale? Non si tratta di una speculazione puramente intellettuale, bensì di un interrogativo che riguarda l’indirizzo da dare alla nostra vita ed all’intera civiltà. Un atto di conoscenza collettiva che spinge alla ricerca di una verità che si disvela nell’azione condivisa. Una pedagogia della responsabilità inizia dall’esperienza della meraviglia, che significa essere grati per i doni stupendi che abbiamo ricevuto in custodia. È opportuno fare sperimentare agli allievi la soddisfazione psicologica che deriva dall’adottare – essendone peraltro consapevoli – un comportamento virtuoso. Nel contempo, l’atteggiamento di responsabilità va alimentato non con immagini apocalittiche, ma sollecitando l’uomo, ed in particolare i nostri alunni, tramite l’avventura culturale, a guardare con occhi innocenti le cose, coscienti della vastità del male e della necessità di un combattimento serio pur non scevro di allegrezza e ad entrare in un rapporto di contemplazione responsabile del mondo. Questo atteggiamento positivo, che mira alla motivazione intrinseca delle persone, rappresenta un altro legame tra il tema dello sviluppo sostenibile e l’educazione e si rinforza con il principio del valore dell’azione: non c’è sviluppo sostenibile se non ci sono azioni (e ozi buoni, formativi) sostenibili e rispettose, basate sulla consapevolezza delle loro ragioni e sull’auto-percezione contemplativa del gusto di compierle. Non c’è apprendimento significativo se chi impara non è coinvolto in attività che diano senso, organizzazione e sfumature ai saperi che acquisisce all’interno di percorsi di apprendimento esperienziali (“learning paths”) che favoriscano il senso di competenze apprese e il gusto di riprovarci. La conoscenza non va intesa come mero accumulo di dati né come risposta immediata a problemi contingenti, bensì come ricerca (volontà di andare al di là delle apparenze) all’interno di esperienze autentiche. In questa direzione i problemi emergenti e le responsabilità professionali rappresentano un punto di partenza per sviluppare un pensiero aperto e impegnativo. La sensibilizzazione nei confronti dei problemi, il loro riconoscimento, l’analisi delle possibili soluzioni collegate ai diversi punti di vista in gioco e ricorrendo all’apporto di più discipline, la consapevolezza che le soluzioni non sono mai definitive e che si sostengono sulla qualità dei processi di micro-progettazione e di monitoraggio consentono la formazione di atteggiamenti di fondo per continuare ad apprendere il reale sapendo sostare sul crinale tra spiegazione e mistero. Apprendere in modo significativo è conoscere se stessi mentre si riconosce e ci si incuriosisce dell’altro, interagendo con gli esseri e con l’ambiente attraverso vari linguaggi, da quelli corporei a quelli simbolici, entrando in conflitto ma anche in sintonia con l’esterno, prendendo e dando attraverso mediazioni continue e affron13 tando i problemi che ne derivano. La cultura in estrema sintesi consiste nella possibilità di condurre la persona umana verso la giusta relazione con la realtà, la “nuova innocenza”, compreso il proprio mondo personale, e ciò attraverso il contributo unitario e convergente dei diversi linguaggi e delle diverse discipline. La conoscenza è ad un tempo contemplazione e responsabilità e ciò qualifica la vita autentica dell’essere umano. La cultura – intesa in senso non nominalistico e formale, ma vitale, consente di svegliare l’umano, scuoterlo dallo stato di distrazione in cui si trova incarcerato, e condurlo nell’avventura della conoscenza come assunzione di una disposizione adeguata, capace di provare stupore, di riconoscere i doni ricevuti, di tutelarli e di porli a frutto. In questo senso, si spiega il valore etico della conoscenza che impegna tutti ad uno stile di vita sobrio: scienziati e ricercatori, governanti, tecnologi e operatori, fino ai singoli cittadini ed alle loro comunità. Le figure professionali che si occupano dell’energia sono direttamente investite di un compito di alto profilo morale, mentre tutti sono chiamati ad un impegno volto alla sostenibilità ed al risparmio energetico. Essa coinvolge gli stessi gestori delle opere educative salesiane ad una conduzione responsabile del loro servizio ed al coraggio di interventi di miglioramento ed ottimizzazione. La responsabilità nei confronti del creato rappresenta in questa prospettiva un valore dotato di grande valenza pedagogica poiché permette di accendere un legame vitale tra la persona e la realtà: delinea il posto della persona umana nel mondo, protesa verso uno scopo buono. E ciò richiama l’ulteriore significato di energia come forza morale. L’energia che manca maggiormente: la forza di volere il bene e di perseguirlo con coraggio Chesterton afferma che l’epoca moderna mostra una stanchezza intellettuale – una peculiare incapacità di riflettere – che si riscontra anche nei pensieri audaci ed inquietanti15. Questo difetto della ragione colpisce in modo particolare perché dovremmo essere nel regno dei lumi e nello stadio positivo del cammino della civiltà. Al contrario, è come se la mente delle persone, ed in particolare dei giovani, fosse perennemente distratta da una realtà virtuale, una sorta di regno della fictio – qualcosa di fabbricato, una costruzione confezionata e perennemente traballante dell’idea di sé – dove gli esseri umani della società globalizzata si agitano al fine di trovare la propria identità. Sembra in tal modo scomparso l’individuo razionale e padrone di se stesso, ed al suo posto pare di trovare unicamente un soggetto che sostituisce al desiderio di conoscere l’ansia perenne di essere riconosciuto. 15 G. K. CHESTERTON, ibidem, p. 170. 14 È qui che si pone l’ultima accezione del termine energia, quella che presenta la più forte valenza esistenziale poiché riguarda da vicino il modo di stare nel mondo da parte delle persone del nostro tempo. Infatti, in questa prospettiva tale termine assume il significato di vigore morale, risolutezza, fermezza nelle decisioni. Ciò richiama la ferma convinzione in ordine a scopi buoni che corrispondono a dimensioni autentiche della nostra realtà personale, e che consente di imprimere una direzione all’esistenza e di resistere alle prove della vita. Questa visione, confermata dal senso comune che attribuisce al termine energia un suono positivo e attraente suggerendo un’impressione di forza e di dinamismo, pare assente nelle “offerte” rivolte alle giovani generazioni, che purtuttavia mostrano una forte attrazione per il bene, ma non sembrano possedere la forza della decisione e paiono indeboliti nella forza di volontà. Essi manifestano un forte desiderio di riconoscimento, ma lo fanno probabilmente con un eccesso di approvazione, o un difetto di senso di sé, o ambedue le cose insieme, spesso tentati di guidare il proprio comportamento verso tutto ciò che si deve sapere ed anche credere affinché il proprio operare sia considerato accettabile ai membri di questa strana comunità globale di cui siamo parte. Essi si trovano nell’impasse tra desiderio di un’identità solida, con scopi chiari ed attraenti, e il garbuglio di lacci e tentazioni che finisce per rubare loro l’attenzione, il tempo, la libertà. Occorre rivolgere a loro una proposta che li aiuti ad esprimere le loro propensioni circa il tipo di vita che desiderano vivere (è il concetto di “capacitazione” di Amartya Sen16), indossando i panni e gli atteggiamenti dettati dall’esperienza e dalla riflessione o dalla tradizione. La Formazione Professionale possiede un valore concreto in grado di sbloccare questa impasse: il lavoro, la possibilità di una realizzazione personale attraverso il contributo al bene comune, svolto assumendo i bisogni e le necessità dell’altro come sfida e misura dei nostri talenti e delle nostre competenze. Per questo è necessario aprire una stagione di impegno centrata sulla cultura e l’etica del lavoro come occasione di umanizzazione delle persone e di miglioramento della società. Senza l’esperienza del lavoro la persona risulta indebolita in se stessa, dedita prevalentemente a sentire e cercare di soddisfare i propri bisogni, perennemente incerta sulla propria identità, incapace di assumere decisioni forti in rapporto al futuro, scarsamente propensa ad un atteggiamento donativo e coraggioso circa il proprio contributo a favore della comunità. Questo si può perseguire in special modo operando sulla leva formativa, così da suscitare le risorse morali e spirituali di ogni singola persona, e che in maniera spesso inconsapevole sono le stesse che fondano la nostra civiltà. Come dire: non basta perseguire una mera ripresa economica, occorre un vero e proprio risveglio culturale della nostra civiltà che consenta un reale incremento delle libertà sostanziali, in forza delle quali gli individui ed i gruppi possano effettivamente realizzare se stessi nella vita sociale. 16 A. SEN, Lo sviluppo è libertà, Mondadori, Milano 2000. 15 Il modo appropriato in cui si svolge il compito della promozione delle potenzialità delle persone – talenti, capacità, desideri – così che possano convertire i beni in una direzione della propria esistenza in modo da fornire un aiuto alle esigenze delle altre persone, si chiama formazione. Fare formazione oggi, in una società complessa, caotica e soggetta al cambiamento continuo, non significa adattare le persone alle dimensioni delle cellette tutte uguali di cui si compone l’alveare sociale, ma esige un profilo culturale ed educativo teso a promuovere la libertà delle persone in modo da renderle capaci di gestire un ruolo. La buona formazione rappresenta la modalità privilegiata tramite la quale la persona riconosce i propri talenti e le proprie capacità, acquisisce le tecniche e la cultura del lavoro, elabora uno scopo adeguato per la propria esistenza e viene sollecitata (spinta) a definire il proprio progetto di vita tenendo conto del contesto ed in maniera da dare espressione al proprio mondo personale, vale a dire immettendo nelle azioni qualcosa della sua anima. Serve un risveglio educativo in grado di sollecitare nelle persone il desiderio dell’azione libera e innovativa: «Il fatto che l’uomo sia capace d’azione significa che da lui ci si può attendere l’inatteso, che è in grado di compiere ciò che è infinitamente improbabile. E ciò è possibile solo perché ogni uomo è unico e con la nascita di ciascuno viene al mondo qualcosa di nuovo nella sua unicità»17. Si incrocia qui il legame tra energia e lavoro, questa volta in senso decisamente esistenziale: svolgendo un lavoro buono, l’essere umano si pone in un rapporto positivo con gli altri ed il reale, un rapporto di servizio, riconosce e mobilita i suoi talenti e le sue risorse, le pone a disposizione del bene altrui, contribuisce all’umanizzazione del mondo e si rende consapevole di esistere, scoprendo la propria autentica identità. Questa prospettiva morale ci porta al centro dei valori che debbono sostenere la cultura professionale, dell’importanza di fornire – di far scoprire in maniera sensibile – agli allievi uno scopo buono da porre alla base della loro esistenza e del suo continuo perfezionamento. È qui che si trova la giusta disposizione della persona che opera in senso sostenibile: essa lo fa in definitiva per essere felice, in un rapporto di condivisione con gli altri e con la realtà. I tre ambiti della linea guida Sulla scorta di quanto indicato, la linea guida prevede tre livelli di proposta: 1. Il livello formativo generale, valido per tutti gli allievi dei corsi di Istruzione e Formazione Professionale. 2. Il livello professionale riferito alle figure che si occupano specificamente delle tematiche degli impianti e del risparmio energetico. 17 H. ARENDT, Vita Activa. La condizione umana, Bompiani, Milano 1999, p. 129. 16 3. Il livello tecnico per amministratori ed economi riguardante le soluzioni energetiche per le case salesiane. Vis ta la sua peculiarità, e tenuto conto delle modifiche che apporta all’impianto degli standard formativi nazionali, la linea guida rappresenta una sperimentazione da realizzare in specifiche Regioni, sotto l’egida di Tecnostruttura. Il riferimento è al sistema di Istruzione e Formazione Professionale, quindi ai giovani, ma è stata elaborata in modo tale da poter essere proposta anche agli adulti, sia come approccio globale sia sotto forma di moduli formativi ad hoc. 17 Parte Prima Una proposta formativa per tutti gli allievi dei corsi di Istruzione e Formazione Professionale Giulia Norcia «Sono le azioni che contano. I nostri pensieri, per quanto buoni possano essere, sono perle false fintanto che non vengono trasformati in azioni. Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo». Mahatma Gandhi Introduzione «Da Dio la Terra è stata data all’Uomo «perché la coltivasse e la custodisse» (Gen 2,15). Quando si dimentica questo principio, facendosi tiranni e non custodi della natura, questa prima o poi si ribellerà» (Giovanni Paolo II «Giornata del ringraziamento » 11 Novembre 2000). L’uomo, figlio di Dio, è quindi custode della Terra intesa come «insieme delle condizioni fisiche, chimiche e biologiche in cui si può svolgere la vita di comunità di organismi»18. La Scuola è uno dei principali soggetti educativi in grado di veicolare il senso di queste verità negli alunni fin dalla più tenera età. Per quanto ci riguarda, sono proprio le scuole salesiane, coi loro corsi di Istruzione e Formazione Professionale, le più idonee a coniugare il senso cristiano dell’esistenza con la necessità di adempiere anche al dovere di una civile e responsabile convivenza. Il mezzo che appare più idoneo a promuovere una tale e complessa sensibilità è l’introduzione di specifici moduli formativi di Educazione Ambientale per tutti gli allievi IeFP sotto forma delle Unità di Apprendimento, nella convinzione, tuttavia, che un vero risultato positivo potrà essere ottenuto solo col coinvolgimento di tutto il corpo docente che dovrà insegnare ciascuna disciplina alla luce dei principi sopra accennati. I riferimenti per tale intervento sono: • l’obbligo di istruzione, che l’Istruzione e Formazione Professionale ha assunto come standard formativo per i primi due anni (DM 22.08.2007); 18 L. GOBBI-A. GRIPPA, Il Sistema Ambiente, Aracne, Roma, 2010. 18 • gli standard formativi del terzo e quarto anno (accordo Stato-Regioni del 17.1.12, all. 4). Obbligo di istruzione Il tema della educazione ambientale si riscontra primariamente nell’ambito dell’asse culturale scientifico-tecnologico, per il quale si indica come obiettivo determinante «rendere gli alunni consapevoli dei legami tra scienza e tecnologie, della loro correlazione con il contesto culturale e sociale con i modelli di sviluppo e con la salvaguardia dell’ambiente, nonché della corrispondenza della tecnologia a problemi concreti con soluzioni appropriate». Ciò si riscontra in particolare nella competenza “Osservare, descrivere ed analizzare fenomeni appartenenti alla realtà naturale e artificiale e riconoscere nelle sue varie forme i concetti di sistema e di complessità”, che così si articola in Abilità/capacità e Conoscenze: Vi è poi la competenza “Analizzare qualitativamente e quantitativamente fenomeni legati alle trasformazioni di energia a partire dall’esperienza”, così articolata: 19 Inoltre è coinvolta la competenza “Essere consapevole delle potenzialità e dei limiti delle tecnologie nel contesto culturale e sociale in cui vengono applicate”. Va considerata pure l’asse della lingua italiana, nel quale è prevista la competenza “Utilizzare gli strumenti fondamentali per una fruizione consapevole del patrimonio artistico”, che viene così articolata: Anche l’asse storico sociale prevede una competenza coerente con il nostro intento, ovvero “Riconoscere le caratteristiche essenziali del sistema socio economico per orientarsi nel tessuto produttivo del proprio territorio”. Infine, sono rilevanti in tema di educazione ambientale i contributi della matematica, dell’educazione corporea e della religione la quale non è assolutamente aggiuntiva alle altre, ma fornisce la prospettiva di fondo per motivare da parte degli allievi l’assunzione di una responsabilità nella cura del creato in quanto partecipi dell’opera creatrice di Dio. Standard formativi del terzo e quarto anno Gli standard integrativi per il terzo e quarto anno sono piuttosto deludenti poiché non parlano né di energia, né di sostenibilità. Possono essere utili le competenze scientifico matematiche, così articolate: 20 Inoltre quelle storico socio-economiche: I corsi si tradurranno in progetti che sensibilizzeranno i ragazzi fin dal primo anno di scuola, in ordine alle principali tematiche ambientali, e orienteranno i singoli comportamenti verso atteggiamenti rispettosi nei confronti dell’uomo e dell’ambiente. In particolare, dovranno essere affrontati i temi del risparmio energetico e idrico; dei rifiuti e della raccolta differenziata; dell’educazione alimentare, dello sviluppo sostenibile e dei principali problemi ambientali che riguardano il pianeta (e di conseguenza anche il territorio locale) ed infine del corretto uso delle risorse e del rispetto del bene comune. L’Educazione Ambientale non deve essere intesa solo come mero “ampliamento del sapere”; essa porta a considerare situazioni in cui i ragazzi dovranno essere protagonisti ed in cui le attività hanno un senso di “presa diretta” con la realtà. In tal modo il ragazzo viene collocato in una posizione ben determinata: il SUO territorio, la SUA famiglia, la SUA comunità (i suoi fratelli), la SUA realtà. Attraverso le attività proposte a partire dall’asse scientifico tecnologico e la loro necessaria integrazione e correlazione con gli altri assi culturali e discipline, viene creata anche l’occasione per aumentare, nei ragazzi, la visione unitaria del sapere ed il senso di appartenenza alla famiglia e al territorio. È necessario che venga utilizzato un metodo induttivo, attraverso cui lo studente riesca a giungere a conoscenze rigorose basate su dati personalmente raccolti e rielaborati con l’aiuto del suo gruppo di ricerca e del docente formatore. È altrettanto necessario creare condizioni tali da permettere allo studente di manifestare quella grinta, quella voglia di dire “VOGLIO, POSSO e RIUSCIRÒ”. Ernst Bloch nel 1918 scriveva in “Spirito dell’utopia”: “Gli uomini sono molto pericolosi per la propria specie come nessun altro animale per un altro. Ma sono anche in grado di portare luce a questa specie .... come nessun fuoco esterno può fare”19. La proposta allora è: visto il rapporto di interazione uomo-ambiente come un sistema il cui equilibrio è sempre più problematico, perché non far sì che, tramite l’assunzione di una responsabilità piena di cura del Creato, i ragazzi si rendano conto di quanto siano partecipi di questo sistema e responsabili del mantenimento di questo equilibrio affinché diventino portatori di luce nella loro comunità? Come si può capire, per noi è centrale l’esigenza di uscire dall’astrattezza e dall’inerzia dei saperi, per adottare una modalità di inserimento positivo dei ragazzi nella realtà, colta a partire da una visione morale ed etica ed inserita in una prospettiva culturale e pedagogica. 19 E. BLOCH, Lo spirito dell’utopia, Sansoni, Firenze, 2004. 21 Questo vuol dire proporre in maniera integrata: 1. uno specifico discorso naturalistico che favorisca un approccio originale con le risorse ambientali ed un autentico rispetto dell’ambiente stesso; 2. una concreta esperienza educativa che concorra alla costruzione di una mentalità ambientalista; 3. l’esigenza, come già accennato, di coniugare la comprensione dei problemi ambientali con quella dei problemi sociali, storici, economici, ecc. Proporre dunque un’Educazione Ambientale che associ alla difesa dell’ambiente la ricerca di più sentiti equilibri tra uomo e natura20. Dal punto di vista operativo, l’ambiente va prima di tutto vissuto ponendo i ragazzi nella condizione di essere attivi, di percepire in prima persona la dinamicità della relazione con la natura. Per questo motivo, proponiamo un manifesto per la cura del Creato, dono di Dio, dove si indicano in modo diretto e piano i principi di una corretta relazione dei ragazzi nei confronti della realtà in cui sono inseriti. 20 S. VITALE, L’educazione Ambientale: finalità e metodologie. Disponibile all’indirizzo web: http://www.piemonte.cemea.it/ed_ambientale/pdf/Idee_CEMEA_Ambiente.pdf. Ultimo accesso 24 marzo 2014. 22 23 La proposta formativa La proposta formativa si articola in diversi ambiti: – l’energia: l’idea di fondo è quella di promuovere un’immagine più concreta di energia. Il problema energetico interessa la vita di ognuno di noi ed è importante che ogni individuo sviluppi sensibilità e coscienza critica verso tale problema, in modo da ridurre gli sprechi e utilizzare meglio le varie fonti energetiche. – Il cibo e le nostre abitudini alimentari: lo scopo è quello di rendere i ragazzi consapevoli che le loro scelte d’acquisto e le loro abitudini alimentari possono avere conseguenze sia positive che negative sull’ambiente e sulla società. “Al termine del sesto giorno della creazione Dio disse ad Adamo ed Eva: “Vi do tutte le piante con il proprio seme, tutti gli alberi da frutta con i propri semi. Così avrete il vostro cibo” (Gen 1,23). – L’acqua: partendo dalle conoscenze dei ragazzi sul tema proposto si costruisce un percorso che, da osservazioni scientifiche, ricerche da fonti orali sul passato di nonni e genitori, verifica dei modi attuali di approvvigionamento nelle nostre città, presentazione di realtà diverse dalle nostre, ricerca di soluzioni, si arriva alla consapevolezza che l’acqua è un bene disponibile, ma non inesauribile, di inestimabile valore. – Gli alberi e la carta: lo scopo dell’Unità di Apprendimento è quella di sensibilizzare gli studenti sul rispetto degli organismi vegetali e del materiale che da essi deriva, puntando sull’importanza che gli alberi hanno sulla nostra vita (produzione di ossigeno, mantenimento della stabilità dello strato superficiale del terreno) e sulla necessità di salvaguardare la loro presenza su aree sempre più estese (lotta contro la deforestazione irresponsabile). – Il problema dei rifiuti e l’importanza della raccolta differenziata: l’idea è quella di rendere gli allievi coscienti del problema, impegnati in un’attività di ricerca sulle modalità della raccolta differenziata, del riuso e del consumo responsabile. Su questo ambito assume un particolare significato l’esigenza di coinvolgere l’intera comunità scolastica sulla necessità di adottare comportamenti virtuosi. Nel quadro delle attività che noi conduciamo gli strumenti pedagogici che vengono privilegiati sono: – la sperimentazione diretta, – l’osservazione, – la comparazione, – la costruzione di ipotesi, – il contatto fisico ed emotivo, – l’uso di strumentazione tecnica per la realizzazione di manufatti, – l’uso di strumenti di ricerca sia cartacei che multimediali. I destinatari principali del progetto sono, ovviamente, gli allievi, i futuri cittadini. Ma è altresì importante sottolineare che anche i direttori dei CFP e il personale docente deve essere coinvolto in maniera attiva nella proposta. Il formatore non solo sarà preparato dal punto di vista teorico ma dovrà anche essere un esempio concreto per gli allievi, attuando le iniziative proposte anche all’interno della strut24 tura. Ad esempio, si può partire dal tema delle raccolta differenziata (mettendo i secchi appositi all’interno dell’aula insegnanti o nel cortile dei ragazzi) per giungere al tema più complesso delle fonti energetiche rinnovabili attraverso l’installazione di pannelli solari sugli edifici dei centri professionali. Inoltre l’atteggiamento, il modo di porsi dell’educatore che accompagna gli allievi è un elemento essenziale: non si tratta di fornire ricette, né risposte preconfezionate. Egli non si deve porre come indiscusso ed indiscutibile esperto, ma deve essere colui che favorisce l’elaborazione di una risposta, provocando deduzioni, sollecitando l’attenzione individuale e la cooperazione del gruppo, fornendo al momento opportuno le informazioni necessarie, facendo infine giungere le esperienze ad una visione più ampia e globale. Anche il linguaggio va curato: deve essere, in primo luogo, adatto all’età e al livello culturale dei ragazzi senza perdere la dimensione di una efficace informazione scientifica; è importante non cadere nell’enfasi di un “gergo scientifico” né nella banalità di un linguaggio infantilizzato e scorretto. Si tratta, quindi, di stabilire un equilibrio relazionale che mantenga viva la curiosità dei ragazzi, che inviti al piacere di stabilire connessioni via via più ragionate ed ampie, al gusto di una serena ricomposizione tra esperienza e concettualizzazione. Un comportamento scientifico può scattare se non ci si accontenta della rappresentazione della realtà ma la si vuol conoscere in quanto tale. In questo modo nasce un bisogno, il bisogno di conoscenza: il nostro compito è quello di suscitare nei ragazzi bisogni, curiosità, attenzione, senso critico ed autonomia. La proposta che avanziamo può essere riassunta nel seguente schema: 25 26 (Segue) 27 (Segue) 28 29 (Segue) 30 (Segue) 31 32 (Segue) 33 (Segue) 34 35 (Segue) 36 (Segue) 37 38 (Segue) 39 Bibliografia e sitografia consigliata Volumi e riviste Ministero dell’Ambiente, ENEA, (2000), Nuovo piano nazionale per lo sviluppo sostenibile, Roma Ministero dell’Ambiente (2001), Strategia d’azione ambientale per lo sviluppo sostenibile in Italia, Roma. Regione Liguria (2000), Linee guida per la certificazione ambientale di un ente locale, Genova. Regione Toscana (1999), Sviluppo sostenibile - linee guida per le Agende 21 locali in Toscana, Firenze. MALAVASI P. (2008), Pedagogia verde 2008 - La Scuola, Brescia. MALAVASI P. (2011), L’ambiente conteso, Vita e Pensiero, Milano. STROLLO M.R. (2006), Ambiente, cittadinanza, legalità, FrancoAngeli, Milano. Etica per le professioni – Dossier Green economy al lavoro –2/2013 – Rivista quadrimestrale - Fondazione Lanza, Bologna. 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Notizie dal mondo su questo argomento (ultimo accesso 06/05/2014). www.intered.org/node/639 un sito in lingua spagnola per uno stile di vita sostenibile (ultimo accesso 06/05/2014). www.isprambiente.gov.it/it Approfondimenti su LCA ed Ecolabel (ultimo accesso 06/05/2014). www.lca-net.com/ Valutazione del ciclo di vita di un alimento (ultimo accesso 06/05/2014). www.lexambiente.it Rivista giuridica online con articoli sui diversi temi ambientali (ultimo accesso 06/05/2014). www.pollicegreen.com Consigli su come creare un’aiuola (ultimo accesso 06/05/2014). www.portalsole.it Sito in cui è possibile calcolare il consumo energetico medio della propria abitazione (ultimo accesso 06/05/2014). www.scuola.corepla.it Possibilità di organizzare visite guidate nelle centri di selezione dei materiali (ultimo accesso 06/05/2014). servizi.enel.it/visitacentrali/it/Visita virtuali nelle centrali che producono energia rinnovabile e non (ultimo accesso 06/05/2014). www.tuttogreen.it Sito in cui viene affrontato il tema del consumo dell’acqua (ultimo accesso 06/05/2014). www.verdenatura.net Possibilità di consultare articoli sul riciclaggio e riutilizzo dei materiali (ultimo accesso 06/05/2014). www.wwf.ch Esempio di sito in cui è possibile calcolare la propria impronta ecologica (ultimo accesso 06/05/2014). www.wwf.it Iniziative Scuola-ambiente. Sussidi didattici per insegnanti e allievi (ultimo accesso 06/05/2014). 40 41 www.youtube.com/ (ultimo accesso 06/05/2014). Video: - “Home-la nostra Terra” - “dall’inquinamento atmosferico all’energia pulita” - “ricicliamoci” - “tipi di inquinamento” - “non beviamoci su” - “Report-risparmio energetico” - “una vita sostenibile al PeR parco dell’energia rinnovabile”. 43 Parte Seconda L’ambito professionale energetico Luca Malavolta, Marco Ghelfi, Francesco Zamboni L’ambito dell’energia Aspetti ambientali Principi della sostenibilità Sin dall’antichità l’uomo ha vissuto in profonda simbiosi con la terra che lo ospitava; per soddisfare i propri bisogni ha saputo adeguarsi alle condizioni del luogo utilizzando i materiali presenti, sfruttando le condizioni favorevoli e proteggendosi dalle avversità del clima, adattandosi sistematicamente alle condizioni ambientali che lo circondavano e sfruttando a suo beneficio le risorse naturali. In particolare l’uomo ha fondato negli ultimi secoli la propria crescita attraverso lo sfruttamento di risorse fossili disponibili ma limitate. Storicamente l’utilizzo di risorse naturali non ha mai inciso in maniera drastica o irreparabile nei confronti del territorio, nonostante la concentrazione di attività in luoghi ben definiti sia avvenuta sin dalla notte dei tempi. Tutto ciò si è mantenuto pressoché invariato sino all’avvento dell’era industriale, durante la quale si è verificata e si sta tutt’ora verificando la concomitanza di più fattori che possono essere raggruppati in poche macro-famiglie. Lo sviluppo tecnologico ed industriale degli ultimi decenni, se da un lato ha consentito innegabili progressi in campo socio-economico, dall’altro, a causa soprattutto del continuo ricorso a risorse non rinnovabili per la produzione di energia, dell’immissione nell’ambiente di una quantità di sostanze inquinanti e del prelevamento sempre più consistente di materie prime dall’ambiente naturale, ha spesso pregiudicato fortemente gli equilibri ambientali. Nei Paesi sviluppati la tecnologia ha trasformato profondamente gli stili di vita e di lavoro; oggi si sta verificando lo stesso fenomeno anche nei Paesi in via di sviluppo. Si è generata una sorta di dipendenza uomo-energia che ha sconvolto il rapporto uomo-natura generando sfruttamento del territorio, diseguaglianze e lotte sociali, danni all’ambiente che lentamente si ripercuotono sui suoi occupanti. Basti pensare ai disastri meteorologici che spesso coinvolgono la nostra penisola e che sono per lo più dovuti all’incuria e all’abuso dell’uomo. Quando si sente parlare di consumo delle risorse, in genere il pensiero corre subito alle fonti energetiche primarie; tuttavia, considerando la crescente pressione de44 mografica, devono essere inseriti a pieno titolo anche il consumo idrico, lo sfruttamento dei suoli coltivabili, l’abbattimento indiscriminato delle foreste vergini (soprattutto della fascia equatoriale e subtropicale), lo sconvolgimento del sottosuolo per la ricerca di risorse minerarie, l’urbanizzazione selvaggia; l’elenco potrebbe continuare, tuttavia, come già accennato, tutte le voci possono essere ricondotte alla continua ricerca di un malinteso benessere, univocamente rivolto al consumismo più sfrenato e senza criteri, nonché a politiche industriali completamente proiettate al raggiungimento del massimo profitto ad ogni costo, senza tenere conto degli eventuali danni irreparabili scaricati sulla collettività (a tal proposito vale la pena ricordare l’esempio delle discariche abusive del Sud Italia che per anni hanno accolto rifiuti tossici provenienti soprattutto dalla grandi industrie del Nord). Tali scenari fanno riflettere sulla necessità di definire e intraprendere uno sviluppo futuro legato non più alla logica del profitto, della cementificazione e del consumo di suolo, ma alla salvaguardia del nostro territorio. In questo panorama si inserisce la presente guida la quale, pur avendo una decisa caratura tecnologica ed impiantistica, vuole dare informazioni utili a formare le nuove coscienze che domani dovranno raccogliere la pesante eredità lasciata dalle generazioni precedenti, che non hanno pensato con sufficiente lucidità ad un uso veramente sostenibile delle risorse. Per maggiore chiarezza si vuole riproporre la definizione di sviluppo sostenibile, così come enunciata nel Rapporto Brundtland nell’ormai lontano 1987: “Lo Sviluppo Sostenibile: è quello sviluppo che consente alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la capacità delle future generazioni di soddisfare i loro propri bisogni”. Pur essendo stata modificata più e più volte negli anni successivi (al fine di tenere conto anche degli aspetti etici, politici e sociali), questa definizione appare allo stesso tempo concisa e completa, poiché tiene conto implicitamente anche dei fattori non espressamente enunciati. Un altro aspetto che rallenta l’applicazione dei concetti teorici della sostenibilità alla pratica è dato dal continuo ripensamento del suo modello simulato, con frazionamento in tanti sotto-settori che provocano la perdita dell’obiettivo principale. È infatti preferibile sviluppare le buone prassi nei diversi campi di applicazione, definendo successivamente la modalità per perseguire gli obiettivi, anche perché principi nobilissimi rischiano di scontrarsi con la inapplicabilità alle singole realtà esistenti: un caso su tutti dovrebbe essere l’implementazione del Protocollo di Kyoto che, per ovvi motivi, non può essere recepito allo stesso modo dai Paesi industrializzati e dai Paesi in via di sviluppo. Nei paragrafi che seguiranno ci concentreremo sugli aspetti prettamente tecnologici della sostenibilità. 45 Parola chiave: ecologia del paesaggio. “La tutela del paesaggio è strettamente correlata con la tutela della salute: da un lato, la salute dei sistemi ecologici, con loro specifiche sindromi; dall’altro, la salute dell’uomo, minacciata dalle influenze negative trasmissibili da patologie del paesaggio”. (http://www.treccani.it/enciclopedia/ecologia-del-paesaggio, 29-11-2013) Aspetti tecnologici Nuove tecnologie disponibili Il settore energia, limitatamente all’ambito impiantistico civile ed industriale, affonda le sue radici in tre settori già esistenti; in particolare, per una parte predominante, nel settore termoidraulico ma anche in maniera significativa nei settori elettrico ed edile. Quest’ultimo riveste un ruolo fondamentale per quanto riguarda la conservazione e la rigenerazione dell’energia (soprattutto termica) da parte della struttura ospitante gli impianti, siano essi classici oppure ad alto contenuto tecnologico. Già oggi la tecnologia mette a buon frutto una serie di dispositivi (si pensi ai sistemi ibridi termo-fotovoltaici, alle caldaie a condensazione con centraline elettroniche integrate, ai sistemi di condizionamento oppure alle pompe di calore), che operativamente (per la loro installazione e manutenzione) richiedono delle competenze appartenenti sia al settore elettrico che al settore termoidraulico. Questa affermazione appare tanto più evidente nel confronto con le imprese e con i semplici installatori che vedrebbero di buon grado già oggi l’esistenza di figure professionali capaci di operare con disinvoltura (anche previa formazione specifica e puntuale) su questo genere di apparecchiature. A tal proposito la prima obiezione che viene avanzata dai “puristi” dei due settori è quella riguardante la specificità delle due figure e quindi l’impossibilità ad operare contemporaneamente nei due settori; fortunatamente la realtà professionale offre attualmente numerosi esempi concreti di operatori “ambivalenti” (talvolta neppure riconosciuti a livello giuridico): si pensi ai frigoristi, che si trovano ad operare con tubature in rame da saldo-brasare, fluidi da manipolare e collegamenti elettrici da portare a termine; a tutt’oggi non risultano inseriti, a livello nazionale, in una ben definita classe professionale. Il sogno, neppure troppo lontano dalla realtà, sarebbe quello di offrire una “casa” a tutti questi operatori, oltre ovviamente ai giovani e quindi ai futuri installatori all’interno del settore energia (con la formalizzazione della figura professionale dell’“operatore energetico”). Un altro esempio evidente di operatività “ibrida” tra i due settori è legato agli impianti termo-fotovoltaici, i quali richiedono adeguata manualità per installare sia la parte idraulica che quella elettrica. È altresì evidente la necessità di formare dei tecnici con preparazione mirata alla progettazione integrata di impianti tecnologici contenenti tecnologie evolute appartenenti in precedenza ai due settori separati. Inoltre, gli edifici che contengono impianti avanzati dal punto di vista tecnologico non possono esi46 mersi dall’avere un elevato livello di efficienza energetica, per cui negli stessi è necessario applicare dispositivi che effettuino regolazione e controllo dei parametri fisici propri dell’ambiente in cui si trovano. L’approccio alla creazione del settore deve tenere in buon conto l’universalità delle nuove tecnologie rinnovabili, senza piegarsi alle “mode” del momento o alla prevalenza temporanea di una specifica tecnologia sulle altre (si pensi alla “bolla” del fotovoltaico con la sua impennata ed un altrettanto rapido ridimensionamento al termine dell’incentivazione). Per evitare derive di forma e di sostanza sarà necessario far sempre riferimento ai principi fondanti del settore, basati sulla sostenibilità ambientale e quindi sul corretto e responsabile utilizzo delle limitatissime fonti energetiche e minerali del pianeta. Se da un lato il mercato delle energie fossili sviluppa nuove tecnologie per poter sfruttare al massimo tutte le risorse disponibili (es. shale gas) e le lobby continuano a sostenere la predominanza di tali risorse, dall’altro il mercato legato alle fonti energetiche rinnovabili ha visto negli ultimi anni un trend di crescita molto elevato soprattutto grazie a politiche di incentivazione. La tecnologia “green” (geotermia, solare termico, fotovoltaico, etc.), opportunità di sviluppo e crescita per la nostra economia, non può essere adottata tout court come soluzione al problema energetico; è necessario intraprendere una strada di riduzione dei consumi. Proprio la sostenibilità ambientale deve essere la bussola per orientarsi verso una corretta valutazione di ciò che (tecnologia o attività) sia veramente rinnovabile ed alternativo. Per capire questo concetto si pensi ai biocarburanti (la cui produzione è incentivata): per coltivare semi in grado di fornire oli carburanti alternativi alle fonti fossili vengono impegnate molte aree libere da insediamenti, sottraendole alle altre colture agricole o, peggio, a zone che vengono disboscate in maniera irrazionale: è evidente che in questi casi esiste un mero calcolo di convenienza economica immediata, che non tiene conto degli effetti successivi sull’ambiente o della ridotta produzione di beni agricoli destinati al nutrimento umano ed animale. In altre parole la corretta applicazione dei principi della sostenibilità ambientale permette la valutazione di tante altre attività e nuove tecnologie che, pur sembrando appartenenti alle categorie rinnovabili, potrebbero risultare non compatibili dal punto di vista ambientale. Al contrario, sempre ragionando sulle risorse naturali, esistono alcune realtà che, correttamente gestite, possono fornire buoni spunti in un’ottica ambientale: si pensi a tal proposito alle aree utilizzate per la produzione di legnami le quali, ripristinate e ricostituite “a rotazione”, forniscono per periodi illimitati materia prima senza intaccare minimamente il territorio; anche in alcune zone d’Italia esistono esempi di questo tipo dove, a fronte di un efficace utilizzo del patrimonio boschivo, si ha come risultato la crescita lenta ma continua delle aree coperte da alberi. 47 Quest’ultimo punto ha notevole rilevanza, in quanto in questi ultimi anni si è sviluppata una sorta di edilizia “alternativa”, che utilizza il legno come materiale nobile da costruzione. A partire dall’adeguamento normativo nel campo delle strutture, con l’emanazione delle nuove norme tecniche per le costruzioni (NTC2008), il legno è finalmente stato equiparato agli altri materiali strutturali da costruzione. Grazie, inoltre, allo sviluppo delle tecnologie di pre-lavorazione in stabilimento (centri di taglio a controllo numerico), l’edilizia delle strutture di legno ha visto negli ultimi anni un crescente sviluppo del settore, svincolato dalla crisi nel campo delle costruzioni. Mediante le strutture di legno è possibile realizzare abitazioni, edifici pluripiano (entro il 2023 a Stoccolma sarà realizzato un grattacielo di legno di 34 piani), strutture sportive, strutture industriali, ponti, passerelle, etc. La tecnologia del legno è vincente, grazie alla versatilità del materiale: strutturalmente leggero ma al tempo stesso resistente, veloce da installare, con ottime prestazioni (sisma, fuoco, isolamento termico). A differenza dell’edilizia “tradizionale”, troppo spesso relegata alla pratica dell’improvvisazione, tale tecnologia richiede un livello approfondito di progettazione in fase iniziale, per definire schemi costruttivi e sviluppare dettagli di connessione degli elementi. Tenuto poi conto che gli edifici a elevata prestazione energetica richiedono un grado di definizione rigoroso, tale fase risulta imprescindibile. Errori di progettazione o realizzazione possono comportare nel caso di strutture di legno danni maggiori rispetto alle strutture “tradizionali”: basti pensare, ad esempio, al danno strutturale che può comportare un’infiltrazione d’acqua o la formazione di condensa (oltre il limite normativo) all’interno dell’involucro. L’utilizzo del legno, oltre a garantire il rispetto dei principi generali di sostenibilità, favorisce la realizzazione di ambienti sani, confortevoli e belli, se abbinato a isolanti naturali e a prodotti di finitura dotati di certificazioni di sostenibilità. Il comfort abitativo, nel caso degli edifici residenziali, è altresì garantito dall’utilizzo di impianti di ventilazione meccanica forzata, dotati di recuperatore di calore; caratterizzati da un sistema di immissione dell’aria rinnovata negli ambienti primari e da un sistema di estrazione dell’aria viziata dagli ambienti secondari, tali impianti permettono il ricambio dell’aria, evitando la dispersione energetica dovuta all’apertura dei serramenti. Talvolta, tali impianti vengono utilizzati per sopperire a problematiche di condensazione superficiale e muffa grazie al rinnovo dell’aria e ad una diminuzione del tenore di umidità interno: si pensi, ad esempio, al caso delle nuove costruzioni realizzate senza curare la risoluzione dei ponti termici o al caso di edifici esistenti riqualificati senza particolare attenzione alla questione dell’ermeticità dell’involucro. Anche in questo caso la qualità della progettazione e della realizzazione sono indispensabili per evitare tali problematiche. Anche quest’ultima tipologia di impianti, che ormai costituisce un piccolo “sottosettore”, richiede tecnici ed operatori preparati adeguatamente poiché necessita di collegamenti sia di tipo elettrico che idraulico da realizzare all’interno di contesti edilizi ad elevate prestazioni. 48 Parola chiave: fare di più con meno. Il Libro verde sull’efficienza energetica della Commissione Europea del 2005 pone l’attenzione sul fatto che una politica attiva in materia di efficienza energetica potrebbe contribuire in modo significativo a migliorare la competitività e l’occupazione (obiettivi centrali dell’Agenda di Lisbona), a raggiungere gli obiettivi in materia di protezione dell’ambiente assunti con il protocollo di Kyoto e a garantire una maggiore sicurezza degli approvvigionamenti. La maggiore efficienza energetica è una necessità cruciale per l’ambiente, l’economia, il benessere e la salute. L’efficienza tecnologica ben si accompagna con la tematica dell’uso efficiente delle risorse, tema cruciale della politica ambientale europea. “Significa disaccoppiare la crescita economica dall’uso delle risorse. Spingere l’economia a creare di più con meno, produrre maggiore valore con meno input, usare le risorse in modo sostenibile, riducendo al minimo l’impatto sull’ambiente”. (fonte: Un ambiente sano e sostenibile per le generazioni future, UE). Aspetti economici Investimenti L’attuale crisi congiunturale ha posto tutti di fronte alla carenza di risorse economiche ed alla riduzione di liquidità che possono diventare tangibili e concrete in qualsiasi momento anche in settori ed attività normalmente considerate trainanti per l’economia stessa. Nei momenti di scarse risorse si è soliti volgere lo sguardo al risparmio, alla conservazione ed alla valorizzazione di ciò che già esiste. La questione economica legata all’energia riguarda quotidianamente ogni singolo consumatore; si può ad esempio toccare con mano ogni qualvolta ci rechiamo a un distributore di carburante e notiamo l’aumento del relativo prezzo o quando ci accingiamo a pagare la bolletta del riscaldamento. La questione del caro carburante è lampante: nel 2000 la benzina costava 1.08€/l mentre nel 2013 il prezzo è salito a 1.79€/l con un aumento del costo di 71centesimi. Per la precisione occorre osservare che dietro al costo del carburante e dietro alle relative oscillazioni si cela una politica di fiscalizzazione eccessiva da parte dello Stato (più del 50% del costo complessivo considerando accise + iva è incassata dallo Stato) e una politica economica di speculazione (il prezzo del carburante è determinato da un listino internazionale di mercato valutato su operazioni di compravendita del prodotto in una specifica località, in uno specifico momento, da una sorta di borsa dove in funzione della domanda e dell’offerta viene determinata la quotazione). Tale prezzo è completamente scollegato dai costi reali del carburante, nettamente inferiori a quelli del mercato spot anche perché si riferiscono ad acquisti di molto antecedenti. Il prezzo non nasce quindi dalle regole concorrenziali del libero mercato ma da un’attività di pura speculazione finanziaria (da: http://lucascialo.blogspot.it/2012/03). Il costo delle risorse aumenta ma anche il suo utilizzo; nella “società dei consumi” l’individuo del 49 XXII sec. è molto più “energivoro” dei suoi antenati. Basti pensare a quanta tecnologia è oramai entrata nelle nostre case a partire dagli apparecchi per la comunicazione, ai piccoli elettrodomestici, ai giochi dei bambini funzionanti mediante batterie. Negli ultimi anni, anche per ottemperare agli accordi UE sul tema del riscaldamento globale e del rispetto del Protocollo di Kyoto, sono state finanziate attività quali il fotovoltaico ed il solare termico che hanno assorbito gran parte delle risorse destinate al risparmio ed alla riqualificazione energetica; è opinione comune di tantissimi operatori del settore che tali finanziamenti sono andati ben al di là dello scopo prefissato, che era quello di favorire la partenza di nuove tecnologie abbassando velocemente i costi (soprattutto dei materiali) per ottenere in tempi ragionevoli condizioni economiche favorevoli allo sviluppo ulteriore del settore stesso. Purtroppo non sempre i produttori e gli installatori hanno reagito prontamente, causando degli alti e bassi nei prezzi e nelle vendite, costringendo il legislatore ad intervenire più volte per assestare il mercato e fornire incentivi il più possibile aderenti ai costi reali sostenuti dal pubblico. Tutto ciò ha provocato una notevole dispersione di risorse economiche, altrimenti destinate ad altri settori delle energie cosiddette “pulite”. Si tenga conto inoltre del fatto che i fondi da destinare agli incentivi provengono da una quota-parte delle bollette energetiche dei consumatori finali, per cui oggi è stato posto un limite massimo agli incentivi annui erogabili per sostenere le rinnovabili (tenendo anche presente che le bollette energetiche italiane sono tra le più onerose in Europa). La storia recente ci mostra la volontà da parte del legislatore di sostenere il risparmio energetico a tutto tondo, permettendo inoltre la scelta della tecnologia da applicare alla propria realtà (sia essa industriale o civile), spaziando dalla riqualificazione edilizia (involucro e struttura) all’impiantistica elettrica o idraulica, fino ad arrivare alla fonte di produzione in loco (fotovoltaico, solare termico, riscaldamento o condizionamento con pompa di calore). Risparmio energetico ed aumento resa degli edifici Una recente statistica messa a punto da centri di ricerca mostra come il 90% degli edifici privati di tipo civile abbia gravi carenze dal punto di vista del risparmio energetico. In molti casi si tratta di edifici costruiti tra gli Anni ‘50 e gli Anni ‘90, ma non mancano esempi di strutture ancora più vecchie. Il fattore che accomuna tutti questi edifici è la dispersione del calore sia dalle pareti che da porte e finestre, ma anche dal tetto. Ovviamente se si vuole praticare un’economia nella spesa energetica dell’edificio è necessario agire sulla struttura prima ancora che sulla produzione di energia necessaria a costi più bassi o con tecnologie superate; un esempio può essere l’installazione di un impianto fotovoltaico su un edificio a resa energetica molto bassa (finestre senza doppi vetri, pareti prive di isolamento) con l’utilizzo dell’energia elettrica per scaldare gli ambienti: è chiaro che da un lato si produce energia pulita ma dall’altro la stessa viene utilizzata male e letteralmente “gettata dalla finestra”. 50 La tecnologia offre soluzioni mirate al risparmio energetico che spaziano dalla diagnosi dell’edificio (analisi termografica, blower door test), all’intervento con soluzioni più o meno onerose che utilizzano materiali naturali, artificiali o misti, fino ad arrivare al controllo ed alla gestione puntuale dei consumi con sistemi domotici finalizzati al risparmio energetico. Un’analisi veritiera della situazione deve necessariamente prevedere la scelta tra la riqualificazione energetica dell’edificio agendo sull’esistente ma anche valutando la possibilità di abbattere la costruzione erigendone una completamente nuova e rispondente ai parametri di riferimento in tema di risparmio energetico. In campo edilizio esistono degli standard costruttivi che classificano gli edifici in funzione della loro performance ambientale, basandosi su parametri che spaziano dal tipo di materiale utilizzato ai componenti impiantistici installati, alla cura dell’isolamento termico, al corretto scambio di aria con l’esterno. In Italia il panorama dei protocolli di certificazione varia in funzione della scelta delle singole Regioni. I protocolli maggiormente utilizzati sono: Casaclima, Leed, Itaca, SB100, Ecodomus, VEA, Climabita, PHI Italia. Alcuni certificano la prestazione energetica dell’edificio, altri allargano l’orizzonte alla valutazione ambientale dell’intervento. Il protocollo di certificazione CasaClima, introdotto in Alto Adige a partire dagli Anni ‘90, è diventato un riferimento nel panorama delle costruzioni a basso consumo energetico e un marchio di qualità. La certificazione CasaClima premia la prestazione dell’involucro edilizio, sulla base di un parametro definito fabbisogno energetico per riscaldamento, valutato mediante un’equazione di bilancio; la corrispondenza del calcolo con la realizzazione è verificata mediante l’analisi del progetto elaborato ad hoc, direttamente dai tecnici dell’Agenzia, e sopralluoghi in cantiere, da parte di auditori esterni alla realizzazione. Le altre certificazioni ambientali prevedono l’assegnazione di punteggi che sono funzionali a seconda del tipo di involucro utilizzato, dell’energia e risorse idriche consumate, del quantitativo di rifiuti prodotto e della efficacia dei servizi offerti ai futuri proprietari in termini di comodità dei trasporti, vicinanza dei servizi essenziali e del grado di salute e benessere che l’edificio sarà in grado di offrire. Il parametro finale utilizzato da tutti i protocolli al fine della valutazione dell’edificio è la classe di appartenenza (espressa con una lettera dell’alfabeto o con numeri o definizioni appropriate) che sintetizza i punteggi e le valutazioni per ogni aspetto preso in esame. Di maggiore importanza dal punto di vista strettamente energetico è l’Attestato di Certificazione Energetica (ACE), ora ridefinito APE, previsto dall’UE, che è un documento di sintesi dell’analisi sull’edificio; esso permette di valutare l’efficienza energetica della struttura, fornendo all’utente finale una indicazione sui costi generali di gestione dell’edificio stesso per il suo riscaldamento e raffreddamento . Il documento è valido se redatto ed asseverato da un Certificatore abilitato e se depositato presso l’Ufficio Tecnico del Comune di appartenenza e registrato nel Catasto energetico; ha idoneità per un periodo di 10 anni dopo la registrazione. 51 Il metodo di classificazione prevede l’assegnazione di una lettera che indica una buona qualità energetica (classe A+, A) via via decrescente verso una scarsa qualità, con lettere che vanno dalla B fino alla G. Parola chiave: efficienza e sufficienza. L’innovazione e l’efficienza tecnologica se da un lato comportano una riduzione dei consumi, dall’altro, per “effetto rebound”, inducono a comportamenti maggiormente energivori. La direzione per ridurre i consumi deve essere quella di coniugare efficienza nell’uso finale dell’energia e sufficienza nel suo uso totale. Ad esempio nel campo dei trasporti l’efficienza può essere rappresentata dall’acquisto di un’auto a basse emissioni e la sufficienza potrà riguardare il fatto di andare a piedi per coprire piccole distanze o utilizzare la bicicletta. Nel campo residenziale l’efficienza sarà rappresentata dalla costruzione di edifici ad alte prestazioni ma la sufficienza riguarderà il fatto di limitare il consumo di energia elettrica o di acqua calda. Altro caso riguarda ad esempio l’acquisto di elettrodomestici in classe A++: dismettere un vecchio frigorifero ormai vetusto e “energivoro” per acquistarne uno ad alta efficienza ma di capienza più elevata. Il principio di sufficienza non viene rispettato e il bilancio totale sui consumi energetici rimane pressoché lo stesso di prima. Se all’efficienza non si lega una cultura del consumo responsabile lo sforzo è reso vano. Aspetti culturali Nuovo approccio ambientale I benefici dello sviluppo avvenuto negli ultimi due secoli hanno riguardato i soli Paesi industrializzati; il progresso è avvenuto grazie allo sfruttamento delle risorse spesso provenienti dai Paesi più poveri. Tenuto conto che i Paesi emergenti (Cina, India, Messico, etc.) ambiscono a raggiungere lo stile di vita dei Paesi industrializzati, basato sui combustibili fossili, centrato sull’auto e sullo stile di vita usa e getta, ma che le risorse sono limitate per soddisfare l’esigenza di milioni di persone, è necessario pianificare lo sviluppo cercando di rendere più equa la distribuzione delle stesse. Ad esempio, l’ambizioso progetto portato avanti dalla Svizzera di riduzione del fabbisogno energetico entro l’anno 2100 a 2000 W pro-capite rientra pienamente in tale prospettiva. Tale iniziativa sviluppata a partire dagli Anni ‘90 trae spunto dallo studio «Physical Quality of Life Index», dove viene evidenziato per la prima volta il rapporto tra consumo energetico e qualità della vita: “a partire da circa 2000 Watt di potenza continua per persona l’aumento del consumo energetico non comporta un miglioramento rilevante della qualità di vita” (da: http://www.2000watt.ch). Il passaggio a una società più responsabile basata su stili di vita meno intensivi non avviene con imposizione di regole dall’alto, ma attraverso una lenta crescita della cultura del risparmio. È pur vero che in differenti settori è già in atto una vera e propria rivoluzione culturale dei comportamenti sociali: ad 52 esempio nel campo dell’alimentazione basti pensare al successo di associazioni quali Slow Food o Terra Madre, allo sviluppo delle filiere corte, all’aumento di vendita dei prodotti biologici, all’attenzione rivolta verso i protocolli e marchi di sostenibilità. Nel campo energetico il successo di iniziative quali “M’illumino di meno” o eventi quali “Fa’ la cosa giusta”, dimostrano una sensibilità crescente alle tematiche del risparmio. Famiglia e scuola diventano gli attori responsabili del successo della futura società. Per giungere ad una corretta gestione delle risorse applicate al risparmio energetico è necessaria una rivisitazione del nostro modo di pensare, agendo sulla conservazione dell’energia che è presente all’interno dell’edificio e riducendo in modo significativo il consumo causato da tutto ciò che serve per “far funzionare” la casa o l’edificio industriale. In effetti, sarebbe necessario affinare il concetto di risparmio facendo capire al pubblico che tutto ciò che non viene disperso può essere utilizzato o riutilizzato senza particolari costi di gestione. In altre parole, applicando tecnologie già oggi esistenti, è possibile ad esempio accumulare il calore nel sottosuolo con particolari tecniche, catturandolo dall’aria libera in estate attraverso moduli termici o ibridi, trasferendolo e concentrandolo con appositi scambiatori, e riutilizzandolo mediante pompe di calore nei locali interessati tramite riscaldamento a pavimento durante la stagione invernale. Tutte queste tecnologie presuppongono la conoscenza e la sensibilità al tema da parte del pubblico, ma anche la preparazione tecnica e commerciale degli operatori di settore per avvicinare la tecnologia alle esigenze del cittadino senza l’utilizzo di soluzioni estemporanee o eccessivamente onerose ma fornendo soluzioni personalizzate e vicine alla realtà presa in esame. Aspetti giuridici (progetti, dichiarazioni, certificazioni) Inquadramento normativo Il contesto energetico mondiale Per meglio comprendere le politiche attuali nel campo energetico che interessano il nostro Paese e che condizionano le scelte e i comportamenti di ogni singolo individuo è utile allargare la scala e capire quali sono le strategie e le tendenze a livello mondiale. Partendo dalle recenti analisi dell’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA) è possibile individuare una sorta di scenario globale che probabilmente interesserà nei prossimi anni il contesto internazionale. In particolare, si prevedono nei prossimi 20-25 anni le seguenti tendenze: • “La domanda di energia nel mondo è prevista in crescita (+35% al 2035), ma con un andamento fortemente differenziato tra diverse aree geografiche: quasi ‘piatta’ nei Paesi industrializzati; in forte aumento in quelli in via di sviluppo (+60%), i quali rappresenteranno oltre il 60% della domanda globale tra vent’anni. 53 • D’altra parte, il mondo sta diventando sempre più efficiente: l’intensità energetica (energia consumata per unità di PIL) è prevista diminuire del 1,8% l’anno nei prossimi 20 anni, in accelerazione rispetto allo 0,6-1,2% registrato negli ultimi decenni. Questo anche per il progressivo aumento del livello dei prezzi (e della loro volatilità) di molte risorse (energetiche e non) che spinge secondo logiche di “mercato” verso l’adozione di soluzioni innovative per l’efficientamento. • Tra le fonti di energia, il gas e le rinnovabili sono sempre più in espansione, a scapito soprattutto del petrolio, che perderà quote di mercato, mentre carbone e nucleare manterranno sostanzialmente la loro quota di mercato attuale. In particolare: • Il petrolio sta progressivamente perdendo importanza relativa (dal ~45% dell’energia primaria degli Anni ‘70 a poco più del 30% attuale e al ~27% nel 2035), ma il suo consumo in termini assoluti è comunque atteso in crescita. • Il carbone è previsto in forte calo nei Paesi OCSE (dal ~20% al ~15% della domanda), compensato dalla crescita soprattutto in Cina e India in particolare nei prossimi 10 anni. Grazie alle ampie riserve disponibili, il bilancio domanda- offerta risulterà più equilibrato di quello del petrolio. • Il nucleare è previsto in crescita solo nei Paesi non-OCSE (in particolare Cina, Corea, India, Russia), mentre in Occidente non si prevedono sviluppi significativi (in particolare in Europa). • Le rinnovabili sono la fonte che si prevede crescerà maggiormente, sia in valore relativo che assoluto. Tale crescita sarà guidata da un prevedibile aumento della sensibilità ambientale, ma soprattutto dall’attesa riduzione dei costi delle tecnologie nei prossimi 20 anni, che consentiranno di mettere in competizione ‘alla pari’ molte delle fonti rinnovabili con le tecnologie fossili tradizionali, considerando anche gli effetti della tassazione (diretta o indiretta) delle emissioni di CO2. • Per quanto riguarda il gas, la domanda globale è prevista in significativo aumento, dai 3.300 miliardi di metri cubi del 2010 agli oltre 5.000 previsti nel 2035, trainata dal consumo in Asia, soprattutto per la generazione elettrica, ma anche per usi industriali e civili. L’offerta crescerà parimenti, con una sempre maggiore diversificazione geografica ed una maggior importanza del mercato GNL (gas naturale liquefatto). Un ruolo trainante avrà il cosiddetto gas ‘non convenzionale’ (shale gas, tight gas e coalbed methane), che tra vent’anni è previsto rappresenti tra il 25% e il 27% della produzione mondiale (e oltre il 50% della crescita assoluta di volumi da qui al 2035) anche se lo sviluppo di questa tecnologia in molti Paesi dipenderà dall’effettiva sfruttabilità delle riserve geologiche identificate e dalla soluzione delle problematiche ambientali” (da: Strategia energetica nazionale-2013). 54 Fonte: Strategia Energetica Nazionale-2013 Fonte: Strategia Energetica Nazionale-2013 In merito al “futuro” delle fonti fossili, dope le numerose analisi fatte - a partire dall’applicazione della teoria del “picco” di Hubbert sulla durata e sulla quantità di risorse disponibili - un singolare rapporto dell’analista e consulente energetico americano Chris Nelder spiega come “il punto di non ritorno della transizione energetica da fossili a rinnovabili è arrivato”. Confrontando il costo degli investimenti fatti 55 per estrarre petrolio con l’effettiva produzione (nell’anno 2012, come visibile nel grafico, la produzione è tornata ai valori del 2000, ma gli investimenti sono aumentati di 5 volte) l’analista mostra come i fondamenti economici legati alle fonti fossili stiano vacillando rispetto alle energie rinnovabili, in particolare eolico e solare. Lo stesso vale per le centrali a carbone diventate una tecnologia obsoleta (negli USA molti progetti sono stati abbandonati) e per le centrali nucleari, i cui costi di gestione e mantenimento si stanno dimostrando molto elevati. Fonte: www.qualenergia.it : il sistema energetico nel suo punto critico. Perchè non si tornerà indietro Lo dimostra, ad esempio, il caso francese: il costo di mantenimento del parco nucleare ai livelli attuali per i prossimi 50 anni ammonta a 300 miliardi di euro; “il totale di 300 miliardi equivarrebbe al costo di uscire dal nucleare e rimpiazzarlo con le fonti rinnovabili. Bisogna uscire dal mito che il nucleare sia gratuito. Insomma, invecchiando il nucleare costa e i Paesi che vi hanno investito si trovano costretti a spendere moltissimo solo per garantire la sicurezza di impianti basati su una tecnologia obsoleta” (fonte: www.qualenergia.it “Francia il conto astronomico del nucleare che invecchia”). Nel contempo, muta lo scenario energetico, soprattutto nel campo elettrico, con costi delle tecnologie rinnovabili in continua riduzione, tanto che “un report del Rocky Mountain Institute e di CohnReznick ipotizza che, entro il 2025, milioni di utenti residenziali troveranno economicamente vantaggioso non essere più collegati alla rete elettrica. Un evento che già oggi minaccia le utility ed è l’effetto della combinazione della diminuzione dei prezzi dei sistemi solari (calo del 60% dal primo trimestre 2010) e dello storage. I prezzi delle batterie agli ioni di litio sono, già oggi, la metà di quelli del 2008” (fonte: www.qualenergia.it “Il sistema energetico nel suo punto critico. Perché non si tornerà indietro”). 56 La recente notizia dell’adozione da parte degli Stati Uniti di un piano d’azione per tagliare entro il 2030 le emissioni di carbonio delle centrali elettriche del 30%, rispetto ai livelli del 2005, avalla pienamente il cambiamento in corso. Obiettivi e scenari a livello europeo L’attuale quadro normativo di riferimento a livello nazionale e le strategie adottate nel campo energetico derivano prevalentemente dalle politiche di sviluppo tracciate a livello europeo: a partire dalla ratifica del Protocollo di Kyoto nel 1997 (entrato in vigore nel 2005 con l’assenso da parte della Russia), l’Europa si è impegnata a ridurre le proprie emissioni di gas a effetto serra rispetto ai propri livelli del 1990 di un valore pari all’8% entro il 2012, fine del periodo di impegno. La tematica ambientale e energetica ha visto, soprattutto dai primi anni del 2000, uno sviluppo crescente della sensibilità verso le problematiche connesse con il surriscaldamento climatico e con la dipendenza dalle fonti fossili, arrivando al 2008 alle definizione del Pacchetto Clima-Energia, meglio conosciuto come Strategia 20-20-20. Tale provvedimento prevede: • riduzione, entro il 2020, delle emissioni di gas serra, per una percentuale pari ad almeno il 20% rispetto ai livelli del 1990; • un contributo del 20% di energia da fonti rinnovabili sui consumi finali lordi entro il 2020; • riduzione del 20% sul consumo di energia primaria rispetto ai livelli previsti al 2020, da ottenere tramite misure di efficienza energetica. Tale obiettivo, solo enunciato nel pacchetto, è stato in seguito declinato, seppur in maniera non vincolante, nella Direttiva efficienza energetica approvata in via definitiva nel mese di ottobre 2012. Tali obiettivi sono stati tradotti in specifiche direttive tra cui: • Decisione 406/2009/CE, la quale stabilisce il contributo minimo degli Stati membri all’adempimento dell’impegno assunto dalla Comunità di ridurre le emissioni di gas a effetto serra, per il periodo dal 2013 al 2020, e le norme per la realizzazione di tali contributi e per la valutazione del rispetto di questo impegno. • Direttiva 2009/28/CE, la quale stabilisce un quadro comune per la promozione dell’energia da fonti rinnovabili. Essa fissa obiettivi nazionali obbligatori per la quota complessiva di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo di energia e per la quota di energia da fonti rinnovabili nei trasporti. • Direttiva 2012/27/UE, la quale stabilisce un quadro comune di misure per la promozione dell’efficienza energetica nell’Unione al fine di garantire il conseguimento dell’obiettivo principale dell’Unione relativo all’efficienza energetica del 20% entro il 2020, e di gettare le basi per ulteriori miglioramenti dell’efficienza energetica al di là di tale data. In particolare, pone l’accento sul ruolo esemplare dell’Ente pubblico che, attraverso le ristrutturazioni ad alta efficienza del proprio parco immobiliare, o attraverso l’acquisto di prodotti o servizi ad 57 alta efficienza, nel rispetto della coerenza del rapporto costi-efficacia, possa sensibilizzare l’opinione pubblica. Nel campo edilizio, responsabile del 40% del consumo di energia finale e del 36% delle emissioni totali di CO2 nell’Unione, sono state emanate Direttive riguardanti la prestazione energetica degli edifici, la Certificazione energetica, l’ausilio di fonti rinnovabili e l’etichettatura dei prodotti. Si riportano a titolo di riferimento alcune direttive più significative: • Direttiva 2002/91/CE, denominata EPDB (Energy Performance Building Directive): pone l’attenzione sulla metodologia per il calcolo del rendimento energetico degli edifici, sui requisiti minimi dello stesso, sull’importanza della certificazione energetica, sul ruolo degli edifici pubblici nella sensibilizzazione alla tematica e sulla necessità di un’ispezione periodica degli impianti. “Si tratta di indicazioni normative fondamentali per la volontà di indirizzare il mercato delle costruzioni verso una qualità energetica facilmente riscontrabile da parte dell’utente/consumatore in un indicatore sintetico, la classe attribuita all’edificio, e in grado di influenzare i valori di mercato degli edifici in base alle loro prestazioni rappresentate dal fabbisogno di energia primaria e dalle emissioni di anidride carbonica (CO2)” (da: L’artigianato nella prospettiva della green economy, Centro stampa Regione Piemonte - Torino 2013). • Direttiva 2010/31/CE denominata EPDB2 (aggiorna e integra i contenuti della Direttiva 2002/91/CE che viene abrogata): promuove in particolare il miglioramento della prestazione energetica degli edifici tenendo conto delle condizioni locali e climatiche esterne; introduce il concetto di NZEB (Near Zero Energy Building), ovvero di edificio caratterizzato da un fabbisogno energetico molto basso o quasi nullo, soddisfatto in misura molto significativa da energia da fonti rinnovabili, entro un predeterminato termine temporale per le nuove costruzioni (2018 per gli edifici pubblici, 2021 per le nuove costruzioni). Stabilisce, inoltre, un metodo comune per il calcolo della prestazione energetica, valutando il fabbisogno di riscaldamento e di raffrescamento. • Direttiva 2010/30/CE sull’Energy Label, l’etichetta energetica, relativa all’indicazione del consumo di energia e di altre risorse dei prodotti connessi all’energia. Riguarda in particolare i prodotti che consumano energia (elettrodomestici, etc.), ma anche i prodotti connessi con il consumo di energia (componenti dell’involucro edilizio, quali ad esempio le finestre). Grazie all’etichetta energetica il consumatore ha la possibilità di conoscere le informazioni sulla prestazione del componente e di orientare la sua ricerca verso il prodotto più efficiente. Tale pratica si è dimostrata utile nel campo degli elettrodomestici: in particolare, da quando vige l’etichettatura, l’interesse si è spostato sul prodotto ad alta efficienza. Gli impegni adottati nel pacchetto clima-energia sono stati rafforzati all’interno della strategia “Europa 2020” dove, a seguito della recente crisi economico/finanziaria, sono definite tre priorità di sviluppo: crescita intelligente (sviluppare un’economia basata sulla conoscenza e sull’innovazione); crescita sostenibile (promuovere un’econo58 mia più efficiente sotto il profilo delle risorse, più verde e più competitiva) e crescita inclusiva (promuovere un’economia con un alto tasso di occupazione, che favorisca la coesione sociale e territoriale). Il tema dello sviluppo sostenibile e dell’impiego efficiente delle risorse, presentato dalla Commissione attraverso l’iniziativa faro “Un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse” (COM(2011)21), diventa nevralgico per ambire alla decarbonizzazione del sistema energetico a lunghissimo termine. In particolare, la comunicazione Energy Roadmap 2050 (COM(2011)885/2) mostra possibili scenari di evoluzione per giungere entro il 2050 a un’economia a basso impiego di carbonio, riducendo dell’80-95% le emissioni di gas a effetto serra rispetto ai livelli del 1990, migliorando la sicurezza energetica e promuovendo crescita e occupazione sostenibili. Dal punto di vista economico “il costo complessivo della trasformazione del sistema energetico non supererà quello dello scenario di continuazione delle politiche correnti, risultando in alcuni casi persino inferiore. Gli investimenti saranno, infatti, ampiamente ripagati in termini di crescita economica, occupazione, certezza degli approvvigionamenti energetici e minori costi dei combustibili”. Dal punto di vista della fattibilità l’obiettivo è tecnicamente raggiungibile a patto che avvenga una quasi totale decarbonizzazione dei processi di generazione elettrica. “L’opzione principale è rappresentata dall’efficienza energetica, che gioca un ruolo determinante in ciascuno scenario, in particolare per gli edifici che in futuro potranno arrivare a produrre più energia di quella consumata. Centrale è anche il ruolo delle fonti rinnovabili, le quali nel caso più ottimista (scenario High Renewable energy sources) consentiranno di generare nel 2050 il 75% dei consumi finali di energia e il 97% di quelli elettrici” (da http://www.enea.it/it/produzione-scientifica/EAI/anno-2012/n.-1-gennaio-febbraio- 2012-1/world-view/energy-roadmap-2050). La Roadmap pone anche attenzione all’utilizzo di energia nucleare e allo sviluppo della tecnologia CCS (Carbon Capture and Storage), prevedendo un ruolo fondamentale per il gas durante la fase di transizione, che consentirà di ridurre le emissioni sostituendo carbone e petrolio nella fase intermedia, almeno fino al 2030 - 2035. Recentemente, con la presentazione del Libro Bianco Clima-Energia 2030, sono stati definiti dalla Commissione Europea i target per l’anno 2030 nell’ambito clima-energia: due sono gli obiettivi vincolanti. L’uno legato alla riduzione delle emissioni per un valore pari al 40% della CO2 rispetto al 1990 e l’altro legato al raggiungimento del 27% di rinnovabili sui consumi (obiettivo non vincolante per gli Stati membri ma vincolante per l’UE). Le associazioni ambientaliste sono preoccupate del fatto che non siano stati fissati obiettivi sul tema dell’efficienza energetica, questione chiave per ridurre il consumo energetico e per stimolare l’innovazione. Anche le aziende del settore che hanno investito sull’efficienza nei processi rilevano una sorta di retromarcia della politica europea e temono una perdita di competitività su un settore, quello del risparmio energetico, che può essere la chiave per uscire dalla crisi e garantire una nuova fase di sviluppo. D’altro canto le associazioni di categoria rilevano come l’adozione di vincoli restrittivi sulle emissioni comportino una perdita di competitività delle industrie rispetto alla concorrenza straniera e una obbligata adozione di tecnologie più economiche, non valide dal punto di vista ambientale. 59 La situazione nazionale La legislazione italiana in materia energetica se da un lato sin dagli Anni ’70 è stata tra le prime a fissare dei paletti in materia di risparmio energetico e di fonti rinnovabili dall’altro accusa il fatto di non essere mai stata accompagnata da una seria e continua strategia energetica a livello politico. Le normative redatte spesso non seguite dai necessari decreti attuativi finivano per non essere applicate. Basti pensare che già nella nota Legge 10/91 “Norme in materia di uso razionale dell’energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia” s’introduceva il concetto di certificazione energetica: articolo mai applicato in attesa dello specifico decreto attuativo. Lo stesso vale per il recepimento delle direttive europee in campo energetico; i provvedimenti spesso sono stati attuati con lentezza mostrando una generalizzata inefficacia nell’attuazione delle politiche europee e generando incertezza e confusione negli operatori del settore e negli investitori. La recente Strategia Energetica Nazionale (SEN), approvata con decreto interministeriale nella primavera del 2013, si pone finalmente come risposta all’esigenza di definire un piano di sviluppo energetico che possa orientare le decisioni e le scelte future. Peccato che tale iniziativa nasca zoppicante, perché sostenuta da un governo tecnico che dovrebbe occuparsi di tematiche amministrative e perché non supportata da alcuna norma primaria che si occupi della sua applicazione. Inoltre, dal punto di vista della pianificazione energetica, necessaria per ambire a un futuro a basse emissioni di carbonio, la strategia risulta carente tenuto conto del forte sostegno che viene ancora dato alle fonti fossili. Basti ricordare ad esempio che nelle priorità d’azione rientrano la produzione sostenibile d’idrocarburi nazionali attraverso un incremento dell’attuale produzione, la ristrutturazione della raffinazione e della rete di distribuzione dei carburanti e la centralità del mercato del gas attraverso il ruolo che l’Italia potrebbe avere come hub sud europeo. D’altro canto l’ipotesi su cui si basa la SEN è che l’Italia nel medio periodo resterà un Paese dipendente dai combustibili fossili; basti pensare che nel 2010 l’86% circa del fabbisogno energetico è stato coperto da combustibili fossili di cui il 90% importato. Entrando nel merito del documento, la strategia fotografa l’attuale situazione energetica nazionale caratterizzata da: • “prezzi dell’energia mediamente superiori ai suoi concorrenti europei (soprattutto per l’elettricità), e ancor più rispetto ad altri Paesi come gli Stati Uniti. Questa situazione rappresenta un fattore di grave appesantimento per la competitività del sistema economico italiano, ed è dovuta in gran parte a quattro ragioni strutturali: • Il mix energetico, in particolare quello elettrico, è in questo momento piuttosto costoso perché principalmente basato su gas e rinnovabili e si differenzia molto da quello della media UE per l’assenza di nucleare e la bassa incidenza di carbone. • I prezzi all’ingrosso del gas in Italia sono mediamente più alti che negli altri Paesi europei. Il prezzo medio del gas sul mercato spot PSV nel 2011 è stato 60 di circa il 25% superiore a quello dei principali hub nord-europei [...] Ciò si riflette anche sul prezzo all’ingrosso dell’elettricità, che nella maggior parte delle ore viene determinato da centrali CCGT a gas. • Gli incentivi alla produzione rinnovabile elettrica in Italia sono storicamente i più elevati d’Europa (ad esempio, gli incentivi unitari alla produzione fotovoltaica sono stati circa il doppio di quelli tedeschi), con un forte impatto sul costo dell’energia: oltre il 20% della bolletta elettrica italiana (escluse imposte) è destinato a incentivi alla produzione tramite fonti rinnovabili. • Vi sono infine una serie di altri costi, dovuti a politiche pubbliche sostenute dalle tariffe come ad esempio, per il settore elettrico: gli altri “oneri di sistema” (oneri per smantellamento nucleare, ricerca di sistema, regimi tariffari speciali) e inefficienze diffuse (es. CIP6). • Situazione piuttosto critica in termini di sicurezza e indipendenza degli approvvigionamenti: • La limitata capacità di risposta del sistema gas in condizioni di emergenza: quando ci si trova in contemporanea presenza di riduzioni degli approvvigionamenti dall’estero e di punte prolungate di freddo eccezionale sull’intero territorio – quali quelle sperimentate nel febbraio 2012 – la resilienza del sistema è ancora insufficiente [...]. • La dipendenza dalle importazioni: l’84% del fabbisogno energetico italiano è coperto da importazioni.[...] Il dato si confronta con una quota di importazioni medio nell’Unione Europea significativamente più basso, pari al 53%”. Fonte: Strategia Energetica Nazionale-2013 Entrando in merito ai consumi energetici, il grafico seguente riporta la suddivisione dei consumi per settore d’uso facendo riferimento all’anno 2010, anno in cui 61 si è registrato un consumo finale lordo di energia pari a 127,5 MTep. Il calore, inteso come consumo finale di energia per il riscaldamento e raffrescamento, rappresenta la quota più importante, seguito dal consumo nei trasporti e da quelli elettrici. Fonte: Strategia Energetica Nazionale-2013 La SEN, coerentemente con le politiche di sviluppo sostenibile adottate a livello europeo, focalizza l’attenzione su sette priorità strategiche di azione per i prossimi anni due delle quali legate all’efficienza energetica e allo sviluppo delle fonti rinnovabili, con l’obiettivo lungimirante di raggiungere e superare i parametri fissati per l’Italia dal Pacchetto Clima-Energia 2020, di ridurre il gap di costo energetico che ci caratterizza, favorendo la crescita economica e di garantire una maggiore sicurezza di approvvigionamento e una minor dipendenza dall’estero. In merito all’efficienza energetica fissa un obiettivo quantitativo al 2020 di riduzione dei consumi primari di ulteriori quattro punti percentuali rispetto a quanto prefissato dall’UE (il 24% a fronte del 20% europeo), si propone di abbattere le relative emissioni e di risparmiare una notevole quantità di combustibile fossile importato. In merito alle FER (fonti energetiche rinnovabili) la strategia si prefigge di raggiungere il 19% dei consumi finali lordi rispetto all’obiettivo UE del 17%. In particolare, per quanto riguarda il settore elettrico, l’obiettivo è quello di far diventare le FER la prima componente del mix di generazione al pari del gas (35-38% dei consumi finali al 2020). Nel campo termico la meta è quella di sviluppare la produzione da FER fino al 20% dei consumi finali al 2020 mentre nel settore dei trasporti si conferma il dato europeo di un contributo dei biocarburanti pari al 10% dei consumi. 62 Per raggiungere tali obiettivi, la strategia prende spunto dalle misure già messe in atto negli anni precedenti e le rafforza. In particolare nel campo dell’efficienza energetica il Piano d’Azione Nazionale per l’Efficienza Energetica (PAEE) presentato nel 2007 in ottemperanza alla direttiva 2006/32/CE e il nuovo piano del 2011 mirano a conseguire un obiettivo globale di risparmio energetico tramite servizi energetici e altre misure di miglioramento dell’efficienza energetica quantificabile con una riduzione del 9,6% entro il 2016. Tali misure confermate dalla SEN riguardano: • I “Certificati Bianchi” (o Titoli di Efficienza Energetica, TEE) per cui è previsto un rafforzamento soprattutto nel settore industriale e dei servizi, pur mantenendo un ruolo importante anche per interventi nell’area residenziale non coperti da detrazioni o incentivi; in particolare, ogni TEE corrisponde a 1 Tep (tonnellata equivalente di petrolio) di energia risparmiata a seguito di interventi di miglioramento dell’efficienza, realizzati dai soggetti obbligati o da soggetti volontari che possono partecipare al meccanismo. “Il soggetto attorno cui ruota il meccanismo sono i grandi distributori di gas e di elettricità. Costoro diventano ‘soggetti obbligati’ se hanno un parco di almeno 50.000 clienti; annualmente viene loro assegnato un obiettivo di risparmio energetico di cui dovranno dimostrare il conseguimento” o mediante la realizzazione diretta dei progetti di efficienza energetica ovvero acquistando TEE da altri soggetti. (da: “I titoli di efficienza energetica, guida operativa II”). • Le detrazioni fiscali in atto, prevalentemente dedicate al settore delle ristrutturazioni civili (detrazione fiscale sull’IRPEF suddivisa in quote annuali, per un totale pari al 55% delle spese sostenute, ora diventata 65%). Tale detrazione ri- Fonte: Strategia Energetica Nazionale 2013 63 guarda una serie di interventi, tra cui la riqualificazione energetica complessiva dell’edificio, azioni di miglioramento della prestazione di singole parti dell’involucro, sia per gli elementi opachi che per gli infissi, installazione di pannelli solari per la produzione di ACS e sostituzione di impianti di climatizzazione invernale. Secondo gli operatori del settore, come riportato nel Energy Efficiency Report 2013 del Politecnico di Milano, le detrazioni costituiscono il più generoso sistema di incentivi mai messo in campo dal Governo per promuovere l’efficienza e lo sviluppo economico sostenibile. Tuttavia quello che preoccupa è l’instabilità della politica di incentivazione nel tempo e il rischio di “disorientamento” da parte dei potenziali fruitori data la parziale sovrapposizione dell’azione al Conto Energia Termico. • L’applicazione delle normative in materia di efficienza energetica soprattutto nel settore edilizio e nel campo dei prodotti ricadenti nella direttiva dell’Ecodesign. Quadro normativo italiano per l’efficienza energetica – Fonte: Energy Efficiency Report 2013 Nel campo edilizio le normative recepiscono i contenuti e le indicazioni delle direttive emanate, alcune delle quali precedentemente citate; in particolare, fissano requisiti minimi obbligatori inerenti il fabbisogno energetico nel caso di nuove costruzioni o ristrutturazioni sostanziali, promuovono l’utilizzo di impianti efficienti e l’utilizzo di FER e recepiscono le regole in materia di certificazione energetica e di monitoraggio dei consumi. Ultimamente è stato introdotto l’Attestato di prestazione energetica (APE), documento che accompagna la storia energetica dell’edificio riportando il consumo di energia primaria, la classe e la qualità energetica e le relative emissioni di CO2. L’APE è obbligatorio per i nuovi edifici, nel caso di ristrutturazioni sostanziali e deve essere prodotto in caso di vendita o locazione. • L’introduzione del Conto Energia Termico, ossia del meccanismo nato per incentivare gli interventi di riqualificazione energetica del patrimonio immobiliare della Pubblica Amministrazione e interventi legati alle fonti energetiche rinnovabili per la produzione di energia termica per utenze private. 64 In merito allo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili due sono state le tappe relative al recepimento alla Direttiva 2009/28/CE: la prima riguarda l’emanazione nel 2010 del Piano di Azione Nazionale per le Energie Rinnovabili (PAN) e la seconda l’emanazione del decreto “Burden sharing” nel 2012, relativo alla ridistribuzione degli obiettivi nazionali a livello delle Regioni e delle Provincie Autonome e alla definizione dei singoli target di produzione di elettricità e di calore da FER. Il PAN fissa gli obiettivi nazionali per la quota di energia da fonti rinnovabili nel settore termico del riscaldamento e raffrescamento, nel settore dei trasporti e nel settore elettrico e definisce le modalità di raggiungimento degli stessi. In particolare, la linea d’azione primaria riguarda lo sviluppo delle FER a copertura dei consumi finali per riscaldamento e raffrescamento; le azioni di sviluppo in merito riguardano il potenziamento delle reti di teleriscaldamento, la diffusione della cogenerazione e l’immissione di biogas nella rete di distribuzione del gas naturale. Un’altra linea di azione strategica del PAN riguarda la questione della produzione di elettricità da FER. La tematica si incentra sull’adeguamento del sistema elettrico in funzione della potenza installata; prevede in particolare l’adeguamento delle reti di distribuzione e lo sviluppo di sistemi di stoccaggio/ accumulo/raccolta dell’energia. Fonte: Strategia Energetica Nazionale-2013 65 In merito al mix rinnovabile per la produzione elettrica il grafico successivo mostra la situazione al 2010; “nella maggior parte delle Regioni, è l’energia idroelettrica ad offrire il contributo più rilevante sia per le Regioni subalpine sia per quelle appenniniche. Si comincia però ad apprezzare il contributo di altre fonti quali l’eolico (soprattutto in Campania, Puglia e Sicilia) e le biomasse (soprattutto in Emilia Romagna, Lombardia e Puglia). A riguardo, è bene rimarcare come il PAN specifichi la necessità di ricorrere alle biomasse soprattutto per la generazione di calore, al fine di perseguire obiettivi di maggiore efficienza e sostenibilità negli impieghi delle risorse” (fonte: La Green Economy in Piemonte – Rapporto Ires 2013). Fonte: Piano di Azione Nazionale per le Energie Rinnovabili Produzione di energia elettrica da FER delle diverse Regioni al 2010 - fonte La Green Economy in Piemonte – Rapporto Ires 2013 Le misure di incentivazione diretta delle energie rinnovabili per la produzione di elettricità riguardano: • i certificati verdi, ossia i titoli scambiati sul mercato riconosciuti ai produttori da fonti rinnovabili in funzione dell’energia prodotta. Tenuto conto che i pro66 duttori e i distributori di energia elettrica sono tenuti a immettere in rete un quantitativo minimo di energia da FER, tale obbligo può essere assolto, o mediante la produzione della stessa, o mediante l’acquisto dei certificati verdi comprovanti la produzione dell’equivalente quota. • La tariffa onnicomprensiva è un regime basato sull’erogazione di una tariffa fissa riconosciuta agli impianti da fonti rinnovabili in funzione dell’energia immessa in rete e include sia l’incentivo sia la remunerazione. È un meccanismo che avvantaggia i piccoli produttori che difficilmente potrebbero trarre vantaggio dal complesso meccanismo dei certificati verdi. • Il conto energia è un “regime di sostegno che garantisce una remunerazione costante dell’energia elettrica prodotta da impianti solari fotovoltaici e termodinamici, per un periodo prestabilito (20 anni per gli impianti fotovoltaici, 25 anni per gli impianti solari termodinamici) attraverso una tariffa per tutta l’energia prodotta dagli impianti (feed in premium). La tariffa è aggiuntiva rispetto al ricavo della vendita o alla valorizzazione, mediante lo scambio sul posto o l’autoconsumo, dell’energia prodotta e varia in funzione della taglia e del grado di integrazione architettonica dell’impianto. Tale regime premia le produzioni rinnovabili a prescindere dall’utilizzo che viene fatto dell’energia elettrica prodotta” (da: Piano di Azione Nazionale per le energie rinnovabili dell’Italia). La rapida crescita e lo sviluppo della tecnologia fotovoltaica è dovuta soprattutto al sistema incentivante molto generoso in vigore negli ultimi anni, che non ha tenuto conto dei costi in diminuzione della tecnologia, garantendo margini di profitto elevati rispetto agli altri paesi europei. L’incentivo al 2012 risultava essere tra il doppio/triplo di quello riconosciuto in Francia e Germania. Tale iniziativa, pur favorendo l’espansione del settore, si è riversata indirettamente sulle tasche dei consumatori italiani comportando un’incidenza sulla bolletta elettrica pari a oltre il 20%. Le misure d’incentivazione delle energie rinnovabili per usi termici sono invece il “Conto energia termico”, i “certificati bianchi” e le detrazioni fiscali precedentemente esposte. È opinione degli operatori che ad oggi le potenzialità d’incentivazione del Conto Termico non siano state adeguatamente sfruttate, nonostante le ridotte tempistiche burocratiche e la semplicità di remunerazione diretta ne avrebbero dovuto favorire un diffuso utilizzo. Se da un lato il PAN ha definito la priorità d’azione sulle fonti rinnovabili termiche e la stessa SEN ne ha ricalcato l’importanza sostenendo che rispetto alle elettriche quelle termiche sono più efficienti e meno costose per raggiungere gli obiettivi europei e comportano benefici significativi di risparmio combustibile, dall’altro le azioni operative e le forme di incentivazione si sono rivelate completamente sbilanciate sul fronte elettrico. Lo sviluppo delle rinnovabili termiche negli ultimi anni è avvenuto senza un quadro di incentivazione stabile e dedicato. Tale situazione comporta il fatto che a oggi nel settore elettrico l’obiettivo 20-20-20 è stato praticamente raggiunto, mentre nel campo termico molta strada resta ancora da fare. Nel campo edilizio la recente normativa precedentemente esposta prevede un ausilio sempre maggiore delle fonti 67 rinnovabili, a copertura in una prima fase di una percentuale della sola produzione ACS, ed ora anche a copertura di parte del fabbisogno di energia complessivo. Pure in questo caso la complessità del quadro normativo, le numerose modifiche introdotte e l’assenza di una politica di sviluppo costante e uniforme su tutto il territorio rendono la situazione molto confusa per gli operatori del settore, per i tecnici e per gli stessi Enti pubblici. Se da un lato le politiche energetiche adottate ambiscono a raggiungere e superare i target europei fissati con l’obiettivo di ridurre l’emissione di gas climalteranti prodotti prevalentemente dalla combustione di petrolio, carbone e gas, dall’altro esistono politiche d’incentivazione delle fonti fossili ancora in essere; un recente rapporto di Legambiente fornisce un quadro completo dell’assurda situazione legata a tale sostegno economico. “Ad esempio in Italia, com’è noto, risorse pubbliche finanziano l’autotrasporto su gomma e sostengono l’acquisto di combustibile a favore del settore agricoltura e pesca; inoltre, una quota parte della bolletta pagata da tutti i consumatori, con il famigerato CIP6 nato per sostenere la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, tramite alcuni stratagemmi è servito e serve tutt’oggi per sostenere centrali a carbone, raffinerie e centrali a fonti fossili. Altro sussidio è stato recentemente introdotto dal Governo Monti a sostegno di vecchie centrali funzionanti a fonti fossili per prevenire le “situazioni di emergenza gas”. Altro caso riguarda il sussidio a favore delle cosiddette “aziende energivore” ossia aziende caratterizzate da un consumo energetico molto elevato (ad esempio i cementifici). Per assurdo tale sostegno economico premia “il consumo di energia, invece di spingere interventi che al contrario premino l’efficienza energetica nella gestione degli impianti e delle reti e che riducano i possibili problemi sulla rete. In questo modo, le “aziende energivore” non saranno mai spinte ad attivare processi di efficientamento energetico che avrebbero non solo la conseguenza di ridurre i propri costi legati ai consumi energetici, in linea con gli obiettivi di tale sussidio, ma contribuirebbero alla riduzione delle bollette elettriche degli utenti finali, alla riduzione dei consumi di energia da fonti fossili, alla lotta contro i cambiamenti climatici” (Fonte: Legambiente, Stop sussidi alle fonti fossili, 2013). Gli obiettivi raggiunti Una recente analisi dell’Agenzia Europea per l’Ambiente mostra i progressi fatti grazie alle politiche ambientali adottate dall’Unione Europea rispetto agli obiettivi fissati con il Pacchetto Clima-Energia. In particolare “la riduzione dei gas serra è il settore nel quale gli obiettivi sono stati già quasi raggiunti a sette anni dalla scadenza. Alla fine del 2012, infatti, fa sapere l’Aea, nel complesso i Paesi dell’Unione Europea hanno ridotto le emissioni del 18% sul livello del 1990. Anche per quanto riguarda le rinnovabili, l’obiettivo del 2020 è ampiamente raggiungibile. Infatti nel 2011 dalle fonti rinnovabili è arrivato il 13% dell’energia prodotta, un dato superiore all’11,7% previsto per gli anni 2011-2012. Le cose vanno meno bene, invece, per quanto riguarda il terzo obiettivo: il mi68 glioramento del 20% dell’efficienza energetica. Solo quattro Stati (Bulgaria, Danimarca, Francia e Germania) stanno facendo progressi in questo campo, illustra il rapporto” (fonte: Obiettivi ambientali Ue del 2020, siamo più avanti del previsto – www.corriere.it). In merito alla situazione italiana il Dossier Clima 2014 della Fondazione per lo sviluppo sostenibile fotografa una situazione positiva: “L’Italia ha centrato il target di Kyoto, riducendo le emissioni rispetto al 1990 del 7,8% a fronte di un impegno di -6,5%. I dati ufficiali confermano, quindi, le stime effettuate dalla Fondazione lo scorso anno. Guardando oltre, anche i target al 2020 fissati dal pacchetto clima-energia dell’UE sono a portata di mano: gli attuali livelli di emissione di gas serra sono già inferiori a quelli previsti per l’Italia dal target europeo; nel 2013 le rinnovabili dovrebbero superare agevolmente la soglia del 14% dei consumi finali lordi, molto vicino, quindi, al target del 17%; anche i consumi primari di energia nel 2013 sono allineati a quelli previsti per il 2020”. Diversa invece l’opinione di altri studiosi che sulla base del rapporto Aea sottolineano: “l’Italia viene considerato un paese sostanzialmente non in linea con il proprio obiettivo di riduzione delle emissioni, principalmente a causa del fatto che non ha fornito adeguate informazioni sulle proprie intenzioni di utilizzo dei meccanismi flessibili. [...] Tutto ciò porta l’Italia ad un gap annuale di 3,7 MtCO2/anno, che nel quinquennio di riferimento assomma in totale a 18,5 MtCO2. In termini monetari stiamo parlano di circa 90 milioni di euro, che potrebbero aumentare viste le fluttuazioni sul mercato della tonnellata di CO2, parametro di riferimento per i permessi di riduzione. Al momento non si sa come l’Italia farà fronte a questo “acquisto” sul mercato internazionale in quanto in nessuna delle ultime Leggi di Stabilità (Leggi Finanziarie) è stato mai fatto riferimento a tale impegno assunto dall’Italia” (fonte: Protocollo di Kyoto: l’Italia lontana dall’obiettivo - www.ilcambiamento.it). Certificazione energetica Come in precedenza esposto la certificazione energetica rappresenta un tassello importante per attivare uno sviluppo della cultura legata all’efficienza energetica; l’utente finale, grazie a parametri e indicatori chiari e semplici che individuano una specifica classe energetica, è in grado di orientare le proprie scelte verso prodotti efficienti o comunque è messo in condizione di prendere decisioni consapevoli. Grazie a questo processo s’innesca un meccanismo di mercato che trasferisce sul prezzo del bene la qualità energetica dello stesso premiando interventi che garantiscono elevati standard costruttivi. La condizione per far sì che questo avvenga è legata alla serietà del meccanismo di certificazione e alla responsabilità degli operatori che entrano in gioco. Caso emblematico per l’Italia è rappresentato dal già citato sistema di certificazione degli edifici CasaClima, attivo in Provincia Autonoma di Bolzano a partire dal 2002. Il sistema certifica la prestazione energetica dell’edificio sulla base delle caratteristiche dell’involucro (per involucro s’intende il guscio che racchiude 69 il volume riscaldato) e sulla qualità del costruito. L’iter di certificazione prevede l’elaborazione di un progetto dell’edificio a partire da regole e standard definiti nel quale vengono individuati e dettagliati tutti gli elementi che caratterizzano l’involucro analizzando in modo particolare i punti di connessione fra gli stessi. Fase successiva è la verifica in cantiere della corretta esecuzione del progetto mediante sopralluoghi da parte di figure indipendenti dalla realizzazione e progettazione. Punti di forza del protocollo CasaClima sono quindi la verifica del progetto e della sua realizzazione in cantiere; solo in questo modo è possibile comprovare l’effettiva qualità del costruito. La targhetta energetica consegnata e affissa sull’edificio, con riportati i dati di prestazione, diventa emblema del risultato ottenuto. La certificazione CasaClima ha innescato in Alto Adige un virtuoso meccanismo di sensibilizzazione alla tematica del risparmio energetico che, grazie a corsi di formazione per tecnici e operatori del settore, eventi, fiere, comunicazione si è esteso anche nel resto del Paese. Peccato che dal punto di vista normativo, prima che fossero pubblicate le «Linee guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici» mediante D.M. 26/06/2009, grazie alla “clausola di cedevolezza” contenuta nel D.Lgs. 192/05, alcune Regioni (in sequenza Lombardia, Liguria, Piemonte e Emilia Romagna) hanno provveduto a legiferare in tema di certificazione energetica recependo in modo autonomo la Direttiva 91/2002. Tale situazione ha generato differenti percorsi di certificazione spesso non coerenti fra loro; regole diverse, metodologie di calcolo differenti, competenze dei certificatori disuguali non hanno certo facilitato il difficile percorso di recepimento della certificazione. In termini normativi “il tema della certificazione energetica e dei relativi obblighi è stato introdotto col D.Lgs 192/05 e ripreso più volte dai successivi decreti attuativi o di modifica dello stesso portando a un quadro frammentato e a volte non coerente tra un testo e l’altro. Il DL 63/13, convertito dalla Legge 90/2013, propone un riordino della materia sostituendo integralmente alcuni passaggi del D.Lgs 192/05 e anticipando nuovi decreti attuativi dedicati alla certificazione energetica degli edifici. Il tutto viene di nuovo modificato ed integrato dal DL 145 denominato “Destinazione Italia” del dicembre 2013, convertito in Legge con la Legge 9 del 21 febbraio 2014” (fonte: Guida Anit - La legislazione per il risparmio energetico e l’acustica degli edifici - settembre 2013). Sebbene la certificazione sia di fatto obbligatoria su tutto il territorio nazionale, a livello locale si possono configurare le seguenti situazioni: • recepimento, con Legge regionale, della Direttiva 2002/91/CE; • emanazione di Regolamento regionale per l’attuazione delle Linee Guida Nazionali (LGN); • assenza di recepimento della Direttiva 2002/91/CE e di regolamenti regionali o delle Province Autonome. 70 L’Attestato di Prestazione Energetica (APE), che ha sostituito l’Attestato di Certificazione Energetica (ACE), rappresenta il documento di sintesi della prestazione energetica dell’edificio; deve essere prodotto in caso di vendita o locazione dell’immobile e in caso di nuova costruzione o di ristrutturazione importante, prima del rilascio del certificato di agibilità. Tenuto conto che i protocolli di certificazione sono differenti, anche gli APE non sono tutti uguali. “Sette Amministrazioni hanno adottato un proprio modello regionale mentre tutte le altre utilizzano il modello proposto dalle Linee Guida Nazionali. Valore calcolato del fabbisogno di energia primaria specifico EPGL e classe energetica sono legati tra loro secondo due criteri: Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Valle d’Aosta e le Province Autonome di Trento e Bolzano adottano una classificazione “diretta”, ovvero in funzione del valore di EPGL relazionato a valori limite fissi delle classi energetiche; le rimanenti Regioni, fanno riferimento alla classificazione proposta dalle Linee Guida Nazionali, ovvero a valori limite espressi sia in funzione della zona climatica - così come individuate all’art. 2 del DPR del 26/08/1993 n. 412 - che del rapporto di forma dell’edificio S/V (Superficie Disperdente/Volume lordo riscaldato). In particolare la Liguria considera anche il fabbisogno di acqua calda sanitaria” (fonte: CTI Attuazione della Certificazione Energetica degli edifici in Italia - 2013). In merito alla figura del certificatore energetico, il DPR 75/13 definisce i re- Fonte: Recepimento della certificazione energetica a livello regionale – Attuazione della Certificazione Energetica degli edifici in Italia -2013 71 quisiti del tecnico abilitato alla sottoscrizione dell’APE (tali regole si applicano per tutte le Regioni che non abbiano provveduto a adottare propri provvedimenti in applicazione della Direttiva 2002/91/CE). In particolare sono previste due vie per essere riconosciuti come “Soggetto certificatore”: una strada comporta l’iscrizione a un Ordine e Collegio e la competenza per la progettazione di edifici e impianti, l’altra prevede l’abilitazione mediante un corso di formazione specifico della durata minima di 80 ore e il superamento di un esame finale con la condizione pregiudiziale del possesso di un diploma di istruzione tecnica o professionale. Un recente studio sull’andamento del mercato immobiliare 2013 evidenzia il mancato successo di tale attestato; il problema, fa notare il Fronte degli agenti immobiliari (Fiaip), riguarda il fatto che come spesso accade la normativa è stata imposta dall’alto senza creare la dovuta sensibilizzazione ai cittadini. Per tale ragione il passaggio a un mercato immobiliare in cui il valore dell’immobile è funzione della classe energetica è ancora un miraggio. Questo di certo non vale per quelle realtà (ad esempio l’Alto Adige) in cui la questione della certificazione energetica è oramai un traguardo raggiunto e condiviso da tutta la collettività. Nuove maestranze nella green economy e opportunità di sviluppo – dichiarazioni La “green economy” è definita a livello comunitario come “un’economia che genera crescita, crea lavoro e sradica la povertà, investendo e salvaguardando le risorse del capitale naturale da cui dipende la sopravvivenza del nostro pianeta” (fonte: Regione Piemonte – L’artigianato nella prospettiva della green economy, p.17). Tale definizione coinvolge tutte le attività economiche e, in modo particolare, il settore delle costruzioni responsabile come più volte ribadito del consumo di risorse naturali (oltre il 50% delle materie prime estratte sono utilizzate nel campo delle costruzioni) e del consumo finale di energia. La eco-costruzione, ossia la realizzazione di edifici che in tutte le fasi del loro ciclo di vita hanno un impatto sull’ambiente minore rispetto ai sistemi edilizi tradizionali, così come l’adozione di politiche di sviluppo dell’efficienza energetica attraverso attività di riqualificazione del patrimonio esistente, giocano un ruolo fondamentale nella salvaguardia del nostro pianeta e nel raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione. In particolare le attività di green economy applicate al settore delle costruzioni in un periodo di recessione e di crisi del settore come quello che stiamo vivendo, garantiscono maggiori opportunità di sviluppo rispetto all’edilizia tradizionale. Lo dimostra il recente “XXI Rapporto Congiunturale e Previsionale Cresme sul mercato delle costruzioni tra 2013 e 2017”. Tra gli elementi che segnano lo sviluppo futuro del settore emergono: i processi di innovazione tecnologica, l’impatto sempre più forte dell’Ict sul settore costruzioni, i temi del partenariato pubblico privato e dell’integrazione tra servizi e costruzione come tasselli importanti del ciclo, una domanda low cost di edilizia sociale finora senza risposta, le frontiere dell’energy technology e della riqualificazione ambientale. “Il prossimo ciclo dell’edilizia sarà di riqualificazione e trasformazione più che di nuova costruzione. Lo confermano anche i dati 72 relativi all’anno 2013, in cui cresce ancora il peso del recupero, che è giunto a rappresentare il 66% degli investimenti e il 45,5% della produzione edilizia allargata, che comprende anche un 29,3% di nuova costruzione, un 20,9% di manutenzione ordinaria e un 4,3% di impianti di energie rinnovabili. Il peso di quest’ultimo capitolo, in particolare, si sgonfia dopo “la bolla speculativa del fotovoltaico” tra 2009 e 2011. Il futuro delle costruzioni si gioca su efficienza, innovazione, organizzazione, tecnologie; oggi il mercato della riqualificazione, centrato prevalentemente sui microinterventi, tiene in piedi quello delle costruzioni” (fonte: http://magazine. larchitetto.it/dicembre-2013/gli-argomenti/attualita/a-piccoli-passi.html). Analizzando il patrimonio immobiliare italiano, caratterizzato da edifici costruiti in prevalenza prima degli Anni ‘80, carenti dal punto di vista del comportamento energetico, ma anche dal punto di vista strutturale e manutentivo (basti pensare alla problematica dell’adeguamento sismico), appare auspicabile un futuro di riqualificazione e di trasformazione; solo in tal modo è possibile pensare ad una riduzione dei consumi energetici e ad una redditività economica degli investimenti fatti. Se poi si pensa alla quantità di edifici storici tutelati presenti nel nostro Paese, la sfida legata alla riqualificazione energetica si fa ancora più interessante. Altra questione riguarda il patrimonio di proprietà pubblica: il decreto legislativo in fase di definizione per il recepimento della direttiva 2012/27/UE sull’efficienza energetica individua differenti misure per arrivare a riqualificare ogni anno almeno il 3% del patrimonio della pubblica amministrazione centrale; il pubblico secondo lo spirito del legislatore, deve diventare un esempio del buon costruire per la collettività. Riqualificare un immobile dal punto di vista energetico significa adottare delle soluzioni in grado di ridurre il fabbisogno di energia che riguarda prevalentemente il riscaldamento e raffrescamento, pari al 67% circa del totale nel caso degli edifici residenziali. L’intervento di riqualificazione non si traduce solo in una diminuzione delle spese di gestione e quindi in un aumento del valore dell’immobile, ma anche in un miglioramento delle condizioni di comfort interne. Isolando ad esempio le pareti esterne si aumenta la temperatura superficiale interna delle stesse, garantendo un minor scambio radiativo tra il nostro corpo e l’elemento e quindi generando un elevato livello di comfort; oppure installando un impianto di ventilazione con recupero di calore si rinnova automaticamente l’aria interna degli ambienti limitando le fuoriuscite di calore e eliminando l’aria viziata. Tenuto conto della eterogeneità del nostro territorio dal punto di vista climatico, delle diverse tipologie costruttive, delle differenti destinazioni d’uso e dei vincoli presenti, il mercato offre innumerevoli soluzioni per riqualificare e intervenire sugli edifici; alcune riguardano il settore dell’involucro altre il settore impiantistico. Appare evidente che non esistono soluzioni univoche alle differenti e innumerevoli problematiche; solo attraverso una corretta analisi e diagnosi dell’esistente e una progettazione consapevole che tenga conto di tutte le condizioni in essere 73 (compreso il budget a disposizione), è possibile individuare la soluzione migliore o più efficiente per il caso in esame e quindi affidare a personale qualificato la realizzazione del progetto. Lo stesso vale per la realizzazione di nuove costruzioni a basso consumo o “NZEB” per l’appunto; è richiesto un elevato livello di progettazione e di realizzazione per poter raggiungere gli obiettivi preposti. L’edilizia, comparto produttivo della green economy, presenta elevate potenzialità in termini di ricadute occupazionali, di trasformazione delle professioni e dell’organizzazione del lavoro. “A tale riguardo va anche considerato il forte potere “attivante” che il settore delle costruzioni ha nei confronti degli altri comparti, con un possibile effetto moltiplicativo delle misure – già pervasive – di efficienza energetica. La progettazione e costruzione di nuovi edifici in modo più efficiente, così come la ristrutturazione dei fabbricati esistenti, infatti, attiva una grande varietà di sub-settori in termini di produzione, di beni intermedi e componenti, materiali e servizi che supportano il settore dell’efficienza energetica e della bioedilizia, chiamando in causa l’innovazione in molti campi collegati alle costruzioni” (fonte: L’efficienza energetica in Italia: competenze e figure professionali emergenti per la green economy - Serena Rugiero”). Tale scenario necessita una profonda riconversione del settore edile, in parte già in essere, con la trasformazione e l’adeguamento delle figure professionali coinvolte. La crescita del settore “energetico” richiede a tutti i livelli, dalla progettazione alla realizzazione, dal collaudo alla manutenzione, figure professionali competenti e preparate, capaci di dialogare e di perseguire gli obiettivi preposti. Se a livello di progettazione e gestione dei processi la figura dell’Energy Manager, introdotta con la Legge 10/91, inquadra la figura professionale in grado di analizzare le condizioni, individuare le soluzioni opportune e orientare le scelte energetiche, nel campo applicativo, “artigianale”, si rende necessaria una figura trasversale in grado di leggere e correttamente realizzare i progetti nel campo energetico; l’operatore ed il tecnico energetico per l’appunto. Basti pensare ad esempio all’installazione di un impianto di ventilazione meccanica controllata, competenza in parte dell’idraulico, dell’elettricista ma anche dell’impresa costruttrice, oppure all’installazione di un impianto di regolazione e monitoraggio dei consumi termici e elettrici di competenza dell’elettricista ma anche dell’idraulico. Estendendo l’attenzione all’involucro, anche il settore edilizio richiede figure competenti in grado di approcciare correttamente le problematiche e relative soluzioni nel campo del “risparmio energetico”; ad esempio la posa di un cappotto, oggi di competenza dell’impresa di costruzioni o del decoratore, l’installazione dei serramenti, la corretta posa della stratigrafia di un tetto. Tale figura nasce dall’esigenza di dare una risposta professionale alla richiesta del mercato evitando di cadere nel meccanismo d’improvvisazione che spesso caratterizza il settore delle costruzioni e degli impianti. La scelta del nome sintetico di “operatore energetico” e “tecnico energetico” è stata effettuata pensando all’immediatezza nella comprensione delle sue peculiarità; sarebbe stato possibile denominarli “operatore e tecnico di impianti tecnolo74 gici e risparmio energetico”, nome senz’altro più completo, ma si è preferito seguire la logica e la semplicità nella sua denominazione, già adottata nei settori afferenti la meccanica dove il “perito termotecnico” è stato inserito nel comparto energia. In questo modo, la curvatura che si intende portare alle figure degli operatori e tecnici di impianti termoidraulici viene denominata sinteticamente “operatore energetico” e “tecnico energetico”. Il rapporto “GreenItaly 2013” analizza la situazione italiana del mercato legato alle nuove figure “green”: “la portata innovativa della green economy e dei green jobs in particolare trova riscontro anche sul fronte della domanda di lavoro. Basti pensare che ben il 61,2% di tutte le assunzioni che le imprese prevedono nel 2013 di destinare all’area aziendale della progettazione/ricerca e sviluppo fa riferimento ai green jobs. A dimostrare ancora una volta che proprio le competenze green sono il motore principale dell’innovazione. E che questa innovazione assume sempre più una connotazione green”. Nel settore delle costruzioni e quindi dell’efficienza energetica “la trasformazione delle professioni [...] appare avere un carattere fortemente trasversale: l’innovazione attiva una domanda di nuove professionalità in tutti gli ambiti, coinvolgendo sia le alte professionalità che i profili esecutivi” (fonte: L’efficienza energetica in Italia: competenze e figure professionali emergenti per la green economy, pag. 69 - Serena Rugiero). Il mercato in particolare richiede figure professionali competenti nel campo degli impianti e del risparmio energetico; tale dato emerge dall’analisi della classifica delle prime venti figure professionali dei green jobs in senso stretto secondo le assunzioni non stagionali programmate dalle imprese nel 2013, classifica elaborata dal sistema informativo Excelsior (sistema di previsione sull’andamento del mercato del lavoro e sui fabbisogni professionali e formativi delle imprese di UnionCamere). Al secondo e quarto posto vi è una richiesta di tecnici, ovvero di elettricisti delle costruzioni civili (circa 4mila assunzioni non stagionali) e di idraulici e posatori di tubazioni idrauliche e di gas (circa 3mila assunzioni non stagionali). “Si tratta di mansioni da operaio specializzato, per le quali non è richiesta chiaramente la laurea, spesso semmai il diploma o la sola scuola dell’obbligo, benché sia richiesta una esperienza specifica nella professione o nel settore di appartenenza”(fonte: GreenItaly Rapporto 2013, pag. 97). In particolare, all’interno delle singole categorie spiccano i seguenti contenuti verdi: elettricista di impianti di illuminazione sostenibili (6137: codice di categoria secondo la classificazione Istat CP 2011), installatore di impianti di condizionamento green (6136), installatori e montatori di macchinari e impianti industriali a basso impatto (6233). 75 Appare evidente che “le figure legate alla sostenibilità ambientale incorporano una elevata dose di formazione e preparazione, indispensabili per rispondere ai compiti ai quali sono chiamate a svolgere, che si esprimono attraverso innovazione, technicalities, ecc. ”(fonte: GreenItaly Rapporto 2013 pag. 78). In merito ai percorsi formativi in atto l’Isfol rileva che nel 2012 in Italia sono stati erogati 1911 corsi di formazione in campo ambientale di cui il 62% attraverso Formazione Professionale non universitaria. “Una formazione capace di offrire lo sviluppo delle competenze green necessarie e ben collegata con la domanda di lavoro offre ovviamente elevate opportunità di impiego e occupazione di buona qualità. Secondo sempre Isfol, in questo modo più della metà degli occupati potrà raggiungere l’obiettivo di trovare un lavoro verde in linea col proprio percorso di studi e una maggiore facilità nell’ottenere un inquadramento contrattuale coerente con le proprie competenze [...] Diversi studi e analisi, anche internazionali, sono concordi nel riconoscere che l’acquisizione di competenze specialistiche e verdi, in particolare, offrano al futuro lavoratore un gradiente qualitativo niente affatto secondario nel Fonte: GreenItaly 2013 76 raggiungimento di un aumentato valore aggiunto della propria professionalità [...] I green job in qualche modo aggiungono elementi valoriali in più direzioni: all’acquisizione delle nuove competenze, orientate alla sostenibilità, si aggiunge una conoscenza delle dinamiche sistemiche ed ecosistemiche e una maggiore responsabilizzazione dei processi messi in opera rispetto al contesto ambientale e sociale” (fonte: GreenItaly Rapporto 2013 pag. 107-108). La proposta formativa professionale L’attuale proposta formativa professionale attuata a livello nazionale si basa sul Decreto interministeriale dell’11 novembre 2011, che ha recepito l’Accordo in sede Conferenza Stato - Regioni del 27 luglio 2011. In particolare, il decreto stabilisce la messa a regime dei percorsi di durata triennale e quadriennale finalizzati al conseguimento dei titoli di qualifica e di diploma professionale, istituisce il Repertorio nazionale dell’offerta di IeFP, definisce gli standard minimi formativi, adotta i modelli degli attestati della qualifica e del diploma professionale, definisce le modalità per l’attestazione intermedia delle competenze acquisite dagli studenti che interrompono i percorsi formativi. In particolare tale Repertorio è inteso come “insieme di figure di differente livello – di riferimento delle qualifiche e dei diplomi professionali – relative ad aree professionali, articolabili in specifici profili regionali sulla base dei fabbisogni del territorio. Per figura nazionale di riferimento si intende uno standard minimo formativo, assunto a livello di sistema Paese, consistente in un insieme organico di competenze tecnico - professionali specifiche, declinate in rapporto ai processi di lavoro e alle connesse attività, che caratterizzano il contenuto professionale della figura stessa. Le figure nazionali di riferimento possono declinarsi in indirizzi [...] Gli standard minimi formativi dei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale hanno come oggetto di riferimento fondamentale la competenza, intesa come “comprovata capacità di utilizzare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e personale” (fonte: “Il sistema di istruzione e formazione professionale”, http://www.cnos-fap.it/sistema-ifp). Le aree professionali fanno riferimento alla classificazione delle aree Economico Professionali elaborata sulla base della classificazione delle attività economiche (NACE-ATECO) e della classificazione delle professioni (ISCO-CP/NUP). Il Repertorio tiene conto inoltre della corrispondenza con i livelli del Quadro europeo delle Qualificazioni; in particolare il 3° livello corrisponde alla figura degli operatori ai quali è attribuito un titolo in uscita di qualifica professionale, mentre il 4° livello corrisponde alla figura dei tecnici ai quali è attribuito un titolo in uscita di diploma professionale. Il differenziale tra 3° e 4° livello è basato sull’autonomia e sulla responsabilità dell’utente. Conseguito il diploma professionale di tecnico è possibile accedere ai percorsi di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (IFTS), progettati e gestiti da soggetti associati e finalizzati a conseguire un 77 Fonte: http://www.cnos-fap.it/sistema-ifp certificato di specializzazione tecnica superiore, al quinto anno dell’Istruzione Secondaria Superiore. Il Repertorio nazionale viene aggiornato periodicamente con cadenza triennale; in particolare si prevede l’aggiornamento delle figure e/o dei relativi indirizzi e delle relative competenze tecnico-professionali e l’individuazione e la definizione di nuove figure nazionali di riferimento. Una nuova figura: il tecnico energetico Le figure presenti nel Repertorio nazionale dell’offerta di Istruzione e Formazione Professionale, che afferiscono al campo degli impianti a servizio delle costruzioni, sono l’operatore elettrico e l’operatore di impianti termo-idraulici (per quanto riguarda le qualifiche) e il tecnico elettrico e tecnico di impianti termici (per quanto riguarda i diplomi professionali). A ogni figura di riferimento corrisponde, come anticipato, la relativa nomenclatura delle Unità professionali e la classificazione delle attività economiche come riportato a titolo esemplificativo nelle schede successive. Le nuove figure di Operatore e Tecnico energetico nascono in prima istanza come aggiornamento della figura di operatore/tecnico termo-idraulico mediante “curvatura” professionale del profilo a livello regionale; si prevede per la figura dell’“operatore termoidraulico” la curvatura di “operatore energetico” e per la figura di “tecnico di impianti termici” la curvatura di “tecnico energetico”. In seconda istanza si auspica l’aggiornamento a livello nazionale del Repertorio nazionale dell’offerta di IeFP con l’inserimento delle nuove figure individuate. 78 La normativa di settore che individua le disposizioni in materia di attività d’installazione degli impianti all’interno degli edifici è il DM 22/01/2008 n. 37. Tale decreto definisce gli ambiti d’intervento e i requisiti che devono possedere gli installatori. In particolare le imprese (iscritte al Registro delle Imprese o all’Albo delle Imprese Artigiane) sono abilitate all’esercizio delle attività riguardanti gli impianti posti al servizio degli edifici (classificati per tipologia all’art. 1 del succitato DM) se l’imprenditore individuale o il legale rappresentante, ovvero il responsabile tecnico da essi preposto con atto formale, è in possesso dei requisiti professionali di cui all’articolo 4. Il tecnico energetico, al termine del percorso di formazione, sarà in possesso dei requisiti tecnico-professionali abilitanti indicati all’art. 4 comma 1 lettera b del DM: “diploma o qualifica conseguita al termine di scuola secondaria del secondo ciclo con specializzazione relativa al settore delle attività di cui all’articolo 1, presso un istituto statale o legalmente riconosciuto, seguiti da un periodo di inserimento, di almeno due anni continuativi, alle dirette dipendenze di una impresa del settore”. In merito al periodo d’inserimento in azienda, la normativa prevede che tale esperienza sia successiva, in termini temporali, al conseguimento della qualifica “esprimendo con ciò probabilmente, la volontà del legislatore di far sì che l’interessato acquisisca prima le necessarie conoscenze teoriche per poi ac- Fonte: http://www.cnos-fap.it/sistema-ifp 79 Scia impianti (Camera Commercio Roma) Dichiarazione di possesso dei requisiti tecnico professionali – da compilarsi a cura del responsabile tecnico quisire, in un secondo momento, attraverso l’esperienza professionale, le relative competenze che possano qualificarlo ai fini di un’eventuale nomina a responsabile tecnico di un’impresa impiantistica” (fonte: MSE a CCIAA di Modena, parere 100451 del 09/11/09). Tenuto conto che il percorso formativo del III e IV anno oggetto della presente Guida, prevede al conseguimento del diploma professionale una certificazione delle competenze traguardo e delle relative evidenze, è in fase di verifica presso gli Enti preposti la possibilità di riconoscere tale percorso come condizione equivalente all’obbligo di due anni di esperienza di lavoro. Del resto occorre tener conto del fatto che, durante il percorso quadriennale, negli ultimi due anni formativi, l’allievo frequenta oltre 1000 ore di attività professionali nelle esperienze di laboratorio/UdA e stage/project work, entrando quindi in contatto con il mondo del lavoro (il documento che attesta il diploma professionale, riportato nella sezione “allegati” sotto il nome di Allegato 1, consente di inserire informazioni puntuali per certificare le competenze acquisite e le esperienze di apprendimento in ambito lavorativo maturate durante il percorso formativo). Tale possibilità favorirebbe l’accesso diretto dei tecnici alla loro futura professione riducendo le barriere d’ingresso imposte dalla normativa vigente. Il soggetto, assolti gli obblighi previsti per il possesso dei requisiti tecnico professionali, potrà esercitare le attività impiantistiche di cui all’art. 1 del DM succitato presentando l’iscrizione all’Albo Imprese Artigiane o al registro Imprese e la contestuale Segnalazione certificata di inizio attività di installazione impianti presso la competente Camera di Commercio. Si riporta a titolo di esempio la modulistica richiesta dalla CCIAA di Roma relativa alla dichiarazione di possesso dei requisiti tecnico-professionali. 80 Resta evidente che, dato l’elevato livello di specializzazione del settore e dato il continuo evolversi della tecnologia e dei sistemi impiantistici, il tecnico energetico dovrà aggiornare periodicamente le proprie conoscenze e competenze professionali mediante una formazione mirata; la Formazione Professionale Continua (FPC) rappresenta uno strumento indispensabile per aggiornare, approfondire e specializzare le proprie competenze professionali. Ad esempio nel settore della installazione e manutenzione di impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili (FER), la recente normativa che ha recepito la Direttiva 2009/28/CE del Parlamento Europeo sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, ha introdotto un sistema di “qualificazione professionale” per tale attività. Il programma di formazione richiesto per la “qualificazione FER” in fase di definizione da parte degli Enti preposti potrà essere inserito all’interno dell’attività della FPC. La prospettiva formativa Fotovoltaico, solare termico e termo fotovoltaico Impianti fotovoltaici Gli impianti fotovoltaici hanno costituito, negli ultimi anni, una autentica ossatura del settore elettrico green con la nascita o la conversione di innumerevoli ditte installatrici che hanno operato e stanno tutt’ora operando. Tra i settori presi in considerazione è quello che maggiormente ha beneficiato di incentivi mirati a favorire l’installazione in termini numerici e di potenza degli impianti. Questo, se da un lato ha permesso di raggiungere a fine 2013 la ragguardevole cifra di circa 530.000 impianti installati in tutta Italia, per una potenza utile di oltre 18 GW (fonte: sito web www.gse.it) ed un autentico crollo dei prezzi di mercato a favore dei consumatori, dall’altro ha presentato problematiche di finanziamento dell’incentivo stesso (da più parti considerato troppo “generoso” in termini di denaro erogato). Inoltre ci sono stati risvolti legislativi in continua modifica che hanno causato frequenti alti e bassi nei flussi lavorativi e di conseguenza scarsa propensione delle aziende ad investire in modo deciso sul personale e sulle attrezzature. Oggi, dopo aver attraversato ben 5 Conti Energia (da fine 2005 a metà 2013), il fotovoltaico è entrato nella fase di maturità e si trova ad affrontare nuovi scenari; in particolare, mentre per favorire l’installazione è ora previsto un incentivo che permette di recuperare il 50% della spesa sostenuta in detrazioni IRPEF nell’arco di 10 anni, gli operatori del settore sanno molto bene che è necessario puntare alla “grid parity”. In altre parole, questo risultato, prevede che il costo di 1 kWh prodotto con il fotovoltaico equivalga a quello dello stesso kWh prodotto con fonti fossili. Per il raggiungimento effettivo di questo è necessario ancora un piccolo passo che potrà essere compiuto con la ripresa dell’economia e la ripartenza delle installazioni. Si tenga presente che, a favorire questo processo, contribuirà anche l’obbligo di instal81 lare impianti a fonti rinnovabili sugli edifici di nuova costruzione o in sostanziale ristrutturazione. Resta in ogni caso il limite principale di questa tecnologia, ovvero la sua discontinuità produttiva nel tempo (giorno-notte, estate-inverno, cielo sereno – cielo coperto). Anche in questo caso le idee non mancano. Le più promettenti riguardano l’utilizzo dell’energia elettrica prodotta per far funzionare le pompe di calore che generano riscaldamento e raffrescamento degli edifici (quindi si mira ad aumentare il tasso di utilizzo dell’energia prodotta quotidianamente) oppure la possibilità di accumulare nell’inverter dell’impianto alcuni kWh tali da permettere il superamento del periodo di non-produzione delle ore notturne. Impianti solari termici Questa tecnologia sfrutta il calore veicolato dai raggi infrarossi del sole trasferendolo, dopo alcuni passaggi (piastra radiante, scambiatori di calore, fluido termovettore), all’acqua calda sanitaria oppure, in particolari casi, all’impianto di riscaldamento delle abitazioni. Oltre a questa tipologia di impianti, prettamente residenziali, ne esistono altri di tipo industriale che sfruttano il calore ricavato dal sole per riscaldare le serre coltivate, alimentano impianti di essicazione, producono vapore per far girare turbine che a loro volta generano corrente elettrica. A tal proposito merita essere menzionata una applicazione nata con un notevole contributo di progettazione italiano che prevede la costruzione, in zone molto calde come il nord Africa, di centrali solari termiche a concentrazione con cessione del calore ad un olio diatermico (in grado di superare i 1000° C) stoccato in enormi serbatoi interrati. La quantità di calore accumulata durante le ore diurne è veramente consistente, per cui è possibile far evaporare acqua ad alta pressione e produrre energia elettrica con turbine a vapore non solo durante le ore diurne, ma anche di notte: questo è un primo esempio di superamento del limite fisiologico di massimi-minimi del sole applicato su larga scala. Tornando alle installazioni di tipo domestico, la maggior parte degli impianti sono utilizzati per acqua calda sanitaria o per preriscaldamento della stessa nei periodi meno favorevoli. Gli impianti e gli elementi costitutivi delle installazioni, pur essendo in continua evoluzione, hanno ormai raggiunto un buon grado di affidabilità e resa, sfruttando al meglio la radiazione solare, accumulandola con efficacia e conservandola per tempi sufficientemente lunghi nella logica di un utilizzo residenziale. Permane ancora un costo iniziale di installazione significativo, poiché l’impianto e la mano d’opera necessaria alla sua installazione hanno il loro peso in termini economici, ed il risparmio che ne consegue rispetto all’utilizzo di una comune caldaia assume rilevanza solo dopo alcuni anni di esercizio ed in zone non troppo sfavorevoli dal punto di vista climatico. Anche negli impianti termici sono previsti incentivi, in particolare esiste ad 82 oggi un “conto energia termico” che permette il recupero dell’investimento in tempi più rapidi rispetto al semplice sconto IRPEF. Impianti termofotovoltaici Questo sistema unisce in un solo pannello la tecnologia fotovoltaica e quella solare termica. Il principio di funzionamento in sé è molto semplice poiché si utilizza la cella per produrre energia elettrica e nella parte posteriore del modulo viene messa a contatto delle celle una sorta di serpentina. In pratica il liquido che viene fatto circolare all’interno della serpentina ha il compito di veicolare il calore dalla superficie del pannello ad un serbatoio di accumulo (questo in prima battuta, perché come vedremo è possibile “elaborare” ulteriormente le calorie asportate). La problematica più evidente da risolvere è data dalle temperature in gioco, poiché il fotovoltaico avrebbe bisogno di lavorare alle più basse gradazioni possibili per avere rese ottimali (la potenza nominale dei moduli viene determinata a 25°C durante il flash test al termine della linea di produzione), mentre l’acqua sanitaria deve aggirarsi intorno ai 50°C e quella eventualmente utilizzata per riscaldamento a pavimento non deve scendere sotto i 35-40° C. Questa discrepanza tra i valori ottimali di funzionamento delle due tecnologie è stata oggetto di studio dei principali costruttori di moduli termo fotovoltaici. Ad esempio l’azienda Eclipse Italia di Vestone (BS), citata anche nell’Unità di Apprendimento n° 4 del quarto anno, ha messo a punto un sistema basato sul pannello “Twinsun”, nel quale la serpentina viene fatta aderire, con un processo brevettato, alla parte posteriore delle celle; in questo modo viene favorito al massimo lo scambio termico e quindi l’efficienza. La temperatura di lavoro del sistema viene tenuta intorno ai 45°C semplicemente con il ricircolo del fluido di raffreddamento, cercando quindi il miglior compromesso nel funzionamento delle due tecnologie. È inoltre possibile ottenere acqua più calda o in quantitativi ben maggiori da questo sistema usando il calore dei moduli come sonda per una pompa di calore, in modo da forzare lo scambio termico e spostando il calore dai moduli verso il boiler anche quando la temperatura dell’acqua supera quella del modulo stesso o quando le condizioni meteorologiche esterne sono sfavorevoli. Queste tecnologie, che sono senza dubbio molto efficienti, fino ad oggi non hanno ricevuto il dovuto riconoscimento da parte del pubblico italiano poiché l’installazione dei sistemi termo fotovoltaici copre una piccola parte del totale dei moduli montati sui nostri tetti. Le ragioni vanno ricercate sicuramente nella sfavorevole congiuntura economica che da più anni attanaglia il nostro Paese, e nel tipo di incentivazione che fino ad un anno fa circa era decisamente spostata verso il fotovoltaico puro. Oggi la situazione è cambiata, grazie al Conto Termico e grazie alla predominanza di energia termica rispetto a quella elettrica prodotta dai sistemi termo fotovoltaici è possibile abbattere i tempi di ritorno dell’investimento sfruttando al meglio le caratteristiche pe83 culiari di questi sistemi. Attraverso lo studio delle esigenze del cliente (anche analizzando il grado di coibentazione degli edifici interessati) è possibile costruire impianti personalizzati; utilizzando un mix adeguato di moduli fotovoltaici puri insieme a moduli con tecnologia termo fotovoltaica è possibile coprire i consumi elettrici ed in parte o in toto l’esigenza di acqua sanitaria, mentre installando tutti moduli con doppia tecnologia si può riuscire a soddisfare l’esigenza di elettricità, acqua sanitaria e riscaldamento dell’abitazione (sempre dimensionando l’impianto complessivo in funzione delle esigenze della clientela e dei fattori climatici ed ambientali). In tutti i casi citati è possibile usufruire degli incentivi fiscali ad oggi vigenti. Tra i vantaggi dati dall’utilizzo di questi sistemi non bisogna dimenticare lo spazio ridotto occupato sul tetto rispetto all’installazione separata delle due tecnologie (cioè impianto fotovoltaico ed impianto solare termico). Impianti termici Caldaie e pompe di circolazione Questo ramo della tecnologia energetica, di chiara derivazione termoidraulica, ha beneficiato negli ultimi anni di notevoli migliorie in termini di affidabilità, efficienza e risparmio. A fianco delle ormai consolidate caldaie a condensazione, che offrono le migliori prestazioni quando lavorano in bassa temperatura (e quindi cedono il loro calore ai sistemi di irraggiamento a pavimento), troviamo in commercio dei generatori termici che contengono più tecnologie inserite nello stesso sistema. Un esempio su tutti è la caldaia a zeolite della Vaillant, in commercio in Italia da circa tre anni; essa è costituita da una caldaia a condensazione che lavora in collaborazione con una pompa di calore che effettua uno scambio di calore tra solido (la zeolite) e l’acqua; il sistema è completato da tre collettori solari incaricati di fornire il vapore che sarà adsorbito all’interno del silos contenente la zeolite, generando calore per effetto fisico e contribuendo ad un notevole innalzamento della resa termica dell’intero sistema. Va sottolineato che, per un ottimale funzionamento, il sistema a zeolite necessita di un isolamento efficace dell’ambiente in cui è collocato, pena la perdita di resa globale. Proprio a causa degli edifici poco performanti presenti ad oggi in Italia, questa tecnologia non ha ancora ricevuto la necessaria attenzione nel nostro Paese. Un altro sistema molto promettente, sempre riportato a titolo di esempio, è la caldaia con micro generatore di tipo Stirling (già in commercio ad opera della Viessmann e di altri primari costruttori), che unisce le prestazioni di una caldaia a condensazione per il riscaldamento di una piccola utenza domestica con un generatore di energia elettrica (di tipo Stirling), funzionante grazie ai moti convettivi dei fumi convogliati verso lo scarico (tale sistema, che è in grado di fornire energia assolutamente rigenerata che altrimenti verrebbe smaltita verso l’esterno, riesce ad erogare fino ad 1 kW di potenza elettrica utilizzabile dall’utenza domestica). 84 Un altro aspetto fondamentale delle moderne caldaie è l’elettronica installata a bordo macchina, che permette di ottimizzare molteplici fattori che influenzano le condizioni di esercizio e che, se opportunamente regolati, offrono risparmio di combustibile. Per chiarire meglio questo punto possiamo citare le sonde di temperatura esterna ed interna all’edificio che dialogano con la centralina della caldaia e che consentono una riduzione dei consumi solo se adeguatamente impostate e regolate; va da sé che la parte, molto importante, di regolazione dell’impianto termico al primo avvio, dovrà essere effettuata da personale preparato e formato non solo sulla parte termoidraulica ma anche su quella elettrica ed elettronica. Geotermia La geotermia applicata su ampia scala prevede l’utilizzo di energia primaria proveniente direttamente dal sottosuolo, sfruttando il vapore che si forma in particolari condizioni geologiche, mettendo in movimento delle turbine per la produzione di energia elettrica ed utilizzando per teleriscaldamento il calore residuo. Da alcuni anni è possibile riprodurre questo processo in applicazioni di ridotte dimensioni, tramite l’utilizzo del calore presente nel sottosuolo ed ottenendo in cambio riscaldamento in bassa temperatura in inverno e climatizzazione nella stagione estiva. Va subito specificato che questa tecnologia funziona bene in case, condomini e piccoli capannoni industriali, purché siano costruiti con criteri di edilizia a risparmio energetico, con basse dispersioni di calore verso l’esterno. L’impianto richiede l’inserimento di una sonda di scambio con il sottosuolo (in genere vengono richieste alcune decine di metri, poiché il calore qui presente è assunto come costante durante tutto l’anno). Le sonde funzionano in collaborazione con una pompa di calore che permette di estrarre il calore necessario (in bassa temperatura, intorno ai 20-30°C) nella stagione invernale ed il fresco nella stagione estiva, distribuendoli all’interno dell’abitazione tramite dispositivi termoidraulici ad elevata efficienza (riscaldamento a pavimento, ventilconvettori, ecc.). Anche in questo caso, come in altre tecnologie già citate, a fronte di un esborso iniziale per la realizzazione dell’impianto, è possibile ottenere un elevato risparmio in bolletta negli anni a seguire ed un aumentato comfort abitativo. Il sistema è ecosostenibile per quanto riguarda il consumo delle risorse energetiche, mentre per l’impatto sul territorio deve essere condotto uno studio specifico in loco per evitare problematiche di tipo geologico; per ovviare a questo inconveniente stanno nascendo dei sistemi di scambio che prevedono la costruzione di silos contenenti materiale poroso e posti a pochi metri di profondità (termo pozzi) inserendo le sonde di scambio al loro interno; l’efficacia di questo sistema è parificabile alle installazioni in profondità. 85 Frigoria Peculiarità della figura professionale In ottemperanza agli impegni presi con il protocollo di Kyoto, l’UE ha tracciato il percorso di riduzione dei gas serra con tappe precise e ben definite fino al 2020 (sono in discussione i parametri di riferimento per gli anni successivi). Quando si parla di gas serra si è soliti pensare alla ormai ben nota CO2, tuttavia i gas fluorurati usati nel campo della frigoria rientrano nell’elenco delle sostanze chimiche da contenere e non smaltire in aria libera, proprio perché anch’esse contribuiscono all’effetto serra. Anche se i quantitativi in gioco non raggiungono i livelli riguardanti la CO2,va sottolineato che il potenziale specifico di questi gas ha effetti ben più evidenti (fino a 20000 volte) rispetto alla CO2 stessa; in altre parole, pur con minori quantità di gas dispersi, gli effetti sul clima possono diventare molto evidenti. Il Parlamento europeo ed il Consiglio, con regolamento CE n° 842/2006 riguardante i cosiddetti F-gas (in vigore dal 4 luglio 2007), hanno stabilito dei criteri di gestione di questi gas dal momento della loro produzione, per tutto il loro ciclo di vita e fino alla loro dismissione o distruzione, con particolare riguardo agli impianti che li conterranno ed alle persone ed aziende che dovranno manipolarle. Le Nazioni appartenenti all’UE hanno recepito le normative con tempistiche diverse: l’Italia lo ha fatto con il DPR 43/2012, che prevede controlli obbligatori per tutti gli impianti che contengono più di 3 Kg di F-gas, impiego di aziende e relativo personale certificati previo accertamento dei requisiti con formazione e successivo esame di abilitazione. Durante il 2013, dopo iscrizione a registro, gli installatori, con tempistiche diverse a seconda del loro grado di operatività, hanno dovuto provvedere alla loro certificazione ottenendo al termine delle verifiche il cosiddetto “patentino frigorista”, che permette loro di continuare ad operare nel settore; anche le imprese devono d’ora in poi seguire un iter di certificazione che monitorerà, con controlli e documentazioni rinnovabili di anno in anno, l’attività, il personale, il trattamento, lo stoccaggio ed il corretto smaltimento dei gas fluorurati utilizzati negli impianti di loro competenza (installazione, manutenzione, riparazione, dismissione). A livello normativo il patentino F-gas costituisce il primo riconoscimento ufficiale dato a questa categoria professionale, che precedentemente poteva operare in virtù dei requisiti riconosciuti dalla Camera di Commercio a seconda dell’impiego nella parte di impianto a vocazione elettrica piuttosto che a quella termoidraulica. Questo sottosettore tecnologico, oggi in piena espansione poiché si trova ad operare sia in campo civile (condizionamento degli edifici), che industriale (stoccaggio e conservazione delle derrate alimentari), che dell’automotive (climatizzatori posti sui veicoli), ricopre notevole importanza per il settore energia per svariati motivi: prima di tutto, come appena citato, per i grandi numeri che sta esprimendo in termini di fatturato ed installazione; in secondo luogo perché interessa i settori 86 elettrico e termoidraulico allo stesso tempo e, quindi, rientra a pieno titolo negli ambiti di primario interesse del settore stesso; in ultimo, considerando i consumi energetici degli impianti di refrigerazione e la pericolosità per l’ambiente dei gas utilizzati, riguarda le basi fondanti su cui poggia il settore energia, cioè la sostenibilità ambientale e la corretta gestione delle risorse naturali. Impianti tecnologici La building automation: domotica finalizzata al risparmio energetico ed alla gestione integrata degli impianti. La cosiddetta “automazione degli edifici” prevede di coordinare e gestire più elementi impiantistici all’interno delle moderne abitazioni. La creazione di sistemi intelligenti, in grado di far funzionare e dialogare tra loro più componenti tecnologici dell’abitazione, ha permesso di ottimizzare dal punto di vista della sicurezza e della comodità la fruizione degli spazi a destinazione residenziale, commerciale, turistica ed in alcuni casi industriale. Per molti anni la domotica ha risentito degli elevati costi di installazione (soprattutto legati ai materiali in uso) stentando nel “decollo” e restando piuttosto ai margini rispetto all’impiantistica elettrica ed elettronica di tipo tradizionale. Oggi si assiste alla differenziazione della domotica per tipologie di destinazione d’uso, per cui variano componenti e costi a seconda della realtà in cui si troveranno ad operare. In questo contesto si inserisce la domotica finalizzata al risparmio energetico, che coordina una serie di elementi impiantistici collegati tra loro da linee BUS, ovvero in grado di trasmettere segnali di comando specifici e programmabili, attraverso interfacce personalizzate e ritagliate sulle esigenze della singola utenza. L’utilizzo della building automation per risparmio energetico porta due vantaggi fondamentali: • il primo riguarda la programmazione puntuale di una serie di funzioni che sarebbe impossibile gestire manualmente ed in maniera ripetitiva (si pensi all’azionamento dei sistemi di riscaldamento, condizionamento, ventilazione, impianto di illuminazione ed al loro successivo spegnimento). Oltre a ciò va considerata la movimentazione parziale o totale di elementi in grado di modificare la luce ed il riscaldamento/raffrescamento all’interno dell’edificio (a titolo di esempio possiamo citare tapparelle, veneziane, tende oscuranti, ecc.) i quali, azionati in tempi e modi ben precisi a seconda delle condizioni climatiche esterne, possono modificare la quantità di energia elettrica e termica necessarie a mantenere il comfort all’interno della struttura. • Il secondo riguarda la complessità delle interazioni tra gli impianti presenti nell’edificio: solamente con un sistema elettronico, in grado di confrontare molteplici parametri di funzionamento rilevati tramite sensori e sonde (temperatura, umidità, luce, scorrere del tempo) è possibile ottimizzare i consumi, 87 senza sovrapposizione di più elementi che assorbono energia in maniera casuale e non coordinata, permettendo anche in questo caso un risparmio finale nei consumi elettrici e termici. Le ultime novità promettono, inoltre, l’integrazione della parte impiantistica “a consumo” con eventuali impianti di produzione di energia a fonte rinnovabile installati a corredo dell’abitazione (impianto fotovoltaico, solare termico, mini eolico, mini idroelettrico, mini geotermico ecc.). È necessario inoltre sottolineare che i vantaggi portati dalla building automation in campo impiantistico civile, risultano molto più evidenti all’interno di strutture che ospitano attività turistico-alberghiere (soprattutto per l’aumento di situazioni reali di funzionamento e di parametri fisici da confrontare tra loro). Edilizia (struttura) Corretta coibentazione degli edifici di tipo tradizionale e di edifici ad edilizia innovativa a risparmio energetico. Le nozioni necessarie alla figura professionale in campo energetico ai fini di una corretta operatività, riguardano in primo luogo le strutture edili di tipo classico, ovvero realizzate in muratura, ed in secondo luogo, considerate le prospettive di espansione, le strutture realizzate con materiali naturali ed ecosostenibili. Si è già fatto cenno all’aspetto normativo che impone la realizzazione di edifici con precisi criteri di risparmio energetico e di sicurezza. Chiunque operi all’interno di edifici che rispondono ad una classe energetica dichiarata e certificata (sia in fase di costruzione che di ristrutturazione o manutenzione) deve prestare attenzione alle modifiche strutturali che apporta e deve avere cura nel ripristino di eventuali discontinuità superficiali (canaline, sottotraccia, fori, ecc.) delle pareti dell’edificio stesso. In altre parole, l’installatore che interviene sulla struttura per installare elementi di impianto e connessioni di vario genere, deve realizzare il ripristino ottimale della stessa, per evitare ponti termici, spifferi, fughe di calore, formazione di condense; per poterlo fare deve conoscere la struttura e saper leggere schemi e disegni realizzati in fase progettuale. Inoltre, operando su edifici di nuova concezione (case passive, case realizzate con materiali naturali) si deve prestare maggiormente attenzione, in quanto il corretto “funzionamento” dell’edificio, sempre finalizzato al risparmio energetico, passa soprattutto attraverso la continuità e l’integrità dell’involucro esterno. Impianti per biomasse Corretta gestione dei rifiuti, in particolare dell’umido. Partendo dalla corretta gestione dei rifiuti, che richiede la differenziazione e soprattutto la divisione tra materiale organico ed inorganico, è possibile ottenere quantitativi considerevoli di biomassa, ovvero di scarti organici provenienti dai ri88 fiuti urbani; un’altra strada è quella dei rifiuti provenienti dalla biomassa di tipo agricolo: in entrambi i casi gli scarti possono essere destinati direttamente al compostaggio per l’utilizzo come fertilizzanti per l’agricoltura. Se, al contrario, si passa attraverso la digestione anaerobica dei rifiuti, che consiste nella fermentazione della biomassa in assenza di ossigeno all’interno di cupole atte allo scopo, è possibile ottenere il biogas, costituito principalmente da metano, che sarà poi utilizzato per alimentare dei sistemi combinati (cogenerazione) in grado di produrre energia elettrica e termica (gli scarti residui potranno comunque essere destinati al compostaggio). Utilizzo degli scarti di lavorazione dell’industria del legno La massa legnosa proveniente dai sottoprodotti dell’industria di lavorazione del legno può essere destinata alla produzione di pellets o cippato (scaglie legnose), utili ad alimentare piccole caldaie domestiche, che in questi anni stanno ottenendo un discreto successo, soprattutto grazie al basso costo del combustibile; esistono anche centrali a biomassa di medie e piccole dimensioni che utilizzano cippato per produrre energia elettrica e calore per teleriscaldamento. Una interessante applicazione brevettata alcuni anni orsono in Austria prevede la “gassificazione” del legno in un apposito macchinario, ottenendo un biogas del tutto simile a quello ricavato dai rifiuti organici urbani ed agricoli, utilizzando il quale si alimentano caldaie all’interno di centrali che sono in grado di sviluppare energia elettrica e termica (Sole, vento, alberi, le fonti energetiche pulite – RAI 3, Presa Diretta trasmissione del 07-03-2010). Risvolti positivi per l’ambiente I sistemi precedentemente descritti dimostrano come, applicando correttamente la gestione integrata dei rifiuti, è possibile ridurre il carico totale da smaltire, ottenendo in cambio energia. Va sottolineato che il carico di CO2 apportato dalla combustione di tutte le biomasse è pressoché pari a zero, poiché il loro utilizzo sviluppa anidride carbonica fissata dai vegetali, che sarebbe comunque andata in libera atmosfera anche con smaltimento inappropriato in discarica (con la combustione viene almeno recuperato il potenziale energetico accumulato durante la crescita della pianta). Un altro aspetto importante di questa tecnologia è l’elevato livello di automazione richiesto (sia in fase di controllo che in fase di gestione) che coinvolge tecnici ed operatori, i quali devono essere formati prima e durante la loro vita professionale. Il livello di preparazione richiesto è necessario nelle fasi di installazione dell’impianto, ma anche durante le riparazioni e soprattutto durante il monitoraggio (in particolare della combustione), indispensabile per mantenere l’intero processo entro i limiti di emissioni inquinanti previsti dalle normative di legge. 89 La raccolta differenziata dei rifiuti Recupero materiali di scarto delle lavorazioni-processi È necessario introdurre l’argomento della raccolta differenziata, poiché in questi anni si è molto parlato di riciclo dei rifiuti, ma in troppe realtà nazionali non si è passati alle vie di fatto; in altre parole, in questo momento storico, grazie alle politiche di informazione puntuali, tutti sanno ormai come conferire correttamente i rifiuti, ma pochi lo fanno realmente (i motivi sono molteplici e vanno dalla pigrizia, alla scarsa sensibilità ambientale, alla mancata percezione dei benefici che una efficace raccolta differenziata può portare all’ambiente ed all’economia). A fianco dello smaltimento in ambito civile/urbano va sottolineata l’importanza delle corretta gestione dei rifiuti derivanti dai processi industriali (imballaggi, sottoprodotti, scarti, ecc.). Questa tipologia di rifiuti, che comprende anche quelli pericolosi da gestire con corretto smaltimento in discariche controllate, è quantitativamente rilevante e qualitativamente preziosa. Nel paragrafo relativo alle biomasse si è visto come gli scarti di alcune tipologie di rifiuti possano diventare fonti di energia; in molti altri casi, soprattutto quando si tratta di imballaggi, che costituiscono una parte consistente del carico totale di rifiuti prodotti dall’industria in genere, è possibile avviare al recupero il materiale scartato, il quale diventa materia prima di qualità per molte altre applicazioni (si pensi al vetro, alla carta, ai metalli, a numerose materie plastiche). In questa ottica è necessario rinnovare la sensibilità ambientale, seguendo l’esempio di realtà che, applicando correttamente i criteri base della raccolta differenziata (si pensi ad alcune città del Nord Italia che hanno creduto in queste politiche), hanno ormai superato il 75% della quota di differenziata sul totale conferito. Una leva importante a sostegno dello smaltimento differenziato può essere quella economica, apportando vantaggi ed agevolazioni per chi (privato o azienda) dimostra di collaborare attivamente ed efficacemente; anche in questo caso, le realtà sul territorio citate in precedenza hanno ottenuto i risultati attuali informando puntualmente i cittadini e le imprese e creando dei meccanismi che premiano, con risparmio in bolletta, coloro i quali conferiscono il minor quantitativo possibile nella frazione indifferenziata. Le ricerche dell’Unione europea Il Cedefop (Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale) nella Nota informativa n. 9067 del 2012 ha proposto i risultati di uno studio sui fabbisogni di competenze e sulla formazione nel contesto europeo, comprendendo anche l’Italia. Si tratta di uno studio di notevole interesse in riferimento alle finalità della presente Linea guida. L’ambito di ricerca prevede la selezione di nove figure professionali provenienti da vari settori e con diversi livelli di competenza: 90 Tipologia Figure professionali Altamente qualificato Ingegnere esperto nelle nanotecnologie Ingegnere ambientale Mediamente qualificato Certificatore energetico Ispettore nel settore delle emissioni dei veicoli adibiti al trasporto Addetto ai trattamenti di isolamento Elettricista Installatore di impianti solari fotovoltaici Lattoniere Scarsamente qualificato Operatore addetto alla raccolta dei rifiuti o al riciclaggio Sono rilevanti, per il nostro ambito di intervento, tutte le figure mediamente qualificate. Sono stati presi in esame otto Stati membri dell’UE, che riflettono diverse fasi dello sviluppo di economie sostenibili ed efficienti dal punto di vista delle risorse: Germania, Grecia, Italia, Ungheria, Paesi Bassi, Slovacchia, Finlandia e Regno Unito. Circa i fabbisogni professionali, emerge una prospettiva positiva per Germania, Finlandia e Regno Unito che prevedono un aumento futuro del numero di posti di lavoro nella quasi totalità delle figure professionali considerate. È previsto in particolare in quasi tutti gli otto Paesi dello studio un aumento della domanda di certificatori energetici, elettricisti, installatori di impianti solari fotovoltaici, lattonieri e addetti ai trattamenti di isolamento, anche se con un andamento difforme tra Paese e Paese. Gli incentivi in Grecia e da noi hanno sensibilizzato i cittadini relativamente ai vantaggi del clima mediterraneo per l’utilizzo dell’energia solare. Ma si ritiene che i cambiamenti legislativi nei Paesi Bassi e nel Regno Unito ridurranno la domanda di certificatori energetici, di installatori di impianti solari fotovoltaici e addetti ai trattamenti di isolamento. In genere, l’offerta formativa per le nove figure professionali esaminate è considerata adeguata e particolarmente forte in Germania, Paesi Bassi e Finlandia. Ma ciò riflette un pensiero poco lungimirante: la crisi economica, infatti, ha ridotto la pressione sulla domanda energetica e ha colpito in modo severo il settore edile, riducendo la domanda, ad esempio, di certificatori energetici, ingegneri ambientali, addetti ai trattamenti di isolamento ed elettricisti. Di conseguenza, la carenza di competenze potrebbe essere soltanto nascosta ed emergere in modo più accentuato quando gli indicatori della ripresa saranno più evidenti. In effetti, è questo il punto centrale di ogni previsione in tema di fabbisogni professionali e formativi nel settore energetico: non è chiaro in che modo l’offerta formativa potrà essere adeguata alla ripresa della domanda. Ma risulta accentuato il fenomeno dell’età avanzata degli addetti in questo settore, di modo che il loro vicino pensionamento porterà ad una mancanza di giovani 91 disposti e capaci di sostituirli. Anche in quest’ambito, risulta infatti difficile attrarre i giovani verso i lavori pratici e manuali. È interessante il rilievo emergente circa i deficit in termini di competenze pratiche e specifiche rispetto a quelli riscontrati nelle competenze generiche. In particolare, i datori di lavoro manifestano l’esigenza che l’Istruzione e Formazione Professionale iniziale fornisca un bagaglio di competenze di base migliore e più solido. Taluni datori di lavoro, ad esempio in Italia, nei Paesi Bassi e nel Regno Unito, hanno espresso la preferenza per una maggiore enfasi sulle conoscenze pratiche e contestuali rispetto a quelle generali. Sono state messe in atto diverse strategie per ovviare a tali carenze: – la Germania ha elaborato un piano per attrarre un numero maggiore di giovani verso tali occupazioni; – Italia e Regno Unito hanno rilevato una certa resistenza da parte di una quota di lavoratori nel partecipare alle attività formative offerte; – nel Regno Unito i datori di lavoro si mostrano più propensi ad assumere nuovi dipendenti competenti e ad aumentarne i salari, piuttosto che a formare il personale in servizio. Ma, complice la crisi, per ora nella maggior parte dei Paesi, i datori di lavoro preferiscono puntare ancora sulla formazione del personale esistente o ed “arrangiarsi” in qualche modo, piuttosto che procedere a nuove assunzioni. Il rapporto di ricerca indica un altro elemento critico dell’intero settore, un fattore che sta alla base anche della nostra proposta: «La molteplicità dei percorsi di ingresso, l’eterogeneità dei livelli di qualifica e il riconoscimento insufficiente delle competenze acquisite mediante un apprendimento non formale o informale rappresentano ulteriori limitazioni alla mobilità dei lavoratori verso occupazioni ecologiche ». Ciò motiva l’esigenza di porre ordine all’offerta formativa legata all’ambito energetico ed ecologico. Da questo punto di vista «la lenta evoluzione delle nuove qualifiche rappresenta un problema in paesi quali Grecia, Italia e Regno Unito. In tale contesto, i responsabili della formazione restano “in attesa di ulteriori sviluppi”, per nulla disposti ad assumersi rischi». La recente Nota informativa 9079 dello stesso Cedefop riguardante le Competenze professionali per vincere la sfida dei cambiamenti climatici in Europa22, comprende anche un capitolo relativo alle sfide aperte e il ruolo delle politiche formative, nel quale si legge che: «Lo sviluppo di politiche per l’istruzione e la formazione professionale in grado di sostenere un’economia a basse emissioni di gas serra richiede tuttavia di affrontare alcune sfide importanti». Ma diversi fattori rendono difficile sia per i governi sia per gli specifici settori economici la pianificazione di investimenti ed un’offerta di Formazione Professionale adeguata a tali ne- 22 http://www.cedefop.europa.eu/EN/Files/9079_it.pdf 92 cessità. Nonostante ciò, occorre insistere nell’elaborare nuove politiche di formazione adeguate e innovative. «Ad oggi molti paesi europei hanno compiuto progressi limitati nell’individuare il fabbisogno di competenze per un’economia a basse emissioni di gas serra e nell’integrare tale conoscenza in politiche di istruzione e formazione coerenti». Vengono citati alcuni esempi di strategie nazionali integrate per lo sviluppo delle competenze professionali “verdi”: Francia, Austria e Regno Unito. Il punto centrale del successo di tali strategie per favorire una riduzione delle emissioni viene individuato nella «disponibilità di una forza lavoro qualificata. La carenza di competenze limita lo sviluppo di tecnologie e servizi a basse emissioni e l’attuazione di politiche energetiche sostenibili. È quindi necessario che siano messi in campo tutti gli strumenti utili per promuovere una maggiore consapevolezza e comprensione del fabbisogno di competenze professionali richieste sia per la nuova occupazione che per l’adeguamento della manodopera esistente». Ed è ciò che si intende perseguire con la presente Linea guida. A giugno usciranno: Cedefop: Skills for a low-carbon Europe: role of vocational education and training in a sustainable energy scenario [Competenze per un’Europa a basse emissioni di carbonio: il ruolo dell’istruzione e formazione professionale in uno scenario energetico sostenibile] Mappa delle famiglie e figure professionali per competenze essenziali TITOLO FIGURA PROFESSIONALE SPECIALIZZAZIONE DI ISTRUZIONE E FORMAZIONE TECNICA Esperto di gestione energetica SUPERIORE (IFTS) Esperto di bioedilizia DIPLOMA IeFP Tecnico energetico QUALIFICA IeFP Operatore energetico 93 Profili per competenze Figura di qualifica triennale 94 95 96 97 98 Figura di diploma quadriennale 100 101 102 103 104 105 Il monte ore totale previsto dal percorso di Istruzione e Formazione Professionale è normalmente di 4200 ore. Lo stage ed il project work sono svolti di norma in forma individuale o di piccolo gruppo all’interno del quale sia riconoscibile il contributo del singolo allievo. Tramite i LARSA è possibile eseguire il recupero e lo sviluppo degli apprendimenti per superare lacune, carenze o criticità degli allievi, rafforzandone i punti di forza ed affinandone la preparazione complessiva. La valutazione delle modalità e tempistiche di erogazione di questi percorsi è affidata all’equipe formativa che segue il gruppo classe. Vincoli e risorse I vincoli e le risorse si riferiscono a materiali, attrezzature, dispositivi e tecnologie utilizzati durante le attività di laboratorio e di stage e project work, indispensabili per la realizzazione ed il buon esito del percorso formativo. Si elencano di seguito le attrezzature divise per tipologie di attività; per quanto concerne le dotazioni dei laboratori tecnico-professionali vengono indicate anche quelle necessarie per la realizzazione di singole UdA illustrate nella sezione dedicata. Gestione del modello formativo per qualifiche e diplomi Quadro orario per qualifica e diploma 106 1) Dotazioni del laboratorio di informatica e di comunicazione 2) Dotazioni dei laboratori tecnico-professionali 107 (Segue) 108 (Segue) 109 3) Stage / project work Aspetti organizzativi Il percorso formativo esposto in queste linee guida è stato pensato seguendo un andamento “a ritroso”, cioè partendo dai risultati di apprendimento da raggiungere al termine del quarto anno, risalendo al triennio e procedendo in questo modo fino al primo anno (dovrà essere impostata una prova esperta al termine del secondo anno per valutare le competenze dell’obbligo di istruzione). La gestione di questo tipo di impostazione richiede una forte collaborazione tra i formatori delle diverse aree, focalizzando sempre l’attenzione sul rapporto tra i saperi essenziali e le prestazioni attese. L’intero percorso dovrà inoltre essere arricchito con visite tecniche, partepazione a convegni e fiere specialistiche e fruizioni di informazioni ottenute anche con la collaborazione in prima persona di esperti provenienti dal mondo del lavoro. 110 Si è quindi pensato ad una impostazione per risultati di apprendimento, dove i saperi vengono acquisiti tramite l’assolvimento di compiti specifici e la soluzione di problematiche, giungendo ad una effettiva padronanza dei concetti. In altre parole, la frequenza continuativa dei laboratori viene preparata con l’ausilio della teoria sviluppata su più unità formative, tendenti ognuna a richiedere la soluzione di problematiche, per l’assolvimento delle quali è necessario un coinvolgimento assiduo dell’allievo, così stimolato a conquistare il sapere. Da ciò ne deriva che le valutazioni saranno effettuate rilevando ciò che l’allievo “sa fare”, attraverso le conoscenze e le abilità acquisite, svolgendo compiti ben precisi che richiedano il superamento di difficoltà ad essi associate. Si sottolinea inoltre l’importanza del ruolo che le aziende partner (sia del territorio che extraterritoriali) hanno per il successo dell’azione formativa, costituendo un elemento di confronto continuativo con la realtà del mondo del lavoro, oltre che lo sbocco naturale di tutti i percorsi di formazione realizzati. Per ottimizzare questo tipo di impostazione la presenza del docente tutor che contatta e segue le aziende ed accompagna gli allievi nei percorsi di stage, project work e tirocini, diventa di fondamentale importanza. Nella sezione che seguirà vengono sviluppate 20 UdA (5 per ogni annualità), strutturate secondo la logica sopra esposta; ognuna contiene dei “suggerimenti” per la corretta preparazione e somministrazione durante un periodo preciso dell’anno formativo. A corredo di ognuna sono riportate le modalità esecutive, con le risorse di laboratorio indispensabili per il loro sviluppo, gli allegati tecnici ed in molti casi sono presenti indicazioni per auto costruire alcuni elementi di base dell’UdA (in questo modo, oltre a risparmiare preziose risorse, si ottiene un coinvolgimento ancora maggiore dei ragazzi). All’interno degli allegati di tutte le UdA (che come si potrà riscontrare hanno carattere multidisciplinare, seguendo in ciò la filosofia dell’intera linea guida) viene fornito lo schema da seguire per creare la valutazione della prova, che è assolutamente personalizzabile. Un’ultima annotazione viene fatta richiamando la possibilità di svolgere una o più UdA senza seguire alcuno schema prefissato, adattando il percorso formativo in funzione del livello della classe, delle scelte effettuate dal corpo docenti, oppure semplicemente in virtù delle possibilità offerte dalle attrezzature, apparecchiature e tecnologie dei laboratori. Proposta di percorso formativo e di UdA significative di tipo Professionalizzante Unità di apprendimento per il primo anno N UNITÀ DI APPRENDIMENTO 1 Impianto elettrico civile con presa interrotta e lampada invertita. 2 Impianto idrico-sanitario comprensivo di lavabo, piatto doccia, bidet e WC. 3 Costruzione cavalletto di sostegno per motocicletta. 4 Impianto di illuminazione comandato da interruttori crepuscolari. 5 Costruzione fornello da campeggio ad energia solare. 111 112 (Segue) 113 (Segue) 114 Allegato 1 115 Allegato 2 Allegato 3 117 Allegato 4 118 119 (Segue) 120 (Segue) 121 Allegato 1 122 Allegato 2 123 Allegato 3 124 Allegato 4 Scheda di Valutazione – U.d.A Corso: __________________________________ Allievo: __________________________________ 125 126 (Segue) 127 (Segue) 128 Allegato 1 – Disegno complessivo 129 Allegato 2 – Basamento 130 Allegato 3 – Gruppo leva 131 Allegato 4 – Pedana superiore 132 Allegato 5 – Particolare vaschetta 133 Allegato 6 – Particolare basamento 134 Allegato 7 – Particolare boccola 135 Allegato 8 – Particolare leva 136 Allegato 9 – Particolare perno per rotella 137 Allegato 10 – Particolare rotella 138 Allegato 11 – Particolare piastrina 139 Allegato 12 – Particolare perno per la leva 140 Allegato 13 – Particolare guida 141 Allegato 14 – Particolare appoggio superiore esterno 142 Allegato 15 – Particolare lamiera di appoggio 143 Allegato 16 – Particolare guida esterna 144 Allegato 17 – Particolare distanziatore 145 Allegato 18 Scheda di Valutazione – U.d.A Corso: __________________________________ Allievo: __________________________________ 146 147 (Segue) 148 (Segue) 149 Allegato 1 150 Allegato 2 151 Allegato 3 152 153 (Segue) 154 (Segue) 155 Allegato 1 Scheda di Valutazione – U.d.A Corso: __________________________________ Allievo: __________________________________ 156 Unità di apprendimento per il secondo anno N UNITÀ DI APPRENDIMENTO 1 Impianto elettrico civile domotico per controllo carichi elettrici. 2 Impianto di riscaldamento ad irraggiamento da pavimento. 3 Costruzione piccolo serbatoio di accumulo con scambiatore di calore interno. 4 Costruzione piccolo collettore solare in rame saldo-brasato. 5 Impianto elettrico indutriale con azionamento motori tramite teleruttori. 157 158 (Segue) 159 Allegato 1 160 161 Allegato 2 Scheda di Valutazione – U.d.A 162 163 (Segue) 164 (Segue) 165 Allegato 1 Sezione tipo di pavimentazione radiante con sistema a massetto su isolamento di sughero Schema in pianta dei circuiti di una pavimentazione radiante Posa delle tubazioni sull’isolamento e fissaggio mediante clips 166 Allegato 2 Realizzazione del circuito previsto a progetto Collegamento delle tubazioni al collettore 167 Allegato 3 Scheda di Valutazione – U.d.A Corso: __________________________________ Allievo: __________________________________ 168 169 (Segue) 170 (Segue) 171 Allegato 1 – Disegno complessivo 172 Allegato 2 – Disegno serbatoio saldato 173 Allegato 3 – Disegno tappo + serpentina 174 Allegato 4 – Disegno fondo forato 175 Allegato 5 – Disegno virola 176 Allegato 6 – Disegno flangia 177 Allegato 7 – Disegno piede 178 Allegato 8 Scheda di Valutazione – U.d.A Corso: __________________________________ Allievo: __________________________________ 179 180 (Segue) 181 (Segue) 182 Allegato 1 183 Allegato 2 184 Allegato 3 Scheda di Valutazione – U.d.A Corso: __________________________________ Allievo: __________________________________ 185 186 (Segue) 187 (Segue) 188 Allegato 1 189 Allegato 2 190 Allegato 3 Scheda di Valutazione – U.d.A Corso: __________________________________ Allievo: __________________________________ 191 Unità di apprendimento per il terzo anno N UNITÀ DI APPRENDIMENTO 1 Impianto fotovoltaico stand alone. 2 Impianto solare termico con collettore e serbatoio auto-costruiti. 3 Costruzione isola di simulazione di impianto di building automation. 4 Costruzione misuratore di temperatura ed umidità. 5 Carico, scarico e manutenzione di impianto contenente gas refrigeranti. 192 193 (Segue) 194 (Segue) 195 Allegato 1 Moduli fotovoltaici Allegato 2 Regolatore di Carica 196 Allegato 3 Le batterie Allegato 4 Inverter 197 Allegato 5 198 Allegato 3 Scheda di Valutazione – U.d.A Corso: __________________________________ Allievo: __________________________________ 199 200 (Segue) 201 (Segue) 202 Allegato 1 203 Allegato 2 204 Allegato 3 – Esempio di tabella di valutazione 205 206 (Segue) 207 Allegato 1 Scheda tecnica attuatore tapparelle 208 209 Scheda tecnica attuatore Fan Coil 210 211 Scheda tecnica termostato ambiente 212 213 Allegato 2 Scheda di Valutazione – U.d.A 214 215 (Segue) 216 (Segue) 217 Allegato 1 Circuito in funzione (Fonte: CFP Manfredini di Este) Allegato 2 Schema di montaggio del sensore DHT 11 (Fonte: CFP Manfredini di Este) 218 Allegato 3 Piedinatura e collegamenti del sensore DHT11 (Fonte: CFP Manfredini di Este) 219 Allegato 4 Scheda di Valutazione – U.d.A Corso: __________________________________ Allievo: __________________________________ 220 221 (Segue) 222 (Segue) 223 Allegato 1 Allegato 2 - CARICO GAS (impianto nuovo e scarico) 224 Allegato 3 Scheda di Valutazione – U.d.A Corso: __________________________________ Allievo: __________________________________ 225 Unità di apprendimento per il quarto anno N UNITÀ DI APPRENDIMENTO 1 Costruzione lampioncino fotovoltaico. 2 Costruzione centralina fotovoltaica per ricarica smartphone via USB. 3 Costruzione di isole di simulazione per test di verifica del grado di isolamento di diversi materiali usati in edilizia. 4 Istallazione impianto termo-fotovoltaico. 5 Impianto fotovoltaico ad isola per alimentazione di mini-impianto solare (pompa e centralina). 226 227 (Segue) 228 (Segue) 229 Allegato 1 – (Disegnato dagli allievi dei corsi per adulti del CFP di Vigliano Biellese) 230 Allegato 2 – (Disegnato dagli allievi dei corsi per adulti del CFP di Vigliano Biellese) 231 Allegato 3 – Lampione solare (tipologia 1). Realizzato ed istallato presso il CFP di Vigliano Biellese 232 Allegato 4 – Lampione solare (tipologia 2). Realizzato ed istallato presso il CFP di Vigliano Biellese 233 Allegato 5 Scheda di Valutazione – U.d.A Corso: __________________________________ Allievo: __________________________________ 234 235 (Segue) 236 (Segue) 237 Allegato 1 Semilavorato grezzo utilizzabile come supporto per modulo fotovoltaico, provvisto di vano per alloggiamento batterie ed elementi ausiliari dell’impianto. 238 Allegato 2 Vista posteriore e particolare dell’interno del semilavorato utilizzabile come supporto per l’impianto. 239 Allegato 3 Sequenza di collegamento e vista del regolatore di carica. (Fonte: scheda tecnica Steca Solariz PRS) 240 Allegato 4 Scheda di Valutazione – U.d.A Corso: __________________________________ Allievo: __________________________________ 241 242 (Segue) 243 (Segue) 244 Allegato 1 Test al tempo 0 temperatura del materiale isolante pari alla temperatura ambiente. (Fonte: http://naturaliabau.wordpress.com2010/04/07/coibentazione/) Misurazione della temperatura del materiale dopo essere stato esposto alla radiazione infrarossa per intervallo di tempo di 6 minuti. (Fonte: http://naturaliabau.wordpress.com2010/04/07/coibentazione/) N.d.r. lo schema potrebbe essere modificato con il posizionamento del pannello isolante in posizione rialzata per creare una cavità inferiore in cui inserire una ulteriore sonda di temperatura. 245 Allegato 2 Confronto delle proprietà di differeti materiali da costruzione (isolanti) . (Fonte: http://naturaliabau.wordpress.com2010/04/07/coibentazione/) 246 Allegato 3 Scheda di Valutazione – U.d.A Corso: __________________________________ Allievo: __________________________________ 247 248 (Segue) 249 (Segue) 250 Allegato 1 Configurazione termica di un impianto con moduli termo fotovoltaici. (N.B.: la parte di schema delimitata dal tratteggio nero non fa parte dell’esercitazione). (Fonte: Scheda tecnica modulo termofotovoltaico “Twinsun” prodotto da Eclipse Italia) 251 Allegato 2 Particolare di tubo di connessione parte termica del modulo. È possibile utilizzare l’innesto rapido in dotazione; in alternativa, per rendere più significativa l’esercitazione è possibile connettere l’ingresso e l’uscita del tubo contenente il liquido di raffreddamento alle relative tubazioni in rame tramite bicchieratura e saldobrasatura. 252 Allegato 3 Scheda di Valutazione – U.d.A Corso: __________________________________ Allievo: __________________________________ 253 254 (Segue) 255 (Segue) 256 Allegato 1: Esempio di relazione tecnica e progetto esecutivo (da per programmare l’esercitazione in laboratorio energie rinnovabili). Relazione tecnica. Progetto esecutivo Marco Ghelfi CNOS-FAP Vigliano Biellese 1. Specifiche generali • Finalità del progetto. Il presente progetto esecutivo riguarda la posa di un generatore di energia elettrica da fonte fotovoltaica del tipo “stand alone” della potenza di 500 Wp, controllato da un regolatore di carica per le batterie di accumulo. L’impianto, per mezzo di un inverter con uscita in corrente alternata, è in grado di alimentare un quadro di impianto per riscaldamento ed una pompa di ricircolo. • Specifiche del generatore fotovoltaico. La potenza nominale del generatore fotovoltaico, pari a 500 Wp è intesa come somma delle potenze di targa di ciascun modulo misurata in condizioni standard, le quali prevedono un irraggiamento di 1000 W/m2 con temperatura delle celle a 25 °C, secondo norme CEI EN 904/1-2-3. L’energia elettrica generata dal sistema fotovoltaico sarà accumulata, dopo essere passata attraverso un quadro di campo in cc ed un regolatore di carica da 24 Vcc, in 6 batterie da 12 Vcc a 150 Ah, collegate tra loro in serie due a due e poi in parallelo, per alimentare un inverter da 24 Vcc in entrata e 230 Vca in uscita a 500 W. Tale inverter, dopo il passaggio da un quadro di bassa tensione precablato, dovrà alimentare un quadro di impianto di riscaldamento ed una pompa di ricircolo di un collettore solare, garantendone il funzionamento anche in assenza di sole, per il tempo determinato dalla scarica delle batterie in dotazione. 2. Dati ambientali e dati dell’impianto • Analisi del sito, orientamento, esposizione. L’area su cui si prevede l’installazione dell’impianto si trova nel comune di Milano. Nelle tabelle di seguito riportate sono riassunti i principali dati climatici di interesse per l’installazione ed il funzionamento con rese ottimali dell’impianto progettato. Località: Milano Coordinate: 45° 27’ 50’’ Nord 9° 11’ 30’’ Est Inclinazione dei moduli: 30 gradi Orientamento dei moduli rispetto a sud: 0 gradi Coefficiente di riflessione del suolo: 0,2 Installazione: su tetto piano 259 – Opere da eseguirsi: • Posa in opera di n° 2 moduli fotovoltaici policristallini 250 w, potenza di picco 500 Wp (comprensivi di sistema di staffaggio), e tutto il necessario per dare l’opera finita perfettamente funzionante alla regola d’arte; in particolare: i moduli saranno messi in serie, le uscite dei cavi (di diametro pari a 6 mm2), saranno portate all’interno del quadro CC, in ingresso rispetto ad un sezionatore e ad uno scaricatore di sovratensione (che avrà uscita verso l’impianto di terra). • Posa in opera di regolatore di carica, con tensione nominale di 24 V cc e potenza max di 500 W; le uscite dal quadro cc, sempre con cavi di 6 mm2, dovranno essere connesse nei collegamenti previsti sul regolatore di carica (ingressi con polarità positiva e negativa). • Posa in opera di n° 6 batterie da 12 V cc e 150 Ah di scarica, con rendimento dell’85 %. • Il collegamento di tali batterie sarà in serie a due a due, le uscite saranno portate, sempre con cavi dello stesso diametro, in una scatola dove saranno connesse in parallelo all’ingresso dell’inverter, di tensione in ingresso 24 V cc a 500 W ed uscita a 230 V Ca a 500 W. • La connessione parallelo delle batterie-inverter sarà collegata con l’uscita del regolatore di carica. • Posa in opera del quadro di B.T. in CA composto da un portafusibili, un differenziale da Idn 30 mA ed un magnetotermico C16 che alimenterà una pompa di ricircolo ed un quadro di controllo impianto di riscaldamento. Il quadro di B.T. sarà alimentato dall’uscita dell’inverter ed il tutto sarà connesso utilizzando cavi del tipo N07V-K di diametro 4 mm2. Tutti i cavi, sia della parte CC che della parte CA saranno passati in canalizzazioni di diametro opportuno, fissate con ganci alle pareti. A completamento dell’opera dovrà essere prevista una messa a terra opportunamente dimensionata con cavo giallo-verde di diametro 16 mm2. 4. Verifiche eseguite prima della messa in servizio dell’impianto. – Generalità. Alla consegna dell’impianto l’installatore provvederà all’esecuzione delle verifiche di rispondenza alle disposizioni di Legge. Per la rispondenza alle Norme CEI, si eseguiranno le principali verifiche di collaudo indicate dalle norme CEI 64-8, come di seguito indicato. – Esame a vista. L’ispezione visiva ha lo scopo di accertare il rispetto delle prescrizioni delle norme generali e delle norme particolari, relative all’impianto. In particolare si accerterà la conformità normativa e la corretta installazione dei componenti costituenti l’impianto elettrico, accertando inoltre eventuali danneggiamenti occorsi durante l’installazione. 260 Si elencano inoltre le verifiche tecniche iniziali e quelle periodiche che dovranno poi essere eseguite a cura dell’utilizzatore dell’impianto. – Verifiche tecniche iniziali. • Verifica presenza della documentazione (dichiarazione di conformità DM 37/2008, progetto elettrico, schemi unifilari dei quadri elettrici,verifica di conformità della documentazione). • Elementi dell’impianto verificati (quadri elettrici, conduttori,connessioni, apparecchiature di protezione, impianto di dispersione, moduli fotovoltaici, inverter). • Esami a vista generali (verifica marchiature di legge, protezione da contatti accidentali, qualità, colori, marcature, dimensionamento e connessioni dei conduttori, protezioni contro sovraccarichi e cortocircuiti a norma, sezionamento dei circuiti, dimensionamento dell’impianto di terra). • Esami a vista specifici sull’impianto fotovoltaico (fissaggio dei pannelli, presenza o meno di danni ai pannelli, verifica integrità di ingressi cavi e morsettiere, idoneità targhe e marcature, tipo dei cavi in cc e loro connessioni con verifica di eventuali danni, verifica di corretta installazione e connessione di quadri e scatole di derivazione, controllo integrità dei fusibili, idoneità delle loro targhe e marcature, verifica di corretta installazione e funzionamento, nonchè di connessioni, ventilazione e idoneità di targhe e marcature dell’inverter, controllo della presenza di DICO conforme al DM 37/08, di progetto elettrico, di schemi unifilari e di documentazione tecnica adeguata per gli inverter). • Devono inoltre essere verificate alcune misure dei seguenti parametri: – Tensione a vuoto e a carico dei moduli con irraggiamento noto; – Corrente a vuoto e a carico dei moduli con irraggiamento noto; – Potenza nominale con irraggiamento noto; – Tensione, corrente e potenza a valle dell’inverter; – Valutazione delle perdite dal lato CC, verificando che la potenza a monte dell’inverter sia almeno l’85% della potenza nominale dei moduli moltiplicata per il rapporto tra l’irraggiamento misurato sul piano dei moduli e l’irraggiamento standard di 1000 W/m2; – Valutazione del rendimento dell’inverter, misurando la potenza in CC a monte dell’inverter e la potenza attiva in uscita ed eseguendone il rapporto; – Valutazione dell’efficienza operativa dell’impianto stand alone,verificando che la potenza in CA in uscita dall’inverter sia almeno il 75% della potenza nominale dei moduli moltiplicata per il rapporto tra l’irraggiamento misurato sul piano dei moduli, con precisione almeno del 3%, e l’irraggiamento standard di 1000 W/m2. • Verifiche tecniche periodiche. 261 Devono essere eseguite a cura del cliente, pena la decadenza della garanzia, le verifiche periodiche sui componenti dell’impianto con cadenza annuale. Tali verifiche sono le stesse eseguite all’atto della consegna dell’impianto da parte dell’installatore/verificatore. 5. Documentazione allegata. Si allegano al presente progetto esecutivo i seguenti documenti: • Schemi unifilari dell’impianto; • Modulo per la compilazione della Dichiarazione di Conformità; • Modulo standard per il verbale di verifica; • Manuali tecnico-operativi dei singoli componenti dell’impianto (inverter, regolatore di carica, batterie). 262 Allegato 2 A titolo di esempio si riporta lo schema unifilare di collegamento di un impianto ad isola con uscita in CA (Fonte: Schema kit fotovoltaico M320 di Helios Technology Spa) 263 Allegato 3 Nell’immagine è riportato un impianto solare termico completo di gruppo di alimentazione e pompa di ricircolo (al centro della foto), con eventuale isola di simulazione di impianto sanitario (a destra). (Laboratorio termoidraulico del CFP di Vigliano Biellese, sede staccata di Muzzano). 264 Allegato 4 Scheda di Valutazione – U.d.A Corso: __________________________________ Allievo: __________________________________ 265 Rubriche delle competenze 1. Produrre documentazione tecnica di appoggio, di avanzamento e valutativa relativa ad installazioni, uso e manutenzione 2. Identificare situazioni di potenziale rischio per la sicurezza, la salute e l’ambiente, adottando e suggerendo le opportune tecniche di prevenzione e monitoraggio 3. Reperire e sondare le necessità del cliente, coniugandole con le soluzioni tecniche esistenti nel campo degli impianti tecnologici e di building automation 4. Predisporre documentazione in base alle attività da eseguire ed ai materiali da utilizzare, stabilendo le esigenze di acquisto di materiali ed attrezzature seguendo le procedure di approvvigionamento 5. Condurre le fasi di lavoro, partendo dalla documentazione tecnica a disposizione, fornendo all’occorrenza suggerimenti utili al miglioramento o alla modifica del progetto iniziale 6. Padroneggiare l’ambiente dell’installazione, ovvero l’involucro che riveste i locali afferenti l’impianto tecnologico da installare con particolare riguardo ai nuovi materiali utilizzati in edilizia ed alla loro interazione con i singoli elementi da collocare 7. Effettuare le verifiche tecniche di corretto funzionamento dell’impianto predisponendo e compilando la documentazione richiesta 266 267 268 269 270 271 272 273 274 275 276 277 278 279 280 Bibliografia e sitografia essenziale Frisanco M. (2012), Il sistema di istruzione e formazione professionale italiano, CONFAP Nicoli D. (2012), Sperimentazione di nuovi modelli nel sistema di istruzione e formazione professionale, CNOS-FAP CNOS-FAP (a cura di) (2010), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale, Comunità professionale elettrica ed elettronica CNOF-FAP – CIOFS/FP (a cura di) (2004), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati, Comunità professionale elettrica ed elettronica CNOF-FAP – CIOFS/FP (a cura di) (2004), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati, Comunità professionale meccanica Gavin D. J. Harper (2007), L’energia solare e le sue applicazioni, Editore Ulrico Hoepli, Milano Ministero dello Sviluppo Economico, (2013), Strategia Energetica Nazionale: per un’energia più competitiva e sostenibile, Roma Servizio Artigianato della CCIAA di Viterbo (a cura di), (2012), Guida al DM 37/08 Ministero dello Sviluppo Economico, (2013), Pareri MiSE DM 37/2008 Ministero dello Sviluppo Economico, (2010), Piano di azione nazionale per le energie rinnovabili dell’Italia www.enea.it Sito dell’agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (ultimo accesso 30/05/2014) www.energeticambiente.it Forum sulle energie rinnovabili (ultimo accesso 30/05/2014) www.gse.it Sito del Gestore dei Servizi Energetici (ultimo accesso 30/05/2014) Normativa http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:32002L0091 Direttiva 2002/91/CE. http://www.bosettiegatti.eu/info/norme/statali/2008_0037.htm Decreto del ministero dello sviluppo economico 22 gennaio 2008, 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Un giorno insieme...all’energia”: una proposta per illustrare ciò che facciamo nei nostri Centri. 285 Allegato 1 La gestione sostenibile delle case salesiane a cura di Schneider Electric Prefazione23 Le recenti Direttive Europee legate al campo energetico, citate nel capitolo precedente, sottolineano l’importante ruolo dell’Ente pubblico quale riferimento nel campo dell’informazione e della educazione al risparmio energetico. In particolare, “il settore pubblico costituisce uno strumento importante per stimolare la trasformazione del mercato verso prodotti, edifici e servizi più efficienti, nonché per indurre cambiamenti di comportamento dei cittadini e delle imprese relativamente al consumo di energia. Inoltre, la diminuzione del consumo di energia grazie a misure che permettono di migliorare l’efficienza energetica può liberare risorse pubbliche da destinare ad altri fini. Gli enti pubblici a livello nazionale, regionale e locale dovrebbero svolgere un ruolo esemplare in materia di efficienza energetica. [...] È opportuno che gli Stati membri incoraggino i comuni e altri enti pubblici ad adottare piani di efficienza energetica integrati e sostenibili che abbiano obiettivi chiari, a coinvolgere i cittadini nella loro elaborazione e attuazione e a informare adeguatamente i cittadini in merito ai contenuti e ai progressi nel raggiungimento degli obiettivi. Tali piani possono comportare risparmi considerevoli di energia, soprattutto se attuati mediante sistemi di gestione dell’energia che consentano agli enti pubblici interessati di gestire meglio il loro consumo di energia. È opportuno incoraggiare lo scambio di esperienze tra città e altri enti pubblici sulle esperienze più innovative” (fonte Direttiva 2012/27/UE, premessa 15/18). Un esempio virtuoso in tal senso è il Patto dei Sindaci, ossia il movimento europeo cui hanno aderito numerose autorità locali (in Italia più di 1400 comuni hanno sottoscritto il Patto), che si pone l’obiettivo di sostenere pienamente le azioni in materia di sviluppo e crescita sostenibile portate avanti dalla UE. “Al di là del risparmio energetico, i risultati delle azioni dei firmatari sono molteplici: la creazione di posti di lavoro stabili e qualificati non subordinati alla delocalizzazione; un ambiente e una qualità della vita più sani; un’accresciuta competitività economica e una maggiore indipendenza energetica. Queste azioni vogliono essere esemplari per gli altri, in modo particolare con riferimento agli “Esempi di eccellenza”, una banca dati di buone prassi creata dai 23 Luca Malavolta 286 firmatari del Patto. Il Catalogo dei Piani d’azione per l’energia sostenibile è un’altra eccezionale fonte d’ispirazione, in quanto mostra a colpo d’occhio gli ambiziosi obiettivi fissati dagli altri firmatari e le misure chiave che questi hanno identificato per il loro raggiungimento” (fonte: http://www.pattodeisindaci.eu, 06/06/2014). Esiste una profonda comunanza tra la responsabilità dell’Ente Pubblico nel sostenere la politica europea di crescita e sviluppo sostenibile e il ruolo chiave giocato dagli Enti privati, quali nel nostro caso l’Opera Salesiana, nel sensibilizzare e trasferire le corrette informazioni in merito alla tematica energetica e ambientale e, più in generale, alla salvaguardia del Creato. Tale ruolo è ancor più accentuato dalla vocazione all’educazione, istruzione e formazione in seno all’Opera stessa. I giovani all’interno della Scuola Salesiana, nel rispetto del principio pedagogico di responsabilità e coinvolgimento, sono stimolati alla partecipazione attiva nella costruzione della propria personalità e nella costruzione della futura società. La scuola intesa come “ambiente di apprendimento” nella sua accezione di luogo fisico o virtuale, ma anche spazio mentale e culturale, organizzativo ed emotivo/affettivo insieme, gioca un ruolo dominante nel favorire la crescita dei ragazzi. “L’ambiente scolastico abbandona l’accezione corrente di luogo della trasmissione del sapere, separato dai contesti di vita del suo territorio, e recupera l’immagine di luogo di lavoro che garantisce sicurezza a tutti gli attori che operano al suo interno. Questo valore aggiunto dato all’ambiente di lavoro scolastico diventa un’occasione preziosa per puntare più direttamente lo sguardo ai temi della vivibilità, del benessere psico-fisico, del diritto alla sicurezza, dell’assunzione di responsabilità. Questi nuovi temi che investono la scuola, legati alla sicurezza e alla gestione consapevole delle risorse energetiche, entrano a pieno merito nel progetto educativo: l’edificio scolastico stesso, i suoi spazi, la sua organizzazione possono proporsi come un modello di progettazione ecosostenibile e diventare un laboratorio di educazione all’ambiente “dal vivo”. Se l’ecologia è scienza delle relazioni, la scuola “ecologica” è quella che contribuisce a fare luce sulla relazione che esiste tra gli atti quotidiani, la sorgente delle risorse naturali che consumiamo e i rifiuti che produciamo. La scuola diventa in questo modo anche un modello di comunità, come organizzazione e come luogo fisico, i cui attori sono soggetti attivi e responsabili”. (fonte: www.indire.it, 30-05-2014). La tematica della sicurezza e della qualità edilizia degli ambienti scolastici, nel caso ad esempio dell’istruzione pubblica, è spesso relegata a interventi sporadici privi di una programmazione articolata. Non essendo disponibile un’Anagrafe aggiornata dello stato degli immobili scolastici, diventa difficile orientare correttamente gli investimenti. È quanto emerge dal XIV Rapporto di Legambiente sulla qualità dell’edilizia scolastica, delle strutture e dei servizi: il documento fotografa una situazione nazionale caratterizzata da edifici vetusti (il 60% è stato costruito prima del 1974), in cui si evidenzia una situazione di emergenza legata alla necessità d’interventi urgenti di manutenzione e di messa in sicurezza (il 40% circa degli edifici sono costruiti in aree a rischio sismico); d’altro canto emerge una tendenza positiva ad adottare pratiche di risparmio ed efficienza energetica. 287 Riassumendo, negli edifici salesiani a destinazione formativa, un ambiente sano, sicuro e confortevole dal punto di vista termo-igrometrico, acustico, di qualità dell’aria e dell’illuminazione è determinante per il corretto svolgimento delle attività didattiche e favorisce il processo di apprendimento. Entrando in merito alla questione energetica, l’adozione di pratiche virtuose volte alla razionalizzazione e riduzione dei propri consumi energetici e di risorse (si pensi ad esempio a interventi sull’involucro edilizio, sugli impianti o anche a iniziative legate alla raccolta differenziata) delinea un percorso “sostenibile” nel rispetto dei principi tracciati dalle direttive Europee e, più in generale, nella consapevolezza che ogni piccola azione umana può contribuire al benessere della collettività, garantisce un miglioramento dei livelli di comfort abitativo a tutti gli utenti e comporta un elevato risparmio economico nella gestione dei beni immobili. Il successo delle iniziative intraprese non può limitarsi alla realizzazione dello specifico intervento, ma deve coinvolgere tutti gli “attori” che svolgono le attività all’interno di una certa comunità. Si pensi, ad esempio al tema della raccolta differenziata, che tutti possono toccare con mano: se il percorso educativo legato al concetto di rifiuto e al suo corretto smaltimento si limita all’inserimento all’interno degli ambienti scolastici di raccoglitori specifici, senza un’introduzione adeguata alla tematica, i risultati sono di portata limitata; invece, se l’inserimento dei cassonetti è il punto di arrivo di una didattica di avvicinamento e sensibilizzazione alla questione, il successo è sicuramente garantito. Diverso è il caso degli interventi edilizi o impiantistici sugli edifici, operazioni difficilmente “toccabili con mano”, perché caratterizzate da un’elevata complessità operativa e da questioni connesse con la sicurezza nei cantieri di lavoro. In tal caso, vista la componente professionale nei percorsi educativi salesiani, possono essere attivati dei cantieri-scuola, progettati ad hoc per potere essere resi accessibili agli studenti. Come nel caso degli Enti pubblici chiamati in causa dalla normativa energetica, gli economi e amministratori delle case salesiane hanno una forte responsabilità energetica nella gestione delle case e di tutte le attività che ruotano attorno alla vita della Comunità: responsabilità che può essere analizzata dal punto di vista etico, economico e sociale. Riprendendo i principi all’origine del progetto Società 2000W, citato nel capitolo precedente, le scelte da intraprendere devono essere “sostenibili”, nel rispetto dell’accezione originale del termine, mediante progetti efficienti (che comportino minor uso di energia per ottenere lo stesso scopo), progetti alternativi (che sostituiscano l’utilizzo delle fonti fossili con le rinnovabili) e progetti parsimoniosi e sobri (che interessino la giusta quantità di energia per una miglior qualità della vita). Dal punto di vista economico, come già accennato, appare evidente che l’adozione di progetti di riqualificazione energetica, piuttosto che di monitoraggio dei propri flussi energetici volto alla razionalizzazione degli stessi, implica una riduzione dei consumi di energia con conseguente riduzione delle spese di gestione. Tenu288 to conto dell’aumento dei costi delle fonti energetiche convenzionali e delle forme d’incentivazione e di agevolazione fiscale in essere, i tempi di ritorno (tempo di pay-back) dell’investimento, valutati caso per caso, palesano le opportunità economiche dell’intervento. Una riduzione delle spese di gestione si traduce in maggiori economie utilizzabili per altre voci di spesa e, nel caso d’intervento di riqualificazione, in un aumento di valore economico dell’immobile. Dal punto di vista sociale gli economi e gli amministratori sono responsabili dell’educazione dei ragazzi al rispetto dell’ambiente e alla formazione di una propria consapevolezza nei confronti delle “questioni” energetiche. Solo un corretto processo d’informazione, condivisione e sensibilizzazione potrà favorire tale crescita. Le soluzioni energetiche applicate agli edifici a destinazione formativa sono molteplici e possono interessare in generale l’involucro degli edifici (pareti esterne, serramenti, coperture, solai, schermature, etc.), il settore degli impianti (termici, elettrici, trattamento aria, etc.) e la gestione dei “flussi energetici” (gestione e monitoraggio dei flussi energetici, sistema di gestione dell’energia SGE, etc.). Tenuto conto della composizione disomogenea del patrimonio immobiliare dell’Opera Salesiana (caratterizzato da edifici con differente localizzazione geografica, esposizione, anno di costruzione, tipologia costruttiva e impiantistica, destinazione d’uso, etc.) è evidente che non esiste una soluzione univoca al tema energetico che garantisca tout court una riduzione dei consumi e delle spese di gestione e allo stesso tempo un miglioramento delle condizioni di vivibilità degli ambienti. Ad esempio, trattando il tema dell’involucro edilizio, il cappotto termico esterno costituito da un isolamento applicato sulle facciate degli edifici, tecnologia utilizzata nella maggior parte dei casi per la riqualificazione energetica, non è proponibile nei casi di edifici vincolati dall’Ente di tutela o nel caso di edifici caratterizzati da prospetti molto complessi. O ancora, la sostituzione dei serramenti non più rispondenti alle normative energetiche e a quelle sulla sicurezza, con nuovi dotati di telai e vetrate ad alta prestazione e di guarnizioni di tenuta, se non accompagnata da un’attenta verifica del ricambio d’aria degli ambienti e da un’analisi dei ponti termici, potrebbe comportare il peggioramento delle condizioni di salubrità interne, con la formazione di condense superficiali e, se persistente, con la comparsa di muffe. In merito, invece, agli impianti, la sostituzione di vecchie caldaie con impianti innovativi a pompe di calore, per soddisfare il fabbisogno di riscaldamento, in edifici con scarse prestazioni dell’involucro è poco efficiente. Da questi semplici casi è chiaro che solo mediante una corretta analisi e progettazione degli interventi, nel pieno rispetto delle condizioni e dei vincoli imposti dallo stato di fatto, è possibile individuare la strada più efficace. Occorre commisurare, inoltre, le “soluzioni energetiche” con la questione economica: in pratica, occorre valutare quanto costa adottare una certa soluzione e in quanto tempo i flussi di cassa positivi derivanti dall’investimento eguagliano i costi sostenuti per realizzarlo (tempo di pay-back). La Direttiva 2010/31/UE sulla prestazione energetica dell’edilizia introduce, in merito, il concetto del costo/beneficio re289 lativo all’adozione di misure di efficienza energetica lungo il ciclo di vita atteso di un edificio: l’edificio oggetto di riqualificazione deve risultare ottimale sotto il profilo dei costi. Il gruppo di lavoro creato dal MiSE per soddisfare gli adempimenti della Direttiva, dopo aver definito una griglia di edifici di riferimento e aver valutato la prestazione energetica e il costo relativo a differenti soluzioni di miglioramento della prestazione, ha definito per ogni edificio un grafico costo/prestazione e lo ha confrontato con i livelli limite imposti dalla normativa vigente. Emerge che in quasi tutti gli edifici conviene realizzare interventi più performanti di quanto richiesto dalla normativa vigente. L’indi vidu a zione delle possibili soluzio ni energetiche app licab ili agli edifici dell’opera salesiana trova un valido strumento nella “pianifi c azione strategica ” che, a partire dall’analisi dei dati attuali e dei vincoli presenti, fornisce al decisore i possibili scenari di svilu ppo, valutat i nel ris petto dei rapporti costi/benefici. At traverso tali scenari il committente h a in mano gli strumenti adatti per decidere quale strada intraprendere. La pianificazione strategica si articola come di seguito schematizzato. Analisi dello stato di fatto mediante audit energetico: a. rassegna del parco immobiliare della casa salesiana oggetto di studio e identificazione delle destinazioni d’uso in essere; b. analisi del costruito (dati geometrici dell’immobile, rilievo fotografico, fasi costruttive, tipologia edilizia e strutturale, componenti architettoniche, etc.); c. analisi del contesto ambientale (localizzazione, dati climatici, accessibilità, etc.); d. definizione energetica del sistema edificio (caratterizz azione termica media nte analisi delle stratigrafie delle superfici disperdenti – costituite da pareti esterne, solai, serramenti, coperture – e analisi dell’esposizione e degli ombreggiamenti; analisi degli ap porti gratuiti interni; indagini strumentali di app rof ondiment o Grafico costo-prestazione: Fonte Eùbios n.47 marzo 2014 290 con l’ausilio di termocamera e di termoflussimetro per la verifica qualitativa delle strutture, dei ponti termici e per la valutazione delle trasmittanze, etc.); e. descrizione del sistema degli impianti (impianto di generazione del calore e relativo sistema di distribuzione e di regolazione; impianti elettrici; impianti di ventilazione e di trattamento dell’aria; presenza di tecnologie a fonti rinnovabili; etc.); f. raccolta dei dati di consumo storico sulle utenze termiche ed elettriche e dei profili di gestione; g. definizione dei modelli energetici e calcolo degli indici di prestazione energetica; verifica della coerenza con i dati di consumo rilevati. Elaborazione del piano strategico: a. individuazione dei punti di forza e di debolezza del sistema al fine di definire le opportunità da sviluppare mediante l’intervento di riqualificazione energetica (valutando ad esempio se a fronte di una corretta esposizione dell’edificio ci sia stata una coerente progettazione delle aperture) e le minacce e problematiche a cui il sistema va incontro in mancanza di interventi (valutando ad esempio il rischio di degrado nelle strutture legato alla formazione di condensa); b. definizione degli obiettivi strategici coerenti con la caratterizzazione del sistema emersa in fase di analisi da concertare con tutti gli attori coinvolti (definendo ad esempio la prestazione energetica da raggiungere a intervento completato); c. definizione delle linee di intervento di miglioramento dell’efficienza energetica che permettono di raggiungere gli obiettivi preposti (valutando ad esempio un miglioramento delle prestazioni energetiche dell’involucro piuttosto che degli impianti); d. analisi dei costi/benefici di ciascun intervento proposto e delle tempistiche di realizzazione; e. definizione delle priorità di intervento sulla base delle valutazioni costi/benefici e sulle disponibilità economiche; f. piano di monitoraggio per verificare la rispondenza nel tempo degli interventi agli obiettivi preposti. La pianificazione strategica rappresenta dunque una metodologia condivisibile, soprattutto a fronte dell’eterogeneità del patrimonio immobiliare e della diversa gestione propria di ciascuna casa salesiana: tale strumento non definisce a priori azioni d’intervento da applicare alle diverse realtà ma supporta il processo decisionale dando atto alle peculiarità di ogni singolo caso. Un primo passo verso la riqualificazione energetica del patrimonio immobiliare dell’Opera salesiana potrebbe essere l’applicazione e sperimentazione della metodologia su un edificio specifico che diventa caso-studio, per applicare e perfezionare lo strumento metodologico proposto, recependo anche gli apporti di tutti i soggetti coinvolti. In questa fase, ad esempio, gli studenti diventano parte attiva del processo decisionale, in quanto portatori di esigenze e potenziali soggetti coinvolti nell’analisi dello stato di fatto (ad esempio nella raccolta dati). 293 Tuttavia, questo approccio integrato è ancora poco perseguito nella progettazione di un edificio anche per una mancanza di cultura adeguata. Ad esempio, alcuni possono considerare il risparmio energetico in termini di materiali e regimi di isolamento che essi adottano (efficienza energetica passiva). È raro considerare in fase di progettazione i controlli di gestione dell’energia, dal momento che questo tende a rimanere di competenza dell’ingegneria dei servizi di gestione con costi di gestione contenuti. Ma se un progetto viene seguito fin dalla sua fase embrionale e pensato con un ottica di efficienza energetica, l’iniziale maggior investimento in termini di tecnologia applicata rientrerà in breve tempo grazie a costi di gestione sicuramente inferiori, con il risultato di una ottimizzazione delle spese a bilancio per la gestione degli edifici. L’efficienza energetica attiva può essere applicata spesso con rapidi interventi dove la proprietà è interessata, sebbene gli utenti finali a volte si preoccupano poco per la misurazione o per la conservazione del dato dell’energia. Spesso i residenti con contratti di locazione a breve termine, hanno molto più la percezione e la sensibilità verso interventi di efficienza energetica attiva, dovendo amministrare loro in prima persona le spese legate ai vari vettori energetici. Realizzare controlli di efficienza energetica attiva adeguati ed efficaci è sempre più facile e conveniente quando vengono integrati con altri impianti di gestione della struttura (Building Management System o BMS). Questo ragionamento può portare risparmi nelle fasi di installazione, consentendo l’uso condiviso di cablaggio strutturato, e nella fase di conduzione dell’impianto permettendo di avere i dati di tutto l’impianto condivisi sulla stessa piattaforma informatica. Il focus fortunatamente si sta sempre più spostando su quanta energia viene consumata da un edificio nella fase operativa (OPEX). Infatti, una gestione inefficiente degli edifici durante questa fase può inutilmente sprecare energia preziosa. Strumenti intelligenti per la misurazione dell’energia forniscono, invece, una visione essenziale nel consumo dell’edificio e possono aiutare a identificare le aree in cui ci possono essere dei potenziali di risparmio. Inoltre, le prove dimostrano che i costi operativi in genere sono pari a tre volte il costo del capitale della costruzione e costi di manutenzione possono essere due volte i costi di costruzione. Investire in sistemi che aiutano a ridurre il consumo di energia permetterà, quindi, di ridurre anche i costi operativi. Un sistema BMS all’interno di un edificio ha lo scopo di ottimizzare i costi di manutenzione sugli impianti tecnologici. In presenza di un sistema di Building Automation, le attività richieste per verificare lo stato funzionale dei dispositivi (UTA, Centrali Termiche, etc.), possono essere ridotte ed effettuate solo in caso di segnalazione del Supervisore (es. sostituzione batteria filtri UTA solo in caso di allarme del pressostato differenziale). Inoltre, viene garantita la selettività di intervento che, grazie al monitoraggio degli impianti, è richiesta con precisione su parte specifica dell’impianto, senza investire su diagnostica per scoprire la sua localizzazione e ri294 ducendo i “fermo impianto”. L’esperienza insegna che un manutentore meccanico può ottimizzare le sue risorse di circa il 40% affidandosi al sistema BMS. Il concetto del BMS si sta estendendo anche ad altre utenze (ved. Ambiente EcoStruxure) che storicamente non erano riconducibili al mondo meccanico, quali impianti elettrici, di automazione e nevralgici (es. gruppi di continuità) aprendo un nuovo scenario verso i “sistemi di integrazione” (ambiente EcoStruxure). Oltre a semplificare i ruoli del personale di manutenzione, la gestione intelligente dell’energia è poco costosa. In realtà, un recente studio britannico, Energy Savings Trust, ha rivelato che l’installazione della tecnologia per metro per monitorare il consumo di energia potrebbe avere un periodo medio di ammortamento di meno di sei mesi. Un piccolo aumento di spesa in conto capitale può ridurre significativamente le spese operative. Studi empirici di soluzioni di misurazione mostrano una media di riduzione del 5% delle bollette in una vasta gamma di edifici. Ma le ricompense finanziarie non si fermano qui. Un risparmio del 2-5 % può essere raggiunto attraverso un migliore utilizzo delle apparecchiature, e un potenziale di risparmio fino al 10% può essere raggiunto attraverso il miglioramento dell’affidabilità dei sistemi. Gli edifici residenziali sono raramente realizzati con sistemi di monitoraggio dei consumi, quindi spesso ci sono azioni che possono essere intraprese verso l’adozione di pratiche di efficienza energetica attiva. Ancora una volta nel settore residenziale l’accento è stato posto sull’installazione di sistemi in grado di realizzare efficienza energetica passiva: isolamento delle pareti della cavità, isolamenti dei soffitti, doppi vetri sono tutti interventi comuni realizzati nelle proprietà nuove ed esistenti. Anche azioni quali l’eliminazione delle lampadine tradizionali al tungsteno in favore di quelle a basso consumo possono essere considerate come interventi di efficienza energetica passiva. È ragionevole pensare che la più grande influenza sui consumi interni di energia residenziale verrà dal cambiamento delle abitudini degli occupanti, ma che è un processo molto lungo. L’istinto di spegnere un apparecchio che sia in stand-by (i led in apparecchi come televisori, lettori dvd, hi-fi, home PC, ecc., consumano enormi quantità di energia elettrica!) ci vorrà tempo per diffonderlo. Nel frattempo, ci sono ausili tecnologici che possono portare comunque a grandi risparmi. Una possibilità è quella di installare dei poco costosi sistemi di controllo dell’illuminazione. Questi vanno dalla più sofisticata domotica al semplice sensore di presenza nella stanza. Famiglie con figli adolescenti sanno che non è raro avere quasi ogni luce in casa accesa anche quando solo una camera singola è occupata! In abitazioni differenti dove invece l’occupazione è multipla, come per esempio le scuole gli spazi comuni di una residenza, lo spazio di applicazione dell’efficienza energetica attiva riguarda i controlli di occupazione per l’illuminazione, il riscaldamento e la ventilazione. Con un edificio, invece, di occupazione mista (per esempio: locali commerciali) i vantaggi del monitoraggio elettrico iniziano a essere rilevanti. Senza dimenticare comunque controllo integrato di luci e condizionamento. 295 Soluzioni per il monitoraggio e la gestione energetica L’energia rappresenta uno dei fattori chiave del nuovo millennio e la gestione dei flussi energetici è diventata oggi una priorità per tutte le aziende, sia in ambito industriale sia in ambito building. Nell’attuale contesto energetico mondiale, delicato, complesso ed in continua mutazione, le spese per tutti i vettori energetici (acqua, aria, gas, elettricità o vapore) rappresentano una porzione considerevole dei budget aziendali. Le tecnologie informatiche consentono incrementi di efficienza nei settori di interesse grazie ad un controllo ed una gestione diretta dei consumi. Schneider Electric, in linea con quanto previsto dalle normative e dalle direttive di riferimento del settore, si pone l’obiettivo di supportare e guidare verso comportamenti virtuosi per la gestione delle risorse energetiche, al fine di conseguire sensibili risparmi in termini economici insieme alla riduzione delle emissioni inquinanti di CO2. Vantaggi di un sistema di monitoraggio energetico La misura e il monitoraggio dei consumi in ogni area dell’edificio è il metodo migliore per disporre di dati dettagliati ed aggiornati, eliminando noiose letture manuali dei contatori spesso soggette ad errori. Una misurazione automatica e costante garantisce informazioni in tempo reale che permettono di reagire rapidamente in caso di malfunzionamenti e consumi anomali di energia. 296 La soluzione “web-based” di Schneider Electric riassume e visualizza i dati relativi ai consumi di tutti i vettori energetici, permettendo agli utenti di capire dove e come viene consumata l’energia e aiutandoli a valutare le prestazioni energetiche dell’edificio. Fornisce dati e indicatori chiave utili ad identificare le opportunità di risparmio e a decidere la strategia energetica da implementare. In generale, una soluzione di monitoraggio consente ai proprietari e utilizzatori di edifici e strutture di piccole-medie dimensioni di ridurre i consumi energetici, risparmiare sulle bollette, facilitare la manutenzione e comunicare dati specifici sui progressi ottenuti in materia di sostenibilità ambientale. Funzionalità di un sistema di monitoraggio Le funzionalità fondamentali per l’efficienza energetica sono: misura, archiviazione ed analisi dei dati energetici. Individuare gli sprechi energetici, allocare correttamente i costi dell’energia e ottimizzare il consumo: sono alcune delle principali necessità che si traducono in funzionalità messe a disposizione da Schneider Electric nelle soluzioni proposte. Le funzionalità per l’efficienza energetica opportunamente combinate ed abbinate a quelle per la gestione operativa permettono di rispondere con soluzioni semplici anche alle esigenza più complesse. Le funzionalità avanzate per l’efficienza energetica sono: analisi, normalizzazioni e confronti multi sito. Paragonare i consumi dei propri siti così come fare confronti su periodi storici permette di evidenziare possibili inefficienze. Questo è possibile farlo tramite le tecnologie cloud-based. Le funzionalità per ottimizzare le gestioni operative sono: allarmi in tempo reale, comando e informazioni per la manutenzione. Grazie alle evoluzioni tecnologiche gli apparecchi di protezione presenti nei quadri elettrici memorizzano e rendono disponibili in modo semplice informazioni quali la causa di sgancio, le ore di funzionamento e lo stato di aperto/chiuso/sganciato. La possibilità di essere allertati durante le fasi critiche di un fermo impianto, di consultare informazioni di diagnostica e di comandare da remoto i dispositivi rendono la gestione dell’impianto completamente efficiente riducendo al minimo i tempi di fuori servizio. Alcuni casi di successo: l’efficientamento energetico del Villaggio Alpino di Cogne (AO) e della casa salesiana “San Zeno” di Verona Il contributo di Schneider Electric al rinnovato Villaggio Alpino Salesiano di Cogne (AO) L’oggetto dell’intervento era la ristrutturazione della Villa Necchi di Cogne (AO), con la conseguente creazione di una struttura ricettiva di 10 camere più il re297 cupero dell’edificio adiacente (Colonia), 30 camere, salone degli incontri e servizi annessi. Ed inoltre, la realizzazione della nuova centrale termica a pellet e gas. L’apporto di Schneider Electric per questo edificio è consistito nella fornitura di soluzioni e servizi per la gestione dei seguenti impianti: a. Gestione centrale termica e UTA. b. Gestione delle singole camere della Villa e della Colonia. c. Gestione delle luci del complesso, sia delle camere che delle parti comuni. d. Sistema di rilevazione dei fumi. e. Quadri elettrici principali e di piano per tutto il complesso. f. Sistema per la supervisione generale di tutto il complesso. Il contributo di Schneider Electric alla ristrutturazione della Villa e Colonia del Villaggio Alpino di Cogne si riconduce fondamentalmente a tre obiettivi: 1. Ottimizzazione energetica e riduzione dei consumi. 2. Maggior sicurezza e tempestività di manutenzione nella gestione della struttura. 3. Maggior comfort per gli ospiti e maggiori possibilità di gestione operativa delle camere. Ottimizzazione energetica e riduzione dei consumi La gestione delle luci e della temperatura sono state integrate su un unico sistema di supervisione in modo da poterle controllare evitando sprechi facilmente ipotizzabili con una così alta affluenza di persone. Di seguito viene descritto come è stato realizzato. 298 Gestione delle camere e dei luoghi comuni Le camere vengono tenute ad una temperatura pre-impostata, inferiore a quella di comfort che possiamo definire come “temperatura camera vuota”, per tutto il periodo in cui non sono presenti gli ospiti, evitando quindi un inutile spreco di energia termica. Nella camera, in assenza di ospiti, vengono anche disattivate tutte le utenze elettriche che potrebbero essere rimaste accese inavvertitamente, evitando così inutili consumi elettrici. Per quanto riguarda i luoghi comuni di ritrovo e i bagni (e dove possibile) sono stati introdotti dei sensori di presenza per l’accensione delle luci con spegnimento automatico a tempo, evitando così accensioni non necessarie. Centrale termica e monitoraggio elettrico Le utenze della centrale termica vengono gestite con un sistema di regolazione che consente di mantenere la temperatura dell’acqua calda ad un livello impostato, evitando funzionamenti 24 ore su 24 di utenze non necessarie. Così facendo, vengono ottimizzate anche le usure delle apparecchiature. Dove possibile, sui motori sono stati previsti degli azionamenti a velocità variabile per evitare picchi di consumo durante gli spunti di partenza. La misura del consumo elettrico è stata riportata sul sistema di supervisione che consentirà una storicizzazione e un’analisi aggregata dei consumi stessi in periodi e anni diversi. Maggior sicurezza e tempestività di manutenzione nella gestione della struttura Il sistema di supervisione, costituito da un personal computer posto nella zona reception da dove è possibile interrogare e visualizzare tutti gli impianti dell’intero complesso, evidenzia e registra eventuali anomalie di funzionamento delle apparecchiature. Il sistema raccoglie, inoltre, tutta una serie di informazioni sul funzionamento delle utenze che permettono di monitorarne il periodo di funzionamento per una ottimizzazione della manutenzione. Per ultimo, alcune particolari segnalazioni, come l’allarme del sistema di rilevazione fumi, oppure gli allarmi degli utenti (come quello dei tiranti di emergenza nei bagni degli ospiti), sono rinviati dal sistema di supervisione ad un combinatore GSM per la reperibilità del personale addetto, nel caso in cui la reception in quel momento non sia presidiata. Si sta procedendo anche all’integrazione, sullo stesso supervisore, della situazione dei corpi illuminanti per i sistemi di illuminazione di emergenza. Maggior comfort per gli ospiti e maggiori possibilità di gestione operativa delle camere. Il maggior comfort diventa una conseguenza di tutte queste possibilità offerte dal sistema centralizzato di supervisione e di gestione automatica delle camere, come ad esempio: 299 • la possibilità di impostare una temperatura di base per tutte le camere occupate: ogni singolo ospite potrà modificare, a suo piacimento, la temperatura della stanza, aumentandola o diminuendola di 3 gradi. • Accesso alle camere mediante scheda badge: il cliente accederà alla camera attraverso una scheda badge grazie alla quale verranno abilitate tutte le utenze elettriche. Le varie utenze verranno disabilitate automaticamente nel momento in cui il cliente lascerà la stanza. • Piena visibilità da parte della reception della situazione occupazione camere in ogni momento, con visualizzazione delle temperature impostate. • Disponibilità di informazione di stato (funzionamento/anomalia) per tutte le utenze tecnologiche del complesso direttamente dalla reception. Il contributo di Schneider Electric all’efficientamento energetico della casa salesiana “San Zeno” di Verona (Don Minzoni) Nel mese di Febbraio del 2013, nella casa salesiana di Verona è stato implementato da Schneider Electric un sistema di monitoraggio dell’energia su piattaforma Cloud. L’Istituto è composto da 7 edifici di differenti metrature, da 1.500 mq a 7.000 mq, per una superficie complessiva di oltre 35.000 mq. La struttura è ad uso scolastico, con aule laboratori ed uffici ed un rilevante consumo di energia elettrica. Sono stati installati nelle cabine elettriche delle aree dei meccanici e dei grafici degli strumenti di misura comunicanti per monitorare i consumi dell’intera scuola professionale. Componenti intelligenti utilizzati: – Cabina grafici: sono state installate le seguenti soluzioni: n° 1 Multimetro PM750 installato sul Gen. BT, n° 1 Gateway con web server integrato EGX300 associato a Energy Operation Online. – Cabina meccanici: sono state installate le seguenti soluzioni: n° 6 Multimetri PM3250 sul Gen. BT e sulle utenze principali, n° 1 Gateway con web server integrato EGX300 associato a Energy Operation Online. 300 Le esigenze del cliente Analisi energetica multi-sito con piattaforma Cloud: centralizzare le misure energetiche in un’unica piattaforma web-cloud, senza l’installazione di server e senza l’acquisto di licenze software. Funzionalità avanzate di analisi energetica: visualizzare report periodici direttamente dalla propria casella di posta per allocare i costi energetici, ricevere notifiche su consumi ritenuti anomali. Semplicità di utilizzo: disporre di un’interfaccia intuitiva che permetta di eseguire analisi energetiche e realizzare grafici in pochi click senza avere particolari competenze. Primi risultati ottenuti A distanza di circa un anno e mezzo dall’implementazione del sistema di monitoraggio ed a seguito dell’analisi dei dati rilevati, è emerso che: Gestione della cucina: gestione anomala della cucina da parte della società che ha in carico il servizio pasti, con consumi energetici superiori alle reali esigenze della scuola; si provvederà ad una gestione interna in autonomia. Cabina meccanici: scarsa efficienza delle utenze con consumi anomali imputabili anche ad un’obsolescenza dell’impiantistica elettrica (stanziato budget di circa 150.000 euro per il rifacimento completo dell’impianto dedicato al reparto meccanico) Cabina grafici: realizzato studio di fattibilità per eliminare il trasformatore 301 Media/Bassa Tensione (fonte tra l’altro di dispersione energetica), passando ad un’alimentazione diretta in Bassa Tensione Nelle pagine seguenti vengono riportati alcuni screen-shot (schermate) della piattaforma Cloud (Energy Operation Online) che sono stati utilizzati per l’analisi dei dati dell’impianto sopra descritto, visualizzabili sul PC e sul tablet dell’economo della casa Salesiana. Mappa Localizzazione geografica dei siti del cliente interessati dal monitoraggio e prime intuitive informazioni sui consumi, impostabili dal cliente. Figura 1 - Casa salesiana “San Zeno” Verona. 302 Energia mensile edificio A cucina Report veloci per visualizzare il confronto grafico dei consumi degli ultimi mesi, utile per evidenziare eventuali anomalie. Energia totale edificio A cucina – TABELLA Report veloci per visualizzare numericamente i consumi degli ultimi mesi, per controllare le bollette. 303 Energia mensile edificio grafici e meccanici Confronto dei consumi elettrici mensili tra vari reparti/edifici. Energia totale edificio grafici e meccanici Consumi mensili di energia complessiva del sito, numerici e grafici. 304 Energia totale edificio grafici e meccanici – TABELLA Potenza impegnata totale edificio grafici e meccanici Andamento del picco della potenza prelevata, per evitare il pagamento di quote extra di energia. 305 Potenza impegnata totale edificio grafici e meccanici – TABELLA La sostenibilità energetica degli edifici salesiani come modello formativo per docenti e studenti dei Centri di Formazione Professionale CNOS-FAP La sostenibilità energetica degli edifici Salesiani si pone anche l’obiettivo di formare un ceto di nuovi professionisti degli impianti tecnologici e del risparmio energetico, dai responsabili delle opere educative Salesiane fino ai docenti, così da mostrare concretamente agli allievi dei corsi di Istruzione e Formazione professionale i benefici apportati dall’efficienza energetica. Il Villaggio Alpino di Cogne (AO) è un reale caso applicativo di building automation attraverso il quale poter fare “educazione tecnica”: gli studenti avranno la possibilità di mettere in pratica le nozioni teoriche in materia di domotica acquisite nei percorsi di studio: – controllando direttamente gli impianti mediante un sistema di Supervisione clonato su un PC che simulerà realisticamente la gestione della casa; – analizzando i report dei consumi dei vari vettori energetici in ottica di efficienza; – simulando anomalie e successive azioni correttive. 306 Allegato 2 Fac-simile del modulo di attestazione del diploma professionale (Fonte : avviso Miur 17-1-12 all.6) 307 308 309 Allegato 3 Open Day - Un giorno insieme... all’energia Nell’ottica di sensibilizzazione dei ragazzi riguardo a temi così attuali come il risparmio energetico e lo sviluppo sostenibile, si è pensato di cogliere ogni occasione per affrontare tali argomenti, anche approfittando delle giornate di Open day, ossia delle giornate in cui le scuole superiori mostrano le proprie strutture e descrivono le proprie attività curricolari ed extra curricolari a studenti appartenenti alle classi terze delle scuole secondarie di primo grado che si trovano a dover scegliere quale sia il percorso di studi più indicato per la loro formazione. La giornata si presenta così come opportunità per i ragazzi di sperimentare in prima persona, attraverso esperienze di carattere scientifico, qual è il concetto di energia e quali sono le molteplici fonti da cui si può generare, qual è il nostro stile di vita e quanto sfruttiamo il Pianeta in cui viviamo. Sarebbe opportuno che gli stessi allievi dei CFP si occupassero di spiegare le attività ai loro ospiti e si affiancassero ad essi nella realizzazione degli esperimenti. In questa maniera, anche gli allievi dei CFP avrebbero modo di sentirsi coinvolti in un progetto e responsabili nella trasmissione di un così importante messaggio alle nuove generazioni. 310 La tabella è una descrizione schematica della giornata di Open Day. I link sottostanti vengono offerti come spunto per le esperienze da attivare. http://www.educambiente.it/Archivio/articoli/didattica%20energie_rinnovabili.htm (data ultimo accesso 23/06/2014). http://www.per.umbria.it/ (data ultimo accesso 23/06/2014). http://www.museoscienza.org/scuole/cosaFare.asp (data ultimo accesso 23/06/2014). http://www.padovanet.it/allegati/C_1_Allegati_11440_Allegato.pdf (data ultimo accesso 23/06/2014). http://www.eniscuola.net/it/mediateca/energia/esperimenti (data ultimo accesso 23/06/2014). http://www.lapappadolce.net/58-esperimenti-scientifici-costruire-un-generatore-di-corrente-alternata/ (data ultimo accesso 23/06/2014). http://www.gruppo.acegas-aps.it/cms/884/esperimento-3-l-energia-eolica.html (data ultimo accesso 23/06/2014). http://www.itisforli.it/attivita/progetto-energia/relazione%20finale%20as%201213%20f.strumentale% 20energia.pdf (data ultimo accesso 23/06/2014). http://ilsoleascuola.casaccia.enea.it/lav/arcnews/01_03.html (data ultimo accesso 23/06/2014). http://www.e-sco.ch/fiera2_files/Il%20giardino%20della%20scienza%20- %20Giocaenergia.pdf (data ultimo accesso 23/06/2014). http://www.domotecnica.it/iniziative/scuole/ (data ultimo accesso 23/06/2014). http://www.molacasanova.it/energia-rinnovabile/gli-esperimenti/ (data ultimo accesso 23/06/2014). GAVIN D.J. HARPER (2007), L’energia solare e le sue applicazioni, Editore Ulrico Hoepli, Milano 311 Gli autori Marco Ghelfi: formatore del settore Energia e dell’area scientifica presso il CFP di Vigliano Biellese, sede operativa di CNOS-FAP Regione Piemonte. Dal 2012 è Segretario nazionale del neonato settore Energia all’interno della Federazione CNOS-FAP, ed in questo ruolo si occupa dell’organizzazione ed animazione del settore, collaborando attivamente con la Sede Nazionale CNOS-FAP nella programmazione e gestione della formazione formatori. Luca Malavolta: laureato in architettura presso il Politecnico di Torino si dedica alla libera professione. Frequenta il master universitario di II livello Casa- Clima dell’Università di Bolzano, specializzandosi sul tema delle costruzioni a basso consumo energetico e nella progettazione di strutture di legno; diventa inoltre auditore e consulente per conto dell’Agenzia CasaClima di Bolzano. Prosegue la formazione approfondendo la tematica degli edifici passivi diventando progettista Passive House PHI. Collabora costantemente con studi professionali e imprese con l’obiettivo di realizzare edifici di qualità e ad alta prestazione energetica. Dario Eugenio Nicoli: docente incaricato di Sociologia economica e dell’organizzazione presso l’Università Cattolica di Brescia, facoltà di Scienze della formazione. Esperto di sistemi formativi, svolge attività di ricerca, consulenza e formazione per Regioni, enti e scuole in tutta Italia. Ha fatto parte della Commissione nazionale per l’Istruzione tecnica e professionale, è Membro del Comitato Tecnico Scientifico del Centro Studi per la Scuola Cattolica della Conferenza Episcopale Italiana e condirettore di Rassegna Cnos, rivista di istruzione e formazione professionale dei Salesiani. Ha pubblicato vari saggi ed articoli sui temi dell’educazione e della formazione. Giulia Norcia: in possesso di laurea specialistica in Chimica presso l’Università “La Sapienza” Roma, è formatrice in ambito scientifico e coordinatrice presso la Sede Nazionale del CNOS-FAP di progetti a livello nazionale. 312 Francesco Zamboni: segretario nazionale settore elettrico/elettronico CNOSFAP – coordinatore settore elettrico ed energia “San Zeno” di Verona – docente di elettrotecnica e di laboratorio elettronico. Hanno collaborato: Emanuele Aldighieri (Verona), Diego Bovolenta (Vigliano Biellese), Franco Burdese (Bra), Michele Caneva (Verona), Simone Contro (Muzzano), Gianluca Grifalconi (Verona), Mauro Gruppo (Vigliano Biellese), Diego Lavarini (Bardolino), Mauro Teruggi (Vigliano Biellese), Marco Tommasini (Verona), Michele Tratto (Verona). 313 Indice Sommario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 Introduzione VALORE EDUCATIVO E CULTURALE DEL TEMA ENERGETICO E DELLA SOSTENIBILITÀ 5 Una linea guida speciale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 Energia come risorsa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8 Lo sviluppo sostenibile ed il principio etico della responsabilità . . . . . . . . . . . . . . 9 Contro le risposte utiliraristiche e catastrofistiche: il creato è sacro perché di Dio 9 Per una pedagogia della meraviglia e della responsabilità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12 L’energia che manca maggiormente: la forza di volere il bene e di perseguirlo con coraggio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 I tre ambiti della linea guida . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 Parte Prima UNA PROPOSTA FORMATIVA PER TUTTI GLI ALLIEVI DEI CORSI DI ISTRUZIONE E FORMAZIONE PROFESSIONALE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 La proposta formativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23 Le Unità di apprendimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25 Bibliografia e sitografia consigliata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39 Parte Seconda L’AMBITO PROFESSIONALE ENERGETICO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43 L’ambito dell’energia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43 Aspetti ambientali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43 Principi della sostenibilità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43 Aspetti tecnologici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45 Nuove tecnologie disponibili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45 Aspetti economici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48 Investimenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48 Risparmio energetico ed aumento resa degli edifici . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49 Aspetti culturali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51 Nuovo approccio ambientale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51 Aspetti giuridici (progetti, dichiarazioni, certificazioni) . . . . . . . . . . . . . . . . . 52 Inquadramento normativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52 Il contesto energetico mondiale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52 Obiettivi e scenari a livello europeo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56 La situazione nazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59 Gli obiettivi raggiunti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67 Certificazione energetica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68 Nuove maestranze nella green economy e opportunità di sviluppo - dichiarazioni 71 314 La proposta formativa professionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76 Una nuova figura: il tecnico energetico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77 La prospettiva formativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80 Fotovoltaico, solare termico e termo fotovoltaico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80 Impianti fotovoltaici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80 Impianti solari termici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81 Impianti termofotovoltaici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82 Impianti termici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83 Caldaie e pompe di circolazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83 Geotermia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84 Frigoria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85 Peculiarità della figura professionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85 Impianti tecnologici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86 La building automation: domotica finalizzata al risparmio energetico ed alla gestione integrata degli impianti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86 Edilizia (struttura) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87 Corretta coibenatazione degli edifici di tipo tradizionale e di edifici ad edilizia innovativa a risparmio energetico . . . . . . . . . . . . . . 87 Impianti per biomasse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87 Corretta gestione dei rifiuti, in particolare dell’umido . . . . . . . . . . . . . . . . 87 Utilizzo degli scarti di lavorazione dell’industria del legno . . . . . . . . . . . . 88 Risvolti positivi per l’ambiente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 88 La raccolta differenziata dei rifiuti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89 Recupero materiali di scarto delle lavorazioni processi . . . . . . . . . . . . . . . 89 Le ricerche dell’Unione europea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89 Profili per competenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93 Figura di qualifica triennale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93 Figura di diploma quadriennale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99 Gestione del modello formativo per qualifiche e diplomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105 Quadro orario per qualifica e diploma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105 Vincoli e risorse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105 Aspetti organizzativi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 109 Proposta di percorso formativo e di UdA significative di tipo Professionalizzate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 110 Unità di apprendimento per il pirmo anno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 110 Unità di apprendimento per il secondo anno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 156 Unità di apprendimento per il terzo anno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 191 Unità di apprendimento per il quarto anno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 225 Rubriche delle competenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 265 Bibliografia e sitografia essenziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 280 Allegati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 283 ALLEGATO 1 La gestione sostenibile delle casa Salesiane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 285 Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 285 Analisa dello stato di fatto mediante audit energetico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 289 Elaborazione del piano strategico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 290 315 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 291 La responsabilità energetica degli amministratori ed economi . . . . . . . . . . . . . . . 291 Soluzioni energetiche applicate agli edifici a destinazione formativa . . . . . . . . . . 292 Soluzioni per il monitoraggio e la gestione energetica . . . . . . . . . . . . . . . . . . 295 Vantaggi di un sistema di monitoraggio energetico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 295 Funzionalità di un sistema di monitoraggio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 296 Alcuni casi di successo: l’efficientamento energetico del Villaggio Alpino di Cogne (AO) e della casa salesiana “San Zeno” di Verona . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 296 Il contributo di Schneider Electric al rinnovato Villaggio Alpino Salesiano di Cogne (AO) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 296 Ottimizzazione energetica e riduzione dei consumi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 297 Gestione delle camere e dei luoghi comuni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 298 Centrale termica e monitoraggio elettrico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 298 Maggior sicurezza e tempestività di manutenzione nella gestione della struttura 298 Maggior comfort per gli ospiti e maggiori possibilità di gestione operativa delle camere . . . . . . . . . . . . . . . . 298 Il contributo di Schneider Electric all’efficientamento energetico della casa Salesiana “San Zeno” di Verona (Don Minzoni) . . . . . . . . . . . . 299 Componenti intelligenti utilizzati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 299 Le esigenze del cliente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 300 Primi risultati ottenuti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 300 Mappa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 301 Energia mensile edificio A cucina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 302 Energia totale edificio A cucina - Tabella . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 302 Energia mensile edificio grafici e meccanici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 303 Energia totale grafici e meccanici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 303 Energia totale grafici e meccanici - Tabella . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 304 Potenza impegnata totale edificio grafici e maccanici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 304 Potenza impegnata totale edificio grafici e meccanici - Tabella . . . . . . . . . . . . . . 305 La sostenibilità energetica degli edifici salesiani come modello formativo per i docenti e studenti dei Centri di Formazione Professionale CNOS-FAP . . . . 305 ALLEGATO 2 Fac-Simile del modulo di attestazione del diploma professionale . . . . . . . . . . . . . 306 ALLEGATO 3 Open Day - Un giorno insieme... all’energia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 309 Gli autori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 311 317 Pubblicazioni nella collana del CNOS-FAP e del CIOFS/FP “STUDI, PROGETTI, ESPERIENZE PER UNA NUOVA FORMAZIONE PROFESSIONALE” ISSN 1972-3032 Tutti i volumi della collana sono consultabili in formato digitale sul sito biblioteca.cnos-fap.it Sezione “Studi” 2002 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto finale, 2002 2003 MALIZIA G. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto sul follow-up, 2003 2004 CNOS-FAP (a cura di), Gli editoriali di “Rassegna CNOS” 1996-2004. Il servizio di don Stefano Colombo in un periodo di riforme, 2004 MALIZIA G. (coord.) - ANTONIETTI D. - TONINI M. (a cura di), Le parole chiave della formazione professionale, 2004 RUTA G., Etica della persona e del lavoro, 2004 2005 D’AGOSTINO S. - MASCIO G. - NICOLI D., Monitoraggio delle politiche regionali in tema di istruzione e formazione professionale, 2005 PIERONI V. - MALIZIA G. (a cura di), Percorsi/progetti formativi “destrutturati”. Linee guida per l’inclusione socio-lavorativa di giovani svantaggiati, 2005 2006 NICOLI D. - MALIZIA G. - PIERONI V., Monitoraggio delle sperimentazioni dei nuovi percorsi di istruzione e formazione professionale nell’anno formativo 2004-2005, 2006 2007 COLASANTO M. - LODIGIANI R. (a cura di), Il ruolo della formazione in un sistema di welfare attivo, 2007 DONATI C. - BELLESI L., Giovani e percorsi professionalizzanti: un gap da colmare? Rapporto finale, 2007 MALIZIA G. (coord.) - ANTONIETTI D. - TONINI M. (a cura di), Le parole chiave della formazione professionale. II edizione, 2007 MALIZIA G. - PIERONI V., Le sperimentazioni del diritto-dovere nei CFP del CNOS-FAP e del CIOFS/FP della Sicilia. Rapporto di ricerca, 2007 MALIZIA G. - PIERONI V., Le sperimentazioni del diritto-dovere nei CFP del CNOS-FAP e del CIOFS/FP del Lazio. Rapporto di ricerca, 2007 MALIZIA G. et alii, Diritto-dovere all’istruzione e alla formazione e anagrafe formativa. Problemi e prospettive, 2007 MALIZIA G. et alii, Stili di vita di allievi/e dei percorsi formativi del diritto-dovere, 2007 NICOLI D. - FRANCHINI R., L’educazione degli adolescenti e dei giovani. Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2007 NICOLI D., La rete formativa nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP, 2007 PELLEREY M., Processi formativi e dimensione spirituale e morale della persona. Dare senso e prospettiva al proprio impegno nell’apprendere lungo tutto l’arco della vita, 2007 RUTA G., Etica della persona e del lavoro, Ristampa 2007 2008 COLASANTO M. (a cura di), Il punto sulla formazione professionale in Italia in rapporto agli obiettivi di Lisbona, 2008 DONATI C. - BELLESI L., Ma davvero la formazione professionale non serve più? Indagine conoscitiva sul mondo imprenditoriale, 2008 MALIZIA G., Politiche educative di istruzione e di formazione. La dimensione internazionale, 2008 318 MALIZIA G. - PIERONI V., Follow-up della transizione al lavoro degli allievi/e dei percorsi triennali sperimentali di IeFP, 2008 PELLEREY M., Studio sull’intera filiera formativa professionalizzante alla luce delle strategie di Lisbona a partire dalla formazione superiore non accademica. Rapporto finale, 2008 2009 GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1977, vol. 1, 2009 2010 DONATI C. - L. BELLESI, Verso una prospettiva di lungo periodo per il sistema della formazione professionale. Il ruolo della rete formativa. Rapporto finale, 2010 NICOLI D., I sistemi di istruzione e formazione professionale (VET) in Europa, 2010 PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., La valigia del “migrante”. Per viaggiare a Cosmopolis, 2010 PRELLEZO J.M., Scuole Professionali Salesiane. Momenti della loro storia (1853-1953), 2010 ROSSI G. (a cura di), Don Bosco, i Salesiani, l’Italia in 150 anni di storia, 2010 2011 ROSSI G. (a cura di), “Fare gli italiani” con l’educazione. L’apporto di don Bosco e dei Salesiani, in 150 anni di storia, 2011 GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1997, vol. 2 2012 MALIZIA G., Sociologia dell’istruzione e della formazione. Una introduzione, 2012 NICOLI D., Rubriche delle competenze per i Diplomi professionali IeFP. Con linea guida per la progettazione formativa, 2012 MALIZIA G. - PIERONI V., L’inserimento dei giovani qualificati nella FPI a.f. 2009-10, 2012 CNOS-FAP (a cura di), Cultura associativa e Federazione CNOS-FAP. Storia e attualità, 2012 2013 CUROTTI A.G., Il ruolo della Formazione Professionale Salesiana da don Bosco alle sfide attuali, 2013 PELLEREY M. - GRZĄ DZIEL D. - MARGOTTINI M. - EPIFANI F. - OTTONE E., Imparare a dirigere se stessi. Progettazione e realizzazione di una guida e di uno strumento informatico per favorire l’autovalutazione e lo sviluppo delle proprie competenze strategiche nello studio e nel lavoro, 2013 DONATI C. - BELLESI L., Osservatorio sugli ITS e sulla costituzione di Poli tecnico-professionali. Alcuni casi di studio delle aree Meccanica, Mobilità e Logistica, Grafica e Multimedialità, 2013 GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1997, vol. 3, 2013 TACCONI G. - MEJIA GOMEZ G., Success Storles. Quando è la Formazione Professionale a fare la differenza, 2013 PRELLEZO J.M., Scuole Professionali Salesiane. Momenti della loro storia (1853-1953), 2013 2014 ORLANDO V., Per una nuova Formazione Professionale dei Salesiani d’Italia. Indagine tra gli allievi dei Centri di Formazione Professionale, 2014 319 Sezione “Progetti” 2003 BECCIU M. - COLASANTI A.R., La promozione delle capacità personali. Teoria e prassi, 2003 CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione delle unità didattiche, 2003 COMOGLIO M. (a cura di), Prova di valutazione per la qualifica: addetto ai servizi di impresa. Prototipo realizzato dal gruppo di lavoro CIOFS/FP, 2003 FONTANA S. - TACCONI G. - VISENTIN M., Etica e deontologia dell’operatore della FP, 2003 GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo, 2003 MARSILII E., Guida per l’accompagnamento al lavoro dipendente, 2003 TACCONI G. (a cura di), Insieme per un nuovo progetto di formazione, 2003 VALENTE L. - ANTONIETTI D., Quale professione? Strumento di lavoro sulle professioni e sui percorsi formativi, 2003 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale alimentazione, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale aziendale e amministrativa, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale commerciale e delle vendite, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale estetica, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale sociale e sanitaria, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale tessile e moda, 2004 CIOFS/FP BASILICATA, L’orientamento nello zaino. Percorso nella scuola media inferiore. Diffusione di una buona pratica, 2004 CIOFS/FP CAMPANIA (a cura di), ORION tra orientamento e network, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale elettrica e elettronica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale grafica e multimediale, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale meccanica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale turistica e alberghiera, 2004 NICOLI D. (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema del - l’istruzione e della formazione professionale, 2004 NICOLI D. (a cura di), Sintesi delle linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale, 2004 2005 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale legno e arredamento, 2005 CNOS-FAP (a cura di), Proposta di esame per il conseguimento della qualifica professionale. Percorsi triennali di Istruzione formazione Professionale, 2005 NICOLI D. (a cura di), Il diploma di istruzione e formazione professionale. Una proposta per il percorso quadriennale, 2005 POLÀČEK K., Guida e strumenti di orientamento. Metodi, norme ed applicazioni, 2005 VALENTE L. (a cura di), Sperimentazione di percorsi orientativi personalizzati, 2005 2006 BECCIU M. - COLASANTI A.R., La corresponsabilità CFP-famiglia: i genitori nei CFP. Esperienza triennale nei CFP CNOS-FAP (2004-2006), 2006 CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione dei sussidi, II edizione, 2006 320 2007 D’AGOSTINO S., Apprendistato nei percorsi di diritto-dovere, 2007 GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo. Una proposta di percorsi per la creazione di impresa. II edizione, 2007 MARSILII E., Dalla ricerca al rapporto di lavoro. Opportunità, regole e strategie, 2007 NICOLI D. - TACCONI G., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello sta to dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. I volume, 2007 RUTA G. (a cura di), Vivere in... 1. L’identità. Percorso di cultura etica e religiosa, 2007 RUTA G. (a cura di), Vivere... Linee guida per i formatori di cultura etica e religiosa nei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale, 2007 2008 BALDI C. - LOCAPUTO M., L’esperienza di formazioni formatori nel progetto integrazione 2003. La riflessività dell’operatore come via per la prevenzione e la cura educativa degli allievi della FPI, 2008 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., Individuazione e raccolta di buone prassi mirate all’accoglienza, formazione e integrazione degli immigrati, 2008 NICOLI D., Linee guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2008 NICOLI D., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello stato dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. II volume, 2008 RUTA G. (a cura di), Vivere con... 2. La relazione. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 RUTA G. (a cura di), Vivere per... 3. Il progetto. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 2009 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale meccanica, 2009 MALIZIA G. - PIERONI V., Accompagnamento al lavoro degli allievi qualificati nei percorsi triennali del diritto-dovere, 2009 2010 BAY M. - GRZĄDZIEL D. - PELLEREY M. (a cura di), Promuovere la crescita nelle competenze strategiche che hanno le loro radici spirituali nelle dimensioni morali e spirituali della persona. Rapporto di ricerca, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale grafica e multimediale, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale elettrica ed elettronica, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale automotive, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per l’orientamento nella Federazione CNOS-FAP, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale turistico-alberghiera, 2010 2011 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A. (a cura di), “Cittadini si diventa”. Il contributo dei Salesiani (SDB) e delle Suore Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA) nell’educare studenti/ allievi delle loro Scuole/CFP in Italia a essere “onesti cittadini”, 2011 TACCONI G., In pratica. 1. La didattica dei docenti di area matematica e scientifico-tecnologica nell’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 TACCONI G., In pratica. 2. La didattica dei docenti di area linguistica e storico sociale nell’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 MANTEGAZZA R., Educare alla costituzione, 2011 NICOLI D., La valutazione formativa nella prospettiva dell’educazione. Una comparazione tra casi internazionali e nazionali, 2011 BECCIU M. - COLASANTI A.R., Il fenomeno del bullismo. Linee guida ispirate al sistema preventivo di Don Bosco per la prevenzione e il trattamento del bullismo, 2011 321 2012 PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., In cammino per Cosmopolis. Unità di Laboratorio per l’educazione alla cittadinanza, 2012 FRISANCO M., Da qualificati, a diplomati, a specializzati. Il cammino lungo una filiera ricca di opportunità e competenze. Riferimenti, dispositivi e strumenti per conoscere e comprendere i nuovi sistemi di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) e di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (IFTS), 2012 Sezione “Esperienze” 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 1. Guida per l’accoglienza, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 2. Guida per l’accompagnamento in itinere, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 3. Guida per l’accompagnamento finale, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 4. Guida per la gestione dello stage, 2003 2005 TONIOLO S., La cura della personalità dell’allievo. Una proposta di intervento per il coordinatore delle attività educative del CFP, 2005 2006 ALFANO A., Un progetto alternativo al carcere per i minori a rischio. I sussidi utilizzati nel Centro polifunzionale diurno di Roma, 2006 COMOGLIO M. (a cura di), Il portfolio nella formazione professionale. Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2006 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V., Una formazione di successo. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali triennali di istruzione e formazione professionale in Piemonte 2002-2006. Rapporto finale, 2006 2007 NICOLI D. - COMOGLIO M., Una formazione efficace. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali di Istruzione e Formazione professionale in Piemonte 2002-2006, 2007 2008 CNOS-FAP (a cura di), Educazione della persona nei CFP. Una bussola per orientarsi tra buone pratiche e modelli di vita, 2008 2010 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2010, 2010 2011 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2011, 2011 2012 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2012, 2012 NICOLI D. (a cura di), Sperimentazione di nuovi modelli nel sistema di Istruzione e Formazione Professionale Diploma professionale di tecnico Principi generali, aspetti metodologici, monitoraggio, 2012 2013 SALATINO S. (a cura di), Borgo Ragazzi don Bosco Area Educativa “Rimettere le ali”, 2013 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali. Edizione 2013, 2013 Tip.: Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma Tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - E-mail: tipolito@donbosco.it Dicembre 2014

Da qualificati, a diplomati, a specializzati. Il cammino lungo una filiera ricca di opportunità e competenze

Autore: 
Mauro Frisanco
Categoria pubblicazione: 
Progetti
Anno: 
2012
Numero pagine: 
329
Codice: 
978-88-95640-55-6
Mauro FRISANCO Anno 2012 DA QUALIFICATI, A DIPLOMATI,A SPECIALIZZATIIl cammino lungo una filiera ricca di opportunità e competenze Riferimenti, dispositivi e strumenti per conoscere e comprendere i nuovi sistemi di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) e di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (IFTS) Coordinamento scientifico:Dario Nicoli (Università Cattolica di Brescia) Hanno collaborato:Matteo D’ANDREA: Segretario Nazionale settore Automotive.Dalila DRAZZA: Sede Nazionale CNOS-FAP – Ufficio Metodologico-Tecnico-Didattico.FIAT GROUP Automobiles.Comunità professionale AUTOMOTIVE: Angelo ALIQUÒ, Gianni BUFFA, Roberto CAVAGLIÀ, Egidio CIRIGLIANO, Luciano CLINCO, Domenico FERRANDO, Paolo GROPPELLI, Nicola MERLI, Roberto PARTATA, Lorenzo PIROTTA, Antonio PORZIO, Roberto SARTORELLO, Fabio SAVINO, Giampaolo SINTONI, Dario RUBERI. ©2012 By Sede Nazionale del CNOS-FAP(Centro Nazionale Opere Salesiane - Formazione Aggiornamento Professionale)Via Appia Antica, 78 – 00179 RomaTel.: 06 5137884 – Fax 06 5137028E-mail: cnosfap.nazionale@cnos-fap.it – http: www.cnos-fap.it SOMMARIO Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 PARTE PRIMAIl sistema di Istruzione e Formazione Professionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 ALLEGATI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35 PARTE SECONDAIl Sistema di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 259 ALLEGATI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 273 PARTE TERZAGuardando all’Istruzione Tecnica Superiore: Fisionomie del sistema e riflessioni di prospettiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 299 Una bussola per orientarsi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 317 3 5 Presentazione Questo volume richiama l’attenzione su una proposta che sta avendo successo:si tratta dell’offerta formativa appartenente al sistema dell’Istruzione e FormazioneProfessionale (IeFP), promossa dalle Regioni. Oggi questo sistema propone percorsi formativi di durata triennale e quadrien-nale, validati da una sperimentazione avviata nel 2002 ed ora messa a regime, per-corsi formativi il cui numero è cresciuto nel tempo dal punto di vista quantitativo el’offerta formativa è migliorata dal punto di vista qualitativo. Per il primo aspetto è sufficiente ricordare che da appena 23.000 allievi circadel 2002/2003 i frequentanti hanno raggiunto, nell’anno 2010/2011, quota 248.000,come si legge nel comunicato del MIUR del 27.9.2012. Questo numero sarebbestato anche maggiore, secondo l’osservatorio delle Sedi nazionali degli Enti di For-mazione Professionale, se le risorse finanziarie fossero state adeguate alla domandadei giovani.La sperimentazione effettuata ha messo in evidenza, per il secondo aspetto,che i percorsi si sono rivelati efficaci per la loro capacità di catturare la motiva-zione degli allievi o di rimotivarli ed hanno risposto positivamente alle esigenzedel mondo del lavoro con alte percentuali di occupazione; il progetto formativo,inoltre, ha suscitato in molti giovani la volontà di proseguire nel sistema formativo(quarto anno) o rientrare nel sistema scolastico; l’allargamento di questa offertaformativa, infine, si è rivelata efficace nelle azioni di contrasto alla dispersionescolastica. L’ISFOL, il 12 maggio 2011, in un comunicato stampa di presentazione dei ri-sultati di una ricerca avviata nel luglio 2010 e terminata a febbraio 2011 dal titoloIstruzione e Formazione Professionale, ha dichiarato: “I percorsi triennali di Istru-zione e Formazione Professionale (IeFP) sono un importante canale di accesso almercato del lavoro: già a tre mesi dal conseguimento della qualifica un giovanesu due ha trovato il suo primo impiego e dopo tre anni la quota degli occupatisale al 59%. L’IeFP è anche un valido strumento per stimolare la prosecuzionedegli studi. Al termine del percorso un terzo dei partecipanti decide di realizzareun’altra esperienza formativa e dopo 3 anni un giovane su dieci sta ancora stu-diando”.Quali sono le ragioni di questo successo?È ancora l’ISFOL che, sulla base delle ricerche effettuate, lo spiega mettendoin risalto due ragioni: la passione educativa e l’adozione di particolari metodologieformative. 6 La passione educativa innanzitutto: “Prima di tutto la grande passione degli operatori dei Centri, che con il lorocarisma ed il loro entusiasmo, e soprattutto trasmettendo un personale e genuinointeresse verso le sorti dei ragazzi, hanno fatto comprendere loro come ci fossequalcuno che ne aveva davvero a cuore le sorti e che era disposto ad aiutarli con-cretamente”. Le metodologie formative partecipative, in secondo luogo: “Da un’altra parte, ma sempre in connessione con gli aspetti di recupero e ri-motivazione, le difficili situazioni familiari e personali che i formatori si sono tro-vati ad affrontare, hanno richiesto l’attivazione di metodologie formative parteci-pative in grado di mobilitare un interesse che la scuola non era riuscita ad attivareed in grado di restituire al ragazzo fiducia nei suoi mezzi e nelle sue possibilità”. Il desiderio di tutti gli Enti di Formazione Professionale e dei loro operatori,che hanno partecipato alla sperimentazione ed hanno contribuito al successo diquesta proposta, è che questa offerta si stabilizzi e si affermi come risposta allemolteplici domande di formazione dei giovani.Il volume che viene proposto, affidato dal CNOS-FAP ad un esperto di pro-cessi formativi, il dott. Mauro Frisanco, vuole documentare i principali pezzidella filiera professionalizzante che si sta costruendo in Italia. Il curatore del volume e la Sede Nazionale CNOS-FAP si augurano che questotesto possa rivelarsi un utile strumento di conoscenza del sistema di Istruzione eFormazione Professionale per gli operatori del settore e per tutti coloro che, ai varilivelli istituzionali, hanno il compito di accompagnarne l’affermazione. 7 Premessa Dalla nuova Istruzione e Formazione Professionale alla nuova Istruzione eFormazione Tecnica Superiore: la centralità di questa nuova filiera educativae formativa nel disegno europeo di crescita intelligente, sostenibile e inclusiva L’esplosione e il perdurare della crisi mondiale, le necessità immediate e futuredell’Europa in materia di competenze, hanno reso sempre più evidente l’emergenza“qualificazione capitale umano” e la centralità dell’istruzione e della formazionecome risorsa per la crescita, per il benessere individuale e collettivo, per la cittadi-nanza attiva. Al centro dell’attenzione europea è stata finalmente collocata anche laVET (Vocational Education and Training) date le sue funzioni trasversali nelle po-litiche comunitarie e, soprattutto, date le sue potenzialità, conseguenti alle peculiarimetodologie, allo specifico approccio pedagogico ed alla sua fisionomia. Quest’ul-tima assicura un sistematico ancoraggio all’evoluzione dei processi produttivi e la-vorativi, con capacità della VET di: – accompagnare le innovazioni tecnologico-organizzative e di sostenere il trasfe-rimento tecnologico e lo sviluppo nei territori; – educare alla creatività e all’imprenditività; – attivare formidabili partenariari e sinergie di azione tra forze istituzionali, eco-nomiche e sociali;– contribuire al contenimento della condizione Neet (Not in employment, in edu-cation, in training) per molti di quei giovani che, scoraggiati e privi di prospet-tive, assumono sempre più un atteggiamento di sfiducia nelle istituzioni e nelvalore effettivo e d’uso dell’istruzione, della formazione, dell’apprendimentopermanente.A livello europeo si è progressivamente sempre più consolidata l’idea che laVET, nello svolgere quel ruolo di importante cerniera tra educazione, cultura e pro-fessione, deve essere considerata come un sistema organico di offerta di istruzionee formazione, da quella iniziale (I-VET) a quella continua (C-VET), ivi compresaquella post-secondaria e/o terziaria.Molti e articolati sono gli obiettivi di miglioramento, numerose sono le paroled’ordine che caratterizzano le strategie della Commissione europea a proposito delripensamento del sistema guardando ad “Europa 2020”. In estrema sintesi, per la I-VET si ritiene essenziale una modernizzazione in grado di accrescerne l’attrattivitàe farne un’opzione di apprendimento qualitativamente valida, tale da contrastare l’ancor radicata e forte marginalità che riveste questo sistema nelle scelte educa-tive, istruttive e formative dei giovani. Entrano in gioco la qualità dei percorsi – chiamati ad assicurare profili in esitoadeguatamente elevati, sia in termini di competenze tecnico-professionali che dicompetenze chiave – la loro permeabilità orizzontale e verticale, la personalizza-zione dei curricula a sostegno dell’inclusione e del successo formativo dei soggettipiù bisognosi a rischio di emarginazione educativa, la professionalità docente, l’e-quivalenza e la pertinenza formativa dei diversi contesti di apprendimento, l’aper-tura all’internazionalizzazione e alla dimensione sovra territoriale delle esperienze.Tra tutti questi possibili fattori di modernizzazione nella direzione “2020” è fa-cile cogliere la centralità della filiera “IeFP - IFTS”, che aderisce pienamente allavisione di organica continuità verticale dei sistemi di VET iniziale e che, nella suaconnotazione di filiera consistente, può contribuire in modo significativo alla valo-rizzazione in chiave formativa e lavorativa dei tanti talenti presenti in quelle fascegiovanili “scaricate alla IeFP” perché considerate “inadatte” al canale scolastico,quasi una “zavorra” per una Scuola sempre più standardizzata, anche a causa delsuo prevalente impegno nel dimostrare l’efficacia delle pratiche su parametri inari-diti e sulla base delle performance internazionali. Il consolidamento, il rinnovamento e la modernizzazione ordinamentale chehanno interessato l’intera filiera nel biennio 2010-2012 rappresentano sul pianoconcreto il punto di appoggio “nazionale” per quel nuovo slancio per l’istruzione eformazione professionale, teso al perseguimento, in sintonia con le priorità eu-ropee, di fisionomie più “alte” di questi sistemi educativi e formativi, in grado direnderli più attraenti come opzione di apprendimento, maggiormente e sistematica-mente pertinenti con i fabbisogni del mercato del lavoro, efficienti nella crescentegestione dell’eterogeneità dei discenti, efficaci per promuovere la migliore combi-nazione possibile di competenze professionali e di competenze chiave, entrambe aun livello adeguato per l’occupabilità e, più in generale, per l’equità, la coesionesociale e la cittadinanza attiva.Da qualificati, a tecnici, a specializzati: per i giovani della IeFP, un camminodi crescita lungo una filiera sempre più ricca di competenze e un’opportunità signi-ficativa di progressione educativa e professionale; per le imprese, la disponibilità diun’offerta di qualificazioni in più stretta osmosi con la crescente articolazione delfabbisogno di competenze; per i territori, una condizione necessaria per ampliare equalificare il capitale umano nell’ottica di affrontare le sfide impegnative che già siintravvedono a più lungo termine. 8 Parte Prima 9 1 L’Accordo siglato in sede di Conferenza Stato-Regioni del 29 aprile 2010, in vista della messaa regime dei livelli essenziali dei percorsi IeFP completa e ridefinisce il Repertorio delle figure pro-fessionali di riferimento e dei relativi standard formativi minimi delle competenze tecnico-professio-nali; inoltre, stabilisce che per quanto riguarda i livelli essenziali relativi alle competenze linguistiche,matematiche, scientifiche, tecnologiche, storico sociali ed economiche, al fine di assicurare l’assolvi-mento dell’obbligo di istruzione e l’equivalenza formativa di tutti i percorsi del secondo ciclo nel ri-spetto dell’identità dell’offerta formativa e degli obiettivi che caratterizzano i curricola dei diversi or-dini, tipi e indirizzi di studio, si fa riferimento ai risultati di apprendimento relativi alle competenze,conoscenze e abilità di cui al Regolamento dell’Obbligo di Istruzione (DM 139/07), nonché alle com-petenze chiave per l’apprendimento permanente di cui alla Raccomandazione del Parlamento Europeoe del Consiglio 18 dicembre 2006. Viene specificato, inoltre, che i risultati di apprendimento in esitoall’Obbligo di Istruzione costituiscono la base culturale generale di riferimento per lo sviluppo nelterzo e nel quarto anno dei percorsi per il conseguimento dei titoli di qualifica e di diploma professio-nale delle competenze, definite a partire dal quadro europeo delle competenze chiave per l’apprendi-mento permanente e nel rispetto della specifica fisionomia dei percorsi di Istruzione e FormazioneProfessionale.2 Il tavolo interistituzionale è composto dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ri-cerca, dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali le Regioni, le Province Autonome di Trento eBolzano. Il sistema di Istruzione e Formazione Professionale 1. Il passaggio a nuovo ordinamento dei percorsi di Istruzione e FormazioneProfessionale Con il Decreto Interministeriale dell’11 novembre 2011, che ha recepito l’Ac-cordo in sede di Conferenza Stato-Regioni del 27 luglio 2011, e con l’Accordo si-glato in Conferenza Unificata il 27 luglio 2011 è cessata la sperimentazione deipercorsi di Istruzione e Formazione Professionale ed il sistema IeFP è oggi referen-ziato al mondo economico e del lavoro. In continuità all’Accordo siglato in sede di Conferenza Stato-Regioni del 29aprile 2010 riguardante il primo anno di attuazione 2010-2011 dei percorsi di Istru-zione e Formazione Professionale1, nello specifico, considerata la necessità di defi-nire i dispositivi necessari per il passaggio a nuovo ordinamento nonché di adot-tare, in relazione al nuovo quadro di riferimento, coerenti modelli di attestazionedelle competenze e delle qualificazioni, il percorso di lavoro svolto dall’appositoTavolo interistituzionale2 ha consentito di:– costituire il Repertorio nazionale dell’offerta di Istruzione e Formazione Pro-fessionale che, a differenza del Repertorio delle figure professionali di riferi-mento di cui all’Accordo del 29 aprile 2010, comprende, ai fini della piena 11 3 La referenziazione è oggetto dell’Accordo siglato in Conferenza Unificata il 27 luglio 2011. unitarietà nazionale del sistema IeFP, sia le figure sia i criteri metodologici didescrizione e aggiornamento periodico degli standard formativi delle quali-fiche e dei diplomi;– definire gli standard minimi formativi relativi alle competenze di base linguisti-che, matematiche, scientifiche, tecnologiche, storico-sociali ed economiche inriferimento al terzo anno di qualifica e al quarto anno di diploma professionale;– elaborare, per il riconoscimento tra i sistemi regionali, tra questi e il sistema diistruzione, i modelli e le relative note di compilazione di Attestato di qualificaprofessionale e di Diploma professionale;– produrre, nelle more della definizione di tutti i dispositivi di certificazione ne-cessari ad assicurare le corrispondenze e le modalità di riconoscimento tra icrediti acquisiti nei percorsi di istruzione secondaria superiore e i crediti acqui-siti nei percorsi di IeFP, un modello, con relative note di compilazione, perl’attestazione delle competenze acquisite dagli studenti che interrompono i per-corsi IeFP;– costituire un referenziale omogeneo a livello nazionale per il mondo econo-mico e delle professioni del sistema IeFP3, aggregando le figure triennali equadriennali in sette aree professionali, individuate a partire dalla classifica-zione delle Aree Economico Professionali elaborata sulla base della traduzioneitaliana delle nomenclature statistiche internazionali, rispettivamente dellaclassificazione delle attività economiche (NACE-ATECO) e della classifica-zione delle professioni (ISCO-NUP). 2. Il Repertorio nazionale dell’offerta di Istruzione e Formazione Professionale 2.1. Riferimenti e percorso costruttivoIl Repertorio trova il suo principale riferimento normativo nell’art. 13, comma1-quinques, della Legge 40/2007 che, nel prevedere l’adozione di Linee guida perrealizzare “organici raccordi tra i percorsi degli istituti tecnico-professionali e i per-corsi di istruzione e formazione professionale”, fa esplicito riferimento ad un Re-pertorio nazionale di qualifiche e diplomi professionali, inteso come quadro uni-tario delle figure di differente livello, articolabili in specifici profili sulla base deifabbisogni del territorio, definite attraverso Accordi in Conferenza Stato-Regioni,secondo la disposizione del d.lgs. 226/2005, art. 27, comma 2. Con l’Accordo siglato in sede di Conferenza Stato-Regioni il 29 aprile 2010, ilRepertorio nazionale trova una sua significativa ridefinizione e completamento ri-spetto ai primi quadri unitari di riferimento, in termini di figure e relativi standardformativi minimi delle competenze tecnico-professionali, dei percorsi sperimentali 12 4 Per cogliere, nello specifico, la valenza e la significatività dei principali elementi che hannoconnotato il percorso costruttivo del Repertorio tra il 2006 e il 2010 si veda M. FRISANCO, “Il Reper-torio nazionale delle qualifiche e dei diplomi professionali”, Rassegna CNOS n. 2, 2010. triennali adottati attraverso l’Accordo Stato-Regioni del 5 ottobre 2006 e l’AccordoStato-Regioni del 5 febbraio 2009 che rappresentano, di fatto, le prime due tappedel percorso costruttivo dell’attuale Repertorio nazionale4. Per completezza delquadro istituzionale di riferimento caratterizzante questa fase, il 25 febbraio 2010viene siglato in sede di Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome un“Accordo per l’adozione delle metodologie e degli strumenti condivisi in sede dicoordinamento tecnico e politico delle Regioni, quale riferimento per l’offerta diIstruzione e formazione professionale a livello regionale”, che rappresenta lo stru-mento per dare continuità al lavoro di completamento e ridefinizione del Reper-torio nazionale. Attraverso l’Accordo le Regioni e le Province Autonome valoriz-zano tutte le acquisizioni documentali e strumentali condivise in esito al piano dilavoro e, nello specifico:– il Documento metodologico approvato dal Coordinamento Tecnico delle Re-gioni in data 27 ottobre 2009;– le figure di riferimento e gli standard formativi minimi relativi alle compe-tenze, alle abilità minime, alle conoscenze essenziali tecnico-professionali ca-ratterizzanti e alle competenze tecnico-professionali comuni dei percorsi trien-nali di Qualifica professionale, approvati dal Coordinamento Tecnico delle Re-gioni in data 30 luglio 2009;– il Documento sulla fisionomia del Tecnico in esito al quarto anno di Diplomaprofessionale, approvato dal Coordinamento Tecnico delle Regioni in data 30luglio 2009 e, per le successive modificazioni, in data 27 ottobre 2009;– le figure di riferimento e gli standard formativi minimi relativi alle compe-tenze, alle abilità minime e alle conoscenze essenziali tecnico-professionali ca-ratterizzanti del quarto anno di Diploma professionale, approvati dal Coordina-mento Tecnico delle Regioni in data 27 ottobre 2009;– gli standard formativi delle competenze di base del quarto anno di Diplomaprofessionale, approvati dal Coordinamento Tecnico delle Regioni in data 27ottobre 2009.Tenendo conto delle acquisizioni documentali destinate a supportare l’AccordoStato-Regioni, poi siglato in sede di Conferenza il 29 aprile 2010, le Regioni e leProvince Autonome convengono, nel loro specifico Accordo, di: – acquisire il documento metodologico, quale strumento di supporto per lo svi-luppo e la manutenzione del Repertorio dell’offerta di Istruzione e FormazioneProfessionale a livello nazionale; – adottare gli standard formativi delle competenze di base del quarto anno di Di-ploma professionale come quadro di riferimento comune a partire dal 2010/2011; 13 Tale quadro istituzionale complessivo ha costituito il “punto di partenza” per ladefinizione degli atti necessari per il passaggio al nuovo ordinamento dei percorsiIeFP. Nello specifico occorreva:– completare la definizione degli standard formativi minimi delle competenzetecnico professionali caratterizzanti le figure in Repertorio con la descrizionedei processi e delle attività di lavoro;– tenere conto della referenziazione delle figure alle aree professionali;– assumere, di conseguenza, un format di descrizione delle figure nazionali di ri-ferimento coerente e diverso da quello utilizzato per declinare le figure assuntedall’Accordo Stato Regioni del 29 aprile 2010;– definire i criteri metodologici di descrizione e aggiornamento degli standardformativi ricompresi nel Repertorio;– declinare gli standard minimi formativi delle competenze di base del terzoanno e del quarto anno.L’ancoraggio degli standard formativi ai processi e alle attività di lavoro è av-venuto avvalendosi del format utilizzato dal gruppo tecnico delle Regioni che giàprevedeva, per ogni competenza tecnico-professionale e suoi elementi costitutivi(abilità e conoscenze), la correlazione con lo specifico processo di lavoro e le sueattività caratterizzanti. Tale format di lavoro è stato poi armonizzato rispetto aquello utilizzato nell’Accordo del 29 aprile 2010, generando il format attualmenteutilizzato per descrivere le figure. Viene così assunto, per il passaggio al nuovo or- – valorizzare, come impianto di base comune per connotare gli obiettivi di ap-prendimento – declinati nei profili regionali – in esito al quarto anno di di-ploma professionale, il documento sulla fisionomia del tecnico professionale.Al termine del periodo 2006-2010 il quadro istituzionale complessivo di riferi-mento comune, ai fini del passaggio dalla fase sperimentale al nuovo ordinamentodel sistema di Istruzione e Formazione Professionale fondato sui livelli essenzialidelle prestazioni e standard nazionali, risultava così articolato. 14 dinamento, un dispositivo metodologico fondamentale per marcare l’identità del si-stema di IeFP: la declinazione dello standard formativo in rapporto ai processi ealle connesse attività che caratterizzano il contenuto professionale dello standardstesso.La definizione dei criteri metodologici di descrizione e aggiornamento deglistandard formativi è avvenuta attraverso la piena valorizzazione del documentometodologico oggetto dell’Accordo tra le Regioni e PA del 25 febbraio 2010:sono stati interamente recuperati le definizioni, i criteri di descrizione delle figurenazionali di riferimento, le indicazioni descrittivo-costruttive delle competenze,delle abilità e delle conoscenze; il dispositivo per l’aggiornamento ha, invece, co-nosciuto degli aggiustamenti in termini di fasi procedurali e di criteri di valuta-zione analitica e complessiva delle proposte di manutenzione e sviluppo del Re-pertorio.La declinazione degli standard minimi formativi delle competenze di base delterzo anno e del quarto anno, dovendo rispettare l’approccio metodologico indicatotra i livelli essenziali dei percorsi stabiliti dall’Accordo Stato Regioni del 29 aprile2010 e tenendo conto delle sperimentazioni in atto nelle Regioni e PA, soprattuttoin riferimento all’applicazione degli standard di base per il quarto anno di diplomaassunti dall’Accordo tra le Regioni e PA del 25 febbraio 2010, ha valorizzato soloin parte gli standard formativi delle competenze di base del quarto anno di diplomaprofessionale condivisi dalle Regioni e PA; quest’ultimi sono stati, infatti, oggettodi una rilettura complessiva anche alla luce di un approccio costruttivo di filierache doveva tenere conto della logica costitutiva e della fisionomia delle compe-tenze in esito al terzo anno.A partire dal 2011, il nuovo quadro istituzionale complessivo di riferimentocomune risulta così articolato. 15 16 Dalla mappa della tipologia delle acquisizioni documentali, della loro colloca-zione e valorizzazione nei diversi Accordi si evince come solo il documento sulla“Fisionomia del Tecnico in esito al quarto anno di Diploma professionale” rimaneattualmente esclusivo riferimento regionale in quanto non recepito e/o valorizzatonegli Accordi tra lo Stato e le Regioni. Decaduti, invece, risultano gli standard for-mativi delle competenze di base del quarto anno di diploma professionale elaboratinel 2010.Per completezza dell’evoluzione del quadro di riferimento è inoltre opportunofare riferimento anche all’Accordo Stato-Regioni siglato in sede di Conferenza il19 gennaio 2012 riguardante l’integrazione del Repertorio 2011 che vede l’inseri-mento di una nuova figura (Operatore del mare e delle acque interne) e la ridefini-zione della figura dell’Operatore del benessere, nello specifico dell’indirizzo “Este-tica”, con abilità e conoscenze estese anche ai trattamenti estetici eseguiti sulla su-perficie del corpo umano. Allo stato, il Repertorio conta 22 figure di operatore e 21figure di tecnico. 2.2. Definizioni, impianto e approccio metodologicoDopo aver tracciato in sintesi il percorso costruttivo tecnico e istituzionale delRepertorio sono necessari alcuni approfondimenti sul suo impianto metodologico,nello specifico sulle definizioni, sulle scelte e loro implicazioni, che lo connotano.Tra le varie definizioni la prima è quella di Repertorio nazionale dell’offerta diistruzione e formazione professionale inteso come insieme di figure di differente li-vello – di riferimento delle qualifiche e dei diplomi professionali – relative ad areeprofessionali, articolabili in specifici profili regionali sulla base dei fabbisogni delterritorio.Per figura nazionale di riferimento si intende uno standard minimo formativo,assunto a livello di sistema Paese, consistente in un insieme organico di compe-tenze tecnico-professionali specifiche, declinate in rapporto ai processi di lavoro ealle connesse attività, che caratterizzano il contenuto professionale della figurastessa. Le figure nazionali di riferimento possono declinarsi in indirizzi che costi-tuiscono specifici orientamenti formativi volti ad una più puntuale caratterizza-zione della figura per prodotto/servizio/ambito/lavorazione5. 5 Gli indirizzi sono stati introdotti come soluzione all’evidente anomalia, emersa in sede di attua-zione dei percorsi formativi in alcuni sistemi regionali, che caratterizzava l’architettura di alcune delle14 figure presenti nel Repertorio di cui all’Accordo Stato-Regioni 2006; vediamo brevemente l’e-sempio probabilmente più eclatante, quello dell’operatore del benessere. Tale operatore presentavastandard di competenza sia in riferimento all’ambito dell’acconciatura che a quello dell’estetica; neconseguiva, sul piano attuativo, la necessità di assicurare in tutti i sistemi regionali, pena il non ri-spetto dello standard nazionale, percorsi formativi polivalenti in esito ai quali la qualificazione finalenon era specificatamente di ambito (acconciatura oppure estetica), ma di carattere misto (sia di accon-ciatura che di estetica). Evidenti, dunque, le problematiche di tale impostazione, riconducibili princi-palmente, da un lato, all’effettiva riconoscibilità e spendibilità, della qualificazione nel mercato del la- 17 Figure e indirizzi:– possono ulteriormente declinarsi, a livello regionale, in profili che rappresen-tano una declinazione dello standard formativo nazionale rispetto a specificitàterritoriali del mercato del lavoro. Tale declinazione può riguardare anche lecompetenze tecnico-professionali comuni e le competenze di base. Le compe-tenze tecnico-professionali e di base che, sulla base delle specifiche esigenzeterritoriali, connotano il profilo regionale si intendono, in ogni caso, aggiuntiverispetto a quelle assunte dal sistema Paese come standard nazionale;– sono aggregati per area professionale, che identifica un insieme coerente dicomparti settoriali e che articola per ambiti economico-professionali l’offertadi IeFP. Gli standard minimi formativi dei percorsi di Istruzione e Formazione Profes-sionale hanno come oggetto di riferimento fondamentale la competenza, intesacome “comprovata capacità di utilizzare conoscenze, abilità e capacità personali,sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo pro-fessionale e personale”6.Dal punto di vista dei criteri metodologici adottati, si tenga presente che nell’e-laborare la definizione di Repertorio è stata fatta la scelta di valorizzare tutti i rife-rimenti di cui agli artt. 18 e 27, comma 2, lett. a), d.lgs. n. 226/05 – dunque “quali-fiche”, “diplomi”, “figure di differente livello” – enfatizzando però maggiormente,rispetto ai concetti e ai termini contenuti nei precedenti Accordi e allo stesso d.lgs.n. 226/05, la connotazione formativa e non professionale, delle figure e dei profilideclinati in termini di standard; di qui la decisione di considerare la figura come“figura di riferimento del percorso formativo” e non come “figura professionale”.Tale scelta ha trovato ragioni anche nella volontà di assicurare, da questa angola-tura, un’effettiva coerenza all’approccio descrittivo “a banda larga7” della figura.Ciò ha portato all’individuazione e declinazione di figure che possono non trovareuna precisa collocazione nella nomenclatura professionale: valga per tutti l’e- voro e, dall’altro, alla reale formabilità di competenze sufficientemente adeguate per affrontare l’in-gresso in ruoli professionali che, nella realtà, sono nettamente distinti per tipologia di contesto lavora-tivo, responsabilità, out-put tipico del servizio, ecc. Analoghe problematiche erano emerse anche perl’operatore alla promozione e accoglienza turistica (in questo caso, la polivalenza riguardava l’ambitodella ricettività alberghiera e quello delle agenzie turistiche), per l’operatore alla ristorazione (constandard nazionale polivalente per cucina-servizi di sala) e per l’operatore grafico (con standard na-zionale polivalente per prestampa-stampa-allestimento-multimedia). Per molti sistemi regionali il ri-spetto dello standard nazionale, così congeniato, significava anche aggravio dei costi di gestione, datala necessità di effettuare investimenti in strutture e/o attrezzature per assicurare un’offerta formativapolivalente presso plessi non idonei, perché caratterizzati da percorsi di qualifica, da sempre, distinti.6 Definizione tratta dalla Raccomandazione sulla costituzione del Quadro europeo delle “qualifi-cazioni” per l’apprendimento permanente, Parlamento Europeo e Consiglio del 23 aprile 2008.7 La figura a “banda larga” rappresenta standard formativi validi e spendibili in molteplici e di-versi contesti professionali e lavorativi, corrispondenti ad un insieme compiuto e riconoscibile dicompetenze. 18 sempio dell’operatore del benessere, figura a “banda larga” del processo del tratta-mento dell’aspetto della persona, che non trova riscontro nel mondo del lavoro senon in termini di acconciatore o in termini di estetista. Figure e indirizzi sono stati identificati tenendo conto della corrispondenza deititoli in uscita dai percorsi triennali e quadriennali con differenti livelli del QuadroEuropeo delle “Qualificazioni” (QEQ/EQF) e declinati secondo descrittori e defini-zioni di cui alla Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio sullacostituzione del Quadro Europeo delle “Qualificazioni” per l’apprendimento per-manente del 23 aprile 2008. Nello specifico, la costruzione del Repertorio, daquesta angolatura di analisi, si fonda sull’adozione di un approccio di lavoro “di fi-liera” che ha richiesto un lavoro congiunto e contestuale: non si potevano indivi-duare le figure di diploma senza aver prima individuato quelle di qualifica; non sipotevano declinare gli standard formativi degli operatori senza tener conto della fi-sionomia di quelli dei tecnici e, per quest’ultimi, era necessario tener conto anchedella connotazione dei tecnici superiori. Una delle questioni centrali nella costru-zione del Repertorio è stata l’assicurazione del rispetto dei differenziali tra i livelliQEQ/EQF interessati: il 3° livello per gli operatori, il 4° livello per i tecnici, il 5°livello come riferimento “alto”, rispetto al quale calibrare gli standard formativi deidiplomi professionali. Per ovviare alla carenza di riferimenti-guida offerti dai de-scrittori del QEQ/EQF – il differenziale, tra il 3° e il 4° livello, è basato principal-mente sull’autonomia e sulla responsabilità – i tre livelli di qualificazione europea,qui interessati, sono stati riletti8 allo scopo di connotarli dal punto di vista:– della tipologia di ampiezza delle conoscenze e delle abilità;– delle caratteristiche dell’ambiente lavorativo;– della tipologia dei problemi da affrontare;– dell’approccio di soluzione ai problemi;– del tipo di attività presidiate;– del contributo dato allo sviluppo delle attività.Questo approccio costruttivo delle fisionomie delle figure di differente livelloe degli standard formativi ha consentito di assicurare una effettiva progressioneverticale della dimensione professionale (secondo un’ottica di filiera) rispetto aquella dell’operatore, individuando come elementi di differenziazione: la tipo-logia/ampiezza delle conoscenze, la finalizzazione della gamma di abilità cognitivee pratiche, il grado di responsabilità e di autonomia nello svolgimento delle varieattività, la tipologia del contesto di operatività, la presenza di ulteriori specializza- 8 La metodologia adottata è stata offerta da uno specifico studio contenuto in M. FRISANCO, Sce-nari, esperienze, riflessioni e proposte per l’elaborazione di una metodologia di lavoro per giungere auna definizione e descrizione del “tecnico superiore”, per coglierne i fabbisogni, per promuoverne laformazione, in M. PELLEREY (a cura di), Studio sull’intera filiera formativa professionalizzante allaluce delle strategie di Lisbona a partire dalla formazione superiore non accademica, Rapporto finale,CNOS-FAP - CIOFS-FP, dicembre 2008. 19 zioni, ma anche, più in generale, le modalità di comportamento nei contesti socialie lavorativi, l’uso di strategie di autoapprendimento e di autocorrezione. Proprio per favorire una maggiore consapevolezza del significato di sviluppodi filiera formativa correlata ai livelli QEQ/EQF, nello specifico al fine di cogliere itratti generali della fisionomia di qualificazione di operatori e tecnici, è possibile,riclassificando gli standard formativi in quattro macro-cluster di tipizzazione dellecompetenze (tecnico-caratterizzanti, relazionali, cognitive, gestionali), cogliere(cfr. figura seguente) il passaggio, al crescere dei livelli di qualificazione, da unadimensione prevalentemente tecnica (operatore, livello 3) ad una dimensione an-cora tecnica ma più aperta sia a quella relazionale che gestionale (tecnico, livello4), ad una dimensione marcatamente gestionale, oltre che relazionale e cognitiva,per il tecnico superiore (livello 5). Il costrutto della definizione di Profilo (regionale) mette poi in risalto alcunielementi che hanno evidenti implicazioni sulla programmazione dell’offerta forma-tiva e sulla progettazione dei percorsi a livello territoriale. Nello specifico: il rap-porto tra il profilo regionale e, in generale, lo standard nazionale; la “connotazione”o “fisionomia” che può assumere il profilo regionale. Lo “standard nazionale”, in-fatti, può riferirsi alla sola figura oppure, eventualmente, alla combinazione datadalla figura e da almeno uno degli indirizzi della stessa. Tale architettura influenzala fisionomia del profilo regionale e, per questo, è opportuno fare chiarezza anchesu questo aspetto metodologico dell’impianto del Repertorio. In altri termini, nelcaso di figura articolata in indirizzi, si è convenuto che lo standard nazionale è datodall’insieme costituito dagli standard formativi comuni agli indirizzi e da quelli ca-ratterizzanti almeno uno degli indirizzi. È evidente, infatti, che, nel caso di figuraarticolata in indirizzi, lo standard non può essere costituito dalla sola “parte co-mune” oppure dal solo indirizzo. Non vi sono dubbi sul fatto che questa architet- 20 tura agevoli la programmazione nel contesto regionale e che la presenza dell’indi-rizzo possa essere vista come garanzia dell’effettivo rispetto dell’identità dei di-versi sistemi regionali dentro il quadro unitario nazionale. Livellando al minimo glistandard formativi connotativi degli indirizzi si è creata la condizione per poter mo-dellare il profilo regionale in rapporto allo standard nazionale ed a seconda dellespecificità del sistema territoriale. Le Regioni hanno, infatti, la possibilità di pro-grammare, in base alle loro necessità, optando per uno standard nazionale di riferi-mento di carattere polivalente, dato dalla “parte comune” della figura e dall’aggre-gazione di tutti gli indirizzi, oppure dato dalla combinazione della “parte comune”della figura con l’indirizzo, o gli indirizzi, scelto/i tra quelli previsti. Tenendo poiconto che il Profilo regionale non può mai togliere nulla allo standard nazionale masolo aggiungere [“le competenze tecnico professionali che, sulla base delle speci-fiche esigenze territoriali, connotano il Profilo regionale si intendono aggiuntiverispetto a quelle assunte dal sistema Paese come standard nazionale”], il profilo,sulla base dell’architettura dello standard nazionale scelto dal sistema regionale,può assumere le seguenti “connotazioni” o “fisionomie”:– profilo regionale come accorpamento di più indirizzi;– profilo regionale come articolazione ulteriore (potenziamento/allargamento)della figura o dell’indirizzo;– profilo regionale come ulteriore declinazione delle competenze e/o dei loroelementi costitutivi (abilità, conoscenze) della figura e/o dell’indirizzo.Di seguito alcuni esempi di “fisionomie” di Profilo regionale. 21 A chiusura della disamina dell’impianto metodologico fondante il Repertoriovanno richiamate le indicazioni descrittive-costruttive delle competenze, delle abi-lità e delle conoscenze, elaborate ed assunte al fine di assicurare:– nella definizione degli standard minimi formativi, aderenza alle definizioni eall’impostazione del quadro europeo e piena corrispondenza dei titoli in uscitadai percorsi con i livelli previsti dal QEQ/EQF;– nella prospettiva della manutenzione periodica del Repertorio, l’utilizzo diun’impostazione e di linguaggi comuni nella presentazione delle proposte re-gionali di aggiornamento.Attraverso tali indicazioni si sono assunti criteri metodologici e linguaggi co-muni, indispensabili ai fini della costruzione e sviluppo di un impianto a valenzanazionale.In riferimento alla “competenza”:– per identificare le competenze tecnico-professionali ci si riferisce ai processi dilavoro ed alle attività specifiche fondamentali, che connotano e caratterizzanola Figura/Indirizzo in modo necessario, sufficiente, essenziale; per questo mo-tivo sono indicate solo le competenze effettivamente connotative o caratteriz-zanti sia le Figure che gli eventuali Indirizzi;– per descrivere la competenza i criteri utilizzati devono assicurare un costruttoche esprima il livello di responsabilità e di autonomia, che specifichi le caratte-ristiche essenziali del suo contesto d’esercizio, che offra riferimenti alle risorsemobilizzate, oltre all’indicazione della prestazione attesa. La competenza, incoerenza con l’EQF, è descritta in termini di responsabilità e autonomia edesprime la sintesi dei suoi elementi costitutivi, quali: la tipologia della situa-zione/contesto per la quale essa fornisce una certa padronanza; le risorse cheessa mobilizza (saperi di vario tipo, atteggiamenti, schemi e/o procedure diazione e di decisione, ecc.); il prodotto atteso. Sul piano descrittivo, ne con-segue l’utilizzo di verbi all’infinito che identificano chiaramente la tassonomiadei livelli di responsabilità/autonomia differenziati per le figure di operatore edi tecnico (ad esempio, eseguire, effettuare, collaborare, scegliere, predisporre,controllare, coordinare, programmare, gestire, ecc.), la specificazione delle ca-ratteristiche essenziali del contesto di esercizio, il riferimento alle risorse mo-bilizzate, l’indicazione della prestazione o della famiglia di prestazioni attesa aseconda del grado di complessità della competenza. In via prioritaria nel de-scrittivo della competenza si utilizza un solo verbo, due verbi solo se neces-sario, ovvero quando indicano una successione organica e coerente; non vannoutilizzati due verbi quando uno contiene l’altro oppure se in alternativa (ad es.,“gestire e sovrintendere”); non vengono infine mai utilizzare locuzioni deltipo: “correttamente”, “adeguatamente”, “con un certo grado di autonomia;– nella costruzione della competenza occorre identificare i suoi elementi costitu-tivi, le abilità e le conoscenze. 22 In riferimento alle “abilità” e alle “conoscenze”:– le abilità indicano le capacità di applicare conoscenze per portare a terminecompiti e risolvere problemi; sono descritte come cognitive (comprendentil’uso del pensiero logico, intuitivo e creativo) e pratiche (comprendenti l’abi-lità manuale e l’uso di metodi, materiali, strumenti); possono ricorrere incompetenze diverse ed esprimono il lato tecnico/applicativo/relazionale perl’esercizio della competenza; ne consegue l’uso di verbi e di una sintassi ingrado di mettere in evidenza la dimensione applicativa e/o di utilizzo di tec-niche/procedure/metodiche. Non possono avere spessore più ampio dellacompetenza e devono essere almeno due per ogni competenza. Come avvienecon le competenze, le abilità sono espresse con verbi all’infinito e non ven-gono mai utilizzate locuzioni del tipo: “correttamente”, “adeguatamente”,“con un certo grado di autonomia”; per descrivere un’abilità si usa normal-mente un solo verbo.– le conoscenze sono un insieme di fatti, principi, teorie e pratiche relative ad unambito di lavoro. Sono individuate rispetto alle singole competenze, secondocriteri di essenzialità e di effettiva “formabilità” in relazione al contesto di ap-prendimento. Sono descritte come teoriche e/o pratiche e possono ricorrere incompetenze diverse. Il loro spessore va sempre legato al livello della compe-tenza, a sua volta legato al target di utenza; sono espresse con sostantivi, indi-canti prevalentemente tipologie e/o oggetti di saperi (ad es. principi di…, ele-menti di…, tecniche di …). Al fine di evitare di fornire una indicazione gene-rica delle conoscenze, unicamente legata alle discipline, la formulazione “ele-menti di…”, “principi di…” va integrata con “correlate/i ai…” con la specificadi settore, in modo da ancorare le conoscenze ad un ambito concreto di appli-cazione professionale. Nella conoscenze è opportuno inserire il riferimento a“terminologia tecnica, specifica del settore, in una lingua comunitaria”, in pre-senza di tutte le figure che prevedono conoscenze linguistiche specifiche/ditipo tecnico, non riconducibili alle competenze di base;– le abilità e le conoscenze sono da intendere, rispettivamente, come minime edessenziali perché necessarie e significative per far fronte alla tipologia di situa-zioni caratterizzante l’esercizio della competenza. 2.3. La manutenzione e l’aggiornamentoIl Repertorio nazionale, le figure nazionali di riferimento che lo costituisconoed i relativi standard minimi formativi delle competenze tecnico-professionali spe-cifiche sono aggiornati periodicamente con cadenza triennale, con riferimento agliesiti del monitoraggio e delle valutazioni di sistema, nonché agli sviluppi della ri-cerca scientifica, alle innovazioni tecnologiche e alle esigenze espresse dal mondoeconomico e produttivo. La manutenzione del Repertorio nazionale prevede le se-guenti operazioni: 23 – l’aggiornamento delle figure e/o dei relativi indirizzi e delle relative compe-tenze tecnico-professionali;– l’individuazione e la descrizione di nuove figure nazionali di riferimento dellequalifiche e dei diplomi di Istruzione e Formazione Professionale.Per entrambe le operazioni di manutenzione del Repertorio nazionale si preve-dono le seguenti fasi procedurali: • Proposta di aggiornamento di figura/indirizzo o di nuova figura nazionale di ri-ferimento a cura della IX Commissione della Conferenza dei Presidenti delleRegioni e delle Province Autonome, al Tavolo Tecnico Interistituzionale, com-posto dal Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca, dal Ministerodel lavoro e delle politiche sociali e dal Coordinamento Tecnico della IX Com-missione della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province Auto-nome, in base alle indicazioni descrittivo-costruttive e secondo il format pre-visto per la definizione di figure e indirizzi, a cadenza triennale, entro il mesedi settembre, per l’anno scolastico e formativo seguente. • Istruttoria a cura del Tavolo Tecnico Interistituzionale sulla base di:- verifica della completezza e conformità dei supporti documentali in base al-le indicazioni descrittivo-costruttive, al format previsto per la definizione difigure e indirizzi, comprensivi delle eventuali tabelle di corrispondenza trale nuove denominazioni delle figure/indirizzi e le previdenti denominazioni;- verifica di coerenza con il riferimento unitario al profilo educativo, cultu-rale e professionale del secondo ciclo del sistema educativo di istruzione eformazione;- valutazione analitica e complessiva delle proposte di manutenzione e svi-luppo in riferimento a: • aderenza delle proposte alle innovazione dei processi di lavoro e/o alleesigenze del sistema socio-economico territoriale e/o settoriale;• comprovata sostenibilità/occupabilità riferita al target di utenza;• ricorsività e/o evidenza del carattere sovraregionale delle proposte, inuna logica di “banda larga” delle figure del Repertorio nazionale;• coerenza delle proposte con il quadro complessivo dell’offerta tecnica eprofessionale secondaria e superiore di istruzione e formazione profes-sionale e con i differenti livelli del Quadro Europeo delle “Qualificazio-ni” tenendo conto di quanto previsto dall’Intesa del 16 dicembre 2010. • Convocazione, entro il mese di novembre, di una Conferenza dei servizi a li-vello nazionale, alla quale partecipano, oltre le amministrazioni componentidel Tavolo Tecnico Interistituzionale, le altre amministrazioni interessate e leparti sociali per il parere sulle proposte di aggiornamento. • Approvazione dell’aggiornamento del Repertorio nazionale e dei relativi stan-dard minimi formativi mediante Accordo in sede di Conferenza Stato-Regioni,recepito con Decreto adottato di concerto dal Ministero dell’istruzione, dell’u-niversità e della ricerca e dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali. 24 Le competenze tecnico-professionali comuni e/o le competenze di base ed i re-lativi standard minimi formativi possono essere aggiornati periodicamente con ca-denza triennale, con riferimento agli esiti del monitoraggio e delle valutazioni di si-stema di filiera e del complessivo sistema educativo di Istruzione e FormazioneProfessionale, nonché agli sviluppi della ricerca scientifica, alle innovazioni tecno-logiche e alle esigenze espresse dal mondo economico e produttivo. L’aggiorna-mento prevede le seguenti operazioni: • Proposta di aggiornamento al Tavolo Tecnico Interistituzionale a cura di uno opiù dei suoi componenti, entro il mese di settembre per l’anno scolastico e for-mativo seguente, descritti secondo descrittori e definizioni di cui alla Racco-mandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio sulla costituzione delQuadro europeo delle “Qualificazioni” per l’apprendimento permanente del 23aprile 2008, nonché secondo le indicazioni descrittivo-costruttive. • Istruttoria a cura del Tavolo Tecnico Interistituzionale sulla base di:- verifica della completezza e conformità dei supporti documentali a descrit-tori e definizioni di cui alla Raccomandazione del Parlamento Europeo edel Consiglio sulla costituzione del Quadro europeo delle qualifiche perl’apprendimento permanente del 23 aprile 2008 nonché alle indicazioni de-scrittivo-costruttive;- verifica di coerenza con il riferimento unitario al profilo educativo, cultu-rale e professionale del secondo ciclo del sistema educativo di istruzione eformazione;- valutazione analitica e complessiva delle proposte di manutenzione e svi-luppo in riferimento agli esiti del monitoraggio e delle valutazioni di si-stema di filiera e del complessivo sistema educativo di Istruzione e Forma-zione Professionale, nonché agli sviluppi della ricerca scientifica, alle inno-vazioni tecnologiche e alle esigenze espresse dal mondo economico e pro-duttivo. • Approvazione dell’aggiornamento delle competenze tecnico-professionali co-muni e/o delle competenze di base e dei relativi standard minimi formativi me-diante Accordo in sede di Conferenza Stato-Regioni, recepito con Decretoadottato di concerto dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ri-cerca e dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali. 3. Lo standard nazionale di operatori e tecnici: articolazione ed elementi con-notativi Gli elementi che connotano lo standard dell’operatore sono:– la presenza di due quadri di riferimento nazionale tra loro complementari,quello delle competenze tecnico-professionali caratterizzanti, costituenti ilcore della figura, e quello delle competenze tecnico-professionali comuni alle 25 diverse figure, riferite agli ambiti della qualità, della sicurezza, della tuteladella salute e dell’ambiente. Per quest’ultima tipologia di competenze si èscelto di non duplicare questi standard in ogni figura, dato il carattere di “tra-sversalità” che le caratterizza, rinviando poi alla specifica figura, declinata dalprofilo regionale, tutti gli adattamenti e curvature di “settore” necessari in ter-mini di competenze, abilità o conoscenze; eventualmente possono essere indi-cati come standard formativi caratterizzanti una singola figura/indirizzo qua-lora vi siano delle significative specificazioni di settore che è necessario evi-denziare; in questo caso, è specificato e descritto solo ciò che è connotante,sulla base di quanto già previsto nella competenza comune;– la ricorrenza, in tutte le figure, di standard relativi alle attività di pianificazionee organizzazione del proprio lavoro, di approntamento di strumenti, attrezza-ture e macchinari necessari alle diverse attività, di monitoraggio del funziona-mento degli stessi, di predisposizione e cura degli spazi di lavoro che trovanopoi adattamenti rispetto alla singola figura.Per quanto riguarda il tecnico, lo standard si connota per:– la presenza di competenze tecnico professionali comuni a tutte le figure (rela-tive a sicurezza, salute e rispetto dell’ambiente) e/o ricorrenti (relative alla ge-stione organizzativa del lavoro, alla gestione di impresa, al rapporto con iclienti, al rapporto con i fornitori, alla valutazione del risultato, al controllo ecollaudo) in gruppi di figure in rapporto alle loro specificità;– presenza, eventuale, di competenze tecnico professionali specifiche ed ulterioririspetto a quelle dell’operatore;– presenza, eventuale, di competenze tecnico professionali che rappresentanouna progressione di quelle del terzo anno, nei termini, comunque, di un lorosostanziale incremento/differenziazione a livello di autonomia/responsabilità eambito/dimensione di attività presidiato;– non riproposizione delle competenze tecnico professionali a carattere opera-tivo, relative alle attività del processo di lavoro già presidiate dalle competenzedel terzo anno, che vengono presupposte e date per acquisite rispetto alla fisio-nomia professionale del tecnico. 4. Lo standard nazionale delle competenze di base: articolazione ed elementiconnotativi Il d.lgs. n. 226/05 (art. 18, c. 1, lett. b) prevede, quale livello essenziale delleprestazioni, la definizione di competenze linguistiche, matematiche, scientifiche,tecnologiche, storico sociali ed economiche. Esse indicano il riferimento minimocomune nazionale dei risultati di apprendimento in esito ai percorsi di IeFP di se-condo ciclo e sostituiscono le competenze di base dell’Accordo Stato Regioni 15gennaio 2004. 26 Gli standard formativi sono articolati in: – competenza linguistica;– competenza storico, socio-economica;– competenza matematica, scientifico-tecnologica.Per l’individuazione e la declinazione delle competenze di base si è operatosulla base dei seguenti criteri:– standard formativi di base triennali di cui all’Accordo Stato-Regioni del 15gennaio 2004, competenze di base e competenze chiave di cittadinanza a con-clusione dell’obbligo di istruzione, eventuali aggiustamenti apportati dai si-stemi regionali agli standard formativi di base triennali alla luce dell’obbligoistruttivo, come elementi base del processo di definizione;– competenze chiave per l’apprendimento permanente (di cui alla Raccomanda-zione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006) comequadro di riferimento per una qualificazione della persona nella sua globalità;– dimensioni educativa e culturale, oltre che professionale (PECuP, allegato A,d.lgs. n. 226/05), come finalità generali del percorso formativo;– competenze in esito al terzo anno che assumono quale base e sviluppano lecompetenze e i saperi dell’obbligo di istruzione;– competenze del quarto anno, costruite sempre in una logica evolutiva, che assu-mono le competenze in esito al terzo anno e si incentrano sugli aspetti di carat-terizzazione professionale, in rapporto alle competenze tecnico-professionali;– espressione unitaria della competenza, ovvero sua determinazione in terminisintetici e non di dettaglio, anche in analogia con gli allegati tecnici del DM n.139/07 ed in funzione delle possibili specificazioni territoriali;– carattere essenziale e non generico della competenza descritta, in funzionedella messa in trasparenza dei risultati di apprendimento attesi;– non formulazione delle competenze e loro elementi (abilità e conoscenze) inriferimento alla “competenza linguistica in lingua straniera” per la quale ven-gono assunti come standard formativi minimi i risultati dell’apprendimentostabiliti dal Quadro comune di riferimento per le lingue (QCER, 2001): nellospecifico, le competenze, abilità e conoscenze previste per il livello di padro-nanza linguistica “A2” al conseguimento della qualifica professionale e per illivello “B1” al conseguimento del diploma professionale.L’opzione metodologica di fondo è stata quella di spostarsi con più decisionedalla struttura adottata dagli standard triennali sperimentali, di cui all’AccordoStato-Regioni del 2004, e poi dal Regolamento dell’Obbligo di istruzione (schemadei quattro assi culturali), al modello e all’articolazione delle competenze chiaveeuropee per l’apprendimento permanente. Nella costruzione degli standard delterzo e del quarto anno si doveva assicurare l’identità “formativa” del sistema diIstruzione e Formazione Professionale, dove la dimensione culturale si rafforzaprogressivamente, ma in forte interrelazione con quella professionale. 27 In questo modo, grazie soprattutto al forte riferimento alla logica costitutivadelle competenze chiave europee e del Quadro europeo delle qualifiche, gli stan-dard minimi formativi nazionali delle competenze di base possono esprimere effet-tivamente il carattere “integrato” culturale e professionale proprio della IeFP. In-fine:– in riferimento agli standard formativi è possibile l’individuazione – a livelloterritoriale – di diverse soluzioni di articolazione intermedia o di eventuali ul-teriori specificazioni, in rapporto alle scelte di sistema ed agli specifici ordina-menti didattici definiti dalle Regioni nell’ambito delle proprie competenzeesclusive in materia di IeFP;– al pari degli standard tecnico-professionali, anche quelli di base sono oggettodi aggiornamento e manutenzione sulla base degli esiti della loro applicazioneai sistemi regionali e, nello specifico, delle eventuali problematiche, criticità enuove necessità che emergeranno in sede di progettazione ed attuazione deipercorsi triennali e quadriennali nei vari territori. 5. I modelli di Qualifica, di Diploma e di Attestato di competenze In base a quanto previsto dall’articolo 20, comma 1, lett. c) del decreto legisla-tivo 226/2005 e in coerenza con quanto definito al punto 3 dell’intesa in sede diConferenza unificata nella seduta del 16 dicembre 2010, riguardante «l’adozione dilinee guida per realizzare organici raccordi tra i percorsi degli istituti professionalie i percorsi di istruzione e formazione professionale, a norma dell’art. 13, comma1-quinquies, della legge 2 aprile 2007, n. 40», sono stati adottati i nuovi modelli diQualifica e Diploma di Istruzione e Formazione Professionale.Nelle more della definizione di tutti i dispositivi di certificazione necessari adassicurare le corrispondenze e modalità di riconoscimento tra i crediti acquisiti neipercorsi di istruzione secondaria superiore ed i crediti acquisiti nei percorsi di Istru-zione e Formazione Professionale, è stato adottato il modello di attestazione inter-media delle competenze da rilasciare in caso di interruzione del percorso.I nuovi modelli sostituiscono quelli previsti dall’Accordo Stato-Regioni del 28ottobre 2004.Nell’elaborazione dei modelli di Qualifica e Diploma si è operato sulla basedei seguenti criteri:– il modello prevede la Qualifica/Diploma ed il relativo Allegato, parte inte-grante della certificazione;– la previsione dell’Allegato risponde alla necessità di allineare il modello ai dis-positivi di certificazione di matrice europea e di poter disporre di uno stru-mento in grado di esplicitare il profilo regionale, le sue correlazioni con lostandard nazionale, le competenze acquisite, le esperienze più significative di 28 apprendimento in ambito lavorativo, ogni altro elemento utile alla descrizionedel profilo dello studente in esito al percorso, compreso il riferimento a even-tuali patentini/attestazioni specifiche;– la denominazione della Qualifica/Diploma corrisponde a quella del Profilodella Regione e, nel caso di coincidenza con la Figura nazionale, viene ripor-tata la denominazione di quest’ultima;– il livello di qualificazione indicato è quello definito dal Quadro Nazionaledelle Qualifiche;– in riferimento alle competenze, vengono riportate le denominazioni di tutte lecompetenze tecnico-professionali specifiche e comuni alle figure/indirizzi na-zionali di riferimento, di tutte quelle che connotano il profilo regionale se ag-giuntive o se rappresentano una coniugazione di quelle dello standard nazio-nale, nonché tutte le competenze di base, validate in sede di esame, che espri-mono la specifica fisionomia dello studente al termine del percorso; – non sono pertinenti, e di conseguenza non sono oggetto della certificazione, glielementi relativi alla progettazione formativa (articolazione in unità forma-tive/moduli, contenuti specifici sviluppati, ecc.), alle discipline/insegnamenti oalla durata del percorso. L’elaborazione del modello di Attestato di competenze ha tenuto conto che, incaso di interruzione del percorso, il riferimento alla competenza come “oggettoesclusivo” della certificazione può generare delle criticità qualora i tempi di fre-quenza dello studente o la programmazione didattica attuata nello specifico periodopossano aver favorito il raggiungimento di risultati di apprendimento centrati piùsu conoscenze e/o abilità che su competenze. Di conseguenza:– sono inserite nell’Attestato le denominazioni dei risultati di apprendimento intermini di competenze e/o loro elementi (abilità/conoscenze) effettivamenteacquisiti dallo studente, afferenti sia all’ambito di base, sia a quello tecnicoprofessionale;– non sono pertinenti, e di conseguenza non sono oggetto della certificazione, glielementi relativi alla progettazione formativa (articolazione in unità forma-tive/moduli, contenuti specifici sviluppati, ecc.), alle discipline/insegnamenti oalla durata del percorso;– le abilità e le conoscenze sono sempre essere poste in connessione alla compe-tenza di riferimento;– nel caso di non raggiungimento della competenza, ovvero di suo raggiungi-mento parziale, viene indicata la denominazione della competenza ed esplici-tate le denominazioni degli elementi di competenza (abilità e conoscenze adessa riferite) effettivamente acquisiti. 29 6. Identità del sistema e dei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale:la necessità di un nuovo profilo educativo, culturale e professionale I percorsi di Istruzione e Formazione Professionale sono dotati di una propriaidentità educativa, culturale, professionale che si esplicita nei caratteri specifici deipropri standard formativi minimi e fa riferimento, in una logica di pari dignità conil sistema dell’istruzione secondaria superiore, al profilo educativo, culturale e pro-fessionale (PECuP) dello studente comune al secondo ciclo del sistema educativodi istruzione e formazione di cui all’articolo 1, comma 5 del decreto legislativo 17ottobre 2005, n. 226. Con il passaggio al nuovo ordinamento e, nello specifico, conle scelte e gli approcci metodologico-costruttivi che hanno guidato la nascita delRepertorio nazionale IeFP, l’elaborazione dei nuovi standard formativi, la costru-zione di nuovi dispositivi e strumenti, emergono oggi, ancor più che nella fase disperimentazione, specifici elementi di “profilo” e di “fisionomia” di rilevante por-tata:– l’identità dei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale risulta ancorpiù fondata sull’assunzione, sul piano epistemologico, cognitivo e formativo,della cultura tecnico-professionale nella sua pari dignità rispetto alla culturaumanistica e nella valorizzazione della dimensione pratica del sapere e dellavalenza educativa del lavoro e della tecnica esperiti nella concretezza delle di-namiche sociali, economiche e produttive dei territori;– i percorsi sostengono la crescita armoniosa e la valorizzazione della personacome elemento centrale del processo educativo-formativo dentro un quadrogenerale di arricchimento ed innalzamento della cultura di base, di abilità co-gnitive e pratiche che consentono allo studente di maturare, in una dimensioneoperativa e tecnica, livelli differenziati di consapevolezza, responsabilità e au-tonomia (personale, professionale e relazionale).Nonostante il significativo consolidamento, se non ulteriore sviluppo e quali-ficazione, di queste caratterizzazioni “identitarie”, il lungo processo di lavoro econfronto interistituzionale funzionale al passaggio al nuovo ordinamento ha la-sciato sullo sfondo la rivisitazione del PECuP dell’Allegato A del decreto legisla-tivo 17 ottobre 2005, n. 226. Le Regioni hanno ritenuto che il sistema di IeFP giàdisponga di un adeguato quadro descrittivo degli elementi del sistema, rintraccia-bili sia negli Accordi del luglio 2011 sia in atti precedenti. Considerando che i Re-golamenti di riordino dell’istruzione professionale e dell’istruzione tecnica trac-ciano per la prima volta il profilo di identità degli Istituti Professionali e degli Isti-tuti Tecnici, anche attraverso uno specifico PECuP, il sistema di IeFP va, invece, aordinamento privo di un dispositivo-quadro in grado di rappresentare in manieracompiuta e organica la sua identità, nonché le sue finalità pluridimensionali (edu-cativa, culturale, professionale) più generali; i riferimenti per quest’ultime riman-gono quelli del 2005. La stessa attuale connotazione della IeFP come “sistema in 30 filiera”, non più costituita dai soli trienni di qualificazione ma anche dai quartianni di diploma professionale in veste di “ponte” verso ulteriori opportunità di cre-scita personale e professionale, rende evidente l’importanza e la conseguente ne-cessità di disegnare un nuovo PECuP per il sistema di IeFP, in grado di rispec-chiare quella che è attualmente la specifica fisionomia dei percorsi triennali e diquelli quadriennali. Mettendo a sintesi tutti gli elementi che possono essere rintracciati nei vari atti,documenti, dispositivi, strumenti che concorrono all’attuale ordinamento della IeFPe valorizzati nell’ottica della costruzione di un nuovo PECuP, è possibile elaborarei Profili di seguito presentati. Questi ultimi, a prescindere dagli esiti dei futuri con-fronti nazionali interistituzionali sulla questione, possono rappresentare, perchiunque si trovi coinvolto in ruoli di programmazione e progettazione formativanei singoli sistemi territoriali di IeFP, contenitori dai quali attingere elementi perdeclinare a livello locale le dimensioni “portanti” di un sistema di IeFP coerentecon il nuovo quadro ordinamentale nazionale. 6.1. Profilo educativo, culturale e professionale in esito ai percorsi triennali diqualifica: una propostaDimensione educativaI percorsi di Istruzione e Formazione Professionale triennali sostengono la cre-scita e la valorizzazione della persona come elemento centrale del processo educa-tivo-formativo, assicurando l’educazione alla cittadinanza, l’educazione ambien-tale, l’educazione alla salute e al corretto rapporto tra esercizio fisico, alimenta-zione e benessere della persona, la formazione spirituale e morale, l’apertura alleproblematiche della pacifica convivenza tra i popoli, della solidarietà e del rispettoreciproco, l’educazione civile attraverso l’esperienza – fatta anche nel percorso for-mativo – di vivere in relazione con gli altri in una prospettiva di rispetto, di tolle-ranza, di responsabilità e di solidarietà.Dimensione culturaleI percorsi di Istruzione e Formazione Professionale triennali perseguono l’ele-vazione del livello culturale degli studenti al fine di favorire la loro partecipazioneai valori della cultura, della civiltà e della convivenza sociale e di contribuire alloro sviluppo. Nello specifico, a conclusione dei percorsi, gli studenti sono postinella condizione di:– esprimere ed interpretare concetti, pensieri, sentimenti, fatti e opinioni, intera-gendo, anche in una o più lingue straniere, sul piano linguistico in contesti so-ciali e di lavoro;– comprendere e riconoscere il ruolo del linguaggio matematico, dei suoi mo-delli di pensiero e di presentazione, nonché dell’indagine scientifica, con i suoiprogressi, limiti e rischi delle applicazioni nella società, come strumenti per 31 raggiungere un obiettivo, formulare una decisione, esprimere e risolvere situa-zioni problematiche in situazioni quotidiane e professionali;– avvalersi di metodi, sussidi, strumenti e dati propri del campo matematico,scientifico e tecnologico per comprendere la realtà e maturare competenze digiudizio e di valutazione;– utilizzare consapevolmente e con spirito critico le tecnologie della società del-l’informazione, tenendo presente sia il contesto culturale e sociale nel qualefanno agire e comunicare ed i rischi nel loro utilizzo;– collocare la propria esperienza di esercizio della cittadinanza nella vita quoti-diana, cogliendo l’importanza dei codici di comportamento e delle maniere ge-neralmente accettati nei diversi ambienti e comunità nonché le responsabilitàche comporta ogni azione o scelta individuale sul benessere personale e so-ciale;– adottare comportamenti e assumere atteggiamenti adeguati per favorire, attra-verso l’alimentazione e l’attività motoria, anche di carattere sportivo, stili divita improntati al benessere psico-fisico;– collocare nel più ampio contesto della cultura del vivere sociale la riflessionesulla dimensione spirituale e religiosa dell’esperienza umana;– dare senso e prospettiva alla propria esistenza umana e lavorativa, elabo-rando, esprimendo e argomentando un proprio progetto di vita e di carrieraprofessionale, fondato sulla consapevolezza delle proprie capacità, attitudinie aspirazioni e delle condizioni di realtà che le possono valorizzare e realiz-zare.Dimensione professionaleI percorsi di Istruzione e Formazione Professionale triennali mettono gli stu-denti nella condizione di poter assumere un ruolo lavorativo attivo, con adeguatecompetenze per inserirsi in attività di carattere operativo. Nello specifico, a conclu-sione dei percorsi, gli studenti sono posti nella condizione di:– cogliere che il proprio lavoro si inserisce in un processo complesso, indivi-duando le linee generali e le componenti fondamentali che ne hanno determi-nato l’evoluzione storica, tecnologica, sociale ed economica;– identificare, cogliendo la specifica identità e deontologia professionale, la pro-pria collocazione nell’ambito delle strutture organizzative e dei processi lavo-rativi tipici, le interdipendenze di ruolo e l’importanza del lavoro di gruppo;– intervenire nelle diverse fasi dei processi di settore, per la parte di propriacompetenza, avvalendosi delle potenzialità creative delle tecnologie, delle tec-niche specifiche, di prodotti e servizi innovativi, utilizzando strumenti di docu-mentazione e controllo, nel rispetto dei disciplinari previsti e con riguardo ailivelli di qualità richiesti, alla sicurezza, al benessere ed alla salute sui luoghidi vita e di lavoro, alla tutela ed alla valorizzazione dell’ambiente nell’otticadella sostenibilità. 32 6.2. Profilo educativo, culturale e professionale in esito ai percorsi quadriennalidi diploma: una propostaDimensione educativaI percorsi di Istruzione e Formazione Professionale quadriennali sviluppanol’autonoma capacità di giudizio e di interazione con la realtà nelle sue diverseforme e dimensioni dentro un quadro di esercizio della responsabilità personale, so-ciale e professionale coerente ad un sistema di valori ispirato a una vita positiva,partecipata e costruttiva nella società. A conclusione dei percorsi gli studenti sonoprotagonisti nelle proprie scelte, esercitano indipendenza e intraprendenza per rag-giungere, nella comprensione e nel rispetto della sfera privata degli altri e della co-esione della comunità, obiettivi riguardanti la propria persona, il contesto educa-tivo, la sfera professionale.Dimensione culturaleI percorsi di Istruzione e Formazione Professionale quadriennali favoriscono lapadronanza di strumenti culturali e metodologici che consentono allo studente di ge-stire i processi interpretativi e riflessivi necessari per porsi criticamente di fronte allarealtà ed affrontare compiti o problemi, anche complessi, attraverso il sistematico col-legamento tra quanto si acquisisce di nuovo, il mondo della propria esperienza e gliapprendimenti già capitalizzati nel patrimonio di conoscenze e di abilità personali.Nello specifico, a conclusione dei percorsi, gli studenti sono posti nella condizione di:– avvalersi delle abilità e delle potenzialità personali nel campo delle strategie diapprendimento, della soluzione di problemi della sfera quotidiana e professio-nale, del lavoro di gruppo, della comunicazione attraverso forme e strumentiespressivi contestualizzati, della riflessione e valutazione critica, con spirito diiniziativa e auto imprenditorialità, nel rispetto dell’etica e della deontologiaprofessionale;– individuare, selezionare ed utilizzare gli strumenti culturali e metodologici ne-cessari per la comprensione dei processi socio-economici e della realtà intesacome entità complessa, cogliendo nelle diverse forme di partecipazione attivaalla vita sociale e professionale l’ambito per lo sviluppo di relazioni funzionalial soddisfacimento dei bisogni personali e delle organizzazioni produttive;– interagire con la realtà di vita e professionale con consapevolezza delle proprieresponsabilità e potenzialità, con protagonismo, indipendenza e intraprendenzanelle proprie scelte, sviluppando atteggiamenti improntati all’ascolto, al dia-logo, al confronto, all’elaborazione, all’espressione e all’argomentazione delleproprie opinioni ed idee, padroneggiando abilità creative ed espressive, anchenelle lingue comunitarie, idonee per un’efficace interlocuzione.Dimensione professionaleI percorsi quadriennali mettono gli studenti nella condizione di poter assumereun ruolo lavorativo caratterizzato da un esercizio professionale di media comples- 33 sità, fondato su un processo decisionale non completamente autonomo, con ri-chiesta di collaborazione all’individuazione di alternative d’azione, anche elaboratefuori dagli schemi di protocollo, ma entro un quadro di azione che può essere inno-vato, ricalibrato e stabilito solo da altri. Nello specifico, a conclusione dei percorsi,gli studenti sono posti nella condizione di:– presidiare il processo di riferimento con esercizio di attività relative all’indivi-duazione delle risorse, alla predisposizione delle lavorazioni-fasi, all’organiz-zazione e sorveglianza delle attività operative svolte da altri, al monitoraggioin itinere, alla valutazione finale del risultato, all’implementazione di proce-dure di qualità e miglioramento continuo;– promuovere e assicurare, anche rispetto all’operato di altri, l’assunzione in ma-niera organizzata e sistematica di comportamenti per un utilizzo consapevole ecritico delle tecnologie e delle tecniche specifiche dentro il quadro delle nor-mative e dei disciplinari di riferimento dei processi lavorativi di settore nonchénel rispetto della riservatezza, della sicurezza e salute sui luoghi di vita e di la-voro, dell’ambiente nell’ottica della sostenibilità;– mettere in relazione la propria collocazione nell’ambito delle strutture organiz-zative e dei processi lavorativi di settore con le specifiche interrelazioni con ilmondo esterno, cogliendo il valore del proprio contributo nella produzione diservizi/prodotti coerenti rispetto al contesto ambientale, economico, culturale esociale di riferimento;– intervenire nelle diverse fasi e livelli dei processi tipici del settore, valoriz-zando le potenzialità creative delle tecnologie, di prodotti e di servizi innova-tivi in coerenza alle componenti di competitività del contesto lavorativo di ri-ferimento e identificando le implicazioni in termini di aggiornamento, crescitae sviluppo professionale continui. 35 Allegati 37 Allegato 1 Figure di riferimento relative alle“Qualifiche professionali” Sono percorsi formativi rivolti a giovani 14enni che hanno terminato la ScuolaSecondaria di 1° grado (Scuola Media). Chi li frequenta assolve all’obbligo diistruzione e al diritto-dovere all’istruzione e alla formazione previsto dalla norma-tiva vigente fino a 18 anni. Chi termina positivamente il percorso formativo con-segue una qualifica professione valevole su tutto il territorio nazionale. 1. Operatore dell’abbigliamento 2. Operatore delle calzature 3. Operatore delle produzioni chimiche 4. Operatore edile 5. Operatore elettrico 6. Operatore elettronico 7. Operatore grafico• Ind. 1: Stampa e allestimento• Ind. 2: Multimedia8. Operatore di impianti termoidraulici 9. Operatore delle lavorazioni artistiche 10. Operatore del legno 11. Operatore del montaggio e della manutenzione di imbarcazione da diporto 12. Operatore alla riparazione dei veicoli a motore • Ind. 1: Riparazioni parti e sistemi meccanici ed elettromeccanici del veicolo• Ind. 2: Riparazioni di carrozzeria13. Operatore meccanico 14. Operatore del benessere • Ind. 1: Acconciatura• Ind. 2: Estetica15. Operatore della ristorazione • Ind. 1: Preparazione pasti• Ind. 2: Servizi di sala e bar16. Operatore ai servizi di promozione e accoglienza • Ind. 1: Strutture ricettive• Ind. 2: Servizi del turismo 38 17. Operatore amministrativo18. Operatore ai servizi di vendita 19. Operatore dei sistemi e dei servizi logistici 20. Operatore della trasformazione agroalimentare 21. Operatore agricolo • Ind.1: Allevamenti animali• Ind.2: Coltivazioni arboree, erbacee e ortofloricole• Ind.3: Silvicoltura e salvaguardia dell’ambiente22. Operatore del mare e delle acque interne 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64 65 66 67 68 69 70 71 72 73 74 75 76 77 78 79 80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 100 101 102 103 104 105 106 107 108 109 110 111 112 113 114 115 116 117 118 119 120 121 122 123 124 125 126 127 128 129 130 131 132 133 134 135 1 Gli Acquacoltori allevano diverse specie ittiche, curandole, mantenendole in salute, alimentandolein bacini interni, marini o lacustri, programmandone la riproduzione, occupandosi della manutenzione,della pulizia e dell’igiene dei luoghi di allevamento e di altri ambienti connessi all’attività produttiva.2 I Pescatori ricercano, abbattono e catturano in alto mare, acque costiere e interne pesci, molluschi,crostacei, spugne ed altri prodotti acquatici destinati all’alimentazione o alla trasformazione industriale.3 Si fa presente che requisito necessario per l’imbarco è l’aver superato l’esame relativo ai corsiprevisti dalla normativa internazionale (Convenzione STCW 78, nella versione aggiornata e dal CodiceSTCW 95) presso i soggetti accreditati ai sensi del Decreto del Ministero dei Trasporti Decreto, 8 marzo2007 “Procedura per il riconoscimento d’idoneità allo svolgimento dei corsi di addestramento per il per-sonale marittimo”.4 Tale attività non prevede la trasformazione del prodotto, ma ricomprende tutte quelle operazionieffettuate direttamente sull’imbarcazione, quali la selezione del pescato, la verifica delle quantità e lapreparazione del prodotto per la vendita, al fine di garantire il rispetto della normativa sui limiti di pe-scato e delle norme igienico sanitarie. 136 137 138 5 Il riferimento internazionale attualmente in vigore è costituito dalla Convenzione STCW 78,nella versione aggiornata e dal Codice STCW 95. 139 141 Allegato 2 Figure di riferimento relative ai“Diplomi professionali” Sono percorsi formativi da intendersi come il naturale proseguimento al IVanno dei percorsi formativi triennali. A questi percorsi possono partecipare tutti igiovani in possesso di una qualifica professionale coerente con i requisiti previsti. Chi termina positivamente il percorso formativo consegue un Diploma profes-sionale valevole su tutto il territorio nazionale. 1. Tecnico edile 2. Tecnico elettrico 3. Tecnico elettronico 4. Tecnico grafico 5. Tecnico delle lavorazioni artistiche 6. Tecnico del legno 7. Tecnico di riparatore di veicoli a motore 8. Tecnico per la conduzione e la manutenzione di impianti automatizzati9. Tecnico per l’automazione industriale 10. Tecnico dei trattamenti estetici 11. Tecnico dei servizi di sala e bar 12. Tecnico dei servizi di impresa 13. Tecnico commerciale delle vendite 14. Tecnico agricolo 15. Tecnico dei servizi di animazione turistico-sportiva e del tempo libero 16. Tecnico dell’abbigliamento 17. Tecnico dell’acconciatura 18. Tecnico di cucina 19. Tecnico di impianti termici 20. Tecnico dei servizi di promozione e accoglienza 21. Tecnico della trasformazione agroalimentare 142 143 144 145 146 147 148 149 150 151 152 153 154 155 156 157 158 159 160 161 162 163 164 165 166 167 168 169 170 171 172 173 174 175 176 177 178 179 180 181 182 183 184 185 186 187 188 189 190 191 192 193 194 195 196 197 198 199 200 201 202 203 204 205 206 207 208 209 210 211 212 213 214 215 216 217 218 219 220 221 222 223 224 225 226 227 228 229 230 231 233 Allegato 3 Altri riferimenti relativi ai percorsi di Qualificae di Diploma professionale Accordi interistituzionali hanno definito, oltre alle competenze tecnico profes-sionali, anche altri aspetti del percorso formativo che si richiamano qui di seguito. 1. Standard formativi minimi relativi alle competenze di base del 3° e del 4°annoSono definite le competenze dell’area linguistica, matematica, scientifico-tec-nologica e storico, socio economica da raggiungere al termine del 3° e del 4°anno formativo. 2. Standard formativi minimi relativi alle competenze tecnico-professionalicomuni a tutti i percorsi di Qualifica professionale Sono definite le competenze delle aree qualità, sicurezza, igiene e salvaguardiaambientale da conseguire al termine del 3° anno formativo. 3. Classificazione per aree professionali dell’offerta del sistema di Istruzionee Formazione ProfessionaleLe Qualifiche e i Diplomi professionali stabiliti a livello nazionale sono classi-ficati in “aree professionali” individuate sulla base di classificazioni di attivitàeconomiche elaborate a livello internazionale (NACE-ATECO e ISCO-NUP). Le aree individuate sono quelle dell’area agro-alimentate, area manifatturiera eartigianato, area meccanica, impianti e costruzioni, area cultura, informazione etecnologie informatiche, area servizi commerciali, area turismo e sport, areaservizi alla persona. 234 1. Standard formativi minimi relativi alle competenze di base del 3° e del 4°anno Sono definite le competenze dell’area linguistica, matematica, scientifico-tecnologica e storico, socio economica da raggiungere al termine del 3° e del 4°anno formativo. COMPETENZA LINGUISTICAProfilo generale La competenza linguistica esprime una concezione unitaria della “comunica-zione”, che non scinde gli aspetti relativi alla scrittura/redazione di “testi” (in sensolato, comprensivo di ogni espressione e documentazione culturale) da quella dellaloro lettura/comprensione/fruizione e questi dalla dimensione relazionale intersog-gettiva. La comunicazione è inoltre sempre concepita “in situazione” e con speci-fico riguardo al contesto professionale. Le acquisizioni strumentali costitutive dellacompetenza (abilità e conoscenze) comprendono anche la padronanza degli stru-menti informatici e le tipologie testuali quali quella multimediale, in rapporto alnuovo contesto digitale. Competenza 3° annoComunicare in lingua italiana in contesti personali, professionali e di vita. Competenza 4° anno Gestire la comunicazione in lingua italiana, scegliendo forme e codici adeguatiai diversi contesti personali, professionali e di vita. COMPETENZA MATEMATICA, SCIENTIFICO-TECNOLOGICAProfilo generale La competenza matematica, scientifico-tecnologica rappresenta la declinazionedella relativa competenza chiave europea e si esprime come la capacità di spiegare il 235 mondo che ci circonda sapendo identificare e risolvere in situazioni quotidiane le pro-blematiche, traendo le conclusioni che siano basate su fatti comprovati1, attraverso:– “l’applicazione di metodi adeguati di osservazione, di indagine e di proceduresperimentali propri delle scienze”2;– la capacità di utilizzare linguaggi matematici e modelli formalizzati per defi-nire e risolvere problemi reali;– la capacità di comunicare le proprie osservazioni, i procedimenti seguiti e i ra-gionamenti che giustificano determinate conclusioni rispetto alle problema-tiche scientifiche specifiche dei processi del proprio settore professionale.Tale competenza include la capacità di utilizzare strumenti e macchine, nonchédati ed essenziali metodi scientifici, per raggiungere un obiettivo o per formulareuna decisione o conclusione sulla base di elementi probanti e di evidenze; è il pre-supposto per lo sviluppo di una professionalità agita in modo efficace e consape-vole e di un atteggiamento culturale orientato all’approccio scientifico.Competenza 3° annoPadroneggiare concetti matematici e scientifici fondamentali, semplici proce-dure di calcolo e di analisi per descrivere e interpretare sistemi, processi, fenomenie per risolvere situazioni problematiche di vario tipo legate al proprio contesto divita quotidiano e professionale. 1 Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 18/12/2006, relativa a compe-tenze chiave per l’apprendimento permanente (2006/962/CE), Allegato, par. 3. 2 Pecup-Allegato A) art. 1, c. 5 D. Lgs. 226/05. Competenza 4° annoRappresentare processi e risolvere situazioni problematiche del settore profes-sionale in base a modelli e procedure matematico-scientifiche. 236 COMPETENZA STORICO, SOCIO-ECONOMICAProfilo generale La competenza storico, socio-economica nella prospettiva europea della pro-mozione e sviluppo delle competenze chiave per l’apprendimento permanente(competenze sociali e civiche, senso di iniziativa e di imprenditorialità)3, rafforza ladotazione di strumenti che consentono di partecipare in modo responsabile, effi-cace e costruttivo4 alla vita sociale e lavorativa. Tra questi: – la capacità di cogliere l’origine e le peculiarità delle forme sociali, economichee giuridiche che sottendono e spiegano permanenze e mutamenti nell’evolu-zione dei processi e dei sistemi economico-produttivi;– la comprensione dei codici di comportamento accettati in diversi ambientidello spazio sociale, in particolare in quello lavorativo;– la padronanza dei concetti di base riguardanti i gruppi e le organizzazioni so-ciali, in particolare il contesto aziendale e le comunità professionali;– atteggiamenti fondati sulla partecipazione, collaborazione, assertività e inte-grità;– la capacità di tradurre le idee in azione attraverso una maggiore conoscenza econsapevolezza del contesto nel quale si è chiamati a operare, per coglierne leopportunità di apprendimento personali e professionali.Competenza 3° anno Identificare la cultura distintiva, il sistema di regole e le opportunità del pro-prio contesto lavorativo, nella loro dimensione evolutiva e in rapporto alla sfera deidiritti, dei bisogni e dei doveri. 3 Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18/12/2006, relativa a compe-tenze chiave per l’apprendimento permanente (2006/962/CE), Allegato, par. 6 e 7.4 Pecup-Allegato A) art.1 c.5 D.Lgs. 226/05. Competenza 4° anno Riconoscere la comunità professionale locale e allargata di riferimento qualeambito per lo sviluppo di relazioni funzionali al soddisfacimento dei bisogni perso-nali e delle organizzazioni produttive. 237 2. Standard minimi formativi relativi alle competenze tecnico-professionalicomuni a tutti i percorsi di Qualifica professionale Sono definite le competenze delle aree qualità, sicurezza, igiene e salvaguardiaambientale da conseguire al termine del 3° anno formativo. 238 3. Classificazione per aree professionali dell’offerta del sistema di Istruzionee Formazione Professionale Le Aree Professionali sono individuate a partire dalla classificazione delleAree Economico Professionali (http://www.nrpitalia.it/isfol/elencoAEP.asp) elabo-rata sulla base della traduzione italiana delle nomenclature statistiche internazionalirispettivamente della classificazione delle attività economiche (NACE-ATECO) edella classificazione delle professioni (ISCO-NUP). L’obiettivo della presente classificazione è di costituire un riferimento referen-ziato al mondo economico e del lavoro per il sistema della IeFP e, potenzialmente,per l’intera offerta della Formazione Professionale secondaria e superiore. 239 241 Allegato 4 Dispositivi e strumenti relativi ai percorsidi Qualifica e di Diploma professionale 1. Dispositivo di descrizione delle figure/indirizzi e degli standard formativi È definito il modello descrittivo di ogni figura/indirizzo di riferimento sia diqualifica che di diploma professionale. Il seguente “format” viene utilizzato sia perla descrizione delle figure nazionali in Repertorio sia per l’elaborazione di propostedi aggiornamento/manutenzione dello stesso che le Regioni intendono presentare alTavolo Tecnico Interistituzionale, composto dal Ministero dell’istruzione dell’uni-versità e della ricerca, dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dal Coor-dinamento Tecnico della IX Commissione della Conferenza dei Presidenti delleRegioni e delle Province Autonome. 242 243 244 2. Modelli di attestato di Qualifica professionale e di Diploma professionale Sono definiti i modelli standard e le relative note per compilare gli Attestati diQualifica professionale ed i Diplomi professionali.Si riportano di seguito: – il modello e le relative note di compilazione di Attestato di Qualifica Profes-sionale – il modello e le relative note di compilazione del Diploma Professionale 245 246 247 Note di compilazione 1. Denominazione della Qualifica corrispondente al Profilo della Regione/P.A.; nel caso di coinci-denza con la Figura nazionale, riportare la denominazione di quest’ultima.2. Denominazione della Figura nazionale e dell’eventuale/i indirizzo/i di riferimento di cui al Re-pertorio nazionale dell’offerta di Istruzione e Formazione Professionale.3. Denominazione dell’area professionale di riferimento di cui alla classificazione nazionale peraree professionali dell’offerta del sistema di Istruzione e Formazione Professionale.4. Riportare il livello di qualificazione come definito dal Quadro Nazionale delle Qualifiche di cuiall’European Qualification Framework - EQF (Raccomandazione del Parlamento europeo e dalConsiglio del 23 aprile 2008 sulla costituzione del Quadro europeo delle qualifiche per l’appren-dimento permanente, pubblicata su Gazzetta Ufficiale 2008/C 111/01 del 6/5/2008). 5. Numero progressivo dell’attestato a cura delle Regioni/P.A.6. Del Legale Rappresentante dell’Istituzione formativa/scolastica e/o del Responsabile indivi-duato dalle specifiche normative delle Regioni/P.A.7. Stesso numero progressivo dell’attestato a cura delle Regioni/PA (cfr. nota 5).8. Denominazione della Qualifica corrispondente al Profilo della Regione/P.A.; nel caso di coinci-denza con la Figura nazionale, riportare la denominazione di quest’ultima.9. Inserire le referenziazioni specifiche della Qualifica corrispondente al Profilo della Regione /P.A. non comprese in quelle della Figura nazionale; nel caso di coincidenza con la Figura nazio-nale, non compilare il campo.10. Descrizione sintetica del Profilo della Regione/P.A.; nel caso di coincidenza con la Figura nazio-nale, non compilare il campo.11. Di cui alla Figura nazionale di riferimento/Indirizzo della Qualifica professionale (cfr. nota 2).12. Riportare le referenziazioni della Figura nazionale di riferimento di cui al Repertorio nazionaledell’offerta di Istruzione e Formazione Professionale.13. Riportare il descrittivo sintetico della Figura nazionale di riferimento/Indirizzo di cui al Reper-torio nazionale dell’offerta di Istruzione e Formazione Professionale.14. Riportare le denominazioni di tutte le competenze tecnico-professionali specifiche e comuni alleFigure/Indirizzi nazionali di riferimento nonché tutte le competenze di base validate in sede diesame, che esprimono la specifica fisionomia dello studente al termine del percorso. Non ripor-tare in questo campo, in quanto non pertinenti con l’oggetto della certificazione, gli elementi re-lativi alla progettazione formativa (articolazione in unità formative/moduli, contenuti specificisviluppati, ecc.), alle discipline/insegnamenti o alla durata del percorso. Utilizzare sempre le de-nominazioni delle competenze standard della Figura/Indirizzo nazionale e delle competenzestandard di base.15. Riportare solo le denominazioni delle competenze tecnico-professionali specifiche previste dalProfilo della Regione/P.A e validate in sede di esame, che sono aggiuntive o che rappresentanouna coniugazione di quelle dello standard nazionale; riportare anche le competenze di base che,a livello regionale, siano state ulteriormente specificate.16. Altri eventuali elementi utili alla descrizione del profilo dello studente in esito al percorso, com-preso il riferimento a eventuali patentini/attestazioni specifiche. 248 249 250 251 Note di compilazione 1. Denominazione della Qualifica corrispondente al Profilo della Regione/P.A.; nel caso di coinci-denza con la Figura nazionale, riportare la denominazione di quest’ultima.2. Denominazione della Figura nazionale e dell’eventuale/i indirizzo/i di riferimento di cui al Re-pertorio nazionale dell’offerta di Istruzione e Formazione Professionale.3. Denominazione dell’area professionale di riferimento di cui alla classificazione nazionale peraree professionali dell’offerta del sistema di Istruzione e Formazione Professionale.4. Riportare il livello di qualificazione come definito dal Quadro Nazionale delle Qualifiche di cuiall’European Qualification Framework - EQF (Raccomandazione del Parlamento europeo e dalConsiglio del 23 aprile 2008 sulla costituzione del Quadro europeo delle qualifiche per l’appren-dimento permanente, pubblicata su Gazzetta Ufficiale 2008/C 111/01 del 6/5/2008). 5. Numero progressivo dell’attestato a cura delle Regioni/P.A.6. Del Legale Rappresentante dell’Istituzione formativa/scolastica e/o del Responsabile indivi-duato dalle specifiche normative delle Regioni/P.A.7. Stesso numero progressivo dell’attestato a cura delle Regioni/PA (cfr. nota 5).8. Denominazione della Qualifica corrispondente al Profilo della Regione/P.A.; nel caso di coinci-denza con la Figura nazionale, riportare la denominazione di quest’ultima.9. Inserire le referenziazioni specifiche della Qualifica corrispondente al Profilo della Regione/P.A.non comprese in quelle della Figura nazionale; nel caso di coincidenza con la Figura nazionale,non compilare il campo.10. Descrizione sintetica del Profilo della Regione/P.A.; nel caso di coincidenza con la Figura nazio-nale, non compilare il campo.11. Di cui alla Figura nazionale di riferimento/Indirizzo della Qualifica professionale (cfr. nota 2).12. Riportare le referenziazioni della Figura nazionale di riferimento di cui al Repertorio nazionaledell’offerta di Istruzione e Formazione Professionale.13. Riportare il descrittivo sintetico della Figura nazionale di riferimento/Indirizzo di cui al Reper-torio nazionale dell’offerta di Istruzione e Formazione Professionale.14. Riportare le denominazioni di tutte le competenze tecnico-professionali specifiche e comuni alleFigure/Indirizzi nazionali di riferimento nonché tutte le competenze di base validate in sede diesame, che esprimono la specifica fisionomia dello studente al termine del percorso. Non ripor-tare in questo campo, in quanto non pertinenti con l’oggetto della certificazione, gli elementi re-lativi alla progettazione formativa (articolazione in unità formative/moduli, contenuti specificisviluppati, ecc.), alle discipline/insegnamenti o alla durata del percorso. Utilizzare sempre le de-nominazioni delle competenze standard della Figura/Indirizzo nazionale e delle competenzestandard di base.15. Riportare solo le denominazioni delle competenze tecnico-professionali specifiche previste dalProfilo della Regione/P.A e validate in sede di esame, che sono aggiuntive o che rappresentanouna coniugazione di quelle dello standard nazionale; riportare anche le competenze di base che,a livello regionale, siano state ulteriormente specificate.16. Altri eventuali elementi utili alla descrizione del profilo dello studente in esito al percorso, com-preso il riferimento a eventuali patentini/attestazioni specifiche. 252 3. Modello per l’attestazione delle competenze È definito il modello standard e le relative note per compilare l’Attestato dicompetenze. Si riporta di seguito il modello e le relative note di compilazione dell’Attestatodi competenze. 253 254 255 Note di compilazione 1. Numero progressivo dell’Attestato a cura delle Regioni/Province Autonome.2. Riportare la denominazione del percorso di qualifica/diploma professionale del profilo della Re-gione/Provincia Autonoma e della figura/indirizzo di cui al Repertorio nazionale dell’offerta diIstruzione e Formazione Professionale (nel caso di coincidenza del profilo regionale con la fi-gura/indirizzo nazionale, riportare solo quest’ultima).3. Riportare nei riquadri le denominazioni dei risultati di apprendimento in termini di competenzee/o loro elementi (abilità/conoscenze) effettivamente acquisiti dallo studente, afferenti sia al-l’ambito di base, sia a quello tecnico professionale. Non riportare, in quanto non pertinenti conl’oggetto dell’attestazione, gli elementi relativi alla progettazione formativa (articolazione inunità/moduli formativi; contenuti specifici sviluppati; ecc.), alle discipline/insegnamenti o alladurata del percorso. Le abilità e le conoscenze devono sempre essere poste in connessione allacompetenza di riferimento e riportate nei campi del relativo riquadro. Nel caso di raggiungi-mento della competenza, riportare nel campo “competenze raggiunte” la denominazione dellacompetenza e, negli specifici campi, le abilità e conoscenze acquisite ad essa correlate. Nel casodi non raggiungimento della competenza, ovvero di suo raggiungimento parziale, indicare nelcampo “competenze di riferimento” la denominazione della competenza e riportare negli speci-fici campi le denominazioni degli elementi di competenza (abilità e conoscenze ad essa riferite)effettivamente acquisiti. Per tutte le acquisizioni, ai fini della loro leggibilità e trasferibilità, uti-lizzare solo le denominazioni di cui allo standard minimo formativo nazionale. Nel caso di ulte-riore declinazione/articolazione territoriale dello standard minimo formativo nazionale, eviden-ziarne gli elementi aggiuntivi.4. Indicare il mese/anno di avvio ed il mese/anno di interruzione.5. Indicare l’ultimo anno di corso frequentato, anche parzialmente.6. Altri eventuali elementi utili alla ricostruzione e alla identificazione degli esiti di apprendimentoacquisiti, ovvero del profilo dello studente al momento dell’interruzione del percorso. 7. Del Responsabile della procedura individuato dalle singole Regioni/P.A. 257 Parte Seconda 259 Il sistema di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore 1. La riorganizzazione del sistema di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore La riorganizzazione del sistema di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore(IFTS) risponde all’esigenza di assicurare una maggiore stabilità, qualità e visibi-lità all’offerta formativa nonché una fisionomia in grado di favorire una risposta aifabbisogni formativi più coordinata con gli altri segmenti della filiera tecnico-pro-fessionale. Prevista dalle Linee guida del DPCM 25 gennaio 2008, la riconfigura-zione del sistema, alla luce dei significativi mutamenti ordinamentali del quadronazionale in materia di istruzione secondaria superiore, di Istruzione e FormazioneProfessionale (IeFP), di Istruzione Tecnica Superiore (ITS), punta al rilancio dell’I-struzione e Formazione Tecnica Superiore attraverso1:– l’organicità, in termini di fisionomia e risultati di apprendimento connotatividella qualificazione in esito, della connessione dell’offerta IFTS con quella deipercorsi quinquennali IP e IT, del quarto anno di diploma IeFP, dei profili deitecnici superiori ITS;– il superamento della “figura professionale” a favore della “specializzazione”come riferimento dei percorsi, dati i nuovi repertori nazionali delle figure deitecnici IeFP e dei tecnici ITS;– l’ampliamento orizzontale dei profili di competenza in uscita dal livello secon-dario;– un ruolo e un contributo più significativo nei processi di sviluppo, manuten-zione, riqualificazione delle competenze della componente adulta della popola-zione attiva;– dispositivi istituzionali e tecnici in grado di assicurare dinamicità all’offerta.Tenendo conto delle competenze esclusive delle Regioni in materia di pro-grammazione dell’offerta formativa, la riorganizzazione è avvenuta nel rispetto deiProfili generali di cui al Capo I, degli standard dei percorsi e delle modalità di ac-cesso e certificazione di cui al Capo III del DPCM 25 gennaio 2008.Con l’emanazione dello specifico Decreto Interministeriale è abrogato il Rego-lamento attuativo dell’art. 69 della Legge 144 del 1999 e prende avvio con l’anno 1 Si veda anche B. TORCHIA, “La riconfigurazione del sistema di Istruzione e Formazione Tec-nica Superiore: nuovi Poli tecnico-professionali, Istituti Tecnici Superiori e IFTS”, Rassegna CNOS,3, 2012. 260 formativo 2013-2014, in via sperimentale, il primo ciclo delle attività formative fi-nalizzate al conseguimento dei certificati si specializzazione tecnica superiore2. Ilpercorso di lavoro svolto dall’apposito Tavolo interistituzionale3 nel corso del 2012ha consentito di:– determinare le specializzazioni tecniche superiori di riferimento nazionale perl’offerta di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore;– costituire l’Elenco nazionale delle specializzazioni tecniche superiori;– definire gli standard minimi formativi relativi alle competenze tecnico profes-sionali riguardanti ciascuna specializzazione nazionale;– definire gli standard minimi formativi delle competenze comuni a tutte le spe-cializzazioni;– referenziare le specializzazioni alle Aree economico-professionali, alla Classifi-cazione delle professioni, al Quadro europeo delle Qualificazioni (QEQ/EQF);– elaborare il modello e le relative note di compilazione del Certificato di spe-cializzazione superiore. 2. Le Specializzazioni tecniche superiori: fisionomia, scelte strategiche, articolazione e percorso costruttivo L’identificazione delle specializzazioni e la definizione degli standard forma-tivi, in analogia e continuità con il percorso che ha portato al nuovo ordinamentodell’Istruzione e Formazione Professionale, sono avvenute attraverso uno specificoTavolo e Gruppo di lavoro interistituzionale guidato da una serie di riferimenti, dielementi di contesto e di prospettiva. Tra i più significativi:– i profili della riorganizzazione del sistema; nello specifico, la fisionomia gene-rale di cui alla lett. a), c. 2 dell’art. 1 del DPCM 25 gennaio 2008, secondo laquale l’offerta di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (IFTS) e quelladegli Istituti Tecnici Superiori (ITS) rispondono ad una comune istanza di spe-cializzazione tecnica superiore, garantita attraverso una “formazione tecnica eprofessionale approfondita e mirata, proveniente dal mondo del lavoro pub-blico e privato, con particolare riferimento alle piccole e medie imprese, e aisettori interessati da innovazioni tecnologiche e dalla internazionalizzazionedei mercati”;– le caratteristiche e lo standard dei percorsi, le modalità di accesso, ai sensi del-l’articolato del suddetto Decreto; 2 Tra le disposizioni transitorie del Decreto interministeriale si prevede che la fase sperimentalesarà poi oggetto di attività di monitoraggio e valutazione ai fini della definitiva messa a regime dei per-corsi IFTS secondo una modalità coordinata con quanto analogamente si prevede per i percorsi ITS.3 Il Tavolo interistituzionale è composto dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ri-cerca, dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali le Regioni, le Province Autonome di Trento eBolzano. 261 – lo sviluppo e l’articolazione dell’offerta IFTS per settore e figura di riferi-mento relativamente al complesso della programmazione 2007-2009 di cui allaBanca Dati Nazionale (Ansas), con sguardo al numero di corsi in programma-zione per le annualità 2008/09, 2009/10, 2010/11 e 2011/12;– le caratteristiche connotative, in termini di figure e risultati di apprendimento,delle qualificazioni in esito al livello terziario non accademico (Istruzione Tec-nica Superiore) ed a quello secondario (Istruzione Tecnica, Istruzione Profes-sionale, Istruzione e Formazione Professionale);– l’impianto metodologico, costruttivo, descrittivo già collaudato e assunto dalsistema Paese per la costruzione e manutenzione del Repertorio nazionale del-l’offerta di Istruzione e Formazione Professionale;– la referenziazione dei percorsi IFTS sia rispetto alla classificazione delle pro-fessioni sia agli indicatori di livello dei risultati di apprendimento di cui alQuadro europeo delle qualificazioni (QEQ/EQF).L’avvio del percorso di lavoro ha visto un significativo momento di riflessione in-teristituzionale sulle tante questioni che dovevano essere affrontate. Tra le principali:a) l’istanza di specializzazione tecnica e professionale, alla quale il sistema IFTS èchiamato a dare una risposta, doveva non configurare l’individuazione di ulteriorie autonome figure e/o profili di Tecnico ma essere intesa come un arricchimentoin termini di specificazione e declinazione del core di competenze che connotano:- per quanto riguarda le competenze tecnico-professionali4,• il profilo del diplomato IP e IT di cui ai rispettivi Regolamenti (Decretidel Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 87 e n. 88);• gli standard delle competenze tecnico-professionali dei diplomati delquarto anno IeFP di cui allo specifico Accordo Stato-Regioni del 27 lu-glio 2011 e del successivo Decreto interministeriale di recepimentodell’11 novembre 2011;- per quanto riguarda le competenze comuni linguistiche, scientifiche e tec-nologiche, giuridiche ed economiche, organizzative, comunicative e rela-zionali5, • i risultati di apprendimento degli insegnamenti comuni agli indirizzi IT edei settori IP di cui ai rispettivi Regolamenti del 2010;• gli standard delle competenze di base dei quarti anni di diploma profes-sionale di cui allo specifico Accordo Stato-Regioni del 2011 e del suc-cessivo Decreto interministeriale del 2011;• obiettivi e competenze che si potevano desumere in riferimento al se-condo biennio dei licei e da altri percorsi post-obbligo di istruzione. 4 Lo sguardo è stato esteso anche agli obiettivi specifici di apprendimento in esito al secondobiennio dei licei di cui alle indicazioni nazionali e alcune riflessioni sono state fatte anche in riferi-mento alla tipologia di macro-competenze potenzialmente in esito a precedenti percorsi di istruzione,formazione e lavoro successivi all’assolvimento dell’obbligo di istruzione. 5 DPCM 25 gennaio 2008, art. 4, c2, let c). 262 a) la specializzazione tecnica e professionale doveva altresì essere individuata,perimetrata e calibrata sulla base:- dell’effettivo e specifico “spazio di qualificazione” nella filiera formativache è venuta progressivamente a delinearsi alla luce degli “standard di ar-rivo” di IeFP, IP, IT e della specifica fisionomia ITS;- del livello QEQ/EQF di referenziazione che, in riferimento alla caratteriz-zazione di specializzazione più mirata, puntuale e connotabile come svi-luppo “orizzontale” delle qualificazioni in esito al secondo ciclo di istru-zione e formazione, non poteva essere diverso da quello corrispondente ai“tecnici del livello secondario” (IeFP, IP, IT);- di un ancoraggio reale del possibile “spazio di qualificazione” ai processilavorativi di riferimento.Tutto ciò ha comportato, nella pratica, la necessità di “triangolare” le possibilispecializzazioni rispetto ai profili di qualificazione IeFP, IP e IT, evitando sia so-vrapposizioni o duplicazioni con i rispettivi risultati di apprendimento sia di “scon-finare” in rapporto ai profili esistenti di Tecnico superiore in esito all’IstruzioneTecnica Superiore. Triangolando alla ricerca della fisionomia dello standard delle specializzazioniIFTS, è stato necessario elaborare/costruire/declinare competenze (e loro elementicostitutivi) con un oggetto/costrutto che doveva essere di riferimento verticaleanche per i tecnici IeFP. Ad esempio:– non si poteva ipotizzare una “specializzazione sulle metodologie di progettazio-ne di costruzioni e manufatti edili”, dato che il tecnico IeFP non ha la progetta-zione come processo/attività/competenze in esito al percorso del quarto anno; – inoltre, con riferimento ai processi di progettazione edile ed a quelli legati allaconduzione e gestione del cantiere, lo spazio di qualificazione doveva essere 263 perimetrato con grande precisione, dati i “paletti” posti dalle regolamentazionidelle professioni/normative di settore. L’esempio evidenzia chiaramente come nel declinare la fisionomia delle spe-cializzazioni sia stata necessaria un’analisi attenta e comparata dei possibili “profilidi qualificazione in entrata”, dalla quale muovere per individuare le competenze diriferimento (e loro elementi). Queste ultime, dovevano poi essere elaborate in rac-cordo al livello di referenziazione QEQ/EQF e con costrutti sufficientemente rap-presentativi/esplicativi di tassonomie coerenti dei livelli di responsabilità/auto-nomia/presidio/ecc. È stato poi necessario, attraverso questa analisi, ponderare lo“spessore” della fisionomia della specializzazione per evitare rischi di limitata si-gnificatività che potevano conseguire, ad esempio, da un ancoraggio delle specia-lizzazioni principalmente sul “prodotto” e non sul processo produttivo/erogazionedi un servizio oppure su una tecnologia. Va anche sottolineato che questo quadro operazionale ha preso avvio e si è svi-luppato, articolato, affinato anche attraverso una rilettura critica degli attuali stan-dard formativi tecnico-professionali IFTS. In questo modo, si è voluto valorizzarequanto già realizzato sui territori dentro una “logica nazionale”, fondata sulla signi-ficatività dell’offerta (numero di corsi come proxy della ricorsività e/o evidenza delcarattere sovraregionale della possibile specializzazione) e sulla tenuta in termini dirisposta al fabbisogno riconducibile alle innovazioni di processo e/o alle esigenzedel sistema socio-economico in una prospettiva di medio/lungo periodo.Infine, il processo di individuazione e declinazione dei costrutti delle compe-tenze di specializzazione tecnica ha tenuto conto dei seguenti elementi:– la caratterizzazione strutturale dei percorsi. Nello specifico, la durata (800/1000ore) ha reso opportune alcune scelte metodologiche e di articolazione dei risul-tati di apprendimento in esito, con decisione di non connotare lo standard na-zionale attraverso un numero eccessivo di competenze. Si è voluto evitare chequeste ultime potessero poi risultare “fuori portata” e/o non “effettive” in rela-zione ai tempi disponibili per la loro promozione, cercando anche di puntare suuna sola macro-competenza di specializzazione;– il piano di lavoro a profilo “macro”, oltre a quello della “banda larga”, dellaspecializzazione ha poi richiesto un costante presidio medotologico-riflessivo-negoziale per evitare il rischio di individuare/elaborare competenze come pro-dotto di un esercizio linguistico, anche tecnicamente raffinato, caratterizzatoda un livello eccessivo di astrazione rispetto alla realtà e la conseguentenulla/poca/limitata riconoscibilità (e spendibilità) nel mondo del lavoro.Per quanto riguarda le competenze linguistiche, scientifiche e tecnologiche,giuridiche ed economiche, organizzative, comunicative e relazionali, bisognava evi-tare che le competenze comuni potessero essere individuate e declinate alimentan-do processi formativi che ne promuovono lo sviluppo in maniera dissociata rispettoalle competenze richieste dalla specializzazione tecnico-professionale. Inoltre, neldelineare lo specifico percorso di lavoro si è tenuto conto di varie riflessioni: 6 Ad esempio, la capacità di leggere, di comprendere, di comunicare, di mettere in atto strategiedi soluzione dei problemi, di avvalersi delle tecnologie, di comprendere il contesto interno/esterno neisuoi vari profili di attenzione (organizzativo/sociale, qualità, efficienza/efficacia, normativo, ecc.) do-vevano essere tradotte in categorie concettuali idonee per assicurare una forte integrazione/raccordocon le specializzazioni previste per le diverse aree professionali. 264 – la necessità di definire le competenze comuni non come elemento costitutivoirrinunciabile del profilo di qualificazione IFTS ma esclusivamente come ri-sposta al vincolo posto dal DPCM del 2008, data la convinzione che una spe-cializzazione tecnico-professionale non richieda supporti cognitivi di base arti-colati/significativi come quelli previsti dallo stesso DPCM;– il rischio, quando si definiscono competenze comuni come “contenitore diqualificazione” separato da quello tecnico-professionale, che si perda di vista ilnecessario raccordo e l’integrazione sistematica tra la componente culturale equella professionale;– l’opportunità di organizzare le competenze comuni per “ambiti”, come vienefatto nelle esperienze europee più avanzate e come previsto dai quadri europei,ad esempio quello sulle competenze chiave;– l’inadeguatezza degli “ambiti” linguistico, scientifico e tecnologico, giuridicoed economico, organizzativo, comunicativo e relazionale previsti dal DPCMdel 2008, in relazione alla fisionomia di specializzazione dei percorsi, perchéeccessivi nel numero e dispersivi per tipologia;– la conseguente opportunità di procedere ad accorpamenti, ad esempio: l’am-bito linguistico con quello comunicativo e relazionale; l’ambito giuridico edeconomico con quello organizzativo;– la necessità di un costrutto/descrittivo dello standard riferito ad ambiti di caratteregenerale in grado di favorire una sua eventuale maggiore specificazione in sede didefinizione delle specializzazioni da promuovere. Il pericolo di una descrizionetroppo puntuale e dettagliata dello standard poteva poi derivare dalla tentazione,nei vari sistemi regionali, di impostare il processo formativo a supporto di questiambiti di competenza comune in maniera dissociata rispetto allo sviluppo dellecompetenze richieste per un “inserimento specializzato” nel mondo del lavoro;– occorreva anche evidenziare con chiarezza la loro diversa caratterizzazionespecifica (non il livello che doveva rimanere analogo a quello in esito ai per-corsi di accesso al sistema) rispetto ai risultati di apprendimento degli insegna-menti comuni di IP/IT e degli standard di base del quarto anno IeFP. Nello spe-cifico, mentre le competenze dei profili di accesso sono prevalentemente di“natura culturale” e fortemente raccordate anche alla dimensione educativa(oltre che culturale/professionale) che caratterizza il Profilo educativo, cultu-rale e professionale (PECUP) per IeFP/IP/IT, le competenze comuni IFTS do-vevano, trattandosi di specializzazioni fortemente raccordate ai processi pro-duttivi, trovare “curvature a banda larga” sulla base della tipologia del pro-cesso e delle richieste specifiche che ne derivano6; 265 – più in generale, era opportuno non introdurre immediatamente elenchi di com-petenze puntuali (e loro elementi) ma individuare per ogni ambito di compe-tenza comune un profilo generale dello standard basato su una (massimo due)macro-competenza, declinata in termini di abilità minime e conoscenze essen-ziali. Questi costrutti erano poi da intendersi come riferimento ordinamentalecogente in grado di orientare le successive specificazioni/descrizioni più pun-tuali/dettagliate a livello regionale, sulla base di specifici fabbisogni in rap-porto a una coniugazione territoriale dello standard di specializzazione IFTSche può richiedere diverse combinazioni di abilità/conoscenze di carattere co-gnitivo/culturale/base7. 3. L’Elenco nazionale delle Specializzazioni tecniche superiori Le Specializzazioni tecniche superiori che costituiscono l’Elenco nazionalesono in complesso 20, articolate in 5 aree professionali.In riferimento alle 20 specializzazioni, sono state individuate e declinate 28competenze tecnico-professionali; per 20 specializzazioni, lo standard nazionale ècostituto da una sola competenza, per le rimanenti 8 specializzazioni, prevalente-mente dell’area meccanica, impianti e costruzioni, lo standard nazionale non superacomunque le due competenze. 7 Ad esempio: se a livello territoriale l’offerta di specializzazione tecnica superiore si rivolge aprocessi produttivi attuati in contesti industriali di medio-grande dimensione piuttosto che artigianali,è evidente la necessità di calibrare localmente, soprattutto in termini di abilità e conoscenza, il macro-profilo di competenza comune nazionale attinente all’ambito organizzativo/giuridico/economico. 266 I risultati di apprendimento connotativi l’Elenco nazionale delle specializza-zioni costituiscono un livello minimo ai fini della riconoscibilità e spendibilità a li-vello nazionale dei certificati. Essi possono essere declinati a livello territoriale inprofili che corrispondono ad una declinazione dello standard formativo nazionalerispetto a specificità territoriali del mercato del lavoro. L’eventuale declinazionee/o curvatura regionale, in termini di competenze, abilità e conoscenze, dello stan-dard minimo nazionale si intende aggiuntiva rispetto a quanto assunto come stan-dard nazionale di riferimento.L’Elenco nazionale delle specializzazioni e i relativi standard minimi formatividelle competenze tecnico-professionali sono aggiornati periodicamente con ca-denza triennale attraverso un dispositivo/processo di manutenzione sostanzialmenteanalogo, nell’articolazione, negli attori e nelle modalità, a quello adottato per il si-stema di Istruzione e Formazione Professionale. 4. Le competenze comuni a tutte le specializzazioni Le competenze comuni sono state individuate e declinate funzionalmente a unloro sviluppo in forma integrata con le competenze tecnico professionali con riferi-mento alle aree definite dal DPCM 2008 (art. 4, c. 2 punto c). Allo scopo di garan-tire un peso equilibrato rispetto alle competenze tecnico-professionali, le compe-tenze comuni sono state aggregate nei seguenti ambiti di competenza8:– relazionale, comprendente anche le competenze linguistiche e comunicative;– gestionale, comprendente le competenze organizzative, giuridiche ed econo-miche.Lo standard nazionale è costituito da 2 competenze, una per ogni ambito. 5. Standard delle competenze tecnico-professionali e comuni: elementi descrittivi9 La denominazione delle specializzazioni qualifica lo standard in relazione aiseguenti elementi che lo caratterizzano: un processo produttivo o di erogazione diun servizio; una tecnologia.Trattandosi di un ambito di specializzazione, la dimensione del processo diproduzione/erogazione servizio è circoscritta. In caso di processi articolati e com-plessi l’ambito è riferito a una parte chiaramente identificata del processo comples- 8 Non si richiamano le competenze scientifiche e tecnologiche che si ritiene debbano essere ri-comprese nelle competenze tecnico-professionali9 Gli elementi descrittivi sono ripresi, con adattamenti, dal Documento metodologico elaboratodalle Regioni e PA “Indicazioni descrittive-costruttive per l’identificazione delle specializzazioni eper la definizione degli standard di competenze dei percorsi IFTS di cui al DPCM del 2008”. 267 sivo. Analogamente, il riferimento ad una tecnologia è specifico e caratterizzato dauna complessità compatibile con il livello di apprendimenti in ingresso e gli stan-dard di percorso di cui al DPCM del 2008. In entrambi i casi la denominazionedella specializzazione assicura una chiara riconoscibilità nel mondo del lavoro.Le specializzazioni sono descritte a “banda larga”, secondo una prospettiva ingrado di rappresentare standard formativi corrispondenti a un core di competenzevalide e spendibili in molteplici e diversi contesti professionali e lavorativi.Per l’identificazione e la descrizione delle competenze tecnico-professionali dispecializzazione10, in coerenza con quanto già condiviso nell’ambito dell’Accordosul Sistema di Istruzione e Formazione Professionale e nella prospettiva di un si-stema unitario, sono adottati i seguenti criteri metodologici:– per identificare le competenze tecnico-professionali ci si riferisce ai processi dilavoro ed alle attività specifiche fondamentali che connotano la specializza-zione, e che la caratterizzano in modo essenziale;– la competenza, in coerenza al quadro QEQ/EQF, si riferisce alla dimensionesoggettiva di presidio dei processi di lavoro, è descritta in termini di responsa-bilità e autonomia ed esprime la mobilitazione dinamica e articolata da partedel soggetto di un insieme di risorse (in termini di abilità e conoscenze) neces-sarie per gestire e presidiare una o più aree di attività, al fine di conseguire undeterminato risultato lavorativo (output) in un determinato contesto e nel ri-spetto dei parametri attesi. Sul piano descrittivo, ne consegue l’utilizzo di verbiche maggiormente possono esprimere una tassonomia dei livelli di responsabi-lità/autonomia (ad esempio, eseguire, effettuare, collaborare, scegliere, predi-sporre, controllare, coordinare, programmare, gestire, ecc.), la specificazionedelle caratteristiche essenziali del contesto di esercizio, il riferimento alle ri-sorse mobilizzate, l’indicazione della prestazione o della famiglia di presta-zioni attesa a seconda del grado di complessità della competenza;– nella costruzione della competenza11 occorre identificare i suoi elementi costi-tutivi – le abilità e le conoscenze – che in coerenza al quadro EQF sono intesee descritte nel seguente modo:- le abilità indicano le capacità di applicare conoscenze e di utilizzare know-how per portare a termine compiti e risolvere problemi; sono descritte comecognitive (comprendenti l’uso del pensiero logico, intuitivo e creativo) epratiche (comprendenti l’abilità manuale e l’uso di metodi, materiali, stru- 10 Le indicazioni sono basate sulla metodologia definita dall’allegato A1 “Indicazioni descrittivo-costruttive IeFP” (di cui all’Accordo in Conferenza delle Regioni del 25 febbraio 2010) e dall’Ac-cordo in Conferenza Stato-Regioni del 27 luglio 2011, riguardante gli atti necessari per il passaggio anuovo ordinamento dei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale.11 Intesa come “comprovata capacità di utilizzare conoscenze, abilità e capacità personali, socialie/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e personale”,Raccomandazione sulla costituzione del Quadro europeo delle “qualificazioni” per l’apprendimentopermanente, Parlamento Europeo e Consiglio del 23 aprile 2008. 268 menti); possono ricorrere in competenze diverse ed esprimono il lato tec-nico/applicativo/relazionale per l’esercizio della competenza; ne conseguel’uso di verbi e di una sintassi in grado di mettere in evidenza la dimen-sione applicativa e/o di utilizzo di tecniche/procedure/metodiche. Non pos-sono avere spessore più ampio della competenza e devono essere almenodue per ogni competenza;- le conoscenze sono un insieme di fatti, principi, teorie e pratiche relative adun ambito di lavoro. Sono individuate rispetto alle singole competenze, se-condo criteri di essenzialità e di effettiva “formabilità” in relazione al con-testo di apprendimento. Sono descritte come teoriche e/o pratiche e possonoricorrere in competenze diverse. Il loro spessore va sempre legato al livellodella competenza, a sua volta legato al target di utenza;– le competenze e le abilità sono espresse con verbi all’infinito; in via prioritarianel descrittivo della competenza utilizzare un solo verbo, due verbi solo se ne-cessario, ovvero quando indicano una successione organica e coerente; non van-no utilizzati due verbi quando uno contiene l’altro oppure se in alternativa (ades., “gestire e sovrintendere”); l’abilità è sempre descritta con un solo verbo; siaper le competenze che per le abilità non vengono mai utilizzate locuzioni del ti-po: “correttamente”, “adeguatamente”, “con un certo grado di autonomia”;– le conoscenze sono espresse con sostantivi, indicanti prevalentemente tipo-logie e/o oggetti di saperi (ad es. principi di …, tecniche di …). Al fine di evi-tare di fornire una indicazione generica delle conoscenze, tenendo conto che laconoscenza è riferita ad una competenza di specializzazione, questa va inte-grata con un ambito concreto di applicazione professionale;– le abilità e le conoscenze sono da intendere, rispettivamente, come minime edessenziali perché necessarie e significative per far fronte alla tipologia di situa-zioni caratterizzante l’esercizio della competenza;– al fine di garantire coerenza linguistica, quando una stessa conoscenza o abilitàsi ripete in più competenze si mantiene lo stesso descrittivo.Nella identificazione e definizione delle competenze comuni a tutte le specia-lizzazioni, fermi restando i criteri metodologici di cui sopra, sono evitate sovrappo-sizioni o duplicazioni con i risultati di apprendimento attesi a conclusione dei percorsi quinquennali e del quarto anno rispettivamente, dell’istruzione tecnica/professionale e dell’Istruzione e Formazione Professionale.A prescindere dalla tipologia di competenze considerata (tecnico-professio-nale, comune), il format descrittivo dello standard nazionale, ma anche delle even-tuali declinazioni e curvature regionali, è il seguente. 269 6. La manutenzione e l’aggiornamento degli standard formativi nazionali La manutenzione nazionale prevede: l’aggiornamento delle specializzazionitecniche superiori, delle relative competenze tecnico professionali e delle compe-tenze comuni; l’individuazione e la descrizione di nuove specializzazioni tecnichesuperiori di riferimento nazionale. Sono previste le seguenti fasi procedurali.Prima faseProposta di aggiornamento degli standard a cura della IX Commissione dellaConferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome, al Tavolo Tec-nico Interistituzionale, composto dal Ministero dell’istruzione dell’università edella ricerca, dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dal CoordinamentoTecnico della IX Commissione della Conferenza dei Presidenti delle Regioni edelle Province Autonome, in base a criteri e definizioni di cui alla Raccomanda-zione del Parlamento Europeo e del Consiglio sulla costituzione del Quadro eu-ropeo delle “Qualificazioni” per l’apprendimento permanente del 23 aprile 2008nonché secondo le indicazioni descrittivo-costruttive e il format stabiliti.Seconda fasePrima tappaIstruttoria a cura del Tavolo Tecnico Interistituzionale sulla base:– della verifica della completezza e conformità dei supporti documentali in basealle indicazioni descrittivo-costruttive ed al format, comprensivi delle even-tuali tabelle di corrispondenza tra le nuove e le precedenti denominazioni dellespecializzazioni;– della valutazione analitica e complessiva delle proposte di manutenzione e svi-luppo in riferimento a:- aderenza delle proposte alle innovazioni dei processi di lavoro e/o alle esi-genze del sistema socio-economico in una prospettiva di medio/lungo pe-riodo;- comprovata sostenibilità/occupabilità riferita al target di utenza;- ricorsività e/o evidenza del carattere sovraregionale delle proposte;- coerenza e non sovrapposizione delle proposte con il quadro complessivodi Istruzione e Formazione Tecnica e Professionale;Seconda tappaCondivisione delle proposte di aggiornamento e acquisizione del parere delleparti economiche e sociali nell’ambito della Conferenza di servizi di cui all’articolo3 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 25 gennaio 2008.Terza tappaApprovazione dell’aggiornamento dell’elenco dei certificati di specializza-zione di riferimento a livello nazionale e dei relativi standard minimi formativi conDecreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, adottato di con- 270 certo dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, previo parere della Confe-renza Stato-Regioni. 7. Il modello di Certificato di specializzazione tecnica superiore I certificati di specializzazione si riferiscono alle specializzazioni tecniche su-periori ricompresse nell’Elenco nazionale e sono rilasciati dalle Regioni e PA sullabase di un modello sostanzialmente analogo, per impostazione di fondo e conte-nuti, a quello adottato per la Qualifica/Diploma professionale. Si segnala, tuttavia,che il modello di Certificato, a differenza di quello adottato per la Qualifica/Di-ploma, non prevede uno specifico Allegato. Anche per il Certificato è prevista la referenziazione QEQ/EQF e la denomina-zione della Specializzazione corrisponde a quella dell’eventuale Profilo regionale;nel caso di coincidenza con la Specializzazione nazionale, viene riportata la deno-minazione di quest’ultima. In riferimento ai risultati di apprendimento oggetto del-la certificazione, il modello riporta sia lo standard formativo nazionale di riferimen-to sia l’eventuale profilo regionale, entrambi declinati in competenze, abilità e co-noscenze. Vengono poi riportate indicazioni in grado di rappresentare la tipologia,la durata, il soggetto ospitante in riferimento alle esperienze di apprendimento inambito lavorativo. Non sono pertinenti, e di conseguenza non sono oggetto dellacertificazione, gli elementi relativi alla progettazione formativa (articolazione inunità formative/moduli, contenuti specifici sviluppati, ecc.), alle discipline/insegna-menti o alla durata del percorso. 271 Allegati 273 Allegato 1 Elenco specializzazioniIstruzione e Formazione Tecnica Superiore 275 Allegato 2 Standard formativi minimi nazionali delle competenze comuni a tutte le specializzazioni IFTS 277 Allegato 3 Standard formativi minimi nazionali delle competenze tecnico-professionali 278 279 280 281 282 283 284 285 286 287 288 289 290 291 292 293 Allegato 4 Certificato di specializzazione tecnica superiore 294 295 297 Parte Terza 299 Guardando all’Istruzione Tecnica Superiore: fisionomie del sistema e riflessioni di prospettiva L’Istruzione Tecnica Superiore1 realizza percorsi finalizzati al conseguimentodel diploma di tecnico superiore e risponde a fabbisogni formativi diffusi sul terri-torio nazionale, con riferimento alle seguenti aree tecnologiche:– efficienza energetica;– mobilità sostenibile;– nuove tecnologie della vita;– nuove tecnologie per il made in Italy;– tecnologie innovative per i beni e le attività culturali;– tecnologie della informazione e della comunicazione.Per ciascuna delle suddette aree, sono individuati i seguenti ambiti di articola-zione:1) Area Efficienza energetica: 1.1 Approvvigionamento e generazione di energia1.2 Processi e impianti ad elevata efficienza e a risparmio energetico 2) Area Mobilità sostenibile:2.1 Mobilità delle persone e delle merci2.2 Produzione e manutenzione di mezzi di trasporto e/o relative infrastrutture2.3 Gestione infomobilità e infrastrutture logistiche3) Area Nuove tecnologie della vita:3.1 Biotecnologie industriali e ambientali3.2 Produzione di apparecchi, dispositivi diagnostici e biomedicali4) Area Nuove tecnologie per il made in Italy:4.1 Sistema agroalimentare4.2 Sistema casa4.3 Sistema meccanica4.4 Sistema moda4.5 Servizi alle imprese5) Area Tecnologie innovative per i beni e le attività culturali - Turismo: 5.1 Fruizione e valorizzazione del patrimonio culturale5.2 Conservazione, riqualificazione e messa in sicurezza di edifici e luoghi diinteresse culturale 1 DPCM, 25 gennaio 2008, art. 7. 300 6) Area Tecnologie della informazione e della comunicazione:6.1 Metodi e tecnologie per lo sviluppo di sistemi software6.2 Organizzazione e fruizione dell’informazione e della conoscenza6.3 Architetture e infrastrutture per i sistemi di comunicazioneI percorsi di Istruzione Tecnica Superiore:– costituiscono il segmento di formazione terziaria non universitaria che ri-sponde alla domanda delle imprese di nuove ed elevate competenze tecniche etecnologiche per promuovere i processi di innovazione;– si collocano nel V livello del Quadro europeo delle qualificazioni (QEQ/EQF);– si connotano per un profilo culturale generale, comune ai percorsi di tutte learee.Nello specifico, al termine del percorso il Tecnico superiore possiede:– la visione di sistema del contesto nel quale opera, che lo rende consapevole deiproblemi da affrontare nelle attività produttive, organizzative e di servizio e gliconsente di individuare soluzioni innovative, soprattutto nelle applicazioni tec-nologiche;– una solida base di competenze scientifiche, tecnologiche, organizzative, comu-nicative e di marketing che lo pongono in grado di rispondere alla domanda diinnovazione e di trasferimento tecnologico in situazioni ad elevata e crescentecomplessità;– le competenze linguistiche, con particolare riferimento alla lingua inglese e al-l’uso della microlingua di settore, necessarie per interagire nei diversi ambiti econtesti del proprio lavoro;– la padronanza di linguaggi specialistici, solide competenze applicative e capa-cità di assumere comportamenti responsabili e affidabili, sotto i diversi profilidella produzione, della sicurezza nei luoghi di lavoro e della tutela dell’am-biente;– le competenze per interagire efficacemente in gruppi di lavoro multicompe-tenti, costituiti da operatori e tecnici, ricercatori, professionisti e manager. Intali gruppi svolge funzioni di documentazione, ricognizione, elaborazione e ri-elaborazione dei concetti e delle informazioni, applicate e da applicare a speci-fici contesti di lavoro, attuali e potenziali;– le competenze per rapportarsi efficacemente con le diverse figure che operanonella “catena del valore” delle filiere produttive e di servizio, anche a livellointernazionale e in relazione a processi lavorativi esternalizzati e delocalizzati;– le competenze per offrire contributi innovativi tesi a valorizzare le vocazionidel territorio in dimensione “Glocale”;– la capacità di esplicitare le conoscenze tecnologiche traducendo la tecnologicain opportunità di mercato;– gestire le interfacce, sapendo interagire tra tecnologie diverse e tra tecnologie eil mercato; 301 – leggere le esigenze del cliente e del mercato praticando un approccio “marketdriver” che parte dai loro bisogni per ritrovare nella tecnologia e nelle sue ap-plicazioni le risposte più soddisfacenti.I percorsi formativi fanno riferimento a competenze2:– generali di base, comuni a tutte le aree tecnologiche;– tecnico professionali comuni a tutte le figure di ciascuna area tecnologica eambito;– tecnico professionali connesse alle specificità di ciascuna figura, centrate sulleapplicazioni tecnologiche richieste dalle imprese del settore produttivo di rife-rimento e dalle relative Istituzioni del territorio.Nello specifico, sono previste 18 competenze generali di base comuni, artico-late nei seguenti ambiti.Ambito linguistico, comunicativo e relazionale– padroneggiare gli strumenti linguistici e le tecnologie dell’informazione e dellacomunicazione per interagire nei contesti di vita e di lavoro;– utilizzare l’inglese tecnico (microlingua), correlato all’area tecnologica di rife-rimento, per comunicare correttamente ed efficacemente nei contesti in cuiopera;– concertare, negoziare e sviluppare attività in gruppi di lavoro per affrontareproblemi, proporre soluzioni, contribuire a produrre, ordinare e valutare risul-tati collettivi;– predisporre documentazione tecnica e normativa gestibile attraverso le reti te-lematiche;– gestire i processi comunicativi e relazionali all’interno e all’esterno dell’orga-nizzazione sia in lingua italiana sia in lingua inglese;– valutare le implicazioni dei flussi informativi rispetto all’efficacia ed effi-cienza della gestione dei processi produttivi o di servizio, individuando anchesoluzioni alternative per assicurarne la qualità.Ambito scientifico e tecnologico– utilizzare strumenti e modelli matematici e statistici nella descrizione e simula-zione delle diverse fenomenologie dell’area di riferimento, nell’applicazione enello sviluppo delle tecnologie appropriate;– utilizzare strumentazioni e metodologie proprie della ricerca sperimentale perle applicazioni delle tecnologie dell’area di riferimento.Ambito giuridico ed economico– reperire le fonti e applicare le normative che regolano la vita dell’impresa e lesue relazioni esterne in ambito nazionale, europeo e internazionale; 2 Decreto di concerto MIUR-MPLS del 7 settembre 2011, Allegato 1. 302 – conoscere i fattori costitutivi dell’impresa e l’impatto dell’azienda nel contestoterritoriale di riferimento;– utilizzare strategie e tecniche di negoziazione con riferimento ai contesti dimercato nei quali le aziende del settore di riferimento operano anche per raf-forzarne l’immagine e la competitività.Ambito organizzativo e gestionale– conoscere e contribuire a gestire i modelli organizzativi della qualità che favo-riscono l’innovazione nelle imprese del settore di riferimento;– riconoscere, valutare e risolvere situazioni conflittuali e problemi di lavoro didiversa natura: tecnico-operativi, relazionali, organizzativi;– conoscere, analizzare, applicare e monitorare, negli specifici contesti, modellidi gestione di processi produttivi di beni e servizi;– gestire relazioni e collaborazioni nell’ambito della struttura organizzativa in-terna ai contesti di lavoro, valutandone l’efficacia;– gestire relazioni e collaborazioni esterne – interpersonali e istituzionali – valu-tandone l’efficacia;– organizzare e gestire, con un buon livello di autonomia e responsabilità, l’am-biente lavorativo, il contesto umano e il sistema tecnologico di riferimento alfine di raggiungere i risultati produttivi attesi;– analizzare, monitorare e controllare, per la parte di competenza, i processi pro-duttivi al fine di formulare proposte/individuare soluzioni e alternative per mi-gliorare l’efficienza e le prestazioni delle risorse tecnologiche e umane impie-gate nell’ottica del progressivo miglioramento continuo.Sono attualmente previste 16 figure di riferimento:– Tecnico superiore per l’approvvigionamento energetico e la costruzione di im-pianti;– Tecnico superiore per la gestione e la verifica di impianti energetici;– Tecnico superiore per il risparmio energetico nell’edilizia sostenibile;– Tecnico superiore per la mobilità delle persone e delle merci;– Tecnico superiore per la produzione e manutenzione di mezzi di trasporto e/orelative infrastrutture;– Tecnico superiore per l’infomobilità e le infrastrutture logistiche;– Tecnico superiore per la ricerca e lo sviluppo di prodotti e processi a base bio-tecnologica;– Tecnico superiore per il sistema qualità di prodotti e processi a base biotecno-logica;– Tecnico superiore per la produzione di apparecchi e dispositivi diagnostici, te-rapeutici e riabilitativi;– Tecnico superiore per la promozione e il marketing delle filiere turistiche edelle attività culturali;– Tecnico superiore per la gestione di strutture turistico-ricettive; 303 – Tecnico superiore per la conduzione del cantiere di restauro architettonico;– Tecnico superiore per la produzione/riproduzione di artefatti artistici;– Tecnico superiore per i metodi e le tecnologie per lo sviluppo di sistemi soft-ware;– Tecnico superiore per l’organizzazione e la fruizione dell’informazione e dellaconoscenza;– Tecnico superiore per le architetture e le infrastrutture per i sistemi di comuni-cazione.La descrizione delle figure e delle relative macrocompetenze è offerta dalle se-guenti tavole. 304 305 306 307 308 309 310 311 312 313 314 315 A conclusione dell’anno formativo 2013-2014, la fase sperimentale, che hapreso avvio con l’anno formativo 2011-2012, si concluderà ed è prevista l’attivitàdi monitoraggio e valutazione ai fini della definitiva messa a regime dei percorsi3,secondo una modalità coordinata con quanto previsto per i percorsi di Istruzione eFormazione Tecnica Superiore. In tale sede potranno essere affrontate varie questioni, tra le più significative:• la verifica, secondo una logica di filiera, della tenuta degli attuali standarddelle figure di riferimento (macrocompetenze) alla luce dei nuovi profili dispecializzazione in esito all’Istruzione e Formazione Tecnica Superiore;• la necessità di connotare il Tecnico superiore attraverso un profilo generalemaggiormente identitario e pienamente rispondente agli elementi di qualifica-zione caratterizzanti lo specifico livello di referenziazione (V livello) alQuadro europeo delle qualificazioni (QEQ/EQF);• l’opportunità di rivedere gli attuali requisiti di accesso, dato che ai percorsipossono accedere solo i soggetti che hanno completato positivamente l’Istru-zione Tecnica oppure l’Istruzione Professionale. La base di riferimento fondamentale per l’accesso dovrebbe essere il comple-tamento del secondo ciclo del sistema nazionale di istruzione e formazione, com-presi i percorsi di Istruzione e Formazione Professionale di durata quadriennale cheportano al Diploma professionale. Ciò per superare l’attuale discriminazione percoloro che hanno scelto l’Istruzione e Formazione Professionale come filiera dipari dignità ed opportunità ma che, di fatto, preclude l’accesso al segmento più altodi qualificazione tecnica4. 3 Decreto Legislativo del 7 settembre 2011, art. 9.4 Si tenga presente che la sperimentazione dell’Alta formazione professionale (sistema di istru-zione terziaria non accademica) in Provincia di Trento ha sempre consentito l’accesso, oltre a coloroche sono in possesso del diploma di Stato conseguito nell’istruzione quinquennale, ai possessori delDiploma professionale conseguito al termine del percorso quadriennale. Dalle sistematiche attività dimonitoraggio e valutazione dell’attuazione nonché dagli esiti dei percorsi – sia in termini di tenuta deipartecipanti, di risultati di apprendimento raggiunti e di spendibilità coerente della formazione – nonsono mai emerse significative differenze tra studenti provenienti dall’Istruzione tecnica o professio-nale e coloro che hanno concluso il quarto anno dell’Istruzione e Formazione Professionale. 317 Conclusioni Una bussola per orientarsi Ai fini di visualizzare i collegamenti tra aree economiche professionali, filiereproduttive, cluster tecnologici, aree tecnologiche, ambiti e figure per l’IstruzioneTecnica Superiore (ITS), specializzazioni per l’Istruzione e Formazione TecnicaSuperiore (IFTS), indirizzi per l’Istruzione Tecnica (IT) e Professionale (IP), Di-plomi e qualifiche per l’Istruzione e Formazione Professionale (IeFP), è stata predi-sposta una mappa1 rivolta ai giovani e alle loro famiglie, ai soggetti del territorio ealle imprese. La mappa mette in trasparenza il livello di prossimità di ciascun per-corso, senza con ciò rappresentare un vincolo per le scelte individuali. 1 La mappa è desunta dalla tabella indicativa della correlazione tra l’offerta di Istruzione e For-mazione Professionale, le aree economiche e professionali, le filiere produttive e le aree tecnolo-giche/ambiti degli ITS. Essa integra e completa i contenuti dell’Allegato B all’Intesa sancita nella se-duta della Conferenza Unificata del 26 settembre 2012 in materia di adozione di Linee guida per mi-sure di semplificazione e promozione dell’istruzione tecnico-professionale. 318 319 320 321 322 i Den omina zione della Spec ializz azion e tecn ica su perior e dell a Reg ione / P.A.; nel c aso d i coin ciden za co n la S pecia lizzaz ione t ecnic a sup eriore na- ziona le rip ortare la de nomin azion e di q uest’u ltima. ii Ripo rtare il live llo di quali ficazi one d i cui a ll’Eur opean Qual ificati on Fr amew ork - EQF (Racc oman dazio ne de l Parl amen to eur opeo e del Consi glio del 23 april e 200 8 sull a cost ituzio ne de l Qua dro eu ropeo delle quali fiche per l’ appre ndime nto pe rmane nte, p ubblic ata su Gazz etta U fficia le 200 8/C 1 11/01 del 6/ 5/200 8), de finito nell’ ambit o del Quad ro Na ziona le del le Qu alifich e. iii Den omina zione dell’ area p rofess ionale di rif erime nto di cui a ll’Acc ordo in sed e di C onfer enza Unifi cata d el 27 luglio 2011 . iv Den omina zione dei r iferim enti a lla nu ova c lassif icazio ne de lle pr ofessi oni ad ottati dall’I STAT nel 2 011. v Ripo rtare nei ri quadr i le d enom inazio ni dei risult ati di appre ndime nto in term ini di comp etenz e e/o loro e lemen ti (ab ilità m inime /cono scenz e esse n- ziali) effett ivame nte ac quisit i dallo stude nte, a fferen ti sia all’am bito d elle c ompe tenze comu ni, sia a que llo de lle co mpete nze te cnico -profe ssiona li. No n ri- portar e, in q uanto non pertin enti c on l’o ggetto dell’ attest azion e, gli eleme nti re lativi alla p rogett azion e form ativa (artic olazio ne in unità /modu li did attici o forma tivi; c onten uti sp ecific i svilu ppati; ecc.) , alle discip line / inseg name nti o a lla du rata d el per corso . Le a bilità e le c onosc enze d evono semp re ess ere po ste in con nessio ne all a com peten za di riferim ento e ripor tate n ei cam pi del relati vo riq uadro . Per tutte l e acq uisizi oni, a i fini della loro l eggib ilità e trasfe ribilit à, utilizz are so lo le d enom inazio ni di cui al lo sta ndard /ai ris ultati di app rendim ento n azion ale - o della sua/l oro d eclina zione /artico lazion e regi onale . vi Altr i even tuali e lemen ti util i alla descr izione degli appre ndime nti ac quisit i in es ito al perco rso. vii Del Resp onsab ile de lla pr ocedu ra ind ividua to dal le sin gole R egion i/P.A. 323 Indice Sommario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 PARTE PRIMAIl sistema di Istruzione e Formazione Professionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111. Il passaggio a nuovo ordinamento dei percorsi di Istruzione e FormazioneProfessionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112. Il Repertorio nazionale dell’offerta di Istruzione e Formazione Professionale . 122.1. Riferimenti e percorso costruttivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 122.2. Definizioni, impianto e approccio metodologico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 162.3. La manutenzione e l’aggiornamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 223. Lo standard nazionale di operatori e tecnici: articolazione ed elementi conno-tativi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 244. Lo standard nazionale delle competenze di base: articolazione ed elementi connotativi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 255. I modelli di Qualifica, di Diploma e di Attestato di competenze . . . . . . . . . . . 276. Identità del sistema e dei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale:la necessità di un nuovo profilo educativo, culturale e professionale . . . . . . . 296.1. Profilo educativo, culturale e professionale in esito ai percorsi triennalidi qualifica: una proposta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 306.2. Profilo educativo, culturale e professionale in esito ai percorsi quadrien-nali di diploma: una proposta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32 ALLEGATI Allegato 1Figure di riferimento relative alle “Qalifiche professionali” . . . . . . . . . . . . . . . . . 37Allegato 2Figure di riferimento relative ai “Diplomi professionali” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 141Allegato 3Altri riferimenti relativi ai percorsi di Qualifica e di Diploma professionale . . . 2331. Standard formativi minimi relativi alle competenze di base del 3° e del 4° anno 2342. Standard minimi formativi relativi alle competenze tecnico-professionalicomuni a tutti i percorsi di Qualifica professionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2373. Classificazione per aree professionali dell’offerta del sistema di Istruzionee Formazione Professionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 238 324 Allegato 4Dispositivi e strumenti relativi ai percorsi di Qualifica e di Diploma professionale 2411. Dispositivo di descrizione delle figure/indirizzi e degli standard formativi . . . 2412. Modelli di attestato di Qualifica professionale e di Diploma professionale . . . 2443. Modello per l’attestazione delle competenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 252 PARTE SECONDAIl sistema di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2591. La riorganizzazione del sistema di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore 2592. Le Specializzazioni tecniche superiori: fisionomia, scelte strategiche, artico-lazione e percorso costruttivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2603. L’Elenco nazionale delle Specializzazioni tecniche superiori . . . . . . . . . . . . . 2654. Le competenze comuni a tutte le specializzazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2665. Standard delle competenze tecnico-professionali e comuni: elementi descrittivi 2666. La manutenzione e l’aggiornamento degli standard formativi nazionali . . . . . 2697. Il modello di Certificato di specializzazione tecnica superiore . . . . . . . . . . . . 270 ALLEGATI Allegato 1Elenco specializzazioni Istruzione e Formazione Tecnica Superiore . . . . . . . . . . . 273Allegato 2Standard formativi minimi nazionali delle competenze comuni a tutte le specia-lizzazioni IFTS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 275Allegato 3Standard formativi minimi nazionali delle competenze tecnico-professionali . . . 277Allegato 4Certificato di specializzazione tecnica superiore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 293 PARTE TERZAGuardando all’Istruzione Tecnica Superiore: fisionomie del sistema e riflessioni di prospettiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 299 Conclusioni: Una bussola per orientarsi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 317 325 Pubblicazioni nella collana del CNOS-FAP e del CIOFS/FP “STUDI, PROGETTI, ESPERIENZE PER UNA NUOVA FORMAZIONE PROFESSIONALE” ISSN 1972-3032 Sezione “Studi” 2002 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimenta- zione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto finale, 2002 2003 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XIV seminario di formazione europea. La formazione professio- nale per lo sviluppo del territorio. Castel Brando (Treviso), 9-11 settembre 2002, 2003 CIOFS/FP SICILIA (a cura di), Vademecum. Strumento di lavoro per l’erogazione dei servizi orientativi, 2003 MALIZIA G. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto sul follow-up, 2003 2004 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XV seminario di formazione europea. Il sistema dell’istruzione e formazione professionale nel contesto della riforma. Significato e percorsi, 2004 CIOFS/FP SICILIA (a cura di), Opportunità occupazionali e sviluppo turistico dei territori di Catania, Noto, Modica, 2004 CNOS-FAP (a cura di), Gli editoriali di “Rassegna CNOS” 1996-2004. Il servizio di don Stefano Colombo in un periodo di riforme, 2004 MALIZIA G. (coord.) - ANTONIETTI D. - TONINI M. (a cura di), Le parole chiave della forma- zione professionale, 2004 RUTA G., Etica della persona e del lavoro, 2004 2005 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XVI seminario di formazione europea. La formazione professio- nale fino alla formazione superiore. Per uno sviluppo in verticale di pari dignità, 2005 D’AGOSTINO S. - MASCIO G. - NICOLI D., Monitoraggio delle politiche regionali in tema di istruzione e formazione professionale, 2005 PIERONI V. - MALIZIA G. (a cura di), Percorsi/progetti formativi “destrutturati”. Linee guida per l’inclusione socio-lavorativa di giovani svantaggiati, 2005 2006 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XVII seminario di formazione europea. Il territorio e il sistema di istruzione e formazione professionale. L’interazione istituzionale per la preparazione delle giovani generazioni all’inserimento lavorativo in rapporto agli obiettivi di Lisbona, 2006 NICOLI D. - MALIZIA G. - PIERONI V., Monitoraggio delle sperimentazioni dei nuovi percorsi di istruzione e formazione professionale nell’anno formativo 2004-2005, 2006 2007 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XVIII seminario di formazione europea. Standard formativi nell’istruzione e nella formazione professionale. Roma, 7-9 settembre 2006, 2007 COLASANTO M. - LODIGIANI R. (a cura di), Il ruolo della formazione in un sistema di welfare attivo, 2007 DONATI C. - BELLESI L., Giovani e percorsi professionalizzanti: un gap da colmare? Rapporto finale, 2007 MALIZIA G. (coord.) - ANTONIETTI D. - TONINI M. (a cura di), Le parole chiave della forma- zione professionale. II edizione, 2007 MALIZIA G. - PIERONI V., Le sperimentazioni del diritto-dovere nei CFP del CNOS-FAP e del CIOFS/FP della Sicilia. Rapporto di ricerca, 2007 MALIZIA G. - PIERONI V., Le sperimentazioni del diritto-dovere nei CFP del CNOS-FAP e del CIOFS/FP del Lazio. Rapporto di ricerca, 2007 MALIZIA G. et alii, Diritto-dovere all’istruzione e alla formazione e anagrafe formativa. Pro- blemi e prospettive, 2007 326 MALIZIA G. et alii, Stili di vita di allievi/e dei percorsi formativi del diritto-dovere, 2007 NICOLI D. - FRANCHINI R., L’educazione degli adolescenti e dei giovani. Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2007 NICOLI D., La rete formativa nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP, 2007 PELLEREY M., Processi formativi e dimensione spirituale e morale della persona. Dare senso e prospettiva al proprio impegno nell’apprendere lungo tutto l’arco della vita, 2007 RUTA G., Etica della persona e del lavoro, Ristampa 2007 2008 CIOFS/FP, Atti del XIX seminario di formazione europea. Competenze del cittadino europeo a confronto, 2008 COLASANTO M. (a cura di), Il punto sulla formazione professionale in Italia in rapporto agli obiettivi di Lisbona, 2008 DONATI C. - BELLESI L., Ma davvero la formazione professionale non serve più? Indagine conoscitiva sul mondo imprenditoriale, 2008 MALIZIA G., Politiche educative di istruzione e di formazione. La dimensione internazionale, 2008 MALIZIA G. - PIERONI V., Follow-up della transizione al lavoro degli allievi/e dei percorsi triennali sperimentali di IeFP, 2008 PELLEREY M., Studio sull’intera filiera formativa professionalizzante alla luce delle strategie di Lisbona a partire dalla formazione superiore non accademica. Rapporto finale, 2008 2009 GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1977, vol. 1, 2009 DONATI C. - BELLESI L., Verso una prospettiva di lungo periodo per il sistema della formazione professionale. Il ruolo della rete formativa. Rapporto finale, 2009 NICOLI D., I sistemi di istruzione e formazione professionale (VET) in Europa, 2009 2010 PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., La valigia del “migrante”. Per viaggiare a Cosmopolis, 2010 PRELLEZO J.M., Scuole Professionali Salesiane. Momenti della loro storia (1853-1953), 2010 CNOS-FAP (a cura di), Don Bosco, i Salesiani, l’Italia in 150 anni di storia, 2010 2011 ROSSI G. (a cura di), “Fare gli italiani” con l’educazione. L’apporto di don Bosco e dei Sale- siani, in 150 anni di storia, 2011 GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1997, vol. 2 2012 MALIZIA G., Sociologia dell’istruzione e della formazione. Una introduzione, 2012 NICOLI D., Rubriche delle competenze per i Diplomi professionali IeFP. Con linea giuda per la progettazione formativa, 2012 CNOS-FAP (a cura di), Cultura associativa e Federazione CNOS-FAP. Storia e attualità, 2012 2013 CUROTTI A.G., Il ruolo della Formazione Professionale Salesiana da don Bosco alle sfide attuali, 2013 Sezione “Progetti” 2003 BECCIU M. - COLASANTI A.R., La promozione delle capacità personali. Teoria e prassi, 2003 CIOFS/FP (a cura di), Un modello per la gestione dei servizi di orientamento, 2003 CIOFS/FP PIEMONTE (a cura di), L’accoglienza nei percorsi formativo-orientativi. Un ap- proccio metodologico e proposte di strumenti, 2003 CIOFS/FP PIEMONTE (a cura di), Le competenze orientative. Un approccio metodologico e proposte di strumenti, 2003 CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione delle unità didattiche, 2003 327 COMOGLIO M. (a cura di), Prova di valutazione per la qualifica: addetto ai servizi di impresa. Prototipo realizzato dal gruppo di lavoro CIOFS/FP, 2003 FONTANA S. - TACCONI G. - VISENTIN M., Etica e deontologia dell’operatore della FP, 2003 GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo, 2003 MARSILII E., Guida per l’accompagnamento al lavoro dipendente, 2003 TACCONI G. (a cura di), Insieme per un nuovo progetto di formazione, 2003 VALENTE L. - ANTONIETTI D., Quale professione? Strumento di lavoro sulle professioni e sui percorsi formativi, 2003 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale alimentazione, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale aziendale e amministrativa, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale commerciale e delle vendite, 2004 CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione delle unità didattiche, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale estetica, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale sociale e sanitaria, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale tessile e moda, 2004 CIOFS/FP BASILICATA, L’orientamento nello zaino. Percorso nella scuola media inferiore. Diffusione di una buona pratica, 2004 CIOFS/FP CAMPANIA (a cura di), ORION tra orientamento e network, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale elettrica e elettronica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale grafica e multimediale, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale meccanica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale turistica e alberghiera, 2004 NICOLI D. (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema del - l’istruzione e della formazione professionale, 2004 NICOLI D. (a cura di), Sintesi delle linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale, 2004 2005 CIOFS-FP SICILIA (a cura di), Operatore Servizi Turistici in rete. Rivisitando il progetto: le buone prassi. Progettazione, Ricerca, Orientamento, Nuova Imprenditorialità, Inseri- mento Lavorativo, 2005 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale legno e arredamento, 2005 CNOS-FAP (a cura di), Proposta di esame per il conseguimento della qualifica professionale. Percorsi triennali di Istruzione formazione Professionale, 2005 NICOLI D. (a cura di), Il diploma di istruzione e formazione professionale. Una proposta per il percorso quadriennale, 2005 POLÀČEK K., Guida e strumenti di orientamento. Metodi, norme ed applicazioni, 2005 VALENTE L. (a cura di), Sperimentazione di percorsi orientativi personalizzati, 2005 2006 BECCIU M. - COLASANTI A.R., La corresponsabilità CFP-famiglia: i genitori nei CFP. Espe- rienza triennale nei CFP CNOS-FAP (2004-2006), 2006 CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione dei sussidi, II edizione, 2006 328 2007 D’AGOSTINO S., Apprendistato nei percorsi di diritto-dovere, 2007 GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo. Una proposta di percorsi per la creazione di impresa. II edizione, 2007 MARSILII E., Dalla ricerca al rapporto di lavoro. Opportunità, regole e strategie, 2007 NICOLI D. - TACCONI G., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello sta to dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. I volume, 2007 RUTA G. (a cura di), Vivere in... 1. L’identità. Percorso di cultura etica e religiosa, 2007 RUTA G. (a cura di), Vivere... Linee guida per i formatori di cultura etica e religiosa nei per- corsi di Istruzione e Formazione Professionale, 2007 2008 BALDI C. - LOCAPUTO M., L’esperienza di formazioni formatori nel progetto integrazione 2003. La riflessività dell’operatore come via per la prevenzione e la cura educativa degli allievi della FPI, 2008 CIOFS/FP (a cura di), Comunità professionale aziendale e amministrativa, 2008 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., Individuazione e raccolta di buone prassi mirate all’accoglienza, formazione e integrazione degli immigrati, 2008 NICOLI D., Linee guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2008 NICOLI D., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello stato dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. II volume, 2008 RUTA G. (a cura di), Vivere con... 2. La relazione. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 RUTA G. (a cura di), Vivere per... 3. Il progetto. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 2009 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale meccanica, 2009 MALIZIA G. - PIERONI V., Accompagnamento al lavoro degli allievi qualificati nei percorsi triennali del diritto-dovere, 2009 2010 BAY M. - GRĄDZIEL D. - PELLEREY M. (a cura di), Promuovere la crescita nelle competenze strategiche che hanno le loro radici spirituali nelle dimensioni morali e spirituali della persona. Rapporto di ricerca, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale grafica e multimediale, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale elettrica ed elettronica, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale automotive, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per l’orientamento nella Federazione CNOS-FAP, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale turistico-alberghiera, 2010 2011 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A. (a cura di), “Cittadini si diventa”. Il contributo dei Salesiani (SDB) e delle Suore Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA) nell’educare stu- denti/allievi delle loro Scuole/CFP in Italia a essere “onesti cittadini”, 2011 TACCONI G., In pratica. 1. La didattica dei docenti di area matematica e scientifico-tecnolo- gica nell’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 TACCONI G., In pratica. 2. La didattica dei docenti di area linguistica e storico sociale nel- l’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 MANTEGAZZA R., Educare alla costituzione, 2011 NICOLI D., La valutazione formativa nella prospettiva dell’educazione. Una comparazione tra casi internazionali e nazionali, 2011 BECCIU M. - COLASANTI A.R., Il fenomeno del bullismo. Linee guida ispirate al sistema pre- ventivo di Don Bosco per la prevenzione e il trattamento del bullismo, 2011 329 2012 PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., In cammino per Cosmopolis. Unità di Laboratorio per l’e- ducazione alla cittadinanza, 2012 Sezione “Esperienze” 2003 CIOFS/FP PUGLIA (a cura di), ORION. Operare per l’orientamento. Un approccio metodolo- gico condiviso e proposte di strumenti, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 1. Guida per l’accoglienza, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 2. Guida per l’accompagnamento in itinere, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 3. Guida per l’accompagnamento finale, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 4. Guida per la gestione dello stage, 2003 2005 CIOFS/FP SICILIA, Operatore servizi turistici in rete. Rivisitando il progetto: le buone prassi. Progettazione, ricerca, orientamento, nuova imprenditorialità, inserimento lavorativo, 2005 TONIOLO S., La cura della personalità dell’allievo. Una proposta di intervento per il coordi- natore delle attività educative del CFP, 2005 2006 ALFANO A., Un progetto alternativo al carcere per i minori a rischio. I sussidi utilizzati nel Centro polifunzionale diurno di Roma, 2006 CIOFS-FP LIGURIA (a cura di), Linee guida per l’orientamento nei corsi polisettoriali (fascia 16-17 anni). L’esperienza realizzata in Liguria dal 2004 al 2006, 2006 COMOGLIO M. (a cura di), Il portfolio nella formazione professionale. Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2006 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V., Una formazione di successo. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali triennali di istruzione e formazione professionale in Piemonte 2002-2006. Rapporto finale, 2006 2007 NICOLI D. - COMOGLIO M., Una formazione efficace. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali di Istruzione e Formazione professionale in Piemonte 2002-2006, 2007 2008 CNOS-FAP (a cura di), Educazione della persona nei CFP. Una bussola per orientarsi tra buone pratiche e modelli di vita, 2008 2010 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edi- zione 2010, 2010 2011 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edi- zione 2011, 2011 2012 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edi- zione 2012, 2012 Tip.: Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma Tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - E-mail: tipolito@donbosco.it Dicembre 2012

In cammino per Cosmopolis. Unità di laboratorio per l'educazione alla cittadinanza

Autore: 
Vittorio Pieroni, Antonia Santos Fermino
Categoria pubblicazione: 
Progetti
Anno: 
2012
Numero pagine: 
203
Codice: 
978-88-95640-48-8
Vittorio PieroniAntonia SAntoS Fermino IN CAMMINOPERCOSMOPOLIS Unità di Laboratorio per l’educazione alla cittadinanza Anno 2012 Con la collaborazione della Commissione Nazionale Cultura e dei Formatori dell’area linguaggi e storico-sociale del CNOS-FAP. ©2012 By Sede nazionale del CnoS-FAP(Centro nazionale opere Salesiane - Formazione Aggiornamento Professionale)Via Appia Antica, 78 – 00179 romatel.: 06 5137884 – Fax 06 5137028e-mail: cnosfap.nazionale@cnos-fap.it – http: www.cnos-fap.it SOMMARIO “Caro amico ti scrivo...” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 PRESENTAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 ISTRUZIONI PER L’USO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 I Area - IDENTITÀ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 II Area - ALTERITÀ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47 III Area - CRITICAMENTE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75 IV Area - CITTADINANZA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97 V Area - CITTADINI RESPONSABILI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 123 VI Area - CITTADINI ATTIVI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 165 “GIOCARE” È MEGLIO CHE “TIFARE” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 189 INDICE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 197 3 5 “Caro amico ti scrivo …” … noi, della generazione dell’“AVere”, abbiamo conqui-stato tutto (o quasi), dalla Luna fino ad avere … “… tre volte Natale e festa tutto l’anno”ma …“… qualcosa ancora qui non va”. “Cosmopolis”, città di tutti e “aperta” a tutti, è ancora lon-tana e per raggiungerla occorre superare montagne di ste-reotipi e pregiudizi, confini statali, barriere mentali, cultu-rali, religiose, razziali …ma, se vuoi, in quest’ “anno che verrà” possiamo fare unviaggio assieme, aiutandoci reciprocamente ad orientare larotta verso questa “città - del - futuro”, anche perché … unpo’ del tuo futuro te lo abbiamo già consumato noi! “… e se quest’anno poi passasse in un istante,vedi amico miocome diventa importanteche in questo istante ci sia anch’io”.(“L’anno che verrà” - L. Dalla) PRESENTAZIONE il tema della Educazione alla cittadinanza è studiato sia in europa che initalia.eurydice, nel 2005, ha pubblicato il rapporto L’educazione alla cittadinanzanelle scuole in Europa, illustrandone sia gli aspetti politici che le pratiche scola-stiche. nel 2012 eurydice ha pubblicato un nuovo rapporto sul medesimo tema,L’educazione alla cittadinanza in Europa, facendo emergere i progressi compiutirispetto alla situazione del 2005. Quest’ultimo rapporto ha coinvolto 31 Paesicompresi alcuni, come la turchia e la norvegia, che gravitano attorno all’area eu-ropea benché non ne siano ufficialmente componenti. Anche l’italia, in tempi recenti, ha focalizzato il suo cammino in alcuni orien-tamenti istituzionali: Educazione alla convivenza civile prima, come sintesi delle“educazioni” alla cittadinanza ambientale, stradale, alla salute, alimentare e all’af-fettività; Cittadinanza e Costituzione poi, dove “cittadinanza” rimanda alla capacitàdi sentirsi cittadini attivi, cittadini che esercitano e rispettano i doveri inderogabilidella società di cui fanno parte e “Costituzione” rimanda allo studio del documentofondamentale della democrazia italiana e alla proposta di valori di riferimento peresercitare la cittadinanza ai vari livelli. La Federazione CnoS-FAP, ente di Formazione Professionale che fa della for-mazione dell’onesto cittadino un obiettivo fondamentale accanto a quello, altret-tanto fondamentale, del buon cristiano, ha riflettuto sulla tematica e, in tempi re-centi, ha innovato i propri percorsi formativi. negli anni 2009/2012 ha realizzato un’indagine su 5.000 studenti / allievi fre-quentanti scuole e Centri di Formazione Professionale salesiani negli anni2009/2010. obiettivo primario della ricerca è stato quello di verificare “quale tipodi cittadino” veniva formato attraverso i percorsi scolastici e formativi, quali valorivenivano proposti alla luce della tradizione salesiana e quali venivano assimilatidai giovani per affrontare la vita attiva, familiare, professionale e sociale. i risultati dell’indagine sono stati pubblicati nel volume mALiZiA G., Pie-roni V., SAntoS Fermino A., “Cittadini si diventa”. Il contributo dei Sale-siani (SDB) e delle Suore Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA) nell’educare stu-denti/allievi delle loro scuole/CFP in Italia a essere “onesti cittadini”. Indagineconoscitiva e prospettive di futuro, tipografia Pio Xi, 2011. L’indagine ha sollecitato la Sede nazionale ad elaborare strumenti operativi peraccompagnare i formatori nel delicato compito di educare alla cittadinanza. Gli au-tori, già attuatori dell’indagine, hanno messo in campo una nuova pubblicazione 7 8 dal titolo suggestivo “La valigia del migrante. Per viaggiare a Cosmopolis”, dove“Cosmopolis” è la città ideale di tutti e aperta a tutti, una città lontana, una città cheper essere raggiunta è necessario superare montagne di stereotipi e pregiudizi, bar-riere mentali, culturali, religiose, ecc. il libro presentato si è proposto come stru-mento, “la cassetta degli attrezzi”, per accompagnare i giovani impegnati a com-piere questo viaggio … verso Cosmopolis. Fuor di metafora, la Federazione si è impegnata in una sperimentazione del vo-lume. il risultato è l’attuale pubblicazione: In cammino per Cosmopolis. Unità dilaboratorio per l’educazione alla cittadinanza.il sussidio, pensato per i formatori della Formazione Professionale, può essereadattato anche ad altri destinatari operanti in istituzioni scolastiche, nei centri diorientamento, nei centri di accoglienza … perché oggi tutti dobbiamo misurarcicon questa “educazione”. La Sede nazionale, mentre ringrazia gli autori per la passione espressa a favoredi questa tematica, si augura che quanti utilizzano questa pubblicazione, possanotrovare spunti interessanti nella loro azione formativa. La Sede nazionale 9 ISTRUZIONI PER L’USO PERCHÉ QUESTA ULTERIORE PUBBLICAZIONE? Perché sintetizza e completa in forma pratica, di Laboratorio, la serie delle atti-vità che in questi ultimi anni sono state promosse da parte della Sede nazionale delCnoS-FAP in merito all’educazione alla cittadinanza:– con La valigia del “migrante”. Per viaggiare a Cosmopolis (2010), si è cer-cato di mettere in valigia i concetti-base per affrontare il viaggio verso unaipotetica città a cui viene attribuita l’utopia di una convivenza umana fondatasulle pari opportunità di accesso ai diritti di cittadinanza e sulla volontà di cia-scuno di rispettare i doveri che tali diritti comportano;– con queste Unità di Laboratorio (UdL) si è avvertito l’urgenza di tradurre iconcetti de “La valigia” in esercizi pratici destinati ai giovani che oggi sono informazione, ma già “cittadini” della futura Cosmopolis;– nel frattempo tra queste due pubblicazioni è stata realizzata un’indagine su5.000 allievi/studenti delle scuole/CFP di tutta italia (“Cittadini si diventa”), inbase alla quale si è costatato il “ritardo educativo” accumulato dai sistemi diistruzione e formazione rispetto all’evolversi dei cambiamenti epocali e, diconseguenza, l’urgenza di preparare il “cittadino” a vivere nel futuro di questasocietà multietnica, multiculturale, cosmopolita.il focus di quest’ultimo lavoro, quindi, mira essenzialmente a FORMARE LAPERSONALITÀ di un giovane che, rispetto alle passate generazioni, si trova adover affrontare sfide a livello:– generazionale (le mutazioni genetiche, le generazioni-tecno, le identità virtua-li, …);– macro-sociale (i processi di mobilità su scala planetaria, incrociati da interessidiversamente motivati: lavoro, affari, turismo, guerre, ricerca di una migliorequalità della vita, …);– macro-ambientale (la difesa dell’ecosistema climatico-ambientale e la sua ri-caduta sulla vita delle popolazioni locali, …);– macro-culturale (le sempre più inevitabili contaminazioni tra etnie, culture ereligioni diverse, …);– macro-economico (la globalizzazione dei sistemi economico-finanziari e il sus-seguirsi delle loro crisi, …);– geo-politico (la primavera delle nuove generazioni nordafricane e medio-orien-tali, l’urgenza di nuove governance a livello sovranazionale/mondiale, …). 10 Scaturisce da qui un primo interrogativo che non può lasciare indifferente chista all’interno dei sistemi educativo-formativi: cosa ereditano da noi le giovani ge-nerazioni per poter “abitare” nella futura Cosmopolis?Volendo parafrasare Gibran:“Noi siamo l’arco, loro (i figli) le frecce proiettate verso il futuro …”al precedente interrogativo se ne aggiunge un’altro ancor più provocatorio: quantonoi adulti/educatori siamo “ATTREZZATI” per dare loro la “spinta” verso il fu-turo?il contributo che queste 22 UdL intendono offrire può essere così interpretato: – il bersaglio = l’obiettivo sotteso a questo lavoro: quello cioè di far acquisire allenuove generazioni, caratterizzate da mutazione genetica, quella forma mentis cheè necessaria per vivere da “buoni e onesti cittadini” in una società cosmopolita;– l’arco = lo strumento adottato: il quadro teorico corredato da esercizi pratici eda piste di ricerca-approfondimento;– la forza per scagliare la freccia = i contenuti espressi in forma “provocatoria”(teorie, canzoni, foto, testi e frasi per riflettere), mirati a far acquisire auto-nomia, libertà di pensiero, responsabilità nella gestione della propria vita, equi-librio tra autodeterminazione e bisogno di protagonismo.È in quest’ottica che vanno interpretati quindi gli obiettivi, la metodologia e lastessa sperimentazione che è stata realizzata per verificare la tenuta di questo Labo-ratorio.1. L’OBIETTIVO è quello di:– contribuire anzitutto alla costruzione dell’“impalcatura portante” della perso-nalità del giovane;– attraverso attività laboratoriali teorico-pratiche; – con lo scopo di aiutarlo ad assolvere quei “compiti di sviluppo”;– che avranno in seguito una ricaduta sul futuro ruolo di “cittadino” onesto eresponsabile;– in grado di contribuire attivamente con i propri valori alla costruzione della“città cosmopolita”.in questo senso, il percorso delle UdL si snoda secondo un itinerario che, toc-cando le basi su cui si fonda la personalità (identità, progetto di vita, …), si allargaprogressivamente al rapporto con il “tu” (pedagogia dell’alterità) e, mediante unulteriore salto di qualità nel far maturare una coscienza critica, intende affrontarepoi il tragitto verso una cittadinanza responsabile e attiva, fino a raggiungere va-lori sempre più elevati all’insegna della solidarietà e del volontariato.2. Quanto alla METODOLOGIA adottata, è necessario tener conto anzituttoche le UdL sono state volutamente giocate:– su un linguaggio rivolto al “tu” del giovane, in modo da farlo sentire protago-nista, coinvolto in prima persona nella tematica/problematica di volta in voltatrattata; 11 – sull’inserimento di contenuti teorici e di interrogativi tematici formulati spessoin modo provocatorio, così da provocare appunto una ricaduta sulla coscienzacritica del giovane, nell’intento di formare una forma mentis aperta, dialogica,flessibile, in ricerca …; – sul ricorso a citazioni bibliografiche1 e a testi corredati da frasi, canzoni, foto…, mirati a far riflettere, a portare il giovane a pensare con la propria testa, asaper assumere le proprie responsabilità.oltre alla i parte teorica, ogni UdL presenta una ii parte di LABorAtorio,composta da esercizi vari, impostati su una serie di dinamiche particolarmenteadatte alla conduzione di gruppi/classe, tra cui in particolare:– il role-playing: attraverso la simulazione di un ruolo predefinito il giovanedeve interpretare, nel rispetto di alcune regole di comportamento, un ruolo chegli servirà per sviluppare il processo di auto riflessione prima, e di decentra-mento poi, a seguito dell’interscambio dei ruoli e/o del confronto con il ruolodegli altri;– il circle-time: i partecipanti, disposti in cerchio, nel discutere di un problema onel fare progetti anzitutto stabiliscono essi stessi le regole di conduzione; inquesti casi l’insegnante non ha tanto il compito di dirigere l’azione quantopiuttosto quello di far prendere coscienza al gruppo/classe della necessità diautoregolare dall’interno il processo di interazione tra gli “attori”; metodologiache permette di maturare progressivamente il senso di partecipazione, di auto-nomia e di responsabilità individuale/di gruppo;– il metodo dialogico-narrativo di ascolto/confronto: attraverso questa metodo-logia si focalizza una delle più importanti attività di espressione e di auto ri-flessione di un sé impegnato a scavarsi dentro, a descrivere la propria espe-rienza, quale premessa indispensabile per la costruzione dell’identità perso-nale, ma anche occasione per andare alla scoperta del “tu” dell’altro.3. A questo punto è importante far presente che è stata realizzata, in collabora-zione con la Commissione nazionale Cultura e con i Formatori dell’area linguaggie storico-sociale del CnoS-FAP, una SPERIMENTAZIONE su 20 classi di variCFP del nord, Centro e Sud italia, la quale ha dato i seguenti risultati:a) la valutazione complessiva emersa dal voto degli insegnanti, su una scala 1-10,si aggira intorno a “7”2; 1 Al riguardo si fa presente una volta per tutte che all’inizio di ogni Area è stata riportata, in Sce-nario, una breve bibliografia che permette all’insegnante di approfondire gli argomenti trattati dalleUdL. All’interno della bibliografia viene anche la voce “testo di riferimento”, cui fa seguito l’indica-zione di una serie di pagine da consultare per approfondire la tematica: si tratta appunto della prece-dente pubblicazione La valigia del migrante. Per viaggiare a Cosmopolis (2010). Questo spiegaanche il perché dell’abbinamento tra il libro e le UdL.2 il sistema di valutazione richiedeva in primo luogo che ciascun allievo compilasse, per ognunadelle UdL sperimentate, un’apposita scheda relativa a miglioramenti/suggerimenti da apportare in me-rito sia al quadro teorico che agli esercizi pratici, per poi dare una valutazione complessiva della UdL 12 b) le osservazioni critiche hanno riguardato in particolare il linguaggio, ritenuto:• in alcuni casi elevato;• in altri “vecchio”, in merito soprattutto a certe canzoni e/o relativi autori;c) di conseguenza i suggerimenti emersi sono stati soprattutto quelli di inserire:• generi musicali più adatti ai giovani (rock, rap, pop…), anche in altre lingue;• film e documentari sui contenuti delle UdL;• più esercizi di laboratorio in grado di coinvolgere l’intera classe.A seguito del quadro valutativo e delle osservazioni/sollecitazioni ricevute, etenendo conto che nessuno ha contestato l’impianto complessivo del lavoro nellasua distribuzione per aree e relative UdL, nel preparare il report definitivo:– un primo intervento è consistito nel correggere, ripulire, spostare i contenutiteorici a seconda dei suggerimenti dati;– successivamente si è cercato di andare alla ricerca di nuovo materiale da inse-rire (film, documentari, testi, canzoni, …) ritenuto più vicino al linguaggio deigiovani; tutto questo ha portato poi a scomporre la ii parte (il “Laboratorio”)tra “esercizi” pratici e “Piste di ricerca-approfondimento”.A questo punto è necessario far presente ai docenti/operatori:– non è affatto scontato che, anche dopo le modifiche apportate, il linguaggio ri-sponda a quello preferito dai giovani, per cui suggeriamo che la tematica di cuiè composta ciascuna UdL venga considerata soprattutto come pista per orien-tare la ricerca verso altro materiale più rispondente alle loro esigenze, grazie alcontributo che essi possono dare;– questo far leva sul contributo del gruppo/classe può riguardare in particolare lecanzoni: quelle inserite nel testo sono state scelte essenzialmente sulla base deicontenuti che esprimono, per cui anche se ritenute “vecchie” o non piacciono,possono benissimo essere sostituite da quelle suggerite dai giovani (pure inaltre lingue), purché in qualche modo si tenga conto della coerenza con i con-tenuti della tematica trattata di volta in volta.Per finire, il docente/operatore, nel prendere in considerazione questo Labora-torio partirà ovviamente dal chiedersi “quanto sia spendibile” all’interno della pro-pria disciplina. su una scala 1-10; in un secondo momento l’insegnante aveva il compito di raccogliere tutte le valuta-zioni date dalla classe per compilare a sua volta una scheda che richiedeva di sintetizzare i suggeri-menti e le proposte degli allievi, per passare quindi ad una valutazione definitiva della UdL sperimen-tata, sempre su scala 1-10. Questo sistema ha dato come risultato finale le seguenti valutazioni:– hanno ottenuto voto “8” le UdL nn. 1 (in tre classi), 5, 7, 8, 9, 19;– hanno ottenuto voto “7” le UdL nn. 2, 5, 8, 10;– hanno ottenuto voto “6” le UdL nn. 2, 5, 6, 11, 14, 19;– hanno ottenuto voto “5” le UdL nn.1, 16. 13 1. L’impianto del lavoro permette di prendere separatamente ciascuna area o leUdL, così da poterle “spendere” anche in altre discipline, oltre alla cultura ge-nerale.2. inoltre, anche le singole parti/componenti delle UdL possono essere utilizzatecome “cassetta degli attrezzi” che permette ad operatori/educatori di varie altrestrutture formative e di animazione (centri di orientamento, comunità, centri diaccoglienza per minori, oratori, campi scuola, …) di prendere separatamentequel che serve loro (contenuti teorici, esercizi di laboratorio, test, frasi, canzoniper riflettere, …) per utilizzarlo nella propria attività. 3. e, comunque, va fatto presente una volta per tutte che la vera “spendibilità” diquesto materiale sta essenzialmente nella personalità di docenti/operatori/edu-catori … che si caratterizzano per la loro apertura mentale a “guardare nel fu-turo” e, in particolare, per essere un pizzico “provocatori”, quel tanto che bastaper promuovere/generare effetti innovativi sia a livello personale, che digruppo/classe e di società in cammino verso Cosmopolis. BUon LAVoro! 15 i AreaIDENTITÀ 17 SCENARIO - Il “COMPITO” dell’identità La ricerca dell’identità è una questione primaria per la costruzione di una per-sonalità matura, in grado cioè di assumere le proprie responsabilità nel rapportocon se stesso e con gli altri, nella vita privata e nelle relazioni sociali.oggi, tuttavia, le aumentate opportunità di mobilità sociale, il pluralismo cul-turale, i processi di globalizzazione … rendono sempre più difficile e frammentariala ricerca di un’identità.A questo punto il problema sta nell’imbarazzo della scelta: nel supermarketdei modelli di identificazione, quali sono validi e quali selezionare per la costru-zione della propria identità?L’identità diventa così una questione di “ordinamento” delle cose: ricerca diconnessioni, assemblaggi, assimilazioni, come se sitrattasse di un puzzle da comporre.in questo senso l’identità si presenta come un qual-cosa che va costantemente re-inventato, ri-aggiustato,ri-definito.rimane comunque un compito primario dell’uomoarrivare a costruire una propria identità, per la conquistadi quell’equilibrio che fa di lui “persona” e “cittadino”. “La vita è come un foglio bianco sul quale disegniamo senza usare la gomma”(Anonimo) “Nessuno viene al mondo per sua scelta, non èquestione di buona volontà Non per meriti si nasce e non per colpa, non è unpeccato che poi si sconterà Combatte ognuno come ne è capace Chi cerca nel suo cuore non si sbaglia Hai voglia a dire che si vuole pace, noi stessi siamo ilcampo di battaglia La vita è un dono legato a un respiro Dovrebbe ringraziare chi si sente vivo Ogni emozione che ancora ci sorprende, l’amoresempre diverso che la ragione non comprende Il bene che colpisce come il male, persino quello chefa più soffrire È un dono che si deve accettare, condividere poirestituire Tutto ciò che vale veramente che toglie il sonno e dàfelicità Si impara presto che non costa niente, non si puòvendere né mai si comprerà E se faremo un giorno l’inventario sapremo che pernoi non c’è mai fine Siamo l’immenso ma pure il suo contrario, il vizioassurdo e l’ideale più sublime La vita è un dono legato a un respiro Dovrebbe ringraziare chi si sente vivo Ogni emozione, ogni cosa è grazia, l’amore semprediverso che in tutto l’universo spazia e dopo un viaggio che sembra senza senso arriva finoa noi L’amore che anche questa sera, dopo una vita intera,è con me, credimi, è con me”.(“La vita è un dono” - r. Zero) 18 Testo di riferimento: pp. 85-113 Altri testi BAUmAn Z., Modernità liquida, Bari, Laterza, 2000.BAUmAn Z., Intervista sull’identità, a cura di V. Vecchi, Bari, Laterza, iX ed., 2009.BeSoZZi e. - CoLomBo m. - SAntAGAti m., Giovani stranieri, nuovi cittadini. Le strategie di una ge-nerazione ponte, milano, Angeli, 2009.CAStiGLione B. - HArriSon G. - PAGLiArAni L., Identità in formazione. Riflessioni antropologiche egruppo analitiche per una definizione transculturale del rapporto tra identità e alterità, Padova,CLeUB, 1999.CHioSSo G., Educare alla cittadinanza tra virtù civiche e formazione del carattere, in CASeLLi L., Lascuola bene di tutti, Bologna, il mulino, 2009, pp. 51-82.FUCeCCHi A. - nAnni A., Identità plurali. Un viaggio alla scoperta dell’Io che cambia, Bologna, emi,2004.LAZZAri F., Per un’identità creativa del con-vivere, in De VitA r. - Berti F. - nASi L. (a cura di),Identità multiculturale e multireligiosa. La costruzione di una cittadinanza pluralistica, milano,Angeli, 2004, pp. 90-100.mAALoUF A., L’identità, milano, Bompiani, ii ed., 2007.remotti F., Contro l’identità, roma-Bari, Laterza, 1996.SALerno m. - rimoLi F. (a cura di), Dichiarazione universale dei diritti umani. Articolo 1. Cittadi-nanza. Identità e diritti. Il problema dell’altro nella città cosmopolita, macerata, eUm, 2008.SAntoS Fermino A., Identità trans-culturali. Insieme nello spazio transizionale, tirrenia (Pi), ed. DelCerro, 2008. 19 COS’È L’IDENTITÀ? È l’insieme delle rappresentazioni che ognuno ha di se stesso, e che sostanzial-mente fanno capo al seguente interrogativo: “CHI SONO IO?”A loro volta le rappresentazioni che uno ha di se stesso contengono una seriedi caratteristiche proprie che ci rendono unici, diversi dagli altri, e che riguardano:– la continuità del sé nel tempo;– la coerenza nella strutturazione del sé;– l’unicità, per sentirsi originali;– la positività, per sentirsi validi (anch’io valgo). Identikit! Voglio un identikit, sì! Identikit! Identikit! Voglio un identikit, sì! Identikit! Ma che giorno è… Quanti anni ho… Sono sveglio, oppure no?! Questa faccia, qui… Questo corpo, mio… Ma è sicuro, che sia, io!? Io, voglio un identikit! Identikit! Carta e matita, presto! Io sono qui… Qui! voglio un identikit! Identikit! Presto, o la mia immagine, si perderà così… ….Il mondo, annulla, la tua vera identità! Tu, muori ogni giorno, un po’… Angelo, perduto, tra la folla di un metrò! Identikit! Identikit! La sincerità, Prima mia virtù… Forse adesso, è falsità… Chi sei! Chi sei? Anima, lo sai, Un padrone, avrai, T’ho venduta, a chissà, chi… Io, Voglio un identikit! Identikit! Un foglio bianco, presto, Io sono, qui! Qui, Ed io riinventerò… Senza ipocrisia, Una faccia autentica è la mia! Identikit! Identikit! Identikit! Identikit! “AIUTO! NON SO CHI SONO …” Canzone per riflettere - “IO UGUALE IO” (r. Zero) UdL n. 1 - “IO-IDENTITÀ” i parte - QUADRO TEORICO 20 in sostanza l’identità può essere paragonata come al nucleo centrale di unatomo, da cui scaturisce quell’energia che “muove il sole e le altre stelle”, cosìcome la “persona” nel suo complesso. L’IDENTITÀ È “UNA” SOLA? Siamo individui “unici”, ma inseriti in una “rete” di relazioni primarie (fami-glia, amici, gruppo dei pari…). inoltre facciamo capo ad una serie di aree concen-triche di appartenenze a sempre più vasto raggio: in quanto cittadini di un Comune,di una nazione (esempio, l’italia), di enti sovranazionali (esempio, l’europa),come membri di una cultura, di una religione …in questo senso l’identità va intesa perciò come un “ponte”, in quanto permettedi unire elementi talora “contrapposti” nel confronto tra il “chi sono Io?” conl’“Io” di “6 miliardi di altri”3. Canzone per “imparare a volare” - OFFICINE CREATIVE4Officine creative siamo noi,Officine creative tu lo sai,Vogliamo stringere la vita al più prestoVogliamo tutto il meglio sì, ma senza il resto.Sogni che noi vediamo realizzabili,Sogni che a voi paiono inspiegabili,Dividerli con la ragazza che ti prende,E poi dovere fare i conti con chi si arrende.Sì, che si può, cambiareNo, che non si può aspettareSì, che si può, comprendersiMa, non si può arrendersi. Officine creative siamo noi,Officine creative tu lo sai,La nostra città diventa stretta,La voglia di conoscere va di fretta.Sfidare noi stessi intensamente,Sfidarsi in un free-climblig ascendente,Cercare il … consenso di occhi blu,Che sfuggono ma invece ti cercano.Sì, che si può, respirareNo, che non si può soffocare,Sì, che si può, morire …Ma solamente dentro al sogno 3 È il titolo di un’esposizione fotografico-documentaria sul significato della propria vita di citta-dini appartenenti a differenti regioni geografiche, culture e religioni del mondo, allestita a roma,presso i mercati di traiano, nel 2010. Questo stesso titolo verrà richiamato più avanti anche in altreUdL, anche se c’è chi sostiene che a partire da ottobre 2011 gli abitanti della terra sono arrivati a 7miliardi.4 Alunni dell’istituto comprensivo “D. Pegoraro” di Solesino, iii media. in www.civil life musiccontest 2010/11 “cittadinanza in musica”. 21 in questo “mare - umano - in - mobilità” l’identità, quindi, viene man mano acostruirsi attraverso un processo di ricerca, assemblaggi, assimilazioni, accultura-zioni varie, che a loro volta comportano un permanente ri-aggiustamento/ri-defini-zione del “chi sono Io?”: Chi sono io in rapporto a me?Chi sono io fuori di me?Chi sono io in rapporto agli altri?Chi sono gli altri in rapporto a me?L’identità, infatti, si costruisce sulla differenza: gli altri con le loro influenze,suggestioni, valutazioni incidono, inevitabilmente, sulla costruzione della propriaidentità. ne consegue che l’identità va vista come un “puzzle” in costruzione. Si ha ache fare cioè con un’identità “stratificata”, a foglie di cipolla. È così che la sua co-struzione diviene una vera e propria “sfida” con se stessi, per sentirsi realizzati. L’IDENTITÀ È UNA “PER SEMPRE”? L’identità non è una “polizza a vita”. il processo di identità prende avvio findalla nascita, ma subisce cambiamenti parallelamente alla crescita e contestual-mente allo stile di vita adottato: in una società in permanente trasformazione (gene-tica, culturale, tecnologica, virtuale, …) anche lo stile di vita cambia. i consumi le-gati al benessere economico, all’uso del tempo libero, le “sirene” della pubblicità edelle mode, … richiedono un permanente adattamento ai processi evolutivi in atto,con “effetto-rispecchiamento” sull’immagine che uno ha o vorrebbe avere di sé,contribuendo in tal modo a trasformare, conseguentemente e parallelamente, l’in-terrogativo-base del “CHI SONO IO?”. L’IDENTITÀ PUÒ ESSERE ANCHE UN “RISCHIO”? nel supermarket delle offerte identificatorie l’identità rappresenta una dimen-sione della personalità talora ambigua/ambivalente, che può appartenere a posizionicontrapposte, che vanno:– dall’erezione di “confini” (tra io e tu, tra noi e voi, …);– fino a veri e propri conflitti (tra culture, etnie, religioni di appartenenza, ...).in questo senso, avverte Bauman5, può diventare un “rischio” quando si ha ache fare con una identità: 5 BAUmAn Z., Intervista sull’identità, Bari, Laterza, 2009, p. 87 ss. 22 – “liquida” (dove le forme, fluttuando, sono soggette a continue trasformazioni);– “di plastica” (stile usa e getta);– “ombelico del mondo” (noi-etnocentrica);– “virtuale” (inserita in comunità di “navigatori-dei-non-luoghi” - facebook,twitter, youtube, …);– “intossicata” (dai veleni del pensiero unico, fondamentalista);– “armata” (come pulizia etnica, al punto che di sola identità si può anche mo-rire, …). L’IDENTITÀ CORPOREA La bellezza, l’altezza, la muscolatura, il sentirsi bene e in buona salute, la bra-vura fisica, adornarsi di tatuaggi e piercing, adottare un certo stile di abbigliamentoe/o di acconciatura dei capelli … insomma sapere di essere un “figurino” fa partedi un certo modo di “apparire” al quale un po’ tutti, ma in particolare coloro cheoggi si trovano nel pieno dello sviluppo psico-fisico, danno particolare importanzae attenzione. il mettersi a confronto con gli altri grazie alle proprie caratteristiche fisiche(bellezza, altezza, agilità, forza, …), avere un “fisico bestiale”, unitamente ad altreabilità, in particolare nel campo ludico-sportivo ed artistico-espressivo (musica,ballo, …), rappresenta perciò la somma di tutte le rappresentazioni che una per-sona attribuisce al proprio corpo, quale condizione per la costruzione dell’auto-stima corporea.L’identità corporea è data, infatti, dall’insieme di elementi, conoscenze, qualitàche l’individuo attribuisce al proprio corpo e che hanno una connotazione affettiva;come tale è a tutti gli effetti una componente di quell’identità personale che l’indi-viduo viene gradualmente a costruirsi a partire dall’infanzia, e che non ha una con-figurazione definitiva, in quanto è soggetta alle continue rielaborazioni dovute siaalle trasformazioni fisiche che al mutare dei quadri di riferimento affettivo e cogni-tivo.in un’indagine su giovani di origine migratoria6 si è visto che sono proprio iparticolari tratti somatici a facilitare il processo di integrazione di questi giovaninella società italiana, grazie ad uno stretto legame tra un’identità corporea e l’ac-quisizione di certi tratti di personalità (autostima, autoefficacia, autonomia di pen-siero…):– per quanto riguarda il mio aspetto fisico vivo tranquillamente la differenza,non mi mette a disagio sapere di appartenere ad un gruppo etnico; 6 SAntoS Fermino A., Identità trans-culturali. Insieme nello spazio transizionale, tirrenia (Pi),ed. Del Cerro, 2008, pp. 136-139. 23 – non noto più differenze tra me e loro, ora vivo qui e le mie usanze sono quelledi qui;– ho il colore della pelle diverso, tuttavia sono molto orgoglioso della mia pelle,perché è attraente; – mi piace come sono fatto, quando mi guardo allo specchio mi piace quello chevedo;– del mio aspetto fisico non cambierei nulla, mi accetto così come sono;– riesco bene nella maggior parte degli sport;– mi sento a posto indipendentemente dal modo in cui mi vesto, i vestiti fannobella figura su di me. “QUESTA È LA STORIA DI OGNUNO DI NOI …” “VOGLIO” (Finley) Che giornata splendida salto, rido, scherzo ma non è la primavera che mi da quest’euforia è grazie a delle semplici persone inimitabili ci sono dei momenti in cui cammino a un metro dall’asfalto E per fermare quelle lancette io non so cosa darei Voglio che questo non finisca mai per niente al mondo io vi cambierei voglio che tutto rimanga così mi sento a casa e non voglio andar via da qui ….Non voglio pensare che possa finire mi voglio tuffare senza alcun timore non voglio pensare che possa finire mi voglio tuffare senza alcun timore!!! …Mi sento a casa e non voglio andar via da qui — & — Cfr. sul CD: UdL n. 1 - LABORATORIO: Esercizi nn. 1-4 24 Cfr. sul CD: UdL n. 1 - LABORATORIO: Esercizi nn. 1-4 25 COSA SIGNIFICA ESSERE “PERSONA”? Significa aggiungere al “chi sono Io?”, una serie di altri interrogativi, quali: Da dove vengo, qual è la mia storia?Dove mi trovo ora?Dove sto andando?Quali sono le esperienze che mi fanno crescere? il periodo che va dall’adolescenza alla giovinezza viene anche definito “età dipassaggio” in quanto è soggetto ad una serie di cambiamenti che portano l’indi-viduo ad assumere progressivamente una propria “personalità”, a diventare “qual-cuno”, a passare da adolescente a “persona”.tali cambiamenti riguardano, in particolare:– il corpo (la crescita fisiologica);– la maturità sessuale (e con essa gli affetti, le emozioni, i sentimenti, …);– la mente (l’acquisizione del pensiero astratto);– la progressiva separazione dalla famiglia (il cosiddetto processo di “desatelliz-zazione”, per la conquista dell’autonomia, …);– le relazioni esterne alla famiglia (le amicizie, l’appartenenza ad un gruppo,all’“altra” famiglia, …);– il sapere (l’acquisizione di competenze);– il saper fare (l’acquisizione di abilità);– lo stato sociale (il progressivo inserimento nella vita sociale per l’assunzionedi determinati ruoli e compiti: studente, lavoratore, coniuge, genitore, …). UdL n. 2 - “IO-PERSONA” i parte - QUADRO TEORICO 26 tuttavia questi cambiamenti, affinché possano risultare funzionali all’acquisi-zione di una propria “personalità”, sono soggetti a loro volta ad una serie di cosid-detti “compiti di sviluppo”, tipici di questa età di passaggio e che richiedono di ac-quisire, in particolare, un proprio ruolo7: ALCUNE PAROLE-CHIAVE PER LA COSTRUZIONE DI UNA PERSONALITÀ “MATURA” Qui di seguito vengono riportate (in ordine alfabetico) alcune parole-chiaveche meglio servono a definire la personalità di un giovane grazie alla progressivamessa in atto dei compiti di sviluppo, tipici di questa età evolutiva. ASCOLTO (capacità di …)Per assumere una posizione di ascolto nel confronto/dialogo con l’altro, oc-corre fare attenzione a: Canzone per riflettere - “SULLA MIA STRADA” (Ligabue) C’è chi mi vuole come vuole un po’ più santo più criminale e un po’ più nuovo un po’ più uguale mi vuole come vuole c’è chi mi vuole per cliente chi non mi vuole mai per niente e c’è chi vuole le mie scuse che ciò che sono l’ha offeso di un po’: te come ti vogliono? di un po’ tu come ti vuoi? tu come ti vuoi? sono vivo abbastanza sono vivo abbastanza per di qua comunque vada sempre sulla mia strada c’è chi mi vuole più me stesso e più profondo, più maledetto e bravo padre e bravo a letto c’è chi mi vuole perfetto di un po’: te come ti vogliono? di un po’ tu come ti vuoi? tu come ti vuoi? sono vivo abbastanza sono vivo abbastanza 7 Cfr. PALmonAri A., Psicologia dell’adolescenza, Bologna, il mulino, 1993, p. 69. a) maschile o femminile b) Sessuale c) Attivo e occupazionale d) Politico e) etico - Accettare il proprio corpo ed usarlo in modo efficace- Acquisire un ruolo sociale maschile o femminile- istaurare relazioni nuove e più mature con coetanei di entrambi i sessi- Prepararsi al matrimonio e alla vita familiare- Conseguire indipendenza emotiva dai genitori- raggiungere la sicurezza dell’indipendenza economica- Acquisire un comportamento socialmente responsabile- orientarsi, prepararsi ad una professione lavorativa- Sviluppare competenze intellettuali in qualità di cittadino responsabiledella vita civile a livello locale, nazionale e internazionale- Acquisire un sistema di valori ed una coscienza etica come guida del com-portamento 27 – sospendere ogni giudizio/pre-giudizio;– concentrare l’interesse su chi sta di fronte;– riflettere sui contenuti espressi dall’altro;– resistere alle distrazioni;– aspettare il momento giusto per rispondere;– saper trovare risposte adeguate, evitando banalità e falsi conformismi;– saper esprimere empatia (“percepire” l’altro al di là delle parole e degli atteg-giamenti personali).in un rapporto di dialogo/confronto con l’“altro-da-me” la giusta posizione daassumere richiede perciò di partire dal chiedersi:– Come mi dovrei comportare per far capire a una persona che la sto ascol-tando?– Quando ascolto, metto fretta a chi parla?– Pretendo di capire e di rispondere subito?– Interrompo chi mi sta esponendo le proprie idee?– Quando una persona mi parla, sono distratto?Penso a qualcos’altro? “Dio ci ha dato due orecchie, ma soltanto una bocca, proprio per ascoltare il doppioe parlare la metà” (epitteto) AUTONOMIA (di pensiero, di giudizio, …)L’autonomia di pensiero è un’abilità che si sviluppa grazie alla capacità di de-centramento, di equilibrio emotivo, di attenzione alla diversità e/o alla ricerca dialtri punti di vista.in questo senso l’assertività rappresenta una caratteristica di chi cerca di realiz-zare se stesso, facendo valere le proprie doti e idee, evitando però di assolutizzarleassumendo un atteggiamento flessibile al dialogo e al confronto.Al tempo stesso si può dire che una persona possiede autonomia di giudizioquando ha attivamente elaborato un proprio punto di vista su una determinatarealtà, poiché è solo attraverso il confronto tra pari che è possibile far scaturireforme più ampie e decentrate di conoscenza, al fine di passare poi a formularne ungiudizio critico. “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtude e conoscenza” (Dante) AUTOSTIMA (anch’io valgo …)“L’autostima è l’insieme di percezioni, sentimenti, opinioni che ognuno ha neiconfronti di se stesso. L’autostima quindi è l’espressione di sé, è amare se stessi perciò che si è; e amare se stessi a sua volta significa sapersi accettare per quello chesi è. Autostimarsi richiede di conseguenza di avere fiducia in se stessi, nelle propriepotenzialità e limiti, è l’elemento basilare che conduce ad investire tempo edenergie per l’autorealizzazione. Queste valutazioni di sé si formano già dalla prima infanzia, si costruiscono sia 28 in base a come l’individuo viene visto e trattato dagli altri, sia in base alla perce-zione che l’individuo ha di se stesso e della persona ideale che vorrebbe essere, e sisviluppano e si modificano poi per tutto il resto della vita, alla stregua di un mo-saico che gradualmente prende forma, in base alle risposte che si ricevono daglialtri.È importante quindi essere consapevoli del fatto che la stima che abbiamo dinoi stessi influenza in modo determinante il nostro comportamento, le relazioni so-ciali, la vita affettiva, le competenze professionali, in pratica la costruzione di unsistema sotteso alla realizzazione di sé. L’autostima viene così ad essere il risultatodel confronto tra successi concretamente ottenuti e corrispondenti aspettative”8. “L’uomo è per se stesso la più difficile delle scoperte” (nietzsche)“Stupisci chi non crede in te” (anonimo) CONCETTO DI SÉ (“Io sono …”)il “concetto che uno ha di sé” dipende da tutta una serie di rinforzi positivi/ne-gativi provenienti dal contesto circostante. Quanto più questo processo di autovalu-tazione è positivo tanto più contribuisce a sviluppare quell’autostima che a suavolta ha una ricaduta diretta sulla capacità della persona di rendersi autonoma e re-sponsabile verso se stessa e gli altri.il concetto di sé e l’autostima si sviluppano quindi attraverso un continuum direciproca interazione tra l’individuo e l’ambiente circostante. tra questi due ele-menti si stabilisce un processo e una condizione costante di reciprocità: l’individuoagisce sull’ambiente e l’ambiente a sua volta sull’individuo, in rapporto di interdi-pendenza9. Canzone per riflettere - “SVEGLIATI” (r. Zero)Svegliati, Fai sentire che esisti, Che non sei Un orgasmo di più … Svegliati, Non lasciarti imbrogliare! Tentano, di cambiare i tuoi piani … Filtrano, Le ambizioni che hai. Ti drogano, Svegliati, Dai respiro ai pensieri! Sforzati, Di cambiare anche tu … Prova un po’, a riscoprire le stelle … A sentirti dentro alla tua pelle, Prova un po’ a contare fino a mille!!! Svegliati, Svegliati … fai sentire che esisti!!! Credo in te, Come credo al domani … Credo che una strada ci sia … Svegliati!!! Svegliati!!! 8 SAntoS Fermino A., o.c., p. 127.9 SAntoS Fermino A., o.c., pp. 129-130. 29 DECENTRAMENTO (capacità di …)La capacità di saper assumere punti di vista diversi dal proprio (a livello psico-logico, culturale, sociale,…) si sviluppa parallelamente a quella di sapersi “distan-ziare” dal proprio schema mentale per prendere coscienza che la realtà è com-plessa, ha una molteplicità di punti di vista.tutto questo chiama in causa il rifiuto della superficialità e della semplifica-zione del proprio punto di vista, per assumere congiuntamente un atteggiamento diapertura al confronto e di ricerca che porta ad uscire dalla gabbia dell’io-centrismo. DIVERSITÀ (riconoscere la …)il riconoscere la diversità come valore implica il superamento dell’io-cen-trismo per acquisire la capacità di de-centrarsi in rapporto all’altro e alla sua “di-versità”.Questo spostamento dell’asse percettivo dà origine a sua volta all’orienta-mento e/o all’apertura verso tutto ciò che è “altro-da-me”. Come tale, comporta unasfida aperta a scoprire la complessità dell’uomo, che a sua volta richiama alla pro-mozione della ricerca attraverso il dialogo ed il confronto, per ricavarne semprenuovi significati ed esperienze che arricchiscono entrambi gli attori della relazione. EMOZIONICostituiscono vere e proprie modalità reattive di comunicazione che permet-tono di conoscere meglio se stessi e gli altri. È questo il motivo per cui è estrema-mente importante saperle esprimere e interpretare, per poter star bene con se stessie con gli altri.Uno dei compiti di sviluppo è allora quello di prendere coscienza dei propristati d’animo per poi essere in grado di esprimerli costruttivamente e comunicarliagli altri, come occasione per conoscere meglio se stessi e quale presupposto per losviluppo delle abilità socio-affettive. 10 Alunni della Scuola Secondaria di i grado di Grignano Polesine-rovigo, iii media. inwww.civil life music contest 2010/11 “cittadinanza in musica”. Canzone per riflettere - GIOVANI D’OGGI10Una strada verso il futuroDa prendere senza pauraCon forza e coraggio che servirà nel viaggioNoi giovani d’oggi siamo come fioriSbocciamo di notteE ci rinchiudiamo nelle paure del giorno.Musica è emozioneMusica è comunicazioneUn linguaggio universaleUsato bene fin che valeLasciamo vivere le personeCon la loro voglia di una canzone. Abbiamo voglia di rischiare …Oltrepassare il limite …Fare quello che ci pare, non seguire mai le regole!Siamo fatti così, nessuno ci può cambiare.È diventando grandi che si impara a volare.Musica è emozione …Ricerchiamo la nostra vera identitàNell’attesa di conquistare un po’ di felicitàUn pezzo di cielo ci vogliamo ritagliareE come stelle desideriamo brillare!Musica è emozione … 30 GRUPPO DI AMICI/GRUPPO DEI PARIL’amicizia e il gruppo dei pari costituiscono la platea reale della rappresenta-zione di sé dell’adolescente. È soprattutto in questa fascia d’età che l’amiciziaviene ad assumere un’importanza determinante nella costruzione dell’identità dalmomento che entra a far parte, viene introiettata e “coltivata”, in quanto nucleocentrale del sé. in questo stadio dello sviluppo l’amicizia rappresenta, perciò, unelemento costitutivo del contesto da cui il sé trae significato, motivo per cui siviene a creare uno stretto legame di interdipendenza, una specie di utero sociale, di“santa alleanza” tra impegno nell’amicizia e crescita del sé. Lo stare o il fare insieme agli amici costituisce di conseguenza un vero e proprio“spazio transizionale” dove è possibile sperimentare concretamente quell’incontro-confronto con l’io dell’Altro e con quella “diversità” che servirà poi a preparare e adaffrontare meglio i successivi passaggi nell’inserimento nella vita adulta11. È di primaria importanza quindi verificare costantemente “se” e fino a che pun-to il proprio gruppo di amici è un sostegno per andare alla scoperta del mondo ester-no e per percorrere assieme itinerari formativi in preparazione della vita adulta. NON VIOLENZA (atteggiamento verso …)non significa lasciar fare e subire passivamente l’imposizione di altri, ma piut-tosto è la condizione per una positiva convivenza con gli altri “rivendicando” ipropri diritti umani.Gandhi ha rivoluzionato l’india partendo dal principio che i colonizzatori in-glesi non erano semplicemente degli “oppressori”, quanto piuttosto essi stessi degli“oppressi”, in quanto “malati di una forma patologica di civiltà”.La vera sfida sta perciò nell’imparare a trovare risposte alternative a quelleviolente controllando la propria impulsività. “Fa più rumore un albero che cade, che una foresta che cresce” (Anonimo) RESILIENZA in quanto fattore protettivo di personalità, manifesta la capacità che ha una per-sona di fare appello alle proprie risorse interiori per reagire ad un problema o ad unasituazione sfavorevole. Questa “forza d’animo” appartiene ad una dimensione eticache si sviluppa nel corso della vita assumendo caratteristiche, quali la capacità di:– esaminare criticamente se stessi;– mantenersi ad una giusta distanza emozionale dal problema;– darsi degli scopi/obiettivi per risolvere il problema;– saper cogliere anche gli aspetti positivi che possono esserci in una situazioneproblematica. 11 SAntoS Fermino A., o.c., p. 123. 31 Queste disposizioni d’animo fanno anch’esse parte dei compiti di sviluppo dichi in particolare si sta gradualmente introducendo nella vita sociale e attiva e tro-vano il loro fondamento in una personalità dotata di autostima, di autoefficacia esenso della vita. Per cui, per verificare come uno si comporta, di fronte ad unevento sfavorevole occorre partire dal chiedersi:– Che reazioni metto in atto?– Dispongo di risorse interiori per affrontare il problema? Quali? Di che tipo? – Su chi/quali persone posso fare affidamento? “Impara a sopravvivere alle sconfitte; è in quel momento che si forma il carattere” (Anonimo) “Ottimismo non è soltanto guardare al di là della situazione presente, ma è la forza di ‘sperare’quando gli altri si rassegnano, la forza di tenere alta la testa quando sembra che tutto fallisca …,una forza che non lascia mai il futuro agli avversari, il futuro lo rivendica a sé!” (Bonhoeffer) “Cadi setto volte, rialzati otto” (Proverbio giapponese) “Quando perdi, non perdere la lezione” (tantra nepalese) “I forti fanno ciò che devono fare, i deboli accettano ciò che devono accettare” (tucidite) “Il vincitore è semplicemente un sognatore che non ha mai mollato” (Anonimo) RESPONSABILITÀ (assunzione di …)Significa assumere un comportamento coerente tra vissuto ideale e vita attiva.Ad acquisire il “senso di responsabilità” contribuiscono perciò vari fattori di ordinemorale (valori), cognitivo (pensiero critico) e processuale (autonomia decisionale).Contestualmente è determinante arrivare a prendere coscienza dell’influenzaesercitata da “altri significativi” (amici, familiari, mass-media, …) sui propri com-portamenti, per poter poi valutare a quali modelli di riferimento più o meno validisi fa riferimento per l’apprendimento delle abilità pro-sociali. “Ricorda le 3 ‘R’: rispetto per te stesso; rispetto verso gli altri; responsabilità per tutte le tue azioni” (tantra nepalese) Canzone per riflettere - “IL GIORNO DI DOLORE CHE UNO HA” (Ligabue)Quando tutte le parole sai che non ti servon più quando sudi il tuo coraggio per non startene laggiù quando tiri in mezzo Dio o il destino o chissà che che nessuno se lo spiega perché sia successo a te quando tira un po’ di vento che ci si rialza un po’ e la vita è un po’ più forte del tuo dirle “grazie no” quando sembra tutto fermo la tua ruota girerà. Sopra il giorno di dolore che uno ha. Tu tu tu tu tu tu ... Quando indietro non si torna quando l’hai capito che che la vita non è giusta come la vorresti te quando farsi una ragione vorrà dire vivere te l’han detto tutti quanti che per loro è facile quando batte un po’ di sole dove ci contavi un po’ e la vita è un po’ più forte del tuo dirle “ancora no” quando la ferita brucia la tua pelle si farà. Sopra il giorno di dolore che uno ha. Tu tu tu tu tu tu tu tu tu ... Cfr. sul CD: UdL n. 2 - LABORATORIO: Esercizi nn. 5-8 32 Perché viviamo?La vita ha un senso?Cos’è che dà senso alla vita? risposta: la vita ha senso quando è impostata su un progetto finalizzato allarealizzazione di sé.ma per la realizzazione di questo progetto abbiamo a disposizione SOLO “1tempo”, non c’è un 2° tempo, tantomeno tempi supplementari! Ci han concesso solo una vita Soddisfatti o no, qua non rimborsano mai …(“Non è tempo per noi” - Ligabue) il tempo, quindi, e l’uso che se ne fa, diventa il “binario” (inizio-fine) su cuiscorre il nostro progetto di vita. Canzone per riflettere - “MANI IN ALTO” (Jovanotti) Il tempo scappa il vecchio lo insegue il vecchio scappa il bimbo lo insegue il bimbo scappa il tempo lo insegue il tempo scappa e l’ombra lo insegue e l’ombra scappa e il solo l’insegue il sole scappa il mondo l’insegue il mondo scappa la luna l’insegue la luna scappa il poeta l’insegue il poeta scappa la morte l’insegue la morte scappa l’amore l’insegue UdL n. 3 - “IO-PROGETTO di VITA” i parte - QUADRO TEORICO 33 SIGNORE & SIGNORI: IL “TEMPO”! C’è tempo e tempo …a) C’è un tempo “conteggiato” (in anni, giorni, ore,millesimi di secondo, record, tempo massimo,time-out, play time, …) ...tempo tutto il tempo lì a tenere il tempo…(“Nel tempo” - Ligabue) b) C’è un tempo scandito in “periodi/epoche” (tempo di pace/tempo di guerra,tempi antichi/moderni, tempo fa, era il tempo delle …, è giunto il tempo …, altempo di …, è tempo di …). “Anche un orologio fermo segna l’ora giusta due volte al giorno!” (H. Hesse”) c) C’è il tempo “meteorologico” (che tempo fa, bel tempo/brutto tempo, …).d) C’è il tempo in musica (ritmo, percussioni, …)e) C’è un tempo suddiviso tra quello “necessario”, per svolgere le principali atti-vità fisiologiche (mangiare, dormire, accudirsi, …); tempo “obbligato”, per as-solvere a quei compiti/ruoli che ognuno ha il dovere di svolgere (studiare, la-vorare, accudire la famiglia, i figli, …); tempo “libero”, rispetto al tempo degliimpegni quotidiani. Testo per riflettere - “IL TEMPO NON ASPETTA NESSUNO” (Anonimo) f) C’è il “tempo presente”: - “l’attimo fuggente”; - “hic et nunc”; - “se non adesso, quando?” Per scoprire il valore di un anno,chiedilo ad uno studente che è stato bocciatoall’esame finale.Per scoprire il valore di un mese, chiedilo ad una madre che ha messo al mondo unbambino troppo presto.Per scoprire il valore di una settimana,chiedilo all’editore di una rivista settimanale.Per scoprire il valore di un’ora,chiedilo agli innamorati che stanno aspettando divedersi.Per scoprire il valore di un minuto, chiedilo a qualcuno che ha appena perso il treno, ilbus o l’aereo.Per scoprire il valore di un secondo, chiedilo a qualcuno che è sopravvissuto a unincidente.Per scoprire il valore di un millisecondo,chiedilo ad un atleta che alle Olimpiadi ha vinto lamedaglia d’argento.Il tempo non aspetta nessuno. Raccogli ogni momento che ti rimane, perché ha ungrande valore”. 34 “Non c’è tempo per trovarlo!” (Anonimo) “Non è vero che abbiamo poco tempo, la verità è che ne perdiamo molto” (Seneca) “Una cosa che non puoi reciclare è il tempo perso!” (Anonimo) “Chi ha tempo non aspetti tempo” (Proverbio) g) ma su tutto & tutti governa … il “tempo della vita”. Dove vai? Cosa fai?Telefona al tuo destinoSe è occupato, sbloccarlo puoi …(“Gente” - r. Zero) in sostanza il tempo è la misura della “progettualità” del nostro sistema di vita.Le diverse interpretazioni a cui è soggetto il tempo confluiscono, infatti, nel daresenso alla propria esistenza, costituiscono dei momenti determinanti per la realizza-zione di sé e per il conseguimento di una superiore qualità della vita, rispetto almodo di vivere il tempo da parte delle altre specie viventi sul pianeta.A questo punto qualcuno potrebbe anche chie-dersi:la percezione del tempo è uguale per tutti e intutte le culture?siamo sicuri che il nostro sia il modo miglioredi vivere il tempo?Dall’altro capo del mondo c’è qualcuno, in-fatti, che contesta il nostro modo occidentale ditrattare/”trattenere” il tempo. Canzone per riflettere - IL PRESENTE (m. Pezzali)La memoria non racconta la veritàSeleziona solamente ciò che le vaFa sembrare sempre più bello il prima del poiUn passato mitico che non torna maiMa il presente, l’unico tempoQuesto istante, questo momentoIl presente, sta succedendoVa goduto, gustato, annusato, mangiatoMa il presente, l’unico tempoQuesto istante, questo momentoIl presente, sta succedendoNon lasciato, perduto, rimpianto, sognato.Il dolore e il freddo si dimenticanoSolo un paio di cicatrici rimangonoI bei ricordi restano avvolti nella magiaDella giovinezza che s’è sfuggita via È adesso.Proprio adesso.Il futuro è un libro ancora da scrivereDi che cosa parli e per quante pagineA nessuno è dato saperlo però vorreiChe questo foglio bianco raccontasse di noiMa il presente, l’unico tempoQuesto istante, questo momentoIl presente, sta succedendoVa goduto, gustato, annusato, mangiatoMa il presente, l’unico tempoQuesto istante, questo momentoIl presente, sta succedendoNon lasciato, perduto, rimpianto, sognato.È adesso.Proprio adesso. 35 “IL TEMPO DEL PAPALAGI”12 “Il papalagi dedica tutte le sue forze e i suoi pensieri a trovare il modo di rendere sempre piùpieno il tempo. Utilizza l’acqua e il fuoco, la tempesta, i lampi del cielo per trattenere il tempo. Co-struisce ruote di ferro per i suoi piedi e dà ali alle sue parole per avere più tempo. E perché tutta questa gran fatica? Cosa fa il papalagi con il suo tempo? Non l’ho mai capito veramente, anche se parla e gesticola come se il Grande Spirito lo avesseinvitato ad un ricevimento”. tornando a noi, in realtà la percezione del tempo nella nostra cultura occiden-tale assume un’importanza determinante soprattutto nel periodo che va dall’adole-scenza alla giovinezza, in quanto contribuisce alla costruzione dell’identità, ossiaha a che fare con un “Io” che mette in gioco le proprie potenzialità, coordinandole. in questa fase di passaggio dall’adolescenza alla giovinezza, infatti, non sitratta semplicemente di percepire il tempo che passa, ma di vedere se e fino a chepunto è “presente” nei soggetti in età evolutiva la percezione del “futuro”, ossia sec’è continuità tra come “si è ora” e come si “vorrebbe essere” in futuro, e se questapercezione è soggetta a “progettazione”.in altri termini, se già durante questa fase di passaggio dall’adolescenza allagiovinezza si è “coscienti” che l’attuale condizione è destinata a cambiare, allora èpossibile supporre che tale coscienza porti a coniugare fin da ora il “tempo-pre-sente” con il proprio “futuro”, progettandolo in modo tale che i successivi cambia-menti di status/ruolo sociale a cui il giovane andrà inevitabilmente incontro (inquanto studente, lavoratore, coniuge, genitore, …) possano realizzarsi secondo leproprie potenzialità e aspirazioni, in quanto persona “matura” e “cittadino onesto”e responsabile verso se stesso e gli altri. 12 “Papalagi” sta per “uomo bianco”. Da tUiAVii Di tiAVeAA, Papalagi, Stampa alternativa, 1990,p. 31. Canzone per riflettere - “BELLA GIOVENTÙ” (r. Zero)Bella gioventù Che si butta via Che non basta mai Bella gioventù Tra illusioni e guai. Bella Imprendibile tu sei quella permissivache perdona e che disarma Sei quell’attimo che va Poca eternità Troppa ingenuità. Bella gioventù Assordante si Da mordere e fuggire Bella da non dire Di te si può morire. 36 tutto questo comporta che:– il “presente” venga proiettato, tramite progettazione, nel “futuro”;– e che l’“Io-attuale” rincorra un “Io-ideale”;– permettendo così la costruzione di un “ponte” tra il “come sono” e il “comevorrei essere”, tra il “chi sono” e il “chi sarò”.in questo senso, “progettarep/programmare” il proprio futuro significa anche“guadagnare” tempo. e gli elementi fondanti di una buona programmazione, sono:– fissare gli obiettivi;– fare i conti con le proprie risorse (materiali, psichiche, morali, …);– suddividere la realizzazione dei propri obiettivi/progetti di vita in tempi abreve, medio e lungo termine;– prevedere momenti di verifiche. Voglio... che ogni attimosia sempre meglio di quello passato …“Voglio Volere” (Ligabue) il fatto stesso di voler strutturare “meglio” il proprio tempo in funzione di unPROGETTO - di - VITA, richiede di fare leva sui seguenti interrogativi: 13 Alunni della Scuola media “A. martini” di Peseggia. in www.civil life music contest 2010/11cittadinanza in musica”. Canzone per riflettere - “IL VIAGGIO DELLA VITA”13All’asilo tutti assieme giocavamo,Alle elementari quanti guai combinavamo!… Poi alle medie tutto cambia:Si guarda avanti, progetti tanti,I primi amori, le prime delusioni,Qualche cavolata … e i professori:- Siete la peggiore classe della scuola -… Ma noi non mollavamo, e sempre uniti siamo!Le scelte fatte un tempo sono giunte a compimentoE se dovremo separarci resteremo sempre uniti.Porteremo emozioni, esperienze accumulateNelle borse e le valige per il viaggio della vita! Tutti assieme con serenità supereremo ogni difficoltà.Siamo come aquiloni, i nostri fili si sono intrecciatiE ci regalano ricordi mai dimenticati.L’amiciziaÈ un quadrifoglio in mezzo ad un prato …Stai sicuro che ti porterà fortuna.Anche in mezzo al temporale,gli aquiloni continuano a volare.E se lacrime cadranno, le nostre ali rinforzeranno.… Ci vogliamo bene! Tre parole durano un istanteMa se dette col cuore durano una vita. “COSA” FARÒ? “CHI” SARÒ?- Doti/ABiLitÀ - iDeALi/SoGni- ConoSCenZe - VALori- ComPetenZe - PenSiero CritiCo- tiPo Di StUDi - Criteri di VALUtAZione- ProFeSSione - AtteGGiAmenti/ComPortAmenti- …. - …SAPER FARE SAPER ESSERE 37 Canzone per riflettere - “IN CERCA DEL FUTURO” (Bennato)Chi va per mare è un uomo fortunato perché sa capire il vento Così chi va in cerca del futuro è un uomo fuori dal suo tempo... ... Ed in ogni nuova idea c’è un po’ di pazzia ... Ed in ogni sogno c’è un po’ di realtà!... Va, e il suo pensiero è una strada e chi per primo la trova e chi lo seguirà... Va, per mondi mai conosciuti in cerca di quelle cose che nessuno ha visto mai... E intorno a noi soltanto un po’ di luce e poi, tutto da capire E le teorie che sembrano sicure chissà, se poi sono vere... ... E chi ha paura e si vuole fermare ... E chi vuole andare sempre un po’ più in là!... Va, sempre più a nord di un’idea sempre più a sud di un amore e ancora un po’ più in là... Va, dove comincia un segreto dove finisce il racconto e dove non si sa!Va, per mondi mai conosciuti in cerca di quelle cose che nessuno ha visto mai nessuno ha visto mai nessuno ha visto mai!... “QUESTA È LA STORIA DI OGNUNO DI NOI …” 38 39 Che sarà che sarà che saràche sarà della mia vita chi lo saso far tutto o forse nienteda domani si vedràe sarà sarà quel che sarà(“Che sarà” - J. Feliciano) “Nella vita la lezione più difficile da imparare, è: quale strada intraprendere per realizzarmi?”(Anonimo) “Fai qualcosa nella vita per cui vale la pena di essere ricordato” (elvis Presley) Cfr. sul CD: UdL n. 3 - LABORATORIO: Esercizi nn. 9-14 40 La mia barca di nome “Speranza” non ha paura, Anche con la tempesta lei scivola via sicura, Di questa vita, che è mia, sono io che sto al timone, Quando sono quassù, del destino sono io il padrone … “Navigare” (r. Zero) UdL n. 4 - “IO SONO...” i parte - RIASSUMENDO Io sono..… PERSONA … … con …… IDENTITÀ … … con …PROGETTO di VITA 41 La costruzione dell’identità, infatti, è una “fabbrica” che non smette mai diprodurre il proprio “SÉ”, cosicché:– più il Sé cresce con l’età– più l’identità aumenta con il moltiplicarsi delle esperienze a cui va incontro lavita nell’ambiente circostante. tutto questo può essere sintetizzato nell’equazione: Carmelo è biondo e ha in bocca un orecchinosi sente già europeo, europeo palermitano…sono siciliano... nord-africano...un po’ norvegese... ma comunque siciliano“Siciliano” (L. Dalla) e se in questo momento è vero che …Io so “chi” sono …… tuttavia non posso sapere ….“CHI” SARÒ nessuno, infatti, può dire oggi “chi sarò/diventerò” domani, dal momento chesaranno le esperienze della vita a condizionare la “crescita” della propria persona-lità: 42 “… pagina bianca del futuro siamo noi …”14 Però ognuno di noi è in grado di progettare fin da oggi “CHI VORREI ES-SERE” domani.Comunque, una cosa è certa: Il tuo futuro sei TU! Si può si può si può, siamo liberi come l’aria si può si può, siamo noi che facciam la storia si può.“Si può” (G. Gaber) in sintesi, la costruzione dell’identità può essere rappresentata secondo questoschema: 14 Frase presa dalla canzone “COME…”, fatta dagli alunni dell’istituto comprensivo “F.lli Som-mariva” di Cerea, iii media. in www.civil life music contest 2010/11 “cittadinanza in musica”. 43 “Tutto il mondo è un palcoscenicoE tutti, uomini e donne, non sono che attori.Hanno le loro entrate e le loro uscite:ciascuno nella sua vita recita diverse parti”(Shakespeare) Canzone per riflettere - “IO SONO NATO” (J. Debruynne)Io sono natoIn un cappello di luna,io sono natoin un galoppo di vento,io sono natocompletamente nudoe senza fortuna,io sono natosul bordo di uno stagno,io sono natodentro una nocciola,io sono natoin un melo d’amore,io sono natoin uno stipetto,io sono natoin un sole in festa.Io sono natoNel ventre delle città,io sono natoentro le mura della periferiaio sono natosenza casa,io sono natosenza fede, né focolare, né domicilio,io sono natonel fango delle risaie,io sono natodall’aria di una canzone,io sono nato figlio d’arte e nel suono,io sono natonelle braccia del fiume.Io sono natoIn un giardino di stelle,io sono natosu un grande cavallo bianco,io sono natoin una barca a vela,io sono natoin un fiore di sangue,io sono natosu un tamburo di guerra,io sono natonel fiore di un fucile,io sono natoin un bicchiere di vino chiaro,io sono natodal ventre della terra.Io sono natoNella disperazione umana,io sono natoda un brandello di speranza,io sono natoda un antico grido di odio,io sono natonei bassi quartieri neri,io sono natodall’amore che mi dà nome,la nascita e la morte,fiore e frutto del mio corpo.Io sono nato UOMO! 44 “QUESTA È LA STORIA DI OGNUNO DI NOI …” 45 46 La vita sarà sempre piena di “poi”… meglio decidere adesso “CHI” vuoi diventare!SE NON ADESSO, QUANDO? Canzone per riflettere - “DA UOMO A UOMO” (r. Zero) Io camminerò, e avrò paura … Ma camminerò, io camminerò … Finché sarà sera! E la mia meta, è distante, Io lo so! La strada dura, sfiancante, Io lo so! Ed incontrerò, la pioggia, il vento, la nebbia … Il cuore sfiderà l’immobilità … Di quei deserti di sabbia! Se voglio vivere, indietro, non guarderò! Affronterò i miei nemici … Li sconfiggerò! E mille altri sentieri … Tenterei! È l’avventura che muove i passi miei! E senza questo coraggio Cosa sarei? Non so! Cfr. sul CD: UdL n. 4 - LABORATORIO: Esercizi nn. 15-16 47 ii AreaALTERITÀ 49 SCENARIO - Per una antropologia della reciprocità15 Cosa esiste prima della relazione dell’“Io” con il “Tu” dell’altro? il nulla!non esiste neppure l’“io”, dal momento che l’“io” per esistere ha bisogno diun “tu” che lo riconosca come “identità diversa”, a se stante; così come il “tu” habisogno, per esistere, di essere riconosciuto dall’“io” come “identità diversa”, a sestante.È nella relazione, dunque, che il “tu” si fa compagno di viaggio dell’“io” nellungo cammino di costruzione dell’identità, poiché permette ad entrambi di sentireche esistono, che sono “qualcuno” per qualcun’altro.Al tempo stesso è sempre attraverso la relazione che è possibile prendere co-scienza del limite oltre il quale non si può andare, e che è costituito dalla “soggetti-vità” dell’altro, ossia da un “tu-soggetto” che non è riducibile ad un oggetto chel’“io” possa possedere. Questo limite va accettato, in quanto fa parte di una “norma” che non è dettatané dall’“io” né dal “tu”, ma dall’asse simmetrico su cui va impostata la relazionestessa, affinché essa possa considerarsi “in equilibrio” nei confronti delle due di-stinte quanto diverse identità.La conseguenza ultima di questo processo sta nel maturare una presa di co-scienza, individuale e collettiva, secondo cui ciascun membro della relazione è por-tato a chiedersi, giorno dopo giorno, non cosa serve al proprio “io”, ma piuttosto:cosa mi serve per stabilire quelle relazioni con il “Tu” che contribuiscono a farcrescere la mia identità. Canzone per riflettere - “UNA TRIBÙ CHE BALLA” (Jovanotti) E te lo dico in faccia ciò che penso di te quello che penso di chi pensa solamente per sé e pensa che col grano puoi comprare la gente cambiargli il pensiero ed annullare la mente la mia generazione forse è senza ideali magari senza palle con gli istinti animali cresciuti a sentire i discorsi dei padri barricati dietro muri in questo mondo di ladrie hanno come idoli denaro e padroni che valutano l’uomo in base a “quanti milioni” milioni di cazzate, miliardi di miliardi e noi saremo scemi ma non siamo bugiardi e te lo dico in faccia, non c’è problema perché sotto i miei piedi il pavimento trema e non è un terremoto, non è un’epidemia neanche una bufera neanche una carestia 15 Cfr. De Beni m., Educare all’altruismo, trento, erickson, 2000. 50 è UNA TRIBÙ CHE BALLA oho è UNA TRIBÙ CHE BALLA oho è UNA TRIBÙ CHE BALLA oho è UNA TRIBÙCHE BALLA oheo è UNA TRIBÙ CHE BALLAe cerca una ragione perché ci sia una terra e ci sia una nazione formata dai ragazzi e dalla gente di credo, di colore e di cultura differente perché è l’unica strada ed è l’unica certezza perché nei nostri cuori finisca l’amarezzaè UNA TRIBÙ CHE BALLA oho è UNA TRIBÙ CHE BALLA oho è UNA TRIBÙ CHE BALLA oho è UNA TRIBÙCHE BALLA oheo è UNA TRIBÙ CHE BALLA al ritmo di un tamburo che picchia nella mente a chi si sente sicuro rinchiuso in un castello fatto di pregiudizi confuso nel discernere la virtù dai vizi la musica è uno sparo, impedisce di parlare ti obbliga a pensare a quello che dovrai dire nel momento in cui sul piatto finirà questa canzone sarai un uomo pronto per la rivoluzione senza nessuna bomba, ma con tanto rumore la musica finisce, ma rimane l’amore … L’attuale periodo storico si caratterizza per una posta in gioco non più fatta didomini o di conquiste, ma di nuove regole di vita sociale, volute e vissute da uo-mini, comunità, organizzazioni nazionali ed internazionali che sempre più avver-tono l’esigenza di porre la persona, nel suo essere “soggetto” e “soggetto” in rela-zione ad altre “persone-soggetto”, al centro di ogni scelta e azione, a livello micro emacro, individuale, sociale, politico ed economico.il problema antropologico fondamentale, dunque, è quello della relazione at-traverso cui l’uomo si innalza oltre se stesso e attua la sua relazionalità sotto formadi reciprocazione. Senza il “tu”, è stato detto, anche l’“io” non potrebbe esistere.ne consegue che la più grande sfida culturale-pedagogica contemporanea sta pro-prio nella capacità di dialogo e di testimonianza che gli adulti sapranno trasmetterealle giovani generazioni.A livello educativo, ripartire dal volto dell’altro significa impegnarsi a supe-rare le chiusure di un umanesimo individualistico a favore di una pedagogia delladifferenza e della relazionalità, quali paradigmi di una cultura della reciprocità chefonda le sue radici nella cura dell’altro.Se in passato l’“altro” era vissuto essenzialmente come straniero, come osta-colo per la propria identità, oggi stiamo assistendo su scala planetaria ad una pro-gressiva conversione verso un nuovo umanesimo, quale conditio sine qua non perla convivenza pacifica tra i popoli.in quest’ottica, identità e differenza non sono termini contrapposti, ma le duefacce di una stessa medaglia, articolazione di una nuova antropologia, in cui lastima di sé e la cura dell’altro costituiscono poli interdipendenti del senso di re-sponsabilità individuale-collettiva. È su questo bipolarismo che è possibile fondareanche un’educazione alla reciprocità, che coniughi la capacità di decentramentocon la conquista dell’identità. 51 È … … UNA TRIBÙ CHE BALLA oho è UNA TRIBÙ CHE BALLA oho è UNA TRIBÙ CHE BALLA oho è UNATRIBÙ CHE BALLA oheo è UNA TRIBÙ CHE BALLA e la pace sia con voila carica ti scarica più forte che puoi è l’energia del sole per quanto ce ne resta che muove le tue gambe e accende la tua testa riempi la riserva e vai a manetta e quando il tuo sudore bagnerà la tua maglietta ricordati che tu sei unico al mondo e non esiste primo e non esiste secondo esiste una tribù, esistono i fratelli che più sono diversi e più sono fratelliognuno ha la sua storia e le sue tradizioni ognuno il suo colore e le sue religionima il battito del cuore è lo stesso per tutti la musica, la musica fa muovere tutti ma il battito del cuore è per tutti lo stesso la musica, la musica e il resto nel cessoè UNA TRIBÙ CHE BALLA oho è UNA TRIBÙ CHE BALLA oho è UNA TRIBÙ CHE BALLA oho è UNA TRIBÙ CHE BALLA oheo è UNA TRIBÙ CHE BALLA ...” Testo di riferimento: pp. 36-46 e 183-193 Altri testi AA.VV., Il Coraggio Del Dialogo, milano, Università Bocconi editore, 2002.BernArDi U., La nuova insalatiera etnica, milano, Angeli, 2000.Bonomi A., Il trionfo della moltitudine. 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L’intercultura sui campi da gioco, milano, raffaelloCortina, 2010. 53 nel popolare quartiere di trastevere, a roma, ogni anno nella seconda quindi-cina di luglio si celebra la “Festa de noantri”, in base a una tradizione che vuoleche il quartiere sia stato privilegiato per aver trovato sulla propria sponda del te-vere una statua di legno della madonna. La festa ha preso così lo spunto dalla con-trapposizione a “Voantri”, ossia agli abitanti dall’“altra” sponda, i quali non hannoricevuto lo stesso privilegio.in genere, quindi, l’“altro” viene visto in contrapposizione” all’“io”, in quantoappartiene alla produzione di “confini” e di opposte “sponde” che permettono dicreare separazioni tra io e tu, tra noi e Voi-“altri”.nel pensiero “io/noi-centrico” spesso l’altro è considerato:– l’avversario da sconfiggere;– il nemico da eliminare;– il barbaro;– il primitivo;– lo straniero;– l’extracomunitario;– l’immigrato;– l’extraterrestre;– … e così avanti, nei confronti di tutti quegli innumerevoli “diversi-da-sé” concui uno si confronta quotidianamente.Quando poi l’“altro” viene identificato nelle vesti di “immigrato-extracomuni-tario”, allora le negatività si sommano, in quanto viene interpretato:– per “inversione”: essendo il nostro contrario; ciò comporta l’assunto che “noi”siamo la normalità, la “misura di tutte le cose”, l’ombelico del mondo, il riferi-mento certo/inappellabile con il quale tutti gli “altri” devono fare i conti;– per “difetto”: nel senso che all’altro manca sempre qualcosa che, invece, “noi”abbiamo; oppure viene interpretato come portatore di “handicap” di vario ge-nere (fisici, mentali, somatici, caratteriali, sociali, culturali...);– per “invasione”: in quanto ha la pretesa di venire a vivere da “noi”, minac-ciando da vicino l’equilibrio del nostro quieto vivere.Stereotipi, pregiudizi, razzismi, discriminazioni … contribuiscono, quindi, allacostruzione dei nostri schemi mentali, impedendo di ampliare i nostri orizzonti per-cettivi di pensiero, di conoscenza, di comunicazione e di azione nei confronti dichiunque sta sull’“altra sponda”. UdL n. 5 - “NOANTRI” & “VOANTRI” i parte - QUADRO TEORICO 54 ALCUNE PAROLE-CHIAVE DEL VOCABOLARIO IO/NOI-CENTRICO ETNOCENTRISMOSe applicato a livello macro, rappresenta la tendenza a giudicare le altre cul-ture interpretandole in base alla propria. tale azione si fonda a sua volta sulla radi-cata convinzione di stare “al centro” o meglio all’apice della scala evolutiva, posi-zione che a sua volta si auto-attribuisce abusivamente il potere di mettere in gra-duatoria coloro che stanno nei gradini più in basso. Se considerato, invece, a livellomicro, del singolo o di un ristretto gruppo, rispecchia la tendenza a sentirsi supe-riori, valutando ogni cosa secondo le norme e i valori del proprio gruppo/cultura diappartenenza. il fenomeno fa capo ad una mente o cultura fondamentalista checrede caparbiamente di essere l’unica insediata nel vero e, in quanto tale, deputataa stabilire chi sta “al centro” e chi “in periferia”. “Per voi uomini bianchi noi eravamo solo dei selvaggi”16“Voi non avete capito le nostre preghiere. Non avete mai cercato per una volta di capirle.Quando noi cantavamo le nostre canzoni di lode al sole, alla luna o al vento, pregavamo idoli ai vo-stri occhi. Senza capirci, e solo perché il nostro modo di preghiera era diverso dal vostro, ci avetecondannato come anime perse. Noi vedevamo l’opera del Grande Spirito nella sua intera Creazione:nel sole, nella luna, negli alberi, nei monti e nel vento. Talvolta ci avvicinavamo a Lui per mezzo diquello che aveva creato. Questo era forse cosi male? Io so che noi crediamo con tutto il cuore all’Es-sere Supremo, e la nostra fede è forse più forte di quella di tanti bianchi, che ci chiamano pagani. Iselvaggi rossi furono sempre più intimamente uniti alla natura dei selvaggi bianchi. La natura è illibro di quella Grande Forza che voi chiamate Dio e che noi chiamiamo più semplicemente GrandeSpirito. Che gran differenza fa già un nome!” PRE-GIUDIZIOL’etimologia stessa del termine sta ad indicare un’attività valutativa che “pre”-cede il dato oggettivo, emessa cioè in assenza di dati che attestino dell’obiettività e,quindi, anche della validità stessa del giudizio. Caratteristica principale è quella di 16 tratto da: “Sai che gli alberi parlano?”, in www.testi per riflettere/indiani d’america. 55 essere utilizzato prevalentemente da individui e/o da gruppi dominanti nei con-fronti di individui e/o gruppi minoritari, al fine di mantenere la propria posizione disuperiorità (etnica, culturale, religiosa, …). il ricorso al pregiudizio in genere vienecollegato ad una personalità caratterizzata da:– adesione cieca agli schemi mentali convenzionali;– sottomissione acritica alla cultura dominante;– identificazione con il potere del più forte;– tendenza a proiettare sugli altri quegli aspetti negativi di sé che vengono rifiu-tati;– perseveranza a mantenere la svalutazione dell’altro anche di fronte a oggettiveprove contrarie.in pratica, rappresenta il modo in cui certe persone “calibrano” il proprio giu-dizio sugli altri senza andare a verificare (per pigrizia, per ignoranza, per convin-zioni stereotipate …) se le loro consolidate certezze sono effettivamente obiettive,rispettose dell’altro e della sua “soggettività”. “È più facile spezzare un atomo che un pregiudizio” (einstein) STEREOTIPOÈ il prodotto di un insieme di credenze, di costrutti mentali, di un’organizza-zione di conoscenze (arbitrarie, superficiali, grossolane …) in genere mediate daprocessi culturali che risultano privi di obiettivo fondamento che un singolo, ungruppo o una categoria sociale applica ad un “altro” (singolo, gruppo, categoria so-ciale), e che vengono rigidamente conservati a scopo essenzialmente difensivo, inquanto concorrono al mantenimento di quell’“io/noi-centrismo” che li ha generatie fatti propri. Come tale, a livello pratico rappresenta il meccanismo di amplifica-zione del pregiudizio, in quanto fa leva su caratteristiche visibili/accentuate degliindividui, quali i tratti somatici, il colore della pelle, il sesso, il linguaggio, l’areageografica di provenienza, le tradizioni, la religione, la cultura di appartenenza … RAZZISMOL’atteggiamento razzista viene messo in atto da chi, per preservare la propriadifferenza etnica, esaspera le differenze di cui gli altri sono portatori, al punto da“racchiuderle” in appositi “contenitori etnici” che successivamente vengono“eti- 56 chettati” per poi discriminarli. in genere la personalità razzista si caratterizza permanifestare atteggiamenti fondamentalisti legati alla concezione di appartenere aduna “razza superiore” o “dominante” e che oggi, rispetto a un recente passato, siesprime meno attraverso gesta eclatanti (seppure ancora non manchino), ma sitende, piuttosto, a mascherarli (il cosiddetto “razzismo fino”), mediante:– frequente ricorso alla proiezione (scaricare sull’“altro” quegli aspetti di sé ne-gativi e/o che vengono rifiutati);– tendenza alla repressione (la parte del sé negativa, che non è accettata, vienerepressa per evitare di confrontarsi con la propria coscienza);– conformismo (in mancanza di stima di sé si preferisce “accodarsi” all’ideo-logia dominante, far parte di un “we-group” fondamentalista);– tendenza a discriminare e/o a valutare la realtà in chiave dualistica, fatta di po-larizzazioni estreme (bianco/nero, amico/nemico…). “Occhio per occhio e … il mondo diventa cieco!” (Gandhi) DISCRIMINAZIONEÈ associata ai processi di differenziazione e ai rapporti basati sulla disegua-glianza. A differenza del razzismo, la discriminazione accetta tuttavia il gruppo raz-ziale, facendo però in modo da segregarlo per renderlo inferiore; come tale, diventail “confine” che marca la distanza con la differenza, conferendo di fatto all’indi-viduo, ad un gruppo o ad una categoria sociale un processo di esclusione e negandola parità di trattamento. in questo modo diventa l’applicazione pratica di un com-portamento fondato sul pregiudizio, sullo stereotipo e sul razzismo. “Prima che arrivassero i nostri fratelli bianchi” 17“Prima che arrivassero i nostri fratelli bianchi per fare di noi degli uomini civilizzati, non ave-vamo alcun tipo di prigione. Per questo motivo non avevamo nemmeno un delinquente. Senza una 17 testi tratti da: “Sai che gli alberi parlano?”, in www.testi per riflettere/indiani d’america. 57 prigione non può esservi alcun delinquente. Non avevamo né serrature, né chiavi e perciò, presso dinoi non c’erano ladri. Quando qualcuno era cosi povero, da non possedere cavallo, tenda o coperta,allora egli riceveva tutto questo in dono. Noi eravamo troppo incivili, per dare grande valore allaproprietà privata. Noi aspiravamo alla proprietà, solo per poterla dare agli altri. Noi non conosce-vamo alcun tipo di denaro e di conseguenza il valore di un essere umano non veniva misurato se-condo la sua ricchezza. Noi non avevamo delle leggi scritte depositate, nessun avvocato e nessun po-litico, perciò non potevamo imbrogliarci l’uno con l’altro. Eravamo messi veramente male, prima chearrivassero i bianchi, ed io non mi so spiegare come potevamo cavarcela senza quelle cose fonda-mentali che – come ci viene detto – sono cosi necessarie per una società civilizzata”. COME ARRIVARE A SUPERARE CERTI “STECCATI MENTALI”? Metti un ponte fra te e la gente, Un sorriso, se mai non c’è. Che bella gente!!! Ti piace la gente ?!?! Ti fa soffrire, la gente!!! Quanta gente intorno a te ……dentro te!Costruttori di “ponti” (“Gente” - r. Zero) Per arrivare sull’“altra sponda”, superando gli ostacoli provocati dall’“io/noi-centrismo”, è quindi necessario educar-CI, imparare ad assumere un orientamentocostruttivo verso gli altri, andando alla ricerca di quei valori che costituiscono lapremessa per la maturazione di un clima di fiducia reciproco e di collaborazione. “Gli uomini costruiscono molti muri, ma non altrettanti ponti” (D. Sonet) 58 Canzone per riflettere “OLTRE IL MURO”18Arrivo in un posto nuovoMi sembra sia tutto diversoMi guardo attorno, non mi sento persoLa gente mi guarda stranoContinuo a sperare in qualcuno di umanoChe sappia capire il mio cuoreChe non mi giudichi dal colore.Rivolgi gli occhi al futuroTra le persone ci sarà sempre un muroI pregiudizi saranno i mattoniLa malta le opinioni.Abbattiamo questa barrieraVedremo il sogno che si avveraIl desiderio di amicizia e libertàContro tutte le ostilità.Voci di paeseDa sempre riempiono la mia testaIl pregiudizio è tutto quello che restaNelle idee delle personeNon riesco a farmi un’opinioneSpesso non so da che parte stare.Ma dentro di me soChe il diverso si dovrebbe apprezzareNon ho il coraggio di agire Eppure vedo soffrire.Abbattiamo questa barrieraVedremo il sogno che si avveraIl desiderio di amicizia e libertàContro tutte le ostilità.Non ho il coraggio di agireEppure vedo soffrire. 18 Alunni del Liceo “Primo Levi” di montebelluna, i superiore; in www.civil life music contest2010/11 “cittadinanza in musica”. Cfr. sul CD: UdL n. 5 - LABORATORIO: Esercizi nn. 17-22 59 L’ALTRO con la sua ALTER-identità è esattamente l’OPPOSTO della mia“identità”.È però altrettanto vero che anche la mia identità è l’OPPOSTO di quelladell’“Altro”.ne consegue che … per l’Altro, l’“ALTRO” sono io!in altri termini:ognuno di noi è l’“ALTRO” dell’altro.Ciò significa che in questo particolare momento storico di presenza dell’uomosulla terra ognuno di noi … è l’“ALtro” di “6 miliardi di ALTRI”!!! “Riconoscere se stessi come individui può essere facile, ma l’importante è riconoscere che sono individui anche gli altri” (Bacone) CHI HA PAURA DELL’“ALTRO”? in genere l’impatto con l’“Altro” e il riconoscimento della sua “diversità” all’i-nizio fa sempre un po’ paura, in quanto provoca inevitabilmente un “terremoto UdL n. 6 - IO & TU(ALTRO-da-me) i parte - QUADRO TEORICO 60 identitario”, uno squilibrio destabilizzante sull’assetto interno di ciascuno (in me-rito al circoscritto “mondo” in cui uno nasce e cresce, al proprio modo di pensare,alla cultura di appartenenza, al proprio stile di vita …). imparare a “fare i conti” con la presenza dell’“Altro” nella propria vita significasaper accogliere e valorizzare l’altro nella sua “ALter-diversità”, e ciò comporta diavviare tutto un processo di cambiamento della propria forma mentis che richiede:– anzitutto di de-centrarsi rispetto alla propria “io-centricità”; – di de-centrarsi rispetto al proprio “mondo noi-centrico”;– di mettere in discussione le proprie convinzioni, al fine di provocare l’aperturaad un processo di scambio e di arricchimento reciproco. Infedeli blasfemi Adoratori di idoli Bella gente storti Schizofrenici Malati di troppa vita Esperti in gioia e desiderio Figli di apollo partigiani Di montagna Ragazzacci nuovi di zecca Beati e santi inviati alla cena Del pane e del vino Esploratori portinai di altre dimensioni Collezionisti di Ferrari Amanti solitari Scalatori di classifiche Missionari e papi Questo ritmo è per voi Coraggio Questo è un posto selvaggio Miracolati ciarlatani star di domani Progettisti di bluejeans Creduloni di ogni razza e fede Ragazza madri marziani fuori sede Scopritori dell’ovvio, parenti di re Arrampicatori di grondaie, bigliettai di zoo Spaccapietre e filosofi, ammaestratori di sirene Scavalcatori di confine, consolatori e consolatrici Annusatori di vinile, accordatori a orecchio Cacciatore di mostri marini, bambine e bambini Ex presidenti, miti viventi,aspiranti eroi Ballerine di breakdance, sibille e cassandre Divinità in parcheggio,miglioratori del peggio Fornai e genisti, samurai e operai Buttafuori e dee jay Questo ritmo è per voi Coraggio Questo è un posto selvaggio Canzone per riflettere - “CORAGGIO” (Jovanotti, Saturnino, r. onori) Mother father sister brother miei antenati e mie muse Inventori di scuse, stelle comete, cantanti in bilico Distruttori di carte d’identità,ex doganieri Studentesse del primo banco,dilapidatori di fortune Eroi e disertori, piantatori di alberi Mungitori di rinoceronti, mummie e zombi e guaritori, coltivatori di caffè, pastori della via lattea decoratori di inferni, antennisti e telepredicatori modelle soprappeso, amazzoni commesse, prostitute sacre suore di clausura, collaudatori di preservativi collezionisti di multe, truccatori di scooter fedeli al subwoofer, costruttori di pace bella gente Questo ritmo è per voi Coraggio Questo è un posto selvaggio È ora di mettersi in viaggio … 61 È POSSIBILE ARRIVARE A STARE IN “EQUILIBRIO” NEL RAPPORTO CON L’ALTRO? Le tipologie di rapporto che si istaurano tra il “Sé” e l’“Altro” possono essererappresentate attraverso processi di prossimità-distanziazione: 1. nell’interpretare l’ALtro, il Sé possiede un proprio “campo cognitivo/per-cettivo” (quadrante alto, a sinistra). tuttavia tale “campo” non è in grado di“riconoscere” l’ALtro nell’insieme della sua ALter-diversità. Al tempostesso il Sé solitamente non è cosciente di questo suo limite, in quanto pre-tende di conoscere unicamente in base a tutto ciò che vede/percepisce. SÉ-IDENTITÀ verso ALTRO-da-SÉ Ci sono 30 modi per salvare il mondo ma uno solo perché il mondo salvi me che io voglia star con te e tu voglia star con me che io voglia star con te e tu voglia star con me Potremmo prendere le armi e sparare tutti i colpi fino a che ne resta vivo uno solo tutti gli altri sono morti guarderebbe giorno e notte registrata alla TV con un po’ di nostalgia la gente del pianeta blu potremmo smettere da ora di vendere e di comprare tutti con un pasto al giorno e un vestito per tutti uguale senza meriti ne colpe senza vizi ne virtù finiremmo per stare male dentro al bel pianeta blu Canzone per riflettere - “30 MODI PER SALVARE IL MONDO” (Jovanotti) PROSSIMITÀ “campo simmetriacognitivo/percettivo” appartenenza SÉ ALTRO tutto ciò che rimane“altro/FUori” “diversità”dal proprio “campo “altro-da-sé”cognitivo” nella “spiazzamento cognitivo”rappresentazione sociale “distanziazione” DISTANZA 62 2. Quando, invece, l’ALtro “rientra” nel proprio campo cognitivo/percettivo eviene “riconosciuto” in tutta la sua ALter-diversità, si è su un piano di rap-porti simmetrici (quadrante alto, a destra). tali rapporti sono in grado di darluogo ad un processo di scambio, ai fini di un reciproco arricchimento. inquesto modo la costruzione dell’identità diviene il prodotto dell’incontro delSé con l’ALtro, su un piano di “parità”.3. Quando, invece, l’ALtro non “rientra” nel proprio campo cognitivo/percet-tivo e quindi non viene riconosciuto nella sua ALter-diversità, il rapportotra il Sé e l’ALtro avviene su un piano asimmetrico. Ciò può provocare nelSé un atteggiamento sia di accettazione ma anche di rifiuto/negazione del di-ritto dell’altro ad “esistere-come-diverso-da-sé” (quadrante in basso, a sini-stra). in questo caso, qualora si tenti di ristabilire il rapporto su un piano sim-metrico, tra “pari”, il processo non sta nel portare l’ALtro nel proprio“campo cognitivo/percettivo” (“ti riconosco” in quanto parte della mia“tribù”); l’integrazione con un proprio “uguale” o con un “diverso” per farlodiventare “uguale”, infatti, non porta alcun arricchimento ma serve a crearedegli omologhi uniformati. La vera soluzione va quindi individuata piuttostonel rACCorDAre il proprio Sé con il “campo” dove effettivamente “StA”l’ALtro; per intenderci, con tutto ciò che rimane “fuori” dal proprio campocognitivo/percettivo; in altre parole, con tutto ciò che è più “distante-dal-SÉ”.4. È soltanto allora, nel processo di DISTANZIAZIONE dall’ALtro (quadrantein basso, a destra), che può prendere avvio l’attività di SCAMBIO tra il pro-prio Sé e quello dell’ALtro, ai fini di un arricchimento reciproco. in questocaso è proprio la “differenza” di cui l’ALtro è portatore che contribuisce adarricchire l’identità del Sé e contemporaneamente, grazie al processo discambio, l’identità dell’ALtro. nel tentativo di far comprendere meglioquanto sia facile incappare (anche inconsciamente) nella trappola di una perce-zione distorta dell’ALTRO attraverso il proprio “campo cognitivo/percet-tivo”, è possibile rifarci ad alcuni semplici esempi di vita quotidiana. Solita-mente si è abituati a dire:- “il sole sorge”- “il sole tramonta”- “il sole si alza”… e così via. 63 Sono tutti modi comuni di dire attraverso i quali vengono attribuiti al sole deimovimenti che in realtà sappiamo essere della terra, ma ai quali normalmentefacciamo riferimento in quanto ci piace adagiarci pigramente su “ciò che sivede”. nell’interpretare ciò che si vede in questo caso ci comportiamo come sela scoperta copernicana fosse ancora di là da venire: in pratica quando usiamoqueste frasi il principio copernicano resta fissato solo sulla carta, e nel frat-tempo continuiamo ad interpretare la realtà come “meglio ci conviene”, ossiala codifichiamo abusivamente attraverso il nostro “campo percettivo”, evi-tando così di attivare quel processo di “distanziazione” che permetterebbe diandare a “vedere” come effettivamente avviene il fenomeno.tale pigrizia cognitivo/percettiva la si ritrova anche nel rapporto “tra pari”.Cosicché nelle relazioni con l’ALtro il vero problema consiste nel COME arrivare a stabilire la “GIUSTA DISTANZA”, facendo in modo che l’Altro non sia né troppo “vicino” (alimentando così la tenta-zione di inglobarlo nella propria “io-centricità”) o, viceversa, né troppo “lontano”,al punto che il suo “diverso-da-me” possa diventare occasione di scontro/con-flitto/eliminazione. ora per raggiungere questo scopo, ossia per poter stabilire la “giusta distanza”tra pari, si richiede di compiere alcuni “passaggi” fondamentali.a) Primo passaggio: occorre anzitutto uscire fuori dalla propria “nicchia” etno-centrica, imparando a decentrarsi, a distanziarsi, a passare sull’altra sponda peracquisire il punto di vista dell’altro. ma per poter eseguire questa “fuoriuscita”c’è bisogno che nel proprio “campo cognitivo/percettivo” scattino alcuni inter-rogativi di fondo, che portino a chiedersi:- ci può essere qualcos’altro al di fuori del mio “campo cognitivo/percet-tivo”?- la realtà “è” quella che io vedo/percepisco/valuto o ci può essere qualco-s’altro al di là del mio campo cognitivo/percettivo che io non vedo, nonconosco? 64 tutto questo richiede di dare inizio ad un’attività di:– “spiazzamento cognitivo”;– “distanziazione”;– de-costruzione del proprio modo di pre-giudicare/interpretare;– messa in discussione del proprio punto di vista, del “pensiero unico”. b) Secondo passaggio: al tempo stesso, per poter attuare questo processo di de-centramento occorre ACCoGLiere/riConoSCere l’ALtro come “Di-VerSo-da-Sé”, in quanto portatore di un “altro” punto di vista nell’interpre-tazione e rappresentazione della realtà. c) Terzo passaggio: a questo punto si richiede un ulteriore stato di avanzamento,che comporta, appunto, il passaggio dal semplice riconoscere l’Altro, alla Vo-LontÀ di ConFrontArSi con lui, se si vuole arrivare a ri-orGAniZ-ZAre, completandolo, il proprio campo cognitivo/percettivo. Ciò richiede disposizione alla flessibilità/apertura ad accogliere e a far proprio un punto divista “diverso”, una rappresentazione della realtà che prima “non era statapercepita/conosciuta” e che adesso viene acquisita (“insight”) grazie al contri-buto dell’Altro. 65 Se il rapporto tra il Sé e l’ALtro scorrerà su questo binario, tanto la posi-zione di ProSSimitÀ come quella di DiStAnZiAZione contribuiranno en-trambe alla costruzione dell’iDentitÀ, propria e dell’altro, per cui il risultato fi-nale consisterà in un processo di ArriCCHimento reCiProCo: – l’ALtro contribuisce alla costruzione dell’identità del Sé– così come il Sé contribuisce all’identità dell’ALtro. in pratica i passaggi riportati sopra costituiscono l’A-B-C delle relazioniumane, con la prerogativa che se le capacità relazionali non vengono apprese findalle prime fasi del processo di costruzione dell’identità, si corre il rischio di conti-nuare a relazionarci con l’Altro mediante atteggiamenti all’insegna della pre-com-prensione, del pre-giudizio, del razzismo, fino a veri e propri conflitti aperti chepossono sfociare anche nell’eliminazione dell’Altro (un comportamento di cui tro-viamo traccia già in Caino e Abele). “Se esiste un uomo non violento, perché non può esistere una famiglia non violenta? E perché non un villaggio, una città, un mondo non violento?” (Gandhi) 66 19 Alunni dell’istituto comprensivo “F.lli Sommariva” di Cerea, iii media. in www.civil lifemusic contest 2010/11 “cittadinanza in musica”. Canzone per riflettere - “COME …”19 Gli amici sono come le note musicali,ognuno con il proprio suono,ma se l’accordo è quello giustoci leghiamo in perfetta armonia.Come una gomma che cancella gli erroriCome un sorriso pieno di luceSegno indelebile della mia gioiaSei il respiro del mio mondo.Come fratelli, come il soleL’arcobaleno dei nostri giorniSegui il tuo cammino senza bloccartiQuesta nostra identità.Tieni la mia manoTieni la mia manoIl mare non ci toccheràTieni la mia manoTieni la mia manoPagina bianca del futuro siamo noi. Cfr. sul CD: UdL n. 6 - LABORATORIO: Esercizi nn. 23-27 67 È scontato che ognuno di noi ritiene di stare “al Centro” di tutte le cose (ocomunque fa tutto il possibile per occupare il “centro”). ma … se tutti pensano di stare al “centro”, dove sta il “centro - del centro”? Canzone per riflettere - “L’ombelico del mondo” (Jovanotti) Questo è l’ombelico del mondo dove si incontrano facce strane di una bellezza un po’ disarmante pelle di ebano di un padre indigeno e occhi smeraldo come il diamante facce meticce da razze nuove come il millennio che sta arrivando questo è l’ombelico del mondo e noi stiamo già ballando questo è l’ombelico del mondo. Questo è l’ombelico del mondo dove non si sa dove si va a finire e risalendo dentro se stessi alla sorgente del respirare è qui che si incontrano uomini nudi con un bagaglio di fantasia questo è l’ombelico del mondo senti che sale questa energia questo è l’ombelico del mondo. Questo è l’ombelico del mondo è qui che c’è il pozzo dell’immaginazione dove convergono le esperienze e si trasformano in espressione dove la vita si fa preziosa e il nostro amore diventa azioni dove le regole non esistono esistono solo le eccezioni questo è l’ombelico del mondo. Questo è l’ombelico del mondo è qui che nasce l’energia centro nevralgico dell’universo da qui che parte ogni nuova via dalle province del grande impero sento una voce che si sta alzando questo è l’ombelico del mondo e noi stiamo già ballando questo è l’ombelico del mondo. nelle precedenti UdL si è visto che l’identità non è solo un bene individuale,ma anche e soprattutto collettivo/sociale, in quanto l’individuo costruisce la propriaidentità con l’identità dell’Altro. tra identità e tutto ciò che è differenza rispetto UdL n. 7 - Dall’“ETNO-CENTRISMO” all’“ALLO-CENTRISMO”(Il percorso della “Pedagogia dell’Alterità”) i parte - QUADRO TEORICO 68 alla propria identità si viene quindi ad istaurare un rapporto di interazione finaliz-zato ad un reciproco sostegno/arricchimento.tutto questo è difficile da far comprendere a chi ritiene che “il sole e le altrestelle” girano intorno a lui. Per de-costruire questo “io-centrismo” è necessario par-tire dal seguente paradosso: PERCHÉ? CHE SENSO HA QUESTO EDUCAR-“CI” ATTRAVERSO LE DIFFERENZE DICUI OGNUNO È PORTATORE? Una ragione c’è, e fa parte di un principio fondamentale quanto “paradossale”:– l’“io” da solo non è in grado di riconoscere se stesso; per farlo ha bisogno cheun altro lo riconosca e gli faccia “da specchio”; in altri termini, l’“io” per co-struire la propria identità ha bisogno di essere riconosciuto dall’“io” dell’altro,e viceversa;– l’“io”, infatti, non esiste come essenza originaria e monolitica, ma esso si rico-nosce come “io” in base al fatto che l’Altro lo riconosca come tale; è dall’in-contro/confronto con la differenza di cui ognuno è portatore che prende avvioun processo di scambio e di reciprocazione;– conseguenza: non si può costruire la propria identità se non confrontandocicon l’identità dell’Altro.Per meglio comprendere questo principio “paradossale” ci vengono in aiuto al-cuni paradigmi che hanno il compito di contribuire a orientare il cammino dell’edu-cazione all’alterità in funzione della costruzione di un uomo-a-dimensione-trasver-sale, in grado cioè di oltrepassare i confini “io-centrici”, facilitando così il processodi riconoscimento e di reciprocazione TRA-alterità-portatrici-di-diverse-identità. “Se un uomo è gentile con uno straniero, mostra d’essere cittadino del mondo, e il cuor suo non è un’isola, staccata dalle altre, ma un continente che le riunisce” (Bacone) 69 PARADIGMI & PARADOSSI PER EDUCAR-“CI” A CON-VIVERE CON L’“ALTRO” I/a - Non è l’Io al centro dell’educazione. L’identità è una conquista tra più soggetti-porta-tori-di-differenza. L’Io, essendo fatto per essere-messo-in-relazione con il “tu” dell’Altro e non potendo ba-stare a se stesso, matura il proprio “sé” proprio nella misura in cui egli è persona ricono-sciuta dal “tu” dell’altro; viceversa, quando l’Io non viene riconosciuto dall’Altro o quandonon riconosce l’Io dell’Altro, viene minacciato alla base lo stesso processo di costruzionedell’identità tanto dell’“io” come del “tu”.in questo senso l’azione dell’educare si fa movimento: non è più riferita ad un Io centrato-su-se-stesso, ma appartiene alla dinamica dell’Io-che-incontra-l’Altro, e viceversa. Senzal’incontro con l’Altro non si può parlare di “e-ducere” (verso dove, se si sta in un vicolocieco?). Questo principio richiama a sua volta un primo paradosso: I/b - Non sono gli altri che girano attorno al proprio Io, ma il centro gravitazionale dell’edu-cazione sta nel rapporto “Io-Altro”.occorre cioè imparare a decentrare l’Io per mettere al centro l’“Io-Tu”, dal momento chel’Io in cerca d’identità ha bisogno dell’alterità quale condizione per il suo definirsi in quantoidentità. in altri termini, l’Altro (inteso come “alter-identità”) è la condizione perché l’Io ri-conosca la propria identità in quanto soggetto unico. 70 II/a - Non è vero che siamo tutti “uguali”. L’uguaglianza sta nell’essere ciascuno portatore di “differenza”! il confronto con l’Altro non passa dalla via larga della parità tra soggetti omologati ma piut-tosto da quella stretta, lastricata di quelle differenze di cui ciascuno è portatore. ognuno dinoi, infatti, è contemporaneamente identità e differenza. Si viene così a formare un mondodi “uguali-diversi”: uguali, in quanto ciascuno è in possesso di una propria identità, e altempo stesso diversi per la differenza che sta alla base di ogni identità. Scaturisce da qui unsecondo paradosso: II/b - Differenti è bello! L’Altro è tanto più prezioso quanto più è diverso dal proprio “Io”.il problema dell’identità dell’“io” non è separabile dal suo essere portatore-di-differenza.Ciò di cui c’è realmente bisogno oggi, quindi, è arrivare alla reciproca scoperta delle diffe-renti identità, dei valori portanti di ciascuno, delle “specialità” culturali, etniche, antropolo-giche, sociali …, grazie alle quali siamo “originali”, cioè diversi. È attraverso la pedagogiadella differenza, quindi, che si può arrivare a superare l’etnocentrismo educativo, per crearei presupposti di una cultura dell’alterità, ossia della reciproca accoglienza tra differenze.ne consegue che occorre imparare a co-educar-“Ci” alla e nella differenza. La ricchezzacollettiva è data dall’insieme delle diversità. Da questo angolo-visuale l’altro in qualità di“diverso” va interpretato non più come un pericolo per la propria sicurezza, ma piuttostocome “risorsa” per la crescita personale e collettiva/sociale. Quindi, la proposta di educarealla differenza dell’altro non solo non è in contrapposizione alla ricerca di una propria iden-tità, ma viene incontro a tale bisogno come “diritto” da tutelare. Non è tempo per noi e forse non lo sarà maiNon è tempo per noi che non vestiamo come voiNon ridiamo, non piangiamo, non amiamo come voiTroppo ingenui o testardiPoco furbi casomaiNon è tempo per noi e forse non lo sarà maiNon è tempo per noi che non ci adeguiamo maiFuorimoda, fuoriposto, insomma sempre fuori dai!(“Non è tempo per noi” - Ligabue) III/a - L’Altro quale “mèta” e “metà” della relazione Io-Tu. Lungo il percorso che prevede il passaggio da un “io-centrico” ad un “io-allocentrico” unodei primi ostacoli consiste nel superare anzitutto la paura verso l’altro. tutto questo com-porta un terzo paradosso: III/b - La vera “alterità” è quella dove l’Altro è così “altro-da-me” che non è raggiungibile senon a livello di messa-in-comune della “diversità” di cui ciascuno è portatore.È qui dove la pedagogia dell’alterità trova il suo fondamento. il futuro dell’educazione, in-fatti, si giocherà proprio su questo terreno, ossia sulla capacità di superare la paura del-l’Altro, ponendo contemporaneamente le basi per un’educazione fondata sul rispetto, il dia-logo, la convivialità, la ricerca/progettazione di itinerari/obiettivi comuni finalizzati all’in-terdipendenza e ad un reciproco arricchimento. tuttavia, per poter avviare questo processodi messa-in-comune della propria “diversità” occorre imparare anzitutto a mettere-in-giocole nostre sicurezze, spesso prodotto dell’etno-centrismo culturale in cui siamo stati falsa-mente educati, della forza dell’abitudine, del conformismo, della pigrizia mentale a mettersiin discussione … 71 IV/a - Educare “Io” a partire dall’”Altro”: “Io”, per esistere, ha bisogno dell’“Altro” preso intutta la sua “alter-diversità”. Quando la presenza dell’Altro nella propria vita viene rifiutata perché viene percepita comeuna minaccia alla supremazia del proprio “io”, è a questo punto che scattano vari mecca-nismi di difesa e di intolleranza o, viceversa, di “in-globamento” all’interno della propria“centricità”.Se si parte, invece, dal presupposto che l’Altro è ciò che Io-non-sono ne consegue che Io,per “esistere”, ho bisogno anche dell’Altro preso in tutta la sua “alter-diversità”. Alla luce ditali dinamiche dobbiamo ripensare l’educazione come a un percorso di ricerca“tra” Io e Tu,“nel” reciproco rispetto delle differenze di cui ciascuno è portatore. Scaturisce da qui unquarto paradosso: IV/b - La mia identità dipende dalla diversità dell’Altro. Occorre perciò imparare a co-educar-“Ci” partendo dalle reciproche differenze.in altri termini, occorre spostare il baricentro del processo educativo: al centro non ci sta piùl’Io, ma l’Io-Tu. in pratica si dovrà provocare il passaggio da un processo educativo fondatosu assi che non si incontrano mai, destinati a viaggiare in parallelo (Io=identità/Altro=diver-sità), alla ricerca di quegli elementi fondanti il rapporto di reciproca interdipendenza.Secondo questo principio, l’educazione si trasforma in co-educazione, una strada da percor-rere assieme, dove ciascun individuo cresce “con” e “grazie” all’Altro. 72 Testo per riflettere Non si vive bene se non si vive per un altro.E vivere per un altro non è vivere bene,se non è vivere per molti altri.Né a fianco a fianco, né fusi,ci prepariamo a costruirenel corso degli anni,una alleanza nuova,che sia anche un’armonia20. 20 Da Senet D., Scoprire l’amore, torino, Sei, 1992, p. 37. V/a - La “presenza” dell’Altro ci provoca? Va promossa! “educar-Ci” e “crescere” secondo questa traiettoria significa non solo riuscire ad accettarela sfida della presenza dell’Altro nella propria vita, ma soprattutto imparare a “stare” e a “la-vorare insieme” con l’Altro, in stretto rapporto di coinvolgimento cooperativo. Scaturisce daqui un quinto paradosso: V/b - Non basta saper accogliere e difendere l’Altro nella sua “alter-diversità”, occorre impa-rare a “promuoverla”, quale condizione indispensabile per la crescita umana, individuale& collettiva.Parte da qui l’esigenza di promuovere anzitutto un’educazione al confronto, che abbia fun-zione liberatoria, di “spiazzamento”, rispetto al proprio io-centrismo. Si ribaltano in talmodo le logiche su cui si basano gli attuali processi educativi: un’educazione troppo auto-centrata può diventare un ostacolo alla costruzione di una personalità matura. L’Altro, es-sendo ciò che io-non-sono, con la sua differenza costituisce quella parte mancante fun-zionale alla costruzione/completamento della mia identità e, in quanto tale, è “ciò che fala differenza” per la formazione di una personalità matura, integrale e integrata nella vita so-ciale, in qualità di cittadino responsabile. 73 Proprio sul filo della frontiera il commissario ci fa fermare su quella barca troppo piena non ci potrà più rimandare su quella barca troppo piena non ci possiamo ritornare. E sì che l’Italia sembrava un sogno steso per lungo ad asciugare sembrava una donna fin troppo bella che stesse lì per farsi amare sembrava a tutti fin troppo bello che stesse lì a farsi toccare. E noi cambiavamo molto in fretta il nostro sogno in illusione incoraggiati dalla bellezza vista per televisione disorientati dalla miseria e da un po’ di televisione. Pane e coraggio ci vogliono ancora che questo mondo non è cambiato pane e coraggio ci vogliono ancora sembra che il tempo non sia passato pane e coraggio commissario che c’hai il cappello per comandare pane e fortuna moglie mia che reggi l’ombrello per riparare. Per riparare questi figli dalle ondate del buio mare e le figlie dagli sguardi che dovranno sopportare e le figlie dagli oltraggi che dovranno sopportare. Nina ci vogliono scarpe buone e gambe belle Lucia Nina ci vogliono scarpe buone pane e fortuna e così sia ma soprattutto ci vuole coraggio a trascinare le nostre suole da una terra che ci odia ad un’altra che non ci vuole. Proprio sul filo della frontiera commissario ci fai fermare ma su quella barca troppo piena non ci potrai più rimandare su quella barca troppo piena non ci potremo mai più ritornare. Canzone per riflettere - “PANE & CORAGGIO” (i. Fossati) Cfr. sul CD: UdL n. 7 - LABORATORIO: Esercizi nn. 28-29 75 iii AreaCRITICAMENTE 77 SCENARIO - “Uomini siate e non pecore matte” il “ben dell’intelletto”, ci manda a dire Dante, è la cosa più preziosa che ab-biamo. non solo ci distingue da tutte le altre specie viventi del pianeta, ma è esatta-mente ciò che caratterizza le nostre potenzialità creative in ogni campo della cono-scenza e, in quanto tale, è alla guida dell’evoluzione della specie umana. Questo bene purtroppo è facilmente deperibile. e non solo a causa delle variepsicopatologie psichiatriche, ma anche quando si tratta semplicemente di abdicareal proprio ruolo di “giocatore” attivo e responsabile della propria vita, per accon-tentarsi del più comodo ruolo di “tifoso” o, come dice Dante, di “pecora”, dele-gando così ad altri di fare quella “parte” da protagonisti che spetta solo a ciascunodi noi svolgere. “Chi segue gli altri non arriverà mai primo” (Anonimo) 78 Da qui anche quel severo monito che giunge fino a noi dal profondo dellastoria da uno che, per salvaguardare il proprio “bene”, ha trascorso la vita in esilio,costretto ad assaggiare di volta in volta e di corte in corte “quanto sa di sal il panealtrui”. IL PENSIERO CRITICO VISTO DAL PENSIERO CRITICO il pensiero critico è il processo tramite il quale si cerca di giustificare in ma-niera sufficientemente convincente una certa affermazione. È l’abilità che ci con-sente di analizzare in modo oggettivo le informazioni che già si possiedono, di va-lutare e interpretare dati ed esperienze al fine di giungere a conclusioni chiare eprecise. Avere buone capacità di analisi critica di una situazione non porta necessa-riamente a giungere alla verità, porta però sicuramente e crearsi un giudizio perso-nale, attento e libero da pregiudizi.Per la sua trasversalità il pensiero critico si trova quindi a cavallo di disciplinediverse, quali la scienza, la matematica, l’ingegneria, la storia, l’antropologia, l’e-conomia e la filosofia. i più recenti risultati della psicologia cognitiva stanno indu-cendo molti educatori a ritenere che sia più utile per gli studenti esercitarsi nel pen-siero critico che mandare a memoria un vasto numero di informazioni.Per W. Sumner il pensiero critico è: “...l’analisi e la valutazione di proposi-zioni di qualunque tipo, al fine di verificarne la corrispondenza alla realtà. La fa-coltà della critica è generata dall’educazione e dall’allenamento. Si tratta di unabito mentale oltre che di una capacità. Essa è condizione prima dello sviluppo Manichini, Senza volto, senza età! Manichini, Nelle mani, di chi è manichino, già! Manichini, In vecchie facce! Manichini, noi! Manichini, Saremo sempre, fino a quando lo vorrai! Il manichino, si lascia andare … S’abbandona, al tuo volere … Il manichino, spera sempre, Che la sua sorte, cambierà … È un fedele amico, Fino a quando scoprirà, Che può andare solo … I primi passi, muoverà! Quando ai manichini, Un significato, dai! Fra quei manichini, Tu, non resterai … I manichini, crescono, Ma in loro, crescerà … Nella pelle di un uomo … Come si sta!!! Andiamocene, noi due! Quando ai manichini un significato dai, Fra quei manichini tu non resterai … I manichini crescono ma in loro resterà La voglia di provare nella pelle di un uomo come si sta’!?!? Manichini, manichini ah! Ah! Manichini, manichini ah!Ma c’è la tua coscienza, E prima o poi, la spunterà! Canzone per riflettere - “Manichini” (r. Zero) 79 umano. È la nostra unica tutela contro l’illusione, l’inganno, la superstizione e lamisconoscenza di noi stessi e del mondo a noi circostante”21. ecco alcuni passaggi-chiave per saper valutare le informazioni e progettare lesoluzioni:– Chiarificazione = capacità di focalizzare la questione e attribuire ad essa un si-gnificato; – Analisi = capacità ad articolare la questione nei suoi aspetti diversi, analizzan-done anche i punti impliciti;– Valutazione = saper accertare il valore delle fonti di informazione verifican-done l’attendibilità, l’accordo tra esse, la credibilità;– Influenza = capacità di ampliare i dati di partenza, tramite inferenze e dedu-zioni;– Controllo = abilità nel saper monitorare il ragionamento durante tutto il pro-cesso.inoltre è possibile valutare un argomento con metodo socratico, ponendo do-mande in merito a questioni aperte, quali ad esempio:– Cosa intendi per _______________? – Come giungi a questa conclusione? – Cosa ti fa credere di essere nel giusto? – Qual è la fonte di queste informazioni (alludendo all’attendibilità)? – Cosa accadrebbe se tu ti sbagliassi? – Puoi indicarmi due fonti in disaccordo con te, illustrandomi i motivi del disac-cordo? – Perché questo è così importante? – Come potrei accertarmi che mi stai dicendo la verità? – Esiste una spiegazione alternativa che dia altrettanto conto di questo feno-meno? in conclusione si può dire che il pensiero critico rientra di diritto tra le princi-pali life skills in quanto permette di analizzare le esperienze in maniera obiettiva,aiutando i soggetti a riconoscere e a valutare i fattori che influenzano i propri atteg-giamenti, valori, comportamenti, e a limitare le influenze dei coetanei, degli opi-nion leader e dei mass-media.Al fine di portare i giovani ad acquisire il pensiero critico, in queste UdL si ècercato in particolare di fare leva su alcuni atteggiamenti/comportamenti che fannocapo ad un diverso modo:– di “vedere” (quello che vedo è solo quello che vedo, o c’è qualcos’altro al dilà, che non vedo?); 21 SUmner W.G. 1940. Folkways: A Study of the Sociological Importance of Usages, Manners,Customs, Mores, and Morals. new york: Ginn and Co., pp. 632-33. 80 – di “pensare/interpretare” (c’è una sola “verità” – pensiero unico – o ve nesono tante possibili?);– di “navigare” (per non cadere nella trappola degli allucinogeni, dei “pirati”virtuali...). “Pensare con la propria testa, senza lasciarsi condizionare, è indice di coraggio” (Gandhi) Canzone per riflettere - “NON C’È LIBERTÀ” (Jovanotti) Mi sono svegliato e ho visto le mie mani in fondo alle mie braccia i piedi miei dalla parte opposta della faccia ho visto che per camminare devo mettere una gamba avanti e l’altra indietro e anche se mi sforzo posso volare in alto circa un metro, per un secondo, e poi una strana forza mi riporta appiccicato al mondo la chiamano gravità mi sono svegliato ed ho capito che che non c’è libertà e non c’è libertà che non c’è libertà e non c’è libertà mi sono svegliato ed ho creduto di essermi svegliato e invece poi mi sono accorto di essere ancora addormentato i miei pensieri, le mie parole, i gesti il mio rapporto con la realtà soltanto meccanicità niente volontà, il frutto inconsapevole di una catena di eventi precedenti a me al mio presente mi son svegliato ed ho creduto di essere cosciente e invece niente imprigionato ai meccanismi chimici nella mia mente sbattuto di qua sbattuto di là come una palla dentro al flipper dell’eternità mi sono svegliato ed ho capito che che non c’è libertà e non c’è libertà che non c’è libertà e non c’è libertà mi sono svegliato e ho visto sofferenza intorno a me e poi mi sono tagliato col rasoio mentre mi radevo e tutta la sofferenza intorno a me è sparita ero da solo con la mia ferita soffrivo solo io mi sono accorto che dal mio stato fisico e mentale dipende anche il mio rapporto con la realtà mi sono svegliato ed ho pensato che, ho pensato che, che non c’è libertà e non c’è libertà che non c’è libertà e non c’è libertà. Frasi per riflettere “Libero non è sempre il pensier liberamente espresso” (Alfieri) “Il pensare è uno dei massimi piaceri concessi al genere umani” (Brecht) “Non c’è nulla interamente in nostro potere, se non i nostri pensieri” (Cartesio) “Spesso le idee si accendono una con l’altra, come scintille…” (engels) 81 (U. Attardi -“ULISSE” - Palazzo Valentini - roma) “Come le nuvole ci rivelano in che direzione soffiano i venti, così gli spiriti più liberi preannunciano con le loro tendenze il tempo che farà” (nietzsche) Testo di riferimento: p. 183 e pp. 85-113 Altri testi BAUmAn Z., Intervista sull’identità, Bari, Laterza, 2009.remotti F., Contro l’identità, roma-Bari, Laterza, 1996.SUmner W.G., Folkways: A Study of the Sociological Importance of Usages, Manners, Customs,Mores, and Morals, new york: Ginn and Co., 1940. 82 22 Da CASULA t., Tra vedere e non vedere. Una guida ai problemi della percezione visiva, torino, einaudi, 1981, p. 325 LA REALTÀ È SOLO “UNA” O ESISTONO PIÙ MODI DI VEDERE LA “REALTÀ”? “Se esistesse un’unica verità non sarebbe possibile dipingere centinaia di quadri con lo stesso soggetto” (Picasso) Di rimando: ciò che vedo è TUTTO “ciò che vedo”? UdL n. 8 - “COSA VEDO…”Per un diverso modo di “vedere” i parte - QUADRO TEORICO Figura di Boring “Questa immagine può essere letta così: puoi vedere un viso di fanciulla (di scorcio), oppurequello di una vecchia (di profilo). Se non riuscissi a vedere subito entrambe le figure che stanno nella stessa immagine, non scorag-giarti […] capita come con le parole: possono essere interpretate in più modi. Così con questodisegno: tutto dipende da come vengono organizzati i segni, affinché portino di volta in volta adare un significato ai lineamenti di ‘fanciulla’ oppure di ‘vecchia’. Per vedere l’una o l’altra figura devi attribuire a degli stessi segni significati di volta in volta di-versi: le curve a sinistra, per esempio, significano ‘naso’ quando organizzi il viso della ‘vecchia’,e ‘guancia’ quando organizzi quello della ‘fanciulla’ […] Questa è una prova di come anche illinguaggio delle immagini si presta a più interpretazioni possibili…”22. 83 Le ambiguità percettive, come quelle presenti nella figura riportata sopra, do-vrebbero almeno insinuare il dubbio che la realtà potrebbe essere assai più com-plessa di quella percepita a prima vista.L’esempio riportato sopra richiama dunque alla necessità di acquisire una fles-sibilità di pensiero. Così come per la parola, infatti, anche in un’immagine, contra-riamente a quanto si crede di vedere, non è sempre possibile cogliere ad un primocolpo d’occhio “tutti” i significati che intende trasmettere, per cui c’è il pericolo diaverne una visione limitata o comunque di interpretarla in modo unico.mentre per riuscire a vedere qualcosa che “va oltre” ciò che è percepibile aprima vista, per superare una visione limitata della realtà, occorre far leva, acqui-sire quel “pensiero critico” che permette di superare il “pensiero unico” o almenodi “dubitare” se ciò che si vede è tutto. A livello di schema mentale tutto questo richiede di fare un primo e significa-tivo passaggio: – dall’“aut-aut”, atteggiamento di chi poggia il suo personale bagaglio di cono-scenze sul “pensiero unico”, inteso quale indiscutibile criterio di conoscenza edi valutazione (spesso prodotto del condizionamento che scaturisce da stereo-tipi e pre-giudizi) …– … all’“et-et”, sinonimo viceversa di un’acquisita mentalità aperta e flessibile,in grado di dare più interpretazioni possibili del fenomeno oggetto di osserva-zione.ma per provocare questo passaggio occorre tenersi costantemente in allena-mento, e questo non è certo il momento storico più favorevole per farlo, circuìticome siamo dai sempre più aggressivi e talora oppressivi “tentacoli” dei mezzi dicomunicazione di massa. È un dato di fatto che, fin quando continueremo a ragio-nare unicamente in base a “ciò che si vede” e/o a ciò che ci viene trasmesso attra-verso le tecnologie dominanti, certe rivoluzioni nella nostra testa non si farannomai. Tu sei la luce che disegna i nuovi eroi il tuo orizzonte è pieno di possibilità in questa valle di lacrime e di pubblicità tu sei la guida sicura per ognuno di noi noi siamo stupidi forse tu lo sai per questo ci vuoi bene e non ci lasci mai! Nel ballo della notte rullano i tamburi la lotteria proclama i nuovi cittadini e gli anni ottanta vanno coi loro rumori noi chiusi in casa mentre il mondo vive fuori...! La televisione che felicità un programma giusto per ogni età Nella solitudine di tutta la città la televisione, ci salverà! Nella tua stella luccica ognuno di noi tu costruisci i sogni e non deludi mai e tutto quello che tocchi si trasforma in oro beati quelli che ci credono davvero!... La televisione che felicità nuova dimensione della civiltà rotola per strada una verità la televisione, ci salverà!... Pretty pretty angel on my television give me new emotions to night to night to night Music Box togheter, Dinasty forever Driving to Flamingo Road to night to night to night... Gli sguardi spenti e gli occhi sempre un poco assonnati le reazioni lente ed i sorrisi indecisi noi siamo stupidi forse e forse tu lo sai per questo ci vuoi bene e non ci lasci mai!.. Canzone per riflettere - “LA TELEVISIONE CHE FELICITÀ!” (Bennato) 84 Quando si dice: “l’ho visto in TV”, significa aver visto “tutta la realtà”? in genere siamo portati ad attribuire credibilità a quello che passa sotto gliocchi quando si guarda la tV, pur sapendo di essere di fronte al virtuale, ossia aduna condizione visiva che non è la stessa della realtà vissuta in prima persona.tutto questo avviene perché il “mezzo” è il “messaggio”, come sostiene mcLuhan. e siccome ciò che viene comunicato dai mass media spesso avviene “intempo reale”, ecco che “mezzo” e “messaggio” si fondono, diventano un tutt’uno,per cui quest’ultimo si appropria del potere di farsi garante della “realtà”.in base a questa dinamica prende avvio un processo di condizionamento a li-vello sia individuale che collettivo/sociale:– a livello del singolo, tutto questo significa essere invitati a condividere con ilmass media la sua visione della realtà; cosicché il “mezzo” non si limita sol-tanto ad ampliare le mie conoscenze, ma interferisce anche sui miei valori, va-lutazioni, emozioni, comportamenti, stili di vita … mediante il “messaggio” dicui si fa interprete;– a livello di massa questo potere, che in teoria dovrebbe essere il prodotto diprocessi democratici, in pratica viene sempre più gestito dai cosiddetti opinionleader, “persuasori occulti” che non si limitano soltanto ai prodotti pubblicitari… “L’uomo di oggi vive in una specie di carlinga computerizzata nella quale percepiscesolo immagini indirette tecnologiche. Le sue possibilità di contatto col mondo si sonovertiginosamente moltiplicate, le sue possibilità di informazione sugli eventi di questopianeta possono considerarsi illimitate. Ma si tratta di contatti e informazioni che giun-gono attraverso ‘media’…”23. 23 CAroLi F., Parola e immagine, milano, Fabbri, 1979, p. 27. 85 Canzone per riflettere - “TELEVISIONE, TELEVISIONE” (Jovanotti) Quante ne hai passate uomo... televisione, televisione chi è il più bello del rione televisione, televisione fammi vincere un milione televisione, televisione chi è che c’ha il più bel faccione televisione, televisione tu che guidi la nazione tu che dai l’informazione tu che svolgi la missione verso tutte le persone tu che sei la nostra chiesa e la nostra religione tu che ci accompagni a cena a merenda e a colazione televisione, televisione ... pubblicità! (no, non esiste sporco impossibile perché oggi...) televisione, televisione sempre più definizione di ogni emerito scienziato ci riporti l’opinione sulla gente molto onesta senza grilli per la testa che si prodiga e che fa il bene della società televisione, televisione ...pubblicità! ... televisione, televisione io t’ho scritto una canzone perché sei la nostra guida non c’è media che ti sfida tu fai stare tutti a casa e la gente guarda te annullando ogni rapporto con il prossimo e con se e così un problema in meno quello di dover parlare cosa resta ormai da fare che guardare ed ascoltare grazie anche a “chi l’ha visto?” che a mia madre tanto piace cosicché nessuno è libero di scappare in santa pace televisione, televisione...pubblicità! (Morandi, Jackson e Ramazzotti insieme per i bambini del mondo...) televisione, televisione tutto il bene che tu hai fatto te lo stai prendendo indietro richiudendo ogni pensiero dentro scatole di vetro televisione, televisione io ti chiudo nell’armadio questa sera stai in castigo perché accenderò la radio … Cfr. sul CD: UdL n. 8 - LABORATORIO: Esercizi nn. 30-33 86 Tutti noi ce la prendiamo con la storiama io dico che la colpa è nostraè evidente che la gente è poco seriaquando parla di sinistra o destra.Ma cos’è la destra cos’è la sinistra...Ma cos’è la destra cos’è la sinistra...Fare il bagno nella vasca è di destrafar la doccia invece è di sinistraun pacchetto di Marlboro è di destradi contrabbando è di sinistra.Ma cos’è la destra cos’è la sinistra...Una bella minestrina è di destrail minestrone è sempre di sinistratutti i films che fanno oggi son di destrase annoiano son di sinistra.Ma cos’è la destra cos’è la sinistra...Le scarpette da ginnastica o da tennishanno ancora un gusto un po’ di destrama portarle tutte sporche e un po’ slacciateè da scemi più che di sinistra.Ma cos’è la destra cos’è la sinistra...I blue-jeans che sono un segno di sinistracon la giacca vanno verso destrail concerto nello stadio è di sinistrai prezzi sono un po’ di destra.Ma cos’è la destra cos’è la sinistra...I collant son quasi sempre di sinistrail reggicalze è più che mai di destrala pisciata in compagnia è di sinistrail cesso è sempre in fondo a destra.Ma cos’è la destra cos’è la sinistra...La piscina bella azzurra e trasparenteè evidente che sia un po’ di destramentre i fiumi, tutti i laghi e anche il mare sono di merda più che sinistra.Ma cos’è la destra cos’è la sinistra...L’ideologia, l’ideologiamalgrado tutto credo ancora che ci siaè la passione, l’ossessionedella tua diversitàche al momento dove è andata non si sadove non si sa, dove non si sa.Io direi che il culatello è di destrala mortadella è di sinistrase la cioccolata svizzera è di destrala Nutella è ancora di sinistra. Ma cos’è la destra cos’è la sinistra...Il pensiero liberale è di destraora è buono anche per la sinistranon si sa se la fortuna sia di destrala sfiga è sempre di sinistra.Ma cos’è la destra cos’è la sinistra...Il saluto vigoroso a pugno chiusoè un antico gesto di sinistraquello un po’ degli anni ‘20, un po’ romanoè da stronzi oltre che di destra.Ma cos’è la destra cos’è la sinistra...L’ideologia, l’ideologia malgrado tutto credo ancora che ci siaè il continuare ad affermareun pensiero e il suo perchécon la scusa di un contrasto che non c’èse c’è chissà dov’è, se c’é chissà dov’é.Tutto il vecchio moralismo è di sinistrala mancanza di morale è a destraanche il Papa ultimamenteè un po’ a sinistraè il demonio che ora è andato a destra.Ma cos’è la destra cos’è la sinistra...La risposta delle masse è di sinistracon un lieve cedimento a destrason sicuro che il bastardo è di sinistrail figlio di puttana è di destra.Ma cos’è la destra cos’è la sinistra...Una donna emancipata è di sinistrariservata è già un po’ più di destrama un figone resta sempre un’attrazioneche va bene per sinistra e destra.Ma cos’è la destra cos’è la sinistra...Tutti noi ce la prendiamo con la storiama io dico che la colpa è nostraè evidente che la gente è poco seriaquando parla di sinistra o destra.Ma cos’è la destra cos’è la sinistra...Ma cos’è la destra cos’è la sinistra...Destra-sinistraDestra-sinistraDestra-sinistraDestra-sinistra Destra-sinistraBasta Canzone per riflettere - “DESTRA-SINISTRA” (G. Gaber) UdL n. 9 - “COSA IMPARO”Per un diverso modo di “interpretare” i parte - QUADRO TEORICO 87 “HOMO PRAEDATOR” - QUANDO LA STORIA NON CE LA RACCONTA TUTTA… A roma, presso i mercati di traiano, è stata allestita una esposizione su “Gliori antichi della Romania”, grazie alla quale è stato ricostruito un pezzo di storiadelle antiche popolazioni dell’allora Dacia e tracia le quali hanno dato vita, ancoramigliaia di anni a.C., ad una ricca attività orafa grazie ai giacimenti presenti nelsottosuolo. nel 102 d.C. l’imperatore traiano ha portato a roma “cinquecentovolte 10.000 libbre di oro, più il doppio di argento …” e tanto altro ancora, secondoquanto ha scritto un suo storico. Alla fine ha pure immortalato le sue gloriose gestain un monumento mediatico (la Colonna di traiano, distante poche decine di metridai mercati) “filmando” (la Colonna, infatti, viene chiamata anche la “pellicola dipietra”) perfino l’atto del trasporto del suo tesoro a roma a dorso di muli. A questo punto se la notizia storica è certa, e in questo caso per di più traman-data su un “documento” di pietra rimasto in piedi da circa 2000 anni, non altret-tanto potrebbero essere i motivi della “conquista” che vengono dati nei libri distoria. Per cui viene spontaneo chiedersi:– si è trattato di “conquista” o di un vero e proprio atto predatorio per imposses-sarsi delle risorse aurifere (più o meno come si fa oggi per quelle energetiche)?– inoltre, le migliaia di turisti che ogni giorno si fermano a fotografare la mae-stosità della Colonna, si limitano ad ammirare unicamente il monumento oanche le gloriose gesta del “conquistatore”? in quest’ultimo caso, che diffe-renza c’è tra la Colonna e gli attuali mass media? il principio, infatti, è semprelo stesso: “il mezzo è il messaggio”.“La storia, sebbene si fondi sul principio che ‘insegna’, in realtà non ha fatto altroche tramandare gesta e immagini di eroi e di potenti il più delle volte mitizzati per avermesso a ferro e fuoco l’umanità. Quando poi una forma mentis così educata a tifare 88 per il più forte, si troverà a confrontarsi e/o a schierarsi in merito ai rapporti di forzache si istaurano tra chi ha potere e chi lo subisce, tra paesi ricchi e poveri, tra oppres-sori e oppressi, tra sviluppo e sottosviluppo, tra nord e sud del mondo, tra aventi di-ritti e no …, essa non farà altro che assecondare l’istintivo bisogno di andare in soc-corso del ‘vincitore’ il quale, non a caso, nella scala bipolarizzata dei valori verrà mes-so sempre per primo, attribuendogli un significato positivo, per contrapporlo al se-condo (l’altro, l’avversario, il nemico…) che, essendo il suo ‘diverso-inverso’, inquanto tale verrà ad assumere inevitabilmente la dimensione opposta/negativa”24. Frasi per riflettere “Piazzare il proprio nome nella storia è da sempre la più grande ambizione dell’uomo. Purtroppo i nomi più famosi e in vario modo tramandati sono stati piazzati grazie alle guerre ed ai più efferati crimini contro l’umanità” (Gandhi) “Chi ripete a pappagallo la storia e non è in grado di interpretarla, è costretto a riviverla” (anonimo) “Quando tutti pensano allo stesso modo, nessuno pensa molto” (W. Leppman) “La mente è come un paracadute: funziona solo quando lo apri…” (eistein) 24 Pieroni V. - SAntoS Fermino A., La valigia del “Migrante”, o.c., p. 183. 89 LE 2 FACCE DI UNA STESSA MEDAGLIA a) Quello che nei “nostri” libri di storia vengono definite “invasioni barbariche”,nei libri di scuola dei Paesi nordici passano come storia di “conquiste” da partedi popolazioni che si considerano tutt’altro che barbare.b) in questo periodo storico ci sentiamo particolarmente “invasi” dalle centinaiadi migliaia di immigrati che vengono ad occupare le “nostre” terre. Una di-versa interpretazione storica dei fatti invita a ritenere che il fenomeno potrebbeessere attribuito anche alla “ri-conquista” di quei diritti umani universali (ali-mentazione, istruzione, lavoro, salute, qualità della vita…) che, a cominciaredalle epoche della colonizzazione fino ai nostri giorni, il 20% della popola-zione mondiale ha depredato al restante 80%.c) e poi, ci siamo forse dimenticati “come eravamo”…??? Dichiaro la terra immota proprio lì al centro dell’Universo e il sole rotarle intorno inseguendola per il suo verso se vi va bene, va bene così.... Abiuro la mia teoria maledico il mio grande errore mi hanno salvato in tempo quelli della Santa inquisizione se vi va bene, va bene così.... A dire la verità ci sono due verità quella che ci fa stare bene oppure quella che nessuno dirà la verità che non conviene!... Se è una bugia che non riesce a renderci felici se sai la verità forse è meglio che tu non la dici se vi va bene, va bene così.... E dopo aver sognato ed afferrato le stelle e quella legge che le fa viaggiare io Galileo davanti al mondo intero sono costretto ad abiurare.... Due verità, ci sono due verità quella che ci fa stare bene oppure quella che nessuno dirà la verità che non conviene!.... .... Io Galileo, per potermi salvare sono costretto ad abiurare ma quanto è vero che son professore io non mi pento di quel mio errore ma quanto è vero che son Galileo voi non mi avrete nella vostra corte!... Canzone per riflettere - “GALILEO” (Bennato) (tsung Dao Lee - “GALiLeo”- Chiesa di S. maria degli Angeli - roma) 90 Lo sai che le apparenze non ingannano E i cigni dentro all’acqua non si bagnano Lo sai c’è una febbre che ti fa guarire E che ci sta un silenzio che si fa sentire Lo sai che il dna è lungo più dell’equatore Lo sai che c’è uno spirito anche dentro ad un motore Lo sai che i grandi mistici hanno braccia forti E i grandi calciatori c’hanno piedi storti Lo sai che nella pancia puoi ascoltare i suoni Lo sai che anche i malvagi fanno gesti buoni Lo sai che ogni tramonto è l’alba di un vampiro E che le idee future sono già in giro Lo sai che proprio adesso un uomo sta morendo Lo sai che proprio adesso un bimbo sta nascendo Lo sai che proprio adesso noi stiamo vivendo e qualche cosa proprio ora ci stiamo scambiando Falla girare falla girare falla girare così che tutti la possano vedere Falla girare falla girare falla girare (Emigranti italiani verso il Brasile) Canzone per riflettere - “FALLA GIRARE”(Jovanotti, Sergio Della monica, Domenico Canu, Alex neri, marco Baroni) così che tutti la possano sentire Le zebre sono bianche con le strisce nere Le zebre sono nere con le strisce bianche Lo sai che per le mosche noi siamo lentissimi E per una balena siamo piccolissimi L’africa è il continente più ricco del pianeta A volte l’alfabeto inizia dalla zeta Lo sai che il santo graal è nel salotto di mia nonna E il centro della terra sta sotto la gonna Lo sai che un kilo d’oro pesa come un kilo d’aria Lo sai che Dio esiste fino a prova contraria Ci sono due maniere per uscire di prigione Scontare la tua pena oppure un’evasione Lo sai che nello spazio non c’è gravità Lo sai che certe volte non c’è neanche qua Lo sai che questa notte esploderà una stella Lo sai che un’emozione poi non si cancella Falla girare falla girare falla girare così che tutti la possano vedere Cfr. sul CD: UdL n. 9 - LABORATORIO: Esercizi nn. 34-37 91 25 Alunni dell’istituto tecnico per Geometri, “Forcellini”, di Feltre (i superiore). in www.civillife music contest 2010/11 “cittadinanza in musica”. Apro gli occhi, mi guardo intorno vedo solo tecnologiaNon capisco questo mondo, è davvero casa mia?Stacco quel computer e ragiono di testa mia…25 IL CYBERNAUTA È l’abitatore del cyberspazio, colui che ne conosce il più intimo funziona-mento e la cui mente ormai ha preso residenza in quell’universo parallelo immate-riale, formato da milioni di Km di cavi.Per eterea che sia, la sua presenza è comunque indiscussa, visto che basta infi-larsi un paio di spinotti nel cranio. Dall’altro lato ci sono i “geonauti”, come li chiamano i cybernauti con unacerta sfumatura di disprezzo. Loro hanno il monopolio sull’informazione, e l’infor-mazione è l’essenza stessa del cyberspazio. Posso stare qui ancora un po’ so che è tardi ma ci stoNon conosci la veritàma ti affascina lo soGiochi d’azzardo macomodi sainasce proprio così la connessione tra noi.Dimmi che cosa c’ècomplicità e pazziaperché sto bene con teLasciami credereche possa esistereanche realtà tra di noi.Posso chiederti solo didigitare ancora un po’ non conosco il tuo volto mala tua voce è limpidae c’è distanza, vero perchéa mio rischio e pericoloio ci investirò Dimmi che cosa c’èvirtuale compliceperché ti vorrei con meLasciami credereche possa esistereanche realtà tra di noi.ma se questo destinoambiguo e insicuroha scelto un incontroil nostroso che, giusto o sbagliato, io ti cercherò..Dimmi se tu ci seivirtuale complicesvelami la tua realtàsenza nascondertisenza più limitisenza la virtualità.Vivi ogni giorno un attimoe quell’attimo saprà scoprire la verità. Canzone per riflettere - “VIRTUALE COMPLICE” (D. Stefani) UdL n. 10 - AVVISO AI CYBERNAUTIPer un diverso modo di “navigare” i parte - QUADRO TEORICO 92 I “NAVIGATORI DEI NON-LUOGHI” Secondo Bauman26, per coloro che vivono in stato di bulimia da consumo del“virtuale”, basato sulla logica dell’usa e getta, lo spauracchio di finire in una disca-rica è sempre in agguato.La disperata ricerca di un “noi” di cui far parte caratterizza questi “navigatoridei non-luoghi” per la loro sempre più affollata presenza su cellulari e internet.Per questi “navigatori”, cellulari e internet rappresentano delle vere e proprie“comunità virtuali”, gruppi mediati virtualmente e che vengono a formare un fra-gile surrogato di forme di socializzazione investite in relazioni tramite oggetti diconsumo controllati maniacalmente, a dimostrare che si è “in onda” e che qualcunoci ha pensati. La vera ragione, sta nel fatto che ciò che questi temono è l’abbandono, l’esclu-sione, l’essere respinti, gettati tra i rifiuti. È così che le rubriche dei cellulari, i mes-saggini, facebook, youtube, twitter…, sostituiscono la comunità mancante, il rap-porto diretto con la “realtà”. Mi lascio imprigionare da questa melodia,Stacco quel computer e ragiono di testa mia;Apro gli occhi, mi guardo intorno vedo solo tecnologiaNon capisco questo mondo, è davvero casa mia?Devo ancora vedere il mondo e quel che mi circonda,Troppe ore alla tv e la testa mi sprofonda,Quante news in questa rete, c’è il rischio che mi confonda,Siam davvero sicuri che la terra sia rotonda?Ci lasciamo conquistare da un mondo di elettronica(chi sei tu ragazzo)Ci troviamo con la mente sempre isterica, fobica.Veniamo attratti da una forza magnetica,(chi sei tu ragazza)Sedotti da una costante idea di cibernetica(chi sei tu)Che non mi dà emozioni: l’era robotica.Occhi nulli mi raccontano di te,Fuori piove e non possiamo uscireCerchiamo un posto dove c’è il soleScriviamo insieme un pezzo di storia.L’inchiostro invisibile svanisce perchéRimane nel cuore per sempre con te. Io della mia vita ci voglio fare un quadro,Con il telefonino che è entrato come un ladro;In tasca il cellulare, scrivere, non parlare;Ma dimmi i vantaggi di questo messaggiare.Entro su you-tube in un mondo virtuale,(chi sei tu ragazzo)Accendo l’I-Phone ma non ricevo il segnale,Comincio a chattare, mi immergo nel canale.(chi sei tu ragazza)Ormai vivo in un mondo tutto in digitale(chi sei tu)Che influenza la mia vita, ma mi andrà male.Occhi nulli mi raccontano di te,Fuori piove e non possiamo uscireCerchiamo un posto dove c’è il soleScriviamo insieme un pezzo di storia.Cara energia, non portarmi via la voglia di sognare,Lasciami respirare, anche solo per un secondo;Non riuscirai mai a trascinarmi fino al fondo dellatua prigione.Cara tecnologia non mi togli la ragione!L’inchiostro invisibile svanisce perchéRimane nel cuore per sempre con te. 26 BAUmAn Z., Intervista sull’identità, Bari, Laterza, 2009, p. 87 ss.27 Alunni dell’istituto tecnico per Geometri, “Forcellini”, di Feltre (i superiore). in www.civillife music contest 2010/11 “cittadinanza in musica”. Canzone per riflettere - “INCHIOSTRO INVISIBILE”27 93 L’“IO-COMPUTER”: I GLADIATORI DELL’“ARENA VIRTUALE” Chi visita il Colosseo, a roma, non può non provare una forte emozione nelmettersi nei panni di quei gladiatori che, proprio nel momento di andare incontroalla morte (“morituri te salutant”), si esaltavano nel sentirsi acclamati dai 70.000spettatori decisamente “appollaiati” sulle loro teste.Pressappoco si potrebbe dire lo stesso oggi per coloro che preferiscono vivere“da leoni”, gettandosi per ore e notti intere nella mischia dell’“arena virtuale”, piut-tosto che combattere nell’“arena-reale” di tutti i giorni .ed effettivamente, uscire dalla dipendenza da internet e, ancor più, dai video-giochi, non è facile: fa parte dei processi cosiddetti “di attaccamento” e, come tale,diventa un comportamento difficile da cambiare, anche perché il più delle volte nonsi è neppure consapevoli fino a che punto si dipende nel maneggiare “maniacal-mente” (come dice Bauman) questi strumenti al fine di far parte di queste “comu-nità virtuali”. i meccanismi psichici che, attraverso l’uso di questi strumenti, mettono inmoto la dipendenza, si manifestano mediante comportamenti che spesso vengonoconsiderati “normali”, quali:– continua tentazione a tornare a collegarsi;– senso di onnipotenza;– alterazioni emozionali che vanno dall’esaltazione euforica (in particolare neivideogiochi, quando si vince) alla depressione (quando si perde);– inclinazione a mascherarsi dietro false identità (soprattutto quando si gioca afare cyberbullismo…);– ricerca di quel piacere ipnotico che fa regredire la fantasia a livello infantile,congiuntamente a paradossali proiezioni che alterano l’interpretazione dellavita reale;– isolamento sociale;– alienazione, unita a disturbi dell’attenzione verso altre realtà;– difficoltà di apprendimento nella resa scolastica;– organizzazione delle attività della giornata in base al tempo dedicato alla rete;– tensione e ansia “da controllo”, per cui ci si precipita al computer (saltandopasti, relazioni sociali, ore del sonno…) per controllare “come stanno” le cosein internet, se “sono in onda”, “chi mi cerca”, “chi mi ha scritto”… 94 QUALI CONSEGUENZE SULLA “BIT GENERATION”? il rischio sotteso alla maniacale ricerca di questo voler “stare in onda” a tutti icosti è quello di cadere in comportamenti “pseudo-allucinatori”, che portano poialla fuga dalla realtà. Comportamenti che si caratterizzano per un “eccesso emozio-nale” che, in mancanza di un adeguato spazio di “raffreddamento razionale” gene-rano, nei soggetti “virtual-dipendenti”, un sovraccarico di eccitazione, che richiedea sua volta di essere scaricata in azione.Per avere un’idea più precisa del gioco che c’è nel rapporto tra28:“EMOZIONE-RAGIONE-AZIONE”è necessario, anzitutto, mettere a confronto le differenze tra le generazioni attuali equelle cresciute prima del “virtuale”: PRIMA …… esisteva uno spazio abbastanza “proporzionale” tra: OGGI …… con la presenza del “virtuale”, lo spazio della “ragione” viene assorbito esempre più ridotto tra le due polarità (“emozione”-“azione”): … e DOMANI?il rischio di “eccesso emozionale” prodotto dalla dipendenza virtuale fa preve-dere che lo spazio della ragione tenderà a ridursi progressivamente, fino a scompa-rire. È allora che, in mancanza di quel sistema di “raffreddamento” che prima ve-niva giocato dalla ragione, si provocherà, come in qualsiasi stato di dipendenza, unpassaggio diretto: da un sempre maggiore bisogno di “ECCITAZIONE” ➔al bisogno di scaricarla in “AZIONE” 28 Cfr. al riguardo FerrAroLi L., Adolescenti trasgressivi forse, cattivi no, torino, ed. San Paolo,ii edizione, marzo 2012, pp. 136-37. 95 in questo caso le eccitazioni non hanno più bisogno di essere trasformate inemozioni (ciò che renderebbe ancora possibile il “raffreddamento”), per cui unavolta attivate dovranno cercare immediatamente (a causa appunto della dipen-denza) una via di fuga attraverso azioni in grado di appagare e/o di sedare l’ango-scia e/o la tensione provocata. (“Il rimorso di Oreste” - di W.A. Bourguereeau - 1862) Da questa analisi gli esiti possibili sono:1. Il rifugio nel virtuale. Sono giovani che rientrano nella categoria delle pseudo allucinazioni. È comese dicessero: “mi esalto e mantengo la voglia di evadere”.2. Il rifugio in sé.Sono i giovani che scelgono la strada dell’alcolismo, del tabagismo, delledroghe e dei comportamenti alimentari abnormi. È come se dicessero: “mi la-scio andare”.3. Il passaggio all’atto.Sono i giovani che scelgono la strada dell’antisocialità, dei comportamenti allimite nella sfera sessuale e nella sicurezza “viaria”. È come se dicessero: “misfogo passando all’azione”.4. Il faticoso percorso di crescita.Sono i giovani che si rendono conto che per crescere bisogna avere un progettoe … realizzarlo, anche se con fatica. È come se dicessero: “mi do da fare congrinta e determinazione”29. 29 iD., idem, p. 138. 96 Cfr. sul CD: UdL n. 10 - LABORATORIO: Esercizi nn. 38-44 97 iV AreaCITTADINANZA 99 SCENARIO Se l’educazione alla cittadinanza può essere intesa come lo specchio dei cam-biamenti sociali di un paese, la sfida di oggi sta anzitutto nel definire a “QUALEcittadinanza” si intende fare riferimento.nella società di oggi, a dimensione planetaria, nell’avviare un qualsiasi pro-cesso educativo occorre partire dal presupposto che l’educazione alla e nella diffe-renza diventa la traiettoria all’orizzonte di tutto il percorso. È necessario cioè educare a saper coniugare locale e globale, identità e diffe-renza, entro un percorso di formazione del cittadino planetario, quale “persona”:– capace di relazioni costruttive con tutto ciò che è “altro-da sé”, quale risorsaper la crescita sia individuale che collettiva e sociale;– competente a livello di rivendicazione dei diritti inalienabili dell’uomo, maanche in grado di responsabilizzarsi nel gestire i propri doveri;– portatrice di responsabilità anche nei confronti del complesso snodo che sigioca tra globale e “glocale”, tra riconoscimento dei diritti universali e neces-sità che essi siano rispettosi delle differenze locali.Un processo democratico, infatti, non si realizza se non nel confronto e neldialogo fra differenti identità. L’educazione alla cittadinanza va quindi intesa comeluogo e momento nel quale si apprende e si sperimentano convivenza democraticae nuova cittadinanza, sia a livello singolo che di gruppo sociale, sia a livello “glo-cale” che globale.ne consegue che la cittadinanza a cui è necessario fare riferimento nell’atti-vare un processo educativo comporta una continua ri-elaborazione e ri-negozia-zione, lungo il percorso della storia, dei suoi significati e dei suoi valori.tutto questo significa che anche il concetto stesso di educazione alla cittadi-nanza va interpretato in prospettiva evolutiva, dal momento che la sua complessitàaumenta parallelamente all’aumentare della complessità e dell’accelerazione degliattuali cambiamenti epocali. 100 Testo di riferimento: pp. 149-163Altri testi BenHABiB S., Cittadini globali, Bologna, il mulino, 2006.CHioSSo G., “Cittadinanza”, in PreLLeZo J.m. - mALiZiA G. - nAnni C. 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Bella la bandiera... la più bella che ci sia cara, la bandiera la più bella che ci sia... Ama, la tua bandiera è la più bella che ci sia... Ama, la tua bandiera è la più cara che ci sia... Senti, che emozione, sventola la tua bandiera... Senti, un tuffo al cuore, sventola la tua bandiera... Guarda, c’è una bandiera che non ha i colori della tua... guarda, lì c’è una bandiera che non ha i colori della tua... Guarda, quella gente che non sventola la tua bandiera... guarda, quella gente che ha una bandiera con i colori diversi dalla tua... Odia, quella gente che non sventola la tua bandiera... odia, quella gente che non sventola la tua bandiera... Odia, tutta la gente che non sventola la tua bandiera... odia, tutta la gente che ha una bandiera con i colori diversi dalla tua...(“La bandiera” - Bennato) 101 LA “CITTADINANZA”: UNA CONQUISTA, UN’EREDITÀ GRATUITA, MA ANCHE UN BENEDEPERIBILE il “diritto” ad essere e ad esercitare lo status di “cittadino” è una conquista dipoche decine di anni fa.Per conquistare questo diritto molti hanno dato la vita, mentre noi oggi lo ere-ditiamo gratuitamente. tuttavia, anche a noi spetta un preciso compito: quello diconservare questa eredità. il possesso del diritto di cittadinanza, infatti, non va datoper scontato, non è affatto garantito per sempre, soprattutto in questo particolaremomento storico di crisi (politica, finanziario, e non solo…).La “cittadinanza”, infatti, è un “bene sociale” che non può essere vissuto passi-vamente: o viene continuamente rielaborato e “ri-aggiornato”, contestualmentealle trasformazioni sociali in atto, o corre ancora oggi il rischio di deperire, ri-pre-cipitando nelle forme di sudditanza dei più a favore di pochi “eletti”.Di conseguenza occorre prepararsi a proteggere e a migliorare sempre piùquesto “diritto”, ed è proprio questo l’obiettivo primario di una ri-aggiornata “edu-cazione alla cittadinanza”. COSA SIGNIFICA EDUCARE DEI CITTADINI CHE “CITTADINI” GIÀ LO SONO? negli anni attorno alla metà del secolo scorso t.H. marshall30 ha tracciato lelinee guida della moderna teoria della cittadinanza, collocandola su tre piani: – piano giuridico, che si esprime attraverso le leggi che garantiscono ai singolicittadini una serie di diritti universali fondamentali; – piano politico, che si esprime con il diritto di voto; – piano sociale, che si esprime mediante il diritto per tutti ad uno stato di benes-sere e di qualità della vita in termini di istruzione, sanità, servizi. e tuttavia, sono proprio questi tre piani che oggi vengono messi in discussionea causa del terreno stesso su cui marshall ha poggiato il concetto di cittadinanza,ossia di Stato-nazione e di società monoculturale. 30 mArSHALL t.H., Cittadinanza e classe sociale, torino, Utet, 1976. UdL n. 11 - “CITTADINI SI DIVENTA” i parte - QUADRO TEORICO 102 COSA HA PORTATO A CONTESTARE QUESTO CONCETTO DI CITTADINANZA? il tradizionale concetto di cittadinanza che è giunto fino a noi da marshall inavanti si basa, infatti, sul principio di esclusione dal diritto di cittadinanza di tutticoloro che non sono, per appartenenza “naturale”, cittadini di uno Stato di dirittodove uno è nato e cresciuto. tutto questo ha portato all’equazione: “uno Stato = una nazione = un territorio = un popolo = una cittadinanza”ed è proprio questa concezione “unica” di cittadinanza che oggi non regge più.Con l’intensificarsi della portata e della velocità con cui si realizzano i cambia-menti epocali, causati dai processi di globalizzazione in atto, questa equazione si ètrasformata in contraddizione, portando così ad avvertire l’esigenza di fare appelloa diritti umani e a norme di cittadinanza universalmente riconosciute. COSA SIGNIFICA, QUINDI, ESSERE OGGI “CITTADINI” NEL TERZO MILLENNIO? Gli elementi che fanno capo all’esigenza di aggiornare/rinnovare il concettodi cittadinanza, fanno riferimento: 31 Canzone scritta nel 1992, anche se sembra scritta oggi. Povera patria! Schiacciata dagli abusi del potere di gente infame, che non sa cos’è il pudore, si credono potenti e gli va bene quello che fanno; e tutto gli appartiene. Tra i governanti, quanti perfetti e inutili buffoni! Questo paese è devastato dal dolore... ma non vi danno un po’ di dispiacere quei corpi in terra senza più calore? Non cambierà, non cambierà no cambierà, forse cambierà. Ma come scusare le iene negli stadi e quelle dei giornali? Nel fango affonda lo stivale dei maiali. Me ne vergogno un poco, e mi fa male vedere un uomo come un animale. Non cambierà, non cambierà si che cambierà, vedrai che cambierà. Voglio sperare che il mondo torni a quote più normali che possa contemplare il cielo e i fiori, che non si parli più di dittature se avremo ancora un po’ da vivere... La primavera intanto tarda ad arrivare Canzone per riflettere - POVERA PATRIA (F. Battiato)31 103 – ai flussi di mobilità umana su scalaplanetaria, dovuti non solo alle migra-zioni quanto, soprattutto, agli effettidella globalizzazione (affari, com-mercio, lavoro, turismo, …); – alla conseguente contaminazionedelle culture, per effetto della mobi-lità e dei sistemi di comunicazione; – alla permanenza e talora al radicarsi della frammentazione etnica, e conse-guente crescita di fenomeni di intolleranza/emarginazione a causa dell’esclu-sione di sempre più quote di popolazione dallo status di aventi diritto di citta-dinanza, fenomeno che ha contribuito ad allargare sempre più la forbice tra“chi sta dentro” e “chi sta fuori” dallo Stato-nazione. IL SORPASSO: LE NUOVE FRONTIERE DELLA CITTADINANZA “Il tradizionale concetto di cittadinanza, caratterizzato dall’orizzonte dello Stato-na-zione, è oggi messo in discussione non solo per motivi etici ma anche perché sono in attoprocessi di ampia portata e di cambiamento strutturale, trasversali alle diverse realtànazionali […] insomma, lo spazio dello Stato-nazione non è più sufficiente a garantire lavita fisiologica della democrazia […] In questa situazione i diritti di cittadinanza sono inpericolo” 32. in sostanza, l’attuale concetto di “cittadinanza” oggi viene sempre più avver-tito in contrasto con il concetto stesso di “persona”, in quanto nega uno dei suoi di-ritti fondamentali: quello di essere “cittadino del mondo”33. L’attuale quanto superato concetto di cittadinanza, infatti, è funzionale alla di-fesa di uno status di privilegio, per cui anche la stessa “educazione alla cittadi-nanza” che viene fatta nelle scuole, se fondata su quest’ottica, rischia di educare avivere in modo “esclusivo” un tale privilegio, anziché contribuire ad un progetto di“inclusione democratica”, in grado cioè di abbattere quelle norme dietro cui si bar-ricano le “cittadinanze etnocentriche”. LA SFIDA: QUALI STRATEGIE PER IL CAMBIAMENTO? La sfida consiste perciò nella necessità di saper coniugare il diritto alla cittadi-nanza con l’esigenza di accogliere le differenze. in altre parole, se si vuole arrivare a 32 PAPiSCA A., Cittadinanza e cittadinanze, ad omnes includendos: la via dei diritti umani, inmASCiA m. (a cura di), Dialogo interculturale, diritti umani e cittadinanza plurale, Venezia, marsilio,2007, p. 25.33 Cfr. al riguardo, la “Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo”, in fondo alla UdL, n. 12. 104 saper “con-vivere” tra multiformi differenze che la “planetarizzazione” ha messo incontatto, anche i “confini” che lo Stato-nazione erge a difesa dei propri cittadini van-no saputi “allargare”, facendo in modo di coniugare la dimensione dei diritti umaniuniversali con quella delle singole appartenenze e radici culturali locali. TUTTO QUESTO COSA COMPORTA A LIVELLO EDUCATIVO? L’urgenza e la necessità di un cambiamento alimenta anzitutto la richiesta diun’educar-“Ci” tutti (nuove e vecchie generazioni, “cittadini” e chi non ha ancoraconquistato questo diritto …) a saper “con-vivere” in uno “spazio comune”. Un’educazione alla cittadinanza centrata ancora sulla vecchia concezione diinclusione/esclusione, dettata da “confini” ideologico-nazionalistici, da orgogliidentitari, o comunque alimentata dalla forza del pregiudizio e dalla diffusa pauraverso tutto ciò che è “diverso”, rischia infatti di creare effetti devastanti nella mentedei soggetti in formazione. “L’educazione alla cittadinanza o è autenticao è la foglia di fico del dispotismo, la maschera di una finta democrazia”34. Una nuova/diversa educazione alla cittadinanza parte, invece, da quei “dirittifondamentali” di cui ogni uomo è legittimo erede, e richiede un’apertura mentaleestesa su scala planetaria. È in base a questa acquisita sensibilità che occorre preparare il cittadino delterzo millennio a “metabolizzare” questo nuovo traguardo, portandolo a diventareda “cittadino-avente-diritto” a “cittadino-del-mondo”. UNA CITTADINANZA “A FOGLIE DI CIPOLLA”? Lungo questo rinnovato percorso educativo va te-nuto presente che la cittadinanza rappresenta l’“identitàsociale” di ogni individuo per cui, così come l’identitàpersonale è stratificata, a foglie di cipolla, anche la citta-dinanza è fatta di appartenenza a “comunità a cerchi con-centrici”:– si è cittadini di un Comune, dove avviene la propriacrescita democratica e culturale;– si è cittadini di una regione, dove si forma la volontà politica collettiva; 34 mortAri L., Per una cittadinanza planetaria, attiva, interculturale, in mortAri L. (a cura di),Educare alla cittadinanza, milano, mondadori, 2008, p. 131. 105 – si è cittadini di uno Stato, rappresentato da un patrimonio di memoria storica eculturale;– ma si è anche cittadini di un mondo che vuole riconoscersi in valori comuni:diritti umani, pace, giustizia, sviluppo, difesa dell’ambiente ...mentre tutto questo è diventato ormai una “conditio sine qua non” per la so-pravvivenza dell’uomo sul pianeta, il “nostro piccolo mondo antico” continua adaggrapparsi disperatamente, o comunque cerca di rimanere il più a lungo possibileancorato al concetto di cittadinanza stanziale, ombelico del mondo, chiusa, imper-meabile ai processi di trasformazione globale in atto. Viceversa, vivere la realtà di oggi, per eccellenza nomade, in movimento,“contaminata”, globalizzata, in accelerata trasformazione sociale…, comporta in-vece una grande “ri-conversione culturale”. È sulle fondamenta di questi eventiepocali che la categoria “cittadinanza”, così come la intendiamo tuttora, va consi-derata ormai superata.in ultima istanza, un rinnovato concetto di cittadinanza richiede di poter arri-vare a coniugare le aspirazioni di uguaglianza con il riconoscimento delle diver-sità. La vera sfida di oggi consiste quindi nel preparare i cittadini del futuro a con-quistare i propri diritti e a saper gestire le proprie responsabilità, per una partecipa-zione sempre più attiva alla vita della “polis”, locale ma anche planetaria. “Il cittadino onesto è colui che crea una connessione tra ciò prende e ciò che dà”(Lanza del Vasto) Cfr. sul CD: UdL n. 11 - LABORATORIO: Esercizi nn. 45-47 106 35 BoBBio n., L’età dei diritti, torino, einaudi, 1990, pp. Xiii-XiV. CONOSCI QUALI SONO I TUOI “DIRITTI”? ognuno di noi gode di diritti civili che oggi si dà per scontato possederle, inquanto ereditati dalle generazioni passate, tra i quali c’è appunto anche la cittadi-nanza. tuttavia, non sempre si conosce la storia delle lotte attraverso le quali questidiritti sono stati conquistati. QUESTI DIRITTI CI SONO SEMPRE STATI? “I diritti dell’uomo, per fondamentali che siano, sono diritti storici, cioè natiin certe circostanze, contrassegnate da lotte per la difesa di nuove libertà contro ivecchi poteri, gradualmente, non tutti in una volta e non una volta per sempre […].I diritti sono prodotti storici, nascono da bisogni quando storicamente emer-gono […]:– la libertà religiosa è un effetto delle guerre di religione;– le libertà civili [sono un effetto] delle lotte dei parlamenti contro i sovrani as-soluti;– la libertà politica e quelle sociali [sono un effetto] della nascita, crescita ematurità del movimento dei lavoratori salariati, dei contadini […].Accanto ai diritti sociali, che sono stati chiamati diritti di seconda genera-zione, oggi sono emersi i cosiddetti diritti di terza generazione, ma già si affac-ciano nuove richieste che non saprei chiamare se non diritti di quarta genera-zione”35. IL “DIRITTO AD AVERE DEI DIRITTI”: LE GENERAZIONI DEI DIRITTI Dopo questa premessa l’autore elenca e poi specifica quali sono questi diritti“di generazione”: UdL n. 12 - CITTADINI AVENTI “DIRITTI” i parte - QUADRO TEORICO 107 a) Diritti di 1° generazione: fanno riferimento alla “LIBERTÀ di …”: pensiero,associazione, espressione (artistica, culturale, …); in questi casi lo Stato nonpuò impedire al cittadino (non più suddito, dopo le rivoluzioni liberali e illumi-nistiche) di fare certe cose (ad esempio, informare, aggregarsi in gruppi/asso-ciazioni, …), se non violano i diritti degli altri.b) Diritti di 2° generazione: fanno riferimento alla “LIBERTÀ da …”: igno-ranza, fame, malattia, bisogni, … conquistati attraverso le lotte dei movimentidi contadini, operai, sindacati; in questi casi tocca allo Stato promuovere lecondizioni o meglio i servizi che permettono di garantire ai cittadini il dirittoallo studio, al lavoro, alla salute, a una migliore e più dignitosa qualità dellavita.c) Diritti di 3° generazione: fanno riferimento a quanto contenuto nella “DI-CHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI UMANI” e riguardano ogniindividuo in quanto membro del genere umano e, come tale, “cittadino delmondo”.d) Diritti di 4° generazione: fanno riferimento ai diritti che, nel “villaggio glo-bale” l’uomo ha in riferimento alla sua evoluzione sul pianeta. Quindi il dirittoalla comunicazione, alla pace, alla difesa/conservazione dell’ambiente, allaqualità della vita, alla privacy, alla sicurezza e, non ultimo, anche il diritto ademigrare! tutti questi diritti devono essere garantiti non solo dallo Stato, ma anche dalleistituzioni/organizzazioni internazionali/sovranazionali deputate a tale scopo. 108 LA “DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI UMANI” il 10 dicembre 1948, l’Assemblea Generale delle nazioni Unite ha approvato eproclamato la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani36. La “DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI UMANI” riconoscedue tipi di diritti, civili e politici, tra loro interdipendenti, e che si sono affermatigradualmente attraverso la storia del pensiero e delle istituzioni democratiche. Sicompone di un preambolo e di 30 articoli:– il preambolo collega il mancato rispetto dei diritti umani agli “atti di barbarieche offendono la coscienza dell’umanità” (con chiaro riferimento ai tragicieventi della seconda guerra mondiale) e ne fissa il rispetto in un “ideale dipace e di libertà da raggiungere da tutti i popoli”;– gli artt. 1-2 stabiliscono, come principio fondamentale, che “tutti gli esseriumani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti”; 36 il testo completo è stato riportato in fondo al Laboratorio di questa UdL. Dopo un lungo viaggiodi paure e di stentisiete arrivati felici e contenti quinel paese dei balocchidalle vostre caseve ne siete scappatima non vi preoccupatesiete i benvenuti quinel paese dei balocchipaese dei balocchiil cielo è sempre azzurroe c’è sempre il soleva tutto a gonfie velee vi troverete bene quinel paese dei balocchiqui si scherza sempreè carnevale tutto l’annonon ci sono scandaline’ crisi di governo quinel paese dei balocchipaese dei balocchi...giù giù giùdai fratelli al sud, ma, ma, maforse è meglio al nord chissà...!siamo uniti ed affiatati noimai qui il razzismonon ha attecchito mai...!tutti quanti gli altri vi hanno chiuso le portema noi siamo buonivi accoglieremoa braccia aperte quinel paese dei balocchibene arrivati siamo molto contentisiete i benvenuti anche segià siamo in tanti quinel paese dei balocchipaese dei balocchi...giù giù giùdai fratelli al sudba ba baci i fratelli al nord e già...siamo uniti ed affiatati noiqui il razzismonon ha attecchito mai...!appena arrivereteall’ufficio smistamentoriceverete un premiodi incoraggiamentochiedete lo scontrino,firmate ricevuta,la festa è cominciatasi...appena cominciata...dopo un lungo viaggiodi paure e di stentisiete arrivati felici e contenti quinel paese dei balocchi Canzone per riflettere - “IL PAESE DEI BALOCCHI” (Bennato) 109 – gli artt. 3-11 fissano i diritti e le libertà individuali;– gli artt. 12-17 stabiliscono i diritti dell’individuo nei confronti della comunitàin cui egli vive (diritti civili);– gli artt. 18-21 sanciscono la libertà di pensiero e di associazione (diritti poli-tici);– gli artt. 22-27 enunciano altri diritti: economici, sociali, culturali;gli artt. 28-30 danno delle disposizioni per la realizzazione di questi diritti. QUAL È IL VERO PROBLEMA OGGI? i diritti nascono da bisogni che emergono in particolari momenti della storia.oggi, tuttavia, il problema di fondo non è tanto quello di averli, quanto piuttosto diconservarli e soprattutto di “proteggerli”, dal momento che si possono “indebolire”o perfino perdere, del tutto o in parte:– se vengono dimenticati;– se vengono vissuti passivamente, dal momento che sono stati ereditati ma nonconquistati;– se non vengono adeguatamente difesi, rivendicati e “aggiornati” rispetto all’e-voluzione dell’umanità. 110 Tanti diritti,dei bei diritti dritti,non dei diritti storti,però,però,però:Quando mangi,perché tu hai il diritto di essere nutrito,ricorda chi non mangiaperché ha il diritto e non il cibo.E quando giochi,perché hai il diritto di giocare,ricorda chi non gioca, perché non ha il posto per giocare.Quando vai a scuola,perché hai il diritto di essere educato,ricorda chi ha il dirittoe non la scuola.Quando riposi,perché hai il diritto di riposare,ricordati di chi ne ha il dirittoma non può riposare.Ricorda il tuo diritto,ma anche il suo rovescio,perché c’è un diritto che non hai:dimenticare. Testo per riflettere - “I DIRITTI E IL ROVESCIO …” (r. Piumini) Cfr. sul CD: UdL n. 12 - LABORATORIO: Esercizi nn. 48-52 111 La libertà non è star sopra un albero non è neanche il volo di un moscone la libertà non è uno spazio libero libertà è partecipazione(“La libertà” - G. Gaber) VOGLIA DI PARTECIPARE = VOGLIA DI CAMBIARE! La storia della partecipazione civica:– è la storia delle lotte per i diritti sociali e per la conquista dell’uguaglianza,grazie alle quali è stato possibile raggiungere l’obiettivo della partecipazione“democratica” dei cittadini alla “cosa pubblica”;– è la storia dello Stato moderno e del suo costituirsi in Stato di diritto, trasfor-mando di conseguenza i suoi membri da “sudditi” a “cittadini”. COSA SI INTENDE, OGGI, PER CITTADINANZA “PARTECIPATIVA”? Con questo termine si vuole fare riferimento ad un processo “democratico” chederiva la propria forza e legittimità da una partecipazione attiva alla vita della col-lettività tra soggetti liberi e in stato di parità, i quali non delegano a terzi il poteredi decidere, ma si impegnano direttamente nella presa di decisioni “democra-tiche”. UdL n. 13 - CITTADINI “PARTECIPATIVI” i parte - QUADRO TEORICO 112 tutto questo comporta perciò che il cittadino eserciti efficacemente il proprio“diritto” di partecipare alla “cosa pubblica”, così da contribuire attivamente ai pro-cessi di “democratizzazione” sia a livello locale, che nazionale e sovranazionale. PERCHÉ ESERCITARE QUESTO DIRITTO? L’interesse che suscita attualmente la richiesta ai cittadini di partecipare semprepiù attivamente al processo di democratizzazione nella gestione della “cosa pubbli-ca” si deve al fatto che tale partecipazione, di fronte alla crisi delle moderne demo-crazie rappresentative, fa da deterrente a certe tentazioni autarchiche ancora ogginiente affatto scomparse dalla storia, e al tempo stesso è l’unico modo per garantireil principio del “popolo sovrano”: mettendo in contatto diretto i cittadini con le isti-tuzioni, si riduce la distanza tra queste ultime e le istanze che vengono dalla base.in questo senso educare alla cittadinanza partecipativa significa educare il cit-tadino a saper assumere le proprie responsabilità. Più specificamente, significaformare i giovani a non delegare ad altri il proprio futuro. Con santa pazienza Ho dovuto aspettare Con quanta buona fede Sono stato ad ascoltare Cara, cara democrazia Sono stato al tuo gioco Anche quando il gioco Si era fatto pesante Cosi mi sento tradito O sono stato ingannato Mi sento come partito E non ancora approdato Sento un vuoto Sento un vuoto al mio fianco E nessuna certezza Messa nero su bianco Con benedetta arroganza Sono stato avvilito Con quanta leggerezza Sono stato alleggerito Cara Cara democrazia Cara gemma imperfetta Equazione sbagliata Non scritta e mai corretta Devotissimi della chiesa Fedelissimi del pallone Nullapensanti Della televisione Siamo i ragazzi del coro Le casalinghe sempre d’accordo E la classe operaia Nemmeno me la ricordo Democrazie pubblicitarie Democrazie allo stadio Democrazie quotate in borsa Fantademocrazie Libertà autoritarie Libertà ugualitarie Democrazie del lavoroDemocrazie del ricordo e della dignità Ahi che pessime orchestre Che brutta musica che sento Qui si secca il fiore e il frutto Del nostro tempo Sono giorni duri Sono giorni bugiardi Cara democrazia Ritorna a casa che non é tardi Non sai con quanta pazienza Ho dovuto aspettare Non sai con quanta buona fede Sono stato ad ascoltare Sono giorni duri Sono giorni bugiardi Cara democrazia Ritorna a casa Che non è tardi. Canzone per riflettere - “CARA DEMOCRAZIA” (i. Fossati) 113 PRINCIPI PER FORMARE AD UNA COSCIENZA PARTECIPATIVA L’obiettivo di mettere in atto percorsi formativi mirati ad una più “DIRETTA &ATTIVA” partecipazione del cittadino alla “cosa pubblica” va individuato nel fattoche purtroppo oggi si assiste a forme di “spettacolarizzazione della politica” che ilpiù delle volte generano sensi di impotenza, rassegnazione, disorientamento nel rap-presentare i propri “diritti” e tanto meno fanno sentire di essere “popolo sovrano”.Alcuni principi per formare il cittadino ad una coscienza partecipativa possonoessere individuati tra i seguenti:– superamento di quel “pensiero unico” che è spesso all’origine dei processi diconflitti tra differenti “tifoserie” politico-partitiche, per favorire invece le ra-gioni che portano ad unire il “popolo sovrano”, avendo di mira il bene co-mune; il vero nemico da sconfiggere in questi casi resta sempre la miopia diuna coscienza passiva, rassegnata, oppure ghettizzata, ripiegata su se stessa espesso barricata/trincerata dietro fondamentalismi di varia natura; – presa di coscienza dei propri diritti ma anche dei doveri, in qualità di “citta-dino” onesto e responsabile;– motivazioni che richiamano al bisogno di cambiamenti;– attivazione di percorsi che favoriscono la partecipazione ai processi decisionali;– ma soprattutto occorre educare a quelle “virtù civiche” che fanno diventareda cittadini-aventi-diritti a cittadini a pieno titolo, in quanto responsabili nelpartecipare in prima persona alla gestione della “cosa pubblica”.La vera sfida sta allora nel trasformare l’educazione alla cittadinanza in unprogetto pedagogico mirato alla costruzione di una personalità:– impegnata nella ricerca del bene comune;– responsabile delle proprie scelte; – dotata di senso di giustizia e di “democrazia”;– equilibrata (dal punto di vista emozionale, critico, valutativo, …);– solidale;– con un senso di reciprocità (saper dare - saper ricevere) nel rapporto con l’altro;– onesta;– in grado di accettare l’autorità legittimamente costituita;– capace di stare insieme e di saper collaborare con “l’altro - diverso” (per ideo-logia, cultura, religione, partitismi e “tifoserie” varie, …). L’appartenenza non è un insieme casuale di persone non è il consenso a un’apparente aggregazione l’appartenenza è avere gli altri dentro di sé…È quel vigore che si sente se fai parte di qualcosa che in sé travolge ogni egoismo personale con quell’aria più vitale che è davvero contagiosa.(“L’appartenenza” - G. Gaber) 114 DALLE “VIRTÙ” AI “COMPORTAMENTI” CIVICI tuttavia, non basta essere educati ad acquisire “virtù” civiche. nel frattempooccorre mettere in atto anche comportamenti coerenti che fanno capo al senso diappartenenza ad una “comunità”, sia essa di piccole dimensioni (famiglia, amici,gruppo-classe, associazionismo, …) o “extra-large” (Comune, nazione, istituzionisovranazionali, …). Per formare i giovani ad acquisire questo senso di appartenenza si richiedeperciò di “imparare” a:– conoscere se stessi (identità personale);– riconoscere l’“altro” anzitutto come “persona” di pari dignità, per poter poi riuscire a convivere e a collaborare alla “cosa pubblica” (identità sociale);– conoscere le proprie radici, il patrimonio culturale ereditato dalla tradizione,prenderne coscienza critica ed elaborarne i valori (identità culturale);– informarsi/interpretare facendo sgorgare tanti “perché” che permettono di su-perare il “pensiero unico” danno la possibilità di aprirsi a più ipotesi (identitàdi pensiero critico);– saper posizionare la propria cultura e identità “a fianco” e non “contro” lealtre; ossia, riuscire ad acquisire quella forma mentis in grado di favorire ilconfronto e lo scambio reciproco dei beni di cui ciascuno è portatore (identitàdialogale e dinamica);– essere in grado di orientare la propria vita anche in base alla diversità di mo-delli presenti nelle società pluriculturali (identità etico-valoriale);– inserirsi in modo responsabile nel tessuto sociale e nella vita attiva (identità civile e professionale). 115 IL DECALOGO DEL BUON POLITICO37 1. È prima regola dell’attività politica essere sincero e onesto. Prometti poco e rea-lizza quel che hai promesso.2. Se ami troppo il denaro, non fare attività politica.3. Rifiuta ogni proposta che tenda all’inosservanza della legge per un presuntovantaggio politico.4. Non ti circondare di adulatori. L’adulazione fa male all’anima, eccita la vanità ealtera la visione della realtà.5. Non pensare di essere l’uomo indispensabile, perché da quel momento farai mol-ti errori.6. È più facile dal no arrivare al sì, che dal sì retrocedere al no. Spesso il no è piùutile del sì.7. La pazienza dell’uomo politico deve imitare la pazienza che Dio ha con gli uomi-ni. Non disperare mai.8. Dei tuoi collaboratori al Governo fai, se possibile, degli amici, mai dei favoriti.9. Non disdegnare il parere delle donne che si interessano alla politica. Esse vedo-no le cose da punti di vista concreti, che possono sfuggire agli uomini.10. Fare ogni sera l’esame di coscienza è buona abitudine anche per l’uomo politico. 37 Sintesi tratta da Il manuale del buon politico, di StUrZo L., a cura di De roSA G., ed. SanPaolo, 1958. “Tutti pensano a cambiare l’umanità, ma nessuno pensa a cambiare se stesso” (tolstoj) Cfr. sul CD: UdL n. 13 - LABORATORIO: Esercizi nn. 53-55 116 L’UTOPIA “Viviamo, o meglio, ‘viaggiamo’ in una dimensione planetaria sempre più ri-stretta/ravvicinata nelle sue dinamiche spazio-temporali. Le incessanti innovazionitecnologiche che afferiscono ai vari sistemi informativi e di comunicazione dimassa consentono infatti all’opinione pubblica di essere informati in tempo reale[…] Sebbene abbattere i ‘confini’ dietro cui si barricano gli Stati-nazione al mo-mento possa apparire un obiettivo che appartiene ancora al mondo degli idealiipotetici, tuttavia è possibile far rientrare fin da ora questa utopia in quelle pro-spettive di futuro che sono almeno auspicabili […] Sul piano pedagogico la sfidadi pensare ad una cittadinanza ‘a-dimensione-cosmopolita’ può essere raccolta apartire dalla consapevolezza dell’appartenenza ad un mondo sempre più com-plesso e globalizzato, basato sulla piena consapevolezza della dignità insita in ogniessere umano e a favore del bene comune”38. Certamente tutto questo al momento rimane ancora a livello di utopia. maanche le utopie hanno un “tempo” e uno “spazio” per potersi realizzare: occorreprima “crederci” e quindi “prepararsi” al cambiamento. “PREPARIAMOCI …”39 “Festa dei popoli” (Studenti Scalabriniani della rivista Baobab) 38 Pieroni V. - SAntoS Fermino A., o.c., p. 160.39 merCALLi L., Prepariamoci a vivere in un mondo con meno risorse, meno energia, meno ab-bondanza … e forse più felicità, Linao, Chiarelettere, 2011. UdL n. 14 - CITTADINI “COSMOPOLITANI” i parte - QUADRO TEORICO 117 COSA SIGNIFICA PREPARARSI A DIVENTARE “CITTADINI DI COSMOPOLIS”? – Anzitutto essere in armonia con se stessi, quale condizione per stare in ar-monia con “tutti i diversi portatori di diversità”;– quindi significa essere cittadini flessibili e aperti al nuovo, in grado di deco-struire pregiudizi e dogmatismi, per avanzare in sempre nuovi territori di cono-scenza di culture e stili di vita “diversi”;– in sostanza significa imparare a convivere, comunicare, collaborare, con … “6miliardi di Altri”.Se per noi i diversi sono gli altri, anche per gli altri i diversi siamo noi. L’e-picentro del problema sta nella ricerca di un equilibrio, dal momento che ognunodeve saper mettere in gioco il proprio “essere-Io” e al tempo stesso il proprio “es-sere-Altro” per l’Altro. SIAMO PRONTI A TESSERE L’“ARAZZO INTERCULTURALE”? È un dato di fatto che oggi le culture non conoscono più confini, si intreccianoe si contaminano reciprocamente. ne consegue che è la stessa dimensione inter-culturale ad aprire di fatto la via all’esperienza cosmopolita. “La vera costruzione di un’utopia planetaria multiculturale sarà fatta da per-sone che nel corso dei prossimi secoli dipaneranno ogni cultura come si dipanauna matassa, ricavandone una molteplicità di fili che poi tesseranno assieme adaltri, provenienti da altre culture, promuovendo la varietà […] L’arazzo che, conun po’ di fortuna, ne verrà fuori, sarà qualcosa che oggi non possiamo neppure im-maginare”40. 40 rorty r., Verità e progresso, milano, Feltrinelli, 2003, p. 189. (“Intercultura” - ist. Comprensivo e. medi - Porto recanati) 118 Al tempo stesso bisogna anche ammettere che il livello di interdipendenza pla-netaria, raggiunto di fatto con la globalizzazione (dell’informazione, delle culture,dei mercati, dell’economia, …), non trova ancora pronto con un’altrettanta “menteglobalizzata” il singolo cittadino nel suo modo di pensare, relazionarsi, educarsi aconvivere con le “differenti-diversità” presenti sul pianeta. SE PARTECIPARE = CAMBIARE … COME SI PARTECIPA AL PROCESSO DI CAMBIAMENTO? 1. A livello del singolo cittadinoPer diventare cittadini della futura Cosmopolis, occorre partire dall’educare/educarsi a pensare e ad agire in termini di problematiche globali, di interdipenden-za tra i popoli e, conseguentemente, prendere coscienza di una serie di compiti e diresponsabilità che spettano al singolo cittadino, prima ancora che alla comunità. Dal canto loro, i sistemi educativi hanno un compito prioritario nel portare ifuturi cittadini di Cosmopolis a sentirsi parte di quelle problematiche sociali che ri-guardano anche Paesi e genti molto lontane (disastri ambientali, guerre, genocidi,ingiustizie, …) e di cui spesso si rimane spettatori passivi. in questo senso il “cittadino cosmopolita” dovrà essere educato fin da ora adassumere un ruolo e una responsabilità rispetto ad un “mondo” sempre più allar-gato, che tuttavia percepisce sempre più attorno a sé coinvolgendolo da vicino.Al centro dell’educazione deve esserci, perciò, la preoccupazione di formareun cittadino cosmopolita, una persona responsabile su scala planetaria, con unaforte coscienza civica, una solida e ben radicata cultura della legalità, il senso delrispetto delle regole e, soprattutto, uno “spirito cosmopolita”. Cosicché un modellodi educazione alla cittadinanza su scala planetaria/cosmopolita, richiede41: 41 SAnterini m., Educazione alla cittadinanza tra locale e globale, in LUAtti L. (a cura di), Edu-care alla cittadinanza attiva, roma, Carocci, 2009, p. 37. (Direzione Didattica - 28° Circolo di napoli) 119 – l’approccio ai problemi in qualità di membri di una società globalizzata;– l’assunzione di responsabilità, individuali e collettive;– la comprensione e l’apprezzamento delle differenze culturali;– la maturazione del pensiero critico;– la disponibilità a ricercare soluzioni non violente ai conflitti;– il bisogno di cambiare stile di vita per la difesa dell’ambiente;– la sensibilità verso la difesa dei diritti umani;– la partecipazione politica a livello locale, nazionale e sovranazionale. 2. A livello di Stato-NazioneContestualmente alla crescita della consapevolezza di vivere in uno spazio glo-bale, cresce altrettanto il bisogno di superare il concetto di Stato-nazione per esten-derlo sempre più ad una dimensione cosmopolita, in considerazione dei macro-pro-cessi (sociali, economici, politici, informativi, …) in cui siamo quotidianamentecoinvolti.tutto questo fa sì che la cittadinanza non coincida più con la nazionalità. Dopoil passaggio da sudditi a cittadini, la cittadinanza nazionale oggi deve fare i conticon quella planetaria, configurata dalle norme giuridiche internazionali sui dirittiumani, che stabiliscono che lo stato giuridico delle persone non è più quello di cit-tadini di uno Stato, ma piuttosto di membri di una stessa famiglia umana.Ciò comporta che da una cittadinanza regolata sullo jus soli e sullo jus san-guinis si passi ad una cittadinanza fondata sull’“essere-persona”. Anche se nonsussistono ancora le condizioni, a livello politico e istituzionale, per ragionare intermini di cittadinanza cosmopolita, essa si definisce già da ora in base ad una seriedi prerogative che permettono alla “persona” di avere:– una pluralità di appartenenze (su scala locale, territoriale, nazionale, sovrana-zionale, …);– e una molteplicità di identità (familiare, sociale, religiosa, culturale, etnica,professionale, …). Di conseguenza riemerge nuovamente il concetto di cittadino cosmopolitacome di colui che esercita i suoi diritti in quanto “persona”, e non solo in quantocittadino di uno Stato. nell’era dell’interdipendenza, della trans-nazionalizzazionedei rapporti, dell’organizzazione della cooperazione, della mondializzazione dell’e-conomia, l’essere cittadini del mondo significa, infatti, acquisire un’apertura a 360gradi verso tutte le realtà. A questo punto non basta più stare ad osservare il mondo dal buco della tVcomodamente seduti in poltrona. Le sfide che l’umanità deve affrontare oggi esempre più in futuro non possono che essere affrontate attraverso la coscienza del-l’interdipendenza globale e decidendo di vivere conseguentemente con un senso diresponsabilità su scala planetaria. e a questo si può arrivare soltanto mediante pro-cessi educativi mirati. 120 3. A livello sovranazionaleL’utopia può riguardare anche un nuovo ordine di governance mondiale? Alcuni studiosi hanno già cercato di prefigurare i cambiamenti che prevedonoil passaggio dal vecchio ad un nuovo e più “democratico” ordine di governance suscala planetaria42: 42 PAPiSCA A. - mASCiA m., Disegni alternativi di un nuovo ordine mondiale, in PoCHettino S. -BerrUti A., Dizionario del cittadino del mondo, Bologna, emi, 2003, pp. 16-17. L’attuale modello gerarchico di governance: - interdipendenza globale asimmetrica - mondializzazione dell’economia in senso ver-ticistico - sottrazione dei sistemi finanziari a qualsiasicontrollo democratico- processi di estesa conflittualità, anche guer-reggiata- crisi di governabilità all’interno degli Stati - crisi strutturale della forma di Stato sovrano,armato, confinario- crisi delle nazioni Unite e del correlato si-stema di sicurezza mondiale, per mancanza divolontà politica dei Paesi più forti- inadeguatezza politica, morale e culturale del-l’attuale classe governante, nazionale ed inter-nazionale- irresponsabilità sociale e asservimento dei si-stemi informatizzati e mass-mediologici Disposizioni per creare un nuovo ordine mondiale democratico- interdipendenza mondiale basata sul con-fronto, il dialogo e la volontà politica per lagestione del “bene comune”- internazionalizzazione dei diritti umani in ter-mini elaborazione e applicazione di normativegiuridiche- organizzazione permanente della coopera-zione internazionale- giustizia penale internazionale - diffusione della “cultura democratica” suscala mondiale- crescita del dialogo tra le grandi religioni - aumento dell’attenzione ai diritti umani daparte delle grandi religioni - potenziamento del ruolo delle nazioni Unitesulla scena mondiale - responsabilità “democratica” ed etica profes-sionale nella gestione e conduzione dei si-stemi informatici e mass-mediali 121 10 CARATTERISTICHE ESSENZIALI DEI CITTADINI DELLA SOCIETÀ COSMOPOLITA43 1. Cercano il contatto e la comunione con la natura. Si sentono parte di essa, manon suoi proprietari. In questo senso, nella loro vita pratica non sono d’ac-cordo con il mandato biblico di “soggiogarla e dominarla”, bensì intendonorispettarla e sviluppare le sue diversità.2. Vivono la vita come processo, come flusso permanente di energie, di situa-zioni, come un trascorrere relativamente imprevedibile. Sono capaci di viverel’incertezza e si allontanano dalle concezioni rigide e statiche della vita.3. Si preoccupano e sospettano del potere, della gerarchia come mezzo per poterdominare gli altri. Si propongono un tipo di educazione che permetta di co-struire il potere a partire da se stessi, in modo che tutti siano capaci di “con-trollare la propria vita”. Per questo generalmente si preoccupano di formarecomunità umane che siano veicoli adeguati di “distribuzione sociale del po-tere”, anziché della sua concentrazione nelle mani di pochi.4. Cercano l’integrazione di elementi che di solito vengono separati, contrap-posti e considerati isolatamente: scienza e senso comune, pensiero e azione,uomo e donna, mente e corpo, ragione e sentimento, oggettività e soggettività,serietà e frivolezza, sensatezza e follia …5. Si interessano molto di più a fare domande che a dare per scontate le risposte.Sono ricercatori permanenti che prendono in considerazione anche il lato na-scosto della vita, quello non detto, non “sistemato”, le storie non raccontate.In generale, la loro criticità permanente li conduce a una ricerca spirituale.6. Comunemente non si lasciano attrarre e dominare dal possesso di beni mate-riali come simboli di status sociale.7. Sono persone aperte al nuovo, cioè non dogmatiche né rigide; osano avanzarein nuovi territori ignoti della conoscenza e della vita.8. Sono solidali, vogliono collaborare con gli altri, cercano di essere menoegoisti e paternalisti.9. Diffidano della burocrazia come forma istituzionale che privilegia il beneficiodei burocrati rispetto a quello degli altri cittadini.10. Confidano nel valore della propria esperienza, diffidano, invece, dell’autoritàche si erge come superiore. 43 GroSSi F., in GUtierreZ F. - CrUZirADo r., Ecopedagogia e cittadinanza planetaria, Bologna,emi, 2000, p. 37. 122 (iii° Circolo Didattico - S. Benedetto del tronto) Frasi per riflettere “Viviamo in un’età planetaria ancora con una coscienza neolitica” (e. Balducci) “I confini entro i quali ci è capitato di venire al mondo, e i documenti di cui abbiamo diritto, non sonocerto meno arbitrari, da un punto di vista morale, di altre caratteristiche come il colore della pelle, ilgenere e il patrimonio genetico” (L. Zanfrini) “Occorre arrivare a uno stato di diritto democratico nel quale possono convivere numerose forme divita, dove si prefigura una nuova cittadinanza cosmopolita” (J. Habermas). “Nella Terra-Patria occorre riconoscere le diversità, per rendere concreta a tutti l’identità. Per cui lavera sfida consisterà nel salvare la varietà delle culture esistenti e allo stesso tempo far crescere unanuova coscienza planetaria/cosmopolita. Ma la co-costruzione di una “coscienza cosmopolita”diviene a sua volta una sfida etica che passa attraverso processi educativi e progettualitàpedagogiche, dove divengono fondamentali fin dall’inizio le reciprocità” (e. morin). Cfr. sul CD: UdL n. 14 - LABORATORIO: Esercizi nn. 56-58 123 V AreaCITTADINI RESPONSABILI 125 SCENARIO L’obiettivo di quest’area è quello di confrontarci con quelle problematiche chevanno dall’esaminare il nostro sistema di vita alla sopravvivenza stessa dell’uomosul pianeta.tali problematiche sono ovviamente assai numerose, per cui ci si è limitati afarne una scelta. Di conseguenza, dopo una prima panoramica sugli scenari passatie su quelli futuri, si è preferito concentrarci prettamente su alcuni aspetti, con parti-colare riferimento:– al problema della crescita della popolazione e relative conseguenze sulla qua-lità della vita;– al sistema dei consumi che trova, soprattutto nelle attuali generazioni, le“prede” privilegiate su cui far girare la sua logica perversa del “produrre di piùper consumare di più”;– alla ricerca di strategie alternative all’attuale sistema di vita consumistico;– al fenomeno della mobilitazione di massa generato dal turismo il quale, in basealle ambivalenze che comporta, rappresenta comunque uno dei principali capi-toli di spesa al mondo. DA DOVE VENIAMO? “Siamo emersi in Africa dagli scimpanzé cinque o sei milioni di anni fa. Cisiamo evoluti in Homo Sapiens circa duecentomila anni fa. Per millenni e millenni 126 siamo stati dominati dall’ambiente e dai suoi limiti: una lunga stagione di caccia eraccolta, poi – negli ultimi ottomila anni – i frutti agricoli ora abbondanti orascarsi per via di anomalie climatiche o parassiti, la ridotta possibilità di estrarreminerali e procurarsi energia dall’acqua, dal vento, dal legno con fatica, la scarsacapacità di contrastare malattie e ferite, ci rendevano esseri profondamente vinco-lati al mondo fisico, poco coscienti del funzionamento dei fenomeni naturali e piut-tosto avvezzi al fatalismo. Ciò non ha impedito la nascita del linguaggio cinquan-tamila anni fa, e lo sviluppo della civiltà con espressioni altissime del pensiero,dell’ingegno e dell’arte […]. Con l’invenzione della macchina a vapore, nel giro diun paio di secoli di rivoluzione termo industriale l’uomo ha completamente mutatoil proprio approccio con la natura: la potenza ottenibile dal tesoretto di energiafossile attinta da un remoto passato geologico lo ha improvvisamente ‘promosso’da schiavo a dominatore incontrastato dell’ambiente terrestre. Con il petrolio ab-biamo migliorato la qualità della nostra vita e fatto cose meravigliose, che sintetiz-zerei con l’invio delle sonde spaziali su altri pianeti. Ma abbiamo anche subìtoquasi un’ubriacatura, una tossicodipendenza da velocità e gigantismo, al puntoche con l’inizio del XXI secolo le forze messe in campo da sette miliardi di indi-vidui rivaleggiano con quelle dei cicli biogeochimici planetari. Muoviamo piùsuolo, divoriamo più vegetali e animali, bruciamo, seghiamo, costruiamo più diquanto facciano l’erosione, le frane, le eruzioni e tutto il complesso della vita sullaTerra […] Solo le cinque generazioni del Novecento, sulle 10.000 che ci separanodalla comparsa di Homo sapiens, hanno usato intensamente le risorse fossili […]Ma ogni medaglia ha il suo rovescio, e l’accumulo di scorie e rifiuti nell’aria, nel-l’acqua e nei suoli, unitamente al prelievo, sovradimensionamento di stock alimen-tari agricoli e ittici, minerari, forestali ed energetici, sta provocando cambiamentiepocali, dal clima alla biodiversità. Di fronte all’ipotesi assolutamente probabiledi mettere in crisi le condizioni di sopravvivenza dell’uomo sulla Terra occorredunque mobilitare l’intero corpus di conoscenza maturato dalla civiltà […] È pro-babilmente la più grande avventura con cui siamo chiamati a confrontarci dall’i-nizio della nostra presenza terrestre: come vivere a lungo, noi e le altre specie vi-venti, su un pianeta dalle risorse limitate, senza comprometterne il rinnovamento emirando a una ‘buona vita’”44. 44 merCALLi L., Prepariamoci a vivere in un mondo con meno risorse, meno energia, meno ab-bondanza … e forse più felicità, Linao, Chiarelettere, 2011, pp. 21-23. Per gentile concessione del-l’autore il quale, in nota, rimanda a vedere il capolavoro cinematografico Home, di Bertrand:www.homethemovie.org. 127 DOVE STIAMO ANDANDO? 45 Da un’intervista a Hans rosling, economista svedese. (“Veniamo dove da …” - Vignetta di m. Cavezzali) “Com’è cambiato il mondo dal 1960 ad oggi?”45 “Parlerò di come la popolazione mondiale è cambiata da allora e come cam-bierà in futuro. Eravamo nel 1960, quando l’insegnante ci disse che la popolazionemondiale era arrivata a 3 miliardi: 1 miliardo di persone nel mondo industrializ-zato e 2 miliardi in quello in via di sviluppo, due mondi che allora erano lontanianche geograficamente, ma non solo. Nel mondo industrializzato le persone erano in salute, istruite, ricche e ave-vano piccole famiglie, la loro aspirazione era di comprare una macchina e rispar-miavano per comprarla, mentre nel mondo in via di sviluppo l’aspirazione di unafamiglia media era di avere il cibo per quel giorno e risparmiava per comprare unpaio di scarpe.Dal 1960 al 2010 la popolazione è cresciuta di altri 4 miliardi e nel frattempola contrapposizione è passata sotto i termini di Paesi ‘occidentali’ contro quelli ‘invia di sviluppo’. Ed anche le aspirazioni sono cambiate: gli abitanti dei Paesi occi-dentali vogliono volare e prendere le vacanze nei posti più remoti dei Paesi in viadi sviluppo, ma nel frattempo 3 miliardi di persone dei Paesi in via di svilupposono diventate economie emergenti (Cina, India, Brasile, Medio Oriente, …)perché sono abbastanza ben in salute, ben istruite e la loro aspirazione è di posse-dere anche loro una macchina, mentre la distanza con gli altri 2 miliardi che sonoveramente poveri è rimasta come 50 anni fa e combattono ancora per cibo escarpe …Questo è il mondo che abbiamo oggi nel 2010. Cosa accadrà in futuro? Miproietterò nel 2050: i Paesi emergenti ci raggiungeranno, ma cosa accadrà per i 2 128 miliardi dei più poveri? Cresceranno fino a 3 e poi fino a 4 miliardi. Ma se, e solo‘se’ usciranno dalla povertà e verranno istruiti, e si farà una programmazione fa-miliare, nel 2050 la crescita della popolazione si fermerà a 9 miliardi”. COME SARÀ L’ITALIA NEL 2050? Ce lo anticipa il rapporto CirCe (Climate Change and Impact Research). Sitratta di una ricerca sui mutamenti climatici promossa dall’Unione europea e du-rata 4 anni, i cui risultati sono stati presentati in un convegno che si è tenuto aroma, e di cui si riportano in sintesi alcuni passaggi46. il progetto, coordinato dall’istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia, haprodotto dei modelli meteo-climatici molto più dettagliati di quelli comunementeutilizzati, dai quali è stato possibile derivare delle “previsioni del tempo” di lungoperiodo sul nostro Paese e tutta l’area mediterranea.Come sarà, quindi, il clima tra una quarantina di anni? Secondo gli scienziati:– farà più caldo: le temperature medie aumenteranno di almeno un paio di gradie di conseguenza il livello dei mari aumenterà tra i 6 e gli 11 centimetri;– le precipitazioni si ridurranno del 5-10%, per cui i laghi ed i fiumi sarannomeno ricchi di acqua47; aumenteranno di conseguenza i fenomeni atmosfericiestremi come le ondate di calore, le piogge torrenziali e i cicloni48. 46 www.Focus.it/il blog di Focus/“Il Mediterraneo nel 2050”.47 Cfr. Gli habitat scompaiono e gli animali si estinguono: ecco le specie a rischio, in:www.focus.it/ambiente/ecologia/15042010-1629-118-dai-ghiacci-artici-10-meraviglie-da-salvare_ C9.aspx48 Cfr. maldive, Amazzonia, Antartide: ecco i paradisi che scompaiono a causa dei cambiamenticlimatici, in: www.focus.it/ambiente/natura/paesi-paradisi-in-via-di-estinzione-a-rischio-emergenza-ambiente-65225-545454_C9.aspx 129 Questi grandi cambiamenti, che in parte stanno già avvenendo, trasformerannopian piano l’intero paesaggio mediterraneo.Si ridurrà la durata del ciclo vitale di grano duro e vite, il Co2 nell’atmosferaaumenterà e ciò avrà conseguenze sulla crescita delle specie vegetali: i vigneti di-venteranno più vulnerabili a climi caldi e secchi, mentre l’area ottimale per gli ulivisi estenderà verso nord e verso est. insomma, nel 2050 la patria dell’olio potrebbeessere non più la Puglia ma … l’emilia romagna e il triveneto. Testo di riferimento: pp. 17-20 Altri testi BAronCeLLi C., La carta della terra per imparare una cittadinanza sostenibile, in mALAVASi P. (a cura di), Per abitare la Terra. Un’educazione sostenibile, milano, i.S.U., 2003, p. 174.BAteSon G., Mente e natura, milano, Adelphi, 1984.Documento di riferimento della Piattaforma educazione alla Cittadinanza mondiale, adottata dal Con-sorzio ong Piemontesi, il 12 aprile 2010.GoLini A. (a cura di), Il futuro della popolazione nel mondo, Bologna, il mulino, 2009.GUtierreZ F. - CrUZ PrADo r., Ecopedagogia e cittadinanza planetaria, Bologna, emi, 2000.LAtoUCHe S., Come si esce dalla società dei consumi. Corsi e percorsi della decrescita, torino, Bo-ringhieri, 2011 pp. 110-111.merCALLi L., Che tempo che farà. Breve storia del clima con uno sguardo al futuro, milano, rizzoli,2009.merCALLi L., Prepariamoci a vivere in un mondo con meno risorse, meno energia, meno abbon-danza… e forse più felicità, Linao, Chiarelettere, 2011.miUr, “Cultura, Scuola, Persona” - Documento di indirizzo “Cittadinanza e Costituzione”, 2009.nAnni A. - FUCeCCHi A., Rifare gli italiani. “Cittadinanza e Costituzione”. Una risposta alla sfidaeducativa, Bologna, emi, 2010, pp. 101-102.SASKiA SASSen, Né globale né nazionale. La terza dimensione dello spazio nel mondo contempo-raneo, in “il mulino”, 6, 2008, pp. 969-979.UnDP (United nations Development Programme), Human Development Report 1994, new york,oxford Univ. Press, 1994.VAneiGem r., Pour l’abolition de la société marchande pour une société vivante, Payot & rivages,Paris, 2002. 130 49 merCALLi L., Prepariamoci, o.c., pp. 191-194. “CI HANNO RUBATO IL FUTURO!” La ragazzina che zittì il mondo49. Al Summit della terra di rio de Janeiro, una bambina canadese di 12 anni zittì108 capi di Stato con un discorso sui problemi del mondo.“… Siamo un gruppo di ragazzini di 12 e 13 anni e cerchiamo di fare la nostraparte […] Venendo a parlare qui non ho un’agenda nascosta, sto solo lottando peril mio futuro. Perdere il mio futuro non è come perdere un’elezione o alcuni puntisul mercato azionario. Sono qui a parlare a nome delle generazioni future. Sonoqui a parlare a nome dei bambini che stanno morendo di fame in tutto il pianeta ele cui grida rimangono inascoltate […] Ho paura di andare fuori al sole perché cisono buchi nell’ozono, ho paura di respirare l’aria perché non so quali sostanzechimiche contiene […] Nella mia vita ho sognato di vedere grandi mandrie di ani-mali selvatici e giungle e foreste pluviali piene di uccelli e farfalle, ma ora michiedo se i miei figli potranno mai vedere tutto questo. Quando avevate la mia età,vi preoccupavate forse di tutto queste cose?[…] Io sono solo una bambina e non ho le soluzioni, ma mi chiedo se siete co-scienti del fatto che non le avete neppure voi. Non sapete come si fa a riparare i bu-chi nell’ozono, non sapete come riportare indietro i salmoni in un fiume inquinato,non sapete come si fa a far ritornare in vita una specie animale estinta, non potetefar tornare le foreste che un tempo crescevano dove ora c’è il deserto. Se non sape-te come fare a riparare tutto questo, per favore smettete di distruggerlo […] Sonosolo una bambina, ma so che siamo tutti parte di una famiglia che conta 5 miliardidi persone, una famiglia di 30 milioni di specie viventi. E nessun governo, nessunafrontiera, potrà cambiare questa realtà […] Questo è ciò che ha detto un bambinodi strada: ‘Vorrei essere ricco, e se lo fossi vorrei dare ai bambini di strada cibo,vestiti, medicine, una casa, amore e affetto. Se un bimbo di strada che non ha nullaè disponibile a condividere, perché noi che abbiamo tutto siamo ancora così avidi?Non posso smettere di pensare che quelli sono bambini che hanno la mia stessa etàe che nascere in un paese o in un altro fa ancora una così grande differenza; chepotrei essere un bambino in una favela di Rio, o un bambino che muore di fame inSomalia, una vittima di guerra in Medio Oriente o un mendicante in India […] Noi UdL n. 15 - PRESENTI NEL FUTURO i parte - QUADRO TEORICO 131 siamo i vostri figli, voi state decidendo in quale mondo noi dovremo crescere […]Siamo davvero nella lista delle vostre priorità?...”. “CHI” CE L’HA RUBATO? non bisogna andare a cercare troppo lontano: ciascuno di noi sta già consu-mando un pezzo del proprio futuro, non solo, ma anche quello delle generazionidopo di noi.Per quali ragioni?Siamo un po’ tutti strettamente avvinghiati ad un modello di sviluppo fondato sulcortocircuito di un “consumare che crea il bisogno di consumare sempre di più”.Cosicché prima ancora di andare a cercare altrove chi ha commesso il furto delfuturo, occorrerebbe partire dal chiederci, come la bambina, in “quale mondo” vo-gliamo abitare:siamo sicuri che potremo mantenere ancora a lungo questo modello di sviluppo?È realisticamente ipotizzabile un modello di sviluppo “alternativo”? La vita nell’era spaziale non è niente male vivere sotto un cielo popolato di angelie di satelliti artificiali di spiriti e di ufo di rondini e di aquile reali camminare tra file di alberi e di antenne radio poter decidere se andare in Antartide o andare allo stadio la vita nell’era spaziale non è niente male posso decidere di festeggiare il capodanno cinese o il natale halloween o il giorno dei morti e fondare una religione nuova che ha come altare i banchi accettazione degli aeroporti e posso dire sì sì e posso dire no no e posso finalmente dire pure ma però perché la lingua cambia e quello che era errore invece adesso si può sono del mio quartiere della mia città del mio paese sono europeo sono italiano ascolto musica inglese ma sono americano e quindi un po’ africano e visto dal satellite non sembro neanche troppo umano sono a due dimensioni ma da grande ne avrò tre la vita nell’era spaziale fa proprio per me le sonde intanto sondano e forti piogge inondano la medicina avanza con falcate da gigante applausi riservati solo al pubblico pagante e assicurato il futuro è già arrivato e se non stai attento assomiglia al passato ma la notizia grazie a Dio si spande a macchia d’olio e forse l’idrogeno liquido sostituirà il petrolio ma chi glielo racconta poi alla shell e compagnia bella che c’è un motore nuovo che funziona con l’acqua della cannella posso sognare esattamente come ho sempre sognato e posso registrare tutto se l’ho dimenticato posso pregare Dio un Dio a mia immagine e somiglianza collegato col computer dentro la mia stanza la vita nell’era spaziale mi piace posso scegliere se fare la guerra o fare la pace se mangiare dei cibi biologici o geneticamente modificati se drogarmi con psicofarmaci o con zuccheri raffinati una vasta gamma di dipendenze legali e non legali naturali tecnologiche chimiche artificiali e come sempre o si è nomadi o si sta lungo il fiume il Tigri l’Eufrate il Tevere il Nilo la via della seta il modem il filo che lega il coltello che spezza ti taglio la gola ti faccio una carezza contatto avvenuto banane banane aromi di frutti di terre lontane quintali di oro in cambio di pietra filosofale la vita nell’era spaziale non è niente malemuoversi tra fiori e rifiuti senza avere paura urbano come un cassonetto della spazzatura e cosmico come una radiazione interstellare la vita nell’era spaziale non è niente male Canzone per riflettere - “LA VITA NELL’ERA SPAZIALE” (Jovanotti) 132 È un dato di fatto che l’attuale modello di sviluppo è caratterizzato da uno stiledi vita che, viaggiando su potenti mezzi di comunicazione, penetra nelle abitazionidi tutto il mondo condizionando le aspirazioni di 6 miliardi di persone a vivere me-glio con il miraggio di poter consumare sempre di più.nonostante questo modello di sviluppo si dimostri proporzionale all’aumentodel degrado ambientale (di cui sempre più frequentemente sperimentiamo le cata-strofi), è difficile pensare di poter far marcia indietro, dirottando le aspirazioni con-sumistiche verso modelli alternativi.Prima ancora o almeno contemporaneamente alla ricerca di nuovi modelli,l’alternativa sembra essere, invece, quella di cambiare la cultura legata al consu-mismo.Purtroppo, al di là di belle raccomandazioni mirate a promuovere buone prati-che cosiddette “sostenibili”50 (fonti di energia rinnovabili, risparmio idrico, riciclag-gio di materiali, …), non pare si abbiano ancora le idee chiare su “come” arrivareeffettivamente a scardinare dalle coscienze individuali e collettive e nei sistemi dipotere forti (finanziari, economici, politici, …) l’attuale modello di sviluppo. LA LEVA DEL CAMBIO: L’EDUCAZIONE A UNO SVILUPPO “ALTERNATIVO” A questo punto la principale leva del cambio non può che essere vista nei si-stemi educativi. educare cioè le nuove generazioni ad acquisire quella coscienzacritica che permetta loro di incidere su un comportamento etico al consumo e su unatteggiamento responsabile nei confronti delle risorse della terra e di un’equa dis-tribuzione dei beni.tuttavia, non sempre si può dare per scontato che tali sistemi assolvano bene aquesto compito anche quando varano programmi prettamente mirati all’educazionead uno sviluppo sostenibile. 50 termine da alcuni contestato, in quanto considerato strettamente connesso alla logica attualedei consumi: “Inquinare meno per poter inquinare più a lungo”. 133 i risultati di alcune indagini51.a) Spagna, 2007 - Uno studio su 60 manuali utilizzati nelle scuole superiori ha dimostratoche non solo le informazioni su tutto quello che riguarda i problemi ecologici sono insufficienti oinesistenti, ma perfino contraddittorie.b) Belgio, 2008 - Su 3000 studenti delle scuole superiori (licei, istituti tecnici e professionali)è emerso che solo il 45% sa cos’è un’energia rinnovabile e il 90% ignora le cause del surriscalda-mento climatico.c) Stati Uniti, 2009 - Secondo un sondaggio dell’istituto Gallup, la metà degli intervistati ri-tiene che il surriscaldamento climatico venga esagerato dai media; cosicché tra i cittadini appaionosempre più diffusi atteggiamenti di scetticismo, senso di impotenza, voglia di mettere la testa sottola sabbia. in sintesi, rispetto al passato oggi le nuove generazioni sembrano trovarsi cul-turalmente più disarmate di fronte alle problematiche ecologico-ambientalisticheche riguardano l’umanità intera. A seconda di come vengono fatti/svolti i pro-grammi di educazione allo sviluppo, l’insegnamento rischia di trasformarsi piut-tosto in un rituale di iniziazione alla religione dei consumi e dell’economia, incul-cando la fede in una crescita illimitata. Scaturiscono da qui alcuni inquietanti inter-rogativi:– la scuola, nel preparare i giovani ad inserirsi pienamente in una società ba-sata sull’ideologia di uno “sviluppo illimitato”, non li prepara forse a faredegli “schiavi civilizzati” di un sistema che si sta manifestando in tutta la suafragilità?– di rimando: come/cosa bisognerebbe fare per cambiare la mentalità alle nuovegenerazioni, ossia per formare nei cittadini del futuro una coscienza critica ingrado di uscire dalla spirale perversa di uno sviluppo illimitato su un pianetadalle risorse limitate? Testo per riflettere “Non permettiamo più che gli uomini politici stigmatizzino l’insopportabile violenza fatta agliindividui quando sono loro stessi a suscitarla deliberatamente, fin dall’infanzia, diffondendo, in nomedella produttività, un’educazione concentrazionaria in cui, parcheggiati in venticinque o trenta perclasse, gli scolari vengono rimbambiti dai principi di competizione e di concorrenza, sottoposti allalegge dei predoni, iniziati al feticismo del denaro, paralizzati dalla paura dell’insuccesso, infestatidall’arrivismo, abbandonati in balia di funzionari amareggiati e mal pagati, meno propensi a nutrirela curiosità delle giovani generazioni che a vendicarsi su di esse delle loro sventure”52. 51 Cfr. LAtoUCHe S., Come si esce dalla società dei consumi. Corsi e percorsi della decrescita,torino, Boringhieri, 2011, pp. 110-111.52 VAneiGem r., Pour l’abolition de la société marchande pour une société vivante, Payot & ri-vages, Paris, 202. 134 EDUCARE AL PRESENTE PER “PREPARARE” AL FUTURO Canzone per riflettere - LA STRADA (Jovanotti) C’è una strada che ti porta in tutti i posti del mondo ci camminano i ragazzi con gli zaini sulle spalle è la stradapiù lunga ma è anche la più breve è la strada della pace e della libertà. Di qua di là prima o poi da qualche parte amico si arriverà Di qua di là prima o poi da qualche parte amico si arriverà.Sono tanti gli incroci e i semafori rossi e si rischia di finire giù dai ponti e dai fossi ciò che conta però è nontornare mai indietro neanche di un metro neanche di un metro di qua, di là prima o poi da qualche parte amicosi arriverà di qua, di là prima o poi da qualche parte amico si arriverà. Qualche volta si cammina e non si va innessun posto però bisogna muoversi amico ad ogni costo qualche volta si cammina e non si sa dove andareamico non ti fermare non ti fermare.Di qua, di là prima o poi da qualche parte amico si arriverà. Di qua, di là prima o poi da qualche parte amico si arriverà.C’è una strada che ti porta in tutti i posti del mondo più o meno da qui a là più o meno da qui a là cicamminano i ragazzi con gli zaini sulle spalle pieni di cianfrusaglie pieni di cianfrusaglie è la strada più lungama è anche la più breve qualche volta si può qualche volta si deve è la strada della pace e della libertà Di qua di là prima o poi da qualche parte amico si arriverà. IL “DECENNIO DELL’EDUCAZIONE ALLO SVILUPPO SOSTENIBILE” (DESS) L’Assemblea Generale delle nazioni Unite ha affidato all’UneSCo il compitodi coordinare e promuovere le attività formative proclamando il periodo 2005-2014“Decennio dell’Educazione allo Sviluppo Sostenibile”. La scelta di dedicare unintero decennio all’educazione su scala internazionale è stata presa nel Verticemondiale sullo Sviluppo Sostenibile di Johannesburg (2002).a) Cos’è il DESS?Finalità del Decennio è quella di sensibilizzare governi e società civili versoun futuro più equo, rispettoso dell’uomo come delle risorse del pianeta, valo-rizzando il ruolo che ha l’educazione per svolgere questo compito, che non silimita all’istruzione ma si estende alla Formazione Professionale, all’informa-zione attraverso i media, alle attività del tempo libero, al mondo artistico e cul-turale. 135 in questo senso, la “cultura della sostenibilità” si basa su una prospettiva disviluppo di cui possano beneficiare tutte le popolazioni del pianeta, presenti efuture.b) Principi e attività del DESS- interdisciplinarietà: lo sviluppo sostenibile non è materia a sé ma va inse-rita nell’intero programma didattico;- acquisizione di valori: puntare a far acquisire valori piuttosto che nozio-nismi;- sviluppo del pensiero critico e ricerca della soluzione dei problemi: por-tare l’individuo a credere nelle proprie capacità e risorse e offrirgli stru-menti per provocare risposte concrete di fronte alle sfide della vita, perso-nali e sociali;- molteplicità di metodologie: a supporto di un’educazione di qualità ricor-rere all’uso di metodologie innovative interattive e stimolanti (esperienzepratiche, materiali multimediali, arte, …);- decisioni condivise e partecipate: offrire ai giovani la possibilità di parte-cipare attivamente alla programmazione delle attività formative;- coinvolgimento nel contesto locale: far partecipare i giovani alla soluzionedei problemi locali, educandoli così al senso della collettività e delle re-sponsabilità civili da assumere nei confronti del mondo in cui vivono.La vera alternativa quindi non può che essere quella di partire dall’“educare alpresente per preparare al futuro”. in una società dove i cambiamenti (climatico-ambientali, come anche geopolitici ed economico-finanziari, …) si verificano insempre più rapida successione, i sistemi educativi dovrebbero aiutare a proiettarsinel futuro immaginando possibili scenari alternativi. Cfr. sul CD: UdL n. 15 - LABORATORIO: Esercizi nn. 59-63 53 Da: www.testi per riflettere. Indiani d’America. 136 Le sempre più potenti e innovative tecnologie trovano piena applicazione neipiù disparati settori dell’evoluzione umana:– lo scambio delle informazioni a livello planetario e in tempo reale;– le maggiori opportunità di mobilità umana;– gli scambi di mercato su scala globalizzata;– i cambiamenti geopolitici (le “primavere”…);– la diffusione delle nuove tecnologie informatiche anche negli angoli più remotidel pianeta;– …Contestualmente alle tecnologie crescono parallelamente problematiche suscala planetaria:– lo sfruttamento selvaggio e incondizionato delle risorse del pianeta;– le crisi economico-finanziarie in sempre più rapida successione;– l’inquinamento atmosferico e ambientale;– l’aumento e diffusione di patologie fisiche (virus, pandemie, …) e psichiche(stress, perdita d’identità, malattie psichiatriche, …);– la concentrazione dei poteri forti in mano a pochi (finanza, economia, sistemi diinformazione e di comunicazione …);– la tendenza ad inglobare/omologare le minoranze culturali nelle culture domi-nanti;– l’accentuarsi di fanatismi e di fondamentalismi di varia natura;– le guerre, i genocidi, le rivoluzioni;– il radicarsi del pensiero unico;– l’idolatria verso il sistema dei consumi attraverso la pubblicizzazione dei pro-dotti;– … Testo per riflettere “Vi è molto di folle nella vostra cosiddetta civiltà.Come pazzi voi uomini bianchi correte dietro al denaro, fino a che ne avete così tanto,che non potete vivere abbastanza a lungo per spenderlo.Voi saccheggiate i boschi e la terra, sprecate i combustibili naturali.Come se dopo di voi non venisse più alcuna generazione,che ha altrettanto bisogno di tutto questo.Voi parlate sempre di un mondo migliore, mentre costruite bombe sempre più potentiper distruggere questo mondo che pensate di migliorare”(“Toro Seduto”) 53 UdL n. 16 - RICCHI & POVERI i parte - QUADRO TEORICO 137 La povertà, il commercio delle armi, i conflitti per il possesso delle risorseenergetiche e dell’acqua, il degrado ambientale, i cambiamenti climatici provocatida dinamiche non ancora del tutto conosciute, i profughi di guerre ed i profughiambientali (ossia quelli costretti a fuggire dalle loro terre non soltanto da una po-vertà strutturale classica ma da una povertà indotta da siccità, inondazioni, terre-moti che fanno scomparire improvvisamente le fonti di reddito), sono tutti feno-meni strettamente interconnessi. “VERSO DOVE” STIAMO ANDANDO? QUALE FUTURO SI PROSPETTA DEL PIANETA? Per osservare quali scenari futuri ci attendono, è necessario partire da un datodi fatto: il 20% della popolazione mondiale consuma l’80% delle risorse mon-diali.in uno studio dell’onU sulle proiezioni della popolazione mondiale 2010-2050, vengono prefigurati i seguenti scenari54:– entro il 2050 è previsto un incremento della popolazione mondiale di altri 2miliardi e mezzo; il fenomeno si verificherà per due terzi dei casi nei paesi po-veri e nell’altro terzo in quelli a più rapida crescita economica (Cina, india,Brasile...).– Sempre entro il 2050 è previsto un aumento di 1,7 miliardi di persone in età la-vorativa (dai 15 ai 65 anni) in particolare nei paesi emergenti; ciò significadover mettere in atto strategie per creare altrettanti nuovi posti di lavoro che,parallelamente all’innalzamento del livello di istruzione (che a sua volta con-tribuisce all’emancipazione delle popolazioni e in particolare della condizionegiovanile/femminile), richiedono di essere rispettosi della dignità umana e deltitolo di studio conseguito. 54 GoLini A. (a cura di), Il futuro della popolazione nel mondo, Bologna, il mulino, 2009. 138 – nello stesso periodo ci si aspetta un incremento di 1 miliardo di persone conoltre 65 anni di età, che metteranno a dura prova i già precari sistemi pensioni-stici e di welfare; con il rischio che l’invecchiamento demografico si tramuti ininvecchiamento economico-politico (tendenze conservatrici a fronte dell’ur-genza di varare politiche innovatrici).– A partire dall’autunno 2011, il numero degli abitanti nei contesti urbani è dive-nuto superiore a quelli rurali, a causa dello spostamento in masse di popola-zioni rurali verso le città.– nel Rapporto sullo Sviluppo Umano 2010, delle nazioni Unite, si afferma che1,7 miliardi di persone vivono in situazione di povertà multidimensionale (sa-lute, istruzione, standard di vita, ...), con 1 dollaro o meno al giorno. “Noi viviamo a spese di altre regioni del mondo e delle generazioni future”(Ufficio federale svizzero dello Sviluppo territoriale) in sintesi, le principali sfide che oggi l’umanità intera si trova a dover affron-tare, riguardano: AMBIENTE - SALUTE - ALIMENTAZIONE tutte queste problematiche hanno poi una ricaduta diretta sugli abitanti dellaterra, con gravi conseguenze per tutti, indistintamente, a livello della qualità dellavita.L’umanità infatti sembra oggi sotto la minaccia di una serie di “bombe”, che“scoppiano” sempre più frequentemente: bombe ecologico-ambientaliste, econo-mico-finanziarie, demografiche, migratorie, biogenetiche…in questo scenario la globalizzazione viene sempre più configurandosi comeun processo a “zero etica”, un potere autoreferenziale in mano a pochi che, sullabase dei principi di competitività e di supremazia dei mercati, sfruttano senza limitiil pianeta ed i suoi abitanti. 139 MACRO-SCENARI DEL TERZO MILLENNIO 1. Squilibri tra Paesi ricchi/poveria) Qualità della vita: nei paesi del nord del mondo si trova: il 60% delle ri-sorse alimentari, il 70% dell’energia mondiale, il 75% dei metalli, l’81%del commercio mondiale, l’83% del reddito mondiale, il 90% dei risparmimondiali, il 95% dei sistemi bancario-finanziari.b) Lo sfruttamento delle risorse energetiche: dalla metà del secolo scorso adoggi l’umanità è stata capace di consumare tante risorse quante non neaveva consumate l’uomo lungo tutta la storia. Sul banco degli imputati cisono soprattutto le risorse energetiche non rinnovabili (petrolio, gas natu-rale, uranio, …), in rapido esaurimento; si stima che entro la metà di questosecolo si esauriranno le scorte di energia di cui ci si è egoisticamente ap-provvigionati finora, per cui le generazioni future si troveranno inevitabil-mente di fronte all’impossibilità di usufruire dell’attuale modello di svi-luppo. Sono l’uomo occidentale nella classica accezionecioè nel senso che so bene che so bene cosa faree so fare molto bene tutto quello che mi paree nel senso che d’estate vado quasi sempre al maree d’inverno e d’inverno e d’inverno sulla neve.Sono l’uomo occidentale e il concetto è elementaree comporta anche il dovere di pensare a manteneresenza orgoglio e presunzione l’equilibrio mondialee per questo ho il mio daffareperché ho un obbligo moralee mi accollo l’incombenzaqui nel più alto gradinosi nel più alto gradino della civilizzazione.Sono l’uomo occidentale ed ho l’onere e l’onoredi vedere e provvedere destreggiarmi come possonel mio ruolo di paciere e chi non vuole ascoltare io lo devo allinearee mi devo adeguare alla logica del maleper potere garantire una sana convivenzasul pianeta in questione.Se pensate di sapere se c’è un’altra soluzionesventolate i gagliardetti alla manifestazionefate un cenno almeno un cennosolo un cenno di adesioneio per quanto mi riguarda voglio a tutti molto bene.Sono l’uomo occidentale nella classica accezionee ripeto e ribadiscoanche in modo maniacaleche in barba alle apparenzequi va tutto a gonfie vele!... Canzone per riflettere - “L’UOMO OCCIDENTALE” (Bennato) 140 c) L’accaparramento, il cattivo uso e lo spreco dell’acqua potabile: il 97%dell’acqua presente sul pianeta è salata e solo il 3% è quella che serve al-l’uomo; negli USA l’utilizzo procapite giornaliero dell’acqua dolce è di 400litri, in madagascar di 5 litri; l’85% dell’acqua utilizzata nei paesi ricchitorna al mare inquinata; nei paesi in via di sviluppo l’80% delle malattie de-riva dall’acqua sporca o inquinata.d) La distruzione dei boschi e delle foreste: finora è stato abbattuto oltre unquinto dell’intera superficie forestale tropicale, con questo ritmo entropoche decine di anni le foreste andranno poco alla volta a scomparire, congrave ricaduta sulla qualità dell’aria sul pianeta; le maggiori cause della di-struzione delle foreste sono: taglio e incendio di intere aree per fare spazioa terre coltivabili o allevamento di bestiame, abbattimento per uso indu-striale (legname pregiato) o per energia (un terzo della popolazione mon-diale usa ancora la legna per cucinare); tutto questo ha una ricaduta anchesulla vita di tutte quelle specie animali/vegetali che vivono nelle foreste(circa la metà), dal momento che la loro sopravvivenza è minacciata conte-stualmente al dissesto e/o alla distruzione del loro habitat. 2. C’è allarme per chi non mangia come per chi mangia troppoa) Allarme obesità. Alcuni rilevamenti effettuati in questi ultimi anni in eu-ropa e in italia attestano che:- nell’europa dei 27 Paesi, oltre la metà della popolazione maschile èobesa o in sovrappeso;- in italia il 34.2% è in sovrappeso e il 9.8% obeso, con la previsione chenel 2025 il tasso di obesità riguarderà il 14% della popolazione;- i bambini italiani in sovrappeso o obesi fanno registrare il più alto tassod’europa (34.1%).i costi dell’obesità in italia:- il peso sui conti pubblici: 22,8 miliardi di euro all’anno;- il costo personale in salute: ogni anno muoiono per obesità 390 personeogni 10mila abitanti; è stato calcolato che l’aspettativa di vita di unobeso è di 10 anni in meno. 141 a) Allarme fame nel mondo. nel presentare il Rapporto FAO 2009 il DirettoreGenerale ha fatto presente i seguenti squilibri presenti sul pianeta:- il numero delle persone che soffrono la fame ha raggiunto il picco sto-rico di 1,02 miliardi;- 7 milioni di bambini muoiono ogni anno per mancanza di cibo. 3. Quando i cosiddetti “aiuti al Terzo Mondo” fanno più male che benea) Gli aiuti alimentari. Se si prescinde da catastrofi naturali, in genere taliaiuti fanno più male che bene, perché:- nei confronti dei governi riceventi: non vanno a coloro che ne hanno piùbisogno; non stimolano a incoraggiare la propria agricoltura; l’aiuto ècondizionato dalle politiche dei paesi ricchi;- nei confronti del produttore locale fanno concorrenza alla produzionelocale;- nei confronti del consumatore locale: abituano a consumare alimenti chenon vengono prodotti in loco; rinforzano la domanda di prodotti da im-portare; al tempo stesso sviluppano nella popolazione ricevente unamentalità all’assistenzialismo.b) Gli aiuti finanziari. Fanno più male che bene, perché:- il denaro è prestato a condizione che il paese ricevente lo spenda percomprare beni prodotti dal paese che ha concesso il prestito;- tra questi “beni” acquistati nei paesi concessionari del prestito, unaquota maggioritaria è destinata alle armi: quanto maggiori sono le pro-blematiche sociali di un paese in via di sviluppo, tanto più “necessarie”saranno infatti le armi per garantire alla classe dominante di mantenere ipropri privilegi; di conseguenza non è raro che il denaro prestato ritorninelle casse dei Paesi donatori sotto forma di pagamento di armi. 142 c) Gli aiuti attraverso le nuove tecnologie. Fanno più male che bene, perché:- i profitti che le multinazionali riportano in patria sono maggiori degli in-vestimenti fatti nei paesi in via di sviluppo, grazie soprattutto allo sfrut-tamento sul lavoro;- con la diffusione su scala planetaria dei sistemi massmediali e dellenuove tecnologie informatiche, i paesi industrializzati importano neipaesi in via di sviluppo la loro cultura (telenovelas, stili di vita, modellidi consumo, scale di valori, …), provocando effetti devastanti sui valorie sulle culture locali tradizionali. Un miliardo di persone nel pianeta vivono con meno di un dollaro al giorno. Non stanno tentando di battere nessun record e non hanno fatto voto di povertà, la loro realtà non è una scelta ma la loro unica possibilità. Un dollaro al giorno toglie il medico di torno nel senso che le persone non hanno la possibilità di curarsi e nemmeno di informarsi, non possono studiare e nemmeno contribuire in nessun modo a cambiare la loro situazione. L’economia dei paesi nei quali vivono è schiacciata da un debito estero talmente grande che non rimane neanche un soldo da spendere per lo sviluppo delle cose basilari: la salute, l’educazione. L’unica risorsa che resta alla popolazione è l’emigrazione verso i paesi più ricchi e poi la storia la conosciamo e sappiamo spesso come va a finirema io vorrei usare il microfono e la televisione per chiedere da qui di dare un segno profondo alla questione del debito estero di molti paesi del Sud del mondo che sono soffocati dal divario accumulato verso i governi ricchi del mondo cosiddetto industrializzato, paesi che per secoli sono stati colonizzati e poi fatti annegare nel mare di un progresso difficile da sostenere per carenza di infrastrutture e zero potere decisionale al tavolo per niente rotondo della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionalecancella il debito! Canzone per riflettere - “CANCELLA IL DEBITO” (Jovanotti) 143 4. “Guerre” dell’uomo contro l’uomo Quanti sono i conflitti nel mondo?Quali Paesi sono attualmente coinvolti in tali conflitti?Rispetto al passato le guerre sono aumentate o diminuite?Le guerre si fanno solo con le armi? È difficile stabilire il numero delle guerre, dal momento che le situazioni cam-biano di giorno in giorno. Comunque è sempre possibile osservare che:– mentre diminuiscono le guerre tra gli Stati aumentano invece i conflitti interniagli Stati;– tali conflitti si concentrano particolarmente negli Stati più poveri al mondo;– a pagare le conseguenze di tali conflitti sono soprattutto i civili e le popola-zioni più povere.in tutti questi casi si verificano inevitabilmente catastrofi umanitarie caratteriz-zate da:– sfaldamento di uno Stato;– caos nelle principali istituzioni deputate alla pubblica amministrazione (scuola,sanità, lavoro, commercio, …), non più in grado di gestire la vita di una na-zione;– violenze nei confronti della popolazione civile (bombardamenti, morti, feriti, …);– esodo di intere popolazioni che scappano dalle aree dei conflitti, parte dellequali – è cronaca ormai quotidiana – per andare a morire in mare; ma anchechi riesce a salvarsi ha poche probabilità di realizzare nei paesi dell’”altrasponda” il miraggio di una migliore qualità della vita. 144 Vengono meno, di conseguenza, quelle garanzie che l’UnDP55 ha attribuito alconcetto di “sicurezza umana”:– economia (lavoro, reddito di base);– alimentazione (adeguate calorie giornaliere);– sanità (disponibilità di servizi sanitari);– ambiente (prevenzione dal degrado ambientale); A cosa serve la guerradiciamo la veritàserve soltanto a vincer la garadell’inutilità.La guerra non dice nienteguardati intorno e ci arriviperché la vincono sempre i buonila perdono sempre i cattivi.Ogni soldato che parteogni soldato del revorrei raggiungerlocon questo valzerfargli cantare con me.La guerra è sempre la stessaognuno la perderàe a ogni soldato che muore si perdeun po’ di umanità.La guerra è sempre la stessadevi partire e non saise è una minacciao se è una promessache è l’ultima guerra che fai. Come uno stupido valzerla storia non cambieràma è sempre megliocantarla ogni tantoquesta canzone che fa.A cosa serve la guerraguardati intorno e ci arriviperché la vincono sempre i buonie la perdono sempre i cattivi.La guerra è un caso irrisoltoperché la sua soluzioneè che il più deboleha sempre tortoe il più forte ha sempre ragione.A cosa serve la guerradiciamo la veritàserve soltanto a vincer la garadell’inutilitàdell’inutilitàdell’inutilità. Canzone per riflettere - “A COSA SERVE LA GUERRA” (Bennato) 55 UniteD nAtionS DeVeLoPment ProGrAmme (UnDP), Human Development Report 1994,new york, oxford Univ. Press, 1994, p. 23. 145 – sicurezza personale (prevenzione dalla criminalità, dalle violenze);– sicurezza sociale (prevenzione dalle guerre, dai conflitti etnici, settari);– stabilità politica (nelle istituzioni deputate alla gestione della cosa pubblica). 5. “Guerre” dell’uomo contro la natura e della natura contro l’uomo il Consiglio di Sicurezza dell’onU ha preparato nel 2007, attraverso l’UneP(United Nations Environment Programme), un testo dove vengono indicate 4 tipo-logie di conflitti indotti dai cambiamenti climatici:– inquinamento dell’acqua potabile;– diminuzione della produzione di cibo;– aumento dei disastri causati da catastrofi naturali (tempeste, alluvioni, terre-moti, tzunami, …);– migrazioni indotte da cambiamenti climatici, politici e ambientali.il CreD (Centre for Research on the Epydemiology of Desasters) a fine 2009ha presentato un rapporto sulle catastrofi naturali nel mondo, dove si rileva che:– nel 2009 sono stati registrati 245 eventi catastrofici relativamente a 4 sotto-gruppi: geofisici (terremoti, eruzioni vulcaniche), idrologici (alluvioni), meteo-rologici (cicloni, tzunami), climatologici (temperature estreme);– tali fenomeni hanno coinvolti 58 milioni di persone, provocato circa 9.000morti (a causa dei mutamenti climatici) e prodotto danni per 19 miliardi di dol-lari;– le vittime e le persone coinvolte in questi disastri appartengono per lo più aiPaesi poveri e/o il fenomeno si ripercuote prevalentemente là dove esistonocondizioni di vita al di sotto del livello di sostentamento, ed hanno una con-causa nella crescita demografica incontrollata, nel sovraffollamento urbanoforzato, nell’abbandono delle campagne, nella carenza di infrastrutture e diservizi pubblici (sanità, educazione, lavoro, …), nella cattiva qualità delle co-struzioni, nella mancanza di gestione del territorio.Sempre nello stesso rapporto, il principale fattore di rischio per il futuro vieneindividuato nei cambiamenti del clima (a cui vengono attribuiti oltre il 90% dei dis-astri elencati sopra). A tutto questo si aggiunge un aumento esponenziale dei disa-stri tecnologici (incidenti industriali, nucleari, di trasporto di prodotti chimici, dipetrolio, di gas, …).Secondo la ricerca dell’iPCC (Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Cli-matico), se la temperatura media aumenterà ancora di oltre 2°C, morirà più del40% delle specie viventi, con gravi conseguenze sull’alimentazione e quindi anchesulla sopravvivenza dell’uomo sul pianeta56. 56 merCALLi L., Che tempo che farà. Breve storia del clima con uno sguardo al futuro, milano,rizzoli, 2009, p. 260. 146 La causa delle emergenze sociali, ambientali, climatiche, va individuata nelperseguire caparbiamente una via allo sviluppo caratterizzata da diseguaglianze tranord e sud del mondo, ingiustizie, conflitti per l’accaparramento delle risorse pri-marie (energia, acqua, cibo, …).Le conseguenze prima o poi le paghiamo tutti indistintamente e in vari modi:costo della vita, surriscaldamento del pianeta, salute, crisi economico-finanziarie insuccessione, qualità della vita, … Per di più tali conseguenze vengono lasciate ineredità alle prossime/future generazioni. Senza una pari opportunità di accesso ai beni che permettono a tutti una qualitàdella vita e una vita più dignitosa (democrazia, istruzione, risorse energetiche, ali-mentazione, salute, ambiente, acqua, …) difficilmente si potranno arginare le crisiprodotte da questo sistema fatto di ingiustizie e di diseguaglianze, per imboccare lastrada verso uno sviluppo globale equo e solidale.Al tempo stesso rimane un dato di fatto che, in assenza di una autorità preco-stituita sovranazionale, a cui tutti i Paesi del mondo dovrebbero fare riferimentoper salvaguardare i propri diritti, le attuali politiche di sopraffazione, il far levasulla supremazia delle armi per mantenere i propri privilegi, lo sfruttamento arbi-trario e selvaggio delle risorse …, sono tutti elementi interconnessi che stanno allabase della catena di guerre e di catastrofi a cui stiamo assistendo, nella maggiorparte dei casi come spettatori passivi e impotenti. CHE RISPOSTA È STATA DATA A QUESTE PROBLEMATICHE DA PARTE DEI PAESIRICCHI? nel summit mondiale di rio de Janeiro (1992) i paesi ricchi hanno deciso didestinare lo 0.7% del proprio Prodotto interno Lordo allo sviluppo dei Paesi poveri.i Paesi che per tre anni consecutivi (2005-2007) hanno mantenuto questa promessa, 147 sono: Svezia, Lussemburgo, norvegia, olanda, Danimarca. negli altri Paesi nonsolo tale impegno non si è mantenuto, ma esso è stato talora barattato con la riscos-sione del debito che i Paesi poveri avevano nei loro confronti e/o con altri “com-promessi”, più o meno legali.A più di 20 anni di distanza, è cambiato qualcosa? non pare, anzi le emergenzesi sono moltiplicate. Quali potrebbero essere, allora, le risposte che si potrebberodare al riguardo?Un intervento umanitario perché possa definirsi “in equilibrio” su un asse dirapporto simmetrico e paritario e al tempo stesso “attrezzato” a portare “sviluppo”piuttosto che “dipendenza”, dovrebbe possedere caratteristiche ben diverse dall’at-tuale sistema di aiuti internazionali, ossia:– rispettare anzitutto le culture locali;– essere in grado di andare alla radice delle cause che richiamano al bisogno diintervenire;– saper combinare azioni di risposta a bisogni immediati, con azioni finalizzateallo sviluppo a medio e lungo termine;– puntare a rafforzare le capacità progettuali, organizzative ed economiche deipartner locali;– puntare sulla partecipazione attiva dei beneficiari, a livello dei singoli comedelle comunità. tutto questo non può non provocarci, rimandando ad una serie di interrogatividi fondo: si può stare alla finestra a guardare? Ed inoltre, fino a che punto sarà possibile mantenere il nostro attuale stile divita senza compromettere quelle delle future generazioni? Cfr. sul CD: UdL n. 16 - LABORATORIO: Esercizi nn. 64-66 148 57 merCALLi L., Prepariamoci…, o.c., p. 126. IL COMANDAMENTO DELLA PUBBLICITÀ: FARTI SBAVARE! “Sono un pubblicitario: ebbene, sì, inquino l’universo. Io sono quello che vivende tutta quella merda. Quello che vi fa sognare cose che non avrete mai … io vidrogo di novità e il vantaggio della novità è che non resta mai nuova. C’è sempreuna novità più nuova che fa invecchiare la precedente. Farvi sbavare è la mia mis-sione. Nel mio mestiere nessuno desidera la vostra felicità, perché … la gente che èfelice non consuma!” (F. Beigbeder)57. UdL n. 17 - “COMPRARE È COME VOTARE!” i parte - QUADRO TEORICO Non vi fermatedovete costruire la vostra torrela torre di Babelesempre più grandesempre più alta e bella... Siete o non siete i padroni della terra?Strappate tutti i segreti alla naturae non ci sarà più nienteche vi farà paurae sarete voi a far girare la terracon un filo, come una trottoladall’alto di una stella.E quella stella sarà il quartiere generaleper conquistare quelloche c’è ancora da conquistare e da quella stellaper tutto l’universol’uomo si spazia, per superare se stesso.Non vi fermatedovete costruire la vostra torrela torre di Babelecosti quel che costianche guerradopo siete o non siete i padroni della terra?Non vi fermatedovete costruire la vostra torrela torre di Babelesi deve fare e serve a dimostrareche l’uomo è superiorea ogni altro animale!... Canzone per riflettere - “LA TORRE DI BABELE” (Bennato) 149 “ANCHE TU VALI, ANCHE TU PUOI DIVENTARE QUALCUNO …” Se proprio vuoi sapere di che personalità hai bisogno per avere successo nellavita, per farti apprezzare, per conquistare l’altro sesso …, basta chiederlo ad unpubblicitario: ti offrirà subito l’immagine, l’identikit, il prototipo dell’uomo di suc-cesso, insegnandoti al tempo stesso come arrivare a scalare i gradini più alti dellasocietà. Basta che compri quello che dice lui! PIÙ consumo = PIÙ mi “sviluppo”??? Se ci facciamo caso, i cosiddetti Paesi “più sviluppati” impiantano il loro si-stema di sviluppo su queste tre colonne:– la loro “religione” è l’economia;– il loro “profeta” è la crescita illimitata dei prodotti di consumo;– la “terra promessa” sono i mezzi di comunicazione di massa che, pubbliciz-zando tali prodotti, fanno sbavare.Chi non accetta questa religione passa per “ateo” dello sviluppo e del pro-gresso. Ma … fino a che punto ci possiamo permettere tutto questo sviluppo? il vero problema che si pone oggi, infatti, è come uscire dal cortocircuito diuno sviluppo che cavalca l’ideologia del “Produrre di +” x “Consumare di +” “La terra ha abbastanza per il bisogno di ognuno, ma non per l’ingordigia di tanti” (Gandhi) “È sufficiente la crescita della temperatura di soli 2 gradi perché zone costierevengano sommerse, dando avvio ad una serie di catastrofi: decine se non centinaiadi milioni di profughi ambientali (fino a 2 miliardi, secondo alcuni calcoli), graviproblemi alimentari, una penuria di acqua potabile per molte popolazioni […] 150 ormai il problema non è più quello di evitare la catastrofe, ma solo di limitarla, esoprattutto di domandarsi come gestirla”58. SI PUÒ ANDARE AVANTI SULLA LOGICA DI UNA CRESCITA ILLIMITATA, SU UN PIANETADALLE RISORSE LIMITATE? “Chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all’infinito in un mondo finito o è un pazzo oppure un economista” (K.e. Boulding) Prima della rivoluzione industriale il produttore e il consumatore in genereerano la stessa persona: nelle civiltà contadine ognuno aveva un margine di sussi-stenza autonomo in quanto produceva gli alimenti, sapeva come trattarli per con-servarli e poi consumarli.La “rivoluzione” industriale viene chiamata così perché ha comportato la rot-tura del rapporto “produttore-consumatore”, facendoli diventare due distinti prota-gonisti del sistema:– la produzione diventa di massa;– la produzione di massa a sua volta si basa sul bisogno di avere a disposizionesempre più masse di consumatori.A questo punto non resta che affidare al martellante bombardamento di mes-saggi pubblicitari il ruolo di fare da cassa di risonanza ai prodotti, alimentando cosìin un numero sempre maggiore di consumatori il “bisogno di consumare”.il consumo di massa offre infatti un’identificazione senza identità, permette diaffermare appartenenze senza radici, partorisce i cosiddetti “figli di nessuno”, nelsenso che vivono parcheggiati in quella terra di nessuno dove né la famiglia né i si-stemi formativi sono in grado di svolgere una funzione educativa al consumo. 58 LAtoUCHe S., Come si esce dalla società dei consumi. Corsi e percorsi della decrescita, to-rino, Boringhieri, 2011, p. 33. 151 CAMBIARE COME? C’è chi ha intravisto l’alternativa a questo sistema nel concetto di “svilupposostenibile”. Attualmente però anche il concetto stesso di “sostenibilità” sta rice-vendo scarsa accoglienza da una certa parte della scienza, in quanto ritenuto pocoaffidabile; o meglio, una strategia per “inquinare meno per poter inquinare più alungo”. “Il danno collaterale del consumo è costituito dai rifiuti” (G. Viale) C’è quindi chi vede l’alternativa nel ritorno ad una produzione di sostenta-mento personale e/o localizzata, da contrapporre alle multinazionali, alla globaliz-zazione dei mercati. Una produzione agricola locale, stagionale, tradizionale, eco-logica …, può infatti sostituire perfettamente l’offerta commerciale della grandedistribuzione. in questo senso, la ricerca di una migliore qualità della vita richiedeperciò di tornare a coltivare gli orti di casa propria, l’agricoltura di prossimità, svi-luppare le associazioni per il mantenimento dell’agricoltura contadina, per le pic-cole imprese artigianali, per favorire le fonti di energia rinnovabile. OGGI I GIOVANI SONO IN GRADO DI FAR FRONTE ALLE SISTEMATICHE TENTAZIONI ACONSUMARE, SCATENATE DALL’AGGRESSIONE MEDIATICA? Da quando la condizione giovanile si caratterizza per trascorrere più tempo da-vanti a uno schermo che sui banchi di scuola, il vero rischio allora è quello della“clonazione dei cervelli”. ed è proprio questo che fa girare il motore della logicaperversa del produrre di + x consumare di + 152 Testo per riflettere “Nella trappola dei consumi.Il potere del denaro tira i fili della società dei consumi: per creare continui bisogni, blandisce idesideri e inasprisce i sensi. Soprattutto i giovani sono il “bersaglio” di un’immensa artiglieria di-retta dalle regole del profitto.Vedremo mai un giorno i giovani manifestare contro questa aggressione commerciale, di cuisono il principale obiettivo?L’uomo moderno è marchiato:– dalla pubblicità, che perfeziona sempre di più i suoi metodi per sollecitare il suo inconscio;– dalle mode, che fanno di lui una pecora servilmente obbediente all’inarrestabile cambio dei mo-delli;– da tutti i mezzi di comunicazione, che veicolano sempre nuovi stili di vita.Perché tutto questo?L’uomo vuole possedere sempre di più, andare sempre più in fretta, salire sempre più in alto,scoprire sempre di più.Il desiderio è la fonte di ogni progresso, ma è anche il rischio di possedere tutto e subito: il de-siderio di avere fino all’avarizia, il desiderio di inerzia fino alla pigrizia, il desiderio di relazione finoalla gelosia, il desiderio di consumo fino alla golosità …”59. COMPRARE È COME ANDARE A VOTARE! La scelta di un prodotto porta di fatto ad “eleggere” una marca commercialepiuttosto che un’altra.in genere chi compra (in particolare se giovane) è portato a scegliere le marchepiù note, quelle che vanno di moda, e che quindi sono tra le più ambite e ricercatedalle masse dei consumatori. Chi produce queste marche a sua volta ha fatto primaancora la scelta di andare incontro ai “gusti” dei consumatori e, in via normale, chiriesce a dare queste risposte “appetibili” (grazie anche alla pubblicità) sono soprat-tutto quei colossi internazionali meglio conosciuti come “multinazionali”.Di conseguenza, quando compriamo un prodotto di marca che va per la mag-giore, in pratica diamo un “voto” a sostegno di una multinazionale. e, sostenendouna multinazionale, siamo al tempo stesso anche noi responsabili nell’affermare lasua logica di sistema: produrre, per vendere, per trarne il massimo profitto.A questo punto qualcuno potrebbe chiedersi: “e Io che c’entro in tuttoquesto?”C’entri più di quanto tu possa pensare. Prova a farti quest’altra domanda: dadove viene la maggior parte dei prodotti?Dalle multinazionali. e le multinazionali si sostengono unicamente in basealla logica del profit. Cosicché i loro prodotti potrebbero avere a che fare con unastoria che riguarda: 59 Sonet D., Scoprire l’amore, torino, Sei, 1992, p. 71. 153 – persone che sono state sfruttate per produrre;– diritti umani che sono stati calpestati;– territori che sono stati deforestati;– ambienti/terreni che sono stati inquinati;– bambini costretti a lavorare e/o ad imbracciare il fucile, invece di andare ascuola;– …Grazie al potere di contrattazione e alle tecnologie di cui dispongono, le multi-nazionali infatti sono in grado di condizionare i prezzi ancora a partire dalle ma-terie prime e, in sequenza, anche quelli della produzione e della vendita sui mercatidella distribuzione.ovviamente le materie prime le multinazionali le vanno a prelevare dove co-stano meno e/o dove possono “sfruttare” al meglio la manodopera, e questo nor-malmente avviene nei Paesi meno sviluppati, che hanno le materie prime ma non letecnologie per trasformarle e per commerciare i loro prodotti. Per cui in definitiva sei “TU”, in quanto al capolinea di un percorso che vadalla materia prima al trattamento del prodotto e poi all’acquisto, che con il tuo de-naro e con le tue scelte permetti tutti questo. STRATEGIE PER UN “ALTRO CONSUMO”: DALLA CRITICA AL CONSUMO, AL CONSUMOCRITICO Un diverso modo di consumare può essere definito “critico” quando la sceltadei prodotti viene fatta non solo in base al prezzo e alla qualità, ma anche allastoria della loro produzione e al comportamento delle imprese multinazionali. Le imprese tengono costantemente sotto controllo il “termometro” di consumodei loro prodotti. Di conseguenza ciò che temono più di tutto è vedererifiutata/scartata la loro merce e, conseguentemente, anche l’“immagine” pubblici-taria attraverso cui cercano di catturare l’interesse del consumatore “facendolo sba-vare”. 154 Per cui se nel fare la scelta di un prodotto si adottasse un principio etico se-condo il quale le multinazionali che non rispettano l’uomo e l’ambiente vengonoscartate, si invierebbe loro un preciso messaggio: “ti boicotto, perché il tuo mododi produrre merce produce anche ingiustizie”.tuttavia per fare una scelta alternativa ai prodotti più pubblicizzati e/o che ap-partengono a quelle multinazionali che traggono maggior profitto dal non rispettodell’etica (umana, sociale, finanziaria, …) è necessario conoscere anzitutto qualialtre possibilità di scelta ha a disposizione il consumatore.il primo passo consiste in una chiara disponibilità a voler mettersi in gioco:“cosa posso fare Io per cambiare questo sistema”?Chiaramente uno, da solo, non è niente di fronte a questi giganti, ma tanti “io”possono far cambiare il sistema, sia a livello micro che macro. 1. A livello micro:a) Anzitutto per poter avere un ampio ventaglio di informazioni sulle possibiliscelte alternative, oggi sono disponibili apposite “Guide al consumo”, reperi-bili anche su internet.b) Al tempo stesso spetta anche al consumatore rispettare certe regole etiche,quali:– ridurre i consumi: dal risparmio energetico, alla riduzione dei consumi su-perflui; dalla diminuzione dei rifiuti, alla limitazione dell’uso dei mezzi ditrasporto privato a favore di quelli pubblici; – riutilizzo dei prodotti: è una scelta che permette di prolungare la vita ai tantioggetti (metalli, carta, plastiche, …) che siamo abituati a buttare via quandosarebbero ancora utilizzabili, creando così inutili costi di smaltimento espreco di risorse naturali; – produrre meno rifiuti: il fenomeno è ormai cronaca di quotidiana emer-genza, in quanto si sta superando ampiamente il punto di non ritorno, ossiala capacità del pianeta di assorbirli e trasformarli; in particolare i rifiuti pro-dotti dagli imballaggi (quando si fa la spesa “si pagano sacchi di cose dabuttare”…).c) nel fare l’acquisto bisognerà tener conto di tutta una serie di parametri chehanno a che fare con l’impatto sociale e ambientale:– con l’impatto sociale: significa valutare gli acquisti non solo in base alprezzo e alla qualità della merce, ma anche a quanto vi sta dietro, ossia ilcosto della pubblicità, il messaggio ipnotico che sta sotto il prodotto miratoa creare il bisogno di acquisto, le garanzie ecologiche (eccesso di plastichee di imballaggi, …), la marca di multinazionali che hanno fama di fare af-fari illeciti, le condizioni di lavoro, il rispetto dei diritti fondamentali dei la-voratori, l’impiego di lavoro minorile, il rapporto dell’impresa con regimioppressivi, con la produzione di armi...;– con l’impatto ambientale: l’inquinamento provocato per smaltire certi pro- 155 dotti, il consumo eccessivo di risorse non rinnovabili, l’utilizzo di pesticiditossici, la violazione di leggi di tutela ambientale, la sperimentazione suanimali, ...d) infine, quando la lotta si fa dura, si può persino ricorrere anche a vere e proprieforme di “boicottaggio” di massa, mirate a sensibilizzare la gente affinché sieviti di acquistare quei prodotti che rappresentano una vera e propria minacciaper l’uomo, a causa della diseguaglianza tra ricchi e poveri, tra nord e sud delmondo, e per la sopravvivenza stessa della vita sulla terra. in questo modo anche il singolo, selezionando i prodotti sulla base di una seriedi questi parametri, può diventare, da consumatore manipolato, a vero e proprio at-tore di cambiamento, recuperando quel potere di scelta e di acquisto che dovrebbeindurre il produttore ad un comportamento più etico, con il beneficio di tutti. 2. A livello macro: a) C’è chi ha suggerito una serie di 10 “R”per cambiare il rapporto con il sistemadei consumi60:1. Ristabilire un’etica ecologica;2. Ridurre i trasporti internazionalizzando i costi attraverso ecotasse adeguate;3. Ri-localizzare le attività;4. Ripristinare l’agricoltura contadina;5. Ridistribuire i profitti ricavati dall’aumento di produttività per ridurre iltempo di lavoro e creare nuova occupazione;6. Rilanciare la produzione di beni relazionali;7. Ridurre gli sprechi di energia;8. Ri-moralizzare lo spazio pubblicitario;9. Ri-orientare la ricerca tecnico-scientifica;10.Riappropriarci del “nostro” denaro.b) Altri ancora hanno indicato una serie di strategie alternative che si possonomettere in atto61:– usare meno energia e ottenerla il più possibile da fonti rinnovabili;– riciclare tutto il riciclabile;– viaggiare solo quando indispensabile;– produrre e mangiare cibo locale: meno globalizzazione, più autoprodu-zione;– minimizzare lusso e superfluo;– eliminare gli sprechi, ovunque;– abolire il PiL;– ridurre l’orario di lavoro; 60 LAtoUCHe S., o.c., p. 56.61 merCALLi L., Prepariamoci, o.c., pp. 47 - 49. 156 – utilizzare il più possibile il telelavoro;– ridefinire il concetto di benessere;– riprendere contatto con la natura e le bellezze paesaggistiche;– non lasciare che sia l’economia a guidare la politica;– affiancare gli ecologisti agli economisti;– fondere carri armati e portaerei e trasformarli in cose più utili alla società;– passare dalla competizione alla cooperazione/condivisione;– incoraggiare la ricerca mirata a dare risposte alternative all’attuale sistemadei consumi;– eleggere rappresentanti politici giovani e preparati;– respingere quella pubblicità che impone modelli sociali basati sull’appa-renza e sull’effimero;– fare gruppo/rete con chi ha gli stessi problemi sociali;– evitare certa televisione-spazzatura, dando più tempo alla lettura;– sprecare meno risorse accontentandoci di rimanere su livelli essenziali dibenessere: casa, acqua calda e riscaldamento; autosufficienza alimentare; li-velli accettabili di servizi sociali: sanità, istruzione, mobilità (soprattuttopubblica)”. Il pallone con cui giochi potrebbe averlo fatto un bambino che non gioca perché deve lavorare Cfr. sul CD: UdL n. 17 - LABORATORIO: Esercizi nn. 67-73 157 62 tantra nepalese.63 Forse oggi Gaber avrebbe aggiunto: com’è “COLORATA” la città! PERCHÉ LA GENTE VIAGGIA? L’attuale parco-macchine mondiale è composto da oltre un miliardo di autovet-ture altamente inquinanti. milioni e milioni di auto ogni giorno intasano le città, siallineano in code interminabili quanto snervanti, mettono a rischio la salute fisica ementale dei conducenti, che in questo modo stanno consumando un pezzo dellapropria vita saldamente rinchiusi nel loro abitacolo. UdL n. 18 - “SII GENTILE CON IL PIANETA!”62 i parte - QUADRO TEORICO Com’è bella la città com’è grande la città com’è viva la città com’è allegra la città. Piena di strade e di negozi e di vetrine piene di luce con tanta gente che lavora con tanta gente che produce. Con le réclames sempre più grandi coi magazzini le scale mobili coi grattacieli sempre più alti e tante macchine sempre di più sempre di più, sempre di più, sempre di più! Canzone per riflettere - “COM’È BELLA LA CITTÀ”63 (G. Gaber) 158 “VIAGGIARE”: ALLE ORIGINI DEL FENOMENO Per meglio comprendere cos’è che oggi ha portato a trasformare il viaggiare inun’industria, e in particolare nell’industria turistica, è necessario rifarsi anzitutto adalcune caratteristiche dell’animo umano che ne hanno fatto la storia:– la curiosità verso “l’altrove” e la sete di conquista di terre sconosciute ha spinto dasempre l’uomo, fin dalle sue origini, ad intraprendere viaggi avventurosi (dagliArgonauti a Cristoforo Colombo, solo per citare quelli più conosciuti, …);– a partire dall’ottocento, la diffusione dell’informazione attraverso la cartastampata (diari, resoconti, giornali...) ha attirato la curiosità e quindi messo inviaggio sempre più masse di gente sulla scia di nuove scoperte geografiche (es.in Africa), archeologiche (es. in egitto) e artistiche (in italia il “Gran tour”);– dalla fine della seconda guerra mondiale, con l’evolversi del sistema indu-striale e con l’altrettanto rapido aumento dei mezzi di trasporto, le distanze sisono ridotte, e conseguentemente anche l’attrazione verso l’altrove si è trasfor-mata gradualmente in “industria”. PERCHÉ OCCUPARCI PROPRIO DI TURISMO? Fino alla metà del novecento la vacanza ed il viaggio di piacere erano stati ap-pannaggio di pochi benestanti. Con il “boom” industriale degli anni ’60 le nuovetecnologie nei trasporti hanno permesso ad un numero sempre maggiore di personedi potersi spostare in breve tempo verso mete sempre più lontane. È nata così l’e-poca del turismo di massa.il desiderio di conoscere, la riduzione del tempo-spazio, la voglia di evadereda uno stile di vita stressante/oppressivo e, non ultimo, le campagne pubblicitariehanno portato sempre più gente a desiderare di poter vivere una vacanza e, possi-bilmente, anche in località “esotiche”. 159 A questo punto si è fatto in modo che anche le località più lontane diventasserosempre più vicine, sia in termini di spazio che di costi, e quindi alla portata di tutti:cosicché là dove fino a pochi anni prima c’erano dei paradisi “vergini” nasconograndi alberghi, parchi divertimento, villaggi vacanze, piste d’atterraggio, tutto uninsieme di comfort che permettono al turista di veder esaudite le proprie aspettativee contemporaneamente di non dover rinunciare a nulla di quello che ha a casa pro-pria.tutto questo fa sì che egli si trovi di fatto sbattuto dall’altra parte del mondocome se stesse appena dietro casa. ASPETTI NEGATIVI DELL’IMPATTO DEL TURISMO SULL’AMBIENTE E SULLE CULTURELOCALI Povera Gaiaanche i Maya vogliono la tua tagliapure la massaia lo sa, per la fifa tartagliadecifra una sterpaglia di codici ma il 20-12non incide se non nei cinematografi.Uomini retti che sono uomini rettilicon pupille da serpentipiù spille da sergentivogliono la tua muta, Gaiati vogliono muta, Gaiala bomba è venuta a galla adesso esploderà.Reti di rettiliani, andirivieni d’alienivelivoli di veleni, tutti in cerca di ripari maLa fine di Gaia non arriveràla gente si sbagliain fondo che ne sa.È un fuoco di pagliaalla faccia dei Maya e di Cinecittà.La fine di Gaia non arriverà!La fine di Gaia non arriverà!Anche E.T. è qui, mamma che condanna!È n pervertito, ha rapito Gaia per fecondarlacon alieni adepti che scuoiano conigliettie li mostrano alle TV spacciandoli per feti extraterrestri.C’è chi vuole farsi Gaia con fumi sparsi in ariada un aereo che la ingabbia come all’Asinara.Si narra che gaia sniffi,abbaia anche Brian Griffin.È Clyro come i Biffy che gaia Gaia non è.Tra San Giovanni, Nostradamus e millennium bug Canzone per riflettere - “LA FINE DI GAIA” (Caparezza)sulla sua bara chiunque metterebbe una tag.Ma la fine di Gaia non arriveràla gente si sbagliain fondo che ne sa.È un fuoco di pagliaalla faccia dei Maya e di Cinecittà.La fine di Gaia non arriverà!La fine di Gaia non arriverà!Né con i passi di Godzilla né coi passi della Bibbia,Gaia sopravviveràa questi cazzo di asteroidi che non hanno mai schiacciato neanche una farfalla.Sei tu che tratti Gaia come una recluta a najaami il petrolio ma la baia non è una caldaiala tua mannaia lima l’aria mica l’Himalaia!Gaia si salverà, chi salverà il soldato Ryan?Non i marziani ma te dovrò respingerenon i marziani ma te dovrò respingere e vedrai..La fine di Gaia non arriveràla gente si sbagliain fondo che ne sa.È un fuoco di pagliaalla faccia dei Maya e di Cinecittà.La fine di Gaia non arriverà!La fine di Gaia non arriverà!La fine di Gaia non arriverà!2012: nemmeno un temporale! 160 i nuovi “conquistadores”. Così come la febbre dell’oro spingeva, ancora 500anni fa, alla conquista di sempre nuove terre, oggi questa stessa sete spinge legrandi compagnie turistiche a conquistare quelle spiagge del pianeta in odore dipossibili profitti. CHE IMPATTO HA, IN QUESTI PAESI, LO STRAPOTERE DELLE GRANDI COMPAGNIE TU-RISTICHE? Un primo impatto negativo è sicuramente quello ambientale, dovuto alla ce-mentificazione di intere aree che fino a pochi decenni fa erano rimaste ancora ver-gini, dove vengono costruiti alberghi e complessi edilizi (talora veri e propri “eco-mostri”), perfino all’interno di riserve marine o di parchi naturali.Un ulteriore impatto negativo va individuato, secondo il rapporto dell’organiz-zazione mondiale del turismo (UnWto), nel fatto che quest’ultimo è responsabiledi circa il 6% delle emissioni di gas a effetto serra nel mondo, a causa soprattuttodel trasporto aereo per ragioni turistiche (che da solo produce il 40% delle emis-sioni di Co2), a cui fa seguito il trasporto automobilistico (32%). È proprio il caso di dire: Benvenuto all’aereo a energia solare! Benvenuto al-l’auto ad energia “alternativa”!ma le conseguenze negative del turismo di massa sono ancora altre. Si prevedeche entro il 2020 il numero dei viaggiatori per turismo raddoppierà e, se non siprovvederà rapidamente ad una riduzione delle emissioni, le temperature del pia-neta saliranno ulteriormente, provocando gravi conseguenze anche sulle risorse na-turali e ambientali dei cosiddetti paradisi tropicali: Caraibi, mediterraneo, Sud-estasiatico, oceano indiano e Pacifico …, con la perdita della biodiversità e con unaproduzione agricola alterata, dovranno fare i conti con cambiamenti climatici cheavranno conseguenze sulla disponibilità d’acqua, su un aumento del rischio di cata-strofi naturali, sull’erosione delle zone costiere …, per cui piuttosto che di paradisitropicali si parlerà di “paradisi perduti!”. 161 IL TURISMO PORTA RICCHEZZA ALLE POPOLAZIONI LOCALI? in genere si pensa che quando una località diventa una meta famosa e perciòmolto ambita, il turismo contribuisce ad arricchire la gente del posto e quindi anchel’economia di quel paese. in realtà, ad aggravare ulteriormente il fenomeno è pro-prio l’impatto economico.Se è vero che nel programmare le vacanze i contatti il turista li prende con pic-cole agenzie, di fatto l’industria del turismo è fortemente concentrata nelle mani dipochi grandi operatori che fanno capo a “multinazionali”, le quali possono permet-tersi di creare pacchetti all inclusive di viaggio-alloggio a prezzi stracciati, ma solonelle proprie strutture, dove il turista trova tutto quello che ha a casa: dai cibi, aglihobby, ai divertimenti e perfino ai quotidiani. Per cui la quota che il turista spenderesta sempre nel paese di partenza, finisce nelle tasche delle multinazionali che ov-viamente risiedono nei paesi ricchi. Un tale “traffico” fa si che siano proprio questeultime che ottengono il vero profit dal turismo, e non i paesi dove esse operano. Nel primo mondo c’è la tecnologia pret a porter democrazia nel secondo mondo c’è un po’ di delusione che non accelera i processi di ricostruzione nel terzo mondo c’è caldo e umidità incertezza sui confini e molta povertà nel quarto mondo ondate migratorie lavoro nero e alcune sparatorie il quinto mondo è il prossimo livello soltanto informazioni che nutrono il cervello i cittadini sono sparsi nel pianeta e vagano senza una meta nel primo mondo la storia c’ha un finale e tutti quanti aspettano il giudizio universale nel secondo mondo la storia si è girata come nella padella succede alla frittata nel terzo mondo la storia non si scrive e giorno dopo giorno si sopravvive nel quarto mondo sta tutto in una borsa che puoi portarti appresso anche se sei di corsa il quinto mondo è quello senza storia che niente è più variabile della memoria i cittadini sono sparsi per il pianeta e vagano senza una meta il quinto mondo è il prossimo livello teniamoci strettissimi sorella fratello i cittadini sono sparsi per il pianeta e vagano senza una meta la casa brucia sarà per troppo sole la casa è in fiamme sarà per troppo amore i coinquilini sono sparsi nel pianeta e vagano senza una meta la casa è in fiamme chi non ha chiuso il gas la casa brucia qualcuno non ha il pass la casa brucia potrebbe esserci un crollo teniamoci strettissimi sorella fratello Canzone per riflettere - “IL QUINTO MONDO” (Jovanotti) 162 64 Cfr. il sito www.aitr.org65 Sarà per l’aumento del caro vita, comunque nell’estate 2011 la scelta del treno è stata fatta dal40% in più dei turisti, rispetto all’anno precedente. IL TURISMO FAVORISCE LO SCAMBIO TRA CULTURE DIVERSE? infine un altro punto critico riguarda l’impatto culturale. L’incontro fra un tu-rista ed un autoctono non è mai tra “uguali”: vi sono prima di tutto differenze lin-guistiche, oltre che di classe sociale; altri fattori di contrasto sono dovuti alle diffe-renti usanze in termini di cultura, stile di vita, valori e tradizioni locali.il turista di massa in genere non ha né sensibilità e tanto meno interesse a la-sciarsi acculturare dalla gente del posto, che in genere ha un livello di vita diverso;né è disposto a rinunciare al proprio stile di vita confortevole, per cui difficilmentesi adatterà alle usanze locali. Per non parlare poi dell’impatto e della violenza checerti comportamenti “stile coloniale” possono provocare sulla culturae tradizione locale quando il turista si muove alla ricerca di sesso,droghe e “vizietti” vari che sa di poter soddisfare facilmente e abasso costo nel “paradiso” che ha scelto. PER UN TURISMO ECOLOGICO Così come nella scelta dei consumi, anche nel turismo (che è pur sempre unprodotto di consumo) occorre tener conto, nella scelta, della questione etica. Le compagnie turistiche che operano nel settore con sensibilità etica, infatti, sonoancora un’eccezione, sebbene si osservi una sempre maggiore attenzione all’ecologia. È POSSIBILE PENSARE AD UN MODELLO ALTERNATIVO DI FARE TURISMO? L’Associazione Aitr (Associazione italiana turismo responsabile)64 è statauna delle prime (il fenomeno è in crescita) che ha inteso contribuire a cambiarerotta, proponendo un modo nuovo, alternativo e responsabile, che ha come obiet-tivo la creazione e la diffusione di un turismo mirato a raggiungere un punto d’in-contro tra persone di diversa origine e cultura. ecco alcuni principi-base che l’Associazione suggerisce al fine di arrivare apraticare un turismo ecologico:1. non acquistare in nessun caso articoli ricavati da specie di animali a rischiod’estinzione, come gli elefanti, le tartarughe, i rinoceronti, gli orsi, le scimmie,le balene, alcuni uccelli tropicali.2. evitare, se non strettamente necessario, l’utilizzo dell’aereo preferendo mezzidi trasporto a più basso impatto ambientale come il treno65. 163 3. Per la salvaguardia del mare fare attenzione all’acquisto del pesce che appar-tiene a specie a rischio.4. non utilizzare pesticidi chimici per difendersi dagli insetti. 5. Per gli acquisti preferire negozi locali che offrono prodotti e manufatti artigia-nali locali (non importati).6. Per gli amanti dell’escursionismo praticare quello a basso impatto, non distur-bare gli animali, non gettare o abbandonare oggetti non biodegradabili.7. Praticare sempre la raccolta differenziata dei rifiuti prodotti.Cominciando ad osservare queste semplici quanto importanti regole di com-portamento sarà possibile assicurare un futuro migliore al nostro pianeta. tutto stanel prendere coscienza che il vero cambiamento sta nella testa del turista.e, proprio al riguardo, il rapporto ecotur sull’andamento del mercato del tu-rismo ecologico fa osservare che si stanno ottenendo dati confortanti: in italia il set-tore vale un mercato da 10 miliardi di euro all’anno, con circa 100 mila presenzenelle 772 aree protette, pari a circa il 10% del territorio italiano. La stagione privi-legiata per il turismo ecologico, sempre secondo il rapporto, è la primavera e iltarget è fatto soprattutto da giovani fra i 16 e i 30 anni, che motivano così la scelta:– il contatto con la natura;– la possibilità di godere di maggiore relax e tranquillità; – la scoperta di nuove tradizioni culturali, folcloristiche ed enogastronomiche; – il poter praticare sport all’aria aperta come trekking, mountain bike, birdwat-ching, sci, equitazione, climbing …;– prezzi più bassi rispetto agli altri tempi ed alle altre tipologie di turismo. il turismo ecologico è quindi un trend in netta ascesa e occorre farlo cono-scere per far diventare sempre più “eco-turisti” i turisti di massa. Buongiorno a te Alma Mater Svegliati stella mia, dei cieli Anima mundi Primo respiro Madre Terra madre stella Vittima antica di ogni guerra Bella Madre addolorata Rispondi al grido della follia Da questa notte Madre Terra Sognerò solo pace, alba e sole Anima mundi Segno di Dio Madre Terra pura stella Inonda oblio per ogni vita Bella Madre addolorata Rispondi al grido della follia E perdonaci Tutti gli errori E perdonaci Madre Terra ora brilla Alza il tuo grido, la tua preghiera Bella Madre addolorata Madre infinita Buongiorno a te Madre Terra Canzone per riflettere - “MADRE TERRA” (tazenda & renga) 164 DIECI COMANDAMENTI PER IL XXI SECOLO66 i Non avrai altro pianeta al di fuori della Terraii Non pensare invano che la Terra abbia risorse infiniteiii Ricordati di contemplare la NaturaiV Onora le energie rinnovabiliV Non inquinareVi Non sprecareVii Non cementificareViii Non produrre così tanti rifiutiiX Differenzia e ricicla i tuoi rifiutiX Non desiderare la potenza altrui, ma sii più sobrio ed efficiente” in quel puntino luminoso ci stiamo tutti noi, 6 miliardi di navigatori sull’astro-nave terra, dispersi nel mare dell’Universo in compagnia della fedele Luna67. 66 Decalogo presentato per l’iniziativa 2010 Com_AnDAmenti in occasione di torino Spiri-tualità 2010. Cit. in merCALLi L., o.c., p. 9 67 La terra e la Luna riprese dal telescopio spaziale Hubble. Cfr. sul CD: UdL n. 18 - LABORATORIO: Esercizi nn. 74-75 165 Vi AreaCITTADINI ATTIVI 167 SCENARIO: da “pecore” a PROTAGONISTI Cosa significa “partecipazione”?Perché partecipare?Chi te lo fa fare? ITINERARIO PER UNA PARTECIPAZIONE ATTIVA nell’attuale contesto storico, caratterizzato da forti spinte al “pensiero unico” eall’adesione acritica alle culture dominanti, lo spazio che resta al singolo cittadinoper partecipare attivamente alla gestione della “cosa pubblica” è ormai ridotto adun voto-“vuoto” di quell’effettivo potere che, in un sistema che si dice “democra-tico”, dovrebbe spettare invece al “popolo sovrano”. Io non ti prometto qualcosa che non ho quello che non sono non posso esserlo anche se so che c’è chi dice per quieto vivere bisogna sempre fingere. Non posso giurare che ogni giorno sarò bello, eccezionale, allegro, sensibile, fantastico ci saranno dei giorni grigi ma passeranno sai spero che tu mi capirai. Nella buona sorte e nelle avversità, nelle gioie e nelle difficoltà se tu ci sarai io ci sarò So che nelle fiabe succede sempre che su un cavallo bianco arriva un principe e porta la bella al castello si sposano e sarà amore per l’eternità. Solo che la vita non è proprio così a volte è complicata come una lunga corsa a ostacoli dove non ti puoi ritirare soltanto correre con chi ti ama accanto a te. Nella buona sorte e nelle avversità, nelle gioie e nelle difficoltà se tu ci sarai io ci sarò. Giuro ti prometto che io mi impegnerò io farò di tutto però se il mondo col suo delirio riuscirà ad entrare e far danni ti prego dimmi che combatterai insieme a me Nella buona sorte e nelle avversità, nelle gioie e nelle difficoltà se tu ci sarai io ci sarò. Nella buona sorte e nelle avversità, nelle gioie e nelle difficoltà se tu ci sarai io ci sarò. “Io ci sarò” (m. Pezzali) 168 ed è proprio in questo vuoto di potere che in questo periodo di cambiamentiepocali stagnano, oltre alla democrazia, anche quei diritti umani faticosamente con-quistati da poco più di mezzo secolo.L’obiettivo di quest’ultima area è quindi quello di arrivare ad elaborare una co-scienza critica in grado di opporsi al conformismo omologante e/o ad un passivoadeguamento alle logiche dei poteri forti, in modo da provocare effettivi cambia-menti a livello sia personale che di gruppo/collettività e di società plurietnica/mul-ticulturale. COME PUÒ ESSERE STRUTTURATO E/O ATTUATO UN INTERVENTO MIRATO AD UNTALE CAMBIAMENTO? Qualsiasi cambiamento, perché si possa realizzare, deve partire da un processoculturale che coinvolge sia l’individuo che un gruppo/comunità e in successione ilcontesto sociale più allargato. in tutti questi casi il successo è determinato dalla“partecipazione”, individuale e della collettività nel suo insieme.Se tale partecipazione avviene da parte di tutti, essa è in grado di produrre lasoddisfazione di quei bisogni oggetto di cambiamento, e contribuisce in tal modo amantenere alto il “senso-di-appartenenza-ad-una-comunità”. in questo caso il suc-cesso sarà garantito quanto più i partecipanti si riconosceranno nei cambiamenti dicui beneficeranno, in quanto strettamente connessi ai processi di influenzamentofra i membri della comunità.A sua volta tale processo di influenzamento è strettamente connesso alla presadi coscienza del potenziale che un gruppo/comunità ha nel:– far esprimere i problemi dai partecipanti;– selezionare i problemi/bisogni su cui occorre intervenire più urgentemente;– individuare le strategie mirate al cambiamento;– ricercare le giuste collaborazioni per dare soluzione ai problemi;– organizzare la comunità per mettere in atto gli interventi programmati;– misurare l’efficacia/efficienza degli interventi messi in atto.tutto questo non avviene spontaneamente, ma lo si potrà conseguire attraversoadeguati processi formativo-educativi, mirati a produrre effettivi cambiamenti:a) a livello micro (individuale o di piccolo gruppo):- mutamento degli atteggiamenti verso se stessi e verso gli altri;- miglioramento delle relazioni umane, in vista di stabilire con l’”altro” rela-zioni di reciproco arricchimento;b) a livello macro (sociale o di comunità allargata):- maggiore consapevolezza del proprio ruolo e delle responsabilità personalinella partecipazione ai processi di cambiamento a tutti i livelli (micro-macro);- partecipazione attiva nell’affrontare i problemi e le soluzioni finalizzate albene comune. 169 Testo di riferimento: pp. 195-196 Altri testi ArDiGò A., Crisi di governabilità e mondi vitali, Bologna, Cappelli, 1980.BAStiDe r., Noi e gli altri. Luoghi di incontro e di separazione culturale e razziale, milano, JacaBook, 1990.BrAnCA P.G., Animazione e cambiamento, in “Animazione sociale”, 11, 1988, pp. 38-44.De Beni m., Educare all’altruismo, trento, erickson, 2000.Di CriStoForo LonGo G., Identità e cultura. Per un’antropologia della reciprocità, roma, Studium,1993.LUAtti L. (a cura di), Educare alla cittadinanza attiva. Luoghi, metodi, discipline, roma, Carocci,2009.mAnnArini t., La cittadinanza attiva. Psicologia sociale della partecipazione pubblica, Bologna, ilmulino, 2009.miLAn G., Educare all’incontro. La pedagogia di Martin Buber, roma, Città nuova, 1994.miLAneSi G., Il volontariato internazionale verso una nuova identità, Bologna, Dehoniane, 1990.nAnni A. - SALVArAni B., Educare a partire dall’altro, Bologna, emi, 1994.Pieroni V., Volontari “perché”. Dalla “pedagogia dell’alterità” paradigmi e paradossi, in “orienta-menti Pedagogici”, vol. 52, 1, 2005, pp. 9-24.rAnCi C., Altruismo e reciprocità: due modelli di solidarietà a confronto, in CAttArinUSSi B. (a curadi), Altruismo e solidarietà. Riflessioni su prosocialità e volontariati, milano, Angeli, 1994. Esistono dei ponti di legnoponti di pietraponti di cemento armatoponti di ferroponti che collegano due sponde irraggiungibiliponti che possono essere distrutti facilmente.Ma esistono dei ponti indistruttibili,fatti dall’immensità dell’animoe da un cuore grande,ponti che si costruiscono da soli che sanno quando devono essere costruitisu quale fiume allungarsiper collegare le due sponde.SII TU UN PONTEvivo come il legnoforte come la pietraindistruttibile come il cemento armatolavorato come il ferrosempre pronto per collegare le sponde. Poesia per riflettere - “UN PONTE” (m. Džalto) 170 COSA SI INTENDE PER COMPORTAMENTO “PRO-SOCIALE”? “Quel comportamento che, senza la ricerca di ricompense esterne, favoriscealtre persone, gruppi o fini sociali e aumenta la probabilità di generare una reci-procità positiva di qualità solidale nelle relazioni interpersonali o sociali conse-guenti, salvaguardando l’identità, la creatività e l’iniziativa degli individui o deigruppi implicati”68. SU QUALE PRINCIPIO SI FONDA? Su una delle caratteristiche principali della specie “homo” in quanto “esseresocievole”, ossia sulla relazione che porta l’“io” ad incontrarsi e ad interagire con il“Tu”. 68 roCHe-oLiVAr r. et al., La condotta prosociale. Basi teoriche e metodologiche d’intervento,roma, Bulzoni editore, 1997. UdL n. 19 - FARE-“PER”. Il comportamento “Pro-Sociale” i parte - QUADRO TEORICO (Quino) 171 QUALI SONO I CRITERI AFFINCHÉ UN’AZIONE POSSA DEFINIRSI “PRO-SOCIALE”? – L’atto deve beneficiare un individuo, o più individui, o un gruppo; – La condotta deve essere gratuita, spontanea, non sollecitata da obblighi diruolo. COS’È CHE CARATTERIZZA LE CONDOTTE “PRO-SOCIALI” Se prese nell’insieme, tali condotte fanno capo alle azioni di: – collaborare;– condividere; – aiutare.Se prese invece nello specifico, esse possono essere suddivise in 10 tipologiedi comportamento:1. Aiuto fisico: condotte non verbali mirate a procurare assistenza ad altre per-sone per realizzare una determinata azione, e che contano sull’approvazionedelle stesse. 2. Servizio fisico: condotte che prevedono l’approvazione e possibilmente anchela soddisfazione di chi ne è beneficiario. 3. Dare: azioni che prevedono la consegna a soggetti terzi di “oggetti”, con laconseguente perdita, da parte del donatore, della proprietà di tali oggetti o co-munque del loro uso. 4. Aiuto verbale: istruzioni, idee, esperienze che risultano utili ad altre persone ogruppi, in quanto permettono di conseguire un determinato obiettivo. 5. Conforto verbale: espressioni verbali, colloqui, consulenze psicologiche miratea venire incontro e possibilmente ad alleviare il dolore psico-fisico di personeche soffrono, nel tentativo di migliorarne almeno momentaneamente la condi-zione. 6. Valorizzazione positiva dell’altro: atteggiamento empatico mirato a confer-mare e/o ad accrescere in altre persone la propria autostima. 7. Ascolto profondo: atteggiamenti di attenzione che esprimono accoglienza pro-fonda e partecipativa verso i contenuti espressi dall’interlocutore. 8. Empatia: condotte emozionali che esprimono comprensione e/o sentimenti si-mili a quelli dell’interlocutore,9. Presenza positiva: condotte che esprimono prossimità, disponibilità al servizio,aiuto e solidarietà verso altre persone, e che contribuiscono a creare un climadi unione tra due o più persone, gruppi, comunità.10. Solidarietà: condotte che esprimono un comportamento solidaristico nel volercondividere con persone o gruppi sociali le conseguenze di uno stato o di unacondizione svantaggiata in cui si trovano. 172 “Se uno di noi, uno qualsiasi di noi esseri umani, sta in questo momento soffrendo come un cane, è malato o ha fame, è cosa che ci riguarda tutti. Ci deve riguardare tutti, perché ignorare la sofferenza di un uomo è sempre un atto di violenza, e tra i più vigliacchi” (Gino Strada) MODELLO DI EDUCAZIONE ALLA PRO-SOCIALITÀ a) Obiettivo: educare i giovani a collaborare e ad aiutare gli altri.Come?- elaborando un sistema di valori etici improntati alla convivenza civile; - costruendo un’efficace rete di relazioni interpersonali; - valorizzando le diversità. b) il percorso formativo: si basa sulla capacità di stimolare:- la Percezione, attraverso l’analisi dei linguaggi verbali e non verbali; - la Creatività, mediante la conoscenza di nuove modalità espressive; - l’Accoglienza nei confronti degli altri, chiarendo e accettando i sentimentipropri e degli altri, positivi o negativi che siano; È facile allontanarsi sai Se come te anche lui ha i suoi guai Ma quando avrai bisogno sarà quiUn amico è così Non chiederà né il come né il perché Ti ascolterà e si basterà per te E poi tranquillo ti sorriderà Un amico è così E ricordati che finché tu vivrai Se un amico è con te non ti perderai In strade sbagliate percorse da chi Non ha nella vita un amico così Non ha bisogno di parole mai Con uno sguardo solo capirai Che dopo un no lui ti dirà di sì Un amico è così E ricordati che finché tu vorrai Per sempre al tuo fianco lo troverai Vicino a te mai stanco perché Un amico è la cosa più bella che c’è È come un grande amore, solo mascherato un po’ Ma che si sente che c’è Nascosto tra le pieghe di un cuore che si dà E non si chiede perché Ma ricordati che finché tu vivrai Se un amico è con te non tradirlo mai Solo così scoprirai che Un amico è la cosa più bella che c’è E ricordati che finché tu vivrai Un amico è la cosa più vera che hai È il compagno del viaggio più grande che fai Un amico è qualcosa che non muore mai Canzone per riflettere - “UN AMICO È COSÌ” (Pausini) 173 - l’Adattamento attivo alle regole di vita del gruppo, della collettività, dellasocietà; - la capacità di Ascolto, di Critica Costruttiva, di Interrelazioni Positive, ri-ducendo l’ansia della prestazione, la paura nel confrontarsi con gli altri, laremissività o l’aggressività della risposta, e dando il giusto rilievo ai bi-sogni e alle proposte altrui; - l’Accettazione e la Valorizzazione delle Diversità, ottimizzando le capacitàe le potenzialità personali nel rafforzare i sentimenti di amicizia, di collabo-razione e di solidarietà. c) il processo si basa sul possesso/acquisizione di qualità, quali:- comunicazione; - empatia;- assertività;- autocontrollo;- autostima;- riduzione dell’aggressività, della competitività, e dei conflitti; - aiuto (condividere la responsabilità e la cura degli altri, cooperazione, …);- reciprocità; - solidarietà;- attitudini alle relazioni interpersonali;- valorizzazione positiva del comportamento degli altri;- creatività nelle iniziative;- …. 69 inno dell’organizzazione Up With People, tradotto in italiano da CoStAA. e mArCHetti P. Ho visto stamattina mentre andavo a lavoraril lattaio, il postino e la guardia comunal.Per la prima volta vedo gente intorno a me.Ieri non ci badavo non so proprio perché.Viva la gente la trovi ovunque vaiviva la gente simpatica più che mai!Se più gente guardasse alla gente con favoravremo meno gente difficilee più gente di cuoravremo meno gente difficilee più gente di cuor.Dal nord e dal sud li vedevo arrivarcome grandi fiumi che discendon verso il mar.Quasi una gran festa fatta apposta per un re.Vale più delle cose la gente intorno a me.Viva la gente la trovi ovunque vaiviva la gente simpatica più che mai! Se più gente guardasse alla gente con favoravremo meno gente difficilee più gente di cuoravremo meno gente difficilee più gente di cuor.Dentro tutti quanti c’è del bene c’è del mal,ma in fondo ad ogni cuore è nascosto un capital.Ed ora un sol pensiero mi assilla notte e dì:renderli sempre più grandi, che Dio vuole così.Viva la gente la trovi ovunque vaiviva la gente simpatica più che mai!Se più gente guardasse alla gente con favoravremo meno gente difficilee più gente di cuoravremo meno gente difficilee più gente di cuor. Canzone per riflettere - “W LA GENTE”69 174 Frasi per riflettere “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori” (F. De André)“Voi crescete quanto più numerosi sono gli incontri con la gente, quante più sono le persone a cui stringete la mano” (tonino Bello)“La solitudine e il sentirsi indesiderati è la più terribile delle povertà…” (madre teresa)“L’opera umana più bella è di essere utile al prossimo” (Sofocle)“Non esiste un uomo tanto povero da non poter donare qualcosa agli altri” (r. Battaglia)“Un egocentrico incontra un amico e fa: Ciao, come sto?” (Dylan Dog)“Noi ragazzi usavamo spesso questo motto: Prima vengo io, poi vengo di nuovo io, poi per un bel pezzo non viene più nessuno, e alla fine vengono gli altri!” (G. Groddeck) Cfr. sul CD: UdL n. 19 - LABORATORIO: Esercizi nn. 76-77 175 CHI HA PAURA DEL “DIVERSO”? Quando ci si trova di fronte a un “altro-da me”, portatore di “diversità”, la rea-zione spontanea è quella di mettere in atto strategie di “lotta” o “fuga”, dal mo-mento che viene a destabilizzarsi quell’equilibrio fondato sulla centralità del pro-prio “io”. È POSSIBILE ARRIVARE A SUPERARE QUESTO “ISTINTO SEPARATISTA”? tra la “lotta” o la “fuga” esiste tuttavia anche una “terza via” che prevede dipoter fare affidamento su una serie di “virtù civiche” che per essere acquisite ri-chiedono adeguati interventi educativi.L’equilibrio nel rapporto con la “diversità”, infatti, può essere raggiuntoquando si danno e vengono rispettate certe norme/regole che servono a definire ilcomportamento ed i ruoli che ciascuno ha nel mettersi in relazione con gli altri, inparticolare quando si tratta di raggiungere obiettivi comuni. i parte - QUADRO TEORICO UdL n. 20 - “FARE-CON”.Principi per “stare-con” l’altro e per “col-laborare” in gruppo 176 IL CORAGGIO DEL “CON-FRONTO” ED I “PRINCIPI ATTIVI” PER “COL-LABORARE” INGRUPPO Per poter lavorare “con” l’altro, a fianco dell’altro, occorre arrivare ad introiet-tare il “diverso-da-me” quale elemento costitutivo dell’identità individuale e digruppo. tutto questo richiede di imparare:1. anzitutto ad abbassare il livello di guardia, in genere innescato da stereotipi,pregiudizi, meccanismi di difesa…;2. quindi ad accogliere e a rispettare il suo essere “diverso”, ciò che permette diriconoscerlo non più come un potenziale invasore del proprio spazio operativo,ma piuttosto come uno che con la sua presenza arricchisce la relazione grazieproprio alla diversità di cui è portatore;3. per andare poi a scoprire quali sono gli elementi che “ci uniscono” e che pos-sono essere condivisi, così da arrivare ad una presa di coscienza dei valori chepur nelle loro differenze possono essere messi in comune, quale fonte di reci-proco scambio e arricchimento;4. tuttavia per poter procedere in questa direzione occorre acquisire al temposteso uno stato di fiducia reciproca; nel lavorare insieme, infatti, è importanteimparare a fidarsi gli uni degli altri, ad istaurare rapporti basati sulla reciprocasincerità e fiducia;5. l’acquisita fiducia reciproca permetterà a sua volta la cooperazione tra i “di-versi” componenti del gruppo/comunità nel condividere obiettivi e finalità mi-rati al bene comune, incrementando così la maturità del singolo come delgruppo ad una partecipazione attiva. In fondo il punto di partenza, il segreto che sta alla base di tutto questo lavoro consiste nello scoprire “ciò che ci unisce”. Lavorare in gruppo per raggiungere obiettivi comuni significa infatti rendereconcreti e realizzabili gli ideali e gli orientamenti che il gruppo si attribuisce. inaltri termini, chi lavora in gruppo deve avere presente anzitutto a se stesso “che 177 cosa” si vuol fare attraverso l’azione di gruppo; perché se non si fa chiarezza a par-tire da se stessi, tanto meno lo si può chiarire agli altri e al gruppo nel suo insieme.Accingersi a lavorare “con” l’altro e/o in gruppo significa quindi “spremere”fin dall’inizio tutti i “perché” ed i significati dell’azione. ossia si deve arrivare aduna “presa di coscienza” collettiva delle finalità e motivazioni di fondo sottese al-l’attività, per poi passare alla programmazione, alla individuazione delle fasi, deimezzi e degli strumenti valutandone i punti di forza e di criticità.in altre parole, il gruppo matura quando maturano i singoli componenti.Di conseguenza nel lavorare in gruppo occorre partire dalle singole compo-nenti e dalle loro interazioni, in modo che da una crescita comune si arrivi poi aduna gestione in comune degli obiettivi e delle mete che ci si prefigge di raggiun-gere come gruppo.A loro volta le interazioni sono il “nutrimento” del gruppo, sia nel momentodel conflitto (il confronto-scontro fra “diversi”) sia nel momento della coesione(quando ci si arricchisce della diversità di cui ciascuno è portatore). Cosicché unaelevata partecipazione alla vita di un gruppo è il prodotto della:– conoscenza e comunicazione interpersonale;– fiducia reciproca;– definizione degli obiettivi che motivano la volontà di stare insieme e/o di lavo-rare per scopi comuni;– capacità di adattamento delle attese di ognuno agli obiettivi comuni;– uguaglianza di partecipazione fra tutti i membri. Il livello di interazione fra i membri costituisce infatti l’unità di misura della partecipazione. SCHEMA DI BALES: ESEMPIO DI ANALISI DI UN PROCESSO INTERATTIVO MIRATOALLA PARTECIPAZIONE ALLA VITA DI GRUPPO Secondo Bales, il gruppo nella sua dinamica relazionale si esprime attraversointerazioni:– mediante accordo (coesione tra i diversi protagonisti);– mediante disaccordo (conflitto, opposizione). 178 entrambe le interazioni permettono di classificare le azioni degli attori in 12categorie, così riassumibili (cfr. lo Schema di Bales riportato sotto):a) area socio-affettiva positiva (nn. 1,2,3) e negativa (nn. 10,11,12);b) area socio-operativa, suddivisa tra apporti o risposte (nn. 4,5,6) e domande oquestioni (nn. 7,8,9).A sua volta ogni categoria può avere un aspetto positivo o negativo, che portaalla seguente suddivisione:– comunicazione (n. 6 e 7);– valutazione (n. 5 e 8);– controllo (n. 4 e 9);– decisione (n. 3 e 10);– riduzione della tensione (n. 2 e 11);– reintegrazione (n. 1 e 12). Schema di Bales 179 L’evolversi dell’interazione è previsto secondo la sequenza: comunicazione-valutazione-controllo.ossia un processo di soluzione di un problema all’interno di un gruppo pre-vede il passaggio da una fase di informazione a una di valutazione, che a sua voltainfluenza la ricerca della decisione da prendere.tutto dipende dalle cosiddette “matrici di interazioni”, in base alle quali cia-scun componente il gruppo assolve a due ruoli: di emittente e di ricevente. Dallaloro interazione si produce la seguente equazione: il soggetto che “emette” di più,riceve anche di più.Si determina così un doppio modo di gestire la leadership in forma direttiva enon direttiva:a) se il leader interviene molto ad orientare il gruppo circa il compito da svolgere(categorie nn. 4 e 5), il gruppo tende ad assumere un atteggiamento passivo equindi produce poco; b) viceversa il gruppo è più produttivo quando il leader interviene in forma de-mocratica (n. 6) e partecipativa (n. 3). Cfr. sul CD: UdL n. 20 - LABORATORIO: Esercizi nn. 78-81 180 Cosa spinge le persone ad aiutare gli altri?Quali motivazioni sono sottese ad un comportamento solidale?Quali dinamiche vanno messe in atto perché tale attività possa essere definita “solidale”? “Un pomeriggio un uomo venne a casa nostra per chiederci se potevamo farequalcosa per una famiglia Indù con 8 figli che non mangiavano da vari giorni.Presi subito un po’ di riso e andai a visitare questa famiglia. Alla vista del cibo gliocchi dei bambini cominciarono a brillare per la fame. La loro madre prese il risodalle mie mani, lo divise in due parti e uscì. Al suo ritorno le chiesi cosa avessefatto con l’altra razione di riso che aveva portato con sé, uscendo. Mi rispose:‘Anche loro hanno fame’. In questo modo sono venuta a sapere che anche i vicinidella porta accanto, mussulmani, avevano fame. Rimasi veramente sorpresa per lapreoccupazione che questa madre ha avuto nei confronti degli altri, oltre che per ipropri figli.In genere quando si soffre e quando si è in grave bisogno di aiuto non ci sipreoccupa per gli altri. Al contrario questa madre meravigliosa, nonostante la de-bolezza per non aver mangiato da vari giorni, è riuscita a condividere il cibo conaltri facendo un gesto di grande amore. Spesso la gente mi chiede quando finirà la fame nel mondo. Io rispondo:‘Quando impareremo a condividere’.Quanto più abbiamo, meno diamo. Quanto meno abbiamo, più potremodare!”. (madre teresa) UdL n. 21 - “SOLIDARIETÀ È …” i parte - QUADRO TEORICO In questa fredda seranon c’è felicitàquesto fiume immobile,questa inevitabile cittàso che mi travolgeràe rabbia, pioggia, noia, oscuritàmi circondano di già.Sto parlando con te:io ti prego abbi cura di me, non farmi più del male;io vorrei comunicarein questo mondo senza dignità,ho bisogno della tua solidarietà;dammi amore, soltanto amore,non puoi sapere il bene che mi fadevi darmi la tua totale solidarietà.Che grande libertà,non avere più confini Canzone per riflettere - “SOLIDARIETÀ” (m. Fabrizio e G. morra) 181 COS’È CHE TRASFORMA UN COMPORTAMENTO PRO-SOCIALE IN “SOLIDALE”? Per poter rispondere occorre partire dal principio della reciprocità, il qualepuò essere così definito, in base alla dinamica su cui è impostato: “un sistema dove entrambi i partner della relazione interagiscono tra “pari”, in modo da evitare che nel rapporto dare-ricevereuno assuma una posizione “dominante” e l’altro “dipendente”,dal momento che la dinamica si basa sulla circolarità dei beniin entrambe le direzioni,così da risultare funzionale alla crescita reciproca”70 Perché un tale principio si possa realizzare si richiede perciò che la dinamicaavvenga in equilibrio su un asse simmetrico, in grado di consentire l’interscambia-bilità delle posizioni. in altri termini:– entrambi i poli dell’interazione sono ugualmente e contemporaneamente sog-getto-oggetto tanto di un saper dare come di un saper ricevere;– più specificamente, tanto il donatore (“D” - chi eroga un “bene”), che il rice-vente (“R” - chi riceve questo “bene”), stanno in relazione in posizione discambio e di reciprocazione. 70 Pieroni V. - SAntoS Fermino A., La valigia del “Migrante”, o.c., pp. 184-186. 182 LA SOLIDARIETÀ È SOLO UNA QUESTIONE DI “DARE”? tutto dipende dal modo in cui viene gestita la relazione “dare-ricevere” tra ipartner. tale relazione, infatti, si basa sul “potere-di-offrire”, il quale, essendo ap-punto un “potere”, può andare incontro a forme di gestione contraddittorie, a se-conda delle motivazioni più o meno “disinteressate” che fanno capo a uno o a en-trambi i partner. LA GENESI DEL “POTERE-DI-OFFRIRE” a) Quando in un rapporto solidale tra partner si pre-vede che, tra chi è in uno stato di bisogno (il ricevente -“R”) e chi ha il potere di soddisfare tale bisogno (il donatore -“D”), si possa arrivare prima o poi a ricomporre il rapporto incondizione di parità, il problema non si pone, in quanto l’inte-razione tra i partner torna prima o poi a riequilibrarsi su unaposizione di scambio e di reciprocazione.b) ma in un rapporto solidale si possono dare anche forme interattive che gene-rano “dipendenza” tra chi dà e chi riceve. Ciò avviene quando si verificanocondizioni dove il potere-di-offerta da parte di “D” non è affatto “disinteres-sato”, o dove c’è scarsità di risorse da parte di “R”, al punto che quest’ultimonon è in grado di ricambiare e, quindi, di ricreare condizioni di equilibrio nelloscambio di risorse. È a questo punto che il potere di “D” su “R” si trasforma inun rapporto tra “dominante” e “dipendente”. Dal momento in cui quest’ultimonon ha sufficienti risorse da cedere per riequilibrare la relazione su un piano discambio e di reciprocazione, egli potrà giocare solo la parte di chi dipendedalla “intenzionalità” di chi offre; dal canto suo “D”, nel soddisfare il bisognodi “R”, giocherà il suo potere-di-offrire secondo quelle motivazioni più o meno“disinteressate” per le quali si è messo in relazione con “R”.ecco quindi che si sono create le premesse per cui una relazione giocata sul re-ciproco scambio di “risorse”, non avvenendo più su un piano simmetrico di paritàtra i partner, produrrà inevitabilmente uno squilibrio, un potere di gestione della re-lazione da parte di uno dei due, ossia di chi è in grado di mettere gli altri in posi-zione di dipendenza/obbligazione. in pratica del più forte. 183 Per uscire da questa dinamica di squilibrio, l’alternativa non può che esserequella di arrivare ad educare entrambi i partner della relazione, ossia tanto chi ha ilpotere-di-offrire (“D”) come chi riceve (“R”). tale percorso formativo dovrà por-tare a far scomparire l’asimmetria basata su un “dare-a-senso-unico”, per far dive-nire entrambi i partner contemporaneamente soggetto-oggetto di un dare-riceverereciproco. A questo punto “essere solidali” significa … EDUCARE il “potere-di-offrire”! in base ai codici utilizzati precedentemente, tale principio può essere megliointerpretato/rappresentato attraverso le seguenti coordinate: – chi “dà” (“D” ), ossia chi ha il potere di offrire, deve essere educato al tempostesso anche a “saper ricevere”, quindi a giocare anche la parte del ricevente(“R”);– così come colui che “riceve” (“R”), deve essere educato anche a “poter dare”(“D”) a sua volta.nell’ottica di questa dinamica la solidarietà può quindi essere definita: 1. una relazione tra partner l’uno da uno stato di bisogno2. accomunati e l’altro da offerta gratuita di servizio di coscienza solidale 3. i quali, mediante la reciproca produzione e sulla base di un rapporto cooperativo personale4. diventano ENTRAMBI agenti di cambiamento e comunitario/sociale 184 La mia vita di ogni giorno è preoccuparmi di ciò che ho intorno sono sensibile ed umano probabilmente sono il più buono ho dentro il cuore un affetto vero per i bambini del mondo intero ogni tragedia nazionale è il mio terreno naturale perché dovunque c’è sofferenza sento la voce della mia coscienza. Penso ad un popolo multirazziale ad uno stato molto solidale che stanzi fondi in abbondanza perché il mio motto è l’accoglienza penso al disagio degli albanesi dei marocchini, dei senegalesi bisogna dare appartamenti ai clandestini e anche ai parenti e per gli zingari degli albergoni coi frigobar e le televisioni. È il potere dei più buoni è il potere dei più buoni son già iscritto a più di mille associazioni è il potere dei più buoni e organizzo dovunque manifestazioni. È il potere dei più buoni è il potere dei più buoni è il potere... dei più buoni... La mia vita di ogni giorno è preoccuparmi per ciò che ho intorno ho una passione travolgente per gli animali e per l’ambiente penso alle vipere sempre più rare e anche al rispetto per le zanzare in questi tempi così immorali io penso agli habitat naturali penso alla cosa più importante che è abbracciare le piante. Penso al recupero dei criminali delle puttane e dei transessuali penso ai giovani emarginati (1) al tempo libero dei carcerati penso alle nuove povertà che danno molta visibilità penso che è bello sentirsi buoni usando i soldi degli italiani. È il potere dei più buoni è il potere dei più buoni costruito sulle tragedie e sulle frustrazioni è il potere dei più buoni che un domani può venir buono per le elezioni. È il potere dei più buoni è il potere dei più buoni è il potere... dei più buoni... Canzone per riflettere - “IL POTERE DEI PIÙ BUONI” (G. Gaber) Cfr. sul CD: UdL n. 21 - LABORATORIO: Esercizi nn. 82-86 185 A chi mi chiedeperché lo fai?cosa ti dà?perché butti il tuo tempo così?ma chi te lo fa fare …?di solito rispondohai mai provato a tenere la manodi una nonnina spaventataperché la stai portando via da casaverso l’ospedale …?forse senza ritorno … chissàNo???? Allora non puoi capire … Poesia per riflettere - “IL VOLONTARIATO” (P. Bonc) PERCHÉ PARLARE DI VOLONTARIATO? SOLO POCHI LO FANNO … Ci sono almeno due buone ragioni per trattare di questo argomento:1. La cittadinanza attiva presuppone percorsi di formazione alle virtù civiche,poiché si nasce titolari di diritti, ma cittadini attivi si diventa. in questo senso,la dimensione educativa diventa un passaggio indispensabile nel momentostesso in cui la cittadinanza passa dalla dichiarazione della titolarità dei dirittialla effettiva possibilità del loro esercizio pubblico/civico.2. inoltre il 2011 è stato l’Anno europeo del volontariato, inteso come promotoredi cittadinanza attiva; scelta avanzata dalle organizzazioni di volontariato efatta propria dal Consiglio dell’Unione europea con la Decisione del 27 no-vembre 2009 (GU Ue L17 del 22 gennaio 2010). “VOLONTARI PERCHÉ …?” 1. … per formare persone in grado di essere “AGENTI DI CAMBIAMENTO”individuale e comunitario, a livello locale, nazionale e internazionale. UdL n. 22 - “VOLONTARIATO È …” i parte - QUADRO TEORICO 186 2. Quali VALORI caratterizzano (o dovrebbero caratterizzare) la personalità delvolontario?- solidarietà;- gratuità;- accoglienza;- condivisione;- capacità di reciprocazione nel rapporto “dare-avere”;- altruismo;- spirito di servizio;- testimonianza;- lotta all’emarginazione;- sete di giustizia;- difesa dei diritti umani; - impegno per la promozione di chi è in condizioni di svantaggio;- non violenza;- spirito libero da ogni tipo di dipendenza;- pensiero critico;- scelta esistenziale;- “pensare-positivo”;- …….3. Quali REQUISITI sono richiesti perché il volontario possa svolgere la sua“mission” in modo “equilibrato” nel gestire il suo “potere-di-offrire”?- maturità personale;- capacità di lavorare in gruppo;- attitudine alla “reciprocazione”;- attenzione ad una formazione permanente della propria personalità e pro-fessionalità;- preparazione tecnica nei confronti del servizio che intende svolgere;- formazione politica (giustizia sociale, difesa dei diritti umani, …);- formazione etico-religiosa;- senso del pluralismo;- capacità di vedere le cose in maniera critica e obiettiva al tempo stesso;- libertà di coscienza; 187 - priorità alla “persona” prima che alle “cose”;- attitudine all’incontro con l’“altro” e con il “diverso”;- capacità di riconoscere il “tU” come “altro-diverso-da-me” e al tempostesso anello di una relazione impostata su un piano simmetrico, di scambioe di “reciprocazione”;- rifiuto del conformismo e del compromesso;- disponibilità al cambiamento;- visione evolutiva della storia;- un pizzico di “ sana utopia”;- …..4. Con quali PRINCIPI opera il volontario?- contrattuale: capace cioè di istaurare una relazione “CON” l’altro, nonsemplicemente “per” l’altro, e mai “su” l’altro;- democratico: la relazione deve avvenire su un asse simmetrico, di parità;- in posizione di scambio: la relazione non deve mai limitarsi al “dare”, madeve avvenire su un doppio canale, di “dare-ricevere” per un arricchimentoreciproco;- con pluralità di alternative: la relazione non deve essere all’insegnadell’“aut-aut”, ma dell’“et … et …”;- con una mentalità aperta e flessibile, sempre disponibile a mettere in dis-cussione il proprio punto di vista. 5. Con quali METODOLOGIE?Adotta strategie in grado di passare:a) dal “SAPERE” al “SAPER ESSERE”:- “SAPERE” = capacità di interpretare il “bisogno” e di ricercare solu-zioni “ad hoc”; capacità di individuare le risorse disponibili per realiz-zare i progetti;- “SAPER ESSERE” = capacità di entrare in relazione con “se stessi”, eal tempo stesso di entrare in rapporto cooperativo con tutto ciò che è“altro/diverso-da-me”, in particolare se “portatore di un bisogno”; 188 b) dal “SAPER FARE” al “SAPER FAR FARE”:- “SAPER FARE” = con una capacità procedurale che prevede, in suc-cessione: diagnosi (analisi dei fabbisogni) ➔ prognosi (prassi) ➔ veri-fica ➔ ri-progettazione ➔ re-intervento; saper “produrre coscienza”, inse stesso e nell’ambiente con cui si relaziona;- “SAPER FAR FARE” = capacità di dare responsabilità, di coinvolgeree di accompagnare i destinatari dell’intervento, in vista di un loro direttocoinvolgimento nell’azione; lavorare nella logica di “rete”, secondo mo-delli integrati di partenariato. Laddove muore la speranza laddove la vita è un inferno e ogni nuovo giorno uno schiaffo laddove la voce si smorza in un lento lamento laddove trionfa il peccato e la virtù ha smarrito la strada là, nei carceri duri, negli ospedali nei ghetti assolati e isolati nelle idee contorte e asservite nei recinti di ferro obbligati nelle stupide gesta un angelo veglia su tutti un angelo porta il suo amore un angelo umano vuol bene È il Volontario dal cuore grande. Poesia per riflettere - “L’ANGELO” (V. De rosa) Frasi per riflettere “È il mondo lo spazio in cui vi giocate la vostra identità” (tonino Bello)“Ogni uomo è colpevole di tutto il bene che non ha fatto” (Voltaire)“Dai poco, quando doni ciò che hai; quando doni te stesso, solo allora dai veramente” (Gibran) Cfr. sul CD: UdL n. 22 - LABORATORIO: Esercizi nn. 87-88 189 “GIOCARE” È MEGLIO CHE “TIFARE” 191 Al termine di questo lungo percorso, tutto quello che si è voluto dire può es-sere concentrato in queste poche parole:TIFARE è … stare a guardare il “gioco” che fanno altri GIOCARE è … scendere in campo in prima personaUna cosa è certa …… se non giochi TU … giocheranno altri al posto tuo!!! Il gioco, e in particolare il gioco del calcio per la sua attrazione di massa rap-presenta, un po’ in tutti i Paesi del mondo, un terreno privilegiato per la celebra-zione delle appartenenze e degli antagonismi collettivi. Ogni evento e/o ogni par-tita (dal campionato mondiale alle competizioni di coppia, ai campionati nazionalio locali, …) fornisce ai tifosi la possibilità di simbolizzare l’appartenenza con cuisi identificano.È così che il sentimento di appartenenza si costruisce in un rapporto di oppo-sizione: sul campo viene rappresentata una sorta di “guerra ritualizzata” tra op-poste tifoserie attraverso l’enfatizzazione delle “differenze” (striscioni, sciarpe,magliette, slogan spesso offensivi …, ed è sempre più frequente che si arrivi a veree proprie battaglie da stadio …). Insomma nel calcio e più in generale nello sport il tifoso si trova ad esibireforme identitarie collettive che, in nome delle “appartenenze”, fanno sì che la verapersonalità di un individuo scompaia, mascherandosi dietro false identità. Io “GIOCO”, non tifo … Perché l’agonismo che è dentro di noi non diventi egoismo né frattura mai difendiamo ogni istante la nostra lealtà sono certo - ci credo - e così sarà Pericoli tanti e tante gelosie rabbie, impazienza, piccole manie ti manderò all’inferno e così farai tu ma saremo poi amici ancora di più un po’ più alti, una spanna in su Tu sei il mio amico carissimo non tradirmi mai né soldi, né donne, né politica potranno dividerci tu sei il mio amico carissimo non tradirmi mai... Tifosi avversari senza tregua ormai nemici magari per una sera e poi sicuri che quando emergenza verrà un aiuto ognuno di noi due darà gli ostacoli sono vivificanti follie e le discussioni senza mai bugie ti manderò all’inferno e così farai tu ma saremo poi amici ancora di più un po’ più alti, una spanna in su Canzone per riflettere - “TU SEI IL MIO AMICO CARISSIMO” (r. Cocciante) 192 in un certo senso ognuno di noi assomiglia al tifoso sportivo quando è quoti-dianamente “spintonato” (dai mass media, dalle mode, dai sistemi forti di potere,…) a schierarsi, così da celebrare la propria appartenenza ad una “squadra”, sven-dendo la propria identità. DIAMO UN CALCIO AL “CALCIO-TIFATO!” ovviamente non si intende qui fare dello Sport del Calcio l’unico capro espia-torio di questo stato di “povertà d’identità”, quanto piuttosto fare esplicito riferi-mento a quelle “tifoserie” e “campanilismi” vari (a livello culturale, razziale, poli-tico-partitico, virtuale e anche religioso …) che creano confini, barriere, muri, stec-cati, rigidità mentale, oscurantismo, fondamentalismi, clonazione di cervelli, pen-siero unico. in una parola creano … …DIPENDENZA! tu “TIFI” quando …– non hai sufficiente stima di te;– non hai una coscienza critica;– deleghi ad altri le responsabilità delle tue scelte;– ti conformi acriticamente al più forte;– obbedisci ciecamente a quello che gli altri ti dicono di fare;– ragioni mediante “pensiero unico”;– utilizzi un’unica fonte di informazione;– ti “ghettizzi” in una cerchia di relazioni che non ti fanno crescere libero;– dirotti le tue migliori energie su forme di “addomesticamento” e stili di vita“scimmiottati” da quei “virtuali” di cui fai quotidianamente uso;– … Si muove la palla salta, rimbalza, oscilla, saltella, cade, si rialza scivola, ondeggia, s’immerge, galleggia si gonfia, si dilata, si schiaccia, si comprime è inutile, inutile, inutile. Com’è grande e vuota, è bianca e molle tenera, leggera, quieta e piena d’aria trasparente, fragile, tonda, liscia levigata, plasmabile, umida, viscida inutile, inutile, inutile. Non è niente di speciale e non è poi tanto strana ha una vita quasi umana con le sue difficoltà. Non ha neanche un gran valore non pretende quasi niente e si vende facilmente senza troppa dignità. “L’UOMO SFERA” (G. Gaber) 193 in pratica “tifare” è quando si cade nella trappola e/o quando ci si lascia affa-scinare, condizionare da:– particolari persone;– gruppi;– ideologie;– sostanze stupefacenti;– mass media;– videogiochi;– internet;– … e chi più ne ha più ne metta!invece, tu “GIOCHI” quando …– accetti le “regole” del gioco e le rispetti;– accetti e rispetti l’“avversario”, perché senza l’“avversario” non c’è gioco;– gestisci gli eventi in prima persona;– sai cosa vuoi dalla vita e ti dai da fare per conquistarlo;– eviti di vivere dietro uno schermo e ti giochi la faccia dal vivo;– sei tu a prendere le decisioni, piuttosto che lasciare che siano altri a decidereper te;– prendi cura di te stesso, piuttosto che lasciare che altri prendano cura di te;– insomma tu “GIOCHI” quando … sei TU che prendi nelle tue mani il volanodella tua vita! Crediamo in un futuroAbbattiamo ogni muro,senza pregiudizi ed un cuore purolasciateci parlare, provate ad ascoltarequesta canzone vi farà pensare.Con attenzione, affetto e rispettoSenza paure nella vita ci incamminiamoBelli e brutti, chiari e scuriDi ogni nazione e religione.Crediamo in un futuro…Tutti insieme vogliamo giocareSiamo bambini, non dobbiamo lavorareA scuola vogliamo andarePer giocare e saper ascoltare.Crediamo in un futuro…Non fate la guerra, liberiamo la terraTutti insieme vogliamo giocareOgni bandiera ha colori diversiSon tutti belli, non vanno persi.Crediamo in un futuro…Sventola il nostro grande tricolore,rosso come un grande amore, bianco come il nostro ardoreverde-speranza che fa battere il cuore.verde-speranza che fa battere il cuore.Crediamo in un futuroAbbattiamo ogni muro,senza pregiudizi ed un cuore purolasciateci parlare, provate ad ascoltare questa canzone vi farà pensare. “UNA CANZONE PER PENSARE” (Alunni dell’istituto Comprensivo “Perco” di Lucinico - Gorizia) 194 in pratica, quindi, “GIOCARE” è …– … quando senti dentro di te il grido: Io-ci-sono/anch’io valgo!– … e quando contemporaneamente puoi dire: Io-so-CHI-sono ma non possosapere CHI-SARÒ, avendo davanti tutto il “domani” per GIOCARE! Come compagni di un viaggio che prima di lasciarsi si scambiano doni, eccouna breve “guida” che potrà esserti utile per orientare la tua rotta durante la naviga-zione verso Cosmopolis: I “comandamenti” dell’onesto cittadino 1. Onestà mentale-morale.2. rispetto per la vita. 3. rispetto per il proprio corpo.4. rispetto verso tutte le diversità.5. rispetto per le cose.6. Capacità di scelta di “amici-VERI”.7. maturità affettivo-sessuale.8. Progetto-di-vita.9. Resilienza (grinta! Avere sempre la forza di rialzarsi anche di fronte agli eventisfavorevoli).10. Capacità di impegnarsi e di “donare” le proprie energie fisiche-morali-spiri-tuali … a favore degli “ALTRI”! Tra le nuvole e i sassi/ passano i sogni di tutti passa il sole ogni giorno/ senza mai tardare. Dove sarò domani? Dove sarò? Tra le nuvole e il marec’è una stazione di posta uno straccio di stella messa lì a consolare sul sentiero infinito del maestrale Day by day Day by day hold me/ shine on me. shine on me Day by day save me shine on me Ma domani, domani,/ domani, lo so Lo so che si passa il confine, E di nuovo la vita sembra fatta per te e comincia domani domani è già qui … Dove sarò domani? Dove sarò? Dove sarò domani che ne sarà dei miei sogni infranti, dei miei piani Dove sarò domani, tendimi le mani, tendimi le mani Tra le nuvole e il mare si può andare e andare sulla scia delle navi di là del temporale e qualche volta si vede domani una luce di prua e qualcuno grida: Domani …Domani è già qui Domani è già qui “DOMANI” (Jovanotti) * * * 195 Arrivati a questo punto non rimane che augurar-“Ci” BUON VIAGGIO!!! ricordando che… “la persona giusta che ci renderà felici per tutta la vita siamo NOI stessi!!!” “VIVI LA VITA” (madre teresa)La vita è un’opportunità, coglila.La vita è bellezza, ammirala.La vita è beatitudine, assaporala.La vita è sogno, fanne una realtà.La vita è una sfida, affrontala.La vita è un dovere, compilo.La vita è un gioco, giocalo.La vita è preziosa, abbine cura.La vita è una ricchezza, conservala.La vita è amore, godine.La vita è mistero, scopriloLa vita è promessa, adempila.La vita è tristezza, superalaLa vita è una lotta, accettalaLa vita è un inno, cantalo.La vita è un’avventura, rischiala.La vita è felicità, meritala.La vita è la vita, difendila. (www.non avere paura.org) “Sii tu stesso il cambiamento che vuoi vedere nel mondo” (Gandhi) 197 INDICE Sommario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 “Caro amico ti scrivo…” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 Istruzioni per l’uso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 I Area - IDENTITÀScenario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17UdL n. 1. io - identità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19Laboratorio - Esercizi n. 1-4UdL n. 2. io - persona . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25Laboratorio - Esercizi n. 5-8UdL n. 3. io - progetto di vita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32Laboratorio - Esercizi n. 9-14UdL n. 4. “io sono …” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40Laboratorio - Esercizi n. 15-16 II Area - ALTERITÀScenario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49UdL n. 5. “noantri” & “Voantri” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53Laboratorio - Esercizi n. 17-22UdL n. 6. io & tu (Altro - da me) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59Laboratorio - Esercizi n. 23-27UdL n. 7. Dall’“etno-centrismo” all’“Allo-centrismo” (il percorso della “Pedagogiadell’Alterità”) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67Laboratorio - Esercizi n. 28-29 III Area - CRITICAMENTEScenario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77UdL n. 8. “Cosa vedo” (per un diverso modo di “vedere”) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82Laboratorio - Esercizi n. 30-33UdL n. 9. “Cosa imparo” (per un diverso modo di “interpretare”) . . . . . . . . . . . . . 86Laboratorio - Esercizi n. 34-37UdL n. 10. “Avviso ai cybernauti” (per un diverso modo di “navigare”) . . . . . . . . 91Laboratorio - Esercizi n. 38-44 IV Area - CITTADINANZAScenario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99UdL n. 11. “Cittadini si diventa” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101Laboratorio - Esercizi n. 45-47 198 UdL n. 12. Cittadini aventi “diritti” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 106Laboratorio - Esercizi n. 48-52UdL n. 13. Cittadini “partecipativi” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111Laboratorio - Esercizi n. 53-55UdL n. 14. Cittadini “cosmopolitani” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 116Laboratorio - Esercizi n. 56-58 V Area - CITTADINI RESPONSABILIScenario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125UdL n. 15. Presenti nel futuro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 130Laboratorio - Esercizi n. 59-63UdL n. 16. ricchi & poveri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 136Laboratorio - Esercizi n. 64-66UdL n. 17. “Comprare è come votare” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 148 Laboratorio - Esercizi n. 67-73UdL n. 18. “Sii gentile con il pianeta” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 157Laboratorio - Esercizi n. 74-75 VI Area - CITTADINI ATTIVIScenario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 167UdL n. 19. “Fare - per” (il comportamento pro-sociale) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 170Laboratorio - Esercizi n. 76-77UdL n. 20. “Fare - con” (Principi per “stare - con” l’altro e per “col-laborare” in gruppo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 175Laboratorio - Esercizi n. 78-81UdL n. 21. “Solidarietà è …” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 180Laboratorio - Esercizi n. 82-86UdL n. 22. “Volontariato è …” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 185Laboratorio - Esercizi n. 87-88 “GIOCARE” È MEGLIO CHE “TIFARE”io “GioCo”, non tifo ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 191 199 Pubblicazioni nella collana del CNOS-FAP e del CIOFS/FP “STUDI, PROGETTI, ESPERIENZE PER UNA NUOVA FORMAZIONE PROFESSIONALE” ISSN 1972-3032 Sezione “Studi” 2002 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimenta- zione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto finale, 2002 2003 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XIV seminario di formazione europea. La formazione professio- nale per lo sviluppo del territorio. Castel Brando (Treviso), 9-11 settembre 2002, 2003 CIOFS/FP SICILIA (a cura di), Vademecum. Strumento di lavoro per l’erogazione dei servizi orientativi, 2003 MALIZIA G. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto sul follow-up, 2003 2004 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XV seminario di formazione europea. Il sistema dell’istruzione e formazione professionale nel contesto della riforma. Significato e percorsi, 2004 CIOFS/FP SICILIA (a cura di), Opportunità occupazionali e sviluppo turistico dei territori di Catania, Noto, Modica, 2004 CNOS-FAP (a cura di), Gli editoriali di “Rassegna CNOS” 1996-2004. Il servizio di don Stefano Colombo in un periodo di riforme, 2004 MALIZIA G. (coord.) - ANTONIETTI D. - TONINI M. (a cura di), Le parole chiave della forma- zione professionale, 2004 RUTA G., Etica della persona e del lavoro, 2004 2005 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XVI seminario di formazione europea. La formazione professio- nale fino alla formazione superiore. Per uno sviluppo in verticale di pari dignità, 2005 D’AGOSTINO S. - MASCIO G. - NICOLI D., Monitoraggio delle politiche regionali in tema di istruzione e formazione professionale, 2005 PIERONI V. - MALIZIA G. (a cura di), Percorsi/progetti formativi “destrutturati”. Linee guida per l’inclusione socio-lavorativa di giovani svantaggiati, 2005 2006 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XVII seminario di formazione europea. Il territorio e il sistema di istruzione e formazione professionale. L’interazione istituzionale per la preparazione delle giovani generazioni all’inserimento lavorativo in rapporto agli obiettivi di Lisbona, 2006 NICOLI D. - MALIZIA G. - PIERONI V., Monitoraggio delle sperimentazioni dei nuovi percorsi di istruzione e formazione professionale nell’anno formativo 2004-2005, 2006 2007 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XVIII seminario di formazione europea. Standard formativi nell’istruzione e nella formazione professionale. Roma, 7-9 settembre 2006, 2007 COLASANTO M. - LODIGIANI R. (a cura di), Il ruolo della formazione in un sistema di welfare attivo, 2007 DONATI C. - BELLESI L., Giovani e percorsi professionalizzanti: un gap da colmare? Rapporto finale, 2007 MALIZIA G. (coord.) - ANTONIETTI D. - TONINI M. (a cura di), Le parole chiave della forma- zione professionale. II edizione, 2007 MALIZIA G. - PIERONI V., Le sperimentazioni del diritto-dovere nei CFP del CNOS-FAP e del CIOFS/FP della Sicilia. Rapporto di ricerca, 2007 MALIZIA G. - PIERONI V., Le sperimentazioni del diritto-dovere nei CFP del CNOS-FAP e del CIOFS/FP del Lazio. Rapporto di ricerca, 2007 200 MALIZIA G. et alii, Diritto-dovere all’istruzione e alla formazione e anagrafe formativa. Pro- blemi e prospettive, 2007 MALIZIA G. et alii, Stili di vita di allievi/e dei percorsi formativi del diritto-dovere, 2007 NICOLI D. - FRANCHINI R., L’educazione degli adolescenti e dei giovani. Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2007 NICOLI D., La rete formativa nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP, 2007 PELLEREY M., Processi formativi e dimensione spirituale e morale della persona. Dare senso e prospettiva al proprio impegno nell’apprendere lungo tutto l’arco della vita, 2007 RUTA G., Etica della persona e del lavoro, Ristampa 2007 2008 CIOFS/FP, Atti del XIX seminario di formazione europea. Competenze del cittadino europeo a confronto, 2008 COLASANTO M. (a cura di), Il punto sulla formazione professionale in Italia in rapporto agli obiettivi di Lisbona, 2008 DONATI C. - BELLESI L., Ma davvero la formazione professionale non serve più? Indagine conoscitiva sul mondo imprenditoriale, 2008 MALIZIA G., Politiche educative di istruzione e di formazione. La dimensione internazionale, 2008 MALIZIA G. - PIERONI V., Follow-up della transizione al lavoro degli allievi/e dei percorsi triennali sperimentali di IeFP, 2008 PELLEREY M., Studio sull’intera filiera formativa professionalizzante alla luce delle strategie di Lisbona a partire dalla formazione superiore non accademica. Rapporto finale, 2008 2009 GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1977, vol. 1, 2009 DONATI C. - BELLESI L., Verso una prospettiva di lungo periodo per il sistema della formazione professionale. Il ruolo della rete formativa. Rapporto finale, 2009 NICOLI D., I sistemi di istruzione e formazione professionale (VET) in Europa, 2009 2010 PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., La valigia del “migrante”. Per viaggiare a Cosmopolis, 2010 PRELLEZO J.M., Scuole Professionali Salesiane. Momenti della loro storia (1853-1953), 2010 CNOS-FAP (a cura di), Don Bosco, i Salesiani, l’Italia in 150 anni di storia, 2010 2011 ROSSI G. (a cura di), “Fare gli italiani” con l’educazione. L’apporto di don Bosco e dei Sale- siani, in 150 anni di storia, 2011 GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1997, vol. 2 MALIZIA G., Sociologia dell’istruzione e della formazione. Una introduzione, 2012 Sezione “Progetti” 2003 BECCIU M. - COLASANTI A.R., La promozione delle capacità personali. Teoria e prassi, 2003 CIOFS/FP (a cura di), Un modello per la gestione dei servizi di orientamento, 2003 CIOFS/FP PIEMONTE (a cura di), L’accoglienza nei percorsi formativo-orientativi. 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Comunità professionale alimentazione, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale aziendale e amministrativa, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale commerciale e delle vendite, 2004 CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione delle unità didattiche, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale estetica, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale sociale e sanitaria, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale tessile e moda, 2004 CIOFS/FP BASILICATA, L’orientamento nello zaino. Percorso nella scuola media inferiore. Diffusione di una buona pratica, 2004 CIOFS/FP CAMPANIA (a cura di), ORION tra orientamento e network, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale elettrica e elettronica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale grafica e multimediale, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale meccanica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale turistica e alberghiera, 2004 NICOLI D. (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema del - l’istruzione e della formazione professionale, 2004 NICOLI D. (a cura di), Sintesi delle linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale, 2004 2005 CIOFS-FP SICILIA (a cura di), Operatore Servizi Turistici in rete. Rivisitando il progetto: le buone prassi. Progettazione, Ricerca, Orientamento, Nuova Imprenditorialità, Inseri- mento Lavorativo, 2005 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale legno e arredamento, 2005 CNOS-FAP (a cura di), Proposta di esame per il conseguimento della qualifica professionale. Percorsi triennali di Istruzione formazione Professionale, 2005 NICOLI D. (a cura di), Il diploma di istruzione e formazione professionale. Una proposta per il percorso quadriennale, 2005 POLÀČEK K., Guida e strumenti di orientamento. Metodi, norme ed applicazioni, 2005 VALENTE L. (a cura di), Sperimentazione di percorsi orientativi personalizzati, 2005 2006 BECCIU M. - COLASANTI A.R., La corresponsabilità CFP-famiglia: i genitori nei CFP. Espe- rienza triennale nei CFP CNOS-FAP (2004-2006), 2006 CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione dei sussidi, II edizione, 2006 2007 D’AGOSTINO S., Apprendistato nei percorsi di diritto-dovere, 2007 GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo. Una proposta di percorsi per la creazione di impresa. II edizione, 2007 MARSILII E., Dalla ricerca al rapporto di lavoro. Opportunità, regole e strategie, 2007 NICOLI D. - TACCONI G., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello sta to dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. I volume, 2007 202 RUTA G. (a cura di), Vivere in... 1. L’identità. Percorso di cultura etica e religiosa, 2007 RUTA G. (a cura di), Vivere... Linee guida per i formatori di cultura etica e religiosa nei per- corsi di Istruzione e Formazione Professionale, 2007 2008 BALDI C. - LOCAPUTO M., L’esperienza di formazioni formatori nel progetto integrazione 2003. La riflessività dell’operatore come via per la prevenzione e la cura educativa degli allievi della FPI, 2008 CIOFS/FP (a cura di), Comunità professionale aziendale e amministrativa, 2008 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., Individuazione e raccolta di buone prassi mirate all’accoglienza, formazione e integrazione degli immigrati, 2008 NICOLI D., Linee guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2008 NICOLI D., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello stato dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. II volume, 2008 RUTA G. (a cura di), Vivere con... 2. La relazione. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 RUTA G. (a cura di), Vivere per... 3. Il progetto. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 2009 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale meccanica, 2009 MALIZIA G. - PIERONI V., Accompagnamento al lavoro degli allievi qualificati nei percorsi triennali del diritto-dovere, 2009 2010 BAY M. - GRĄDZIEL D. - PELLEREY M. (a cura di), Promuovere la crescita nelle competenze strategiche che hanno le loro radici spirituali nelle dimensioni morali e spirituali della persona. Rapporto di ricerca, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale grafica e multimediale, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale elettrica ed elettronica, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale automotive, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per l’orientamento nella Federazione CNOS-FAP, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale turistico-alberghiera, 2010 2011 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A. (a cura di), “Cittadini si diventa”. Il contributo dei Salesiani (SDB) e delle Suore Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA) nell’educare stu- denti/allievi delle loro Scuole/CFP in Italia a essere “onesti cittadini”, 2011 TACCONI G., In pratica. 1. La didattica dei docenti di area matematica e scientifico-tecnolo- gica nell’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 TACCONI G., In pratica. 2. La didattica dei docenti di area linguistica e storico sociale nel- l’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 MANTEGAZZA R., Educare alla costituzione, 2011 NICOLI D., La valutazione formativa nella prospettiva dell’educazione. Una comparazione tra casi internazionali e nazionali, 2011 BECCIU M. - COLASANTI A.R., Il fenomeno del bullismo. Linee guida ispirate al sistema pre- ventivo di Don Bosco per la prevenzione e il trattamento del bullismo, 2011 Sezione “Esperienze” 2003 CIOFS/FP PUGLIA (a cura di), ORION. Operare per l’orientamento. Un approccio metodolo- gico condiviso e proposte di strumenti, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 1. Guida per l’accoglienza, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 2. Guida per l’accompagnamento in itinere, 2003 203 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 3. Guida per l’accompagnamento finale, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 4. Guida per la gestione dello stage, 2003 2005 CIOFS/FP SICILIA, Operatore servizi turistici in rete. Rivisitando il progetto: le buone prassi. Progettazione, ricerca, orientamento, nuova imprenditorialità, inserimento lavorativo, 2005 TONIOLO S., La cura della personalità dell’allievo. Una proposta di intervento per il coordi- natore delle attività educative del CFP, 2005 2006 ALFANO A., Un progetto alternativo al carcere per i minori a rischio. I sussidi utilizzati nel Centro polifunzionale diurno di Roma, 2006 CIOFS-FP LIGURIA (a cura di), Linee guida per l’orientamento nei corsi polisettoriali (fascia 16-17 anni). L’esperienza realizzata in Liguria dal 2004 al 2006, 2006 COMOGLIO M. (a cura di), Il portfolio nella formazione professionale. Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2006 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V., Una formazione di successo. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali triennali di istruzione e formazione professionale in Piemonte 2002-2006. Rapporto finale, 2006 2007 NICOLI D. - COMOGLIO M., Una formazione efficace. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali di Istruzione e Formazione professionale in Piemonte 2002-2006, 2007 2008 CNOS-FAP (a cura di), Educazione della persona nei CFP. Una bussola per orientarsi tra buone pratiche e modelli di vita, 2008 2010 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edi- zione 2010, 2010 2011 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edi- zione 2011, 2011 2012 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edi- zione 2012, (in stampa) Tip.: Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma Tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - E-mail: tipolito@donbosco.it Giugno 2012

In pratica 2. La didattica dei docenti di area linguistica e storico-sociale nell'Istruzione e Formazione Professionale

Autore: 
Giuseppe Tacconi
Categoria pubblicazione: 
Progetti
Anno: 
2011
Numero pagine: 
227
Codice: 
978-88-95640-41-9
Giuseppe TAcconi IN PRATICA.2. La didattica dei docentidi area linguistica e storico-socialenell’Istruzionee Formazione Professionale Anno 2011 Coordinamento scientifico:Dario nicoli (Università cattolica di Brescia) Hanno collaborato:Matteo D’AnDREA: Segretario nazionale settore Automotive.Dalila DRAzzA: Sede nazionale cnoS-FAP – Ufficio Metodologico-Tecnico-Didattico.FiAT GRoUPAutomobiles.Comunità professionale AUTOMOTIVE: Angelo AliqUò, Gianni BUFFA, Roberto cAVAGlià, EgidiociRiGliAno, luciano clinco, Domenico FERRAnDo, Paolo GRoPPElli, nicola MERli, RobertoPARTATA, lorenzo PiRoTTA, Antonio PoRzio, Roberto SARToREllo, Fabio SAVino, GiampaoloSinToni, Dario RUBERi. ©2011 By Sede nazionale del cnoS-FAP(centro nazionale opere Salesiane - Formazione Aggiornamento Professionale)Via Appia Antica, 78 – 00179 RomaTel.: 06 5137884 – Fax 06 5137028E-mail: cnosfap.nazionale@cnos-fap.it – http: www.cnos-fap.it SOMMARIO 1. INTROduzIONe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 2. IL PeRCORSO deLLA RICeRCA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 3. I RISuLTATI deLLA RICeRCA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37 4. CONCLuSIONe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 207 5. BIBLIOgRAFIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 215 INdICe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 219 3 1 il progetto, intitolato inizialmente Didattica dell’italiano e della matematica nell’Istruzione eformazione professionale, è stato affidato dalla sede nazionale della Federazione cnoS-FAP (centronazionale opere Salesiane - Formazione e Aggiornamento Professionale) al cred (centro di ricercaeducativa e didattica) del Dipartimento di Filosofia, Pedagogia e Psicologia dell’Università degliStudi di Verona ed è stato condotto, dal 2008 al 2010, principalmente da chi scrive con la supervisionedi luigina Mortari a cui va la mia riconoscenza. 1. Introduzione “in pratica” abbiamo voluto esplorare come si configura l’azione didattica deidocenti che operano nei centri di Formazione Professionale (cFP) nell’area dei co-siddetti assi culturali, interpellando direttamente circa un centinaio di formatori eformatrici1. Ma il titolo indica anche che ci si è voluti “tuffare” nelle pratiche for-mative, immergere in un’analisi delle stesse che ne consentisse una specifica messaa fuoco, capace di farne emergere tratti essenziali.la parte del progetto relativa alle pratiche didattiche dei docenti di area mate-matica e scientifico-tecnologica è già stata presentata in un primo volume (Tacconi,2011). in questo lavoro darò conto della parte della ricerca che ha coinvolto i do-centi dell’area dei linguaggi e di quella storico-sociale.Due note sul presente volume. questo capitolo introduttivo illustra il quadrodella ricerca: il perimetro, gli obiettivi conoscitivi del progetto, l’epistemologia cheha fatto da riferimento costante, l’approccio metodologico scelto e la valenza for-mativa che il progetto di ricerca ha assunto per le decine di formatori e formatriciche hanno partecipato. il secondo capitolo narra con maggiore dettaglio il percorsocompiuto e le varie fasi in cui si è articolato questo progetto di ricerca. il terzo ca-pitolo, quello centrale, dà conto dei principali risultati emersi. il quarto capitolo,quello conclusivo, propone alcune riflessioni di sintesi e indica alcune questionicruciali su cui può essere utile continuare a pensare.Esprimo fin d’ora particolare gratitudine a tutti i formatori e le formatrici chehanno partecipato al progetto e che, regalando frammenti della loro esperienza e in-trecciando le loro narrazioni, hanno reso possibile questo lavoro. 1. L’OggeTTO e gLI OBIeTTIvI deLLA RICeRCA È vero che il sapere degli insegnanti è innanzitutto quello disciplinare, che èloro richiesto di coltivare, e che dunque la loro preparazione sui contenuti è deci-siva, ma, facendo quello che fa, il docente inventa, costruisce un sapere che è certa- 5 2 I percorsi triennali di Istruzione e formazione professionale (IFP), destinati prevalente-mente a giovani 14-17enni, sono stati attivati in via sperimentale dopo la legge 53/2003 e il succes-sivo Accordo Stato-Regioni del 19 giugno 2003. in seguito, nonostante i vari cambiamenti legislativiche hanno interessato il sistema italiano di istruzione e formazione, questi percorsi hanno continuatoad esistere. la fase sperimentale si è conclusa solo con l’Accordo Stato-Regioni del 29 aprile 2010,che ha sancito il carattere ordinamentale di questi percorsi. Essi rappresentano un canale alternativo aquello scolastico, valido per l’assolvimento dell’obbligo di istruzione e del diritto-dovere all’istru-zione e alla formazione professionale, che mira sia alla formazione culturale generale sia allo svi-luppo di competenze professionali e porta al conseguimento di una qualifica professionale, rilasciatadalle regioni e riconosciuta a livello nazionale. Prevedono dunque sia insegnamenti di area culturale(organizzati secondo i quattro assi culturali definiti dal regolamento per il nuovo obbligo di istruzionefino ai 16 anni) sia insegnamenti di area tecnico-professionale (organizzati secondo gli standard for-mativi relativi alle competenze tecnico-professionali per 21 figure professionali in uscita dai percorsitriennali) ed esperienze di stage in azienda. i percorsi possono essere gestiti da agenzie formative ac-creditate presso le regioni (come i cFP del cnoS-FAP) e/o da istituzioni scolastiche (generalmenteistituti professionali statali) e sono gratuiti per l’utenza, in quanto vengono finanziati da fondi nazio-nali, erogati dal Ministero del lavoro e dal Ministero dell’istruzione, e da fondi regionali. Per inqua-drare meglio le caratteristiche principali del contesto dell’iFP e della sua recente evoluzione, posso ri-mandare ad uno “Speciale” della rivista “Tuttoscuola” (n. 505/2010), intitolato appunto “Tuttoforma-zione”, in cui è inserito anche un mio contributo sull’articolazione del sistema (cfr. Tacconi, 2010a).3 i centri di Formazione Professionale (cFP) salesiani sono rappresentati dalla Federazione na-zionale cnoS-FAP, un’Associazione senza fini di lucro, costituita il 9 dicembre 1977, che coordinatutte le realtà italiane gestite dalla congregazione salesiana, che sono impegnate a promuovere un ser-vizio di pubblico interesse nel campo dell’orientamento, della formazione e dell’aggiornamento pro-fessionale, ispirandosi allo stile educativo di San Giovanni Bosco. Tutti i cFP salesiani sono struttureformative accreditate presso le varie regioni per realizzare interventi di formazione professionale.4 Anche se non vogliamo indulgere ad una visione “assistenziale” della formazione professio-nale, è il caso di sottolineare che questi percorsi intercettano una fascia di giovani considerati scolasti-camente “deboli” e a rischio di abbandono scolastico. il numero di iscritti, per quanto l’offerta non siaomogenea in tutte le regioni (e sia stranamente più debole proprio laddove la dispersione scolastica ri-sulta più alta), è in continua crescita. nell’anno scolastico e formativo 2009/10, gli allievi dei percorsitriennali di iFP erano quasi 166 mila, due terzi dei quali iscritti presso le agenzie formative e solo unterzo presso le scuole (isfol, 2011, p.7). la percentuale di alunni stranieri è notevolmente maggioreche negli altri ordini di scuola.5 nei test cognitivi delle indagini ocSE-PiSA (Program for International Student Assessment),gli allievi quindicenni dei percorsi di iFP conseguono generalmente risultati più bassi rispetto agli al-lievi di altre tipologie di scuola, per quanto molto vicini ai risultati degli allievi degli istituti profes- mente, ancora una volta, un sapere sui contenuti stessi, che si approfondiscono evengono in qualche modo riscoperti e ricreati nel momento in cui vengono inse-gnati, ma è anche un sapere su quella complessa azione che è l’insegnamento. Pro-prio a questo sapere vorremmo dare parola con la ricerca che viene qui presentata eche ha coinvolto i docenti delle aree culturali (asse dei linguaggi e asse storico-so-ciale) dei percorsi di istruzione e Formazione Professionale (da qui in poi, iFP)2 neicentri di Formazione Professionale (da qui in poi, cFP) salesiani3 in varie regioniitaliane.considerata la particolare tipologia di utenza4, è possibile affermare che le pra-tiche dei docenti dell’iFP sono legate a risultati rilevanti, in termini di riduzione deitassi di dispersione scolastica e di apertura di sbocchi occupazionali (cfr. isfol,2011), ma anche in termini di apprendimento5, soprattutto se consideriamo tutto 6 sionali, nonostante una consistente differenza nel monte ore a disposizione delle aree disciplinari inte-ressate. nell’ultima rilevazione, quella del 2009, anche se errori standard piuttosto elevati non con-sentano di differenziare in maniera dettagliata i risultati nelle diverse regioni per tipologia di scuola,emerge che in Piemonte e Sicilia, il rendimento medio degli allievi dell’iFP è superiore a quello degliallievi degli istituti professionali. Buoni risultati si ottengono anche nelle Province autonome di Bol-zano e Trento e in Valle D’Aosta (invalsi, 2011).6 Gli strumenti di rilevazione che scegliamo di utilizzare fanno inevitabilmente emergere certidati e non altri e, come segnalava già qualche anno fa uno studioso tedesco (neuweg, 2002), c’è il ri-schio che, sulla base della rilevazione del loro “saper dire”, ad alcuni allievi si riconosca un “saperfare” che in realtà non possiedono e ad altri non si riconosca quel “saper fare” che invece hanno im-parato a padroneggiare adeguatamente.7 Se consideriamo questi elementi, possiamo affermare che i rendimenti rilevati dall’indaginePiSA riguardo agli allievi dell’iFP, nonostante il forte divario che generalmente li differenzia da quellirelativi ad altre tipologie di scuola superiore, hanno del prodigioso. questo alla luce di tre aspetti. Primo, agli strumenti di rilevazione utilizzati nelle ri-cerche estensive sui risultati di apprendimento sfuggono inevitabilmente moltidegli apprendimenti legati al “saper fare” che sono tipici della formazione profes-sionale6. Secondo, sulla base delle analisi dei dati delle stesse ricerche estensive, sipuò affermare che il nostro sistema di istruzione e formazione rimane fortementeiniquo e porta ad una forte concentrazione in certi tipi di istituzioni scolastiche eformative di ragazzi con un basso status socio-economico-culturale e livelli bassi dipreparazione, con conseguente diminuzione delle possibilità di reciproco arricchi-mento che un contesto maggiormente eterogeneo potrebbe offrire (cfr. losito,2008; Gentile, Borrione, 2010). Terzo, in molte regioni italiane, i percorsi di iFPsono caratterizzati da strutturale precarietà a livello di organizzazione e di finanzia-mento e sono prevalentemente visti come un canale formativo depotenziato, desti-nato a coloro che, nei confronti della scuola, hanno sviluppato una sorta di rifiuto7.non è questo il luogo in cui approfondire la questione dei risultati degli allievidei percorsi di iFP e sono consapevole che tra insegnamento e apprendimento nonsi dà un rapporto di causazione diretta (cfr. Damiano, 2006, pp. 44-75) e che quindinon è possibile inferire indicazioni sulla qualità dell’insegnamento semplicementea partire da un’analisi dei risultati degli allievi in termini di apprendimento. Mi in-teressa solamente accennare al fatto che gli apprendimenti degli allievi che fre-quentano i cFP (e talvolta la ri-motivazione all’apprendimento, che fa loro intrave-dere come possibile una continuazione del percorso formativo) sono spesso pocovisibili e, specularmente, altrettanto poco appariscenti risultano le pratiche dei do-centi che operano in quel contesto. il fatto che a livello sociale i cFP siano spessoconsiderati una specie di “discarica scolastica”, verso cui indirizzare coloro che inaltri tipi di scuola non raggiungono determinati livelli di competenza, lascerebbepresupporre, soprattutto nei docenti di area teorica, una tendenza ad accontentarsi,a pretendere poco, a ridurre le attese, ad allinearsi verso il basso. invece, quello chespesso abbiamo constatato entrando nei cFP – e che riteniamo di poter documen-tare con questa ricerca – è un lavoro di qualità di docenti che si ostinano ad indi-care mete e traguardi elevati, ma che si accorgono anche che queste mete vanno 7 8 il filone di ricerca pedagogica che va sotto il nome di “analisi delle pratiche” è molto svilup-pato (per uno sguardo articolato sul panorama nazionale e internazionale di questo tipo di ricerca, cfr.Damiano, 2006; laneve, 2005; 2010) e riguarda prevalentemente l’ambito scolastico (su questo, cfr.anche la ricerca presentata in Mortari, 2010b, a cui ha collaborato anche chi scrive).9 Per quanto riguarda l’area francese, basti ricordare qui i lavori di Marguerite Altet (compen-diati in Altet, 2003), che è stata tra i fondatori del Réseau open (Observation des pratiques ensei-gnantes) francese. Per quanto riguarda l’area anglosassone, si può citare il lavoro dell’isatt (Interna-tional Study Association on Teachers and Teaching). Tra i lavori più significativi in ambito anglofono,mi piace segnalare i seguenti: Day, 2004; Bain, 2004; Jackson, 2009, che sono stati per me di ispira-zione non solo in questa ricerca.10 Per quanto riguarda l’ambito della formazione professionale, posso citare alcuni miei lavori diquesti anni: Tacconi 2007a; 2007b; 2009. Un insieme di quattro ricerche, ispirate ad un approccio ana-logo a quello seguito in questa ricerca, è stato poi realizzato da chi scrive e da Gustavo Mejia Gomeznel contesto dei cFP del cioFS-FP presenti nella Regione Puglia (cfr. Tacconi, Mejia Gomez, 2010).11 chiedo scusa se d’ora in avanti, in questo lavoro, per indicare i formatori e le formatrici o gliallievi e le allieve, utilizzerò prevalentemente i termini maschili. lo faccio solo per esigenze di bre-vità. perseguite per vie differenti rispetto a quelle che, in molti casi, vengono seguite inaltri percorsi di istruzione superiore. insomma, l’idea che ci siamo fatti è che l’in-contro con una tipologia di utenza particolarmente sfidante riesca a stimolare neidocenti lo sviluppo di competenze professionali particolarmente elevate. che lapratica porti a sviluppare un sapere specifico è però qualcosa che possiamo affer-mare di tutti i docenti, in ogni ambito scolastico. la ricerca pedagogica se ne è ac-corta da tempo, tanto che l’“analisi delle pratiche educative” risulta essere attual-mente un effervescente cantiere in italia8 e un filone consolidato in ambito interna-zionale, soprattutto in area francese e anglosassone9. Sono invece pochissimi glistudi che si sono occupati delle pratiche dei docenti dell’iFP e in particolare nonesiste ancora una ricerca empirica consistente sulle pratiche dei formatori che ope-rano nel contesto della formazione professionale iniziale10.l’intento di questa ricerca è dunque di individuare alcuni elementi di quel sa-pere sulla formazione che è rinvenibile nelle pratiche di formatori e formatrici11,alle prese con una particolare tipologia di utenza e con specifici ambiti disciplinari(in questo volume, in particolare, l’asse dei linguaggi e quello storico-sociale) nelsistema dell’iFP regionale.i docenti stessi – anche quelli con grande esperienza – spesso faticano a met-tere in parole questo sapere acquisito attraverso l’esperienza e incorporato in quelloche fanno. Eppure si tratta di un sapere vivo e prezioso, spesso molto più ricco diquello astrattamente teorico.Si tratta allora di ridurre, anche in questo ambito, il solco esistente tra prassi eteoria didattica. Se è vero che proprio attraverso l’insegnamento e la formazionecresce la conoscenza sull’insegnamento e la formazione, allora è proprio alle pra-tiche didattiche che la ricerca deve rivolgersi per rinnovare la conoscenza didattica.E qui diventa davvero illuminante una frase di Walter Benjamin: «ciò che importa èforse meno un rinnovamento dell’insegnamento, della didattica, da parte della ri- 8 12 Sulla distinzione tra “conoscenza didattica” e “conoscenza disciplinare”, cfr. Damiano, 1996,in particolare le pp. 3-55.13 Un sincero ringraziamento va a tutti/e i/le formatori/trici che ci hanno dedicato un po’ del lorotempo per raccontarci del loro lavoro. cerca, che quello della ricerca da parte della didattica» (1973, pp. 138-139, cit. inArmellini, 2008, p. 19).Un’ulteriore precisazione va fatta per circoscrivere il campo. non si tratta diuna ricerca interna alle discipline e alle loro epistemologie, anche se inevitabil-mente con queste correlata, ma di una ricerca pedagogico-didattica sulle pratichedei docenti delle varie discipline12.Scopo della ricerca è innanzitutto offrire una descrizione, la mappa di un terri-torio, che sia il più vicina possibile alla natura del fenomeno, alla sua “autodescri-zione”, a come il fenomeno stesso si descriverebbe se ne avesse la possibilità. ilsenso di questo lavoro non è dunque tanto quello di prescrivere quanto quello didescrivere le pratiche didattiche così come si è avuto modo di osservarle e di sen-tirle raccontare13. Si intende analizzare come i formatori e le formatrici intervistatiagiscono nei fatti, non come bisognerebbe che agissero. ne consegue che il com-pito che ci assumiamo non è quello di regolamentare o irreggimentare la didatticadell’italiano nell’iFP, ma solo quello di capire quali sono le pratiche didattiche chei formatori e le formatrici ci dicono aver constatato essere efficaci nella loro espe-rienza e di darne una rappresentazione quanto più possibile adeguata e per questoutile per i pratici. questo non significa che dalla rappresentazione complessiva nonemergano indicazioni e principi o logiche di azione che possano ispirare l’agire earrivare a delineare non solo un repertorio di attività, ma anche una sorta di “teoriadell’azione didattica” nell’iFP. Solo che si tratterà di una teoria “umile”, che non hapretese di assoluta generalizzabilità, ma si presenta come specifica forma di cono-scenza, e qui il discorso introduttivo richiede di precisare la cornice epistemolo-gica. 2. L’ePISTeMOLOgIA dI RIFeRIMeNTO le premesse epistemologiche di questa ricerca sono già state esplicitate daluigina Mortari nel saggio apparso come introduzione del primo lavoro previstodal progetto (Mortari, 2011; cfr. anche Mortari, 2007) e vengono riprese anche nelprossimo capitolo, come elementi ispiratori delle concrete scelte operate nel corsodella ricerca. Per questo, qui di seguito, mi limiterò ad offrire qualche ulteriorespunto che aiuti a precisare la cornice all’interno della quale ho inteso muovermi.la legittimazione epistemologica di una ricerca empirica di tipo qualitativosulle pratiche formative non consiste nella pretesa di afferrare “oggettivamente” lapratica “effettiva” e di valutarla alla luce di una teoria predefinita, ma nell’apertura 9 14 Se, nella ricerca quantitativa, il passo decisivo per la generalizzabilità dei risultati è costituitodalla scelta del campione, che deve rispondere a criteri di rappresentatività e dunque avvenire primadella raccolta dei dati, nella ricerca qualitativa, il passo decisivo per una certa generalizzabilità dei ri-sultati avviene solo in fase di analisi dei materiali raccolti e dunque durante e dopo la raccolta stessa. 10 con cui il ricercatore si accosta alla testimonianza dei pratici, prevalentemente nelcontesto naturale in cui essi operano: attraverso la loro testimonianza, infatti, i pra-tici riferiscono qualcosa della loro esperienza, così come l’hanno vissuta. Sono loro– e non il ricercatore – i garanti dell’attendibilità e della validità di ciò di cui hannofatto esperienza. la ricerca qualitativa in campo formativo mira dunque ad unacomprensione approfondita e “originaria” della pratica formativa, in cui – almenotendenzialmente – nessun elemento estraneo o teoria venga a frapporsi tra i praticie la loro esperienza. la riflessione a cui orienta il metodo fenomenologico, che,come vedremo nel prossimo paragrafo, si inserisce pienamente in questa corniceepistemologica, serve appunto a mettere tra parentesi l’attività colonizzatrice dellamente, carica di costrutti teorici, perché la pratica possa essere esplicitata attraversola pratica stessa.Esiste tuttavia la possibilità di una comprensione della pratica che non si ri-duca alla trasmissione testimoniale della pratica vissuta. c’è quello che potremmochiamare uno spazio, insieme fenomenologico ed ermeneutico, di comprensibilitàdella pratica, che è il fondamento di una sua comunicabilità più generale, che, purradicandosi nella e avendo inizio dalla dimensione della testimonianza (cfr. lackey,Sosa, 2006), non si risolve completamente in essa e si apre ad una comprensibilitàpiù generale. questo spazio intermedio non va confuso con la spiegazione teorica,ma è il frutto di un sapere vivo ed esperienziale, che ha il compito di comunicare etrasmettere l’esperienza personale piuttosto che sottoporla al giudizio della raziona-lità critica. ne nasce una nuova forma di razionalità, che rifugge dalla razionalitàteorica completamente dispiegata, senza temere di rendere comprensibile a livellotestimoniale l’esperienza pratica.Anche una ricerca che intenda collocarsi all’interno di un paradigma naturali-stico (cfr. Mortari, 2007) mira dunque ad una certa generalizzabilità dei risultati,aspira ad una validità che vada oltre il più o meno ristretto gruppo dei testimoni-partecipanti. questa generalizzabilità però non si basa, come nella ricerca empiricadi tipo quantitativo, sulla rappresentatività del campione e dunque sulla possibilitàdi estendere all’universo della popolazione interessata le conclusioni a cui sigiunge indagando sul campione, ma sulla significatività dei testimoni che, sullabase della domanda di ricerca, vengono via via interpellati14 e sulla qualità e il ri-gore dell’analisi che viene condotta sui dati progressivamente raccolti.ciò che consente di passare dalla descrizione o dal racconto delle specifichepratiche narrate dal gruppo di formatori e formatrici che hanno partecipato alla ri-cerca (gruppo consistente, ma non rappresentativo) ad una considerazione appro-fondita della pratica formativa più in generale e, in un certo senso, alla costruzione 11 di una teoria (è questo ciò a cui, in fondo, deve mirare ogni ricerca), è l’idea che neicasi singoli sia contenuto sia il particolare che il generale (cfr. Beck, Scholz, 1997).nel processo della ricerca, la pratica stessa – la materia viva da cui nascono le storie– si svela e viene tematizzata nelle modalità del suo svelarsi. E qui fenomenologiaed ermeneutica non si contrappongono, anzi si integrano a vicenda, e producono unsapere che può aspirare almeno ad una certa esemplarità, che è anch’essa una formadi generalizzabilità e di comunicabilità più ampia del solo racconto.il processo della ricerca, inoltre, intrecciando le singole storie e attivando a piùriprese una sorta di narrazione collettiva, consente di giungere alla rappresenta-zione di una rete di storie, che può assumere validità anche per gli altri pratici che,leggendo tali storie e sentendole risuonare con la propria esperienza, ne ricono-scono il carattere esemplare. Spesso, nel processo di questa ricerca, è capitato chegli esempi raccolti dal racconto di alcuni formatori, una volta presentati ad altri, fa-cessero riferimento a qualcosa con cui questi ultimi avevano familiarità, che essistessi ri-conoscevano, perché in fondo già conoscevano, ma non sapevano espri-mere o non avevano ancora tematizzato in modo esplicito15. i testi permettono in-fatti una certa generalizzazione – e dunque l’identificazione da parte di chi legge –senza per questo perdere la singolarità della vicenda narrata. Se quello che è suc-cesso a molti dei partecipanti, succederà anche ai lettori di questo libro, penso chesi possa dichiarare soddisfatto il principale criterio di validità di una ricerca empi-rica qualitativa di taglio fenomenologico. i risultati di questa ricerca si potranno al-lora considerare davvero convincenti, se sapranno consentire ai pratici-lettori di en-trare maggiormente in contatto con le loro proprie esperienze e di generare così ul-teriore conoscenza riguardo ad esse. 3. L’APPROCCIO MeTOdOLOgICO il principale approccio metodologico congruente con la cornice epistemologicasopra delineata è, come si accennava, quello di tipo fenomenologico, che si com-bina però, come vedremo, con altri approcci. come in ogni ricerca qualitativa,quando si parla di metodo non ci si riferisce ad un procedimento predefinito e ri-gido, da seguire passo passo, una formula da imporre sul materiale, ma a linee indi-cative, che si sviluppano a partire dal materiale stesso e vanno di volta in volta a 15 Attingendo ad un altro contesto e prendendo a prestito alcune riflessioni che Baricco fa a com-mento di un famoso testo di Benjamin sul narrare, potremmo dire che, nella prospettiva che abbiamocercato di tratteggiare, il ricercatore, come lo scrittore, è «un semplice terminale di voci» e il fare ri-cerca, come lo scrivere, è «il gesto artigianale che dà permanenza e fisicità al liquido scorrere dellestorie. È poco più che il letto di un fiume colossale. Una scienza degli argini» (Benjamin, 2011, p.10). questa citazione, a mio parere, illustra bene il modo delicato di costruire conoscenza proprio diquesto tipo di ricerca, che non vuole imporsi sulle storie, ma assecondarne il fluire consentendo lorodi acquisire una forma riconoscibile. 16 complessivamente, per la ricerca con i docenti di area linguistica e storico-sociale, sono stateraccolte circa 400 cartelle di materiali trascritti. Tutti i materiali sono disponibili presso la sede delcnoS-FAP nazionale. configurare percorsi differenti. Per questo la vera e propria presentazione del me-todo qui seguito si avrà solo nel prossimo paragrafo, che descrive le varie fasi dellaricerca effettuata. qui di seguito mi limito a tracciare per sommi capi l’impiantometodologico delle due macro-fasi in cui ogni ricerca si articola: la raccolta e l’a-nalisi dei dati, anche se è opportuno precisare che non si tratta di due fasi separatema di due operazioni che, in buona parte, procedono simultaneamente.Per quanto riguarda la raccolta dei dati, i riferimenti principali sono stati l’inter-vista narrativa focalizzata (Mortari, 2007) e l’intervista di gruppo, appositamente svi-luppata come adattamento della tecnica del Focus Group (cfr. Albanesi, 2004), checomporta una preliminare riflessione individuale ed una successiva raccolta dei rac-conti condivisi in gruppo. i materiali così generati consistono dunque nella trascrizio-ne di testi narrativi, centrati sul racconto di episodi di pratica professionale16. integra-tivamente sono stati raccolti anche altri materiali: note di campo sulle osservazioni et-nografiche di alcune lezioni in aula, materiali elaborati dai docenti, esempi di unità diapprendimento, testi e materiali messi a disposizione dalla sede nazionale del cnoS-FAP. questi materiali non sono stati fatti oggetto di un’analisi sistematica, ma sonostati preziosi come sfondo su cui collocare i racconti dei partecipanti e dunque hannocontribuito ad una migliore comprensione delle pratiche stesse.l’analisi del materiale raccolto è stata effettuata, come si vedrà, già nel corsodella raccolta, inizialmente secondo il meticciamento di grounded theory e metodofenomenologico proposto da luigina Mortari (2007, pp. 193-202); in seguito, ci siè riferiti anche agli strumenti della narrative inquiry (cfr. clandinin, 2007).la grounded theory è un metodo sviluppato da Barney Glaser e Anselm l.Strauss (1967; cfr. anche Strübing, 2008) per consentire nelle scienze sociali la co-struzione di teorie radicate nei dati. Si tratta di un teorizzare che non ha paura di in-corporare ed integrare i dati che provengono dall’esperienza. il suo utilizzo risultaproficuo anche nella ricerca educativa, in cui l’ancoraggio profondo con l’espe-rienza vissuta rende le conoscenze generate per questa via particolarmente utili peri pratici.la fenomenologia, che si rifà al pensiero di Edmund Husserl (1859-1938), so-prattutto nella sua declinazione metodologica, si è dimostrata feconda non solo perla riflessione teoretica, ma anche per la ricerca empirica in ambito sociale (cfr.Schütz, luckmann, 1973) ed educativo (cfr. Bertolini, 2001; Mortari, 2010b) e puòdunque essere considerata un approccio adatto ad investigare anche le pratiche for-mative. Anche la fenomenologia, infatti, come la grouded theory, invita a comin-ciare dal basso, von unten, come direbbe Husserl, e, in forza di una radicale aper-tura al dato, guida ad un lavoro di descrizione e di analisi delle esperienze, cheaiuta a coglierne gradualmente alcune specificità essenziali. 12 la narrative inquiry insegna ad attribuire un rilevante valore conoscitivo alletestimonianze dei pratici e ne sollecita la produzione in forma narrativa; guidainoltre nell’individuazione di temi e categorie che emergono dalle storie stesse(clandinin, Murphy, 2007).Grounded theory, fenomenologia e narrative inquiry condividono una fortesottolineatura della componente riflessiva del processo di ricerca. Per la groudedtheory è essenziale accompagnare il processo con annotazioni sulle quali dar formaa pensieri, intuizioni, riflessioni, per fare in modo che siano i dati a parlare e nonteorie precostituite. Anche per la narrative inquiry la riflessione è essenziale perchésiano le storie a parlare. l’approccio fenomenologico consiste proprio nel proce-dere in modo tale che il proprio sguardo, sempre carico di teorie, rappresentazioni epensieri interpretanti, si lasci continuamente provocare dal materiale di ricerca edal dialogo con i soggetti che partecipano alla ricerca. Si tratta spesso di ingaggiareuna vera e propria lotta con i propri pensieri, per non perdere di vista le cose stesse,il fenomeno indagato, e limitarsi a ripetere quello che già si sa o che i saperi accre-ditati affermano. È così che possono essere sviluppate prospettive innovative sulfenomeno indagato.Grounded theory, approccio fenomenologico e narrative inquiry sono dunquecompatibili, se si chiarisce, come abbiamo tentato di fare sopra parlando di genera-lizzabilità e comunicabilità dei risultati di questo tipo di ricerca, il senso dell’opera-zione di costruzione di una teoria. Descrizione o narrazione e concettualizzazionenon vanno contrapposte, ma viste come momenti di uno stesso processo di progres-siva messa in parola della pratica, che può essere chiamato anche costruzione diuna teoria dell’azione, che chiede di essere mostrata più che dimostrata. Si trattaperciò di una teoria che non è data una volta per tutte, ma si costruisce dinamica-mente, nel processo fenomenologico ed ermeneutico di lettura e interpretazionedelle narrazioni dei formatori, ed è messa alla prova dalla significatività e dalla ri-levanza che assume per i pratici stessi. 4. LA vALeNzA FORMATIvA deLLA RICeRCA il tipo di ricerca che viene qui presentato conduce ad un intreccio di narrazionie di azioni che assumono una valenza sia in ordine alla produzione di nuova cono-scenza, sia in ordine al miglioramento delle pratiche. l’accostamento tra la narra-zione che ciascun docente fa di sé, quella che altri docenti fanno della propria espe-rienza e quella che il ricercatore propone apre ad una visione più profonda dellapratica e nello stesso tempo pone le premesse per un’azione trasformativa dellapratica stessa.narrando la pratica e ascoltando le narrazioni degli altri i formatori attivanouna specifica riflessività sull’esperienza che non può che incidere sulla qualità del-l’esperienza stessa (cfr. Mortari, 2009). la riflessività risulta essere infatti perfor- 13 mativa e agisce sulle pratiche: aiuta a sviluppare consapevolezza, abitua ad un’at-tenzione micrologica, amplia il campo visivo, orienta a concentrarsi sul concreto, amettere a fuoco i dettagli, ad accorgersi di ciò che succede, a cogliere le tante di-mensioni che sono implicate nell’azione didattica.inoltre, nel corso del processo, abbiamo spesso sperimentato che l’atteggia-mento di ascolto dei ricercatori rendeva i pratici-interlocutori capaci di attribuirevalore conoscitivo alle pratiche narrate, di riconoscersi co-autori di quella cono-scenza, con un percepibile effetto di empowerment personale e comunitario.Ritengo infine che anche per chi non ha partecipato alla ricerca, la lettura diquesto lavoro possa essere proficua, non solo perché rende accessibile un ricco re-pertorio di pratiche a cui è possibile attingere continuamente, per ricavarne risorseda calare poi nel proprio contesto di azione, ma anche perché aiuta a pensare. Delresto, il ricercatore, come il narratore di cui parla Benjamin, «…prende ciò chenarra dall’esperienza – dalla propria o da quella che gli è stata riferita –; e lo tra-sforma in esperienza di quelli che ascoltano la sua storia» (Benjamin 2011, p. 19).Se il sapere che si genera in questo tipo di ricerca esce dai racconti che ne fanno ipratici e torna a confluire in altri racconti di pratica, perché viene assunto ed inte-grato nell’esperienza di chi legge, può alimentare ulteriormente il pensiero e l’a-zione e restare qualcosa di vivo. 14 1 il cioFS-FP (centro italiano opere Femminili Salesiane) è un ente analogo al cnoS-FAP, chefa riferimento alla congregazione delle suore salesiane (Figlie di Maria Ausiliatrice, FMA). Si sonovoluti includere nella presente ricerca anche i dati relativi ad un piccolo gruppo di formatori di uncFP del cioFS-FP di Padova, che erano stati raccolti secondo la stessa metodologia, nell’ambito diuna ricerca analoga, ma che non erano ancora stati adeguatamente utilizzati. 2. Il percorso della ricerca il percorso di una ricerca empirica qualitativa, come il tragitto di un’escursionein montagna, su sentieri poco o per nulla segnati dalle mappe, può essere analizzatosolo dopo che si è concluso. qui di seguito si tratta allora di dar conto retrospetti-vamente delle scelte operate tra le tante che si presentavano come possibili ad ognibivio. nel racconto, anche i sentieri interrotti smettono di essere vicoli ciechi e di-ventano momenti di quell’esplorazione, che ha fatto trovare una via per giungerealla meta, senza far mai venire meno il gusto dell’andare. Attraverso il racconto ilviandante può diventare maggiormente consapevole del cammino.la ricerca che viene qui presentata, come già accennavamo sopra, si inserisceall’interno di un progetto più ampio, di durata biennale, intitolato “Didattica dell’i-taliano e della matematica nell’iFP” e commissionato nel 2008 dalla Federazionenazionale cnoS-FAP al centro di Ricerca Educativa e Didattica (cred) del Dipar-timento di Filosofia, Pedagogia e Psicologia dell’Università di Verona. questo vo-lume fa seguito ad un primo volume, già pubblicato, dedicato alle pratiche dei do-centi di area matematica e scientifico-tecnologica (Tacconi, 2011), e intende darconto della parte del progetto che ha coinvolto i docenti dell’area dei linguaggi e diquella storico-sociale. È inevitabile che questo capitolo, che ricostruisce il percorsodella ricerca, sia una rielaborazione di quello apparso nel volume precedente (cfr.ibid., pp. 13-25). ovviamente sono stati inseriti gli elementi specifici e le oppor-tune integrazioni. 1. I PARTeCIPANTI nel corso di un anno e mezzo, dal mese di maggio 2008 al mese di ottobre2009, sono stati coinvolti in questa parte del progetto quarantadue formatori e for-matrici degli assi dei linguaggi e storico-sociale, appartenenti a venti centri di for-mazione professionale (cFP), prevalentemente della Federazione cnoS-FAP (solotre formatori/trici appartengono ad un cFP della Federazione cioFS-FP17), sparsi 15 16 in otto regioni italiane: Emilia Romagna, lazio, liguria, lombardia, Piemonte,Umbria, Veneto e Sicilia.12 formatori (6) e formatrici (6) dei cFP salesiani di Verona, Mestre, Padova eMilano (nove di italiano e storia, due di inglese e una di tecniche di comunica-zione), operanti prevalentemente nei settori meccanico, elettromeccanico e graficodei percorsi della formazione professionale iniziale, e 1 formatore (italiano, storia,cultura etica e religiosa) di catania – 13 in tutto – sono stati intervistati individual-mente. 42 sono stati invece i formatori e le formatrici complessivamente coinvoltiin 4 interviste di gruppo o Focus Group (d’ora in poi, FG). 10 formatori/trici hannopartecipato a più momenti di raccolta, intervista e/o uno o più FG2, in una prospet-tiva che prevede la ricorsività nella raccolta dei dati.Tutti i formatori e le formatrici coinvolti condividono, con l’appartenenza arealtà salesiane3, anche una certa cultura della formazione, pur provenendo da di-versi contesti regionali. la quasi totalità dei formatori intervistati individualmenteha maturato diversi anni (da 5 a 30) di esperienza nell’istruzione e formazione pro-fessionale (iFP) regionale. Tra i partecipanti ai FG invece, erano presenti anche for-matori/trici con meno anni di esperienza.i formatori e le formatrici4 intervistati hanno a che fare con ambiti disciplinaridifferenti per statuto epistemologico, che vanno dall’insegnamento dell’italiano5,con la sua tipica articolazione interna di lingua italiana e letteratura6, all’insegna-mento della lingua inglese, ad insegnamenti come storia, diritto, economia, tec-niche di comunicazione, cultura etica e religiosa. non tutti insegnano tutto questo,ma le discipline insegnate7 sono spesso combinate tra loro in modo diverso da 2 cinque formatori/trici hanno partecipato a due momenti di raccolta; altri cinque hanno parteci-pato a tre o quattro momenti di raccolta successivi.3 Solo una partecipante ad uno dei FG appartiene però in quanto religiosa al mondo salesiano: èuna suora delle Figlie di Maria Ausiliatrice. in tutti gli altri casi, si tratta di personale laico dipen-dente.4 chiedo scusa se spesso, in questo lavoro, per esigenze di brevità, per indicare i formatori e leformatrici utilizzerò il termine maschile.5 le denominazioni stesse di questa materia sono differenti nelle diverse regioni, si va dalle tra-dizionali denominazioni, “italiano” e “storia”, a “lingua italiana”, “linguaggi”, a “cultura, comunica-zione e cittadinanza”. in ogni caso, in questo ambito, l’aspetto dell’insegnamento della lingua è privi-legiato su quello della letteratura.6 Per quanto nell’iFP si insista maggiormente sull’aspetto della lingua, non è assente, come ve-dremo sotto, un’attenzione alla letteratura.7 la ricerca è centrata su come i formatori insegnano più che su che cosa insegnano, per quantosia chiaro che i due aspetti non sono tra loro separabili. Per quanto riguarda i curricoli dei percorsiformativi (il che cosa si insegna), basti accennare al fatto che essi vengono definiti a livello regionale,quindi variano da regione a regione. Gli accordi raggiunti in sede di conferenza Stato-Regioni, in se-guito alla legge 53/03, avevano definito gli esiti formativi dei percorsi di iFP in termini di “Standardformativi minimi” relativi alle competenze di base (che riguardavano le seguenti aree: dei linguaggi,scientifica, tecnologica e storico-socio-economica) e alle competenze tecnico/professionali e trasver-sali (accordo del 5 ottobre 2006). Gli insegnamenti di italiano e di matematica sono stati definiti al-l’interno degli Standard formativi minimi relativi alle competenze di base, nell’Accordo del 15 gen-naio 2004 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 29 del 5 febbraio 2004). Più tardi, il “Regolamento 17 come avviene nella scuola. Si tratta di aree diverse ma non prive di collegamenti.coprono i cosiddetti assi dei linguaggi e storico-sociale. Tra tutti coloro che hannopartecipato alla ricerca, i docenti di italiano sono in numero decisamente prevalente(32 su 42).Per quanto riguarda la formazione iniziale, la maggior parte dei docenti di ita-liano è in possesso di una laurea in lettere o in Pedagogia (sei hanno una laureadiversa, tre in Filosofia e tre in Scienze dell’Educazione, e solo tre non hanno un ti-tolo di laurea e sono in possesso di un Diploma di maturità classica o magistrale).Gli insegnanti di inglese (5 in totale) sono in possesso di una laurea in lingue.Sono pochissimi coloro che sono in possesso dell’abilitazione all’insegnamentonella scuola superiore.i partecipanti alla fase delle interviste individuali sono stati prevalentementescelti, su segnalazione dei direttori dei rispettivi quattro cFP da cui la ricerca è par-tita, tra i docenti con più anni di servizio, che i colleghi considerano particolar-mente esperti nel campo della formazione professionale. Ai FG hanno invece parte-cipato docenti provenienti anche da altri cFP e da altre regioni, che, su base elet-tiva, prendevano parte a degli incontri (estivi e autunnali) formativi e informativi,organizzati annualmente dalla sede nazionale del cnoS-FAP per i docenti di areaculturale dei cFP salesiani sparsi in tutta italia. 2. IL gRuPPO dI RICeRCA la ricerca è stata condotta prevalentemente da chi scrive, con la supervisionecostante di luigina Mortari, coordinatrice del cred (centro di ricerca educativa edidattica) di Verona. Alla riflessione iniziale sull’impostazione da dare alla ricercae a diversi momenti della fase di raccolta dati hanno partecipato anche altri col-leghi, che verranno di volta in volta nominati.l’analisi è stata condotta principalmente da chi scrive e validata con l’aiuto deipartecipanti stessi. l’epistemologia di riferimento e l’approccio scelto, infatti, por- per il nuovo obbligo di istruzione”, emanato nell’agosto del 2007 dal MPi, in seguito alla legge296/06, ha definito i saperi e le competenze chiave per la cittadinanza che è necessario maturare perl’assolvimento dell’obbligo di istruzione, riferendoli a quattro assi culturali: dei linguaggi, matema-tico, scientifico-tecnologico, storico-sociale. Dato che i percorsi di iFP sono stati riconosciuti validi aifini dell’assolvimento del nuovo obbligo di istruzione (scelta confermata dalla legge 133/2008 e dal-l’accordo Stato-Regioni del 29 aprile 2010), diverse Regioni hanno dovuto rivedere i curricoli deipercorsi di iFP per adeguarli ai nuovi traguardi indicati. Per quanto la normativa di riferimento –anche per i cFP della Federazione cnoS-FAP – sia quella definita a livello regionale, per avere unquadro essenziale dei percorsi previsti per i vari assi culturali, compresi quello dei linguaggi e quellostorico-sociale, si possono consultare i “Traguardi Formativi comuni relativi al Triennio di qualificaProfessionale e al quarto anno di Diploma Professionale”, che vengono presentati nel documento“linee guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale” della Federazione cnoS-FAP(cfr. nicoli, 2008). in ogni caso, si tratta di indicazioni essenziali che generalmente lasciano notevolispazi alla discrezionalità del formatore. 18 tano a considerare i partecipanti parte integrante del gruppo di ricerca. il fatto chené chi scrive né chi ha collaborato alla fase di raccolta dei dati della ricerca si oc-cupi operativamente di didattica nel campo dell’iFP, dato che siamo tutti impegnatinella ricerca educativa e/o nella formazione dei formatori, ha reso particolarmenteessenziale, per la qualità del lavoro di ricerca stesso, la costruzione di quella solidae proficua alleanza tra ricercatori e pratici (cfr. Damiano, 2006) che è comunque ilpresupposto di qualsiasi ricerca educativa che intenda essere anche effettivamenteutile ai pratici. 3. Le FASI deLLA RICeRCA nella sua prima fase, la ricerca si è concentrata su quattro cFP salesiani, quellidi Mestre, Milano, Verona e Padova, i primi tre appartenenti al cnoS-FAP, l’ul-timo al cioFS-FP8. Successivamente, la ricerca si è allargata ad indagare l’espe-rienza di formatori e formatrici provenienti da cFP salesiani sparsi in altre regionid’italia, che si riunivano per partecipare ad uno degli incontri formativi e di rac-cordo che la sede nazionale del cnoS-FAP organizza periodicamente (general-mente all’inizio dell’estate e in autunno) per i docenti di una specifica area o set-tore disciplinare, in questo caso l’area dei linguaggi e quella storico-sociale.i ricercatori9 hanno dapprima contattato personalmente i direttori dei centri co-involti, spiegando loro il taglio della ricerca, i criteri di scelta dei partecipanti econcordando con loro le modalità di gestione di un primo incontro con il gruppodei docenti che i direttori stessi avrebbero indicato come rispondenti alle caratteri-stiche proposte dal gruppo di ricerca (formatori considerati, per la loro esperienza,punti di riferimento da parte dei loro colleghi). il colloquio preliminare con i diret-tori è servito anche a raccogliere elementi utili di conoscenza dei contesti locali.Gli incontri con il gruppo dei docenti coinvolti hanno consentito innanzituttodi esplicitare il senso del lavoro e il tipo di coinvolgimento che sarebbe stato ri-chiesto e poi di concordare un calendario per la realizzazione delle visite in aula,per l’osservazione etnografica, e successivamente per le interviste. Dopo questi in-contri, sono iniziate le fasi di raccolta e di analisi dei dati che sono procedute al-meno in parte simultaneamente e parallelamente10 e che di seguito verranno de-scritte. 8 Va precisato che qui si presenta una parte della ricerca, quella che ha coinvolto i docenti di ita-liano e storia. il lavoro però è proceduto parallelamente anche con i docenti di matematica e scienze.Di questa parte, si è già dato conto in un’altra pubblicazione (cfr. Tacconi, 2011).9 Alla fase iniziale della ricerca – soprattutto la raccolta delle interviste – hanno partecipato, oltrea chi scrive, anche il Prof. Alberto Agosti e il dott. claudio Girelli, sempre dell’Università di Verona,che si ringraziano per il competente e generoso apporto.10 Alcune fasi (quelle di raccolta dei dati) sono successive l’una all’altra, altre (l’analisi, il diario)sono simultanee e trasversali a tutto il processo. 19 3.1. L’osservazione etnografical’osservazione etnografica è stata condotta, nei mesi di aprile e maggio 2008,dai ricercatori che hanno partecipato alla fase di raccolta dati, durante alcune ore didocenza tenute dai docenti che sarebbero poi stati intervistati individualmente, neiquattro cFP da cui la ricerca ha preso le mosse. Per le visite, si è rivelato molto im-portante realizzare un colloquio previo con i singoli docenti, per precisare loro ilsenso di tale attività di osservazione e ridurre così l’“ansia da valutazione” che lapresenza di un osservatore esterno in classe inevitabilmente comporta. Altrettantoutile è stato curare in aula una brevissima presentazione di questa azione allaclasse, che consentisse agli allievi di comprendere il motivo per cui eravamo lì e ilfatto che per noi era importante osservare i loro docenti per imparare da loro qual-cosa su come si insegna. Generalmente, dopo pochi minuti, la presenza di un osser-vatore esterno seduto in fondo all’aula veniva dimenticata e, a detta dei docenti, iragazzi assumevano un comportamento molto simile a quello che assumono nor-malmente in classe.i ricercatori che hanno partecipato come osservatori a tali lezioni hanno stesodelle note di campo, ma l’esigenza di fondo di questa azione non era quella di rac-cogliere dati, attraverso un impiego “puro” dei metodi etnografici (cfr. Ronzon,2008), ma quella di costruire uno sfondo che consentisse poi di leggere le pratichenarrate dai formatori. Avendo infatti prevalentemente esperienza di scuola, vole-vamo avvicinarci al lavoro quotidiano dei formatori di cFP non privi di una certasensibilità alla specificità del contesto e raccogliere alcuni elementi per rappresen-tarci le azioni che poi ai docenti sarebbe stato chiesto di narrare. l’utilizzo diquesta tecnica ha avuto un positivo effetto a livello di processo (andando poi ad in-cidere sul clima complessivo in cui si sono svolte le interviste) ed ha consentito airicercatori di calarsi nel vivo delle situazioni didattiche, ma non è servita per racco-gliere dati concretamente utilizzabili nella ricerca.la visita in aula va vista perciò come fase di preparazione alla realizzazionedelle interviste. Dal punto di vista metodologico, un riferimento importante è statal’osservazione ravvicinata di cui parla Max Van Manen (1990), orientata ad entrarenel mondo vitale delle persone a cui poi avremmo chiesto di raccontare aneddoti.contrariamente alle tecniche di ricerca, basate sull’osservazione, che si rifanno adapprocci di tipo sperimentale o comportamentista, l’osservazione ravvicinata, comela intende Van Manen, «...tenta di rompere la distanza spesso creata dai metodi diosservazione. Piuttosto che osservare i soggetti attraverso una finestra ad una solavia o ricorrendo a schemi di osservazione e a checklist, che simbolicamente funzio-nano in un modo non molto diverso da come funzionano gli specchi ad una solavia, il ricercatore in scienze umane tenta di entrare nel mondo vitale delle personele cui esperienze sono assunte come materiale rilevante per il suo progetto di ri-cerca» (ibid., pp. 68-69). Per Van Manen, il ricercatore coinvolto nell’osservazioneravvicinata di situazioni, alla ricerca del loro significato vissuto, è un «raccoglitoredi aneddoti» (ibid., p. 69). l’osservazione si pone così a servizio della raccolta di 20 aneddoti perché aiuta a sviluppare «...un acuto senso del punto cruciale o della rile-vanza (point o cogency) che l’aneddoto porta dentro di sé» (p. 69). Se sfuggissequesto punto cruciale, gli aneddoti sarebbero solamente come sabbia smossa nellamano, che si disperde appena dopo essere stata raccolta. 3.2. Le interviste individuali: raccolta e prima analisila prima vera e propria tecnica di raccolta dati impiegata nella ricerca è statal’intervista narrativa focalizzata (cfr. Mortari, 2007). le 13 interviste realizzate ini-zialmente, nei vari cFP dai quali ha preso avvio la ricerca, a formatori dell’area deilinguaggi e di quella storico-sociale, sono state condotte seguendo una traccia indi-cativa ed hanno avuto ciascuna una durata media di circa un’ora. Più che una gri-glia di domande, come intervistatori, abbiamo ritenuto opportuno concentrarci suuna serie di fuochi, lasciando libero corso alla narrazione da parte dei docenti inter-vistati. Più di ogni altra cosa, infatti, ci interessava far emergere storie. l’attenzioneè stata dunque prevalentemente rivolta a far generare descrizioni dense e accurate(cfr. Van Manen, 1990) e racconti di pratica11. Del resto, come abbiamo visto sopra,la pratica difficilmente può essere detta, se non in forma di racconto. Traccia di riferimento (indicativa) per le intervisteDati- quanti anni hai? Da quanti anni insegni? in quale area disciplinare? in quale Settore? Hai insegnatoanche in altri tipi di scuola?Domande sul fare:- che cosa fai quando insegni? Potresti fare degli esempi?- “Fammi capire come fai questo...”.- quali sono i nuclei di sapere che ritieni essenziali nella tua disciplina?- che cosa ti riesce meglio insegnare? Potresti raccontare un esempio?- che cosa ti riesce meglio insegnando? Potresti raccontare un esempio?- quali unità trovi più difficili? Potresti descriverne una?- quali strategie trovi ti siano più utili?Domanda sui processi generativi della competenza pratica:- Dove hai imparato a fare quello che fai?Feedback sull’intervista:- come ti sei sentito/a in questa intervista? le interviste nascevano esplicitamente con l’intento di “dar voce” ai formatori(Elbaz-luwisch, 2005), di attribuire loro lo statuto di fonti del sapere sull’insegna-mento, a partire dal presupposto che, nella didattica, il sapere davvero rilevante èquello dell’azione (cfr. Damiano, 2006, pp. 86-124) e che, per accedere a tale sa- 11 Si può distinguere tra descrizione e narrazione o racconto. la descrizione è più puntuale e siriferisce ad una specifica tecnica o routine (“generalmente, faccio così…”); la narrazione o il raccontorappresentano una descrizione distesa nel tempo che fa riconoscere i tratti di un episodio o vicenda(“quella volta, è successo che…”). Al di là di questa distinzione, ci interessava raccogliere descri-zioni e racconti di pratica e non tanto pensieri generali sulla pratica. 21 pere, è indispensabile nutrire fiducia nelle storie di cui sono depositari gli attori(cfr. Grassilli, Fabbri, 2003; lackey, Sosa, 2006). Particolare cura è stata perciò de-dicata a creare le premesse (il setting) perché i docenti potessero raccontare dellestorie, un clima in cui le persone potessero sentirsi se stesse, vedersi come porta-trici di una conoscenza davvero rilevante per i ricercatori (autenticamente interes-sati ad apprendere da loro e privi di intenti valutativi) e raccontare le proprie espe-rienze. con tutti i partecipanti si è riusciti a costruire una relazione davvero fidu-ciosa e cordiale12.ci siamo ripetutamente chiesti se una ricerca che si proponeva di analizzare lepratiche a partire dai racconti di pratica potesse davvero consentirci di andare oltrei pensieri dei docenti “sulla” pratica e di accedere ad alcuni elementi di pratica ef-fettiva. Ammesso che esista un qualche metodo per accedere alla pratica “effettiva”(e, attraverso le osservazioni etnografiche, ci eravamo già resi conto che anchequeste producevano “solo” racconti, le nostre versioni della pratica osservata), ab-biamo ritenuto che fosse utile adottare qualche accorgimento, per evitare di racco-gliere solamente pensieri generali sulla formazione professionale iniziale. ci èsembrato che, sollecitando i docenti ad esemplificare, a raccontare con ricchezza diparticolari aneddoti ed episodi realmente accaduti, i racconti avrebbero potuto av-vicinarsi maggiormente alla pratica e restituirne con maggiore densità alcuni ele-menti, pur attraverso la prospettiva soggettiva del pratico narrante.i docenti hanno risposto brillantemente alle nostre sollecitazioni. i loro rac-conti sono ricchi di particolari, tanto da consentirci spesso di “vedere” il coloredella pratica, di sentirne l’odore e il sapore13. ci sono resoconti di pratiche ricor-renti o routine (del tipo: “generalmente faccio così…”), ma più spesso veri e propriracconti (del tipo: “quella volta è capitato che…”). Spesso abbiamo notato che, nelraccontare gli episodi, i docenti avvertivano l’esigenza di riportare frammenti del-l’interazione verbale che essi intrattengono continuamente con i loro allievi (comesi potrà notare, è infatti molto frequente il ricorso da parte loro al discorso diretto),restituendo così qualcosa di quella conversazione che si identifica col processostesso di insegnamento-apprendimento. Per quanto lo scarto tra qualsiasi racconto ela pratica rimanga incolmabile, possiamo dire che i racconti dei nostri formatori ciavvicinano in modo intensivo alla pratica stessa, perché ce ne fanno cogliere aspettiche vanno ben oltre la superficie e, oltre all’azione, danno spesso voce agli statid’animo, ai pensieri incorporati nell’azione (che non sono i “pensieri generali” 12 come afferma E. Wenger: «...bisogna chiedere alle persone cosa fanno nel loro lavoro [...]. lacomunità di lavoro dice: “questo è un posto dove si impara”. Ma dovrai ottenere abbastanza fiduciaperché le persone comincino a parlare dei propri problemi in maniera reale, e non nel modo in cui sa-rebbe meglio presentarli al cospetto dei propri manager (gli stessi che, a fine anno, dovranno valutarele loro prestazioni)» (Wenger, 2006, p. 314).13 Possiamo notare fin d’ora una certa relazione tra il loro approccio “sensibile” alla pratica di-dattica e il loro approccio altrettanto “sensibile” al racconto della pratica. 22 sulla formazione a cui accennavamo sopra14) e agli atteggiamenti di fondo che ani-mano il loro agire.i testi delle interviste sono stati audio-registrati in formato digitale e poi accu-ratamente trascritti15. le trascrizioni sono state inserite in una matrice che ne facili-tasse l’analisi. qui di seguito riportiamo la matrice utilizzata con un esempio ditesto16. intMe1 (codice intervista)Data: 15-05-08, ora: 14.00; luogo: ufficio del direttore; età: 41; anni di insegnamento: 12; discipline in-segnate: italiano; cFP di appartenenza: cFP San Marco, Mestre; durata dell’intervista: 1h 17’. 14 i pensieri generali sono del tipo: “penso che si debba…”, “bisognerebbe che…”; i pensieri in-corporati nell’azione sono del tipo: “è successo questo…; ho pensato… e allora ho deciso di farecosì…”. nell’azione “pensare” e “sentire”, “provare dentro” sono spesso intrecciati. nei racconti deinostri formatori, i pensieri incorporati compaiono più frequentemente che i pensieri generali. E anchequesti compaiono spesso agganciati ad esempi, come ragioni che muovono l’agire.15 nella trascrizione dei testi, abbiamo adottato delle convenzioni che riportiamo qui di seguito:- ...: i puntini di sospensione, senza parentesi, segnalano pause o momenti di attesa nel dis-corso;- il testo tra lineette (- testo -) indica un inciso;- le virgolette alte (“...”) indicano un discorso diretto nel testo oppure la particolare enfasi dataad una certa espressione nel parlato;- il testo normale tra parentesi tonde indica un’aggiunta redazionale, resa necessaria da esigenzedi comprensibilità;- il testo in corsivo tra parentesi tonde (testo) riporta notazioni del ricercatore su elementi nonverbali della comunicazione.16 la matrice utilizzata per l’analisi è ricavata da Mortari, 2010a. Nr.progr.9.10. 11.12.13.14.15.16. 17. Parlanti A.D. A.D.A.D.A.D. A. unità di testo com’è l’avvio della lezione?di solito, se non è la prima lezione dell’unitàformativa, del percorso, c’è qualcosa cheloro hanno dovuto portare a lezione, o co-munque che hanno portato di proprio, oltreal materialefatto a casa?fatto in proprio, sì,Mi potresti fare un esempio?SìDai delle consegne?Sì, ci sono delle consegne tipo che si ripe-tono; è un metodo strutturato, abbastanza ri-petitivo, quindi, variando un argomento....c’è una specie di schema… etichettedescrittive etichettecategoriali 23 18. 19.20. 21. 22. 23.24. 25. 26.27.28. 29.30. 31. D. A.D. A. D. A.D. A. D.A.D. A.D. A. …sì, di solito, quanto viene loro richiesto èuna schematizzazione base, vuol dire unamappa concettuale, detta in parole molto dif-ficili, ma, comunque, uno schema di qual-cosa che è stato elaborato in classe e delledomande che servono per focalizzare gli ar-gomenti principali; quindi lo schema do-vrebbe più servire per immaginarsi in testa,cioè per organizzare in testa delle informa-zioni; le domande invece, per affrontare unpo’, tra virgolette, “criticamente” l’argo-mento; dovrebbero esserci queste due fina-lità differenti in due esercizi di lavoro perso-naleAhe da questo si parte la lezione, però, in unprimo momento, che è anche quello di ri-scaldamento, in cui io, come hai visto lunedìscorso, passo per i banchi e mi avvicino aloro anche fisicamente.....uno per uno anche, ho visto durante lavisitaSì, sì, mi avvicino, guardo, controllo, guardoil loro elaborato, cerco anche di leggere ef-fettivamente quello che fanno, perché mi ac-corgo che per loro è molto importante averequesto riscontroquesta attenzione…questa attenzione da parte del docente che èlegata a quello che effettivamente fanno, unriscontro alla loro fatica, insommaE quando fai questo primo passaggio veloce,entri nel merito di quello che hanno scritto?cerco di entrarecerchi di entrareAllora, secondo le situazioni, sia dellaclasse, sia dei tempi di struttura della le-zione, sia degli allievi singoli, ci sono allieviche sicuramente hanno più bisogno di atten-zione, poi cerco anche di distribuire questaattenzione, perché bisogna calcolare che,mentre io faccio questo percorso qui, il girodei banchi, metà della classe è in attesa, percui devo calibrare anche......i tempi...i tempi; non a tutte le classi lascio glistessi spazi, tanto è vero che, l’altra volta,hai visto in classe, l’ho fatto anche perchéun po’..., ma non lo faccio sempre; mentre iopassavo per i banchi, che può essere un mo-mento un po’ delicato perché la classe puòsaltare per i banchi…creare disordine… 24 il processo di analisi dei dati delle interviste ha comportato continue letture eriletture dei testi. inizialmente, ho proceduto intervista per intervista, cercando diindividuare ed evidenziare le unità di testo significative rispetto all’oggetto della ri-cerca, di attribuire loro delle etichette descrittive, di far lentamente emergere leprincipali categorie, in quel processo di progressiva concettualizzazione che è l’a-nalisi grounded oriented. non sono partito da un sistema di categorie predefinito,con cui andare a “pescare” nei dati, ma ho cercato di far emergere temi e categoriedai testi stessi, secondo il principio fenomenologico della fedeltà al dato. in tuttoquesto processo non c’è nulla di automatico. i passaggi sono stati ripetuti varievolte ed essenziali sono stati i momenti di confronto con chi supervisionava il pro-cesso di ricerca e, come verrà illustrato più avanti, con i partecipanti stessi. qui diseguito riporto l’esempio di prima con l’indicazione delle etichette descrittive edelle categorie. 32. 33.34. D. A.D. io, come postura anche, sono vicino all’al-lievo, non davanti a tutta la classe, affiancatoall’allievo: guardo il quaderno dell’allievo evolto le spalle alla classe – situazione un po’delicata –. l’altra volta, in classe, ho fattofare un esercizio mentre io passavo, non sose hai notato; all’inizio dell’ora, io avevodato delle domande che non avevo dato percasa...in maniera che fossero impegnatiimpegnati, per cui, mentre io passavo eguardavo i lavori che avevano fatto, la sche-matizzazione ecc.; su quello schema senzautilizzare il libro, solo utilizzando loschema, ho dato le domande, per verificareanche, per aver modo di fare un’autovaluta-zione di come avevano fatto gli schemi,perché, nel momento in cui si accorge cheuna domanda non riesce perché nel proprioschema non ci sono gli agganci, capisceanche la finalità dello schema; quello è unodegli aspetti principali: io lì poi posso pe-scare per una verifica; e questa è la primafase, diciamo, quella dell’approccio perso-nale; ho visto che le prime volte creano unpoco di imbarazzo, perché si invade lospazio personale – e non sono abituati a ve-dere il docente affiancare, girare per laclasse, mettersi in mezzo ai banchi, ancheperché in certe classi si deve per forza pas-sare in mezzo ai banchi, stare vicino spalla aspalla, invadere lo spazio personale –; inqualche classe, quando non lo faccio, ancheperché poi diventa ripetitivo, mi chiedonocome mai, oppure si accorgono; e questo è ilprimo momento dei cinquanta minuti, di-ciamo, il primo quarto d’ora, il primo mo-mento della lezione. 25 intMe1Data: 15-05-08, ora: 14.00; luogo: ufficio del direttore; età: 41; anni di insegnamento: 12; discipline in-segnate: italiano; cFP di appartenenza: cFP San Marco, Mestre; durata dell’intervista: 1h 17’. Nr.progr.9.10. 11.12.13.14.15.16. 17.18. 19.20. 21. 22. 23.24. 25. Parlanti A.D. A.D.A.D.A.D. A.D. A.D. A. D. A.D. A. unità di testo com’è l’avvio della lezione?di solito, se non è la prima lezione dell’unitàformativa, del percorso, c’è qualcosa cheloro hanno dovuto portare a lezione, o co-munque che hanno portato di proprio, oltreal materiale (intMe1/10)fatto a casa?fatto in proprio, sì,Mi potresti fare un esempio?SìDai delle consegne?Sì, ci sono delle consegne tipo che si ripe-tono; è un metodo strutturato, abbastanza ri-petitivo, quindi, variando un argomento....(intMe1/16)c’è una specie di schema……sì, di solito quanto viene loro richiesto èuna schematizzazione base, vuol dire unamappa concettuale, detta in parole molto dif-ficili, ma, comunque, uno schema di qual-cosa che è stato elaborato in classe e delledomande che servono per focalizzare gli ar-gomenti principali; quindi lo schema do-vrebbe più servire per immaginarsi in testa,cioè per organizzare in testa delle informa-zioni; le domande invece, per affrontare unpo’, tra virgolette, “criticamente” l’argo-mento; dovrebbero esserci questi due obiet-tivi differenti in due esercizi di lavoro perso-nale (intMe1/18)Ahe da questo si parte la lezione, però, in unprimo momento, che è anche quello di ri-scaldamento, in cui io, come hai visto lunedìscorso, passo per i banchi e mi avvicino aloro anche fisicamente (intMe1/20)...uno per uno anche, ho visto durante la vi-sitaSì, sì, mi avvicino, guardo, controllo, guardoil loro elaborato, cerco anche di leggere ef-fettivamente quello che fanno, perché mi ac-corgo che per loro è molto importante averequesto riscontro (intMe1/22)questa attenzione…questa attenzione da parte del docente che èlegata a quello che effettivamente fanno, unriscontro alla loro fatica, insomma(intMe1/24)E quando fai questo primo passaggio veloce,entri nel merito di quello che hanno scritto? etichettedescrittive assegno delleconsegne tipo, ri-petitive Assegno l’elabo-razione di unoschema per orga-nizzare le infor-mazioni Assegno delle do-mande riflessive acui rispondere Passo per i banchie li affianco controllo quelloche fanno perdare loro un ri-scontro etichettecategoriali Assegnare com-piti per casa: farfare schemi Assegnare com-piti per casa: do-mande per riflet-tere Avvicinarsi ai sin-goli per control-lare gli elaborati Avvicinarsi ai sin-goli per control-lare gli elaborati Dare un riscontrosu quanto fatto 26 26.27.28. 29.30. 31.32. 33.34. D.A.D. A.D. A.D. A.D. cerco di entrarecerchi di entrareAllora, secondo le situazioni, sia dellaclasse, sia dei tempi di struttura della le-zione, sia degli allievi singoli, ci sono allieviche sicuramente hanno più bisogno di atten-zione, poi cerco anche di distribuire questaattenzione, perché bisogna calcolare che,mentre io faccio questo percorso qui, il girodei banchi, metà della classe è in attesa, percui devo calibrare anche......i tempi...i tempi; non a tutte le classi lascio glistessi spazi, tanto è vero che, l’altra volta,hai visto in classe, l’ho fatto anche perchéun po’..., ma non lo faccio sempre; mentre iopassavo per i banchi, che può essere un mo-mento un po’ delicato perché la classe puòsaltare per i banchi……creare disordine……sì, io, come postura anche, sono vicino al-l’allievo, non davanti a tutta la classe, affian-cato all’allievo: guardo il quaderno dell’al-lievo e volto le spalle alla classe – situazioneun po’ delicata –. l’altra volta, in classe, hofatto fare un esercizio mentre io passavo,non so se hai notato; all’inizio dell’ora, ioavevo dato delle domande che non avevodato per casa (intMe1/32)...in maniera che fossero impegnati...impegnati, per cui, mentre io passavo eguardavo i lavori che avevano fatto, la sche-matizzazione ecc.; su quello schema senzautilizzare il libro, solo utilizzando loschema, ho dato le domande, per verificareanche, per aver modo di fare un’autovaluta-zione di come avevano fatto gli schemi,perché, nel momento in cui si accorge cheuna domanda non riesce perché nel proprioschema non ci sono gli agganci, capisceanche la finalità dello schema; quello è unodegli aspetti principali: io lì poi posso pe-scare per una verifica; e questa è la primafase, diciamo, quella dell’approccio perso-nale; ho visto che le prime volte creano unpoco di imbarazzo, perché si invade lospazio personale – e non sono abituati a ve-dere il docente affiancare, girare per laclasse, mettersi in mezzo ai banchi, ancheperché in certe classi si deve per forza pas-sare in mezzo ai banchi, stare vicino spalla aspalla, invadere lo spazio personale –; inqualche classe, quando non lo faccio, ancheperché poi diventa ripetitivo, mi chiedonocome mai, oppure si accorgono; e questo è ilprimo momento dei cinquanta minuti, di-ciamo, il primo quarto d’ora, il primo mo-mento della lezione (intMe1/34) Distribuisco l’at-tenzione agli al-lievi che ne hannopiù bisogno e allaclasse Affianco l’allievo Agli altri facciofare un eserciziosupplementare l’imbarazzo ini-ziale viene gra-dualmente supe-rato Distribuire l’at-tenzione tra sin-goli e classe Affiancare i sin-goli Tenere occupatoil resto dellaclasse con ulte-riori consegne Rendere ritualel’approccio perso-nale nel controllodei compiti 27 nella discussione che ha accompagnato questa prima fase di analisi, ci siamo ac-corti che, se dall’analisi emergevano piano piano temi ricorrenti, questo procedimentorischiava di spezzettare eccessivamente la pratica e di non restituirne la specificità diazione complessa, in cui tutta una serie di elementi concorrono a formare l’azione di-dattica. Separare le varie componenti faceva correre il rischio di “vivisezionare” lapratica, rendendone scarsamente significativa la restituzione17.Abbiamo allora decisodi focalizzare l’attenzione su unità descrittive o narrative, i cosiddetti “racconti” dipratica, trasformando parti delle interviste in piccole storie (che nascevano unendo traloro i brani che nel testo originale erano intervallati dall’interazione dell’intervistatocon l’intervistatore). in riferimento alla parte di intervista riportata sopra, ad esempio,l’unità descrittiva (in questo caso, infatti, non si tratta tanto di una storia in senso stret-to, ma della descrizione di una routine) si configurava come segue18:[...] se non è la prima lezione di un’unità formativa, c’è quasi sempre qualcosa che lorohanno dovuto portare a lezione, oltre al materiale (intMe1/10)19. Di solito, ciò che vieneloro richiesto è una schematizzazione di base, una mappa concettuale […] o comunquelo schema di qualcosa che è stato elaborato in classe, e le risposte a delle domande, cheservono per focalizzare l’attenzione sugli argomenti principali; lo schema dovrebbe ser-vire [...] per organizzare in testa le informazioni; le domande invece orientano ad affron-tare un po’ […] “criticamente” l’argomento [...] (intMe1/18). in un primo momento, cheè anche quello del riscaldamento, [...] passo per i banchi e mi avvicino a loro, anche fisi-camente (intMe1/20), […] controllo, guardo il loro elaborato, cerco anche di leggere ef-fettivamente quello che hanno fatto, perché mi accorgo che per loro è molto importanteavere un riscontro (intMe1/22), un’attenzione, da parte del docente, legata a quello cheeffettivamente hanno fatto, un riscontro alla loro fatica, insomma (intMe1/24). (cerco difarlo) in modo diverso, a seconda, sia della situazione della classe, sia dei tempi in cui èstrutturata la lezione, sia della situazione dei singoli allievi; ci sono infatti allievi che si-curamente hanno più bisogno di attenzione; cerco anche di distribuire questa attenzione,perché bisogna calcolare che, mentre io faccio […] il giro dei banchi, il resto della classeè in attesa, per cui devo anche calibrare bene... (intMe1/28) ...i tempi; non a tutte le classilascio gli stessi spazi [...]. quello in cui io passo tra i banchi può essere un momentopiuttosto delicato [...] (intMe1/30); come postura, sto vicino all’allievo, non davanti atutta la classe, ma affiancato all’allievo; guardo il quaderno dell’allievo e volto le spallealla classe; è una situazione un po’ delicata. l’altra volta, in classe, ho fatto fare un eser- 17 nel brano riportato sopra come esempio, i singoli elementi (assegnare compiti per casa, avvi-cinarsi ai singoli, dare un riscontro su quanto fatto ecc.) sarebbero poco parlanti se isolati. l’origina-lità e la specificità della pratica (comunicare attenzione, attraverso il controllo dei compiti, inclinarsisull’allievo, mettersi spalla a spalla, unire lo sguardo al suo nel guardare il compito, valorizzare ecc.)emerge dalla combinazione di queste componenti, che solo la forma narrativa restituisce. i singoli ele-menti sono intrecciati con gli altri ed è proprio l’intreccio che dà senso al tutto.18 come si può vedere, il testo del brano è leggermente differente da quello originale, anche sene rispetta fedelmente il senso. i puntini tra parentesi quadre indicano che in quel punto è stata toltauna parte di testo (parole o frasi) perché ripetitiva o pleonastica o giudicata non rilevante rispetto alsenso e all’affermazione centrale del testo. A più riprese, come vedremo più avanti (cfr. punto 3.6.),sono tornato sui testi per renderli anche gradevolmente leggibili. qui riporto il “prodotto” finale diquell’operazione lunga e processuale che è la cura formale dei testi.19 come si vede, il codice consente di collocare il frammento nel testo complessivo al quale ap-partiene. 28 cizio, mentre passavo tra i banchi [...]; all’inizio dell’ora, ho dato delle domande che nonavevo dato per casa (intMe1/32) (in modo che fossero) impegnati, mentre io passavo eguardavo i lavori che avevano fatto, la schematizzazione ecc.; […] ho dato le domande acui rispondere senza utilizzare il libro, ma solo lo schema, per [...] dare loro la possibilitàdi fare un’autovalutazione di come avevano fatto gli schemi, perché, nel momento in cuici si accorge che ad una domanda non si riesce (a rispondere), perché nel proprio schemanon ci sono gli agganci, si capisce anche la finalità dello schema. [...] È la prima fasedella lezione, quella dell’approccio personale. Ho visto che le prime volte la cosa crea unpo’ di imbarazzo, perché si invade lo spazio personale e non sono abituati a vedere il do-cente affiancare, girare per la classe, mettersi in mezzo ai banchi, anche perché, in certeclassi, si deve per forza passare in mezzo ai banchi, stare vicino spalla a spalla, invaderelo spazio personale degli allievi. in qualche classe, quando non lo faccio [...], mi chie-dono come mai, comunque si accorgono. questo è il primo momento dei cinquanta mi-nuti, il primo quarto d’ora, la prima parte della lezione (intMe1/34).le descrizioni dense o le storie vissute riuscivano, insomma, meglio di singoliestratti, a rendere la pratica vissuta. Dopo aver individuato le unità narrative, ho cer-cato di leggere attentamente e ripetutamente tali descrizioni e tali storie, di lasciarlerisuonare in me, fino a sentire o meglio a vedere emergere temi rilevanti e relative con-nessioni, in grado di illuminare la pratica formativa come un cono di luce, che nonvernicia le cose del suo colore ma fa brillare ciascuna del proprio. in seguito a questarilettura, ho potuto provare a dare alle unità narrative un titolo provvisorio che ne re-stituisse l’elemento cruciale. nel caso che abbiamo visto, ad esempio, il titolo asse-gnato è stato il seguente: “controllare i compiti per comunicare attenzione”. l’analisiè stata compiuta sui testi di tutte le interviste di questa prima fase e ha consentito digenerare una prima raccolta di racconti con relativi titoli e una prima aggregazione deititoli per affinità, con relativa individuazione di macro-categorie, che sono poi serviteper le successive fasi del processo di confronto e di analisi dei dati. 3.3. La raccolta di materiali elaborati dai docenti e dai CFPi formatori, durante le interviste, sono stati invitati a mostrare (e, quando pos-sibile, a procurare in formato elettronico e ad inviare al gruppo di ricerca) vari ma-teriali di lavoro o prodotti tipo degli allievi, ma anche i progetti regionali (i loro“programmi”), le unità di apprendimento da loro elaborate e formalizzate, i libri ditesto. questo ci ha consentito di raccogliere una notevole quantità di materiali, checi hanno aiutato a “leggere” più in profondità i racconti di pratica raccolti.inoltre, presso la sede nazionale della Federazione, è stato possibile acquisirealtri materiali: quelli elaborati nell’ambito di laboratori nazionali per la realizza-zione di unità di apprendimento (centro Risorse Educative per l’Apprendimento -crea), oltre ai vari documenti (ricerche, progetti, raccolte di buone pratiche ecc.)pubblicati negli ultimi anni dalla Sede nazionale20. 20 Per accedere a tutti questi materiali, che sono prevalentemente disponibili in rete, cfr. il sitodella Federazione cnoS-FAP: http://www.cnoS-FAP.it/. 29 3.4. I Focus group realizzati nell’estate 2008 (FgIta/1 e 2): raccolta e analisinell’estate del 2008, abbiamo condotto due Focus Group a Roma, della duratadi circa tre ore ciascuno, con circa 10 formatori per gruppo, nell’ambito di un in-contro formativo di formatori di centri cnoS-FAP convenuti a Roma da diverseRegioni italiane. i FG sono stati condotti ciascuno da un ricercatore21, sulla base diuna griglia. Anche qui, la focalizzazione prevalente riguardava la raccolta di narra-zioni, di aneddoti, di episodi di pratica professionale. Anche se il FG rappresentauna tecnica differente dall’intervista (cfr. Albanesi, 2004; zammuner, 2003), perchéil racconto di un partecipante influenza inevitabilmente il racconto degli altri, pro-ponendo associazioni e attivando ricordi, l’attenzione dei conduttori è stata rivoltanon tanto ad animare una discussione sui temi proposti, quanto a stimolare la narra-zione di episodi da parte di tutti coloro che desideravano intervenire. Per farquesto, abbiamo limitato la traccia a tre domande (ancora una volta con la con-segna di generare storie), che abbiamo inizialmente sottoposto ai partecipantiperché ciascuno potesse riflettere. Successivamente si è lasciato spazio agli inter-venti di ciascuno. quello che emerge dai FG è dunque prevalentemente una rac-colta di altri racconti, in qualche modo assimilabili ai materiali raccolti attraversole interviste individuali della prima fase della ricerca. Traccia (indicativa) per la realizzazione dei FG dell’estate 2008– Pensate ad un contenuto difficile e rilevante, in ordine al vostro ambito disciplinare, e descrivetecome siete riusciti a provocare un buon apprendimento in relazione a questo (si tratta di descrivereanaliticamente le azioni, di raccontare cosa si è fatto per rendere efficaci questi momenti).– Partendo dal presupposto che è importante costruire un collegamento tra asse tecnico-professionale eassi culturali, raccontate degli esempi ben riusciti di raccordo (ossia: come, attraverso l’organizza-zione del momento professionale, siete riusciti a facilitare l’apprendimento di contenuti disciplinari?)– Ritenete di aver inventato qualche strategia particolarmente efficace per risolvere uno specifico pro-blema di apprendimento (ad esempio: per far tenere l’attenzione sul compito, per facilitare l’acquisi-zione di contenuti specifici, per far apprendere modi di pensare...)? Provate a raccontarla. Anche i testi di queste interviste di gruppo sono stati audio-registrati e accura-tamente trascritti22. le trascrizioni sono state inserite all’interno di una matrice ana-loga a quella utilizzata per analizzare i testi delle interviste individuali. l’analisi deitesti dei FG è stata condotta leggendo e rileggendo i testi stessi, cercando di indivi-duare le unità descrittive e/o narrative significative in ordine all’oggetto della ri-cerca, di titolare i singoli racconti (operazione questa che corrisponde all’etichetta-tura che abbiamo visto sopra) e di raggruppare poi i titoli per affinità, facendo cosìgradualmente emergere anche qui un sistema articolato di categorie capaci di rap-presentare le aggregazioni di racconti. Particolare attenzione è stata dedicata a quei 21 il primo dei FG realizzati nell’estate del 2008 è stato condotto da Gustavo Mejia Gomez, il se-condo da chi scrive.22 la trascrizione di questi file audio è stata svolta da luciana Alessi e da Gustavo Mejia Gomez. 30 brani che, almeno a prima vista, sembravano contraddire le caratteristiche dellapratica che andavano emergendo nell’analisi. Ad una considerazione più attenta, in-fatti, spesso proprio quei brani consentivano di guadagnare uno sguardo più com-plesso sulla pratica stessa, capace di illuminarne le tensioni, e comunque suggeri-vano le linee sulle quali approfondire la ricerca. 3.5. La sistemazione dei materiali e la raccolta di dati integrativiPer ogni azione di raccolta dati (interviste e FG), è stato costruito un “testounico”, cioè l’insieme di tutti i testi raccolti nel corso di quell’azione. A questopunto del processo, i testi unici erano i seguenti: interviste realizzate nel cFP di Ve-rona (intVr), interviste realizzate nel cFP di Milano (intMi), interviste realizzatenel cFP di Mestre (intMe) e interviste realizzate nel cFP Padova (intPd)23; primoFG, realizzato a Roma (FGita1); secondo FG, realizzato a Roma (FGita2). Succes-sivamente, si sarebbero aggiunti altri due “testi unici”: terzo FG, realizzato a Ve-rona (FGita3); quarto FG, realizzato a Roma (FGita4).i testi delle interviste e dei FG 1 e 2 sono stati inviati ai partecipanti per e-mail.Solo pochi hanno risposto e inviato per e-mail integrazioni scritte. nei casi in cuiquesto è avvenuto, le integrazioni sono state inserite in fondo al testo della relativaintervista, nel “testo unico” in cui l’intervista era inserita. questo fatto testimoniache non è semplice, per i pratici, mettere per iscritto la propria esperienza o trovareun tempo disteso per farlo. in alcuni dei cFP da cui aveva preso avvio la ricerca,non era stato ancora possibile realizzare tutte le interviste inizialmente previste. Perquesto, nell’ottobre del 2008, sempre approfittando di uno degli incontri che i for-matori di area matematica e scientifico-tecnologica avevano a Roma, sono staterealizzate alcune interviste individuali per integrare i materiali precedentementeraccolti. queste interviste sono confluite o nel testo unico delle raccolte delle fasiprecedenti (se i formatori venivano intervistati per la prima volta e provenivano dauno dei cFP da cui era partita la ricerca) o in un ulteriore “testo unico” (intRoma),se i formatori avevano già partecipato a precedenti fasi della ricerca (ad esempio, ilFG) e venivano ora intervistati nuovamente per approfondire alcuni aspetti rilevantiche erano emersi nei loro interventi precedenti. 3.6. La continuazione dell’analisi e la stesura di un primo report provvisorioTra la fine del 2008 e il mese di marzo del 2009, è stato elaborato un primo re-port che, oltre a dar conto dell’avanzamento del progetto di ricerca e delle azionicompiute, restituisse una prima analisi dei materiali fino a quel punto raccolti. Perrealizzare questo report provvisorio, è stato necessario integrare l’analisi svolta sui 23 i testi unici relativi alle interviste contengono tutte le interviste realizzate nei vari cFP sia coni docenti di area linguistica che con i docenti di area matematica. in questa parte della ricerca vengonoconsiderati ovviamente solo i testi dei docenti di area linguistica e storico-sociale. 31 testi delle interviste individuali con quella svolta sui testi dei FG, secondo la moda-lità descritta sopra (cfr. il punto 3.2.).la forma prevalente assunta dalla sezione del report dedicata ai risultati è stataquella di una “raccolta di racconti”, senza alcun commento da parte del ricercatore.nell’analisi però era gradualmente emerso un sistema di categorie, articolato in li-velli (macro-categoria, categoria, micro-categoria). ogni categoria dava il titolo adun raggruppamento di racconti affini per tematica prevalente.Parallelamente alla stesura di questo report, si è provveduto ad una sistema-zione formale dei testi dei racconti: leggeri interventi, attenti a non modificare inalcun modo il senso dei testi, ma orientati a ridurre alcuni elementi tipici del par-lato e a rendere gradevolmente leggibili – e dunque più facilmente fruibili dai pra-tici – i testi stessi24. quest’opera di “carpenteria fine” e di leggera correzione delparlato, la cosiddetta “cura formale del testo” (che è poi continuata anche sui testisuccessivamente raccolti), si è rivelata essere una vera e propria ulteriore azione dianalisi, che in diversi casi ha aiutato a comprendere meglio il senso stesso del testoe talvolta ha comportato una ricollocazione dei racconti all’interno del sistema dicategorie (coding system) che andava emergendo o una modifica del sistema stesso. 3.7. Il Focus group realizzato nell’estate del 2009 (FgIta3): validazione intersog-gettiva dell’analisi dei dati raccolti delle fasi precedenti e ulteriore raccoltail FG realizzato a Verona, nell’estate del 2009, sempre nell’ambito di un incon-tro formativo per formatori di cFP salesiani, provenienti da varie Regioni italiane, èstato condotto in modo differente, rispetto a quelli dell’anno precedente, e ha avutoun’importanza cruciale in tutto il processo di ricerca. Si è potuto infatti realizzarenel contesto di una intera settimana residenziale estiva di lavoro con il gruppo diformatori coinvolti25. con tempi così dilatati e distesi, si è potuto perciò curare unsetting che consentisse una particolare qualità di ascolto reciproco e un clima densa-mente riflessivo. A tutti i partecipanti era inoltre chiaro l’approccio proposto, cheorientava non solo ad attivare una riflessione per migliorare le pratiche (istanza que-sta propria della formazione), ma anche a riflettere sulle pratiche per generare unapiù profonda conoscenza delle pratiche stesse (istanza questa propria della ricerca).Ai docenti era stato consegnato e presentato in precedenza il fascicolo che ri-portava la sezione del report provvisorio contenente i racconti organizzati all’in-terno delle categorie emerse nella fase precedente della ricerca. lo stimolo di par- 24 nei testi, ad esempio, sono state tolte forme che, nel contesto, risultano ripetitive o superflue,come, ad esempio, alcuni connettivi di tipo argomentativo: infatti, dunque, appunto, e poi… Sonostate poi generalmente tolte espressioni del tipo: allora, magari… o espressioni enfatizzanti del tipo“quelli che sono i…”. i puntini tra parentesi quadra sostituiscono i brani tolti.25 la settimana residenziale di ricerca-formazione (perché era il coinvolgimento stesso nel pro-cesso di ricerca che diventava formativo) e di ulteriore raccolta di dati, tutta basata sulla lettura di rac-conti precedentemente raccolti e sulla narrazione, è stata condotta congiuntamente dal sottoscritto eda Gustavo Mejia Gomez. 32 tenza per la riflessione e l’ulteriore raccolta di racconti era dunque, in questo caso,costituito dai racconti stessi dei formatori che, ai partecipanti, era stato concesso iltempo di leggere attentamente. circa la metà dei 13 partecipanti al FG realizzatonell’estate del 2009 avevano inoltre avuto la possibilità di partecipare anche ad al-cune delle fasi precedenti della ricerca – interviste individuali e/o FG svolti nell’e-state o nell’autunno precedenti – e dunque potevano facilmente ritrovare frammentidei loro racconti nei testi del report loro consegnato.in particolare, ai partecipanti al FG, è stato possibile proporre due stimoli: unprimo stimolo è nato appunto dalla possibilità di prendere visione, da parte dei par-tecipanti stessi, dei materiali elaborati al termine della fase precedente della ricerca;a questo riguardo, lo spunto riflessivo è stato costituito dalla seguente domanda: leggendo, cosa pensi? ci interessano le tue impressioni, non ci interessa valutare le pratiche raccontatedai formatori. Ti ritrovi in come sono stati raggruppati i racconti? che cosa si muove nella tua menteleggendo questi racconti? questo primo giro di riflessioni ha svolto la funzione di validazione intersog-gettiva (member-check), da parte dei partecipanti stessi, dell’analisi e in particolaredelle categorie individuate nell’analisi dei materiali precedentemente raccolti. l’in-terazione è stata verbalizzata dai conduttori e ha prodotto indicazioni che successi-vamente sono state utilizzate per apportare modifiche e aggiustamenti all’analisidei materiali.Un secondo stimolo – questa volta narrativo –, proposto ai partecipanti, ingiornate successive a quelle in cui si era lavorato sull’analisi condivisa dei racconti,è stato il seguente: quelle che avete visto erano “buone invenzioni” nate dalla pratica. Provate ora a pensarne un’altra edeventualmente a descriverla individualmente per iscritto... la consegna invitava a pensare a concrete situazioni, a concreti episodi, ana-loghi a quelli già raccolti e analizzati, e ad abbozzarne – se lo si riteneva utile – lascrittura, in una prima fase di lavoro individuale. in questo modo, venivamo in-contro alla difficoltà che avevamo riscontrato precedentemente a dare forma scrittaalla propria esperienza, offrendo comunque a chi desiderava la possibilità – e iltempo necessario – di fare anche questa esperienza di presa di distanza e di rifles-sione sulla propria pratica. Dopo la fase di lavoro individuale, in cui i partecipantipotevano annotare appunti che li aiutassero a ricordare (e che sarebbero rimasti aloro), il conduttore ha invitato i partecipanti che lo desideravano a leggere e/o araccontare agli altri l’episodio che avevano abbozzato per iscritto o a cui avevanosemplicemente pensato. Gli altri partecipanti potevano intervenire con domande dichiarimento al proponente. i racconti e le interazioni sono stati audio-registrati26. 26 Riguardo a questo modo di impostare l’intervista di gruppo e alla differenza tra questa tecnicae quella ormai consolidata del FG, cfr. anche Tacconi, Mejia Gomez, 2010, pp. 17-18. 33 È stato così possibile sperimentare come i racconti raccolti nella prima fase ri-uscissero a generare altri racconti e ad attivare una riflessione sia in chi narrava siain chi ascoltava. la densità narrativa e la qualità descrittiva di questi racconti è ri-sultata mediamente più consistente di quella dei racconti raccolti nei FG prece-denti, anche per la cura del setting che, nell’estate del 2009, si è potuta avere, dis-ponendo di tempi distesi, ma soprattutto per la possibilità di sostare su racconti dipratica e di cogliere con maggiore precisione il tipo di contributo atteso dai ricerca-tori. Del resto, è difficile spiegare in che cosa consista una “buona” narrazione. È digran lunga più efficace mostrare narrazioni esemplari e in seguito invitare a raccon-tarne alcune a propria volta.in occasione della settimana di laboratorio con i docenti di italiano, di inglesee dell’asse storico-sociale, all’interno della quale sono stati realizzati i FG, si è rite-nuto opportuno anche offrire la possibilità a chi lo desiderava di raccontare altriepisodi, anche in momenti diversi da quelli delle riunioni ufficiali, approfittandodella residenzialità. ci sembrava opportuno infatti non perdere la ricchezza dei rac-conti di questi partecipanti, limitando la loro narrazione ai tempi del FG. Anchequesti testi sono comunque confluiti nel “testo unico” siglato come FGita3. com-plessivamente, la durata delle interviste registrate nel corso del FGita3 è di 16 ore. 3.8. Il ritorno sull’analisiA questo punto, si avevano a disposizione i testi delle interviste individuali equelli di 3 FG (l’ultimo dei quali davvero molto consistente), realizzati tra l’estatedel 2008 e l’estate del 2009. in una decina di casi, i partecipanti hanno avuto mododi prendere parte a diversi momenti di raccolta e di integrare i propri racconti. laraccolta, in questi casi, era dunque avvenuta in forma ricorsiva.nel corso dell’estate del 2009, dopo la settimana residenziale con i formatori,si è potuto ritornare sull’analisi riflessiva dei testi, anche alla luce delle osserva-zioni che erano emerse dai partecipanti stessi, integrando l’analisi svolta preceden-temente con l’analisi dei nuovi materiali raccolti e introducendo questa volta anchealcune parole del ricercatore, che fossero in grado di ridire le parole dei parlanti. inuna ricerca di carattere fenomenologico sulle pratiche formative, infatti, si tratta dimettere gradualmente a fuoco elementi della pratica, a partire dalle parole dei for-matori, attraverso l’uso di altre parole. 3.9. Il Fg realizzato nell’autunno 2009 (FgIta4)il racconto della pratica non si identifica con il sapere pratico. il passaggio dalsemplice racconto ad una certa formalizzazione del sapere pratico, che ha sempreuna dimensione tacita e implicita, si ha quando, restituendo ai pratici il tentativoche il ricercatore ha fatto di dire fedelmente la pratica narrata, l’effetto che si ot-tiene è una frase del tipo: “Ecco, è proprio quello che intendevo dire!”. A noiquesto è capitato spesso, negli incontri con i formatori, in particolare nel FG realiz- 34 zato sempre a Roma, nell’autunno del 2009, anche qui nel contesto di un incontroorganizzativo di un gruppo di 13 formatori convenuti da varie Regioni d’italia. ilFG dell’autunno 2009 (FGita4), oltre a consentire un’ulteriore validazione inter-soggettiva delle analisi compiute precedentemente, ha dato la possibilità di operareun’ultima raccolta di dati, a partire dallo stimolo costituito questa volta dalla letturadi alcuni brani scelti dal ricercatore nei materiali delle fasi precedenti e da un’unicadomanda: “A te sono capitate situazioni analoghe? Prova a raccontarle con ric-chezza di particolari…”. 3.10. L’analisi dell’intero corpus dei dati raccoltiA questo punto, la fase di raccolta dei materiali era completata e giunta a satu-razione. Si trattava ora di tornare ancora una volta sull’analisi dei dati, questa voltadell’intero corpus dei materiali raccolti, comparando l’analisi già compiuta conquella operata sugli ultimi dati, ma inevitabilmente anche interrogando ancora unavolta l’insieme e riorganizzando parzialmente le categorie emerse, i concetti in cuivia via si andava depositando il patrimonio di esperienza con cui ero venuto a con-tatto. Tutto questo è un processo piuttosto faticoso. nel gesto di chi fa ricerca qua-litativa, come in quello dell’artigiano, è del resto richiesta una certa disponibilitàalla pazienza e alla lunghezza, che non tutti i tipi di ricerca conoscono. È questoprocesso che trasforma una raccolta di racconti in ricerca.Un’attenzione importante era quella di dar conto sia degli elementi estesa-mente presenti, nel senso che venivano detti dalla maggior parte dei formatori, siadi quelli nominati magari solo da pochi, ma ugualmente rilevanti e in grado di re-stituire aspetti utili ad illustrare l’essenza del fenomeno indagato, la pratica forma-tiva in queste aree disciplinari (su questo cfr. Mortari, 2010a). 3.11. La scrittura del report finaleDopo l’analisi, si è passati alla scrittura del report finale. la fase della scritturaè il momento maggiormente caratterizzante di questo tipo di ricerca27, quello in cuisi mietono i frutti di tutto il lungo e paziente lavoro di analisi e di validazione pre-cedentemente svolto. È come se tutte le azioni compiute fino a questo punto – laraccolta dei dati, l’analisi ricorsiva, la riflessione continua, la validazione intersog-gettiva, con il contributo dei partecipanti e di altri ricercatori, ecc. – non fossero al-tro che forme di ascolto, azioni che consentono di ascoltare e dunque di far parlareil fenomeno indagato. A tal proposito, si può forse dire che, in questo tipo di ricer-ca, è essenziale praticare una sorta di “ascesi” o “disciplina dell’ascolto”, per lascia-re che il fenomeno si auto-descriva, si riveli. E questo ascolto non può essere soloil frutto dell’applicazione di una tecnica, ma anche l’espressione di un atteggiamen- 27 Scrivendo si tocca con mano la verità dell’affermazione di Van Manen (1990), secondo cui la«…human science research is a form of writing» (p. 111). 35 to etico di fondo, richiesto dall’epistemologia stessa. È come dire che il senso mo-rale del ricercatore diventa parte dell’atto stesso del suo ascoltare e del suo vedere28.Spesso, in questa fase, si è sentita l’esigenza di avvicinare altri testi, oltre aquelli prodotti dai docenti e alle note riflessive stese durante il percorso, non peravviare uno studio della letteratura sul tema, ma ancora una volta per avvicinare ilfenomeno della pratica formativa, per lasciarlo parlare29.la scrittura è come un gioco di echi che rimandano ad ulteriori echi: i brani –che tengono dentro l’eco delle pratiche – sono avvicinati tra loro per affinità, cioèperché fanno tra loro eco; i commenti che il ricercatore aggiunge ai brani, nellosforzo di trovare parole per dire ciò che dicono i testi, sono spesso delle riformula-zioni, ancora una volta quasi un’eco ai brani stessi; anche i riferimenti e le citazioniriportate non servono tanto a supportare quanto emerge dalle esperienze dei par-lanti con riferimenti ad altre ricerche, documentate in letteratura, ma a trovare pa-role per dire la pratica dei docenti. la mente del ricercatore infatti è, a questopunto, completamente dentro alla ricerca e tutto ciò che si legge nel periodo in cuisi sta scrivendo conduce in qualche modo lì. Forse si può dire che il sapere dei pra-tici viene davvero a galla quando, cercando di riprodurne i molteplici echi, si notache la voce che ne risulta è una voce insieme ripetuta e nuova.nel capitolo che segue, cercheremo di comprendere a fondo cosa significhi in-segnare nell’iFP, nell’area dei linguaggi e in quella storico-sociale, prendendo aprestito diversi brani estratti dai testi dei parlanti. Per dirla con Van Manen, infatti,«…il senso della ricerca fenomenologica è di “prendere a prestito” le esperienze dialtre persone e le loro riflessioni sulle loro esperienze per essere maggiormente ca-paci di giungere ad una comprensione del più profondo senso o significato di unaspetto dell’esperienza umana, nel contesto del tutto dell’esperienza umana» (VanManen, 1990, p. 62). Talvolta si tratta di estratti di dimensioni modeste, più spessodi unità descrittive o narrative ampie, veri e propri racconti. Sono proprio questiche abbiamo cercato di privilegiare, per la capacità che essi hanno di restituire inmodo ricco la pratica e di farcela quasi toccare con mano. 3.12. La stesura del diario riflessivoRiguardo a tutto il processo, da parte di chi scrive e anche di coloro che hannocollaborato alle prime fasi della ricerca, è stato tenuto un diario riflessivo o diario 28 condivido pienamente l’affermazione di luigina Mortari secondo cui l’eticità, in questo tipodi ricerca, è un’esigenza epistemologica (cfr. Mortari, 2001a, pp. 20-25).29 Su questo specifico modo di avvicinare i testi, nell’investigazione di tipo fenomenologico,sono illuminanti le parole di lester Embree: «Da questo punto di vista, la fenomenologia è come unascienza naturalistica: gli astronomi certamente leggono gli articoli prodotti da altri astronomi ma lofanno fondamentalmente come un mezzo per le loro investigazioni delle stelle o di altre cose delcielo» (Embree, 2011, p. 22). la lettura di altri testi diventa una specie di trampolino di lancio pernuovi pensieri sulle cose. Durante il processo di ricerca mi è capitato di notare che ogni testo che leg-gevo era una parola rivolta al mio interrogare i dati nella ricerca. 36 della vita della mente (Mortari, 2007), che ha consentito di conservare traccia del-l’evoluzione del progetto, dei suoi snodi principali, e di esplicitare le idee e i pro-blemi che scaturivano nel processo di ricerca e le ragioni delle scelte che venivanodi volta in volta effettuate. la ricerca qualitativa richiede infatti una costante rifles-sione sui propri pensieri, che aiuti ad esplicitare i presupposti delle scelte. È soloquando riflette accuratamente su se stessa che una ricerca ha la possibilità di dirsirigorosa. Anzi, si può forse dire che il rigore, in questo tipo di ricerca, si identificaproprio con la capacità riflessiva di conservare la memoria della strada percorsa edei pensieri che l’hanno accompagnata. nel dar conto delle fasi e dei risultati dellaricerca, ho attinto ampiamente alle note stese in questo diario, che mi hanno con-sentito di guardare nello stesso tempo dentro di me e dentro i testi e, attraversoquesti molteplici sguardi, di approfondire la conoscenza della pratica formativa. 37 3. I risultati della ricerca in questo capitolo vengono presentati i principali risultati della ricerca: le pra-tiche dei docenti dell’area dei linguaggi (quelli di italiano e quelli di lingua inglese)e di quella storico-sociale (coloro che insegnano discipline come storia ma anchediritto ed economia). Si tratta principalmente di una sorta di raccolta di exempla, didescrizioni e di episodi capaci di descrivere – si spera efficacemente – il saperepratico dei docenti, ciò che essi stessi hanno constatato essere efficace nella loroesperienza e che difficilmente un testo di teoria didattica saprebbe illustrare con al-trettanta vivacità. come accennavamo sopra, questa raccolta ha comunque consen-tito, attraverso il processo di analisi, di individuare delle strutture più generali, omacro-tematiche, caratteristiche della pratica formativa, che qui di seguito vengonorestituite accompagnate da ampi estratti tratti dai testi delle interviste individuali edei FG. il primo raggruppamento di esempi riguarda le azioni che i docenti met-tono in atto per curare la relazione con gli allievi e degli allievi tra di loro e con lacomunità educativa più ampia di cui sono parte. il secondo raggruppamento ri-guarda le azioni che i docenti hanno imparato a mettere in atto nel gestire la lezionein tutte le sue fasi. il terzo gruppo di esempi riguarda le azioni che consentono divalorizzare l’esperienza degli allievi e di far loro vivere esperienze particolari. nelquarto raggruppamento vediamo le azioni messe in atto dai nostri formatori per tra-sformare il leggere e lo scrivere in esperienze piacevoli. nel quinto raggruppa-mento, sono raccolti gli esempi di quelle azioni che valorizzano l’accostamento allavoro e alla pratica professionale per attivare apprendimenti anche nell’area lin-guistica e storico-sociale. il sesto gruppo di esempi raccoglie quelle azioni che i do-centi descrivono come orientate a far svolgere compiti autentici, collocati in scenarivicini a contesti e problemi reali. infine, il settimo raggruppamento comprende leazioni che i nostri docenti nominano in relazione alla valutazione degli apprendi-menti.le attività e le strategie raccolte non vanno viste in maniera isolata, come se sitrattasse di un mucchio di mattoni sparsi; rappresentano le tessere di un mosaicoperché sono tra loro collegate e consentono di intravedere un disegno complessivo.Del resto, ciò che i risultati presentano è una stratificazione di più narrazioni suc-cessive. Si tratta di storie e descrizioni di pratiche che formano tra loro una reteperché ciascuna si riallaccia alle altre. Sono eventi diversi, che si raccolgono in unaspecie di trama collettiva. il lavoro del ricercatore è stato quello di fondere le tantestorie nel racconto più generale che viene qui presentato, evidenziando il fatto che isingoli tasselli compongono appunto una specie di mosaico. 38 lavorando soprattutto con storie, saranno inevitabili alcune ridondanze, se nonvere e proprie ripetizioni. le singole componenti della pratica che sono state indi-viduate rimandano del resto a tutte le altre. Ho cercato di indicare tra parentesi i ri-mandi interni ma non sono riuscito ad esplicitarli tutti. cominciamo ad analizzarle. 1. CReARe Le CONdIzIONI ReLAzIONALI PeR LAvORARe la vita in un cFP è fatta di relazioni, di adulti e giovani che interagiscono traloro. Per poter lavorare in modo armonico e godere di un’atmosfera che favoriscal’apprendimento e la collaborazione, i formatori che hanno partecipato alla ricercaconsiderano importante ricorrere ad una serie di dispositivi e strategie che, delresto, risultano abbastanza diffusi nel contesto dei cFP di ispirazione salesiana1. iformatori dedicano una costante attenzione alla relazione che instaurano con gli al-lievi, consapevoli che su questo piano si gioca la qualità educativa dell’esperienzadi formazione. l’esigenza di curare la relazione – se è importante per i docenti diqualsiasi ambito disciplinare – è essenziale per docenti che, avendo a che fare conl’area dei linguaggi, si occupano specificamente di atti comunicativi e guidano per-corsi la cui efficacia scaturisce proprio dalla qualità del dialogo che si instaura traallievi e tra allievi e docenti. inoltre, in un contesto come quello del cFP, in cui isaperi culturali, agli occhi dei ragazzi che lo frequentano, hanno meno valore deisaperi tecnico-professionali, che vengono appresi in laboratorio, è proprio sullaloro capacità relazionale – la loro disponibilità al dialogo, la loro capacità di gestirepositivamente i conflitti ecc. – che i docenti di area culturale in genere e di italianoin particolare basano la possibilità di essere percepiti come autorevoli e capaci dicostruire un ambiente di apprendimento stimolante e di far accettare la fatica, oltreche il piacere, che accompagna ogni apprendimento. Di questa cura relazionale faparte anche l’esigenza di chiarire alcune regole fondamentali, meglio se negoziatecon gli allievi stessi, per mantenere un certo decoro all’interno dell’aula e consen-tire un clima di rispetto reciproco. Sempre a detta dei formatori diventa infine es-senziale curare lo spazio, per favorire la partecipazione attiva degli allievi. 1.1. Aver cura della relazione, in particolare con chi si trova in difficoltàchi insegna è chiamato ad avere una forte attenzione nei confronti dei propriallievi, dei singoli e dei gruppi, e a curare l’aspetto relazionale, consapevole che 1 le strategie che emergono qui sono, con diversa intensità, le stesse che abbiamo riscontratodiffusamente presenti anche tra i docenti che hanno a che fare con l’asse matematico e scientifico-tec-nologico (cfr. Tacconi, 2011) e tra i docenti che hanno partecipato alle ricerche realizzate nei cFP delcioFS-FP della regione Puglia (cfr. Tacconi, Mejia Gomez, 2010). questo fatto ci fornisce un indiziosulla cultura e sul clima organizzativo delle realtà formative che fanno riferimento al mondo sale-siano. 39 questo può influire sull’atteggiamento complessivo che gli allievi arrivano ad assu-mere nei confronti dell’ambiente formativo e dunque sulle possibilità stesse di ap-prendere. Se questo vale per tutti gli allievi (cfr. noddings, 1992), dai racconti deinostri formatori, sembra emergere che avere a che fare con un certo tipo di utenzasfidante, come quella che generalmente abita i cFP, aiuta a sviluppare una sensibi-lità relazionale particolarmente sottile:[…] fondamentale è l’aspetto umano, la cura della persona [...] (intMe4/24): […] “mi ac-collo” persone che hanno un po’ di difficoltà, perché credo che il lato oscuro, il cantone,l’auto-allontanamento fisico siano anche un auto-allontanamento sociale. Una personache tace ed è adombrata non si sa mai cosa pensa. credo che in genere hai la possibilitànon dico di parlare da maestro, da rabbino, […] però di essere una figura di riferimento(intMe4/26)2;ci deve essere un’interrogazione tra i docenti, per avere non solo una didattica, ma unrapporto personale e amicale che coinvolga i docenti e gli alunni, perché credo che unformatore non è solamente un docente, è anche un amico, è anche un confidente, sempreovviamente con dei limiti, perché deve sapere cogliere – e non solo in momenti scola-stici – desideri e problematiche degli alunni, che molto spesso hanno problemi allespalle, vuoi familiari, vuoi fisici o quant’altro. E dunque ribadisco la necessità di avereun’attenzione e una coesione tra noi che vada al di là della semplice [...] didattica(FGita2/309).S. (intMe4)3, ad esempio, durante la prima intervista, afferma che è importantefarsi carico di (“accollarsi”) persone che spesso entrano al cFP con un pesante far-dello di problemi e hanno bisogno di punti di riferimento, che sappiano porsi inmodo amichevole e comprensivo. Partecipando ad uno dei FG successivi, sempreS. (FGita2/309) ha modo di precisare il suo pensiero a questo riguardo, sottoli-neando come la cura relazionale vada assunta non solo dai singoli, ma dall’interacomunità dei formatori, chiamati a costruire anche tra di loro una coesione che ine-vitabilmente incide sull’ambiente e lo rende accogliente. qui di seguito vediamo,attraverso alcuni esempi, come si declini in concreto questa attenzione relazionalenei nostri formatori che sentono di vestire, di volta in volta, i panni dell’amico,confidente, maestro, rabbino4. 2 i brani vengono riportati con un codice che consente di riferire l’estratto al tutto del “testounico” da cui esso è tratto (intVr, intMe, intMi, intPD, intRoma, FGita1, FGita2, FGita3, FGita4).Tutti i “testi unici” sono stati consegnati al committente e sono disponibili presso la sede del cnoS-FAP nazionale. il numero progressivo dopo le interviste indica il numero dell’intervista nel rispettivo“testo unico” (ad es.: intVr1, intVr2, FGita4 ecc.); il numero che segue la barra (/) indica il numeroprogressivo del turno di parola in cui è collocato il brano estratto nel testo unico (ad es., FGita4/17).Per i FG, spesso è riportato l’intervallo all’interno del quale è contenuto il brano estratto. Tutto questoconsente di riandare in qualsiasi momento al testo nella sua interezza e di collocare il brano nel con-testo a cui appartiene.3 Dei docenti coinvolti, per ovvi motivi, si riporta solo l’iniziale puntata del nome. quando, negliestratti riportati, compaiono nomi di allievi, è bene precisare fin da ora che tutti i nomi reali sono statisostituiti con nomi di fantasia.4 qualcosa del genere afferma anche Frank Mccourt, riflettendo sulla sua esperienza di docente:«Ero più che un professore, e meno. nell’aula di una scuola superiore uno diventa un sergente istrut- 40 1.1.1. Agganciare gli sguardiUna formatrice, che opera in Piemonte, racconta la sua esperienza con gli uten-ti di un percorso di “scuola-laboratorio”, che mira, attraverso il raccordo con il cFP,a sostenere ragazzi pluriripetenti, con grosse difficoltà scolastiche, a concludere po-sitivamente la scuola secondaria di primo grado. nel suo racconto sono centrali glisguardi e le espressioni del volto che svelano i propri significati nella relazione:la mia esperienza è maturata l’anno scorso, nei progetti di scuola laboratorio […], con idrop-out, cioè con ragazzi che, a quasi sedici anni, sono ancora nella scuola media e nonhanno né motivazione né autostima. […] Mi rendo conto che questa motivazione non èmai nata, perché non c’è stata un’esperienza positiva a monte. non è mai nata in loro laconsapevolezza di sé; si arrabattano. quando sono entrata per la prima volta in aula […],ero terrorizzata – non ho vergogna a dirlo! – perché mi sono chiesta […]: “E io, ora, chefaccio?”. Sono portatrice di una serie di conoscenze, […] ma alle persone che ho da-vanti – questa è una domanda che mi faccio sempre, in qualsiasi corso, con adulti o conragazzi – di quello che io conosco, delle mie esperienze, che cosa può essere utile? qualè il bisogno che posso soddisfare in questa azione? […] questi ragazzi, se li guardi drittinegli occhi […], tendono a sfuggire con lo sguardo […]. quando ho guardato in facciaquesti ragazzi, ho visto una fragilità estrema, […] il fardello che si portano sulle spalle.[…]. Sono rimasta meravigliata dal fatto che, alle sette e mezzo, erano già tutti fuori deicancelli; io pensavo che arrivassero in ritardo, con le solite scuse, del tipo: “Mi è morto ilcane…”, “c’era gelo per strada…” […], e invece no, erano già lì alle sette e mezzo; noiiniziamo alle otto, il progetto diceva alle nove […]; alla fine non volevano mai andarevia: “Possiamo mangiare qui? Stiamo qui…”; “no, vai a casa, basta, è finita!”. Allora misono chiesta: da che cosa scappano? Perché hanno così tanta voglia di venire qua, anchese non siamo molto invitanti? Effettivamente, mi sono trovata questi ragazzi che, nel mo-mento in cui uno li guarda negli occhi, abbassano completamente lo sguardo, e poi hannodelle stazze non da poco: ragazzini di quindici anni alti un metro e ottanta […]. il primopasso è sicuramente entrare in relazione […]. come si può fare per farsi rispettare? Mi-nacciarli di giocare a calcetto con loro: “Guarda che gioco in squadra con te!”. Un ra-gazzo di questi mi ha detto: “Sarà più facile che io prenda la terza media che non che tuvinca una partita!”, ed è vero, lui la terza media l’ha presa, io tutte le volte che chiedo digiocare a calcetto mi sento consigliare di lasciar perdere. Però nei momenti informali siagganciano, senza avere paura di mettersi a nudo, […] con un po’ di ironia, perché l’i-ronia […] è una forma di intelligenza che ti salva in certe situazioni. questi ragazzi, chehanno situazioni più grandi di loro sulle spalle, se non imparano ad essere ironici con sestessi e con gli altri, non riusciranno ad uscire dai loro problemi. noi abbiamo avutoun’esperienza tutto sommato […] positiva; alla fine siamo riusciti ad organizzare ancheuna festa di chiusura del laboratorio: ognuno ha portato qualcosa, ci hanno lasciato il loronumero di cellulare; insomma, si è creato un buon clima. certo gli obiettivi specifici diapprendimento forse non sono stati raggiunti del tutto, ma abbiamo raggiunto cose piùimportanti, come fare in modo che non venissero più a scuola armati, che non sentisserola necessità di tirare un pugno ogni volta che c’era tensione con qualcuno. […] il consi- tore, un rabbino, una spalla su cui piangere, un cerbero, un cantante, uno studioso di second’ordine,un impiegato, un arbitro, un pagliaccio, un consulente, un censore dell’abbigliamento, una guida, unapologeta, un filosofo, un collaboratore, un ballerino di tip tap, un politico, un medico, un fesso, unvigile urbano, un prete, un padre-madre-fratello-sorella-zio-zia, un ragioniere, un critico, uno psico-logo, l’ultima goccia che fa traboccare il vaso...» (Mccourt, 2006, p. 35; cfr. anche Tacconi, 2008a). 41 glio che mi sento di dare è […] di tornare […] ad una relazione basata sul confronto emai sulla superiorità, il che non vuol dire negare l’autorità, ma diventare più che un’auto-rità, un punto di riferimento per loro (FGita4/15).Di fronte a ragazzi che si ritraggono davanti a formatori, che invece tendonoloro una mano, ragazzi che abbassano lo sguardo, appesantiti da un carico di insuc-cessi scolastici e di situazioni di vita difficili, ma che non smettono di lanciare ap-pelli, anche solo attraverso la loro costante presenza, la leva non può che essere lacura della relazione, da coltivare in ogni momento, formale ed informale, ponen-dosi in modo autentico nei loro confronti, considerando attentamente i loro inte-ressi e i loro bisogni (significative, a questo riguardo, le domande che la nostra for-matrice è solita porsi in avvio di percorso: “Alle persone che ho davanti, che cosapuò essere utile di ciò che so e che ho imparato?”), attingendo anche alla risorsadell’ironia, che insegna a guardare in modo diverso e insolito all’esperienza, sco-prendone aspetti inusuali e potenzialità latenti. Tutto questo fa alzare gli sguardi epermette l’accendersi di quel contatto visivo che è indizio di fiducia, condizione in-dispensabile perché nasca il desiderio di intraprendere un cammino in salita, sa-pendo di poter contare su una guida sicura, che alla fine condurrà in un punto dalquale si aprono alla vista panorami più ampi.1.1.2. Rapportarsi con autenticità: verso una relazione motivantela qualità della relazione che si costruisce tra docente e allievi diventa unafonte di energie buone a cui poter attingere e trasforma la classe in una comunità incui ciascuno riceve il rispetto e la cura di cui ha bisogno e, proprio per questo, im-para ad aver cura degli altri. Vediamo un’ulteriore sfumatura della cura relazionale,nell’esempio che segue:[…] non riesco a fare a meno di pensare a tutto ciò che è relazione […]. All’inizio del-l’anno […], in tutte le classi, la prima volta che ci incontriamo, chiedo a che ora si alzanoal mattino, per avere un quadro generale: “A che ore vi alzate? A che ora fate colazione?quando arrivate a scuola?” […] (FGita4/10). Due anni fa ho avuto una giornata interacome terzo insegnante alle macchine utensili: assistevo i miei colleghi che lavoravano inofficina e trovavo ragazzi estremamente motivati. […] Penso che, nel momento in cuil’adulto entra in classe, è accogliente e diventa un modello desiderabile, allora diventamotivante quasi tutto ciò che uno propone. nel momento in cui uno è autentico e dimo-stra concretamente che nella vita ha avuto bisogno di leggere, scrivere, parlare in inglese,compilare un documento, pagare le tasse, compilare un bollettino, nel momento in cuiquesta persona è significativa, è importante per loro, diventano importanti anche i sacri-fici, […] parte la motivazione. non ho mai incontrato nessun ragazzo che dicesse: “Sonoignorante e voglio rimanerlo!” e i cui occhi dicessero la stessa cosa della voce. c’è unaforte motivazione in laboratorio, ma io la ritrovo anche in molti altri momenti […](FGita4/28). nel momento in cui scelgo di essere autentico, le suggestioni me le dannoloro. Stamattina ho fatto l’esempio di chiedere a che ora si alzano, e questo desta curio-sità: “Perché me lo chiedi?”. […] E io gli rispondo: “Mi serve saperlo! c’è differenza trate, che ti alzi alle cinque, e me, che mi alzo alle sette e dieci per venire a lavorare! Tusarai più stanco di me e devo tenerne conto; magari devo tener presente il fatto che tudevi andare in bagno alle otto. io non ho bisogno di andare in bagno alle otto. Tu hai 42 fatto colazione più di due ore fa; io l’ho appena fatta!”. nel momento in cui tengo pre-sente questo, riesco anche a far presente al ragazzo alcune esigenze della struttura […],magari a spiegargli perché è meglio non usare la coca cola in aula di informatica. innan-zitutto lui arriva qui e io lo accolgo: “come stai? chi sei? Da dove vieni?”. Poi loro tiguidano. quando hanno saputo che venivo a Roma (per il FG), uno mi ha chiesto il por-tachiavi della Roma; stranamente, in Piemonte, c’è un tifoso della Roma. A questo ra-gazzo posso chiedere se mi scrive dieci righe su perché è tifoso della Roma; sono sicuroche le scriverà. oggi pomeriggio comprerò un portachiavi giallo rosso e domani glieloporterò […] (FGita4/30).F. (FGita4/10; 28-30) insegna italiano a Bra ma ha avuto spesso modo di assi-stere al lavoro dei colleghi di laboratorio, accorgendosi del forte coinvolgimentodegli allievi nelle attività che essi proponevano. interrogandosi su quali fattori inci-dano su tale coinvolgimento, arriva alla conclusione che decisivo è il modo in cuil’adulto educatore si pone, in particolare il suo stile di accoglienza degli allievi, contutte le loro esigenze e diversità, la consistenza personale e l’autenticità con laquale egli si propone come possibile modello da seguire. Se si dà questo atteggia-mento da parte del formatore, i ragazzi sono disponibili ad assumere anche i sacri-fici e lo sforzo che la proposta che viene loro fatta comporta, e mobilitano energieper l’apprendimento che altrimenti rimarrebbero sopite. Anche l’esperienza perso-nale di F., che presta attenzione alle esigenze specifiche di ogni suo singolo allievo,attesta l’importanza del fattore relazione.1.1.3. Curare il clima della classe creando le condizioni per “mettersi a fare”come vedremo più avanti, parlando della lezione, la fase di avvio di un’unitàdi lavoro è un momento cruciale per misurare la temperatura relazionale dellaclasse e costruire un clima che faciliti l’apprendimento:(quando entro in classe) saluto: “ciao ragazzi, come va? Tutto bene?”; cerco di percepire ilclima della classe... (intPd2/234) […] e mi ritengo fortunata quando ho le prime ore, per-ché... (intPd2/236) sono più freschi, [...] hanno più voglia di fare; [...] dopo la terza ora...(intPd2/238), è un’impresa, cioè li tieni solo a bada, calano tantissimo la voglia, l’interesse,la motivazione. li saluto e cerco di sentire come stanno: se ad esempio l’ora precedentehanno fatto un compito di economia, so che dovrò accontentarmi; anche da questo dipendeche cosa in quell’ora possono darmi. [...] Poi continuo a incitarli: “Forza, dai, comincia-mo...”, perché, quando entro, spesso sono in piedi, “ciao, prof”. “no ‘ciao, prof’ma ‘Buon-giorno, prof’...”; poi vengono lì, ti raccontano quello che [...] stanno vivendo: “Sa prof, chel’altra mi ha detto così e colà...”. “Va bene, dai, su…”; io sono anche tutor nella classe incui insegno e […] loro ovviamente mi vedono anche in un ruolo diverso (intPd2/240); [...]rimetto un po’ in ordine, dico loro quello che dobbiamo fare, non quello che devono fare lo-ro, ma che faremo insieme: “Forza, dai...” e ci mettiamo a fare (intPd2/242);prima di tutto, sembrerà banale, ma mi sembra importante il contatto e il rapporto che iostabilisco con loro; essendo poi tutor delle due classi dove insegno, sento che il rapporto èdiverso, nel senso che comunque io conosco le loro storie, conosco bene le loro famiglie,quindi, quando mi trovo in aula, non ho davanti solo il personaggio x, ma anche tutto ilsuo vissuto. Per cui tante volte io sono condizionata anche da questo, soprattutto quandosiamo in sede di verifica; so, ad esempio, che uno non ha potuto studiare perché c’è un 43 motivo serio dietro. quando insegno, prima di tutto cerco di avere un rapporto sereno coni ragazzi e loro colgono subito quando magari vengo da un’altra ora e sono stanca o quan-do mi è successo qualcosa e sono un po’ preoccupata; loro hanno proprio delle antennesensibili e lo colgono subito, per cui cerco di mettermi in dialogo con loro e sono proprioloro che spesse volte mi chiedono: “Ma che cos’ha oggi?” [...] (intPd5/24).la qualità umana dei rapporti che si creano tra docente e allievi, ma anche traallievi, è un fattore importante, che incide sulla possibilità di lavorare produttiva-mente insieme. MG. (intPd2), che è anche tutor5 nella classe in cui insegna, sa per-cepire appena entrata che aria tira, dedica qualche minuto all’ascolto e poi cerca diorientare le energie disordinate nella direzione del “fare delle cose insieme”, inco-raggiando tutti a mettersi al lavoro. Anche D. (intPd5) è particolarmente attenta allaqualità del rapporto che si crea; proprio il fatto di essere anche tutor le permetteuna considerazione più articolata e complessa degli allievi che ha davanti a sé. inquesta relazione, l’attenzione diventa reciproca: non solo il docente si accorge dicome sta la classe, ma anche gli allievi attivano le loro “sensibili antenne” e col-gono come sta il docente. È il segno che si è costruito un clima di reciproco ri-spetto, ma anche di reciproca cura.l’ironia e la capacità di sorridere, innanzitutto di se stessi, rappresentano ulte-riori segnali della presenza di un clima sereno e positivo, come ci racconta A.(FGita4/7), che insegna in Umbria:[…] secondo me, il segreto fondamentale per lavorare con i ragazzi è l’ironia. innanzi-tutto, è importante diventare […] autoironici, perché i ragazzi altrimenti ti distruggono[…]. non è facile, qualche volta, rapportarsi con loro, con le battute che fanno. All’inizioero molto sulla difensiva, invece adesso ci gioco, […] sapendo quali sono i limiti […].Allora, magari, fare una battuta […] aiuta il ragazzo a divertirsi dentro la classe e aiutaanche noi a divertirci, perché, se non ci divertiamo, non riusciamo a fare lezione […].quindi io prendo spunto anche da queste cose per fare lezione: […] le battute, l’ironia.questo aiuta ad avvicinarli e quindi, se siamo fortunati, a far loro apprendere qualcosa inpiù (FGita4/7).la costruzione di un clima sereno e caratterizzato da reciproca simpatia nonrappresenta, nel racconto dei nostri formatori, il fine del loro agire – non siamo al-l’interno di un centro di “animazione” o di un “centro benessere” e non ci sonobuone relazioni che tengano, se la qualità dei contenuti e dei metodi è scadente –,ma una delle condizioni essenziali per aiutare i loro allievi ad apprendere meglio,magari anche sorridendo.1.1.4. Gestire le provocazioni basate sul linguaggiol’uso del linguaggio non è solo un problema di lessico e non rimanda solo allaquestione dei diversi orizzonti culturali di insegnanti e allievi, che vedremo più 5 in alcuni cFP, un docente assume nella classe anche la funzione di tutor, accompagnando i sin-goli allievi nel percorso formativo complessivo, curando il coordinamento del gruppo dei docenti cheinteragiscono con il gruppo classe e la relazione con i genitori. 44 avanti. il linguaggio si carica di significati eminentemente relazionali e diventa unostrumento per esplorare i confini. È ciò che avviene, ad esempio, con l’area seman-tica legata alla sessualità:bisogna stare attenti anche nell’utilizzo delle parole stesse: poco fa stavamo parlandodella divisione tra cisgiordania e Transgiordania. la cosa che a loro è rimasta in mente èil prefisso “trans”, che loro legano a “sessuale”. Ecco allora la domanda: “Prof, che cosaè un transessuale?” (intMe4/252). io ho aperto il vocabolario e ho letto, senza paura, ilsignificato di “transessuale” (intMe4/254), cosa che ha generato stupore (intMe4/256).[...] ora, [...] questi ragazzi quello che hanno in mente te lo dicono (intMe4/258) e, se tunon sfrutti il momento e ti fai prendere dal loro gioco, puoi chiudere baracca [...]; se in-vece lo sfrutti in senso positivo, lo sai interpretare, hai la possibilità di incidere(intMe4/260);[...] se su “Focus” ogni mese c’è una notizia sul sesso, i ragazzi vanno a prendere propriola notizia sul sesso: è normale, è scontato questo; c’è sempre un approfondimento ses-suale su “Focus”, […] ma anche su altre riviste; i ragazzi scelgono proprio questo e loscelgono come una sorta di provocazione, perché si aspettano che io li blocchi(FGita1/113). io però non lo faccio. l’importante è che il ragazzo affronti il tema in ma-niera seria [...] (FGita1/115). […] in questo, basta dar loro un limite oltre il quale non an-dare (FGita1/118), ma forse il problema non è porre un limite ai ragazzi, il problema èdare corda, perché, se il ragazzo ti parla di sesso in classe e tu dici: “no, no, non par-liamo di sesso!” (FGita1/121), allora la cosa diventa tabù [...] (FGita1/123). invece, se tuspieghi, i ragazzi si dicono: “il professore sta spiegando, quindi vuol dire che non è poiun argomento così proibito!” (FGita1/125);ci sono delle classi nelle quali alcuni ragazzi buttano lì la battuta [...] e questo chiara-mente rovina un po’ il clima all’inizio; però, per esperienza personale, al di là della faseiniziale, anche nella peggiore delle situazioni, se si riesce a lavorare bene e a porre bene itemi, da parte dell’insegnante, dopo si ha una ricaduta didattica efficace […]. in questianni, ho imparato che un conto è il linguaggio che i miei allievi utilizzano, un conto èquello che vogliono davvero dire, nel senso che magari, dietro una battuta iniziale, si celaun bisogno di comunicare e forse un’incapacità di comunicare usando gli strumenti tradi-zionali del linguaggio; quindi in realtà la battuta non significa neanche disprezzo nei con-fronti di ciò che si sta facendo, ma incapacità di trovare gli strumenti adatti; con il pas-sare del tempo noto un miglioramento rispetto a questo (intVr2/19).Tutto ciò che, anche casualmente, si lega alla sfera della sessualità accende ov-viamente un particolare interesse tra gli adolescenti6, e non solo. nei primi due casinarrati, il linguaggio si carica prevalentemente di significati relazionali. Sembra quasiche il soffermarsi dei ragazzi su determinati termini o determinati argomenti sia prin-cipalmente orientato ad esplorare fino a che punto sia possibile spingersi nella rela-zione con il docente. nel terzo caso, la notazione di D. (intVr2) ci aiuta a riflettere sulsignificato delle battute che i ragazzi fanno e che magari possono scoraggiare o indi-sporre un po’ il formatore. in realtà, un conto è il linguaggio – apparentemente disini- 6 A questo riguardo è opportuno notare che, negli indirizzi per meccanici ed elettrotecnici (in cuiinsegnano i docenti di cui sono riportati i brani riportati in questo paragrafo), la maggior parte, se nonla quasi totalità, del gruppo classe è composto da maschi. 45 bito – che essi utilizzano, un conto è il significato comunicativo e relazionale – nonprivo di incertezze – che tale linguaggio assume. Un formatore che risponde alle pro-vocazioni verbali senza imbarazzo e attenendosi ad un registro consono all’ambientescolastico è un formatore che si pone in modo autorevole nella relazione e che dun-que può accompagnare gli allievi su percorsi di apprendimento. 1.2. Prevedere regole e confiniSottolineare l’importanza delle regole e dei confini non significa certo imporreuna disciplina fondata sulla minaccia e sul timore, che indurrebbe atteggiamenti dipassivo adattamento. indicare alcune regole essenziali (ad esempio, l’importanzadel rispetto dell’altro, del metodo, dell’ordine in ciò che si fa, di una certa compo-stezza anche fisica ecc.) e aiutare a sviluppare consapevolezza riguardo ad esse ri-sulta, per la quasi totalità dei nostri formatori, un’azione necessaria per garantire lacostruzione di un buon clima di lavoro nell’ambiente classe e per infondere sicu-rezza emotiva negli allievi, soprattutto nella fase iniziale del percorso (primo annodel percorso triennale o fase iniziale di ciascun anno formativo).1.2.1. Far sentire che si è parte di una comunitàciò che fa la differenza, e consente di andare oltre la semplice obbedienza aduna disciplina imposta, sembra essere la sottolineatura del senso di partecipare allacostruzione di una comunità. Vediamo qui di seguito alcuni esempi dei diversimodi in cui i formatori affrontano la questione delle norme in senso educativo,come esigenza che nasce dal fatto di essere parte di una comunità e non in nome diun’astratta autorità calata dall’alto:ho sperimentato l’importanza delle […] regole. Molte volte queste vengono anche primadei contenuti e di quello che tu spieghi in classe. All’inizio dell’anno, le prime soprat-tutto, assomigliano a delle osterie venete; alla fine dell’anno, non dico che diventino unacaserma degli Alpini, però... È utile proprio dare dei rinforzi positivi, quando un ragazzocomprende l’importanza delle regole, perché mi sono accorto che le regole danno sicu-rezza. cioè, quando un ragazzo sa cosa può e cosa non può fare […], impara a compor-tarsi in un certo modo e si tranquillizza. […] A casa, spesso regole non ne hanno o hannogenitori che si comportano diversamente, a seconda delle situazioni. Applicare le regoleè difficile anche per te adulto, perché ti obbliga a ricordare quello che hai detto e ad es-sere coerente. Se però metti delle regole troppo restrittive, non riesci a farle rispettare. cisono cose, anche molto semplici – come alzarsi in piedi quando l’insegnante entra inclasse, non perché l’insegnante sia importate, ma perché è importante dare un saluto, ac-corgersi che l’ora è cambiata, tenere in ordine il quadernone, scrivere all’interno dei mar-gini, mettere la data sugli appunti, gestire la possibilità di utilizzare le giustificazioni[…] – che la scuola a volte dà per scontate e che, per questi ragazzi, non sono per nientescontate. Tutte queste cose li abituano ad avere una struttura, ma anche a sentirsi parte diuna comunità […]; nel mondo del lavoro, tutto questo è apprezzato, perché tu hai un ra-gazzo di cui ti puoi fidare (FGita4/17);[...] quest’anno mi sono trovato meglio con le classi più mature, mentre è stato più diffi-cile, perché avevo un’aspettativa completamente diversa, con le classi prime. Mi aspet- 46 tavo che le classi prime, appunto, fossero (FGita2/70) più malleabili, invece con loro hoavuto maggiori difficoltà; forse avevo in mente strumenti più flessibili di approfondi-mento, di coinvolgimento, che in realtà si sono dovuti scontrare con una bassa scolariz-zazione e una scarsa capacità di stare in classe. Ho dovuto allora assumere un sistema dilavoro un po’ più rigido. questo ovviamente d’accordo con tutti i docenti, alle prese conla difficoltà di gestire al meglio 25 ragazzi di prima superiore, che arrivano e che, a volte,sono veramente portatori di scompiglio, disagio, difficoltà, voglia di stare a scuola ma,magari, poco al banco o partecipi alle lezioni [...] (FGita2/72).A. (FGita4/17), di San Donà di Piave, attribuisce alle regole grande impor-tanza, anche in relazione al fatto che non sempre, nel contesto sociale e familiare incui vivono, i ragazzi hanno a che fare con adulti autorevoli, capaci di porre dei li-miti, ma anche di testimoniarne la sensatezza con un comportamento coerente. Ep-pure, nel contesto lavorativo, la consistenza personale e l’affidabilità sono doti ap-prezzate. lo strumento che egli utilizza per educare alle regole è il rinforzo posi-tivo, oltre che l’esempio personale, dato che le regole valgono per tutti, adulti com-presi. Tutto questo fornisce ai ragazzi quella struttura di cui hanno bisogno per cre-scere. Una gestione delle regole non proibitiva o repressiva, ma incoraggiante, chevalorizzi le capacità dei singoli e dei gruppi, apre spazi di azione, mentre la solaproibizione li chiuderebbe, senza mostrare alcuna alternativa praticabile. Analoga-mente ad A., che, dal primo al terzo anno, assiste ad una sorta di metamorfosi, ingrado di trasformare quasi la classe da “osteria veneta” in “caserma degli alpini”,anche F. (FGita2/70-72) riscontra maggiore difficoltà nel gestire le classi del primoanno, rispetto a quelle degli anni successivi. Sottolinea di aver concordato con glialtri docenti la strategia di adottare una modalità di conduzione delle classi primeun po’ più rigida di quanto sarebbe solito o gli verrebbe spontaneo fare, proprio perl’esigenza di “dare struttura” e aiutare i ragazzi ad assumere modalità comporta-mentali consone alla realtà formativa, senza con questo spegnere la loro “voglia distare a scuola” che, attraverso l’insofferenza a “stare seduti ai banchi”, segnala ildesiderio di apprendere facendo attività e non semplicemente ascoltando il forma-tore. Si tratta di indicare con pazienza i margini perché le azioni dei singoli allievirestino compatibili con l’esigenza di tutti di partecipare e di imparare.l’atteggiamento dei formatori nella gestione delle regole all’interno dellaclasse non è sempre lo stesso, cambia in ragione della loro esperienza, delle situa-zioni che vivono gli allievi e dei contesti, e richiede grande elasticità. Sentiamo adesempio le difficoltà segnalate da c. (intVr4), del cFP di Verona, e le strategie dalui individuate come efficaci:dal punto di vista disciplinare, trovo difficoltà [...] soprattutto nella prima parte della le-zione [...], quando si chiede ai ragazzi di stare attenti, concentrati; c’è molta difficoltà daparte di alcuni; qui naturalmente influisce anche il carattere […] di un ragazzo che è piùestroverso, più espansivo, rispetto ad un altro che magari è più timido, più chiuso(intVr4/44); talvolta, la difficoltà raggiunge livelli estremi e devo prendere provvedi-menti. Ad esempio, mi trovo ad avere in una classe un ragazzo ipercinetico; [...] questacosa farà un pochino sorridere, però io lo mando giù in cortile e gli faccio fare un giro dicampo sportivo di corsa; torna su che si è sfogato; altrimenti questo ragazzino, ogni 47 cinque minuti, chiede di andare in bagno, [...] non perché ne abbia davvero bisogno, maperché non regge assolutamente i ritmi della scuola (intVr4/46); è un ragazzo certificato,con una situazione un po’ particolare (intVr4/48). in prima, generalmente, abbiamo ra-gazzi che, tranne rarissimi casi, si comportano bene, anche perché, c’è un salto rispettoalla scuola media; arrivano qui un po’ sospettosi, guardinghi, studiano la situazione. Ge-neralmente, con le prime, dal punto di vista disciplinare, si lavora benissimo. i problemicominciano in seconda, anzi direi proprio che esplodono in seconda [...]. nell’estate trala prima e la seconda, i ragazzi cambiano completamente. Mi sono chiesto tante volteperché [...]; ho provato ad immaginare che sia perché si sentono grandi, perché, non es-sendo più in prima, hanno compagni più piccoli di loro, […] conoscono l’ambiente, gliinsegnanti (intVr4/48). Parlare con loro, a volte, è difficile; dobbiamo far capire chesiamo figure di riferimento importanti, ma che comunque siamo degli insegnanti, deglieducatori. qualcuno di loro a volte tende a considerarci come “amici” [...] (intVr4/50).[…] Appena vedo un ragazzo distratto, che chiacchiera, [...] mi fermo e faccio una do-manda proprio a lui: “cosa stavamo dicendo? Ripetimi le ultime cose dette”. lo so, sonobanalità [...]. quando vedi qualcuno che sta chiacchierando, certe volte, basta che tifermi, che non parli; il risultato è il silenzio; solitamente succede così (intVr4/52). […]All’aspetto educativo tengo molto [...]; dico sempre ai ragazzi che, se imparano a com-portarsi bene qui, poi lo faranno tutta la vita e anche sul luogo di lavoro [...] (intVr4/84).A questo tengo tantissimo e ci tiene proprio anche la scuola, il cFP (intVr4/86).c. (intVr4) non ha grandi difficoltà con i ragazzi del primo anno, che anzitrova un po’ inibiti dalla novità dell’ambiente, ma fa fatica a gestire, con gli alunnidel secondo anno (che, nella sua esperienza, nel passaggio di anno, subiscono unasorta di trasformazione peggiorativa, fino a diventare quasi irriconoscibili) la fasedella lezione in cui ha bisogno di chiedere ai ragazzi una particolare forma di at-tenzione. nei confronti di un allievo ipercinetico, trova efficace la strategia di la-sciarlo ogni tanto sfogare con una corsa in cortile. c. inoltre segnala una difficoltàche è abbastanza tipica degli insegnanti ai primi anni di esperienza: la tendenzache alcuni allievi, soprattutto quelli che si muovono ormai con familiarità nell’am-biente formativo, hanno a trattare i formatori come degli “amici”, eliminando ogniasimmetria. Di fronte a comportamenti di disturbo, il nostro formatore suggerisceun interessante quanto semplice espediente: fermarsi, fare una pausa di silenzio –che generalmente sortisce l’effetto di indurre proprio un clima di silenziosa attesada parte della classe – ed eventualmente porre al ragazzo che sta disturbando unadomanda del tipo: “cosa stavamo dicendo?”, oppure semplicemente invitarlo acondividere le sue idee con il resto della classe e non solamente con il suo com-pagno di banco. in ogni caso, anche per c., la dimensione delle regole di compor-tamento è essenziale ed esprime un’istanza avvertita da tutta la comunità educa-tiva del cFP.1.2.2. Attivare processi di negoziazioneAlcuni docenti-formatori hanno sperimentato che, attivando processi di rifles-sione e di negoziazione delle regole, è più probabile che le regole stesse venganopercepite come dettate dal basso, dal fatto di essere parte di un gruppo, di una co-munità, e non imposte dall’alto, ed è più facile che vengano dunque rispettate: 48 ho sperimentato che i ragazzi del primo anno del corso di termoidraulica sono veramentemolto vivaci […]. io sono anche l’insegnante di “educazione alla cittadinanza”, oltre chedi italiano, e quindi è necessario che insegni ai miei ragazzi quali sono le regole dellaconvivenza civile e dunque anche le regole di comportamento da tenere in classe. Hofatto questa lezione […] per niente teorica, ma immediatamente pratica, ponendo loro deiquesiti, delle domande, con delle vignette, su come ci si comporta in una partita dicalcio; in queste vignette, erano rappresentati dei ragazzi che si tiravano le magliette e sifacevano gli sgambetti e loro hanno individuato subito quali erano le regole che dovreb-bero essere tenute nel gioco del calcio. Poi ho scritto sulla lavagna: “Regole fondamen-tali da tenere in classe” […] e loro ne hanno subito individuate diverse. Adesso sto cer-cando di far ricordare loro quello che mi hanno detto e che insieme abbiamo scritto sullalavagna, perché in realtà loro si rendono ben conto di quali siano le regole da tenere, peròa volte il loro comportamento è un po’ diverso (FGita4/2);le regole le costruiamo insieme, nel senso che il primo modulo di “capacità personali”7[...] ha [...] come prodotto finale il “decalogo delle regole disciplinari” e queste regole[...] hanno la sensazione di farle loro (FGita2/174). Ad esempio, facciamo scrivere a lorotutte le regole che pensano siano utili, le discutiamo insieme, le valutiamo, con i loro proe contro, e poi, al termine di questo modulo, abbiamo il “decalogo”, che viene affisso intutte le classi (FGita2/176), con regole del tipo: “non è permesso muoversi dalle classisenza autorizzazione”, che si sono fissati loro di mettere sempre. Poi c’è sempre qualcosasulle conseguenze di un determinato comportamento [...]. io chiedo: “cosa possiamofare, se uno fa così?”. Poi le regole le valutiamo [...] e le aggiustiamo noi. Dico sempreche tutte le loro proposte saranno vagliate dal collegio docenti, così loro hanno il sensodi far parte di una comunità più grande [...], di un processo. Perciò le loro proposte an-dranno in collegio docenti [...]; sono in particolare il tutor e il coordinatore che valute-ranno le loro proposte; [...] e poi c’è il ritorno, cioè tutti i tutor vanno nelle classi e spie-gano quello che ha deciso il collegio docenti rispetto alle loro proposte; infine si esponequesto decalogo (FGita2/178);[...] ho sperimentato il discorso delle regole con una classe particolarmente agitata, scri-vendo alla lavagna [...] proprio quello che io avrei voluto come regole e aggiungendo, almomento, quello che loro mi dicevano; poi insieme le abbiamo analizzate, una ad una,cancellando le più assurde; ad esempio, uno [...] non aveva capito la serietà del momentoe [...] aveva sparato: “Se facciamo così…, la prof ci raddoppia i compiti!”; io l’ho scrittoalla lavagna: “…la prof ci raddoppia i compiti” e tutti hanno protestato; ho detto: “Statecalmi, poi, alla fine, ne parliamo”; hanno visto che ho cancellato di brutto quella regola,nel senso che “...non è un’esigenza che io ho quella di raddoppiarvi i compiti”; alla finesono rimaste cinque robettine semplici, semplici, e da lì, fino alla fine dell’anno, inquella classe, tutto ha funzionato alla grande, perché poi le regole sono state sottoscritteda tutti e le abbiamo appese in classe. Ma la cosa che ha stupito è che anch’io avessidelle esigenze come formatrice; le ho scritte alla lavagna; dopo, parlando con loro, le horiviste e alcune le ho anche cancellate. quando hanno visto che [...], da parte mia, preten-devo, ma davo anche quello che loro avevano chiesto – vale a dire: “terminare le lezioniqualche minuto prima”, “fare la pausa”, magari farli uscire un minutino prima, oppure,invece di questo, “fare una pausa in mezzo all’ora di lezione”, oppure “variare le tec-niche”... –, la cosa ha funzionato (FGita2/242). [...] l’interrogazione era appunto su 7 Si tratta di un modulo previsto nei progetti di diversi cFP del cnoS-FAP per aiutare gli allievia sviluppare abilità sociali e personali trasversali ai vari ambiti disciplinari. 49 “quali sono le ‘pietanze’ che metto sul piatto della discussione?”, un piatto posto inmezzo al tavolo, dove tutti mettono qualcosa e prendono qualcosa […]; ne vedo la neces-sità, soprattutto ne vedo le potenzialità, proprio [...] in termini di responsabilizzazione in-dividuale, perché poi sei partecipe di un percorso e quindi non puoi fare quello che tipare, e questo [...] si può fare veramente in tante salse [...] (FGita2/331).o. (FGita4/2), che lavora in Sicilia e segue anche il modulo di educazione allacittadinanza, sa che la tematizzazione della questione delle regole ha a che fare conuno specifico oggetto di apprendimento e che alla convivenza civile si educa ancheattraverso la qualità dell’esperienza sociale di convivenza che è possibile far viverenell’ambiente scolastico. Egli pone la questione delle regole di comportamento daosservare in classe in analogia con le regole calcistiche. Richiama cioè un contestosociale e relazionale caro ai ragazzi, in cui le regole sono normalmente accettate. Apartire da questo, attiva un processo di negoziazione, che porta a definire insiemeun corpus di norme condivise anche per la convivenza in classe. Anche c. (FGi-ta2/174-178), che opera in liguria, dà conto di un percorso che coinvolge tutte leclassi del primo anno in un processo di co-costruzione del “decalogo” delle regoleper lavorare bene insieme. Si tratta di un percorso che parte con una sorta di brain-storming nelle classi, per far riflettere sulle regole del convivere e far emergere leproposte degli allievi. le regole generate dal basso vengono poi discusse e vagliate,sia all’interno dei singoli gruppi di allievi, sia all’interno del collegio dei docenti,che è chiamato a varare la versione ufficiale da esporre pubblicamente e alla qualerichiamarsi durante l’anno. questo basta a far percepire anche agli allievi il sensodi contribuire alla definizione delle norme che regolano la vita della comunità allaquale si appartiene. Anche K. (FGita2/242;331), che insegna inglese in un cFP ve-neto ed è tutor di un gruppo, attiva un processo di negoziazione in cui innanzituttoesplicita quelle regole che, dal suo punto di vista, sarebbero importanti per vivere elavorare proficuamente assieme, ma poi sollecita i ragazzi stessi ad indicare le re-gole che sarebbero importanti secondo loro. le varie prospettive vengono innanzi-tutto messe sul tavolo e, in un secondo tempo, analizzate e discusse. in questo pro-cesso avviene un’essenzializzazione delle regole e progressivamente ci si concentrasu quelle – poche – che si considerano davvero fondamentali. inoltre, gli allievi spe-rimentano spazi reali di negoziazione, constatando che anche la formatrice è dispo-nibile a rinunciare a qualcuna delle istanze inizialmente segnalate e ad accogliere leproposte del gruppo. l’effetto di tutte queste strategie, al di là delle modalità adot-tate, che possono essere diverse, è la responsabilizzazione. infine, è utile notare che,nell’ultimo caso, la forma linguistica scelta è più quella dell’indicazione che quelladel divieto. nell’esperienza di K., infatti, le indicazioni, anche semplici, su cosa fa-re sono di gran lunga più utili e vantaggiose, riguardo all’obiettivo di garantire unbuon clima di lavoro, che non un cumulo di divieti che dicano che cosa “non fare”.Un altro formatore, P. (FGita3/58), che insegna in Sicilia, racconta la proce-dura che viene seguita nel suo centro, per la stipula ufficiale di un vero e propriopatto formativo tra cFP, famiglie e allievi: 50 […] il primo giorno, faccio lasciare tutto (in aula); i ragazzi escono con me e fanno ilgiro di tutti i laboratori del centro; hanno la possibilità di visitare […] tutto il nostrocentro, che è abbastanza grande e ha cinque aree professionali; visitano tutti i laboratorie anche gli altri ambienti, gli uffici, la segreteria ecc., e poi concludono questa cono-scenza dell’ambiente, questa familiarizzazione con l’ambiente, con la sottoscrizione delpatto formativo, in aula: i ragazzi firmano alla presenza del direttore, il direttore contro-firma alla loro presenza il patto formativo che è stato, naturalmente, prima presentato,portato a casa e fatto firmare ai genitori e riportato al centro; viene il direttore e firma ilpatto formativo con l’allievo. Anche questo è un altro elemento che permette al ragazzodi avere consapevolezza dell’ambiente e delle regole dell’ambiente (FGita3/58).la conoscenza dell’ambiente comporta la possibilità di familiarizzare con glispazi fisici del centro, ma anche con i contenuti del patto formativo, che esplicitaciò che le varie componenti della comunità educativa si impegnano a fare per con-tribuire al raggiungimento dei traguardi formativi. inoltre, nel racconto di P., co-gliamo anche che apporre la firma sul patto, da parte dei vari soggetti (gli allievi, igenitori, i formatori, rappresentati dal direttore dell’ente), assume le caratteristichedi una sorta di celebrazione: diventa un momento ufficiale, che vincola ed impegnareciprocamente a contribuire al bene comune.1.2.3. Ricorrere ad un sistema di incentivii contesti sociali e culturali in cui i nostri formatori operano, come abbiamogià affermato, sono davvero molto diversi. le strategie che vengono elaborate inalcuni di essi non possono essere utilizzate in altri. nei cFP salesiani della liguriae del Veneto, ad esempio, i docenti raccontano di ricorrere anche ad un complessosistema di incentivi e disincentivi, in relazione al rispetto delle norme, che proba-bilmente non funzionerebbe in altri ambienti formativi8: 8 Può essere interessante riportare qui di seguito l’intervento di o., una formatrice che lavora inun cFP della Sicilia, che, al termine di un FG (FGita2), esprime l’impressione che nasce in lei con-frontando la situazione descritta dai colleghi di alcune regioni del nord italia e quella che si trova leistessa a vivere, in un contesto molto differente, com’è quello siciliano: «...per tutto il tempo (di questoscambio) io ho avuto il sorriso sulle labbra, perché mi piace moltissimo ascoltare i miei colleghi, leloro esperienze [...]; oggi, questo tavolo è stato molto importante per me. Però penso anche ai miei ra-gazzi, che mai potrebbero avere gli atteggiamenti che hanno i ragazzi di cui avete raccontato, chesono proprio perfettini, “da cambridge”. quando do ai miei ragazzi il libretto delle giustificazioni e,dopo un mese, uno fa un’assenza, chiedo: “Hai portato il libretto delle giustificazioni? Hai la giustifi-cazione?”, “no, professoressa, me la sono dimenticata”; [...] dopo un attimo mi dicono: “Professo-ressa, veramente l’ho perso, non so neanche dov’è il libretto”, e quindi inizia un “come l’hai perso?”,“E allora!”. qualcuno di voi diceva che glielo fa pure pagare! Ma i miei non hanno i soldi neancheper... (FGita2/347) [...] per niente! io non potrei mai far pagare loro 15 euro! (FGita2/349). [...] cisono altre cose rispetto alle quali i miei ragazzi mi sfotterebbero alla grandissima, se io dovessi esserecosì, come dire, “schematica” nelle cose. io a volte ho la difficoltà di farli stare in classe, dico: “starein classe”! cioè, [...] ho ripensato alla mia prima di quest’anno: ad applicare uno di questi metodi dicui voi avete parlato voi ci sarebbe stato veramente da ridere, con D. o con altri ragazzi che vera-mente, prima di poterli fare stare buoni, seduti, sono passati tre o quattro mesi; [...] solo per farli stareseduti; altro che “Deve chiedere il permesso, se deve buttare la carta!” (scoppio di risa) […]»(FGita2/352). 51 ad esempio, [...] li portiamo in mensa a blocchi, però, se non stai nel blocco, vai in fondoalla fila […]; se non stai in fila, vai in fondo alla sala; […] hai mezz’ora per mangiare eti conviene stare in fila. Se dimentichi il buono pasto che ti do [...], nessuno ti dà da man-giare alla mensa, ti arrangi; la prossima volta ti svegli! [...] (FGita2/189) [...]. Per me, lacosa fondamentale è il rapporto tra allievi e formatori in classe [...]. io ho classi da ven-tuno [...] (FGita2/219), però [...] poi abbiamo qualcuno che viene in codocenza(FGita2/220) […]; G., che fa sostegno, in realtà, fa anche da “cuscinetto”, nel senso cheraccoglie quelli che noi qualche volta siamo costretti ad allontanare dalle classi e pro-pone loro dei lavori specifici (FGita2/222) […]. come premio ci sono (FGita2/232) atti-vità promozionali, in alternativa (FGita2/233). [...] Tutto questo lo facciamo nelle areedei linguaggi, perché in laboratorio sono dei santi; a loro piace il laboratorio! il problemac’è nelle aree culturali, perché portare i ragazzi nei laboratori è come portarli a Garda-land! Allora il premio è, ad esempio, che quelli più bravi, che hanno voti sufficienti nellearee dei linguaggi, nel secondo quadrimestre, possono fare un tot di lezioni con la classeavanzata: quelli di prima vanno in seconda, per cinque lezioni e fanno il pannello o l’a-scensore [...]; oppure possono fare delle attività di approfondimento, ma attività “simpa-tiche”, tipo la visione di un film […], oppure hanno il diritto ad accedere, se si compor-tano bene, […] ai campi da calcio: abbiamo dei campi di calcio al cFP! Tutto è pre-miante. questa rigidità sembra da lager, ma in realtà, lo fai due mesi e poi si adattano,perché comunque sono anche molto premiati e noi siamo sempre con loro, li portiamo aicampi e giochiamo con loro. [...] Abbiamo fatto l’olimpiade e c’è chi ha vinto nell’areadel linguaggio, chi ha vinto nell’area professionale e chi ha vinto nell’area tecnica; ogniclasse, quindi, più o meno, ha vinto qualcosa (FGita2/234). [...] non vinceva solo chiaveva la media più alta, fra tutte le materie […] (FGita2/236); vincevano un po’ tutti. qui[...] siamo parecchio premianti; per farli vincere, più o meno, [...] in qualche gruppoavrai aggiustato qualche punteggio [...]. Abbiamo anche il giornalino interno, che sichiama “intercnos”; chi [...] va bene può prendere la macchina digitale del direttore e,sul prossimo numero, pubblicheremo le sue foto […] (FGita2/238);noi abbiamo due intervalli, uno di 20 e uno di 10 minuti (FGita2/247), nelle sei ore delmattino [...]; nell’intervallo dei 20 minuti, precisamente al diciassettesimo minuto, suonala prima campanella; loro sanno che hanno 3 minuti di tempo per raggiungere la classe,quindi chi deve andare in bagno, o cose di questo tipo, sa regolarsi; quando suona la se-conda campanella, si è tutti in classe e si comincia; a chi arriva in ritardo viene staccatoun tagliandino dal libretto personale, che viene consegnato loro all’inizio anno; dopo, perprenderne un altro, devono pagare 15 Euro (FGita2/249) e ricomprarlo, perché, se aforza di ritardi, consumi tutto il libretto, devi acquistarne uno nuovo. quindi vengono, di-ciamo, incentivati a non fare troppi ritardi inutili, altrimenti ci rimettono. E su questo dis-corso della campanella, i primi giorni, vedi i ragazzi di prima un attimo sconvolti, perchénon sanno..., devono ambientarsi; ma poi, nel momento in cui suona la prima campana,basta che noi insegnanti diciamo: “Ragazzi, si va”, e autonomamente sono su; c’è semprechi si attarda in bagno e fa le corse per arrivare [...], però tutto sta nell’abituarli e nel mo-tivare loro la cosa (FGita2/253).c. (FGita2/189-238), formatrice in un cFP ligure, descrive, con alcuni esempi,un modo condiviso di gestire le norme, attraverso un sistema di premi e punizionial quale ritiene utile ricorrere soprattutto nelle ore degli insegnamenti di area cultu-rale. È interessante infatti notare che l’attività che si svolge in laboratorio non habisogno che si metta in atto tale sistema, perché viene già percepita dai ragazzicome coinvolgente e in sé “premiante”, quasi come se si trattasse di una gita 52 premio, appunto. Se è vero che il sistema prevede qualche punizione e, in certi casi,persino l’allontanamento temporaneo di un allievo dalla classe – che pure avvienecon il supporto di una figura “cuscinetto”, che sappia affrontare il caso attraversospecifiche strategie, in particolare il colloquio a tu per tu –, è soprattutto la leva delpremio che viene utilizzata dai nostri formatori, anche a costo di aggiustare un po’le classifiche, perché tutti possano essere premiati almeno per qualche aspetto.1.2.4. Comunicare attenzione e rispettare la libertà dell’allievo: il caso dellacopiaturanel racconto che segue, l’attenzione relazionale, che caratterizza il modo che inostri formatori hanno di trattare le regole, si esprime anche nel normale lavoro inclasse, in particolare nella routine del controllo dei compiti assegnati per casa:passare per i banchi e notare che un lavoro personale è identico ad un altro è un aiuto – ioho la fortuna di avere una memoria visiva molto buona, per cui, su venti quaderni, mi ri-cordo il primo che ho visto, e loro di questo si rendono conto –; non è che io stracci lapagina e dica: “Adesso, me lo rifai!”, però dico: “Mi sembra di avere già visto in un altroquaderno questa cosa, come mai questo...?” e loro si rendono conto di questo; è una co-municazione importante anche per loro, perché li porta a chiedersi: “come mai me lodice? come mai non interviene in un’altra maniera?” [...]. il professore sa, si accorge e tidice: “Avrei preferito vedere un lavoro tuo!”, “Prova a farlo in maniera diversa!”(intMe1/300). Mi sembra che non abbassare il tiro su queste attenzioni sia molto impor-tante per loro, perché, con questo tipo di allievi, si rischia di diventare un po’ dei rullicompressori, abituati a tutto, con la corteccia, come capita agli insegnanti che una voltaerano definiti “da biennio”, quelli che vanno avanti nonostante le montagne e sono comeun caterpillar; è vero che bisogna essere [...] attenti anche ad una certa struttura, però nonbisogna abbassare il tiro sull’attenzione relazionale nei loro confronti. loro se ne accor-gono [...] (intMe1/303). Ad uno che copia, tu fai capire: “non sono d’accordo con le tuescelte. non hai altri metodi?” [...] (intMe1/304). questo problematizzare, secondo me, haun senso. qualcuno mi diceva: “che senso ha? Tanto lo fanno lo stesso”. io non ne sonodel tutto convinto (intMe1/310): può darsi che lo facciano, che copino per l’ennesimavolta, ma poi dicono: “il professore guarda il quaderno, vediamo cosa succede se faccioil mio” [...] (intMe1/312). Vorrei mantenere la libertà dell’allievo di cercare di essere sestesso e di mettersi in gioco (intMe1/314) [...]. Devi prevedere dei binari su cui accom-pagnarli [...]; loro se ne rendono conto e si lasciano accompagnare per mano(intMe1/412). qualche ragazzo fa più fatica a lasciarsi accompagnare. […] io sono unodi quelli che sta male, se uno non si lascia accompagnare […], perché mi piacerebbe co-involgere tutti, ma devo frenarmi, perché mi rendo conto che qualcuno vuole esprimerela libertà di non essere accompagnato (intMe1/418).il controllo dei compiti, come vedremo anche più avanti, serve a D. (intMe1)per comunicare con gli allievi con delicatezza, rispetto e attenzione e per stimo-lare, in modo indiretto, una certa riflessione anche sui propri comportamenti. È unmetodo che, alla lunga, risulta più utile della “strigliata” e della puntuale menda.l’accompagnamento ha bisogno di binari, di norme, di struttura, ma soprattutto dirispetto e di attenzione, ed anche la libertà di non essere accompagnati va rispet-tata. 53 1.3. Organizzare lo spazioinfine, alcuni formatori, tra le condizioni per poter lavorare bene, nominano lacura degli aspetti fisici dell’aula e della disposizione nello spazio, che assumonoanche significati relazionali. Ecco, ad esempio, la testimonianza di G. (FGita1/91),che insegna in Sicilia:io la classe la distruggo: formo fondamentalmente dei cerchi, non sto mai alla cattedra,sto sempre seduto con i ragazzi, tranne quando spiego; [...] la cattedra la uso solo per ap-poggiare la borsa oppure qualcos’altro. la cattedra però la utilizzano i ragazzi quandosono interrogati: io sono in mezzo ai ragazzi e loro stanno alla cattedra a spiegare,perché, se sono interrogati, non devo essere solo io che ascolta, ma deve essere la classeche recepisce un po’ il messaggio [...] (FGita1/91).l’organizzazione dello spazio di cui parla il nostro formatore, distanziandosidalla tradizionale collocazione dei banchi in file poste una dietro l’altra, di frontealla cattedra, veicola una certa idea di relazione educativa. i banchi in cerchio sot-tolineano una modalità partecipativa di insegnare e di apprendere. la cattedra di-venta un tavolo di lavoro, come altri, e non lo spazio dall’alto del quale dispensareil sapere ad una assemblea di passivi recettori. la cattedra mantiene la valenza di“pulpito” solo quando a parlare agli altri sono i ragazzi stessi, che presentano aicompagni ciò che hanno appreso. Anche i docenti del cFP di Padova sottolineanola rilevanza che lo spazio può avere sui processi di apprendimento e, in particolare,l’importanza di muoversi nell’aula:una cosa che evito, proprio perché non riesco, è [...] stare seduta in cattedra per tutta l’ora[...]. il fatto, non so, [...] di avvicinarmi, fa magari dire loro: “caspita, se si avvicina,questa cosa è davvero importante, devo stare attenta!” (intPd3/166);sto sempre in mezzo a loro, e quindi mi fermo con chi ha più bisogno, incoraggio ad an-dare avanti con espressioni del tipo: “Bene. Ti vedo abbastanza autonomo, su, continuacosì…” (intPd2/246).la prossemica e i movimenti possono assegnare rilevanza fisica e tonalità spe-cifiche a quello che il docente sta dicendo e comunicare vicinanza e incoraggia-mento. Anche gli altri docenti di cFP generalmente trovano che muoversi nellospazio della classe, piuttosto che stare immobili alla cattedra, faciliti la comunica-zione con gli allievi. 2. ORgANIzzARe LA LezIONe IN MOdO eFFICACe la particolare tipologia di utenza “educa” i formatori, come rilevato sopra, aduna spiccata attenzione relazionale. Allo stesso modo, orienta ad un particolare ap-proccio metodologico nel gestire la lezione, che aiuti gli allievi a trovare senso inciò che viene loro proposto:bisogna partire dal presupposto (che) i ragazzi che abbiamo [...] sono particolari, perchémolto spesso provengono da un vissuto scolastico di sofferenza, contesti familiari diffi- 54 cili, scarsa autostima, scarsa abitudine e preparazione allo studio e grande difficoltà diconcentrazione [...]; è da qui che poi si capisce anche come impostiamo una lezione [...](intVr4/2);(la mia) è una didattica che probabilmente [...], dalla centratura sull’insegnamento, equindi sul docente, è passata alla centratura sull’apprendimento, e quindi sugli allievi, fa-cendo, per esempio, attenzione ai tempi, ai metodi, cercando di legarsi ai bisogni e allecaratteristiche dell’allievo. […] Un’unità-tipo […] parte con un approccio di carattereorientativo, nel senso che cerco di focalizzare comunque brevemente […] gli obiettivi o iriferimenti di base della lezione, ma calcolando anche che i ragazzi vengono da altre le-zioni e vanno verso altre lezioni e mettendomi dal loro punto di vista, considerando laloro difficoltà a calarsi nello specifico della lezione (intMe1/8).È come se i docenti intervistati avvertissero che le modalità di tipo solo tra-smissivo non possono funzionare con questi ragazzi (ammesso che possano fun-zionare con altri) e che con loro è necessario strutturare la lezione in modo più ar-ticolato e complesso di quello che succede quando un docente si limita a “spie-gare” e si attende che la comprensione avvenga semplicemente per il fatto che i ra-gazzi recepiscono passivamente e sanno poi “ripetere” ciò che l’insegnante haspiegato o ciò che si trova sul libro di testo. inoltre, si tratta di organizzare l’ap-prendimento prevalentemente in classe, data la prolungata permanenza nel cFP daparte degli allievi, per i quali risulterebbe piuttosto difficile tornare su compiti sco-lastici a casa, dopo almeno sette ore passate al cFP, tra aule e laboratori. qui di se-guito vedremo le modalità che i formatori hanno individuato per gestire questo es-senziale momento in modo ricco, fruttuoso e soprattutto sensato (cfr. Tacconi,2010b). Tra gli elementi che agiscono sulla qualità della lezione, i nostri formatoririlevano i seguenti: la cura dei due momenti cruciali dell’avvio e della conclu-sione, il ricorso ad attività volte a far emergere il punto di vista degli allievi, lachiarezza espositiva, l’attenzione a rendere vitali i contenuti, la variabilità dei me-todi, il lavoro di gruppo, la cura delle domande e del domandare. Sono attività eattenzioni che, viste insieme, disegnano un’efficace strutturazione della lezione(quasi una sequenza di azioni-tipo che diversi docenti trovano utile seguire9) efanno intuire la ricchezza che possono avere anche pratiche che a prima vista po-trebbero sembrare “povere”. 9 È opportuno precisare che questa sequenza (avvio, attivazione del punto di vista degli allievisul tema, esposizione da parte del docente, elaborazione o discussione, con conseguente ritorno dellaparola agli allievi, raccolta conclusiva dei lavori ecc.) può essere ricavata attraverso lo sguardo di in-sieme che la ricerca offre. non è che nei racconti dei pratici troviamo la sequenza in tutte le sue fasi(per quanto, in diverse interviste, alcuni formatori accennino proprio ad una certa successione ricor-rente di fasi secondo cui essi solitamente organizzano la lezione). nell’analisi, le azioni descritte daiformatori hanno gradualmente composto questo insieme di elementi da essi ritenuti utili per dare qua-lità ed efficacia alla lezione. l’organizzazione delle categorie segue in questo paragrafo un criterio lo-gico (dall’avvio alla conclusione) offrendo pertanto la possibilità di ricavare anche una determinatasequenza di azioni. 55 2.1. Curare l’avviol’avvio di una lezione risulta un momento cruciale. Dall’avvio dipendono in-fatti in buona misura il tono e la sostanza che assumerà anche il resto della lezione.Per questo i nostri formatori dedicano, in genere, particolare attenzione a questomomento, anche se con modalità diverse. Per alcuni è utile aprire con una ripresa diquanto svolto nella lezione precedente; per altri l’avvio dovrebbe fornire, in modovivace ed accattivante, un’idea relativa al percorso che si andrà a svolgere; per altriancora è importante curare il contatto emotivo con i propri allievi e adottare conloro uno stile conversazionale; per altri infine, l’avvio di una lezione o di un per-corso va dedicato al metodo.2.1.1. Riprendere il filoAlcuni docenti trovano utile, in avvio di lezione, stimolare la produzione di unbreve “riassunto della puntata precedente” o comunque sottolineare l’aggancio trail lavoro che propongono e quello che avevano svolto precedentemente:ho provato (a fare) un giro di domande per ricostruire il punto a cui eravamo arrivatinelle lezioni precedenti [...]; ad esempio: “Paolo, prova a dirmi dove siamo arrivati l’ul-tima volta, prova ad esporre a parole tue l’idea chiave dell’ultimo lavoro che abbiamofatto” (intVr7/12);chiedo sempre se vedono qualche aggancio tra il tema che ci apprestiamo ad affrontare equello che abbiamo svolto; non so, se stiamo facendo un lavoro sull’ecologia, chiedo:“Ragazzi, in questi giorni è capitato a qualcuno di sentire notizie sull’ecologia?”. […] Ècapitato, ad esempio, che uno mi abbia detto: “Sì, ho visto un film dei Simpson che par-lava di un disastro ecologico!”. in quel caso, me ne faccio raccontare un pezzo e magariscrivo qualche parola chiave sulla lavagna (FGita4/20).M. (intVr7/12), un formatore che opera in Veneto, e F. (FGita4/20), che operain Piemonte, ricorrono a forme colloquiali di avvio, particolarmente efficaci per ri-prendere il filo del discorso, collocare la lezione nel contesto di tutto il percorso eagganciarla all’esperienza degli allievi. in altri casi (vedi più avanti, al punto 2.1.3.b), il docente assegna questa funzione alla correzione dei compiti che erano statidati alla fine della lezione precedente.2.1.2. Fornire un inquadramento relativamente al percorso che si andrà a svolgereAll’inizio di una lezione o di una unità di lavoro, molti formatori trovano utile of-frire un inquadramento generale, che consenta di farsi un’idea complessiva del per-corso che si andrà a svolgere e dei traguardi che il docente intende far raggiungere:dico: “Ragazzi, da qui alle prossime 25 ore, per me è un’Uda10...”; ad esempio, un’Uda[...] dura 25 ore [...] e si intitola: “Regole e codici della comunicazione” [...] (intPd2/20);[…] all’inizio, punto molto sul presentare in maniera chiara l’attività e l’obiettivo al 10 “Uda” sta per “Unità di apprendimento”. D’ora in poi utilizzeremo sempre la sigla. 56 quale devono arrivare i ragazzi e dico loro quali strumenti hanno a disposizione [...](intPd2/220); all’inizio dell’attività è molto importante che io indichi loro l’obiettivo eche i ragazzi capiscano cosa chiedo loro (intPd2/224), gli strumenti per lavorare, il me-todo, i tempi; ecco, un’altra cosa molto importante per i nostri ragazzi sono i tempi,perché altrimenti loro perdono tempo... (intPd2/226). Si tratta di dire loro: “Ragazzi, inquest’ora, dobbiamo arrivare qui!” […] (intPd2/228); […] un’altra cosa che faccio, nellafase di presentazione, è dire loro anche come valuterò l’attività; è una cosa importanteper i ragazzi (intPd2/250): devono sapere quali sono i criteri in base a cui verranno valu-tati (intPd2/252);la lezione inizia con l’esposizione agli allievi degli obiettivi del percorso, del lavoro dasvolgere e del metodo da utilizzare (attraverso l’ausilio della lavagna e di una presenta-zione in “Power Point”); a cui segue un breve spazio per domande o feedback da partedegli studenti […] (intMe1/540);in genere, faccio una prima lezione introduttiva, nella quale spiego a grandi linee qualesarà il mio programma e anche i vari punti del mio programma, per cercare di dare unsenso di organicità alla mia materia e al programma formativo; poi introduco i ragazzinelle varie parti del programma (intVr2/8).Si tratta di presentare gli obiettivi, ma anche le risorse, i metodi, i tempi, siadel percorso nell’intera sua articolazione, sia del lavoro che verrà svolto in quellaspecifica unità di tempo che si sta aprendo. MG. (intPd2) trova utile esplicitare, giàin questa fase, anche le modalità e i criteri secondo cui si svolgerà la fase di valuta-zione finale.2.1.3. Stabilire fin dall’inizio un contatto emozionaleSpesso, all’inizio, prima ancora di entrare nello specifico dei temi che ver-ranno affrontati, si tratta, come abbiamo visto sopra (cfr. il punto 1.1.3.), di stabilireun contatto emozionale con i propri allievi, che comunichi attenzione e rispetto.a) Chiedere “Come va?”l’avvio di una lezione è un momento ad alta intensità relazionale. Del resto,nella relazione tra i docenti e gli allievi, esiste un inestricabile intreccio tra elementicognitivi ed elementi affettivi; per questo, molti formatori hanno imparato a decli-nare i primi minuti di una lezione in modo particolarmente attento alla qualità dellarelazione:quando arrivo in classe […] cerco di fare in modo che […] non si alzino. […] non riescoa riconoscere l’utilità di questo alzarsi in piedi […]. Solitamente, la maggioranza dei ra-gazzi sorride quando io arrivo e, se posso, io restituisco questo sorriso, a meno che […]non ci sia qualcuno molto fuori posto o che magari sta mangiando o bevendo. io chiedoquello che offro: durante la lezione non uso il cellulare, non mangio, non bevo, perché ilnostro regolamento dice questo. Entro in classe, appoggio la borsa sulla cattedra e, primadi tutto, quasi sempre, a seconda delle mie condizioni psicofisiche, saluto. Solitamente cisono le tapparelle abbassate, le tende chiuse, l’aria un po’ pesante […]; allora cerco didare aria e luce al locale e poi chiedo loro come stanno […]: “Buongiorno, come state?Dormito bene?”. Sono cose che i ragazzi apprezzano […]. Alla domanda “come state?”,qualcuno risponde “Male!”. Allora io chiedo come mai stanno male e dedico cinque o sei 57 minuti a questa forma di aggancio emotivo. Di solito qualcuno fa qualche domanda, diqualunque genere. […] Se uno fa una domanda, vuol dire che ha un vuoto da riempire edio tendo a rispondere. Ho letto da qualche parte che il maestro è chi risponde alle do-mande, non colui che ne fa tante. Allora, se ci sono delle domande, io rispondo. le do-mande possono riguardare vari ambiti della vita: c’è stato il periodo dei funghi – noisiamo in una zona di campagna –, altre volte riguardano la pesca o cose di questo genere.Dopo di che, compilo il mio registro e chiedo ai ragazzi di preparare il materiale. Poi, in-sieme immaginiamo il da farsi (FGita4/20);[…] non è che, appena entrata, io dica: “Buongiorno” e inizi la lezione. Se è un lunedì,chiedo come è andato il fine settimana ecc. Ad esempio, stamattina vedevo che eranomolto ansiosi di raccontare ciò che riguarda la festa di venerdì11, perché è stata una gior-nata in cui loro sono stati protagonisti e avevano proprio voglia di raccontarsi. Ecco, iodo spazio al loro vissuto, perché, si sa, a casa non parlano […] e tante volte non vedonol’ora di arrivare a scuola perché qui trovano un ambiente familiare […]. quindi do spazioa loro. Poi è logico che, passati i 5 minuti [...] in cui si svegliano, io dica: “Bene, ragazzi,allora iniziamo a lavorare!” (intPd3/170).il racconto di F. (FGita4/20) è particolarmente eloquente e descrive una seriedi microazioni che noi abbiamo affrontato o affronteremo anche in altri paragrafima che qui riportiamo tutte insieme perché hanno l’aspetto di una routine consoli-data: il saluto, l’eventuale richiamo, nel caso di comportamenti scomposti (basatosulla coerenza della testimonianza personale), l’apertura delle finestre per arearel’ambiente, la domanda “come va?” e il breve colloquio che ne segue, la rispostaad eventuali domande degli allievi, il disbrigo dei compiti burocratici (firme sul re-gistro ecc.) e il tempo concesso per predisporre il materiale che servirà durante lalezione. Solo a questo punto si passa ad “immaginare assieme” la lezione. Anchen. (intPd3) utilizza, in fase di avvio, un registro personale, diretto e colloquiale: sitratta di “dare spazio al loro vissuto”. in questo modo, garantito il contatto emozio-nale, ci sono le condizioni per mettersi a lavorare proficuamente.b) Controllare i compiti per comunicare attenzioneil controllo dei compiti, nel racconto di D. (intMe1), che avevamo in parteanalizzato anche nel punto 1.2.4., diventa un’azione di riscaldamento che, nellostesso tempo consente di ricollegarsi al percorso precedentemente svolto e di co-municare attenzione, attraverso la costruzione di un contatto emotivo:[...] se non è la prima lezione di un’unità formativa, c’è quasi sempre qualcosa che lorohanno dovuto portare a lezione, oltre al materiale (intMe1/10). Di solito, ciò che vieneloro richiesto è una schematizzazione di base, una mappa concettuale […] o comunquelo schema di qualcosa che è stato elaborato in classe, e le risposte a delle domande, cheservono per focalizzare l’attenzione sugli argomenti principali; lo schema dovrebbe ser-vire [...] per organizzare in testa le informazioni; le domande invece orientano ad affron-tare un po’ […] “criticamente” l’argomento [...] (intMe1/18). in un primo momento, cheè anche quello del riscaldamento, [...] passo per i banchi e mi avvicino a loro, anche fisi- 11 Si trattava della festa di fine anno del cFP, ndr. 58 camente (intMe1/20), […] controllo, guardo il loro elaborato, cerco anche di leggere ef-fettivamente quello che hanno fatto, perché mi accorgo che per loro è molto importanteavere un riscontro (intMe1/22), un’attenzione, da parte del docente, legata a quello cheeffettivamente hanno fatto, un riscontro alla loro fatica, insomma (intMe1/24). (cerco difarlo) in modo diverso, a seconda, sia della situazione della classe, sia dei tempi in cui èstrutturata la lezione, sia della situazione dei singoli allievi – ci sono infatti allievi che si-curamente hanno più bisogno di attenzione –; poi cerco anche di distribuire questa atten-zione, perché bisogna calcolare che, mentre io faccio […] il giro dei banchi, il resto dellaclasse è in attesa, per cui devo anche calibrare bene... (intMe1/28) ...i tempi; non a tuttele classi lascio gli stessi spazi [...]. quello in cui io passo tra i banchi può essere un mo-mento piuttosto delicato [...] (intMe1/30); come postura, sto vicino all’allievo, non da-vanti a tutta la classe, ma affiancato all’allievo; guardo il quaderno dell’allievo e volto lespalle alla classe – è una situazione un po’ delicata –. l’altra volta, in classe, ho fatto fareun esercizio, mentre passavo tra i banchi [...]; all’inizio dell’ora, ho dato delle domandeche non avevo dato per casa (intMe1/32) (in modo che fossero) impegnati, mentre iopassavo e guardavo i lavori che avevano fatto, la schematizzazione ecc.; […] ho dato ledomande a cui rispondere senza utilizzare il libro ma solo lo schema, per [...] dare loro lapossibilità di fare un’autovalutazione di come avevano fatto gli schemi, perché, nel mo-mento in cui ci si accorge che ad una domanda non si riesce (a rispondere), perché nelproprio schema non ci sono gli agganci, si capisce anche la finalità dello schema. [...] Èla prima fase della lezione, quella dell’approccio personale. Ho visto che le prime voltela cosa crea un po’ di imbarazzo, perché si invade lo spazio personale e non sono abituatia vedere il docente affiancare, girare per la classe, mettersi in mezzo ai banchi, ancheperché, in certe classi, si deve per forza passare in mezzo ai banchi, stare vicino spalla aspalla, invadere lo spazio personale degli allievi. in qualche classe, quando non lo faccio[...], mi chiedono come mai, comunque si accorgono. questo è il primo momento deicinquanta minuti, il primo quarto d’ora, la prima parte della lezione (intMe1/34).D. (intMe1) è solito assegnare come compito per casa la rielaborazione, informa schematica, delle informazioni date nella lezione precedente e la risposta adalcune domande di comprensione profonda, che consentano agli allievi di espri-mere un parere “critico” sui testi letti o sugli argomenti affrontati. il nostro docenteha introdotto la routine12 del controllo dei compiti, alla quale dedica una quindicinadi minuti, nella fase di avvio della lezione: si muove tra i banchi, si avvicina ai sin-goli, li affianca, prende in mano il loro quaderno, guarda gli elaborati. Pur trattan-dosi di una routine, questa fase non si svolge sempre allo stesso modo, in partico-lare, potrà durare più o meno a lungo, a seconda dei tempi in cui si articola la le-zione. Anche l’attenzione da riservare ai singoli allievi potrà essere differente: pertutti si tratta di offrire un “riscontro alla loro fatica”, un riconoscimento di ciò chehanno fatto, ma alcuni avranno bisogno di un’attenzione più specifica e di untempo più lungo a loro dedicato. interessante è anche lo sforzo di “distribuire l’at-tenzione”, cioè di tenere d’occhio l’insieme del gruppo, nello stesso momento incui si lavora con un singolo allievo. Talvolta è opportuno formulare una consegnadi lavoro per il gruppo classe; il fatto che tutti siano impegnati nel rispondere ad ul- 12 che si tratti di una routine è espresso anche dalla notazione che i ragazzi si accorgono, se perqualche motivo questa azione non viene fatta. 59 teriori domande consente, ad esempio, al docente di avvicinarsi ai singoli e di dedi-care loro attenzione, senza la paura che, rivolgendo le spalle al gruppo, la situa-zione della classe sfugga di mano. l’attenzione relazionale è espressa anche dallaconsapevolezza del docente che avvicinarsi fisicamente può rappresentare un’inva-sione dello spazio degli allievi e richiede pertanto tatto e delicatezza. lungi dal tra-sformarsi in controllo fiscale e potenzialmente sanzionatorio, il controllo dei com-piti si declina secondo i registri del riconoscimento e del contatto personale.2.1.4. Educare al metodola centralità del metodo è legata ad una concezione di formazione come ten-sione continua al miglioramento. Un certo metodo di lavoro si insegna anche isti-tuendo fin dall’inizio pratiche che diventino poi abitudini e veri e propri automa-tismi. È quanto emerge ancora una volta dall’esperienza di D. (intMe1):(la ripetitività dell’avvio) è legata anche al tipo di target, cioè l’aver strutturato questomomento (in modo) quasi ripetitivo crea un’abitudine, che non è: “Sì, va beh, tu sei abi-tudinario...”, ma un’abitudine in senso positivo; non sono ragazzi abituati ad approcciarsiad una disciplina teorica, per esempio scrivendo, aprendo la mente a qualche informa-zione che arriva, quindi bisogna che si crei un’abitudine – avere materiale, aprire il qua-derno, essere pronti a – come dire – ricevere qualcosa – e questo si crea anche ricolle-gandosi a quello che si è fatto; quindi queste abitudini servono, dovrebbero servire perabituare a questo e sono abitudini pratiche... (intMe1/38); ...infatti, i risultati poi qual-cuno li vede nel giro di un anno ed effettivamente, nei tre anni del nostro percorso, qual-cuno diventa autonomo anche in discipline come queste, (anche se) [...] era arrivato dascuole medie in cui dicevano di lui: “questo potrà fare solo materie pratiche!”(intMe1/40). […] Sto parlando delle linee di un lavoro di base, che poi hanno inevitabil-mente una certa rigidità […] (intMe1/50) [...]; però il metodo che si ripete aiuta molto[...] (intMe1/58).il lavoro del nostro insegnante mira a dare un po’ di metodo e di struttura al la-voro di allievi, che spesso sono segnalati come “poco adatti” al lavoro scolastico,ma che in realtà sono semplicemente poco adatti ad una scuola che abbia dismessoogni suo rapporto con la vita e con il senso. il metodo si acquisisce anche con la ri-petitività di specifiche azioni, attraverso le quali il docente stimola ad aver cura delmateriale, a disporsi a lavorare con gli altri con una certa tenacia, a ricollegarsi alpercorso fatto in precedenza, a sopportare quella certa dose di fatica che l’appren-dere comporta.l’attenzione al metodo di studio e di lavoro in classe è frequente, nei docentiintervistati, e su questo generalmente si concentra il lavoro nella prima parte del-l’anno scolastico:dedico la prima parte dell’anno al metodo di studio, [...] cosa che per me è assolutamenteindispensabile, perché ricordo che, ai miei tempi […], il metodo di studio alle superioriera ormai acquisito, invece da noi arrivano ragazzi che non sanno neanche che cosa si-gnifichi studiare, […] leggere, comprendere; quindi io dedico un periodo che va almenofino a dicembre, ai primi di gennaio, al metodo di studio: come si fa a leggere, compren-dere e analizzare un testo scritto e, di conseguenza, come si può esporre, che cosa bi- 60 sogna apprendere di un testo, per poi esporlo; [...] ho fatto delle presentazioni in powerpoint sul metodo di studio: che cosa vuol dire leggere, che cosa vuol dire studiare; leproietto e le spiego loro; poi, in pratica, do un testo e lo analizziamo; allora dico loro:“cosa ne volete fare di questo testo? Provate ad analizzarlo”; c’è chi dice: “io farei così”,“io farei colà”; c’è gente che [...] sottolineerebbe tutto (intMe7/11), ...perché è abituato asottolineare tutto (intMe7/13); allora bisogna far capire loro che è utile sottolineare sol-tanto le parti più significative: “Dal sottolineato, cosa posso trarre?”, “quali sono i con-cetti chiave?”; grazie ai concetti chiave, riesco a realizzare con loro uno schema, attra-verso il quale essi poi possono studiare o riprendere gli argomenti da ripassare [...]. con-tiamo molto sul metodo di studio, perché è la base in tutte le materie; dico sempre loro:“lo faccio io, perché insegno italiano, però non è legato soltanto alla mia materia(intMe7/15), è trasversale a tutte le materie, perché, quando voi vi troverete a studiare untesto di tecnologia, piuttosto che un brano di inglese, piuttosto che un testo di chimica, viservirà questo metodo di studio” (intMe7/17).Si tratta di competenze trasversali: leggere, analizzare, comprendere un testo,individuare i concetti chiave, costruire uno schema che faciliti la memorizzazione,fare un riassunto. E. (intMe7) ci racconta le fasi di un lavoro su cui insiste in parti-colare nella prima parte dell’anno e che porta all’acquisizione di qualche automa-tismo: dopo un’introduzione, guida gli allievi a misurarsi concretamente con di-verse tipologie di testo, a sottolinearne le parti rilevanti, ad individuare le idee cen-trali, assegnando dei titoli, per arrivare poi alla costruzione condivisa di unoschema. questo lavoro, ripetuto nel tempo e in relazione a diversi oggetti culturali,non solo consente di memorizzare nozioni e concetti, altrimenti labili e destinatisubito a cadere nell’oblio, ma anche di acquisire quelle competenze di base cheaiutano ad affrontare il percorso e insegnano ad imparare. 2.2. esplorare il punto di vista degli allievi dando loro la parolanelle aree di insegnamento dei nostri docenti, i momenti più fecondi sonoquelli che nascono dal dialogo che si crea tra ciò che l’insegnante intende proporre(che spesso corrisponde ai suoi gusti e alle sue preferenze) e le attese, i punti divista, le emozioni degli allievi. È importante allora esplorare attentamente i vissutie le rappresentazioni degli allievi in ordine ai temi che si stanno affrontando e dareloro la parola per raccontarsi o pensare a cosa direbbero se l’avessero. Si tratta diandare a prenderli là dove si trovano per far loro scoprire il gusto di imparare e l’e-mozione che anche il pensare sa dare:cerco di immedesimarmi in chi sta ascoltando, per cercare di capire cosa sta immagi-nando, se si sta creando delle rappresentazioni; credo molto che la mia disciplina sia le-gata a questo (intMe1/138): è una disciplina che crea emozioni, che crea sollecitazionipersonali, è una disciplina particolarmente legata al sentire dentro, insomma, ecco, allariflessione (intMe1/140).D. (intMe1), che insegna italiano a Mestre, sa che i contenuti su cui propone dilavorare sono solo una delle polarità che devono entrare in relazione e si muovepertanto verso quella che, con Guido Armellini, potremmo chiamare una prospet- 61 tiva ermeneutica: «…nella comunità interpretativa della classe l’intervento spiaz-zante di uno studente, le svolte determinate dal dibattito interpretativo, i significatiinattesi scaturiti dal confronto tra diversi orizzonti culturali hanno un ruolo centralenel determinare l’andamento e la direzione del percorso didattico» (Armellini,2008, p. 41). Decisiva sarà dunque la capacità di mettersi in ascolto dei punti divista, delle storie, dei pensieri e di ciò che gli allievi sentono dentro, delle loroemozioni, senza liquidare frettolosamente tutto questo come illegittimo o ingenuo.Da questo gesto di ascolto spesso nasce la possibilità di farsi ascoltare e magari diinstillare qualche dubbio o di guidare a complessificare il proprio sguardo sulmondo.2.2.1. I goal delle aspettativeUn modo per dare la parola agli allievi, soprattutto all’inizio del percorso for-mativo, è esplorarne le aspettative, come fa F. (FGita2/72-84), che insegna diritto eche, ogni anno, propone un’analisi delle aspettative e dei timori in relazione alla di-sciplina, su cui costruire poi una sorta di patto formativo:ho tentato [...] di esplorare prima tutte quelle che erano le loro aspettative nei confrontidella materia, per poi arrivare […] ad un patto d’aula, ad un patto formativo, con quelleche potevano essere le linee guide e i contenuti del quadrimestre, per quanto riguarda“diritto” (FGita2/72); ho raccolto le aspettative con dei post-it, all’inizio dell’anno(FGita2/74). [...] Di solito faccio un gioco, il “goal delle aspettative” [...] in tutte leclassi. loro hanno la possibilità di avere due post-it, di due colori diversi, giallo e rosso,a seconda, uno per le aspettative e uno per le ansie e i timori [...]. c’è una porta disegnatasulla lavagna; loro hanno del tempo per pensare; è un lavoro individuale; scrivono primale une poi le altre, comunque [...] in modo distinto: se hanno più di una aspettativa, uti-lizzano più di un post-it dello stesso colore, in modo tale che su un singolo post-it ci siasoltanto una cosa. Poi i post-it vengono raccolti e vengono letti, a turno, [...] anche con lospirito di favorire la conoscenza della classe [...] e come occasione, per me, di osservarele dinamiche all’inizio dell’anno: quelli che possono essere i leader della classe, le per-sone che prendono spesso la parola, chi sta più sullo sfondo; tutto questo mi serve per[…] vedere su chi potrò puntare, all’occasione, o chi dovrò invece tenere un po’ a bada.Possono fare [...] goal, prendere un palo o schizzare fuori, indicando un’aspettativa cheva dritta in tribuna, perché non c’entra niente (FGita2/76). io raccolgo i post-it che scri-vono e poi [...], con me come guida, tutti quanti ascoltano la persona che esce a leggere;a turno, tre o quattro escono a leggere (FGita2/78). Sui biglietti [...] hanno la possibilitàdi scrivere o di non scrivere il proprio nome [...] (FGita2/80). ci sono dei lettori casuali ei post-it vengono attaccati alla lavagna e vanno a creare le aree sulle quali lavoreremonelle lezioni successive; ci sono post-it che entrano direttamente in porta – è goal! –,quelli che, se loro vogliono, [...] con un po’ più di lavoro, esprimono attese che possonoessere soddisfatte, quelli che vanno appena fuori, che prendono il palo, e quelli che inrealtà non c’entrano e che vengono indirizzati su altri percorsi (FGita2/82). Sono io chedico chi fa goal; poi magari il ragazzo si diverte a metterle in porta in modo particolare,[...] con un “tiro ad effetto” [...] o con queste cose un po’ calcistiche. [...] Tutto questo miserve, in realtà, per [...] mettere un po’ di paletti, di confini [...], anche se abbastanza per-meabili, e per dire: “ok, noi lavoriamo su questo campo!”; [...] alcune cose magari glielerimando in seconda, alcune cose gliele rimando in terza e alcune gliele rimando in quarta[...] (FGita2/84). 62 la strategia che il nostro formatore mette in atto non lo fa abdicare al doveredi indicare i contenuti più rilevanti del percorso culturale che intende proporre, magli consente di discutere, in avvio di percorso, i temi e i problemi che potranno es-sere affrontati e di esplicitare eventuali difficoltà o resistenze. inoltre, in questoprocesso, il nostro formatore ha la possibilità di cogliere dinamiche e stili di com-portamento nel gruppo classe e tutto questo potrà aiutarlo ad impostare più effica-cemente il cammino. infine, è come se, mentre il formatore procede nel conoscere isuoi allievi, anche questi potessero fare delle scoperte: su di sé, sugli altri, su quelloche andranno a costruire insieme.2.2.2. “Adesso, dite la vostra!”non sempre i ragazzi della formazione professionale hanno le parole per rac-contarsi. nei brani che seguono, vediamo alcuni esempi di attività attraverso cui iformatori cercano di insegnare ai loro allievi a prendere la parola, cercano di partireda loro, facendo emergere il già compreso a cui agganciare le nuove conoscenze, leloro intuizioni sugli argomenti di studio che affrontano o sui vocaboli che incon-trano: l’esperienza è riferita all’area della comunicazione, al primo anno. in genere, al primoanno, seguo questa sequenza di temi sensibili […]: droga, alcool, fumo, aids. “Adesso,dite la vostra” potrebbe essere il titolo dell’attività che presento […]. Un video di trentaminuti, un foglio con alcuni slogan sull’argomento, un opuscolo di poche pagine e…“Adesso, dite la vostra”. l’argomento in questione è la droga, ma si ripete la stessa meto-dologia anche per gli altri temi. […] Andiamo in sala audiovisivi per la visione di unvideo sulle cause e gli effetti della droga; poi ritorniamo in aula per lo scambio di im-pressioni, osservazioni, chiarimenti. Poi viene distribuito un foglio, nel quale vengono ri-portati alcuni slogan sulla droga, formulati dal ministero della salute; per citarne qual-cuno: “la droga ti ruba la vita”; “Se ti droghi, ti spegni”; “Dalla droga puoi uscire…”.Poi distribuisco un opuscolo di poche pagine dal titolo: “quello che dovete sapere sulladroga”, scritto da giovani ex-tossicodipendenti, nel quale sono indicate le principalicause e le motivazioni che portano alla droga e i primi segni che indicano l’inizio di unpericoloso percorso. lascio un piccolo spazio anche qui per i chiarimenti e poi faccioformare piccoli gruppi, di due o tre membri, che si confrontano sui documenti che hoconsegnato; in altre parole, si confrontano sul film, sul foglio con gli slogan e sull’opu-scolo. Finito il confronto, è il momento dell’espressione delle opinioni personali degli al-lievi. Distribuisco un foglio con quattro tracce; nel caso della droga, c’era scritto “Droga:cause ed effetti…, la tua opinione e lo slogan che costruiresti tu per ragazzi, genitori e in-segnanti”. lavorano individualmente, poi consegnano questo lavoro sapendo che c’è unavalutazione per ognuna delle risposte, in termini di completezza e di correttezza dellafrase. Poi c’è la metodologia dell’autocorrezione e, come dire, della sottrazione diqualche punto, se hanno commesso errori di ortografia o di grammatica. questa metodo-logia funziona: i ragazzi sono presi, riportano a casa le opinioni che hanno maturato. Sulfumo, distribuisco un foglio con disegnato un cimitero con le possibili lapidi di alcuni exfumatori e le relative epigrafi: “Fumavo solo poche sigarette” […]. Portano a casa questimateriali e chiedono proprio: “Professore, posso portarlo a mio padre?”. ci sono gli ef-fetti del fumo dopo trent’anni e c’è chi chiede: “Posso portarlo a mia madre?”. È un’atti-vità che, in qualche maniera, li stimola e serve loro per esprimere una loro opinione eanche per formulare qualche proposta per gli altri (FGita3/58); 63 cerco sempre di partire da loro: “Secondo voi, che cosa significa questa parola?”, poiraccolgo i loro pensieri e li integro; ecco, stiamo leggendo un testo, e uno fa: “Ma prof,cosa significa questo termine?”. c’è sempre il bello che dice: “Eh, non sai che cosa si-gnifica?”. “Allora spiegalo tu!”, e magari non lo sa nemmeno lui [...] (intPd3/162). Ecco,è importante cercare che la spiegazione venga prima da loro, perché, se sono sempre io acalare la spiegazione dall’alto, alla fine, sono sempre io sopra e loro sotto, che devonoapprendere ed assorbire come spugne [...] (intPd3/164).l’attività raccontata da P. (FGita3/58), formatore in Sicilia, stimola gli allieviad esprimere la propria opinione su temi di grande rilevanza sociale, in un modoparticolarmente articolato e complesso: la proiezione di un breve video costituiscel’ingresso nel tema; alla visione del film, segue una discussione in aula, per attivareun primo scambio di impressioni e pensieri, ma anche per rispondere ad eventualirichieste di chiarimento ed offrire ulteriori informazioni; a questo punto, dopo averdissodato il terreno, il docente fornisce alcuni materiali per l’approfondimento (dueopuscoli, uno frutto di una campagna di sensibilizzazione del ministero della salutee un altro, che raccoglie alcune testimonianze sul tema), che fa analizzare in piccoligruppi; solo alla fine di tutto questo lavoro, il docente propone un esercizio di scrit-tura personale, che viene eseguito, corretto e valutato. la consegna di scrittura per-sonale arriva alla fine di un percorso di riflessione, che ha offerto concreti elementisu cui prendere posizione e ha consentito di costruire, attraverso la discussione inpiccolo o in grande gruppo, le coordinate fondamentali dell’argomento affrontato.il coinvolgimento nell’attività è garantito e reso evidente anche dal desiderio che iragazzi esprimono di comunicare ad altri, fuori del cFP, i risultati del loro lavoro.Anche n. (intPd3) cerca sempre di partire dai propri allievi, stimolandoli adesempio a costruire insieme il significato di termini sconosciuti. Partire da loro,raccogliere le loro idee, per poi magari integrarle e precisarle, risulta molto più ef-ficace che calare dall’alto definizioni preconfezionate.2.2.3. Il brainstormingAlcuni formatori utilizzano la tecnica del brainstorming, che aiuta a far emer-gere dagli allievi associazioni spontanee su un determinato argomento e a costruireidee nuove e definizioni condivise:soprattutto con argomenti che per loro sono nuovi, parto utilizzando la tecnica del brain-storming: magari scrivo sulla lavagna la parola “comunicare” e dico: “Allora, ragazzi,questo verbo cosa vi fa venire in mente? cosa associate alla parola ‘comunicare’?”. ora,si vede che mettono molto della loro vita, nel senso [...] che dicono: computer, internet,radio, chiacchierare, amicizia, di tutto. Da lì mi aggancio per spiegare e dare le defini-zioni dei vari elementi di una comunicazione; ad esempio, non so, ho fatto capire cheanche l’utilizzo del cellulare e gli sms sono una forma di comunicazione; hanno colto ladifferenza tra l’sms e una comunicazione verbale in cui entra in gioco anche il non ver-bale [...] (intPd3/36);un altro esempio è quello di fare iniziare loro, ad esempio, con una definizione di “comu-nicazione”: “Dai una definizione tua personale di comunicazione”, senza sapere nullasull’argomento (FGita1/61); [...] Prima c’è il brainstorming, poi attacco tutti i fogliettini 64 sulla lavagna a fogli mobili e poi insieme arriviamo a costruire la definizione di “comu-nicazione”. Riesco in questo modo a focalizzare i punti. [...] Mi è capitato anche chemolti allievi non avessero capito il significato di “feedback”; con questa metodologia econ il fatto che la cosa parte da loro, che sono loro i protagonisti, alla fine arrivano dasoli a dare una definizione di “feedbeak” [...]; è quasi un risultato loro (FGita1/63).Entrambi i docenti – n. (intPd3), del cFP di Padova, e A. (FGita1/61-63), cheinsegna a Perugia – fanno emergere le idee che gli allievi hanno sul tema “comuni-cazione”. n. annota le indicazioni dei suoi allievi, mentre A. fa scrivere le singoledefinizioni su dei cartoncini o su dei post-it, per poterle agevolmente attaccare allalavagna ed eventualmente riorganizzare. le indicazioni arrivano in ordine sparso esono spesso legate all’esperienza diretta degli allievi. i docenti aiutano ad ordinarele indicazioni degli allievi, a sistematizzarle, magari facendole raggruppare per ca-tegorie, le integrano attraverso domande oppure offrendo supplementi di informa-zione. insieme, si giunge alla costruzione di una definizione o ad una chiarifica-zione concettuale che viene avvertita come frutto del lavoro di tutti.2.2.4. Decostruirei docenti intervistati si trovano spesso a guidare discussioni riguardo ad unaserie di argomenti cosiddetti di attualità. il loro sforzo è orientato ad aiutare gli al-lievi ad andare oltre i luoghi comuni e le conversazioni da bar. in questo sforzo, al-cuni di loro trovano utile far emergere l’immaginario degli alunni su tali temi, chespesso lascia trasparire le idee che si respirano nelle famiglie o nei gruppi di appar-tenenza e presenta elementi sbiaditi e confusi:la prima cosa che faccio nell’affrontare un nuovo argomento con i miei ragazzi è smantella-re tutte le notizie errate che hanno sull’argomento. i loro saperi sono spesso frutto del “sen-tito dire”, magari in casa o al bar, che loro assorbono senza alcuno spirito critico e senza ap-profondirne la veridicità; do quindi la parola ad ognuno di loro, perché possano esprimersi li-beramente e riferire ciò che sanno. Spesso dell’argomento da trattare conoscono solo il nome[…], ma non sanno esprimere molto altro. in questo modo partono già partecipi ed interes-sati all’argomento, ben riconoscendo che i loro saperi sono spesso frutto di leggende me-tropolitane; solo dopo aver ascoltato ognuno di loro, spiego il contenuto delle lezioni. in-calzata dalle loro domande, preciso e puntualizzo certi aspetti che, nel loro vissuto, appaionolontani dalla realtà. Ho sperimentato questa strategia per la prima volta, quando ho avuto unallievo che portava delle verità solo per “sentito dire” e che puntualmente, in modo indispo-nente, contestava di fronte all’intera classe ciò che io spiegavo. Una volta ho provato ad in-vertire le parti e, sentita la sua spiegazione, ho ribattuto e corretto ciò che lui sosteneva. lastrategia è risultata efficace sia per quell’allievo sia per i suoi compagni, per cui ho deciso ditrasformarla in una mia particolare metodologia (FGita3/2). in qualsiasi argomento facevaqueste contestazioni, non per cattiveria, ma proprio perché lui sapeva solo quelle cose che glivenivano, diciamo, dal sapere della strada (FGita3/4). Si tratta di […] far parlare prima lorodelle loro esperienze e poi di integrare quello che dicono. in questo modo, ho suscitato mag-giormente l’interesse sull’argomento e dopo erano stati i ragazzi stessi che mi incalzavanocon domande per avere approfondimenti (FGita3/6).È come se, prima di ampliare la gamma dei significati ed approfondirne il li-vello di consapevolezza, fosse necessario problematizzare e qualche volta smontare 65 del tutto le idee e i significati acquisiti su un determinato tema. c. (FGita3/2-6), delcFP di Forlì, ha imparato per esperienza diretta che “dare loro la parola”, all’iniziodi un percorso, è una strategia che consente più agevolmente di disturbare rappre-sentazioni ingenue o acriticamente assunte dall’ambiente circostante e di preparareil terreno per andare oltre il sentito dire e approfondire le questioni. nel raccontoche segue, F. (FGita2/100-108) ci offre l’esempio di come ha tentato di decostruirealcune posizioni pregiudiziali dei suoi allievi in relazione alla storia e al presente,espresse con impulsività e radicalità:[…] ogni tanto c’è anche una presa di posizione aprioristica, nei confronti di alcuni fattistorici; sono ragazzi che, ad esempio, [...] non nascondono certe passioni per il fascismoe ne riportano [...] frasi, concetti, slogan. Tutto questo è stato abbastanza difficile da ge-stire; [...] è stato comunque utile conoscere le dinamiche della classe (FGita2/102), adesempio, l’emersione di un certo radicalismo (FGita2/104). [...] il piccolo lavoro che hoproposto era stato preceduto dalla lettura di un testo che metteva a confronto una storio-grafia filofascista e una storiografia antifascista; quindi i ragazzi avevano già lavorato suquesta contrapposizione, [...] attraverso la lettura di un fatto storico da due punti di vista;avevano fatto un lavoro scritto, di sintesi per punti e di raffronto orizzontale tra le tesi so-stenute in un testo e le tesi sviluppate nell’altro [...]. questo però era un lavoro fatto daun punto di vista prettamente cognitivo. Poi in classe queste cose vengono fuori spessocome [...] delle bombe: il ragazzo ti salta su, ti dice le cose ad alta voce e in modo pocoprevedibile. in quei casi..., ho sentito la necessità di non zittirli, cioè di [...] far loro ri-prendere, come dire, una formulazione coerente rispetto al fatto di stare in classe; se citrovavamo fuori, in cortile, piuttosto che al bar, potevamo farne di tutti i colori, però lascuola ha come compito di fornire ai ragazzi una visione il più articolata possibile, attra-verso la presentazione del maggior numero possibile di punti di vista, in modo che loroautonomamente, possano farsi un’idea […]. insomma, […] vedo in questo dei rimandialla loro formazione, […] alle opportunità che hanno di imparare; queste cose servono evedo che anche i ragazzini di prima, […] trattati da adulti o meglio da adulti in divenire,da adolescenti, sentono di avere il bisogno di conoscere, perché, [...] quando poi vieneproposto un documento che magari contrasta con quell’idea che avevano o con quel con-cetto ingenuo, con quello stereotipo che avevano in testa, [...] si zittiscono un po’ e...,come dire, si risiedono sulla sedia; ecco [...] sono in grado di apprendere e di mettere in-sieme delle conoscenze nuove e poi di formulare magari anche delle opinioni proprie, inmaniera un po’ più articolata. quello fatto è stato un piccolo tentativo [...] nello studiodella storia; l’idea era, appunto, di non limitarsi ad uno studio nozionistico di dati edeventi, ma di costruire un percorso formativo individuale, anche attraverso quei concetti.io di solito non li stoppo, cerco di tenere [...] vive queste discussioni; mi piace […] unaclasse che si propone, piuttosto che una classe che sta sulle sue [...] (FGita2/108).l’intenzione del docente è proporre un percorso che aiuti ad affrontare un temacontroverso in modo ragionato. nell’interazione in classe però le espressioni degliallievi si caricano di tonalità emotive ed assumono i caratteri di un’irruenza pernulla prevedibile. la strategia che il nostro docente segue è quella di non censuraregli interventi e di consentire l’espressione di idee personali, invitando solamente aformularle in una maniera consona al contesto scolastico, cioè argomentando e por-tando ragioni, magari utilizzando riferimenti appropriati a testi e dati messi loro adisposizione; a questo punto, è possibile aiutare gli allievi ad analizzare i propri 66 punti di vista, a metterli a confronto con quelli degli altri – siano questi il docente, icompagni o gli esperti –, a problematizzarli. l’effetto è che gli allievi “si risiedonosulla sedia”, smorzano i toni del confronto e mettono in moto il pensiero, arrivandonon di rado alla formulazione di idee personali più ricche ed articolate di quantopotevano essere in avvio di percorso. 2.3. esporre (e far esporre) con chiarezzala lezione non è solo un mettersi a “declamare” ciò che si sa davanti allaclasse, un parlare che non comunica. È una forma speciale di comunicazione, incui anche il corpo, i movimenti, i gesti, il contatto visivo possono avvicinare o al-lontanare gli allievi da ciò che si sta comunicando. i docenti sono consapevoli cheil loro modo di parlare – la loro capacità di essere chiari, comprensibili, interes-santi, convincenti ed avvincenti, ad esempio – influenza notevolmente la capacitàdi attenzione e, di conseguenza, l’apprendimento degli allievi. Ma più di ogni altracosa, sanno che la lezione, proprio perché comunicazione, è sempre rivolta a qual-cuno, richiede un particolare coinvolgimento emotivo e relazionale, è un esporsi,un rivelarsi, che ha il segno della sua efficacia nel fatto che anche l’altro si riveli.È la comunicazione di ciò che si è compreso, che realizza anche una nuova com-prensione di ciò che si sta comunicando e crea così le premesse perché anche altripossano partecipare alla stessa esperienza. infine, i formatori sono consapevoli cheuna buona strutturazione della lezione e la chiarezza espositiva non solo sono es-senziali alla comprensione, ma rappresentano anche una forma concreta di atten-zione all’altro (dicono, ad esempio, che si sono dedicati tempo ed energia a prepa-rarsi). Per assicurare questi elementi, i docenti intervistati ricorrono prevalente-mente a quattro forme di attenzione didattica: la vivacità espositiva; la schematiz-zazione – da proporre o da far fare –, l’utilizzo del quaderno, come strumento perfissare i concetti essenziali e per stimolare comunicazione, e il frequente richiamoal punto di arrivo. inoltre, i docenti organizzano forme di apprendimento attra-verso l’insegnamento (learning by teaching), in cui sostengono gli allievi nell’or-ganizzare e realizzare essi stessi esposizioni e presentazioni efficaci per i lorocompagni.2.3.1. Catturare l’interesseGuardare gli allievi in faccia, anziché tenere il proprio sguardo sui propri ap-punti o sullo schermo, accresce l’attenzione. Si tratta di rendersi conto di come gliallievi stanno ascoltando e non solo di prestare attenzione a ciò che si sta dicendo.Più avanti, nel paragrafo dedicato alla valorizzazione dell’esperienza (cfr. punto 3),vedremo alcune strategie che i formatori hanno sviluppato per agganciare l’espe-rienza degli allievi e dunque suscitare il loro interesse. qui ci soffermiamo su al-cune semplici tecniche che vengono nominate dai formatori, come il ricorso al mo-vimento o alla pausa per sottolineare un punto particolarmente importante che si statrattando: 67 il fatto di fermarsi un attimo, e magari dire: “Ragazzi, statemi bene a sentire, perchéquesto concetto è un po’ difficile da capire...”, già aiuta (intPd3/166).la pausa consente a n. (intPd3) di dare enfasi a ciò che sta dicendo. F.(FGita4/32), nel brano che segue, racconta di ricorrere talvolta a qualche forma dicomunicazione paradossale, puntando sull’effetto scioccante che questa può gene-rare: mi capita molto spesso di assumere atteggiamenti, posizioni e posture che scioccano unpo’ la platea: magari mi vado a sedere alle spalle di tutti, a volte succede che […], sedutoalla cattedra, mi giri al contrario e cominci a leggere un testo. Alcune cose mi sono ve-nute istintivamente […]. Soprattutto cerco di lavorare molto sulla differenza che c’è traascoltare e sentire; riprendo qualcuno che mi dice: “Prof, guardi che ho sentito!”. Alloraaspetto che quel soggetto abbia una domanda e, a quel punto, mi giro dall’altra parte,guardo dalla finestra, mi guardo le calze. non credo siano invenzioni, mi vengono così,non sono mirate tanto al contenuto specialistico, quanto a ciò che si mette in gioco nellarelazione formativa (FGita4/32).Premessa indispensabile per spiegare in modo efficace è certamente la padro-nanza dei contenuti, ma assieme a questa conta anche la capacità esplicativa: undocente che sa “dare spettacolo”, che si muove nell’aula e che talvolta assume po-sture anche sostenute e inconsuete, che risvegliano l’attenzione o segnalano un og-getto importante della comunicazione, riesce generalmente a catturare l’interessedegli allievi. in tutto questo, gli aspetti non verbali della comunicazione – in parti-colare gli occhi e le espressioni facciali – assumono un ruolo preponderante e pos-sono essere particolarmente utili per educare al reciproco ascolto.2.3.2. Schematizzare e far fare schemiMolti insegnanti usano spesso la lavagna (prevalentemente quella a pennarelli,appesa al muro), in classe, durante la spiegazione, per fissare i concetti chiave, mi-gliorare la chiarezza espositiva, rendere esplicita l’organizzazione concettuale dellalezione o facilitare il dialogo:uso abbastanza spesso schemi e cerco di usare il dialogo con i ragazzi; mentre si com-menta lo schema, lo si amplia (intVr7/2);schematizzo molto; mano a mano [...] risaliamo insieme al concetto e poi io lo fisso allalavagna; per i primi mesi, scrivo proprio tutto alla lavagna, man mano che andiamoavanti; possiamo anche leggere il testo, perché in alcune lezioni dico: “Bene, ragazzi, ab-biamo utilizzato questo, vediamo che cosa ci dice il testo”. Vedo che i ragazzi hannomolte difficoltà a comprendere il testo scritto e non hanno un metodo di studio […] perfissare i contenuti, i concetti e memorizzarli; quindi con loro faccio degli schemi alla la-vagna; faccio leggere a un ragazzo e gli chiedo: “che cosa hai capito di quello che hailetto?”. “Ho capito x”. “Allora, fissiamo alla lavagna e vediamo se è giusto quello chehai capito” […] e andiamo avanti così (intPd2/24);noi abbiamo anche molti ragazzi stranieri; [...] io sono grafomane, nel senso che scrivochilometri di parole alla lavagna; [...] una parola che dico […] la capiscono, se la pro-nuncio lentamente, ma uno straniero la può fraintendere (intPd3/86). quindi devo scri- 68 vere tutto [...] (intPd3/88). Ad esempio, ci sono molti ragazzi stranieri che leggono unaparola scritta alla lavagna e li vedi sotto banco che la cercano sul dizionario, oppure mene chiedono il significato (intPd3/92);lascio scritto sulla lavagna quello che dico; se qualcosa sfugge, possono recuperarla(intMe1/116); la lavagna diventa anche un quadernone degli appunti; abbiamo la fortunadi avere lavagne grandi; mi rendo conto che, se avessi la lavagna un po’ più piccola,forse […] avrei qualche problema (intMe1/118), perché sono anche un grafico e dunqueproprio mi piace scrivere, anche disegnare; quelli dei corsi grafici apprezzano moltoqueste icone, questi disegnetti (intMe1/120). Anche questo serve per risvegliare, serve afissare, perché comunque sono ragazzi che sono poco legati all’apprendimento solo udi-tivo o solo tradizionale… (intMe1/122), attraverso la lettura; hanno molto bisogno dellostimolo visivo, dello stimolo uditivo, anche ridondante (intMe1/124).lo schema serve a M. (intVr7) per fissare i principali concetti della lezione,che diventano anche la scaletta della sua esposizione. Da lì prende avvio il dialogoche fa continuamente tornare sullo schema per integrarlo ed ampliarlo. MG.(intPd2) utilizza lo schema per fissare i principali concetti e magari verificarne l’at-tendibilità, dopo aver guidato i propri allievi in un’opera di ricostruzione dei con-cetti stessi. n. (intPd3) ha sperimentato che riportare per iscritto, alla lavagna, leparole più importanti aiuta in particolare gli allievi stranieri. D. (intMe1) scopreche scrivere un breve sommario alla lavagna, aiuta gli allievi, che magari perdonol’attenzione per qualche istante, a riprendere il filo del discorso. Anche il disegno ela cura grafica dello schema possono aiutare a tener desta l’attenzione. Un altro ele-mento che sembra facilitare l’attenzione è la combinazione, anche ridondante, didifferenti media – il linguaggio parlato, il linguaggio scritto, il linguaggio iconico –che trasforma il discorso in azione. Ma lo schema che sembra più utile, come ve-diamo nei brani che seguono, è quello che si fa fare agli allievi stessi, alla lavagnao direttamente sul quaderno:cerco di chiudere (la lezione) – anche se non sempre lo faccio, ma mi rendo conto dell’im-portanza – con una fase dove ci sia già un raccogliere qualcosa sul quaderno; per esempio, ilfare è molto importante, perché ogni momento è legato al cosa fare e la fase finale sarebbebene fosse già legata allo scrivere qualche idea guida, non dico una schematizzazione com-pleta; l’allievo raccoglie sul quaderno il titolo che ci siamo dati, gli aspetti principali; questoserve perché poi ci sia un aggancio con quello che c’è da fare per casa, ad esempio, o conquello che si aggancia conseguentemente […] (intMe1/158); […] questo serve soprattuttoad elaborare una comunicazione, quindi serve a me per vedere cosa pensano, cosa hanno intesta; per esempio, faccio una spiegazione con un passaggio un po’ difficile e chiedo: “mifate la schematizzazione, per favore, sul quaderno?” (intMe1/226); passo per i banchi a ve-dere, mi accorgo dalla schematizzazione che non tutti hanno compreso la spiegazione in ma-niera corretta, perché, per esempio, io ho detto: “guardate, dal rosso adesso io passo al nero,in questa frase qua…” (intMe1/228); e qualcuno ha messo grigio, oppure ha messo una frec-cia sbagliata, oppure non ha colto. questo è un metodo per me importante (intMe1/230),perché nella loro testa non riesco a vedere (intMe1/232) e non tutti hanno il coraggio di dire:“Professore, non ho capito” […] (intMe1/234);[...] faccio sottolineare quali solo le parti importanti, spiego e, a lato e sulla lavagna,faccio trascrivere le mie spiegazioni [...] (intMe4/92), una specie di sintesi [...]; alla fine,su alcuni punti cruciali, faccio un breve passaggio di verifica per vedere se hanno capito; 69 su alcuni punti ritorno e spiego. Poi chiedo, faccio ripetere a qualche persona [...] o ai ti-tubanti o a quelli che magari hanno capito di più, per cercare di vedere a che punto è lacomprensione (intMe4/94).D. (intMe1) sente l’esigenza che la lezione si concluda con una schematizza-zione che resti sul quaderno degli allievi, alla quale ci si possa agganciare per even-tuali approfondimenti o per lanciare un ponte verso i temi che seguiranno. Ma laconsegna di elaborare uno schema della lezione sul proprio quaderno consente so-prattutto al docente e ai ragazzi stessi di verificare la comprensione avvenuta. nelbrano che segue, una formatrice della Sicilia, fa elaborare ad un ragazzo un’illu-strazione grafico-pittorica relativa alla lezione che sta svolgendo:un giorno, dovendo fare lezione di cittadinanza, ho pensato di fare disegnare alla lavagnauna scena; la lezione che dovevo tenere riguardava la magistratura, per cui ho cercatouna vignetta in cui venisse rappresentata l’aula di un tribunale in sede penale, in quantoproprio in questa sede, i personaggi che compongono il tribunale sono al completo. Hoaffidato il lavoro al ragazzo più irrequieto il quale non sta mai attento e vuole sempreuscire, ma sa disegnare benissimo, comunque sa copiare un disegno alla perfezione. im-mediatamente lui ha accettato e i compagni sono stati entusiasti nel vederlo alla prova. ioho scritto il titolo alla lavagna e Diego […] ha iniziato il suo capolavoro. i compagnisono stati molto attenti al disegno, che nasceva mano a mano, sotto i loro occhi, cercandodi indovinare quello che Diego stava realizzando, mentre prendevano corpo i vari perso-naggi […]. quello che io ho ottenuto è stato che Diego si è sentito importante e al centrodell’attenzione, impegnato e consapevole di quello che stava rappresentando, ha ricevutoi complimenti dalla classe, mentre la classe ha recepito divertita la lezione teorica in cuiho spiegato i vari personaggi e i loro ruoli nel processo. il giorno successivo, ho fatto unaverifica, ponendo agli allievi delle domande scritte, a cui hanno risposto con molta atten-zione e con ottimi risultati. le risposte, nella maggior parte dei casi, erano anche esau-stive; mi sono così resa conto di aver fatto bingo (FGita3/60).o. (FGita3/60) ricorre alla consegna di far disegnare una scena alla lavagnaprincipalmente per contenere l’esuberanza di un allievo poco propenso a seguire lalezione, ma molto dotato sul piano grafico-pittorico. Si accorge però che lo strata-gemma escogitato è molto utile non solo per valorizzare il singolo allievo, ma ancheper rendere avvincente la spiegazione e consentire a tutta la classe di seguire megliola lezione. la pratica è piena di queste scoperte fatte direttamente sul campo.2.3.3. Far diventare il quaderno occasione di comunicazione educativacome abbiamo visto per gli schemi, la lezione risulta essere un processo cheintreccia parola parlata e parola scritta e sono proprio questo intreccio e la conver-sazione che ne nasce a facilitare la chiarezza dell’esposizione. A questo scopo, di-versi formatori trovano utile valorizzare il quaderno, alternando momenti di spiega-zione a consegne di scrittura individuale. nel racconto che segue, il ricorso al qua-derno consente di valorizzare la “relazionalità del fare”:la prima pratica è l’utilizzo del quaderno, che sembra una banalità ma, insomma, unmucchio di ragazzi che vengono da noi non sono abituati [...] al quaderno [...](intMe1/182). il quaderno è un mezzo di comunicazione; [...] ci sono ragazzi che ven- 70 gono dalle medie e mi dicono: “Professore, posso mostrarle il quaderno delle medie,perché la professoressa che avevamo non me lo ha mai guardato!”. che finalità ha il qua-derno in quel caso? Sì, c’è un apprendimento, uno deve scrivere – intanto, quando si usail “deve” così, ho sempre qualche dubbio (ride) –, ma io credo nella relazionalità delfare, perché, se c’è un fare fine a se stesso, le cose non funzionano. Anche in laboratorioi ragazzi hanno bisogno di andare dal professore e mostrare il loro pezzo e sentirsi dire:“bene!”; meglio “bene!” che “bravo!”, perché [...] (intMe1/186) “bene”, effettivamente,significa: “Hai lavorato secondo certi criteri. Magari non sono i miei, magari possono es-sere migliorabili, però hai lavorato spendendoti, impegnandoti”. questo serve molto,perché effettivamente ci si rende conto che il fare è anche un relazionarsi, non è un fareper se stessi, mette in comunicazione, mette in relazione; sul fare si può discutere(intMe1/192). […] quando fanno il lavoro chiamiamolo “per casa” o comunque perso-nale, a seconda della cura che ci mettono, di come lo svolgono, del fatto se tengano pre-sente o meno quello che ho detto, io capisco diverse cose; qualcuno fa dei disegnetti(intMe1/236): è una comunicazione loro nei miei confronti, che trasmette tutto un mondoche hanno messo in gioco facendo quel lavoro, più o meno curato; certe volte si trattaanche solo di richieste di attenzione perché qualcuno, forse più di qualcuno, non mi fa icompiti [...]. c’è anche una ragazza che arrossiva spesso; quando mi avvicinavo, si allon-tanava subito [...] (intMe1/240); [...] mi sono accorto [...] (intMe1/246) che c’è un pro-blema relazionale, perché quando deve mettersi in gioco lei, in questa fase, ha delle diffi-coltà, e certe volte lancia anche delle richieste d’aiuto; pur essendo diligente, a volte nonsvolge completamente i compiti, salta delle domande; all’inizio lo prendevo come un af-fronto personale alla materia, poi mi sono reso conto che poteva essere una richiesta, unmessaggio (intMe1/248). la comunicazione attraverso il quaderno diventa come la co-municazione che si realizza con il pezzo del laboratorio, nel senso che tu hai un tuo qua-derno; ci sono ragazzi che a fine anno ce l’hanno senza copertina; proprio lo hanno di-strutto, e dico: “attenzione, guardate...”; non è che do il voto sui quaderni, però […] sivede molto dei ragazzi anche da come tengono il quaderno (intMe1/256). qualcuno, adesempio, ci tiene molto al proprio quaderno (intMe1/256); all’inizio magari non ci te-neva niente, poi naturalmente il quaderno diventa qualcosa su cui hai lavorato, su cui haispeso tempo (intMe1/258). Secondo me, c’è un cambio di prospettiva (intMe1/260), nelsenso che, all’inizio, (il quaderno) è qualcosa di “altro”, alla fine è qualcosa di “mio”(intMe1/262). E, secondo me, è quello che ti dà anche la cartina di tornasole se hai giàcominciato a fare breccia, perché la materia deve diventare “propria”. Se io entro inclasse e non sento l’ambiente mio, la materia mia, tutto resta estraneo; il professore puòanche spiegare, fare i salti mortali (intMe1/264), ma tutto resta lì resta immobile [...](intMe1/266)D. (intMe1) sottolinea l’importanza che il quaderno offra frequenti occasionidi comunicazione. limitarsi ad assegnare consegne di scrittura, senza poi guardarei lavori dei ragazzi, avrebbe poco senso. il nostro docente stabilisce una relazionetra il modo in cui un ragazzo sente l’esigenza di mostrare al formatore il pezzo rea-lizzato in laboratorio e il modo in cui può avvertire l’esigenza di mostrare al do-cente di italiano il suo lavoro o il suo quaderno. È importante che il quaderno mettain comunicazione. E perché questo accada, il nostro docente indica delle specifichemosse: cogliere e valorizzare tutte le occasioni in cui sono i ragazzi stessi a chie-dere di mostrare il proprio quaderno; valorizzare in modo efficace il lavoro dell’al-lievo (meglio un “bene” che si riferisca al lavoro effettivamente svolto, che un ge-nerico “bravo”); cogliere i messaggi e le richieste d’aiuto contenute nel modo di te- 71 nere il quaderno, di fare o non fare gli esercizi assegnati. È attraverso questo pa-ziente lavoro che si aiutano gli allievi ad uscire dall’idea che ciò che si fa a scuolasia fine a se stesso e ad avvicinarsi all’idea che ciò che si fa vada discusso con altrie apra spazi di comunicazione. Allora non c’è da stupirsi che gradualmente il qua-derno si trasformi per gli allievi da oggetto estraneo in qualcosa di “proprio”, che lirappresenta e che sentono il desiderio – e forse anche la fierezza – di mostrare adaltri. Anche altri formatori, sia di italiano che di altri ambiti disciplinari, sottoli-neano l’importanza di far tenere il quaderno in modo tale che esso diventi quasi uncompendio personale e personalizzabile:ci tengo anche che ognuno abbia il suo quaderno di lingua italiana, diviso per settori –lettura, scrittura, comunicazione, grammatica –; parto dall’esempio concreto, [...] dallafrase, arrivo poi a dare la definizione e ci tengo che le abbiano sul quaderno, perché cosìloro si creano la loro piccola grammatica (intPd3/88);chiedo un minimo di elaborazione a casa [...] non so, per esempio, sotto forma di rias-sunto o di commento personale, da fare sul quaderno, cercando così anche di far interio-rizzare, di far dire loro quello che stiamo facendo in aula... (intVr4/4);[…] se si tratta di una lezione di inglese, il materiale lo porto io; se si tratta dell’area sto-rico-sociale, scriviamo qualche appunto e io porto qualche foto da incollare, perché sipossano muovere. chiedo di fare delle cose – ripeto, “chiedo”, perché […] ho imparato acancellare l’imperativo dalle comunicazioni e, a forza di esercitarmi, ci sono riuscito etrovo che questa cosa abbia degli esiti veramente positivi ed evidenti –: “Vi chiederei,gentilmente…”. cerco di dare, quando ci riesco, un tono di gioia, di divertimento aquello che facciamo. […] chiedo di recuperare le due o tre righe di quello che avevamoscritto la volta precedente, […] chiedo a qualcuno – qualcuno volenteroso c’è sempre –di rileggerle […]; poi […] chiedo con un po’ di fermezza che ci sia almeno un periodotra i quindici e i venti minuti di dettatura di appunti, per il semplice fatto che […] ciò chescrivi ti rimane molto più impresso di quello che senti solo dire. Durante la dettatura diquesti appunti, cerco di favorire il sorgere di domande e, se qualcuno fa dei collegamenti,mi fa delle domande e noi le scriviamo. Magari chiedo di sottolineare, di evidenziare al-cuni concetti particolari (FGita4/20).n. (intPd3) cura la stesura, da parte degli allievi, di un quaderno su cui ripor-tare quello che si fa a scuola fino a farlo diventare una sorta di libro di testo perso-nalizzato. c. (intVr4) invita i suoi allievi a scrivere sul proprio quaderno una riela-borazione personale di quanto svolto in aula. F. (FGita4/20), che insegna in Pie-monte, descrive un modo di svolgere la lezione che fa ampio ricorso al quaderno:quasi come nelle lezioni medioevali, il nostro formatore è solito dettare degli ap-punti, per qualche minuto. Sa che la scrittura, meglio del solo ascolto, aiuta la com-prensione (l’imprimersi delle idee nella mente). Ma la scrittura di appunti, su detta-tura dell’insegnante, si inserisce all’interno di un processo più complesso: offrel’opportunità di ritornare su quello che si è fatto in precedenza e di richiamarlo allamente; genera domande e collegamenti, che spesso il docente invita a riportare sulquaderno (in questo modo, il testo che i ragazzi ritrovano sul proprio quaderno nonè più solo il dettato dell’insegnante, ma il frutto della discussione avvenuta in aula);consente di evidenziare visivamente alcuni concetti; può essere accompagnata – 72 come il nostro docente ricorda all’inizio del brano riportato – da altre attività (nelcaso descritto, l’associazione di immagini al testo).2.3.4. Richiamare spesso il punto di arrivocome in avvio di lezione, è utile prefigurare la direzione del percorso, così, du-rante lo svolgimento di una unità di lavoro, è utile richiamare spesso il punto di arri-vo. È ciò che, ad esempio, MG. (intPd2) racconta di fare nel brano sotto riportato:non esaurisco quasi mai un’attività in un’ora sola; se posso, chiedo delle ore attaccate,contrariamente a tantissimi che non vogliono ore della stessa materia attaccate. io invecea volte le chiedo proprio; non più di due, perché tre sarebbero eccessive; in due ore ri-esco a completare un’attività. quando presento un’Uda, dico: “Ragazzi, da qui alle pros-sime quattro, sei ore – a seconda di quello che ho preventivato; poi, in realtà, sforiamosempre un po’ – intendo fare questo, questo e questo. che so, dovete arrivare alla finedella quarta ora di questa attività, presentandomi questa tabella completata”. Poi [...] ogniora nuova, richiamo sempre l’obiettivo finale: “Allora, a che punto siamo?”. Fin quandoloro lavorano, giro sempre tra i banchi, li monitoro, li sostengo, dico: “Bene, ma ora vaiavanti!”, “Guarda che questa cosa non va bene, procedi in questo modo!”, non sono maiseduta in cattedra, perché altrimenti perdo la classe completamente. Giro in mezzo aloro, vedo se stanno lavorando, come stanno lavorando e, di volta in volta, ritaro l’obiet-tivo e comunque richiamo sempre il punto d’arrivo e dico: “Dai, ragazzi, forza, sapete ache punto siamo e dove dobbiamo arrivare” (intPd2/216).Una prima notazione può essere fatta sull’organizzazione del tempo. Un’unitàdidattica o unità di apprendimento13 è articolata in più unità di lavoro (le unità ditempo che costituiscono la singola lezione), che sono pensate in modo flessibile(“sforo sempre un po’ rispetto a ciò che ho programmato”). Poter svolgere lezionidi due ore consente a MG. (intPd2) di inserire nella sua didattica elementi di atti-vità. con una sola ora a disposizione, sarebbe infatti piuttosto difficile impostare eportare a termine un’attività e alto il rischio, da parte del docente, di limitarsi aduna presentazione frontale dei temi. l’obiettivo del percorso viene presentato daMG., già in fase di avvio, in termini operativi (“ciò che faremo”) e legato alla rea-lizzazione di un prodotto tangibile (nell’esempio, la tabella da completare). Unavolta impostata l’attività, la docente gira tra i banchi, monitora, offre suggerimentie indicazioni. A lavorare sono gli allievi. Richiamare frequentemente il punto di ar-rivo serve a mantenere una certa tensione e dà direzionalità al lavoro.2.3.5. Far apprendere attraverso l’insegnamentoUn’altra strategia a cui ricorrono molti formatori, soprattutto per far superarela difficoltà degli allievi ad esprimersi in pubblico e abituarli ad esporre in modoappropriato, è accompagnarli a fare loro stessi la presentazione di un argomento, 13 l’una e l’altra espressione indicano un’articolazione del percorso didattico o del curricolo edunque del processo di insegnamento-apprendimento. l’espressione “unità didattica” sottolinea mag-giormente il versante dell’“insegnamento”, mentre l’espressione “unità di apprendimento” (Uda) sot-tolinea il versante del soggetto che apprende, ma in fondo stiamo parlando della stessa cosa. 73 individualmente o a piccoli gruppi, davanti al resto della classe. il docente coor-dina, qualche volta interviene con opportune precisazioni, ma sono gli allievi che,in questo caso, “fanno” la lezione:in italiano, in prima, stanno facendo l’unità d’apprendimento (Uda) (intMi1/54) sulla co-municazione orale. Ho detto loro: “Per venerdì prossimo, cinque di voi, a scelta, si pre-parano per parlare alla classe per cinque minuti su un argomento”. Metà della classe miha risposto: “io non ci riesco!”, perché, appunto, per loro è una delle cose più difficili;loro si aspettano che, dopo che hanno parlato, tu gli dica: “Adesso, che cosa succede?” oche tu li bombardi di domande; invece, l’idea è che loro devono stare lì, davanti allaclasse, e parlare per cinque minuti, senza dire: “cioè, no, ce l’ho in mente, ma adesso...,ce l’ho qui...”. la presentazione è una delle cose più difficili […]; è un modo di farescuola che costa molto di più, però è un modo che rende anche a loro più vicino il dis-corso della scuola, perché li coinvolge di più [...] (intMi1/56); [...] sulla comunicazioneorale (intMi1/72) sono molto coinvolti, perché vengono stimolati a parlare su un argo-mento a scelta [...] (intMi1/74);i ragazzi devono presentare una relazione e anche la scaletta, l’indice, il sommario delloro lavoro: “io sono Tizio o caio, ho scelto... o il professore mi ha dato..., abbiamo con-cordato questo argomento, vi parlerò di 1..., 2..., 3..., 4... e 5...” (FGita2/289). questo lofanno davanti a me e alla classe; hanno addirittura un tempo preciso a disposizione, unmassimo di cinque, sette minuti, a seconda dell’argomento; la cosa bella è che, quandofiniscono la relazione, sia io, sia la classe possiamo fare domande. ci ho messo un po’ ditempo a far capire che era possibile farlo, perché a loro scatta po’ il meccanismo della so-lidarietà, quindi: “Se ti faccio la domanda, poi ti metto in difficoltà, se te faccio a bastar-data, poi, magari, tu lo fai a me” […] (FGita2/291);di metodologie in classe ne ho usate diverse […]; spesso vado anche secondo l’input chemi danno loro in quel momento. Una di queste, ad esempio, è far creare la lezione a loro.Siamo in classe, c’è la costituzione come argomento; qualche allievo si propone di stu-diarlo a casa; ovviamente prima ha assistito anche alla mia spiegazione, ha visto come hointrodotto l’argomento; poi la preparano loro per i loro compagni. [...] quando si sentonoprotagonisti, come nel creare una lezione e nel vedere come magari i compagni faccianodelle domande sulla costituzione [...], si sentono anche più interessati e [...] si coinvol-gono (FGita1/61); [...] il ragazzo si offre [...] (FGita1/66) rispondendo un po’ [...] ai mieiinput, però alla fine sceglie lui l’argomento. noi abbiamo una dispensa e io indico dellepagine, [...] dico come orientarsi sull’argomento, sui fondamenti del Diritto; loro fannoqueste ricerche, questo studio a casa, e poi vengono alla cattedra, alla lavagna. General-mente, quando spiego io, per far focalizzare i concetti [...], faccio molti schemi, che loropoi devono riportare sul quaderno; una volta che ho fatto lo schema, faccio ripetere loroquello che è scritto nello schema; lo schema non basta, se tu non hai capito il collega-mento. loro acquisiscono la stessa metodologia, cioè, studiano a casa con la dispensa[…], si fanno lo schemino sul quaderno [...] e poi, quando vengono in classe, prendonolo schema e spiegano i vari passaggi ai compagni; […] imitano un po’ la mia spiega-zione, perché hanno quello come parametro, non perché sia il modo migliore, [...] e sirendono anche conto delle difficoltà che il lavoro di insegnante comporta. Tutto questo èutile perché [...] uno studia e perché questo metodo stimola la curiosità del compagno,che dice: “Adesso, vediamo come spiega”. Però devi [...] creare una certa tranquillità inclasse; questo comunque crea [...] un arricchimento che non è da poco. il ragazzo, [...] inquel momento, si trova a svolgere il ruolo di “piccolo professore”; [...] in quel momento[...] si sentono importanti. Forse è questa la linea guida: [...] far sentire il ragazzo impor- 74 tante, [...] protagonista della situazione (FGita1/69). [...] naturalmente poi io faccio delle(FGita1/71) integrazioni o delle correzioni, nel caso che ci siano delle cose che nonvanno, però lo faccio in sordina: magari mi avvicino alla lavagna e dico: “Guarda, questocorreggilo così”; anche se l’allievo fa degli errori grammaticali, non correggo a voce alta(FGita1/73); [...] un’altra cosa che faccio proprio fisicamente è che mi sposto, cioè nonsto più alla cattedra, ma mi siedo al banco, come gli allievi; è una forma per dire: “Siamoalla pari” [...] (FGita1/75); [...] mi siedo io al banco con loro; questo loro lo vedonostrano: “Ma che fa, prof?”, oppure: “Ehi, prof, si siede vicino a me?”; hanno un attimo disorpresa (FGita1/77); [...]; per me, quella vale come interrogazione (FGita1/83); [...] eanche i ragazzi che sono seduti al banco [...] danno la loro valutazione su come il com-pagno ha relazionato (FGita1/85).il coinvolgimento attivo degli allievi in un processo di learning by teachingsollecita il loro protagonismo, stimola motivazione e curiosità. È ciò che speri-menta A. (intMi1) che, in italiano, organizza brevi presentazioni che i ragazzi sonosollecitati a preparare su un argomento a scelta, vincendo il timore di inciampare,nell’esporsi in pubblico, e la paura di non farcela. R. (FGita2/289-291) suggeriscedi far esplicitare anche la scaletta dell’esposizione, per rendere più chiara la strut-tura argomentativa del testo, e di valorizzare le domande che i compagni possonoporre sulla relazione. A. (FGita1/61-85), che insegna Diritto nel cFP di Perugia, sache i suoi allievi imparano facendo. offrendo loro la possibilità di vestire i pannidel “piccolo professore”, li mette nella condizione di scegliere l’argomento da ap-profondire, fare delle ricerche, costruirsi uno schema, organizzare una presenta-zione ben argomentata ai compagni, rispondere alle loro domande ecc. nel suo rac-conto, notiamo anche la cura del setting che è necessaria per un lavoro di questogenere: l’incoraggiamento a cogliere l’opportunità, il supporto offerto in fase dipreparazione, l’attenzione a creare un’atmosfera tranquilla, l’intervento delicato perintrodurre eventuali integrazioni o correzioni alla presentazione dell’allievo14, l’ap-proccio valorizzante, il coinvolgimento di tutti nella riflessione sulla prestazionedel compagno. 2.4. Rendere vitali i contenutiPerché i contenuti culturali che i formatori offrono possano essere percepitidagli allievi come vitali e in grado di accendere un lampo nei loro occhi, è neces-sario innanzitutto che essi siano resi vivi nella mente dei formatori stessi e dunquein qualche modo riscoperti e ricreati sempre nuovamente, nel momento stesso incui vengono insegnati. inoltre, a rendere vitali i contenuti culturali è anche l’in-contro con gli “orizzonti di attesa dei destinatari” (Armellini, 2008, p. 33). Gli al-lievi, infatti, non sono recipienti vuoti, da riempire, sono soggetti imbevuti di una 14 È utile sottolineare questo modo delicato di intervenire, che la docente definisce “in sordina” eche la porta a rinunciare ad interrompere la presentazione dell’allievo per segnalare ogni minimo er-rore o ad incalzarlo ad ogni incertezza, col rischio di inibirlo e di bloccarlo definitivamente. 75 loro cultura – «…un sistema di modelli e metafore che costituiscono un orizzonted’attesa attraverso il quale vengono filtrate le esperienze immaginate e vissute»(ibid., pp. 33-34) – che spesso coincide solo in parte con quella dei docenti. l’oriz-zonte culturale dei ragazzi del cFP è in buona misura quello dei loro coetanei, ca-ratterizzato da una particolare familiarità con strumenti ed ambienti digitali e multi-mediali, da specifici consumi estetici extrascolastici e da modalità di funziona-mento cognitivo basate più sulla visione e sull’ascolto che sulla lettura e la rifles-sione (cfr. Simone, 2000). oltre a ciò, l’orizzonte culturale dei ragazzi del cFP ècaratterizzato da una spiccata sensibilità pratica, che fa loro preferire morse, at-trezzi e impianti a libri, pensieri e parole. ora, i formatori che operano nell’area deilinguaggi si trovano ad essere legati anche ad altri orizzonti culturali: sono in parti-colare sensibili al fascino che le opere letterarie del passato esercitano su di loro espesso, a contatto con la cultura dei loro allievi, si sentono come “immigrati” che,per quanto si sforzino di articolare una lingua che non è la loro, faticano a liberarsida un certo impaccio e dal loro inconfondibile accento (Prensky, 2001). la possibi-lità che le loro parole si accendano e che il contatto con i contenuti rappresentiqualcosa di vitale anche per gli allievi è legata alla capacità dei docenti di gettaredei ponti con l’immaginario dei ragazzi che popolano i cFP e di alimentare la con-sapevolezza che «…da un lato gli studenti devono essere messi in grado di acco-starsi agli orizzonti culturali delle opere, riconoscendone la distanza e l’alterità;dall’altro le opere, a contatto con questo pubblico nuovo e per molti versi “illete-rato”, possono caricarsi di significati inattesi, non registrati dalla storiografia lette-raria e dalle antologie della critica» (Armellini, 2008, p. 35). insegnare al cFP, al-lora, per molti formatori rappresenta una sorta di conversione culturale, che apre anuove ed inaspettate scoperte.2.4.1. Insegnare Dante ai meccanicinon è detto che al cFP debbano trovare posto solo conoscenze immediata-mente utilizzabili e spendibili nel mondo del lavoro. l’esperienza dei nostri forma-tori suggerisce a più riprese che, nei percorsi formativi, possono trovare spazioanche Dante e gli altri grandi autori della nostra tradizione letteraria. la questionenon è scegliere se trattare o meno le grandi opere del passato, ma come farlo e so-prattutto come mettere i soggetti nella condizione di trovare senso in ciò che fanno.D. (intMe1), ad esempio, sa che, per insegnare letteratura, il docente deve mettersipienamente in gioco e far trapelare la sua personale esperienza di lettura dei testiche insegna. È necessario che lo faccia, se si vuole che anche i ragazzi arrivino aduna lettura personale di quei testi:una battuta che mi hanno fatto su Dante […] è che “…questo argomento fa molto su-dare!” (ride) (intMe1/388). Per esempio, [...] una volta stavamo spiegando il limbo [...] equalcuno mi ha chiesto: “Ma il limbo, professore, [...] è un ballo?”. Allora ho spiegato illimbo e il limbo dantesco è rimasto inchiodato nella loro testa. [...] Mi rendo conto che ilprimo strumento è il docente (intMe1/392). nel senso che c’è un passaggio di questa di-sciplina attraverso il docente che credo sia inevitabile e il docente dev’essere consape- 76 vole di questo [...]. io sono laureato in filologia dantesca (intMe1/394), è una mia pas-sione, ma tu vai ad insegnare Dante ai meccanici [...]; quando spieghi “nel mezzo delcammin di nostra vita”, devi fare un salto particolare, magari qualche capriola, però devifare lo sforzo di renderlo qualcosa di vitale anche per loro; questo, secondo me, è l’a-spetto essenziale. Vitali possono essere i modi, vitale può voler dire far parlare un testovisualizzandolo, legandolo [...] all’esperienza (intMe1/396): “Perché Dante comincia conuna selva oscura? Vi siete mai trovati in un bosco, persi, senza bussola? che impressionevi ha fatto?”, cioè (intMe1/398) [...] loro magari, filologicamente, non sapranno dirmiche “nel mezzo del cammin di nostra vita” è un endecasillabo, che ha un tipo particolaredi accentazione, perché (questi elementi) sono un passo successivo; io non parto daquello – è qui forse il trucco – non creo l’ostacolo; cerco di creare un rapporto, direi, em-patico tra Dante e loro (intMe1/400). credo che sia un trucco, ma credo anche che uno,come docente, possa imparare questo trucco (intMe1/402). c’è qualcuno che dice che,per capire Dante, bisogna partire dalla metrica; se uno non sa la metrica, non può leggereDante; contesto vivamente questo assunto (intMe1/404). Ho visto ragazzi che erano se-gnati alle medie come “quelli che potevano fare solo il meccanico” e che oggi stanno fa-cendo ingegneria meccanica, sono all’università; vorrei farli ritornare alle medie...(intMe1/408).il primo strumento che il docente ha tra le mani è la sua stessa persona e deci-sivo è il rapporto che egli sa creare con ciò che propone e con i soggetti ai quali lopropone. questo comporta anche la capacità di rinunciare a letture magari formal-mente o filologicamente corrette, che potrebbero però risultare astratte e mute per isoggetti ai quali ci si rivolge. Si tratta di articolare una lettura del testo che possaessere parlante, perché viva nella modalità espressiva e agganciata all’esperienza eall’orizzonte culturale dei destinatari. in un recente pamphlet di Davide Rondoni,dedicato all’insegnamento della letteratura, troviamo quasi un’eco alle parole delnostro formatore riportate sopra: «il professorale pascersi del contesto...» – e dellametrica, potremmo aggiungere noi – «…permette di fondare (a basso costo) la pro-pria autorevolezza su una serie di nozioni che si detengono invece che sulla vitalitàe profondità di lettura e di confronto con la provocazione di una poesia o di un ro-manzo» (Rondoni, 2010, p. 33). il “trucco” che sia D. (intMe1) sia Rondoni sugge-riscono è quello di facilitare la creazione di un rapporto empatico tra gli allievi e iltesto, attraverso una lettura esistenziale (“Perché Dante comincia con una selvaoscura? Vi siete mai trovati in un bosco, persi, senza bussola? che impressione viha fatto?”), che porti a chiedersi non solo “che significato aveva quel verso perDante?”, ma anche e soprattutto: “che significato ha quel verso per me, per noi?”15. 15 Troviamo un esempio di lettura esistenziale della commedia dantesca anche in La Città deiRagazzi, libro in cui Eraldo Affinati descrive la sua esperienza di docente nell’istituto professionaleinserito all’interno della famosa opera che, alle porte di Roma, ospita prevalentemente minori non ac-compagnati. A Shafa e Stefan, due dei giovani abitanti della città dei Ragazzi, passeggiando tra le viedell’opera, succede di evocare quasi per gioco la Divina commedia: «il viale d’asfalto che accom-pagna il viaggiatore verso il cuore della città dei Ragazzi, punteggiato da alberi e piante, simile a unagalleria verde, fece presto a diventare, nella fantasia di Shafa, costretto nel limbo essendo lui musul-mano, quindi senza battesimo, la selva oscura, simbolo arcano di chissà che errori e traviamenti forselegati al suo passato di giovane combattente al confine eritreo» (Affinati, p. 75). Un cane un po’ mal- 77 Dalle parole di D., capiamo che, in questo modo, per diversi dei suoi allievi, il cFPè o è stato un luogo in cui l’incontro vitale con certi contenuti, che in altre espe-rienze scolastiche era miseramente fallito, diventa finalmente possibile.2.4.2. Far cogliere l’utilità del percorsoRendere vitali i contenuti significa spostare l’attenzione dagli oggetti culturalial rapporto che si crea tra questi e i soggetti in apprendimento. in un certo senso, sitratta di far cogliere l’“utilità” dei percorsi, senza per questo ridurre tutto a qual-cosa di strumentale, ma collocando i testi all’interno di contesti in grado dare lorosenso:una delle critiche che i ragazzi mi muovono più spesso è proprio questa: “questo a che ciserve? A cosa serve quello che stiamo facendo?”. quindi noi insegnanti dobbiamo impa-rare [...] a rendere “utile”, diciamo così, [...] a cercare un’utilità anche per la loro vita diquello che stiamo facendo. non possiamo cavarcela con un generico: “È cultura!” [...],specialmente con i ragazzi del cFP, che sono ragazzi che hanno una mentalità pratica,[...] ragazzi che pensano già al lavoro. insomma [...], con questi ragazzi bisogna essereassolutamente pratici, pragmatici, essenziali, senza divagare troppo e inutilmente(intVr4/4).nelle parole del nostro formatore risuona quanto Marco lodoli osserva in unrecente testo dedicato alla sua esperienza di insegnante di italiano in percorsi scola-stici professionalizzanti: «oggi i ragazzi hanno bisogno di riportare ogni vaga elu-cubrazione sulla terra, debbono per forza trovare la traduzione concreta. chi sicompiace di fumisterie e bizantinismi è perduto, chi crede di ipnotizzare i serpentisolo con il piffero delle frasi verrà inesorabilmente morso. i ragazzi non hannotempo da sprecare, non si fanno incantare dalle parole vuote. A volte questo è un ri-schio, perché non tutto si può convertire in moneta immediatamente spendibilenella realtà, a volte il pensiero fa giri larghi, abbraccia il cielo e le nuvole, rasental’ineffabile e l’invisibile: però è certo che le parole alla fine debbono calarsi nellavita, altrimenti sono solo suoni fastidiosi. i miei allievi hanno qualità che io, spessoebbro di chiacchiere, assolutamente non ho: quelli del Turismo sanno organizzareun torpedone per cinquanta giapponesi che desiderano visitare la città; quelli dellaModa sanno disegnare e confezionare gli abiti più arditi; quelli del Grafico impagi-nano qualsiasi testo, e lo presentano con una copertina che non fa una piega; quelli messo fa pensare alla lupa di cui parla Dante, il campo da calcio, sprofondato nel fango per le recentipiogge, diventa l’Acheronte, uno degli educatori caronte, il vecchio nocchiero, ed è una mucca che,come Minosse, attorcigliando la coda attorno al corpo, indica i cerchi che i “dannati” devono scen-dere. «Risero e scherzarono, Shafa e Stefan, fingendo che la città dei Ragazzi potesse essere divisaper gironi e bolge; in realtà sapevano bene di averlo piuttosto scampato, l’inferno, nel momento in cuigiunsero qui, avendo ognuno di loro avventure assai poco edificanti alle spalle […]. Mai il grandepoema dantesco, emerso simile a uno spezzone di roccia tra i flutti nell’improvvisato eloquio di dueorfani del mondo, mi parve tanto solenne quanto alla città dei Ragazzi, dove le acque bollenti del Fle-getonte, presenti in ogni parte del pianeta, provvedono a consegnare sulle nostre rive gli scampati...»(ibid., pp. 76-77; cfr. anche Tacconi, 2008c). 78 del chimico sanno costruire con i pezzi di una vecchia lavatrice un depuratore per-fettamente funzionante. E quasi tutti sono in grado di riparare il motorino o il com-puter, da quando hanno dieci anni sanno prepararsi una cena, e in città non si per-dono mai, neanche nei quartieri più sconosciuti. la vita per loro è un sudicio mar-chingegno fatto di rotelle, fili, ganci, incroci, un motore oleoso che bisogna sapersmontare e rimontare. ogni discorso deve essere un’istruzione per l’uso, anche itemi più vaporosi alla fine debbono produrre uno schema di funzionamento [...]. Èuna porta stretta dalla quale restano fuori le obesità mentali, i cincischiamenti ideo-logici, l’affettazione di chi perde troppo tempo a pulirsi scarpe e pensieri sullo zer-bino» (lodoli 2009, pp. 64-65). È un invito a mettere in discussione l’enfasi chespesso, nella nostra tradizione scolastica, è stata posta sul sapere nobile, sublime-mente “inutile” e disinteressato o meglio “nobile” proprio perché “disinteressato” enon orientato ad alcuna utilità; questo tipo di sapere, infatti, è pericolosamente a ri-schio di essere percepito come “distaccato” dalla vita e dal senso e dunque difficileda amare16.2.4.3. Utilizzare un registro narrativo nelle spiegazioniAlcuni formatori sottolineano la centralità della narrazione nei processi di co-struzione della conoscenza. Attraverso il ricorso ad un registro narrativo, il docenteriesce ad affascinare e a rendere vivi i testi:questa mattina [...] ho fatto un altro lavoretto: ho raccontato, invece che leggere, LaGiara […]. È stato molto efficace (intMi1/74);[…] ho colto un interesse fortissimo per la storia contemporanea, se questa viene raccon-tata […] in maniera da suscitare emozioni […]. credo che ci sarebbero da rivedere al-cune cose; il programma mi sembra molto sbilanciato sulla legislazione del lavoro […];c’è appunto un approccio iperfunzionalista o utilitaristico […]. io ho trovato ragazzi chevolevano capire meglio i totalitarismi, le varie guerre, le tensioni internazionali, maanche capire l’evoluzione storica del lavoro o delle invenzioni scientifiche […]! con i re-cuperi e gli approfondimenti che sono previsti ho cercato di affrontare questi temi; mipiacerebbe ritrovare questi elementi nel programma (FGita4/24).A. (intMi1), ad esempio, prova a raccontare, anziché far semplicemente leg-gere la commedia di Pirandello. F. (FGita4/24), formatore in Piemonte, rileva comeun approccio narrativo sia davvero essenziale nell’insegnamento della Storia. lastoria – non solo quella arcaica, ma anche quella contemporanea; non solo quellagenerale, relativa ai grandi eventi, ma anche quella specifica, relativa a singoliaspetti (ad esempio, la storia delle scienze e delle tecnologie o del lavoro) – è intes-suta di narrazioni. Raccontandola è possibile ottenere un coinvolgimento emotivo 16 Mi sembra che, in chi fa l’apologia del sapere “inutile” e “disinteressato” agiscano almeno duepregiudizi: una concezione riduttiva dell’“utilità” di un sapere, come se l’utilità fosse solo la spendibi-lità sul mercato del lavoro e non anche, che ne so, il gusto estetico o l’arricchimento personale che pos-sono legarsi all’acquisizione di un determinato sapere, e una concezione altrettanto riduttiva di lavoro,come se questo fosse il luogo della sola applicabilità, deprivato di qualsiasi valenza culturale e morale. 79 dei soggetti e così guidarli ad una comprensione profonda degli accadimenti, deinessi che li legano tra loro, delle ragioni e degli effetti. Per questo è importante nonfermarsi a quanto il programma “detta” e trovare spazi e modi per “trasgredire”.2.4.4. Evidenziare i collegamentiRendere vitali i contenuti può voler dire anche contestualizzare e curare i col-legamenti tra i vari ambiti disciplinari, in particolare tra lavoro e letteratura o trapassato e presente, come negli esempi che riportiamo qui di seguito:nel terzo anno si sviluppano alcuni argomenti che, a livello contenutistico, sono un po’più impegnativi; per esempio, viene preso in considerazione a livello storico il periodosuccessivo alla seconda guerra mondiale; [...] do un paio di richiami sul quello che cono-scono già, oppure chiedo loro: “che cosa ricordate della terza media?” [...]. Poi, peresempio, [...] i primi due o tre mesi, si procede in parallelo, tra ore di storia e ore di di-ritto. questo, per esempio, viene fatto anche in seconda [...], quando, ad esempio, siunisce la parte che, in diritto, si riferisce alla costituzione, con la storia, con gli ultimianni della seconda guerra mondiale e con il primo dopoguerra (intMi1/102) e si arriva aparlare del boom economico degli anni ‘60-70, facendo notare alcuni aspetti economici ealcune aspetti legati all’emigrazione [...] dal Sud al nord [...]. questo è funzionale a ciòche si fa in terza, quando trattiamo il flusso dell’immigrazione e consente di far vedereanche i collegamenti: prima eravamo noi ad andare fuori, adesso sono altri che vengonoda noi [...]. in terza, viene ripresa questa impostazione e, nella parte storica, per esempio,trattiamo la guerra fredda. Per quanto riguarda italiano, abbiamo letto [...] alcuni capitolidel romanzo di John le carré, La spia che viene dal freddo, unendo alcuni aspetti relativial muro di Berlino, anche attraverso alcuni filmati [...]. Per quanto riguarda italiano, ab-biamo letto alcune parti del romanzo e abbiamo fatto i soliti lavori che si fanno sullacomprensione del testo. [...] contemporaneamente, in diritto, visto che si parlava dellaguerra, abbiamo portato avanti il discorso sull’italia e la guerra, per vedere come il no-stro paese, nonostante l’articolo 11 della costituzione, risulta impegnato in operazionibelliche, perché è collegato con l’onU e con la nATo; si cerca, anche con l’aiuto di fil-mati, di far capir questi aspetti che intersecano un po’ elementi storici ed elementi di di-ritto, dando così qualche conoscenza [...] per capire il presente e come si sia evoluta la si-tuazione. Per esempio, abbiamo fatto vedere anche La battaglia di Algeri, per spiegarefenomeni come il colonialismo e la decolonizzazione, il fatto che alcuni continenti, tipol’Africa, intorno agli anni ‘60, erano ancora una grande colonia, per cercare di capire chequesto fenomeno si collegava, per alcuni versi, anche all’immigrazione: chiaramente al-cune difficoltà di questi Paesi hanno costretto poi molti ad emigrare. Poi questo il dis-corso si intersecava con diritto: abbiamo trattato, per esempio, nella prima parte del-l’anno, la legge sui flussi, la cosiddetta “Bossi-Fini”. Ecco, tutto questo percorso è possi-bile farlo, perché ci sono quattro ore settimanali, due di italiano e due di storia, e riescoabbastanza bene a giocarci dentro [...], perché sono argomenti strettamente collegati [...](intMi1/104). cerco di fare vedere i collegamenti tra i fatti del passato e il tempo pre-sente; [...] due ore, per esempio, le abbiamo dedicate a vedere un filmato che gira anchein internet sulle torri gemelle, L’inganno globale; [...] è un argomento che li ha interes-sati tantissimo; [...] ognuno ha le sue idee, a me non interessa se uno crede, per dire, aquello che dice Bush, non è questo lo scopo; lo scopo è cercare di capire un fenomenoche comunque ha dei lati oscuri e questo filmato, al di là delle conclusioni, che magarifaceva intuire, mi è sembrato interessante, perché assemblava spezzoni di diversi pro-grammi; c’erano anche alcune parti di Rai uno, dove i piloti Alitalia mostravano come, 80 ad esempio, l’attacco al Pentagono abbia diversi punti oscuri e lo spiegavano in formamolto tecnica, cioè non dando interpretazioni, ma facendo vedere come un aereo scende,che cosa fa quando scende, che cosa si è visto, cosa non si è visto. Pur essendo un pro-gramma molto denso, [...] l’hanno visto con molta attenzione [...]. Per quanto riguardaitaliano, oltre al romanzo di John le carrè, abbiamo letto [...] per intero anche Rapida-mente di lucarelli, che è inserito nei medical thriller. Ho scelto quel racconto perché lohanno trasposto in televisione e quindi mi veniva utile far vedere il testo e come è statoreso in televisione, per dare loro un’idea di come sia possibile fare anche un passaggiodall’opera al film e poi perché a me piace lucarelli (intMi1/108);la mia lezione di italiano parte da questo (intMe4/76): divido la lavagna in due parti, dauna parte scrivo “italiano”, da una parte scrivo “storia” (intMe4/80); [...] adesso stiamoleggendo una novella di Verga [...] (intMe4/82); ho scelto “Rosso Malpelo”, perché mipermette di collegarmi con l’ambito storico: il Risorgimento. Approfondisco la biografiadell’autore [...], dando alcune date, che mi permettono un aggancio con il massacro diBronte. Poi passo all’interpretazione letteraria: che cosa è il Verismo, che cosa è il natu-ralismo e che cosa è il Positivismo [...], ma faccio continui richiami al piano storico:nella spiegazione del naturalismo, è giocoforza spiegare la condizione storico-sociale nelmomento in cui nasce il naturalismo, vale a dire la Parigi nel passaggio al 1800. [...]questo ci riallaccia alla rivoluzione industriale, ai ‘moti’, a napoleone iii. Tutto quelloche affronto dal punto di vista letterario ha dei collegamenti ad aspetti che poi si riverbe-rano nella lettura e il fermarsi continuamente su alcuni aspetti fondamentali, vuoi storici,vuoi lessicali o proprio narratologici, è fondamentale [...] (intMe4/88);riesco a fare anche degli agganci interdisciplinari [...]; nelle superiori l’interdisciplinaritàè difficilissima; ognuno ha il suo orticello chiuso e si coltiva quello. Molte volte l’inter-disciplinarità è soltanto a livello di “Tu che cosa fai? Vediamo nel programma un puntoin comune...” [...], cioè non viene stabilita in fase di consiglio di classe, all’inizio del-l’anno; eppure [...] aiuterebbe molto i ragazzi a capire che il sapere non è parcellizzato,non è a compartimenti stagni, come loro credono, perché a volte, non so, tu parli di unacosa, della costituzione, e loro dicono: “Ma questa è Educazione civica”. “no, un mo-mento, c’entra anche la lingua italiana, c’entra anche la storia...” [...]. i ragazzi vedo cherimangono spiazzati, collegano un argomento con una materia, cosa sbagliatissima,perché il sapere è tutto comunicante e, se noi riuscissimo a far vedere [...] questo, il col-legamento diventa un’altra chiave di volta, per fare in modo che i ragazzi si approccinomeglio alle discipline. [...] Per esempio, parlando con una mia collega di disegno grafico– che qui è una materia importante, fondamentale – le dicevo che avevo letto anche al-cuni racconti sui sogni, sui progetti di vita che i ragazzi hanno e la mia collega di disegnoha detto: “lo sai cosa faccio? Faccio loro disegnare i loro sogni” [...]. Ecco, questa cosaè nata così del tutto... (intVr4/28) ...spontanea, senza che fosse stata progettata, però èuna cosa che [...] comporta una competenza di scrittura italiana, perché si tratta di descri-vere il sogno e poi anche di rappresentarlo graficamente (intVr4/30).A. (intMi1) e S. (intMe4) evidenziano, in modo frequente e sistematico, i col-legamenti che esistono tra gli oggetti culturali che vengono affrontati in storia o indiritto e quelli che vengono affrontati in italiano. nel caso di A., c’è anche lo sforzodi collegare alcuni testi letterari alle relative versioni cinematografiche o televisive,per cogliere quello che c’è di simile e di diverso. ciò che conta è che gli allievi im-parino a istituire connessioni, attraverso alcuni degli accostamenti possibili, chel’insegnante propone in base agli specifici soggetti con cui lavora e agli specifici 81 oggetti di apprendimento che sceglie di affrontare. Anche nel racconto di c.(intVr4) si coglie come il nostro docente intravveda le potenzialità dell’interdisci-plinarietà ai fini del superamento delle parcellizzazioni tra ambiti disciplinari e del-l’indebita identificazione di determinati argomenti con determinate discipline. nelracconto che segue, P. (intRoma2) cerca di accostare la poesia alla storia contem-poranea e, in questo modo, sortisce l’effetto di aumentare il coinvolgimento degliallievi e di stimolare la loro produzione scritta:[...] molto positiva è la risposta dei ragazzi quando faccio leggere, commentare e ragio-nare sulla poesia legata agli avvenimenti storici, ad esempio Hiroshima e nagasaki; cisono ad esempio, due poesie, collegate al rapporto tra una madre e il bambino che nonc’è più, che è diventato polvere, e tra un poeta che visita nagasaki e commenta ciò chevede, collegando la poesia alla storia che loro avevano fatto […]; ho visto che i ragazzi laseguono e riescono a partecipare non solo dal punto di vista intellettuale, ma anche daquello sentimentale, perché c’è il rapporto con la madre, c’è che cosa provoca la guerraecc. quindi, pur essendo poesia, pur essendo un linguaggio a cui i ragazzi della forma-zione professionale non sono abituati, è stata un’esperienza positiva (intRoma2/2). [...]Avendo prima svolto le Uda sulla storia, sulla seconda guerra mondiale ecc., [...] ho datoloro le fotocopie di una lunga poesia su Hiroshima e di una su nagasaki; ho recitato lapoesia davanti a loro, [...] sceneggiandola, con una voce collegata al dramma che lapoesia rappresentava, e noto che loro ascoltano con grandissima attenzione e partecipa-zione. il lavoro successivo che loro fanno è trascrivere le emozioni, i sentimenti provati eriassumere le idee fondamentali che la poesia trasmette (intRoma2/4): “che cosa dice lapoesia? quali emozioni e quali considerazioni suscita in noi?”; quindi loro sono costrettia rileggersi la poesia, a farne una specie di riassunto breve e a presentare le proprie con-siderazioni; questo serve e dal punto di vista grammaticale e dal punto di vista della ca-pacità di lettura e di interpretazione [...] (intRoma2/6).l’accostamento al testo, anche grazie all’animazione espressiva da parte del-l’insegnante, diventa fisico, sensibile e si trasforma in esperienza, consente di col-legare poesia e storia, passato e presente, esperienza degli altri e vissuto personale.come vedremo più avanti, sono da evidenziare in particolare i collegamenti tralingua, idee ed esperienze lavorativa. Tra le pieghe del fare – non c’è bisogno diandare altrove – sono infatti contenute e rintracciabili concezioni ed idee filoso-fiche e numerose sono le metafore, i proverbi, le allusioni simboliche che si riferi-scono ad attrezzi e lavori. 2.5. giocarsi diverse carte, variando i metodil’esigenza di variare continuamente l’azione didattica, alternando ritmica-mente momenti di spiegazione frontale a momenti di attività, si pone come inaggi-rabile, se non altro per l’eterogeneità del gruppo classe. l’esperienza ha insegnatoai nostri formatori che la lezione non può essere “solo” lezione e deve trasformarsiin esperienza variegata:si rischia di cadere nella lezione classica, me ne rendo conto, per quanto uno ci metta,come dire, le sue capacità istrioniche [...]; c’è una certa passività, fondamentalmente; poi[...] è molto facile che i ragazzi si stanchino in tempi piuttosto brevi: l’attenzione tende a 82 calare in tempi abbastanza veloci (intVr7/20); [...] quindi, per non bruciarti le possibilità,[...] devi giocarti carte diverse; effettivamente [...] fare lezione frontale è una cosa che,ho visto negli anni, mostra la corda in maniera evidente; insomma bisogna cercare di at-tivarli (intVr7/22);le mie lezioni si svolgono in parte in maniera tradizionale, con una modalità frontale, cheperò non può durare più di venti minuti, perché dopo un po’ si cominciano a vedere le pri-me facce o le prime espressioni di disappunto o qualcuno che pensa ad altre cose, e si ve-de subito. Solo quattro o cinque – su venti – starebbero attenti più a lungo. non è il casodi continuare! Generalmente mi fermo dopo venti minuti di spiegazione, che può essere,non so, spiegare alla lavagna, piuttosto che dettare [...], oppure faccio quattro domande sucose già fatte; poi mi fermo per un piccolo feed-back, cioè chiedo ai ragazzi che cosa è ri-masto a loro di “quello che abbiamo detto o che abbiamo fatto oggi” (intVr4/2);quello che ho scoperto è che, con questi ragazzi – meccanici, motoristi, elettricisti… –,l’importante è far fare delle cose; cioè concretamente loro devono essere attivi […]. nonso perché, ma o faccio qualcosa di concreto, oppure non funziona; nel momento in cui milimito a dire qualcosa di aereo, non ne esco (FGita4/14);faccio fare loro delle cose, cerco di far fare loro le cose in maniera allegra, a volte anchesenza che si accorgano di farle, che le stanno facendo (intPd2/266).non basta variare le modalità comunicative durante l’ora di lezione, magari at-tingendo al repertorio che un insegnante, come un bravo attore, dopo un po’ diesperienza, riesce a maturare. la lezione frontale, sostiene M. (intVr7), per quantoinevitabile, rischia di agire in senso passivizzante, se si trasforma in modalità unicadi intervento. c. (intVr4), guardando le facce dei suoi allievi, si accorge subitoquando è il caso di cambiare attività. S. (FGita4/14) sottolinea che il problema nonè tanto concentrarsi su cosa dire, ma “far fare attività” e magari, come sottolineaMG. (intPd2), far fare “senza che essi si accorgano di fare”. Vediamo nello speci-fico alcune delle strategie sviluppate dai nostri docenti a questo riguardo.2.5.1. Suddividere bene i tempila centratura sul fare richiede una costante attenzione alle reazioni degli al-lievi, un’accorta suddivisione dei tempi e un effettivo utilizzo del tempo per l’ap-prendimento, analogo a quello che gli allievi sperimentano nelle ore di laboratorio:per esempio, il fare è legato anche alla suddivisione dei tempi, che deve essere co-munque chiara nella testa del docente, perché (intMe1/158) il fare è concreto; un docenteche spiega per mezz’ora, trentacinque minuti, e non si accorge dei tempi, non è adattoper questi ragazzi (ride), perché vuol dire che uno non si è accorto che lo seguono in tresu venti; quel docente non è legato al fare [...]. Se vai in laboratorio, loro vanno a tempo:“Ragazzi abbiamo venti minuti per fare questi buchi”; naturalmente tutto questo sembramolto rigido, e di fatto lo è, sotto certi aspetti, però, ripeto, serve: primo, per essere legatial fare e, secondo, per essere concreti e dare loro un’abitudine alla concretezza anche inqueste materie (intMe1/160) [...]. Tutto sommato, poi, questo vivacizza (intMe1/170). Èvero che non puoi obbligarli ad ascoltare e potresti dire: “Va beh, chi mi vuole ascoltare,mi ascolti!”, però [...] (intMe1/170), nella mera comunicazione, in questo modo tu tra-smetti che, anche se non seguono, tutto sommato non importa (intMe1/172); invece [...]io dico sempre: “A me interessano tutti!” (intMe1/174); cerco di trasmettere questo 83 (intMe1/176) e non che quello che va bene mi interessa, mentre quello che va male: “Vabeh, poverino!” (intMe1/178); comunque devono provarci, devono [...] fare del propriomeglio; questo è ciò che passa! (intMe1/182).Utilizzare bene i tempi non vuol dire programmare tutto prima, con rigidità,ma predisporre diversi scenari di azione, che consentano di variare modalità di la-voro anche in corso d’opera, in relazione a ciò che succede in classe. Se nellamente del docente, non è chiara la possibile articolazione della lezione in differentifasi, il rischio di non utilizzare al meglio il tempo a disposizione è davvero elevato.nel racconto di D. (intMe1), si coglie inoltre che anche la suddivisione dei tempiassume una valenza meta-comunicativa. non curarsi dei tempi di attenzione e ras-segnarsi al fatto che un buon numero di allievi smetta di seguire sono azioni checomunicano scarsa attenzione da parte del docente. Suddividere bene i tempi e pre-vedere un’alternanza tra momenti di spiegazione e momenti di coinvolgimento at-tivo sono mosse che comunicano il desiderio del docente che tutti siano coinvolti epossano partecipare effettivamente al percorso di apprendimento.2.5.2. Variare gli approcci e le attività, lasciandosi guidare anche dagli “Uffa, prof…”l’esigenza di diversificare le attività è certamente dettata dalla varietà degliobiettivi da raggiungere, ma anche dalla diversità degli allievi (delle loro intelli-genze e dei loro stili cognitivi), dei gruppi classe e dei momenti del giorno o dellasettimana in cui si svolge la lezione:devo diversificare la metodologia a seconda delle classi, perché i ragazzi sono diversi. Èovvio che l’approccio che ho con i ragazzi di prima è diverso rispetto a quello che ho coni ragazzi di terza, perché i ragazzi di terza hanno imparato a conoscermi, sanno fino a chepunto si può arrivare, quali sono i paletti, mentre con i ragazzini di prima questa cosa èancora difficile [...] (intMe7/11);il livello di rispondenza, in una classe, è maggiore, in un’altra, è minore; c’è il giorno incui non ti riesce proprio un bel niente, perché magari tu pensi di impostare una discus-sione su un argomento e nessuno alza la mano; allora non ti rimane che prendere il branoin mano e leggerlo, perché ti è sfumato il momento; oppure c’è quello che fa casino, cheper un quarto d’ora ti porta fuori la classe, per cui devi mettergli la nota, perdi il filo deldiscorso; ci sono cioè i soliti inghippi che capitano in un cFP. […] Poi, chiaramente sonocosciente che il livello di rispondenza è molto variabile, dipende proprio dalle classi, di-pende dalle giornate, dipende da tanti fattori: la stessa classe ce l’ho la prima e la sestaora e già è una cosa diversa. Per esempio, alle prime due ore, puoi fare dei lavori anchemolto impegnativi, dove la classe lavora veramente bene, dove, anche se li coinvolgi,non fanno gli stupidi; se io tentassi minimamente di fare questo lavoro alla settima ora,dovrei “sparare” loro addosso! Ecco, […] man mano che ci avviciniamo alla sesta, set-tima ora, il picco della loro attenzione si riduce, per cui fai lavori molto scolastici, tipol’analisi del brano, l’esercizio di grammatica, e li fai lavorare, perché chiaramente lorosono stanchi e quello che potevano dare, poco o tanto, lo hanno dato; […] devo fare dellecose molto operative […]. Se in alcune classi posso contare su ore collocate in momentistrategici, i lavori riescono meglio; se, per dire, in quella classe, ho quasi sempre laquinta e la settima ora, prima di tutto io sono già piatto (ridono) e poi anche in loro il li-vello di rispondenza è molto basso. queste variabili per i nostri ragazzi sono [...] vera- 84 mente determinanti: tu puoi fare un’ora benissimo e, nella stessa classe, il giorno dopo,hai la quinta ora ed è uno schifo, vieni fuori che bestemmi in cinese! […]. l’ho messo inconto; non è che mi meravigli di questo (intMi1/148).le diversità individuali, degli anni di corso, delle condizioni e dei contesti incui si svolge una lezione, ma anche la varietà delle situazioni, gli imprevisti, l’at-mosfera che si crea in classe, gli stati emotivi ecc. sono tutti elementi che orientanoad adottare approcci diversificati e flessibili nel processo di insegnamento-appren-dimento. inoltre, i docenti trovano utile variare le attività, per dare maggiore viva-cità alle loro proposte:cerco anche di inserire delle variazioni; mi aiuta il fatto che insegno non solo italiano, maanche storia; poi metto dentro anche narrativa e qualche volta ricorro […] all’ausilio diun film; utilizzo diverse metodologie, tenendo presente che qualcosa posso variare,anche per dare una struttura un po’ diversa, un po’ di vivacità; altrimenti diventa tutto unpo’ pesante (intMe1/56);[...] cerco di alternare [...]; per esempio, [...] su argomenti [...] come il lavoro e l’eco-nomia, utilizzo delle schede; [...] faccio mezz’ora di spiegazione e poi li faccio andaresulle schede, che [...] riportano o l’inizio di una frase che loro devono completare o delledomande che si riferiscono alle trattazioni che trovano sul testo. Sono schede […] per ilripasso; in terza [...], oltre a fare il ripasso, [...] metto anche delle righe, per costringerli ascrivere [...] (intMi1/128); oppure, per vedere se hanno capito, chiedo: [...] “abbiamospiegato questa cosa; allora, rispondi a questa domanda…” [...]; in prima e seconda lofaccio oralmente, mentre in terza inserisco questa parte nella scheda e loro devono pro-prio scrivere; questo li costringe a stare sul testo, sull’argomento, a ragionare un po’; seinterrogo uno oralmente, gli altri vanno per i cavoli loro; così invece devono scriveretutti e comunque serve loro come ripasso [...] (intMi1/130).Un docente che opera in diversi ambiti disciplinari può utilizzare la leva del“cambio di materia”. Talvolta, il passaggio ad altro è sufficiente per riattivareenergie sopite. in ogni caso, si tratta di variare gli approcci e le modalità di lavoro,curando un mix adeguato di modalità “frontali” (la classica spiegazione) e modalitàpiù attive (l’esercitazione, la visione e l’analisi di uno spezzone di film ecc.).Spesso sono proprio gli “Uffa, prof…” o i segnali di stanchezza e di vera e propriainsofferenza da parte degli allievi a suggerire l’opportunità di un cambio di attività.Per questo diventa cruciale la capacità che il docente sviluppa di ascoltare e di de-cifrare tali messaggi:mi lascio abbastanza guidare da loro; questo non significa accondiscendere a tutte le loro“voglie” (intPd2/254). Mi sono fatta guidare tantissimo da loro, da quello che loro mi di-cevano e non mi dicevano, tante volte, anche dai loro sbuffi: “Uffa, prof, dobbiamo scri-vere ancora?” (intPd2/262) o dalla percezione del gradimento dell’attività, perché, se aloro una cosa non piace – e non perché siano dei “mascalzoni”, che non hanno voglia difare niente, ma perché, a volte, una cosa o il modo in cui una cosa viene proposta pos-sono non piacere –, si fa fatica ad andare avanti (intPd2/264);devo alternare (intMe7/305), perché poi ti accorgi che, quando spieghi a lungo, in classe,uno comincia ad abbassarsi, l’altro comincia a chiudere le palpebre; in quei casi, devitrovare qualcosa, magari il gossip, che riesca a farti riprendere in mano la classe; allora, 85 magari ci cacci dentro l’esempio della costruzione delle strade (intMe7/307), per ravvi-vare un po’ l’attenzione; altrimenti perderesti la platea (intMe7/311): [...] un’ora o cin-quanta minuti di spiegazione storica, di date, di cronologie e di eventi, è impensabile coni nostri ragazzi; ma neanche io riuscirei a sopportarla! (intMe7/313).lo sforzo dei nostri docenti è di guidare lasciandosi anche guidare, come fa-rebbe un’esperta guida alpina su un sentiero di montagna. Si tratta di non andare dicorsa, per conto proprio, ma di prestare attenzione a ciò che succede, alle asperitàdel terreno come alla tenuta dei singoli e del gruppo, di assecondare il loro passo,per non perdere nessuno per strada, di scegliere percorsi magari più lunghi maanche più agevoli e, nello stesso tempo, di far intuire il fascino della meta e dei pa-norami che si aprono. Un ulteriore esempio di cosa possa significare seguire la lo-gica della varietà e variabilità delle metodologie e dei dispositivi ci viene offertonel brano seguente da S. (FGita3/70-72), formatrice nel cFP di Mestre:racconto una lezione introduttiva a Boccaccio, in una classe di grafici […]. Sono entratain classe senza dire quale sarebbe stato l’argomento e ho cominciato disegnando tre co-rone di alloro alla lavagna. questo ha attivato subito la loro attenzione, perché, essendografici, si sono lamentati del mio disegno. Allora ho chiamato un ragazzo, che solita-mente è molto distratto in aula, soprattutto nelle mie lezioni, e gli ho chiesto di correg-gere gentilmente quei disegni. intanto, si erano incuriositi e, in qualche modo, si era rottoil ghiaccio e creato un clima di leggera ilarità e di curiosità. Piano, piano, ho cominciatoad introdurre gli argomenti: ho scritto sotto la prima corona “Petrarca”. quasi nessuno loconosceva. “Dante” lo conoscevano già di più, quindi su questo ho potuto attivare alcuneconoscenze pregresse, seppur sporadicamente presenti […]. infine, ho focalizzato l’at-tenzione su “Boccaccio”. Anche qui ho cercato di attivare eventuali conoscenze del pas-sato: molti ricordavano la cosiddetta Novella della gru ed erano contenti di sapere chel’avremmo letta. in seguito, sono passata alla presentazione della biografia di Boccaccio:l’abbiamo letta brevemente dal libro; ho fornito loro alcune indicazioni, spiegando conparole più semplici determinati passaggi e indicando che cosa sottolineare. Poi, anzichéschematizzare alla lavagna, come faccio di solito, ho incaricato loro di lavorare a coppie,con i rispettivi compagni di banco, e di riportare sul quaderno, sotto forma di schema, leprincipali notizie della biografia, aiutandosi appunto con le sottolineature e cercando didare coerenza a quanto scrivevano. nel frattempo, mentre loro lavoravano, io mi aggi-ravo tra i banchi e loro mi facevano domande; comunque, lavoravano tranquillamente,con un certo interesse; naturalmente io non mancavo di pungolare i più pigri. quandotutti ebbero finito, abbiamo fatto una sorta di correzione alla lavagna; sono usciti dei vo-lontari che hanno riportato il loro schema; ne abbiamo discusso e abbiamo fissato alcunipunti. Verso la fine della lezione, ho fatto ripetere a qualcuno alcune cose semplici e mi èsembrato di cogliere che la varietà delle modalità di lavoro […] e il continuo ripetere al-cuni concetti, fossero serviti; nella lezione successiva, ho potuto verificare che […](FGita3/70) avevano effettivamente appreso gli elementi essenziali […]; il mio intentoera anche di ridurre lo studio pomeridiano e di facilitare l’apprendimento durante la le-zione; molti di loro, probabilmente, tra una lezione e quella successiva, nella quale hoproposto la verifica, non hanno aperto i libri. Ho potuto constatare che, nonostantequesto, quasi tutti avevano in testa le cose principali (FGita3/72).S. (FGita3/70-72) inizia la lezione con un’azione insolita (il disegno approssi-mativo di tre corone alla lavagna), che suscita curiosità e interesse, e consente di te- 86 nere sotto controllo, proprio affidandogli un incarico valorizzante, uno dei ragazziche maggiormente hanno la tendenza a distrarsi. create le condizioni emotive peravviare il lavoro, S. attiva in classe una conversazione sui nomi dei tre grandi poetie scrittori italiani che le permette di agganciarsi alle conoscenze pregresse degli al-lievi. Poi presenta la biografia di Boccaccio, facendo riferimento al testo e aiutandoad individuare le parti essenziali del testo. A questo punto, S. propone di elaborarea coppie uno schema della presentazione, fornendo stimoli e supporti e rispon-dendo a domande di chiarimento. infine, propone di socializzare gli schemi alla la-vagna, per poterne costruire uno più ricco e condiviso, e verifica, attraverso alcunedomande di consolidamento, l’avvenuta comprensione da parte degli allievi. Va-riando gli elementi della lezione nel modo descritto (dinamica di avvio e alternanzadi discussione e presentazione), S. si assicura che buona parte dell’apprendimentopossa avvenire già in aula.2.5.3. Inserire degli intermezzi per far “ricaricare le batterie”i docenti intervistati sono consapevoli che il mantenimento dell’attenzione daparte degli allievi ha bisogno di qualche cambio di passo nella conduzione della le-zione. Talvolta basta variare l’attività, altre volte, può essere utile inserire una bat-tuta umoristica o una breve pausa, che consentano di ricaricare le batterie:cerco di intercalare le lezioni con [...] una battuta o magari, se vedo che stanno facendofatica a rimanere concentrati, dico: “Ragazzi, se siete stanchi, facciamo 5 minuti dipausa”; a volte basta la frase per distenderli e per poi riattivare l’attenzione, perché, so-prattutto con questi ragazzi, non è pensabile mantenere la concentrazione ad alti livelliper tutta un’ora di lezione, soprattutto in materie come la lingua italiana, che per alcuniaspetti sono anche molto teoriche; per altri versi, qualcuno può essere annoiato dal fattoche sono cose che ha già sentito [...] (intPd3/154); [...] ecco, ho un occhio che ormai è di-ventato un occhio clinico: se vedo che cominciano a dare segni di cedimento, che guar-dano l’ora e muovono la penna e frugano nello zaino, dico: “Siete stanchi?”. “Sì!”. “Al-lora, nessun problema, facciamo cinque minuti di pausa”. Allora, che ne so, apro le fine-stre, uno va al bagno, passano quei due o tre minuti che a loro veramente, a volte, ba-stano (intPd3/168).non si tratta di perdite di tempo, ma di momenti indispensabili per “riattivarel’attenzione”, che vanno però gestiti con buon senso, lasciandosi guidare dall’“oc-chio clinico”, che permette di cogliere i “segni di cedimento” incombenti.A. (FGita4/7-9), formatrice in Umbria, ricorre ogni tanto alla musica, che uti-lizza come “premio”, dopo un’attività particolarmente impegnativa, o come inter-mezzo o come sottofondo:io uso […] il premio della musica, cioè faccio ascoltare cantautori diversi. […] Se vedoche si impegnano, studiano, hanno voglia di fare lezione, sono particolarmente attivi inquella lezione, come “premio”, metto una canzone. Devo anche dire che far ascoltare del-le canzoni a loro è stato utile per me, perché ho conosciuto meglio il mondo dei ragazzi. ilsegreto è entrare nella loro logica. non è facile […]. Ma capire la loro musica o notare co-me portano il cappellino è importante, perché, ad esempio, dal modo in cui un ragazzoporta il cappellino, capisci se è pop o se fa parte di quelli che ascoltano musica hard o co- 87 se del genere. […] (FGita4/7) […] Se i ragazzi, durante l’attività, hanno lavorato bene, ioa fine lezione lascio cinque minuti e ascoltiamo due o tre canzoni di cantautori diversi;parto dalla Banda Bardot o da altri brani che suggeriscono loro e arrivo a Rino Gaetano, aModugno, ma anche alla musica classica – dipende da come è la classe –; la musica clas-sica li aiuta a concentrarsi. loro lavorano bene anche con la musica; se devono fare degliesercizi e metti una musica calma, si rilassano e lavorano meglio (FGita4/9).l’ascolto di brani musicali può rappresentare un’ulteriore occasione per aprirevie di accesso al mondo degli allievi, alle loro preferenze e al loro modo di pensare,oppure per costruire vie di comunicazione, in cui, a partire da ciò che piace a loro,si può giungere ad allargare i territori musicali esplorabili. la musica poi può ser-vire a creare un’atmosfera che aiuta a lavorare.2.5.4. Rendere piacevole l’attivitàDiversi formatori sottolineano l’importanza che lo stare a scuola si trasformi inun’esperienza piacevole per gli alunni; non perché ritengano che si debbano fare solole cose che procurano piacere, ma perché pensano che il fatto di divertirsi non debbanecessariamente essere messo in contrapposizione con la serietà e la qualità del lavoro.Una lezione può essere insomma al tempo stesso piacevole ed impegnativa:[…] faccio molta fatica a rimanere nei programmi che la regione ci invia […]; provo adelineare dei macro-obiettivi da raggiungere e poi […] cerco di perseguirli […], mesco-lando il tutto in una maniera piuttosto personale. i rimandi che ho dai ragazzi e dalle fa-miglie sono positivi, però c’è sempre il rischio di essere approvato perché si fa, come sidice, il “piacione”. (comunque, sono convinto che), […] se i ragazzi non si divertono,quando sono assieme a noi […], la cosa non funziona (FGita4/10). […] Se c’è una cosache cerco di fare nel mio lavoro è far sì che ai ragazzi piaccia il fatto che io arrivi inclasse con loro; mi sembra che questo succeda abbastanza e trovo che questo aiuti.Esempio concreto: io non ho studiato inglese, lo mastico […], mi esercito […]. noi ab-biamo le acconciatrici. l’anno scorso abbiamo fatto una sfilata finale delle varie accon-ciature, realizzate secondo la provenienza etnica. Ho insistito per avere come colonna so-nora il musical “Mamma mia”. la settimana dopo, quando ho lanciato l’idea di tradurreDancing Queen e le altre canzoni del musical, non riuscivo più ad arginare le ragazze. Sierano divertite in quel giorno in cui c’era stata la sfilata, con quella musica in sottofondo;abbiamo tradotto le canzoni che sono loro piaciute (FGita4/10).Per F. (FGita4/10) è importante che i ragazzi possano anche divertirsi a scuola.questo non significa fare i “piacioni”, piegando tutto il percorso a ciò che piaceloro e limitandosi a questo, ma far partecipare gli alunni al proprio piacere, condi-videre i propri entusiasmi, e per questo assumere un atteggiamento flessibile neiconfronti del programma da svolgere. Un’altra formatrice, che insegna a Ragusa,nei brani che seguono, raccolti in due diverse occasioni, ci racconta di fare frequen-temente ricorso a tecniche ludiche, inventate a partire da giochi tradizionali o pren-dendo spunto da giochi televisivi:cerco di dare le basi [...] della grammatica: soggetto, predicato [...]. inizialmente ho pro-prio spiegato alcuni elementi di grammatica, [...] dopo di che ho messo in atto il sempli-cissimo gioco dello stop, in cui chiedevo loro non nome, cognome, città e via dicendo, 88 ma elementi di grammatica. Allora [...] chiedevo un nome, un verbo, un pronome [...] cheavessero quelle iniziali (FGita2/16); è il classico gioco dello stop: inizia qualcuno, gi-rando le mani e passando a mente l’alfabeto: “a, b, c, d...”; un altro dice: “Stop”; allora,mettiamo che esca la lettera “c”, i ragazzi devono trovarmi un sostantivo, [...] un verbo,un pronome e via dicendo che inizia con la lettera “c”. in questo i ragazzi hanno mostratomolto piacere [...]; si teneva il conteggio dei punti: a chi trovava [...] il nome, il verboecc. più originali, che nessun altro aveva trovato, si dava un punteggio superiore, rispettoa chi trovava qualcosa di comune a quello che trovavano altri; alla fine, vinceva chiaveva un punteggio più alto rispetto agli altri [...] (FGita2/18);ho utilizzato questa dinamica con una classe del primo anno del corso per serramentisti;[…] gli obiettivi che mi prefissavo erano i seguenti: permettere ai ragazzi di formulareuna frase correttamente e potenziare il loro lessico. Ho tratto questo gioco da un pro-gramma televisivo e l’ho utilizzato in classe, con i ragazzi. il formatore scrive parole di-verse, liberamente scelte, su diversi foglietti; sceglie a turno tre ragazzi, che formerannouna piccola squadra; due saranno messi uno di fronte l’altro e il terzo sarà seduto davantiai due, con le spalle rivolte a loro, senza poter guardare in nessun modo i compagni. ilformatore mostrerà il foglio con una parola scritta ai due ragazzi, i quali, a turno, uno pervolta, potranno dire solo una parola; per esempio, il primo dirà un articolo, il secondo unnome legato all’articolo, il primo di nuovo un aggettivo e così via; uno per volta do-vranno formulare una frase di senso compiuto, in modo da permettere al terzo ragazzo dicapire ciò di cui si sta parlando. la frase dovrà essere formulata in modo corretto edavere un senso; il terzo ragazzo dovrà indovinare la parola scritta dal formatore sul foglioe comunicata ai due compagni. in ogni gruppo, […] il terzo ragazzo avrà a disposizionecinque minuti per cercare di indovinare quante più parole possibili. Se, nella struttura-zione della frase, vengono fatti degli errori grammaticali, se, per esempio, l’articolo nonconcorda con il nome o se il nome è al singolare e l’aggettivo al plurale, se viene usatoun verbo in forma sbagliata ecc., la parola verrà annullata e si passerà ad un’altra, per-dendo quindi del tempo prezioso. Vince la squadra che, in cinque minuti, indovinerà piùparole; contemporaneamente, un alunno volontario, al di là dei tre che formano lasquadra, scriverà alla lavagna la frase che, un po’ alla volta, la squadra avrà costruito perdiscutere poi gli errori commessi (FGita3/30). […] È necessaria la collaborazione,perché […] (FGita3/38) praticamente il numero uno dice l’articolo, il numero due dice ilnome, in numero uno deve, rispetto al nome, concordare, ad esempio, un aggettivo o unavverbio o un verbo. quindi la frase, di fatto, è una sorpresa per tutti (FGita3/39).V. (FGita2/16-18; FGita3/30-39) trova utile il ricorso a dispositivi ludici,anche ricavati da programmi televisivi, per esemplificare le parti del discorso o perstimolare la scoperta di parole e giocare a costruire frasi di senso compiuto17. Sonotutte strategie che aiutano a rendere l’imparare piacevole. 2.6. Inserire momenti di lavoro in gruppoUn’altra modalità per variare attività e, nel contempo, per valorizzare la di-mensione essenzialmente sociale dell’apprendimento è la proposta di lavori digruppo e, in particolare, l’esplicito riferimento al metodo dell’apprendimento coo- 17 Sui giochi verbali, è particolarmente ricco di spunti e suggerimenti il seguente testo: zamboni,2007. 89 perativo (cfr. comoglio, 2000), grazie al quale gli allievi possono lavorare su atti-vità di apprendimento in piccoli gruppi, costruendo tra loro un senso di partecipa-zione e di interdipendenze positiva. qui di seguito, oltre alle esperienze esplicita-mente collegate con tale metodo, vedremo in particolare le ricerche di gruppo e ilavori a coppie.2.6.1. Promuovere ricerche di gruppoUn primo esempio di attività che consente di collaborare con altri nel persegui-mento di obiettivi comuni è fornito da E. (intVr6), insegnante di chimica nel cFP diVerona18, che ci racconta un’esperienza di ricerca avviata in classe sull’energia solare:l’anno scorso, ho fatto fare ai ragazzi delle ricerche sulle energie rinnovabili e non rinno-vabili. il nostro settore elettrico ha attivato i panelli fotovoltaici, quindi i ragazzi possonofare il collegamento con il tema del risparmio energetico, delle risorse energetiche rinno-vabili, il solare in particolare, dato che i pannelli sono montati sul tetto del cFP. li hannogià visti e ritorneranno a vederli […] (intVr6/30). Ho fornito i materiali, i testi scritti cheho trovato e anche alcuni riferimenti a siti internet, dove cercare informazioni. Ho costi-tuito dei gruppi di ragazzi e poi ho fornito loro una scaletta con una serie di domande acui rispondere. Andando a cercare sui testi o su internet, dovevano preparare una rela-zione che rispondesse a tali domande (intVr6/40). Ho poi ridotto le risorse online e au-mentato la documentazione cartacea, perché non tutti i ragazzi hanno internet a casa equalcuno aveva difficoltà a cercare risorse in rete. [...] Dividevo il materiale per i gruppidicendo: “non risponderete tutti a tutte le domande; in base al materiale che avete inmano, potrete dividervi il lavoro. Finito il lavoro individuale, vi trovate insieme ed ela-borate una ricerca unica, valutando e mettendo insieme le risposte a tutte le domande”.questa è stata la parte un po’ più difficile da gestire: ho cercato di mettere alcuni ragazziinsieme ad altri che abitavano vicino a loro; alcuni si sono fermati in classe o sono andatia casa di qualche amico e hanno fatto il lavoro insieme, altri no; c’era sempre l’indipen-dente, che amava fare da solo. comunque, tutti hanno portato la ricerca. Poi i ragazzihanno presentato la loro ricerca a tutta la classe, mentre gli altri facevano domande deltipo: “che percentuale copre la produzione di energia da petrolio? quanto costa il pe-trolio?” […] (intVr6/42). Alla fine chiedevo: “Allora, vi siete divisi le domande?” e lororispondevano: “noi sì, lui no!”; qualcuno, nei corridoi, mi veniva a dire: “Sa, professore,noi abbiamo provato a trovarci, ma lui non ha voluto”; qualcuno che si isola c’è sempre(intVr6/44). Ho scelto il lavoro sulle energie perché se ne parla tanto sui giornali; dicevoloro: “A me interessa che voi sappiate leggere o ascoltare una notizia sulle energie […];tutti gli inverni c’è il problema del gas che manca, del prezzo del petrolio che aumentaecc.”; mi interessa che abbiano un approccio critico a queste notizie e che sappiano dicosa si sta parlando. in realtà, potrei anche non fare questa parte, però legare la chimicaall’attualità mi sembra molto utile per loro, perché così possono leggere in maniera unpo’ più critica le notizie che sentono, avendo già una base di conoscenze per poter capiree giudicare quello che sentono […] (intVr6/46). Fornisco del materiale, per esempio, unarticolo trovato su Mondo erre, la rivista per ragazzi dei salesiani [...] o altre risorse: arti- 18 Ho scelto di inserire qui (e non in Tacconi, 2011) la testimonianza di questo insegnante, anchese si tratta di un insegnante di chimica, perché il lavoro che presenta è un lavoro interdisciplinare, ditipo testuale, che offre notevoli spunti per portare avanti lavori del genere anche nell’ambito storico,economico e sociale. 90 coli di giornale, pagine stampate da internet, fonti [...] nazionali e internazionali, più chealtro in italiano, perché ho qualche difficoltà a darle loro in inglese […] (intVr6/58). (Doloro) una scaletta di domande (intVr6/60); [...] consegno nove o dieci pagine ad ogni ra-gazzo e, in genere, do quindici giorni di tempo per fare il lavoro individuale; poi c’è il la-voro di gruppo, che consiste nel trovarsi assieme per costruire la relazione valutando cri-ticamente le informazioni raccolte (intVr6/62).A partire da spunti offerti dal contesto (il fatto che il cFP si sia dotato di pan-nelli solari), E. (intVr6) ha proposto ai propri allievi una ricerca di gruppo. Dopoaver costituito i gruppi, con l’attenzione di mettere insieme allievi che abitavano traloro vicini, in modo da facilitare l’eventuale incontro tra loro anche in tempi extra-scolastici, E. fornisce a ciascun gruppo una lista di domande rilevanti, che aiutino acercare19, e una vasta gamma di risorse, in formato cartaceo, ma anche digitale20.offre inoltre una serie di indicazioni procedurali, suggerendo di dividersi i compitiall’interno del gruppo e indicando fasi, tempi e specifiche del prodotto finale at-teso. in particolare, ad una fase di lavoro prevalentemente individuale di raccolta diinformazioni in base alle domande, segue una fase di lavoro in gruppo, per lamessa in comune, l’analisi e la valutazione critica delle informazioni raccolte,nonché per la costruzione di una relazione di gruppo. È questo che aiuta gli allievia collegare la chimica al contesto di vita e a sviluppare la capacità di analizzare cri-ticamente le notizie con cui vengono in contatto. All’interno delle coordinate of-ferte dal docente, anche l’uso di internet risulta proficuo. A conclusione dei lavori,E. invita ciascun gruppo a comunicare al resto della classe i risultati della propriaricerca e stimola una discussione su ciascuna presentazione. l’ultima fase è la ri-flessione sul funzionamento del gruppo, sul contributo di ciascuno al risultato fi-nale e sul livello di collaborazione.2.6.2. Attivare esperienze di apprendimento cooperativoTalvolta, nei racconti dei partecipanti, il lavoro di gruppo si rifà esplicitamenteall’approccio noto come cooperative learning (cfr. comoglio, 2000), che consentedi sviluppare e praticare competenze sociali e metacognitive, essenziali per qual-siasi tipo di apprendimento. naturalmente, non si tratta dell’applicazione di un me-todo tratto dai libri, ma dello sviluppo di un insieme di attività contestualizzate edadattate di volta in volta alla situazione:[...] noi [...] usiamo il cooperative learning, […] nel senso che io presento un argomentoalla classe; poi li divido in gruppi: i più interessati diventano i “docenti”, poi ci sono gli“osservatori”, che devono osservare […] secondo una griglia da me stabilita, e infine i 19 A questo riguardo, cfr., più avanti, anche il punto 2.7.2.20 inizialmente, il nostro docente predispone un certo numero di risorse digitali, in particolarelink a siti, anche in lingua inglese. in corso d’opera, accorgendosi che non tutti gli allievi avevano lapossibilità di connettersi ad internet al di fuori della scuola e che per molti di loro diventava piuttostoproblematico accedere a materiali in lingua inglese, sceglie di aumentare la quantità delle risorse car-tacee e in lingua italiana. 91 “discenti” [...] (FGita2/126). Ad esempio: “oggi parliamo della letteratura dell’otto-cento”; io incomincio a presentare il tema, al massimo per mezz’ora; dopo di che, […]divido i gruppi e comunico loro chi farà parte di quale gruppo e con quale ruolo, tipo:“lui sarà il prossimo docente, tu sei discente, […] lei sarà l’osservatrice…”. la voltasuccessiva [...] l’osservatore dovrà osservare il lavoro dei due e compilare una griglia; il“docente” dovrà organizzare il lavoro – in realtà, glielo organizzo io, in sede separata,cioè lo aiuto (FGita2/128), costruiamo insieme una scaletta, sulla quale (FGita2/130) eglipresenterà l’argomento al “discente”; alla fine, quest’ultimo verrà interrogato(FGita2/132). l’osservatore riporterà le sue osservazioni sulla griglia (FGita2/136): “At-tenzione, valuta entrambi: se lui si è spiegato correttamente, se è stato chiaro, [...] se haaiutato, se è stato disponibile eventualmente nel ripetere le cose, se l’altro è stato attento,si è impegnato, si è comportato in maniera adeguata (FGita2/138), ha fatto domande...”.Tutta la classe gira così (FGita2/140). cerco di dire loro cosa faranno (FGita2/142),perché lo devono sapere (FGita2/144). Dopo di che, per circa un’ora (FGita2/146),prendo i miei quattro “docenti”, se sono divisi in quattro gruppi, e li organizzo, magarianche fuori dalla scuola, nel pomeriggio [...] (FGita2/148). l’ora dopo, interrogo, ma lavalutazione sarà su tutti: docenti, discenti, osservatori. chiederò all’osservatore: “com’èandata l’attività? Racconta come si è svolta l’attività” e lui spiegherà [...] (FGita2/150).qualcosa del genere […] lo facciamo anche in laboratorio; ci sono anche lì gli osserva-tori (FGita2/152). la relazione la fanno oralmente [...] in base alla griglia. [...] Poi dico:“Tu parlerai dell’argomento e vediamo come lui ti ha preparato!” (FGita2/154). [...] itempi li vediamo in base agli argomenti, comunque li stabiliamo insieme [...](FGita2/156) [...]. Poi i ragazzi girano; è ovvio che “il docente” non sarà sempre lostesso. […] nel pomeriggio abbiamo dei laboratori facoltativi oppure dei larsa21 di ap-profondimento; [...] quelli che fanno i “docenti” verranno nel mio larsa e io li preparerò.Ma poi girano, [...] sempre così [...] (FGita2/158) [...]. noi usiamo sempre il cooperativelearning che, all’inizio, è molto difficile, ma sostanzialmente parte dal presupposto che iragazzi hanno bisogno di essere autonomi. Se un ragazzo è autonomo, la roba se la trova,non è deficiente; renderli autonomi vuol dire far loro conoscere che cosa implica avereun ruolo e far conoscere un po’ tutti i ruoli, il che [...] vuol dire trovarsi prima in un ruoloe poi in un altro. il primo anno è dura, il terzo anno lavorano praticamente da soli [...]; iofaccio il supervisore, ma la lezione frontale dove io parlo e la gente dorme no, con noinon si fa; almeno proviamo a non farla (FGita2/164). [...] Da noi è tutto così, anchequando siamo nei laboratori [...]; i nostri sono operatori elettronici [...] (FGita2/168); [...]loro sanno già che, essendo divisi in squadre, se finiscono il loro lavoro, con certe re-gole – perché ci sono gli osservatori; cioè io non posso andare là e fare il pannello al miocompagno – [...], possono rivolgersi a quelli della loro squadra che sono più in difficoltàe incominciare a spiegare loro oppure indirizzarli oppure segnalare il guasto oppure dire:“Beh, secondo me se proviamo col tester...”, ma senza mettere mano al pannello del lorocompagno (FGita2/170) perché c’è l’osservatore che lo noterebbe e comunque ci sono iprofessori, ci sono i tutor. lo fanno seguendo regole precise, lo fanno e stanno molto at-tenti […], si autoregolano [...] (FGita2/172);l’attività è nata da una scommessa fatta all’inizio dell’anno con alcuni formatori. Si par-lava della cultura dei ragazzi, della loro ignoranza sulla costituzione, sulle leggi, sui pre-sidenti e io ho detto: “Va bene, quest’anno cerchiamo un po’ di cambiare!”. i miei ra-gazzi acquistano ogni mese una rivista. Per caso, un ragazzo mi portò La macchina deltempo, con un inserto che ricordava l’anniversario della costituzione italiana; c’era la 21 i larsa sono dei “laboratori di recupero e sviluppo degli apprendimenti”. 92 storia di tutti i presidenti. Da questo è nata l’idea. Ho staccato l’inserto, l’ho arricchitocon altri materiali e ne ho fatto una dispensa, per le quattro classi; ho distribuito l’insertofotocopiato a tutte le classi. Poi ho chiesto ai ragazzi di imparare a memoria tutti i dati diuno dei presidenti della Repubblica: nome, cognome, data di nascita, periodo di presi-denza e […] idee politiche. […] Abbiamo impiegato una lezione, affinché ciascuno me-morizzasse tutto quello che riguardava uno dei presidenti. Superato lo scoglio, ogni ra-gazzo comunicava ad un altro ragazzo quello che aveva imparato. Era uno scambio reci-proco. ci siamo quindi ritrovati al punto in cui ogni ragazzo conosceva i dati relativi adue presidenti; questo processo è continuato fino a quando ogni ragazzo conosceva per-fettamente quello che era successo a tutti e dieci i presidenti. la scommessa è stata vinta!Ma non è finita qua, perché ci voleva anche la verifica: ho preso il sacchetto che si usaper giocare a tombola, ho messo dei numeri da uno a dieci e, estraendo il numero, ogniragazzo doveva praticamente creare alla lavagna la tessera di un puzzle con la cronistoriadi tutti i presidenti della repubblica italiana. È stato un ottimo risultato […] (FGita3/16).c. (FGita2/126-172), docente di italiano in un cFP ligure, dà conto di un’espe-rienza che, in quel contesto, non rappresenta un caso isolato e sembra far parte diuna strategia condivisa e largamente diffusa tra i formatori e le formatrici di variearee disciplinari. la nostra docente introduce l’argomento a tutto il gruppo classe,con una presentazione della durata di circa mezz’ora. Subito dopo, organizza laclasse in gruppi di tre. A ciascuno dei tre membri dei vari gruppi assegna un ruolo –“docente”, “discente”, “osservatore” – e fornisce delle indicazioni su come svol-gerlo. in particolare, fornisce ai “docenti” risorse e strumenti sull’argomento diquella che sarà la loro “lezione” e agli “osservatori” degli strumenti per osservarein modo mirato. questa preparazione non avviene generalmente in aula, ma in mo-menti specifici, in orario pomeridiano. nella fase successiva, si svolge l’insegna-mento tra pari, mentre gli osservatori analizzano ciò che avviene nelle coppie “do-cente” - “discente”. l’ultima fase è dedicata alla riflessione e alla verifica: gli os-servatori danno conto delle azioni dei “docenti” e dei “discenti” che hanno osser-vato, mentre c. pone ai “discenti” delle domande volte a verificare il livello di ap-prendimento e di comprensione raggiunto. nell’unità successiva, gli allievi ruotanoe si scambiano i ruoli. la fase in cui la formatrice lavora con il gruppo di coloroche assumeranno il ruolo di “docenti” nei sottogruppi che si costituiranno in aulacostituisce una situazione autentica e motivante: gli allievi apprendono proprioanche grazie al fatto che sono investiti del ruolo di “docenti”. la fase di riflessione,a partire dalle note degli osservatori, guida a sviluppare consapevolezza sui pro-cessi attivati. la formatrice, invece di dispensare conoscenze, organizza l’attivitàdegli allievi, li sostiene costantemente nel lavoro e regola la comunicazione molte-plice tra gli allievi. Gli allievi possono crescere nell’autonomia e nella fiducia reci-proca. nel racconto di c., notiamo infine che lo stesso metodo viene utilizzatoanche in laboratorio. questo ci fa intuire che il metodo può essere utile in riferi-mento a vari contenuti.Anche l’esperienza di G. (FGita3/16), un formatore della Sicilia, si rifà al coo-perative learning, in questo caso utilizzato in relazione a contenuti di natura sto-rica. l’enfasi viene posta non tanto sulla memorizzazione meccanica delle cono- 93 scenze proposte, quanto sull’interazione e lo scambio reciproco che aiutano a svi-luppare conoscenze proprio nella condivisione. lavorare insieme per una finalitàcondivisa fa sentire ciascuno impegnato per l’apprendimento e la crescita di tutti.2.6.3. Stimolare l’aiuto reciproco a coppieAnche l’esempio tratto dal racconto di c. (FGita2/126-172) e riportato sopra,perché riferito esplicitamente al cooperative learning, faceva ricorso ad una stra-tegia di lavoro che potremmo chiamare “aiuto reciproco tra pari”. ci muoviamosempre all’interno di strategie che promuovono un clima collaborativo e loscambio di informazioni e feedback costruttivi. Vediamo alcuni altri esempi diquesto tipo di attività:[...] aiuta ad esempio, davanti a delle domande, non dare direttamente le spiegazionicome docente, ma farle richiedere ai compagni e alle compagne (intMe1/276). [...] Bi-sogna, per esempio, creare lo stimolo ad aiutarsi [...] a vicenda (intMe1/280): “Hai pro-vato a chiedere al compagno?” (intMe1/282), oppure far fare proprio il lavoro di sche-matizzazione assieme (intMe1/286), anche se non troppo spesso, perché la schematizza-zione è anche un lavoro personale: io (intMe1/290) ho in testa una certa mappa, tu ne haiun’altra [...]; ho visto comunque che è utile stimolare collaborazione, oppure ricorrere acorrezioni incrociate; sono quelle correzioni [...], che possono essere utili anche per viva-cizzare; per esempio posso far fare uno schema e dire: “Bene, ora scambiatevi i quaderni.Vediamo se cambiereste qualcosa nel vostro schema...” (intMe1/290);[...] per esempio, ho tentato a volte in grammatica a farli lavorare a coppie, però […] oc-corre mettere bene assieme i soggetti, nel senso che bisogna scegliere uno che sappia euno che abbia qualche difficoltà […]; poi almeno uno dei due deve essere un pochinomotivato; la grammatica non mi sembra il massimo per motivarli. A volte, se è un com-pagno che spiega o se si deve fare un lavoro con un compagno, la cosa risulta più utile diquando a farlo è l’insegnante, perché l’insegnante lo fa con venticinque e magari cinquefanno e gli altri copiano dalla lavagna e non gliene frega niente. nel rapporto uno ad unocon il compagno, le cose vanno meglio [...] (intMi1/128);nel lavoro a coppie c’è già uno scambio più alla pari (intPd3/50); ad esempio, ho utiliz-zato il lavoro a coppie con la grammatica, parlando dei pronomi o degli aggettivi; [...] hoaffidato degli esercizi alla classe; ognuno li faceva individualmente e poi li correggevanoa coppie; lì c’è un livello paritario, non è l’insegnante che dice: “È sbagliato!”, c’è unconfronto che avviene tra pari (intPd3/52); è un momento bello anche per loro, in cui,magari la persona un po’ più brava può aiutare quello in difficoltà e viceversa, anzi, forseè un momento in cui loro possono anche rendersi conto che non solo esclusivamente l’in-segnante offre delle conoscenze, ma che anche loro ne possiedono e possono darne(intPd3/54).l’aiuto tra pari non risulta utile solo nelle attività progettate in anticipo, maanche nelle situazioni normali, in cui ci si trova confrontati con domande rilevanti.Se il docente, resistendo alla tentazione di fornire subito una risposta preconfezio-nata, avvia percorsi di esplorazione a coppie di vicini, il risultato che ottiene è unlivello maggiore di coinvolgimento attivo da parte degli allievi. certo, a secondadelle tipologie di lavoro, sono necessarie anche specifiche attenzioni nella compo-sizione delle coppie e nel mix tra attività individuali e attività collaborative. 94 2.7. guidare discussioni lavorando sulle domandele domande – da proporre o da far generare e su cui, in ogni caso, interrogarsi– sono un elemento essenziale per stimolare partecipazione e coinvolgimento,perché, senza domande, nessun incontro risulta interessante, né con le persone nécon i testi. Ma ci sono domande e domande. classica è ormai, ad esempio, la di-stinzione di Heinz von Foerster tra “domande illegittime”, delle quali il docente co-nosce già la risposta, e “domande legittime”, che vengono formulate davvero perconoscere, per sapere, e di cui il docente non conosce in anticipo la risposta (vonFoerster, 1987)22. ci sono anche le “domande utili”, che aiutano a procedere nelcammino, magari anche su territori diversi da quelli che si intendevano inizial-mente esplorare, e “domande inutili”, che – come ogni docente sa bene – un porta-voce della classe talvolta formula con il chiaro intento di interrompere il cammino.A tutte le domande i nostri formatori cercano, in modi diversi, di dedicare adeguataattenzione, facendo innanzitutto riflettere sulle domande stesse e poi ponendone esuscitandone di autentiche.2.7.1. Far generare domandeSpesso, per avvicinare alla comprensione di un testo letterario o giornalistico,occorre far sostare sulle domande che nascono dalla lettura o dall’ascolto del testoe portare a galla quelle che sono contenute nel testo stesso. Ma anche per formularedomande servono parole e diversi percorsi dei nostri docenti assumono come og-getto rilevante proprio la capacità di generare domande:leggiamo un brano in classe, [...] do dieci minuti per preparare delle domande, singolar-mente e in piccoli gruppi, a cui poi loro proveranno a rispondere e anch’io proverò a ri-spondere [...]; il fatto che già provino ad elaborare delle domande [...] fa sì che essi par-tecipino alla lezione (intVr4/6), ...il fatto [...] di dire: “A proposito di quello che abbiamoletto, secondo voi, quali domande possiamo farci? che cosa ci fa venire in mente questacosa?” (intVr4/8);prendo a prestito la pedagogia di don Milani che diceva che il padrone frega l’operaioperché conosce mille parole, mentre l’operaio ne conosce solo cento. io credo che il nu-cleo di tutta l’area che non è prettamente operativa sia la capacità di esprimere ciò che siè e di interpretare quello che ci sta intorno. Gli strumenti possono essere molteplici. ionon credo alla possibilità di uniformare tutti su degli standard. […] quanto più uno puòmigliorare la capacità di interpretare un testo, un telegiornale, un giornale, quanto piùuno è in grado di esternare ciò che vive, ciò che sa, ciò che non sa e di fare delle do-mande, tanto è meglio. credo che si possa dire così: si tratta di migliorare in generale lecapacità espressive in entrata e in uscita, qualunque sia la disciplina di cui stiamo par-lando. la domanda giusta […] può permettermi di entrare, di andare in soccorso di un ra-gazzo, ma, se lui non riesce a farmi la domanda, diventa difficile interpretare il punto in-terrogativo che ha negli occhi (FGita4/22). 22 Sulla qualità dei quesiti che generalmente vengono proposti agli allievi, cfr. anche Armellini,2008, pp. 125 sq. 95 la sequenza proposta da c. (intVr4) potrebbe prevedere i seguenti passaggi: lalettura di un testo; un tempo adeguato perché ciascun allievo generi delle domande;un lavoro sulle domande, a coppie o a piccoli gruppi, per socializzare le domandedi ciascuno e selezionare quelle più rilevanti; un confronto tra le risposte degli al-lievi e quelle del docente. in questo modo, la lezione si trasforma in conversazioneviva tra i soggetti e i testi e la partecipazione si fa attiva. F. (FGita4/22) sa chespesso le domande aprono vie di accesso ai processi di comprensione, che sonosempre singolari e dunque non standardizzabili, e possono offrire al docente lospunto per interpretare correttamente “il punto interrogativo” che talvolta vedestampato sulla fronte dei suoi allievi. la capacità di formulare domande va dunquesviluppata, perché aiuta a superare le difficoltà di comprensione e ad approfondiremaggiormente i temi indagati.2.7.2. Offrire una griglia di domande per cercareAnche M. (FGita1/24-36) trova utile lavorare attraverso delle domande.questa volta è il docente stesso a proporre delle domande e a stimolare un con-fronto sulle risposte:invece di gestire una lezione frontale, [...] ci eravamo messi più o meno in cerchio e [...]un primo lavoro era questo: io davo delle domande – mi ricordo la prima, il punto di par-tenza di questo lavoro, che era: “cosa voglio fare da grande?” [...] – e ciascuno davaprima una risposta personale, per iscritto, e poi la condivideva. […] Un altro modo peraffrontare le domande era quello di lavorare in coppia [...]; il grosso dell’attività erasempre una discussione di gruppo in cui c’era qualcuno che [...] segnava (FGita1/24)quello che veniva detto (FGita1/26); [...] ogni lezione aveva due o tre domande, a cui ap-punto o si rispondeva personalmente, condividendo poi la risposta, oppure si rispondevalavorando in coppia fin dall’inizio; però poi si arrivava sempre alla discussione di gruppo(FGita1/30). [...] Per andare sul concreto [...], il lavoro consisteva innanzitutto nel creareun ambiente, un setting diverso da quello che avevo sempre utilizzato – che poi eraquello normale, cioè: cattedra, banchi, lavagna ecc. –, e quindi nel disporsi in cerchio,senza banchi ecc.; la seconda cosa era appunto lavorare per domande e quindi partire daquello che gli studenti riportavano [...]; la terza cosa era cercare […] di produrre un sa-pere che emergesse dall’esperienza dei ragazzi e che quindi non partisse (FGita1/34) dailibri di testo. la finalità era appunto duplice: da una parte, [...] mostrare che i concettiche trovavano sui libri potevano avere attinenza con la vita concreta di ciascuno, dal-l’altra, provare a indirizzarli [...] o a proporre, per lo meno, un lavoro autobiografico. Ri-porto questo fatto perché, alla fine dell’anno, quando all’ultima lezione ho chiesto un mi-nimo di feedback sulle attività che avevamo fatto durante l’anno, questa era una delle at-tività che erano state valutate più positivamente, credo […] soprattutto per il tipo di la-voro e per l’effetto sorpresa che aveva creato [...] (FGita1/36).il racconto del nostro formatore fa intravedere alcuni elementi cruciali: unprimo elemento è la cura del setting, con la disposizione a cerchio, senza i banchi,che ha un effetto un po’ spiazzante (perché si distanzia dalla disposizione usuale),ma in grado di facilitare lo scambio e la discussione; un secondo elemento è rap-presentato dalla consegna di rispondere individualmente ad una o poche domande,con quella sorta di rallentamento riflessivo che il fatto di rispondere per iscritto 96 consente; il docente, nel porre le domande, è attento a far sì che si tratti di domande“legittime” (cioè non domande di cui egli conosce già la risposta, come sonospesso le domande che si formulano a scuola), capaci di far emergere aspetti dell’e-sperienza e della storia personale dell’allievo; inoltre fa in modo che ci sia untempo adeguato per la risposta; il terzo passaggio è costituito da un confronto acoppie sulle risposte e/o da una discussione con tutto il gruppo classe, per arrivarea generare un sapere che parta dall’esperienza e a far cogliere che anche i testidegli autori che si incontrano sui libri cercano di rispondere a domande analoghe eche dunque è possibile intrecciare lettura e autobiografia.2.7.3. L’esperto delle domande “inutili”come dicevamo sopra, qualche docente rileva anche il fatto che talvolta gli al-lievi formulano “domande inutili”: sono, ad esempio, le domande che un allievopone per chiedere un’informazione immediatamente dopo che il docente ha datoalla classe proprio quell’informazione e documentano soltanto che l’allievo era dis-tratto e non stava ascoltando. Far riflettere anche a questo genere di domande, ma-gari in modo creativo, come fa il parlante nel brano che riportiamo sotto, assumeun significato eminentemente relazionale:siccome rilevavo nei miei corsi un eccesso di domande inutili […] e un eccesso di ri-sposte inutili […], da qualche anno ho introdotto la figura dell’”esperto”. in ogni corso,nomino l’“esperto delle domande inutili” che normalmente è proprio il ragazzo che rifàspesso le stesse domande. Per fare un esempio banale, dico: “Si esce alle 12.30”, e lui:“Professore, a che ora si esce?”. Siccome […] in genere ci sono due o tre ragazzi chefanno molto spesso questo genere di domande e interrompono la lezione, allora io, inmaniera formale, prendo il ragazzo che svolge con maggiore intensità questa attività e lonomino “esperto delle domande inutili”; dopodiché, quando c’è una domanda inutile daparte di altri sull’argomento che sto trattando o su qualsiasi cosa, allora io non rispondo,ma dico: “Rivolgiti a carlo23, perché è lui l’esperto” e carlo prende appunti sulle do-mande […]. Dopo due o tre mesi, il livello delle domande inutili si azzera, perché capi-scono che una domanda è inutile, e allora tutti in coro dicono: “carlo, scrivi!” […]. Sicrea una sorta di gioco in cui l’esperto raccoglie quelle domande, su cui ritorniamo allafine dell’ora. c’è anche “l’esperto delle scuse inutili”. Abbiamo un elenco di circa quin-dici scuse: “mia nonna era ammalata”, “l’ho dimenticato”, “non c’ero”, “i carabinieri…”.Allora c’è un vero e proprio repertorio; i ragazzi, prima di rivolgersi a me, si rivolgonoall’esperto che dice ad esempio: “Scusa numero quindici!”, allora io so già che la scusanumero quindici è “la mamma mi ha mandato a…”. Dopo un po’ di mesi, i ragazzi elimi-nano le scuse inutili. Ad esempio, l’esperto dice: “È la scusa numero tre”. io segno il nu-mero tre e vedo quante volte quel ragazzo ha usato quella scusa (FGita4/6).P. (FGita4/6), che insegna a catania, ha nominato un “esperto delle domandeinutili”, al quale affida il compito di annotare quel genere di domande su cui poitornerà alla fine dell’ora. in questo modo, l’insegnante non impedisce che questedomande vengano formulate, ma limita il rischio che esse costituiscano un’inop- 23 i nomi originali sono stati ovviamente modificati. 97 portuna interruzione e ottiene l’effetto di diradarle. in altri casi, è possibile dedicarealle “domande inutili” una specifica attenzione, magari incoraggiando gli allievi aporre proprio quelle domande che essi, considerandole “inutili” o “stupide”, esite-rebbero a porre. 2.8. Concludere tirando le somme e raccogliendo eventuali lavoriconsapevoli che il momento conclusivo di una lezione e il commiato sono al-trettanto importanti dell’avvio, alcuni formatori cercano di curare anche questa fasecon particolare attenzione. Si tratta di tirare le fila, qualche volta correggendo iltiro, di raccogliere i vari lavori, di connettere i vari momenti e le varie esperienzevissute durante la lezione stessa:spesso suona la campanella che siamo ancora all’opera (intPd2/248); comunque, general-mente, alla fine dell’attività preventivata, [...] raccolgo i lavori, li correggo e li valuto [...](intPd2/250);in conclusione, [...] faccio un po’ il sommario (intPd3/180), [...] in modo che, se qual-cuno ha perso un passaggio, possa recuperarlo; poi [...] cerco sempre di fare in modo cherimanga qualcosa di scritto; se è un modulo che prevede un certo esercizio a casa, as-segno dei compiti. [...] nella parte finale, tiro un po’ le somme e magari anticipo già l’orache seguirà: “oggi ci fermiamo qui. Domani continueremo con questa cosa…”(intPd3/182);tengo d’occhio l’ora e quando mancano sette o otto minuti al suono della campana, mifermo. Faccio sistemare gli attrezzi di lavoro, ci si rilassa un attimo, qualcuno fa qualchealtra domanda. […] nei miei primi anni, quando suonava la campana, io stavo ancoraparlando ad un pubblico che non mi ascoltava più già da un bel po’. Adesso, di solito, al-meno cinque minuti prima ci si ferma e ci si saluta. non do mai i compiti a casa, perchéi nostri allievi finiscono alle cinque di pomeriggio e ritengo che a quell’ora si debbano ri-lassare, giocare, fare quello che vogliono (FGita4/20).Può capitare che il suono della campanella sorprenda in piena attività, ma ge-neralmente i formatori considerano utile sospendere il lavoro qualche minuto primadella fine dell’ora. questo tempo può essere dedicato alla raccolta e all’analisi deilavori svolti dagli allievi durante l’ora, oppure ad un breve sommario, da proporreo da sollecitare, del lavoro compiuto, oppure ad un breve compito di scrittura sullalezione (“cerco sempre che rimanga qualcosa di scritto”), da condividere in aula,oppure all’indicazione di eventuali consegne da svolgere a casa, per la volta se-guente, oppure ad una breve anticipazione di ciò che avverrà nell’ora successiva,oppure semplicemente alla sistemazione degli “attrezzi di lavoro” e ai saluti. 2.9. La ricchezza di pratiche “povere”concludiamo questo paragrafo dedicato alla lezione con le sintetiche conside-razioni di A. (FGita4/17), formatore a San Donà, che ben esprime il senso di pra-tiche apparentemente povere, ma funzionali a costruire una cornice all’interno dellaquale l’apprendimento possa prendere forma e sedimentarsi: 98 […] il mio modo di far lezione è molto tradizionale; ho visto, ad esempio, che dettare,quando si sono fissate le regole di base, funziona. capiscono che scrivere quello cheviene detto conviene a loro, perché li aiuta a stare attenti e soprattutto capiscono che lamezza pagina di quadernone, con un linguaggio più comprensibile e più immediato, liaiuta anche ad affrontare le quattro pagine di libro. Di solito, anche usare una certa ripe-titività nel fare lezione è utile: la lezione comincia con il riprendere l’argomento prece-dente, correggendo i compiti, poi c’è una spiegazione, poi quello che abbiamo spiegatolo scriviamo nel quaderno, poi lo rivediamo sotto forma di schema, poi per casa ti chiedole stesse cose che ho spiegato a lezione… Ecco questo dà proprio una certa mentalità e lasicurezza di una lezione che si svolge in maniera regolare, tanto che, se tu non fai unacosa, sono gli stessi ragazzi che te lo ricordano: “Ma non facciamo…? non correggiamole domande? Ma oggi non interroga?”. in otto anni di cFP, ho notato che questo mi aiuta.[…] le pratiche povere sono in realtà pratiche ricche; sono quelle che ti permettono difare lezione. quando tu ha impostato la cornice, poi il quadro, l’opera d’arte la fannoloro; è comunque importante che tu dia la cornice in cui inserire le cose (FGita4/17).Strutturare la lezione assegnandole un certo ritmo e seguendo anche una certaripetitività di fasi e momenti, lungi dal mortificare o dal tarpare le ali della liberaespressione degli alunni, consente di guadagnare quella sicurezza che è necessariaper procedere speditamente nei territori della conoscenza ed esercitare l’arte di im-parare. È allora che diventa possibile apprezzare la ricchezza delle pratiche po-vere. 3. vALORIzzARe L’eSPeRIeNzA come abbiamo già avuto modo di sottolineare, l’esperienza (da valorizzare oda proporre ai fini dell’apprendimento) è al centro dell’azione didattica dei forma-tori che operano in un cFP. centrare l’attenzione sull’esperienza comporta procedi-menti più lunghi di quelli che sembrano puntare dritti alla meta; del resto, in tuttociò che ha a che fare con l’apprendimento, la strada da preferire non è la più breve,ma quella che consente il tragitto più stimolante ed avventuroso ed apre ai pano-rami più affascinanti. ora, l’esperienza privilegiata nelle pratiche didattiche dei no-stri formatori è quella che ha a che fare con l’attività lavorativa e che analizzeremopiù avanti (cfr. il punto 5 di questo capitolo). Ma esistono anche altre forme di at-tenzione didattica all’esperienza, che vanno dalla ricerca di un aggancio alle espe-rienze già vissute dai soggetti, che aiuti ad esempio a cogliere il legame esistentetra letteratura e vita e faccia “toccare con mano” gli oggetti di apprendimento, allapriorità data al far vivere (che è anche un “far fare” e un “far narrare”) sullo spie-gare, alla sottolineatura del valore d’uso delle conoscenze, in particolare di quellelinguistiche, a più complesse forme di predisposizione e di proposta di esperienzeche, per i soggetti in apprendimento, non sempre sarebbe facile vivere al di fuoridel contesto formativo; mi riferisco, ad esempio, a certe esperienze di fruizioneestetica e, in genere, culturale. Sono questi gli elementi che andremo ad esplorarein questo paragrafo. 99 3.1. Far toccare con mano gli oggetti di apprendimentoSe gli oggetti di apprendimento su cui si lavora vengono percepiti dagli allievicome astratte enunciazioni teoriche, scisse dalle cose, è difficile che possano essereaccolti e integrati nel loro universo di significati ed è più probabile che vengano in-vece rigettati:quello che [...] mi sembra funzioni meglio è togliere l’insegnamento scolastico da unaspecie di limbo astratto. (il direttore di un tempo) mi diceva: “Attenzione, non puoi, coni nostri ragazzi, pensare di entrare nella loro mente, di avere insomma un dialogo, un col-loquio con loro – che è poi il passpartou per poter “far passare” i contenuti –, standosulle astrazioni, sui massimi sistemi! non esiste proprio, saresti tagliato fuori!”(intVr7/68).Si tratta – come è stato opportunamente suggerito a M. (intVr7) – di uscire dallimbo dell’astrazione, per portare gli allievi a fare l’esperienza di costruire dialogi-camente significati vitali. Del resto, non sembra corretto ridurre l’attività del pen-sare al solo confronto con concetti astratti. Vanno riconosciute anche le forme con-crete del pensare e la conoscenza è chiamata a diventare gesto, azione, pratica. il“luogo” (non tanto fisico ma mentale) deputato alla sua costruzione è principal-mente il laboratorio, da non limitare a quelli professionali (di cui sono, in genere,riccamente dotati i cFP salesiani) e da allargare allo spazio dell’aula normale, incui rendere possibile un confronto pratico e complesso con le cose di cui ci si vuoleimpadronire. Molti sono i modi a cui i nostri docenti ricorrono per far “toccare conmano” gli oggetti di apprendimento e trasformare l’apprendimento in attività. quidi seguito ne riportiamo alcuni.3.1.1. Agganciare i contenuti all’esperienza degli allieviAbbiamo già dedicato un paragrafo a come i nostri docenti gestiscono la le-zione. il racconto di D. (intMe1) ci consente di affrontare il tema della lezione dalpunto di vista dell’esperienza. Anche la lezione infatti rappresenta una specialeforma di esperienza, nella quale un ruolo importante è giocato da elementi quali iltono di voce, il contatto visivo, le espressioni facciali, i gesti, i movimenti. l’a-spetto che viene sottolineato nel brano che segue è l’importanza di agganciare al-cune esperienze pregresse degli allievi con ciò che costituisce l’oggetto principaledella lezione:la lezione prosegue con [...] la spiegazione da parte mia di aspetti su cui magari vogliofocalizzare l’attenzione, anche con una certa vivacità. Mi accorgo che qui si trasmettemolto della motivazione del docente. certe volte, con poche parole, con un appigliogiusto, si risveglia l’attenzione, per cui bisogna saper guardare gli allievi negli occhi e,quando si parla, vivacizzare l’attenzione (intMe1/100). questo aspetto è molto legatoalla conoscenza della propria materia, alla motivazione del docente e, mi rendo conto,alla sua persona: non so se quello che faccio io [...] può essere utilizzato da tutti [...](intMe1/104). […] nel tempo mi sono accorto, per esempio, che è importante legare l’at-tenzione a quello che stai trattando ad aspetti della loro esperienza [...] (intMe1/106). labiografia di un autore, ad esempio, può essere percepita come arida e distante […] 100 (intMe1/108). Allora bisogna riuscire a legare alcuni aspetti della biografia ad aspetti chepossono essere propri anche della loro esperienza; ad esempio, gli spostamenti di città edi abitazione sono situazioni che possono stimolare a livello personale: “cosa vuol direspostarsi?” – Verga abitava a catania e si sposta a Firenze, si sposta a Milano –, “Avetepresente? Vi siete mai spostati dalla vostra città?”; questo serve per tenerli svegli. Bi-sogna stare attenti a calibrare bene questo elemento (intMe1/112), a dargli cioè il giustospazio, perché altrimenti il loro pensiero interiore, che è molto vivo, li porta ad allonta-narsi dalla spiegazione; perciò serve lo stimolo giusto, legato [...] a ciò che si sta facendoin quel momento in classe. questo, per esempio, si può fare utilizzando lo stimolo visivoe la parola, nel senso che scrivi quello che ti interessa tenere a mente e lo lasci scritto allalavagna e magari fai a voce questo riferimento, che è più facile e arriva molto più diretta-mente (intMe1/114). […] nella biografia di un autore, si scopre ad esempio che, nellafase adolescenziale, la famiglia, soprattutto in passato, imponeva un certo tipo di per-corso […] – penso a Boccaccio, al percorso mercantile, quando lui assolutamente cer-cava lo studio delle lettere, delle arti – e allora dico: “Pensate alla vostra esperienza. chiè che vi ha fatto scegliere questa scuola? cosa volevate fare?”. qui c’è un vissuto cheemerge, che bisogna anche un po’ addomesticare, perché altrimenti si fa terapia digruppo e questo non è l’ambito adatto per tali cose (intMe1/146). Bisogna pungolare nelmodo giusto e nei momenti giusti, anche dando gli spazi giusti e richiamando poi: “Sì,vedete...”, per ritornare magari sullo scritto, però tutto questo è molto utile, perché ri-mane proprio impresso, diventa un’esperienza personale, come in laboratorio; se il pro-fessore spiega loro come si fa un buco, dice: “Andate al trapano, ragazzi”, e tutti vannoal trapano, perché vogliono provare e quella diventa un’esperienza personale [...]. Mirendo conto che questo è uno sforzo per il docente [...], perché magari certe volte i do-centi di questa disciplina hanno una formazione solamente teorica; la difficoltà è proprioquella che bisogna essere ricchi umanamente, perché con questi ragazzi non si può dire:“Va beh, è così, punto e basta!”; questi ragazzi non sopportano il “punto e basta”(intMe1/150).Perché anche la lezione assuma per gli allievi i caratteri dell’esperienza perso-nale, analoga a quella che possono vivere in laboratorio, e non del rito noioso esubìto passivamente, è importante che il docente riesca a collegare i contenuti dellapropria disciplina all’esperienza degli allievi, a qualcosa di tangibile. in questa ope-razione, il formatore mette in campo tutte se stesso, la sua cultura, il suo modo diessere, la sua professionalità. Si tratta di non rassegnarsi all’idea che la vita deipropri allievi sia irrimediabilmente distante dai contenuti che si vogliono proporree di non limitarsi alla constatazione, priva di speranza, che “le cose stanno così!”. ilproblema non è ribadire il proprio amore per la cultura e la letteratura (“Punto ebasta!”), lamentandosi magari del fatto che questo non sia condiviso dagli allievi,ma ostinarsi a coltivare le menti e i cuori dei propri alunni tramite l’incontro con lacultura e la letteratura24. Per questo è importante trovare accessi al loro mondo,punti di incontro con quel vissuto di cui sono pieni e spesso addobbati gli zaini concui ogni giorno i ragazzi arrivano al cFP. nel racconto di D. possiamo apprezzareanche il modo di farlo: la cura del contatto visivo e del tono di voce; l’intelligenza 24 in questo senso le affermazioni del nostro docente sono molto diverse da quelle espresse daPaola Mastrocola nel suo lamentoso ultimo libro (Mastrocola, 2011). 101 di inserire il pungolo giusto al momento giusto, per evitare che l’immaginazionedei ragazzi li porti a vagare a vuoto e per ricondurre la loro attenzione sull’oggetto;l’uso appropriato della lavagna, su cui fissare alcuni concetti chiave, per non allon-tanarli dal focus e visualizzare il percorso e il suo farsi; il ricorso alla narrazione dianeddoti, proposta e sollecitata, per imprimere i concetti; l’“addomesticamento”dei vissuti che emergono, per evitare di spostare tutta l’attenzione sui vissuti, ap-punto, e distoglierla dagli oggetti culturali. la pratica è fatta anche di questi deli-cati micro-equilibri.3.1.2. Selezionare i contenuti con attenzione anche a ciò che può essere signifi-cativo per gli allievil’attenzione agli interessi degli allievi viene fatta funzionare, da parte dei no-stri docenti, anche nella scelta dei contenuti. non si tratta di chiedere agli allievi seun determinato contenuto, ad esempio Dante, sia o meno di loro gradimento o discegliere argomenti facili e alla portata di tutti, ma, come abbiamo visto anchesopra, di avvicinare i contenuti all’esperienza dei soggetti, anche selezionando ciòche più di altro può aiutare in questo:anche su Dante non puoi spiegare tutto (intMe1/420); seleziono [...]. È quello il ruolo deldocente: fare da setaccio (intMe1/422): [...] l’approccio alla Divina commedia [...],come mondo, come struttura, qualcosa dell’inferno, il primo canto, [...] poi mi piacemolto il canto di Paolo e Francesca, che è un mio cavallo di battaglia (intMe1/424), so-prattutto quando arriva “galeotto fu il libro e chi lo scrisse” (intMe1/426); anche quelloserve; di fatto, poi dici: 2Ragazzi, stiamo parlando di un autore di settecento anni fa!”(intMe1/430);nel secondo quadrimestre [...], leggiamo avventure o gialli, così i ragazzi vengono a co-noscenza anche di alcuni generi letterari […] (intVr4/24). Abbiamo letto i gialli classici,Sherlock Holmes, per esempio, o Maigret. Poi ho detto ai ragazzi che anche in italia cisono degli ottimi autori, che vanno anche di moda, come l’autore di Montalbano, Andreacamilleri, o come carlo lucarelli, che però a me personalmente piacciono meno, perché[...] escono un po’ dal giallo classico, dal giallo d’investigazione; lì entrano altri argo-menti come, per esempio, la mafia, nel caso di Montalbano... (intVr4/26). […] Perquanto riguarda le prime classi, [...] ho adottato un’antologia, dove ci sono sia raccontiscritti da ragazzi, sia racconti che trattano tematiche tipiche dell’adolescenza. Ecco, conla tematica, [...] ho trovato la chiave per aprire un po’ i loro cassetti, perché faccio leg-gere e faccio riflettere su problemi che molti di loro hanno e quindi è un gioco facile siafar capire il brano, sia poi farli parlare di loro stessi, delle loro esperienze, perchéchiunque di loro ha qualcosa da dire; non abbiamo ragazzi vuoti! (intVr4/20) […] que-st’anno ho trattato con loro la tematica dell’accettazione degli adolescenti da parte degliadulti e ho letto per esempio [...] un brano di un libro di Giuseppe Pontiggia, da cui èstato tratto il film di Gianni Amelio, Le Chiavi di Casa, in cui c’è un ragazzo disabile[...], Paolo, che ha proprio grossi problemi, grosse difficoltà, legate al rapporto con ilpadre, più che al fatto di essere disabile; la tematica è amplissima, interessantissima,perché riguarda il rapporto genitori e figli, il rapporto dei ragazzi con gli insegnanti e congli adulti in genere. Abbiamo letto alcuni brani tratti da Nati due volte di Pontiggia […],ma anche autori stranieri, per dare ai ragazzi una panoramica più generale [...]. il mio de-siderio è farli riflettere sulla realtà che li circonda, oltre che su loro stessi [...]; opere ce 102 ne sono tantissime. nel primo quadrimestre, con la prima, imposto tutto il percorso sulleletture: leggo quattro, cinque opere e li faccio riflettere su questo (intVr4/24). […] con leprime classi [...] ho lavorato sulla lettura e sul farli riflettere su loro stessi, sulla realtà esulla problematicità dell’adolescenza. loro ci si ritrovano pienamente e capiscono che sista parlando di loro (intVr4/54);delicata è la scelta dei brani; cerco argomenti che comunque li interessino; quindi, perdire, [...] si possono inserire anche brani di letteratura, [...] quest’anno abbiamo inseritoanche la Giara di Pirandello, per esempio, [...] o Il gatto nero di Poe [...] (intMi1/66) obrani sui videogiochi di Ammaniti [...] (intMi1/70). […] quest’anno abbiamo puntato sudue nuclei: il primo era legato alla lettura, non integrale ma consistente, di un romanzo,quello di niccolò Ammaniti, Ti prendo e ti porto via: la parte dedicata agli episodi dellascuola, quando i ragazzi entrano a fare disastri nella scuola, [...] anche perché l’annoscorso hanno affrontato il tema del bullismo e comunque le problematiche esistono; lascelta di questo argomento era stata anche dettata dal fatto che si erano verificati com-portamenti a volte a rischio, un po’ problematici. Allora, [...] dovendo scegliere [...] argo-menti che comunque, per certi versi, li potessero catturare, interessare, ho fatto una sceltache è stata apprezzata [...] (intMi1/90). […] cerco di scegliere anche delle cose che piac-ciono a me, perché le spiego sicuramente meglio, ci metto di più anima; a spiegare unacosa che non mi piace farei molta più fatica [...]. cerco di scegliere una cosa che co-munque possa interessare a loro: […] ad esempio, il discorso del terrorismo […] comearma, come metodo di guerra contemporaneo […]; su questi aspetti ho molto insistito,anche attraverso alcuni articoli di Gino Strada, per esempio, che approfondiscono il temadelle mine. cerco di inserire tutte letture che possano essere un po’ stimolanti, che ser-vano così a riflettere e a leggere il presente (intMi1/112). [...] Abbiamo letto dei branitratti da Tre metri sopra il cielo, perché era la moda; a volte ci si lega anche a questiaspetti, perché comunque qualcuno questo romanzo lo aveva dentro lo zainetto, non tuttichiaramente [...], ma c’è qualcuno che legge spontaneamente, per cui a volte lo spuntoper la scelta parte anche da queste cose; vedi che qualcuno è interessato ad una cosa edici: “Va beh, proviamo, magari non va, magari va…” [...], chiaramente tenendo fermidei capisaldi, cioè devi fare il testo argomentativo, devi fare determinate cose [...], però ildiscorso sui personaggi, il discorso sul tempo storico, lo puoi fare con tante cose; [...]certo, si cerca di scegliere brani non banali, non stupidi, che servano per ragionare. l’ag-gancio con il loro vissuto, con le loro esperienze, si cerca sempre di salvarlo(intMi1/142). i brani sui videogiochi che abbiamo letto nelle tre prime [...] erano belli; cen’era uno che mi è particolarmente piaciuto, che parlava di “GTA”, che sinceramentenon so che cosa sia, ma loro lo conoscono tutti, o quasi tutti; [...] io in classe cercavo dispiegare come funzionava questo videogioco e poi mi hanno spiegato loro, mi dicevano:“no, non è così, prof...” [...] (intMi1/142); da lì siamo andati a ragionare, perché poic’era un’intervista allo scrittore Ammaniti, che era videodipendente e non riusciva nem-meno a terminare un romanzo perché era preso da questi videogiochi; abbiamo presoquesta pagina di intervista in internet […] e abbiamo lavorato anche su questo. Tuttequeste cose vengono sul momento, non sono messe in programma; non c’erano sull’anto-logia; […] il brano l’ho trovato dopo, però loro conoscevano già Ammaniti, che avevascritto Io non ho paura; era uno scrittore che loro già conoscevano; poi ho detto: “questoha scritto anche questa cosa”; quando hanno visto GTA, si sono subito attivati..., ma puòessere così, se gli propongo i Promessi Sposi? (intMi1/144).D. (intMe1), come abbiamo già visto (cfr. punto 2.4.1.), non ha paura di pro-porre Dante. Sa che anche Dante “può servire” e che anche a partire dalle opere delpassato è possibile generare particolari vibrazioni in chi legge. c. (intVr4) cerca la 103 chiave per “aprire i loro cassetti” e scopre che spesso l’esperienza che è possibilevivere leggendo e immedesimandosi nelle vicende narrate genera il desiderio diraccontare a propria volta le esperienze vissute e dunque a riflettere su di sé e sulmondo. A. (intMi1) nomina diversi criteri di scelta, da contemperare: ciò che puòpiacere ai ragazzi, perché cattura il loro interesse o aggancia il loro vissuto, ciò chepiace al docente e che egli può comunicare con “più anima”, ciò che è di moda, eche magari qualcuno porta già con sé, dentro lo zainetto, ciò che può aiutare a leg-gere il presente e a ragionare. Si possono scegliere diversi testi, il problema è riu-scire a sviluppare specifiche abilità (quella di distinguere le differenti tipologie te-stuali, di riconoscere la struttura interna dei testi stessi, di sviluppare un pensieronon banale ecc.), attraverso tali diversi testi. non è detto che funzioni. A questo ri-guardo, come sempre, bisogna ricorrere al principio didattico fondamentale del“proviamo, vediamo cosa succede se…”.nel brano che segue, K. (FGita4), che insegna inglese in un cFP del Veneto, ciracconta che, per trovare un accesso al mondo dei suoi allievi, ha dovuto impararead amare il calcio:ho tutti maschi in classe e devo dire che ho imparato ad amare il calcio, soprattutto il lu-nedì mattina, le prime due ore, con una classe con la quale non c’era verso di fare un mi-nimo di lezione. in pratica, prima ho fatto loro descrivere un campo da calcio così com’è,in italiano, e li ho sollecitati a raccontare com’era andata la domenica calcistica, secondoloro […]; dopo di che, abbiamo cominciato a buttar giù qualche vocabolo calcistico e atradurlo in inglese, e poi, via, via, ho portato in classe degli spezzoni di partita, per spie-gare il present continuos, oppure il past simple e i vari tempi verbali, però alla fine eranoloro che mi dicevano quello che stava succedendo nello spezzone che stavo facendo ve-dere. Sono partita da quello che amavano loro, il calcio, per riuscire a spiegargli un po’ diinglese (FGita4/11).la strategia di K. è di partire da ciò che i ragazzi stessi amano, di amarlo apropria volta, perché loro stessi arrivino ad amare ciò che l’insegnante ama25. Sele-zionare gli oggetti culturali in base ai criteri nominati sopra comporta una certaflessibilità rispetto al “programma”, come vediamo nel racconto che segue:se io vedo che un argomento interessa, lo amplio anche con altre cose, che non sono pre-senti sui libri di testo, quindi porto articoli o altre cose; questo mi porta a volte a sforaresulla tempistica, però poi questo lo giustifico sul registro, perché è possibile farlo [...], te-nendo conto del tipo di interessi, del tipo di rispondenza che hanno i ragazzi; […] allafine, l’importante è che acquisiscano determinate competenze. Per cui, se vedo che un ar-gomento o un certo nucleo di tematiche, interessano, allora magari preferisco andareavanti per due, tre, quattro ore, rispetto all’impostazione iniziale, e poi, alla fine, sul regi-stro, giustifico questo, proprio facendo riferimento agli interessi della classe; è una cosapossibilissima e lecita, e mi sembra anche logica [...] (intMi1/86); [...] le ore sono poche,quindi si cerca di giocare sulla vicinanza degli argomenti, per costruire un percorso lo-gico, sensato. Gli argomenti non sono scelti in sé, ma cercando di far vedere che co-munque sono collegati e puntano verso un certo obiettivo (intMi1/98). 25 non è un caso che ci troviamo in un ambiente salesiano. 104 la professionalità del docente si esprime anche nella libertà responsabile cheesercita nei confronti del programma e nel modo in cui sa dar conto delle scelte checompie. Anche E. (intMe7) sottolinea, con i vari esempi riportati nel brano se-guente, l’importanza di ancorare i concetti a qualcosa di concreto e tangibile:in prima, ho trattato [...] la civiltà egizia, e una modalità diversa che ho utilizzato è stataquella di portare (intMe7/79) le diapositive di un viaggio che avevo fatto in Egitto; hoproiettato loro le diapositive e da quelle sono partita per spiegare la civiltà egizia: mo-strando la civiltà attuale, come le persone vivono oggi, sono passata ai monumenti e, dalì, a ritroso, sono arrivata alla civiltà egizia [...] (intMe7/81); la risposta è stata positiva,perché i nostri ragazzi hanno difficoltà ad ascoltare per tanto tempo, a seguire una le-zione frontale [...] e quindi devi trovare sempre qualcosa che li tenga vivi, che li rendapartecipi; magari la diapositiva, con me vicina al monumento, e il loro: “Ma allora esisteveramente! Tocchiamo con mano…” […] (intMe7/83). […] Da evitare [...] è la sola let-tura del testo: “Bene, ragazzi, oggi spieghiamo Verga: Verga è nato lì, è morto lì, hascritto questo, questo e questo. Studiate da pagina tot a pagina tot...” (intMe7/85). Perspiegare Verga e il verismo, ho portato delle immagini di Fattori (intMe7/89), il pittore;[…] sono quindi partita dalla pittura (intMe7/91), perché il verismo è rappresentazionenuda e cruda della realtà; questa cosa l’abbiamo ritrovata... (intMe7/93) non soltanto inletteratura, ma anche nell’arte in generale: “Vedete questo? Bene, [...] potrebbe essereuna fotografia”. Da lì sono poi arrivata al concetto di “verismo” (intMe7/95), perché lorodevono avere degli esempi, devono capire praticamente; quindi, spiegare il verismo,qualcosa di assolutamente distante, ai nostri ragazzi (intMe7/97) è possibile partendodalla concretezza, da un qualcosa di tangibile. […] in quel modo […] ho introdottoVerga, ho potuto spiegare che cos’è il verismo, ho presentato la biografia di Verga, ricol-legandomi anche alla situazione storica, che avevamo trattato in storia (intMe7/99), al-l’arretratezza economica dell’800 in italia […], durante la rivoluzione industriale [...]; hoconsegnato le verifiche di storia, la settimana scorsa, sulla rivoluzione industriale, e c’erauna domanda sull’italia e alcuni ragazzi hanno inserito Verga e la questione meridionaleall’interno della propria prova di storia. E questi sono ragazzi che non ne volevano sa-pere assolutamente di storia! (intMe7/101). […] in terza, facciamo Ungaretti, in italiano,e, in storia, la prima guerra mondiale, il periodo che va dalla prima alla seconda guerramondiale, il fascismo, il nazismo. [...] Analizzare un autore è sempre difficile: come lopresenti Ungaretti? Allora, glielo presento come poeta soldato (intMe7/105) e quindicome poeta che ha vissuto e scritto nelle trincee. [...] li abbiamo portati a visitare letrincee [...] (intMe7/109) sul Montello; loro hanno vissuto e visto in loco le trincee, checos’era una trincea; c’era la guida che ha spiegato loro come si costruisce una trincea[…]; avevano dunque già un’idea di che cos’era la trincea, perché loro erano stati là, l’a-vevano vista (intMe7/113); non era una cosa che studi soltanto nei libri di storia, nei librid’italiano, c’è, esiste (intMe7/115), ne avevano un’esperienza diretta (intMe7/117). Da lìho potuto dire che Ungaretti è stato un poeta soldato, ha scritto quando era in trincea; [...]abbiamo potuto analizzare la poesia “Veglia”, quando lui vegliava a fianco di [...] uncompagno morto: “cosa vuol dire vegliare un compagno, quando sei in trincea?”. “Sì,perché noi siamo stati in trincea, la trincea era fatta così, era stata costruita così. come siviveva in trincea? quali erano le condizioni igienico-sanitarie? [...]”. (intMe7/119). [...]Da lì siamo partiti anche per la guerra di posizione, la prima guerra mondiale, dove èstata combattuta, nei nostri luoghi; un ragazzo che vive a crocetto del Montello, hadetto: “Eh sì, perché nelle mie zone sono tutte trincee, sono tutti luoghi dove è stata com-battuta la prima guerra mondiale”. È andato là, c’era il museo della grande guerra, haportato delle immagini. Ha preso degli opuscoli. Siamo riusciti ad interessarli, facendogli 105 fare un’esperienza diretta. Poi, […] questo ragazzo mi ha detto che conosceva una per-sona, il presidente dell’AnEi, l’associazione nazionale ex internati, mi sono fatta dare ilnome, mi sono messa in contatto, l’ho portato qui a scuola, ha raccontato la sua espe-rienza di internato nei campi di concentramento; abbiamo fatto lezione di storia in aulamagna, con una persona che aveva vissuto la guerra, aveva vissuto la deportazione neicampi di concentramento, dopo l’armistizio di Badoglio […]. Alcuni ragazzi mi hannodetto: “Prof, io questa mano non me la laverò per giorni, perché io ha dato la mano a unapersona che ha combattuto la guerra mondiale, […] che ha vissuto nei campi di concen-tramento” (intMe7/121); e hanno fatto [...] tre ore di lezione di storia – impensabile! –[...] in aula magna, con una persona, un ex combattente che (intMe7/123) ha portato lasua testimonianza, una persona che ha pianto, quando ha raccontato, che ha portato delleimmagini, un filmato dell’epoca da visionare (intMe7/125).Si tratta di creare situazioni che consentano di comprendere praticamente, diaccompagnare cioè la comprensione al fare, di conoscere attraverso canali anchediversi da quello solo simbolico, come quello iconico, percettivo, esperienziale26.3.1.3. Partire da situazioni simulate e/o esempiil ricorso ad esemplificazioni e simulazioni, soprattutto in fase iniziale di le-zione, esprime un approccio pratico ed esperienziale ai vari argomenti, in tutte learee disciplinari, orientato a far sì che i concetti si aprano alla comprensione. Di se-guito, riporto alcuni dei numerosissimi esempi relativi all’asse dei linguaggi e aquello storico-sociale.c. (FGita4/5), che insegna Economia a catania, propone il gioco del Monopolicome simulazione che aiuta a riflettere su diverse dinamiche economiche:con una classe particolarmente complicata, avevo fatto, in “cultura d’impresa” tutto ciòche riguardava il budget, la gestione delle risorse e le scelte economiche. Ho portato ilMonopoli, che ha un massimo di sei giocatori, quindi ho costituito gruppi di tre ragazziche dovevano anche […] riuscire a mediare tra di loro le scelte; io facevo da banca e daosservatore; ho dato delle regole di base, per giocare in modo ordinato. loro si sono di-vertiti tantissimo, hanno giocato a Monopoli; si è arrivati poi al punto del gioco in cuiqualcuno ha fallito, altri hanno vinto. Alla fine di questo gioco, insieme abbiamo vistocome si sono comportati all’interno del gruppo, quindi tra loro, e come ciascun gruppoaveva fatto scelte diverse. concretamente c’era chi, avendo un po’ di soldi, immediata-mente cercava di comprare una casa, chi invece ha aspettato di avere un certo quantita-tivo di soldi e solo alla fine ha cominciato a costruire e quindi poi non si è trovato in dif-ficoltà; hanno fatto proprio delle scelte economiche sulla base della gestione delle ri-sorse. Giocando hanno capito cosa significa programmare le scelte e gestire le risorseche hanno a disposizione. Hanno anche capito […] che il criterio è sempre uno: io cercodi avere il massimo profitto con il minor sacrificio, che poi è una teoria economica; perònella misura in cui io mi ero limitata a dare questa spiegazione loro non avevano capito,poi, quando […] si sono messi a giocare, concretamente hanno sperimentato che cosa si-gnificava e devo dire che stato molto efficace (FGita4/5). 26 in questo intravedo alcuni aspetti dell’apprendimento “percettivo-motorio” di cui parla Fran-cesco Antinucci, distinguendolo da quello “simbolico-ricostruttivo”. cfr. Antinucci, 2001. 106 MG. (intPd2), che insegna a Padova, imposta il lavoro sul tema “comunica-zione” proponendo di simulare situazioni ricavate dall’esperienza quotidiana o diosservare un video senza il sonoro, per analizzare gli aspetti non verbali della co-municazione, mentre l. (FGita4/4), che insegna a Gela, propone l’esperienza deltelefono senza fili per far riflettere sulle dinamiche comunicative:in prima, la competenza comunicativa si basa proprio sull’affrontare i contenuti legatialla comunicazione: che cosa sono la comunicazione, il processo comunicativo, gli ele-menti della comunicazione […]; cerco di tradurre tutto a livello molto pratico, anche conpiccole scenette in classe, per cui i ragazzi devono individuare chi è il mittente, chi è ildestinatario e via dicendo (intPd2/18); posso far vedere ai ragazzi la scena di un filmdove c’è un dialogo con delle persone; a volte, per far rilevare l’aspetto non verbale dellacomunicazione, tolgo l’audio e dico: “Ragazzi, che cosa capiamo attraverso questa con-versazione o attraverso la mimica dei personaggi che vediamo?” e, a partire da questoapproccio anche pratico, in cui loro vedono qualcosa, risalgo agli elementi della comuni-cazione. Evito il più possibile di fare la famosa lezione: “Apriamo il libro a pagina 20…:definizione di comunicazione...”, perché so che alla fine non rimane loro proprio niente.Arrivo poi alla definizione di “comunicazione”, ma cerco di arrivarci con i ragazzi(intPd2/24);nell’introdurre “comunicazione” […] io avevo già in mente quello che dovevo fare, ilsenso finale del lavoro, mentre i ragazzi no. Entro in classe con un registratore […]; in-vito cinque ragazzi ad alzarsi; loro sono completamente all’oscuro di tutto, non sannoquello che li aspetta. Escono in quattro, soltanto uno dei cinque resta, quindi si creaquesta suspense. neanche i compagni sanno cosa li aspetti. quelli fuori non devono asso-lutamente sentire né sbirciare. la prima tentazione che hanno infatti è quella di guardaredentro l’aula; poi hanno paura, se passa il tutor, di dover giustificare perché sono fuoridalla porta. il primo che entra lo sottopongo alla lettura di un articolo di giornale, un arti-colo che ho scelto io, piuttosto complicato, dove ci sono vie e date da ricordare e anchequalche nome. il primo legge l’articolo e poi lo racconta ai compagni della classe par-lando al registratore; io registro e poi lo faccio accomodare al suo posto. il secondo – ilprimo di quelli fuori, che entra in classe – non legge l’articolo, ma lo ascolta dal registra-tore, quando poi deve ripeterlo – anche lui davanti al registratore – viene fuori natural-mente che ha omesso un sacco di informazioni. È un telefono senza fili e si va avanticosì, fino al quinto ragazzo. l’ultimo addirittura riesce […] ad inventarsi delle cose, ma-gari indotto a questo dai compagni che suggeriscono; vengono fuori cose abbastanza di-vertenti. […] Poi naturalmente c’è il confronto finale: la classe mi aiuta a tirare fuori […]la nostra incapacità di ascolto: in realtà non siamo in grado di ascoltare gli altri; c’èsempre un’interpretazione […]. l’insegnante dovrebbe essere anche abile nello sceglierecome primo un elemento che abbia buona memoria, perché altrimenti, già alla prima let-tura, il gioco si perde […] (FGita4/4).S. (intMe4) ed E. (intMe7), insegnanti di Storia, raccontano qui di seguito dicome si aggancino ad elementi propri dell’ambito militare o all’esperienza che i ra-gazzi possono quotidianamente fare osservando le vestigia medioevali presenti sulterritorio:posso giocare su tante cose; ci sono alcuni aspetti che possono toccare, non so, l’ambitomilitare, che attira un po’ i ragazzi, e con cui posso giocare: [...], per esempio, nellaprima, [...] da un’immagine riprodotta da un libro sull’utilizzo della balestra, è nata una 107 spiegazione sulla balestra, sull’arco, sull’uso dell’arco che ha permesso la vittoria nella“Guerra dei cent’anni” [...] (intMe4/60); [...] è nato un discorso sulla balestra e una spie-gazione sull’armatura, sull’utilizzo della spada, sul tipo di spada, sull’arco gallese [...](intMe4/64);ad esempio, per la spiegazione del medioevo, che inizierò questa settimana, in prima,partirò dalle città medievali che abbiamo qua attorno, quindi, porterò delle immagini(intMe7/273), delle fotografie, oppure li porterò in aula informatica, mi collegherò in in-ternet e farò vedere loro Montagnana, farò vedere loro castelfranco, piuttosto che noale[...]; ecco che ritorna l’esperienza concreta, quella che parte dalle città medioevali pre-senti nelle nostre zone (intMe7/275); parto da quello per spiegare che cos’era la civiltàmedievale, che cosa era la città medievale, e quindi che cosa è accaduto nel medioevo.non andrò a focalizzarmi sulle date, oppure, spiegherò loro alto e basso medioevo, la di-stinzione, la cronologia, non la data fine a se stessa […] (intMe7/277). Secondo me, lacosa migliore è avvicinarli alla civiltà (intMe7/283) agli usi, costumi, abitudini; daquello posso inserire il perché si è arrivati a quello; quindi devo assolutamente inserire(intMe7/285) come si viveva nelle città medievali (intMe7/287). Ad esempio, ho appenaconcluso la civiltà romana (intMe7/287). Allora ho iniziato con la leggenda sulla fonda-zione di Roma, i sette re di Roma, però non ho assolutamente preteso dai ragazzi che miimparassero a memoria quali erano i sette re di Roma (intMe7/289), ...da che anno a cheanno, perché l’avrebbero imparato solo per l’interrogazione (intMe7/291), per la verifica,fino al voto; il giorno dopo se lo sarebbero dimenticato (intMe7/293). Ho puntato [...]sull’evoluzione di Roma, monarchia, repubblica, principato, l’organizzazione del go-verno di Roma; […] ho analizzato la differenza tra monarchia e principato; ho spiegatoloro la civiltà, come si viveva, cosa mangiavano; ho spiegato loro come erano le strade,come era costruita una città romana (intMe7/295), il cardo e il decumano, strade paral-lele e perpendicolari, e quindi li ho fatti ritornare al presente, al graticolato romano chetroviamo qua, a Santa Maria di Sala (intMe7/297): “Ecco, allora, perché sono tuttedritte...” (intMe7/299). quindi come le hanno costruite: ho portato loro la fotocopia diuna ricerca di un ragazzo di qualche anno fa, su come venivano costruite le strade, dallamalta i sassi, da lì poi abbiamo visto l’evoluzione di Roma fino all’estensione del grandeimpero (intMe7/303).Anche A. (intMi1) e K. (FGita2/26-48), nell’ambito del Diritto, imparano cheun lavoro “solo scolastico” non funziona, che è essenziale riuscire a mostrare il “ri-svolto pratico delle cose”, far toccare con mano, agganciare la realtà, partire da si-tuazioni ed esempi concreti, valorizzare l’esperienza di stage o di lavoro, solleci-tare l’incontro con testimoni:in diritto facciamo il discorso dei contratti e le leggi sul lavoro e l’economia […](intMi1/112) […]; la scelta degli argomenti è stata fatta proprio tenendo conto di chisono i ragazzi, per cui ci sono solo alcune ore dedicate ad alcuni concetti teorici [...]; poidiamo la possibilità di comprendere il sistema fiscale [...] concretamente, per esempio:che cos’è l’ici, che cosa vuol dire la parola iRPEF [...]; si cerca di dare loro un minimodi strumenti per capire queste cose; per arrivare a questo, l’ora non può essere impostataalla maniera dell’“Adesso ti spiego l’ici che cos’è!”; bisogna agganciarsi moltissimoalla realtà. questa mattina ho preso il disegno di legge di Bossi sul federalismo fiscale,che conteneva una serie di termini che andavano da iRPEF, a iRAP, a ici, e, quando ar-rivavamo a questi termini, andavamo sul fascicolo a leggerne il significato; […] è statauna lezione sì pesante, perché poi comunque loro intervengono tantissimo e vanno moltoguidati, però è stata anche una lezione in cui penso che un po’ di cose se le siano portate 108 via. Per esempio, […] ho fatto loro degli esempi su cosa sono le tasse e cosa sono le im-poste [...]; alcune volte li spingo e dico: “chiedete a casa quanto pagano di ici, quantopagano di..., chiedetele queste cose” […]. Faccio molto leva su articoli di giornale, op-pure [...] su domande. Ad esempio, comincia un’ora di lezione e qualcuno fa una do-manda su un argomento che comunque si avvicina a queste cose; io dedico anche l’oraintera a questo, anche se non ho la pagina specifica del libro su questo argomento; è co-munque un argomento che posso ricondurre a cose che sono state spiegate o che dovròspiegare e che comunque sono collegate al discorso che stiamo portando avanti; cioè, sevedo che la classe è comunque attenta, dedico l’ora a queste domande, perché appunto loscopo è quello di avvicinarli a tematiche che comunque sono importanti, perché questiaspetti, che loro lo vogliano o no, […] che dicano o meno che non gliene frega niente, litoccano: le tasse le pagano e la busta paga ce l’hanno. Poi c’è una parte sulla flessibilità,sui contratti. Per esempio, sulla flessibilità, sto facendo vedere nelle terze il film Mipiace lavorare della comencini, che fornisce una serie di spunti, proprio sulla flessibilitàin generale, sul mobbing, [...] sulle tematiche del mondo del lavoro, tutti aspetti che por-tiamo avanti nella seconda parte dell’anno, quando il discorso si finalizza di più sull’u-scita; si danno quegli strumenti che, dati in prima, non avrebbero molto significato, mo-strando il risvolto sempre molto pratico delle cose; [...] fatti in prima, quando la prospet-tiva del lavoro è molto lontana, neanche ne coglierebbero l’importanza e non avrebberol’interesse di sapere il significato della parola iRPEF, per dire, o i tipi di contratto, checosa vuol dire “contratto a termine”, cosa vuol dire “a tempo determinato”, “a tempo in-determinato”, quel minimo di conoscenze che devono possedere; adesso, dopo lo stage,per esempio, che è importante, perché hanno visto e hanno parlato con i loro colleghi[...], fanno anche alcune domande su questo (intMi1/116), perché sicuramente hanno par-lato tra loro, hanno parlato con i dipendenti che hanno incontrato, hanno visto; peresempio, nella relazione sullo stage, uno degli aspetti che più sottolineano è il rispettodella gente che lavora, il rispetto sul lavoro, perché veramente sono rimasti colpiti da al-cune situazioni che hanno visto in un senso o nell’altro, per cui hanno colto che è moltoimportante far vedere quello che uno sa fare, ma anche il fatto che sul lavoro devi esserecomunque rispettato, trattato da persona; [...] io riprendo questi concetti, dando loro unaveste “giuridica”, cioè sottolineando i diritti e i doveri; ad esempio, insisto molto sui do-veri del lavoratore, sulla diligenza; ti dico un esempio concreto: sono in ritardo – che perloro è sistematico a scuola – “...ciò vuol dire che sul lavoro…”. Ecco queste cose qui,fatte in questa parte dell’anno, [...] hanno qualche ricaduta [...] (intMi1/118). chiara-mente, se gli argomenti […] li coinvolgono […], fanno lavori più significativi e otten-gono anche dei risultati; […] se il lavoro è molto scolastico, o molto teorico, le cose fun-zionano meno [...] (intMi1/122);per i contratti, in terza – diritto del lavoro – [...] è fondamentale l’apporto di chi di lorogià lavora, perché allora confrontano il contratto che [...] (FGita2/26) hanno firmato conciò che viene detto in classe (FGita2/28); ci sono ragazzi di terza che hanno già sedicianni e che magari, il venerdì o il sabato, vanno a lavorare; [...] uno di questi lavora da ungommista [...] (FGita2/30); c’è anche chi lavora [...] tutti i pomeriggi, ma sono pochis-simi, perché appunto le famiglie sentono molto il discorso della scuola [...] (FGita2/32);quando enuncio una teoria, chiedo: “ma tu che lavori già...”; magari [...] saltano fuoridelle novità [...]; per dire, una volta è uscito che un ragazzo, in busta paga, si trovava ca-ricati ogni mese 20 Euro per i DPi, mentre i DPi dovrebbero essere dati gratuitamente[...] (FGita2/36). i DPi sono i dispositivi di protezione individuale, quindi scarpe antin-fortunistiche, cuffie, occhiali, guanti; i costi venivano recuperati dall’azienda con 20Euro ogni mese in busta paga. Allora lì il ragazzo se ne è reso conto, ha parlato con il da-tore di lavoro, siamo subentrati noi con una telefonata e così lui non ha più pagato i 20 109 euro (FGita2/38). quindi si tocca un po’ la loro esperienza personale: fargli provare conmano è fondamentale! (FGita2/40). Poi interagivano: “Eh, non è giusto che faccianocosì!”, oppure “Ma guarda che lì c’è scritto che devono fare cosà!”, per cui si è svilup-pata una discussione (FGita2/48).K. (FGita2/20) e RM. (FGita4/12), che insegnano inglese, ricorrono ad esempie proposte centrati sul lavoro, fanno fare simulazioni di dialogo e piccole espe-rienze che rendono i ragazzi consapevoli che è possibile – e bello – imparare:per quel che riguarda inglese, la difficoltà principale è convincerli a parlare [...]. Ho pro-vato a prendere delle macchine utensili piccoline, delle semplici morsette, una che ave-vano creato loro in officina e una che avevano acquistato gli insegnanti, e me le sonofatte descrivere da loro in italiano […]: che differenza c’era tra l’una e l’altra, cosa nota-vano, come era stata lavorata, i vari pezzi della saldatura, cose di questo genere; lì ho di-mostrato la mia, se volete, “ignoranza” nei confronti di queste cose che loro, invece, co-noscevano molto bene. Poi ho messo alla lavagna alcune parole, ovviamente tecniche, ininglese, e loro pian pianino, utilizzando quelle parole, mettendo insieme il verbo, il nomee qualche preposizione, dovevano creare delle frasi che riguardassero ciò che avevamoappena detto in italiano. Anche i più timidi ci hanno provato e sono uscite delle frasi cheabbiamo letto insieme e tradotto e poi confrontato con il testo che avevamo sulla dis-pensa [...]; si sono resi conto che sono stati bravi, hanno descritto anche loro bene o malequello che c’era sul testo, anche se molto più semplicemente, ovviamente. questo li haconvinti ad esercitarsi anche nel parlare; sono partita dalla loro esperienza e, sempre perlo stesso brano, [...], dividendoli in piccoli gruppetti, ho dato delle tecniche di memoriz-zazione per quelli che erano un po’ più in difficoltà; nel momento in cui hanno capitoche, con queste tecniche, facendogliele provare lì sul momento, riuscivano a ricordare epotevano ripetere i punti principali del brano, riassunti, sapendo quello che stavano di-cendo, la cosa era fatta: proprio sono partiti, sono decollati come classe (FGita2/20);sono nel settore della ristorazione, per questo il mio inglese è finalizzato, soprattutto apartire dai secondi anni; nei primi anni […] non si può chiedere di fare grandi cose,perché loro devono non tanto “riabituarsi” all’inglese, ma cominciare ad “amare” l’in-glese, cosa che nessuno mai ha fatto loro fare; hanno incontrato […] insegnanti che lihanno psicologicamente distrutti. Allora che faccio? […]. con la ristorazione, si fanno lericette, la presentazione al cliente in inglese, con il cliente in sala […]. Do loro la possi-bilità di inventare una ricetta usando i primi elementi della lingua inglese […]; è un in-glese sul campo, parlato; ho avuto buoni risultati […]. insegno inglese […] e “napole-tano”, nel senso che i miei ragazzi ascoltano solo musica napoletana. considerate che lamia formazione parte dai Beatles e arriva al rap americano; non sapete la difficoltà cheho avuto e le notti che ho dovuto passare a tradurre in inglese le canzoni di Gianni Vez-zosi e Toni colombo! […] i primi anni, la lezione si basa essenzialmente su dei cruci-verba […] elaborati […] la sera prima o ricavati da internet o preparati da tempo […]. iprimi anni non li puoi mettere di fronte all’inglese, perché ti dicono: “Giliano27, a nuatricosa ci stai cuntanno!” (“Giuliano, cosa ci stai raccontando?”, ndr). Vengono da unarealtà in cui sono stati ignorati, soprattutto nelle scuole medie; hanno subito dei veri epropri “assalti di indifferenza” da parte di molti insegnanti: “Tu non sai l’italiano, quindinon puoi sapere l’inglese!”. […] All’inizio, i loro occhi sono lucidi, perché non sannoche cosa li aspetta, cosa avranno da noi, e quindi la prima cosa che faccio, oltre a leggere 27 il nome è di fantasia. 110 dei testi, è un cruciverba; non stiamo parlando di una didattica ortodossa, stiamo par-lando di quello che faccio prima di arrivare ad un altro tipo di metodologia […]. Ultima-mente ho fatto il cruciverba del tempo: tutti i termini che riguardavano il tempo; inquesto cruciverba ho fatto segnare loro le “inglesine”, le chiamo io così, cioè quelle let-tere dell’alfabeto che sono diverse dall’alfabeto italiano: “a, b, c le conosci, ma noi ab-biamo delle inglesine, nell’alfabeto inglese, che sono cinque in tutto; me le andate ad in-dividuare nel cruciverba e le segnate?”; allora loro […], segnando le lettere dell’alfabetoestranee all’italiano, risalivano alla parola; […] tutti hanno cercato e trovato le parole deltempo […]. Fanno anche lavori più impegnativi, sempre in inglese; li devono fare, li vo-gliono fare; nei loro occhi c’è un appello ad essere trattati come tutti gli altri ragazzi:anche loro vogliono salutare in inglese, anche loro vogliono dire due parole in inglese emi vengono a dire: “che significa questa frase?”, mostrandomi il testo di una canzone ininglese. il mio aggiornamento lo faccio ascoltando Rihanna e Shakira, perché loro ven-gono in classe a chiedermi la traduzione dei testi delle canzoni. Voi non sapete quanto èbello far apprendere loro il verbo “like”, “piacere”, attraverso le canzoni; lo sanno usarebenissimo! E lo riproducono, perché la musica li aiuta. naturalmente, alla fine della le-zione, quando hanno un esercizio difficile, io metto come sottofondo, secondo la diffi-coltà dell’esercizio, una canzone […]. Raggiungo risultati ottimi, anche se sono le ultimeore; devo mettere una canzone che non sia proprio lenta, […] che li coinvolga, chesmuova in loro un po’ di adrenalina. nello stesso momento in cui muovono un braccioper fare il tipico movimento di rap o di hip hop […], già hanno fatto la frase dell’eser-cizio, spinti proprio dalla curiosità di sapere (FGita4/12).Ricorrendo ad esempi tratti dalla vita di ogni giorno o dall’esperienza dei ra-gazzi, raccontando aneddoti, proponendo la simulazione di situazioni simili aquelle che gli allievi potrebbero incontrare fuori dal cFP, i formatori assumono untono più confidenziale ed espressivo e i ragazzi tendono ad ascoltare e a parteciparecon maggiore e più vivo interesse. Soprattutto, la concretezza aiuta a comprenderein modo più efficace e ad evitare che le parole rimbalzino su concetti che non vo-gliono sapere di aprirsi.3.1.4. AttualizzareUn altro modo che i nostri formatori hanno per dire l’esigenza di trovare unpunto di aggancio al mondo degli adolescenti di oggi è quello di ricorrere all’i-stanza dell’attualizzazione dei saperi nei loro contesti di vita. Si tratta ancora unavolta di far cogliere nessi, in questo caso tra passato e presente:(Si tratta di) attualizzare alcuni aspetti di quello che esponi (intVr7/62), trovare gli aggan-ci con l’attualità [...] e su questo aprire un dialogo con i ragazzi, in modo che loro stessianalizzino il loro modo di sentire, la loro posizione, come si sentono in questo tipo di“problema” [...]. quindi, agganciare la realtà e trasformare questo in stimolo (intVr7/64);credo che una prima parola d’ordine possa essere attualizzare [...] perché la domanda chefanno più spesso i ragazzi […] è questa: “Perché io devo studiare una cosa che è suc-cessa duemila anni fa, o diecimila anni fa?” (intVr4/14). Allora, loro mi chiedono questo[...] e io rispondo spesso così, che dagli errori che gli uomini hanno fatto nel corso dellastoria noi possiamo imparare, che ci sono molti processi storici che durano tutt’ora; e miviene poi facile, se parliamo di popoli come ad esempio quelli islamici, dire che la que-stione è ancora aperta e attualissima... (intVr4/16). 111 l’aggancio alla realtà – che il docente fa e mette in grado l’allievo di fare – nonè solamente una facilitazione dell’accesso, diventa stimolo ad analizzare se stessi ead esprimere ciò che si pensa e ciò che si prova. Del resto, lo stesso atto del leggeree del comprendere si identifica con questa capacità di attualizzare, di trasformareparole antiche in parole d’uso abituale, riconoscendo ed accorciando le distanze. 3.4. Far raccontare esperienzela narrazione, sia orale che scritta, è una delle tecniche a cui i nostri formatori ri-corrono con maggiore frequenza, per accompagnare percorsi centrati sull’esperienza esul contatto personale con la realtà. Più avanti, soprattutto riguardo alla relazione tec-nica (cfr. il punto 5.2.2.), vedremo come questo approccio venga utilizzato in riferi-mento alle esperienze professionali. qui di seguito invece cercherò di illustrare in-nanzitutto le situazioni in cui i docenti di area culturale propongono esperienze ricchedi storia per sollecitarne successivamente una specifica narrazione; vedremo poi quel-le situazioni in cui la narrazione stessa, sottratta allo statuto un po’ arido di compitosolo “scolastico”, si trasforma in esperienza comunicativa ed espressiva, soprattuttonella forma della scrittura e, infine, metteremo a fuoco le delicate sollecitazioni a rac-contare esperienze vissute dai singoli allievi al di fuori del cFP. in tutti i casi, la narra-zione risulta efficace solo se connessa al vivo dell’esperienza.3.4.1. Far vivere esperienze che aiutino a pensarecome abbiamo ricordato sopra, agli allievi va offerta l’opportunità di vivereesperienze che difficilmente potrebbero vivere, al di fuori del contesto formativo, eche li possano aiutare a pensare e magari anche a rivedere criticamente alcune posi-zioni preconcette. M. (intVr7), che insegna italiano e storia nel cFP di Verona, rac-conta diverse esperienze di questo genere che ha proposto ai suoi allievi, in partico-lare viaggi e incontri con testimoni:forse pecco di presunzione, però diventa, secondo me, importantissimo anche far passaredei messaggi che a volte sono un po’ contro-culturali, [...] vista la cultura dominante [...];io, in questo, mi sento un privilegiato proprio perché, tanto per capirci, si può cercare dicontrastare la stupidità dilagante o quelle idee sbagliate che poi si basano su miti e leg-gende metropolitane. non so, penso alla visita a Dachau [...], con quelli di terza: io sa-pevo che qualcuno [...] presume di essere su posizioni di destra; nessuno è mai arrivato,in questi anni, a mettere in discussione l’olocausto, almeno in maniera chiara, però, in-somma, “Mussolini ha fatto anche delle cose positive...” (intVr7/74), dicono loro,“Hitler, beh, insomma, sì, era ‘fuori’, però la Germania si trovava in una brutta situa-zione...” (intVr7/76). Siamo stati a Dachau; lì li ho proprio visti colpiti, ne abbiamo par-lato. quando è successo l’omicidio di nicola28, ne abbiamo parlato; abbiamo visto il 28 M. (intVr7) si riferisce qui, come in altri passaggi, ad un tragico fatto di cronaca, che propriopoche settimane prima dell’intervista aveva sconvolto gli abitanti di Verona e aveva avuto risonanzanazionale: l’omicidio di nicola Tommasoli, un ragazzo di 28 anni, aggredito e ucciso a Verona, lanotte del primo maggio 2008, da un gruppo di ragazzi legati agli Ultras dell’Hellas Verona e vicini amovimenti di estrema destra. 112 video di Annozero, lo spezzone con quell’individuo che parla di questa cosa, nel suo ne-gozietto – ad un certo punto bestemmia anche [...] –; ho visto che è un modo per inciderein maniera molto profonda [...]; cioè, li metti in difficoltà veramente; [...] c’è quello chela mette sul ridere: “Ma prof, io ci sono stato in quel negozio, è anche simpatico”. “Pro-viamo a riascoltare; ti rendi conto di quello che sta dicendo questo?” [...]. Diventi una“agenzia di contro-cultura” (intVr7/78). Bisogna trovare qualcosa per passare al “fare”; ildire non basta di sicuro, passa sopra le teste [...]; da una parte c’è una grossissima re-sponsabilità, se vuoi – è il bello di questo lavoro! – [...] nel cercare di essere d’esempio;è pesantissima perché, a volte, [...] nel piccolo, devi esporti personalmente, ti devi met-tere in gioco, nel senso che cerchi di far capire che voler bene alle persone, o provarciper lo meno, ti espone anche a delle fregature, però spesso ne ricevi del bene. Per dire,uno dei messaggi è che la diversità – usando un termine oggi un po’ abusato – è una ric-chezza e che quindi il Rom non è uno da mandar via, e qua ce ne sono tantissimi che tidicono: “Via questi qua! Evviva Tosi che li sta mandando via!”; fanno questi discorsi[...]; in classe, la maggioranza è su questa linea, probabilmente per sentito dire […], al-lora il continuare a far vedere documentari, far fare visite fuori – la visita a Dachau èstata una delle cose che abbiamo fatto, ma io avevo pensato anche […] di contattare e difar venire qualcuno delle associazioni dei Rom – [...] creare situazioni di contatto di-retto – per l’anno prossimo abbiamo contattato alcuni di Emergency –, tutto questo è im-portante. (intVr7/80). l’esempio [...], qualcosa di tangibile, li mette in crisi; ho notatoche è una cosa che li spiazza e li fa pensare; ma non ci pensano solo lì; dopo mesi, avolte [...], ti vengono a dire il risultato delle loro riflessioni; ti pescano in corridoio,quando meno te lo aspetti, e ti dicono: “Però, prof, è vero! Ho visto che mi è venuta adabitare vicino una che insomma fa la badante, ha tre figli da mantenere in Romania, e hovisto che è una buonissima donna”. insomma, queste cose valgono […] proprio nel sensoche vanno oltre il discorso scolastico; sono difficili da valutare, mi rendo conto, però [...]valgono più di nozioni, di date, di schemi... (intVr7/82).la visita a Dachau, l’approfondimento su un episodio di cronaca nera capitatonella loro città, il contatto diretto con testimoni in carne ed ossa, non ultimo l’e-sempio personale (che è ancora una volta un far fare esperienza di un certo tipo direlazione) sono tutte modalità per passare “dal dire al fare” e dare consistenza alleparole che si pronunciano. questa strategia è tanto più importante quanto più gli“oggetti” di apprendimento non sono solo contenuti culturali, ma anche contenutivaloriali29. Attraverso la sua azione, il nostro formatore cerca di offrire elementi sucui esercitare gli strumenti del pensiero e di espressione del pensiero che sonopropri delle sue aree disciplinari.Anche altri formatori collocano le uscite e le visite tra le esperienze significa-tive da far vivere e su cui attivare pensiero. nel brano che segue, MG. (intPd2) rac-conta diverse esperienze di visite proposte ai suoi allievi e le modalità a cui ricorreper far diventare tali esperienze significative dal punto di vista educativo:quest’anno, in prima, ho organizzato un’uscita a Schio, per visitare il laboratorio di tec-nologie industriali, perché loro, [...] nell’area socio-storico-economica, fanno una parte 29 il rischio di limitarsi alle parole e di non passare a qualche forma di esperienza è di scadere nelgenere letterario della predica edificante che spesso produce effetti controproducenti nei ragazzi (cfr.Armellini, 2008, p. 99). 113 di storia e una parte di economia e, in prima, affrontano tutto il processo di industrializ-zazione, studiano la rivoluzione industriale e via dicendo [...]. Per prepararsi, hanno fattouna ricerca in internet (intPd2/166). […] (il problema è) come si cerca in internet; [...] iragazzi viaggiano in internet, sono bravissimi, sono più bravi di noi, però dopo non leg-gono quello che trovano. cioè [...], per prepararsi all’uscita a Schio, ho detto: “Ragazzi,scaricatevi del materiale! ovviamente lì [...] avremo una guida, però scaricatevi del ma-teriale, in modo da sapere cosa andremo a vedere”. loro hanno scaricato immagini, testiecc., e io ho detto [...]: “Eh sì, avete passato due ore davanti al computer, avete scaricatoi testi, ma avete letto quello che avete scaricato?”. Mi hanno detto che non lo avevanoletto (intPd2/173). “Dovevate fare voi [...] una sintesi”. [...] Fare la sintesi implica che tulegga il testo (intPd2/174), lo capisca e anche reperisca le informazioni che vanno ripor-tate (intPd2/176). loro fanno “copia e incolla”, senza neanche leggere [...]; in alcunicasi, ti rendevi conto che avevano preso una frase, buttata lì, in questo nuovo contesto,completamente scollegata [...] dal resto del testo; [...] non è detto che quando vanno ininternet per fare queste ricerche, sappiano realmente utilizzare quello strumento; non losanno utilizzare, perché anche internet implica che tu legga, che tu debba un attimo con-centrarti [...] su quello che tu hai davanti (intPd2/178). [...] la seconda uscita è stata lacittà, perché, se dico loro: “Ragazzi, provate ad andare in piazza dei Signori”, (loro sonoin difficoltà), non conoscono se non il tragitto dalla scuola alla stazione. Se tu li fai an-dare a..., si perdono! Sono strani, anche quelli che vivono in città, a Padova: se tu daicome riferimenti, non so, il baretto, piuttosto che il negozio di dischi o il negozio di ab-bigliamento al quale fanno riferimento, allora funziona, ma se tu vai un po’ fuori di lì,basta; magari passano tutte le mattine davanti alla tomba di Antenore [...], per venire ascuola, ma non sanno neanche che cosa sia! (intPd2/178). [...] Allora, andiamo a far vi-sita alla città, al centro storico, e nello stesso tempo siamo andati anche in comune, lasede dell’amministrazione cittadina, e lì, seduti nell’aula consigliare, è stato loro illu-strato quali sono i compiti del comune [...] (intPd2/180). l’ultima uscita è stata quella allago di Garda, quando siamo andati a San Martino della Battaglia, perché avevano stu-diato la seconda guerra di indipendenza e dovevamo vedere questi luoghi, dove si sonosvolte le battaglie più cruente […] (intPd2/182). […] odiano fare una relazione […]dopo un’uscita. Allora, io cerco di camuffarla in modo diverso. normalmente […] de-vono fare uno scritto da inserire nel portfolio […], invece per l’uscita di Garda li ho fattilavorare con i cartelloni. Si sono scaricati del materiale da internet, però […], vista l’e-sperienza precedente, questa volta dovevano, in gruppo, […] fare dei cartelloni… Hodetto loro: “immaginate di essere un’agenzia viaggi; dovete presentare a un turista iluoghi che andremo a visitare…”. quindi con pennarelli e forbici, si sono industriati; hodato loro dei cartelloni e li ho un po’ costretti ad analizzare meglio i testi che andavano ascaricare da internet (intPd2/184) […]. Tutto sommato è venuto fuori un buon lavoro.Poi, dopo l’uscita, non ho fatto fare la relazione, però ho fatto scrivere una pagina didiario […] (intPd2/188). […] Voglio sapere com’è andata la gita, […] che cosa hannovissuto durante la visita, allora dico: “Ragazzi, scrivetemi una pagina di diario sulle […]uscite che abbiamo fatto quest’anno”. (intPd2/190). […] non ho parlato di “relazione”,perché se loro sentono questa parola, dicono: “Ecco, uffa, dobbiamo sempre fare la rela-zione! È troppo!”. (intPd2/192). Gliel’ho fatta fare a distanza di tempo, in forma didiario: “Bene, ragazzi, visto che stiamo affrontando il diario, scrivetemi una pagina sullevisite!” (intPd2/194).MG. racconta diverse visite che ha proposto ai suoi ragazzi nel corso del-l’anno: la visita al laboratorio di tecnologie industriali, per conoscere la storia delprocesso di industrializzazione, la visita alla città, l’uscita in comune, la visita sui 114 luoghi della prima guerra di indipendenza. in tutti i casi, si tratta di rendere pro-ficua l’uscita. Perché l’uscita si trasformi in esperienza e generi pensiero, è essen-ziale passare attraverso qualche forma di scrittura, per via del rallentamento rifles-sivo che la scrittura stessa consente. in genere, la docente propone, in fase di prepa-razione alla visita, una ricerca di materiali e informazioni, basata soprattutto su in-ternet. l’esperienza insegna che non basta la consegna di pescare materiali nellarete e di scaricarli. il rischio, in questo caso è di indurre una semplice raccolta diinformazioni “googlate”, che, se non sono soggette ad alcuna rielaborazione, nonservono a nulla e danno solo l’illusione di sapere. Allora, la nostra docente prova aformulare una consegna di carattere autentico: “immaginate di essere un’agenziaviaggi e di dover presentare ad un turista i luoghi che andremo a visitare…”. Unaconsegna di questo genere finalizza la raccolta di materiali ed informazioni allaproduzione di un elaborato concreto, tangibile, e ottiene migliori risultati del sem-plice invito a raccogliere informazioni. Per realizzare la consegna infatti non bastaraccogliere informazioni, bisogna fare delle cose con le informazioni e le cono-scenze che si raccolgono, elaborarle. Anche dopo l’esperienza si torna a scrivere:questa volta, in forma di diario, per dar voce a pensieri, emozioni e vissuti, ed evi-tando accuratamente la troppo scolastica denominazione di “relazione”. È attra-verso la scrittura che queste esperienze diventano evento narrabile, oggetto di pen-siero.nel brano che segue, P. (FGita1/2-18), formatore in Sicilia, racconta l’espe-rienza particolarmente incisiva di una visita di studio nella capitale, che viene accu-ratamente preparata e si accompagna ad esperienze di scrittura:un’azione didattica efficace, produttiva dal punto di vista dei risultati, è stata un’Uda [...]che si chiama “Visita culturale a Roma”, con i ragazzi del terzo anno […], che li porta vi-sitare Roma e a osservare alcuni elementi caratteristici per poi [...] rappresentarli anchenella tesina per l’esame di qualifica. i ragazzi, che hanno studiato Storia e hanno seguitoanche alcuni moduli di “Etica e cultura religiosa”, hanno modo di verificare diversi pas-saggi storici e di esplorare i [...] segni della cultura religiosa, visitando a Roma i luoghidella storia e i luoghi della fede: le quattro basiliche e le catacombe, per quanto riguardail discorso dei segni della cultura religiosa, i vari monumenti per i segni della storia an-tica; ma (dedichiamo attenzione) anche ai segni della storia contemporanea, la storia d’i-talia, il Risorgimento, la formazione dello Stato italiano ecc. quindi, questa unità li portaa toccare con mano, a raccogliere dati, foto, impressioni, sensazioni e ad esprimere poi[...] una sintesi [...] che ha una linea storica, una linea [...] religiosa e una linea politica,che riguarda i palazzi del potere, la formazione dello stato ecc... (FGita1/2). la prepara-zione a questa Uda avviene durante tutto l’anno [...] e si sviluppa nel momento in cuivengono sviluppate le Uda di natura storica; quindi, quando facciamo la formazionedello Stato italiano, loro sanno che ci sono alcune date, alcuni avvenimenti, alcuni aspettisignificativi, che poi dovranno documentare, dovranno trascrivere in un documento dopola visita [...]. Per esempio, la domanda che mi fanno è: “Professore, la breccia di portaPia c’è ancora? l’andiamo a vedere?”. Ecco quindi, durante tutto l’anno c’è questa pre-parazione, come quando vengono sviluppate le Uda [...] di cultura etica e religiosa; [...]faccio vedere loro quattro video-cassette che descrivono la Roma cristiana, i segni dellafede cristiana; loro vedono, si preparano […], sanno già quali sono le quattro grandi basi- 115 liche, che cosa significa “catacombe” ecc. [...]. Si preparano sapendo che devono farequesta cosa. lo stesso per quanto riguarda “cittadinanza”, quindi il concetto di “organodello Stato”; [...] noi, per esempio, gli organi dello stato li facciamo non al secondo anno,ma al terzo, con la lettura dei quotidiani; i ragazzi collegano i “palazzi” alle decisioni, alpotere, i titoli di giornale agli organi dello stato ecc., quindi, quando vengono a Roma,devono andare, che ne so, al [...] quirinale [...], al Viminale ecc. Anche nel percorso chefacciamo per Roma, rigorosamente a piedi, vanno nelle piazze e la domanda che iofaccio è: “qui dove siamo?”; [...] in qualche maniera, sono costretti, magari anche scher-zando, [...] a rivedere le Uda già realizzate, a collocarle nel contesto e a imprimerselenella mente; [...], come dire, vedono per la prima volta il quirinale e magari qualcunonon si ricordava che al quirinale c’è il presidente della Repubblica; un altro spara e dice:“qui c’è Berlusconi!”; allora scoppia una risata generale, però c’è un momento [...] di si-stemazione delle idee e l’apprendimento diventa efficace (FGita1/4). [...] Poi, alla fine,faccio fare una relazione scritta: [...] tre domande sono sulla visita, mentre l’ultima, laquarta domanda, è: “Riporta le tue valutazioni sull’esperienza didattica”, e queste sonoestremamente positive, dal punto di vista dell’apprendimento ma anche dal punto di vistadel comportamento, della socialità, della scoperta di una grande città […]. Sostanzial-mente si tratta di un’esperienza positiva e ne ho riscontri anche dopo cinque, sei anni: iragazzi tornano e la prima cosa che ricordano è: “Professore, si ricorda Roma, le cammi-nate ecc.?” [...] (FGita1/6). colpisce l’incisività di queste cose e come alcuni apprendi-menti rimangano impressi perché collegati ad un’esperienza positiva, felice, anche diconvivenza fra di loro; cioè, vanno via in visita alcuni ragazzi che durante il triennioerano stati timidi, non avevano mai parlato, e tornano, alla fine, come ragazzi che sonostati valorizzati, perché durante la visita […], riescono a dare altre espressioni di lorostessi, che vengono apprezzate dai compagni e si crea, come dire, un rapporto diversoalla fine del terzo anno e i ragazzi dicono: “Abbiamo scoperto.., ci siamo ritrovati...”;così si creano legami di amicizia e di stima che vanno al di là del rapporto in aula, che èspesso freddo, molto legato ai contenuti, mentre lì è legato all’esperienza (FGita1/8). [...]la prima domanda riguarda la Roma antica, quindi la Roma imperiale – [...] il colosseo,i Fori imperiali e tutta la parte storica [...]; la seconda domanda è sulla Roma cristiana:quali sono i segni, quali gli elementi, quali le caratteristiche della Roma cristiana? Poic’è la Roma della politica, la Roma del potere, quindi i “palazzi del potere”, dalla con-sulta alla camera dei deputati ecc. questi sono i tre filoni; poi i ragazzi, accanto a questo,sono liberi di aggiungere foto, ricordi ecc.; per ognuna di queste domande costrui-scono… (FGita1/14) una relazione corredata anche (FGita1/16) di esperienze, di imma-gini; l’ultima domanda riguarda invece la loro esperienza personale: le emozioni, le sen-sazioni, l’apprendimento che hanno maturato (FGita1/18).il percorso di studio che, durante l’anno, porta gli allievi ad esplorare i varitemi legati all’asse storico-sociale, al “modulo di cultura etica e religiosa” o al mo-dulo di “educazione alla cittadinanza” sfocia nella visita alla capitale; a sua volta,la visita serve a richiamare concetti e idee esplorati durante l’anno. È come se l’e-sperienza della visita, con il calore relazionale che l’accompagna, servisse ad im-primere nella mente i contenuti avvicinati in aula. Per la scrittura della relazione, ildocente offre ai suoi allievi una traccia, che li aiuti a ricostruire i principali fuochidell’esperienza, ma la consegna invita anche ad esplorare emozioni e pensieri checiascuno collega all’esperienza vissuta e a corredare lo scritto con foto, immagini ericordi. come l’esperienza della visita, che spesso offre l’occasione per una diversaespressione di sé, anche l’esercizio di scrittura che l’accompagna e la segue si ca- 116 rica di significati personali e rappresenta un modo per esprimere anche aspetti di sénon sempre noti ai compagni e ai docenti.3.4.2. Proporre l’esperienza di scrivere per comunicareAlcuni formatori trovano utile utilizzare il computer per far scrivere, ma il pro-blema non sembra essere tanto quello di preferire l’uso del computer a quello dellapenna. il problema è far trovare senso nello scrivere e cioè trasformare la scritturada esercizio solo scolastico in narrazione e comunicazione esperienziale. questopuò avvenire in diversi modi:ci sono le Uda che riguardano la produzione di testi: in prima affrontiamo testi tipo le de-scrizioni, i racconti, [...] gli articoli di cronaca, il diario, la lettera personale; in seconda[...] affrontiamo testi espositivi, quindi imparano a scrivere qualcosa di più complesso[...]; in terza, soprattutto le relazioni [...], così li oriento proprio all’esame (intPd2/132).[…] Ho usato molto il computer quest’anno, anche perché [...] li vedo molto più attiviquando hanno una macchina davanti. Ad esempio, [...] Alberto mi dice: “Prof, mi sonoappassionato alla lettura!”; e lui è un patito di computer: se lo porterebbe anche in bagno,se potesse! (intPd2/166). Per esempio, se io gli do un foglio e una penna in mano e glidico: “Alberto, scrivimi il diario di quest’anno scolastico, una pagina di diario dove tuparli del tuo anno passato qui con noi”, […] lui mi scrive cinque righe al massimo, dopodi che mi dice: “Sono stufo!”; quando gli ho messo il computer davanti, mi ha scritto duepagine intere e gli ho detto: “Guarda, Alberto, è proprio un miracolo!” (intPd2/168); [...]lui si è reso conto che si impara a scrivere appunto scrivendo [...], e probabilmente [...] ilmonitor, la tastiera, il mouse, per lui rappresentano qualcosa di concreto; per me è con-creta anche la penna (intPd2/170);solitamente organizziamo […] delle partite di calcio; da qui ho tratto spunto per far fareloro, qualche giorno prima, un’esercitazione nel laboratorio di informatica, in cui potesse-ro mettere insieme sia le loro conoscenze informatiche sia quelle relative alla lingua ita-liana […]. nell’esercitazione che ho proposto ai primi anni – meccanici e serramentisti –,i ragazzi […] hanno lavorato singolarmente, creando, su un foglio di word, un campo dagioco che ho fatto anche colorare […]; ci hanno poi inserito delle caselle di testo, inven-tando loro stessi la formazione della propria classe e inserendo anche lo staff della squa-dra, composto dai docenti; in questo modo, li ho attivati, perché il calcio li prende tantis-simo […]. oltre a questo […], ho fatto scrivere il regolamento del torneo, continuandosulla stessa pagina o su quella successiva. nel regolamento, dovevano scrivere, in italianocorretto, le regole da rispettare, che dovevano essere condivise da tutti. Da un lato c’era lacorrezione automatica di word che li aiutava, perché ovviamente a loro venivano fuoridelle parole in dialetto, […] dall’altro continuavano a chiedere, sia tra loro sia a me, ilmodo più corretto per mettere giù le loro idee. c’è stato un momento in cui loro stessi sisono scambiati idee condividendole tutti insieme. Da un alto, ad esempio, per quanto ri-guarda l’ambito informatico, non hanno più dimenticato come si crea un punto elenco,perché per stilare la formazione calcistica, sono stati costretti a fare un elenco, e dall’altrohanno scritto tramite il computer cose che con una penna in mano, non sarebbero riusciti ascrivere, non perché non siano in grado, ma perché non avrebbero avuto la voglia di farlosu un pezzo di carta e con una penna. l’attività è durata due ore (FGita3/74).in ogni ambito disciplinare, il ricorso alla scrittura è essenziale per apprenderee per chiarificare le proprie idee. il problema è fare in modo che la scrittura vengapercepita come “utile”, in quanto finalizzata al comunicare. Da questo punto di 117 vista, MG (intPd2) sa che con certi ragazzi il ricorso al computer è, ad esempio, piùattivante della semplice consegna di scrivere con la penna, forse perché il computerviene da loro immediatamente percepito come strumento per comunicare. E.(FGita3/74) propone di scrivere un testo regolativo che leghi l’utilizzo del com-puter, l’interesse per il calcio e lo sviluppo di una consapevolezza relativa all’esi-genza di esprimersi in modo corretto. Anche in questo caso, il ricorso al computer,l’aggancio ai campi di interesse e la consegna autentica contribuiscono a far perce-pire come utile la scrittura.come ci ricorda ancora MG (intPd2), rilevare l’utilità della scrittura non com-porta sacrificare ogni altra forma di scrittura. Anche il diario e in genere le scritturepersonali vanno esplorate e praticate, per stimolare gli allievi a tirar fuori ciò chehanno dentro e che normalmente non esprimono. in questo senso, anche le scritturepersonali possono diventare “utili”. nei due brani che seguono, vengono descrittidei percorsi che portano a conoscere e sperimentare forme di comunicazione perso-nale basate sulla scrittura:puntiamo sul fatto che loro imparino a manifestare le loro sensazioni, il loro vissuto per-sonale; in effetti, io posso vedere, non so, [...] un ragazzo che durante l’anno non è statomotivato [...] e che, nel momento in cui gli chiedo di scrivere una pagina di diario suuna giornata di scuola o su una cosa che gli è successa, dà molto. [...] Mi rendo conto[...] di come tanti ragazzi abbiano bisogno di avere stimoli che li portino a tirar fuoriquello che hanno dentro e che, in realtà, in altri modi o in altri contesti, non emerge; cisiamo quindi concentrati soprattutto sulla pagina di diario e sulla lettera personale comeforme di testo (intPd3/24); […] sono partita fornendo ai ragazzi la pagina di diario diuna ragazza, un’adolescente, che parlava del rapporto non molto sereno che vive in fa-miglia con i genitori. nel momento in cui vengono attivati su problematiche tipiche del-l’adolescenza, vedi che cambiano espressione, perché sentono la cosa più vicina a loro.non sono andata a prendere una pagina del diario di Anna Frank, che pure è una ragazzagiovane, però magari distante (intPd3/80); cerco degli esempi vicini al loro vissuto. Al-lora, ho preso quel testo come pagina di diario; stessa cosa ho fatto per la lettera(intPd3/82); [...] li prendo da internet o da un libro e faccio le fotocopie, in modo chetutti abbiano la loro copia (intPd3/84); [...] ad esempio, [...] non è che posso dire, che neso: “oggi vi leggo un esempio di testo narrativo, che poi arriveremo a definire letterapersonale”; preferisco che ognuno abbia la sua fotocopia, perché così si possono anno-tare qualcosa a fianco e poi so che tutti, avendo un testo, possono capire (intPd3/92);[…] in effetti, loro sono molto sensibili a tutto quello che parla di loro stessi, forseperché devono ancora in qualche modo capire bene chi sono, qual è la loro personalità[...] (intPd3/154);adesso stiamo vedendo anche la lettera, le lettere personali: li faccio riflettere sulla realtàche vivono, sul fatto che quello che loro vivono è importante per la loro crescita perso-nale: “Adesso mi fate una lettera a una professoressa, a una vostra insegnante, a chi vo-lete, dove la ringraziate di tutto quello che avete vissuto quest’anno”. Devono tornare in-dietro nel tempo e, per i nostri ragazzi, questo ritornare indietro nel tempo è molto diffi-cile; se tu chiedi: “Ad ottobre che cosa abbiamo fatto?”, [...] non si ricordano […], manon ricordano nemmeno che cosa hanno fatto a gennaio [...] (intPd2/194); devono pen-sarci tanto […]: “Ti ricordi che è venuta una compagnia”, “Ah, sì, è vero, hanno fattoteatro!”. Bisogna stimolarli ad elaborare… (intPd2/196) la realtà e le esperienze che vi-vono, per farle diventare bagaglio personale di crescita (intPd2/198). 118 Per entrambe le formatrici il senso della scrittura è consentire l’elaborazionedella propria esperienza. nel caso raccontato da n. (intPd3), l’avvio è costituitodalla lettura di un testo – una pagina di diario o una lettera – nel quale gli allievipossano riconoscersi. Analizzando il testo, i ragazzi sono guidati a coglierne le ca-ratteristiche principali. Avvicinare un testo di quel genere facilita nello scrivere untesto analogo, che li aiuti a tirar fuori ciò che hanno dentro e che normalmente nonemerge. nel caso narrato da MG. (intPd2), la consegna è di scrivere una lettera aduna professoressa per raccontare alcune delle esperienze vissute nel corso del-l’anno. Anche qui sono essenziali la pazienza e la qualità dello stimolo.Anche un classico tema, una volta vinta l’ostilità nei confronti della scrittura,può rappresentare un’occasione per raccontare di sé30:sembra che pian pianino accettino il fatto di scrivere; il tema è stato per moltissimi unabestia nera: “Prof, non ci faccia scrivere!”, [...] però quando dico: “Beh, proviamo un at-timo a riflettere, per esempio, sui rapporti genitori-figli…” [...]: negli ultimi decennisembra che siano diventati particolarmente difficili, il salto generazionale c’è semprestato, però ci sono delle questioni che diventano davvero scottanti, [...] difficili da gestireper i genitori: “quali sono le cause di questa cosa?”. lì è venuto fuori di tutto e di più everamente sono rimasto (sorpreso), perché ti comunicano le loro situazioni personali eprovano ad analizzarle [...] (intVr7/68).nel brano riportato sopra, M. (intVr7) si dice sorpreso di scoprire quello che i ra-gazzi sanno comunicare, se solo si offre a loro lo stimolo giusto (generalmente quelloche li orienta a parlare di sé) e il contesto relazionale che consenta loro di aprirsi.3.4.3. Stimolare racconti orali su esperienze vissuteAbbiamo già visto sopra il ricorso a forme di apprendimento attraverso l’inse-gnamento, nelle quali gli allievi sono stimolati a presentare alla classe un argo-mento scelto o concordato con il docente. la comunicazione orale è efficace ancheper raccontare esperienze vissute. nel caso che segue, R. (FGita2/291-293), che in-segna a Roma, stimola a narrare l’esperienza dello stage:quando hanno fatto la relazione orale sullo stage, i ragazzi si sono sentiti molto liberi [...]di fare domande ai loro compagni [...] sulla sicurezza dell’ambiente dove avevano lavo-rato, sugli orari, sull’eventuale danno. Uno dice: “Ma che danno hai fatto?”, cioè “cheguaio hai combinato?”, oppure “qual è la cosa che ti è piaciuta di più?”; la relazione di-venta più interessante. Ho notato che la relazione orale dello stage è completamente di-versa rispetto a quella di storia e di geografia, perché sanno quello di cui stanno par-lando, l’hanno vissuto in prima persona, lo sanno loro e ti dicono anche le loro emozioni!(FGita2/291). Sono loro i protagonisti: “Ti racconto la mia vita, quello che io ho vis-suto…”; questa è una cosa molto importante (FGita2/293).la capacità di raccontare in modo accurato la propria esperienza – il contesto,ciò che si è imparato, anche dagli errori commessi, ciò che è piaciuto di più o di 30 cfr. anche il punto 7.6.3. 119 meno ecc. – viene sollecitata dall’insegnante. il ritorno riflessivo sull’esperienzaconsente anche lo sviluppo di una particolare forma di attenzione retrospettiva. ilracconto si trasforma subito in conversazione. i compagni intervengono e pongonodomande sull’esperienza che viene raccontata e questo consente magari di notareaspetti che in un primo tempo erano sfuggiti al narratore stesso. il nostro formatorenota poi che il legame con ciò che si è davvero vissuto rende la narrazione dei ra-gazzi particolarmente densa, perché concreta e impastata di emozioni. 3.5. dare spazio ad esperienze basate su immagini e musicaPer agganciare l’esperienza dei soggetti, ma anche per arricchire le loro espe-rienze, i nostri formatori si muovono verso forme di contaminazione fra i lin-guaggi, alla ricerca di accostamenti fecondi tra letteratura e altre forme estetiche,come il cinema, le arti figurative, la musica. come afferma ivano Gamelli, «noisiamo indubbiamente esseri di parola, ma la parola può assumere uno spessore co-municativo più incisivo se integrata con i codici di altri linguaggi» (2011, p. X).Per questo i formatori cercano di mobilitare linguaggi diversi. in particolare, sensi-bili come sono all’orizzonte culturale dei loro allievi, includono nel loro raggio diattenzione e cercano di valorizzare anche diversi elementi di quella cultura (o sotto-cultura) multimediale di cui i ragazzi sono imbevuti31. Vediamo qui di seguito al-cuni esempi.3.5.1. Valorizzare alcuni elementi della cultura multimediale dei ragazzinella loro didattica, i formatori sanno distanziarsi da un’aderenza passiva aiprogrammi (che, del resto, in questo ambito, pur variando da regione e regione,sono ben poco prescrittivi) o dall’ossequio alla tradizione accademica dei “canoni”e sanno esplorare accostamenti inediti, ricorrendo a differenti forme di linguaggio,anche alla luce del fatto che oggi siamo tutti immersi in un contesto in cui prevaleil linguaggio iconico:i mezzi di comunicazione, con i ragazzi, […] sono le chiavi di apertura delle loro porte[...]; tante volte io uso televisione, cinema, cartoni animati, tipo i Simpson, cose di questogenere... (intMe4/202); ci sono puntate particolari dei Simpson, un cartone animato, chesono da vedere con molti occhi, non solo con i loro occhi, concentrandosi sul perché diuna risata sguaiata, spiegandolo in classe, andando oltre, facendo riflettere su alcuni per-sonaggi e dopo facendo fare anche degli esercizi di scrittura [...] (intMe4/206); [...] sono 31 Su questo, Armellini sottolinea: «Potrà avvenire che […] l’insegnante sia indotto ad accettareo addirittura a promuovere accostamenti irriverenti (il Partenone e i cavalieri dello zodiaco, il toposdel locus amoenus e la pubblicità del Mulino Bianco, Rimbaud e Vasco Rossi, la struttura narrativadei poemi cavallereschi e quella dei serial televisivi…); ma la qualità della sua scommessa culturalenon ne sarà sminuita se, attraverso simili comparazioni, aiuterà i suoi studenti a navigare nell’imma-ginario con crescente consapevolezza, ponendo domande sensate, facendo distinzioni, costruendo unsistema di mappe e di coordinate utili a situare, analizzare, valutare la diversità delle loro esperienzeestetiche» (Armellini, 2008, pp. 36-37). 120 tutte cose che loro masticano; ora, è chiaro che, se io [...] butto là un film [...] – amomolto il cinema e faccio parte di un gruppo che segue il cinema d’essai –, non ricavoniente; a me piace moltissimo “la terra trema”77, ma è un genere che non ha senso far ve-dere loro; devi parlare a loro con la lingua che parlano loro [...] (intMe4/210).S. (intMe4) sa che familiarizzare con determinati linguaggi può aprire le portedi accesso al mondo dei suoi allievi e non ha paura di rinunciare a fare riferimentoalle espressioni alte della produzione cinematografica, che pure conosce e ama, peravvicinarsi ad un cartone animato che i suoi ragazzi “masticano” bene e conside-rano un “cult”. Del resto, uno dei principi della pedagogia salesiana, a cui un po’tutti i nostri formatori si ispirano, è che bisogna amare (e dunque guardare con cu-riosità e interesse) ciò che i giovani amano, perché anche loro possano amare ciòche sta a cuore agli educatori (cfr. Braido, 2006, p. 292). l’accostamento che S. osafare risulta fecondo se diventa lo spazio in cui far dialogare prospettive differenti estimolare riflessione.3.5.2. Far analizzare immaginil’arte figurativa e le immagini in genere possono costituire un’importante ri-sorsa didattica anche per l’approfondimento di temi letterari. ce ne offre una testi-monianza S. (intMe4), che insegna a Mestre, in un indirizzo per grafici:ad esempio, abbiamo affrontato carlo Goldoni; [...] ci sono due foto sul libro; faccio de-scrivere la foto che riguarda [...] il periodo storico di Goldoni; poi facciamo assieme l’a-nalisi dei contenuti [...] (intMe4/150): il tipo l’abbigliamento, la postura, l’ambientazione,la tavola, il mobilio e tutto quello che loro riescono ad osservare. [...] Enunciamo gliaspetti più comuni e [...] quelli più rari; dopo [...] la fase descrittiva – “quali sono gli ele-menti che tu vedi, i particolari che spiccano maggiormente nelle immagini?” –, viene lafase argomentativa: “quale delle due foto per te è più significativa e perché?” [...]. Ecco,questo lavoro mi ha permesso di spiegare il Settecento, cioè l’ambientazione storico-cul-turale dell’opera di carlo Goldoni, in modo anche visivo, attraverso una fotografia, unariproduzione, un’incisione. Poi ho affrontato anche la questione di che cosa sia un’incisio-ne, una stampa (intMe4/152). Mentre spiegavo il Settecento [...], in particolar modo quel-lo veneziano, [...] ho portato le riproduzioni di un libro d’arte di Roberto longhi, ho fattoanche vedere un quadro e loro hanno saputo leggerlo. […] Ecco, questo mi ha permessodi far capire meglio che cosa era il Settecento, ma erano loro che lavoravano su delle fon-ti iconografiche che, in questo caso, hanno fornito i libri [...] (intMe4/154).Mostrando alcune immagini, nell’ambito di un percorso sul settecento vene-ziano, S. (intMe4) chiede ai suoi allievi di nominare tutti i particolari che essi rie-scono ad individuare. Soffermarsi su tali particolari consente al nostro formatore difar avvicinare in forma intuitiva alle tracce che di quel periodo storico rimangonoimpresse anche gli oggetti, negli ambienti e nei modi di rappresentarli. Facendo la-vorare su fonti iconografiche, il nostro formatore guida poi ad una discussione che,sollecitando a mettere in campo argomentazioni e a costruire interpretazioni condi- 32 Film del 1948, diretto da luchino Visconti ed ispirato a “i Malavoglia” di Giovanni Verga. 121 vise, permette di inquadrare e comprendere meglio anche la produzione letteraria diGoldoni. Da notare è poi il fatto che S. si sofferma anche sulle incisioni e sulle tec-niche di stampa proprie di quel periodo, agganciando così aspetti specifici dellastoria della pratica professionale – quella grafica – propria dell’indirizzo che gli al-lievi stanno frequentando. Anche attraverso accostamenti di questo genere puòdunque essere arricchita l’esperienza culturale degli allievi.le immagini sono spesso più eloquenti delle parole, custodiscono informa-zioni, narrano eventi, suscitano emozioni. K. (FGita2/324-326), docente di inglesein un cFP del Veneto, le utilizza come stimolo a raccontare di sé, in lingua:ho messo a disposizione dei ragazzi delle immagini di vario genere, prese dai giornali eincollate su un foglio bianco, facendone scegliere una a ciascuno di loro; dovevano os-servarla bene, dire alla classe perché l’avevano scelta e, dopo, descriverla in inglese, uti-lizzando l’elemento grammaticale che stavamo studiando. È stato interessante vederecome ciascuno di loro abbia scelto [...], inconsciamente, qualcosa che lo rappresentava inquel momento; per esempio, il ragazzo che voleva prendere la patente, che sentiva la pa-tente come esigenza, ha preso la foto di una macchina, il ragazzo che, in quel momento,si sentiva un po’ isolato dal resto del gruppo ha preso una pubblicità dove c’era un mani-chino in mezzo a dei giocatori di calcio. ciascuno di loro ha tirato fuori [...] inconscia-mente qualcosa di sé (FGita2/324). [...] Ho fatto descrivere [...] l’immagine [...] ed essi,ovviamente in inglese, hanno descritto [...] quello che vedevano sul foglio e la motiva-zione della loro scelta (FGita2/326).il dispositivo che la nostra docente inventa prevede le seguenti fasi: la predi-sposizione di una serie di immagini ritraenti vari soggetti (realistici, simbolici…),prevalentemente tratte da pubblicità o riviste e pazientemente incollate su dei foglibianchi (accorgimento, questo, che consente un loro eventuale riutilizzo); la collo-cazione delle immagini in una posizione che permette ai ragazzi di girare tra le im-magini e di osservarle attentamente; la consegna di scegliere l’immagine che li col-pisce maggiormente; l’invito a descrivere ai compagni, in inglese, il contenuto del-l’immagine e il motivo della scelta. K. fa l’esperienza che, attraverso questa moda-lità, la comunicazione si fa emotivamente più intensa ed espressiva, ed arriva a ri-velare tratti ed aspetti personali.3.5.3. Proporre un ciclo di filmla visione di un ciclo di film può costituire un’esperienza ricca di notevoli possi-bilità di apprendimento, soprattutto se non ci si limita all’aspetto contenutistico (chetende a tradursi in lettura moralistica) e si allarga lo sguardo sulla specificità del lin-guaggio cinematografico. ce ne parla MG. (intPd2), del cFP di Padova:vediamo un ciclo di sei film; i film che ho scelto quest’anno, a cominciare da: “caterina vain città”33, sono legati a tematiche adolescenziali; si tratta di film sulla realtà giovanile. i ra-gazzi hanno dovuto imparare a leggere anche questo tipo di linguaggio e poi hanno prodottodelle schede [...] di analisi del film. Dopo il film, facciamo un dibattito e loro sono chiamati 33 Film italiano del 2003, diretto da Paolo Virzì. 122 a parlare; per me sono competenze di italiano (intPd2/44) anche quelle richieste dall’analisiattenta di un film, dall’espressione del proprio punto di vista, nell’ambito di un dibattito,dalla scrittura di una scheda (intPd2/46). [...] All’inizio ho dato a tutti delle fotocopie(intPd2/50), [...] sul linguaggio cinematografico in genere […] e poi – questo l’ho fatto fareal Pc – ho inserito nella loro cartella di corso [...] una scheda in formato elettronico, nellaquale dovevano inserire dei dati: regia, attori e poi anche una sintesi, la narrazione(intPd2/52), le sequenze principali, i luoghi, gli ambienti (intPd2/60) e alcune informazionigenerali: titolo, regia, attori, durata, origine. [...] Prima abbiamo visto il film e via via facevocompletare quelle parti di scheda che loro erano in grado comunque di fare; faccio un esem-pio: la trama, i luoghi, gli ambienti; poi, nella discussione, io tenevo in mano la scheda e an-che i ragazzi ce l’avevano e, mano a mano, andavamo a completare la scheda anche duranteil dibattito (intPd2/62). [...] E così metti in archivio la trama, i luoghi, gli ambienti, il sistemadei personaggi, i personaggi principali e quelli secondari, la descrizione dei protagonisti, leposizioni di protagonista e di antagonista e poi gli elementi cinematografici, ad esempio, sesono state fatte delle scelte particolari per quanto riguarda i piani, i campi, poi qualche indi-cazione sulla colonna sonora; poi l’interpretazione, quindi [...] i temi affrontati, i temi prin-cipali, i temi secondari e un commento personale.Allora il ragazzo doveva, in un primo mo-mento, [...] a mano, completare questa parte; poi io ho fatto una prima correzione che si sonotenuti dentro il loro quadernone; alla fine della visione di tutti i film, li ho fatti andare in au-la informatica [...]; hanno trovato su internet tutte [...] le informazioni generali su regia, at-tori, durata e hanno inserito il logo, cioè l’immagine del film, scaricandosi tutti questi ele-menti; dopo di che, [...] andavamo ad inserire quella parte che loro avevano scritto a mano eche io avevo già corretto e valutato; [...] hanno inserito tutto quanto al Pc, hanno stampato leschede e le hanno inserite nel loro portfolio (intPd2/66). (Per fare questo lavoro) ho preso al-cune ore mie di laboratorio e alcune ore dell’insegnante di informatica, perché, in quel pe-riodo, ad esempio, loro non erano così autonomi nella ricerca in internet, nello scaricarsiimmagini (intPd2/68) e (l’insegnante di informatica) è stata di supporto per questo aspetto.A lei è andata bene, perché stava affrontando il discorso di internet: [...] prendere un’imma-gine e copiarla ecc., e […], invece di fare esercizi campati per aria, ha potuto utilizzare que-sta attività (intPd2/70);il percorso che MG (intPd2) propone è attento ad orientare gli allievi versouna comprensione specifica del linguaggio cinematografico. in questo modo, la vi-sione di un ciclo di film può trasformarsi in autentica esperienza estetica e non ri-dursi a pretesto per ricavare dai film significati didascalici ed edificanti. le schedee gli strumenti messi a disposizione dei ragazzi dopo la visione li aiutano ad analiz-zare criticamente il film e a prendere posizione personalmente, a confrontarsi criti-camente con i compagni e l’insegnante34.3.5.4. Utilizzare un video come stimolo per la scrittura personale e la discussioneDei video ben scelti possono essere incorporati nella lezione ed offrire lospunto per esercizi di scrittura. M., formatore a Verona, ritorna su questo in due oc-casioni (intVr7 e FGita3/56) e descrive il suo procedimento per “successivi amplia-menti”: 34 A questo riguardo, è utile segnalare una rubrica che, da circa due anni, il Prof. Alberto Agostitiene sulla rivista “Rassegna cnoS”, in cui propone l’analisi di diversi film che trattano tematicheche hanno a che fare con il mondo del lavoro. 123 con una certa frequenza, utilizzo degli audiovisivi, cassette o DVD, che trovo utili persottolineare alcuni aspetti storici, se stiamo facendo Storia, oppure di attualità, […] chepoi possono diventare spunto per un tema in classe. [...] cerco di individuare quelle che ame sembrano le cose più importanti e che avverto possono essere sentite come tali anchedai ragazzi [...] e da lì cerco di lavorare per successivi ampliamenti. Per esempio, interza, in “Educazione civica”, si fa la parte sui contratti, che è abbastanza ampia: sinda-cati, contratti, busta paga ecc.; su alcuni punti uso degli audiovisivi, ad esempio un videosulla tragedia successa alla Tyssen Group, [...] per approfondire alcuni aspetti; è un modoper marcare in maniera forte alcune cose e ai ragazzi rimane molto impresso (intVr7/2).Solitamente, mi fermo [...] su un punto che considero di particolare importanza, presentoai ragazzi, almeno a livello introduttivo, quello che andremo a vedere, lo vediamo e, seserve, interrompiamo la visione per un breve commento... (intVr7/4). Poi [...] cerco disentire da loro cosa li ha colpiti maggiormente e su questo lavoriamo: prende il via unaspecie di dialogo, un dibattito, che poi, volendo, può essere ripreso [...] attraverso untema in classe. quello che è successo a Verona35, purtroppo, un paio di settimane fa, peresempio, è stato affrontato in questo modo: dovevamo fare un tema in classe con i ra-gazzi di terza; uno dei temi di attualità proposti poteva essere quello e allora abbiamovisto dei filmati su ciò che è avvenuto, anche sui retroscena, [...] sul vuoto nella vita diqueste persone, e da lì è venuto fuori un bel dibattito; i ragazzi sono stati colpiti, non sisono riconosciuti [...] quasi per nulla in come i giovani venivano rappresentati; ne ab-biamo parlato, poi hanno provato a [...] mettere giù un elaborato; ho detto: “ora che ab-biamo riflettuto, provate a mettere giù qualche vostra riflessione scritta”, ho dato un mi-nimo di traccia, di scaletta [...] e li ho lasciati scrivere (intVr7/6);l’argomento scelto è “i diritti dell’uomo”. c’è la possibilità di affrontare questo argo-mento nelle classi prime, agganciandolo con la parte di Storia che riguarda la rivoluzionefrancese […]; con le seconde, l’aggancio si ha con lo studio dell’onU; in terza, […] conil diritto del lavoro o semplicemente […] con altri argomenti di attualità. io affrontoquesto tema in seconda e la cosa si svolge così: lettura di alcune parti della carta dei di-ritti dell’uomo, in particolare di quelle fondamentali, poi visione di un filmato scaricatoda youtube […]. Abbiamo lavorato sulla pena di morte, […] sulla tortura e sui processisenza possibilità di difesa […]. A questo punto, chiedo ai ragazzi di stendere una loro ri-flessione sul filmato che hanno visto, ma soprattutto di evidenziare quei diritti che, se-condo loro, nel mondo e in italia, sono calpestati, di commentarli e poi di leggere il lorotesto ai compagni, presentando loro […] quello che hanno fatto emergere per iscritto. Aquesto punto, apro la discussione e naturalmente cerco di moderare la cosa. Si può an-dare avanti parecchie ore, dipende dai filmati che si decide di vedere, però, l’attività vadalle due alle sei ore. il risultato atteso è far sì che si rendano conto di come in tante partidel mondo, compresa l’italia, questi diritti non vengono rispettati. Per esempio, una voltaè emersa una cosa che mi ha un po’ spiazzato […]: un ragazzo mi ha detto: “Prof, so cheè in corso un processo, qui in italia, per le violenze al G8 di Genova di qualche anno fa”.[…] Gli ho risposto: “Sì è vero, il processo è in corso”. “Possiamo vedere un filmato suquesto?”. Mi ero procurato diversi video sulla morte di carlo Giuliani e sulle violenzealla caserma Diaz, che sono state terribili […]. ne è venuta fuori proprio una discussionee […] la classe si è un po’ divisa, perché c’era chi appoggiava l’azione della polizia e chiinvece diceva: “no, assolutamente […], abbiamo visto come questa sia una cosa assurda;l’italia è finita sull’elenco di Amnesty international, tra i Paesi che utilizzano la tortura. Èuna cosa infame!”. questo fatto mi ha colpito molto, perché i ragazzi si sono attivati e 35 M. si riferisce qui al delitto Tommasoli. cfr. la nota 73. 124 hanno messo in campo un sacco di energie e soprattutto hanno illustrato le loro opinionipersonali ai compagni. Hanno scritto, hanno esposto oralmente e hanno riflettuto su coseche secondo me sono importantissime e hanno imparato a guardare un po’ criticamente[…] la realtà che li circonda. […] la questione era piuttosto scivolosa, perché densa diconnotazioni politiche […]. io ho le mie opinioni su questo, naturalmente, e i ragazzi l’-hanno intuito, però bisogna andarci piano: metto in chiaro da subito che l’aula non è unposto per fare comizi politici e che mi interessa soltanto che non guardino il mondo con iparaocchi e che ragionino sulle cose. Alcuni colleghi mi hanno appoggiato, altri no, nelsenso che mi hanno detto: “Guarda, secondo noi, hai sbagliato: carlo Giuliani era unoche tentava di buttare un estintore dentro una gip dei carabinieri!” e allora è nata una dis-cussione dai toni anche abbastanza accesi anche tra di noi. È stato utile anche questo: ilconfronto diretto con i colleghi su questo e sul fatto che secondo loro non era il caso diparlare di queste cose con i ragazzi di seconda superiore. io non sono d’accordo, l’hofatto e lo farò ancora […] (FGita3/56).Sia nel primo che nel secondo brano, il nostro docente descrive una pratica perlui abituale: l’uso di un video, breve ed opportunamente scelto, per avviare una dis-cussione tematica. È opportuno prestare attenzione alla sequenza di azioni che ildocente, pur con qualche variazione, afferma di mettere in atto: innanzitutto il do-cente stesso seleziona (la rete e youtube in particolare possono essere buone fonti),visiona previamente e prende familiarità con i materiali, per individuarne i punticentrali e i possibili agganci con l’esperienza e gli interessi degli allievi; in alcuneoccasioni, egli fa precedere la visione del video da una breve introduzione, che tal-volta fa ricorso anche a testi e ad altri materiali da analizzare (come nel caso dellalettura di alcune parti della dichiarazione dei diritti dell’uomo); la visione del fil-mato, generalmente breve, può essere integrale o interrotta dall’inserimento diqualche commento che aiuti nella comprensione; alla visione segue generalmenteuna consegna riflessiva individuale: scrivere alcune riflessioni personali sul fil-mato, stendere i pensieri e le emozioni che il film ha suscitato, gli aspetti che mag-giormente hanno colpito; a questo punto, qualche volta il docente invita gli allieviche desiderano a presentare in classe ai compagni le proprie riflessioni; segue ladiscussione moderata dal docente; generalmente, il percorso si conclude con la ri-presa, nell’ambito di un elaborato scritto, dei temi fatti oggetto di discussione.Tutto il processo mira a favorire una sorta di immersione nei problemi affrontati e astimolare il pensiero critico attraverso la discussione che, talvolta, non si limita acoinvolgere i ragazzi e si allarga ai colleghi.3.5.5. Partire dall’ascolto di brani musicaliTalvolta è l’ascolto di brani musicali o l’analisi dei testi di alcune canzoni astimolare la produzione scritta o l’accostamento a testi poetici. È quanto viene nar-rato nei brani che seguono:gradito ai ragazzi è il percorso [...] sulla cultura locale: faccio ascoltare loro dei branimusicali in lingua siciliana; [...] do il testo, ascoltano la musica; del testo fanno la tradu-zione in italiano e ricavano poi gli elementi fondamentali del messaggio di quella can-zone e fanno, come al solito, le considerazioni personali; quindi: riassunto del testo e 125 considerazioni personali. ora, questo lavoro viene fatto sia su testi musicali, di gruppimusicali siciliani, sia su testi di scrittori siciliani […] (intRoma2/14);un’altra attività è proprio prendere il testo di una canzone. Ascoltiamo il testo di una can-zone con la musica, poi io stampo il testo e insieme lo analizziamo; chiaramente deve es-sere un testo che ha un certo spessore; per esempio, per italiano, al secondo anno, lapoesia la posso far esprimere anche attraverso il testo di una canzone e, siccome è unacosa che mi piace, prendo quei testi che per me hanno spessore poetico. cerchiamo dianalizzarli insieme, di capirne il significato. i testi che abbiamo analizzato sono statiSogni grandiosi della Banda Bardot […] (FGita4/9) […] e poi Non diventare grandi maie Scuola di Eugenio Finardi che sono tutte e due canzoni abbastanza impegnative […].Un’altra fortuna che ho, nel centro in cui lavoro, è di avere un collega del settore mecca-nico che, durante il buongiorno, suona. qualche volta magari faccio analizzare […] lacanzone e poi, con questo collega, cantiamo insieme al buongiorno; quindi avviciniamoproprio tutti i ragazzi e questo è un incentivo in più […] (FGita4/13).la canzone, ascoltata e analizzata, diventa stimolo a pensare e talvolta a scri-vere. P. (intRoma2) invita a distinguere, nella scrittura, una parte riferita al testo,che ne propone una sorta di sintesi, e una parte riflessiva, che viene dedicata all’e-spressione di sensazioni e considerazioni personali. A. (FGita4/9-13), che talvolta,con un suo collega, si improvvisa interprete, propone l’ascolto di testi di canzonidallo spessore poetico. nel brano che segue, E. (FGita3/26-28), del cFP di Este(PD), ricorre allo stratagemma di consentire l’utilizzo dell’i-pod durante la stesuradi un tema:un’altra cosa che ho visto essere efficace […] è fare i temi con l’i-pod. Dopo anni di ten-tativi per solleticare la loro fantasia nello sviluppo della capacità di scrivere, ho notato uneffetto molto positivo dell’i-pod, durante la stesura degli elaborati, ossia i temi, ai qualidedico tre ore. Solo in queste ore possono usare la loro musica per trovare stimolo e pro-durre in maniera più proficua. Funziona (FGita3/26). io programmo il tema ogni trime-stre; consegno loro sette o otto tracce; in classe possono tenere il loro i-pod, ad un vo-lume moderato, che non disturbi me o gli altri, e iniziare la stesura del tema. Però sechiedono a me o ad altri insegnanti di usare l’i-pod oltre lo svolgimento, sanno che nonlo consento; l’i-pod serve a loro solo ed esclusivamente come stimolo alla produzione. cisono meccanici che, con questo sistema, da una mezza pagina che riuscivano a scrivere,sono passati a quattro fogli protocollo (FGita3/28).la nostra formatrice constata che concedere di scrivere ascoltando la propria mu-sica fa sì che i suoi ragazzi scrivano di più e meglio. in questo modo, prende atto che iragazzi sono perfettamente in grado di concentrarsi ascoltando la propria musica.3.5.6. Analizzare messaggi pubblicitari per riflettere sul “senso poetico della vita”nel brano che segue, D. (intVr2), che insegna in un percorso professionale pergrafici, racconta di un progetto didattico su “Poesia e pubblicità”, realizzato in col-laborazione con un collega di area tecnico-professionale e connesso con l’analisi dimessaggi pubblicitari. il percorso, agganciando diversi linguaggi, guida verso am-biziosi risultati di apprendimento specifici dell’area disciplinare coinvolta. lo ri-portiamo, anche in questo caso, quasi integralmente: 126 introduco facendo una lezione [...] sul senso della poesia, su che cosa significhi “poesia” esul fatto che bisognerebbe vivere l’esperienza del fare poesia più che insegnarla e chemolto spesso abbiamo bisogno di strumenti per decodificarla. la poesia è molto più [...]di quello che può essere una figura retorica o l’analisi metrica ecc. però, allo stesso tem-po, io voglio che i ragazzi acquisiscano anche questa parte. Per fare questa parte [...] disolito mi avvalgo del libro di testo: partiamo con la lettura di qualche testo poetico, cer-chiamo di analizzarlo insieme; cerco di andare avanti tenendo presenti i due aspetti: l’a-spetto più tecnico – e quindi cerco di fornire loro anche strumenti di analisi metrica, dianalisi di figure retoriche... – e l’aspetto, diciamo, più emozionale, a contatto con la vitadei ragazzi. quindi, ad esempio, riguardo a leopardi: il senso di solitudine, il senso dismarrimento di fronte all’orizzonte, la sofferenza che ha avuto [...], la risposta che ha tro-vato nella poesia, che cosa può dire a noi. oppure, “città vecchia” di Saba, che trova l’in-finito nell’umiltà; o Montale, che dice ai giovani che è ancora possibile fare poesia. cercodi consentire ai ragazzi questo contatto. […] Ho preparato dei documenti, [...] cercando divedere, nell’ambito della pubblicità, […] le figure retoriche e quindi cercando di far capi-re ai ragazzi che la parte più tecnica (l’analisi dei testi poetici) [...], legata alle figure reto-riche, in realtà, è uno strumento di decodifica non soltanto del linguaggio poetico, ma an-che di quello pubblicitario. [...] Ho preparato dei materiali, nei quali c’era una definizionedi “figura retorica” e [...], sull’altro versante, un’immagine pubblicitaria che avevo trova-to [...]; ho proiettato queste cose che poi i ragazzi tenevano come materiale anche con ilmio collega che parlava della pubblicità, delle figure retoriche che vengono utilizzate inpubblicità, dei messaggi che vengono veicolati [...]. con me ci si fermava ad una primaanalisi del testo pubblicitario, invece nel laboratorio grafico si proseguiva anche con l’a-nalisi dei colori, con un dato più tecnico e specifico della materia. questo progetto l’hopoi ripreso in storia – ho cercato dunque di curare anche l’interdisciplinarietà interna allemie due materie –, perché avevo visto anche la nascita del manifesto pubblicitario nellastoria e avevo creato anche qui una piccola dispensa [...] sul linguaggio pubblicitario, sul-la nascita del manifesto pubblicitario a partire dalle prime illustrazioni, dalle prime imma-gini pompeiane [...], per arrivare fino all’ottocento e sostanzialmente fino ai nostri mani-festi, insomma all’età contemporanea. il mio collega, insegnante di tecnologia e progetti-sta grafico, riprendeva anche questi materiali andando poi nello specifico della sua mate-ria, la progettazione grafica. […] il tutto si concludeva con la realizzazione, da parte deiragazzi, di un manifesto pubblicitario “poetico”; c’era quindi la fase finale creativa, moltoimportante per i nostri. questo era un progetto importante, [...] perché legava due aspettidella mia disciplina – l’italiano, la storia e la poesia – con il discorso di decodifica del lin-guaggio contemporaneo (intVr2/8); la rielaborazione più concreta avveniva in laborato-rio, nel senso che dopo, in laboratorio, i ragazzi cercavano di applicare questi strumentianche alla realizzazione finale del loro manifesto. io presentavo questi materiali, poi [...]c’era una prima fase nella quale i ragazzi prendevano appunti, digerivano questi materiali,questi lucidi, e poi [...] avevano una rielaborazione [...] (che) doveva servire per acquisireil senso della metafora [...]. quando poi io continuavo a far vedere le figure retoriche inpoesia, loro sapevano che la metafora era [...] una delle figure più importanti della poesiae si analizzava [...] all’interno della poesia [...]. Molto spesso ponevo delle domande e di-cevo: “Dove possiamo trovare delle metafore?”, “qui troviamo una metafora”, “Vi vienein mente qualche pubblicità o qualche espressione del linguaggio comune dove, secondovoi, si usa una metafora?”. in una seconda fase, lasciavo che fossero loro a fare un po’ l’a-nalisi del testo poetico [...]: leggevamo insieme il testo poetico, poi chiedevo loro dov’erala metafora in quel testo, oppure, se c’erano una similitudine e una metafora; interrogavoi ragazzi e chiedevo perché questa è una similitudine e questa una metafora, che differen-za c’è, oppure che differenza c’è tra analogia, metafora e similitudine: “Potete farmi an- 127 che un esempio tratto dal linguaggio quotidiano, dal linguaggio comune!”, magari anchealla luce dei documenti che avevamo visto durante la lezione precedente. [...] in genere[...], nelle prime lezioni di poesia sono io a guidare la lezione; man mano che andiamoavanti, cerco un coinvolgimento maggiore dei ragazzi: [...] leggo il testo poetico, perchécredo molto anche nella lettura e cerco di fare una lettura particolarmente enfatica, per da-re già il senso del messaggio poetico, poi dopo cerchiamo insieme di fare una parafrasiquindi una decodifica del testo; spendo molte parole anche sul senso della parafrasi, licorreggo se, parafrasando, parlano in terza persona, se cambiano troppo il testo poetico. Apartire dalle lezioni successive, c’è un coinvolgimento maggiore, nel senso che dico: “Do-ve possiamo trovare una metafora? Dove possiamo trovare una similitudine? qual è ilmessaggio?”; poi mi sposto chiaramente non soltanto sul piano formale, ma su un discor-so anche artistico e quindi sul messaggio poetico, non so: “È ancora di attualità la poeticadell’umiltà di Saba? che cosa ci dice, se noi la applicassimo ai nostri giorni? quandoMontale ci dice: “codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vo-gliamo”, come l’applichiamo? Secondo voi, ha ragione o no?” (intVr2/10) […]. cerco in-somma di stimolare quanto più possibile una riflessione e cerco di [...] partire da una ri-flessione più semplice e di andare, se è possibile, più in profondità (intVr2/14), anche sulsenso poetico della vita in generale (intVr2/16). […] Posso fare lavori di tipo diverso: la-vori più semplici, di parafrasi del testo poetico o di commento oppure quesiti sul singolotesto poetico, oppure, in una fase successiva, il confronto fra poesie diverse; [...] (adesempio), abbiamo visto “infinito” di leopardi e “città vecchia” di Saba; che differenzac’è tra il concetto di infinito di leopardi e quello di Saba, che dice: “io ritrovo, passando,l’infinito nell’umiltà”?, oppure: “quanto trovo io il senso di infinito nella mia esistenza?”e quindi cerco anche di stimolarli a fare una riflessione ulteriore. c’è stato un momento incui ho anche pensato di assegnare loro, proprio come compito, la composizione di unapoesia; [...] ho assegnato diversi lavori [...]; vado dalle consegne più semplici su un testopoetico ad un lavoro di riflessione, di confronto [...] tra due poesie diverse, di due epochediverse, di due autori diversi; (stimolo) anche una riflessione sulla propria esistenza, op-pure prendo alcuni versi di un poeta, non necessariamente di uno visto in classe, e cercodi farli commentare a loro (intVr2/26). Per me nella poesia è importantissima questa ri-flessione personale; poi magari, nella fase di correzione, leggo io i testi prodotti e, se nonsono lavori troppo personali, c’è un momento in cui in classe analizziamo insieme anchealcuni di questi lavori, sentiamo quello che hanno fatto (intVr2/28). ci sono classi doveriesco a fare delle belle lezioni, (perché) c’è un coinvolgimento molto forte da parte deiragazzi; […] in generale ho avuto buoni risultati e anche [...] non ho notato grandi diffe-renze tra la componente femminile e la componente maschile, anche se spesso sono le ra-gazze che incominciano a rispondere; però ci sono anche dei ragazzi che vengono coin-volti dal discorso e fanno delle riflessioni interessantissime. […] nelle terze del cFP gra-fico [...] (intVr2/19), è la prima volta che i ragazzi hanno la possibilità di parlare di poe-sia, di approcciarsi ad un testo poetico […]. Sarei poco sincera se dicessi che, dalla primalezione, incominciano a discutere; alla prima lezione sentono la curiosità, il bisogno diparlare, però magari con modalità non proprio tradizionali: non hanno sempre la capacitàdi tradurre in linguaggio corretto questo bisogno, nelle prime fasi. Poi dipende molto an-che dalle classi: ci sono classi nelle quali si lavora veramente bene in questo senso, si rie-sce a ragionare, e classi nelle quali appunto c’è qualcuno che magari inizialmente ha delledifficoltà nel recepire (intVr2/20). Tengo moltissimo a questo aspetto e lo dico anche airagazzi perché, senza la poesia, non avrebbe senso neanche la vita; tengo a sottolinearequesto discorso al di là della figura retorica [...]; quanto abbiamo fatto in classe (sviluppa)il senso di profondità, [...] la capacità di non fermarsi alla superficie delle cose [...](intVr2/22). 128 D. (intVr2) ritiene importante avvicinare gli allievi del cFP alla poesia edesprime la convinzione che la poesia possa risultare “parlante”, arrivare al cuore, sesi creano le condizioni perché nasca un dialogo autentico tra gli allievi e i testi poe-tici e l’incontro con un testo poetico si trasformi così in autentica esperienza. Da unaparte è importante che gli allievi siano messi in grado di acquisire alcuni strumentiessenziali per decodificare i testi poetici (figure retoriche, metrica ecc.). Dall’altra, èimportante che l’accostamento ai testi sia anche “emozionale” e che ciascun allievopossa scorgere un collegamento tra il testo che legge e la propria vita. Entrando nelvivo del percorso su “Poesia e pubblicità”, D. innanzitutto predispone accuratamen-te dei materiali che consentano agli allievi di legare la struttura linguistica della poe-sia a quella della pubblicità, elemento questo che tocca da vicino l’indirizzo forma-tivo che gli allievi stanno seguendo (quello grafico). in questo modo, D. cerca direndere l’accostamento al testo poetico più interessante per i suoi allievi. A partiredai materiali predisposti, D. avvia una lezione dialogata in cui alterna brevi spiega-zioni, letture espressive di alcune poesie e lo stimolo a produrre personali rielabora-zioni e veri e propri testi poetici (perché la poesia si capisce poetando). Gli stimoliriflessivi che l’insegnante propone orientano prima alla decodifica e all’analisi deltesto e si muovono, in un secondo momento, verso livelli sempre più profondi, allaricerca del significato che il testo esprime, ma anche del significato che il testo assu-me per gli allievi (“cosa significa per me?”), fino a far cogliere la poesia comesguardo sul mondo e sulla vita, che aiutando ad andare in profondità (“al di là dellasuperficie delle cose”) ne disvela “il senso poetico”. in aula, poi, alcuni di questi la-vori, una volta visti dall’insegnante, vengono presentati dai singoli allievi al restodella classe. i ragazzi, generalmente rispondono bene e si lasciano coinvolgere.Molti di loro hanno per la prima volta, nel percorso di istruzione e formazione intra-preso, l’occasione di accostare testi poetici. nell’affrontare il tema, D. cerca di rac-cordarsi al lavoro del collega di area pratica, che approfondisce l’aspetto pubblicita-rio dal punto di vista tecnico. inoltre, cerca di accostare il tema da diverse prospetti-ve, anche valorizzando il fatto di insegnare diverse discipline. Da un punto di vistametodologico, è importante notare che il percorso, che dura parecchie ore, si con-clude con un compito operativo: la realizzazione di un manifesto pubblicitario. È unaspetto che approfondiremo più avanti (cfr. i punti 5.3. e 6.). 3.6. Far vivere esperienze teatralil’esperienza del teatro – sia che si viva da spettatori che da attori – è in gradodi coinvolgere, di emozionare, di entusiasmare, ma soprattutto contiene notevolipotenzialità sul versante dell’educazione linguistica. Sono diversi i formatori cheinseriscono esperienze teatrali nel percorso formativo.3.6.1. Andare a teatroPer molti formatori è importante promuovere un incontro significativo tra gliallievi dell’iFP e il mondo del teatro. Per alcuni di loro, la proposta di andare a 129 teatro si è rivelata un jolly che consente di avvicinarsi in modo diverso allalingua:quest’anno li ho portati a teatro; il teatro spagnolo fa (intMe7/67) teatro per ragazzi,quindi tiene a parte dei biglietti con dei prezzi vantaggiosi per i ragazzi [...] (intMe7/69);[...]. li ho portati per alcune commedie di Goldoni, li ho portati a vedere Shakespeare,con l’insegnante di inglese, e loro sono stati entusiasti. È un modo diverso per spiegarecarlo Goldoni: spiegato in classe, con una lezione frontale, Goldoni perde fascino(intMe7/73). [...] loro sono stati entusiasti, perché la maggior parte di loro non era maistata a teatro. Ho detto: “Proviamoci, chissà che...”. infatti l’altro giorno mi hannochiesto se posso portarli alla Fenice: pensa a ragazzi della formazione professionale cheti chiedono di essere portati alla Fenice! (intMe7/77). […] Se devo spiegare carlo Gol-doni (intMe7/239), li porto a teatro (intMe7/241), li porto a vedere una rappresentazioneteatrale; è un modo diverso di fare italiano e questo è ciò che manca a loro: esperienzeche facciano loro trovare motivazione allo studio (intMe7/243); l’hanno persa per varimotivi, perché il percorso scolastico è stato disastroso, perché probabilmente le modalitàerano sbagliate [...] (intMe7/245). quindi provo a giocare il jolly (intMe7/247);una cosa che mi ha davvero entusiasmato è stato l’approccio di due classi, terza elettricae terza termica, verso il mondo del teatro. quando in classe ho cominciato a parlare dicarlo Goldoni e della riforma teatrale, i ragazzi hanno incominciato subito a sbuffare e adirmi che per loro il teatro era “roba da vecchi”. Allora […] ho proposto alle due classidi andare a vedere una rappresentazione teatrale al teatro Verdi di Padova. Subito hannosnobbato l’iniziativa, dicendomi che si sarebbero annoiati, però nessuno di loro era maistato a teatro e io li ho fatti riflettere sul fatto che non si può giudicare una cosa, senzasapere di che cosa si tratti e […] li ho convinti a partecipare all’iniziativa. Abbiamo cosìorganizzato una visita culturale alla città di Padova […]; al mattino abbiamo visitato imonumenti più significativi della città […] e al pomeriggio abbiamo visto la commediagoldoniana L’impresario di Smirne. quando siamo entrati a teatro, i ragazzi sono rimastiesterrefatti: non facevano altro che guardarsi attorno e, quando è iniziata la commedia,tutti erano attentissimi, nessuno fiatava. incredibile, non li riconoscevo! È stata per meuna grande soddisfazione. il giorno dopo, in classe, ho fatto fare una relazione e, per laprima volta, non hanno sbuffato e non mi hanno detto la solita frase: “non so che scri-vere”. Mi hanno anzi detto che è stata una bellissima esperienza […]. la settimana suc-cessiva ho cominciato a parlare di carlo Goldoni e della sua riforma teatrale e tutti sisono dimostrati interessati all’argomento, hanno interagito con me, mi hanno fatto unsacco di domande e hanno fatto riflessioni che mai mi sarei aspettata da loro(FGita3/62).E. (intMe7), formatrice a Mestre, e P. (FGita/62), formatrice a Este (PD), rac-contano esperienze analoghe: accompagnare i loro allievi a teatro (in entrambi icasi, si ha a che fare con Goldoni) si rivela un’occasione ricca di stimoli per ragazzipoco avvezzi alla fruizione di questo tipo di prodotti culturali.3.6.2. Fare teatro in classeSono davvero molti i docenti che utilizzano tecniche teatrali in aula o accom-pagnano i propri allievi ad intraprendere autentiche imprese teatrali. Forse, il mo-tivo di un ricorso così frequente a questo tipo di esperienze sta proprio nel fatto chel’attività teatrale, più di altre, dà forza all’istanza, spesso pronunciata, di rendere i 130 soggetti in apprendimento attori protagonisti del proprio percorso. Alcuni docentiinseriscono elementi teatrali nella normale attività didattica:una cosa che a me diverte molto, mi piace proprio, è il teatro, quindi in classe, per la pre-sentazione personale, cosa che si fa al primo anno, gli faccio, tra virgolette, “l’incontro,scontro” a coppie: devono partire dagli angoli opposti dell’aula e la classe deve stare perforza attenta per vedere dove vanno. Devono sfiorarsi, ma, quasi sempre è uno scontro,nel senso che non vedono l’ora di mettersi alla prova; poi, partendo dal “sorry”, quindidal chiedere scusa, dall’attenzione verso l’altra persona, iniziano tutto un dialogo di pre-sentazione. Praticamente, con questa tecnica del teatro in classe, tutti si divertono e nonc’è nessuno che mi sbagli la differenza tra “sorry e “excuse me” o la presentazione. Honotato che farli muovere, farli recitare in classe serve tantissimo (FGita4/11);penso che anche Dante offra diversi spunti. Ricordo una classe di quest’anno, del corsodi gastronomia: ventotto allievi […] “bollenti”, una classe veramente difficile. Si varcava“la porta dell’inferno”, entrando in una classe così. Sono solita far imparare a memoriaalcuni versi della Divina Commedia. la cosa ha certa presa su di loro, nel senso che, rac-contando una frottola, dico loro che mandare le cose a memoria previene l’Alzheimer; daqualche parte l’ho letto […]. Dopo la spiegazione sulla porta dell’inferno, la lezione suc-cessiva, mi avevano preparato un cartello attaccato sulla porta che è ancora là: “lasciateogni speranza o voi che entrate!”, rivolto agli insegnanti e firmato da ognuno degli allievidella prima gastronomia. […] quel giorno ho chiesto loro di entrare in classe secondol’umore, per capire con chi potevo lavorare più attivamente e con chi invece dovevo an-dare più morbida; qualcuno entrava in classe in ginocchio, qualche altro saltando – ed èstato interrogato sulla lezione precedente –, qualcuno strisciando – e l’ho lasciato inpace –. Poi, sempre con Dante, uso il confessionale: i ragazzi “si confessano” a vicendasu quelli che sono non i peccati, ma le loro predisposizioni e, con gli schemi dell’inferno,del purgatorio e del paradiso, devono collocarsi; devono perciò fare lo sforzo, se nonaltro, di imparare termini come “lussurioso”, “accidioso”… e collocarsi a vicenda all’in-terno dell’inferno, del purgatorio o del paradiso (FGita3/26).K. (FGita4/11), che insegna inglese in un cFP del Veneto, utilizza elementi tea-trali per stimolare competenze linguistiche (il chiedere scusa, le forme di presentazio-ne ecc.), facendo simulare situazioni di incontro/scontro. Anche E. (FGita3/26), cheinsegna italiano a Este (PD), raccontando la sua esperienza con una classe particolar-mente difficile, evidenzia il ricorso ad elementi teatrali: non solo la recita di qualchepasso della Divina commedia, che suggerisce ai ragazzi l’idea di appendere all’in-gresso della loro aula la minacciosa scritta che campeggiava al sommo della porta diingresso dell’inferno dantesco, ma anche l’invito ad entrare in aula mimando il propriostato d’animo o l’utilizzo del “confessionale” (parola che ai ragazzi fa pensare più alGrande Fratello televisivo che ai riti della tradizione cristiana) per indicare la propriacollocazione nella geografia dantesca dell’aldilà.Altri docenti intervistati nominano veri e propri progetti teatrali, distesi nel tempo,che talvolta richiedono anche l’aiuto di risorse specialistiche, esterne al centro:il progetto teatro è nato da un’intuizione e da una serata trascorsa con i miei colleghi e imiei amici […]; siamo andati insieme a vedere uno spettacolo di AA; per quanto fosse fa-moso, non ero mai andata a vedere un suo spettacolo, anche […] perché era in dialetto ve-ronese. Uscendo da teatro, abbiamo fatto questa riflessione: “Però, forse, questa forma di 131 teatro sarebbe adatta anche per i nostri ragazzi!”. inizialmente sembrava una battuta, mapoi, un po’ per la mia testardaggine […] un po’ per quella degli altri miei colleghi, abbia-mo detto: “Perché non fare un tentativo?”. Allora semplicemente abbiamo contattato que-sto regista, ci siamo incontrati un giorno e [...] gli abbiamo chiesto come lavora nellescuole, perché nel frattempo abbiamo scoperto che effettivamente organizzava anche inaltre scuole questi laboratori di teatro; ci è piaciuto il suo modo di lavorare e quindi in tre,il regista, io e M., un mio collega, siamo diventati una piccola squadra e abbiamo cercatodi costruire questo progetto (intVr2/76). il (mio collega) è di area tecnico-laboratoriale,insegna tecnologia, disegno e progettazione grafica, e (l’idea di collaborare) ci è venutanon solo perché c’è una grande sintonia, ma anche perché ci vuole una persona di areateorica, ma anche una persona che sappia gestire tutto l’aspetto artistico, l’aspetto sceno-grafico […]. quindi ci siamo trovati noi tre, abbiamo iniziato a creare questo progetto che[…] prevedeva un incontro settimanale di due ore con i ragazzi e che poi avrebbe portato,alla fine dell’anno scolastico, alla realizzazione di uno spettacolo su un testo inedito, scrit-to dal regista per noi, in base alle esigenze del gruppo e dei ragazzi che partecipavano alcorso. Abbiamo sostenuto il nostro progetto presso il collegio docenti e, fin dall’inizio,abbiamo voluto che fosse aperto a tutti i settori del nostro cFP. [...] (il progetto) è statoapprovato e quindi siamo partiti con l’incontro settimanale, durante il quale si parte dallaprima fase in cui si cura la capacità espositiva, la dizione – senza fare esercizi di dizione,ma abituando i ragazzi a scandire bene le parole, a parlare di fronte al pubblico –, la ge-stualità, insegnando loro che non ci si esprime soltanto con le parole, ma con tutto il cor-po – quindi anche tutto un discorso legato alla prossemica, al tono della voce, allo sguar-do, all’atteggiamento –; poi facciamo un passo successivo che è quello dell’improvvisa-zione, e lì [...] nascono delle cose straordinarie […]. Poi – ma questo è un lavoro che fa, citengo a sottolinearlo, il regista; io e il mio collega abbiamo imparato e cerchiamo di aiu-tarlo [...] – AA comincia a scrivere il testo teatrale che è sempre inedito, ascoltando anchele idee dei ragazzi, e noi iniziamo a lavorare sul testo teatrale. Perché è un’esperienza bel-la per noi insegnanti? Uno perché lavoriamo con i ragazzi al di fuori dell’aula e ci ponia-mo anche noi nella condizione di chi deve imparare: lì non siamo noi gli insegnanti, è AAl’insegnante, il maestro, allora anche noi insegnanti ci rendiamo conto, facendo teatro, didove sbagliamo nella comunicazione, perché magari io punto tutto o gran parte sulla pa-rola e non curo altri aspetti della comunicazione; i ragazzi apprezzano il fatto che ci met-tiamo in discussione e che anche noi siamo degli “allievi” di AA; e poi perché lavoriamoinsieme a loro e li aiutiamo sostanzialmente, aiutiamo sia il regista che loro a costruirequesto progetto (intVr2/78). il primo anno era [...] anche ridicolo vederci, nel senso chepoteva creare anche dell’imbarazzo; noi qualche esercizio lo facciamo effettivamente coni ragazzi, anche perché AA fa anche dei giochi teatrali e nei giochi teatrali ci coinvolge;[...] poi cerchiamo di aiutarlo anche dal punto di vista molto pratico, materiale ecc., ascol-tando e ponendoci anche noi nella condizione, appunto, di chi sta imparando; qualche gio-co teatrale, qualche esercizio lo facciamo anche noi insieme ai ragazzi; poi invece, nellafase più specifica, quando c’è già il copione, noi ci spostiamo sul versante sostanzialmen-te organizzativo, quindi forniamo un supporto concreto nel reperimento di materiali, unaiuto, un sostegno anche ai ragazzi. in questo secondo anno, AA ci ha coinvolti di più, nelsenso che, se lui arrivava in ritardo, eravamo noi ad iniziare il gruppo; […] eravamo noiad iniziare le prove, la scena, e questo è stato molto importante per me, ma anche per ilmio collega, tanto è vero che, qualche volta, sospetto che il regista sia arrivato in ritardoanche di proposito, nel senso che pian piano ci ha voluto coinvolgere anche in manierapiù diretta (intVr2/80). Ho avuto il caso di una ragazza del cFP che era assolutamente ti-mida, timidissima, a livello patologico, che, prima di iniziare teatro, sostanzialmente, nonparlava durante le interrogazioni, che erano più un monologo da parte mia che un dialogo; 132 questa ragazzina, inizialmente, anche a teatro aveva queste difficoltà, soprattutto negliesercizi di improvvisazione; [...] adesso, qualche volta, la devo richiamare perché chiac-chiera e per me questa è una grandissima conquista. Siamo andati in scena due giorni fa elei è stata una delle migliori; [...] prima non parlava, sussurrava; a teatro, sul palcoscenico,tira fuori la voce. Un’altra ragazza, che so che ha avuto delle sofferenze, un vissuto un po’così, riesce a tirar fuori una grinta straordinaria sul palcoscenico. Ho notato che anche iragazzi più vivaci imparano un principio importantissimo: che non sono gli unici sullascena, che devono collaborare con gli altri; [...] uno, in particolare, ha imparato a lavorarein coppia con altri, perché in teatro c’è anche l’esigenza di lavorare in sintonia, in coppia,e questo ragazzo, che ha un carattere difficile da gestire, ha imparato a collaborare con glialtri, ha imparato che non può essere sempre lui il protagonista della scena; questo è im-portantissimo. con una mia classe, nella quale ho due ragazzi coinvolti, ho fatto anche unpassaggio successivo: abbiamo letto insieme, in classe, l’opera, e abbiamo letto anche “lalocandiera” di Goldoni; allora ho coinvolto i miei due “attori” nella lettura espressiva diquesti testi e anche il resto della classe si è incuriosito e ha fatto domande; abbiamo dis-cusso anche del testo di Goldoni, abbiamo detto appunto: “Guardate quale straordinariaforza espressiva ha, perché qua non siamo in teatro, siamo in classe, non abbiamo unascenografia, niente, soltanto quella voce e soprattutto, grazie al testo di Goldoni riusciamoad intuire la fortissima carica espressiva dei personaggi, del testo in generale”(intVr2/82). quest’anno (abbiamo coinvolto nel progetto) 21 ragazzi provenienti preva-lentemente dal settore grafico del cFP; [...] alcuni allievi del settore meccanico sono staticoinvolti non tanto come attori; si sono prestati – e questo è stato molto bello – per aiutar-ci a costruire la scenografia (intVr2/84);il laboratorio [...] più impegnativo è quello di teatro, perché i ragazzi si suddividono; sisvolge con le quattro classi prime; lavorano nelle stesse ore e si mescolano. Allora, c’è uninsegnante che segue gli scenografi, un insegnante che segue i costumisti ecc.; abbiamoanche una regista di professione […], una figura esterna che viene per seguire gli attori, epoi un’altra figura esterna, l’insegnante di danza, che viene a preparare i ballerini [...]. Al-lora, c’è questo lavoro di gruppi (intPd3/138) [...] mescolati tra classi prime, per poi arri-vare alla festa di fine anno. quest’anno abbiamo avuto [...] come tema la multiculturalitàe quindi è stato fatto uno spettacolo che considerasse vari aspetti della vita – la scuola, ilmatrimonio, [...] l’infanzia... –, secondo le varie culture presenti nel nostro centro(intPd3/140). il titolo era “il giardino del mondo”, ma l’abbiamo scritto noi; cioè, l’inten-to era che la scrivessero i ragazzi; in effetti il testo l’hanno scritto i ragazzi, però con mol-to aiuto nostro (intPd3/142); [...] poi c’era un lavoro di applicazioni informatiche, perchéal computer hanno fatto l’invito per i genitori e anche il biglietto di sala, e poi [...], adesempio, la parte di scenografia; lì [...] abbiamo disegnato e dipinto; è una cosa che esulaun po’ da quelle che sono le varie discipline. Sicuramente, [...] in un laboratorio di questogenere, [...] emerge la capacità di delegare, di saper assumersi dei ruoli, per cui, se io oggidisegno questa cosa, tu poi la dipingi, per fare un esempio concreto […]. in effetti, alla fi-ne, sebbene il lavoro sia immane, si crea [...] molto clima di gruppo e, secondo me, è unacosa molto bella questa (intPd3/146); [...] la regista li ha seguiti durante le ore che io e lealtre colleghe avevamo in programma per il laboratorio; veniva la regista, lavorava congli attori e curava, logicamente, la mimica, un [...] minimo di dizione ecc. (intPd3/148);la visita didattica era stata organizzata per le prime e le seconde degli operatori puntovendita nella città di Mantova. Vicino alla città, c’è un outlet Village e l’obiettivo princi-pale era proprio la visita a quest’ultimo, approfittando anche della disponibilità, da partedel responsabile marketing della struttura, di intrattenersi un po’ di tempo con i ragazzi ele ragazze. Pensai […] di coinvolgere le classi anche in un’iniziativa diversa su “Man-tova e il suo poeta”. Mai e poi mai avrei potuto fare una lezione su Virgilio, ma farla fare 133 a loro forse sì. Preparai dodici riassunti dei dodici libri dell’Eneide, feci una breve bio-grafia sul poeta Virgilio e affrontai la classe. Ad ogni allievo consegnai una parte del ri-assunto, in modo che tutti potessero partecipare. il loro compito era di impararlo e poi direcitarlo. Ad un’allieva consegnai la biografia. in questo modo, tutti avrebbero cono-sciuto i dodici libri. Preparai poi la scenografia, con una cornice e qualche alloro; i mieiragazzi diventarono attori e recitarono. Ripresi tutto con la videocamera, feci un mon-taggio con effetti speciali e poi regalai ai ragazzi il video. il rivedersi li imbarazzò moltodi più del recitare in sé. Parlammo della comunicazione non verbale, degli atteggiamentie molto anche di Virgilio. loro avevano costruito la lezione. quando arrivammo a Man-tova, si sentivano un po’ più amici del grande poeta (FGita3/8). l’attività dei ragazzi èdurata due ore, un’ora per la preparazione e un’ora per rivedere il video, la mia è duratacirca tre, considerando il tempo a casa, per il montaggio! (FGita3/12). […] Scopo princi-pale della visita era conoscere l’outlet Village, che è un centro commerciale moltogrande […], vicino a Mantova. Poi, una collega ha predisposto una presentazione storica,in power point, con documenti dal punto di vista architettonico; io invece avevo il com-pito di preparare la visita dal punto di vista letterario, e chiaramente, a Mantova, non sipoteva non parlare di Virgilio (FGita3/15);ho fatto questa esperienza con il gruppo dei meccanici di terza […]; erano quattordici al-lievi. Ho spiegato loro L’Orlando furioso e, dopo alcune lezioni in cui li coinvolgevo nel-la magia del racconto, tra anelli che rendono invisibili, fontane del disamore, amori tracristiani e mori, saraceni, li ho messi in campo nel vero senso della parola, in quanto, ar-mati di scopettoni, alias spade, luna costruita con cartoncino bianco, boccetta di profumo,senno di orlando, siamo scesi in cortile e in campo erboso a simulare la battaglia tra sara-ceni e cristiani, la fuga di Angelica (tra parentesi, un meccanico biondo) e la follia di or-lando (tra parentesi, un allievo aveva disegnato per terra un cuore con le iniziali di Ange-lica e Medoro e lo pseudo orlando ha simulato di diventare pazzo, urlando). io facevo laregista, filmavo la scena, trattenendo le risate e l’entusiasmo, vedendoli pieni di caricapropositiva; l’apoteosi c’è stata quando un ragazzo e un suo compagno, Astolfo, hannomesso in moto, come se fosse un vero scooter, l’ippogrifo, che altri non era che un altroragazzo dei meccanici, tarchiatello e corpulento, che li ha portati in groppa sulla luna dicartoncino, a recuperare tra le valli, che erano l’orto coltivato da un salesiano, il sennoperduto dall’eroe cristiano. il video è ancora al centro ed è rimasto una pietra miliare diquello che i ragazzi hanno saputo regalarmi e regalarsi […]. È stato divertente, molto di-vertente (FGita3/24).il progetto teatrale coinvolge un gruppo di ragazzi di diversi settori, si distendelungo tutto l’anno, prevede un’articolazione in fasi e si conclude con uno spettacolopubblico. il racconto di D. (intVr2) è particolarmente interessante anche perché illu-stra il modo in cui nasce l’idea di realizzare il laboratorio: la serata tra amici, il pen-siero agli allievi che fa capolino anche quando non si è a scuola, l’intuizione cheforse qualcosa del genere sarebbe possibile realizzarlo anche con loro, l’esplorazio-ne delle condizioni, la costituzione di una squadra che avesse il necessario affiata-mento e potesse sostenere il progetto anche di fronte agli altri colleghi. il laboratorioteatrale prende forma, i ragazzi partecipano sia alle attività preliminari (gli esercizisulla dizione e la gestualità, gli esercizi di improvvisazione ecc.), sia alla fase ideati-va del testo da rappresentare. c’è un coinvolgimento attivo anche nella fase di alle-stimento dello spettacolo (realizzazione dei costumi e delle scenografie ecc.). la si-tuazione esterna al percorso normale consente la costruzione di un rapporto diverso, 36 Su questo possiamo rimandare anche all’utile e dissacrante lavoro di De Benedetti, che af-ferma ad esempio quanto segue: «così come il libretto di istruzioni di un’automobile spiega come è 134 più autentico, tra insegnanti ed allievi. Gli effetti si vedono, sia nel cambiamentoche interessa i diretti partecipanti (i più timidi imparano ad esprimersi in pubblico, ipiù estroversi a contenersi ecc.), sia nella ricaduta che l’attività ha poi sulle classi: iragazzi direttamente coinvolti nel progetto vengono mobilitati come “esperti” anchenell’accostamento ad altri testi, suscitano curiosità nei compagni, aiutano ad intuirela forza espressiva dei testi. Anche n. (intPd3) racconta un progetto di laboratorioteatrale che questa volta coinvolge tutti i gruppi del primo anno di corso, che costi-tuiscono degli intergruppi, si distribuiscono i compiti e realizzano uno spettacolo fi-nale, valorizzando le competenze di ciascuno e tirando fuori il meglio di sé. P. (FGi-ta3/8-15), approfittando di una visita a Mantova, organizza una recita sui libri del-l’Eneide, per aiutare i propri allievi a diventare amici del grande poeta, oltre che aconoscersi meglio e ad imparare ad esprimersi. E. (FGita3/24) propone invece unaccostamento teatrale all’Orlando furioso, dopo averli coinvolti nella magia del rac-conto dell’Ariosto. Entrambe le docenti utilizzano poi la videoripresa per tenere me-moria dell’esperienza e consentire agli allievi di rivedersi. non si tratta di camuffarei testi o di renderli spiritosi e divertenti, ma di avvicinarli in modo fisico, concreto,sensibile e di appropriarsi delle loro storie facendole rivivere. 3.7. Far riflettere sulla lingua d’uso (la grammatica)la priorità data all’esperienza sulla spiegazione caratterizza anche l’approcciodei nostri docenti all’insegnamento della lingua ad allievi generalmente refrattariverso tutto ciò che implica una qualche forma di astrazione concettuale. la linguaha a che fare con tutte le contingenze della vita, da quelle quotidiane a quelle legateai contesti di lavoro. Essa inoltre è il tramite indispensabile per lo studio in ogniambito disciplinare. i percorsi di educazione linguistica nella formazione professio-nale sono dunque prevalentemente orientati a far cogliere le strutture e le conven-zioni grammaticali dentro la lingua che si usa, tenendo conto anche dei cambia-menti che le moderne forme di comunicazione (in primis, gli sms e le altre formeelettroniche di comunicazione) stanno inducendo. Tutto questo si traduce in stimolia descrivere il linguaggio che si utilizza.3.7.1. Rilevare il valore d’uso della linguaPer molti ragazzi della formazione professionale, le parole, più che per le loroforme e modi, importano per il senso di cui si caricano e per i richiami che conser-vano a quello che rimane fuori dalle quattro pareti dell’aula. Allora, per far cogliereai propri allievi il senso di un approfondimento linguistico, i formatori tendono aporre l’accento sul valore d’uso della lingua36, più che su astratte classificazionigrammaticali: 135 fatta la vettura ma non è di nessun aiuto quando si tratta di guidarla, i concetti di soggetto e verbosono utili a spiegare come è fatta la lingua ma non servono a nulla nel momento in cui la lingua bi-sogna usarla. ciò significa che quando formulo un pensiero, scritto o orale che sia, la mia primapreoccupazione deve essere quello che voglio dire, non certo se il soggetto o il verbo siano regolar-mente al loro posto» (De Benedetti, 2009, p. 36). in seconda, in terza, punto anche molto su: “Devi prendere un treno, devi consultare unorario dei treni, come fate a consultare un orario dei treni?” […] (intPd2/104). Ho fattoun’attività in una classe di segreteria: […] ho dato loro in mano tanti strumenti, dagliorari dei treni e degli autobus, ai ricettari, alle enciclopedie, alle guide turistiche; sopra lacattedra ho messo una strage di testi, di tutti i tipi: giornali, quotidiani, riviste, cartine,piantine della città, guide, [...] insomma di tutto e ho detto: “Dovete trovarmi una, due,tre informazioni: devo andare a Milano giovedì e devo prendere.., devo arrivare a quel-l’ora; prendi quello che ti serve da sopra la cattedra e dammi tu l’indicazione, l’informa-zione che ti ho chiesto” (intPd2/204). l’attività è motivante, ma non hai sempre la classeseduta; hai i ragazzi in piedi, che girano per la classe e che cercano gli strumenti che ser-vono loro (intPd2/208). E, se alla fine li trovano, sono contentissimi (intPd2/210);MG (intPd2), ad esempio, punta a far esercitare le abilità di decodifica di di-verse tipologie testuali, in ordine al raggiungimento di uno scopo comunicativopreciso e concreto. Del resto, la lingua è uno strumento trasversale, che in ogni am-bito aiuta a comprendere e a farsi comprendere. Vediamo qualche altro esempio, aquesto riguardo:proprio in questi giorni ho un problema con la collega di matematica, che trova un saccodi errori di ortografia e dice: “Sono stufa! i ragazzi dicono: ‘è matematica, non è ita-liano!’...”. Allora ho dovuto intervenire e spiegare ai ragazzi che un conto è la materia“italiano”, un conto è la lingua italiana e che la lingua italiana serve per tutte le materie,non soltanto quando scriviamo i temi. “Ma quando scriviamo i temi stiamo più attenti!”,dicono i ragazzi (intVr4/40); [...] loro vedono la lingua come una materia a sé stante; ècome se, non so, il compito di matematica per loro non avesse a che fare con la linguaitaliana [...]. questo capita anche perché noi immaginiamo la scuola, le materie, comecompartimenti stagni, ciascuno a sé stante (intVr4/42);abbiamo Simulimpresa qui a scuola (intPd2/152). Praticamente è un’aula nella quale cisono tutti i vari uffici di un’azienda che si chiama Stafila, e i ragazzi simulano il lavoro,dei vari uffici (intPd2/154). c’è la segreteria, c’è l’ufficio amministrazione, c’è l’ufficiomarketing, l’ufficio vendite, il magazzino, cioè ci sono tutti i vari uffici, e loro, a turno,entrano nei vari uffici e svolgono i vari compiti, mettono in pratica […] le conoscenze ele competenze acquisite; in economia aziendale, per esempio, io devo trattare, in labora-torio, una parte che riguarda l’impresa, e allora capita che loro dicano: “Ma lei, prof, è diitaliano? come mai ci fa questo corso sull’impresa?”; e io rispondo: “Ragazzi, è vero,non ho una laurea in economia, però mi sono presa il vostro testo di economia, mi sonofotocopiata il capitolo e me lo sono studiato; è impossibile che un’insegnante di italianocapisca che cos’è un’impresa?”, “Ah no, è vero.., però… lei è di italiano!” […](intPd2/156). Ho studiato e […] qui ho una tabella – uso molto le tabelle – e una schedae, mano a mano che spiego, se do una definizione di “imprenditore”, gliela leggo cosìcome è scritta nel codice, però dopo la dovrò tradurre (intPd2/158). […] Voglio far ca-pire loro che veramente l’italiano è un mezzo attraverso il quale tu interpreti la realtà(intPd2/160), anche se è si tratta di una realtà […] sconosciuta; se hai gli strumenti 136 adatti, riesci a capire qualsiasi cosa e, se questi strumenti non li hai, te li puoi procurare...(intPd2/162), te li puoi creare, li puoi acquisire […]. io dico […]: “Ragazzi, quando voisapete leggere e capire quello che leggete, potete capire qualsiasi cosa, se lo volete, ov-viamente, se avete la volontà di acquisire questa conoscenza nuova e sapete usare glistrumenti che vi possono aiutare a capirla” (intPd2/164).c. (intVr4) si trova impegnato a spiegare ai suoi allievi che la lingua italiana haa che fare con tutte le discipline, matematica compresa, e MG. (intPd2), ancora unavolta, fa sperimentare ai suoi allievi che una buona padronanza nella lingua consen-te di esplorare i diversi territori del sapere. Entrambi sono impegnati a superare ri-gidi steccati disciplinari. l’idea di rilevare il valore d’uso della lingua, senza dimen-ticare l’esigenza di correttezza, ma orientando quest’ultima, appunto, all’uso comu-nicativo della lingua, è ben espressa anche da E. (intVr5), insegnante di inglese:partendo dal presupposto che il fine dell’insegnamento [...] della lingua straniera è essen-zialmente comunicativo, che senso avrebbe studiare la lingua come puro studio [...] di fe-nomeni linguistici, quando poi non riuscissi ad utilizzare la lingua ai vari livelli? […]. inquesto contesto, ad esempio, [...] avrebbe poco senso. quindi quello che faccio lo facciopuntando [...] all’uso della lingua come strumento di comunicazione: è questo l’obiettivofondamentale. Allora, ad esempio, parto con l’ascolto di un dialogo che introduce unaunit, oppure [...] dalla lettura e dall’analisi di un brano [...], dove sono contestualizzatideterminati aspetti grammaticali. [...] Si fa uno studio della grammatica e del lessico noncome attività isolate, ma come attività orientate [...] a fini comunicativi. cioè, il fatto cheio sappia che devo usare l’ausiliare nella forma interrogativa – do, does, did – oppure cheil present continuous ha la forma progressiva con il verbo essere e la forma in -ing mi stabene, però, se [...] queste conoscenze sono avulse dall’aspetto comunicativo e funzionale,la cosa serve a ben poco. [...] il lavoro che si fa [...], se si tratta di prime o di seconde, èad esempio chiedere le caratteristiche fisiche di una persona, saper rispondere a questadomanda, saper fare un’offerta, saper fare una richiesta utilizzando funzioni comunica-tive che siano anche utilizzabili in situazioni tipo; parlo del bar, del ristorante, della sta-zione; quindi, ci si focalizza sulla capacità di interloquire, di comunicare. Si parte daquesto, poi naturalmente il tutto viene sfruttato con domande e risposte sul contenuto deldialogo o del brano che si è utilizzato; si fa un’ulteriore lavoro riprendendo con esempidiversi a quello che era stato presentato nel brano. Faccio un esempio: se nel brano [...],attraverso un dialogo, parlano, non so, i componenti di una band, [...] si parla delle carat-teristiche fisiche di queste persone, del loro carattere, poi il tutto viene ripreso esten-dendo la cosa ad altri soggetti; può essere un componente della famiglia, può essere unamico, possono essere tutte queste cose. Ecco, il lavoro che viene fatto è inizialmenteorale; poi naturalmente si passa alla pratica scritta, tenendo presente comunque [...] chequello che prevale è l’aspetto comunicativo, con attenzione, ovviamente, alla correttezzadel tutto, ma tenendo presente che è opportuno e doveroso abitare entrambe le case: lacasa della comunicazione e la casa della correttezza, nel senso che il tutto non può pre-scindere da una acquisizione completa di quelle che sono le strutture grammaticali –perché è fondamentale –, però [...] poi è essenziale saper utilizzare la lingua. questo èper fare in modo che le strutture grammaticali, l’impianto, lo scheletro della lingua, siaacquisito nel miglior modo possibile; è dimostrato ad esempio che chi ha imparato lalingua per strada – si parla di emigranti nostri che sono andati a lavorare all’estero, adesempio in Germania, e che non hanno seguito un corso di lingua tedesca –, una voltaconcluso il periodo lavorativo all’estero, tornati in italia, dopo anni, tendono a dimenti-care completamente la lingua appresa; rimane qualcosa ma è ben poco; chi invece ha ac- 137 quisito conoscenze strutturali sulla lingua […] la conserva, magari dimenticando dei vo-caboli, però riuscendo a cavarsela; questo è fondamentale, però, ripeto, lo studio dellagrammatica e del lessico va sempre orientato ai fini dell’esecuzione (intVr5/15).Più che una rinuncia alla grammatica, possiamo dire che i nostri formatori pra-ticano la ricerca di un’altra via alla grammatica e allo studio della lingua, che nonpassi per forza attraverso l’analisi logica tradizionale. imparare a descrivere lalingua che si usa smette di essere un esercizio solo scolastico e comincia a dare ri-sultati operativi, fornendo quell’intelaiatura che consente di inquadrare e utilizzarein modo duraturo ciò che si apprende.3.7.2. Accompagnare percorsi di meta-riflessione sulla lingual’accostamento alla grammatica risulta in genere piuttosto difficile. È vero chela grammatica serve a comprendere come funziona una lingua e a sviluppare capa-cità riflessive e che, come dice c. (intVr4) nel brano che segue, gli “ingranaggi”del pensiero vanno oliati ma, se la riflessione è fine a se stessa, è come un motoreche gira a vuoto:la grammatica italiana risulta un pochino difficile, perché lì si tende ad accentuare l’a-spetto teorico, più che la pratica, quindi i ragazzi qualche volta fanno fatica (intVr4/4);c’è una parte più squisitamente grammaticale che ai ragazzi risulta un po’ pesante, un po’noiosa – mi rendo conto – anche perché li costringe un pochino a ragionare, a riflettere. inostri ragazzi fanno molta fatica a riflettere; io dico sempre: “non è che non abbiate latesta, [...] ma avete delle ragnatele dentro, non siete più abituati ad usarla. Bisogna oliareun po’ gli ingranaggi”; [...] devono riflettere sulla lingua che usano tutti i giorni, [...] cosache poi si ripercuote sulla scrittura e sul [...] parlato [...] (intVr4/38).i docenti intervistati si rendono conto che un’eccessiva insistenza su astratteoperazioni di analisi grammaticale, logica o del periodo andrebbe a detrimento diun’attività ben più importante, come la riflessione metalinguistica. la grammaticaal cFP diventa perciò sostanzialmente una meta-riflessione sulla lingua d’uso, apartire da testi e non da sterili classificazioni o da elementi astratti, quali possonoessere le singole parti del discorso37. Su questo i docenti sono praticamente una-nimi. Vediamo qui di seguito alcuni esempi: 37 quanto possa essere sterile un certo tipo di grammatica, in ogni ordine di scuola, è bene illu-strato, da Andrea De Benedetti, ad esempio, riguardo all’analisi logica che: «mescola un po’ tutto in-sieme, sintassi e semantica, funzioni e significati, proponendo una tassonomia dei complementi tantoimponente e prolissa quanto fine a sé stessa. Se avete ancora a casa la grammatica che usavate alle me-die o avete figli in età scolare, vi consiglio di andare a contare il numero di complementi che vi sonoelencati. Fatto? Scommetto che non ne avete trovati meno di quaranta e sono sicuro che non manche-ranno […] il complemento di colpa e quello di pena, quello di abbondanza e quello di privazione, quel-lo aggiuntivo e quello eccettuativo. non mi costa nulla ammettere che io per primo faccio molta faticaa riconoscerli, e anche quando ci riesco mi capita di chiedermi a che cosa serve distinguere un comple-mento di materia da un complemento di specificazione o un complemento di misura da un comple-mento di estensione […]. come non scorgere in tutto questo un’inutile – e a tratti perversa – frenesiaclassificatoria da parte dei compilatori di manuali scolastici, che sminuzzano la lingua con la stessapassione e la stessa pignoleria dei vivisettori più sadici?» (De Benedetti, 2009, pp. 146-148). 138 la grammatica io la tratto sui testi; [...] non insegniamo una grammatica fine a se stessa,quindi “oggi trattiamo i verbi ausiliari” (intMe7/317); non lo facciamo perché è fine a sestessa; allora, quando vado a correggere le relazioni tecniche, dico ad esempio, vediamole ‘ha’ con l’acca e le ‘a’ senza l’acca (intMe7/319); parto da quello per spiegare la gram-matica; [...] mi sembra che, facendo così, l’approccio alla grammatica sia […](intMe7/321) più semplice e più efficace (intMe7/323);leggo delle frasi (intMe4/90), salto il connettivo [...] e dico: “Secondo voi è possibile chequeste frasi siano collegate? Da dove lo capite?”. lo scrivo alla lavagna, riporto le due frasia distanza, lasciando i puntini di mezzo e invito loro a cercare di individuare il connettivo sultesto. Ecco, questo per quanto riguarda il lavoro sintattico-lessicale (intMe4/94).per quanto riguarda […] lo studio della grammatica, siccome, anche confrontandoci tracolleghi, ci siamo resi conto che far studiare la grammatica così come l’abbiamo studiatanoi alle elementari e alle medie – “Studia tutte le coniugazioni dei verbi, studia tutti i pro-nomi e gli aggettivi, ecc.!” –, per l’utenza che arriva qui, [...] è una cosa che sa di sterilità,cerchiamo di partire, non dico dalla vita concreta – perché, insomma partire dalla situa-zione concreta per studiare grammatica [...] non è così semplice – ma magari dall’esem-pio, anziché dalla regola; [...] cerchiamo di partire da una frase che abbia un contesto a lo-ro noto, anziché iniziare con la definizione di pronome ecc. (intPd3/12). Ad esempio, [...]se devo spiegare il verbo, [...] è logico che, se io entro in classe e dico: “oggi, ragazzi, vispiego il verbo!”, loro dicano: “oh, ma dobbiamo studiarli? Dobbiamo fare la gara suiverbi? ci fai il compito sui verbi? Dobbiamo imparare tutte le coniugazioni?”; del restohanno questo retaggio di quando, alle elementari e alle medie, dovevano studiare i verbiproprio a raffica, mentre a noi, alla fine [...], interessa che sappiano distinguere un predi-cato da un soggetto. Allora, che ne so, scrivo alla lavagna la frase: “ieri ho incontrato ilmio amico Marco che andava in centro a bere lo spritz”; già quando sentono la parola“spritz”, si attivano (intPd3/18); magari chiedo: “quali sono le parole che, in questa frase,individuano l’azione che Marco sta compiendo o che il soggetto sta compiendo?”, alloraloro le sanno individuare (intPd3/20) […]; si tratta di fare costantemente riferimento allaloro vita, [...] anche semplicemente a partire dalla frase che utilizzo per l’esempio, cercan-do una frase che rientri nella loro esperienza e riflettendo su di essa (intPd3/152);[...] uno degli argomenti più ostici è sicuramente la grammatica; normalmente [...] sifanno le parti del discorso, l’analisi logica e l’analisi del periodo. Allora io [...], siccomequesta cosa non ha molto successo, provo [...] a fare un lavoro diverso, pensando a unacosa che diceva Dewey: che bisogna partire dalle cose che si incontrano nella vita con-creta e l’analisi farla solo se serve, quando serve e al livello a cui serve. Per cui io pen-savo di partire dall’analisi del periodo, vedere i vari tipi di frase subordinata, poi analiz-zare le singole frasi e quindi vedere la questione dei complementi e, in un terzo mo-mento, vedere le singole parole: nomi, verbi ecc. credo che questo potrebbe aiutareanche nel dare motivazione riguardo allo studio dell’italiano: [...] partire dalle frasi interesignifica partire da testi; partire da testi significa che si può trovare un aggancio mag-giore tra lo studio della lingua e le attività che si fanno in qualsiasi altra materia, perché[...] va bene un testo tecnico, [...] un testo che affronta un’altra materia, ad esempio,anche un testo costituzionale; lavorare in questo modo può far vivere lo studio dell’ita-liano, a mio avviso, come una riflessione sulla lingua [...] intesa come strumento che siusa poi universalmente [...] (FGita1/174); [...] a me sembra che studiare l’italiano par-tendo dai “mattoncini” delle parole, quindi vedendo cos’è il nome, cos’è l’aggettivo,cos’è il verbo ecc., e poi attaccandoli insieme e costruendo la frase, [...] sia un lavoromolto astratto; normalmente non si ha a che fare con il nome o con il verbo, si ha a chefare con una frase; noi conversiamo usando frasi. Allora, più che montare le frasi, bi- 139 sogna smontare i testi scritti e orali, con cui normalmente si ha a che fare; [...] io credo,spero, voglio provare a vedere se lavorare in questo modo può avere dei risultati più mo-tivanti e anche dare maggiore concretezza allo studio della lingua (FGita1/178); lo studiodell’italiano significa riflettere sulla lingua e non studiare i nomi, i verbi, gli aggettiviecc., sapendo fare una serie di cose molto analitiche, che servono relativamente, rispettoal lavoro (FGita1/180); io intendo lo studio dell’italiano in un cFP come una riflessioneche porti ad una consapevolezza nell’uso della lingua, più che come uno studio dellagrammatica in sé e per sé, che possiamo lasciare ai linguisti [...] (FGita1/182). [...]quando il direttore mi ha chiesto di fare grammatica italiana, ho avuto serissimi pro-blemi, anche perché io non facevo grammatica da venti anni circa, quindi [...] proprionon ricordavo nemmeno il pronome – non sto scherzando – e poi insegnare ai ragazzi lagrammatica non è facile. quindi ho ripreso i libri di testo, li ho ristudiati [...] e poi hofatto grammatica con i ragazzi; dopo quattro mesi, ho capito che, nonostante il mio im-pegno, nonostante la mia presenza, tutte le cose più svariate, le invenzioni..., i ragazzinon capivano praticamente niente di grammatica. Sapevano a memoria i verbi, perché liobbligavo ad impararli. Poi ho cambiato tecnica. io con i ragazzi ogni anno... scelgo untesto di narrativa; lo scelgo io [...], perché l’anno scorso ho fatto scegliere ai ragazzi ehanno scelto […] il libro [...] di Moccia, “Tre metri sopra il cielo” [...]. Allora, che cosafaccio? ogni settimana [...] (FGita1/184) [...] lascio ai ragazzi un capitolo da leggere; lodevono riassumere [...] e poi piglio io il riassunto e lo correggo. il lavoro è molto più im-pegnativo, perché devo correggere 150 riassunti, però il ragazzo si accorge degli errori evi assicuro che, dopo due o tre mesi, il ragazzo non fa più gli stessi errori; [...] certo, nonsapranno che cos’è il soggetto, cos’è il verbo, o lo sapranno per sommi capi, però è inu-tile somministrare a questi ragazzi grammatica in dosi massicce [...]; secondo me questaè un’azione destinata in partenza alla sconfitta; l’ho toccato con le mie mani. quindi,preferisco utilizzare un testo di narrativa. quest’anno abbiamo utilizzato quello di Twain,“le avventure di Huckleberry Finn”, ma […] loro preferiscono “christiane Effe. noi, iragazzi dello zoo di Berlino”, per la droga, il sesso [...] (FGita1/186).E. (intMe7) guida i suoi allievi a riflettere sulle relazioni tecniche che scri-vono, ad individuare eventuali errori, a comprendere le caratteristiche delle formecorrette. S. (intMe4) propone ai suoi allievi di lavorare a partire da testi e frasi sucui sia possibile ragionare. Anche n. (intPd3) ha imparato che è importante partireda testi e non da definizioni e che i testi funzionano meglio se sono legati all’espe-rienza degli allievi. M. (FGita1/178-186), richiamandosi esplicitamente a JohnDewey, sottolinea l’importanza di partire dal periodo, anziché da singoli elementiscomposti e dunque astratti da un contesto discorsivo. inoltre, egli ritiene che, aifini dell’educazione ad un uso corretto della lingua, sia più utile la pratica del rias-sunto e della successiva riflessione su eventuali errori, che non un accostamentoastratto a singoli elementi. lo scopo infatti è insegnare ad esprimersi corretta-mente, non formare dei linguisti di professione! Almeno questo è quanto M. e glialtri formatori hanno imparato nella loro esperienza. Ma su questo è d’accordoanche un linguista come luca Serianni, quando, a proposito di grammatica ascuola, afferma: «la parte propriamente teorica, tanto nelle grammatiche per lascuola media quanto in quelle per il biennio […], è poco utile per far riflettere sullalingua, perché veicola classificazioni di debole capacità esplicativa, o addirittura ri-calcate sulla sintassi latina e costrette a forza sul letto di Procuste della grammatica 140 di una lingua strutturalmente del tutto diversa, seppur derivata da quella» (Serianni,2010, p. 69). l’obiettivo, infatti, è comprendere le strutture linguistiche soggiacentiai testi, non «classificare materiali inerti entro una griglia immutabile» (ibid.,p. 71).3.7.3. Orientare ad una esplorazione autonoma del libro di grammaticaRaramente i libri di grammatica sono davvero utili e molto spesso gli esempiche portano sono poco plausibili. MG. (intPd2) esprime tutta la sua difficoltà di farapprendere le strutture grammaticali della lingua:le Uda dove con i ragazzi incontro più difficoltà sono quelle legate alla grammatica [...],alla sintassi della lingua italiana, che con i ragazzi del cFP è tanto difficile da affrontare.Diciamo, io dedico a questo 20 ore circa [...], però vedo che sono un po’ sprecate [...],perché, se le strutture sintattico-grammaticali non sono acquisite entro i primi dieci annidi vita, a 14, 15, 16, a volte 17 anni [...], (intPd2/28) diventa molto difficile acquisirle, al-meno seguendo un approccio di tipo deduttivo, cioè a partire dalla regola, per poi andaread applicare questa regola su un testo, su una frase, su un esercizio (intPd2/30). Però nonvoglio arrendermi, [...] non è che sia afflitta, [...] che dica: “Ah, boh, lasciamo perdere,tanto ormai non posso recuperare niente!”. io comunque continuo (intPd2/32). […] conquesti ragazzi non puoi partire dall’approccio che i nostri testi ci danno: “il nome – ma-schile, femminile, singolare, plurale –, gli aggettivi, gli avverbi…”; la grammatica o, inseconda, l’analisi logica o, in terza, l’analisi del periodo, per loro è una cosa da extrater-restri (intPd2/76). Ecco, con un modello molto semplice, io ho dato loro una tabella, li hofatti lavorare in gruppo, anche perché, se mi mettevo io a spiegare l’articolo, il nomeecc., questi, [...] dopo trenta secondi […] (intPd2/78), erano già da un’altra parte. Allorafaccio lavorare loro con il testo in mano; ho dato loro una tabella [...] e ho detto: “Guar-date, ragazzi, voi dovete completarmi questa tabella, scrivendomi, [...] una definizione diarticolo, e in quest’altra [...] casella, i vari tipi di articolo”. (intPd2/80). Allora che cos’èun articolo, con una definizione e gli esempi; che cos’è un nome; cos’è un aggettivo;cos’è un pronome e cos’è un verbo (intPd2/96); [...] anche il fatto stesso di andare all’in-terno di un testo a reperire [...] l’informazione che serve è molto utile per i nostri ragazzi(intPd2/98); (il lavoro è) più dinamico: “Prof, dove trovo l’aggettivo?”. “Vai all’indice!”.“oh, mamma, che cos’è l’indice?”. Allora imparano a consultare, imparano che in ognilibro c’è un indice e che, a partire dall’indice... (intPd2/100), ti puoi orientare, vai allapagina e trovi l’informazione che ti serve. Per me questo lavoro, serve anche ad aprire unpo’ la mente... (intPd2/102). […] con questa attività loro hanno dovuto anche impararead usare il loro testo per reperire informazioni [...]; una volta che hanno completato, [...]nell’altra colonna, facevano la classificazione: articolo, che tipi di articoli esistono? E viadicendo; il discorso dei verbi… (intPd2/110) e poi “le parti invariabili del discorso”,quindi l’avverbio, la preposizione, la congiunzione e l’interiezione (intPd2/112).MG. non si arrende davanti alle difficoltà dei suoi allievi. Decide di non adot-tare un approccio tradizionale, deduttivo, ma di fornire gli strumenti per una esplo-razione autonoma del testo di grammatica, introducendoli ad una specie di “cacciaal tesoro”, nella quale, a partire da una griglia di elementi da cercare, i soggetti pos-sono imparare a destreggiarsi sul libro di testo e andare là a cercare le informazioniche cercano. Del resto, utilizzando la lingua non è così importante saperne definirei singoli elementi, quanto saperli riconoscere. 141 3.7.4. Guidare all’arricchimento del lessico facendo costruire un personaleglossarioPer i nostri formatori è essenziale contribuire allo sviluppo di competenze les-sicali e semantiche nella lingua italiana. Un lessico povero infatti impedisce dicomprendere la realtà traducendola appunto in linguaggio. Per questo i formatoriorientano i propri allievi a stare sulle parole e a costruire dei glossari personali,come spesso si fa per l’apprendimento di una lingua straniera, con il significato deltermine, i termini collegati (se si tratta di un verbo, anche il sostantivo o gli agget-tivi corrispondenti)38, eventuali sinonimi e contrari, esempi e controesempi:lavoro molto sul lessico, sulla comprensione dei termini, sulla ricerca con il dizionariodel significato dei termini sconosciuti (intPd2/112); [...] questi ragazzi tante volte hannoidee in testa, ma non riescono ad esprimerle, perché non hanno le parole; non hanno pro-prio i termini per esprimere un concetto e non capiscono un banalissimo articolo di gior-nale, perché non conoscono il significato delle parole che sono scritte, e non sto parlandodi editoriali ma di articoli di cronaca, perché in prima affrontiamo questo tipo di testi –[...] (intPd2/114). [...] Se troviamo una parola che non conoscono, cerco di far capire checosa significhi; vedo che non è un lavoro inutile, perché, se loro hanno capito quel pen-siero che abbiamo letto o che è stato comunicato, poi sanno portare avanti un pensiero(intPd5/24). […] Se ho un corso di vendita, gli articoli che propongo ai ragazzi sono le-gati al settore delle vendite, che ne so, il packaging piuttosto che le strategie di marke-ting, oppure [...] faccio loro ricercare, nei siti delle aziende [...], le strategie di marketing,le mission aziendali, e loro imparano i termini e il linguaggio specialistico del loro set-tore (intPd2/118). […] Punto molto sul lessico [...] e faccio fare anche un glossario condelle rubriche, dove loro, mano a mano che trovano un termine nuovo, l’acquisiscono, neimparano il significato e se lo scrivono con tutte le varianti, i contrari e i relativi esempi[...] (intPd2/130);termini che a noi possono risultare assolutamente ovvi non lo sono per tanti ragazzi delnostro centro, e quindi, ecco, […] ho fatto costruire una rubrica con i termini nuovi, chepoi periodicamente anche ritiro, per controllare che [...] questi termini alla fine venganoappuntati; poi ecco, non faccio la classica interrogazione sui termini nuovi, perché altri-menti li imparano a pappagallo, e questa cosa, secondo me, non ha molto senso, però,ecco sono attenta a fare in modo che, nelle mie spiegazioni, comunque, il mio linguaggiosi arricchisca di volta in volta di termini che magari in seguito possono diventare a lorofamiliari [...] (intPd3/24).MG. (intPd2) sente l’esigenza di regalare parole per consentire ai suoi allievidi esprimere le idee che hanno dentro spingendosi oltre le parole abituali e spente.la padronanza del lessico è infatti un passo essenziale per esercitare liberamente ilpensiero, per comprendere la complessità del mondo contemporaneo e per diven-tare soggetti attivi e critici nel confronto politico. Si tratta anche di guadagnare fa-miliarità con i termini, soprattutto quelli astratti, che i ragazzi possono incontrare 38 in termini tecnici, si parla di “parole corradicali” (cfr. Serianni, 2010, pp. 79 sq.), cioè di pa-role che condividono la radice, come ad esempio, “lapidario, lapide, lapidare” o “conscio, co-scienza…” ecc. 142 nella lettura di un articolo di giornale, e con i termini tecnici che si possono incon-trare nell’esercizio della propria professione. Sia MG. che n. (intPd3) invitano, aquesto scopo, i propri allievi a tenere sempre a portata di mano un quadernetto ouna rubrica telefonica, su cui annotare in ordine alfabetico i nuovi termini che in-contrano, i loro significati e alcuni esempi. in questo modo, la ricerca dei significatie la riflessione sulle parole possono trasformarsi in avventure avvincenti. 4. CReARe Le CONdIzIONI PeRCHè SI POSSA LeggeRe e SCRIveRe CON PIACeRe Uno dei compiti fondamentali dei formatori dell’asse dei linguaggi è educarealla lettura e alla comprensione dei testi. Si tratta, come abbiamo visto e vedremo,di qualcosa che ha a che fare con tutti i campi di esperienza, nei quali si incontranovarie tipologie di testo (descrittivo, narrativo, argomentativo, prescrittivo ecc.); maa questo livello si gioca anche la possibilità di un incontro con la letteratura che di-venti autentica esperienza. in questo paragrafo, tra le altre cose, presenteremo le at-tività che i nostri formatori hanno trovato efficaci per creare le condizioni affinchépossano nascere negli allievi il gusto della lettura e una certa attenzione al bello. Èquesto – più che l’approccio storico-letterario – il modo del “fare letteratura” alcFP. il fatto è che, come ci ricorda Armellini, non si può imporre di provare pia-cere nella lettura: «non posso intimare a una ragazza o a un ragazzo: “Prova il pia-cere della lettura!”, “Desidera di leggere un libro!”, “Appassionati per i Promessisposi!”, ed aspettarmi che queste ingiunzioni ottengano l’effetto sperato» (Armel-lini 2008, p. 23). la pragmatica della comunicazione (Watzlawick, Helmik Beavin,Jackson, 1971), infatti, ci insegna che inviti di tal genere costituirebbero “ingiun-zioni paradossali”, del tipo “sii spontaneo!”, alle quali sarebbe impossibile obbe-dire senza, nello stesso tempo, ad esse contravvenire. l’interrogativo che si pon-gono i nostri formatori è allora simile a quello formulato da Rosalba conserva,anche lei insegnante di italiano in percorsi scolastici professionalizzanti: «chefaccio per cambiare le abitudini di questi ragazzi?, di questi, e sono i più, che senon imparano qui non c’è altrove che faccia scoprire loro il piacere di leggere?»(Bagni, conserva, 2005, p. 24). la risposta che possiamo attingere dall’esperienzadi tanti insegnanti (cfr. Armellini, 2008) e da quella dei nostri formatori è che sipossono creare delle condizioni che facilitino lo scoccare dell’interesse e del pia-cere di leggere. “creare le condizioni” significa lavorare indirettamente, coltivandola consapevolezza che non esistono strade che portano a risultati certi, ma anche lasperanza che la letteratura sappia parlare anche ai ragazzi del cFP. Vedremo perciòqui di seguito alcune modalità praticate dai nostri docenti, in particolare la letturaad alta voce, la riflessione su di sé a partire da ciò che si legge, la personalizzazionedel libro. Dato poi che educazione alla lettura ed educazione alla scrittura si intrec-ciano, vedremo in questo paragrafo anche la tecnica di far reinventare e riscrivere ilfinale dei libri letti e altre tecniche di scrittura creativa. 143 4.1. Leggere e far leggere ad alta voce, per gli altriUna prima strategia che alcuni formatori utilizzano per creare condizioni favo-revoli al sorgere del piacere di leggere è l’esperienza di una lettura a voce alta,espressiva, quasi teatrale39, proposta dal docente stesso o fatta fare agli allievi da-vanti ai loro compagni, che aiuti a legare il senso al suono di ciò che si legge:se ci sono vari personaggi, assegno le parti e dico: “Tu fai questo, tu fai quello, tu faiquell’altro…” (intMe7/59), perché ho visto che questo è un modo diverso per coinvol-gerli; altrimenti, dopo 10 minuti, un quarto d’ora, hai perso la classe (intMe7/61). questacosa viene benissimo [...] in seconda, quando affrontiamo Goldoni (intMe7/63) e le suecommedie; lì è veramente teatro, show, perché poi loro entrano nella parte (intMe7/65),si divertono, giocano, scherzano; uno degli argomenti che a loro resta più impresso nellamente è proprio questo (intMe7/67); si tratta di un approccio teatrale, nel senso di unalettura non soltanto testuale, ma anche recitata da parte loro (intMe7/75), assegnando aloro i vari personaggi, le varie parti (intMe7/77);per quanto riguarda la competenza nella lettura, leggiamo insieme [...] un testo di narra-tiva [...]; ecco quest’anno, ad esempio – sono davvero felice di questo –, ho adottato untesto molto vicino alla loro realtà adolescenziale, perché, in “orientamento” – che èun’altra area di cui mi occupo –, parliamo del sé, dei propri punti di forza e di debolezza,e quest’anno abbiamo affrontato il tema dell’adolescenza, con tutti i problemi legati aquesta età; per questo ho scelto un testo di narrativa legato a questo tema. i ragazzi l’-hanno accolto molto bene. lo abbiamo letto in classe; ad ognuno assegnavo il compito dileggere un capitolo per la volta successiva: “Tizio, caio e Sempronio si preparano...”, edi proporre una lettura ad alta voce per i compagni di alcuni passi per loro significativi(intPd2/34). il libro era La linea del traguardo di zanoner, che parla appunto di ragazziadolescenti, di un ragazzo in particolare, che, in conseguenza di un incidente in moto, ri-mane paralizzato, in carrozzina, e quindi cambia tutte le prospettive dalle quali vede lealtre persone e anche la sua vita […] (intPd2/36). [...] È stato uno spunto per fare delle ri-flessioni anche sui valori [...]. la competenza nella lettura non è solamente la compren-sione del testo, che si può ottenere attraverso una lettura silenziosa, ma anche la lettura avoce alta, che […] implica un leggere per altri, che è una cosa diversa dalla lettura fattasolo per se stessi; tutto sommato per loro è stato un lavoro impegnativo, che però ha datoanche felicità. Un ragazzo mi ha detto: “Prof, io non avevo mai letto un libro in vitamia!”, ma come lui erano davvero pochi i lettori, in quella classe. All’inizio dell’anno,faccio sempre alzare la mano e chiedo: “Ragazzi, chi ha letto un libro per intero nella suavita?”, alzano la mano in due, non di più (intPd2/38), i coraggiosi, quelli che hanno il co-raggio di dirlo davanti ai compagni. Un ragazzo, alla fine di questa Uda, mi ha detto:“Guardi, prof, mi sono appassionato alla lettura, ho visto che riesco a leggere un librodall’inizio alla fine e questa cosa mi piace!”. Va beh, ha cominciato a leggere i libri diHarry Potter, ma a me va benissimo, perché comunque è un sogno che uno mi dica:“Prof, non vedo l’ora di mettermi a leggere!” […] (intPd2/40).E. (intMe7), per vivacizzare la lettura di un testo narrativo in aula, assegna aidiversi allievi le parti dei vari personaggi di un brano o di un racconto e propone di 39 Ancora una volta appare l’elemento teatrale, che anche sopra abbiamo visto particolarmentevalorizzato dai nostri formatori. 144 leggere in modo espressivo, curando le pause e l’intonazione. quando i testi sonoquelli teatrali, come nel caso delle commedie di Goldoni, la strategia risulta parti-colarmente efficace e generalmente ottiene di accendere autentici entusiasmi. MG.(intPd2), che ha scelto un libro di narrativa vicino all’esperienza dei propri allievi,chiede loro di preparare la lettura ad alta voce di un brano del libro. Si tratta di farscoprire che leggere per altri – e non solo per sé – può rendere la lettura un’espe-rienza viva. Anziché somministrare schede di analisi, che potrebbero risultare“mortifere” per il gusto di leggere, MG. stimola semplicemente ciascun allievo acondividere con i compagni la lettura di quei passi del libro che l’hanno maggior-mente colpito e che magari ha evidenziato. la consegna è dunque di scegliere queipassi che ciascuno intende leggere ad alta voce ai compagni, che desidera quasi re-galare loro, con la gioia di farli partecipare alle emozioni provate nella lettura.questo ottiene di trasformare allievi generalmente refrattari a qualsiasi testo scrittoin apprendisti lettori e poco importa se i libri a cui rivolgono la loro attenzione nonfanno parte del canone dei classici40. 4.2. Far riflettere su di sé a partire da ciò che si leggeScoprire il piacere di leggere significa scoprire che ci sono pagine che ci leg-gono, che ci rivelano a noi stessi e ci regalano parole per riconoscere vissuti e sen-sazioni. Per questo alcuni formatori, anziché soffermarsi esclusivamente su letture“strutturali” dei testi (l’individuazione delle strutture interne al testo: la trama, ipersonaggi, le caratteristiche della lingua ecc.), orientano gli allievi a cogliere i rap-porti che si istituiscono tra quel testo e loro che lo stanno leggendo:un’altra (chiave) è [...] far capire ai ragazzi che quello che leggiamo può riguardareognuno di loro [...]. chi scrive lo fa per chi legge – sembra banale la cosa, ma non lo è –scrive pensando a qualcuno che legge; non pensa necessariamente a una persona adulta olaureata, può pensare a chiunque, perché chiunque di noi può leggere qualunque cosa etrarne quello che può trarne. Uno che ha quarant’anni trarrà alcune cose, uno che ne haquindici potrà trarne qualcosa di diverso, comunque qualcosa ne trae [...]. Se leggiamodei versi di una poesia o un brano di un romanzo, io faccio riflettere su [...] tante cose –la tematica, la lingua usata, i personaggi – ma soprattutto dico: “Hai mai conosciuto unpersonaggio con queste caratteristiche? Tu ritieni di avere queste caratteristiche? Ti pia-cerebbe averle…?”. Ecco, a questo punto il ragazzo si confronta con se stesso e io [...]verifico molti obiettivi: la loro conoscenza di sé, le loro analisi del mondo che sta fuori diloro; tutto questo attraverso quello che leggono; le materie [...] sono dei mezzi, dei tra-miti, non sono il fine (intVr4/18). leggo quasi integralmente I Promessi Sposi di Man- 40 Guido Armellini invita a non sottovalutare gli interessi e le curiosità che si accendono per pro-dotti culturali che potremmo definire “paraletterari”: «ci sono prodotti della cultura di massa per noiinsignificanti o addirittura squallidi, attorno ai quali si addensano aspirazioni, paure, rabbie, desideriche ci possono sembrare del tutto sproporzionati: credo che sia importante saper distinguere tra lascarsa qualità degli oggetti di consumo culturale, dai quali può essere utile prendere le distanze, e ilvalore delle emozioni che le ragazze e i ragazzi proiettano su di essi, che meritano di essere conside-rate e accolte con rispetto e simpatia» (Armellini, 2008, p. 25). 145 zoni, in seconda, e credo che siamo l’unico cFP in italia a farlo; ci vuole del coraggio[...] per farlo, ma noi ci proviamo [...] cercando, per esempio, di [...] fare in modo che iragazzi si immedesimino nei personaggi e quindi che immaginino di trovarsi al posto diquel personaggio, in quella particolare situazione […]. Pensiamo al caso di Renzo elucia, che si trovano di fronte ad una grandissima ingiustizia: a qualsiasi ragazzo saràcapitato di vivere, di sopportare un’ingiustizia; quindi chiedo: “come hai reagito? comereagiresti?”. non si tratterà di sposarsi, si tratterà di qualcosa d’altro, ma questo fa giàcapire ai ragazzi che le opere che noi leggiamo sono dei grandi classici, perché parlanodi cose che valevano cento, mille anni fa, e credo varranno tra mille anni. Risultano te-matiche eterne, personaggi eterni, perché rappresentano sentimenti come l’amore, l’odio,la paura, l’angoscia, che noi viviamo tutti i giorni; è questo che permette di avvicinareun’opera a un ragazzo [...] (intVr4/20).nel racconto di c. (intVr4), cogliamo come la lettura possa trasformarsi, ancheper gli allievi, in un confronto vivo con se stessi e dunque affinare capacità rifles-sive, oltre che competenze di lettura e di comprensione dei testi. Attraverso lo sti-molo ad immedesimarsi nelle situazioni e nei personaggi, il nostro docente guida ipropri allievi a trovare nei testi che leggono parole per esprimere ciò che essi stessivivono. l’esperienza della lettura si carica così di risonanze emotive ed esistenzialie consente di rivestire di carne ciò che altrimenti sarebbe condannato a restare soloparola. 4.3. Personalizzare il rapporto con il libro e con gli autoriil libro, nonostante l’avvento di nuovi media e di nuovi linguaggi, mantieneuna sua centralità nei percorsi formativi. ne è convinto D. (intMe1), per il quale, illibro non è un oggetto sacro, da rispettare con riverenza, ma uno “strumento di la-voro”, su cui è lecito, anzi consigliato, scrivere e operare:[...], oltre al quaderno [...], c’è il libro, che bisogna avere come strumento di lavoro; [...]io chiedo all’inizio della lezione che loro abbiano questi due oggetti: il quaderno e illibro (intMe1/204). l’utilità del libro sta nelle sottolineature, nelle scritte; il libro diventaun libro proprio: “quello è il tuo e, quando tu guardi quel libro, scritto con i tuoi appunti,a te verranno in mente delle cose!” [...] (intMe1/210). (Si tratta della) personalizzazionedel libro. È un campo vastissimo; il libro sta uscendo dalla vita di molte persone, di tantiragazzi (intMe1/212). Purtroppo, anche la scuola, da un certo punto di vista, ci casca,perché [...] si tende ad utilizzare poco il libro [...] (intMe1/214); (ride) qualcuno dice cheè antiquato (intMe1/216). È vero, il libro va utilizzato con le dovute maniere, a secondadel target, inoltre utilizzeremo anche il computer, utilizzeremo anche il film, però il librova utilizzato (intMe1/218), rimane centrale (intMe1/222).la lettura è dunque anche un fatto fisico. D. (intMe1) invita i suoi allievi a leg-gere non solo con la mente e con gli occhi, ma anche con le mani, utilizzando lapenna (o l’evidenziatore o il pennarello) per sottolineare e scrivere note a marginedel testo. Scrivere sul proprio libro aiuta a leggere, eventualmente a ri-leggere edunque a memorizzare. Attraverso queste operazioni, il libro può diventare qual-cosa di proprio, con cui si istituisce un rapporto unico e personale. Da qui la stra-tegia di far personalizzare il libro. 146 Ma può essere personalizzato anche il rapporto con gli autori. Anzi, quando lalettura si trasforma in esperienza, diventa spontaneamente una specie di “conversa-zione” con gli autori. È ciò che esprime S. (intMe4), nel frammento che segue:per una comprensione della figura dell’autore, (è utile) poter allacciare rapporti conVerga, poter allacciare rapporti con Ariosto, conversare con loro (intMe4/208).Si possono allacciare rapporti “personali” con gli autori in vari modi: ponendoloro domande o lasciandosi da loro interpellare, cercando di individuare le do-mande che sono state importanti per loro, immaginando e ricostruendo colloqui einterviste con loro o tra loro, immaginando di scrivere loro una lettera, dopo averletto un brano tratto da una loro opera. 4.4. Far analizzare un testoleggere consapevolmente un testo significa anche «entrare nell’officina delloscrittore» (Serianni, 2010, p. 86) e dunque imparare a “smontare” le parti di un’o-pera, a saperne riconoscere i principali elementi costitutivi, i caratteri strutturali.Ma l’analisi deve restare un mezzo, non può diventare il fine della lettura, e devesvolgersi in modo leggero, per non correre il rischio di rendere insopportabile lalettura, riducendola ad un esercizio, fine a se stesso, di “vivisezione” del testo. M.(intVr7) descrive le azioni che compie e fa compiere quando fa lavorare su unbrano tratto dall’antologia:presentavo prima l’autore, l’opera da cui veniva tratto il brano che leggevamo, poi legge-vamo questo testo e ne facevo due usi: facevo ad esempio dividere (il brano) in se-quenze, facevo dare un titolo alle sequenze, per capire se ci sono dialoghi, se ci sono ri-flessioni, descrizioni...; dal titolo delle sequenze, facevo poi costruire un riassunto delbrano (intVr4/58). cerchiamo di analizzare un minimo i testi: individuazione del sistemadei personaggi, minima divisione in sequenze, ricostruzione della trama (intVr7/50).innanzitutto il nostro formatore inquadra il brano. Poi fa analizzare il testo, perguidare all’individuazione di alcuni elementi formali, e ne fa costruire un riassunto.infine, come abbiamo visto sopra (cfr. il punto 4.2.), stimola i ragazzi a riflettere sudi sé a partire da ciò che leggono. Ecco invece, nel brano che segue, le fasi dell’a-nalisi che descrive D. (intMe1), docente a Mestre, che esplicita anche le ragionidelle sue scelte:[...] c’è poi l’approccio ad un testo; tendo continuamente ad utilizzare testi scritti; loro di-cono: “Ah, professore, noi vediamo poche cassette”. qualcuno viene da percorsi scola-stici, alle medie, dove si usavano molti audiovisivi e film, ed è proprio a digiuno di testoscritto; credo che l’aspetto specifico [...] della mia disciplina sia l’approccio al testo conragazzi che comunque avranno a che fare con dei testi – siano libretti di istruzione, sianocontratti di lavoro – e che appunto dovranno saperli leggere in maniera minimamente cri-tica. quindi usiamo il libro di testo per leggere brevi brani. Anche qui il tutto è legato alfare e [...] il corpo della lezione è strutturato sulla lettura del testo scelto per quella le-zione (intMe1/76): faccio leggere loro a turno; ho fatto leggere in classe anche allievidislessici, tanto che i genitori si sono meravigliati; molto è legato al clima, al sentirsi ac- 147 colti, al non sentirsi giudicati (intMe1/78); ho visto che è possibile farlo e loro si sentonoprotagonisti. Subito dopo c’è la sottolineatura, in quello che abbiamo letto, [...] degliaspetti principali indicati da me, soprattutto nel primo anno di corso; [...] poi chiedoanche: “che cosa sottolineereste voi? qual è l’aspetto principale?”. questo serve perchéè la base dell’approccio al testo; loro [...] – lo dico generalizzando – sono allievi non abi-tuati a cogliere gli aspetti principali del testo, quindi, di fronte anche ad un paragrafo, ve-dono solo un blocco di parole scritte, tutte importanti (intMe1/80), non sanno selezio-nare. nella prima fase, dunque, all’inizio dell’anno, ci diamo quattro o cinque punti di la-voro sul testo scritto; il primo passaggio sarebbe quello di chiedere le informazioni(intMe1/82), [...] chiedere le parole che non si conoscono (intMe1/84); lo do come unadelle prime operazioni da compiere, durante il lavoro sul testo scritto, perché molti diloro, se uso, per esempio, la parola “centellinare”, stanno zitti; perciò dico: “Facciamoqueste domande!” (intMe1/86), “chiediamoci come mai c’è la parola ‘centellinare’....”;certe volte li anticipo spiegando cosa vuol dire (intMe1/88); [...] c’è poi la sottolineaturadegli aspetti principali e di solito, a margine, faccio mettere anche dei titoletti, [...], utiliz-zando anche la lavagna per scrivere i titoli (intMe1/96), perché poi questo diventa perloro, nella rielaborazione [...], la struttura della schematizzazione che faranno personal-mente. Dunque, nel passaggio dal testo alle informazioni da organizzare in testa, c’èquesta sottolineatura, ci sono i titoli guida, praticamente gli appigli, insomma gli “attac-capanni” delle informazioni (intMe1/98) […]. il metodo prevede insomma la lettura deltesto a turno, da parte degli allievi, la spiegazione, con possibilità di interventi e di do-mande al docente, la sottolineatura sul testo degli aspetti principali e la suddivisione inparagrafi del testo in questione. la lezione prosegue con la richiesta di produrre sul pro-prio quaderno uno schema personale di quanto preso in esame. Alla conclusione assegnodelle domande a risposta aperta riguardanti gli aspetti affrontati, a cui rispondere sul qua-derno per la lezione successiva. l’incontro successivo, vengono presi in esame i lavorisvolti: l’insegnante passa per i banchi, affiancando gli allievi, chiedendo spiegazioni suquanto prodotto e proponendo, sotto forma di domande, eventuali osservazioni su errorie mancanze. cerco, inoltre, di valorizzare quanto prodotto da ognuno. la lezione pro-segue con la presentazione, da parte mia, di un lucido su lavagna luminosa, per mostrareuno schema del testo in questione, elaborato da me. non ho chiesto agli allievi di sosti-tuirlo al loro, creato e organizzato con criteri personali e liberi, ma di considerarlo as-sieme al loro, copiandolo, discutendone i criteri e l’organizzazione: c’è, così, lo spazioper domande di chiarimento e delucidazioni. in vista del terzo incontro, vengono asse-gnate agli allievi delle domande riguardanti il testo in questione, a cui rispondere periscritto sul proprio quaderno. le domande servono alla rielaborazione personale, sottoaltra forma, di quanto emerso dal testo (intMe1/540).le azioni di analisi del testo che l’insegnante propone non sono aride proce-dure auto-finalizzate: la lettura del testo, con l’attenzione a creare un clima nongiudicante; la ricerca del significato delle parole che non si conoscono; la genera-zione di domande sul testo; la selezione e la sottolineatura degli elementi principalidel testo; l’attribuzione di titoli-guida alle parti sottolineate – gli “attaccapanni”delle informazioni, che vengono anche visualizzati alla lavagna –, la rielaborazionepersonale attraverso la costruzione di uno schema, infine, una riflessione personalesollecitata da opportune domande sulla risposta alle quali attivare, nell’ora succes-siva, una discussione. in tutto questo colpiscono l’approccio che valorizza il contri-buto di ciascuno e lo schema che il docente stesso elabora ed offre alla fine del pro-cesso, non per sostituire quelli elaborati dagli allievi, ma per affiancarli, come ulte- 148 riore elemento di riflessione; soprattutto colpiscono il carattere operativo impressoall’analisi (“tutto è legato al fare”) e la possibilità che, attraverso l’analisi, si apre diavvicinarsi criticamente ai testi. Anche Guido Armellini sostiene che l’educazionealla lettura andrebbe pensata alla stregua di un “addestramento pratico”: «si diventalettori leggendo, così come si diventa ciclisti andando in bicicletta o alpinisti sca-lando montagne. questo non significa che la riflessione teorica e l’analisi siano to-talmente da scartare (suppongo che anche il ciclista e l’alpinista ne facciano unqualche uso): significa che esse non possono essere considerate né lo scopo né l’at-tività principale di un insegnante e dei suoi studenti» (Armellini 2008, pp. 69-70).E qualcosa di analogo afferma Davide Rondoni, che riprende anch’egli l’efficacemetafora dell’alpinista: «le annotazioni tecniche su un brano artistico possonoavere la medesima funzione dei ramponi, dei moschettoni e delle corde in mon-tagna. nessun arrampicatore si sognerebbe mai di pensare che scopo della scalata èimparare a usare il moschettone. Gli esercizi all’inizio si intraprendono perché […]da quando hai visto negli occhi la bellezza tremenda e invitante della montagna saiche non ti libererai più di lei» (ibid., p. 34). nei docenti intervistati, troviamo unasensibilità molto vicina a quella espressa da questi autori e l’analisi del testo di-venta in loro uno strumento per gustare. 4.5. Far reinventare il finale dei libri lettiPer rendere attraente l’esperienza della lettura, D. (intVr2), docente a Verona,sente l’esigenza di far fare ai suoi allievi qualche operazione sui libri che leggono.in particolare afferma di ricorrere frequentemente alla tecnica di far riscrivere il fi-nale dei libri letti:ci tengo al fatto di far leggere loro dei libri, durante l’anno scolastico; chiaramente, sonotesti in prosa; tra le varie consegne, do sempre loro (da fare) una riscrittura del finale(intVr2/28); ad esempio, abbiamo letto il libro “io non ho paura”; c’è il finale di Amma-niti [...], che può essere anche aperto a diverse interpretazioni, e allora, tra le varie con-segne, io dico loro: “come ultimo punto, dovete riscrivermi, in maniera creativa, il fi-nale”; allora i ragazzi mi dicono: “in che senso, dobbiamo riscriverlo in maniera crea-tiva?”. E io dico loro: “Avete due alternative: o vi piace il finale e allora siete in sintoniacon l’autore, però anche in quel caso voi siete tenuti a fare una vostra rielaborazione per-sonale, oppure (intVr2/30) (dite): ‘riscrivo io il finale’…”; ci sono due situazioni sostan-zialmente: o io mi sento in sintonia con l’autore – ma anche in quel caso voglio che i ra-gazzi riscrivano il finale [...], secondo un taglio diverso, secondo una sensibilità diversa –oppure, ipotesi che io preferisco, lo riscrivo completamente e quindi posso cambiare pro-prio il finale della storia; lì il lavoro è migliore, nel senso che lo sforzo è maggiore, però,in nome della libertà, in nome della creatività, io non posso vincolarli più di tanto(intVr2/32); ...e poi non posso imporre uno stravolgimento totale, quindi lascio pure cheloro si sentano in sintonia, supponiamo, con l’autore, però, anche in quel caso, voglio checi sia una rielaborazione personale (intVr2/34). c’è la lettura di un libro; loro devonofare una scheda di analisi del libro e i primi punti (della scheda) sono molto tradizionali:il narratore, l’analisi dei personaggi ecc.; poi io amo inserire quest’ultimo punto, [...] lariscrittura creativa del finale. Ho trovato dei lavori molto belli; [...] recentemente, in unaclasse [...], abbiamo lavorato benissimo con “il cacciatore di aquiloni” di Khaled Hos- 149 seini; per alcuni ragazzi è stato il primo approccio con la lettura, ma se ne sono letteral-mente innamorati, veramente, mi hanno chiesto di andare al cinema con loro a vedere ilfilm e proprio in quest’ultimo punto di riscrittura del finale hanno fatto dei bei lavori [...](intVr2/36).la riscrittura del finale, sia nel caso che si propenda per la versione dell’autoredel libro, sia nel caso in cui si preferisca discostarsene, diventa un esercizio crea-tivo. la lettura non rimane passiva recezione, diventa attività creatrice. Reinven-tando il testo, i lettori si trasformano anch’essi in scrittori. 4.6. “Adesso tocca a voi!”. Far scrivere creativamenteinvitare gli allievi a scrivere creativamente non rappresenta il cedimento aduna moda passeggera. Rientra nell’insieme più ampio delle strategie che i nostriformatori mettono in atto per far sperimentare ai propri allievi un certo gusto nelleggere e nello scrivere e per consentire loro di appropriarsi di parole. le tecnicheproposte riguardano, ad esempio, la riscrittura o l’attualizzazione di testi classici,ma potrebbero riguardare anche: la scrittura di conversazioni inventate tra perso-naggi reali, del presente o del passato, o immaginari; la scrittura di necrologi; ecc..Generalmente, i formatori sperimentano l’importanza di assegnare consegne pre-cise riguardo agli argomenti, all’approccio e al formato delle scritture. il lorosforzo è quello di predisporre compiti che vengano percepiti dagli allievi come af-frontabili e stimolanti e non come frustranti o inibenti.4.6.1. Far riscrivere testi classicila riscrittura di un testo – nell’esperienza dei nostri formatori – consente diavvicinarsi al significato del testo stesso in modo davvero efficace. È la strategiache viene presentata nel racconto che segue:spiego la novella di Boccaccio, che abbiamo letto – “frate cipolla” – [...] (intMe4/102),[...] ne incoraggio la lettura, la leggo io, ne spiego i contenuti sotto vari aspetti [...] e poidico: “Bene, adesso tocca a voi!”. Allora do una traccia, che può essere: “qual è il temadi cisti fornaio? quali sono le caratteristiche che cisti fornaio ha? [...] quali sono le ca-ratteristiche di chichibio?”, e loro iniziano a creare una novella, a coppie o singolar-mente; una la fanno in classe, così posso controllarli, una la fanno per casa (intMe4/104);io spiego loro le caratteristiche di una novella. Facciamo lo schemino alla lavagna […],spiego un breve esempio e poi invito loro, anche sul modello della novella analizzata, ariproporne una; così sono loro a fare, attraverso la scrittura (intMe4/106) di fantasia, lapiù libera, perché, se io pongo dei paletti, loro potrebbero incespicare e non riuscire(intMe4/110). [...] Si parla della fortuna? Bene deve comparire dentro [...] l’elementofortuna (intMe4/112). la stessa cosa vale per l’Ariosto; abbiamo letto il proemio del-l’orlando. Abbiamo letto Astolfo sulla luna: “Voi siete Astolfo. Fate un viaggio. Dove?Sulla luna. Ve lo immaginate?” [...]; quando ho letto le cose che sono venute fuori, misono sentito veramente appagato, perché ho visto che, liberi da tutte le costrizioni, hannosaputo capire a fondo il significato. Devono essere loro i protagonisti, e lo fanno sia ascuola – così li posso seguire – sia a casa; i compiti stessi sono questi. Ad esempio, innarrativa, stiamo leggendo “i ragazzi della via Pal”, la strategia dei ragazzi dell’orto bo- 150 tanico per invadere la segheria che era nei pressi della via Pal; loro, i ragazzi sono stra-teghi, strategia non militare, e hanno a che fare con [...] materiali e prodotti della cucina[...] (intMe4/114). Allora, siamo arrivati al punto in cui i ragazzi dell’orto botanico vo-gliono conquistare la segheria. […] Ho fatto fare una ricerca sull’orto botanico, perchétanti non sapevano che cosa fosse. Vieto categoricamente la ricerca scritta a computer; lavoglio rigorosamente scritta a mano, se no, non la valuto (intMe4/120). copino pure dainternet, ma il lavoro di trascrizione serve, anche perché li obbliga a relazionarsi con iltesto [...]; e poi anche nella copiatura devi stare attento, perché altrimenti copi sbagliato[...] (intMe4/122). cosa sono, cosa servono, dove si trovano? […] Ho spiegato chi è l’au-tore [...] dei giardini di Padova […] e loro mi hanno fatto degli esempi sull’orto botanicodi Padova e sugli orti che hanno visto. Poi arriviamo al tema “strategia”: [...] leggiamo,spiego che cosa è una strategia, prendiamo il vocabolario – io uso spesso il vocabolarioin classe, per la definizione della parola –, si legge che cosa è una strategia, lo rispiego,chiedo se hanno capito, rispiego se non hanno capito; poi loro devono fare, per casa [...]un esercizio: devono inventarsi una strategia di guerra: due nemici, da una parte A e dal-l’altra B. “A – ho spiegato proprio così – deve invadere B, seguendo una strategia. A hal’esercito delle patate e B ha l’esercito dei pomodori. Allora, come usi i pomodori? Sonopomodori o lanciano dei pomodori?”. Devono liberare la loro fantasia e inventarsi unastoria; [...] mi arrivano lavori dove chi mi crea la strategia non è più ancorato alla stra-tegia militare classica, ma è costretto ad andare in cucina, a guardare gli alimenti dellacucina. credo che così ci sia una sorta di comprensione anche del mondo che li circondae, una volta che vanno in cucina, scelgono, discernono: “questo per me va bene per farela battaglia”, “questo non va bene”, allora vedo che ho delle forchette che si muovono inmodo squadrato verso la direzione e lottano per tagliare il formaggio del forte altrui(intMe4/126), retto dai pomodori. [...] Sono rimasto così colpito [...], che me le sono te-nute care queste cose (intMe4/128). cerco poi di fare emergere da loro le caratteristichefondamentali dei temi che affronto, del Verismo, ad esempio. Per questo ho fatto loro de-scrivere una loro giornata, senza mai mettere le loro opinioni e questa loro giornata do-veva essere a punti, con tono discorsivo, non una scaletta, ho vietato la scaletta, la ripeti-zione stantia di un elenco di fatti, ma ho invitato loro a scrivere cioè a cercare di essereloro i protagonisti, di essere loro, in un certo qual modo, i protagonisti della loro opera(intMe4/130);A partire dall’analisi di testi classici – alcune novelle di Boccaccio, il poemacavalleresco dell’Ariosto o il romanzo dello scrittore ungherese Molnár – S.(intMe4) guida i suoi allievi alla riscrittura creativa del testo stesso. il primo passoè la lettura del testo, fatta fare agli allievi o proposta dal docente. Alla lettura seguel’analisi, che aiuta a comprendere il significato di alcune parole, facendo ricorso –quando serve – al vocabolario, e a individuare i temi e le caratteristiche dei perso-naggi, ma anche la struttura sottostante al testo. Talvolta, l’analisi si amplia e dàvita a veri e propri approfondimenti, magari non programmati, come nel caso del-l’orto botanico41. A questo punto, e solo a questo punto, il formatore formula con- 41 Talvolta questi approfondimenti necessitano un ricorso a internet. interessante è la strategiache il nostro formatore ha sviluppato – che si affianca a quelle sviluppate da altri suoi colleghi – perrendere più proficuo questo tipo di ricerca: accettare solamente lavori trascritti a mano. Anche il sem-plice esercizio di trascrizione infatti è in grado di sviluppare processi di confronto con il testo e di ap-propriazione dello stesso. 151 segne di scrittura creativa, ad esempio: inventare una novella seguendo la strutturae sviluppando il tema di quella letta e analizzata; immedesimarsi in uno dei perso-naggi del testo letto e riscriverne il viaggio fantastico; inventare una storia ispirataa quella letta. nel fare tutto ciò, gli allievi diventano protagonisti: possono dare li-bero sfogo alla loro fantasia e, allo stesso tempo, riescono a sviluppare una com-prensione non limitata ai testi che leggono e coinvolgente loro stessi e il mondo cheli circonda.4.6.2. Far collegare testi classici a prodotti culturali contemporaneiUn’altra strategia che i nostri formatori utilizzano per “instillare la voglia discrivere” è il collegamento tra testi classici e prodotti culturali contemporanei:tento [...] di far sempre riferimento alla realtà quotidiana che i ragazzi hanno sottomano;una di queste realtà […] è il cartone animato; un’altra è la musica; una terza il film. inbase alla disponibilità che loro mi offrono, mi devo informare per cercare degli agganci.Molti spunti mi sono offerti da un cartone animato molto particolare: i “Simpson” [...].quando, per esempio, [...] ho dovuto introdurre una novella boccaccesca, ho letto la no-vella in classe, l’ho fatta scomporre, individuando i personaggi, l’ambientazione – comesi fa col classico metodo per l’analisi e la comprensione di un testo scritto – e poi hochiesto loro di fare dei confronti con altre cose che avevano letto o visto e i riferimentisono stati, appunto, in particolar modo, [...] ad alcuni episodi dei Simpson, che lorohanno descritto e che insieme abbiamo confrontato, oppure agganci a determinati film,che possono andare dall’action, all’horror o a fumetti. Ho una classe [...] che è assiduafrequentatrice di fumetti e questo mi ha dato la possibilità di agganciarmi al loro mondo.Allora, ho strutturato dei percorsi paralleli di confronto tra gli eroi, i protagonisti contem-poranei, e i protagonisti delle novelle di Giovanni Boccaccio. Alla fine, loro hanno pro-dotto due novelle, seguendo da una parte gli schemi boccacceschi e dall’altra [...] inse-rendo dentro elementi di attualità che loro avevano visto. così ho avuto la produzione didue testi, due novelle che contenevano i significati di fondo della novella boccaccesca,perché i metri erano quelli, e anche una scrittura creativa, una doppia scrittura creativa,che da una parte ha consentito di ragionare sulla terminologia antica, dall’altra di eserci-tare una [...] creatività che va fuori dalla dimensione scolastica (FGita2/110). Allora, unaaveva le caratteristiche della novella boccaccesca, per esempio la descrizione, ma era ov-viamente una produzione di fantasia [...] (FGita2/112); avevano l’ambientazione da cuiprendevano spunto, un’ambientazione medievale; tra l’altro [...] io li ho aiutati con delleimmagini, riproduzioni di pitture e affreschi, in modo che avessero la possibilità di de-scrivere al meglio non solo le ambientazioni degli interni e degli esterni, ma anche deipersonaggi stessi, di come erano vestiti; e così c’era tutta una ricerca a ritroso degli indu-menti e [...] l’uso del vocabolario (FGita2/114). Devo dire, che, sostanzialmente [...] –salvo le difficoltà grammaticali, che sono un po’ una costante di chi vive al cFP – [...],l’acquisizione dei contenuti di una novella e l’abilità di costruire una novella [...] sono ri-sultate molto positive; ho anche instillato in loro la voglia di scrivere [...] (FGita2/120).Alcuni avevano delle difficoltà e ovviamente li ho aiutati, ma sempre cercando di la-sciare il più possibile libera la loro fantasia, perché nella scrittura creativa è la fantasiache domina. [...] Sono uscite così delle piccole produzioni veramente strutturate in modomolto efficace e [...] secondo una certa logica; insomma, non erano scritture campate peraria [...]. con questa metodologia hanno poi riscontrato anche una migliore lettura di de-terminati testi, [...] anche dei film, perché poi, durante il corso del pomeridiano dove ciritroviamo puntualmente e discutiamo di vari argomenti, mi riportavano raffronti [...] tra 152 quello che avevano letto e appreso su Boccaccio e quello che avevano visto il giornoprima o la sera prima in un determinato film. Tra l’altro, la dimensione extrascolastica, intaluni casi, è stata ancora più positiva di quella scolastica, perché c’era una libertà difondo che non legava le persone al contesto aula [...] (FGita2/124);la lezione riguardava un tema epico cavalleresco, riferito in particolare a ludovicoAriosto. Ho pensato di suddividere la lezione in blocchi. Sono entrato in classe, ho scrittosulla lavagna il nome di ludovico Ariosto e il titolo del poema; ho riscontrato che pochepersone conoscevano il poeta o il poema e allora siamo andati a leggere la biografia.Dopo aver letto la biografia, ho scritto sulla lavagna i punti salienti della biografia e li hofatti trascrivere sul loro quaderno. Successivamente ci siamo addentrati nell’analisi delproemio; avevo riscontrato una notevole difficoltà nell’apprendimento di cos’era l’ottavae di che cosa era un poema epico cavalleresco, così, dopo aver introdotto, dal punto divista semantico, lessicale e contenutistico, sia l’ottava sia il poema, abbiamo iniziato afare riferimento alla quotidianità. nella mia classe ho una buona parte di lettori di fumettie ho utilizzato i supereroi della Marvel, per fare riferimento sia alle caratteristiche deipersonaggi dell’Orlando furioso e dell’Orlando Innamorato, sia alle storie, dove è giocoforza che tutto quanto sia dominato dalla fantasia. Dopo aver fatto i paralleli – conBatman, per esempio, oppure Joker, per quanto riguarda la pazzia – e averli trascritti allalavagna, ho convinto loro a scrivere una breve ambientazione fantastica, prendendospunto dai fumetti stessi, ma inserendo gli elementi rintracciati nel poema epico cavalle-resco. Alla seconda lezione hanno lavorato a coppie: uno si era preoccupato di costruirel’ambientazione, facendo riferimento a Gotham city, a new York, uno facendo riferi-mento ai supereroi, ma entrambi dovevano inserire le caratteristiche specifiche sia del-l’ottava sia del proemio dell’Orlando furioso e […] di Astolfo che […] erano state tra-scritte precedentemente. È uscita fuori veramente una bella composizione, sia dal puntodi vista della fantasia e dell’invenzione letteraria, sia da quello dell’apprendimento delletematiche specifiche; l’attività complessivamente è durata tre ore (FGita3/73).Per c. (FGita2/110-124), formatrice in liguria, l’esigenza è sempre la stessa:trovare punti di aggancio all’esperienza, alla realtà quotidiana che occupa l’imma-ginario dei suoi allievi. Per questo, dopo la classica analisi di una novella di Boc-caccio, la docente stimola un confronto con alcuni dei prodotti culturali di cui sinutrono i suoi allievi, per far individuare analogie e differenze. A questa fase dianalisi, segue un lavoro di produzione: da una parte la riscrittura di una novella chesegua lo schema e l’ambientazione di quelle boccaccesche, dall’altra la creazionedi una novella che sviluppi il tema della novella analizzata, ma ne trasferisca l’am-bientazione in un contesto attuale, ricavato da cartoni animati, film o fumetti. Attra-verso questo dispositivo, la nostra docente si accorge che i ragazzi giungono a svi-luppare non solo la capacità di produrre testi narrativi, ma anche una più profondacomprensione del testo classico. Soprattutto si attiva un interesse che va in cerca dispazi ulteriori a quelli strettamente scolastici. Sul cambio di ambientazione giocaanche S. (FGita3/73), formatore in Veneto, per avvicinare i ragazzi ai poemi caval-lereschi dell’Ariosto. in Armellini troviamo ben espresse le ragioni di una strategiacome questa: «…l’immaginario contemporaneo può svolgere una funzione di ag-gancio iniziale utile a gettare dei ponti nei confronti della letteratura del passato,conferendo vitalità e interesse a fenomeni letterari che potrebbero rischiare di risul-tare troppo estranei agli orizzonti degli studenti per innescare quella “esperienza di 153 sé nell’esperienza dell’altro”, senza la quale non si ha un autentico processo inter-pretativo» (Armellini, 2008, p. 54). Si tratta di portare gli studenti su un terreno perloro vivo e concreto, non per appiattirsi sui modelli televisivi, che spesso abitanoquel territorio, ma per muoversi da lì verso esplorazioni coraggiose.4.6.3. Assegnare consegne di scrittura con specifiche ben definiteTalvolta sono proprio i limiti e le specifiche date dal docente a stimolare lacreatività negli allievi (cfr. Armellini, 2008, pp. 80 ss.). È il caso presentato da c.(FGita2/126), che opera in liguria:[...] in prima, [...] devono scrivere un testo, una storia. non sono abituati a scrivere, al-lora io do loro nove parole, do dei parametri rigidi: lunghezza, numero di parole, righe;poi do loro nove parole che devono utilizzare obbligatoriamente e subito si nota che lorole schiacciano tutte nelle prime tre righe, cioè sperano di dire subito le nove parole e cosìdi arrivare presto alla fine. nel passaggio successivo, do le nove parole obbligandoli peròa non utilizzarle con il loro significato consueto, tipo “1999”, che però non possonousare come data, oppure “Flavio”, che non deve essere il nome di uno dei personaggi;[...] più li alleni e più vedi che riescono a distribuire le parole in maniera uniforme intutto il testo e allungano da soli la storia, cioè capiscono che, se Flavio non è un perso-naggio, non riusciranno a citarlo nella prima riga, quindi Flavio diventa il gatto, piuttostoche il nome del motore della macchina di uno, cose così […]. Più andiamo avanti, piùstrutturiamo e ad esempio mettiamo l’obbligo di presentare la storia al presente, oppuretutta al passato, oppure tutta come flashback; [...] loro lo fanno e questo occupa dieci ore(FGita2/126).c. dà ai suoi allievi delle specifiche sul formato, in particolare indica un certonumero di parole che essi devono utilizzare nel loro componimento. questo vin-colo, al contrario di quello che si potrebbe immaginare, stimola, anziché frenare lacreatività42. È un po’ quello che succede nella musica, in cui l’espressività del musi-cista non solo non può fare a meno, ma ha bisogno dei vincoli dettati dal fatto disuonare uno specifico strumento. 4.7. Quando leggere e scrivere non sono un piacerenon tutti i ragazzi che frequentano un cFP sono in grado leggere speditamenteo di scrivere senza commettere errori. in alcuni casi, i deficit sono certificati (dis-lessia, disgrafia), in altri – i più frequenti – il problema non è tanto il non sapere,ma il non voler leggere o scrivere:mi sono chiesto: “come faccio a fare i Promessi Sposi con dei ragazzi dislessici”, che pe-raltro sono intelligenti, perché la dislessia non ha niente a che vedere con le capacità.Ecco, l’anno prossimo cercherò degli audiolibri, [...] i Promessi Sposi in formato cD [...] 42 A questo riguardo osserva Armellini: «…l’esperienza insegna che, il modo migliore per atti-vare la creatività consiste nel fissare a priori un sistema di vincoli convenzionali, possibilmente arbi-trari e insensati, entro i quali i ragazzi siano costretti a muoversi. contrariamente alle apparenze, ilvincolo, anziché bloccare la fantasia, le fa da trampolino di lancio» (Armellini, 2008, p. 80). 154 o i file in MP3 [...], da dare ai ragazzi, come ho già fatto quest’anno con un ragazzo diprima dislessico. […] questo ragazzo dislessico un giorno ho voluto farlo leggere ugual-mente, non so se consapevolmente o perché me ne fossi dimenticato; ho fatto leggereanche altri e ho scoperto una cosa, che in realtà lui è dislessico certificato, ma che ce nesono almeno altri sei o sette, in classe sua, che leggono tale e quale a lui, eppure nonsono certificati. Tanti altri semplicemente non vogliono. […] quindi l’anno prossimodovrò cercare delle strategie per venire incontro a queste esigenze particolari. [...] nelcaso che stavo raccontando, sono arrivato con fatica a farlo leggere, ma, per esempio,nello scrivere di se stesso [...], lui è arrivato ad esprimere benissimo i concetti; ha unmodo suo, che non è quello in cui sono scritti sul libro o in cui li ho detti io [...](intVr4/88). con quel ragazzo mi sono trovato personalmente e ho letto io insieme a lui,a tu per tu, il brano; [...] cioè gli ho dedicato un pochino più di spazio: faccio sottolineareparole o concetti difficili [...]; in realtà poi lui le cose le capisce, soltanto [...] ci mette unpo’ più degli altri, però questo ragazzo ha una forza di volontà incredibile (intVr4/90).c. (intVr4) si interroga costantemente su come fare per insegnare a coloro che,per difficoltà specifiche, certificate o meno, faticano a leggere e scrivere. Si trattadi provare e di vedere cosa può funzionare. Spesso è solo questione di affiancare,di sostenere, attraverso un lavoro a tu per tu, che si adatti ai tempi del ragazzo.nel lungo brano che segue, D. (intVr2) illustra come cerchi di vincere le resi-stenze dei suoi allievi (quell’“io non ce la faccio” interiorizzato, con il quale spessoi docenti di un cFP sono confrontati) nei confronti della scrittura facendoli scri-vere, sostenendoli quanto basta e guidandoli pian piano in un percorso che li aiuti arappresentarsi il compito di scrivere un testo argomentativo come un compito af-frontabile e non sgradevole43:inizialmente, […] in terza, (gli allievi) sono un po’ restii nei confronti della scrittura, so-prattutto se scrittura vuole dire “tema in classe”. Molto spesso, al primo e al secondoanno, i colleghi lavorano sul riassunto, sulla sintesi, sulla grammatica e sull’analisi deltesto narrativo; io invece in terza devo affrontare – e amo affrontare – il tema argomenta-tivo [...]. È evidente che lo scarto, specialmente all’inizio, è fortissimo: passare da un ri-assunto, da una sintesi o comunque dall’analisi del testo narrativo, ad un tema argomen-tativo (comporta) un salto. Allora, in generale, il primo approccio da parte dei ragazzi èdi difficoltà; mi dicono: “io non ce la faccio, non siamo abituati a scrivere, non siamoabituati al tema!”. Parto spiegando, facendo una lezione introduttiva sul tema argomenta-tivo, poi cerco di prendere degli esempi molto concreti: faccio le fotocopie [...] diqualche articolo di giornale, di un editoriale, appunto, di un testo argomentativo, forniscoloro le fotocopie, cerco di dare loro l’idea che il testo argomentativo [...] è, in realtà, unamodalità di scrittura che loro conoscono già o con la quale comunque si sono già con-frontati. Partendo da quegli esempi, cerchiamo di vedere quali sono appunto gli elementiessenziali del testo argomentativo: “che cosa significa argomentare? cosa significa cer-care di convincere la persona che ti legge che hai ragione, che la tua idea è valida?” [...]; 43 Per rendere scorrevole la lettura del brano seguente, che, con l’andamento tipico del parlato,procede un po’ a zig-zag, ho dovuto intervenire lievemente sul testo, riorganizzandone alcune parti.Per questo vengono ad esempio anticipati alcuni brani appartenenti a turni di parola successivi. Speroche questa operazione, che ho cercato di fare nel massimo rispetto di quanto narrato dalla nostra do-cente, possa restituire la storia in modo nello stesso tempo fedele e gradevolmente leggibile. 155 dico: “Voi cercate comunque di convincere la persona che vi sta ascoltando, anchequando parlate, non solamente quando scrivete” […] (intVr2/42). Fornisco loro ancheuna traccia del testo argomentativo, cerco di guidarli e talvolta cerco di fare con loro an-ch’io un tema; cerchiamo insomma di costruire insieme un tema argomentativo(intVr2/38), […] affrontando, non so, il problema della violenza negli stadi, dell’immi-grazione, [...] della pena di morte [...]. in genere, prima fornisco loro un articolo, perchémi interessa molto la fase di documentazione da parte loro, l’interesse da coltivare neiconfronti di certi fatti; alle volte, proprio concretamente, in classe, facciamo insieme allalavagna una scaletta con l’introduzione al problema, la presentazione della tesi...; primafacciamo insieme una sorta di mappa concettuale, anzi, più che di una mappa concet-tuale, (si tratta di una) raccolta disordinata di idee, che nasce sentendo un po’ le idee ditutti; poi, in una seconda fase, cerchiamo di mettere in ordine le idee (intVr2/40). [...](Ad esempio), sulla pena di morte o sul problema dell’immigrazione, vediamo insiemequali sono le idee che possono emergere e poi le mettiamo in ordine dal punto di vista lo-gico: [...] Da quale idea si può partire? quale idea può rappresentare la tesi? quali argo-menti possiamo portare a sostegno della tesi? Poi c’è la fase in cui ciascuno di loro devefare il proprio tema [...]. la prima fase è guidata, la seconda invece è autonoma. […] Poic’è un’altra fase, in cui i ragazzi leggono, appunto, il loro tema in classe: cerchiamo diimparare l’uno dall’altro, in qualche modo, di vedere quali sono i punti forti e i punti de-boli di questi temi [...]. Poi arriva il primo tema in classe di italiano e io dico sempre,scherzando, che misuro il rapporto con una classe dopo il primo tema in classe, perchésono abbastanza severa e, se superano il primo tema, […] insomma, e si mettono un po’in discussione, vuol dire che avrò un buon rapporto con quella classe [...], perché co-munque sono abbastanza severa nelle valutazioni dei compiti (intVr2/42). nel primocompito in classe, il numero delle insufficienze, in genere, è abbastanza alto (intVr2/44):possiamo arrivare quasi a metà classe che ha un’insufficienza [...] – non soltanto in rela-zione al tema argomentativo, ma anche per problemi molto gravi di ordine morfologico,sintattico, ortografico – e io lì vado giù pesante […]. Già a partire dal secondo tema, lecose vanno meglio; nel secondo tema, riesco a individuare le persone che hanno diffi-coltà e le persone che invece hanno avuto solo delle difficoltà iniziali, ma sono già en-trate o stanno già entrando nell’ottica delle idee che si tratta di un compito possibile. ilterzo tema, che è l’ultimo del primo quadrimestre, mi dà già un quadro un po’ più chiarodella situazione. io ho avuto anche casi di ragazzi che sono partiti dal quattro e sono arri-vati all’otto, altri invece che hanno delle difficoltà più serie e lì sono già contenta se daltre o quattro riescono ad arrivare a fine d’anno al cinque, cinque e mezzo (intVr2/46).cerco di distinguere le difficoltà, nel senso che [...] li divido – anche se non lo dicoloro – in base alle diverse difficoltà: [...] c’è chi prende insufficiente perché non ha la ca-pacità di concentrarsi, di andare in profondità nei contenuti, però ha un tipo di scritturasostanzialmente corretto ed è anche abbastanza autonomo; con lui cerco di lavorare sullaprofondità del contenuto, di invitarlo a leggere, di invitarlo a creare collegamenti tra i pe-riodi, a sviluppare una riflessione successiva; c’è chi invece ha anche una difficoltà ditipo formale o, peggio ancora, oltre ad avere una difficoltà di tipo formale, ha una diffi-coltà di tipo logico, quindi periodi sconnessi, periodi che non riesce a creare, accorpa-menti di causa ed effetto; con questi il lavoro è più impegnativo, perché bisogna lavoraresia sull’aspetto della forma, sia sull’aspetto del contenuto, quindi magari assegno loro deititoli di temi da svolgere a casa, cerco di correggerli, poi dopo restituisco loro i lavoricorretti. in alcuni casi abbiamo organizzato corsi di recupero, durante i quali, con questiragazzi, abbiamo cercato [...] di fare insieme il tema, partendo da una tematica, facendoinsieme la traccia, e di aiutarli, appunto, fino alla fase del riordino delle idee; in alcunicasi inizio io il tema quindi cerchiamo di impostare insieme per lo meno l’introduzione 156 al tema, poi loro vanno avanti; se hanno delle difficoltà, intervengo; poi mi restituisconoil tema, io lo correggo; in genere, loro cercano di fare un’altra redazione del tema in basealle mie correzioni; insomma, il lavoro più impegnativo è con questo gruppo, quello deiragazzi che hanno delle difficoltà non solo formali, ma anche proprio a livello logico econtenutistico (intVr2/48).la prima mossa della nostra insegnante è proporre ai suoi allievi un’introdu-zione al testo argomentativo, attraverso un’analisi di testi di questo genere, cheaiuti a coglierne le caratteristiche formali (presentazione della tesi, sviluppo degliargomenti a favore, ripresa della tesi in forma sintetica e riassuntiva) e a compren-dere che il ricorso all’argomentazione è frequente anche nella comunicazione quo-tidiana e in tutti quei casi in cui cerchiamo di convincere qualcuno della validitàdelle nostre idee. Poi la docente, proponendo un’attività a tutta la classe, guida gliallievi nelle varie fasi di costruzione di un testo argomentativo: la documentazionerispetto ad un tema, perché il testo possa poggiare su dei fatti e non su delle im-pressioni personali, la costruzione di un “ideario”, una prima raccolta anche disor-dinata delle idee, l’ordinamento logico delle idee (idea di partenza, tesi centrale, ar-gomenti a favore, argomenti contrari ecc.). Attraverso un processo discorsivo, l’in-segnante accompagna il gruppo nella costruzione collaborativa (quasi un co-wri-ting) di un testo argomentativo. Alla fase collettiva, segue una fase di lavoro indivi-duale, per la produzione di un testo. l’ultima fase del percorso è la presentazione inclasse dei lavori individuali e l’analisi dei punti di forza e dei punti di debolezzadegli stessi. A questo punto si colloca la prova. È abbastanza normale che gli esitidi questa prima prova non siano esaltanti. Si tratta però solo di un punto di par-tenza. in base agli esiti della prova, D. organizza infatti delle attività di recupero,differenziando le strategie rispetto ai tipi di difficoltà che i singoli gruppi incon-trano. È in particolare il gruppo di quei ragazzi che incontrano maggiori difficoltà asollecitare l’inventiva della nostra docente: consegne specifiche di lavoro, accom-pagnamento individualizzato, “spalla a spalla”, corsi di recupero. 5. COLLegARe IL PeRCORSO dI eduCAzIONe LINguISTICAALLA PRATICA LAvORATIvA Si possono immaginare diversi tipi di rapporto tra pratica lavorativa e lettera-tura44, ma è prevalentemente sul terreno della lingua che i nostri formatori si muo- 44 Sono numerosi gli scrittori che hanno descritto in modo denso esperienze lavorative proprie oaltrui. Pensiamo alla tradizione del realismo letterario italiano e in particolare alla fioritura della “let-teratura industriale” a cui abbiamo assistito negli anni cinquanta e sessanta, con lavori come Metello(1955) di Vasco Pratolini, La vita agra (1962) di luciano Bianciardi, Una nuvola d’ira (1962) di Gio-vanni Arpino, Memoriale (1962) di Paolo Volponi, Donnarumma all’assalto (1959) e La linea gotica(1963) di ottiero ottieri. Possiamo poi ricordare scritture di fabbrica più recenti, come Mammut(1994) di Antonio Pennacchi e Storia della mia gente (2010) di Edoardo nesi, o altre scritture che re-stituiscono efficacemente le trasformazioni del mondo del lavoro, come La dismissione (2002) di Er- 157 vono per costruire connessioni con l’esperienza di lavoro che gli allievi vivono, ini-zialmente nelle officine o nei laboratori di un cFP e più avanti nelle esperienze distage in azienda. la lingua infatti riguarda tutte le attività comunicative, non soloquelle che assumono dignità artistica, e il collegamento con i contesti della praticalavorativa è in grado di mobilitare energie per l’apprendimento e di stimolare ad uncostante esercizio di scrittura. Anche la lingua, del resto, come il mestiere, va colti-vata, innaffiata, lavorata con pazienza. Rivolgersi al lavoro non significa per forzadi cose rinunciare alla cultura, ma far cogliere i nessi che legano cultura e lavoro(perché mai il sapere concreto, legato al lavoro, dev’essere solo un sapere povero,basso e servile?), far emergere la cultura che è incorporata nel lavoro, i saperi im-plicati nel fare45. Dalle strategie che i nostri formatori mettono in campo, ricaviamoil tentativo di un approccio operativo (e non di sola fruizione) alla cultura e alla co-noscenza. qui di seguito andremo ad esplorare in particolare i seguenti aspetti:come essi interagiscono con i loro colleghi di laboratorio, per ricavare spunti e ideeche li aiutino ad operare opportuni collegamenti; le strategie che essi mettono inatto perché lo scrivere e il parlare siano percepiti dagli allievi come compiti con-nessi con la pratica professionale o da essa richiesti; la strategia di far realizzarecompiti professionali complessi, che comportino la messa in campo di saperi propridell’area linguistica o storico-sociale; la strategia di far analizzare esperienze lavo-rative per portare alla luce del sole i saperi in esse incorporati. 5.1. Interagire con i docenti di laboratoriocome abbiamo constatato con i docenti di Matematica e Scienze (cfr. Tacconi,2011), anche i docenti di italiano sentono l’esigenza di interagire con i loro colleghidi laboratorio per individuare idee e possibilità di collegare il loro percorso conquello tecnico-professionale. Vediamo due esempi tratti dal cFP di Mestre:per quanto riguarda la mia disciplina, che è tendenzialmente teorica, devo dire che, tro-vandomi a lavorare con questo target, ho cercato di farla diventare più “pratica”, tra vir-golette, più orientata al fare, cosa che non è semplice, perché appunto è una disciplina manno Rea e Acciaio (2010) di Silvia Avallone. Pensiamo poi alla visione positiva del lavoro cheemerge in La chiave a stella di Primo levi (1978), Il costruttore (1995) di carlo Sgorlon, Scavareuna buca di cristiano cavina (2010), L’ingegnere, una vita (2011) di Paolo Barbaro. E poi l’antologiadi racconti sul lavoro dal titolo Articolo 1 (2009) di Rino camilleri, Ugo cornia, laura Pariani, Er-manno Rea, Francesco Recami, Fabio Stassi. E l’elenco potrebbe continuare. Anche su questi mate-riali si può lavorare per far fare l’esperienza di come la letteratura riesca a dire in modo denso la vitae dunque anche il lavoro.45 Ad esempio: la conoscenza dei venti, delle rotte e dei porti che ha il marinaio; la conoscenzadei trattori, del fieno e della trebbiatrice che ha il contadino; la nozione di cemento armato o di fonda-menta che ha l’ingegnere; la conoscenza dei diversi tipi di farina, di lievito e di forni che ha il panet-tiere. Ho riadattato qui un elenco che viene riportato da Paola Mastrocola (2011, p. 106), per eviden-ziare quante conoscenze siano implicate nei vari lavori e collegare il concetto di “nozione” anche alleattività pratiche, ma l’elenco potrebbe continuare e gli esempi potrebbero davvero essere innumere-voli. 158 che tradizionalmente e strutturalmente sarebbe teorica. insomma dovrei riuscire a spie-gare Dante a dei meccanici o parlare de “la sera del dì di festa” con dei ragazzi che,quando vedono una poesia, pensano che sia una cosa da smontare col cacciavite [...](intMe1/8). […] Mi sono sforzato soprattutto di andare in laboratorio a vedere cosafanno (intMe1/442), a parlare con i professori dell’ambito meccanico, più che grafico.[...] Per esempio, sono nati lavori in collaborazione [...], nel momento in cui l’esperienzadi laboratorio diventa oggetto di riflessione nello scritto di italiano; una cosa molto sem-plice (intMe1/444): la descrizione di un lavoro (intMe1/446), una relazione tecnica, peresempio (intMe1/448), di meccanica, fatta nelle ore di italiano, e – qualche volta è suc-cesso – corretta per la parte di italiano da me, per la parte di meccanica dal professore dilaboratorio (intMe1/450), facendo notare che c’è una stima reciproca: “Ma come, leiparla con il professore di meccanica?”. “So anche come avete fatto (intMe1/452) la sca-nalatura, la filettatura, la filettatura inversa”. Ti guardano: “la filettatura al tornio?”.Serve molto questo (intMe1/454). “Da che parte si mette una vite? non sai, meccanico,da che parte si mette una vite?”. Tutto questo serve (intMe1/458);devi sempre metterti in discussione, devi sempre cercare modalità diverse, nuove(intMe7/161), devi inventartele, magari parlando con il collega (di laboratorio): “Ah, ioho fatto così, io potrei fare così... Guarda io devo realizzare questo lavoro in laboratorio,come potrei farlo? Ascolta, io devo realizzare un riassunto, perché non mi dai tu il testoche intanto glielo presento io, così lavoro io dal punto di vista dell’italiano scritto e poi loporto a te?” [...] (intMe7/163).D. (intMe1) e P. (intMe7) visitano i ragazzi in laboratorio e si confrontano coni colleghi di area pratica; questo li aiuta a cogliere collegamenti tra l’attività di la-boratorio e le attività che possono contribuire a sviluppare abilità di lettura e scrit-tura, li attrezza di un linguaggio specifico, legato al fare. Soprattutto li orienta adintrodurre anche nell’insegnamento dell’italiano elementi operativi. Anche E.(intMe7), sempre del cFP di Mestre, per sviluppare la competenza di scrittura e inparticolare di riassumere, concorda la consegna con il collega di laboratorio. Èquanto ci racconta nell’episodio che segue:[...] dovevo spiegare loro come si fa a fare un riassunto. Allora, mi sono accordata con[...] il loro insegnante di laboratorio che, in quel [...] periodo, stava cercando di far realiz-zare l’impianto elettrico di un appartamento e aveva dato loro delle dispense sulle qualitrovare le modalità per realizzare tale impianto [...]; avevo la copia della dispensina; inclasse, abbiamo letto la dispensa e io ho spiegato loro la dispensa, non tanto dal punto divista tecnico, ma dal punto di vista dell’italiano, e ho detto loro di farmi il riassunto diquella dispensa; secondo me, è più semplice per loro affrontare un testo scritto che nonsia un testo antologico, ma la descrizione di un impianto elettrico (intMe7/155); è più co-involgente per loro (intMe7/157) ed infatti io sono riuscita a far fare loro il riassunto diun testo specifico, tecnico, di elettricità [...], perché erano più interessati [...]: “comefaccio concretamente a realizzare un impianto elettrico? Prima devo realizzare [...] lescanalature, poi inserire le cabalette portacavi, poi inserire con la sonda tirafili, i caviecc.”. [...] Spiegare questi aspetti tecnici è più semplice per loro che riassumere un testoantologico; lo scopo è sempre quello: io dovevo far fare loro il riassunto di un testoscritto; perché non cercare di avvicinarli? [...] (intMe7/159) [...]. le modalità le adatto divolta in volta (intMe7/165): il riassunto sulla descrizione dell’impianto elettrico, l’annoscorso, non lo avevo mai preso in considerazione, perché non mi era mai venuto inmente; non si era creata l’occasione […] (intMe7/167); ma quest’anno sì: ognuno ha 159 fatto il proprio riassunto (intMe7/169) poi li hanno consegnati (intMe7/171) a me; io leho corretti, li ho riportati loro (intMe7/173) corretti dal punto di vista dell’italiano(intMe7/175) segnalando: errori di ortografia, sintattici, della forma; dal punto di vistatecnico non li ho toccati, perché sono incompetente in materia [...] (intMe7/177); ab-biamo visto insieme quali erano gli errori [...] dal punto di vista ortografico e sintattico(intMe7/179).i docenti concordano di far esercitare l’abilità di riassumere su un testo di ca-rattere tecnico, a cui i ragazzi sono legati da un interesse specifico. la scelta deltesto realizza una riduzione della distanza. la terminologia non pone ostacoli allaloro comprensione e l’attenzione può essere orientata su questioni ortografiche esintattiche. 5.2. Creare situazioni in cui scrivere e parlare siano percepiti come compitivicini alla pratica professionaleSpesso l’esercizio tipico di scrittura che viene proposto a scuola, il componi-mento chiamato “tema”, non ha corrispondenti nella realtà comunicativa quoti-diana, al di fuori della scuola (cfr. De Mauro, Gensini, 1999, p. 163), dove non siscrivono temi, ma eventualmente lettere, relazioni, verbali ecc. questo non signi-fica che il tema non abbia alcun senso. Può essere un utilissimo esercizio, che in-segna ad argomentare e a strutturare il discorso (cfr. Serianni, Benedetti, 2009), mail tema non può essere l’unica forma di scrittura, e non solo al cFP. lo stesso dis-corso può essere fatto per quanto riguarda le varie forme di comunicazione orale.non ci si può limitare alla classica “interrogazione orale”, che fa ripetere stanca-mente quello che gli allievi hanno letto o ascoltato. Si tratta di creare occasioni incui scrivere o parlare siano percepite anche come operazioni legate all’esperienzae, al cFP, in particolare, alla pratica professionale. Ecco allora l’indicazione di undestinatario dei testi da scrivere (semplice dispositivo che già rende più autentica lascrittura), la simulazione di un colloquio di lavoro o di una consulenza tecnica tele-fonica ad un cliente, la scrittura di una relazione professionale sulla realizzazionedi un impianto o sull’esperienza di stage46. la scrittura diventa così uno strumentoper riflettere sull’esperienza lavorativa:per esempio, a parte la banalità di andare a fare un colloquio di lavoro, per dire, c’è (losforzo di far) esporre il proprio lavoro – ci stiamo provando –, per esempio, con delle re-lazioni scritte, ma anche con la presentazione orale su come è andata durante lo stage,per quelli di terza, in particolare, su quello che fanno durante l’anno; mentre a quelli di 46 Si possono immaginare anche altri compiti di scrittura, legati alla pratica professionale: la let-tera ad un amico che segue un diverso percorso formativo, per spiegare una questione tecnica in tonoconversazionale; la lettera al presidente di un’associazione di categoria o ad un politico o ad un am-ministratore o ad un sindacalista, per argomentare contro o a favore di una determinata scelta che po-trebbe avere un impatto sul contesto professionale o per proporre delle soluzioni a determinati pro-blemi; la lettera ad un giornale per segnalare le difficoltà del settore; la scrittura e l’impaginazione diun capitolo del proprio libro di testo per gli allievi di un corso per grafici ecc. 160 seconda proponiamo la relazione su come è andata la realizzazione di un impianto(intVr7/70). Per il momento, (lavorano) soprattutto per iscritto: [...] io do uno schema, unminimo di traccia insomma, da seguire, con le cose più importanti da far emergere; poiloro preparano una relazione che correggiamo io e il prof della parte pratica. Dall’annoprossimo, vorremmo fare in modo che esponessero a voce il loro elaborato [...]. È impor-tante cioè che si abituino ad essere coscienti di quello che stanno facendo e delle diffi-coltà eventuali che incontrano e poi che si abituino a dirle proprio, cioè: “Ti spiego qualeè stato il problema...”, perché [...] spesso non riescono ad esprimersi, [...] sembra che nonabbiano le parole, che non trovino le parole! (intVr7/72). […] Per esempio, per quelli diseconda, [...] ci sono le varie fasi di realizzazione dell’impianto e la descrizione se (l’im-pianto) funziona o meno; finora siamo andati sullo scritto, [...] perché [...] uno dice: “Tido lo schema, me la prepari (la relazione), poi te la correggo e ti faccio vedere gli errori”.Bisognerà fargliela esporre in classe, magari, e valutarla; [...] è una delle cose su cuivorrei lavorare quest’estate, anche con quelli degli altri settori, con i meccanici [...]; è co-munque una cosa importante, secondo me, che si rendano conto di quello che stanno fa-cendo, delle difficoltà che trovano, e che riescano ad esprimerle, a buttarle fuori in ma-niera leggibile [...], cioè comprensibile. E credo che questa non sia una difficoltà sololoro [...]: se ti capita di andare [...] in centro e di chiedere ad un ragazzo della loro età unaqualsiasi cosa, [...] di descriverti qualsiasi cosa, scopri che hanno [...] enormi difficoltà(intVr7/76).Descrivendo, in forma scritta o orale, il loro lavoro, l’esperienza di stage, larealizzazione di un impianto, imparando a regalare parole a ciò che fanno, gli al-lievi della formazione professionale possono diventare più consapevoli della loroesperienza, delle difficoltà che incontrano, delle risorse che impiegano per supe-rarle, di ciò che imparano. Da notare sono le attenzioni che M. (intVr7) mette incampo: la traccia per guidare nella stesura della relazione47; la predisposizione di uncontesto in cui esporre l’elaborato; la correzione dei testi condivisa con il collega diarea pratica e con gli allievi stessi.la strategia di creare situazioni comunicative legate all’esperienza lavorativa èripresa anche da E. (intVr5), che insegna lingua inglese e visita i laboratori per farsiraccontare dai suoi allievi cosa stanno facendo:un’occasione di apprendimento è veicolata dal fatto di trovarsi davanti a del materiale ininglese, a termini in inglese, soprattutto nel settore informatico. questa, secondo me, èun’occasione da sfruttare [...] anche per chi non dimostra particolare attitudine per la ma-teria; [...] infatti un’esposizione di un certo tipo c’è sempre, se parliamo, ad esempio, delsettore informatico (intVr5/59); quando insegnavo nelle terze [...] ritenevo utile, pur contutte le difficoltà, a fine anno, fare un giro nei vari reparti e chiedere ai ragazzi, parlandocon loro, di illustrarmi in inglese il loro lavoro, quello che facevano (intVr5/61); la cosarisultava certamente difficile per qualcuno, però [...] un riscontro c’era; credo che questimomenti, [...] in qualche modo, vadano potenziati [...] (intVr5/63); ritengo che di occa-sioni di questo genere, in questo tipo di scuola, ce ne siano [...] parecchie (intVr5/69):[...] si possono utilizzare materiali specifici, ad esempio offerte, ordini ecc. in lingua; ri-tengo che questo materiale possa tornare utile e stimolante per i ragazzi (intVr5/71). 47 i formatori notano che generalmente i risultati sono migliori se la consegna esplicita dei com-piti precisi di scrittura, dei punti da sviluppare, e non solo il tema/argomento da trattare. 161 Girare per i laboratori, sollecitare la descrizione del proprio lavoro in inglese,dialogare su materiali in lingua sono pratiche che consentono, ancora una volta, dirilevare il valore d’uso degli apprendimenti, oltre che l’importanza di un’espres-sione corretta ed efficace. È vero che, per lavorare, bisogna imparare a leggere escrivere, ma non si insegna a leggere e scrivere solo per questo motivo; l’intentoultimo è di far sì che i soggetti in apprendimento accedano a idee belle e significa-tive o scoprano che scrivere, innanzitutto, aiuta a pensare. il fatto di esercitare lecompetenze di lettura e scrittura in relazione a compiti professionali è comunqueuna via per rilevare il valore d’uso delle conoscenze e per accrescere la motiva-zione; tutto questo diventa, in questo contesto, la condizione basilare per accedereanche ad altri tipi di apprendimento. qui di seguito vedremo altri esempi di pra-tiche ispirate agli stessi principi.5.2.1. La presentazione della propria azienda simulata o del proprio indirizzoSituazioni autentiche in cui sviluppare abilità espressive sono quelle nominatenel brano che segue da D. (intPd5), che insegna tecniche di comunicazione nelcFP di Padova:un lavoro bello, che abbiamo fatto insieme a “lingua inglese”, è stato presentare la loromission, […] il loro negozio, le loro prospettive di futuro, la pubblicità ecc., traducendoil tutto in inglese (intPd5/20) per un sito, per una e-mail promozionale, per tutti queglistrumenti che il marketing ti permette di utilizzare sul campo (intPd5/22) […]. Un’espe-rienza positiva che loro fanno, legata per alcuni aspetti anche a “tecniche di comunica-zione”, è poi la presentazione all’inizio dell’anno dell’ambiente della scuola e delle atti-vità della scuola ai ragazzi di prima; cioè “tecniche di comunicazione...” diventa funzio-nale proprio [...] (intPd5/42) all’accoglienza dei ragazzi di prima (intPd5/44). Allora, iragazzi di prima si suddividono in piccoli sottogruppi e così anche i ragazzi di terza; disolito sono quelli di terza che presentano il percorso [...], gli ambienti ecc.; ogni gruppoha un itinerario da percorrere: si soffermano nelle aule e, in ogni aula, gli accompagna-tori spiegano cosa succede – questa, ad esempio, è un’aula dove ci sono soprattutto le-zioni teoriche, ma c’è la possibilità di far vedere anche un video della materia –, spie-gano i laboratori, […] spiegano anche alcuni spazi molto semplici della vita quotidiana econcreta dei ragazzi al cFP. [...] ogni sottogruppo è composto da tre o quattro persone, eogni persona ha un settore da presentare; è interessante perché anche loro si ascoltano epoi in classe si dicono: “Ah, ma tu non hai saputo dire quello, ti sei impappinato su quel-l’altro, sei stato imbranato...”, per cui penso sia utile anche a loro vedersi in una situa-zione diversa dall’aula. E poi penso che un’altra esperienza significativa [...] diventa lapresentazione dell’indirizzo ai ragazzi di prima, perché i ragazzi di prima devono sce-gliere il biennio di indirizzo e alcuni ragazzi delle terze sono invitati a presentare il loroindirizzo, quello che stanno frequentando, in quelli che sono gli aspetti più caratteristici,ma anche, magari, più faticosi; e lì vedo che i ragazzi di terza tirano fuori davvero il me-glio di loro; quelli che sono i più “stravaccati” in classe poi sono quelli che invitano al-l’impegno, all’attenzione, alla costanza, sono quelli che poi stupiscono anche quandoparlano, perché non lo avresti mai detto. Ecco queste sono alcune delle esperienze signi-ficative che vivo con loro (intPd5/46).All’interno di un indirizzo commerciale, il contesto offre specifiche opportu-nità di apprendimento. Se i ragazzi simulano la realizzazione di una loro impresa, 162 si offre la possibilità di riflettere innanzitutto sull’identità di questa, ma anche sulleprospettive di sviluppo e sui messaggi più adeguati per promuoverne l’attività al-l’esterno. Tutto questo può poi essere tradotto in inglese, in un formato comunica-bile attraverso le nuove tecnologie. Un’ulteriore attività che D. (intPd5) illustra è lapresentazione dell’ambiente formativo ai ragazzi del primo anno da parte di quellidel terzo anno, in fase di accoglienza iniziale, e la presentazione delle caratteri-stiche dei vari indirizzi, in fase di orientamento per la scelta del percorso per l’annosuccessivo48. Anche qui i ragazzi sono stimolati, anche dai giudizi dei compagni, adattivarsi per una comunicazione efficace. Sono tipiche situazioni in cui il leggere elo scrivere – e in genere la disciplina – vengono sottratti alla dimensione artificiosadel compito puramente scolastico e inseriti in uno scenario che dà loro senso.5.2.2. La relazione tecnicail compito di far stendere una “relazione tecnica”, su esperienze legate all’indi-rizzo professionale scelto, è una delle strategie maggiormente praticate dai nostriformatori per collegare la scrittura al contesto lavorativo:se, in prima, devo [...] spiegare loro [...] come si fa a stendere una relazione tecnica,come glielo faccio fare? Sono andati in visita alla fiera dell’elettricità sicura, a Padova, eil giorno dopo ho chiesto a loro di relazionarmi, di spiegami che cosa avevano visto. [...]Erano stati divisi in gruppi, prima di andare in fiera (intMe7/129). ogni gruppetto diquattro o cinque componenti aveva un compito: uno doveva vedere i lED, un altro do-veva vedere i sistemi di allarme; [...] ogni gruppetto ha relazionato su che cosa avevavisto, su che cosa era rimasto loro in mente (intMe7/131). A partire [...] dalla relazionetecnica, che loro mi hanno […] scritto e portato, ho spiegato come si fa, come si realizzauna relazione tecnica [...], del tipo di quelle che loro dovranno consegnare al commit-tente, quando saranno al lavoro, una volta concluso il percorso formativo (intMe7/133).Ho lavorato sui loro testi (intMe7/135). ogni gruppo era composto da quattro persone,però ognuno ha fatto una propria relazione (intMe7/141) personale, perché a me poi inte-ressava anche avere una valutazione personale (intMe7/143) […]. Ho detto loro di farfinta che io fossi il loro committente e che non sapessi niente di elettricità sicura; quindiho detto: “ok, tu devi trovare tutto ciò che serve: le novità per quanto riguarda i lED; midevi scrivere e spiegare che cosa hai visto, che cosa ti ha proposto la fiera, quali lED po-tremmo utilizzare nei prossimi due anni...” (intMe7/145). io ero una persona che dovevarealizzare l’impianto nuovo dell’appartamento (intMe7/147). E quindi mi chiedo: “io chelED metto? che faretti metto?”. “Allora, ho trovato che le novità nel settore sonoqueste...”. loro hanno analizzato, mi hanno scritto quali novità ha presentato loro la fiera(intMe7/149). lo scopo era di informarmi sulle novità del settore (intMe7/151), perchéio dovevo fare una scelta (intMe7/153). […]. Ho spiegato loro come va fatta una rela-zione tecnica: la relazione tecnica deve essere breve, sintetica, coincisa, deve far capireal committente qual è il prodotto, quindi deve descrivere il prodotto in poche parole, inmaniera chiara ed efficace, e deve valorizzare il prodotto, perché poi, se voglio che ilcommittente vada ad acquistarlo, devo promuovere il prodotto (intMe7/179) e cercare diillustrarne (intMe7/181) tutte le qualità, [...] ad esempio, gli aspetti positivi dei lED – separliamo di nuovo dei lED –, i motivi per cui io dovrei comprare questi lED ecc. […]. 48 il primo anno di corso è un anno comune, mentre il biennio successivo è di indirizzo. 163 Poi le relazioni tecniche io le ho analizzate, ho dato una mia valutazione personale perogni ragazzo, dal punto di vista dell’italiano, non dal punto di vista del contenuto. le hopassate al professore di laboratorio; il professore di laboratorio le ha corrette dal punto divista contenutistico, perché la consegna era stata data anche dal professore di laboratorio,dato che era una visita tecnica per il settore. il professore di laboratorio ha dunque lavo-rato sui contenuti. Ecco che […], utilizzando un’unica visita tecnica, siamo riusciti a […]coinvolgere due aree, quella culturale e quella tecnica (intMe7/183);racconto un’esperienza dei primi anni che è molto semplice ed elementare: la relazionescritta. Si concorda con l’insegnante di laboratorio, che può essere meccanica, elettro-meccanica ecc., una procedura, un’operazione; ad esempio, i tornitori fanno all’inizioun’opera di aggiustaggio, di limatura: il ferro profilato a U; praticamente significa limareun pezzo di ferro e rendere le superfici piane; loro fanno questo; alla fine della proce-dura, fanno una relazione tecnica; chiaramente si spiega un po’ che cos’è una relazione[...], quali sono i parametri di valutazione, proprio per quanto riguarda italiano e comuni-cazione, perché, sullo stesso foglio, metto dei vincoli: le parole da utilizzare e addiritturai bordi; [...] nel foglio A4, che è tutto bianco, metto delle righe, hanno un prestampato,non possono uscire dai bordi. Sono importanti l’ortografia, il lessico, la [...] coerenza deltesto, la chiarezza, il registro linguistico, [...] insomma, tutti quei parametri [...] che sonopropri della materia che provo ad insegnare; dall’altra parte c’è [...] una cosa molto im-portante, che su ogni prova che faccio, i ragazzi sanno su che cosa li valuto, e che pesoha ogni aspetto; [...] la relazione scritta possono farla anche nelle ore del professore di la-boratorio e il professore di laboratorio poi valuterà la relazione in base ai contenuti tec-nici, alla sequenza delle procedure e [...] al linguaggio tecnico che utilizzano(FGita2/265);ho concordato [...], con l’insegnante [...] di stampa e di prestampa quali potevano esserele voci per la creazione di una relazione tecnica; ho fatto costruire una relazione ai ragaz-zi e poi ho cominciato a vedere tutte le molteplici relazioni tecniche e, alla fine, siamo ri-usciti a costruire [...] un piccolo compendio di 6-7 [...] diverse tipologie di relazione, [...]sia per quanto riguarda la relazione tecnica di stampa e prestampa, sia per quanto riguar-da la relazione sull’analisi di un testo o sulla visione di un film (FGita2/309). la dimen-sione della competenza, secondo me, è il saper creare una relazione. come la crei? la creiselezionando determinati punti salienti o determinate fasi di lavorazione o di creazione,che poi sono quelle più utili, perché tu possa rendere trascrivibile e interpretabile il tuolavoro. Allora la relazione […], che ha uno schema ben preciso, l’ho affrontata non tantodal punto di vista dei “contenuti” della relazione, ma dal punto di vista dello “schema”della relazione. così i ragazzi hanno appreso una competenza di analisi di esperienze at-traverso la relazione (FGita2/313). [...] Siamo partiti dall’analisi della scheda tecnica, cheè quella che loro presentano all’esame in terza, ma io sono partito dalla prima, perché siabituassero ad utilizzare questo sistema. Abbiamo analizzato la relazione a partire da di-versi esempi. nel passo successivo sono stati loro ad evidenziare quali erano gli elementifondamentali per una relazione: prima [...] hanno analizzato la relazione del laboratorio[…] (FGita2/315); per esempio, nel formato della scheda per la compilazione della rela-zione tecnica, [...] ci sono [...] quattro comparti e, all’interno di questi quattro comparti,c’erano due domande [...] che erano doppioni; quindi quattro punti erano strutturati, quan-do in realtà ne bastavano due. io l’ho fatto presente ai miei colleghi di laboratorio e lorohanno un pochino rivisto la scheda, togliendo un punto che era effettivamente una ripeti-zione [...] (FGita2/317); [...] ci sono degli spazi; all’interno di questi spazi ci sono quat-tro [...] sottocontenuti che loro devono essere compilati e di conseguenza la scheda si am-plia [...]. questo doppione è stato tolto; dunque i ragazzi hanno preso coscienza che c’era 164 effettivamente un errore [...]. Poi, una volta analizzato questo schema di relazione, abbia-mo introdotto la relazione dal punto di vista formale e dal punto di vista della spiegazio-ne tecnica; e poi abbiamo visto le varie tipologie di relazione. Alla fine, dopo aver analiz-zato le varie tipologie, sia in dimensione tecnica, sia in dimensione analitica, hanno crea-to delle relazioni su delle cose anche semplici; per esempio, ho avuto relazioni di tipo de-scrittivo di allievi sul campanile della loro città. Allora descrivere il campanile della lorocittà voleva dire effettivamente andare davanti a questo campanile, cercare di individuar-ne le proporzioni, cercare di individuare come era fatto, l’utilità, i materiali; è chiaro cheè stato sempre uno sforzo continuo, che pian pianino è aumentato; poi io ho [...] appiana-to le varie difficoltà. così ho ottenuto due positività: la prima, lo schema della relazione,che è uno schema adattabile, se [...] ne conosci le parti salienti; in secondo luogo, la di-mensione descrittiva e argomentativa della relazione, che è fondamentale, perché una re-lazione tecnica [...] per la stampa è tipicamente descrittiva, mentre la relazione su unargomento di studio è prettamente argomentativa; e così abbiamo spaziato sulle varie(FGita2/3) tipologie testuali [...] (FGita2/323).la visita ad una fiera di settore, a Padova, offre a E. (intMe7) l’occasione diimpostare un percorso didattico sulla “relazione tecnica”. Anche qui, il suo modo diprocedere è induttivo: innanzitutto fa realizzare agli allievi una relazione sulla vi-sita, con l’unica consegna di descrivere quello che avevano visto. non si tratta diun compito astratto, viene indicato un contesto preciso: “immagina che io sia uncliente interessato a realizzare un nuovo impianto nel mio appartamento…”. Solouna volta che le relazioni sono state consegnate e analizzate dalla docente, si tornasulle caratteristiche di una buona relazione tecnica: brevità e concisione, chiarezza,efficacia espressiva. Si tratta di una competenza essenziale per fornire al clienteelementi utili a prendere una decisione (in questo senso, la competenza si caricaanche di una valenza etica). il confronto con il docente di laboratorio, che sa comestanno le cose da un punto di vista tecnico, diventa essenziale per una corretta valu-tazione degli elaborati. R. (FGita2/265), dopo aver concordato la proposta con ildocente di area pratica e aver introdotto con gli allievi le caratteristiche di unabuona relazione tecnica, propone la consegna di scriverne una riguardo ad una pro-cedura propria del loro lavoro: la limatura di un pezzo meccanico49. nel far questo 49 Può essere utile riportare qui di seguito la descrizione di un’operazione di limatura che Mat-thew crawford inserisce nella ricostruzione del suo apprendistato come meccanico, sotto la supervi-sione di un esperto, alle prese con la riparazione di un motore: «…feci combaciare i collettori con icondotti di aspirazione delle testate. il mio primo compito fu limare con una lima arrotondata la guar-nizione metallica che unisce le due parti, in modo da farle combaciare perfettamente. Poi adoperai laguarnizione fatta su misura come modello per i collettori di aspirazione: dopo aver spennellato il bludi Prussia sulla flangia del collettore, usai la punta di un taglierino per tracciare la sagoma della guar-nizione sulla flangia (il blu rende più visibile la traccia da ricalcare). Poi grattai via il metallo dai col-lettori usando una chiave pneumatica da 25.000 giri al minuto, in modo che la nuova sagoma aderissemeglio al collettore. l’obiettivo è far combaciare le forme dei due condotti nel punto d’incontro, eli-minando le discontinuità che potrebbero apportare turbolenze e compromettere la regolarità delflusso. Volevamo che questo motore respirasse» (crawford, 2011, pp. 89-90). questo brano illustrabene come l’esercizio della descrizione possa allenare delle competenze essenziali anche per lalingua: l’attenzione alla realtà e la competenza meta-cognitiva che fa esplicitare come il pensiero pra-tico affronti i problemi che la realtà presenta. 165 è attento a dare delle specifiche precise a cui attenersi (si tratta, ancora una volta, diquella sorta di impalcatura che consente agli allievi di muoversi) e alla formula-zione di chiari criteri di valutazione. nell’esperienza che viene raccontata da S.(FGita2/309-323), formatore nel cFP di Mestre, l’apprendimento relativo alla ste-sura di una relazione tecnica diventa il punto di partenza di un percorso più artico-lato, che porta a sviluppare una competenza di scrittura più articolata e complessa.S. parte facendo lavorare i propri allievi sulla “relazione tecnica”. Si tratta del reso-conto di un’attività di stampa che gli allievi – e futuri grafici – sono tenuti a compi-lare, secondo uno specifico formato, per descrivere il proprio lavoro. Già questo li-vello è importante, perché rende dicibile, “trascrivibile e interpretabile” il propriolavoro in tutte le sue diverse fasi. Ma il nostro docente non si ferma lì. Guida ipropri allievi nell’analisi degli aspetti formali di una relazione: l’individuazione ela selezione dei punti salienti, la descrizione ecc. questo porta gli allievi stessi a in-dividuare delle ridondanze nei punti che il formato utilizzato in laboratorio per lacompilazione di relazioni tecniche chiedeva di sviluppare. inoltre consente agli al-lievi di costruirsi uno schema mentale di relazione adattabile a diverse circostanzee di intraprendere in modo maggiormente consapevole altri esercizi di scrittura,anche sganciati dai contenuti tecnici della relazione di partenza.5.2.3. La stesura del proprio curriculum vitaeUn’altra occasione per legare scrittura e ambito professionale, e far coglierel’importanza che gli apprendimenti di area linguistica assumono anche per il con-testo lavorativo, è la stesura del curriculum vitae su cui insistono diversi docenti:in prima e in seconda c’è un modulo che si chiama “orientamento”, che […] fa scoprireai ragazzi le loro potenzialità, le loro caratteristiche; un percorso personale, insomma,che ogni ragazzo può fare all’interno del cFP. in terza c’è poi un modulo che si chiama“accompagnamento al lavoro” e che diventa un po’ più specifico, perché i ragazzi si met-tono in gioco per quanto riguarda, non so, le loro competenze lavorative: essere in gradodi redigere un curriculum, una lettera di auto-candidatura, saper riconoscere un’aziendaalla quale presentare il proprio curriculum e non, magari, mandarlo chissà dove, saperconoscere anche nel territorio quali sono le risorse; si tratta proprio di un percorso piùspecifico, legato al lavoro (intPd5/82); redigere un curriculum non è molto semplice, seloro non sanno scrivere bene in italiano; io ho fatto vedere loro proprio il gesto che farei,se mi arrivasse tra le mani un curriculum non scritto bene: lo prenderei, lo straccerei e lobutterei nel cestino, perché magari ci sono gli errori di ortografia e di grammatica, non cisono le doppie... (intPd5/86).in terza vanno fuori a lavorare e quindi, in classe, dedichiamo delle ore alla stesura delcurriculum; poi il curriculum è uno di quegli argomenti che in parte è interdisciplinare:viene ripreso anche in inglese e viene ripreso anche in informatica, perché, oltre a quellacartacea, fanno anche una versione informatica; con la chiavetta, se la possono prenderee se lo desiderano la possono ampliare, allargare, estendere, integrare, completare(intMi1/112);ci siamo accorti [...] che non ci si mette molto ad allargare i percorsi al fare [...]: l’insegnan-te di italiano fa un po’ fatica con il computer; lei giustamente vuole far uscire gli allievi di 166 qua con un curriculum vitae steso in modo corretto [...].Allora che cosa è venuto fuori? È ve-nuto fuori: “Vieni giù a dare una mano alla terza grafici durante l’ora di italiano?”; da lì alcostruire una Uda insieme il passo è stato breve, perché c’era l’insegnante di informaticacon l’insegnante di italiano a fare il curriculum vitae con questi ragazzi (Mi4/29).nell’ambito di un percorso articolato, a valenza orientativa, arriva il momentoin cui accompagnare gli allievi nella stesura del proprio curriculum vitae. D.(intPd5) illustra bene il fatto che si tratta di un’operazione di scrittura che presup-pone una complessa riflessione su di sé e sugli apprendimenti maturati e richiede losviluppo di una strategia personale all’interno della quale va posta anche la scrit-tura del curriculum. inoltre, la docente è particolarmente efficace nel far coglierel’esigenza di correttezza nella scrittura. A. (intMi1) e S. (intMi4)50 sottolineano lavalenza interdisciplinare di questa attività.5.2.4. L’offerta tecnica in risposta ad una commessa di lavoroUn’ulteriore caso in cui la scrittura diventa un compito professionale, ci vienedescritto da E. (FGita1/135-155), insegnante di inglese a Ragusa, che ha parteci-pato ad un lavoro interdisciplinare che, oltre alla realizzazione di un capolavorotecnico, comportava la stesura di un’offerta tecnica in lingua:un’altra cosa [...] che abbiamo fatto è stato un project-work con gli elettricisti [...] del se-condo anno. Abbiamo ipotizzato una ditta maltese – io sono di Ragusa, quindi il legamecon Malta è abbastanza diretto [...] – e abbiamo creato un project-work interdisciplinare:si proponeva ai ragazzi il lavoro da fare, ovviamente in inglese, perché [...] loro avevanoquesta commessa scritta in inglese; da lì dovevano […] tradurre e quindi capire quello chedovevano fare e poi arrivare a realizzare un prodotto finito, un lavoro finale; avevamocreato, con tutti i professori, una commissione giudicatrice del lavoro finale [...] (FGi-ta1/135). Allora, la prima fase era quella della ricezione del messaggio, dell’ordine prove-niente dalla ditta straniera, e quindi la traduzione della richiesta; poi [...], una sorta di au-tocandidatura da parte dello studente, e la presentazione di un documento su come loropotevano soddisfare l’esigenza della ditta; [...] (FGita1/139): “io sono titolare della ditta –immaginaria – ES [...]; sono in grado di soddisfare la vostra richiesta perché ho a disposi-zione il materiale da voi richiesto…”. Rispondevano alla lettera in questo modo e lo face-vano in parte in inglese e in parte in italiano; [...] la parte più semplice in inglese, perché[...] era un secondo anno e quindi non potevo chiedere loro chissà cosa – non è che al ter-zo possa chiedere una traduzione di Shakespeare, attenzione, però, voglio dire... –; co-munque era già un bel lavoro da fare per loro; [...] poi da lì passavano all’atto pratico, per-ché, sempre ipoteticamente, la ditta accettava la loro candidatura e quindi loro dovevanofattivamente e praticamente creare il prodotto (FGita1/141). io controllavo l’attività perquanto riguarda la lingua, ovviamente, poi i docenti pratici stavano più attenti al lavoroprodotto (FGita1/143); [...] essendo un docente di lingue, ho trattato la prima fase (FGi-ta1/153) [...] poi loro avevano creato un lavoro nel campo elettrico, un pannello, non sonobene; (io ho dovuto cercare) di tecnicizzarmi, perché abbiamo elettricisti, ferramentisti emeccanici, quindi cerco di fare un inglese tecnico in tutti e tre i settori [...], cercando diconfrontarmi con i colleghi e aiutandomi con dizionari [...] tecnici (FGita1/155). 50 S. (intMi4) è un docente di informatica. l’estratto è stato collocato qui (e non in Tacconi,2011) perché si riferisce ad una attività interdisciplinare. 167 l’episodio narrato da E. ci introduce già nel punto successivo perché si rife-risce ad un progetto interdisciplinare. E. evidenzia il contributo offerto dalla sua di-sciplina alla realizzazione del lavoro: tradurre la commessa che proviene da un po-tenziale cliente straniero e formulare un’offerta tecnica, e sottolinea l’esigenza dideclinare la lingua in senso tecnico. 5.3. Far realizzare compiti professionali interdisciplinari e complessinel lavoro, anche in quello manuale, è contenuto un grande potenziale cogni-tivo (cfr. crawford, 2011). Per praticare qualsiasi lavoro in modo competente sonoinfatti necessarie diverse conoscenze e abilità51. ora, se questo risulta particolar-mente evidente per conoscenze e abilità di tipo tecnico e scientifico, non lo è altret-tanto per le conoscenze e le abilità proprie dei campi di cui si occupano i nostri do-centi. Eppure, ogni lavoro richiede abilità linguistiche, di codifica e decodifica ditesti, ma richiede anche particolari capacità di osservazione e di descrizione dellarealtà, un certo gusto estetico, la capacità di esercitare una continua autocritica permigliorare la propria prestazione, la capacità di valutare la situazione, la consape-volezza etica circa il valore sociale di ciò che si fa, la conoscenza delle implica-zioni di carattere economico e giuridico del proprio lavoro. Tutto questo non solonon è estraneo, ma rientra pienamente nel campo di attività dei nostri docenti. oltreai tentativi che abbiamo visto sopra, per far percepire che scrivere e parlare sonocompiti vicini anche alla pratica professionale, i nostri formatori progettano dunqueanche specifiche Uda, che spesso sono chiamate “unità in situazione”, centratesulla soluzione di problemi e sulla realizzazione di veri e propri compiti professio-nali, che per essere affrontati richiedono la mobilitazione delle conoscenze e delleabilità sviluppate nelle varie aree disciplinari, e che, al di là dei saperi che impli-cano, esigono sempre uno sforzo di esplicitazione di ciò che nel lavoro di solito ècontenuto implicitamente. E questo è qualcosa che ha eminentemente a che farecon la parola, il linguaggio, il pensiero. nel punto precedente (5.2.), abbiamo giàvisto alcuni esempi. qui di seguito ne riportiamo altri, riferiti a percorsi particolar-mente complessi.5.3.1. Il caso del libro sui diritti umani con i graficiA. (intMi1) e c. (intVr4) raccontano esperienze di “unità in situazione” inter-disciplinari, proposte ad allievi dell’indirizzo grafico, e centrate sulla realizzazionedi un libro, in tutte le sue fasi. Riportiamo quasi integralmente i loro racconti: 51 questo nonostante i pregiudizi attraverso i quali siamo abituati a guardare al lavoro manuale:«…il nostro rapporto con il lavoro manuale è più focalizzato sui valori sottesi al lavoro medesimo chesul pensiero che esso richiede. Si tratta di un’omissione sottile ma significativa […]. È come se nellanostra cultura ci venisse fornita l’immagine del braccio muscoloso con la manica rimboccata strettaintorno al bicipite, ma nessun pensiero che palpiti sul fondo dell’occhio, nessuna immagine che col-leghi la mano al cervello» (Rose, 2005, p. Xiii, cit. in crawford, 2011, p. 23). 168 con i grafici sviluppo di più, all’interno di questi percorsi, alcuni argomenti, proprioperché sono grafici; allora questo può essere fatto in collegamento anche con le altre ma-terie di indirizzo, per cui [...] il fatto che approfondiscono alcuni argomenti mi serve percollegarmi poi con il settore specifico [...] (intMi1/10). questo [mostra un libretto] è unesempio che ci serve per capire un po’. l’argomento dei diritti umani, [...] nel settoredella grafica, viene inserito in quelle che sono le “unità in situazione”, cioè quelle unitàin cui è più forte il tentativo di collegarsi con le varie discipline e quindi di costruire unpercorso [...] in aula che tenga conto dei contributi delle diverse discipline. questi lavori,fatti dai diversi insegnanti, confluiscono in un prodotto finale, che, per la grafica, si tra-duce [...] nella stampa di quello che loro hanno prodotto (intMi1/12). in tutti e tre gli in-dirizzi, ad esempio, fanno questo tipo di ricerche (intMi1/12) sui diritti umani, però i gra-fici, proprio per il tipo di profilo e per lo specifico personale che hanno in laboratorio, inquello di prestampa e in quello di stampa, realizzano questo come un prodotto finito; perdire [mostra il libretto], questi sono i nomi, questi sono i lavori che loro hanno prodotto,chiaramente rivisti poi dall’insegnante (intMi1/14). questo lavoro interseca le varie ma-terie; io per esempio ho fatto sia la parte che riguarda l’italiano, sia la parte che riguardail diritto, poi sono intervenuti l’insegnante di inglese e gli altri [...] (intMi1/16). Era unaricerca sui “Diritti Umani” che [...] toccava le varie discipline del secondo anno(intMi1/20). cominciavano dalla lingua inglese, attraverso una canzone; durante l’ora diinglese, ascoltavano la canzone in inglese, cercavano di capirne il testo; l’insegnante liaiutava anche sul versante grammaticale, sul versante dei vocaboli; la canzone era unpretesto per trasmettere meglio alcuni contenuti specifici della lingua inglese, tipo i voca-boli, le forme grammaticali e così via. Però questa canzone non era una canzone casuale;era una canzone degli U2 che parlava dei diritti umani; il titolo era Pace in Terra, unacanzone che presentava una tematica che poi sarebbe stata ripresa; si parla della guerra,della violenza, di tematiche che poi vengono riprese anche dalle altre discipline. quandoil professore di inglese aveva terminato il suo segmento, il discorso passava a italiano.ora, in italiano, per esempio, tornavamo sulla canzone e, con l’aiuto anche di alcune do-mande, si faceva una piccola discussione in classe, che oltre, appunto, a cercare di appro-fondire ancora il testo della canzone, doveva servire anche a far riflettere su questi argo-menti […]. Terminato questo lavoro [...] sulla canzone [...], abbiamo utilizzato alcuni la-vori fatti negli anni precedenti, sempre ricerche [...]; ad esempio, sull’argomento dell’in-fanzia negata, sono stati inseriti alcuni testi elaborati dai ragazzi degli anni precedenti;abbiamo fatto dei ragionamenti [...] su questi testi, che mettevano in luce, appunto, gliaspetti di violenza, prepotenza, sopraffazione, privazione che vivono i ragazzi, peresempio, nell’ambito dei farmaci; poi c’era il discorso del lavoro minorile e qui abbiamoinserito un brano sull’Africa, che parlava di questo, poi c’era il confronto sul testo di unragazzino italiano che lavora, che fa vedere come (intMi1/24) queste sono situazionisiano presenti anche in italia, poi c’era un brano sui bambini soldato (intMi1/26). questoera un lavoro fatto precedentemente, realizzato come base per ragionare, perché lo scopo[…] non è solo di vedere quali sono i diritti umani, ma di vedere quali sono e dove ecome questi non vengono rispettati. Per cui, anche la scelta di questi brani era per met-tere in evidenza certe situazioni dove si vede che i bambini, o di qua o di là nel mondo[...] subiscono delle prepotenze. Poi il discorso passava a “diritto” [...]: ci sono alcunitesti che fanno da riferimento ai diritti umani, per esempio la “carta Universale dei Di-ritti dell’Uomo” dell’onU. qui il discorso passava all’onU, [...] a com’è strutturato,alla sua organizzazione, a come funziona. queste [mostra dei lavori] erano letture [...]successive. inserito in questo percorso c’era anche un capitolo sulla pena di morte, percui questo era [...] un ulteriore approfondimento (intMi1/28). con i grafici, puntandomolto su questo lavoro concreto, questa parte è stata fatta un po’ superficialmente; in altri 169 settori, dove non arrivano a tutta questa fase ulteriore, queste letture sono state analizzatein maniera più approfondita. Se rimaniamo sui grafici [...], possiamo dire che i ragazziscelgono un argomento su cui la classe deve lavorare; quest’anno, per esempio, l’argo-mento era quello dei Diversi che vengono considerati ultimi dalla società. Hanno tratti ofisici o comportamentali legati al di tipo di provenienza, di origine, per cui vengono visticome “diversi” e quindi vengono più o meno emarginati [...]. Allora, sono stati indivi-duati alcuni testi – alcuni li ha portati l’insegnante, altri li hanno portati loro –, poi io hoscelto su quali testi lavorare e [...] i ragazzi sono stati divisi in gruppi, hanno letto gli ar-ticoli, poi io ho preparato delle domande che dovevano servire come traccia e loro hannoelaborato degli articoli e me li hanno consegnati. io li ho corretti dal punto di vista dellaforma italiana [...]; poi loro [...] sono passati direttamente in laboratorio. nel laboratoriodi prestampa, li hanno [...] inseriti a livello informatico in una struttura che permettessedi inserire sia il testo che le immagini; anche le immagini le hanno scelte loro; sono statiindicati alcuni siti [...] e loro sono andati a (intMi1/30) cercarle; poi chiaramente glispazi vengono organizzati con l’insegnante di laboratorio, per riuscire a capire benecome impostare, anche graficamente, il tutto, per costruire un lavoro che sia [...] presen-tabile […]. Alla fine, hanno realizzato questo prodotto che comunque rimane loro:ognuno ne avrà una copia. Poi altri insegnanti sono stati coinvolti in questa ricerca: èstato coinvolto [...] l’insegnante di scienze, dato che, all’interno di questo percorso, siparla anche della tortura e quindi, in scienze e in fisica, hanno sviluppato delle ricerchesui materiali che poi venivano utilizzati per le torture [...]. Ecco, per esempio, c’era unaparte inserita sulla pena di morte, sui vari metodi di esecuzione; si parla di elettricità, digas. Dopo questi temi più specifici vengono ripresi dall’insegnante delle materie speci-fiche (intMi1/32) che prende spunto da questa parte per sviluppare [...] meglio questiaspetti; anche l’insegnate di etica ha preso parte [...] a questa ricerca, approfondendo coni ragazzi alcune parti; uno degli articoli su cui abbiamo lavorato di più in classe, peresempio, faceva riferimento a quella ragazzina inglese a cui la mamma voleva rifare lafaccia (intMi1/34); [...] poi, in quei giorni, c’era sui giornali l’articolo su un ragazzo ita-liano down [...] e quindi anche il tema delle diversità è stato ripreso in classe e approfon-dito dall’insegnante di etica e così via, come pure anche un altro tema, quello dei Rom;qui c’erano anche alcuni articoli sui Rom; anche questo è stato ripreso dall’insegnante. Equesto (intMi1/36) sarebbe il capolavoro della seconda grafica (intMi1/38);verso la fine dell’anno, ho fatto anche [...] un’attività di gruppo con le prime classi [...];qui entra in gioco un poco l’interdisciplinarità con il laboratorio. i nostri ragazzi, alla finedella prima, devono sostenere una prova su tutto il programma che hanno svolto in labo-ratorio e, siccome devono costruire un testo che poi impaginano, stampano ecc., facendoinsomma le tipiche operazioni del laboratorio di grafica, prima, in fase di costruzione deltesto, entro in gioco io. i colleghi di laboratorio mi hanno chiesto di riunire i ragazzi ingruppo, di affidare una tematica generale, che per quest’anno erano i “diritti umani” –[...] perché ricorrono i sessant’anni dalla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo[...] – e gli anni scorsi era stato l’Euro, oppure il tema dell’acqua e delle risorse idriche,temi di attualità insomma (intVr4/60). Propongo ai ragazzi il tema, li divido in gruppi epoi cerco di fare in modo che ogni gruppo sviluppi una parte, un aspetto di questo tema.Se il tema è quello dei diritti umani, [...] cerco di impostare il lavoro su tutti i casi cheloro conoscono nella storia – non solo oggi – in cui i diritti umani sono stati clamorosa-mente violati: i campi di concentramento, per esempio; e in questo ci hanno aiutatoanche una gita che abbiamo fatto a Trieste, all’interno della risiera di San Saba e la let-tura di un testo di Primo levi, che ho fatto in classe con i ragazzi (intVr4/62). […] Do-vevano cercare del materiale con un lavoro a casa; oggi con internet sono avvantaggiati,però io avevo chiesto loro di cercare anche su giornali e riviste. oppure, potevano fare 170 qualche intervista, se ci fosse stato vivo qualche reduce dai campi di concentramento,che loro conoscevano; però insomma, questa è una cosa un po’ difficile (intVr4/68). Poifanno un lavoro di analisi della documentazione e cercano di mettere insieme, di struttu-rare un testo che abbia un titolo, un sottotitolo, grosso modo. [...] Poi c’è l’impagina-zione: devono stare all’interno di un certo numero di [...] battute e questo è un ulteriorevincolo che hanno; non possono farlo né troppo corto né troppo lungo e devono [...] pen-sare anche alla paragrafatura (intVr4/70). loro costruivano questo testo, poi lo consegna-vano a me, io lo correggevo e loro lo risistemavano; partendo da questo testo poi loro ag-giungevano, nelle ore di laboratorio, [...] delle immagini collegate al tema, aggiungevanola loro foto di gruppo [...]. Alla fine dell’anno [...] sostenevano una prova orale, in cuichiedevo dove avevano reperito il materiale (intVr4/74) ...se era stato difficile reperirlo,quale tipo di fonte avevano utilizzato […]; gli altri insegnanti poi facevano le loro do-mande tecniche sul lavoro di stampa (intVr4/76). […] questa attività mi permette anche[...] di vedere come i ragazzi sanno – e se sanno – lavorare in gruppo; [...] non tutti sannolavorare in gruppo; ho visto molta dispersione tra i ragazzi. i nostri gruppi sono formatida tre o quattro ragazzi e capita che nel gruppo ci siano magari dei ragazzi che non vannomolto d’accordo [...], oppure [...] ci può essere un gruppo dove c’è un ragazzo leader,trainante, che sa poi far lavorare gli altri, e [...] un gruppo invece dove manca un po’questa figura e allora si vede che non riescono proprio a dividersi i compiti, perchéquesto è un lavoro di équipe e quindi è evidente che ognuno deve fare la sua parte(intVr4/80).Entrambi gli esempi si riferiscono a percorsi realizzati con allievi dell’indi-rizzo formativo per grafici. la centratura è sulla realizzazione di un “capolavoro”,un prodotto finito – in questo caso un libro – nel quale i ragazzi possano ricono-scersi. non a caso, sia A. (intMi1), che lavora con i ragazzi del secondo anno, chec. (intVr4), che lavora con quelli del primo, sottolineano che sul libretto realizzatosono riportate le tracce degli autori (i nomi o la foto del gruppo) e A., che mostra illibretto all’intervistatore, afferma che alla fine a ciascun ragazzo viene consegnatauna copia del lavoro realizzato. come grafici, gli allievi si dovranno confrontareprevalentemente con il compito della stampa. qui sono chiamati a vestire anche ipanni dell’autore e a provare il piacere di vedere i loro testi trasformarsi in librostampato. in entrambi i casi, viene proposto agli allievi di realizzare una ricerca digruppo sul tema dei diritti umani e su vari aspetti connessi con tale tema, a partireda una ricca documentazione, in parte fornita dai docenti in parte rintracciata dagliallievi stessi. A. sottolinea in particolare il carattere fortemente interdisciplinare delpercorso: vengono infatti coinvolti i docenti delle varie discipline (inglese, italiano,diritto, scienze, fisica, etica ecc.) e i ragazzi sanno che tutto quello che andranno adanalizzare, discutere, elaborare confluirà nella realizzazione del libro. il compitoconcreto attribuisce unità a tutto ciò che si fa e alimenta una tensione comune versoil prodotto finale. c. evidenzia il carattere cooperativo del lavoro (ogni gruppo ap-profondisce un aspetto diverso del tema e vengono fatte oggetto di specifiche atten-zioni le abilità sociali richieste dal lavoro ecc.). inoltre, sempre c. illustra anche lafase di presentazione del lavoro, nell’ambito di una prova finale, nella quale gli al-lievi vengono sollecitati a riflettere sul lavoro realizzato, sia sulla stesura dei testi el’uso delle fonti, sia sul processo specifico di impaginazione e di stampa. 171 5.3.2. Il book di presentazioneil senso del lavoro volto a far realizzare compiti professionali interdisciplinariè ben illustrato da E. (intMe7) in relazione all’allestimento di un book con le pre-sentazioni di tutti gli allievi del secondo anno di corso:l’anno scorso, le seconde [...] hanno realizzato un book [...]; noi abbiamo detto: “Fatefinta che dobbiamo consegnare questo book...” (intMe7/187), “...questo libro, alleaziende grafiche. Da questo libro le aziende potranno scegliere i loro dipendenti. quindivoi vi dovete presentare tramite questo libro alle aziende del settore”. ogni ragazzoaveva una propria pagina; all’interno di questa pagina c’erano la loro immagine fotogra-fica, la loro presentazione personale, gli aspetti biografici, le competenze, le aspettative;la loro presentazione è stata poi tradotta in inglese; ecco che quindi [...] abbiamo fattoentrare all’interno di questo lavoro l’insegnante di grafica (intMe7/189) per la realizza-zione pratica del testo, per l’impaginazione, perché poi ogni ragazzo ha personalizzato lapropria pagina; sono entrati anche l’insegnante di disegno e l’insegnante di prestampagrafica (intMe7/191). Sono tutte discipline differenti: c’è l’insegnante di disegno, l’inse-gnante di grafica, che si suddivide in “prestampa”, quindi quello che organizza, che im-pagina, che prepara l’impaginazione grafica, e “stampa”, che sarà poi quello che andrà agestire i processi di stampa. infatti, i ragazzi […] in prima seguono tutti i laboratori, inseconda scelgono se diventare pre-stampatori o stampatori. […] l’insegnante di italianoè stato coinvolto per la stesura (intMe7/193) e la correzione dei testi e l’insegnante di in-glese per la traduzione della presentazione, l’insegnante di diritto per il copyright(intMe7/197), quello di matematica per i preventivi di vendita di questi libri, nel casoavessimo dovuto venderli. Si è quindi cercato di dedicare un paio di mesi ad un lavoroconcreto, che è stato poi realizzato effettivamente; non lo abbiamo distribuito alleaziende, però loro li hanno, noi insegnanti li abbiamo [...] (intMe7/201). Tutte le pagineerano diverse, perché ogni ragazzo ha personalizzato la propria pagina (intMe7/203);c’erano l’immagine fotografica, [...] la presentazione personale dei ragazzi (intMe7/205):competenze, aspettative, aspetti biografici (intMe7/207); a fianco c’era la traduzione ininglese e [...] tutta l’impostazione grafica realizzata proprio dal ragazzo. questo è unodegli esempi di Uda (intMe7/209): (si tratta di) cercare di fare scuola partendo da un’e-sperienza concreta (intMe7/213), per poi riuscire ad arrivare all’origine e quindi cer-cando di inserire l’italiano, la storia, la matematica, cercando di far capire loro che l’ita-liano, la storia e la matematica, non sono soltanto fine a se stesse, non sono soltanto ma-terie scolastiche, ma ti serviranno poi, quando sarai nel mondo lavorativo (intMe7/215).oltre alla consegna autentica, che comporta non un fare astratto, ma un farequalcosa per qualcuno, la caratteristica emergente da questo lavoro è l’interdiscipli-narità e la possibilità offerta agli allievi di percepire i percorsi disciplinari comeconvergenti verso la realizzazione di prodotti tangibili. inoltre, curare la propria au-topresentazione costituisce, in questo caso più che in altri, un’attività riflessiva sudi sé, la propria storia e i propri apprendimenti.5.3.3. Il libretto delle istruzioni sull’uso di un prodotto di laboratorioUn posto importante, nei percorsi formativi, è occupato dai progetti o dalleUda di ambito tecnico, a cui i nostri docenti accennano, illustrando il contributospecifico che apportano come responsabili dell’asse dei linguaggi. Un caso tipico èrappresentato dalla realizzazione del libretto di istruzioni di artefatti tecnici: 172 ad esempio, [...] con la terza, abbiamo l’Uda in cui loro costruiscono un monopattino;noi, oltre a far fare la relazione, facciamo fare anche il libretto delle istruzioni(intMe1/466); do la falsariga di un libretto di istruzione e loro devono inserire: una pre-sentazione dell’oggetto, la componentistica, le istruzioni per il montaggio e la manuten-zione; assieme andiamo in aula di informatica e lo realizziamo anche in un file word, in-serendo le immagini; questo è l’ultimo lavoro di terza in cui ci sia effettivamente unamultidisciplinarità […]; io valuto l’aspetto di italiano, ma non solo, perché c’è unaforma, ma anche un contenuto (intMe1/470), ci sono anche gli aspetti tecnologici dellameccanica, che loro fanno in laboratorio, in tecnologia meccanica (intMe1/472);quelli del settore meccanico ed elettro fanno lavori [...] chiaramente legati al loro profilo,tipo la morsa, tipo l’impianto, dove, per esempio, queste materie culturali non hanno unospazio nello specifico del lavoro, simile a quello che possono avere nei lavori con i gra-fici; [...] sono prodotti strettamente legati al laboratorio e quindi è chiaro che lì materiecome italiano e diritto sono più di supporto; [...] al terzo anno, loro realizzano una speciedi carrello elevatore; devono quindi fare una centralina con i comandi. che cosa fanno diitaliano? Di italiano ci si immagina che questa centralina venga comprata da un cliente eloro realizzano il libretto delle istruzioni, che viene allegato al prodotto [...]. Ecco, du-rante le ore di italiano, loro possono guardare la parte, diciamo, “teorica” del lavoro,quindi il quadro elettrico, offrire alcune indicazioni sui componenti, insomma un minimodi elementi su cui hanno lavorato in laboratorio; [...] guardano i mezzi che sono serviti,quindi il quadro, il disegno e così via e costruiscono [...] questo manuale per l’utente coni seguenti elementi: che cos’è il prodotto, a che cosa serve, come si utilizza, a che cosacorrispondono queste luci, questo comando, a che cosa corrisponde quest’altro. l’ita-liano è meno coinvolto nella realizzazione concreta del prodotto; il prodotto è molto spe-cifico. i meccanici poi fanno dei morsetti, [...] comunque fanno tutti dei lavori molto pra-tici, legati strettamente alla loro professione (intMi1/44). la lingua inglese, per esempio,entra con i vocaboli legati al lavoro, quindi come si dice in inglese questa macchina,questo pezzo; [...] è un inglese che prevede di più un aspetto professionale [...](intMi1/46), comunque sempre legato o a una rielaborazione delle fasi del lavoro [...]:“Se dovessi spiegare a un cliente, a uno che viene ad acquistare questo prodotto, checos’è questo prodotto, come farei? A che cosa serve? come funziona questo prodotto?...Prova a metterti in questa situazione…”. Anche per loro è un modo per ripensare al la-voro che hanno fatto, per capire che non è una cosa fatta così, a caso, ma risponde ad unalogica ecco, perché poi il lavoro deve funzionare: se schiacci questo, s’accende que-st’altro, se fai così, s’accende quello; quindi, è un modo anche per dargli quella visioned’insieme che loro difficilmente hanno, perché vedono le parti molto staccate tra loro(intMi1/48); così vedono il lavoro come un insieme di passaggi legati tra loro, che hannoun fine; quindi si concedono, in un certo modo, una riflessione per arrivare ad un certorisultato [...]; sono più pratici che teorici, che riflessivi; a loro comunque serve questotipo di riflessione (intMi1/52); questo dovrebbe essere, nell’impostazione nostra, il modonormale di procedere [...]; che cos’ha di caratteristico questo percorso? che per funzio-nare bene richiede, per esempio, una sintonia tra i vari insegnanti, una sintonia tra i pro-grammi, [...] che vengano date delle indicazioni generali di competenza e poi che i sin-goli contenuti [...] vengano costruiti dai vari insegnanti adattandoli ai vari percorsi; ilfatto di lavorare assieme in quest’ottica [...] è molto difficile e riesce solo in alcuni mo-menti; ecco perché questi diventano dei momenti particolari durante l’anno. Ripeto chedovrebbe essere il modo normale di lavorare, soprattutto con questi ragazzi, perché sonoragazzi con i quali il classico modello di scuola funziona pochissimo, anche se per certiversi potrebbe essere più comodo per l’insegnante [...], perché hai la classe più sotto con-trollo [...]. Facendoli lavorare in gruppo, per esempio, o introducendo queste diversità – 173 nel senso che si passa da una materia all’altra e loro non sono abituati a fare questi pas-saggi – [...] non riescono a cogliere, a volte, neanche perché si fa questo, glielo devi spie-gare continuamente, devi sempre richiamare: “Abbiamo fatto questa cosa in italiano, viricordate?”, “Adesso stiamo ripassando, poi questo lo rivedrete in fisica, poi questi temisaranno ripresi in laboratorio”; cioè devi sempre ricordare loro cosa stiamo facendo, peròquesto è un modo che li coinvolge decisamente di più (intMi1/54);quest’anno, un riscontro positivo l’ho avuto con un terzo anno [...]. con loro siamo riu-sciti a tradurre il manuale di un macchinario che era arrivato dall’estero; quindi loro sisono resi conto dell’utilità effettiva del lavoro svolto, perché sono riusciti poi [...] ad ap-plicarlo in pratica. Ecco, la cosa che più li soddisfa è l’applicazione pratica di quello chefanno (FGita1/135). È arrivata una macchina dalla Germania; hanno portato questo mac-chinario, una dentatrice [...]; il manuale era in tedesco e in inglese; (si trattava di) unafresa, [...] però era diversa, era più... all’avanguardia; è arrivata con il manuale in tedescoe in inglese e noi l’abbiamo tradotto dall’inglese [...]; a loro è piaciuto parecchio. Perchéè piaciuto con il terzo anno? Perché, essendo [...] tutti lavoratori, [...] capitavano lorodelle cose [...] che, per dire, potevano trovare anche (FGita1/159) sul lavoro; anzi eranoloro stessi che mi portavano poi le istruzioni [...]; non so..., ad esempio, gli elettricisti mihanno portato le istruzioni di un rompivetro, [...] glass breaker, in inglese, e quindi vole-vano sapere, erano incuriositi, interessati [...] su questi termini tecnici [...] (FGita1/161),anche perché, sai, a loro, [...] sapere che ci sono tre tipi di futuro nella lingua inglese, allafine, importa relativamente poco; importa invece sapere come si dice “dentatrice”,“tornio” e “fresatrice” (FGita1/167).Sia D. (intMe1) che A. (intMi1) forniscono uno schema guida, con gli ele-menti che è importante inserire in un libretto di istruzioni. che si tratti di un mono-pattino o di un carrello elevatore o di un morsetto, il problema è spiegare com’èfatto e come si usa quell’oggetto. Attraverso questo tipo di consegna, gli allievi, an-cora una volta, sono sollecitati a tornare mentalmente sul lavoro realizzato, a gua-dagnarne una rappresentazione globale e unitaria e a descrivere le caratteristiche eil funzionamento del prodotto realizzato. in questo modo, essi possono riappro-priarsi anche del senso di ciò che hanno realizzato manualmente e quindi progre-dire nel percorso che li porterà a diventare “esperti”. Si tratta inoltre di dislocarsi,di assumere la posizione dell’utente finale, di scrivere un testo che sia chiaro eutile. Per fare questo tipo di lavori è essenziale un’intensa cooperazione tra i do-centi. E. (FGita1/135-167), che insegna inglese a Ragusa, porta degli esempi in cuiil lavoro proposto agli allievi non è stata la scrittura, ma la traduzione del manualedi istruzioni di alcuni macchinari acquisiti dal centro. E anche qui, la constatazioneè quella di sempre: nel momento in cui si affrontano aspetti legati al lavoro, si ac-cende un autentico interesse che fa desiderare di sapere.5.3.4. La guida turistica della propria cittàR. (FGita2/342-344), formatore in un cFP Roma, si rende conto che è moltoimportante centrare l’attenzione dei ragazzi sulla realizzazione di un prodotto, inmaniera analoga a quella che essi sperimentano nel laboratorio di meccanica, in cuimagari progettano e realizzano un utensile utile. così, nell’area dei linguaggi, pro-pone loro di progettare e realizzare una piccola guida della città: 174 l’esperienza del prodotto è molto importante [...]; l’anno scorso abbiamo fatto un’espe-rienza nel pomeriggio, con alcuni ragazzi di un progetto [...] – abbiamo un settore che sioccupa di riparazione motoveicoli – [...], in cui, con l’insegnante di laboratorio, i ragazzihanno disegnato, progettato, realizzato un utensile che è utile nei laboratori(FGita2/342). [...] Per l’area linguistica, invece, hanno progettato e realizzato una piccolaguida di Roma, cercando foto su internet, costruendo un testo molto semplice, tradotto daloro anche in inglese […]; c’è ad esempio la foto del colosseo e ci sono un testo in ita-liano e un testo in inglese. Poi [...] sono andati in centro, perché il tema era la Roma re-pubblicana e imperiale, la Roma antica, e praticamente hanno fatto loro da cicerone [...]ad un gruppo di... (FGita2/342) ...altri ragazzi e formatori: “questo è il colosseo ecc.”.Poi hanno fatto anche alcune foto. questo per dire che è molto importante [...] costruire,progettare e condividere insieme. io non ho problemi ad andare nei laboratori, a parlarecon i ragazzi, e non mi fa problema se il professore di laboratorio entra in aula mentrefaccio lezione io...; anzi i ragazzi [...] vedono, sentono e soprattutto vivono questo climadi collaborazione. quindi gli elementi importanti sono da una parte il prodotto, in cui si[...] formano competenze con il contributo di diverse aree disciplinari, dall’altra la com-presenza dei formatori di diverse aree e soprattutto la progettazione e la condivisione delprogetto stesso (FGita2/344).l’attività comporta una fase di progettazione e di raccolta dei materiali e unafase di stesura e traduzione dei testi. Tra le due fasi, viene inserita l’esperienza diun’uscita in cui gli allievi stessi diventano guide turistiche per un gruppo di altri al-lievi e formatori. la collaborazione tra i docenti delle varie aree, anche quando nonsi traduce in uno specifico progetto condiviso, consente processi di reciproca conta-minazione e apre ai ragazzi la possibilità di sperimentare che anche i saperi per loropiù teorici possono essere affrontati secondo un approccio operativo. 5.4. Far analizzare esperienze lavorativele storie di pratica lavorativa, raccolte attraverso interviste a testimoni o docu-mentate, ad esempio, attraverso delle videoriprese, possono essere una fonte impor-tante di apprendimento sia per chi le raccoglie sia per chi è sollecitato a raccontarle(cfr. sopra, il punto 3.4.3.). l’attività riportata nel brano seguente riguarda un labo-ratorio interdisciplinare e interclasse, collegato alla partecipazione ad un concorsosul risparmio energetico, coordinato da E. (intVr6), insegnante di chimica52 nel cFPdi Verona:abbiamo partecipato anche ad un concorso ecologico, sul risparmio energetico, e, dueanni fa, il settore elettro è arrivato secondo in questo concorso e ha vinto un premio. Ave-vamo [...] coinvolto tutte le classi, le prime, le seconde, e le terze. le terze avevano istal-lato dei sensori nelle classi, che permettevano l’accensione e lo spegnimento delle luci inbase alla presenza o all’assenza delle persone all’interno della classe, ottenendo così unrisparmio energetico […]; i ragazzi di prima [...], dopo le lezioni sulle forme di energia e 52 Anche qui, come in altri casi (cfr. la nota inserita al punto 2.6.1.), si è scelto di collocare la te-stimonianza di questo docente, che insegna chimica, in questo lavoro e non in quello dedicato allepratiche dei docenti di area matematica e scientifico-tecnologica (cfr. Tacconi, 2011). 175 sul risparmio energetico, hanno realizzato dei cartelloni come spot pubblicitari; quelli diseconda hanno ripreso con la videocamera la preparazione degli impianti e dei cartellonie hanno intervistato i ragazzi di terza che montavano l’impianto; abbiamo prodotto unvideo e con il video abbiamo vinto il secondo posto al concorso (intVr6/30). [...] l’atti-vità principale era quella dell’istallazione di questi apparecchi (intVr6/32). il video, cu-rato da quelli di seconda, ha documentato il lavoro di quelli di prima, che facevano glispot pubblicitari per invitare al risparmio energetico, e di quelli di terza, che montavano isensori (intVr6/34); quelli di seconda, intervistando i professori di laboratorio e i lorocompagni, hanno anche fatto raccontare come funzionano questi sistemi di risparmioenergetico, per esempio il fatto che [...], se nei corridoi passa una persona, le luci si ac-cendono, e che, se non passa nessuno, rimangono spente; oppure hanno documentato ipannelli termici per produrre acqua calda e tutte forme di risparmio energetico che l’isti-tuto attua; i ragazzi, facevano tutto questo intervistando i professori e gli studenti(intVr6/36). nelle mie ore, facciamo tutto un lavoro sulle energie, su che cos’è il ri-sparmio energetico, sulle varie forme di energia; ai ragazzi di prima do queste informa-zioni, per cui i cartelloni che loro hanno elaborato, sono nati da queste lezioni. Mentrequelli di terza puntavano di più sulla parte tecnica [...], non entravano nel dettaglio del ri-sparmio energetico, ma entravano nel dettaglio tecnico di come avviene il montaggio.con quelli di seconda cercavamo, invece, insieme, di trovare le domande giuste, anchese, [...] ovviamente loro non avevano fatto una parte sulle energie, sul risparmio energe-tico; solo quelli di prima avevano approfondito questa parte. quindi, con quelli di se-conda, è stato più un lavoro per generare le domande insieme; con quelli di prima è statoinvece un lavoro un po’ più denso, nel senso sia sulle parti teoriche sia sulla parte grafica,in base alle loro idee; con quelli di terza era più un lavoro da laboratorio e di riflessionesul loro lavoro (intVr6/38).il complesso progetto narrato da E. (intVr6) prevede che un gruppo di ragazzi,quelli del secondo anno di corso, diventi sollecitatore di storie nei confronti deicompagni degli altri anni di corso e di alcuni insegnanti, storie che vengono ripresee montate in un video da presentare ad un concorso. nel caso dei compagni diprima, le storie raccolte sono relative all’attività di realizzazione di spot di una pub-blicità progresso che invita al risparmio energetico, nel caso dei compagni di terzae dei docenti di area pratica intervistati sempre dai ragazzi del secondo anno, lestorie riguardano a tutti gli effetti la “pratica professionale”. in particolare, le inter-viste dei ragazzi di seconda sollecitano, nei docenti e nei loro compagni, una messain parola di pratiche lavorative e procedure tecniche. in questo modo, narrando lapropria esperienza o sentendo narrare quella altrui, gli allievi sono stimolati a ritor-nare sull’esperienza stessa e ad attivare una meta-riflessione che consente loro diformalizzare il sapere in essa contenuto e di passare dal “saper fare” al “saperecome si fa”. 6. ASSegNARe COMPITI AuTeNTICI A più riprese, nei testi dei nostri formatori, emerge l’esigenza di guidare ad im-parare facendo, realizzando qualcosa di concreto, utile, visibile, e anche dicibile,narrabile ed illustrabile ad altri. il contesto che può dare significato a questo impa- 176 rare facendo è la consegna autentica. Sono senz’altro compiti autentici quelli pro-fessionali, legati all’indirizzo del cFP, che abbiamo visto sopra, ma nei testi deiformatori compaiono anche altri compiti autentici che, come quelli professionali,fanno perno su problemi che potrebbero essere incontrati nel mondo reale. Si trattaanche in questo caso di compiti che richiedono di ragionare su un problema, di col-laborare nella ricerca di soluzioni, di valutare possibili soluzioni alternative e dicreare un prodotto finito e tangibile, che comporti l’applicazione delle conoscenzeacquisite (cfr. lombardi, 2007). Affrontando compiti autentici, gli allievi dell’iFPtoccano con mano che i problemi hanno diverse dimensioni e che la vera interdisci-plinarità sta nell’unità del soggetto che, per affrontare il problema, è obbligato acollaborare con altri, attivare diversi punti di vista, istituire connessioni, costruirenuove conoscenze. nei paragrafi che seguono, vedremo alcuni esempi di compitiautentici53 che vengono nominati dai nostri formatori nelle interviste. 6.1. Compiti da giornalistai docenti dell’asse dei linguaggi e di quello storico-sociale ricorrono spesso acompiti autentici tratti dal mondo del giornalismo o aderiscono a progetti nazionalicome “il quotidiano in classe”. non si riscontra infatti in loro alcuna traccia di quelpregiudizio, abbastanza diffuso tra i docenti della scuola, nei confronti della linguadei giornali, che spesso orienta a contrapporre il giornale al libro (cfr. Serianni, Be-nedetti, 2009, p. 144). Vediamo alcuni esempi citati nei racconti raccolti in questaricerca.6.1.1. L’articolo di giornalenon sono pochi i formatori che danno la consegna di scrivere un articolo digiornale, magari dopo averne analizzati alcuni in classe come esempi di testo infor-mativo:sulla lettura dei quotidiani, c’è un’esperienza che viene da lontano […]: abbiamo parteci-pato con i nostri ragazzi dei terzi anni ad un concorso nazionale, […] comprando i giorna-li sia nazionali che locali, imparando a distinguere la prima pagina dalle altre pagine, a ca-pire come si legge un articolo, come si costruisce una pagina ecc. […] Abbiamo anchemandato gli elaborati al concorso nazionale; poi questa esperienza si è interrotta, ma è ri-masta, come dire, la metodologia, per cui io e [...] tanti altri miei colleghi lavoriamo mol-to portando in aula i quotidiani; io, per esempio, raccolgo in un mese una ventina di quo-tidiani diversi, perché compro giornali diversi ogni giorno, li porto in aula e i ragazzi cilavorano (intRoma2/36). Allora do una doppia consegna: la prima è legata alla strutturadella prima pagina; do le prime pagine dei maggiori quotidiani, consegno materialmenteil quotidiano (intRoma2/38) di giorni diversi, perché nello stesso giorno diventa compli- 53 Un elenco molto articolato di compiti ci viene offerto ad esempio da Bernie Dodge, nella suapresentazione del Webquest (Dodge, 1997; cfr. anche Tacconi, 2007c, pp. 41-61). qui però non mi ri-faccio ad alcuna classificazione predefinita di compiti e riporto solamente quelli che sono emersi dalracconto dei nostri insegnanti. 177 cato comprare quindici giornali; raccolgo i quotidiani; siccome compro due quotidiani algiorno [...] di testate differenti, in un mese ho a disposizione diversi numeri del Corrieredella sera, della Stampa...; nell’aula porto questi quotidiani e li distribuisco; ogni ragazzone ha una copia […]; sulla prima pagina va ad individuare l’organizzazione e mi deve di-re: dov’è la testata, dov’è l’articolo di fondo, dov’è l’articolo di spalla, che cos’è l’oc-chiello... (intRoma2/40); do una griglia e naturalmente, prima di questo, faccio un inter-vento con alcune slide sul quotidiano: che cos’è, come è formata la prima pagina; poi doloro un quotidiano e loro devono andare ad individuare dove sono gli articoli, quali sonole pagine, quali sono le rubriche. questa è la prima fase. la seconda fase è come scrivere,come leggere, quindi la risposta alle cinque domande: chi, che cosa, dove, come e quan-do; come leggere un articolo: occhiello, titolo, sommario e le prime cinque domande, e lo-ro lo devono fare scegliendo un articolo e dicendo di chi si parla in quell’articolo, dove,come, quando ecc.; quindi loro fanno questo lavoro di analisi del giornale e lo riportanonel loro quaderno dei riassunti. l’ultima fase riguarda la… (intRoma2/42) scrittura di unarticolo; il compito che io do è: “Adesso scrivete un articolo. Scegliete se deve essere unarticolo di divertimento, un articolo di informazione, un articolo di spettacolo ecc. Sce-gliete voi, ma dovete scrivere un articolo [...] che riguardi il cFP, un articolo che riguardii vostri compagni”; può essere qualunque cosa, ma devono costruire un articolo, metten-doci la foto o un disegno o una vignetta, facendo l’occhiello ecc. in genere, lo fanno sulcampionato di calcio, su un artista, sul compagno, sulla scuola (intRoma2/44). Presentanoquesti articoli [...] e io li valuto; do una valutazione sia sul piano dei contenuti, sia sul pia-no della correttezza formale [...] (intRoma2/46). lo fanno sul loro quaderno dei riassunti,che, in maniera molto artigianale, è il loro portfolio (intRoma2/48);adesso stiamo concludendo [...] con l’articolo di cronaca: è importante il fatto che impa-rino non solo a scrivere in prima persona – cosa che fanno con la pagina di diario o conla lettera personale – ma [...] anche ad essere degli osservatori […] esterni di un fatto cheè accaduto; [...] in effetti, magari, loro iniziano a scrivere in terza persona, in modo im-personale, e poi passano alla prima persona [...] (intPd3/26); per esempio, per quanto ri-guarda l’articolo di giornale, come centro, abbiamo aderito al progetto “il quotidiano inclasse”, per cui, tre volte a settimana, riceviamo dieci copie di tre quotidiani nazionali,giusto perché vogliamo sensibilizzare i ragazzi alla lettura del quotidiano (intPd3/32).Per l’articolo di giornale, io sono partita con l’analizzare assieme ai ragazzi degli articolidi cronaca, magari locale, semplici […]; partendo dall’articolo di cronaca, faccio ricono-scere le cinque w: chi, che cosa, dove, quando, perché, cioè proprio i principi della ste-sura dell’articolo; faccio utilizzare i colori [...]; vedo che, quando viene fornito loro unmateriale diverso – che sia la fotocopia, che è diversa dal manuale, che sia il giornale,che è una cosa diversa dagli strumenti a cui sono abituati –, si attivano quelle aree che, avolte, sono un po’ addormentate. Poi cerco di sviluppare in loro un po’ una coscienza cri-tica, perché, quando parlo di quotidiano, allora tirano fuori [...] il Leggo, che è un gior-nale di strada; [...] non è per sminuire i giornali di strada, ma cerchiamo di vedere inmodo concreto quali sono le differenze, perché, non so, il Corriere della Sera lo trovi inedicola, lo paghi, e questo giornale mi viene distribuito ai semafori; cioè [...] qual è ladifferenza dal punto di vista del contenuto, da un punto di vista anche della correttezzadella forma […]; è bene anche che si abituino a una coscienza un po’ critica nei confrontidi ciò che viene offerto loro (intPd3/34). […] nell’ambito di una prova concreta, loro an-dranno a creare un giornalino [...], ognuno per conto proprio. la settimana scorsa hofatto la parte teorica: com’è organizzata la prima pagina di un giornale; ho portato il quo-tidiano; prima, alla lavagna, ho fatto il disegno della pagina. Allora [...], dov’è la “te-stata”, dov’è l’articolo di “fondo”, ecc. [...]; e dopo, dalla teoria – ho anche disegnato, of-frendo quindi un riferimento concreto – siamo passati al riconoscere che, in un quoti- 178 diano nazionale, in effetti viene rispettata questa struttura; ho detto: “questo vi serve, ra-gazzi, per andare a costruire il vostro giornale, che sarà un foglio fronte retro... [...]”.“Però – ho detto – dovete pensare al nome da dare al vostro giornale”. Allora ci siamoconcentrati, d’accordo anche con le altre colleghe di italiano, su tre articoli che andrannoa scrivere: una pagina di diario che, proprio sfogliando il proprio diario scolastico, riper-corra l’anno che loro stanno per concludere: gli impegni che hanno avuto, le difficoltà in-contrate in alcune materie, ma anche i momenti di festa, di amicizia. Ad esempio, un ra-gazzo mi fa: “Ah, ma io sul diario ho solo dediche!”. “Eh beh, ti sembra poco? Ancheuna dedica scritta da un compagno è frutto di un momento che comunque vi ha legato!”.Allora una pagina di diario, con questo argomento, una lettera personale ad una professo-ressa o a un professore […] (intPd3/174) e un articolo di cronaca sulla “festa del grazie”,che abbiamo vissuto venerdì scorso (intPd3/170). l’abbiamo fatto proprio stamattina:“Scrivi un articolo di cronaca, che tenga conto della regola delle cinque W […]; ricordatidi scrivere in terza persona”, cosa che io dovrei dare per scontato perché, se la consegnami chiede di scrivere un articolo di cronaca, allora non devo parlare in prima persona; iol’ho scritto perché non sempre è una cosa automatica; poi loro queste tre tracce le scrive-ranno a mano su un foglio protocollo, io farò la correzione e darò anche il voto e poi loroandranno proprio a costruire il loro giornalino, lavorando durante le ore di applicazioniinformatiche, anche con le tabulazioni (intPd3/176);faccio guardare loro i giornali e il telegiornale. Mi riportano le notizie e poi riportano conle loro parole l’approfondimento che il telegiornale fa della notizia (intMe4/132); […]parto da tutte le fonti che loro hanno, perché così riesco a carpire i loro interessi(intMe4/136). Per esempio, leggono molto “leggo”, un giornale che viene distribuitogratuitamente e che prendono sul pullman. Si soffermano, naturalmente, sulle notizie digossip (intMe4/138) […]; dalle analisi che ho fatto, per esempio, quando stavo trattandole diverse tipologie testuali, è inutile che io parli di giornali tipo “il sole 24 ore”, “il cor-riere”, che spaventano solo per la dimensione delle pagine e lo spessore che hanno(intMe4/140). Allora [...] analizzo passo dopo passo tutto quello che loro offrono(intMe4/142), butto via tutto quello che non mi interessa e [...] mi concentro sul far fareun articolo di giornale. che articolo di giornale fanno? leggono la notizia di gossip, lanotizia di moto, la notizia di sport e su quelle lavorano [...] (intMe4/146).P. (intRoma2) organizza un percorso articolato in fasi, attraverso il quale ac-compagna i suoi allievi dall’analisi di prime pagine e di articoli di giornale, alla re-dazione di un articolo. Anche n. (intPd3) propone prima un lavoro di confronto e dianalisi (non solo formale, ma anche critica) di articoli o di differenti tipologie digiornale, per poi procedere con la consegna di scrivere un articolo o addirittura dicomporre la prima pagina di un vero e proprio piccolo giornale. S. (intMe4) nondisdegna i modelli radio-televisivi e i quotidiani gratuiti che si distribuiscono ai se-mafori, perché sono quelli più accessibili ai ragazzi. È a partire dalle notizie che licolpiscono maggiormente che S. chiede loro di misurarsi nella scrittura di un artico-lo. l’utilità di questo tipo di esercizio è sottolineata anche da luca Serianni:«…mette in gioco […] la capacità dell’alunno di individuare gli elementi più signi-ficativi di un episodio, organizzandone la salienza attraverso un’opportuna titolazio-ne, e lo abitua a superare l’autobiografismo effusivo e disordinato di tanti temi in-cardinati sulle proprie emozioni di adolescente; è un’ottima occasione, inoltre, perfar capire che cosa voglia dire “punto di vista”» (Serianni, Benedetti, 2009, p. 144). 179 6.1.2. La prima pagina di un giornale del passatoF. (FGita2/86-100) propone ai suoi allievi la variante della realizzazione dellaprima pagina di un giornale del passato, come lavoro preliminare ad un percorso distoria sul fascismo:per quanto riguarda storia, per esempio, [...] su tutto il periodo del fascismo, ho fatto ri-costruire a loro un giornale del tempo; ho recuperato delle prime pagine su tutto il pe-riodo fascista, dalla fine della prima guerra mondiale [...] all’inizio della seconda; [...] eappunto [...] ho fatto costruire in due o tre lezioni, [...] la prima pagina di un giornale diquel tempo; avevano parecchie fotocopie delle prime pagine di un paio di testate, LaStampa e il Corriere della Sera; [...] ho trovato delle pubblicazioni molto grandi che poiho fotocopiato direttamente in A3, e loro hanno fatto tutto un lavoro di ricerca, di ritagliodei pezzi che interessavano di più [...], senza conoscere nel dettaglio l’argomento sto-rico – era un lavoro preliminare –; hanno fatto un po’ di lavoro di analisi, di taglia e in-colla e di sottolineatura e quindi hanno realizzato le prime pagine […] con frontespizio,due o tre articoli principali di cui hanno fatto i riassunti [...]; sottolineando ed eviden-ziando, hanno tirato fuori un riassunto su cui sono stati interrogati (FGita2/86) […]; il la-voro era individuale [...] ma era svolto con una [...] configurazione dei banchi, dellaclasse, non frontale; c’erano tre sotto-gruppi, di sette o otto [...] che lavoravano così,fianco a fianco (FGita2/96); nelle verifiche io metto sempre un paio di domande finali dicarattere [...] personale, di interpretazione: “che cosa ti ha colpito di questa cosa...”, ec’era anche: “come mai hai scelto questi articoli?” (FGita2/100).A partire da documenti del tempo, il docente fa selezionare delle notizie ecomporre la prima pagina di un giornale del ventennio fascista. qui la consegna discrittura si limita al riassunto. Seguendo una modalità analoga, si potrebbe proporreanche l’“intervista impossibile” o immaginaria a qualche personaggio storico delpassato (cfr. Serianni, Benedetti, 2009, p. 144).6.1.3. Piccole recensioni per la pagina culturaleAll’interno di una strategia più ampia, volta a stimolare il piacere della lettura,M. (intVr7) propone la redazione di una piccola recensione ai libri letti:durante le vacanze estive, do loro da leggere qualcosa, con un minimo di sintesi [...]; il com-pito è quello di scrivere una piccola recensione.All’inizio davo solo libri su temi di attualità,i libri di Gino Strada, per esempio (intVr7/32), Pappagalli verdi e Buskashì; questo servivaanche [...] per conoscere l’attività di Emergency [...] e per finanziare un poco l’organizza-zione; […] ho visto che funziona, però, ad un certo punto, ho pensato di allargare un pochinoil ventaglio dei libri aggiungendo [...] (intVr7/34) qualcosa di lucarelli [...]. Hanno diffi-coltà a superare le cento pagine [...]; se gli presenti un testo con più di cento pagine, ti dico-no: “non starà mica scherzando?”, e io: “cavoli, ragazzi, come è possibile? Uno li legge indue sere!”; c’è chi si è appassionato alla lettura e questa è una grossa soddisfazione per me;poi mi sono venuti a chiedere altri titoli […] e questa è una bella cosa; alcuni mi dicono: “Sache non avevo letto mai un libro fino in fondo?”, e io dico: “noo?”. [...] Ho visto che questacosa funziona, insomma, perché poi leggono un po’ di più, imparano meglio l’esposizionescritta e si appassionano un minimo, sviluppano un po’di gusto della lettura (intVr7/36).il compito di stendere una recensione, soprattutto se successivo all’analisi digiornali che recensiscono libri (ad esempio, l’inserto settimanale de La Stampa, 180 “Tuttolibri”), può trasformare la scrittura di un commento al libro letto in un com-pito autentico. nel caso di M., anche per la scelta oculata dei libri da proporre, lacosa sembra funzionare.6.1.4. La rassegna stampa o la rassegna tematicaUn ultimo compito legato al mondo dei giornali e delle riviste è quello di farcompilare delle vere e proprie rassegne stampa tematiche. È l’esperienza narrata daMG. (intPd2) nel brano seguente:in seconda [...] lavoro molto sulla stampa; ad esempio, un anno, al corso per segretarie,ho fatto fare proprio la rassegna stampa; [...] era un’attività che mi sono imposta [...] daottobre fino a maggio; [...] ho dato tre argomenti, ad esempio (intPd2/118), legati alla po-litica, e loro, ogni settimana, in un’ora prestabilita, dedicata a questa attività, dovevanoacquistare il giornale, portarlo a scuola, magari a coppie, uno ogni due – giornali anchedi diverso tipo: facevo acquistare il Corriere, la Repubblica e, a volte, [...] il Sole 24ore – [...], raccogliere [...] tutti gli articoli inerenti a quell’argomento e fare una rassegnastampa; quindi dovevano individuare, anche solo da una lettura globale, dal titolo, dal ca-novaccio, alcune informazioni e vedere se l’articolo poteva servire loro; dopo di che, fa-cevano la raccolta e la rassegna stampa degli eventi relativi ai tre argomenti che avevoloro assegnato. È stata dura, anche per me, non solo per loro, ritagliare e incollare, peròalla fine hanno fatto un buon lavoro (intPd2/120). la gestione è un po’ difficile, ancheperché durante la lezione hai caos, non hai una classe ferma ai banchi, buoni, seduti, tuche parli e loro che “non” ascoltano; hai una classe con ragazzi in piedi, ragazzi con ibanchi attaccati, con questo giornale in mezzo, però io preferisco così (intPd2/122);quindi lavorano loro, non sono io che “butto dentro”, ma sono loro che acquisisconostrumenti [...] (intPd2/124)54. […] Mi sento orgogliosa [...] della rassegna stampa(intPd2/200). ci ho investito parecchio tempo ed energia, però è andata bene(intPd2/202); ho avuto dei buoni risultati, soprattutto perché [...] per me un obiettivoforte è che i ragazzi arrivino a capire il giornale, a leggere, ad appassionarsi alla lettura eal fatto di essere informati, di conoscere quello che succede attorno a loro. Dico che èstata dura, perché per i ragazzi alcuni argomenti sono ostici e non ne vogliono proprio sa-pere, anche perché non sempre hanno le conoscenze per capire. Sentirmi dire da una ra-gazza: “Ah, ma allora, sì..”, cioè fare un collegamento “Ma questa cosa è successaperché…, allora…” è stato un successo, proprio perché ha fatto lei questo collegamentomentale tra le sue conoscenze e quelle che aveva acquisito in diritto: “Ah, ma allora, seal Parlamento fanno così, perché nel Parlamento ci sono…”, ha collegato una cono-scenza con la comprensione della realtà, [...] per cui per me è stato veramente [...] il se-gnale del raggiungimento dell’obiettivo al quale miravo; con qualcuno ce la faccio, conaltri mi limito a che riescano a capire lo strumento che gli do in mano, quelle poche in-formazioni che gli servono per arrangiarsi nella vita (intPd2/204).il compito richiede di analizzare con regolarità gli articoli di alcuni quotidianie di selezionare quelli attinenti al tema oggetto di analisi. l’atmosfera è quella delcaos o del disordine generativo – la stessa che si creerebbe in un’officina o in uncantiere polveroso – con i ragazzi che leggono, raccolgono, si muovono, ritagliano, 54 il brano che segue è collegato a quello precedente perché affronta lo stesso argomento, la ras-segna stampa. il brano intermedio, che tratta di una tecnica un po’ diversa, viene riportato sotto. 181 incollano, scrivono. il fatto che alcuni arrivino ad operare dei collegamenti in modoautonomo è considerato dall’insegnante indicatore dell’efficacia del lavoro pro-posto.È sempre MR. che, in altre occasioni, propone anche compiti maggiormentesfidanti, come la costruzione di una rassegna di articoli specialistici su temi profes-sionali. questo aiuta gli allievi a cogliere le differenze tra giornali e riviste divulga-tive e riviste specialistiche di settore:[...] qualche volta porto un articolo [...] che possa essere vicino a quello che interessaloro (intPd2/134); ad esempio, se siamo in terza, ad interessi di tipo professionale, [...]un articolo sul packaging, oppure sulla pubblicità; ecco ad esempio [...] ho lavoratomolto bene con il mio collega che fa marketing, perché lì hanno un approccio molto teo-rico al marketing: che cos’è, il discorso della mission [...], le strategie e le politiche dimarketing all’interno delle aziende. ovviamente io, in italiano, do loro degli articoli diriviste specializzate – mi rendo conto che a volte possono essere molto difficili, ma infondo poi, nel lavoro, quelle sono le cose che possono trovare, anche per la loro forma-zione –; [...] da internet scarico degli articoli specifici proprio su quell’argomento e lileggo con loro; do ovviamente a loro anche la fotocopia della documentazione e [...] in-dico loro [...] quali sono le informazioni principali; poi do una traccia, [...] per stendere larelazione sull’articolo; all’inizio dico: “Dovete trattare questo, questo, questo punto”(intPd2/136); dico: “l’autore [...] dà una definizione di packaging” (intPd2/140). Allorail primo punto sarà: che cos’è il packaging; allora io dico: “Prima dovete citare l’articolo,il titolo e la fonte, [...] e il nome dell’autore, e quindi iniziate la vostra relazione scri-vendo: l’articolo tratto da…”. A volte do anche delle formule di apertura [...]: “articoloscritto da..., pubblicato sulla rivista...”; fornisco [...] io stessa anche degli incipit, [...] l’i-nizio di una frase che poi loro devono continuare. questo a volte sta un po’ stretto a chimagari scrive già un pochino meglio, però, per i ragazzi che non sanno scrivere, è fonda-mentale dargli un po’ di spinta. Dopo di che dico: “Primo punto, definizione di packa-ging”, supponendo che ci sia quella, io sto un po’ andando a memoria (intPd2/142); poi,non so, “[...] le funzioni del packaging, secondo punto; terzo: tipologie di materiali...”(intPd2/144), il tutto legato all’argomento dell’articolo [...] (intPd2/150).il percorso prevede un supporto destinato a venire gradualmente meno, con lacrescita dell’autonomia dei soggetti. la prima fase consiste nella raccolta della do-cumentazione rilevante e qui il contributo della docente è consistente. l’analisidegli articoli, tratti da riviste o siti specialistici, può essere un compito sfidante. Delresto è con questo genere di letteratura che gli allievi saranno in futuro confrontati.la seconda fase prevede, per ciascun articolo, la stesura di una breve relazione chene illustri i contenuti essenziali. Particolare attenzione viene dedicata alla citazionecorretta delle fonti e alla struttura del report. 6.2. Compiti di simulazioneUn’altra tipologia di compiti autentici è quella dei compiti di simulazione.Anche questi sono già comparsi in altre parti del volume (cfr. il punto 3.1.3 e ilpunto 5.2.). Si tratta di fornire agli allievi delle situazioni o scenari e dei ruoli, al-l’interno dei quali essi possano improvvisare dialoghi o azioni su cui poter poi ri- 182 flettere. qui di seguito presenterò alcuni racconti che forniscono eloquenti esempli-ficazioni di questa strategia.6.2.1. Simulazioni di vendita, televendita o colloquio telefonicoD. (intPd5), che insegna tecniche di comunicazione a Padova, orienta allo svi-luppo di competenze nell’area dei linguaggi55 proponendo ai suoi allievi diverse si-mulazioni:in vetrinistica e in un altro modulo che si chiama visual merchandising […] (intPd5/8), iragazzi fanno, per esempio, tecniche di comunicazione e vendita […] e studiano propriola parte teorica, allora: l’esposizione di un determinato prodotto, in un certo modo, conun certo colore, in una determinata posizione. con riferimento all’area dei linguaggi, siva a sviluppare proprio la loro capacità di comunicazione con il cliente. la prima espe-rienza che fanno è la fase di accoglienza, per cui una sorta di presentazione, non solo dite come commesso, ma anche del tuo negozio, di quello che hai […] come prodotti(intPd5/12). lavoro molto proponendo loro delle situazioni [...]; per esempio, in classefacciamo diverse simulazioni di vendita: loro sono i commessi o i clienti, e quindi, nonso, devono imparare a gestire il saluto e la fase iniziale, che è quella relativa alle infor-mazioni. […] Altri tipi di simulazione si fanno quando il nostro prodotto, per esempio,deve essere presentato ad un pubblico più ampio; lì c’è la difficoltà da parte loro di par-lare per tre minuti di un oggetto da presentare, lì senti che i ragazzi magari faticano adesprimersi in italiano (intPd5/14). È come se fosse una televendita […] e tu devi esserecosì convincente da presentare tutto il ventaglio che puoi di informazioni caratteristichedel prodotto. E poi, va beh, c’è la classica comunicazione telefonica, perché loro devonoimparare anche a gestire delle informazioni, a dare e ricevere delle informazioni per tele-fono. Per cui, andiamo a vedere le caratteristiche della comunicazione telefonica, ma so-prattutto la loro capacità di essere coincisi, perché magari hai un cliente in negozio chechiede, per esempio, la tua presenza. Adesso stiamo facendo un lavoro interessante conl’insegnante di italiano […], per cui i rilievi che io di solito faccio, quando rileggiamol’esperienza che fanno, sono legati proprio agli aspetti tecnici, mentre l’insegnante di ita-liano guarda, non so, gli errori che magari fanno nell’esprimersi, le contraddizioni [...];magari capita che uno abbia presentato benissimo il suo prodotto, però si sia espresso indialetto […]. Una parte interessante è quella che facciamo con gli stranieri, che magaripossiedono benissimo la lingua inglese – cosa che non capita con i ragazzi italiani – mafaticano, ovviamente, con la lingua italiana. lì c’è proprio tutto un altro approccio [...](intPd5/16): […] fanno una parte di simulazione con l’insegnante di inglese, [...]: simu-lano situazioni in cui presentano un determinato prodotto, oppure convincono un clientead acquistare (intPd5/20). [...] Tantissime volte [...] costruisci un’Uda per insegnare ai ra-gazzi la risoluzione di un problema, di una questione concreta... (intPd5/38); [...] l’ultimache stiamo [...] completando è sulla gestione della comunicazione telefonica; [...] è statasuddivisa in tre parti […]: la prima comportava di esplicitare, di far conoscere ai ragazzile caratteristiche della comunicazione telefonica, per cui proprio la parte teorica, moltosemplice, se vuoi, del tipo che la telefonata ha un tot. di fasi da rispettare; la secondaparte presentava alcune cose anche molto tecniche ma semplici, come ad esempio non la-sciare molti messaggi in segreteria, perché poi non riesci a gestirli, avere sempre un bloc-chetto su cui segnare l’appuntamento che ti viene richiesto ecc. la terza parte, quella chestiamo completando adesso, è una simulazione con l’insegnante di italiano; è quella in 55 Si intuisce il tentativo di organizzare il curricolo per competenze e non per discipline. 183 cui loro dovranno gestire una vendita al telefono [...], in cui proporre [...] un determinatoprodotto. E lì ho visto che i ragazzi si sono messi veramente in gioco; il fatto proprio disimulare una telefonata, con tanto di telefono, per loro rimane concreto, e forse le Udache riescono meglio sono proprio quelle dove ci sono queste esperienze concrete che loropossono... vivere (intPd5/40).nell’ambito del percorso in “tecniche di comunicazione e vendita”, gli allievidel cFP di Padova hanno la possibilità di esercitare e sviluppare competenze nellagestione della comunicazione con il cliente. Gli apprendimenti linguistici sono ca-lati nel contesto autentico dell’esercizio commerciale. le situazioni che la docentefa simulare riguardano innanzitutto il rapporto tra commesso e cliente, in cui sitratta di imparare a salutare e a fornire informazioni. Un secondo contesto è quellodella televendita e dunque di una comunicazione ad un pubblico più ampio. il terzocontesto di simulazione è la comunicazione telefonica, che ha caratteristiche speci-fiche e richiede specifiche attenzioni. Anche qui decisiva è la cooperazione tra i do-centi delle varie aree, in particolare quella di tecniche di comunicazione e quella diitaliano, ma anche la docente di inglese, che può valorizzare le competenze degliallievi stranieri che, se hanno difficoltà con la lingua italiana, spesso padroneggianol’inglese meglio dei compagni italiani. Ad ogni esperienza di simulazione segueuna fase riflessiva di rilettura dell’esperienza. l’enfasi dei formatori è posta suiprocessi comunicativi, sulle procedure di una comunicazione efficace, ma il con-testo che si crea fa sperimentare agli allievi anche un altro tipo di comunicazione,quella che nasce dal fare delle cose insieme.6.2.2. Conversazioni simulate tra compagni di viaggioG. (FGita1/93-95), formatore a Palermo101, fa simulare delle situazioni di con-versazione a coppie, in occasione di incontri casuali, sul treno, sull’autobus o anchesulla panchina di un parco:[...] faccio molte fotocopie; ogni mese, a turno, i ragazzi devono comprare delle riviste –[...] sono sette anni che insegno e sono sette anni che sono abbonato a otto riviste:“Focus”, “newton”..., perché poi io devo avere un riscontro prima che il ragazzo affrontiil tema [...], per non essere preso (FGita1/93) alla sprovvista – [...]. Siccome hanno moltadifficoltà nell’esprimersi, sono timidi, non riescono a comunicare, allora io faccio sce-gliere e, ogni due settimane, facciamo il gruppo di cultura [...]: ci mettiamo in cerchio e ilragazzo deve spiegare un passo della rivista che più lo ha colpito [...], poi li metto incoppia e dico: “Siete su un treno, per esempio; [...] volete parlare, comunicare con il vo-stro vicino; siccome si parla sempre di convenevoli, con chi si incontra, del calciatore diturno, delle notizie di cui si è a conoscenza, parlate delle notizie che avete appreso dallarivista Focus” – molti ragazzi preferiscono “Focus”, perché ci sono le figure, le imma-gini, ma anche perché costa delle altre […] –; insomma, li faccio incontrare su un treno, 56 Una nota che offre qualche indizio sulla particolarità del contesto, è contenuta nell’osserva-zione del docente, nel brano che segue, riguardo all’invito che egli fa di chiamare “colleghi” i com-pagni di classe. 184 su un autobus, sulla panchina [...] e discutere: “Sai, ho visto ieri al telegiornale che leparticelle...”. imparano quasi a memoria l’articolo; non è che lo capiscono sempre perfet-tamente, […] però mi accorgo che si sforzano di usare un linguaggio tecnico e non lousano da sprovveduti, lo usano con naturalezza, con proprietà [...]. Durante l’arco del-l’anno, leggono dieci, quindici articoli; poi faccio fare una relazione finale su tutti gli ar-ticoli che hanno letto. E quest’anno ho avuto una gioia dentro, perché tutti i ragazzi dellaterza elettro B hanno avuto una media dell’otto o del nove, come voto finale. non potevofare diversamente: sono riusciti a ricordarsi tutti gli articoli che avevano comunicato ailoro colleghi di classe – [...] non li chiamo mai “compagni di classe” ma “colleghi”; [...]ho detto: “Voi lavorate insieme, quindi siete dei colleghi”; e loro: “ma noi nun semmusbirri, non semmu.., professù, lei ci..., mi patri è contrariu, non vuole, mi ha rimprove-rato!” –; ogni ragazzo è riuscito in media a ricordarsi otto, nove articoli [...] perché è mo-tivato [...] (FGita1/95).l’oggetto delle conversazioni a coppie sono le informazioni ricavate dalla let-tura di alcuni articoli di riviste di divulgazione scientifica. il docente sollecita aprocurarsi a turno i numeri di alcune riviste da cui sia possibile scegliere qualchearticolo. la consegna è semplice: “immagina di essere sul treno… e di voler con-versare con chi ti siede accanto…”. Tanto basta per stimolare prove di conversa-zione che aiutino a vincere la ritrosia a parlare.6.2.3. Giochi di ruolo e altre simulazioniTra i compiti di simulazione, possiamo collocare anche i role playing, attra-verso cui i docenti assegnano agli allievi dei ruoli da svolgere in situazioni ipote-tiche, sperimentando un particolare coinvolgimento:ho sperimentato il role playing. nel gioco di ruolo, con situazioni che possono essere sti-molanti per i ragazzi, vedo che c’è molto interesse da parte dei ragazzi a lavorare incoppia; sono motivati, hanno il desiderio di lavorare con questa consegna. [...] (ci sono,ad esempio) ruoli assegnati in una situazione in cui uno è il capo-stazione e l’altro inveceè il viaggiatore che chiede informazioni (intVr5/95). lo posso fare soprattutto quandosono state acquisite determinate conoscenze, perché altrimenti risulta difficile [...]; dodelle role cards, in cui ciascuno ha un proprio ruolo; ad esempio, può essere un discorso[...] di offerta /richiesta [...]. Allora, immaginiamo che ci sia l’annuncio pubblicitario diun tipo che vuole vendere una Rolls-Royce Silver shadow, un modello prestigioso, e cheha lasciato i propri dati, il proprio numero di telefono. Allora, un ruolo che viene asse-gnato è quello di sottolineare le caratteristiche della macchina, di non scendere sotto uncerto prezzo, altrimenti non fai l’affare. l’altro naturalmente tira dalla sua parte e cercadi trovare un accordo; questo caso è abbastanza impegnativo e richiede determinate co-noscenze però la stessa tecnica potrebbe essere [...] riferita ad un altro contesto: l’invito acena; c’è il datore di lavoro che vuole invitare a cena il dipendente; il dipendente sa chel’invito a cena è solo per parlare di lavoro, e non ci vuole andare, deve trovare dellescuse per non andare; ecco allora che il ragazzo deve usare delle funzioni comunicative,cioè deve usare l’espressione per [...] essere cortese, però, nello stesso tempo, rifiutarel’invito. questo ingenera tutta una serie di stimoli, di situazioni in cui lo studente deveattingere a quelle che [...] sono state, si spera, le conoscenze maturate […] (intVr5/99);(una volta letta) [...] li invito a girare la loro role card, a non leggere, perché, se vanno aleggere, è chiaro che l’esercizio non serve a niente; possono prendersi degli appunti, dareun’occhiatina ogni tanto, se proprio non ricordano. Un altro esempio simpatico è do you 185 believe in Flying Saurces?, “credi ai dischi volanti?”. Allora, c’è una situazione immagi-naria: una audience, un pubblico che viene intervistato da un intervistatore televisivo,che chiede loro di raccontare delle esperienze; parlando dei marziani, c’è chi dice “nonci credo assolutamente!”, chi invece dice che parlano un eccellente inglese e che ognitanto fanno una capatina la mattina per fare colazione, cose di questo genere; [...] sonosituazioni simpatiche che stimolano. ognuno riceve questa role card, poi si prepara il suointervento; [...] la tecnica richiede però un minimo di preparazione, richiede un’ora emezza di fase preparatoria (intVr5/107);per far capire meglio le tre figure che si sono sviluppate nell’economia, cioè l’imprendi-tore, il banchiere e il mercante, ho diviso la classe in tre gruppetti: c’erano gli imprendi-tori, i banchieri e i mercanti; gli imprenditori dovevano stilare un progetto di ciò che ser-viva, secondo loro, per [...] costruire una casa, poi dovevano andare dal mercante e farsifare un preventivo, per vedere cosa avrebbero potuto comprare, e di conseguenza passaredal banchiere a cercare di farsi dare un prestito, un finanziamento. questo era il pas-saggio successivo. Prima ogni singolo gruppo doveva decidere; i mercanti: “Allora noipossiamo vendergli questo, questo e quest’altro”; i banchieri decidevano che prestito e inquanti anni doveva essere restituito, cioè delle ipotesi così. Alla fine, quando abbiamomesso tutto in comune, è uscito che i banchieri erano stati buonissimi, perché prestavanouna marea di soldi a interessi quasi zero, i mercanti invece avevano messo troppe pochecose nell’elenco, quindi, ragionando su quello che è uscito dal lavoro di simulazione, [...]hanno capito meglio queste tre figure e si sono resi conto di ciò che vuol dire questo dis-corso (FGita2/26).E. (intVr5), insegnante di inglese, propone di simulare situazioni quotidiane(la richiesta di informazioni, il rifiuto di un invito a cena ecc.) oppure situazioniparticolari e specifiche (il colloquio tra un compratore e un venditore, il dialogotra i partecipanti ad una trasmissione televisiva sugli alieni ecc.). il docente fa la-vorare i ragazzi generalmente in coppia, ma accenna anche a giochi di ruolo piùcomplessi. A ciascuno dà una carta (role card) che contiene una descrizione detta-gliata del ruolo da assumere e della situazione in cui “giocarlo”. Dopo un tempoadeguato, dedicato alla preparazione, inizia la “recita” degli attori, mentre gli altriallievi fanno da osservatori/valutatori. Una simulazione è anche quella proposta daK. (FGita2/26) per far comprendere agli allievi il senso di tre figure chiave dellascena economica: l’imprenditore, il banchiere, il mercante. importante risulta l’ar-ticolazione a gruppi, il tempo concesso a ciascun gruppo per decidere come proce-dere, la condivisione e la riflessione finale, che aiuta a comprendere le dinamichein gioco. 6.3. Compiti di persuasionenelle interviste, i docenti nominano altri compiti, che potremmo definire “dipersuasione”. Alcuni, come il processo, rappresentano una variante delle simula-zioni. Tutti sono focalizzati sulla creazione di situazioni in cui un singolo o ungruppo deve persuadere qualcun altro della correttezza delle proprie posizioni odelle proprie convinzioni. in tutti questi casi, decisive sono le abilità argomenta-tive. 186 6.3.1. La discussione sui pro e i controAlcuni docenti, stimolano le abilità argomentative, mettendo gli allievi nellacondizione di discutere gli argomenti a favore e quelli contrari di un tema. Vediamodue esempi nei racconti che seguono:una volta ho utilizzato la tecnica delle due fazioni contrapposte [...] (FGita2/48), i pro e icontro, e, ad un certo punto ho dovuto interrompere, perché [...] si erano arroccati a talpunto che (ho detto): “Ragazzi, ok, fermiamoci qua!” (FGita2/50), nel senso che si alza-vano, erano molto presi (FGita2/52). Allora, l’argomento era l’usanza di togliere i fermial motorino; [...] c’era qualcuno che diceva: “Bisogna toglierli, perché, se no, le salitenon riesci a farle!”; altri dicevano: “no, non bisogna toglierli!”; gli incerti li ho fatti an-dare con quelli del no; poi qualcuno ha anche cambiato idea [...] (FGita2/56). in unprimo momento loro si consultavano e costruivano argomentazioni (FGita2/58) [...], poiil rappresentante dei sì diceva perché sì, il rappresentante dei no diceva perché no e poi siavviava il dibattito. ovvio che, fin quando uno parlava, gli altri cercavano di parlarglisopra, di bloccarlo, per cui intervenivo io: “no, lascialo parlare” (FGita2/60); io ero unmoderatore tra i due. Alla fine c’è chi ha cambiato settore, nel senso che dal “no, non bi-sogna toglierli”, passava al “Sì, bisogna toglierli, se no su per le salite di San zeno comeci vado?” […]; si sono molto coinvolti. l’avevo fatto anche in etica: hanno preso la posi-zione che avevo assegnato loro, hanno abbandonato la loro, sono entrati nel gioco ehanno preso la posizione assegnata (FGita2/62); in genere, sono proprio coinvolti. Unavolta ho chiesto ad un ragazzo di alzarsi in piedi e parlare a favore dell’immigrazione initalia; lui ovviamente aveva idee completamente contrarie; questo si è alzato, mi ha guar-dato e mi fa: “Ma proprio a me queste robe?”; si è seduto, proprio ha rinunciato, non ciha neanche provato (FGita2/64);la parte che abbiamo fatto sul testo argomentativo si intersecava con vari argomenti(intMi1/90); dovendo ragionare per esempio sulla pena di morte, sui pro e i contro, suimotivi favorevoli e sui motivi contrari, in lingua italiana, abbiamo fatto […] i fondamentiteorici del testo argomentativo, facendo vedere un po’ la tesi, le idee di supporto, le ideecontrarie, come si costruisce un testo, come si arriva alla conclusione, dando esempi epoi facendo lavorare loro su alcune tematiche, dando un argomento controverso e poi di-cendo: “Adesso sviluppa tu i pro e i contro”, oppure “contraddici questa opinione, ve-diamo che cosa sai dire”, perché poi questo lavoro si intersecava con quello di diritto [...](intMi1/92).A partire da situazioni controverse, K. (FGita2/48-64) suddivide la classe indue gruppi e propone agli allievi di assumere una posizione, che non sempre coin-cide con la propria (in questo la tecnica è simile alle simulazioni che abbiamo vistosopra). Una volta definite le posizioni, la docente invita a concedersi dei tempi peruna consultazione di gruppo, volta a raccogliere gli argomenti più efficaci da affi-dare ai portavoce del gruppo. la docente monitora la situazione e interviene,quando necessario, per garantire a tutti la parola. Un altro dispositivo a cui la nostraformatrice ricorre è far cambiare posizione, ad un certo punto del gioco: allora,quelli del sì cominciano a sostenere gli argomenti del no e viceversa. non semprequesto cambio riesce, soprattutto quando le posizioni che ai ragazzi è richiesto disostenere non coincidono con le loro. quando la discussione diventa pura contrap-posizione di opposti arroccamenti e l’argomentazione langue, K. interrompe il 187 gioco. Tutto diventa poi oggetto di riflessione e discussione finale. Anche A.(intMi1), dopo aver introdotto alcune indicazioni su come costruire testi argomen-tativi, assegna temi controversi e la consegna di generare, rispetto ad essi, argo-mentazioni (con tanto di tesi, idee a supporto, idee contrarie ecc.) e contro-argo-mentazioni, supportate da esempi.6.3.2. Il processoAnche c. (FGita4/5), che lavora in un cFP siciliano, utilizza una tecnica ana-loga a quella del pro e contro. A partire da un fatto di cronaca, suggerisce ai suoi al-lievi di imbastire un vero e proprio processo:con i ragazzi del terzo anno, in etica del lavoro, l’obiettivo era capire che a delle mieazioni corrispondevano delle conseguenze, in altre parole il concetto di responsabilità dellavoratore. Ho portato un caso pratico di diritto del lavoro che era uscito su un giornale,cioè il licenziamento di un lavoratore comunale perché non era produttivo al lavoro eaveva un doppio lavoro e ho fatto applicare la tecnica del processo: li ho divisi in duegruppi; loro dovevano presentare le ragioni dell’uno e dell’altro, dopo aver letto il caso;[…] è stato un modo che ha permesso loro di partecipare e di confrontarsi e, anche inquesto caso, loro sono stati abituati a dover prima mediare tra di loro su come presentarela tesi a favore o contro e a confrontarsi su una situazione concreta e reale; è stata moltoefficace, tanto è vero che mi hanno chiesto “Professoressa, perché non lo rifacciamo?”(FGita4/5).Anche qui, abbiamo l’articolazione della classe in due gruppi, il tempo con-cesso per l’analisi del caso e la raccolta degli argomenti a favore o contro, la rifles-sione finale. la tecnica del processo viene qui utilizzata su un caso di attualità, mapotrebbe essere utilizzata anche su eventi del passato (pensiamo ai processi a per-sonaggi storici: Gesù, napoleone ecc.).6.3.3. Il messaggio pubblicitarioAbbiamo già visto sopra (3.5.6.) il ricorso all’accostamento tra messaggio pub-blicitario e poesia. qui vediamo alcune esperienze in cui il percorso di apprendi-mento viene orientato alla creazione di un messaggio pubblicitario come compitoautentico:quest’anno, con un primo anno, quando facciamo “comunicazione”, abbiamo studiato imessaggi semplici, abbiamo cercato di distinguere messaggi semplici e messaggi com-plessi e abbiamo cercato di analizzare il linguaggio pubblicitario. [...] Dopo avere spiega-to a grandi linee come un messaggio pubblicitario può essere creato, mi è venuta l’idea didividere in gruppi i ragazzi [...] e di far creare loro un cartellone, un prodotto, uno slogane comunque tutto ciò che poteva essere corredato al messaggio pubblicitario. la cosa cheesigevo dai gruppi era che, all’interno del gruppo, fossero divisi i ruoli: chi disegnava, chipensava al messaggio insieme ad altri, chi era il responsabile. [...] nella valutazione fina-le del cartellone e quindi del prodotto, c’era non solo la valutazione sul prodotto, sul mes-saggio pubblicitario proposto, ma anche sul lavoro di gruppo effettuato. cioè, se all’inter-no del gruppo tre persone lavoravano e altre tre no, questo veniva valutato negativamentee quindi il gruppo ne risentiva, perché il voto finale sarebbe stato dato al gruppo. quindi,se prendevano 7, il 7 era poi di ciascun membro del gruppo […] e, se c’erano persone che 188 lavoravano meno, queste penalizzavano il gruppo; stava al capogruppo motivare tutti af-finché non ci fossero defezioni o penalità, perché naturalmente io giravo continuamentetra i gruppi [...]. Allora, c’erano questi gruppi che lavoravano con i banchi uniti, per avereil cartellone più o meno disteso; passando tra i gruppi io controllavo se i compiti assegna-ti dal capogruppo venivano poi recepiti. c’era il rischio [...] (FGita1/47) [...] che il capo-gruppo potesse prendersi libertà eccessive sugli altri; questo veniva sempre mediato dame; alla fine, se non si raggiungevano delle soluzioni, decidevo io (FGita1/49). [...] c’e-rano due valutazioni diverse: quella tecnica, sul compito – qui, per esempio, facevo inter-venire anche altri colleghi; ad esempio, il collega di disegno tecnico interveniva, perchévalutavo anche la pulizia del lavoro, se avevano utilizzato bene o male la china o la mati-ta; potevano scegliere qualunque tipo di materiale avessero in mente, anche il collage, tut-to ciò che ritenevano opportuno, però poi io facevo intervenire anche altri colleghi, perrendere la cosa, dico io, “teatrale”, nel senso che, se invito altri colleghi a venire, e valu-tiamo davanti alla classe, il gruppo stesso veniva caricato di responsabilità, di aspettativerispetto a quella cosa –. quindi c’era una valutazione tecnica, sul lavoro: pulizia, contenu-ti e come venivano espressi i contenuti ecc., che naturalmente era [...] un modo per verifi-care che i contenuti dell’Uda sul messaggio pubblicitario fossero stati appresi. Dall’altraparte, c’era anche una valutazione del gruppo; […] quando alla fine comunicavo i voti, licomunicavo separati, cioè [...]: “...dal punto di vista tecnico, questo cartellone funziona...,non funziona... ecc.”; poi guardavo il gruppo: “Tu hai lavorato. Tu che compito avevi?” –perché ogni gruppo doveva darmi la scaletta dei compiti: c’era chi doveva occuparsi deldisegno, chi di portare l’attrezzatura, chi di pensare al messaggio pubblicitario, [...] in-somma, tutti avevano dei compiti –; in base a quello, poi, io avevo preso appunti duranteil lavoro, quindi sapevo e dicevo: “Avete lavorato..., come avete lavorato?”; alla fine uni-vo queste due valutazioni e ne usciva fuori una valutazione finale, che era quella del grup-po. Ho notato che questo, fatto più volte nel corso dell’anno, per altri argomenti, cambian-do i capigruppo (FGita1/55), i ruoli, cambiando i gruppi, mescolando tutti – [...] alcuni al-lievi, che magari erano più timidi o non riuscivano ad imporsi per certe cose, all’internodella classe, me li trovavo attivi come capigruppo o attivi come disegnatori –, tutto questosconvolgeva un po’ positivamente (FGita1/57);per esempio, per comunicazione ho utilizzato pure le riviste, soprattutto per il linguaggiodella pubblicità; li ho fatti lavorare a casa, a cercare gli slogan pubblicitari, che colpi-scono il lettore o l’ipotetico cliente (intPd3/36): loro devono riconoscere il messaggio,quindi [...], se la pubblicità è la pubblicità [...], ipotizziamo, di un orologio da uomo, al-lora: “chi sono i destinatari? Sono [...] uomini di tutte le età? Sono ragazzi? Sono magariuomini in carriera? chi sono?”; un altro elemento da individuare è il messaggio cheviene dato, lo slogan, se si usano parole in inglese, rime, assonanze; [...] i colori che ven-gono utilizzati... cerco proprio di fare in modo che una cosa che magari loro danno perscontata, perché la vedono ogni giorno alla televisione o sui giornali, [...] la possano leg-gere anche come in effetti è, ad esempio una pubblicità che utilizza un dato colore e dateparole, perché deve in primo luogo colpire (intPd3/38) ...la mia mente, per fare in modoche io mi convinca ad acquistare quel prodotto (intPd3/40); [...] Di solito [...], per questaattività, faccio proprio mostrare i loro lavori ad uno ad uno, perché poi sono sempremolto contenti di vedere la diversità: “Anch’io ho ritagliato questo...” (intPd3/42). […]loro ritagliavano la pubblicità, la incollavano sul quaderno e a fianco scrivevano: il de-stinatario della pubblicità [...], il prodotto reclamizzato, lo slogan ecc., e poi in classe sifaceva la condivisione (intPd3/58). […] Poi, finalmente, […] si sono cimentati ancheloro nell’inventare una pubblicità (intPd3/68) [...] dato che la pubblicità è una cosa moltopiù concreta delle regole di grammatica, una cosa che... (intPd3/70) trovano anche diver-tente (intPd3/72). […] Posso intuire perché viene usato un colore invece di un altro, al- 189 lora cerco di far loro riflettere anche su questo elemento, che può essere scontato, ma chein realtà non lo è (intPd3/74). Se ho una pagina tutta nera, in cui si vede solo la luce delbrillante di un anello, dico: “Perché?”. “Ah, non ci avevo mai pensato!”. Ecco, allora, èimportante anche abituarli anche a questo. (intPd3/76). Anziché [...] segnalare un ele-mento sbagliato, si tratta di cercare che arrivino loro anche a capire, non so, se hanno in-terpretato male una cosa invece di un’altra (intPd3/78).A. (FGita1/47-49) costruisce un percorso di lavoro di gruppo orientato allacreazione di un messaggio pubblicitario. Abbiamo visto sopra che i formatori ricor-rono spesso al lavoro di gruppo (cfr. punto 2.6.). A., nel caso raccontato, risultaparticolarmente attento alla sua strutturazione: cura la disposizione dei banchi inmodo da creare ampie superfici di lavoro; chiede ai singoli gruppi di distribuirsi iruoli al proprio interno (il responsabile del prodotto pubblicitario, il creativo, il di-segnatore ecc.); monitora costantemente il lavoro, intervenendo quando i membridel gruppo si bloccano e non riescono a prendere delle decisioni; introduce una va-lutazione di gruppo, per sollecitare un’assunzione collettiva di responsabilità; arti-cola i criteri di valutazione (valutazione tecnica sul prodotto e valutazione sullaqualità del processo); fa intervenire altri colleghi nella valutazione dei prodotti. quici interessa sottolineare la centratura del percorso sulla realizzazione di un prodottoautentico. Anche n. (intPd3) ritiene che, attraverso l’analisi e la realizzazione dimessaggi pubblicitari, sia possibile stimolare apprendimenti linguistici significa-tivi. l’analisi del messaggio consente innanzitutto di sviluppare un’attenzione cheva oltre la superficie delle cose e orienta a decifrare i vari elementi della linguadella pubblicità. il senso del lavoro è anche di rendere gli allievi più critici nei con-fronti di ciò che viene propinato loro e che viene coperto da una coltre di irriflessi-vità. i lavori di analisi del messaggio pubblicitario vengono raccolti da ciascun al-lievo e condivisi con i compagni. A questo punto, è possibile avventurarsi nell’im-presa di inventare un messaggio pubblicitario. 6.4. Compiti di ricercaUna specifica strategia, più volte nominata dai nostri docenti, è quella del co-involgimento degli allievi in piccoli percorsi di ricerca. Abbiamo già visto il fre-quente ricorso ad una didattica della ricerca, magari nell’ambito di più complessestrategie (ad esempio, le ricerche di gruppo, al punto 2.6.1., o le ricerche per la rea-lizzazione di un libro come compito autentico, al punto 5.3.1.). qui analizziamo ul-teriori esempi che si riferiscono a come questa modalità di lavoro può trasformarsiin compito autentico: si tratta di far vivere agli allievi, seppur ad un livello basilare,l’esperienza di essere ricercatori. Gli allievi, partecipando a piccoli percorsi di ri-cerca, sperimentano infatti qualcosa del lavoro “intellettuale”, almeno nel sensoche sviluppano il desiderio di conoscere:ho diversi ragazzi che provengono da tante zone del mondo; del loro paese di origine nonsanno nulla. Hanno i tratti somatici del loro paese d’origine [...]. credo che abbiano cosìbisogno di, tra virgolette, “imparare almeno due parole della matrice culturale da dove 190 provengono”. Faccio fare puntualmente svariate ricerche di geografia. Ho trovato che, inuna semplice riproduzione delle bandiere, […] di un’immagine, c’è uno stimolo [...](intMe4/20) per le altre persone, per gli altri alunni; c’è un immagine che invoglia. [...]Ho assegnato alcune ricerche su paesi del centro Asia a persone che non sanno neppuredove siano collocati, se esistano, quale ne sia la bandiera, il perché di una mezza luna, ilperché di una stella, il perché del colore verde [...]. Tutto è nato da una mia imposizioneche poi ha liberato qualcosa in loro e secondo me qui ritorna il concetto dello studentecome “intellettuale”; in qualsiasi ambito, in qualsiasi branchia (intMe4/22) del sapere,c’è sempre questa voglia di sapere; secondo me è importante che un insegnante riesca ainstillare questa voglia (intMe4/24). [...] Ho fatto loro ricercare che cosa sia la demo-crazia, togliendo internet, scartabellando l’antica enciclopedia e trascrivendo quella cheper loro è la definizione di democrazia; allora tanti mi hanno portato l’enciclopedia, tantiil vocabolario, e così ho invogliato la discussione, portando un esempio di realtà, di fattoquotidiano (intMe4/154). Ritengo che internet sia uno strumento stupendo, però, quandoè lo studente che diventa strumento, internet non funziona più (intMe4/158). questo suc-cede quando loro prendono, scaricano senza neppure leggere quello che vedono. Di con-seguenza, non c’è nessuna operazione, diciamo, “scolastica”; c’è semplicemente il merouso del mouse, e basta; allora è chiaro che qui non ha senso neppure entrare nella discus-sione, seppure accennata, seppure con tutti i limiti, di che cosa sia la democrazia [...](intMe4/162). Si tratta di fornire supporti che non inducano alla faciloneria (intMe4/166);con fonti cartacee ho maggiori garanzie che abbiano un confronto diretto con le fonti;anche nelle ricerche che io faccio in geografia, lascio che loro guardino Wikipedia o cosedel genere, però ci sono le cose che non sono in grado di capire, se non hanno una mi-nima lettura, se non fanno una minima trascrizione. Scaricano venti pagine: ecco qua laricerca. Ma questo non ha alcun valore. Ecco, con l’impegno della trascrizione a mano,c’è l’obbligo di leggere… (intMe4/170);una [...] esperienza che volevo raccontarvi è quella della ricerca, perché è molto bella[...]; all’inizio davo delle ricerche e, come dire, dicevo: “Vi metto il voto sui contenuti,sulla forma, sulle immagini; se la fate su internet, se la fate così...”. Ad un certo punto,ho pensato: “Ma perché devo decidere tutto io?”. “Allora, facciamo una cosa ragazzi:dobbiamo fare un prodotto!”, perché una ricerca può diventare un sito multimediale,come abbiamo fatto alla fine dell’anno. “ok, abbiamo da fare – l’ho messa giù in modoun po’ “brutale” –, [...] una ricerca di storia sull’antica Roma. che volemo fa? come lavolemo fa?”. “E famo così, famo così, me interesserebbe…” – ve la racconto in manieramolto stretta – al che: “Ma io vi devo mettere il voto. Su che cosa ve lo metto il voto?”(FGita2/267). “Devo darvi una valutazione. quali sono, secondo voi, i parametri su cuiposso valutarvi?” (FGita2/269). [...] Una cosa molto bella è che insieme abbiamo [...]scelto i parametri e abbiamo dato un peso ai singoli parametri [...] (FGita2/273). È statoun contratto [...], ho fatto un contratto con loro; ci siamo messi d’accordo e questa è unacosa molto importante (FGita2/275); [...] c’è quest’argomento, “Vogliamo fare una ri-cerca? che ne pensate?” – generalmente le ricerche piacciono, anche perché danno piùautonomia, più libertà, più creatività ecc. –; l’importante è fissare dei paletti, dei punti incomune; [...] ho concordato con loro il tempo di consegna, che ha avuto il 20% della va-lutazione finale: è tanto! […] Però è una cosa subito applicabile al mondo del lavoro,dove i ritardi nella consegna sono un problema; [...] poi si scatena una discussione incre-dibile: “Ehi, professò, se quel giorno sto male?”, “E quello che non la porta quel giorno?come facciamo?”. “ok, facciamo il regolamento delle ricerche!”; [...] devo dire [...] chei ragazzi, per certi aspetti, sono più “cattivi” degli insegnanti (FGita2/277), …più esi-genti, veramente duri [...] E la cosa molto interessante è che è venuto tutto da loro; [...]poi chiaramente c’è anche una scrittura, un altro tipo di scrittura, un altro tipo di testo, 191 [...] magari un po’ più normativo, un po’ funzionale, pragmatico ecc.; poi c’è un saperscrivere e sapere leggere un regolamento; [...] c’è una cascata di confronti che non fi-nisce più; abbiamo messo dei parametri, dei voti ecc. e con i ragazzi abbiamo poi appli-cato tutto questo (FGita2/279); [...] se uno consegnava il giorno successivo alla data sta-bilita, il voto scendeva [...] di tre punti [...]. Poi [...], su ogni lavoro che fanno, c’è sempreuna relazione […] perché per me è molto importante il fatto della riflessione [...] su comeio ho ragionato e ho scritto [...] (FGita2/285).nell’esperienza di S. (intMe4), l’avvio del processo è segnato da una certa di-rettività. lo stimolo viene inizialmente proposto dal docente, ma è tale da accen-dere negli allievi interesse e desiderio di conoscere. i temi di ricerca possono essereofferti dalle diverse provenienze dei ragazzi (come nel caso delle ricerche di geo-grafia sui paesi di origine) o essere proposti dal docente (come nel caso della ri-cerca sulla democrazia). Abbiamo visto sopra che talvolta i temi delle ricerche pos-sono esulare dal campo disciplinare specifico e riguardare ambiti legati all’indi-rizzo professionale scelto. Del resto, le competenze linguistiche sono trasversali ein ogni ambito servono a dar voce al “capire”. Una particolare attenzione viene ri-volta all’uso di risorse pescate in internet57. Pur non impedendone l’utilizzo, il no-stro formatore orienta i propri allievi ad avvicinare anche risorse di tipo cartaceo.R. (FG2/267-285) discute con i propri allievi i criteri di valutazione della ricercastessa e i termini di consegna del lavoro. questo consente di allenare un atteggia-mento che sarà estremamente importante anche in qualsiasi contesto lavorativo. ladiscussione e il confronto sul metodo e sui tempi porta alla stesura di una sorta di“regolamento delle ricerche”, inteso come linee guida per lo svolgimento di questogenere di lavori. infine, R. dedica attenzione alla riflessione sul processo che dàvoce alle operazioni mentali compiute. Anche questo fa parte di un percorso di ap-prendimento attraverso la ricerca (learning through inquiry). 7. vALuTARe PeR AIuTARe A CReSCeRe la valutazione, nell’azione didattica dei formatori intervistati, assume preva-lentemente una valenza formativa (Scriven, 1967), non si identifica quasi mai conmomenti puntuali, separati dal processo formativo e si configura essa stessa comeuna forma di intervento che aiuta a crescere e ad apprendere sempre meglio. Perquesto i nostri formatori privilegiano forme dialogiche e riconoscenti di valuta-zione, capaci di valorizzare le mete raggiunte e di indicare suggerimenti per mi-gliorare. l’azione valutativa è spesso intrecciata con la consegna di realizzare pro- 57 Abbiamo già visto sopra attenzioni di questo genere da parte dei formatori. cfr., ad esempio, leattenzioni di MG. (intPd2) per evitare che le ricerche in preparazione delle visite guidate si limitinoad essere la sterile raccolta di conoscenze “googlate” (cfr. punto 3.4.1.), oppure le domande che E.(intVr6) fornisce ai suoi allievi per rendere proficua la ricerca in rete e su altre risorse (cfr. punto2.6.1.). 192 dotti autentici come quelli che abbiamo visto sopra (cfr. punti 5.3. e 6.). in partico-lare, la valutazione nell’area dei linguaggi cerca di mettere i soggetti nelle condi-zioni di dire e di illustrare ciò essi che sanno fare, a partire da una valorizzazione diquesto “saper fare” concreto. nei racconti che abbiamo visto le azioni valutativedel docente o le attività di autovalutazione da parte degli allievi erano inseparabilidalle attività di insegnamento/apprendimento centrate sulla realizzazione di pro-dotti. Riportando i racconti relativi a quelle attività pertanto abbiamo già nominatoanche le azioni valutative. qui di seguito cercheremo di mettere a fuoco ulterioriattenzioni a cui i nostri docenti ricorrono in ordine alla valutazione, in particolare:il continuo monitoraggio; la gestione di prove strutturate; l’offerta di opportunità direcupero; l’attivazione di forme di autovalutazione o di valutazione tra pari; la re-stituzione delle prove corrette, in particolare dei temi; le cosiddette “prove auten-tiche”; l’uso del portfolio; il ricorso a forme di triangolazione. 7.1. Monitorare continuamenteUna valutazione che intenda essere formativa non può essere circoscritta ad al-cuni puntuali momenti, ma va resa un’azione di osservazione continua, che for-nisce informazioni sia sulla qualità dell’apprendimento degli allievi che sull’effi-cacia dell’azione dei docenti e che non necessariamente è legata all’attribuzione diun voto. Una delle modalità che alcuni formatori utilizzano per monitorare conti-nuamente l’andamento del percorso formativo è il controllo dei compiti assegnatiper casa. come abbiamo visto, non tutti i formatori assegnano compiti per casa,anche in relazione alla lunga permanenza degli allievi al cFP, ma quando questoavviene, come nel cFP di Mestre, il controllo assume una rilevanza importante, chesi carica sempre anche di valenze emotive e relazionali (cfr. il punto 2.1.3.b.):dedico cinque o dieci minuti al controllo dei compiti per casa; per me non è una perditadi tempo; passo da ognuno, banco per banco, e controllo, verifico che siano stati svolti icompiti per casa e come sono stati svolti. non sto lì a leggere tutto, nel senso che facciosoltanto una verifica visiva (intMe7/47); segno con una sigla chi ha fatto e chi non hafatto i compiti, firmo e controllo che li abbiano svolti almeno in maniera ordinata; dicosempre loro: “Dovete scrivere la data, l’argomento: ‘letteratura d’evasione’, visto chestiamo parlando di questo, perché dobbiamo imparare ad essere ordinati” (intMe7/49).controllo, mi segno le persone che non hanno svolto i compiti e poi correggo gli esercizie quindi chiamo e chiedo: “c’è qualcuno che vuole correggere?”. Adesso i ragazzini diprima incominciano a venire fuori da soli: “Voglio correggere io”, “no, voglio io...”(intMe7/51). Prima dovevo chiamarli io (intMe7/55). qualche volta si correggono a vi-cenda, nel senso che dicono: “io ho risposto così…”, “no, tu hai sbagliato!”. Dico loroche devono parlare sempre per alzata di mano (intMe7/57);l’ora di lezione è iniziata con la correzione, sul quaderno di ogni singolo allievo, pas-sando tra i banchi, delle risposte alle domande assegnate come compito per casa, facendonotare errori o lacune e rispondendo ad eventuali dubbi. È seguita un’interrogazione “diconsolidamento”: gli allievi, dal proprio posto, rispondono a più o meno brevi domandesul testo in questione. con queste “interrogazioni” miro a far emergere quelli che pos-sono essere i nodi problematici e le difficoltà di espressione di concetti, ma anche le co- 193 noscenze ormai acquisite. l’interrogazione, così, diventa non solo uno strumento di valu-tazione, ma un ulteriore e diverso momento di “gestione” del materiale da apprendere(intMe1/540).E. (intMe7) controlla innanzitutto che i compiti siano stati svolti ordinata-mente anche per l’esigenza, che abbiamo già notato sopra, di dare un po’ di strut-tura ad allievi poco familiarizzati con un contesto formativo formale. Al controllodei compiti segue una fase di correzione dialogata che già introduce nella nuova le-zione. Anche per D. (intMe1), l’avvio della lezione è legato al controllo dei compitie ad una veloce “interrogazione” che consenta di monitorare l’andamento e la pre-senza di eventuali difficoltà di comprensione e che, nello stesso tempo, rappresentigià una significativa attività di apprendimento. G. (FGita3/46-50), che è formatorea Palermo, monitora come vediamo nel brano che segue, l’andamento del percorsoattraverso un cruciverba che elabora proprio allo scopo di verificare l’acquisizionedi specifiche conoscenze, alla fine di ogni modulo:utilizzo i cruciverba per fare le verifiche. Ad ogni fine modulo, creo un cruciverba contutti i nomi di Storia, di comunicazione, di persone, in modo che i ragazzi lo debbano ri-solvere; è un gioco che poi diventa anche una verifica e funziona. lo creo io(FGita3/46); […] do loro il cruciverba con le verticali e le orizzontali, con tutte le do-mande, e i ragazzi devono riempirlo nell’arco di un’ora e mezza (FGita3/50).in questo modo, la verifica assume anche una valenza ludica, che general-mente facilita il coinvolgimento degli allievi e riduce l’ansia di inciampare nell’er-rore. 7.2. gestire efficacemente le prove strutturateAnche rispetto alle prove strutturate, i cosiddetti “compiti in classe”, i nostridocenti mettono in atto tutta una serie di attenzioni specifiche che le rendono mo-menti in cui i soggetti possono dare il meglio di sé. Vediamo ad esempio come D.(intMe1) descrive questo momento:l’ultima fase [...] è la verifica, che è concreta e non burocratica; non è pro forma e mettein gioco anche il docente (intMe1/322); è concreta, nel senso, per esempio, che la veri-fica è un momento delicato – per il docente magari no, perché per il docente è come ti-rare una boccata di ossigeno quando ha il fiato corto –; per esempio, l’approccio alla ve-rifica è per alcuni difficile perché cresce l’ansia da prestazione (intMe1/326); parlo delcompito in classe (intMe1/332), della verifica in classe alla fine di un’unità [...] – dob-biamo stare attenti all’unità e loro sanno che ci sono certe tappe –. intanto mi rendoconto che devono sapere di che tipo di verifica si tratta; [...] devono sapere a cosa vannoincontro, quindi c’è quella fase iniziale sulle verifiche per capire che magari tu punti susette nuclei [...], per avere un’idea di come usare i 35 minuti netti che hai a disposi-zione – perché poi un’ora è di 50 minuti –; anche lì, dobbiamo stare attenti ai tempi,perché devi dare il tempo per lavorare (intMe1/334); ora che dai le istruzioni per la veri-fica, che sistemi i banchi ecc., il tempo passa (intMe1/336). in 35 minuti ci sono settenuclei; le domande sono più o meno strutturate; puoi lavorare cinque minuti per ciascunnucleo (intMe1/340). Per esempio, loro si rendono conto di che tempi hanno – anche 194 questo è importante –; allora, dopo la consegna di queste domande, dettate o, a secondadei tempi, fotocopiate, con banchi divisi, durante la verifica, io non faccio altro; questo èmolto importante, perché passo per i banchi (intMe1/342), senza invadere troppo, perchépoi mi rendo conto che a me dava molto fastidio, quando facevo le verifiche, avere unovicino (intMe1/346); crea imbarazzo, soprattutto a livello di sensibilità, e ci sono sensibi-lità diverse (intMe1/348). Se alzano la mano, mi avvicino io piuttosto che far venire loroalla cattedra; mi affianco, però non faccio altro, perché è un segno di attenzione per laverifica e anche per quello che sanno; è vero che così possono copiare molto meno, peròsicuramente è anche un segno di rispetto per un lavoro che stanno facendo loro; questesono tutte cose che non vengono dette, ma che si trasmettono (intMe1/350). Durantequell’ora, non correggo i compiti; quello mi impegna dopo; è vero potrei farlo, perchépoi se hai tot classi, calcoli i tempi e dici: “Accidenti!” (intMe1/354), però cosa ti richie-dono loro? questo tipo di ragazzi, secondo me, richiede un’attenzione diretta(intMe1/356). io non sono lì solo come un cane da guardia – all’inizio ti vedono così! –,ma sono lì anche per spronarli (intMe1/360); [...] a seconda degli argomenti, poi, [...] sol-lecito in maniera diversificata: a volte le domande sono aperte [...] e richiedono quindi uncerto tipo di impegno, a volte sono veri e propri test; [...] cerco di non abituarli troppo aitest, perché i test, con questo tipo di target, rischiano di diventare un automatismo all’in-segna del “tanto c’imbrocco” (intMe1/372) [...]; mi piace sollecitarli [...] valorizzandoproprio il fatto che loro ci pensino (intMe1/376) criticamente: magari spiegano due cose,ma sono due cose loro (intMe1/378). […] l’ultima ora dell’unità è stata dedicata alla ve-rifica scritta delle conoscenze, con domande aperte sugli aspetti presi in esame durante levarie fasi del lavoro e già trattati attraverso schemi e domande. in questa fase, mi im-pegno affinché ognuno utilizzi solo le proprie capacità e non ricorra a facili “scorcia-toie” – copiature, bigliettini… –: cerco, cioè, di interessarmi a quanto stanno facendo gliallievi, alla loro verifica – non si tratta solo di controllo! –, non dedicandomi ad altre at-tività (intMe1/540).D. (intMe1) sottolinea l’importanza di curare le modalità di gestione dellaprova scritta a conclusione di un’unità, con attenzione anche alle implicazioni dicarattere psicologico, e nomina alcune strategie per ridurre l’ansia degli allievi: co-municare in anticipo i nuclei tematici su cui verterà la verifica e i criteri di valuta-zione; tener conto dei tempi reali a disposizione; spiegare bene le modalità di svol-gimento; diversificare le tipologie di domande; assistere durante lo svolgimento,avvicinandosi ai singoli, e dimostrare interesse e attenzione per il lavoro che stannosvolgendo (non come un “cane da guardia”, ma come uno che è disponibile ad of-frire sostegno e supporto ogni volta che ne ravvisi la necessità). 7.3. Offrire occasioni di recuperola valutazione non ha senso in sé, ma nella misura in cui aiuta l’allievo a com-prendere i propri errori e ad individuare percorsi di miglioramento. P. (intRoma2)ci racconta un esempio di come fa per valorizzare la possibilità che i ragazzi arri-vino ad un recupero delle conoscenze:[...] hanno degli errori costanti, che sono le “e” senza accento, le “a” senza acca, unafrase senza soggetto o le frasi troppo lunghe. quindi i miei motivi ricorrenti sono: verboessere e verbo avere; frasi brevi; soggetto, verbo e complemento; insisto sostanzialmentecon una didattica molto semplice, fino a portarli, come dire, ad un minimo di correttezza 195 della frase. nelle schede di valutazione – perché ad ogni Uda, quando finisce, noi fac-ciamo la verifica – noi utilizziamo come criterio di valutazione un punteggio relativo aicontenuti e un punteggio relativo alla correttezza della frase. quindi, se ci sono sei errori,quattro errori con il verbo essere, due con il verbo avere ecc., loro perdono, ad esempio,due punti [...] rispetto al totale del punteggio. quindi, in qualche maniera, già questo di-venta uno (intRoma2/20) stimolo. Poi gli errori li evidenzio, ma non li correggo [...] (in-tRoma2/22), restituisco loro il lavoro fatto, con gli errori evidenziati; ad esempio, se c’èuna “e” senza accento, quella “e” è cerchiata; se c’è una frase senza senso, quella frase èsottolineata; ma io non correggo; devono fare loro la correzione sullo stesso foglio e re-stituirla; naturalmente do un voto di recupero; se [...] ad esempio hanno preso quattro ehanno fatto una buona […] (intRoma2/24) correzione, [...] metto sei per la correzione, equindi viene fuori una media del cinque; quindi sostanzialmente il ragazzo vede premiatoil tentativo di recupero e questo in qualche maniera funziona, nel senso che i ragazzi ap-prezzano [...] (intRoma2/26), tengono al recupero; passare dal quattro al cinque o addirit-tura al sei, per loro, è importante, e recuperano in genere anche sul piano dei contenuti[…]; con il recupero, insomma, l’esperienza diventa positiva (intRoma2/28).il primo elemento è, come abbiamo visto in altri casi, l’esplicitazione dei cri-teri di valutazione, in modo da rendere gli allievi il più possibile consapevoli deglielementi che verranno valutati e delle aspettative del docente. Un ulteriore disposi-tivo è, nel caso di P., l’evidenziazione dell’errore, senza l’aggiunta della forma cor-retta. la correzione si trasforma allora in seconda opportunità o compito di recu-pero, che viene a sua volta valutato. 7.4. Stimolare l’autovalutazione e la valutazione tra parila valutazione non è solo un’azione dei docenti, ma anche una dimensione cheè opportuno far maturare negli allievi (cfr. Plessi, 2004). Alcuni dei docenti intervi-stati cercano di educare a valutarsi, innanzitutto, come abbiamo visto, sforzandosidi utilizzare modalità coerenti e trasparenti di condurre la valutazione. Gli allieviimparano così a valutarsi attraverso il modo stesso che i docenti usano per valutare.Si tratta poi di stimolare negli allievi forme di vera e propria autovalutazione, av-viando processi di meta-riflessione sui contenuti e sui percorsi che aiutino a diven-tare maggiormente consapevoli di ciò che si impara e dei metodi che facilitanol’apprendimento. l’esperienza di D. (intMe1), ad esempio, suggerisce che anche iragazzi del cFP possono arrivare all’esercizio di queste forme di pensiero:qualcuno dice che a questi ragazzi non si possono dare spazi di autovalutazione perchésono incapaci; invece bisogna abituarli proprio a questo (intMe1/198). Sono ragazzi [...]che, magari dopo due anni, dopo tre anni, fanno valutazioni [...] pertinenti; sanno peresempio dirmi quali saranno le domande sui topici di un certo tipo di testo. E pensare chesono ragazzi che arrivano dalle medie segnati come incapaci di lavorare sul testo! Eppure[...] rispondono alla domanda: “Voi adesso mi dite le domande che io darò…”(intMe1/200). Anche questa è autovalutazione, nel senso che loro, in questo modo, dimo-strano di saper individuare le questioni importanti (intMe1/202).la consegna di individuare le domande che verranno proposte per il compitorichiede diverse azioni cognitive che hanno a che fare con l’autovalutazione, innan- 196 zitutto la ricostruzione cognitiva del percorso, ma poi anche la selezione dei nucleimaggiormente rilevanti affrontati. È soprattutto il dialogo con il docente poi checonsente di imparare a valutare e valutarsi (cfr. Plessi, 2004).nell’esperienza di alcuni docenti, l’autovalutazione si combina con forme dieterovalutazione tra pari, come vediamo nei brani che seguono:[...] il momento della valutazione è importante [...]; in classe faccio fare l’autovaluta-zione [...] a chi viene, per esempio, interrogato, nella lezione, tra virgolette, “canonica”,ma anche la valutazione da parte degli altri allievi. noi abbiamo quattro [...] voci: il pro-fitto, l’impegno, il comportamento e la socializzazione; cerco di non fare toccare agli al-lievi il comportamento e la socializzazione, perché il loro giudizio potrebbe essere ancheun po’ legato alla simpatia nei confronti del compagno, mentre sul profitto e sull’im-pegno possono intervenire più appropriatamente. Ho costatato che [...], all’inizio, hannoun po’ di difficoltà, però, nel tempo, dopo l’interrogazione, i ragazzi non solo danno ilvoto [...], ma anche la spiegazione di quel voto e, devo essere sincera, [...] a me questoaiuta moltissimo. […] innanzitutto conoscono il compagno meglio di me, in quanto in-sieme ci stanno sei ore al giorno, mentre io sto con la classe tre ore a settimana, e quindivedono anche le sfumature […]. È difficile per me scoprire ogni singolo allievo a trecen-tosessanta gradi; in questo un po’ mi aiutano gli allievi, un po’ mi aiutano i responsabilidel corso. l’autovalutazione […] i ragazzi la prendono con responsabilità [...]; io dicoloro: “Voi siete come dei piccoli professori, adesso siete voi che valutate e non io”, lorosi sentono protagonisti e, nel momento della valutazione, la classe non fa nemmenoquella solita discriminazione che si fa ad esempio con il compagno simpatico o conquello non simpatico (FGita1/63);[...] a volte, per dire, faccio [...] scrivere alla lavagna le frasi e faccio trovare a loro gli er-rori dei loro compagni, e lì sono attentissimi, proprio non sfugge niente (FGita2/20). Adesempio [...] mi portano i compiti, o scrivo io la frase alla lavagna, non dicendo di chi è,oppure la faccio scrivere alla lavagna direttamente da chi ha fatto il compito; dal posto,gli altri devono trovare gli errori e lì allora [...] si mettono in gioco, nel senso che trovanogli errori; a volte io, per metterli alla prova, li imbroglio un po’, nel senso che dico: “Masiete sicuri che questo sia giusto?”, allora: “Sì, sì, è giusto, prof”, “Perché è giusto o sba-gliato?”, allora, nel momento in cui arrivano a spiegarmi il perché, vuol dire che l’argo-mento è stato recepito è stato appreso (FGita2/22).A. (FGita1/63), che opera in un cFP umbro, oltre che sollecitare il singolo al-lievo a darsi una valutazione, al termine di una verifica, trova utile stimolare l’e-spressione di un giudizio motivato anche da parte degli altri compagni, almeno sualcune dimensioni della prestazione. K. (FGita2/20-22), che insegna inglese in uncFP veneto, coinvolge la classe nella correzione di alcune frasi tratte dai compitiprecedentemente assegnati e stimola l’identificazione della forma corretta dellafrase. 7.5. gestire accuratamente la restituzione delle prove corretteUna fase particolarmente delicata della valutazione è la restituzione, spesso in-dividuale, delle prove con le opportune correzioni. Se tempestivo e ben curato,questo momento diventa esso stesso parte del percorso di apprendimento. Si trattadi fornire agli allievi dei riscontri puntuali, delicati e rispettosi, che li aiutino a rico- 197 noscere ciò che funziona nel loro lavoro, vedendolo riconosciuto dal docente, e, seè il caso, aprano la possibilità di fare in modo diverso:(della verifica) vediamo assieme i risultati raggiunti: “Forse qui potresti migliorare…”. iragazzi scoprono così degli spazi in libertà in ambito disciplinare, perché la libertà delnon fare è per loro una libertà molto semplice (intMe1/70), mentre la libertà del fare inmaniera diversa è quella che mi interessa! (intMe1/72). E lì viene scoperta in alcuni casiinaspettatamente; ci sono ragazzi che scoprono che fare in maniera diversa è molto piùutile, ragazzi che magari non hanno mai sentito parlare di schemi (intMe1/76). […] Unavolta corrette, in un incontro seguente, le verifiche vengono “riconsegnate” agli allieviper essere riprese in esame con il mio aiuto, passando per i banchi, con l’attenzione a nonfar sentire nessuno in imbarazzo per il voto ricevuto e avendo cura di non fare confrontio classifiche: l’obiettivo è la ricerca della causa degli eventuali errori commessi e la va-lorizzazione del lavoro personale (intMe1/540).il senso dell’atto valutativo – sembra dire D. (intMe1) – è aprire spazi di li-bertà. quando i ragazzi, attraverso l’affiancamento (quel “passare tra i banchi” cheè anche un inclinarsi su ciascuno) e il commento dell’insegnante, scoprono che farein modo diverso si può e magari è anche utile e fruttuoso, vedono aumentare glispazi dell’azione possibile e dunque diventano più liberi. il docente presta atten-zione a come il ragazzo si sente, a come può vivere un eventuale voto negativo.questo lo porta ad evitare di enfatizzare il confronto interindividuale o le classi-fiche dei voti (che magari i ragazzi tra loro fanno ma che perdono il potere di sco-raggiare, se l’insegnante per primo non dà loro valore) e a puntare invece l’accentosulla valorizzazione di ciò che si è riusciti a raggiungere, in termini di risultato, esull’analisi di eventuali errori, che sono sempre preziose fonti di apprendimento. inquesti modi il nostro formatore educa i propri allievi al senso stesso del valutare. 7.6. Curare in particolare la correzione dei temicome abbiamo visto sopra, sono molto varie le occasioni e le tipologie discrittura che i nostri formatori propongono ai propri allievi. non ci sono solo lescritture “utili”, funzionali alla pratica lavorativa. Resistono i tradizionali temi,come occasioni per esercitare forme di espressione argomentata e personale. Anzi,proprio il tema rimane anche nei cFP la prova scritta di italiano per eccellenza. lacorrezione del tema è allora un momento particolarmente delicato, sia sul versantedella lingua sia su quello del contenuto sia, più in generale, su quello della rela-zione.7.6.1. Definire i criteri di valutazionenel brano che segue, D. (intVr2) racconta il suo modo di correggere i temi,fase a cui la nostra docente attribuisce particolare importanza:alle volte può capitare […] che uno studente mi dica: “Ma lei, prof, corregge il tema inbase alle sue idee o in base alle idee che trova scritte? Se lei è contraria all’aborto e noiaffermiamo che...”; affrontiamo anche [...] le grandi questioni etiche, introducendole unattimo; [...] sono contenta che loro mi pongano la domanda e dico: “io ho le mie idee” e 198 le manifesto, anche in maniera molto chiara, perché secondo me l’insegnante deve schie-rarsi su questioni etiche; anche da un punto di vista didattico, questo è importante percreare una capacità critica. Se un insegnante dà l’impressione di non interessarsi di nulla,anche la classe, bene o male, si lascerà andare; invece, di fronte a un insegnante che èpronto [...] ad affrontare la discussione, vedo che anche i ragazzi sono stimolati al dibat-tito. Allora io rispondo alla domanda dicendo che [...], quando considero l’aspetto conte-nutistico [...], non mi permetterei mai di entrare in quelle che sono le idee personali;entro invece nell’aspetto dell’organizzazione e della profondità dei contenuti; e questoaffrontando [...] non solo le questioni etiche, ma in generale tutte le questioni che pos-sono essere oggetto di un tema; la superficialità [...] è uno dei problemi più gravi; quindi(si tratta di argomentare) con serietà, senza andare in cerca di proclami, di luoghi co-muni, ma cercando di essere autentici, di rifletterci sopra ed esercitando la propria capa-cità critica, la libertà di pensiero e anche la capacità di mettersi sempre in ricerca(intVr2/66). quando correggiamo il tema di italiano, abbiamo una griglia valutativa [...],dove c’è [...] un parametro legato al contenuto, un parametro legato alla forma e alla sin-tassi, un parametro legato [...] all’organizzazione logica del discorso e uno [...] legato al-l’originalità del pensiero; e loro lo sanno. Poi, in fondo al tema, c’è sempre un commentoche io scrivo, [...] nel quale appunto sottolineo l’aspetto formale, ma anche l’aspetto con-tenutistico e, anche nel corso del tema, scrivo un’osservazione legata alla sintassi, un’os-servazione legata al contenuto, ad esempio: “questa era un’idea interessante, ma è man-cato l’approfondimento”, in modo tale che poi, quando il ragazzo vede il tema, abbiamaggiori strumenti [...] per decodificare le mie correzioni; [...] che cosa significa “nonhai approfondito il contenuto?” [...] Significa appunto diverse cose: che non hai appro-fondito l’idea, che ti sei lasciato sfuggire uno stimolo che poteva essere interessante, op-pure che sei stato superficiale e hai affrontato la questione in maniera banale, [...] aggan-ciandoti a luoghi comuni più che a una tua riflessione; mentre l’errore di ortografia è ab-bastanza evidente, l’errore di contenuto – ma anche l’errore di coesione o la mancanza dilogicità – è più sfuggente e quindi, in genere, nel momento della consegna – è importan-tissimo come si consegna, come si restituisce un tema! –, il fatto che ci siano le mie noteè importante per gli studenti, perché loro devono cogliere che cosa voglio da loro e qualè l’aspetto nel quale sono carenti (intVr2/68).Anche D. (intVr2) definisce in partenza i criteri di valutazione e li rende notiagli allievi, in modo tale che essi stessi possano giudicare la riuscita del loro la-voro. Precisa agli allievi che ciò che verrà valutato nei loro scritti non è il grado diaccordo con le idee del docente, ma sono la qualità, l’originalità e la profonditàdelle argomentazioni e dei pensieri espressi, oltre che la chiarezza espositiva, l’or-ganizzazione logica, la correttezza formale ecc.58. questo non impedirà alla docentedi esprimere le proprie idee in aula, secondo una malintesa idea di neutralità.Anche in questo modo si educa al rispetto e alla democrazia. D. dedica particolarecura a tradurre i criteri di valutazioni in un linguaggio specifico e comprensibileagli allievi. inoltre, accanto al voto, inserisce sempre un commento, in modo taleche anche la restituzione del tema possa diventare un’occasione di apprendimento. 58 la docente esprime anche la consapevolezza epistemologica che è più facile correggere gliaspetti legati alla lingua (le forme corrette o sbagliate sono più facili da individuare) che non quelli le-gati al contenuto, dove le cose sono più “sfuggenti” e non si prestano a valutazioni “oggettive”. 199 7.6.2. Costruire un repertorio di temi da mostrare e su cui riflettereÈ ancora D. (intVr2) a proporre una raccolta di temi come esemplari su cui av-viare percorsi di riflessione che aiutino ad analizzare le scelte stilistiche operatenella redazione dei testi:uno strumento che, alle volte, uso [...] è quello della visione di temi sempre corretti dame, proiettati – non sempre li proietto, posso anche semplicemente leggerli –, nei qualifaccio semplicemente vedere gli errori, i diversi tipi di errore: l’errore di sintassi, l’erroreortografico... (intVr2/52); faccio le fotocopie sul lucido [...] e parto da casi veri di errore;[...] leggo la frase, perché ad esempio riguardo alla sintassi, ho notato che i ragazzi,quando scrivo “errore di sintassi”, inizialmente non capiscono; allora faccio sentire eanalizzo insieme a loro, non so, l’errore di sintassi oppure l’errore ortografico; e questomi serve molto anche per il discorso dei contenuti, perché molto spesso una persona nonsi rende conto che il proprio contenuto è superficiale, mentre, se faccio vedere, se leggoo se faccio vedere, meglio ancora, attraverso un lucido, e leggiamo insieme un tema, sirendono maggiormente conto – l’ho notato – del discorso anche contenutistico(intVr2/54). chiedo sempre alla classe se è contraria a questo tipo di lavoro, se qualcunoha delle remore; dico sempre che non è un mettere alla gogna; posso usare i materiali dialtre classi; se li uso, prima di usare i temi, i materiali della classe, lo chiedo alla classe edico loro: “Vi offendete, se uso questi materiali...?”, però sottolineo che non c’è da partemia nessun intento [...] di distinguere tra chi scrive bene e chi scrive male, è semplice-mente un cercare di imparare, di crescere insieme; ho notato che, in genere, non hannoremore (intVr2/56). […] (Mostro) anche esempi positivi; ad esempio, questo (mostra unfoglio) [...] è il tema di un ragazzo che ha preso “sette e mezzo”, quindi [...] un voto posi-tivo (intVr2/60); però c’erano degli errori di sintassi; allora, questo esempio è anche po-sitivo, perché da un lato fa vedere ai ragazzi che anche un ragazzo bravo, che è riuscito alavorare molto sui contenuti, (può fare degli errori di sintassi) (intVr2/62); ...non solometto in luce gli errori, ma presento anche degli esempi positivi, faccio notare come,anche all’interno di temi positivi o che comunque hanno ottenuto una buona valutazione,ci possono essere degli errori e metto in luce l’errore di sintassi piuttosto che un errore dimancata coesione tra un periodo e l’altro e quindi cerco di far vedere questi materiali e dipresentare loro sia degli esempi positivi sia degli errori che possono essere ricorrenti neitemi, dimostrando che, da un lato, anche un tema ben fatto può celare degli aspetti nega-tivi e che anche un tema che ha riportato una valutazione negativa ha degli elementi po-sitivi; quindi supponiamo che il ragazzo avesse introdotto un concetto, un’idea brillante,però avesse fatto l’errore di non approfondirlo, allora leggo questa frase, questa idea,però metto in luce che, nel periodo successivo, non c’è stato un approfondimento del-l’idea, oppure che manca la coesione tra un periodo e l’altro, quindi cerco di far notareappunto gli aspetti positivi anche nei temi che hanno riportato una valutazione negativa,perché ho notato che l’aspetto della motivazione è importantissimo, soprattutto [...] nellaparte legata alla produzione scritta, perché, se subentra una mancata autostima o anche lasensazione di non potercela fare o di non essere portati per l’italiano scritto, un ragazzonon riesce a migliorare; quindi è importante valorizzare anche l’aspetto positivo di untema (intVr2/64). Per gli allievi è molto utile poter vedere diversi esempi di testi scritti da altriallievi, per analizzare gli errori, ma anche gli aspetti positivi di un componimento.la nostra formatrice è attenta, da una parte, a valorizzare gli elementi positivi con-tenuti in temi complessivamente mediocri, dall’altra a far notare che ci possono es- 200 sere problemi di carattere ortografico o sintattico anche in elaborati apprezzabili.l’approccio è comunque incoraggiante59 e la docente richiama l’attenzione in parti-colare su ciò che negli esempi costituisce un elemento positivo (ad esempio, unascelta stilistica efficace, una metafora viva, un lessico appropriato ecc.). infine, no-tiamo che la docente chiede correttamente ai suoi allievi il permesso, prima di con-dividere con altri i loro elaborati.7.6.3. Introdurre messaggi di ascolto nel giudizio di valutazione dei temiSopra sottolineavamo come la correzione dei temi si carichi anche di una va-lenza relazionale. Spesso, attraverso i temi, gli allievi si aprono al docente. Allorala correzione offre l’opportunità di coltivare spazi di dialogo. Significativo è ilmodo in cui E. (intMe7), nel brano che segue, ci racconta di intervenire in questicasi: grazie al tema di italiano, loro si raccontano, raccontano la propria esperienza personale,la propria esperienza di vita, perché [...] è più semplice, per certi versi, […] scrivere suun foglio bianco, che non affrontare una persona che abbiamo di fronte; quindi, […] se inostri ragazzi hanno qualche difficoltà – cosa che è assolutamente reale –, riescono adaprirsi; poi bisogna capire se in quel momento lo stanno facendo soltanto come [...]sfogo – e quindi soltanto al foglio bianco – o (se intendono parlare) indirettamente all’in-segnante. quindi bisogna capire se loro ti stanno chiedendo aiuto, stanno chiedendo aiutoin prima persona a te come insegnante (intMe7/217). […] Una volta letto il tema, sisonda il terreno, si tasta il terreno con i piedi di piombo, magari si cerca di entrare nel-l’argomento, nel discorso: “Ah, ho letto il tema...”. io [...] divido sempre il giudizio indue parti e scrivo: “forma”, e do un giudizio, “contenuto”, e do un altro giudizio, met-tendo sempre un commento personale: “Ho visto che..., ho letto che [...], in questo mo-mento, stai passando un periodo di difficoltà. Se tu dovessi avere bisogno di qualcuno, ioci sono” (intMe7/219). cerco quindi di dare un messaggio di ascolto, oppure di inseriredei commenti: “[...] Ho letto quanto hai scritto, ma non condivido le tue scelte”. Talvoltalancio dei messaggi interrotti a metà. Poi, se il ragazzo vuole, (parliamo)... (intMe7/221).[...] quando vado ad inserire quei pensieri nel tema di italiano, non posso […] esprimere 59 Per comprendere cosa possa significare una valutazione non mortificante, può essere utile ri-portare il brano in cui Giuseppe Bagni, in una lettera ad una sua collega, trascrive il tema di italiano diun’alunna albanese di prima, da poco arrivata in italia, su “l’acqua e il suo immaginario” (e qui devodisattivare il correttore automatico di word): «Resto seduta di fronte a lui e mi ciama, mi ciama innome e mi soride con la sua facia dolce. il suo colore da qualche parte blu e da qualche parte celestemi tranquilla l’anima. E iniziamo a parlare. io racconto tutte le mie cose, e lui mi ascolta. È il mi-gliore amico che ho, che non mi tradisce mai e con nessuno. questo mio migliore amico è l’aqua “ilmare”. Tutte le volte quando sto con lui aspetiamo con ansia il tramonto del sole, che cambia il suocolore, e a me questo piache tanto anche se dura poco. quando sono triste lui mi abracia forte, mitranquilla il corpo e mi tolie tutti i pensieri tristi dalla mente. Ma quando è triste lui io non facioniente solo lo vedo, e lui questo vuole e piache. l’aqua non è soltanto un elemento indispensabile allanostra vita, anche se questa è la più importante ma l’aqua è anche un elemento che ti aspira, ti tran-quilla e in tanti casi ti fa sognare. Ecco perché “il mare” è il mio migliore amico». Subito dopo, l’au-tore riporta il delicato giudizio che la sua collega di italiano ha formulato: «…“il tuo elaborato èmolto bello e pieno di poesia, anche la calligrafia è molto bella e chiara, così mi dispiace ‘sporcare’queste pagine con la correzione. lo correggeremo insieme”…» (Bagni, conserva, 2005, p. 28). 201 giudizi interpretativi, devo dare un giudizio descrittivo, del tipo: “Ho visto qual è il tuoproblema, ho letto quale è la tua situazione, ebbene, sono contenta per te che stai vivendoun momento positivo della tua vita”, oppure: “Mi dispiace che tu stia vivendo questa dif-ficoltà [...]; guarda, io ci sono”. Poi sta a lui raccogliere o meno l’invito (intMe7/227),venire da me a parlare o andare da qualcun’altro (intMe7/229). È sempre un segnale diinteresse che si lancia (intMe7/231) e, grazie al tema di italiano, siamo riusciti, a volte, avenire a conoscenza di alcune situazioni particolari e a prendere in tempo alcuni pro-blemi, alcune difficoltà; non dico a risolvere ma, per lo meno, a venirne a conoscenza e aprenderle in tempo (intMe7/233).quando un ragazzo, in una tema, parla di sé manifestando stati d’animo e so-prattutto difficoltà, all’insegnante si offre l’opportunità di intervenire. Ma è impor-tante, come ci rivela E., che l’intervento sia sensibile e delicato: la nostra forma-trice sonda innanzitutto il terreno, magari affrontando indirettamente la questione,per non forzare l’allievo a parlare di sé ma, nello stesso tempo, per lanciargli unmessaggio di disponibilità all’ascolto. Spesso sono proprio i commenti inseriti altermine della correzione del tema a veicolare tale messaggio. ciò che rende effi-cace l’intervento di E. è l’uso di un registro descrittivo, che apre, più che uno valu-tativo, che rischia di far chiudere l’altro nel suo fortino difensivo. 7.7. Introdurre prove di valutazione autenticala valutazione più efficace non è quella che si basa su giudizi verbali, perquante attenzioni i docenti mettano in atto per non ferire l’autostima degli allievi,ma quella che si fonda sul giudizio che viene dalla realtà, dalla cosa stessa che l’al-lievo è riuscito a realizzare (cfr. crowford, p. 17), tanto più quanto più risultanochiari i criteri di valutazione. Alcuni dei nostri docenti parlano di “prove auten-tiche” quando si riferiscono a prove basate sulla realizzazione di prodotti o compitiautentici. lo strumento principale per valutare tali lavori risulta essere la rubrica divalutazione (cfr. Tacconi, 2007, pp. 71-74), che consiste nel tentativo di descrivereciò che comporta affrontare un compito nelle sue diverse componenti e a vari livellidi competenza (da quello del principiante a quello dell’esperto). qui di seguito ri-portiamo due brani di due interviste a docenti del cFP di Padova che ricorrono aquesto metodo:ci siamo inseriti in un progetto che si chiama “Progetto adozione india”, che abbiamofatto in collaborazione con il comune di Padova e con l’associazione ViDES [...](intPd3/114). Abbiamo fatto diventare questo progetto una prova autentica per le classiprime; [...] la prova autentica ha portato i ragazzi a pensare e a fare una serie di verifiche,partendo da un “problema”, da una consegna concreta [...]. Praticamente abbiamo fattoun gemellaggio con un centro di formazione […] della città di Tirupur, in india, e ai ra-gazzi abbiamo chiesto di presentare se stessi in lingua italiana – questo era un lavoro discrittura e anche di orientamento, che andava poi valutato –, di presentare la città di Pa-dova in lingua inglese […]. Siccome lo abbiamo fatto prima di Pasqua, (abbiamo chiestoanche) di fare un bigliettino di auguri pasquali, durante le ore di applicazione informa-tiche. quindi abbiamo coinvolto varie discipline, per una prova che comunque si è rive-lata concreta, nel senso che i ragazzi hanno prodotto, in modo tangibile, un biglietto di 202 auguri con la loro foto, per cui dovevano anche dimostrare di saper gestire immagini, in-serire foto, mettere la didascalia della foto, scrivere la frase di auguri in italiano e in in-glese; e poi hanno fatto la presentazione di loro stessi e la presentazione della città di Pa-dova; per questo che siamo andati in uscita didattica, al centro storico (intPd3/116). Pra-ticamente, abbiamo creato una rubrica di valutazione, che è proprio una dispensa in cui,per ogni modulo di insegnamento, abbiamo definito gli indicatori che vanno a valutareuna competenza; [...] ad esempio, la competenza “legge in modo appropriato” posso de-clinarla in indicatori, come: “sa leggere testi della produzione letteraria italiana, com-prende il contenuto della pagina e ricerca termini nuovi costruendo un lessico personale”.È stato un lavoraccio, però, in questo modo, se a quella persona ho dato... – sai che noiabbiamo la valutazione in centesimi – (intPd3/122), che ne so, 80/100, in una verifica dilettura, è un 80 globale? Sì e no, sì, perché può darsi che abbia fatto benissimo la primaparte che chiedeva una cosa e non bene l’ultima parte, però facendo la media ha preso unbuon voto. con le rubriche di valutazione, che presentano, appunto, tutta questa declina-zione delle varie competenze in indicatori, io preciso anche il mio voto, nel senso cheposso decidere di dare tre voti su una verifica, uno per ogni singolo indicatore che sonoandata a considerare. in effetti, è... (intPd3/124) ...molto impegnativo, anche perché, perquanto riguarda la lingua italiana, in sede di consiglio di classe, io [...] e le altre collegheabbiamo avuto una media di dieci voti per ragazzo da dare, perché vai a valutare le sin-gole competenze. Allora, se nella parte di grammatica e comunicazione hai tre compe-tenze, allora hai tre voti; è stato un lavoraccio! queste rubriche di valutazione, oltre adessere parte del nostro registro, le hanno anche i ragazzi, per cui i ragazzi hanno il moni-toraggio costante di ciò a cui in effetti quel voto che hanno preso in italiano, in matema-tica o in inglese si riferisce (intPd3/126); questa è l’utilità, però siamo già concordi neldire che... (intPd3/128) [...] l’abbiamo specificata troppo [...] e quindi il lavoro che ciaspetterà alla fine dell’anno sarà di ridurre questa classificazione così specifica e dicreare delle categorie più ampie (intPd3/130);di solito cerco di fare delle verifiche [...] sui contenuti che loro hanno appreso, ma of-frendo proprio una situazione [...] per cui, non so, una delle ultime cose che ho fatto fareloro, era una serie di situazioni: abbiamo studiato che cosa significa che un cliente vengaad obbiettare su un prodotto che ha acquistato (intPd5/24): la gestione dei reclami. Percui loro avevano una serie di situazioni, tipo non so, la signora che ha comprato unasedia a sdraio che si è rotta appena lei si è seduta; allora loro dovevano giustificare la rot-tura, proporre un’alternativa alla signora [...], e lì ho visto come davvero i ragazzi si met-tono in gioco anche con la loro creatività [...] (intPd5/26). Se la simulazione è orale,siamo tutti in classe, per cui di solito loro diventano gli attori in cattedra e gestiscono lascena (intPd5/28); [...] poi do un’esercitazione scritta. È utile anche questo passaggio,perché comunque loro fissano alcune idee, alcuni pensieri che hanno; poi, riprendendo inmano i loro lavori, capiscono varie cose; di solito queste sono tutte esercitazioni, quindi èmateriale che [...] ritorna a loro; ce l’hanno sul loro quaderno, nella loro cartellina [...](intPd5/30). Alcuni criteri di valutazione sono interdisciplinari con l’informatica, perchéloro comunque mettono insieme le tecniche di comunicazione e vendita quando devono,per esempio, presentare un prodotto all’interno di un volantino; lì, ad esempio, abbiamouna competenza, suddivisa con l’informatica [...] (intPd5/32) ma tecniche di comunica-zione e vendita […] rimane [...] proprio un modulo professionalizzante (intPd5/34),anche se non mancano le collaborazioni con altri ambiti disciplinari (intPd5/36). […] Daquest’anno, nelle nostre valutazioni, abbiamo applicato le rubriche, comunicate ai ra-gazzi e condivise anche con le famiglie [...] (intPd5/64), [...] quindi la pagella che noiconsegniamo ai genitori ha proprio la forma di una rubrica; quest’anno è stato un anno disperimentazione; adesso [...], avremo un collegio formatori di verifica di questo sistema 203 di valutazione, ma anche di possibile aggiustamento, perché [...] ci rendiamo conto che lecaselle sono state moltiplicate, per cui probabilmente dobbiamo andare verso una stradache ci dia la possibilità di utilizzare la rubrica, ma anche di essere un poco più coincisinella valutazione, perché altrimenti il tutto rischia di essere troppo dispendioso in terminidi energie. cioè, da una parte è un buon metodo, ma dall’altra è un po’ complicato(intPd5/66). la rubrica è articolata in descrittori e criteri...; [...] c’è una competenza ini-ziale, ad esempio, “saper gestire i rapporti con i clienti”, poi c’è la suddivisione in de-scrittori, per cui: “ragazzo in grado di spiegare, non so, situazioni particolari al cliente”, epoi ci sono più criteri; all’interno di questi criteri ci sono quelli che sono valutati o attra-verso la mia interrogazione orale o attraverso la simulazione o con una verifica scritta oaltro (intPd5/68). Ad esempio, “gestire le obiezioni” è il descrittore, quindi un criterio[...] può essere “saper fornire adeguate informazioni sul prodotto, sulle [...] caratteri-stiche del prodotto presentato”, per cui, se un ragazzo sa giustificare perché quel prodottoha determinate caratteristiche, [...] è valutabile in maniera positiva; [...] ci sono quattroscalini (intPd5/70), quattro livelli di competenza, dalla competenza pienamente raggiunta(intPd5/72) a quella per niente raggiunta... (intPd5/74).nell’esempio riportato da n. (intPd3), la “prova autentica” consiste in un in-sieme di attività che concorrono tutte ad affrontare un problema concreto: nel casonarrato, la presentazione di sé e della propria città ad un gruppo di coetanei indianie la costruzione di un biglietto di auguri. le prove di valutazione autentica sonodunque delle vere e proprie ulteriori attività di apprendimento, nelle quali vengonocoinvolte le varie aree disciplinari. Attraverso la rubrica di valutazione, il docentepuò precisare il proprio voto e l’allievo ricevere un feedback dettagliato sulla pro-pria prestazione. Soprattutto, come sottolinea D. (intPd5), nel secondo brano, la ru-brica consente di comunicare previamente i criteri di valutazione agli allievi e alleloro famiglie. Anche D., infatti, imposta la valutazione su un compito autentico: lasimulazione di una situazione concreta di vendita, in particolare riguardo alla ge-stione di un reclamo, prima realizzata in forma orale e poi in forma scritta, oppurela realizzazione di un volantino. Entrambe le docenti esprimono anche l’esigenza dirivedere collegialmente questi strumenti, per evitarne utilizzi meccanici e per ren-derli sempre più trasparenti e comprensibili agli allievi e sempre più agili e sosteni-bili per gli insegnanti. 7.8. Far costruire il portfolio dell’allievoPer quanto non ovunque diffuso, risulta interessante anche l’uso del portfoliodell’allievo nella valutazione. il portfolio è una selezione di materiali e lavori signi-ficativi (cfr. Pellerey, 2004) che l’allievo assembla per illustrare il suo percorso e isuoi progressi e che può consentire ad altri, in questo caso ai formatori, di farsiun’idea riguardo alle competenze maturate dagli allievi stessi. ce ne parla D.(intPd5) nel brano seguente:il portfolio viene gestito fin dall’inizio della prima, per cui i ragazzi sanno che, per loro,è un documento di presentazione per quello che sarà poi il momento conclusivo del loropercorso, l’esame di qualifica. l’orientamento che abbiamo preso è che, all’interno delportfolio, ci siano, oltre ai loro dati – insomma, quello che è proprio il loro percorso for- 204 mativo – anche quei lavori che, per loro, non solo sono stati i più belli, ma sono stati ipiù significativi, quelli in cui loro hanno imparato a gestire i particolari passaggi di al-cune discipline, moduli, o comunque quei lavori dove hanno potuto mettere a frutto tuttala loro creatività. Per esempio quelli di vendita quest’anno avranno, all’interno del port-folio, anche un book fotografico, dove presenteranno alla commissione tutte le vetrineche hanno allestito, divise un po’ in tematiche, oppure in periodi dell’anno, per cui di-venta proprio anche espressione di quello [...] che è stato il lavoro pratico. non si trattaquindi solo di inserire una ricerca che ho fatto, punto e basta (intPd5/106). [...] i ragazzistabiliscono insieme agli insegnanti quali lavori è bene inserire nel portfolio(intPd5/108); [...] di italiano inseriscono alcune relazioni che loro hanno fatto, in modoparticolare le relazioni sullo stage; ad esempio [...], i ragazzi non consegnano la relazionedello stage a chi fa “accompagnamento al lavoro”, ma all’insegnante di italiano, per cuipoi c’è una valutazione d’insieme, però è soprattutto l’insegnante di italiano che valuta inche modo la relazione è stata scritta, se è corretta o meno. E poi di italiano penso aqualche ricerca che magari i ragazzi hanno fatto insieme, oppure le schede di alcuni libriche hanno letto (intPd5/110).È interessante notare che quella del portfolio è una pratica che accompagna i ra-gazzi lungo tutto il percorso triennale che porta all’esame di qualifica60. All’internodel portfolio di ciascun allievo sono contenuti la storia del suo percorso (i moduliseguiti, le esperienze di stage ecc.) e la documentazione dei suoi lavori più signifi-cativi, che meglio di altri possono rappresentare le sue conquiste e i suoi apprendi-menti nei vari ambiti del percorso formativo. in questo modo i risultati non vengonoseparati dal tracciato del percorso. nel caso descritto, il portfolio contiene anche unbook con le fotografie dei migliori lavori realizzati da ciascun allievo nell’area pra-tica. la scelta avviene in dialogo con gli insegnanti e anche questa conversazione ela riflessione61 che l’accompagna risultano essere un momento altamente formativo,che intercetta il percorso di crescita di ciascuno, con i suoi modi e i suoi tempi, eaiuta gli allievi ad imparare a riconoscere e a dare valore a quello che fanno. 7.9. Attivare forme di triangolazionenella valutazione dell’esperienza di stage, alcuni formatori introducono un ul-teriore dispositivo di valutazione: la triangolazione tra la valutazione che dell’espe-rienza danno gli allievi stessi e quella che viene invece fatta dal tutor del cFP e daltutor aziendale:penso che lo stage sia la prima esperienza concreta che i ragazzi vivono [...] (intPd5/42);in seconda sono tre settimane, mentre in terza è quasi un mese e mezzo; di solito i ra-gazzi delle vendite fanno esperienza in grandi magazzini, oppure in piccoli negozi al det- 60 Su questo aspetto, cfr. cnoS-FAP, 2005.61 nell’esperienza di alcuni formatori, questa riflessione dovrebbe essere orientata quantomeno afar emergere che cosa il soggetto in apprendimento ha imparato, che differenza esiste tra ciò che egliriconosce di aver imparato e ciò che si aspettava di imparare, quali gli apprendimenti imprevisti, checosa infine il soggetto ha imparato riguardo al suo modo di imparare, ai suoi punti di forza e alle pos-sibili aree di miglioramento. 205 taglio, e sono vari, perché andiamo dalla profumeria al supermercato, alla cartoleria, alnegozio di abbigliamento. Ecco loro sono fissati sull’abbigliamento; quando invece sco-prono che ci sono altri tipi di negozi intorno a loro, allora magari si orientano anche di-versamente (intPd5/48). la valutazione dello stage si fa essenzialmente in due momenti;nel momento in cui loro rientrano dallo stage – hanno due o tre giornate in cui rientranoa scuola –, insieme a loro, si rilegge l’esperienza che stanno vivendo, attraverso alcuneschede, attraverso alcuni questionari o attraverso la raccolta di informazioni e la discus-sione in classe […] (intPd5/50): ciascuno racconta come sta vivendo l’esperienza dellostage. Poi la valutazione viene fatta anche nel momento in cui loro fanno l’autovaluta-zione dello stage (intPd5/52): hanno una scheda, che [...] si compone di alcune parti cheabbiamo compilato noi, come tutor dello stage della scuola, ma che è compilata anchedal tutor di stage del luogo di lavoro dove vanno. la cosa diventa interessante perchévedi la valutazione data dai ragazzi e la confronti con quella che è stata la nostra valuta-zione e con la valutazione, invece, del tutor di stage del negozio (intPd5/54). questo lofa il tutor d’aula, cioè in questo caso io (intPd5/56). Allora, di solito raccolgo le schede,cerco di capire un po’ se i risultati che hanno notato i ragazzi, le loro valutazioni sonoproprio del tutto estranee a quelle che abbiamo dato noi o che ha dato il tutor dello stageaziendale (intPd5/58); se succede così, io non lo rendo pubblico, cioè cerco che ci sia unconfronto personale con il ragazzo, nel senso che, se io gli ho dato 40 e lui ha messo 100,c’è qualcosa che non funziona. Mentre con quelli in cui c’è un po’ di congruenza, vienefatta una discussione, eventualmente anche in classe (intPd5/60). Allora, la valutazione èespressa in numeri, però c’è uno spazio per le annotazioni e ci sono alcuni tutor di stageche annotano alcuni comportamenti (intPd5/62).nel racconto di D. (intPd5), che insegna tecniche di comunicazione per un in-dirizzo commerciale, la valutazione dello stage viene innanzitutto condotta – in iti-nere e al termine dell’esperienza – attraverso una riflessione condivisa con tutto ilgruppo classe sull’esperienza stessa, che faccia emergere i punti di forza e di debo-lezza percepiti dai ragazzi e soprattutto li aiuti a dire le cose che sanno e hanno im-parato a fare. la valutazione finale combina poi l’autovalutazione dell’allievo, lavalutazione del tutor del cFP e quella del tutor del negozio dove è stato svolto lostage. quando il confronto tra questi diversi punti di vista fa emergere diverse per-cezioni, si apre la possibilità di attivare col singolo allievo una riflessione sui mo-tivi di queste divergenze. 207 4. Conclusione Dopo aver presentato il percorso e i risultati della ricerca, non rimane chetentarne una rappresentazione sintetica, che possa indicare anche ulteriori spuntidi riflessione e nodi sui quali continuare a riflettere. Proverò ad organizzare leconclusioni attorno ad alcune domande: che tipo di sapere è quello che emergedalle pratiche? quali le caratteristiche distintive della pratica dei formatori delcnoS-FAP che hanno a che fare con l’asse dei linguaggi e quello storico-so-ciale? cosa ci consente di dire che alcuni docenti sono “bravi”? in che cosa con-siste la loro bravura/professionalità? E come si può formare a questo? in partico-lare, in che modo questo tipo di ricerca può agire sullo sviluppo personale e pro-fessionale dei docenti (di chi ha partecipato e di chi legge la ricerca)? che cosa,infine, una ricerca di questo genere può suggerire al decisore politico? Provo a ri-spondere con ordine. 1. uN SAPeRe vIvO Sopra, introducendo i risultati della ricerca, osservavamo che, nonostante lagranularità dell’analisi, dal lavoro si vedono affiorare i tratti di una sorta di “teoriadella pratica formativa”, non una teoria astratta, ma una teoria “estratta” dalle storiedi pratica, che lascia i soggetti in carne ed ossa al centro della scena. ora sono forsenecessarie alcune precisazioni sulla natura di questa teorizzazione, prima di ten-tarne una riassuntiva e sintetica rappresentazione globale.Per forza di cose il sapere scientifico, in ambito didattico, è riduttivo, perché,per essere tale e rilevare delle regolarità, deve semplificare il fenomeno che indagae isolarne singole variabili. il sapere pratico, che è un sapere vivo, interpersonale,eticamente implicato (Damiano, 2007a), rimane per lo più inafferrabile a quel tipodi sguardo e di procedimento. inoltre, negli approcci sperimentali, il ruolo dellateoria è preponderante nel generare congetture e ipotesi attraverso le quali esplo-rare l’esperienza didattica. in questa ricerca, avvicinandoci ai materiali offerti daipratici, non abbiamo cercato di farli corrispondere ad una teoria didattica predefi-nita o di valutarli a partire da essa; abbiamo cercato di svelare il sapere incorporatonella pratica e dunque quella sorta di teoria che emerge dal basso, dalle pratichenarrate dai formatori.quella messa a fuoco in questo lavoro è una didattica agita, in corso d’opera edunque incompiuta, che spesso non possiede il look gradevole delle costruzioni 208 “teoriche”, in cui i vari elementi (gli oggetti culturali, le azioni del formatore, leazioni dei soggetti in apprendimento ecc.) si combinano in un disegno armonico edunitario. Abbiamo a che fare con racconti interrotti, spesso con frammenti di narra-zione, che lasciano pieni di domande (come viene affrontato quell’elemento? comeviene trattato quel tema? come viene sviluppato quel concetto?...). Se questo sti-mola la ricerca a tornare ricorsivamente ai testimoni e a trovare modi sempre piùadeguati per dire la pratica (cfr. Mortari, 2010b), rivela anche un’incompiutezzastrutturale, propria del sapere pratico, che non si lascia mai dire esaustivamente.Ma, se ci pensiamo bene, è proprio l’ineliminabile incompiutezza dei racconti dipratica che diventa generativa, perché tiene continuamente in movimento il pen-sare. Più volte, avvicinando i materiali e gli elaborati che restituivano parzialmentei risultati della ricerca, alcuni partecipanti sentivano l’esigenza di aggiungereespressioni di questo tipo: “sì, anche a me è capitato qualcosa di simile…”, “in unasituazione analoga, a me è capitato di agire invece in questo modo…”. il raccontodi partenza sollecitava altri racconti, in un continuo tentativo di specificare la pra-tica. È questo processo che rende vivo il sapere contenuto nelle pratiche.Se il tipo di sapere generato da questa ricerca non è frutto di un teorizzareastratto, non è nemmeno qualcosa di riducibile ad un manuale (letteralmente: “aportata di mano”), che definisce, detta istruzioni e toglie spazio all’inventiva ri-chiesta dalle specifiche situazioni. Si tratta piuttosto di una mappa organizzata e ra-gionata, ancorché incompleta (e sempre integrabile), di strategie che, sul campo, iformatori hanno inventato e/o percepito come utili.Ai lettori questo sapere rivolge un invito al “fai da te”, a coltivare fiducia nelleproprie capacità di inventare strumenti, una volta colto che, nel proprio agire comeformatori e nel dialogo con le concrete situazioni didattiche, si sviluppa un sapereche assume lo statuto di vera e propria conoscenza. Del resto, la ricerca, condottasulla pratica, all’interno di una comunità di pratica, ci ha portato ad esplicitare il re-pertorio della comunità, inteso come «...set di risorse condivise dalla comunità»(Wenger 2006, p. 99), raccolta di strumenti e modi di operare che la comunità haadottato nel corso della sua storia e che possono «essere reimpiegati in nuove situa-zioni» ed essere condivisi «...in modo dinamico e interattivo» (ibid., p. 100), com-posti, montati, smontati, rimontati, perfezionati, variati, in un processo dinamico esenza fine, che produce a sua volta conoscenza. 2. uNA dIdATTICA SeNSIBILe Guardando le pratiche ad una certa distanza, si nota il profilarsi di un ap-proccio didattico caratteristico, che non è dato riscontrare ovunque e che potremmodefinire sensibile e centrato su un fare sensato.i nostri formatori si ingegnano innanzitutto per far sì che le cose che chiedonoai loro allievi di fare e di pensare nelle proprie ore non siano percepite distanti 209 anni luce da ciò che sta loro a cuore. Rinunciano all’apologia del sapere “inutile” edisinteressato e al mito del sapere astratto, perché sanno che, anche a partire datesti utili, concreti e vicini all’esperienza, persino da un libretto di istruzioni, èpossibile imparare ad interrogarsi sulle parole e a pensare. Sono impegnati a for-nire ai loro allievi una mappa che consenta loro di muoversi consapevolmentenella vita e nel mondo del lavoro. lo fanno selezionando oggetti culturali che rie-scano a dialogare con gli orizzonti degli allievi e a parlare loro anche in manieracorporea, percepibile con i sensi. Si tratta di un’esplorazione parziale ma, data lavastità del campo esplorabile, è anche inevitabile che sia così. Soprattutto, i do-centi di cFP hanno imparato a non contrapporre il sapere concreto e “utile” al sa-pere astratto, incorporeo, la cui utilità consisterebbe appunto nella sua presunta“inutilità”. questa contrapposizione mantiene separati piani che andrebbero inveceintegrati e non aiuta a riconoscere dignità ai saperi che sono incorporati anchenelle pratiche lavorative e che non riguardano solo il cosa e il come fare, ma ancheil perché, il senso. Da qui l’attenzione dei nostri formatori a rendere vitali i conte-nuti che insegnano e ad agganciarli all’esperienza, agli interessi e agli orizzonticulturali degli allievi, in modo che abbiano senso anche per loro. Facendo così, iformatori tengono inoltre aperta la feconda tensione tra l’area umanistica loro affi-data e l’area tecnico-professionale e contribuiscono ad allargare il concetto stessodi competenza professionale, fino ad includervi dimensioni come l’espressionecorretta e persino bella, la riflessività critica, la tensione etica, che sono anch’esseesigenze di una competenza che non può dirsi professionale, se non è anche, altempo stesso, personale.È ovvio che il modello operativo che caratterizza gli insegnamenti di area tec-nico-professionale nei cFP sia quello dell’apprendistato. il docente di laboratorio èl’esperto che propone esperienze, mostra come si fa, affianca, offre consigli e sug-gerimenti. con lui gli allievi costruiscono un rapporto particolarmente intenso,anche dal punto di vista affettivo, fatto di rispetto e fiducia. consapevoli di questo,i nostri docenti – che non operano direttamente nelle aree tecnico-professionali main quelle culturali – imparano presto a fare i conti con una visione diversa da quellache, con Gardner, potremmo definire “concezione uniforme di scuola” (Gardner1995, p. 136), secondo la quale la priorità va data al sapere formale ed astratto. Sisforzano dunque di trasformare anche le aree culturali in luoghi di apprendistato,non limitandosi a dichiarare l’importanza dei saperi che sono incorporati nel fare ecostruendo ambienti di apprendimento che traducano questa scoperta in esperienzarealizzabile. Per questo riducono lo spazio dedicato alla lezione solo verbale e cer-cano di non separare mai il “sapere” dal “saper fare”, in un ambito, come quello deilinguaggi o quello storico-sociale, in cui l’operatività non è per nulla scontata. Èproprio il canale dell’esperienza e di un fare che coinvolga il corpo, oltre che lamente, la via che i nostri docenti seguono per far acquisire ai propri allievi rilevantisaperi di cittadinanza. Da qui la valorizzazione dei sensi e delle esperienze lavora-tive, il ricorso ad una molteplicità di linguaggi, la proposta di esperienze di vario 210 genere, la centratura sulla realizzazione di compiti autentici, non solo di tipo pro-fessionale. imparando dai loro colleghi di area pratica come rendere le loro aule piùsimili a dei laboratori, i nostri docenti contribuiscono a far sì che anche i laboratoridiventino un po’ più simili alle aule, cioè che sulle pratiche lavorative si attivinocostantemente riflessioni e pensieri, superando così una visione puramente adde-strativa della formazione professionale.la didattica che i nostri formatori propongono è dunque “sensibile”, perché siaggancia ai sensi degli allievi – del resto, ogni conoscenza umana inizia attraverso isensi e sui sensi non è possibile agire con delle astrazioni –, ma è “sensibile” ancheperché animata da una particolare sensibilità relazionale e da uno stile, un modo diporsi, rispettoso, delicato ed incoraggiante. È un elemento che emerge ovunque: nelmodo di entrare in classe, di gestire le regole, di affiancare e seguire gli allievi du-rante le attività, di accompagnarli a riconoscere e a dare valore a ciò che imparano.in ogni circostanza, pensieri ed emozioni vengono messi in gioco nella relazione.la spiccata sensibilità relazionale si traduce anche in una sensibilità particolare alledifferenze individuali. i nostri formatori hanno la capacità di farsi seguire dalgruppo, ma sanno anche attendere chi ritarda o andare a rintracciare chi si avven-tura in altri territori, seguendolo sui suoi sentieri e assecondando anche il loro desi-derio di esplorare strade alternative. Per far questo non procedono secondo pianidettagliati e lineari, sanno operare variando il setting e modificando l’azione anchein base a ciò che succede e alle informazioni che ricevono durante il processo. 3. PROFeSSIONALITà IN FORMAzIONe i docenti che hanno partecipato alla ricerca non sono tutti uguali. Sono diffe-renti per età, anni di esperienza, competenza. ciò che li accomuna, oltre ad unacerta sensibilità, che probabilmente introiettano anche con l’aria che respirano nel-l’ambiente salesiano, è un atteggiamento che non esiterei a definire etico, prima an-cora che psicologico: la fiducia nelle possibilità dei ragazzi e l’ostinazione a tro-vare vie di accesso a quel fortino che molto spesso i ragazzi erigono difensiva-mente, attorno a sé, e che non è facile espugnare. È questo che anima il loro agire ela loro presenza, il loro “esserci”1, in ogni circostanza. 1 È lo stesso atteggiamento di cui parla Pennac, nel suo Diario di scuola, quando esprime la con-sapevolezza che la possibilità che i ragazzi siano presenti a quello che fanno dipende fortemente dallapresenza dell’educatore: «...la presenza dei miei allievi dipende strettamente dalla mia: dal mio esserepresente all’intera classe e a ogni individuo in particolare, dalla mia presenza alla mia materia, dallamia presenza fisica, intellettuale e mentale, per i cinquantacinque minuti in cui durerà la mia lezione»(Pennac, 2008, p. 103). E anche i nostri formatori sanno calarsi appieno nelle loro classi, come il do-cente di cui parla Pennac: «...il professore è entrato, è assolutamente qui, si è visto dal suo modo diguardare, di salutare gli studenti, di sedersi, di prendere possesso della cattedra. non si è disperso pertimore delle loro reazioni, non si è chiuso in se stesso, no, è a suo agio, da subito, è presente, distingueogni volto, la classe esiste davanti ai suoi occhi» (ibid., p. 106, cfr. anche Tacconi, 2008b). 211 la ricerca ha consentito una messa a fuoco a tutto tondo del sapere professio-nale dei “bravi” docenti2, che consiste in una molteplice fedeltà: quella epistemolo-gica, al valore disciplinare di ciò che propongono; quella psicologica, alle esigenzedegli allievi con cui operano, prima fra tutte l’esigenza che ciò che si chiede loroabbia per loro anche un senso; ma anche quella etica, ai volti concreti che interpel-lano la loro responsabilità di adulti.Potremmo ora chiederci: come si sviluppa tale sapere? Guido Armellini, inse-gnante di lettere in una scuola superiore, esprime in modo efficace come diversielementi di tale sapere si sviluppino proprio attraverso la pratica: «Personalmente,posso dire che la mia idea della letteratura è stata profondamente modificata dall’e-sperienza dell’insegnamento: in un’epoca di strutturalismo imperante, la convin-zione della necessità di un approccio ermeneutico all’esperienza letteraria è scatu-rita dal dialogo quotidiano coi miei studenti prima che dalla lettura di saggi teoricisull’argomento. credo che lo stesso si possa dire per molte e molti insegnanti, chenella loro pratica didattica hanno anticipato, magari senza averne una piena consa-pevolezza teorica, gli sviluppi del sapere specialistico. non si tratta dunque di ab-bassare il tiro per venire incontro allo squallore dei tempi, o di seguire le mode percorteggiare il gusto degli studenti, ma di riconoscere che il valore di un percorsodidattico non sta tanto nella sua imitazione pedissequa (e necessariamente subal-terna) del sapere accademico quanto nella sua capacità di promuovere nella classequell’incontro fra opera e lettore che Hans Robert Jauss definisce “ringiovanimentodel passato”» (Armellini, 2008, p. 36).Anche la nostra ricerca ha documentato a più riprese che la pratica didatticastessa rappresenta per i docenti uno dei principali luoghi generativi della cono-scenza professionale sia sugli oggetti culturali che sull’insegnamento. Ma più cheuno sguardo fisso sulla professionalità dei docenti, la ricerca ha consentito di evi-denziare un processo di costruzione di professionalità in atto, all’interno di una co-munità di pratica: durante la ricerca, infatti, nei vari momenti di condivisione delleesperienze in gruppo, si attivava spesso uno scambio tra esperti e novizi, dato cheai FG partecipavano anche docenti con pochi anni di esperienza. non è che i primifossero onniscienti e i secondi ignoranti. Anche il docente più esperto sa poco inconfronto all’infinità di cose che costituiscono il suo campo disciplinare e le altredimensioni del sapere professionale (Damiano, 2007b). E anche il docente ai suoiprimi anni di esperienza porta con sé un punto di vista legittimo e rilevante sull’in-segnamento. la differenza sta nel fatto che i docenti più esperti sanno che proprioai ragazzi e alle difficoltà incontrate con loro devono la maggior parte di quello chehanno imparato. Scambiare reciprocamente le esperienze ha consentito agli uni eagli altri di diventare maggiormente consapevoli che la pratica può essere una 2 in questo senso, la ricerca si inserisce in quel filone che intende studiare in che cosa consista ilcosiddetto “dono di saper insegnare”; cfr., in particolare, Weinert, 1996; Bain, 2004; Jackson, 2009. 212 straordinaria sorgente di apprendimento, che questo sapere è prezioso e che l’unicomodo per non disperderlo è condividerlo con altri.Un’ultima considerazione nasce da una riflessione sul processo stesso della ri-cerca. in questo percorso, i formatori sono stati guidati ed aiutati a mettere in parolail loro sapere pratico che, proprio perché tale, non è sempre facilmente esprimibilein forma verbale e dunque comunicabile3. nel far questo, hanno potuto cogliere l’a-nalogia che esiste tra questo processo e ciò che essi stessi sono chiamati ad operarecon i propri allievi: accompagnarli a mettere in parola i saperi e i valori che sonoimplicati in ciò che fanno, nel momento in cui si confrontano con situazioni sfidantie tentano di rispondere ad esse in modo congruente e flessibile. Da questo punto divista, per coloro che hanno partecipato – ma l’auspicio è che questo valga anche perla maggior parte dei lettori –, la riflessione sul processo stesso della ricerca, e in ge-nere su quanto vissuto nella propria esperienza di formatori, può indicare una via di-datticamente feconda e percorribile con i ragazzi che frequentano i cFP. 4. PRATICHe e POLITICHe Franz Weinert, in un suo articolo su ciò che fa “buono” un buon insegnante,cita la famosa frase di Hans Aebli: «Dove è all’opera un buon insegnante, il mondodiventa un po’ migliore» (Weinert, 1996, p. 141). Penso che, anche alla luce dellanostra ricerca, si possa sottoscrivere pienamente questa affermazione, cogliendoneanche la portata politica: nell’iFP abbiamo incontrato buoni insegnanti, capacidunque di offrire un contributo migliorativo alla società tutta e al mondo del lavoroin particolare.non si tratta di un’affermazione scontata, perché talvolta, nel dibattito pub-blico, sembra che la formazione professionale iniziale, avendo a che fare con il la-voro, non sia da considerare alla stregua delle istituzioni scolastiche e che anzi, permigliorare queste e l’efficacia della loro missione, sarebbe opportuno cancellare deltutto il “depotenziato” canale della formazione professionale iniziale. Alla base diquesto pregiudizio culturale nei confronti della formazione professionale ce n’èuno più profondo, nei confronti del lavoro, che ha una lunga tradizione, non solonel nostro paese (cfr. crawford, 2009). Fa bene, ad esempio, Paola Mastrocola,nella sua recente proposta di riforma del sistema scolastico, a denunciare come sba-gliata l’idea diffusa che «…il lavoro (manuale, artigianale, tecnico-pratico) sia cosavile, umiliante, degradante» (Mastrocola, 2011, p. 215) e ad augurarsi il supera-mento del blocco mentale che impedisce di vedere la ricchezza anche formativa diun lavoro ben fatto: «dovremmo recuperare stima e ammirazione per chi è capacedi costruire un tavolo, assistere un anziano, tagliare un vestito, rieducare un arto, 3 Sulla dimensione tacita e personale del sapere pratico, il riferimento obbligato è a Polany,1990, ma anche a Schön, 1983. 213 produrre un cioccolatino, creare un gioiello, riparare un motore, un computer, unferro da stiro» (ibid., p. 220)4. Se tutto questo è vero, dovremmo recuperare stimaed ammirazione anche nei confronti della formazione professionale e riconoscere ilvalore politico che per un paese può avere il miglioramento di tale sistema.la ricerca non ha la pretesa di “dimostrare”, ma penso riesca a “mostrare”,spero in modo sufficientemente convincente, che iFP non significa necessariamente“meno scuola” o scuola di serie B, ma un modo diverso di fare scuola, capace diadattarsi con duttilità alle esigenze di soggetti che esprimono una spiccata prefe-renza per i saperi incarnati o – è l’altra faccia della medaglia – una profonda disaf-fezione nei confronti di modalità solo trasmissive, statiche e disincarnate di far fun-zionare la scuola. la ricerca sulle pratiche assume allora una valenza anche poli-tica, almeno per due ragioni: può innanzitutto aiutare i decisori e tutti coloro chehanno responsabilità sul sistema formativo a conoscere più in profondità e dunquead apprezzare meglio le potenzialità di questa tipologia di offerta formativa e il pa-trimonio di esperienze che in essa si è sviluppato in questi anni; inoltre, favorendo,anche attraverso la creazione di spazi di riflessione e di analisi, la crescita e lo svi-luppo professionale dei docenti, contribuisce a promuovere il miglioramento dellasocietà nel suo complesso. 4 Ho però l’impressione che, nonostante queste affermazioni, l’autrice di Togliamo il disturbo siaessa stessa prigioniera del pregiudizio che denuncia e non smetta di pensare che il lavoro non siaun’attività “formativa” in sé, ricca di saperi (ma anche di pensieri, idee, riflessioni, memorie, immagi-nazioni, valori ecc.), eventualmente da esplicitare, da portare alla luce del sole, ma che debba esserein qualche modo “nobilitato” dallo studio e dunque da un’aggiunta di saperi ad esso esterni e spessoestranei. Basti pensare alla sua critica alla “scuola delle competenze” (Mastrocola, 2011, pp. 137-146), ma anche alle pagine immediatamente successive (pp. 146-155), dove propone la sua accoratadifesa dei saperi che “…non si applicano a un bel niente, e non servono, e non si spendono” (p. 153)e denuncia quello che a suo parere sta avvenendo nella scuola: un “…restringimento della vita al soloambito lavorativo (e del lavoro a ‘problema da risolvere’!)”, che rischia di rendere la vita “tetramentetecnico-pratica” (idem). questo non toglie che alcuni suoi spunti possano essere in sintonia conquanto emerge dalla ricerca sugli insegnanti di italiano del cnoS-FAP. ne riporto alcuni: «…a mepiacerebbe un sacco che un fabbro conoscesse il concetto di amor de lonh: secondo me gli verrebberomeglio i cancelli. E a un orafo i monili, e a un falegname i tavoli e le sedie. noi dovremmo davveroinsegnare la poesia provenzale ai futuri fabbri, pasticceri, decoratori, elettricisti. E l’arte di Giotto e diVan Gogh, e il pensiero di Seneca e Voltaire… Penso questo profondamente, perché non riesco a to-gliermi dalla testa il modello Michelangelo, e l’esempio degli artisti del cinquecento a bottega: moltierano anche letterati e poeti, erano sapienti, erano artisti in senso totale, intrisi di cultura […]. Mi pia-cerebbe che si ricreasse un mondo così. E vorrei fortemente una scuola che a questo mondo prepa-rasse. credo che dovremmo batterci perché le scuole professionali e tecniche vadano in questa dire-zione» (ibid., pp. 216-217). E ancora: nelle scuole delle arti e dei mestieri «…mi piacerebbe che nonsi insegnassero solo le materie tecniche, quelle strettamente utili a creare le future “competenze” pro-fessionali. Mi piacerebbe s’insegnassero anche le materie inutili […]. in queste scuole si dovrebbe in-segnare […] ad amare la lettura, e l’ascolto della musica, e la contemplazione di opere d’arte. nondico la storia letteraria, o le varie interpretazioni del Barocco o l’elenco delle opere del caravaggio inordine cronologico. no, io parlo di un’educazione estetica. Sto pensando alla persona, prima ancorache alla sua professione, sto pensando alla sua vita in generale, alla sua giornata, a quando torna acasa e si rilassa. Mi piacerebbe che potesse rilassarsi anche ascoltando Mozart […]. Vorrei solo che cipossano essere, nella sua vita, anche i libri, le poesie, i concerti» (ibid., pp. 244-245). 215 5. Bibliografia AFFinATi E. (2008), La Città dei Ragazzi, Mondadori, Milano.AlABAnESi c. (2004), I Focus Group, carocci, Roma.AlTET M. (2003), La ricerca sulle pratiche di insegnamento in Francia, tr. it., la Scuola, Brescia.AnTinUcci F. (2001), La scuola si è rotta. 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Il gruppo di ricerca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 173. Le fasi della ricerca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 183.1. L’osservazione etnografica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 193.2. Le interviste individuali: raccolta e prima analisi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 203.3. La raccolta di materiali elaborati dai docenti e dai CFP . . . . . . . . . . . . . 283.4. I Focus group realizzati nell’estate 2008 (FGIta/1 e 2): raccolta e analisi 293.5. La sistemazione dei materiali e la raccolta di dati integrativi . . . . . . . . . 303.6. La continuazione dell’analisi e la stesura di un primo report provvisorio 303.7. Il Focus Group realizzato nell’estate del 2009 (FGIta3): validazione inter-soggettiva dell’analisi dei dati raccolti delle fasi precedenti e ulterioreraccolta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 313.8. Il ritorno sull’analisi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 333.9. Il FG realizzato nell’autunno 2009 (FGIta4) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 333.10. L’analisi dell’intero corpus dei dati raccolti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 343.11. La scrittura del report finale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 343.12. La stesura del diario riflessivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35 3. I RISuLTATI deLLA RICeRCA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 371. Creare le condizioni relazionali per lavorare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 381.1. Aver cura della relazione, in particolare con chi si trova in difficoltà . . . 381.1.1. Agganciare gli sguardi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 401.1.2. Rapportarsi con autenticità: verso una relazione motivante . . . . . . 411.1.3. curare il clima della classe creando le condizioni per “mettersi a fare” 421.1.4. Gestire le provocazioni basate sul linguaggio . . . . . . . . . . . . . . . . . 431.2. Prevedere regole e confini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 451.2.1. Far sentire che si è parte di una comunità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 451.2.2. Attivare processi di negoziazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 471.2.3. Ricorrere ad un sistema di incentivi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 501.2.4. comunicare attenzione e rispettare la libertà dell’allievo: il casodella copiatura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 521.3. Organizzare lo spazio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53 220 2. Organizzare la lezione in modo efficace . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 532.1. Curare l’avvio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 552.1.1. Riprendere il filo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 552.1.2. Fornire un inquadramento relativamente al percorso che si andrà asvolgere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 552.1.3. Stabilire fin dall’inizio un contatto emozionale . . . . . . . . . . . . . . . . 56a) Chiedere “Come va?” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56b) Controllare i compiti per comunicare attenzione . . . . . . . . . . . . 572.1.4. Educare al metodo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 592.2. Esplorare il punto di vista degli allievi dando loro la parola . . . . . . . . . . 602.2.1. i goal delle aspettative . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 612.2.2. “Adesso, dite la vostra!” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 622.2.3. il brainstorming . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 632.2.4. Decostruire . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 642.3. Esporre (e far esporre) con chiarezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 662.3.1. catturare l’interesse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 662.3.2. Schematizzare e far fare schemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 672.3.3. Far diventare il quaderno occasione di comunicazione educativa . . 692.3.4. Richiamare spesso il punto di arrivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 722.3.5. Far apprendere attraverso l’insegnamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 722.4. Rendere vitali i contenuti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 742.4.1. insegnare Dante ai meccanici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 752.4.2. Far cogliere l’utilità del percorso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 772.4.3. Utilizzare un registro narrativo nelle spiegazioni . . . . . . . . . . . . . . 782.4.4. Evidenziare i collegamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 792.5. Giocarsi diverse carte, variando i metodi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 812.5.1. Suddividere bene i tempi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 822.5.2. Variare gli approcci e le attività, lasciandosi guidare anche dagli“Uffa, prof…” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 832.5.3. inserire degli intermezzi per far “ricaricare le batterie” . . . . . . . . . 862.5.4. Rendere piacevole l’attività . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 872.6. Inserire momenti di lavoro in gruppo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 882.6.1. Promuovere ricerche di gruppo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 892.6.2. Attivare esperienze di apprendimento cooperativo . . . . . . . . . . . . . 902.6.3. Stimolare l’aiuto reciproco a coppie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 932.7. Guidare discussioni lavorando sulle domande . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 942.7.1. Far generare domande . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 942.7.2. offrire una griglia di domande per cercare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 952.7.3. l’esperto delle domande “inutili” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 962.8. Concludere tirando le somme e raccogliendo eventuali lavori . . . . . . . . . 972.9. La ricchezza di pratiche “povere” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 973. valorizzare l’esperienza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 983.1. Far toccare con mano gli oggetti di apprendimento . . . . . . . . . . . . . . . . . 993.1.1. Agganciare i contenuti all’esperienza degli allievi . . . . . . . . . . . . . 993.1.2. Selezionare i contenuti con attenzione anche a ciò che può esseresignificativo per gli allievi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1013.1.3. Partire da situazioni simulate e/o esempi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1053.1.4. Attualizzare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 110 221 3.4. Far raccontare esperienze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1113.4.1. Far vivere esperienze che aiutino a pensare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1113.4.2. Proporre l’esperienza di scrivere per comunicare . . . . . . . . . . . . . . 1163.4.3. Stimolare racconti orali su esperienze vissute . . . . . . . . . . . . . . . . . 1183.5. Dare spazio ad esperienze basate su immagini e musica . . . . . . . . . . . . . 1193.5.1. Valorizzare alcuni elementi della cultura multimediale dei ragazzi 1193.5.2. Far analizzare immagini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1203.5.3. Proporre un ciclo di film . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1213.5.4. Utilizzare un video come stimolo per la scrittura personale e ladiscussione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1223.5.5. Partire dall’ascolto di brani musicali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1243.5.6. Analizzare messaggi pubblicitari per riflettere sul “senso poeticodella vita” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1253.6. Far vivere esperienze teatrali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1283.6.1. Andare a teatro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1283.6.2. Fare teatro in classe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1293.7. Far riflettere sulla lingua d’uso (la grammatica) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1343.7.1. Rilevare il valore d’uso della lingua . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1343.7.2. Accompagnare percorsi di meta-riflessione sulla lingua . . . . . . . . . 1373.7.3. orientare ad una esplorazione autonoma del libro di grammatica . 1403.7.4. Guidare all’arricchimento del lessico facendo costruire un perso-nale glossario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 141 4. Creare le condizioni perché si possa leggere e scrivere con piacere . . . . . . . 1424.1. Leggere e far leggere ad alta voce, per gli altri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1434.2. Far riflettere su di sé a partire da ciò che si legge . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1444.3. Personalizzare il rapporto con il libro e con gli autori . . . . . . . . . . . . . . . 1454.4. Far analizzare un testo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1464.5. Far reinventare il finale dei libri letti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1484.6. “Adesso tocca a voi!”. Far scrivere creativamente . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1494.6.1. Far riscrivere testi classici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1494.6.2. Far collegare testi classici a prodotti culturali contemporanei . . . . . 1514.6.3. Assegnare consegne di scrittura con specifiche ben definite . . . . . . 1534.7. Quando leggere e scrivere non sono un piacere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 153 5. Collegare il percorso di educazione linguistica alla pratica lavorativa . . . . 1565.1. Interagire con i docenti di laboratorio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1575.2. Creare situazioni in cui scrivere e parlare siano percepiti come compitivicini alla pratica professionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1595.2.1. la presentazione della propria azienda simulata o del proprio indi-rizzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1615.2.2. la relazione tecnica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1625.2.3. la stesura del proprio curriculum vitae . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1655.2.4. l’offerta tecnica in risposta ad una commessa di lavoro . . . . . . . . . 1665.3. Far realizzare compiti professionali interdisciplinari e complessi . . . . . . 1675.3.1. il caso del libro sui diritti umani con i grafici . . . . . . . . . . . . . . . . . 1675.3.2. il book di presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1715.3.3. il libretto delle istruzioni sull’uso di un prodotto di laboratorio . . . 171 222 5.3.4. la guida turistica della propria città . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1735.4. Far analizzare esperienze lavorative . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 174 6. Assegnare compiti autentici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1756.1. Compiti da giornalista . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1766.1.1. l’articolo di giornale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1766.1.2. la prima pagina di un giornale del passato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1796.1.3. Piccole recensioni per la pagina culturale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1796.1.4. la rassegna stampa o la rassegna tematica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1806.2. Compiti di simulazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1816.2.1. Simulazioni di vendita, televendita o colloquio telefonico . . . . . . . 1826.2.2. conversazioni simulate tra compagni di viaggio . . . . . . . . . . . . . . . 1836.2.3. Giochi di ruolo e altre simulazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1846.3. Compiti di persuasione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1856.3.1. la discussione sui pro e i contro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1866.3.2. il processo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1876.3.3. il messaggio pubblicitario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1876.4. Compiti di ricerca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 189 7. valutare per aiutare a crescere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1917.1. Monitorare continuamente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1927.2. Gestire efficacemente le prove strutturate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1937.3. Offrire occasioni di recupero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1947.4. Stimolare l’autovalutazione e la valutazione tra pari . . . . . . . . . . . . . . . . 1957.5. Gestire accuratamente la restituzione delle prove corrette . . . . . . . . . . . . 1967.6. Curare in particolare la correzione dei temi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1977.6.1. Definire i criteri di valutazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1977.6.2. costruire un repertorio di temi da mostrare e su cui riflettere . . . . . 1997.6.3. introdurre messaggi di ascolto nel giudizio di valutazione dei temi 2007.7. Introdurre prove di valutazione autentica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2017.8. Far costruire il portfolio dell’allievo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2037.9. Attivare forme di triangolazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 204 4. CONCLuSIONe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2071. un sapere vivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2072. una didattica sensibile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2083. Professionalità in formazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2104. Pratiche e politiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 212 5. BIBLIOgRAFIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 215 223 Pubblicazioni 2002-2011 nella collana del CNOS-FAP e del CIOFS/FP “STUDI, PROGETTI, ESPERIENZE PER UNA NUOVA FORMAZIONE PROFESSIONALE” ISSN 1972-3032 Sezione “Studi” 2002 MALIZIA G. - D. NICOLI - V. PIERONI (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimenta- zione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto finale, 2002 2003 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XIV seminario di formazione europea. La formazione professio- nale per lo sviluppo del territorio. Castel Brando (Treviso), 9-11 settembre 2002, 2003 CIOFS/FP SICILIA (a cura di), Vademecum. 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Comunità professionale estetica, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale sociale e sanitaria, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale tessile e moda, 2004 CIOFS/FP BASILICATA, L’orientamento nello zaino. Percorso nella scuola media inferiore. Diffusione di una buona pratica, 2004 CIOFS/FP CAMPANIA (a cura di), ORION tra orientamento e network, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale elettrica e elettronica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale grafica e multimediale, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale meccanica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale turistica e alberghiera, 2004 NICOLI D. (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema del- l’istruzione e della formazione professionale, 2004 NICOLI D. (a cura di), Sintesi delle linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale, 2004 2005 CIOFS-FP SICILIA (a cura di), Operatore Servizi Turistici in rete. Rivisitando il progetto: le buone prassi. Progettazione, Ricerca, Orientamento, Nuova Imprenditorialità, Inseri- mento Lavorativo, 2005 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale legno e arredamento, 2005 CNOS-FAP (a cura di), Proposta di esame per il conseguimento della qualifica professionale. 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PELLEREY (a cura di), Promuovere la crescita nelle competenze strategiche che hanno le loro radici spirituali nelle dimensioni morali e spirituali della persona. Rapporto di ricerca, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale grafica e multimediale, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale elettrica ed elettronica, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale turistico alberghiera, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale automotive, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per l’orientamento nella Federazione CNOS-FAP, 2010 2011 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A. (a cura di), “Cittadini si diventa”. Il contributo dei Salesiani (SDB) e delle Suore Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA) nell’educare stu- denti/allievi delle loro Scuole/CFP in Italia a essere “onesti cittadini”, 2011 TACCONI G., In pratica 1. La didattica dei docenti di area matematica e scientifico-tecnolo- gica nell’Istruzione e Formazione Professionale, 2010 Sezione “Esperienze” 2003 CIOFS/FP PUGLIA (a cura di), ORION. Operare per l’orientamento. Un approccio metodolo- gico condiviso e proposte di strumenti, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 1. Guida per l’accoglienza, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 2. Guida per l’accompagnamento in itinere, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 3. Guida per l’accompagnamento finale, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 4. Guida per la gestione dello stage, 2003 2005 CIOFS/FP SICILIA, Operatore servizi turistici in rete. Rivisitando il progetto: le buone prassi. Progettazione, ricerca, orientamento, nuova imprenditorialità, inserimento lavorativo, 2005 TONIOLO S., La cura della personalità dell’allievo. Una proposta di intervento per il coordi- natore delle attività educative del CFP, 2005 227 2006 ALFANO A., Un progetto alternativo al carcere per i minori a rischio. I sussidi utilizzati nel Centro polifunzionale diurno di Roma, 2006 CIOFS-FP LIGURIA (a cura di), Linee guida per l’orientamento nei corsi polisettoriali (fascia 16-17 anni). L’esperienza realizzata in Liguria dal 2004 al 2006, 2006 COMOGLIO M. (a cura di), Il portfolio nella formazione professionale. Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2006 MALIZIA G. - D. NICOLI - V. PIERONI, Una formazione di successo. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali triennali di istruzione e formazione professionale in Piemonte 2002-2006. Rapporto finale, 2006 2007 NICOLI D. - COMOGLIO M., Una formazione efficace. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali di Istruzione e Formazione professionale in Piemonte 2002-2006, 2007 2008 CNOS-FAP (a cura di), Educazione della persona nei CFP. Una bussola per orientarsi tra buone pratiche e modelli di vita, Roma, Tipografia Pio XI, 2008 2010 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edi- zione 2010, Roma, Tipografia Pio XI, 2010 Tip.: Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma Tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - E-mail: tipolito@donbosco.it Ottobre 2011

Il fenomeno del bullismo. Linee guida ispirate al sistema preventivo di don Bosco per la prevenzione e il trattamento del bullismo

Autore: 
Mario Becciu, Anna Rita Colasanti
Categoria pubblicazione: 
Progetti
Anno: 
2011
Numero pagine: 
87
Codice: 
978-88-95640-45-7
Mario BecciuAnna Rita coLAsAnti IL FENOMENO DEL BULLISMOLinee guida ispirate al sistema preventivodi don Bosco per la prevenzione e il trattamentodel bullismo Anno 2011 Coordinamento scientifico:Dario nicoli (università cattolica di Brescia) Hanno collaborato:Matteo D’AnDReA: segretario nazionale settore Automotive.Dalila DRAzzA: sede nazionale cnos-FAP – ufficio Metodologico-tecnico-Didattico.FiAt GRouPAutomobiles.Comunità professionale AUTOMOTIVE: Angelo ALiquò, Gianni BuFFA, Roberto cAVAGLià, egidiociRiGLiAno, Luciano cLinco, Domenico FeRRAnDo, Paolo GRoPPeLLi, nicola MeRLi, RobertoPARtAtA, Lorenzo PiRottA, Antonio PoRzio, Roberto sARtoReLLo, Fabio sAVino, Giampaolosintoni, Dario RuBeRi. ©2011 By sede nazionale del cnos-FAP(centro nazionale opere salesiane - Formazione Aggiornamento Professionale)Via Appia Antica, 78 – 00179 Romatel.: 06 5137884 – Fax 06 5137028e-mail: cnosfap.nazionale@cnos-fap.it – http: www.cnos-fap.it SOMMARIO INtRODUzIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 1. L’AppROCCIO pREvENtIvO-pROMOzIONALE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 2. I COMpORtAMENtI pROBLEMA NEI CFp: qUALI INtERvENtI EDUCAtIvI? . . . . . . . . 33 3. IL BULLISMO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49 4. LA pREvENzIONE DEL BULLISMO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57 5. LINEE gUIDA ISpIRAtE AL SIStEMA pREvENtIvO DI DON BOSCO pER LA pREvENzIONEE IL tRAttAMENtO DEL BULLISMO tRA gLI ALLIEvI DEI CFp . . . . . . . . . . . . . . . . . 67 BIBLIOgRAFIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71 SItOgRAFIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77 FILMOgRAFIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79 INDICE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81 3 Introduzione il presente lavoro nasce all’interno di una progettazione pluriennale di inter-venti formativi, di ricerca e di applicazione realizzati nell’ultimo decennio all’in-terno dei centri di Formazione Professionale del cnos-FAP.L’obiettivo principale dei molteplici eventi realizzati è stato quello di esplici-tare e sistematizzare concettualmente “l’educativo” presente, come da centenariatradizione, nei singoli centri salesiani.tutto ciò nel tentativo di valorizzare, custodire e innovare il sistema preven-tivo tramandato da Don Bosco ai suoi seguaci come metodologia e prassi elettivaper vivere con i giovani amandoli, educandoli e formandoli.il confrontare le intuizioni di Don Bosco con le teorie attuali sulla prevenzionein ambito di promozione del benessere psicologico e della salute mentale dei sog-getti in età evolutiva ci ha consentito di individuare alcune linee teoriche e pro-grammatiche fondamentali per sensibilizzare e formare, soprattutto, i Formatoriche quotidianamente vivono l’esperienza formativa.Per far ciò, ci si è serviti, soprattutto, in ambito psicologico, delle teorie sullaprevenzione, così come dagli anni ’70 in poi si sono sviluppate nell’ambito dellaPsicologia di comunità, della Psicologia evolutiva, delle scienze Preventive, dellaPsicopatologia evolutiva, della Psicologia della salute e della Psicologia Positiva.teorie che sono alla base dei principali programmi che gli organismi interna-zionali (oMs, cee, enti governativi, Ministeri della salute, Ministeri dell’istru-zione) hanno diffuso nelle due ultime decadi, al fine di favorire il benessere psico-logico in età evolutiva, prevenire il disagio, il rischio psicosociale e la malattiamentale.Abbiamo chiamato “approccio preventivo-promozionale” l’insieme delleteorie e delle proposte operative che sono state realizzate in questi anni all’internodella Formazione Professionale.Assumere l’approccio preventivo-promozionale significa realizzare “un in-sieme di interventi complessi e multidimensionali di tipo sociale, culturale,educativo e formativo, tesi a depotenziare la carica patogenica del rischio (pre-ventivo) e a promuovere i fattori di salutogenesi (promozionale) del singolo edelle comunità”.seguendo questa linea d’intervento, sono stati promossi corsi di sensibilizza-zione e di formazione destinati ai formatori per favorire l’acquisizione di cono-scenze e competenze nell’ambito della programmazione di interventi preventivopromozionali destinati agli adolescenti. 5 ne sono testimonianza le pubblicazioni “La promozione delle capacità perso-nali”, “i genitori nei cFP”, “in viaggio per crescere”.questo volume è il primo di una serie di agili strumenti dedicati all’applica-zione dell’approccio preventivo-promozionale a tematiche di interesse educativo epreventivo rivolti ai formatori dei cFP cnos-FAP.il contributo è di tipo teorico-pratico ed è basato sui più recenti contributi teo-rici e sui risultati delle ricerche in ambito psicosociale in riferimento al mondo ado-lescenziale attuale.si pensa, così, di supportare l’azione professionale quotidiana in riferimentoad alcuni dei problemi più urgenti che i giovani adolescenti vivono oggi. Perché il bullismo?Per vari motivi.innanzitutto, per dare una risposta professionalmente e qualitativamente ele-vata alle richieste che da parte dei genitori, delle scuole, della Formazione Profes-sionale e dell’opinione pubblica vengono sempre più rivolte agli esperti e agli ope-ratori del settore per far fronte ad un fenomeno che sembra diffondersi sempre piùanche a motivo delle nuove forme legate all’innovazione tecnologica, il cosiddetto“cyberbulling”.in secondo luogo, le campagne di prevenzione e di contrasto del bullismo, apartire da quelle di olweus (1983), hanno potuto documentare risultati di efficaciache durano nel tempo (Vreeman Rc et al., 2007), tanto da diventare un prototipo dimodello d’intervento preventivo da realizzare con soggetti in età evolutiva, ancheper altri settori.in terzo luogo, sono state evidenziate correlazioni significative tra la partecipa-zione ad esperienze di bullismo in età scolare e problemi di devianza sociale in etàgiovanile per i bulli, mentre per le vittime, disturbi internalizzati, come ansia e de-pressione. elementi questi che ci suggeriscono, in un’ottica preventiva, di non sot-tovalutare in alcun modo tale fenomeno.infine, come avremo modo di evidenziare, le proposte operative sono di tipopromozionale coerentemente non solo con quanto la ricerca attuale al riguardo evi-denzia, ma anche con la tradizione pedagogico-educativa dei salesiani.così, la comunità educativa con i suoi diversi attori, ragazzi, formatori, anima-tori, operatori pastorali, diviene la vera protagonista degli interventi di prevenzionee di trattamento del fenomeno del bullismo. il lavoro è diviso in tre parti.nella prima parte, vengono delineati i principi e le coordinate teoriche sullaprevenzione e sull’approccio preventivo promozionale e analizzate le varie tipo-logie di interventi, così come emergono dalla letteratura scientifica soprattutto in ri-ferimento alle condotte aggressive.La seconda parte viene dedicata alla descrizione del fenomeno del bullismo, 6 cercando di evidenziarne le caratteristiche peculiari, i dati epidemiologici, il profilodei protagonisti, le diverse forme del fenomeno con particolare riferimento all’uti-lizzo delle nuove tecnologie.La terza ed ultima parte è costituita dalla presentazione delle linee-guida daadottare nei singoli centri per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del bul-lismo.Per contribuire ad arricchire la preparazione teorica dei formatori in tale am-bito, vengono prima proposte le linee guida che vari organismi ed esperti hannoelaborato per il mondo della scuola; in seguito, vengono presentate le linee guida,ispirate al modello del sistema preventivo di Don Bosco, da proporre per i cFPcnos FAP al fine di promuovere sempre più la cultura della solidarietà e del-l’aiuto reciproco, dell’impegno morale, civile e dell’amicizia tra pari, soprattuttocon i ragazzi che presentano maggiori difficoltà, come contrasto alla cultura dellaprevaricazione e del sopruso gratuito sottostante al fenomeno del bullismo.La presentazione di una bibliografia, di una sitografia e di una filmografia ra-gionate concludono il lavoro.esso è destinato ai Direttori dei cFP, ai Direttori delle comunità salesiane, aglianimatori, ai tutor, agli operatori dei vari settori, ai genitori degli allievi e, soprat-tutto, al collegio dei formatori. MB e ARc 7 9 1. L’approccio preventivo-promozionale Per meglio orientare la prassi preventiva, ci sembra utile presentare alcuni fon-damenti teorici sulla prevenzione e sugli interventi preventivi al fine di fondare egiustificare teoricamente quanto viene via via presentato a livello attuativo, conparticolare riferimento al tema del bullismo tra gli adolescenti. 1.1. Nascita e sviluppo della prevenzione nella salute mentale1 in questa parte vogliamo delineare l’evoluzione che ha subito il concetto diprevenzione nell’ambito della salute mentale, mettendo in luce come esso si siaprogressivamente staccato da una prospettiva biomedica, orientata alla ricerca dellecause preminentemente soggettive ed individuali, verso una prospettiva bio-psico-sociale, di più ampio respiro, che postula un’interazione dinamica tra fattori di ri-schio e di protezione di natura individuale e socio-ambientale e che mira a connet-tere sempre di più la salute mentale alla qualità della vita.Per questo, nella prima parte di esso, ci soffermiamo a descrivere come nasca ecome si sviluppi la prevenzione nel campo della salute mentale e a presentare al-cuni tra i contributi teorici più significativi. successivamente, ci focalizziamo suicriteri che in questo ambito sono stati adottati per classificare i diversi interventipreventivi, per poi dedicare un’attenzione più specifica agli interventi universalinella salute mentale. concludiamo, quindi, con una breve riflessione sui principaliostacoli che ancora oggi permangono a questo riguardo. 1.1.1. La prevenzione nella salute mentale: origini e sviluppiLa storia della prevenzione e dei concetti ad essa relativi è molto più antica edestesa di quanto appaia nella bibliografia esistente al riguardo.Di fronte alla sofferenza l’uomo ha sempre cercato, e continuerà a farlo, di tro-vare modi, siano essi magici o razionali, in grado di ridurre la probabilità che unprocesso morboso si manifesti.interessanti prescrizioni circa i modelli di vita in grado di prevenire le malattiee di promuovere la buona salute si ritrovano in antichi scritti a carattere religioso, 1 Becciu M., coLAsAnti A.R., La prevenzione nella salute mentale. Evoluzione storica di unconcetto, in Orientamenti Pedagogici 57, 3, pp. 401-416. 10 in antichi testi cinesi, nelle opere di studiosi dell’età classica. igea e Panacea, figliedi esculapio, dio della medicina, incarnavano simbolicamente la prevenzione e lacura. Pertanto, parlare di prevenzione è tutt’altro che nuovo. tuttavia, la sistematiz-zazione delle conoscenze in materia ha avuto bisogno di molto altro tempo e, forse,siamo ancora lontani da una chiarezza concettuale e da una sistematicità operativa(Ammaniti 2006).il concetto di prevenzione nasce in campo medico, più precisamente nella me-dicina sociale e, solo successivamente, viene introdotto ed esteso ad altri ambiti,quali quello psicologico e sociale. secondo l’accezione medica, la prevenzione puòessere distinta in base ad un criterio temporale, in primaria, secondaria e terziaria.La prevenzione primaria mira a prevenire la comparsa delle malattie.La prevenzione secondaria mira alla prevenzione o al rallentamento dell’evo-luzione della malattia. La prevenzione terziaria mira alla prevenzione delle conse-guenze negative della malattia. La differenza rispetto alla cura risiede nel fatto chequest’ultima s’incentra sulla guarigione della malattia o sul trattamento del pa-ziente, mentre la prevenzione terziaria ha quale obiettivo le implicazioni secondariedella malattia.quando parliamo di prevenzione nella salute mentale facciamo riferimento adun ambito più ristretto, che orienta l’attenzione a variabili o condizioni-bersaglio ri-levanti nella salute mentale.All’interno di tale ambito la prevenzione nasce intorno alla metà degli anni ’50con la psicologia clinica e ne viene a costituire una delle tre principali funzioni,unitamente alla diagnosi e alla terapia (Galimberti, 2006).La prevenzione assume la prospettiva del modello-biomedico, avente peroggetto la malattia e la disfunzione, e viene a configurarsi come azione diret-tamente rivolta a impedire che specifiche patologie insorgano e si sviluppino. inquesto periodo, la prevenzione dei disturbi mentali mira all’individuazione dicause, per lo più di natura biologica e individuale, responsabili dell’insorgenzadelle disfunzioni.tuttavia, il vero impulso alla prevenzione nel campo della salute mentale si hacon l’avvento della Psicologia di comunità, che include la prevenzione tra i suoiscopi primari.La Psicologia di comunità nasce con tale denominazione nel 1965 negli usAe diventa prassi ufficiale negli anni settanta, periodo in cui inizia a diffondersianche in altri paesi. si origina in ambito clinico come movimento di trasformazionee cambiamento degli approcci teorici e delle prassi operative sul disagio mentale,interpretato non più come legato soltanto all’individuo, ma alle inique relazioni in-dividuo-ambiente (Francescato-Ghirelli, 1995).il vero e proprio atto di fondazione della Pc come area autonoma è il con-vegno del 1965 a swampscott (Massachusetts), durante il quale un gruppo ristrettodi psicologi e operatori di igiene mentale analizzano La formazione degli psicologiper i servizi di igiene mentale di comunità. 11 nel convegno viene sottolineata la necessità di un intervento preventivo a li-vello di comunità, di una demedicalizzazione dei servizi psichiatrici, di un ampioapproccio interdisciplinare.Lo stesso termine di psicologia di comunità, rispetto ad igiene mentale di co-munità (nonostante questo sia l’ambito in cui trova origine), intende ampliare laprospettiva da un’eccessiva e limitante focalizzazione sui problemi della cura dellamalattia mentale verso un nuovo orientamento che cerchi di comprendere e miglio-rare la qualità psicologica dei rapporti uomo-ambiente.una serie di fattori, quali la sfiducia verso la teoria e le prassi tradizionali, l’in-soddisfazione diffusa nei confronti di una concezione medica dei problemi mentali,un deficit di manodopera professionale, la consapevolezza di una maggiore diffu-sione dei disturbi psichici nella cultura della povertà, il deterioramento degli ospe-dali psichiatrici e la conseguente ricerca di soluzioni alternative, nonché, il sorgere,a livello sociale, di un nuovo umanitarismo (Korchin, 1977), avevano fatto matu-rare l’esigenza di mettere a punto strategie innovative di tipo preventivo e di elabo-rare strumenti di intervento alternativi alle modalità cliniche tradizionali.tra questi, l’intervento sulle crisi, la consulenza di igiene mentale, il cambia-mento pianificato attraverso tecniche di consulenza educativa e ricerca operativa.nello stesso periodo, nel campo della psichiatria, caplan (1964), assumendo ilmodello di prevenzione della salute pubblica, concettualizzava la prevenzionecome un’azione continuativa specificata in tre livelli distinti: primario, secondarioe terziario.secondo tale autore, la prevenzione primaria é da intendersi come un concettocomunitario; essa implica il decremento della percentuale di casi di disagio psi-chico in una data popolazione in un determinato periodo di tempo; tale decrementoè connesso al fatto che si interviene su alcune condizioni ritenute potenzialmentedannose, prima che queste producano malattia. Fare prevenzione primaria vuol direagire non solo per impedire che si ammali uno specifico individuo, ma per ridurreil rischio di malattia per l’intera popolazione.Gli interventi possibili, a livello di prevenzione primaria, si situano al livellodella società, di comunità, di piccolo gruppo e individuale.Gli interventi a livello di società concernono ogni iniziativa sociale volta a mi-gliorare la qualità della vita, promuovere l’istruzione e il benessere sociale, poten-ziare il sistema sanitario, aumentare le possibilità di lavoro ecc.Gli interventi a livello di comunità concernono programmi di educazione all’i-giene mentale, consulenze urbanistiche, miglioramento del clima nelle scuole, il la-voro nelle organizzazioni.Gli interventi a livello di piccolo gruppo concernono in primo luogo la fami-glia, affinché sia in grado di offrire i necessari apporti psicosociali. Rientrano inquesto tipo di interventi i piani di educazione dei genitori, i corsi di istruzione pre-natale, ecc.Gli interventi a livello individuale concernono tutte le azioni dirette a raffor- 12 zare e rendere più capace l’individuo ad affrontare le sue crisi esistenziali. un’at-tenzione particolare è dedicata alle crisi di sviluppo legate alle transizioni tipichedel ciclo vitale.La prevenzione secondaria, invece, ha come obiettivo principale quello dibloccare l’evolversi della malattia o di ritardarne lo sviluppo. essa si realizza attra-verso la diagnosi precoce e mediante l’intervento sui fattori patogeni o a rischio.Per quanto concerne la prevenzione terziaria, caplan (1964) afferma che essaè indirizzata a ridurre la percentuale dei casi di disagio psichico mediante l’inter-vento riabilitativo sui pazienti, affinché questi sviluppino, per quanto sia possibile,le loro risorse e capacità messe fuori gioco dalla malattia. secondo l’autore il ter-mine riabilitazione fa riferimento al singolo, il termine “prevenzione terziaria” ri-guarda l’intera comunità.Le teorizzazioni di caplan (1964) hanno avuto un importante impatto sul la-voro di quel periodo, contribuendo allo sviluppo di ricerche, programmi e servizinell’ottica della prevenzione.A partire dalla meta degli anni ’60 si apre, pertanto, la strada verso una nuovaconcezione del disturbo mentale, non più considerato come risultato di qualche cir-costanza insolita (malattia, difetti personali, debolezza di carattere, disadattamento)connessa a fattori biologici o individuali, ma come l’esito di rapporti sociali imper-fetti e iniqui, aventi effetti spesso devastanti sul funzionamento delle persone. Lecause dei problemi sono da ricercare in un’interazione nel tempo tra individui, set-ting e sistemi, incluse le strutture di potere e di sostegno sociale. Pertanto, il livellodi analisi deve procedere dall’individuo e dal micro livello al sistema sociale conparticolare attenzione sulle organizzazioni, i quartieri e le comunità.Finalmente, a partire dal 1970 la prevenzione diventa campo di interesse pre-valente da parte di quanti operano nella salute mentale ed è soprattutto sulla pre-venzione primaria che si orientano la maggior parte degli sforzi teorici e applica-tivi, al punto tale che essa viene da più parti definita come la quarta rivoluzionenella salute mentale (Albee, 1979).negli usA la commissione per la salute Mentale (Albee, 1978), sotto la presi-denza di carter, definisce la prevenzione primaria come una rete di strategie chedifferiscono qualitativamente dagli approcci fino ad allora dominanti nel campodella salute mentale. essa si caratterizza infatti per:– essere proattiva, in quanto cerca di promuovere nelle persone forze adattive, ri-sorse di coping e salute piuttosto che ridurre o contenere un deficit già mani-festo;– essere interessata a tutta la popolazione e non a provvedere servizi sulla basedi singoli casi;– avere, quali strumenti e modelli prevalenti, quelli propri dell’educazione e del-l’ingegneria sociale piuttosto che della terapia o della riabilitazione, sebbenemolte intuizioni circa modelli e programmi siano derivate dall’esperienza ma-turata nel campo clinico; 13 – l’assunto che equipaggiare le persone di risorse personali e sociali sia il modomigliore di allontanare le disfunzioni piuttosto che cercare di gestire problemiche sono già germinati ed esplosi.così, nelle due decadi successive si assiste ad un proliferare di contributi che,oltre a dare vigore all’espandersi della prevenzione primaria, ne ampliano l’esten-sione e la diversità delle prospettive, favorendo l’emergere di un nucleo di cono-scenze consolidato in grado di dare un nuovo spessore alla concettualizzazione eall’attuazione di programmi preventivi. intanto, altre specializzazioni quali la psi-cologia clinica, la psicologia evolutiva, la psicologia sociale ed ambientale, la pe-diatria, la psicopatologia dello sviluppo, la psicologia della salute subiscono cam-biamenti nei loro orientamenti e lavori; direttamente o indirettamente rilevanti perla prevenzione, appaiono sempre più spesso al di là dei confini della psicologia dicomunità e della psichiatria preventiva.nella parte che segue, presentiamo brevemente i maggiori contributi alla teoriae alla prassi preventiva, nella consapevolezza di operare una selezione, non priva diomissioni, fra i tanti apporti di questa area in rapida espansione. 1.1.2. La prevenzione nella salute mentale: i maggiori contributi teoriciGli autori sui quali abbiamo scelto di focalizzare l’attenzione sono: caplan(1964), cowen (1977, 1980, 1981), Albee (1959, 1975, 1978), Bloom (1979),engel (1977).consapevoli che questo elenco non è privo di omissioni, abbiamo optato perquesta selezione, in quanto riteniamo che dalle teorizzazioni di tali autori la pre-venzione nella salute mentale abbia ricevuto un particolare impulso. naturalmenteessi non esauriscono i contributi che nel tempo si sono susseguiti, tuttavia, costitui-scono i capisaldi storicamente significativi. Gerard CaplanA caplan, psichiatra ad Harward, trasferitosi, poi, a Gerusalemme, viene rico-nosciuto il merito di aver adattato il concetto della salute pubblica al disturbo men-tale, fornendo un importante cornice concettuale per la prevenzione. nel suo testo“Principles of preventive psychiatry” (1964) descrive un modello d’intervento cheinclude – come dicevamo – una prevenzione primaria, secondaria e terziaria, desti-nate a ridurre rispettivamente l’incidenza, la durata e il danno dei disordini psichici.tale modello, che come è stato evidenziato più volte, risente eccessivamente dellaprospettiva bio-medica, ha avuto, tuttavia, il pregio di fornire la base per un lavorodi prevenzione e nelle formulazioni di caplan è possibile rintracciare alcuni inne-gabili vantaggi.in primo luogo, la sua classificazione garantisce una certa continuità tra pre-venzione e terapia: le due attività non sono viste come escludentisi reciprocamente,ma come facenti parte entrambe di uno spettro di interventi, aventi come obiettivo 14 quello di ridurre l’incidenza e la prevalenza delle disfunzioni e il danno che daqueste deriva (orford, 1995). in secondo luogo, con caplan si assiste ad uno spo-stamento di attenzione dall’individuo alla collettività. egli, infatti, fu il primo a so-stenere che la prevenzione primaria dovesse essere un concetto diretto verso la co-munità piuttosto che orientato verso l’individuo, come sostenevano la psichiatria ela psicologia tradizionali. così, quei fattori che a livello di comunità aumentavanol’indice della patologia avrebbero dovuto essere esaminati e modificati e, al con-tempo, si sarebbero dovuti sviluppare programmi per incrementare le abilità degliindividui, facendo fronte ai medesimi.infine, caplan ha avuto il merito di aver introdotto il “modello della crisi”,spiegando come ci siano, nell’arco della vita, periodi a rischio che possono scon-volgere i normali processi di sviluppo e che, in quanto tali, dovrebbero essere og-getto di interventi preventivi. Pertanto, per i concetti menzionati e per molti altricontributi caplan è tutt’oggi riconosciuto come uno dei leader e dei massimi espo-nenti in materia di prevenzione. Emory Cowencowen, psicologo e psichiatra dell’università di Rochester, ha dato un attivocontributo all’area della prevenzione attraverso lo sviluppo di programmi, progetti,training che hanno consentito una maggiore operativizzazione e una più concretaidentificazione delle variabili oggetto di intervento. Particolarmente famoso è ilprogramma PMHP (Primary Mental Health Project) che egli ha sviluppato insiemead alcuni collaboratori per l’individuazione e l’intervento precoce sul disadatta-mento scolastico, programma ancora oggi operativo in molte parti del mondo(cowen et al., 1996).cowen, rispetto ad altri studiosi, definisce in modo più accurato la prevenzioneprimaria che, a suo avviso, deve riunire tre esigenze strutturali: deve essere digruppo o di orientamento di massa piuttosto che orientata verso l’individuo, nono-stante alcune sue attività possono implicare contatti individuali; deve qualificarsiper il “prima di ...”, essere, cioè, indirizzata a gruppi che non sperimentino ancoraun disadattamento significativo (anche se possono essere, a causa delle loro situa-zioni di vita o di esperienze recenti, a rischio di tali conseguenze); deve essere in-tenzionale, cioè, poggiare su una solida conoscenza di base che suggerisca che ilprogramma abbia la potenzialità o di migliorare la salute psicologica o di prevenireil disadattamento. A quest’ultimo riguardo, cowen sottolinea la necessità che laprevenzione primaria contempli, oltre ad un ovvio e allettante filone esecutivo, unimprescindibile filone generativo, ossia un processo preparatorio al fare, che sugge-risca quali azioni intraprendere e perché. Da qui l’urgenza di studi e ricerche chemettano in evidenza le relazioni esistenti tra situazioni, eventi di vita, strutture so-ciali ed esiti di sviluppo adattivi o meno. cowen aggiunge, inoltre, che la preven-zione primaria deve poter palesare dati che mostrino gli effetti positivi di essa. Daqui la necessità di elaborare programmi validi e verificabili. 15 George Albeei contributi di Albee alla prevenzione, particolarmente alla prevenzione pri-maria, sono teorici, concettuali, operativi, ma anche politici. È ad Albee, professoredi Psicologia all’università di Vermont e membro incaricato della commissioneprevenzione e salute mentale durante la presidenza di carter, che si deve l’istitu-zione della conferenza nazionale sulla Prevenzione Primaria di Psicopatologia,ormai nota come conferenza di Vermont.nelle sue concettualizzazioni è centrale l’idea secondo la quale molti disturbihanno una chiara matrice psicosociale e possono essere anticipati e ridotti da un in-tervento sociale mirato. Ribadisce, inoltre, che fin quando la disfunzione è ricon-dotta a variabili di natura biologica, come la struttura genetica o neurologica, nonpotrà esserci mai un reale spazio per una prevenzione primaria. sottolinea il fattoche gli individui non vanno incontro a disagi psichici per un’incapacità ascrivibilea problemi di natura intrapsichica o più ancora a fattori di natura genetica, quantopiuttosto a condizioni di vita, contesti, situazioni sociali che contribuiscono signifi-cativamente all’incidenza e alla diffusione dei medesimi. Da qui la necessità dicambiare il modello concettuale di approccio, non più quello della deficienza, maquello della competenza e dell’empowerment (Albee, 1975).Più specificatamente propone la seguente equazione per spiegare l’incidenzadel disagio e per organizzare gli sforzi di prevenzione. Fattori organici + stress da sfruttamentoincidenza disagio = ––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Abilità di coping + autostima + gruppi di supportoFonte: Albee-Gullotta, 1997, 27 tale equazione suggerisce che le azioni che aumentano le variabili poste al nu-meratore, si correlano ad una maggiore incidenza di disagio psicosociale; al contra-rio, attività indirizzate ad una loro riduzione, modifica o eliminazione comportano undecremento dell’incidenza stessa. Analogamente una riduzione dei fattori presenti aldenominatore incrementerà l’incidenza, mentre un potenziamento di essi la ridurrà.ne deriva che un intervento preventivo efficace dovrà agire a diversi livelli:sui fattori organici (ad es. limitando gli avvelenamenti da piombo, riducendo gli in-cidenti automobilistici), sullo stress (contrastando diverse forme di povertà e/o diaggravio), sulle abilità di coping e sull’autostima (promuovendo capacità e risorsepersonali), sui sistemi di supporto (favorendo l’empowerment e il sostegno della fa-miglia, della scuola, del vicinato, della comunità). Bernard BloomBloom, psicologo dell’università del colorado, così come caplan, lega la pre-venzione dei problemi di salute mentale al modello di salute pubblica e, particolar-mente, all’epidemiologia. Riprende, quindi, i concetti di ospite, agente, ambiente. 16 nel caso di una malattia infettiva l’ospite è la persona infetta, l’agente è ilvirus, l’ambiente è il mezzo ambientale tramite il quale il virus è trasmesso.nel caso della salute mentale, l’ospite è l’individuo o la popolazione vulnera-bile, l’agente è il processo che porta all’insorgere del problema, l’ambiente includetutti quelle condizioni che circondano l’individuo e che sono fonte di stress fisico opsicologico.secondo Bloom gli interventi di prevenzione possono essere indirizzati versociascuna delle suddette componenti. A tale riguardo ribadisce, infine, la necessità dispostare l’attenzione dalla ricerca di quei fattori che fanno precipitare o che man-tengono la disfunzione, alla ricerca di quelli che predispongono ad essa.Altri concetti che Bloom assume dall’epidemiologia sono quelli di prevalenza(diffusione dei casi), incidenza (numero di nuovi casi identificati in un periodo spe-cifico), durata (quantità di tempo trascorso dalla prima diagnosi agli esiti della ma-lattia). secondo l’autore la prevenzione primaria cerca di ridurre l’incidenza, la se-condaria la durata, entrambe la prevalenza. Bloom ha, inoltre, il merito di aver de-lineato i principi da seguire nella realizzazione di programmi di sviluppo per la sa-lute mentale di comunità. EngelMedico psichiatra presso l’università di Rochester, ha avuto il grande meritodi aver sfidato la medicina e la psichiatria tradizionali ad abbandonare il modellobiomedico, per adottare una nuovo orientamento ispirato al paradigma sistemico edella complessità.in particolare, accusa il modello biomedico di trattare la malattia come unevento scisso dal comportamento sociale e ancor più di ricondurre le deviazionicomportamentali a processi di natura biologica, facendo, così, propri tanto il ridu-zionismo quanto il dualismo mente-corpo. engel ribadisce, quindi, la necessità diconsiderare gli individui come entità complesse, unitarie, con livelli di organizza-zione strettamente interconnessi, e di assumere, tanto nell’analisi come nel tratta-mento delle disfunzioni, una prospettiva bio-psico-sociale, prospettiva dalla qualescaturiscono importanti implicazioni sul piano dell’agire preventivo.innanzitutto, una diversa considerazione dei fattori psicosociali e degli stili divita che sembrano giocare un ruolo di rilievo nelle vicende di salute e malattia; insecondo luogo, una diversa concezione dei problemi presentati, visti non più comesintomi da eliminare, ma come distorsioni individuo-ambiente che possono essereaffrontate e risolte agendo sia sugli individui, per aumentare le loro capacità difronteggiamento, sia sull’ambiente migliorando la qualità della vita. Prima di concludere questa rapida rassegna sui principali contributi relativialla teoria e alla prassi della prevenzione, non possiamo fare a meno di menzionarel’apporto degli autori della developmental psychopatholgy, un’area disciplinare in-tegrata per lo studio dell’intersezione tra sviluppo normale e sviluppo atipico, che è 17 indirizzata ad indagare le problematiche del rischio e dell’adattamento in età evolu-tiva (Garmezy, 1985; Rutter, 1990; cicchetti e cohen, 1995). tali autori affiancanoal concetto di rischio e di vulnerabilità evolutiva quello di resilienza, termine chesta ad indicare la capacità del soggetto di mantenere un buon adattamento. nono-stante la presenza di circostanze avverse, mettendo in evidenza una complessa rela-zione tra fattori di rischio e fattori di protezione. ne deriva che non sempre ad unacondizione di alto rischio corrisponde un esito disadattivo e la presenza di fattori diprotezione può imprimere una direzionalità diversa ad una traiettoria evolutiva disegno negativo.si apre, quindi, un ulteriore spazio per la prevenzione, indirizzata a promuo-vere quei fattori che non solo hanno la funzione di contrastare il rischio, ma di po-tenziare le risorse del soggetto, promuovendone il benessere e l’adattamento. 1.2. La prevenzione nella salute mentale: criteri di classificazione nell’ambito della salute mentale la prevenzione viene distinta in base a trefondamentali criteri: il criterio temporale, il criterio della popolazione bersaglio, ilcriterio di estensione.coloro che seguono il criterio temporale (caplan, 1964; cowen, 1980) classi-ficano gli interventi preventivi in base al momento in cui questi si realizzano ri-spetto alla comparsa del disturbo o malattia.Avremo, così, una prevenzione primaria, indirizzata a prevenire la comparsadel disordine psichico tramite il depotenziamento di condizioni patogene e la pro-mozione del benessere come vaccino contro la disfunzione; una prevenzione secon-daria, avente come obiettivo quello di bloccare l’evolversi del disturbo ai primis-simi stadi di insorgenza e cortocircuitare problemi più gravi, mediante la diagnosiprecoce e l’intervento sui fattori patogeni o di rischio; una prevenzione terziaria,che si propone di ridurre le conseguenze negative di disordini radicati attraverso lariabilitazione di coloro le cui risorse e capacità sono state messe fuori gioco dallamalattia.Pertanto, la prevenzione primaria è diretta a chi sta nella norma e non ha an-cora segni di disturbo, e il suo campo, i suoi obiettivi e la sua metodologia sonoqualitativamente diversi da quelli degli altri tipi di prevenzione.La prevenzione secondaria si indirizza di fatto ad una disfunzione già presente,ma non ancora cristallizzata.La prevenzione terziaria mira a ridurre le conseguenze correlate alla malattia,tentando di ristabilire, in coloro che ne sono stati colpiti, una minima efficacia in-terpersonale e lavorativa.Alla classificazione degli interventi preventivi secondo il criterio temporalesono state avanzate diverse critiche. innanzitutto, mentre in ambito medico può es-sere relativamente facile specificare le cause di una patologia, non lo è altrettanto 18 nel contesto della salute mentale, dove ci troviamo di fronte ad una molteplicità divariabili in gioco e i nessi tra fattori eziologici ed esiti disfunzionali sono molto piùincerti e probabilistici.in secondo luogo, in ambito medico i tempi che intercorrono tra fattori eziolo-gici e comparsa dei sintomi sono relativamente brevi e le stesse procedure di scree-ning sono semplici, efficaci, accettabili. tutto questo non accade nella salute men-tale. Pertanto, mentre il criterio temporale può trovare facile applicazione in campomedico, nel campo della salute mentale e nel disagio psicosociale dobbiamo ricor-rere ad altri criteri.un ulteriore classificazione è quella proposta inizialmente da Bloom (1975) e,poi, ripresa e approfondita da Heller e coll. (1984).in essa la prevenzione è distinta in base alla popolazione bersaglio. si parla,così, di prevenzione a livello di comunità allargata, di prevenzione per gruppi dipersone che stanno affrontando una stessa particolare fase della vita, di preven-zione diretta a soggetti ad alto rischio.nella prevenzione a livello di comunità allargata, tutti i membri di una comu-nità ricevono l’intervento preventivo, indipendentemente dalle loro condizioni par-ticolari e dal rischio di sviluppare un particolare disturbo.La prevenzione per gruppi di persone che stanno affrontando una stessa parti-colare fase della vita è diretta a quelle persone che si trovano ad attraversare un pe-riodo del ciclo vitale che, per i cambiamenti che comporta, può costituire fattore dirischio (ingresso a scuola, cambiamento di scuola, adolescenza, primo anno di ma-trimonio, menopausa, pensionamento, morte del coniuge).La prevenzione diretta a soggetti ad alto rischio, si focalizza su popolazioni diindividui ritenuti vulnerabili per la particolare condizione in cui si trovano (figli digenitori alcolisti, soggetti che stanno per essere sottoposti ad importanti interventichirurgici, superstiti di disastri naturali, ecc.).Anche Mrazek e Haggerty (1994) differenziano gli interventi preventivi inbase alla popolazione bersaglio. in particolare, essi distinguono: interventi univer-sali, rivolti a tutta la popolazione e identificantisi con le strategie di promozionedella salute; interventi selettivi, rivolti a soggetti a rischio, ma senza segni oggettivio soggettivi di disagio; interventi indicati, rivolti a soggetti ad alto rischio che mo-strano già sintomi iniziali, oggettivi e soggettivi, di disturbo.come osservano Rowling e coll. (2004) nell’ambito della salute mentale taledistinzione, oltre ad avere maggiore valore euristico, appare anche terminologica-mente più corretta, in quanto riserva il termine prevenzione solo agli interventi at-tuati prima che la malattia si manifesti.spostandoci dall’ambito della salute mentale in senso stretto ed estendendo ilraggio degli interventi preventivi al disagio psicosociale, possiamo trovare un’ulte-riore distinzione, basata – questa volta – sul criterio di estensione (Regoliosi,1994). si parla, così, di prevenzione specifica e a-specifica.La prima fa riferimento all’intervento sui fattori rischio di determinate malattie 19 o forme di disagio psicosociale; la seconda concerne interventi indirizzati ad alle-viare condizioni di deprivazione culturale, affettiva e sociale e a migliorare le con-dizioni di vita in genere.Le classificazioni sin qui menzionate concernono l’insieme degli interventipreventivi; tuttavia, in letteratura troviamo specificazioni ulteriori in riferimentoalla prevenzione primaria. ed è su queste che ora ci andremo a soffermare. 1.2.1. La prevenzione primaria nella salute mentale: ulteriori specificazioniLa prevenzione primaria descrive una famiglia di procedure designate a pro-muovere la buona salute e ad anticipare varie disfunzioni; la prevenzione primarianella salute mentale è un campo più ristretto della prevenzione primaria, avente lostesso scopo generale, ma obiettivi più specifici: rafforzare la buona salute psicolo-gica e prevenire la disfunzionalità e il disadattamento.Pertanto, la prevenzione primaria include, ma non è essenzialmente focalizzatasulla salute mentale. essa abbraccia un ambito molto più vasto (es. include la fluo-rizzazione delle acque per prevenire la carie dentale, l’uso di apparecchiature di si-curezza per minimizzare gli effetti di incidenti stradali, programmi di dissuasionedal fumo per ridurre disturbi cardiovascolari, ecc.).La prevenzione primaria nel campo della salute mentale si rivolge, invece,esclusivamente alle variabili psicologiche e ai loro effetti.D’altra parte, tra l’una e l’altra, esistono innegabili elementi di reciprocità, dalmomento che la persona è un’unità integrata e interventi mirati a promuovere il be-nessere fisico non possono non avere ricadute benefiche anche sul piano psicolo-gico.Ma vediamo di precisare in che modo i diversi autori hanno definito la preven-zione primaria nella salute mentale.come abbiamo visto per caplan (1964, 26) la prevenzione primaria é un con-cetto comunitario; implica il decremento di nuovi casi di disturbo mentale in unapopolazione in un determinato periodo di tempo, agendo sulle circostanze dannoseprima che possano produrre malattia. non si tratta di impedire che una persona spe-cifica si ammali, quanto piuttosto di ridurre il rischio di malattia per l’intera popo-lazione, in modo tale che sebbene alcuni possano ammalarsi, il loro numero saràcomunque ridotto.Bower (1969, 498) considera prevenzione primaria nella salute mentale qual-siasi intervento sociale o psicologico che promuova o rafforzi la funzionalità psi-chica o che riduca l’incidenza dei disturbi emozionali nell’intera popolazione.Per Goldston (1977, 27) la prevenzione primaria è un insieme di attività fina-lizzate specificatamente a identificare i gruppi vulnerabili ad alto rischio, che nonsono stati etichettati come malati mentali e nei confronti dei quali possono essereattivate delle misure, per evitare l’insorgere dei disturbi emozionali e/o rafforzare illoro livello di salute mentale positiva.secondo Lofquist (1983) la prevenzione primaria è un processo attivo e asser- 20 tivo volto a creare condizioni e/o a promuovere qualità personali che favoriscono ilbenessere collettivo.cowen (1980, 264) include nella prevenzione primaria l’insieme dei pro-grammi che danno luogo a strutture, processi, situazioni ed eventi che favoriscono,soprattutto, in portata e in stabilità temporale l’adattamento psicologico, l’efficacia,il benessere e le abilità di fronteggiamento di molti individui, che ancora non pre-sentano forme di disadattamento. L’autore opera una distinzione tra: prevenzioneprimaria a livello di sistema e prevenzione primaria centrata sulla persona. Laprima è diretta a ridurre le fonti di stress e ad incrementare le opportunità per vi-vere in forma adeguata all’interno di una determinata società; si tratta di lottarecontro le ingiustizie sociali, le diverse forme di marginalità, le persone indifese ecarenti di controllo, ecc.La seconda ha come obiettivo quello di sviluppare la capacità delle persone diaffrontare con successo gli eventi e le situazioni stressanti e si divide a sua volta in:focalizzata sulla situazione e focalizzata sull’incremento della competenza.La prevenzione primaria centrata sulla persona e focalizzata sulla situazione èdiretta a ridurre la probabilità di conseguenze negative in coloro che si trovano adover fronteggiare specifiche circostanze di vita che costituiscono motivo di ag-gravio; la prevenzione primaria centrata sulla persona e focalizzata sull’incrementodella competenza è, invece, diretta a fornire competenze ed abilità a gruppi di per-sone, non necessariamente a rischio di disturbo, per rafforzarne il repertorio adat-tivo.Altri autori, come catalano e Dooley (1980), parlano di prevenzione primariaproattiva e reattiva. La prevenzione primaria proattiva è diretta a promuovere com-petenze e ad attivare strategie d’azione per prevenire l’insorgere dei fattori rischio.un esempio di prevenzione primaria proattiva può riguardare la preparazione dellecoppie all’accudimento dei figli. La prevenzione primaria reattiva mira, invece, adequipaggiare i soggetti a fronteggiare in maniera efficace una situazione stressanteprevedibile (per esempio, intervento chirurgico, divorzio dei genitori) allo scopo diridurre gli effetti destabilizzanti che da essa potrebbero derivare.sebbene le definizioni citate non siano tra loro totalmente sovrapponibili e pre-sentino accentuazioni e sfumature leggermente diverse, è possibile riscontrare unaalto grado di coerenza tra le stesse. in particolare, possiamo osservare una comuneenfasi su due grandi obiettivi: rafforzare la salute mentale e impedire lo sviluppo diproblemi psicologici. inoltre, viene costantemente ribadito in esse il fatto che i pro-grammi preventivi di tipo primario debbano agire “prima di …”; debbano essereorientati alla massa, al gruppo e non ai singoli; debbano rivolgersi alle personesane, sebbene possano essere estesi anche a coloro che si trovino in una condizionedi rischio; debbano basarsi su una solida base generativa, ossia su una conoscenzadi base che suggerisca che le operazioni, che si vanno a compiere, rafforzano effet-tivamente la salute mentale o riducono il disordine emozionale e il disadattamentopsicologico. 21 storicamente le principali aree di interesse della prevenzione primaria nella sa-lute mentale hanno riguardato: la promozione dell’igiene psichica e del benesserepsicologico aiutando, le persone ad acquisire conoscenze, attitudini e schemi dicomportamento che favoriscono un positivo adattamento personale, interpersonalee sociale; il fronteggiamento di eventi di vita stressanti che potrebbero predisporread esiti psicologici indesiderabili, elaborando programmi indirizzati a rafforzare lepotenzialità e le risorse e ad evitare o attenuare prevedibili effetti negativi (Bloom,Hodges e caldwell, 1982; Felner, Ginter e Primavera, 1982); l’analisi e il cambia-mento dei sistemi sociali, lavorando con strutture e istituzioni specifiche comescuole, chiese, comunità, realtà territoriali, attuando una vera e propria politicadella prevenzione indirizzata a migliorare la qualità di vita; il potenziamento dellereti e dei sistemi naturali di sostegno, sviluppando un’ecologia dell’aiuto informale(collins, Pancoast, 1976; Gottlieb, 1976; Gurin, Veroff, Feld, 1960).Attualmente la prevenzione primaria nella salute mentale, pur mantenendol’attenzione alle suddette aree, orienta particolarmente il focus sulla promozionedelle risorse di resilienza che, tanto in età evolutiva come nell’età adulta, consen-tono agli individui di mantenere una certa prospettiva di sviluppo pur dentro le av-versità della vita (Antonovsky ,1987; cyrulnik, 2001). 1.2.2. La prevenzione nella salute mentale: quali ostacoli?nel concludere questa riflessione sulla prevenzione nella salute mentale, nonpossiamo fare a meno di soffermarci su alcuni ostacoli che ne impediscono unapiena realizzazione.come osservano Francescato-Ghirelli (1995), un primo elemento che ha con-tribuito ad intralciare gli sforzi preventivi è il prevalere di una concezione eccezio-nalista nell’analisi e nella soluzione dei problemi di salute mentale, concezione chetende ad interpretare questi ultimi come risultato di qualche circostanza insolita(malattia, difetti personali, debolezza di carattere, disadattamento) e, pertanto, af-frontabili con i mezzi indicati per il singolo caso e con interventi a posteriori.un secondo ostacolo è rappresentato da quanto dicevamo in riferimento alledifferenze che esistono tra le scienze biologiche e quelle psicosociali. non è cosìfacile, quando ci si trova di fronte a problemi di natura multifattoriale, individuarequali aspetti aggredire e rispetto a cosa fare prevenzione. La mancanza di cono-scenze certe sui fattori eziologici limita fortemente le possibilità operative. A ciò vaaggiunto il fatto che gli effetti di un programma preventivo possono essere stimatisoltanto nel lungo periodo e questo rende ancora più ardua la ricerca nel settore.in terzo luogo, esistono alcuni dilemmi concettuali ed etici che sorgono dallacaratteristica distintiva e centrale della prevenzione, ossia il suo orientamento versoil futuro. ciò crea problemi soprattutto per gli interventi selettivi indirizzati a sog-getti ad alto rischio. c’è, infatti, il pericolo di una sovrastima (falsi positivi) da unlato e di un processo di etichettamento e stigmatizzazione dall’altro.infine, poiché risulta ormai evidente che la prevenzione nella salute mentale 22 non può essere pensata al di fuori di una prospettiva multidisciplinare, le risorse dicui essa necessita sul piano umano e organizzativo sono numerose e il più dellevolte non si dispone dei mezzi necessari, perché essa possa realizzarsi secondo mo-dalità consone agli scopi che intende perseguire.nonostante questi ostacoli la prevenzione, soprattutto primaria, nei confrontidei disordini psichici e del disagio psicosociale rappresenta la grande sfida verso laquale indirizzare gli sforzi scientifici, economici, politici di quanti operano nellasalute mentale. come osserva Di nuovo (2006, 316) “è una scommessa che nonpuò essere persa perché ne uscirebbe perdente l’aspirazione al benessere degli indi-vidui e della società e la validità della stessa psicologia come scienza socialmenteutile”. 1.3. L’approccio preventivo-promozionale con gli adolescenti2 Allo scopo di supportare le azioni progettuali e formative rivolte agli adole-scenti nell’ambito della Formazione Professionale, il presente articolo intende farchiarezza su alcune questioni teoriche, che si traducono, poi, in precise scelte ope-rative, riguardanti il tema dell’adolescenza.L’esperienza maturata in questi anni all’interno della Formazione Professio-nale ci ha, infatti, convinti della necessità di soffermare l’attenzione su alcune“teorie implicite”, concernenti la realtà adolescenziale che condizionano, il piùdelle volte inconsapevolmente, l’agire educativo e formativo.L’adolescenza può essere descritta come un’esperienza di transizione, finaliz-zata all’acquisizione di una propria identità personale e sociale, che comporta ilpassaggio da una condizione psicologica di dipendenza, tipica dell’infanzia, ad unacondizione di autonomia, tipica dell’età adulta (Pombeni, 1998).nell’interpretare questa transizione possiamo assumere una visione negativa,connotandola come processo globale e inevitabile di crisi, o al contrario, assumereuna visione positiva, considerandola come una fase prolungata e differenziata dellosviluppo umano, in cui il soggetto è chiamato a fronteggiare una molteplicità disfide.naturalmente non è indifferente aderire all’una o all’altra prospettiva; in uncaso, infatti, l’adolescente è visto come problema da curare e trattare, nell’altro èvisto come risorsa in grado di realizzare un buon adattamento individuale e sociale.nella parte che segue presentiamo alcuni modelli interpretativi dell’adole-scenza tipici dell’una e dell’altra prospettiva, per poi mettere in luce le implicazioniche ne possono scaturire dal punto di vista educativo e formativo. 2 Becciu M., coLAsAnti A.R., L’approccio promozionale con gli adolescenti. Lineamenti teoricie implicazioni educative, in “Rassegna cnos”, 2003, 1, pp. 39-45. 23 1.3.1. Modelli interpretativi dell’adolescenza i MoDeLLi DeteRMinisticitali modelli interpretano le problematiche adolescenziali come il risultato ine-vitabile di pressioni interne di natura biologica o pulsionale o di influenze esternedi natura culturale e sociale.così il modello biologista ha cercato di spiegare le problematiche adolescen-ziali correlandole allo sviluppo sessuale; la psicoanalisi tradizionale ha postulatouna stretta connessione con le vicende pulsionali pregresse e con le prime espe-rienze infantili, particolarmente quelle vissute con le figure genitoriali; le teorie so-ciologiche hanno posto l’enfasi sulle condizioni socio-ambientali, che fanno dell’a-dolescenza un periodo di indeterminatezza sociale e di marginalità.Gli elementi che accomunano questi diversi modelli consistono fondamental-mente in una visione deterministica e pessimistica della realtà adolescenziale, le cuicause sono da rintracciarsi nella storia biologica dell’individuo o nell’ambiente e inuna concezione passiva della persona in crescita, che può soltanto reagire a condi-zionamenti interni od esterni (Bonino-cattelino, 2000).infatti, l’adolescente viene visto come vittima delle pulsioni, delle modifichepuberali, dei condizionamenti sociali, eternamente in crisi e portatore di sola pro-blematicità.È davvero sorprendente constatare quanto questa immagine abbia influenzatonon solo la letteratura, la cinematografia, il linguaggio giornalistico, ma, addirit-tura, gli addetti ai lavori come gli stessi educatori, insegnanti, operatori sociali, alpunto che la società occidentale ha costruito una grande narrazione sul disagio gio-vanile, come afferma Lyotard (1979). i MoDeLLi PRoBABiListici e MuLticAusALiuna prospettiva decisamente diversa è quella rintracciabile nei modelli proba-bilistici e multicausali che nel parlare di adolescenza postulano l’esistenza di per-corsi di sviluppo molto variabili e differenziati, legati all’interazione tra individuo eambiente (Bonino, cattelino, 2000).secondo tali modelli lo sviluppo non è spiegabile con il solo ricorso alla matu-razione biologica o agli influssi ambientali; è necessario riferirsi all’interazione in-dividuo-ambiente e al ruolo attivo che il soggetto assume in questa interazione.Le vicende biologiche, gli stimoli ambientali, le esperienze di vita pregressenon assumono più un carattere determinante, ma costituiscono vincoli o opportu-nità, con i quali l’adolescente si confronta e interagisce.si delinea, pertanto, una visione positiva dell’adolescenza che, pur non ne-gando le difficoltà che possono essere connesse a quest’età, sposta l’attenzionesulle potenzialità e sulle risorse dell’adolescente, che è capace di valutare e diagire, tenendo conto del contesto, dei suoi cambiamenti, delle possibilità future. 24 in questa prospettiva l’adolescente diventa protagonista, attore del proprio svi-luppo, responsabile delle risposte che sarà in grado di dare ai compiti evolutivi ealle opportunità offerte dal contesto.Gli stessi comportamenti problematici assumono un diverso significato: lungidall’essere considerati patologici e disadattivi, essi sono il tentativo di guadagnareindipendenza, autonomia, adultità e, spesso, hanno un carattere transitorio (Bonino,cattelino, 2000).Purtroppo, spiegare l’adolescenza a partire dai percorsi adolescenziali ad esitodisadattivo ha portato a distorcere, fino ad esagerare, alcuni aspetti di quest’età, la-sciando in ombra i processi evolutivi normali che – peraltro – appartengono allamaggior parte degli adolescenti.indagini recenti sulla percezione del disagio adolescenziale (Leone, 1998)hanno messo in evidenza una sovrastima degli aspetti di rischio e una minore con-siderazione degli aspetti positivi. Di fatto, molti adolescenti vivono il passaggioalla giovinezza e poi alla vita adulta senza eccessivi traumi, riuscendo a realizzareun buon adattamento.ne deriva che, in qualità di educatori, anziché agire paternalisticamente per gliadolescenti, dichiarando implicitamente la loro passività e problematicità, do-vremmo mettere gli adolescenti nelle condizioni di agire per se stessi, potenziando,da un lato, quelle risorse personali che possono favorire l’adattamento personale ecollettivo, dall’altro massimizzando le occasioni educative che permettano loro disperimentare indipendenza, autonomia e adultità.così le istituzioni educative sono chiamate a favorire e a ricondurre su itine-rari positivi quei processi tipici dell’età adolescenziale relativi a: bisogno di assu-mere ruoli e comportamenti definiti di tipo “adulto”; necessità di affermare lapropria autonomia anche a scapito di infrangere norme e leggi del mondo adulto;desiderio di definire i confini del proprio mondo adolescenziale da quello adulto,connotandolo essenzialmente in modo ludico; esigenza di percepirsi persone divalore, non più ancorate a vincoli e sicurezze di tipo infantile, attraverso l’affer-mazione e la sperimentazione di se stessi anche in forme eclatanti e, talvolta, ri-schiose per la propria vita; desiderio di svincolarsi dai lacci della realtà, ricer-cando la soluzione dei problemi più nell’espressività emozionale che nell’elabo-razione e nella ponderazione cognitiva; necessità di assumere forme gruppali diespressione della propria autonomia e della incipiente identità adulta, sia attra-verso forme di socializzazione iniziatica di tipo ritualizzato, sia tramite forme di-struttive che ne accentuino la visibilità sociale (caparra-Fonzi, 2000; Adamo-Va-lerio, 1997; cavalli, 1997; Arto, 2000; De Pieri-tonolo, 1990; Hurrelmann,1990). 1.3.2. Implicazioni educativecome dicevamo, assumere la prospettiva dei modelli deterministici o quelladei multicausali non è indifferente ai fini dell’agire educativo con gli adolescenti. 25 in un caso, saremmo, infatti, portati a seguire un approccio essenzialmente clinico;nell’altro, a seguire un approccio promozionale.Allo scopo di comprendere meglio gli impliciti insiti in tali approcci e, soprat-tutto, i loro risvolti sul piano educativo, può essere utile confrontarli in riferimentoad alcuni parametri.Rispetto al concetto di salute, l’approccio clinico parla di assenza di malattia odi stati patologici o di rischio; al contrario, l’approccio promozionale parla di equi-librio e benessere bio-psico-sociale.nell’approccio clinico il problema è definito in termini negativi e rappresentaqualcosa da curare o da rimuovere; nell’approccio promozionale il problema è, al con-trario, visto come una discrepanza tra richieste e risorse, che si manifesta nel rapportotra individuo-ambiente; discrepanza che tende a ridursi, fino a risolversi, promovendoi fattori personali e sociali che consentono di riequilibrare questo rapporto.nell’approccio clinico i destinatari dell’intervento sono coloro che manife-stano disturbi o disagio; nell’approccio promozionale sono coloro che apparten-gono alla normalità; conseguentemente i protagonisti dell’intervento nel primocaso sono gli esperti, nel secondo l’intera comunità educante.i metodi nell’approccio clinico sono di tipo prescrittivo, nell’approccio promo-zionale sono essenzialmente educativi e formativi.cambia, ancora, notevolmente il ruolo del soggetto che da una posizione recet-tivo-passiva, in cui è posto dall’approccio clinico, diventa attivo protagonista delproprio stato di benessere.Ma come si traduce concretamente l’adozione dell’approccio promozionale nelrapporto educativo con gli adolescenti? A nostro avviso l’assunzione di tale pro-spettiva implica:– adoperarsi per promuovere la loro salute piuttosto che per curare il loro males-sere;– interpretare il loro disagio e le loro manifestazioni comportamentali non comequalcosa di patologico, ma come espressione della problematica connessa alsuperamento dei compiti di sviluppo, di fronte ai quali possono sentirsi sprov-visti delle necessarie competenze;– indirizzare il proprio agire educativo a tutti gli adolescenti con i quali si entrain contatto, e non solo a quelli che si considerano maggiormente a rischio;– comportarsi con loro da educatori e non da “clinici”, focalizzando l’attenzionesulle risorse da promuovere più che sui vincoli da rimuovere;– ridimensionare gli interventi informativi e persuasivi, per lasciare spazio allosviluppo di programmi indirizzati alla crescita di competenze emotive e cogni-tive che mettano loro in grado di fronteggiare con successo i propri compiti disviluppo;– considerare gli adolescenti come protagonisti attivi del proprio processo di cre-scita e non come preda delle pulsioni o vittime delle pressioni dell’ambientesociale o di un copione determinato dalle prime esperienze di vita. 26 1.3.3. Livelli di intervento secondo l’ottica promozionalenel delineare i programmi da realizzare con gli adolescenti, secondo un’otticapsicoeducativa e promozionale, compas (1993) individua tre possibili livelli di in-tervento:– programmi che mirano al miglioramento delle capacità di fronteggiamento;– programmi che mirano allo sviluppo di un ambiente sociale adeguato;– programmi che mirano alla promozione della salute fisica e mentale attraversopolitiche pubbliche.i primi concernono l’accrescimento delle capacità individuali che consentonodi esercitare un controllo attivo sulla propria vita; si tratta per lo più di interventiformativi indirizzati allo sviluppo e al rafforzamento di competenze per la gestionedi esperienze nuove o di situazioni problematiche.i secondi, costituiscono una forma di aiuto indiretto all’adolescente, attraversoil rinforzo e il potenziamento della sua rete sociale di riferimento; si tratta essen-zialmente di interventi di consulenza alle famiglie e alla scuola per migliorare lecapacità relazionali ed educative di genitori e insegnanti, affinché questi diventinorisorsa positiva per lo sviluppo dell’adolescente.Gli ultimi, infine, riguardano iniziative di politica sociale indirizzate alla pro-mozione della salute globale.in questo contributo vorremmo soffermarci brevemente sulla prima tipologiadi programmi, in quanto, oltre ad essere di più diretta competenza degli educatori,dovrebbe far parte delle iniziative formative promosse dalle istituzioni e dalleagenzie educative deputate alla crescita dei giovani. LA PRoMozione DeLL’ABiLità Di FRonteGGiAMentoi programmi indirizzati alla promozione delle abilità di fronteggiamento par-tono dal presupposto che l’adolescenza costituisca un periodo di adattamento pro-duttivo, nel quale il soggetto si trova di fronte a molti cambiamenti importanti e anumerose richieste evolutive e sociali che possono tradursi in un’esperienza psico-logica stressante (olbrich, 1990). in particolare, ciò si verifica quando l’adole-scente percepisce una forte discrepanza tra le richieste insite nel suo percorso diemancipazione individuale e le sue concrete possibilità di farvi fronte.tali programmi hanno, quindi, lo scopo di insegnare all’adolescente ad identi-ficare gli elementi di stress nella propria vita, a riconoscerne le conseguenze sulpiano fisico, cognitivo ed emotivo, a mettere in atto strategie adeguate di fronteg-giamento. sono pertanto mirati al potenziamento e al miglioramento delle risorsepersonali (colasanti, 2002).tra queste, quelle che secondo Hurrelmann (1990) risultano essere più signifi-cative sono: 27 – capacità generali di problem solving e decision making;– capacità cognitive generali (pensiero critico, pensiero creativo);– capacità di autocontrollo;– autostima;– strategie di individuazione dello stress;– capacità assertive;– capacità interpersonali.Dal punto di vista metodologico, i programmi orientati allo sviluppo delle abi-lità di fronteggiamento utilizzano il gruppo come setting naturale di lavoro e agi-scono a tre livelli: cognitivo, affettivo relazionale e strategico comportamentale. Laloro efficacia è connessa, infatti, alla possibilità di avviare processi di cambiamentonon solo nell’ambito delle conoscenze, ma negli atteggiamenti e negli stili di vita(Becciu-colasanti, 2003).come si diceva, tali programmi non richiedono, per la loro realizzazione, lacompetenza di personale esperto, ma di educatori sensibili, formati e preparati a la-vorare con gli adolescenti e con giovani.in questa prospettiva, alcune iniziative di aggiornamento in servizio, all’in-terno della formazione professionale, sono orientate ad offrire ai formatori la possi-bilità di acquisire conoscenze, strumenti e competenze per la promozione, negli al-lievi, di quelle abilità di vita ritenute fondamentali per la loro salute e il loro benes-sere. 1.4. Il gruppo dei pari in adolescenza: fattore protettivo o fattore di rischio?3 nel periodo adolescenziale si assiste ad un cambiamento piuttosto radicale perquanto concerne la rete sociale; infatti, mentre le reti sociali dei bambini sono po-polate di adulti e di pari conosciuti e accettati dai genitori, quelle degli adolescentisono, invece, costituite da coetanei e adulti, per lo più estranei alla cerchia fami-liare.questo elemento, che di per sé favorisce lo sviluppo psicosociale in quantoconsente all’adolescente di coinvolgersi in attività che promuovono la separazionefisica dalla famiglia e di avviarsi verso l’età adulta, può d’altra parte costituire unfattore di rischio, soprattutto laddove il gruppo dei pari presenti particolari dina-miche. in altre parole, se il rapporto con i coetanei costituisce un fattore di sostegnomolto importante in adolescenza, peraltro tra i più significativi nel garantire il be-nessere psicologico in questa età, non possiamo trascurare il fatto che, in talunicasi, le pressioni dei pari possono indurre l’adolescente, desideroso di sperimen- 3 tratto e adattato da MALiziA G., Becciu M., coLAsAnti A.R., Mion R., PieRoni V. (a cura di),Stili di vita di allievi/e dei percorsi formativi del diritto/dovere, tipografia Pio Xi, Roma, 2007. 28 tarsi nell’adultità, ad assumere comportamenti che, in modo diretto o indiretto, ri-schiano di comprometterne il benessere fisico, psicologico e sociale.nel presente articolo intendiamo presentare brevemente i dati emersi, relativa-mente al rapporto con i pari, in un’indagine condotta nel 2006 su 1130 allievi dellaFormazione Professionale.L’indagine, che è stata realizzata allo scopo di rilevare gli stili di vita degli al-lievi dei percorsi formativi del diritto-dovere, ha coinvolto i centri di FormazioneProfessionale del cnos-FAP (centro nazionale opere salesiane - FormazioneAggiornamento Professionale) e del cioFs/FP (centro italiano opere Femminilisalesiane Formazione Professionale) di tutto il territorio nazionale.Allo scopo di interpretare correttamente i dati che andremo a presentare eche – come premesso – circoscriviamo in questo contributo al solo rapporto con ipari, riassumiamo brevemente alcune caratteristiche del campione esaminato nellatabella che segue. occorre precisare, inoltre, che i maschi appartengono soprattutto alle regionidel nord, mentre le femmine sono proporzionalmente più presenti nelle regionicentro-meridionali.Fatte queste precisazioni, illustriamo cosa emerge in riferimento al rapporto trapari.Dalle risposte fornite dai ragazzi si evidenzia una sostanziale positività: la pre-senza degli amici nella propria vita è considerata come qualcosa di molto impor-tante, che incrementa l’esperienza di benessere e che consente di soddisfare tanto ildesiderio di appartenenza, quanto quello di autonomia, entrambi più intensi in ado-lescenza.Alla domanda che importanza ha per te il gruppo di amici, i maschi rispon-dono che:• aiuta a passare il tempo senza annoiarsi (45.9);• offre l’occasione di uscire di casa (33.9);• offre l’occasione di fare esperienze interessanti (27.8);• fa sentire libero e autonomo (22.5);• permette di fare cose che non potresti mai fare in famiglia (22.1);• permette di scaricare rabbie e tensioni e offre l’occasione di dire le tue idee(20.5);• aiuta a crescere e a formare la personalità (19.5);• fa sentire sicuri e protetti e fa sentire in famiglia (12.1). tav. 1 - Distribuzione per genere, età e provenienza sesso età circoscrizioni geograficheMaschi Femmine 13-15 16-17 +18 nord centro sud68.1 31.4 33.0 48.8 18.1 51.7 17.2 31.2 29 Leggermente diverse le priorità per le femmine, secondo le quali il gruppo diamici è importante perché:1. aiuta a passare il tempo senza annoiarsi (40.8);2. permette di scaricare rabbie e tensioni (36.3);3. aiuta a crescere e a formare la personalità (31.0);4. offre l’occasione di fare esperienze interessanti (23.9);5. permette di fare cose che non potresti mai fare in famiglia (23.3);6. offre l’occasione di uscire di casa (23.1);7. offre l’occasione di dire le proprie idee (22.8);8. fa sentire sicuri e protetti (16.1);9. fa sentire libero e autonomo (15.5);10. fa sentire in famiglia (15.8).sembrerebbe, pertanto, che per i primi, il gruppo rivesta maggiormente un si-gnificato ludico-ricreativo; per le seconde, piuttosto, quello di uno spazio conteni-tivo dei propri vissuti e stimolante la crescita personale.non si notano particolari differenze per fasce di età, se non per il dato chel’importanza attribuita al gruppo, in quanto realtà che consente di passare il temposenza annoiarsi e offre l’occasione per uscire di casa, tenda a decrescere con l’età.si passa dall’85.8 a 13-15 anni al 63.4 oltre i 17.Per quanto concerne il tempo trascorso con gli amici, i maschi rispondono chela maggior parte di esso è organizzato per:• organizzare il fine settimana (37.3);• il corteggiamento (35.8);• fare qualche bravata (34.5);• parlare dei propri problemi (34.1);e in misura minore per:• parlare di sport e di moda (22.4);• andare al cinema (20.4);• giocare al computer (16.5);• fumarsi uno spinello (13.4);• fare shopping/ascoltare musica (12.5).Le femmine affermano, invece, di dedicare molto tempo a:• parlare dei propri problemi (69.9);• fare shopping (40.3);• organizzare il fine settimana (33.0);e in misura minore a:• corteggiamento (22.3);• ascoltare musica (18.9); 30 • fare qualche bravata (17.2);• parlare di sport e di moda (16.9);• andare al cinema (14.6);• giocare al computer (8.5);• fumarsi uno spinello (5.6).si riconferma, pertanto, la tendenza da parte delle ragazze a vivere il gruppodei pari come spazio in cui sperimentare confidenza e intimità.Volendo fare una distinzione per fasce di età e per zone di provenienza, si puòosservare come comportamenti, quali fare qualche bravata e fumarsi uno spinello,raggiungano percentuali leggermente più elevate intorno ai 16-17 anni nel nord enel centro, rispetto al sud. un’area di indagine piuttosto interessante concerne la capacità di affermare leproprie idee tra i pari e di resistere alla pressione di gruppo. in particolare, gliitem andavano a misurare sia la percepita capacità di farlo, sia i comportamentimessi in atto in situazioni concrete.esaminando le risposte date dai ragazzi, emerge nel complesso un quadro ab-bastanza rassicurante.Alla domanda “Quando i tuoi amici si comportano in modo trasgressivo e tifanno capire che per essere accettato devi fare come loro, tu cosa fai”?• il 39.1 risponde: Rimango fermo nei miei principi e cerco di stabilire un dia-logo per far capire loro dove sbagliano (maschi: 35.8; femmine: 47.0);• il 28.4 risponde: Resto fedele ai miei principi e me ne vado (maschi: 26.0; fem-mine: 33.5);• l’11.8 risponde: Anche se non condivido mi adeguo per non essere escluso(maschi: 13.1; femmine: 8.5);• il 10.7 risponde: Condivido pienamente quanto fa il gruppo (maschi: 13.3;femmine: 5.1).Da notare che il 22.5% dei soggetti più esposti a subire la pressione di gruppoverso la trasgressione è rappresentato per il 26.4 da maschi e per il 13.6 da fem-mine. queste ultime sembrerebbero, pertanto, più capaci di assumere un comporta-mento indipendente rispetto ai propri coetanei.in riferimento alla capacità percepita di esprimere le proprie idee anche senon condivise e di resistere alla pressione di gruppo, non si riscontrano, invece,particolari differenze tra i due sessi. tav. 2 - Il tempo trascorso con gli amici è organizzato per 13-15 16-17 oltre 17 nord centro sudFare qualche bravata 27.9 32.4 22.0 33.9 30.9 19.9Fumarsi uno spinello 8.3 13.4 8.8 11.5 13.9 8.2 31 La maggior parte dei soggetti dichiara di sentirsi abbastanza/molto capace di:• dire ciò che pensa anche quando gli altri non sono d’accordo (maschi: 84.3,femmine: 79.5);• di andare contro il gruppo quando fa azioni che personalmente non si appro-vano (maschi: 70.1; femmine: 74.9);• di resistere alla richiesta di amici di fare qualcosa di illecito o di pericoloso(maschi: 67.2; femmine: 70.4).esiste, comunque, una percentuale non trascurabile di ragazzi che non si ri-tiene in grado di mettere in atto tali comportamenti. in particolare, il 13.6 pensa dinon riuscire a manifestare idee diverse da quelle del gruppo, quando non è d’ac-cordo; il 26.2 di andare contro il gruppo in presenza di azioni non condivise; il29.4 di dire di no a richieste concernenti la messa in atto di comportamenti illecitio pericolosi.Prevale, ad ogni modo, una percezione protettiva del proprio gruppo di amici.Alla domanda “Se tu stessi per fare qualcosa di illecito o pericoloso per te, i tuoiamici proverebbero a fermarti”? il 49.6 risponde: Si, certamente e il 38.9: Si, pro-babilmente.tale percezione risulta confermata anche dalla risposta riguardante l’item“Cosa aiuta un giovane a non usare sostanze stupefacenti”, al terzo posto, dopoAvere fiducia in se stessi (61.5) e Avere genitori capaci di educare (44.6), viene in-dicato quale fattore protettivo Avere amici veri e sinceri (34.4).Dei ragazzi intervistati solo il 33.6 dichiara di far parte di gruppi organizzati;di questi il 39.9 sono maschi e il 20 sono femmine. i gruppi di appartenenza va-riano per i due sessi. Dei maschi, il 66.1 afferma di appartenere a gruppi sportivi, il22.1 agli ultras; il 12.1 a gruppi religiosi; il 10.1 a gruppi ricreativi; il 5.5 a gruppidi volontariato.Delle femmine il 45.0 dice di appartenere a gruppi sportivi; il 31.0 a gruppi re-ligiosi; il 14.1 a gruppi ricreativi; il 9.9 a gruppi di volontariato; il 4.2 agli ultras.L’appartenenza a gruppi organizzati tende, comunque, a decrescere con l’au-mentare dell’età dei ragazzi. si passa dal 36.5 a 13-15 anni al 27.3 dopo i 17.esaminando l’appartenenza a gruppi organizzati nel nord, nel centro e nelsud, si nota che, sebbene l’adesione a gruppi sportivi resti la più frequente per letre aree geografiche, il far parte di gruppi religiosi e di volontariato è leggermentesuperiore nel sud, rispetto al centro e al nord. tav. 3 - Appartenenza a gruppi organizzati nord centro sudGruppi religiosi 13.3 15.9 20.8Gruppi di volontariato 17.6 11.6 25.7 32 La non elevata appartenenza a gruppi organizzati è confermata dalle risposteche i ragazzi hanno dato alla domanda quanti dei tuoi amici partecipano a gruppisportivi, giovanili, svolgono attività di volontariato; le risposte che prevalgonosono: alcuni/ nessuno.Riassumendo, per quanto riguarda i rapporti con i coetanei si delinea unquadro globalmente positivo, nel quale sembrano prevalere i fattori di sostegno eprotezione, rispetto ai fattori di rischio. i ragazzi vivono come importante e gratifi-cante la relazione con i pari e la maggior parte di essi si percepisce come capace diproteggersi e di proteggere a sua volta. naturalmente, non va sottovalutata la per-centuale, seppur non elevata, di coloro che si vedono più esposti e meno resistentialla pressione dei pari, per i quali sarebbe auspicabile un incremento di autoeffi-cacia e assertività.questi dati, al di là di facili generalizzazioni, ci riconfermano l’importanza delruolo esercitato dal gruppo dei pari sui percorsi di vita, salutari e non. in partico-lare, per quanto concerne alcuni comportamenti, come ad esempio l’uso e l’abusodi sostanze, il gruppo dei pari in adolescenza, così come evidenziato da vari autori(Botvin, 1992; Bonino s., 2000), si configura al contempo come il più importantefattore di rischio e/o di protezione e, in quanto tale, rappresenta un setting impre-scindibile per la realizzazione di interventi di prevenzione e promozione della sa-lute. 33 2. I comportamenti problema nei CFp:quali interventi educativi?1 Introduzione sono sempre più numerosi i ragazzi che nella scuola e nella Formazione Pro-fessionale manifestano comportamenti inadeguati, necessitando di un aiuto e di unaguida particolari che non sempre è facile dar loro.La preparazione accademica, il buon senso e la propria stabilità emotiva si ri-velano spesso insufficienti a garantire la possibilità di intervenire con successo neiloro confronti.in questa parte sono messe in evidenza possibili modalità di approccio ai com-portamenti disadattivi esibiti all’interno dei cFP, facendo specifico riferimento allacura della dimensione socio-relazionale.A tal fine, dopo una breve definizione di comportamento disadattivo, sonoprese in considerazione alcune interpretazioni di esso e presentati gli interventieducativi, di cui il formatore può disporre in funzione di un agire efficace. 2.1. Il comportamento disadattivo: descrizione e interpretazioni il termine disadattamento viene generalmente utilizzato per esprimere un di-sagio di natura relazionale vissuto nei confronti di un’istituzione. si parla, così, didisattamento familiare, scolastico, sociale.Definire il disadattamento scolastico non è facile si tratta, infatti, di un feno-meno polimorfo nelle sue manifestazioni.i segnali che emergono sono a volte subdoli e poco vistosi come, ad esempio,la mancanza di motivazione e di coinvolgimento; altre volte eclatanti e drammaticicome l’insorgere di comportamenti aggressivi o l’opposizione ostinata.quello che sembra accomunare la vasta gamma di situazioni, comprese generi-camente sotto l’etichetta di disadattamento scolastico, è il profondo malessere neiconfronti della scuola e della Formazione Professionale che vive il ragazzo in diffi-coltà, malessere non ascrivibile a carenze cognitive o handicap specifici, ma piut- 1 coLAsAnti A.R., I comportamenti problema in ambito scolastico: quali interventi educativi?,Atti del convegno, Milano, 2000. 34 tosto ad una pluralità di cause esterne e, talvolta, interne alla stessa istituzione for-mativa.Al di là delle forme silenti e nascoste o scoperte e palesi che il malessere puòassumere, ci si trova, comunque, di fronte a ragazzi che:– non si adattano alla routine della classe, manifestando un comportamento sgar-bato, scontroso o poco comunicativo;– richiedono al formatore molto più tempo, energia e pazienza della maggiorparte dei compagni di classe;– sembrano resistenti e irriconoscenti per qualunque aiuto si offra loro.non a caso sono frequentemente segnalati dai formatori come difficili, proble-matici e frustranti.Ma quale può essere il significato dei comportamenti descritti come disadat-tivi. Particolarmente promettenti, ai fini dell’agire educativo, risultano le interpreta-zioni del disadattamento scolastico suggerite dai teorici della motivazione intrin-seca e da alcuni autori di matrice adleriana.secondo i primi (Weiner, 1980; Deci e Ryan, 1985; Brehm e Brehm, 1981),gran parte dei comportamenti-problema in ambito scolastico e formativo sarebbeinterpretabile come il tentativo, da parte dell’allievo, di agire secondo modalità chesoddisfano tre bisogni psicologici fondamentali: l’autodeterminazione, il senso dicompetenza e la relazione con gli altri.quando questi bisogni sono minacciati, ad esempio quando gli allievi sono co-stretti ad affrontare situazioni, nelle quali sentono di non riuscire in modo efficaceo quando si sentono frustrati nel tentativo di stabilire un buon rapporto con i forma-tori o quando ancora percepiscono di non essere accettati dai compagni, aumentaconsistentemente la frequenza dei comportamenti disfunzionali.questi ultimi possono esternarsi in azioni palesi, come la sfida, l’aggressioneaperta e diretta e il non conformarsi o nascoste, come la manipolazione, l’inganno,la chiusura passiva.sulla stessa linea, alcuni teorici di impostazione adleriana (Dreikurs e cassel,1972; Froyen, 1988) interpretano il comportamento disfunzionale come il tentativo,da parte dell’allievo, di guadagnarsi un riconoscimento e di trovare una propria col-locazione all’interno del gruppo classe.così, mentre l’allievo ben adattato si inserirà nel gruppo conformandosi allesue richieste e apportandovi utilmente dei contributi, l’allievo non adattato cer-cherà, a seconda delle circostanze, di attirare l’attenzione su di sé, di affermare ilproprio potere, di vendicarsi, di ostentare debolezza.il meccanismo diretto a richiamare l’attenzione è utilizzato molto frequente-mente. Gli allievi, incapaci di entrare nel gruppo tramite una collaborazione fattiva,trovano modalità alternative per farsi notare, ad esempio, suscitando l’ilarità dellaclasse. tali modalità, in quanto vissute come possibilità di sollievo dalla routine edi evasione dalla responsabilità, sono perlopiù accolte favorevolmente dai com- 35 pagni che contribuiscono a rinforzarle positivamente con le loro reazioni. D’altraparte, qualunque reazione del formatore, sia essa diretta ad ignorare il comporta-mento o a punirlo, sortisce effetti negativi: nel primo caso, alimentando un bisognodi attenzione ancora maggiore; nel secondo, fornendo, comunque, all’allievo unaqualche forma di considerazione.un’altra strategia diretta ad ottenere riconoscimento è l’affermazione del pro-prio potere.L’allievo vuole mostrare che può fare o rifiutare ciò che vuole, pertanto fa solociò che desidera e non accetta ordini. spesso si pone nei confronti del formatorecome l’antileader.ogni azione del formatore, volta a ristabilire i confini di competenza, aumentanell’allievo la convinzione circa l’importanza del potere, innescando una lotta an-cora più decisa per la supremazia.L’allievo può ancora ricercare il suo posto nel gruppo ricorrendo alla vendetta.sentendosi disapprovato e rifiutato, colpisce la vulnerabilità degli altri e fa di tuttoper essere detestato.screditare e ferire i compagni e il formatore è considerato un trionfo, una di-mostrazione di forza.infine, troviamo l’allievo che sceglie la resistenza passiva, utilizzando la mani-festazione della propria inadeguatezza, come modalità di evitamento della respon-sabilità. nell’attesa di collezionare solo sconfitte e fallimenti rinuncia a qualsiasisforzo e ostenta la sua reale o immaginaria incapacità per proteggersi dalle richiestee dalle attese degli altri.si tratta, in tutti i casi, di allievi che sperimentano un debole controllo delle si-tuazioni scolastiche e che, percependosi incapaci di prendere parte costruttivamentealla vita scolastica, ripiegano su gratificazioni surrogate, provocate dai comporta-menti problematici.questi ultimi rappresenterebbero, infatti, il modo più accessibile all’allievo perricercare conferme al proprio valore personale e guadagnarsi un posto nella classe.in sintesi, tanto per i teorici della motivazione intrinseca, quanto per gli autoridi ispirazione adleriana, i comportamenti devianti e scorretti in ambito scolasticonon sono il risultato di patologie interne, ma sono in larga misura interpretabilicome tentativi motivati e intenzionali da parte dell’allievo di trovare risposta ad al-cuni bisogni psicologici fondamentali, connessi al valore personale, quando stra-tegie e modalità opportune gli sono precluse per qualche ragione.Detto ciò, vediamo ora di considerare alcune possibilità sul piano dell’inter-vento educativo. 2.2. Modi inadeguati di gestire i comportamenti disadattivi Prima di considerare le possibilità educative che scaturiscono dalle precedentiinterpretazioni, riteniamo utile soffermarci brevemente su alcune tipiche modalità, 36 alle quali facilmente si ricorre per gestire i comportamenti-problema; modalità che,anziché correggere o bloccare le espressioni comportamentali inappropriate, fini-scono paradossalmente per rafforzarle (Folgheraiter, 1992).• Attenzione. L’attenzione, anche se espressa in termini di correzione o di rim-provero, costituisce per l’allievo una forma di considerazione e, in quanto tale,costituisce un rinforzo al comportamento disfunzionale.• Proibizione. La proibizione, in quanto espressione di potere e di controllo daparte dell’insegnante, rappresenta una minaccia al bisogno di autodetermina-zione, dando origine a forme di resistenza e di reattività psicologica. inoltre,ciò che è vietato può assumere, proprio perché tale, una connotazione positiva.• Minaccia. La minaccia, che aggiunge al divieto la specificazione di eventualiconseguenze negative, stimola, da parte dell’allievo, un comportamento disfida, indirizzato ad affermare la propria forza e il proprio potere sul piano re-lazionale. quando, poi, il provvedimento annunciato non è mantenuto, magariperché l’insegnante stesso non si sente di applicarlo, l’allievo intuisce di esserepiù forte ed impara a vedere nella minaccia dell’adulto un’occasione per affer-mare il proprio valore personale.• Attacco alla persona. Rientrano in questa modalità tutte quelle forme corret-tive che criticano, umiliano o sminuiscono l’allievo nell’intento di indurlo amodificare la propria condotta. in realtà, tali forme, indebolendo l’immagine disé dell’allievo, spingono quest’ultimo a riaffermare il proprio valore personale,proponendo a modo di sfida il comportamento inappropriato. seguire le pre-scrizioni e correggersi significherebbe, infatti, accettare implicitamente le pre-messe da cui parte l’insegnante e, cioè, di essere una persona deprecabile per isuoi comportamenti.A ben vedere l’elemento che accomuna le diverse modalità, alle quali abbiamofatto riferimento, è il tentativo da parte dell’insegnante di modificare i comporta-menti inappropriati tramite forme disciplinari, che finiscono per compromettere ilsenso del valore personale dell’allievo e per ridurne l’autonomia. ciò, tuttavia, pro-voca forme di reattività e di resistenza che, a loro volta, contribuiscono al consoli-damento di quei comportamenti che si desidera estinguere. 2.3. Interventi educativi possibili nel presentare gli interventi educativi che l’insegnante può mettere in atto pertrattare i comportamenti inappropriati, può essere utile seguire, come suggerisconoAdelman-taylor (1990), un criterio di successione temporale. secondo quest’ul-timo è possibile classificare gli interventi educativi in:– misure indirizzate a prevenire e anticipare i comportamenti-problema;– misure da adottare in presenza dei comportamenti-problema;– misure da attuare dopo la comparsa dei comportamenti-problema. 37 2.3.1. Cosa fare primaGli interventi preventivi nei confronti dei comportamenti disadattivi possono aloro volta essere distinti in azioni sugli antecedenti remoti e azioni sugli antece-denti prossimi.Le azioni sugli antecedenti remoti concernono quelle situazioni generali easpecifiche che possono facilitare la comparsa dei comportamenti disfunzionali.tra queste, la privazione di conferme psicologiche, la noia, il deficit di abilità (Fol-gheraiter, 1992).in questi casi si richiede all’insegnante di:– curare la qualità della relazione e mantenere la positività del contatto, nono-stante la presenza di comportamenti disturbanti;– organizzare la situazione apprenditiva, in modo tale da prevedere un flussocontinuo di attività, che stimoli gli allievi ad interessarsi e a coinvolgersi per-sonalmente;– identificare e trattare precocemente eventuali disabilità, rafforzando le abilitàdi coping. È noto, infatti, che una carenza nelle abilità tipiche del proprio li-vello evolutivo porta il ragazzo ad indulgere in attività di grado inferiore,spesso disturbanti e inaccettabili.Rientra ancora tra le azioni sugli antecedenti remoti la personalizzazione delprogramma educativo, in modo tale che ciascun allievo trovi risposta ai propri bi-sogni di autodeterminazione, competenza e relazione con gli altri. ciò significa co-noscere esigenze e interessi degli allievi per strutturare obiettivi e attività, in modotale che ciascuno possa raggiungere le sue mete e provare il senso del successo.inoltre, occorre stimolare gli allievi a rivestire un ruolo attivo nell’esperienza di ap-prendimento, offrendo loro l’opportunità di esercitare un certo grado di controllosulle situazioni scolastiche e di operare, laddove è possibile, scelte personali.infine, è indispensabile creare un clima relazionale di fiducia e di sicurezzache permetta all’allievo di assumersi dei rischi senza il timore di fallire (Franta H. -colasanti A.R., 1992; Mc combs-Pope,1996).Le azioni sugli antecedenti prossimi riguardano eventi, situazioni o personeche tendono ad innescare le sequenze comportamentali indesiderate. in tal caso, sirichiede all’insegnante di limitare l’esposizione a quegli stimoli, in presenza deiquali il comportamento ha più probabilità di manifestarsi, e di non introdurre ele-menti tali da stimolare la reattività dell’allievo.Per questo è, però, necessario comprendere le motivazioni, che possono na-scondersi dietro ai comportamenti inappropriati, e leggere il significato che possonoassumere, nel contesto della classe, determinate modalità comportamentali. in altritermini, l’insegnante dovrà chiedersi, da una parte, se esistono condizioni che fannosentire l’allievo incompetente, controllato o frustrato nel suo bisogno di relazionecon l’altro, dall’altra, qual è lo scopo, sotteso al comportamento inappropriato, chel’allievo cerca di perseguire: attenzione, potere, vendetta, senso di inadeguatezza. 38 La lettura del comportamento secondo una prospettiva eziologica e teleologicaconsente, infatti, all’insegnante di eliminare o, comunque, ridurre quegli stimoliche potrebbero portare ad un incremento del comportamento in questione. 2.3.2. Cosa fare durantequando i comportamenti inappropriati si manifestano, è importante non en-trare in collusione con essi, ma fondare la risposta educativa sulla base della moti-vazione sottostante.indipendentemente dal tipo di intervento e dal grado di direttività che esso ri-veste, è importante che l’azione dell’insegnante sia vissuta dall’allievo come legit-tima, ragionevole, giusta e non denigratoria e che la non accettazione del comporta-mento si accompagni ad una profonda accettazione della persona. ciò, tuttavia, ri-chiede due importanti condizioni.La prima è che l’insegnante creda nel proprio valore. La sua capacità di inco-raggiare scelte comportamentali migliori sarà, infatti, limitata se il comportamentoinadeguato dell’allievo è vissuto come una minaccia alla propria immagine profes-sionale. La seconda è che creda nell’allievo e nelle sue possibilità di guadagnarsiun posto nel gruppo grazie ai propri contributi e non alle proprie prodezze o inade-guatezze.ciò premesso, indichiamo alcuni interventi possibili. questi ultimi variano perlivello di direttività e la loro scelta dipende dalla natura e dalle cause del comporta-mento inadeguato, dal grado di responsabilità dell’allievo e dagli effetti che, seadottati, produrrebbero sul singolo e sull’intera situazione (Franta, 1987; Gordon,1900).tali misure correttive si caratterizzano per essere moderatamente direttive, for-mulate in modo rispettoso e costruttivo, focalizzate sul comportamento concreto enon sull’allievo. esse comprendono:– tecniche semidirettive: cioè, interventi che, senza interrompere il flusso della co-municazione o delle attività, portano l’attenzione dell’allievo sul suo comporta-mento disturbante, riuscendo così a bloccarlo. tra queste, interferire con un se-gnale (avvicinarsi, alterare il tono della voce, stabilire un contatto di sguardo), fa-re domande aperte, inviti o proposte che richiamino alla collaborazione;– ristrutturazione della situazione didattica e comunicativa: quando il processoattuale non viene recepito (per esempio, gli allievi sono annoiati, frustrati, con-fusi o coinvolti emotivamente in qualche evento), in tal caso, è utile effettuaredei cambiamenti a livello contenutistico o metodologico e attuare una meta co-municazione, così da catturare nuovamente l’attenzione degli allievi;– tecniche di feedback e di punizione: nei casi in cui gli allievi persistono neicomportamenti inaccettabili, esse presentano un maggior grado di direttività ri-spetto alle precedenti e comprendono i messaggi-io, la tecnica dei tre passi, leconseguenze naturali o logiche; 39 – interventi direttivi in situazioni specifiche: sono da utilizzare quando l’infra-zione di una regola rappresenta un pericolo per il ragazzo o per gli altri; in talicasi, sarà la validità del rapporto a far capire al ragazzo la necessità di un inter-vento direttivo di tamponamento. 2.3.3. Cosa fare dopouna volta adottato il provvedimento, ritenuto più idoneo, è necessario che l’in-segnante continui a lavorare per la prevenzione di possibili problemi futuri. Drei-kurs et al. (1982) propongono le seguenti indicazioni.una prima indicazione è il colloquio individuale con l’allievo. esso ha loscopo di aiutare quest’ultimo a comprendere le motivazioni che possono nascon-dersi dietro ai suoi comportamenti e a considerare l’inefficacia di certe modalità.Particolarmente utile in tal senso è la strategia del problem solving suggerita daGlasser (1977).Partendo dal presupposto che il comportamento inadeguato di un allievo è ilmodo migliore che questi ha scoperto per appagare i propri bisogni, Glasser pro-pone una strategia di approccio che consente all’insegnante di affrontare i compor-tamenti inappropriati, aiutando l’allievo a trovare adeguate risposte ai suoi bisognie a sviluppare gradualmente un agire più responsabile (Franta H. - colasanti A. R.,1992, pp. 81ss).una seconda indicazione concerne la mobilitazione delle energie proattive del-l’allievo.L’allievo che disturba è, come abbiamo visto, un soggetto vulnerabile checombatte la sua percepita inadeguatezza ricercando attenzione, potenza e status inaree spesso inaccettabili di comportamento. compito dell’insegnante è di aiutarlo ariscoprire le proprie risorse, il suo senso di responsabilità ed operosità, comunican-dogli la convinzione circa il suo valore e le sue capacità. Per questo, dovrà, da unlato, favorire esperienze di successo, dall’altro, fermare l’attenzione non tanto suglierrori e le manchevolezze, quanto piuttosto sugli aspetti positivi e sugli sforzi com-piuti.La terza indicazione, infine, riguarda l’uso efficace del gruppo classe per pro-muovere l’inserimento costruttivo dell’allievo. Poiché, i comportamenti disadattivihanno, come abbiamo visto, un significato sociale e sono indirizzati ad ottenere,seppure con modalità perdenti, l’appartenenza al gruppo, l’insegnante può organiz-zare e gestire la vita della classe, così da favorire la partecipazione attiva e respon-sabile da parte di ciascuno. in particolare, può sviluppare la discussione di gruppo ela comunicazione interna, fare in modo che il gruppo riconosca i contributi speci-fici dei singoli, adottare una struttura cooperativa di ricompensa che stimoli ilsenso di appartenenza e di solidarietà. in sintesi, si tratta di disattivare alcuni mec-canismi negativi per ripristinare la crescita dell’allievo verso il senso di autostima edi autoefficacia. 40 2.4. La prevenzione dei comportamenti aggressivi: rassegna di alcuni pro-grammi validati2 intRoDuzionescopo del presente contributo è offrire una panoramica di alcuni programmi diprevenzione, indirizzati a ridurre l’incidenza e la prevalenza di comportamenti ag-gressivi in soggetti in età scolare.i programmi in oggetto sono tratti dalla rassegna effettuata dal centro di Ri-cerca Preventiva per la Promozione dello sviluppo umano dell’università diPennsylvania, rassegna che include al suo interno i principali programmi che, sot-toposti a verifica empirica, sono risultati efficaci nella riduzione dei disturbi ester-nalizzati ed internalizzati (Greenberg - Domitrovich - Bumbarger, 2000).i programmi hanno come riferimento la teoria ecologica dello sviluppo (Bron-ferbrenner, 1979), che sottolinea l’influsso che i diversi sistemi (micro, meso, eso, ma-cro) esercitano sull’evoluzione individuale, e la psicopatologia evolutiva (cicchetti,1984; Rutter, 1985), che ribadisce l’importanza nella determinazione di un esito adat-tivo o psicopatologico dell’interdipendenza dinamica tra rischio e protezione.Più specificatamente, per quanto concerne i comportamenti aggressivi, alcunifattori di rischio di natura:• biologica [temperamento difficile (Patterson et al., 1998), sistema di autorego-lazione comportamentale scompensato (quay, 1997), funzioni esecutive defici-tarie (Barkley, 1998)];• personale [deficit nelle abilità sociali, tendenza ad un’interpretazione ostiledelle intenzioni altrui, scarsa empatia e pro socialità (Lochman et al., 1987)];• Familiare [madri depresse (nigg, Hinshaw, 1998); stile genitoriale coercitivo(Patterson et al., 1998); alto livello di conflittualità ed esposizione a modelliaggressivi (Grych et al., 2000)];• interpersonale [rifiuto dei pari, isolamento, esclusione (Dodge et al. 1990)];• scolastica [demoralizzazione e insuccesso scolastico (quinton, Rutter, 1988)];• ambientale [basso livello socio-economico, estrema povertà, ingiustizia sociale(Kellam, 1990; Bolger et al., 1994; Lahey et al. 1999)];possono essere contrastati, sino a perdere la loro carica negativa, qualora interagi-scano con alcuni fattori di protezione a livello individuale e sistemico-ambientale.Pertanto, i programmi che andremo a considerare partono dal presupposto che,nella misura in cui si vanno a promuovere le abilità personali carenti (individuo) esi va ad agire sulla qualità delle relazioni nell’ambiente prossimo (microsistema) esull’accordo intersistemico famiglia-scuola-pari (meso ed eso sistema), è possibilesia prevenire l’insorgenza dei fattori di rischio sia ridurre le disfunzioni e moderare 2 coLAsAnti A.R., La prevenzione dei comportamenti aggressivi: rassegna di alcuni programmivalidati, in Psychomed, 2008, i, pp. 9-17. 41 l’impatto di circostanze sfavorevoli, riorientando positivamente traiettorie evolu-tive ad alta probabilità di esito disadattivo (coie et al., 1993).nel presentare i diversi programmi, seguiremo la distinzione operata daMrazek eHaggerty (1994), i quali distinguono gli interventi preventivi in universali, selettivi,specifici. Gli interventi universali che, di fatto, coincidono con la promozione dellasalute mentale si caratterizzano per essere rivolti all’intera popolazione indipenden-temente da situazioni di rischio, per essere proattivi, positivi, economici, esenti da ri-schi di stigmatizzazione. Gli interventi selettivi sono diretti a soggetti che, pur nonpresentando segni oggettivi e soggettivi di disagio, hanno, comunque, una probabilitàsignificativamente maggiore, rispetto alla popolazione generale, di sviluppare distur-bi psichici. infine, gli interventi specifici sono indirizzati a coloro che presentano giàsegni prodromici di un disturbo e che hanno un elevato rischio di cronicizzare il lorocoinvolgimento in condotte problematiche; pertanto, sono sempre indicati anche secostosi e non esenti da rischi (Rowling - Martin -Walker, 2004). 2.4.1. Programmi universaliLA cAMPAGnA contRo Le VittiMe DeL BuLLisMo (olweus, 1993)il programma, che vede come destinatari gli alunni delle scuole elementari emedie con i rispettivi insegnanti e genitori, mira a decrementare il livello di aggres-sività e di conflittualità nella scuola.Più specificatamente, esso intende promuovere nell’intera comunità scolasticala consapevolezza del problema e sviluppare capacità e attitudini cognitive in co-loro che vi sono coinvolti.il programma agisce a livello di sistema scolastico, di gruppo classe, di singoloindividuo. Le attività, a livello di sistema scolastico, concernono: la rilevazione delproblema tramite un questionario; una giornata di sensibilizzazione con insegnanti,genitori, alunni; incontri periodici tra insegnanti e genitori e contatti telefonici; lariorganizzazione degli spazi dedicati al gioco libero e alla ricreazione, al fine di fa-vorire occasioni positive di interazione tra ragazzi; una maggiore sorveglianza du-rante i momenti liberi. Le iniziative a livello di gruppo classe consistono nell’ela-borazione di un sistema di regole contro le prepotenze, in momenti di dibattito econfronto in classe per discutere difficoltà o problemi personali vissuti, in attivitàdi cooperative learning, in incontri tra insegnanti, genitori e alunni.infine, a livello individuale sono previsti colloqui approfonditi con i bulli e conle vittime e con i rispettivi genitori, nonché occasioni di incontro tra i genitori degliuni e degli altri per favorire una conoscenza e un confronto reciproci. cHiLD DeVeLoPMent PRoject (solomon, Watson et al., 1988)il programma, che vede come destinatari gli alunni delle scuole elementari,mira trasformare la scuola in una comunità di persone che impari e che si prendacura degli altri. 42 Più specificatamente, esso intende creare un ambiente scolastico cooperativo edi sostegno, in cui i ragazzi possano fare esperienza di rapporti supportivi e di curareciproci con i loro insegnanti e gli atri adulti nella scuola, di contribuire significa-tivamente alla vita sociale e intellettuale della classe, di lavorare in collaborazionecon gli altri.il programma agisce sulle componenti classe, scuola e famiglia. il programmadi classe prevede tre aspetti principali: disciplina dello sviluppo, che mira a favo-rire la corresponsabilità attraverso il coinvolgimento degli allievi nella formula-zione delle norme e nei processi decisionali, la valorizzazione di ciascun bambino,la ricerca di soluzioni cooperative ai problemi che si presentano; apprendimentocooperativo, che mira a sviluppare nei bambini l’attitudine a lavorare insieme;istruzioni di lettura basata sulla letteratura, in cui si leggono storie umane avvin-centi, tratte dalla letteratura che possono aiutare i bambini ad approfondire la cono-scenza di se stessi e degli altri e di alcuni valori umani fondamentali.il programma, che agisce sulla componente scolastica, include iniziativeideate per costruire una comunità che si preoccupa degli altri durante la scuola eper favorire l’apprezzamento di valori democratici fondamentali (per esempio,l’accoglienza da parte dei bambini più grandi dei più piccoli, la giornata deinonni, ecc.). infine, relativamente alla componente famiglia, sono previste attivitàorientate a rafforzare il legame famiglia-scuola tramite l’assegnazione di compitiinterattivi tra bambini e genitori (per esempio, discutere un film insieme, collabo-rare nella realizzazione di un progetto scolastico, raccontare la storia della fami-glia, ecc.). GooD BeHAVioR GAMe (Dolan-Kellam et al., 1993)il programma, che vede come destinatari gli alunni delle scuole elementarimira a migliorare l’adattamento sociale al contesto scolastico, particolarmente in ri-ferimento alle regole e all’autorità. Più specificatamente esso intende ridurre i com-portamenti aggressivi e di timidezza in classe e promuovere comportamenti coope-rativi. componenti basilari del programma sono il Gioco del buon comportamentoe il Mastery learning.il Gioco del buon comportamento consiste in una gara a squadre per l’otteni-mento di premi, privilegi e speciali attività. Per ogni squadra si registrano su unalavagna punti in presenza di un cattivo comportamento da parte di un qualsiasimembro della squadra. se entro la fine del gioco i punteggi della squadra restano aldi sotto di un numero prestabilito, la squadra vince. tutte le squadre possono vin-cere, se i loro punteggi non superano il numero prestabilito. si parte da 10 minutiper tre volte a settimana per arrivare a tre ore complessive. il programma di Ma-stery learning consiste in un approccio di gruppo per arrivare a leggere con padro-nanza tramite un processo di mutua correzione. Gli allievi non passano al succes-sivo livello di lettura, finché l’80% della classe non ha raggiunto per quel livellol’85% degli obiettivi richiesti. 43 seconD steP: un PRoGRAMMA PeR LA PReVenzione DeLLA VioLenzA(Grossman et al., 1997)il programma, che vede come destinatari gli alunni delle scuole elementari,mira a promuovere competenze sociali nell’interazione tra pari, nelle amicizie,nella risoluzione dei conflitti interpersonali. Più specificatamente, esso intende in-segnare la gestione della rabbia, l’empatia, il controllo degli impulsi. il programmautilizza immagini fotografiche, accompagnate da uno scenario che offre lo spuntoper la discussione e per i giochi di ruolo; prevede, inoltre, per i genitori, una video-guida che aiuti loro a familiarizzarsi con il programma e a favorire il rinforzo, incasa, delle abilità oggetto di promozione. PAtHs: PRoMozione Di stRAteGie Di PensieRo ALteRnAtiVo(Greenberg-Kusche, 1996)il programma, che vede come destinatari gli alunni delle scuole elementari,mira a promuovere competenze emozionali e sociali e a ridurre i comportamentiaggressivi. esso prevede una previa formazione degli insegnanti, ai quali sono tra-sferite le competenze per insegnare agli allievi l’alfabeto delle emozioni, l’autocon-trollo, la competenza sociale, il problem solving interpersonale, nonché alcune mo-dalità positive per approcciarsi e relazionarsi ai propri pari.Più specificatamente le abilità in oggetto concernono: identificare e nominare leemozioni; esprimere, gestire i sentimenti e valutarne l’intensità; differenziare senti-menti e comportamenti; dilazionare la gratificazione; controllare gli impulsi; ridurre lostress; parlare a se stessi; leggere e interpretare gli stimoli sociali; comprendere la pro-spettiva degli altri, usare i passi per il problem solving e per il decision making, avereuna attitudine positiva verso la vita, autoconsapevolezza, abilità verbali e non verbali. 2.4.2. Programmi selettiviiL PRiMo PAsso VeRso iL successo (Walker et al., 1998)il programma, che vede come destinatari bambini di scuola materna con ini-ziali segni di pattern comportamentali antisociali, mira a favorire lo sviluppo dipattern comportamentali più adattivi. esso prevede uno screening iniziale, un inter-vento a scuola di circa due mesi, un intervento a casa di sei settimane.L’intervento a scuola mira ad insegnare al bambino un comportamento mag-giormente adattivo, che promuova i successi sociali e accademici. i criteri sono sta-biliti quotidianamente e al bambino è dato un feedback sul proprio comportamento.Riceve una ricompensa se realizza l’80% dei comportamenti richiesti. il pro-gramma è implementato prima da un consulente e poi portato avanti, con supervi-sione, dall’insegnante.L’intervento a casa prevede visite domiciliari da parte di un consulente unavolta a settimana per 40-50 minuti. Ai genitori spetta: controllare il comportamento 44 scolastico dei figli, provvedere ricompense e rinforzi per i successi scolastici, favo-rire nei figli la costruzione di competenze concernenti la comunicazione e la condi-visione, la cooperazione, il darsi dei limiti, il problem solving, il fare amicizia, losviluppo della fiducia. il consulente introduce l’attività e fornisce ai genitori unmanuale con relative attività.il consulente ha in carico tre bambini alla volta e provvede all’implementa-zione del programma, alla supervisione di insegnanti e genitori e al coordinamentofamiglia-scuola. PRoGRAMMA Di ReLAzioni sociALi (Lochman-coie et al., 1993)il programma vede come destinatari bambini di scuola elementare, rifiutati daipari, che presentano o meno un comportamento aggressivo. esso mira all’incre-mento di capacità relazionali, che facilitino l’adattamento socio-comportamentale.il programma prevede una previa formazione di due settimane del personale chia-mato a realizzare gli incontri con i bambini. Per questi ultimi, sono previsti 26 in-contri individuali di 30 min. (2 volte a settimana) e 8 incontri di gruppo. Gli in-contri vertono su: soluzione di problemi sociali (7 sessioni), identificare il pro-blema e gli scopi di una situazione, inibire un comportamento impulsivo, generaresoluzioni possibili; addestramento al gioco positivo (9 sessioni), acquisire capacitànecessarie per giocare con i coetanei, comunicazione, negoziazione, cooperazione;addestramento per l’inserimento in gruppo (14 sessioni), imparare ad unirsi ad ungruppo di coetanei, identificare il leader del gruppo, misurare i propri comporta-menti; controllo della rabbia (4 sessioni), imparare a ridurre i comportamenti im-pulsivi attraverso l’identificazione, l’uso di autoaffermazioni positive e discussionicirca la competizione nelle situazioni interpersonali. 2.4.3. Interventi specifici o indicatistuDio sPeRiMentALe LonGituDinALe Di MontReAL (tremblay et al., 1992)il programma, che vede come destinatari bambini maschi aggressivi dai 7 ai 9anni di famiglie a basso reddito, mira a ridurre i comportamenti aggressivi attra-verso il miglioramento del comportamento genitoriale e l’incremento di abilità so-ciali nei bambini. il programma prevede, con i genitori, un incontro ogni 2-3 setti-mane per due anni; con i bambini, 10 incontri annuali a scuola all’ora di pranzo. ilprogramma destinato ai genitori si focalizza su abilità concernenti: il monitoraggiodel comportamento dei figli e i rinforzi positivi; la disciplina efficace, ma non puni-tiva; il fronteggiamento di situazioni critiche. il programma destinato ai bambini haper oggetto lo sviluppo delle abilità pro sociali (entrare nel gruppo, chiedere aiuto,ecc.) e di autocontrollo (seguire regole, gestire situazioni di rabbia, ecc.). quest’ul-timo prevede che il gruppo sia composto da un bambino aggressivo e quattro bam-bini con capacità pro sociali e utilizza tecniche diversificate, quali istruzioni, mo-dellamento, giochi di ruolo, rinforzi. 45 PRoGRAMMA Di Gestione DeLL’AGGRessiVità (Lochman et al., 1999)il programma, che vede come destinatari bambini e preadolescenti con com-portamenti aggressivi e distruttivi (9-12 anni), mira ad incrementare le abilitàsocio-cognitive e ridurre i comportamenti problema. organizzato in incontri setti-manali a piccoli gruppi (4-6 ragazzi), il programma è indirizzato ad aiutare i ra-gazzi a gestire la rabbia, correggere distorsioni e deficit cognitivi, assumere la pro-spettiva altrui, riconoscere le emozioni, esercitare l’autocontrollo, utilizzare il pro-blem solving sociale, potenziare le abilità sociali in situazioni di conflitto.sono utilizzati giochi di ruolo, attività che portano i ragazzi a reagire emotiva-mente, rinforzi e feedback. inteRVento AttRiBuzionALe (Hudley-Graham, 1995)il programma, che vede come destinatari ragazzi di 10-12 anni, mira ad inse-gnare loro a non inferire intenzionalità ostile in situazioni di interazione ambiguacon i pari e a sviluppare abilità di pensiero. il programma si compone di due parti.La prima, della durata di 12 incontri, è indirizzata ad aiutare i ragazzi ad indivi-duare accuratamente l’intenzionalità nelle situazioni sociali; ad incrementare l’usodi attribuzioni non ostili; a rispondere appropriatamente a eventi negativi. La se-conda, della durata di 24 incontri, è orientata a sviluppare abilità di problem solvingcognitivo e a potenziare abilità attentive e di pensiero (Building Thinking SkillsProgram). i gruppi, che sono composti da 4 ragazzi non aggressivi e 2 aggressivi,si incontrano a scuola, ma in un contesto diverso dall’aula scolastica. PRoGRAMMA Di GRuPPo suLLe ABiLità sociALi (Pepler et al., 1991)il programma, che vede come destinatari alunni di scuola elementare, modera-tamente aggressivi e carenti di abilità sociali e sociocognitive, mira ad incremen-tare queste ultime. esso prevede il coinvolgimento di bambini, genitori ed inse-gnanti. L’intervento con i bambini, organizzato in incontri bisettimanali condotti daassistenti sociali, si focalizza su abilità, quali risolvere problemi, identificarsi, se-guire le istruzioni, partecipare, autocontrollarsi, gestire le prese in giro, resisterealle provocazioni e alle risse. Ha una durata di 12-15 settimane e si realizza conpiccoli gruppi (7 bambini). L’intervento con i genitori, effettuato tramite moduliformativi di durata variabile, ha per oggetto le abilità relative alla gestione del com-portamento dei figli e al supporto nell’incremento delle abilità sociali. L’interventorelativo all’ambiente di classe, anch’esso realizzato tramite moduli formativi congli insegnanti, di durata variabile, concerne la scelta di particolari compiti a casa eil potenziamento di abilità consone all’ambiente di classe. PRoGRAMMA PeR LA tRAnsizione ADoLescenziALe (Dishion et al., 1996)il programma, che vede come destinatari adolescenti ad alto rischio di con-dotte antisociali e le loro rispettive famiglie, mira a sviluppare nei ragazzi capacità 46 di autoregolazione e nei genitori abilità educative. L’intervento con gli adolescenti,organizzato in incontri settimanali a piccoli gruppi (8 ragazzi), è indirizzato a tra-sferire competenze, quali pianificare obiettivi, stabilire passi per raggiungerli, svi-luppare sostegno tra pari, fissare limiti personali, impegnarsi nella soluzione di pro-blemi. L’intervento con i genitori è, invece, orientato a potenziare competenze edu-cative riguardanti l’incoraggiare e il rinforzare i comportamenti prosociali dei figli,lo stabilire adeguati limiti, l’impegnarsi nella soluzione comune di problemi. taleintervento è articolato sia in incontri di gruppo settimanali di circa due ore per 12settimane (8 famiglie per gruppo), sia in consultazioni specifiche per ciascuna fa-miglia per adattare le competenze e discutere questioni particolari (in media 3 in-contri per famiglia). sono, infine, previsti alcuni interventi con i genitori e i figliper favorire la discussione e il confronto reciproci. PRoGRAMMA suLLe ABiLità Di coPinG tRA PARi (Prinz-Blechman et al., 1994)il programma, che vede come destinatari alunni di scuole elementari a rischio diproblemi di condotta per aggressività, mira a promuovere abilità di coping prosociali,facendo leva sulla modifica dei pensieri, sul controllo del comportamento e sul pro-blem solving proattivo. esso prevede 22 incontri settimanali articolati in 5 fasi: accor-do sulle regole, resoconto personale della settimana e eventuali problemi incontratinella messa in atto delle abilità, giochi di ruolo attraverso i quali valutare le abilità difronteggiamento acquisite e la loro padronanza, attività di gruppo, rinforzo (gettoni)per il rispetto delle regole. nei gruppi sono coinvolti bambini di classi diverse; perciascuna classe sono scelti 4 bambini, di cui 2 aggressivi, 2 non aggressivi.ciascun bambino deve raggiungere un certo livello di padronanza nell’obiet-tivo concordato e si può passare oltre, solo quando tutti hanno raggiunto lo stan-dard stabilito (basso-medio-alto). 2.4.4. Interventi universali, selettivi, indicatiFAst tRAcK (conduct Problems Prevention Research Group, 1992)il programma, che vede come destinatari alunni delle scuole elementari a ri-schio di problemi di condotta, mira a ridurre la portata dei fattori di rischio con-nessi ai medesimi. il programma a livello universale si sostanzia nel PAtH, il qualeviene indirizzato a tutti i bambini della scuola elementare (5 anni).i livelli selettivo (grado 1) e indicato (grado 2) contemplano alcune compo-nenti addizionali.Grado 11. Parent training indirizzato a promuovere relazioni positive scuola-famiglia, e ainsegnare ai genitori alcune abilità: uso di lodi, time-out, auto contenimento.2. Visite a casa per aiutare i genitori a risolvere problemi, a crescere nell’autoeffi-cacia, a gestire la vita. 47 3. training sulle abilità sociali indirizzato ai bambini.4. sostegno ai bambini nella lettura.5. Attività a coppie durante la scuola per favorire la socializzazione tra bambiniGrado 26. incontri di gruppo per genitori e figli due volte al mese e un programma con-cordato per gli anni a seguire.8. Visite a casa.9. sostegno.10. Monitoraggio sulle attività per la gestione dei figli. 2.4.5. ConclusioniLa rassegna dei programmi sin qui considerati ci permette di fare alcune consi-derazioni.i programmi universali si sostanziano nella promozione di alcuni fattori protet-tivi di natura personale e ambientale, ritenuti incompatibili con la comparsa delcomportamento aggressivo, quali abilità sociali e pro sociali, autocontrollo, compe-tenza emozionale, problem solving, clima scolastico cooperativo e supportivo.i programmi selettivi e indicati sono piuttosto indirizzati a colmare, nei bam-bini, le carenze sociali, cognitive e di regolazione delle emozioni e a correggere leloro distorsioni nella rappresentazione degli eventi e nell’attribuzione delle inten-zioni. essi, inoltre, mirano a sviluppare l’autoefficacia genitoriale particolarmenteper quanto concerne la possibilità di esercitare un controllo non coercitivo sul com-portamento dei figli e l’incoraggiamento di abilità pro sociali. tali programmi, adifferenza di quelli universali, contemplano un coinvolgimento più diretto degliagenti educativi, visite domiciliari, forme di consulenza modulate sui problemi e leesigenze delle singole famiglie, accompagnamento e monitoraggio nel tempo. Danotare, ancora, un criterio ricorrente nella composizione dei gruppi di ragazzi desti-natari degli interventi, consistente nel prevedere la presenza, per ciascun compo-nente con comportamento aggressivo, di uno o più componenti con comportamentia valenza prosociale.ci preme ricordare, infine, che i programmi presentati sono stati sottoposti averifica empirica ed hanno fornito consistenti prove di efficacia; pertanto, costitui-scono una buona base generativa, dalla quale muovere per progettare nuovi inter-venti indirizzati a prevenire forme di disadattamento e di antisocialità in età sco-lare. 49 3. Il bullismo 3.1. Definizione il termine bullismo, neologismo ormai molto diffuso nel linguaggio, soprat-tutto in ambito scolastico, è una traduzione letterale del termine inglese “bullying”e sta ad indicare una particolare forma di aggressività esternalizzata tra pari.negli anni ’80, dopo il suicidio di tre adolescenti in norvegia, probabilmente acausa di episodi di bullismo, il ministero dell’istruzione norvegese diede inizio adun’intensa campagna contro il bullismo nelle scuole norvegesi.il Olweus Bullying Prevention Program (OBPP) è il nome del programma chediverrà poi famoso e si diffonderà in tutto il mondo. L’autore del programma, D.olweus, psicologo norvegese, parte dal presupposto che il fenomeno del bullismosia una realtà a se stante, con meccanismi autonomi di insorgenza e di manteni-mento, da differenziare rispetto ai soliti comportamenti di dispute tra ragazzi, di ag-gressività comuni o di atti di delinquenza.egli, infatti, riesce ad isolare alcune variabili correlate al fenomeno del bul-lismo che ne determinano una nuova classificazione tra le diverse manifestazionidei comportamenti aggressivi in età evolutiva.originariamente, soprattutto nei paesi scandinavi, sono stati usati anche i ter-mini mobbing e mobbning, per indicare lo stesso fenomeno di azione aggressivaagita da parte di un gruppo.con gli studi di olweus (1978; 1993; 1999), si assume il significato di un’a-zione riferita sia al gruppo sia all’individuo.L’Autore riporta la seguente definizione “uno studente è oggetto di azioni dibullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto ripetutamentenel corso del tempo alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o più com-pagni” (olweus, 1993, trad. it., pp. 11-12).i ricercatori italiani (Fonzi A., 1997, 1999; Menesini e., 2000), poiché non sidispone di un termine analogo all’inglese bullying, ricorrono, nella traduzione delquestionario di olweus, ad una definizione di tipo descrittivo “diciamo che un ra-gazzo subisce delle prepotenze quando un altro ragazzo o un gruppo di ragazzi glidicono cose cattive e spiacevoli. È sempre prepotenza quando un ragazzo ricevecolpi, pugni, calci e minacce, quando viene rinchiuso in una stanza, riceve bigliet-tini con offese e parolacce, quando nessuno gli rivolge mai la parola e altre cose diquesto genere. Questi fatti capitano sempre e chi subisce non riesce a difendersi. Sitratta sempre di prepotenze anche quando un ragazzo viene preso in giro ripetuta- 50 mente e con cattiveria. Non si tratta di prepotenze quando due ragazzi, all’incircadella stessa forza, litigano tra loro o fanno la lotta”.il fenomeno del bullismo è spesso sottovalutato, perché lo si confonde con glisporadici episodi di violenza che possono accadere in una comunità o con la nor-male conflittualità fra coetanei. in realtà, in una situazione di normale conflitto tracoetanei le persone coinvolte non insistono oltre un certo limite per imporre la pro-pria volontà, spiegano il perché sono in disaccordo, manifestando le proprie ra-gioni, si scusano o cercano soluzioni di “pareggio”, si accordano e negoziano persoddisfare i propri bisogni, sono in grado di cambiare argomento e allontanarsi.nessuno di questi elementi connota il bullismo: infatti, ricerche successive eviden-ziano la presenza di tre elementi principali presenti nel fenomeno del bullismo.L’intenzionalità dell’azione prevaricatrice da parte del “bullo” che deliberata-mente cerca di offendere, far del male e creare situazioni di disagio agli altri.in secondo luogo, la persistenza del fenomeno. si evidenziano, infatti, azionidi prevaricazione ripetute nel tempo e nello spazio, che tendono a perpetuare la re-lazione conflittuale persecutore/vittima.il terzo elemento, che connota questa particolare forma di aggressività, è la ti-pologia della relazione che si configura sempre come asimmetrica, cioè basata suun disquilibrio di forze tra il prevaricatore, che è in posizione di forza, rispetto allavittima, la quale non riesce a difendersi a motivo della percepita debolezza, fragi-lità e impotenza.si possono individuare tre forme di bullismo.• Bullismo verbale, quando l’aggressività viene agita tramite offese, prese ingiro, ingiurie.• Bullismo fisico, quando la vittima viene sottoposta ad aggressioni rivolte allasua persona e/o alle sue cose.• Bullismo indiretto, quando uno studente viene intenzionalmente escluso dalleattività del proprio gruppo di appartenenza o sottoposto a calunnie e dicerie.Alcuni autori hanno fornito elementi di integrazione alla definizione originaria,sottolineando in modo particolare la natura di gruppo del fenomeno. Debora Pepler(1996), ad esempio, ha dimostrato che l’85% degli episodi di bullismo avvengono al-la presenza dei coetanei e che gli altri componenti del gruppo possono assumere unavarietà di ruoli diversi: possono agire in parallelo al bullo, essere sostenitori del bullo,osservatori, e più raramente intervenire per fermare gli episodi di prepotenza.Alcuni autori finlandesi (salmivalli, Lagerspetz, Bjorkqvist, osterman e Kau-kiainen, 1996) hanno proposto di distinguere cinque ruoli: il bullo e la vittima,l’aiutante del bullo, il sostenitore del bullo, il difensore della vittima, l’indifferenteo outsider. in sostanza, si è visto che la dominanza del bullo sembra essere raffor-zata dall’attenzione e dal supporto dei sostenitori, dall’allineamento degli aiutanti,dalla deferenza di coloro che hanno paura e dalla mancanza di opposizione dellamaggioranza silenziosa. 51 quanto abbiamo detto finora implica che il concetto di “bullismo” non vadausato nel caso di un singolo atto di aggressività e non includa occasionali azioni ne-gative fatte per scherzo, ma che debba essere usato come una specie di script, cioècome una sequenza, tutto sommato abbastanza stereotipata, nella quale gli attorisvolgono ruoli stabiliti (bullo, vittima, osservatori, supporter, ecc.). si tratta, perciò,di una gamma di episodi assai variegata, che va dalla canzonatura alla presa in giro,dall’epiteto oltraggioso all’intimidazione, dal ricatto al taglieggiamento, per arri-vare, infine, alla violenza fisica vera e propria. Ma, nonostante la loro diversifica-zione, questi episodi hanno tutti una base comune: con il termine bullismo non ci siriferisce a una situazione statica, in cui c’è qualcuno che aggredisce e qualcun altroche subisce, ma a un processo dinamico, in cui persecutori e vittime sono en-trambi coinvolti. naturalmente il fenomeno, proprio perché si tratta di un processodinamico, subisce continue modificazioni e ampliamenti del suo terreno di applica-zione, in concomitanza con i cambiamenti della società e delle agenzie educative.È, oramai, un dato assodato che il bullismo – pur rimanendo significativamente unfenomeno ancora appannaggio dei maschi – riguarda un numero sempre più cre-scente di femmine nel ruolo di prevaricatrici.D’altra parte, si assiste ad un incalzante abbassamento del livello d’età degliattori del bullismo, fino ad arrivare a episodi che si consumano tra i banchi dellascuola materna. 3.1.1. Il Cyberbullismocon il termine cyberbullismo si intende “volontari e ripetuti danni inflitti at-traverso l’uso del computer e di altri dispositivi elettronici” (Hindua-Patchin,2009, 5). tratti distintivi del fenomeno:– comportamenti volontari: deliberati e non accidentali;– comportamenti ripetuti: non isolati;– presenza del danno: la vittima percepisce che il danno è stato inflitto;– utilizzo di dispositivi elettronici: computer, cellulari, giochi ecc.il bullismo elettronico è considerato un’evoluzione del bullismo tradizionalema, pur condividendo con esso alcune caratteristiche, se ne differenzia per molte-plici aspetti. BULLISMO tRADIzIONALEi Bulli solitamente sono studenti ocompagni di classe (persone conosciutedalla vittima).i testimoni sono solitamente i membri diun determinato ambiente (scuola, parcogiochi) e restano circoscritti da unospazio. CyBERBULLISMOi cyber bulli sono anonimi. il “materiale” usato dai cyber bulli può essere diffuso intutto il mondo. 52 3.2. Caratteristiche e forme i bambini che agiscono prepotenze qualche volta se la prendono con chiunque,mentre qualche volta scelgono altri bambini, che sembrano essere più facili da col-pire. Possono prendersela con bambini che:– sembrano o sono diversi in qualcosa (ragazzi di etnie diverse, malattie cro-niche degenerative, malattie genetiche, sindromi allergiche gravi);– sono stressati a casa o a scuola;– hanno qualche disabilità (ritardi mentali, ritardi psicofisici, disabilità diverse);– faticano con il lavoro scolastico;– non vanno bene nello sport;– mancano di fiducia sociale;– sono ansiosi;– non sono in grado di difendersi, perché sono più piccoli, più deboli o più gio-vani;– i bambini che hanno subito o subiscono prepotenze non sempre lo dicono agliadulti;– possono avere paura o vergognarsi.Alcuni segni dell’essere vittima di bullismo possono essere:– rifiutarsi di andare a scuola;– trovare scuse per non andare a scuola, ad esempio sentendosi malato; tratto e adattato da: Pisano-saturno, 2008, 14. si riscontra un certo tipo di disinibizionesollecitata dalle dinamiche di gruppo. il bullo tradizionale ha bisogno didominare le relazioni interpersonali conla visibilità. si osserva una chiara presenza difeedback tra la vittima e il suooppressore, alla quale non prestasufficiente attenzione (consapevolezzacognitiva, ma non emotiva).si può riscontare piuttosto facilmente laderesponsabilizzazione, del tipo: “non ècolpa mia, stiamo scherzando”.nel bullismo tradizionale, sono solo ibulli ad eseguire i comportamentiaggressivi.il pubblico è passivo. È presente un altro tipo di disinibizione: il bullo virtualetende a fare ciò che non avrebbe coraggio di fare nellavita virtuale.il cyber bullo si approfitta della presunta invisibilità(ogni computer lascia le “impronte”che possono essereidentificate dalla polizia postale) attraverso la qualevuole ugualmente esprimere il proprio potere e dominio.il bullo virtuale non vede le conseguenze delle proprieazioni e proprio questo può ostacolare in lui lacomprensione empatica della sofferenza provata dallavittima. si possono rilevare anche i processi didepersonalizzazione, dove le conseguenze delle proprieazioni vanno prescritte dagli avatar.Anche la vittima nella vita reale può diventare cyberbullo. Gli spettatori possono essere passivi e attivi (parteciparealle prepotenze virtuali). 53 – voler andare a scuola con modalità diverse dagli altri, per evitare di incontrarei bambini che gli fanno prepotenza;– essere molto teso, piagnucoloso ed infelice dopo la scuola;– parlare manifestando odio per la scuola;– presentare lividi o graffi;– raccontare di non avere nessun amico;– rifiutarsi di dire ciò che avviene a scuola.in ogni caso, l’adulto potrebbe registrare ripetute lamentele o segnalazioni re-lativamente a forme di bullismo diretto, quali:– prevaricazione fisica: attacchi aperti nei confronti della vittima, del tipo esserecolpita con pugni o calci, vedersi sottrarre o rovinare oggetti di proprietà;– prevaricazione verbale: essere oggetto di derisioni, insulti, esser presi ripetuta-mente in giro, vedersi sottolineati aspetti razziali, ecc.;– forme indirette: isolamento sociale e un’intenzionale esclusione della vittimadai gruppi di aggregazione con diffusione di pettegolezzi fastidiosi o storie of-fensive, ecc.;– attività criminali e antisociali vere e proprie: attacchi con armi, ferite fisichegravi, minacce con armi, furti di una certa rilevanza, abusi sessuali. 3.3. Dati epidemiologici L’analisi dei dati epidemiologici evidenzia come il fenomeno sia diffuso e av-venga, soprattutto, in situazioni istituzionali, dove i ragazzi passano molto tempo.tra queste, la scuola appare come il luogo di maggior diffusione e contagio del fe-nomeno.Gli episodi di bullismo, infatti, avvengono soprattutto a scuola, ove i nostri ra-gazzi trascorrono gran parte del loro tempo.Gli studi compiuti sul fenomeno del bullismo, dai lavori di olweus (1993) inpoi, ci dicono che il problema esiste in tutti i paesi ove è stato indagato, seppur condiversi indici di gravità e differenti espressioni e l’italia non fa eccezione. La per-centuale di prepotenze, sia subite che agite, è risultata essere più consistente da noiche altrove (Fonzi, 1997).Anche nel nostro paese sono state condotte ricerche e studi al riguardo. Vieneregistrata una specificità, legata all’eccessivo numero di soggetti coinvolti nella po-polazione scolastica (ca. 40% degli intervistati). tale risultato, che ci pone di granlunga ai primi posti tra le popolazioni scolastiche in tutto il mondo, fa sorgere deidubbi sulla validità degli strumenti utilizzati per rilevare il fenomeno, soprattutto inriferimento all’utilizzo del termine per descriverlo.un dato su cui riflettere, soprattutto se messo a confronto con quelli degli altriPaesi europei, tutti di gran lunga inferiori: il 27% in Gran Bretagna, il 20% in ca- 54 nada, il 15% in spagna, il 6% in Finlandia. il fenomeno è indubbiamente preoccu-pante e necessita di un impegno attivo e fattivo da parte di tutte le agenzie educa-tive, ma allarmismi inutili vanno evitati: un’ipotesi forse ottimistica, ma sul pianologico piuttosto ragionevole, rimanda ad una questione sia concettuale che metodo-logica. infatti, i bambini italiani non sono più aggressivi di quelli degli altri Paesieuropei e le differenze, che emergono dalle ricerche sul fenomeno nelle varie na-zioni, possono essere attribuite anche ad altri fattori. in primis, un motivo culturale:gli italiani sono più abituati allo sberleffo, alla presa in giro, che nelle ricerche ita-liane vengono già considerati atti di bullismo, mentre in altre nazioni il fenomenosi limita alla fisicità o all’insulto verbale. non bisogna, poi, dimenticare la diffi-coltà di comparazione delle ricerche; in nazioni diverse si utilizzano termini dissi-mili, o termini simili con valenze semantiche differenti, contribuendo a sfasare ivalori ed i parametri di confronto delle stesse ricerche.in secondo luogo, è vero che le prepotenze ci sono sempre state, ma questonon significa che non abbiano avuto e non abbiano conseguenze negative sulla vitadelle persone coinvolte, sia per quanto riguarda le persone prepotenti che quelleche subiscono. L’interesse che in molti paesi viene dato a questi comportamenti ele misure messe in atto per ridurli sono conseguenza del riconoscimento di una loromaggiore pericolosità e del loro aumento. indipendentemente dal significato checiascuno di noi può dare ai comportamenti prepotenti (chi li considera negativi, chipositivi e necessari), è importante sapere che le ricerche hanno dimostrato unanetta correlazione da un lato tra bullismo persistente, comportamenti antisocialie criminalità, e dall’altro tra vittimismo e forti disagi personali e sociali.Le ricadute non sono da sottovalutare e investono lo sviluppo del bambino apiù livelli: da quello fisico, a quello emotivo, a quello sociale. non è un caso che levittime del fenomeno riportino problemi di insonnia, enuresi, dolori addominali,mal di testa e siano mediamente più tristi dei bambini che non subiscono i bulli. equeste ricadute possono degenerare fino a episodi depressivi gravi e a intenzionisuicidiarie. oltretutto, i problemi possono permanere nel tempo, e, spesso, i bam-bini vittime del bullismo diventano adolescenti con poca autostima e adulti de-pressi. Per non parlare delle conseguenze scolastiche: aumenta l’assenteismo, dimi-nuisce il desiderio di far bene e in compenso cresce la paura, per non parlare deglieffetti sul rendimento scolastico. 3.4. I protagonisti: bulli, vittime, spettatori Alcuni autori distinguono tre tipologie di “bulli”:– il bullo dominante: questi sono ragazzi per lo più maschi, più forti fisicamenteo psicologicamente rispetto ai compagni; presentano un’elevata autostima esono caratterizzati da un atteggiamento favorevole verso la violenza; dal puntodi vista delle credenze e della rappresentazione del problema, ritengono che 55 l’aggressività possa essere positiva, poiché aiuta ad ottenere ciò che si vuole esono sempre pronti a giustificare il proprio comportamento, assumendo atteg-giamenti di indifferenza e scarsa empatia verso la vittima; si caratterizzano percomportamenti aggressivi sia verso i compagni che verso gli adulti; oltre aprendere l’iniziativa nell’aggredire la vittima, sono anche capaci di istigarealtri compagni a farlo. Alcuni autori ritengono che i bulli abbiano un’elevataconoscenza sociale e notevoli abilità nella comprensione della mente del-l’altro, che utilizzano, però, al fine di manipolare la situazione a proprio van-taggio;– il bullo gregario: sono ragazzi più ansiosi dei primi, spesso con difficoltà a li-vello di rendimento scolastico, sono poco popolari nel gruppo ed insicuri, ingenere tendono a farsi trascinare nel ruolo di aiutante o sostenitore del bullo,poiché questo comportamento può dar loro un’identità ed un’opportunità di af-fermazione all’interno del gruppo;– il bullo-vittima: sono definiti anche vittime aggressive o provocatrici, i quali,pur subendo le prepotenze dei compagni, mostrano uno stile di interazione ditipo reattivo e aggressivo; spesso sono bambini emotivi, irritabili e con diffi-coltà di controllo delle emozioni; hanno atteggiamenti provocatori e iper-reat-tivi di fronte agli attacchi dei compagni; il loro comportamento agitato, accom-pagnato sovente da difficoltà sul piano cognitivo e dell’attenzione e da moda-lità provocatorie verso gli altri, innesca facilmente un circolo vizioso di elevataconflittualità; sono molto impopolari tra i compagni e provengono da contestifamiliari altamente conflittuali e coercitivi;La letteratura distingue due tipologie di “vittime”:– la vittima passiva: sono ragazzi tendenzialmente passivi che non sembranoprovocare in alcun modo le prepotenze subite; sono soggetti calmi, sensibili econtrari all’uso della violenza e, se maschi, più deboli fisicamente rispetto allamedia dei compagni; sono caratterizzati da un “modello reattivo ansioso o sot-tomesso” che segnala ai bulli la loro insicurezza, la passività e la difficoltà areagire di fronte alle prepotenze subite;– la vittima provocatrice: sono ragazzi che col loro comportamento irrequieto,iper-reattivo ed irritante provocano gli attacchi subiti e, spesso, contrattaccanole azioni dell’altro; questa categoria di vittime è sovrapponibile a quella dei“bulli-vittima”, ossia di quei soggetti che ottengono punteggi sopra la normasia di vittimizzazione che di bullismo, in quanto, oltre ad agire le prepotenze,le subiscono pure. Mario Becciu, Anna Rita Colasanti, Adriana Saba 57 4. La prevenzione del bullismo 4.1. gli interventi efficaci Gli interventi, soprattutto di tipo preventivo, sembrano dare dei buoni risultati.si riesce, infatti, a diminuire del 70-75% l’incidenza del fenomeno all’interno diuna comunità scolastica.tali interventi, di tipo sistemico, sono destinati all’intera comunità scolastica,alla componente direttiva, ai docenti e formatori, ai genitori, agli allievi, al perso-nale ausiliare e, coinvolgono, in rete, le diverse agenzie educative del territorio.Ma quali risultano essere gli interventi più efficaci per prevenire il fenomenodel bullismo in una comunità scolastica?A tal riguardo, Marco Malagutti, attigendo a Vreeman Rc et al., A SystematicReview of School-Based Interventions to Prevent Bullying. Arch. Pediatr. Adolesc.Med. (2007; 161, pp. 78-88), evidenzia come gli studi sull’argomento si moltipli-cano e sembrano evidenziare che esistono interventi anti-bullismo supportati dauna buona evidenza, anche se gli studi randomizzati sono piuttosto carenti. e la ri-cerca di strategie di intervento idonee a prevenire o a contrastare il bullismo acco-muna molti esperti in problematiche dell’infanzia e dell’adolescenza. su questalunghezza d’onda, un gruppo di ricerca statunitense ha effettuato una review dei si-stemi di intervento scolastico, per diminuire il bullismo, segnalati in letteratura.sono stati effettuati molti tentativi, sottolineano i ricercatori, con risultati contra-stanti. ecco perché, per cercare la massima oggettività possibile, si è pensato aduna review di tutti gli studi effettuati sull’argomento.Da MeDLine alla cochrane collaboration, gli autori hanno vivisezionatol’argomento, trovando 2090 citazioni: di queste ne sono state approfondite 56, dellequali 26 rientravano nei criteri di inclusione della review. i tipi di intervento esami-nati possono essere catalogati in curriculari (10 studi), ossia mirati a interveniresulle attività curriculari dei soggetti coinvolti; interventi multidisciplinari (10studi); gruppi di tecniche sociali (4 studi); tutoraggio (1 studio) e supporto socio-la-vorativo (1 studio). Dagli studi sono stati valutati parametri diretti (come il bul-lismo e la vittimizzazione) e indiretti (come il rendimento scolastico e l’autostima).i risultati? investire denaro in interventi antibullismo ha un senso, ma non tutti fun-zionano allo stesso modo. se, infatti, gli interventi cosiddetti di curriculum hannoinciso solo in 4 casi e, tra l’altro, solo in specifiche popolazioni, molto di più pos-sono gli interventi multidisciplinari, 7 dei quali hanno avuto effetto e, in partico-lare, sui più piccoli. il fatto è che il bullismo è un fenomeno articolato che vede più 58 soggetti protagonisti e più ambientazioni, un fenomeno socio-culturale, per cui l’in-tervento non può essere troppo mirato. ecco perché hanno fallito anche gli inter-venti socio-lavorativi. Le scuole devono essere in prima linea, ma non possono es-sere lasciate sole.il bullismo può essere contrastato in maniera efficace attraverso numerose stra-tegie, sia di tipo preventivo che di intervento sulla crisi, finalizzate a limitare l’a-zione del bullo e a supportare la vittima. La molteplicità delle tecniche e delle stra-tegie a disposizione risulta efficace nella misura in cui l’intervento coinvolge l’in-tera comunità educativa, in quanto un’azione estemporanea e individuale rischia dibloccarsi precocemente, senza portare alcun risultato degno di nota. La natura indi-viduale e sociale del problema offre ampi spazi d’intervento e di prevenzione ri-spetto ad altre forme di disagio e mette in luce le potenzialità educative e di recu-pero, che l’intera comunità educativa può assumere.esistono numerosi programmi antibullismo che, pur differenziandosi per alcuniaspetti, concordano per alcune linee di azione comuni. qualsiasi intervento dovreb-be partire dalla promozione della consapevolezza del problema tra i formatori, glistudenti e possibilmente i genitori, per mobilitare tutte le risorse necessarie a contra-stare il fenomeno. A tal fine si possono utilizzare conferenze, gruppi di discussionee materiale informativo-divulgativo. in secondo luogo, l’approccio al bullismo deveessere sistematico e globale, ossia l’intervento deve coinvolgere l’intera comunitàeducativa in tutte le sue componenti, in quanto l’azione del singolo educatore ri-schia di essere del tutto improduttiva, almeno nel medio e lungo termine. infine, ri-sulta necessaria la preparazione dei formatori e, spesso, anche del personale non do-cente sulle modalità utili a riconoscere il bullismo e ad intervenire su di esso. A ri-guardo si possono utilizzare training formativi, indirizzati ai formatori, insieme adesperienze di carattere più informale.A livello operativo, esistono forti differenze tra i programmi antibullismo. Dalpunto di vista della valutazione dell’efficacia, molti interventi basati su training perle abilità sociali utilizzati con bambini aggressivi, considerati incompetenti sulpiano emotivo, sociale e affettivo, hanno avuto esiti controversi. i limiti principalidi questi modelli di intervento sono: essere destinati in modo specialistico e quasiclinico ad un gruppo ristretto di bambini o ragazzi; essere realizzati unicamente daesperti esterni alla scuola. inoltre, alcuni ricercatori (Dishion, Mccord e Poulin,1999) hanno messo in evidenza i possibili effetti negativi e iatrogeni, che possonoverificarsi a seguito di interventi condotti a livello di gruppo con ragazzi problema-tici. i dati suggeriscono che ragazzi di età preadolescenziale e adolescenziale sonoparticolarmente vulnerabili all’aggregazione in gruppi ad alto rischio, anche se perfini formativi e di recupero. stando insieme, questi ragazzi rafforzano valori e com-portamenti negativi. oltre ad un training positivo, in questi contesti sembra presen-tarsi il rischio che si realizzi quello che gli studiosi dei processi di condizionamentohanno definito “training di devianza”.in presenza di questi risultati, che sottolineano i limiti di un modello troppo fo- 59 calizzato sull’individuo, appare importante adottare un approccio ecologico e siste-mico in grado di attivare un processo di cambiamento non solo tra i bulli e le vit-time, ma nel clima, nelle norme e nei valori della comunità educativa nel suo com-plesso (Fedeli, 2007, pp. 15-21; Menesini, 2000, pp. 46-48).Data la maggiore facilità di agire nella scuola, piuttosto che intervenire sullequestioni più ampie a livello sociale e familiare, gli interventi in ambito scolasticosono diventati lo strumento più utilizzato per ridurre il bullismo.A questo punto è opportuno chiedersi quali sono le dimensioni che possono fa-vorire il buon esito di un intervento antibullismo. in particolare, gli elementi chepossono incidere riguardano sia le caratteristiche personali, sia i fattori esterni le-gati al contesto, nel quale il fenomeno si manifesta. eccone una sintesi.• Età. tra i fattori personali, una variabile molto importante sembra essere l’età.È stato rilevato, infatti, nella maggior parte delle ricerche, che agire su bambinidella scuola primaria, piuttosto che su quelli della secondaria, favorisce esitimigliori. questo perché modificare il comportamento di ragazzi di scuola se-condaria è un compito più arduo e non sempre facile da realizzare. Pertanto, sisuggerisce di attivare politiche di prevenzione con soggetti in età precoce.• Clima sociale della scuola. Poiché gli atti di bullismo sono, spesso, influenzatidal clima sociale ed educativo dell’ambiente in cui i ragazzi sono inseriti, unfattore che fa sì che un intervento porti a esiti positivi è legato alla capacità dicreare un clima positivo all’interno della classe e dell’istituto da parte delle fi-gure educative. Per fare questo, è necessario puntare ad un’elevata sensibiliz-zazione degli adulti significativi. Molto spesso, infatti, sono proprio questi che,inconsapevolmente, rinforzano i comportamenti del bullo, non intervenendoquando li mette in atto o assumendo essi stessi comportamenti di prevarica-zione nei confronti dei ragazzi.• Coinvolgimento della comunità. un’altra dimensione importante sul piano so-ciale riguarda il coinvolgimento della comunità. Gli interventi che mobilitanol’opinione pubblica a livello generalizzato portano maggiori risultati. ciò puòsembrare dispersivo o eccessivamente costoso, ma il cambiamento sociale siattua, in primo luogo, a livello di comunità e prevede l’ampliamento del raggiodi sensibilizzazione dalla scuola alla società più vasta.• Durata dell’intervento. Anche la durata dell’intervento è molto importante. inparticolare, si riscontrarono risultati significativi dopo 18 mesi di sperimenta-zione. La maggior parte degli studiosi concorda su quest’ipotesi e indica cometempi di durata ottimale periodi superiori a un anno.• Carattere stabile o episodico dell’esperienza. il buon esito di un intervento an-tibullismo dipende anche dal carattere stabile nel tempo: contesti che hannomantenuto un significativo investimento nel progetto, al di là della sperimenta-zione iniziale, hanno avuto esiti migliori rispetto a quelli coinvolti solo per unbreve periodo. Gli ingredienti per programmi efficaci e di lungo periodo sonoda rintracciarsi in due elementi chiave: l’efficacia del progetto nei primi anni 60 d’attuazione, in quanto un buon inizio sembra garantire maggiori probabilità dimantenimento, le risorse disponibili e l’impegno che lo staff mette nel progetto(Menesini, 2007). 4.2. Il coinvolgimento della comunità educativa un intervento a livello di comunità educativa coinvolge tutte le figure che sioccupano dell’azione educativa del ragazzo durante il suo percorso di crescita eformazione. il coinvolgimento della comunità educativa presuppone l’assunzionedi una politica antibullismo, che consiste nell’atto consapevole, deliberato e orga-nizzato, con cui la comunità, in tutte le sue componenti, stabilisce che il bullismonon è accettabile in alcuna forma e che verranno attuate tutte le misure preventive erieducative necessarie a contrastarlo.sul piano operativo, l’obiettivo è quello di potenziare la collaborazione tra lediverse agenzie educative, al fine di elaborare e attuare un intervento a più livelli,nella scuola e nel territorio, con iniziative specifiche rivolte alle famiglie e ai sin-goli ragazzi in difficoltà.ciò non significa semplicemente fermare le prepotenze, ma lavorare per otte-nere comportamenti positivi tra ragazzi e adulti.Gli obiettivi di un programma antibullismo, che coinvolge l’intera comunitàeducativa, possono essere così riassunti:• stabilire un ethos antibullismo, ossia adottare un’unica politica ed un codicepratico tra tutte le agenzie educative, al fine di ripudiare qualsiasi forma di ag-gressività e di mancanza di rispetto tra le persone in interazione; controllare eridurre le condotte aggressive. Allo stesso tempo, dovrebbero essere valorizzatitutti quei comportamenti prosociali che troppo spesso rimangono inosservati.• coinvolgere e responsabilizzare tutte le componenti della comunità educativa(scuola, famiglia, associazioni sportive e di volontariato, parrocchia ecc.), af-finché agiscano in modo organizzato e mirato per contrastare il bullismo.• saper scegliere la giusta modalità d’intervento, in quanto l’azione antibullismorichiede una molteplicità di strumenti da utilizzare in modo specifico in basealle caratteristiche dell’episodio di bullismo e dei soggetti coinvolti. Data l’e-strema eterogeneità del problema, è impensabile che una singola strategiapossa funzionare sempre e comunque.• Aiutare tutte le figure educative coinvolte nel percorso di crescita dei ragazzi acapirne lo sviluppo sociale ed educativo, offrendo loro le informazioni e glistrumenti opportuni.• Provvedere ad attivare efficaci servizi per le singole istituzioni e per i singoliindividui.• Registrare tutti i fallimenti ed i successi delle azioni contrastanti il bullismo mes-se in atto, al fine di possedere un’analisi valutativa degli interventi e ridefinire inquesto modo le strategie migliori (Besag, 1999; Fedeli, 2007, pp. 24-25). 61 4.3. Il coinvolgimento dei formatori i formatori, impegnati quotidianamente nell’attività educativa e formativa deiragazzi, sono importanti figure che, grazie alla loro presenza costante, possonosvolgere un ruolo cruciale nel contrastare il bullismo.il ruolo dei formatori diventa importante sia nel prevenire l’insorgenza del fe-nomeno che nel bloccarlo, quando è già in atto.Rispetto alla prevenzione si possono percorrere due strade: da un lato si puòcreare un ambiente (fisico e sociale) favorevole allo sviluppo di relazioni proso-ciali, dall’altro si può ricorrere all’utilizzo di training di abilità, in modo tale da tra-smettere ai ragazzi (bulli, vittime e spettatori) le competenze relazionali di cui,spesso, sono carenti.Per creare un ambiente prosociale il formatore può adottare strategie utili adincrementare le relazioni amichevoli e cooperative tra gli allievi. questo implicaimpostare sia i momenti didattici che quelli meno strutturati, in modo tale da pro-muovere la conoscenza tra i ragazzi, la valorizzazione delle differenze individuali el’aiuto reciproco. Affinché le strategie adottate conducano a risultati significativi, èimportante che vengano impiegate in modo continuativo e coerente da parte deiformatori, in quanto esperienze improvvisate o isolate rischiano di produrre diso-rientamento negli allievi e frustrazione nei formatori. Di seguito verranno breve-mente descritte alcune delle strategie preventive che si possono utilizzare per pro-muovere interazioni prosociali.• Il cooperative learning. si tratta di un modello attivo di costruzione delle co-noscenze che valorizza differenti stili cognitivi nell’apprendimento. questamodalità di lavoro pone al centro l’apprendimento cooperativo che si verificasolamente quando il raggiungimento dell’obiettivo dipende dalla collabora-zione tra tutti i membri del gruppo. Attraverso questa strategia si valorizzano ledifferenze individuali nel modo di affrontare il lavoro, si favorisce il supportoreciproco tra gli allievi, si promuove un senso di appartenenza, si migliorano irapporti di amicizia. Affinchè questi risultati siano tangibili, è opportuno chel’attività cooperativa sia attentamente progettata dal formatore; inoltre, la valu-tazione del lavoro dovrebbe riguardare non solo il prodotto finale, ma anche ilprocesso interpersonale che l’ha generato. infine, è importante sottolineare cheil cooperative learning non può essere un’esperienza saltuaria e improvvisata,ma deve integrarsi il più possibile nella normale attività didattica.• L’approccio curricolare. Durante l’attività curricolare in classe è possibiletrattare e capire alcuni concetti strettamente legati al fenomeno del bullismo.Attraverso la storia, la letteratura, la cinematografia o a partire dalle proble-matiche sociali si possono rintracciare episodi o situazioni riconducibili allaproblematica del bullismo. in questi casi lo stimolo culturale diventa un’occa-sione per realizzare una riflessione sul tema e per riportare la discussione a li-vello personale. L’obiettivo è quello di acquisire una consapevolezza del pro- 62 blema, delle motivazioni che ne sono alla base e delle conseguenze che puògenerare.• Il circle time. questa strategia si caratterizza come una modalità di discussionedi gruppo, durante la quale possono essere trattati argomenti di interesse co-mune. Le sedie devono essere collocate in circolo, in modo tale che possa es-serci contatto oculare diretto tra tutti i soggetti. È importante che il formatorepartecipi all’attività, sedendo in circolo con gli allievi, facilitando e guidandola discussione, assicurando il rispetto delle regole e garantendo la partecipa-zione di tutti i ragazzi. L’obiettivo di questa strategia è quello di favorire losviluppo di abilità interpersonali; infatti, gli allievi imparano a comunicare, arispettare i turni, a comprendere i punti di vista altrui, a dialogare su temi im-portanti. inoltre, è favorita la conoscenza reciproca e la tolleranza.L’utilizzo di strategie preventive non può trascurare l’importanza di rendere si-curo e protetto il contesto in cui si svolge l’attività didattica. Per rendere l’ambientemaggiormente sicuro, è importante aumentare il livello di supervisione nelle areepiù a rischio, esplicitare e condividere con gli allievi una serie di regole riguardantii momenti meno strutturati, prevedere un’organizzazione degli spazi tale da evitareluoghi particolarmente nascosti, difficilmente controllabili.La seconda strada percorribile, in merito alla prevenzione del bullismo, fa rife-rimento all’utilizzo di training di abilità da parte dei formatori. spesso, all’originedel comportamento problematico, esiste l’assenza di alcune abilità fondamentali perinteragire efficacemente con gli altri. Ad esempio, un allievo con scarse abilità so-ciali può rischiare di rimanere isolato dal resto dei compagni; per evitare che si veri-fichi questa situazione potrebbe assumere dei comportamenti da bullo, che gli con-sentono di imporsi al gruppo dei coetanei. oppure, un ragazzo carente di abilitàemozionali potrebbe non reagire in maniera adeguata di fronte a piccole provoca-zioni. una modalità efficace per contrastare questo fenomeno consiste nel predi-sporre training di abilità (comunicative, sociali, emozionali ecc.) che presentano ilvantaggio di poter essere applicati all’intero gruppo classe, evitando in questo mododi concentrare l’attenzione sul singolo caso, migliorando, inoltre, le competenze re-lazionali e affettive di tutti i ragazzi. trattandosi di interventi a largo spettro, si au-menta anche la possibilità dei ragazzi di non incorrere in un’ampia gamma di distur-bi dell’età evolutiva. i training di abilità, indipendentemente dalla tipologia, condi-vidono l’obiettivo di fondo di trasmettere all’allievo quelle abilità che fungono dafattori di protezione contro l’insorgenza dei disturbi comportamentali.Riguardo agli interventi sopra descritti, è importante precisare che i risultatimigliori si ottengono nel momento in cui la loro applicazione è sistematica e conti-nuata nel tempo. Al contrario, esperienze saltuarie portano dei benefici limitati etransitori, causando frustrazione nei formatori e negli allievi. inoltre, sarebbe op-portuno inserire queste strategie, in maniera stabile e organica, all’interno dellanormale programmazione didattica. in questo modo si può raggiungere una piùcompleta coerenza tra crescita cognitiva ed emotiva. 63 nel fronteggiare il bullismo il formatore dovrà essere in grado non solo di pre-disporre interventi e programmi in grado di prevenire il fenomeno, ma anche di in-tervenire attraverso strategie specifiche, che permettano di gestire i momenti dicrisi nella maniera più rapida ed efficace possibile. È importante precisare che, cosìcome per gli interventi preventivi, non esistono tecniche miracolose o valide inogni situazione; piuttosto l’intervento dovrà tenere in considerazione le caratteri-stiche dei soggetti coinvolti e del contesto. A riguardo risultano fondamentali al-cune competenze del formatore:• la capacità di analizzare la situazione in maniera razionale, dando il giusto va-lore ai comportamenti prepotenti. ciò implica una conoscenza completa del fe-nomeno e della situazione ambientale di cui ci si sta occupando. A tal propo-sito sarebbe opportuno effettuare un’indagine per rilevare la presenza del feno-meno e portare allo scoperto eventuali situazioni nascoste;• la capacità di intervenire tempestivamente nei singoli episodi con la possibilitàdi ricorrere ad un ampio ventaglio di strategie apprese e sperimentate, al finedi evitare pericolose improvvisazioni;• la flessibilità operativa consistente nel riconoscere quando una strategia è inef-ficace, sostituendola con altre maggiormente idonee;• un atteggiamento di rispetto verso l’allievo, finalizzato a promuovere le abilitàdi quest’ultimo, evitando atteggiamenti paternalistici e addirittura svalutanti;• un atteggiamento il meno punitivo e colpevolizzante possibile, in cui il bul-lismo diventa un problema da risolvere tutti insieme, in cui il gruppo e laclasse diventano i soggetti principali del cambiamento;• la capacità di creare un clima sicuro al fine di stimolare e favorire lo sviluppodella cultura del “raccontare”, in cui l’adulto aiuta il ragazzo a dire ciò che ac-cade con chiarezza;• la capacità di supportare le vittime che nelle situazioni di bullismo sono le perso-ne più bisognose di aiuto immediato. solo quando le prepotenze finiscono, si pos-sono far presenti alla vittima le sue difficoltà relazionali ed aiutarla a risolverle;• la capacità di aiutare i prepotenti, i quali sono persone che utilizzano modalitàinadeguate per affrontare i conflitti sociali (Facchinetti, 2011; Fedeli, 2007;Menesini, 2000). 4.4. Il coinvolgimento dei genitori considerati i rischi evolutivi che il fenomeno del bullismo può comportare, èimportante che i genitori conoscano il fenomeno e che sappiano mettere in attostrategie finalizzate a contrastarlo.il primo impegno del genitore dovrebbe essere quello di porre attenzione a ri-conoscere il bullismo, facendo riferimento agli indicatori che permettono di indivi-duare vittime e bulli. Dopodiché è opportuno sapere che cosa fare per bloccarlo. 64 in generale, è possibile tenere presenti i seguenti suggerimenti educativi:– non minimizzare il problema, facendo capire al proprio figlio, sia esso vittima,bullo o spettatore, che è importante considerare seriamente la questione ripor-tata, creando un clima di ascolto attivo e di fiducia;– favorire il dialogo, evitando di assumere un atteggiamento colpevolizzante epunitivo, ma, al contrario, potenziare il dialogo e la comunicazione;– evitare di assumere posizioni estreme (di accusa o di difesa) nei confronti delproprio figlio, adottando una visione reale del problema, in cui si comprendachiaramente quali sono le motivazioni che hanno portato ciascun attore coin-volto ad adottare un determinato comportamento;– prestare attenzione al vissuto emotivo del proprio figlio, cercando di far emer-gere le emozioni del ragazzo rispetto all’accaduto e tentando di mettersi neisuoi panni;– invitare il proprio figlio a chiedere aiuto, facendogli capire che chiedere aiutoad un adulto di riferimento non è un atto di debolezza, ma un modo coraggiosoper portare alla luce il problema;– trovare una soluzione al problema insieme al proprio figlio, coinvolgendolo at-tivamente nella ricerca di strategie adeguate ed efficaci per la risoluzione delproblema;– aiutare il proprio figlio ad assumersi la consapevolezza dei propri atteggia-menti, insegnandogli a riconoscere eventuali comportamenti che possono irri-tare o infastidire gli altri e farlo riflettere sulle conseguenze delle proprieazioni, offrendo, eventualmente, suggerimenti di possibili condotte alternative;– rivolgersi ad esperti, qualora la famiglia dovesse rendersi conto di non averestrumenti adeguati per gestire la situazione (AA.VV., 2011).un altro aspetto da tenere in considerazione riguarda l’importanza di attivareuna collaborazione tra la famiglia e i formatori, al fine di programmare interventicoerenti e continuativi nel tempo.in presenza di comportamenti problematici può capitare che formatori e geni-tori si accusino a vicenda rispetto alla responsabilità degli accadimenti. ciò suc-cede, soprattutto, quando il dialogo tra le due parti avviene nei momenti di crisi e cisi trova già di fronte ad episodi di aggressività conclamata. uno scambio costrut-tivo dovrebbe avvenire nei periodi di quiete, quando non sono presenti problemi si-gnificativi e tutti i protagonisti hanno un tono emotivo più calmo e controllato.un modo per favorire un rapporto di collaborazione tra formatori e genitoripuò consistere nell’attivare una serie di incontri per genitori, durante i quali ven-gono affrontate le principali tematiche del bullismo. questa comunicazione è fina-lizzata a far conoscere alle famiglie i danni che il fenomeno può provocare e a mo-tivarle ad una maggiore attenzione nei confronti del problema. insieme alle infor-mazioni inerenti le modalità in cui il bullismo si manifesta, è opportuno offrire aigenitori indicazioni circa le possibili strategie esistenti per sconfiggere il feno- 65 meno. questi incontri rappresentano un’occasione di confronto tra i formatori e igenitori e tra gli stessi genitori ed un momento di condivisione di eventuali ansie eproblemi.È consigliabile che i genitori siano costantemente informati circa le condottedei propri figli. È importante considerare che, se anche alcuni episodi si possanoconsiderare risolti, il problema alla base potrebbe non esserlo (Fedeli, 2007, p. 41). 4.5. Il coinvolgimento dei pari una modalità utile a prevenire e contrastare il fenomeno del bullismo è costi-tuita dal supporto tra i pari. È possibile, infatti, promuovere le naturali capacità deiragazzi di dare e ricevere aiuto. tra i vari modelli di aiuto tra i pari (Rigby, 1996)alcuni possono contribuire alla riduzione del bullismo in modo indiretto, quali il tu-toring, perlopiù applicato a contesti di aiuto e supporto sul piano dell’apprendi-mento, e la consulenza nell’ambito dell’orientamento scolastico. Altre tipologied’intervento mirano direttamente a prevenire e ridurre il fenomeno, come il mo-dello dell’“operatore amico” (Menesini-Benelli, 1999), l’approccio della consu-lenza dei pari (cowie-sharp, 1996), il modello della mediazione dei conflitti inter-personali (Fernandez, 1998).nel modello dell’“operatore amico”, i ragazzi che svolgono il ruolo di opera-tori fungono da sostegno per i nuovi ragazzi, assumono un ruolo attivo nei mo-menti di pausa dall’attività didattica, organizzano giochi o altre attività. coloro cheaiutano i compagni sono in genere selezionati sulla base delle loro caratteristichepersonali, del loro desiderio di partecipare all’iniziativa e di aiutare gli altri. Attra-verso un training iniziale di orientamento, spesso sotto forma di seminari di ungiorno o più, i soggetti iniziano il loro processo di formazione ed apprendono il si-gnificato, i valori e lo scopo dell’approccio centrato sull’aiuto. successivamente,sono previsti momenti di supervisione, in cui coloro che hanno il compito di aiutaregli altri possano discutere dei problemi incontrati e dei possibili progressi, tro-vando, in questo modo, un’occasione di sostegno reciproco.L’approccio della consulenza dei pari costituisce una forma di aiuto più strut-turata rispetto alla precedente. questa metodologia prevede l’ascolto in gruppo,l’attivazione di una linea telefonica di aiuto gestita dai ragazzi e la creazione di unospazio, dove sia possibile accogliere la richiesta di aiuto dei compagni. Le finalitàdel programma sono: aumentare i servizi di supporto e di aiuto presenti nella co-munità scolastica; fornire ai ragazzi che operano come consulenti le competenzeper fronteggiare i problemi dei loro coetanei e quelli personali; affrontare i bisognipsicosociali del gruppo; creare un contesto sociale e psicologico più positivo.il modello della mediazione dei conflitti è un metodo utilizzato per la risolu-zione dei contrasti attraverso la mediazione dei coetanei. La finalità dell’interventoè quella di creare un clima di collaborazione e di ascolto che permetta di pervenire 66 ad una situazione di accordo reciproco, in cui le parti in conflitto risultano soddi-sfatte della soluzione negoziata. i ragazzi addestrati ad essere mediatori incontranoi contendenti prima separatamente e, poi, in un incontro di mediazione. i ragazzicoinvolti nel conflitto vengono invitati a raccontare l’accaduto, ad esprimere ipropri bisogni e a cercare una soluzione comune. i mediatori, per poter svolgerequesto ruolo, devono partecipare ad un training, nel quale viene insegnato loro adascoltare attivamente, a riflettere sui sentimenti, a riformulare affermazioni e do-mande e a risolvere i problemi.questi approcci presentano i vantaggi di: coinvolgere attivamente i ragazzi nelcontrastare il bullismo, permettere di costruire un ponte tra il mondo degli adulti equello dei ragazzi, dare l’opportunità di trovare supporto in persone che apparten-gono al proprio mondo generazionale. 67 5. Linee giuda ispirate al sistema preventivo didon Bosco per la prevenzione e il trattamentodel bullismo tra gli allievi dei CFp1 Considerato il fatto che il fenomeno del bullismo ...– è una particolare forma di aggressività, caratterizzata da intenzionalità, persi-stenza e asimmetria di forze in campo, che si manifesta fra coetanei in situa-zioni di gruppo e che, spesso, viene sottovalutato, perché confuso con spora-dici episodi di violenza o conflittualità tra coetanei;– comporta gravi rischi evolutivi sia per il bullo che per la vittima;– trova nella scuola il luogo di maggior diffusione e contagio e si può manife-stare fin dalla tenera età ed è presente anche nei nostri centri;– quanto più si ignora tanto più tende ad aumentare, mentre, tanto più si inter-viene e, soprattutto, quanto prima si interviene, tanto più tende a diminuire e ascomparire;– attualmente si sta sviluppando anche in forme nuove tramite il proliferare dellenuove tecnologie (cyberbulling); e che a motivo del significato che esso assume in quanto è espressione di...• una cultura prevaricatrice, competitiva e violenta, basata sulla legge del piùforte e sui principi di deumanizzazione della vittima;• un disagio relazionale che accomuna bulli, vittime e supporters;• un forte disimpegno morale diluito nella contemporanea partecipazione di piùattori;• processi di annullamento della dignità delle persone coinvolte;• un repertorio personale caratterizzato da incompetenze sociali ed emotive; contrasta visibilmente con i principi fondativi e con la carta dei valori, cui siispirano le azioni educative dei CFP del CNOS-FAP, caratterizzati da unacultura educativa basata su:• l’accoglienza e la valorizzazione delle diversità;• la ragione, la religione e l’amorevolezza come orizzonte pedagogico praticatosoprattutto nei confronti dei più deboli; 1 Parte redatta dai formatori del cnos-FAP partecipanti al corso di formazione, realizzato aRoma nei giorni 11-15 luglio 2011, avente per tema “La prevenzione del bullismo nei CFP”. 68 • la formazione di “buoni cristiani ed onesti cittadini”;• la centralità del giovane ed il suo bene;• la modalità formativa, basata sulla costruzione di un clima di famiglia;• valori etici e giuridici condivisi, come:- il rispetto della persona e dei suoi inalienabili diritti;- il principio di uguaglianza di tutti i cittadini;- i diritti fondamentali dei minori, come il diritto alla salute, al benesserepsico-fisico, all’istruzione di qualità, alla protezione da parte degli adulti edelle agenzie a ciò preposte nel territorio; riteniamo che in ogni CFP si debbano potenziare:– la cultura della solidarietà, dell’altruismo e dell’accoglienza;– la tradizione salesiana improntata alla realizzazione di relazioni familiari;– la centralità delle esigenze e dei bisogni di ciascun giovane, con particolar rife-rimento ai più deboli;– le prassi educative tipiche del sistema preventivo di don Bosco, affinché cia-scun giovane “sappia di essere amato”. A tal fine e in riferimento allo specifico tema del fenomeno del bullismo neiCFP CNOS-FAP, con il seguente decalogo, si suggerisce di:1. sensibilizzare l’intera comunità educativa, in tutte le sue componenti, affinchénei centri si realizzino campagne antibullismo attraverso il coinvolgimento si-nergico di tutti gli educatori e gli allievi;2. coinvolgere la componente genitoriale in tutte le fasi della progettazione e rea-lizzazione della campagna antibullismo;3. privilegiare interventi di tipo educativo secondo l’approccio preventivo pro-mozionale;4. dare la giusta importanza al fenomeno, evitando di sottovalutare o minimizzaretale forma di disagio relazionale a motivo delle pesanti conseguenze cui vannoincontro bulli e vittime;5. incrementare i livelli di monitoraggio da parte dei formatori ed assistenti so-prattutto negli spazi e nei tempi informali della vita del centro;6. rendere gli allievi non solo destinatari, ma protagonisti sin dalla fase dell’idea-zione, pianificazione e realizzazione della campagna antibullismo;7. ricorrere agli strumenti tipici della tradizione salesiana che risultano essereparticolarmente efficaci nel prevenire e contrastare tale fenomeno, come: l’as-sistenza tramite la presenza attiva dei formatori, la responsabilizzazione dei ra-gazzi più grandi per assistere i più piccoli (l’attuale peer-education), la ge-stione dei ragazzi difficili attraverso l’incoraggiamento (vedasi come donBosco trattò Michele Magone), la valorizzazione delle attività extrascolastiche;8. realizzare programmi di coinvolgimento diretto dei ragazzi in progetti di soli-darietà, di prosocialità e di missionarietà; 69 9. realizzare percorsi di educazione alla cittadinanza e alla legalità;10. intervenire con capacità educativa in presenza di fenomeni di bullismo, sia neiconfronti dei ragazzi prevaricatori, sia in coloro che hanno subito le azioni vio-lente, sia nei confronti degli allievi spettatori, affinché tali realtà possano di-ventare occasione per migliorare la propria capacità di vivere con se stessi econ gli altri. 71 BIBLIOgRAFIA ADAMo s.M.G., VALeRio P. 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A history of violence2. Basta guardare il cielo3. Bowling at columbine4. carrie-lo sguardo di satana5. elephant6. evil-il ribelle7. Fuga dalla scuola media8. Game over9. i ragazzi del coro10. i ragazzi della 56^strada11. il ragazzo dai capelli verdi12. jimmi Grimble13. L’odio14. La forza del singolo (the power of the one)15. La petite vendeuse de soleil16. Mean creek17. quando sei nato non puoi nasconderti18. Pensieri pericolosi19. Promesse20. see you after school21. signore delle mosche 122. signore delle mosche 223. stand by me - Ricordo di un’estate24. tarzan di gomma25. togliamoci la maschera26. un sogno per domani27. senza traccia - telefilm 80 28. settimo cielo - telefilm29. La gabbianella e il gatto30. Momo31. tarkel in trouble32. the simpson - Bart il grande33. Ant Bulli - una vita da formica34. un ponte per terabithia 81 INDICE Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 1. L’approccio preventivo-promozionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91.1. nascita e sviluppo della prevenzione nella salute mentale . . . . . . . . . . . . . . . 91.1.1. La prevenzione nella salute mentale: origini e sviluppi . . . . . . . . . . . 91.1.2. La prevenzione nella salute mentale: i maggiori contributi teorici . . 131.2. La prevenzione nella salute mentale: criteri di classificazione . . . . . . . . . . . 171.2.1. La prevenzione primaria nella salute mentale: ulteriori specificazioni 191.2.2. La prevenzione nella salute mentale: quali ostacoli? . . . . . . . . . . . . . 211.3. L’approccio preventivo-promozionale con gli adolescenti . . . . . . . . . . . . . . . 221.3.1. Modelli interpretativi dell’adolescenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 231.3.2. Implicazioni educative . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 241.3.3. Livelli di intervento secondo l’ottica promozionale . . . . . . . . . . . . . . 261.4. il gruppo dei pari in adolescenza: fattore protettivo o fattore di rischio? . . . . 27 2. I comportamenti problema nei CFp: quali interventi educativi? . . . . . . . . . . 33introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 332.1. il comportamento disadattivo: descrizione e interpretazioni . . . . . . . . . . . . . 332.2. Modi inadeguati di gestire i comportamenti disadattivi . . . . . . . . . . . . . . . . . 352.3. interventi educativi possibili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 362.3.1. Cosa fare prima . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 372.3.2. Cosa fare durante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 382.3.3. Cosa fare dopo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 392.4. La prevenzione dei comportamenti aggressivi: rassegna di alcuni programmivalidati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 402.4.1. Programmi universali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 412.4.2. Programmi selettivi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 432.4.3. Interventi specifici o indicati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 442.4.4. Interventi universali, selettivi, indicati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 462.4.5. Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47 3. Il bullismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 493.1. Definizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 493.1.1. Il Cyberbullismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 513.2. caratteristiche e forme . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 523.3. Dati epidemiologici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 533.4. i protagonisti: bulli, vittime, spettatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54 4. La prevenzione del bullismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 574.1. Gli interventi efficaci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 574.2. il coinvolgimento della comunità educativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60 82 4.3. il coinvolgimento dei formatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 614.4. il coinvolgimento dei genitori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 634.5. il coinvolgimento dei pari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65 5. Linee guida ispirate al sistema preventivo di don Bosco per la prevenzione e iltrattamento del bullismo tra gli allievi dei CFp . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67 Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71 Sitografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77 Filmografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79 83 Pubblicazioni 2002-2011 nella collana del CNOS-FAP e del CIOFS/FP “STUDI, PROGETTI, ESPERIENZE PER UNA NUOVA FORMAZIONE PROFESSIONALE” ISSN 1972-3032 Sezione “Studi” 2002 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimenta- zione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto finale, 2002 2003 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XIV seminario di formazione europea. 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(a cura di), Le parole chiave della forma- zione professionale, 2004 RUTA G., Etica della persona e del lavoro, 2004 2005 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XVI seminario di formazione europea. La formazione professio- nale fino alla formazione superiore. Per uno sviluppo in verticale di pari dignità, 2005 D’AGOSTINO S. - MASCIO G. - NICOLI D., Monitoraggio delle politiche regionali in tema di istruzione e formazione professionale, 2005 PIERONI V. - MALIZIA G. (a cura di), Percorsi/progetti formativi “destrutturati”. Linee guida per l’inclusione socio-lavorativa di giovani svantaggiati, 2005 2006 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XVII seminario di formazione europea. Il territorio e il sistema di istruzione e formazione professionale. L’interazione istituzionale per la preparazione delle giovani generazioni all’inserimento lavorativo in rapporto agli obiettivi di Lisbona, 2006 NICOLI D. - MALIZIA G. - PIERONI V., Monitoraggio delle sperimentazioni dei nuovi percorsi di istruzione e formazione professionale nell’anno formativo 2004-2005, 2006 2007 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XVIII seminario di formazione europea. Standard formativi nell’istruzione e nella formazione professionale. Roma, 7-9 settembre 2006, 2007 COLASANTO M. - LODIGIANI R. (a cura di), Il ruolo della formazione in un sistema di welfare attivo, 2007 DONATI C. - BELLESI L., Giovani e percorsi professionalizzanti: un gap da colmare? Rapporto finale, 2007 MALIZIA G. (coord.) - ANTONIETTI D. - TONINI M. (a cura di), Le parole chiave della forma- zione professionale. II edizione, 2007 MALIZIA G. - PIERONI V., Le sperimentazioni del diritto-dovere nei CFP del CNOS-FAP e del CIOFS/FP della Sicilia. Rapporto di ricerca, 2007 84 MALIZIA G. - PIERONI V., Le sperimentazioni del diritto-dovere nei CFP del CNOS-FAP e del CIOFS/FP del Lazio. Rapporto di ricerca, 2007 MALIZIA G. et alii, Diritto-dovere all’istruzione e alla formazione e anagrafe formativa. Pro- blemi e prospettive, 2007 MALIZIA G. et alii, Stili di vita di allievi/e dei percorsi formativi del diritto-dovere, 2007 NICOLI D. - FRANCHINI R., L’educazione degli adolescenti e dei giovani. Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2007 NICOLI D., La rete formativa nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP, 2007 PELLEREY M., Processi formativi e dimensione spirituale e morale della persona. Dare senso e prospettiva al proprio impegno nell’apprendere lungo tutto l’arco della vita, 2007 RUTA G., Etica della persona e del lavoro, Ristampa 2007 2008 CIOFS/FP, Atti del XIX seminario di formazione europea. Competenze del cittadino europeo a confronto, 2008 COLASANTO M. (a cura di), Il punto sulla formazione professionale in Italia in rapporto agli obiettivi di Lisbona, 2008 DONATI C. - BELLESI L., Ma davvero la formazione professionale non serve più? Indagine conoscitiva sul mondo imprenditoriale, 2008 MALIZIA G., Politiche educative di istruzione e di formazione. La dimensione internazionale, 2008 MALIZIA G. - PIERONI V., Follow-up della transizione al lavoro degli allievi/e dei percorsi triennali sperimentali di IeFP, 2008 PELLEREY M., Studio sull’intera filiera formativa professionalizzante alla luce delle strategie di Lisbona a partire dalla formazione superiore non accademica. Rapporto finale, 2008 2009 GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1977, vol. 1, 2009 2010 DONATI C. - BELLESI L., Verso una prospettiva di lungo periodo per il sistema della formazione professionale. Il ruolo della rete formativa. Rapporto finale, 2010 NICOLI D., I sistemi di istruzione e formazione professionale (VET) in Europa, 2010 PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., La valigia del “migrante”. Per viaggiare a Cosmopolis, 2010 PRELLEZO J.M., Scuole Professionali Salesiane. Momenti della loro storia (1853-1953), 2010 ROSSI G. (a cura di), Don Bosco, i Salesiani, l’Italia in 150 anni di storia, 2010 2011 ROSSI G. (a cura di), “Fare gli italiani” con l’educazione. L’apporto di don Bosco e dei Sale- siani, in 150 anni di storia, 2011 Sezione “Progetti” 2003 BECCIU M. - COLASANTI A.R., La promozione delle capacità personali. Teoria e prassi, 2003 CIOFS/FP (a cura di), Un modello per la gestione dei servizi di orientamento, 2003 CIOFS/FP PIEMONTE (a cura di), L’accoglienza nei percorsi formativo-orientativi. Un ap- proccio metodologico e proposte di strumenti, 2003 CIOFS/FP PIEMONTE (a cura di), Le competenze orientative. Un approccio metodologico e proposte di strumenti, 2003 CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione delle unità didattiche, 2003 COMOGLIO M. (a cura di), Prova di valutazione per la qualifica: addetto ai servizi di impresa. Prototipo realizzato dal gruppo di lavoro CIOFS/FP, 2003 FONTANA S. - TACCONI G. - VISENTIN M., Etica e deontologia dell’operatore della FP, 2003 GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo, 2003 MARSILII E., Guida per l’accompagnamento al lavoro dipendente, 2003 TACCONI G. (a cura di), Insieme per un nuovo progetto di formazione, 2003 VALENTE L. - ANTONIETTI D., Quale professione? Strumento di lavoro sulle professioni e sui percorsi formativi, 2003 85 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale alimentazione, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale aziendale e amministrativa, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale commerciale e delle vendite, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale estetica, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale sociale e sanitaria, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale tessile e moda, 2004 CIOFS/FP BASILICATA, L’orientamento nello zaino. Percorso nella scuola media inferiore. Diffusione di una buona pratica, 2004 CIOFS/FP CAMPANIA (a cura di), ORION tra orientamento e network, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale elettrica e elettronica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale grafica e multimediale, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale meccanica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale turistica e alberghiera, 2004 NICOLI D. (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema del- l’istruzione e della formazione professionale, 2004 NICOLI D. (a cura di), Sintesi delle linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale, 2004 2005 CIOFS-FP SICILIA (a cura di), Operatore Servizi Turistici in rete. Rivisitando il progetto: le buone prassi. Progettazione, Ricerca, Orientamento, Nuova Imprenditorialità, Inseri- mento Lavorativo, 2005 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale legno e arredamento, 2005 CNOS-FAP (a cura di), Proposta di esame per il conseguimento della qualifica professionale. Percorsi triennali di Istruzione formazione Professionale, 2005 NICOLI D. (a cura di), Il diploma di istruzione e formazione professionale. Una proposta per il percorso quadriennale, 2005 POLÀČEK K., Guida e strumenti di orientamento. Metodi, norme ed applicazioni, 2005 VALENTE L. (a cura di), Sperimentazione di percorsi orientativi personalizzati, 2005 2006 BECCIU M. - COLASANTI A.R., La corresponsabilità CFP-famiglia: i genitori nei CFP. Espe- rienza triennale nei CFP CNOS-FAP (2004-2006), 2006 CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione dei sussidi, II edizione, 2006 2007 D’AGOSTINO S., Apprendistato nei percorsi di diritto-dovere, 2007 GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo. Una proposta di percorsi per la creazione di impresa. II edizione, 2007 MARSILII E., Dalla ricerca al rapporto di lavoro. Opportunità, regole e strategie, 2007 NICOLI D. - TACCONI G., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello stato dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. I volume, 2007 RUTA G. (a cura di), Vivere in... 1. L’identità. Percorso di cultura etica e religiosa, 2007 RUTA G. (a cura di), Vivere... Linee guida per i formatori di cultura etica e religiosa nei per- corsi di Istruzione e Formazione Professionale, 2007 86 2008 BALDI C. - LOCAPUTO M., L’esperienza di formazioni formatori nel progetto integrazione 2003. La riflessività dell’operatore come via per la prevenzione e la cura educativa degli allievi della FPI, 2008 CIOFS/FP (a cura di), Comunità professionale aziendale e amministrativa, 2008 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., Individuazione e raccolta di buone prassi mirate all’accoglienza, formazione e integrazione degli immigrati, 2008 NICOLI D., Linee guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2008 NICOLI D., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello stato dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. II volume, 2008 RUTA G. (a cura di), Vivere con... 2. La relazione. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 RUTA G. (a cura di), Vivere per... 3. Il progetto. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 2009 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale meccanica, 2009 MALIZIA G. - PIERONI V., Accompagnamento al lavoro degli allievi qualificati nei percorsi triennali del diritto-dovere, 2009 2010 BAY M. - GRĄDZIEL D. - PELLEREY M. (a cura di), Promuovere la crescita nelle competenze strategiche che hanno le loro radici spirituali nelle dimensioni morali e spirituali della persona. Rapporto di ricerca, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale grafica e multimediale, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale elettrica ed elettronica, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale turistico alberghiera, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale automotive, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per l’orientamento nella Federazione CNOS-FAP, 2010 2011 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A. (a cura di), “Cittadini si diventa”. Il contributo dei Salesiani (SDB) e delle Suore Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA) nell’educare stu- denti/allievi delle loro Scuole/CFP in Italia a essere “onesti cittadini”, 2011 TACCONI G., In pratica. 1. La didattica dei docenti di area matematica e scientifico-tecnolo- gica nell’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 TACCONI G., In pratica. 2. La didattica dei docenti di area linguistica e storico sociale nel- l’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 MANTEGAZZA R., Educare alla costituzione, 2011 NICOLI D., La valutazione formativa nella prospettiva dell’educazione. Una comparazione tra casi internazionali e nazionali, 2011 Sezione “Esperienze” 2003 CIOFS/FP PUGLIA (a cura di), ORION. Operare per l’orientamento. Un approccio metodolo- gico condiviso e proposte di strumenti, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 1. Guida per l’accoglienza, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 2. Guida per l’accompagnamento in itinere, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 3. Guida per l’accompagnamento finale, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 4. Guida per la gestione dello stage, 2003 87 2005 CIOFS/FP SICILIA, Operatore servizi turistici in rete. Rivisitando il progetto: le buone prassi. Progettazione, ricerca, orientamento, nuova imprenditorialità, inserimento lavorativo, 2005 TONIOLO S., La cura della personalità dell’allievo. Una proposta di intervento per il coordi- natore delle attività educative del CFP, 2005 2006 ALFANO A., Un progetto alternativo al carcere per i minori a rischio. I sussidi utilizzati nel Centro polifunzionale diurno di Roma, 2006 CIOFS-FP LIGURIA (a cura di), Linee guida per l’orientamento nei corsi polisettoriali (fascia 16-17 anni). L’esperienza realizzata in Liguria dal 2004 al 2006, 2006 COMOGLIO M. (a cura di), Il portfolio nella formazione professionale. Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2006 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V., Una formazione di successo. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali triennali di istruzione e formazione professionale in Piemonte 2002-2006. Rapporto finale, 2006 2007 NICOLI D. - COMOGLIO M., Una formazione efficace. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali di Istruzione e Formazione professionale in Piemonte 2002-2006, 2007 2008 CNOS-FAP (a cura di), Educazione della persona nei CFP. Una bussola per orientarsi tra buone pratiche e modelli di vita, Roma, Tipografia Pio XI, 2008 2010 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edi- zione 2010, Roma, Tipografia Pio XI, 2010 Tip.: Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma Tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - E-mail: tipolito@donbosco.it Novembre 2011

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